Come nasce la Costituzione

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LUNEDÌ 13 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLV.

SEDUTA DI LUNEDÌ 13 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

 

INDICE

Congedi:

Presidente

 

Domande di autorizzazione a procedere in giudizio:

Presidente

 

Interrogazioni (Svolgimento):

Marazza, Sottosegretario di Stato per l’interno

Benedettini

Petrilli, Sottosegretario di Stato per il tesoro

Franceschini

Corbellini, Ministro dei trasporti

Di Fausto

Morelli Luigi

Cavalli, Sottosegretario di Stato per l’industria e il commercio

Chatrian, Sottosegretario di Stato per la difesa

Costa

Andreotti, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri

Di Giovanni

Ronchi, Alto Commissario per l’alimentazione

Riccio

Mazza

Geuna

De Martino

 

Interrogazione con richiesta d’urgenza (Svolgimento):

Presidente

Scelba, Ministro dell’interno

Cianca

 

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Scelba, Ministro dell’interno

 

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati Alberti, Bertone, Bonino, Mastino Gesumino e Roselli.

(Sono concessi).

Domande di autorizzazione a procedere.

PRESIDENTE. Comunico che il Ministro di grazia e giustizia ha trasmesso due domande di autorizzazione a procedere in giudizio rispettivamente contro i deputati Ezio Villani e Franco Moranino, per il reato di cui all’articolo 595, in relazione all’articolo 57, n. 1, del Codice penale.

Saranno inviate alla Commissione competente.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Interrogazioni.

La prima è quella dell’onorevole Benedettini, al Ministro dell’interno, «per conoscere quali provvedimenti sono stati presi contro quel gruppo di 30 comunisti, che martedì 7 ottobre, in Roma, alla fine di un comizio monarchico, hanno aggredito 5 studenti, producendo ai giovani Ponzani Umberto, di 17 anni, e Spica Giacomo, di 21, iscritti all’Unione monarchica italiana, ferite lacerocontuse e contusioni multiple, e per conoscere, inoltre, quali preventive precauzioni intende adottare per garantire le libertà democratiche e le manifestazioni politiche contro i metodi dell’azione diretta».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Avvenimenti successivi ben più gravi hanno tolto anche a questa interrogazione gran parte della sua importanza.

Comunque, i fatti che vi hanno dato luogo sono i seguenti: la sera del 7 corrente in piazza della Pilotta è stato tenuto un comizio indetto dal Partito monarchico; il comizio si è svolto in relativa tranquillità. Alla fine, un gruppo di comizianti si è indirizzato verso la sede del Partito monarchico in Via Quattro Fontane. Durante il percorso, il gruppo – composto di cinque giovani – venne aggredito da una trentina di individui che ne ferivano due in modo non grave, ma pur sempre tale da richiederne il ricovero in ospedale.

La pubblica sicurezza, che aveva assistito al comizio, intervenne prontamente e l’ordine fu ristabilito. Non fu tuttavia possibile identificare i responsabili, i quali si dileguarono approfittando della confusione del momento.

Posso assicurare che da parte della pubblica sicurezza si proseguono attivamente le indagini per scoprire e raggiungere i colpevoli.

PRESIDENTE. L’onorevole Benedettini ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

BENEDETTINI. Ringrazio il signor Sottosegretario per l’interno della buona intenzione che ha dimostrato di volere rintracciare i colpevoli, i quali però, malgrado la stessa buona intenzione, non sono stati ancora identificati, come non furono rintracciati coloro che vennero ad assalire, durante l’assemblea dell’Unione monarchica italiana, una riunione alla quale ero presente io stesso e dei quali, dopo vari mesi, benché fossero oltre 400 persone, non ne è stato identificato neanche uno.

Questo significa che i sistemi adottati da alcuni partiti, ed in particolare dal Partito comunista, hanno buon giuoco.

Voglio rettificare alcune cose che il signor Sottosegretario ha comunicato riguardo a questo incidente. Non è avvenuto il conflitto sul posto, come ha detto lei, ma i 30 comunisti hanno aspettato che quel gruppo di 12 studenti, partito da piazza della Pilotta, risalisse via Nazionale, si sciogliesse in piazza del Quirinale e, quando hanno visto che dei giovani ne erano rimasti 4 soltanto, all’altezza di via XX Settembre li hanno aggrediti, in 30 contro 4, spaccando la testa ad uno e riducendo un altro in cattive condizioni.

Questi sono i sistemi dell’azione diretta, ed io domando e dico se è permesso agire in tal modo, specialmente durante una campagna elettorale.

Non siamo certo noi ad adottare questi sistemi: noi, che rispettiamo le libertà democratiche, non permettiamo a nessuno dei nostri di agire e neppure di inveire a parole contro altri partiti.

Qui invece i trenta comunisti che hanno aggredito, hanno detto a questi giovani: «Imparerete a gridare viva il re e viva la monarchia», e con questi sistemi li hanno messi in condizione di non parlare più. Questa, per me, è, oltre tutto, vigliaccheria. Se un partito ritiene doveroso ricorrere a questi sistemi, significa che non ha altri mezzi per imporre le proprie idee.

PRESIDENTE. Onorevole Benedettini, la prego di limitarsi a dire se è sodisfatto o no.

BENEDETTINI. Non posso essere sodisfatto, perché dei trenta comunisti non ce c’è uno che sia stato fermato, messo dentro e reso responsabile del reato compiuto. Io non faccio colpa alla polizia, perché effettivamente risulta che durante il comizio aveva fatto del suo meglio. Ad ogni modo mi domando quali sono i provvedimenti che il Governo vuole prendere per evitare che questi continui, ripetuti e disgraziatamente anche ingranditi effetti di sistemi dell’azione diretta continuino. Abbiamo avuto occasione proprio ieri stesso di constatare un più grave caso durante la campagna elettorale e cioè l’assassinio da parte dei comunisti di un povero giovane, proprio per lo stesso motivo dell’azione diretta.

Chiedo se questi sistemi non debbano cessare e se il Governo non debba prendere qualche provvedimento preventivo, onde impedire a questi partiti che adottano tale azione diretta, di realizzarla, come è stato minacciato anche in quest’Aula dall’onorevole Togliatti.

La sera di venerdì l’Assemblea si è ribellata contro la manifestazione del M.S.I. in piazza Colonna, ed i comunisti vollero far vedere che si protestava contro un sistema che voleva farsi passare per monarchico e non lo era, e questi stessi signori hanno minacciato di voler prendere loro chissà quale difesa di Montecitorio. Questi sistemi portati qui dentro dall’onorevole Togliatti devono essere ufficialmente dal Governo deprecati. Azione diretta non ce ne deve essere. Se ci sono idee da far valere devono essere fatte valere col convincimento; in tal modo solamente si potrà arrivare ad una chiarificazione. Noi in tutti i nostri comizi predichiamo l’amore e l’accordo, ma vediamo che dall’altra parte ci si risponde con provocazioni, insulti e con azioni tali da produrre effetti che non sono certo quelli che vogliamo ottenere. Pertanto chiedo che il Governo voglia senz’altro approfondire, se è possibile, questa inchiesta, cercare di colpire i responsabili e laddove non può riuscire a colpire i responsabili, disporre perché un partito che adopera questi mezzi sia sciolto. (Proteste all’estrema sinistra).

È stato chiesto venerdì scorso in questa Aula dai comunisti lo scioglimento del M.S.I. perché è un partito che ricorre, secondo loro, alla violenza (e finora effetti diretti di questa violenza non ne abbiamo veduti); c’è una legge che vieta la rinascita del partito fascista perché anch’esso partito che avrebbe usato mezzi di violenza; per questi stessi motivi e per le stesse ragioni chiediamo che sia sciolto il Partito comunista, che è un partito che solamente sulla violenza e sulla azione diretta (i cui frutti abbiamo dolorosamente ripetutamente constatato) si basa e si potenzia. (Proteste all’estrema sinistra – Scambio di apostrofi tra il deputato Benedettini e il deputato Bardini).

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Mentasti, Lizier, Bastianetto, Ponti, al Ministro dell’interno, «per conoscere quali misure siano state prese dall’autorità politica in occasione di comizi, tenuti senza l’osservanza delle relative norme di legge, e della spedizione punitiva organizzata la sera del 20 luglio dall’onorevole Giovanni Tonetti contro la pacifica popolazione di Caorle (Venezia), e quali provvedimenti si intendano assumere per impedire il ripetersi di simili episodi, che – turbando l’ordine pubblico – feriscono i più elementari principî delle libertà democratiche e rinnovano sistemi universalmente condannati e detestati».

Non essendo presente nessuno degli onorevoli interroganti, s’intende che vi abbiamo rinunziato.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Cremaschi Carlo, al Governo, «per conoscere cosa risulti allo stesso circa il ferimento di giovani democristiani a Genzano, in seguito ad aggressione avvenuta nel pomeriggio di domenica 5 ottobre 1947».

Non essendo presente l’onorevole interrogante, s’intende che vi abbia rinunziato.

Segue l’interrogazione gli onorevoli Franceschini, Bellato, Gortani, Lizier, Morelli Luigi, Pastore Giulio, ai Ministri del bilancio e del tesoro, «per conoscere se non ritengano rispondente a giustizia e umanità disporre che gli impiegati e i salariati statali, di tutte le categorie, che cessano dal servizio per quiescenza, anziché dover attendere dolorosamente per anni interi la liquidazione dei loro assegni di pensione, possano fruire, dal momento stesso del congedo – senza soluzione di continuità – di un assegno mensile provvisorio, corrisposto dalle Amministrazioni medesime presso cui prestarono servizio, pari all’ammontare dei quattro quinti almeno del rateo di pensione presumibilmente loro spettante, salvo successivo conguaglio. Le condizioni veramente tragiche di migliaia e migliaia di pensionati in eterna attesa della corresponsione dei loro sacrosanti diritti, rendono indispensabile il richiesto provvedimento per debito di elementare equità».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per il tesoro ha facoltà di rispondere.

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Il servizio della liquidazione delle pensioni ordinarie è, fin dal 1933, decentrato fra le varie Amministrazioni centrali dello Stato ed attribuito ai singoli uffici che amministrano il personale dei rispettivi servizi.

Risulta a questo Ministero che tale servizio funziona in modo sodisfacente presso alcune Amministrazioni, ma con notevoli ritardi presso altre.

Non sembra, peraltro, necessario emanare un provvedimento legislativo per imporre alle Amministrazioni una maggiore sollecitudine nella liquidazione delle pensioni: a ciò si può provvedere con circolare a firma del Presidente del Consiglio dei Ministri e che è in corso di elaborazione. In tale circolare, oltre a richiamare le Amministrazioni all’osservanza delle disposizioni in vigore, potranno anche suggerirsi tutti i possibili accorgimenti atti ad evitare che si verifichino soluzioni di continuità fra il trattamento di attività e quello di quiescenza.

Occorre infatti tener presente che la procedura di liquidazione prevista dalle disposizioni in vigore deve esser circondata da opportune cautele, trattandosi della concessione di un trattamento vitalizio, che presuppone successivamente un giudizio sulla esistenza del diritto a pensione e un calcolo sull’ammontare della medesima.

È ovvio che, una volta accertati tali elementi, l’Amministrazione, anziché accordare un’anticipazione, può procedere senz’altro ad una liquidazione, sia pure provvisoria, del trattamento di quiescenza. Le disposizioni in vigore consentono infatti la liquidazione provvisoria in base ai servizi accertati, ogni qualvolta il decreto di liquidazione definitiva non possa, per qualsiasi ragione, aver corso immediato; nulla vieta alle Amministrazioni di far ricorso con frequenza alla liquidazione provvisoria che può attuarsi con la massima speditezza non essendo per essa richiesta alcuna particolare documentazione, né il riscontro preventivo della Corte dei conti.

Comunque non si mancherà di rivolgere premure a tutte le Amministrazioni, affinché seguano con maggiore attenzione tale importante servizio, dando loro le opportune istruzioni atte ad evitare i lamentati inconvenienti.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

FRANCESCHINI. Sono lieto che finalmente il Governo si sia cominciato a preoccupare di una così benemerita e sofferente classe di lavoratori, quale è quella dei pensionati. Ma, onorevole Sottosegretario, si sa come vanno queste cose! La Presidenza impartisce disposizioni più o meno severe; gli uffici centro-periferici ne prendono buona nota… e le cose restano come prima.

Ora, si tratta di decine e decine di migliaia di lavoratori che, andando in pensione, si trovano da un giorno all’altro nella condizione tragica di morti civili: sul lastrico, senza un soldo per mesi e mesi, per anni! E spesso molti, moltissimi di questi lavoratori in pensione hanno ancora le famiglie a carico. Onorevole Sottosegretario, io mi compiaccio delle misure che si sono cominciate a prendere – ripeto – ma non si tratta qui di migliorare, sebbene di mutare completamente sistema.

È necessario infatti introdurre un sistema nuovo e, una volta per sempre, un sistema semplice.

Si noti, io non chiedo un favore per la categoria dei pensionati di tutte le Amministrazioni dello Stato; reclamo un sacrosanto diritto. Vorrei prospettare all’onorevole Sottosegretario, alla sua illuminata e consumata esperienza, una analogia. Quando un impiegato dello Stato entra in servizio, viene disposto subito il pagamento dei suoi assegni, in via provvisoria, sui fondi a disposizione. Molto prima che sia spiccata dall’Amministrazione centrale la sua nota nominativa, egli riceve presso a poco i nove decimi del suo regolare stipendio a titolo di acconto; successivamente si fa il conguaglio, e l’impiegato riceve in base ad esso la normale retribuzione. Perché non si deve adottare la stessa misura per l’impiegato che esce dai ruoli, tanto più benemerito in quanto per 30-40 anni ed anche più ha lavorato ed ha servito fedelmente lo Stato? Non può forse l’Amministrazione, da cui l’impiegato dipendeva sino al momento del collocamento in pensione, corrispondergli sui propri fondi a disposizione, per il periodo intercorrente fino al conguaglio, gli otto o i nove decimi, pur con tutte le cautele necessarie? Del resto, non c’è categoria sulla quale il Tesoro può risarcirsi con. maggior tranquillità come su quella dei pensionati! Si è verificato invece che, per la decorrenza di un anno e più il pensionato è stato letteralmente truffato sul valore della lira: ha percepito un anno di arretrati, presso a poco bastevole alla sua vita di un mese. Questo non dovrebbe accadere, per debito di elementare equità ed umanità.

Perciò io insisto nel suggerimento dato, ed invito il Governo a prendere la misura da noi richiesta a sollievo di questa categoria così benemerita e così sfruttata di lavoratori, che hanno magramente vissuto e che si vedono anche condannati, in pratica, a morire di fame. L’attuale resistenza di molti impiegati ad andare in pensione è dovuta anche al timore di non avere più un soldo all’atto della loro entrata in quiescenza.

Ovviamo, onorevole Sottosegretario, a questo gravissimo inconveniente! Poniamo subito allo studio un provvedimento giusto e semplice, quale è quello di far pagare il pensionato, fino ad avvenuto conguaglio della sua pensione, senza soluzione di continuità, dall’Amministrazione stessa da cui dipende.

Non credo di chiedere molto, ma qualcosa dì giusto; tanto poco che si può ridurre, veramente, al solo pane quotidiano. (Applausi).

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Non credo che l’espediente suggerito dall’onorevole interrogante possa, per ragioni tecniche, trovare applicazione generale; e l’applicazione non potrebbe essere che generale, per determinare una conseguenza di giustizia, uguale per tutti gli interessati.

Credo, invece, che bisognerebbe mettere effettivamente in atto le istruzioni già mandate alle varie Amministrazioni nell’anno decorso. Come ho detto, sin dal 1933 è stata affidata alle singole amministrazioni la liquidazione delle pensioni. Il decentramento dei servizi ha avuto per scopo quello di accelerare la liquidazione delle pensioni. Contemporaneamente si è fatto presente alle amministrazioni la necessità che per ogni suo singolo dipendente si apra un quaderno in cui siano annotati i servizi di ciascun funzionario dal giorno in cui viene assunto dall’Amministrazione, cioè il curriculum di ciascun dipendente dello Stato, con le variazioni degli emolumenti fino al giorno in cui egli va a riposo. Si è fatto obbligo anche alle Amministrazioni che, in previsione di un imminente collocamento a riposo, questo quaderno sia chiuso in modo che il provvedimento di liquidazione della pensione sia emesso in via provvisoria, ma nella misura del cento per cento e poi in via definitiva, con tutte le formalità della Corte dei conti che possono seguire in breve tempo. Io sono convinto che, se le singole Amministrazioni si rendono conto della necessità e del dovere di adempiere a queste incombenze, e vi adempiono, si andrà più in là di quel che auspica l’onorevole interrogante. Anche perché non tutte le Amministrazioni dispongono dei cosiddetti «fondi a disposizione». Penso che sia agevole trovare una soluzione di questo problema, della cui importanza e della necessità di una risoluzione mi rendo ben conto, come Sottosegretario e come funzionario.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione all’onorevole Di Fausto, al Ministro dei trasporti, «per chiedere se, dinanzi alla persistente campagna avversa alle nuove direttive per un più razionale ed aggiornato completamento della stazione di Roma, non ravvisi l’opportunità di riesumare le molteplici responsabilità legate al progetto iniziale e sommerse nella catastrofe della Nazione. Quel progetto, non movendo da presupposti essenzialmente tecnici e logici, non poteva non riassumersi che in un orrore architettonico ed in un errore funzionale. E se il recente intervento di organi responsabili migliorerà la situazione, non risanerà però l’enorme danno finanziario, la cui responsabilità deve essere individuata per l’evidente colposo consenso portato ad una realizzazione, nella quale la tecnica ha sistematicamente ceduto a pretese direttive politiche (se tali possono chiamarsi la megalomania ed il cafonismo veramente tipici in quell’opera) dietro le quali, comunque, agiva quella organizzazione di interessi, che trova ancora eco nella stampa».

L’onorevole Ministro dei trasporti ha facoltà di rispondere.

CORBELLINI, Ministro dei trasporti. Debbo ringraziare l’onorevole interrogante, onorevole Di Fausto, di avermi dato occasione, con la sua interrogazione, di riassumere brevemente la questione della stazione di Roma Termini. Essa è indubbiamente una questione importante che si ricollega in via generale a tutto il piano regolatore dei servizi ferroviari della capitale. Ma io qui debbo per brevità limitarmi all’esame delle caratteristiche funzionali della sola stazione Termini e non di tutto il complesso dei servizi ferroviari della capitale.

La stazione per viaggiatori di Roma Termini è sorta dalla vecchia stazione pontificia, che poi è stata ingrandita con la caratteristica tettoia in ferro progettata dall’ingegner Bianchi ed ultimata nel 1871; da quell’epoca è stata continuamente martoriata.

Già nel 1911 la stazione era incapace di poter assolvere al traffico sempre crescente della Capitale; cosicché all’epoca dell’esposizione è stato al rettamente costruito quel capannone di legno per le partenze lato via Marsala, che era un’ignominia intollerabile per l’estetica e per la comodità dei servizi. Successivamente nel 1914, poco prima della guerra, fu necessario togliere il deposito locomotive a vapore che era dentro la stazione e che affumicava i palazzi vicini situati sulla via Principessa Margherita (ora via Giolitti). Cosicché fu costruito un nuovo e moderno deposito per locomotive a San Lorenzo e la stazione fu ulteriormente modificata ed allargata. Successivamente essa fu ancora ampliata nel 1923 e nel 1924, allungando il piazzale e dotando gli scambi degli apparati centrali che erano richiesti dalla necessità di rendere più sollecito l’arrivo e la partenza dei treni, e più sicuri i movimenti delle manovre.

Non insisto su altri particolari tecnici, soltanto faccio rilevare che la stazione di una grande città in continuo sviluppo è anch’essa necessariamente un impianto tecnico in continuo sviluppo; perciò una stazione moderna non sta mai ferma nelle sue strutture e nei suoi servizi.

Nel 1936 si riconobbe nuovamente la necessità dell’ampliamento della stazione di Roma Termini: non fu esaminato che in via generica il problema di costruirla altrove e fu senza altro deciso di ricostruirla nello stesso posto. Non discuto tutti i problemi che furono posti in pro e in contro allo spostamento di questa stazione perché andrei oltre il tema dell’interrogazione.

Era necessario che essa dovesse ingrandirsi, ma a ciò ostacolava una condizione caratteristica locale che è molto importante.

La stazione è costruita sull’Esquilino ed i binari delle linee principali scendono in tre direzioni sulle strade che vanno verso Firenze, a Portonaccio (ora Tiburtina) e verso il Tevere per la linea della Maremma; scende al bivio Casilino per andare verso Napoli. Per questo, se si prolungasse il piazzale orizzontale della stazione verso Santa Bibbiana, le pendenze delle linee di corsa aumenterebbero con la conseguenza di rendere sempre più difficile e costoso il servizio ferroviario.

Questa caratteristica era nota anche ai nostri vecchi ferrovieri delle reti private. Però la situazione si è sempre aggravata con il continuo ampliarsi della vecchia stazione verso Santa Bibbiana. Quando furono aperte all’esercizio le due direttissime Bologna-Firenze e Roma-Napoli, abbiamo dovuto subire l’anomalia tecnica molto importante che da Milano a Napoli il punto peggiore di tutta la linea risulta esattamente quello che da Tiburtina sale a Roma Termini, con una curva molto stretta e con la più elevata pendenza esistente sull’intero percorso di ben 800 chilometri, così che il peso dei treni doveva limitarsi a quello trainabile su questo breve tratto, oppure i treni dovevano fermarsi per venire trainati con due locomotive.

Quando, nell’epoca euforica dell’imminenza dell’esposizione E.42, si riconobbe l’urgenza di fare una nuova stazione a Roma, i tecnici hanno ribadito questo concetto, e fra i tecnici vi ero anche io, che, insieme al mio collega del Servizio Movimento, eravamo entrambi responsabili dell’esercizio razionale ed economico dei treni. Mi hanno risposto secco: «Voi tecnici dovete stare zitti». E quei due tecnici furono messi da parte.

La nuova stazione doveva assolutamente avere una caratteristica monumentale. La relazione fatta a quell’epoca al Consiglio di amministrazione delle ferrovie per chiedere il finanziamento dei lavori è tutta euforica e basterebbe solo questa frase per dimostrare a che punto era arrivata l’esaltazione dei fautori dell’opera monumentale: «Ma intanto gli eventi precipitano. Il traffico seguita ad aumentare, la conquista dell’Etiopia dà all’Italia un impero, l’esposizione mondiale si avvicina, e non è più possibile procrastinare la situazione degli impianti ferroviari, per cui il duce indica la soluzione da risolvere ed ordina una pronta realizzazione, dando il primo colpo di piccone il 16 febbraio 1938».

Così è incominciata la demolizione della stazione ottocentesca, e vi confermo che allora c’è stato un vero impegno per fare un’opera monumentale là dove opere monumentali non erano assolutamente indicate né richieste. Furono stanziati per il lavoro un certo numero di milioni. Vi fu una polemica in quell’epoca fra la direzione dei tecnici delle ferrovie ed i fautori dell’opera monumentale. Il direttore generale delle Ferrovie dello Stato richiese al Ministro Benni che le spese necessarie per la parte monumentale non fossero sostenute dalle Ferrovie, poiché nulla avevano a che vedere con i propri servizi. E fu per questo intervento che lo Stato autorizzò il Tesoro a versare una volta tanto un certo numero di milioni (mi sembra 300), per dare la caratteristica di monumentalità a questa stazione e nel tempo stesso non far gravare le spese, per il servizio dei capitali necessari, sul bilancio ferroviario.

Quindi debbo confermare che il problema della monumentalità della stazione era rimasto controverso. Si criticò anche il fatto che in quell’epoca fu dato l’incarico del progetto ad un solo architetto funzionario ferroviario, mentre invece, quando si tratta di opere che interessano l’intera Nazione, a mio avviso, devono essere banditi pubblici concorsi, chiamando a raccolta l’ingegno ed il pensiero di tutti gli ingegneri ed architetti italiani. Non si volle fare il concorso nazionale come precedentemente si era fatto per la stazione di Firenze e ciò per evitare critiche e discussioni sulle direttive artistiche poste dall’alto.

In queste condizioni è sorto il progetto della stazione di Roma, con quelle caratteristiche monumentali di cui vi faccio grazia, perché dal solo esame sommario si riconoscono tutte le incongruenze. La spesa prevista di circa 600 milioni dell’epoca, corrisponde a circa 30 miliardi di lire odierne. Furono portate a Roma delle decorazioni, dei materiali dalle più lontane parti d’Italia e con le più strane applicazioni. Scelgo a caso dall’elenco dei materiali previsti. Vi dico, per esempio, che si è preso del porfido violaceo di Predazzo, per cosa farne? Per fare semplice– mente il cordonato dei marciapiedi sotto l’atrio, come se a Roma non si potessero fare cordonati in altra pietra senza usare il porfido che viene da 800 chilometri lontano.

Furono fatte decorazioni e modelli al vero di statue in gesso, ordinandole ad oltre 24 artisti per poter poi scegliere; furono ordinati modelli di capitelli, di colonne, di bozzetti in gesso, ecc., senza una loro precisa destinazione, quasi come per farne una ostentazione di mecenatismo dei tempi antichi. Tutto questo costò milioni. Ho qui un elenco che è molto edificante e del quale vi faccio grazia per carità di patria.

Era necessario cambiare strada, e allora il Ministro Ferrari di quell’epoca vide, attraverso noi tecnici, che gliela abbiamo fatta presente, l’assurdità della cosa, e disse: «Ritorniamoci sopra; la stazione deve essere un’opera degna della capitale, ma non un monumento. Chiamiamo tutti gli architetti ed ingegneri d’Italia ad un concorso nazionale per fare una stazione razionale e tecnica che risponda ai requisiti funzionali che deve avere».

Ora, per quello che vi ho detto prima, dovevamo prolungare la stazione (e qui è bene chiarire, perché i giornali hanno detto cose di molto inesatte). Oggi dobbiamo prevedere dei treni con carrozze che hanno un peso di 30 tonnellate e sono lunghe circa 24 metri; possiamo fare treni con 20 carrozze, cioè convogli lunghi 480-500 metri. Non potendo allungare la stazione prolungando il piazzale verso Santa Bibbiana, non c’era altro mezzo che farla venire un po’ più avanti verso piazza dei Cinquecento. Occorreva quindi modificare sostanzialmente l’arcata monumentale della galleria delle carrozze e fare un fabbricato più avanzato, nel quale potevano utilizzarsi le aree anche per gli uffici.

Non mi si ripeta che i treni avvenire non dovranno essere più lunghi degli attuali, perché nel campo internazionale europeo è ormai tecnicamente riconosciuto che dovremo prevedere treni di venti carrozze. Quindi non c’è nulla da discutere al riguardo. Le norme, accettate anche da noi, per i servizi internazionali europei ci impongono degli obblighi tecnici che dobbiamo rispettare.

Poi dovevamo vedere un poco come la stazione dovesse funzionare. Non entro nel merito, nei dettagli, per non andare alle lunghe, ma è certo che se si esamina il progetto precedente, si trovano delle anomalie e caratteristiche di applicazione, degli spazi molto dispendiosi e assolutamente irrazionali. Impianti sotterranei con luce artificiale, servizi non razionalmente distribuiti, deficienza di impianti tecnici e di controllo, sono i difetti più salienti che mi limito solo ad accennare.

Quindi, per concludere: si è ritenuto opportuno di studiare tecnicamente meglio il progetto primitivo tenendo conto di quelle parti già eseguite.

Fu bandito un concorso nazionale nel gennaio di quest’anno. Questo concorso ha portato alla presentazione di 40-42 progetti che sono stati esaminati da una apposita Commissione.

Io sono intervenuto appena assunto al Governo e ho disposto per la nomina di una Commissione che fosse la più imparziale possibile. Ho detto: essa non deve essere costituita da uomini scelti direttamente dal Ministero dei trasporti, ma da uomini che per la loro funzione tecnica ed artistica diano il massimo affidamento possibile per poter essere giudici seri ed imparziali di questo importante problema. Ed allora si sono presi 5 ferrovieri specialisti nel campo tecnico; ad essi si sono aggiunti 6 estranei. Tra essi si è scelto, per esempio, il rappresentante dei lavori pubblici, che è stato designato dal Ministro competente nel Presidente del Consiglio Superiore dei lavori pubblici. Si è chiesto al Ministro della istruzione: dateci due tecnici tra i professori; uno che sia titolare della cattedra di architettura in una facoltà di architettura ed uno che sia titolare di una cattedra di architettura in una facoltà di ingegneria. Si è chiesto all’Associazione nazionale degli ingegneri e architetti italiani: dateci due vostri soci; uno sia un ingegnere e l’altro architetto. Fu chiesto al Comune di Roma di darci il capo dei servizi urbanistici ed edilizi della capitale e così fu fatto. Questa Commissione che si è riunita più volte ed ha lavorato attivamente con serenità e zelo, sta per emettere il verdetto ed io credo che questo verdetto sarà certamente ispirato alla massima serietà ed obiettività per la scelta del progetto da seguire. Posso assicurarvi che la importante decisione verrà presa ad unanimità di tutti i componenti.

Ora c’è altri che dice: vi sono stati molti sprechi, perché non saranno utilizzati tutti i materiali pregiati già acquistati, decorativi e costruttivi e che già sono accumulati a Roma.

Io vi dico che se avessi i magazzini pieni di pietre pregiate che vengono da lontano e dicessi al Ministero di venderle, sono sicuro che ai prezzi di oggi, rispetto a quello che furono pagate, si farebbe un ottimo affare. Quel materiale, in quanto non possa venire utilizzato per la stazione, sarà sempre impiegabile nella costruzione nella edilizia privata di Roma: nessuna preoccupazione quindi di sperpero o di spese inutili.

Credo di poter concludere che, senza andare a rivangare, come dice l’architetto Di Fausto – tutte le responsabilità passate svaniscono, tolta la responsabilità principale diretta, alla quale ho fatto cenno in principio – la cosa migliore sia di presentarci nel 1950 – anno in cui ci sarà certamente una grande affluenza di turisti per l’Anno Santo – con una stazione che risponda tecnicamente ed esteticamente a tutti i requisiti di una grande stazione ferroviaria della capitale di uno Stato. E sono convinto della necessità che questa stazione debba essere fatta in modo che i tecnici nostri successori, da qui a 15 o 20 anni, non abbiano lo scrupolo di poterci mettere nuovamente mano per modificarla, così come tutti i tecnici passati hanno messo mano non solo alla stazione di Roma-Termini, ma a tutte le grandi stazioni d’Italia e del mondo.

Tanto per citarvi l’ultimo caso, vi dirò che un mio collega, costruttore ferroviario americano, mi ha mandato giorni or sono l’illustrazione del progetto di una grande stazione di New York, in cui si prevede che le pensiline siano tutte chiuse, in modo da costituire un piano superiore destinato a diventare un aeroporto. Sotto l’aeroporto arrivano i treni e sotto il piano dei treni corrono le metropolitane. Ho qui tutti i disegni e tutti gli studi che potrete esaminare in questo libro (A railroad for tomorrow, stazione di Grand Central West). Vi è dunque oggi la possibilità di costituire un centro importante che riassuma in sé tutte le caratteristiche dei vari sistemi di trasporto tra di loro collegati; aerei e stradali. La modesta economia italiana di oggi non ci consente di fare questo subito nelle nostre grandi stazioni, ma noi dovremo essere liberi di poterle ritoccare entro un breve volgere di anni, in modo da non avere scrupolo di demolire colonne monumentali come quelle che erano previste dal precedente progetto. Questo mi riconferma nella convinzione che una stazione non deve essere un monumento, ma un’opera destinata ad essere continuamente rimodernata. Quindi, la stazione di Roma Termini sarà decorosa, degna della Capitale, e sarà una stazione funzionale, perfettamente intonata all’ambiente architettonico ed urbanistico del luogo dove essa è sorta.

Come spesa? Tanto per chiarirvi l’entità di essa vi dico che se avessimo dovuto ultimare il progetto Mazzoni avremmo speso sicuramente ancora almeno tre miliardi e mezzo. Non so cosa si potrà spendere col nuovo progetto perché esso ancora non è stato scelto, non so se ci saranno delle varianti e quanto esse verranno a costare. Ma, grosso modo, date le cubature che si prevedono, penso che la spesa ci consentirà di risparmiare forse più di un miliardo e mezzo rispetto al primitivo progetto. Quindi riuniremo ad una costruzione più razionale e tecnicamente moderna anche una netta economia di valore, certamente non trascurabile.

In ogni modo, per concludere, assicuro l’onorevole interrogante che l’economia non sarà solo ottenuta nella costruzione, ma anche nell’esercizio della stazione, dove la sorveglianza e l’impiego del personale sono stati accuratamente studiati, anzi posso dire che è un compito specifico di tutti i tecnici ferroviari quello di fare i propri progetti tecnicamente ineccepibili, senza sperperi di sorta e con giusto decoro, in modo da ottenere con essi anche un esercizio economico.

Di questo prego l’onorevole interrogante di voler prendere atto, anche a nome di tutti i miei collaboratori.

PRESIDENTE. L’onorevole Di Fausto ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

DI FAUSTO. I chiarimenti tecnici dati dal Ministro dei trasporti troncano ogni polemica che non voglia essere tendenziosa.

Vorrei aggiungere qualche delucidazione sul progetto di origine.

In quel progetto è caratteristica l’assenza del rapporto di proporzione fra l’opera e l’uomo: ogni cosa è vista con un occhio che non è il nostro, ogni cosa tende al grandioso, senza raggiungerlo. L’elefantiasi, evidente nei due edifici già costruiti, avrebbe dovuto trovare la sua massima espressione nel grande edificio frontale, non ancora costruito.

Premetto che dalle comunicazioni del Ministro si desume che nulla sarà demolito di quel che è stato fatto, di modo che il nuovo orientamento sarà quello di evitare uno sperpero del pubblico denaro, riconducendo il tutto alla effettiva funzione. Darò ora qualche elemento relativo a quell’edificio rimasto sulla carta. Questo edificio copre 12 mila metri quadrati, cioè 1 ettaro e 2 mila metri quadrati. Prego gli onorevoli colleghi di fare attenzione a queste cifre: immaginatevi 12 aule come questa, comprese le tribune, che costituiscono il corpo frontale, il quale doveva permettere il passaggio delle carrozze e il transito dei passeggeri. Questo edificio di 12 mila metri quadrati ha un fronte porticato con colonne grandi quanto quelle di San Pietro. La copertura di questo edificio, che per fortuna non è stato realizzato, avrebbe richiesto 15.000 metri cubi di calcestruzzo e 1400 tonnellate di ferro. Io debbo dire a questo punto che non ancora è stata affrontata la ricostruzione di tre ponti sul Tevere a nord di Roma per mancanza di materiale.

Un cenno merita anche il padiglione cosiddetto imperiale e reale aggregato all’edificio di sinistra, su Via Marsala. Per completare questo padiglione, occorrerebbero oggi circa 120 milioni ed il completamento impegna la demolizione della caserma Ferdinando di Savoia, la cui ricostruzione importa 200 milioni di spesa.

Sussisteva poi, una distribuzione illogica dei servizi sui corpi laterali ed erano previste, per consentire l’afflusso e il deflusso della folla, demolizioni cospicue sul viale Giolitti. Un centinaio di edifici, 1800 appartamenti, 12.000 vani, 350 botteghe, che interessano la vita di 15.000 persone abitanti nella zona, con una spesa complessiva, prevista dal 1939 in 400 milioni, e che sarebbe oggi di 20 miliardi.

Nella mia pratica di architetto non conosco sistemazioni urbanistiche del genere che, più propriamente, si potrebbero chiamare sistemazioni telluriche.

E finalmente, accennando all’architettura e alle decorazioni, dichiaro che infastidisce anche l’ostentazione di mezzi illimitati che si rileva nell’uso più illogico ed improprio di pietre, marmi, mosaici, metalli e legni pregiati, profusi a piene mani, ovunque: c’è un preannunzio del secolo della borsa nera, così come il Rinascimento fu a suo tempo annunziato dalla delicatezza di forme semplici o schiette, spesso anzi modestissime.

Nessuna aderenza al tema, nessuna sincerità di mezzi struttivi, nessuna razionalità: colonne di sette metri di circonferenza, alte venti, grosse più di quelle di San Pietro, che non sostengono nulla, neppure se stesse, in quanto sorrette dalle strutture di cemento armato occultate; soffitti orizzontali di marmo con lastre e masselli ancorati in bronzo alle travi di cemento e gravitanti sul vuoto a venti metri di altezza; costruzioni sotterranee a tre piani, sprofondate in corrispondenza del grande edificio frontale, per sistemarvi fuori posto servizi essenziali e per accogliervi, in curiosa promiscuità, un albergo diurno, un cinematografo, una chiesa sotterranea.

In piena guerra, dal dicembre 1941 al maggio 1943, tutto è stato ordinato per opere di decorazione e di addobbo per una chiesa e per dei saloni che non erano ancora sulla carta: mosaici, marmi, colonne, statue di santi, acquasantiere, porte artistiche, ecc.

Onorevoli colleghi, nelle more della guerra, questo modo di condurre un’opera pubblica ha tutta l’aria di un tragico scherzo che si vorrebbe continuare ancora e che merita, a mio avviso, l’onore di una inchiesta parlamentare la quale riaffermi, attraverso precisa, solenne condanna, la suprema esigenza del rispetto del pubblico denaro.

Concludendo, io chieggo: primo, che il Governo non defletta dalla linea tecnica ed economica affermata col concorso; secondo, che sia riaperta subito al traffico l’importante Via Marsala; terzo, che si liberino dal vincolo di demolizione gli edifici popolari di via Giolitti e che immediatamente – a concorso giudicato – si dia mano ai lavori, perché possa essere rimosso al più presto lo sconcio caravanserraglio che si accampa nella zona e che vive ai suoi margini, degradando il nostro prestigio civile proprio in un ambiente ove le vestigia dell’aggere di Servio Tullio, di cui l’Urbe si cinse negli albori del suo Impero, attestano al mondo, da 2800 anni, il destino imperituro di Roma.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Morelli Luigi e Arcaini, al Ministro del tesoro, «per conoscere le ragioni per le quali, contrariamente alle assicurazioni date alle organizzazioni sindacali dei dipendenti dello Stato ed agli interroganti, di estendere il trattamento dell’indennità di caro-viveri concesso al personale residente nei centri capoluoghi di provincia a tutto il personale residente nella provincia, si sia disposto, col decreto legislativo n. 778 del 5 agosto 1947, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 21 agosto 1947, n. 190, all’articolo 14, di estendere tale indennità solo ai dipendenti aventi sede di servizio nei comuni della provincia che non siano distanti più di 30 chilometri dal capoluogo su via ordinaria fra le rispettive sedi comunali».

L’onorevole Sottosegretario per il tesoro ha facoltà di rispondere.

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Principio informatore per l’attribuzione dell’indennità di carovita in diverse aliquote è stato sempre quello che nei singoli comuni il costo della vita sia in stretta correlazione, in genere, all’entità della popolazione.

A tale criterio discriminatore è stata, del resto, sempre informata la concessione degli assegni accessori del trattamento economico dei dipendenti statali (indennità di caroviveri, aggiunta di famiglia, aumento della integrazione temporanea, indennità di disagiatissima residenza, assegno di razione viveri e ora indennità di carovita).

Né a tale criterio si è voluto innovare con il decreto legislativo 25 ottobre 1946, n. 263, sostituendo ad esso quello che l’indennità di carovita debba essere uguale per tutti i comuni di una stessa provincia, in quanto l’articolo 2 del citato decreto si è limitato a sopprimere le aliquote di riduzione dell’indennità stessa, previste dalle precedenti disposizioni per i personali con sede di servizio nei comuni con popolazione inferiore ai 200.000 abitanti, mantenendo, invece, fermi gli aumenti del 20 per cento, 10 per cento e 5 per cento, rispetto alla base 100, previsti per i personali con sede di servizio nei comuni rispettivamente con almeno 800 mila abitanti, 700 mila abitanti e 600 mila abitanti, e confermando così l’elemento popolazione quale criterio discriminatore per la corresponsione della indennità di carovita.

Ne è, sì, derivato che praticamente nelle provincie diverse da quelle di Roma, Milano, Napoli, Torino e Genova l’indennità in parola viene corrisposta nella misura del 100 per cento per tutti i personali con sede di servizio nei diversi comuni appartenenti alla stessa provincia, ma con ciò non si è inteso abbandonare il cennato criterio; si è soltanto limitata la discriminazione in parola ai quattro scaglioni di popolazione, tenuto conto che solo per i grandi centri influiscono sul costo della vita i più alti prezzi degli alloggi, dei trasporti, ed, in genere, delle necessità minime di vita.

Considerato tale criterio discriminatore, è evidente come sia possibile derogare da esso a favore dei personali con sede di servizio in un determinato comune minore soltanto quando sia dimostrato che tale comune costituisce un unico centro economico col comune maggiore, e non già per il solo fatto, della appartenenza alla stessa provincia.

Sulla questione di cui trattasi, il Ministro del tesoro ebbe a dichiararsi in un primo tempo non del tutto contrario all’accoglimento delle richieste degli interessati perché l’indennità di carovita fosse attribuita secondo una differenziazione provinciale anziché, come attualmente, secondo l’entità numerica della popolazione residente nel comune sede normale di servizio; senonché il Consiglio dei Ministri, esaminata la richiesta e considerati gli inconvenienti cui il suo accoglimento avrebbe dato luogo, ha ritenuto opportuno confermare il criterio dell’unicità del centro economico di cui al decreto n. 488 del 1946 (che è quello che più di ogni altro risponde alla realtà della situazione in cui si trovano i diversi comuni rispetto al costo della vita), limitando la facoltà di estensione dell’indennità di carovita, nella aliquota prevista per il comune maggiore, ai soli personali con sede di servizio nei comuni della provincia che non siano distanti più di 30 chilometri dal capoluogo.

L’inconveniente maggiore che deriverebbe dall’accoglimento di un criterio basato esclusivamente sull’appartenenza di un comune ad una data provincia, sarebbe quello che il personale con sede di servizio nei comuni più piccoli delle provincie di Roma, Milano e Napoli (compresi i piccoli paesi con economia squisitamente agricola e quindi con basso costo della vita) verrebbe a percepire un trattamento per indennità di carovita di gran lunga superiore a quello del personale in servizio nei comuni delle restanti provincie (ad esempio a Torino, a Genova, a Bologna, a Firenze, a Palermo, ecc., dove è noto che il costo della vita per vitto, alloggio e mezzi di trasporto è particolarmente elevato), con la conseguente difficoltà a resistere ad eventuali richieste da parte di quest’ultimo, intese ad ottenere l’elevazione dell’aliquota dell’indennità di carovita al 120 per cento per tutti i comuni, elevazione che recherebbe al bilancio statale un onere di oltre 15 miliardi annui.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MORELLI LUIGI. Sono spiacente di aver dovuto presentare questa interrogazione, nonostante le comunicazioni fattemi dall’onorevole Petrilli.

Ho dovuto ubbidire non solo al dovere di difendere quel che io ritengo il diritto di giustizia dei lavoratori, ma anche la mia dignità di organizzatore sindacale.

Diritto di giustizia, perché le condizioni già grame degli insegnanti elementari in particolare, e dei dipendenti statali in genere, non possono tollerare che si aggiungano delle sperequazioni nel trattamento di caroviveri fra capoluogo e centri minori, quando siamo tutti ormai persuasi che il costo della vita, se non è superiore, non è certamente inferiore nei piccoli centri di quello dei capoluoghi provinciali.

Difesa della dignità di organizzatore sindacale, in quanto gli insegnanti elementari della provincia di Milano il 16 giugno 1947 hanno cessato lo sciopero, iniziato il 4 giugno 1947, per ottenere la estensione del caro-viveri del capoluogo della provincia a tutte le località della provincia, solo perché io e gli altri membri della delegazione, che con me avevano partecipato alle discussioni coi Ministri interessati, abbiamo loro assicurato – in base alle dichiarazioni del Ministro Del Vecchio e particolarmente del Sottosegretario Petrilli – che il Governo aveva accettato la loro richiesta e che nel decreto di prossima pubblicazione, riguardante aumenti ai dipendenti statali, ecc., sarebbero state comprese le disposizioni relative.

L’onorevole Arcaini, che ha partecipato alle discussioni, perché sollecitato dai dipendenti statali di Lodi, può farne fede.

Se questa assicurazione il Ministro non ci avesse dato, l’agitazione dei dipendenti avrebbe continuato fino ad una logica soluzione.

Non ritengo qui opportuno rifare tutta la storia della vertenza e delle ragioni che l’hanno determinata.

Non posso però dimenticare due momenti particolari di questa vertenza per richiamare il Ministro all’opportunità che, nella compilazione dei decreti che riguardano specialmente questioni economiche, vengano evitate queste ingiuste sperequazioni le quali – senza un concreto risparmio per lo Stato – determinano seri malcontenti, agitazioni e scioperi che turbano anche i rapporti di collaborazione che fra i dipendenti e lo Stato non dovrebbero mai cessare.

La prima agitazione è stata quella contro il decreto legge n. 722 del 21 novembre 1945. Con questo decreto che concedeva l’indennità caroviveri e le quote complementari, si stabiliva che il cento per cento, concesso ai grandi centri di almeno 500.000 abitanti fosse ridotto di una percentuale che andava dal 2 per cento per il personale con sede normale di servizio nei comuni di almeno 400.000 abitanti, fino al 25 per cento nei comuni aventi meno di 5.000 abitanti, e aumentato del 5 per cento per i comuni fino a 699.999 abitanti, del 10 per cento per i comuni fino a 799.999 abitanti, del 20 per cento per i comuni superiori a 800.000 abitanti.

Come era da attendersi, è sorto un vivissimo malcontento fra i dipendenti, non solo per il fatto che il costo della vita era presso a poco alla stessa misura in tutti i grandi centri indipendentemente dalla loro popolazione, ma anche perché praticamente fra piccoli centri e capoluogo di provincia non esistevano differenziazioni di sorta.

L’organizzazione dei dipendenti statali fece presente l’ingiustizia del provvedimento e, dopo una serie di agitazioni ed anche di scioperi, ottenne gradualmente che la sperequazione fra centri minori e capoluogo di provincia venisse eliminata, e tutti potessero avere il 100 per cento del caroviveri e delle indennità complementari nella stessa misura.

Restava ancora una grave ingiustizia da eliminare; quella di parificare il caroviveri dei centri minori a quello dei capoluoghi delle provincie di Torino e Genova che avevano una maggiorazione del 5 per cento ed a quelle di Milano, Roma e Napoli che avevano avuto una maggiorazione del 20 per cento, per le particolari condizioni del caroviveri.

Fecero presente i dipendenti dello Stato che – per esempio nella provincia di Milano – una differenza fra Sesto San Giovanni, Monza, Legnano, Lodi, ecc., che sono cittadine collegate con Milano, che vivono della stessa vita, che avevano ed hanno tutt’ora un costo della vita forse superiore a quello di Milano, era assolutamente inammissibile. Ne nacque una nuova agitazione, e fu con agitazioni e scioperi che si riuscì ad indurre il Governo a disporre con altro provvedimento che l’indennità del capoluogo (per queste cinque città) venisse estesa anche ai comuni che si trovavano nel raggio di 20 chilometri dalla città capoluogo. Beneficiarono di questo provvedimento alcuni dei più importanti comuni, ma altri, come Lodi, furono nuovamente esclusi. Così il problema non poteva ritenersi risolto. Nella provincia di Milano – come ritengo nelle altre località – non esiste praticamente alcuna differenza fra capoluogo e centri minori. Il costo della vita è alto nella stessa misura, tanto più che oggi la retribuzione serve ed anche insufficientemente, al puro acquisto dei generi alimentari necessari per vivere. Gli altri generi di abbigliamento, calzature, ecc., costano di più nei centri minori che nel capoluogo, senza contare che nei centri minori vi sono altre spese più gravi per i servizi ospitalieri, per l’istruzione dei figli, ecc.

Da questa incongruenza e da questa ingiustizia è nata l’agitazione degli insegnanti elementari milanesi i quali – dopo aver tentato con ogni mezzo di persuadere i Ministri interessati – furono costretti, contro la loro stessa volontà, a proclamare il 4 giugno 1947 lo sciopero ad oltranza.

Incaricato dalla Camera del lavoro di Milano, unitamente al professore Durante – Segretario nazionale del Sindacato insegnanti – accompagnato da una delegazione di maestri milanesi e colla collaborazione anche dell’onorevole Arcaini, di Lodi, incaricato dai dipendenti statali di quella città, ho avuto una serie di colloqui sia col Ministro Del Vecchio, sia col Sottosegretario Petrilli, il quale, sentite le ragioni dei lavoratori, fatti i conti col bilancio ed avuto conferma dal Ministro Del Vecchio, mi assicurò che avrebbe provveduto ad estendere il caro-viveri e le indennità complementari concesse ai dipendenti in servizio nel capoluogo, a tutto il territorio della provincia.

In base a queste assicurazioni io mi recai a Milano e dopo una lunga discussione nell’Assemblea degli insegnanti – nonostante l’opposizione di molti che pretendevano una assicurazione scritta dai Ministri per evitare di riprendere un’altra volta l’agitazione se la promessa non fosse stata mantenuta – riuscii ad indurre gli insegnanti a cessare lo sciopero ed a riprendere il loro posto di lavoro, fiducioso nell’impegno assunto dai Ministri responsabili.

Senonché, il 21 agosto 1947 la Gazzetta Ufficiale n. 190 pubblicò il decreto n. 788 del 5 agosto 1947, col quale si estendono i benefici del caro-viveri concesso ai comuni capoluoghi quali Milano, Roma, Napoli, Torino e Genova, solo a quei comuni che si trovano nel raggio di 30 chilometri misurati su via ordinaria fra le rispettive sedi comunali.

Questo decreto legislativo 788 ha provocato un legittimo e grave risentimento, contro di me e contro i rappresentanti sindacali colpevoli di aver creduto ai Ministri, di non aver preteso una assicurazione scritta, di aver fatto cessare una agitazione senza aver ottenute tutte le garanzie, e contro il Governo che, non si sa per quali ragioni, si ostina a mantenere in atto una così evidente sperequazione.

Data la brevità del tempo concessomi non voglio qui prolungare oltre il mio intervento per dimostrare le ragioni obiettive che militano a favore degli insegnanti e dei dipendenti statali tutti.

Esse possono essere però così riassunte:

  1. a) l’indennità caro-viveri (chiamata contingenza) per l’industria per il commercio, ecc., è uguale per tutti i centri della provincia;
  2. b) il costo della vita, dei generi di vestiario, calzature, ecc. in molti centri minori è superiore a quello della città;
  3. c) la maggior parte degli insegnanti vive in città e si reca in treno, tram, ecc., alle scuole dei centri minori, con spese, ecc.;
  4. d) nei centri minori, le spese di istruzione dei figli, le spese mediche, ecc., sono superiori a quelle dei grandi centri;
  5. e) gli insegnanti residenti in centri minori hanno a loro carico altre spese per comunicazioni coi centri provinciali, molte volte sono a pensione in albergo o a casa di privati, debbono sopportare disagi per l’abitazione, ecc.;
  6. f) infine, non esistono ragioni che giustificano questo trattamento differenziato.

Ma esistono poi incongruenze che dimostrano l’ingiustizia del provvedimento: un maestro che abita a Milano e insegna a Lodi, non percepisce l’indennità di caroviveri di Milano; un maestro che abita a Lodi e insegna a Milano, sì!

Bisogna assolutamente, che questa ingiustizia venga eliminata; bisogna che anche a questi poveri e tanto benemeriti lavoratori che compiono con tanto zelo il loro dovere e che affrontano anche notevoli disagi, per restare in piccoli comuni pur di assolvere la loro missione, venga riconosciuto il diritto ad una giusta remunerazione.

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Vorrei replicare a quanto detto dall’onorevole interrogante che ha fatto, in sostanza, un addebito al Ministro ed al Sottosegretario per il tesoro per aver essi garantito che nel decreto legislativo che sarebbe stato emanato dal Consiglio dei Ministri si sarebbe accolta la richiesta delle categorie che venivano patrocinate dagli onorevoli Morelli e Arcaini. Ora io credo che, tanto l’onorevole Morelli quanto l’onorevole Arcaini, avranno potuto rendersi conto che non garanzie potevano dare il Ministro ed il Sottosegretario per il tesoro, ma affidamento di proporre in Consiglio dei Ministri la richiesta che veniva fatta dalle categorie attraverso i due deputati, con il patere favorevole del Ministro. Senonché gli onorevoli interroganti sanno pure che il Consiglio dei Ministri è quello che deve deliberare sui provvedimenti specifici, e quindi, credo che siano andati un po’ al di là di quello che poteva essere il risultato della loro richiesta, in quanto è chiaro che il Ministro proponente non poteva dare o non dare la garanzia che il provvedimento sarebbe stato accolto dal Consiglio dei Ministri.

Quindi, egli ha potuto, come certamente ha fatto, assicurare che avrebbe presentato con parere favorevole al Consiglio dei Ministri il provvedimento desiderato dalle categorie. Non oltre questo si poteva garantire; non oltre questo ha garantito il Ministro e, con il Ministro, il Sottosegretario.

Quanto poi al merito della questione, desidero far osservare agli onorevoli interroganti che non si può abbandonare il criterio della popolazione senza giungere ad altre conclusioni che già l’onorevole interrogante conosce, conclusioni che avrebbero apportato un aggravio veramente eccezionale al bilancio dello Stato: aggravio che il bilancio in questo momento non può sopportare.

Si è detto: «estendete a tutti i comuni di una provincia la aliquota dell’indennità di caro-vita che è applicata nel capoluogo della provincia stessa; fate per le provincie di Genova, Torino, Milano, Roma, Napoli quello che avete fatto con il decreto 263 del 1946 per le altre provincie della Repubblica». Ora, come ho accennato precedentemente, il Governo ha ritenuto che il creare molti scaglioni di città con riferimento alla popolazione non fosse opportuno, e che bastasse differenziare soltanto i comuni capoluoghi di provincia che avessero una popolazione superiore ai 600 mila abitanti; e per tutto il resto invece, stabilire un’aliquota d’indennità di caro-vita comune sia per il capoluogo che per altri centri della provincia, perché non esiste una gran differenza fra la popolazione del comune capoluogo e la popolazione degli altri centri della provincia.

Ma, per Genova, Torino, Milano, Roma e Napoli si determinava una enorme differenza fra centri di poche migliaia di abitanti e le popolazioni dei capoluoghi che hanno la massima popolazione fra i centri maggiori di tutto il territorio della Repubblica.

Si sarebbe verificato questo inconveniente – e ciò ha trattenuto il Consiglio dei Ministri dall’aderire alla proposta fatta dal Ministro del tesoro – che un comunello agricolo, poniamo della Sabina, o un comune della provincia di Napoli, per esempio vesuviano, comuni agricoli nei quali il caro-vita fa sentire il suo peso molto meno che nei grandi centri, avrebbero avuto l’aliquota di 120 mentre le città di Bologna, Firenze e Palermo, dove indubbiamente il caro-vita è più alto, avrebbero avuto una aliquota inferiore.

Perciò era assolutamente impossibile, e ingiusto – così ha ritenuto il Consiglio dei Ministri – estendere a tutti i comuni delle province di Milano, Torino, Genova, Roma, Napoli le aliquote stabilite nei capoluoghi; ed ha limitato invece, questo adeguamento di aliquota, esclusivamente a quei comuni che compresi nel raggio di 30 chilometri dal capoluogo formassero, come effettivamente formano, con il capoluogo un unico centro economico.

Ma l’accoglimento della richiesta delle categorie rappresentate e patrocinate qui dai due onorevoli interroganti avrebbe portato certamente a due altre conseguenze: la prima, che già gli onorevoli interroganti conoscono, è quella della richiesta da provincia a provincia di adeguamento dell’aliquota del caro-vita. L’onorevole Morelli sa che la provincia di Varese ha chiesto in blocco l’aliquota del caro-vita della città di Milano; e con Varese l’hanno chiesta altre provincie. Finalmente avrebbe portato alla conseguenza di un’aliquota nazionale la quale avrebbe significato per il bilancio dello Stato una spesa di 15 miliardi.

Ora, il bilancio dello Stato non è oggi in condizione di poter sopportare un onere così grave. Del resto, basta considerare che anche nel settore privato non si è stabilito questo indice unico nazionale per la indennità di contingenza; e quindi non credo che lo Stato debba affrontare a cuor leggero una spesa così grave e precorrere risoluzioni, che nel settore privato non sono state neppure prospettate.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Di Fausto, ai Ministri dell’industria e commercio, di grazia e giustizia e dell’interno, «per chiedere che l’Assemblea Costituente sia – appena possibile – ampiamente informata delle direttive e delle conclusioni della inchiesta relativa allo scandalo delle gomme, in quanto la criminale speculazione investe con l’A.T.A.C. uno dei più vitali servizi della Capitale. La pubblica opinione, stanca della sistematica impunità e delle risibili penalità generalmente inflitte per reati contro l’interesse generale, esige sanzioni esemplari pronte ed adeguate».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’industria e commercio ha facoltà di rispondere.

CAVALLI, Sottosegretario di Stato per l’industria e il commercio. Con domanda presentata e firmata dal suo Presidente, ingegner Poinelli Mario, l’A.T.A.C. chiedeva, in data 12 ottobre 1946, al Ministero del commercio estero una licenza di importazione «franco valuta» per tonnellate 500 di copertoni e tonnellate 50 di camere d’aria, rappresentando le particolari difficoltà in cui si dibatteva l’Azienda nell’approvvigionamento dei pneumatici, difficoltà che avrebbe costretto la stessa a ridurre e, successivamente, addirittura a sospendere il servizio autofiloviario, nonché a licenziare le migliaia di persone addette al servizio stesso, tra cui molte assunte di recente, in dipendenza della loro qualifica di reduci ed ex combattenti.

Il Ministero del commercio con l’estero, in vista delle necessità rappresentate, concedeva sollecitamente l’autorizzazione, limitatamente a tonnellate 300 di copertoni e tonnellate 50 di camere d’aria, ed il Ministero delle finanze emetteva la relativa licenza n. 13033 del 26 ottobre 1946 intestata all’A.T.A.C.

In conseguenza della predetta situazione, la Giunta Municipale di Roma, nella sua seduta del 4 novembre 1946, nell’esaminare una proposta presentata all’A.T.A.C. dalla Ditta Tassi e Rivola, diretta a fornire alla prima, franco dogana Roma, con licenza intestata alla stessa A.T.A.C. n. 1.700 copertoni di misura diversa, deliberava di autorizzare l’acquisto limitatamente a n. 600 copertoni (di cui n. 400 sezione 11,00 X 20 e n. 12,00 X 20, ai prezzi rispettivamente di lire 55.000 e lire 65.000 l’uno), nonché a n. 900 camere d’aria, per un prezzo massimo di lire 4.000 l’una, per un totale complessivo di lire 40.500.000.

In contrasto con la suddetta deliberazione, l’A.T.A.C. stipulava, in data 31 gennaio 1947, una convenzione con la Ditta Tassi e Rivola e con l’U.T.R.E.N. (Ufficio Tecnico Rappresentanze Estere e Nazionali) di Genova nella quale stabiliva che:

l’U.T.R.E.N. ed il Rivola si impegnavano ad importare tutto il materiale della licenza A.T.A.C. ed a finanziare completamente l’operazione sia all’estero che nell’interno;

l’A.T.A.C. si riservava il diritto di prelevare il 60 per cento dei copertoni e delle camere d’aria importate con diritto di scelta, al prezzo di listino Pirelli 1946 (poi modificato in quello corrente nell’epoca del ritiro), diminuito dello sconto del 10 per cento;

l’U.T.R.E.N. ed il Rivola si riservavano, a loro volta, il diritto di vendere a proprio piacimento, sul libero mercato, il rimanente 40 per cento, nonché quella parte della suindicata aliquota del 60 per cento che non fosse stata ritirata dall’A.T.A.C. entro il termine di 40 giorni dall’arrivo della merce.

La convenzione di cui sopra, firmata dall’ingegnere Poinelli, non veniva portata a conoscenza della Giunta Municipale e, come è evidente, modificava sostanzialmente i termini dell’autorizzazione stessa.

Durante lo svolgimento delle trattative in argomento dirette a concludere l’importante affare, la licenza concessa dai competenti Ministeri venne però a scadere. L’ingegnere Poinelli rivolse allora una nuova domanda al Ministero Commercio Estero, nella quale richiamando l’attenzione di tale Dicastero sulle ben note necessità che l’A.T.A.C. aveva di mettere in circolazione nella città di Roma nuovi autobus e filobus per incrementare maggiormente la rete autofiloviaria, chiedeva il rinnovo della licenza. Tale rinnovo venne ottenuto con nota n. 35688 del 22 maggio 1947 del Ministero del commercio estero e nota n. 313423 del 27 maggio 1947 del Ministero delle finanze.

In seguito a ciò il Rivola procedette all’importazione di tutta la partita di merce in argomento, presso le Dogane di Roma, Genova e Napoli, che depositò in parte nei propri magazzini di Roma, ed in parte in quelli doganali delle città suindicate, iniziando nel luglio ultimo scorso la consegna del materiale dell’A.T.A.C., nonché la libera vendita di quella parte lasciata a sua disposizione, questa ultima a prezzi speculativi.

In base a rilevazioni fatte dal Ministero dell’industria e commercio nella sua opera di controllo sull’osservanza delle norme relative ai consumi ed ai prezzi, venne dato incarico al Comando del nucleo della guardia di finanza a disposizione del Ministero stesso di accertare come si erano svolti i fatti.

Da tali accertamenti risulta che:

  1. 3.133 copertoni e n. 353 camere d’aria erano stati liberamente venduti dal Rivola per la somma complessiva di lire 81.244.590, fatturandoli soltanto per lire 27.719.905, con un’omessa fatturazione o con una fatturazione inferiore al reale, corrispondente a lire 53.524.685, in guisa da occultare i lucri di speculazione conseguiti ed evadere l’imposta sull’entrata per lire 1.605.740 (i copertoni nuovi per jeeps, venduti a circa lire 30.000 l’uno, venivano fatturati a circa lire 5.000 l’uno);

solo n. 575 copertoni in tutto erano stati consegnati all’A.T.A.C. ed altre Aziende municipalizzate della Repubblica (consociate nel C.A.M.A.U. di cui l’ingegnere Poinelli è vicepresidente), dei quali soltanto n. 139 erano stati ritirati in proprio dall’A.T.A.C. Essendo il peso dei copertoni ritirati dall’A.T.A.C. di sole circa 7 tonnellate, ed essendo pressoché terminati i ritiri della stessa, è evidente che della licenza di 300 tonnellate una parte ben esigua sarebbe andata a benefìcio dell’Azienda;

  1. 13.138 copertoni e n. 12.000 camere d’aria si trovavano ancora giacenti nei magazzini doganali di Napoli e Genova, nonché nei magazzini del Rivola a Roma. Da notare che di tale quantitativo n. 11.391 copertoni sono di piccola sezione (6,00 x 16 e 5,50 x 15), cioè non idonei alle necessità dell’A.T.A.C. e quindi presumibilmente destinati alla vendita in proprio da parte del Rivola.

Poiché dei n. 3.133 copertoni venduti liberamente dal Rivola, di cui più sopra, n. 2.826 erano pure di piccole dimensioni, ne consegue che con la licenza A.T.A.C. furono importati ben n. 14.217 copertoni per autovetture (e cioè non idonei ai bisogni dell’A.T.A.C.), in confronto a soli n. 2.629 di grosse dimensioni (idonei per l’A.T.A.C.).

In conseguenza di quanto precede sono stati adottati i seguenti provvedimenti:

1°) Denuncia alla Procura della Repubblica da parte del Nucleo Guardia di Finanza addetto al Ministero dell’industria, con rapporto in data 4 agosto 1947, di Rivola Giuseppe e Poinelli Mario, nonché con suppletivo rapporto in data 26 agosto 1947 di Borrelli Ernesto (amministratore dell’U.T.R.E.N.) e Bornigia Renato.

I suddetti sono stati indicati quali responsabili di sottrazione al normale consumo di tonnellate 300 di copertoni e tonnellate 50 di camere d’aria (il Bornigia di soli 300 copertoni) e di infrazioni ai prezzi (quest’ultime per un importo di lire 26.197.608, rispetto ai listini ufficiali, alla quale cifra ascende anche la relativa sanzione pecuniaria) in considerazione del fatto che la licenza A.T.A.C. era stata concessa in vista della sua qualità di diretta consumatrice dei copertoni e tenuto conto del provvedimento di blocco ministeriale – decreto ministeriale 12 aprile 1946 – relativo ai pneumatici di qualsiasi specie.

Per quanto concerne l’ingegnere Poinelli è stato messo in luce l’operato da questi esplicato con la vendita in proprio di 16 copertoni con un utile di circa mezzo milione, richiamando l’attenzione dell’Autorità giudiziaria sulla possibilità che tale operato possa configurare i reati comuni di peculato o corruzione o interesse privato in atti di ufficio, in relazione anche al fatto che il Poinelli è andato molto al di là delle facoltà concessegli con la nota deliberazione della Giunta municipale.

2°) Sequestro di tutti i copertoni e camere d’aria ancora invenduti (e cioè la più gran parte della merce importata) nella quantità rispettiva di n. 13.138 copertoni e n. 12.000 camere d’aria.

3°) Segnalazione all’Autorità giudiziaria delle Banche presso le quali trovansi depositate le somme incassate con l’operazione in argomento (dedotte le spese finora sostenute) ed il cui ammontare si presume aggirarsi attualmente sulle lire 60.000.000, allo scopo di effettuarne il sequestro, quali somme pertinenti al reato, a mezzo del giudice competente, come prescritto dall’articolo 340 del Codice di procedura penale.

4°) Denuncia all’intendenza di finanza del Rivola e del Borrelli per le evasioni d’imposta sull’entrata relative alle false od omesse fatturazioni concernenti i copertoni venduti, per un complesso di lire 1.605.740 d’imposta evasa: lire 1.217.877 di sovratassa e lire 4.429.357 di pene minime e lire 14.063.797 di pene massime. Totale responsabilità minime lire 7.252.974; totale responsabilità massime lire 16.887.414.

5°) Segnalazione all’ufficio distrettuale delle imposte dirette ai fini dei lucri di speculazione conseguiti, sia per quanto concerne l’attività svolta in precedenza dal Rivola, con altre due licenze d’importazione di copertoni esteri a lui direttamente intestate, sia per quanto riguarda l’attuale licenza A.T.A.C.

6°) Allo scopo poi di restituire al normale consumo tale ingente quantitativo di pneumatici, il Ministero dell’industria e del commercio ha ottenuto dall’Autorità giudiziaria inquirente un provvedimento inteso a consentire, nel rispetto delle necessarie cautele, l’assegnazione a prezzo di normale listino e tramite gli organi competenti, di tutto il suddetto quantitativo ai normali consumatori.

PRESIDENTE. L’onorevole Di Fausto ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

DI FAUSTO. L’episodio portato all’ordine del giorno dell’Assemblea dalla mia interrogazione non mi interessa per il caso specifico. Io sono così lontano ed estraneo al mondo degli affari, delle speculazioni e dei traffici che riconosco subito tutta la mia incompetenza in materia. Io ho inteso segnalare uno degli innumerevoli episodi delittuosi che minacciano di soffocare la vita della Nazione per richiamare su questo settore della malavita nazionale l’attenzione dell’Assemblea e la vigilanza dei Governo, esortando a colpire inesorabilmente e sollecitamente perché la pubblica opinione reagisca allo scetticismo pernicioso ingenerato dalla sistematica evasione dei colpevoli alla azione della giustizia.

Io ho inteso anche provocare in seno a questa Assemblea una parola di apprezzamento per quella vasta massa del popolo italiano che compie in silenzio, senza minaccia, il proprio dovere, spesso nella indigenza più inverosimile, tenendo fede a quel principio di onore per il quale la vita può essere e deve anche essere data.

I nostri fratelli, i nostri figli, professori di università, direttori generali nelle pubbliche amministrazioni, medici nei sanatori, artisti, sacerdoti, insegnanti, ecc. tutto insomma il ceto, medio, sappia che non si irriderà impunemente alla loro sofferenza, da parte di avventurieri criminali, con la estorsione di milioni e di miliardi che grondano lacrime e sangue dal comune soffrire.

Riconosco ed apprezzo il pronto intervento dei Ministeri tecnici. Esorto però il Ministero della giustizia alla conclusione più rapida dell’inchiesta giudiziaria per l’adozione di provvedimenti che debbono discendere di conseguenza.

Mi auguro infine che per l’intervento del Governo l’A.T.A.C., questa importantissima branca dei pubblici servizi, trovi l’assetto integrale e radicale che esigono le necessità della capitale, specialmente in vista dell’Anno Santo, e che invocano tutte le categorie dei lavoratori, la cui sorte è minacciata dal malgoverno dei capi.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Costa, ai Ministri della difesa e del tesoro, per sapere se ritengano opportuno di promuovere un provvedimento legislativo sulle retrocessioni di immobili, «per i quali sia stata sospesa l’espropriazione per pubblica utilità dopo l’occupazione di urgenza oppure sia avvenuta requisizione di uso, in modo che, se siano state eseguite dallo Stato costruzioni in riferimento alle necessità militari, sia obbligatorio pagare il valore attuale dei miglioramenti, togliendosi la possibilità del privato arricchimento derivante dall’esercizio della facoltà di semplicemente rimborsare le spese di costruzione, attribuita dalla legislazione vigente».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per la difesa ha facoltà di rispondere.

CHATRIAN, Sottosegretario di Stato per la difesa. Già da tempo l’Amministrazione della difesa aveva portato la sua particolare attenzione sulla applicazione veramente onerosa per l’Erario delle norme della legislazione vigente, la quale legislazione vigente in materia di cessione ai privati di costruzioni eseguite dall’Amministrazione su terreni occupati, ma non espropriati perché non più necessari per gli usi militari, pretende il pagamento del minor valore fra la spesa ed il migliorato. Ne è derivato un esame approfondito della questione di intesa anche con l’amministrazione finanziaria e con l’organo legale dello Stato, al fine della promulgazione di un provvedimento legislativo che orientasse la materia in modo diverso, precisamente nel senso di tener conto, ai fini della cessione, del valore attuale delle costruzioni. All’emanazione di questo decreto si farà luogo non appena espletato l’esame dello schema in corso presso i vari organi competenti.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

COSTA. Posso anche dichiararmi sodisfatto data la risposta favorevole alla mia richiesta. Certo che la questione sollevata è di notevole importanza per l’Erario, perché si tratta di evitare tutte quelle locupletazioni che potrebbero realizzare i privati per retrocessione da parte dell’Erario di aree per le quali era in corso una procedura di espropriazione rimasta ferma all’occupazione d’urgenza. L’onorevole Sottosegretario di Stato mi dà soddisfazione dicendo che su questo argomento si sta provvedendo in via legislativa. Quindi la mia raccomandazione si riduce a questo: di ottenere l’affidamento che, medio tempore, non si faccia luogo a nessuna retrocessione; si tengano sospese tutte le pratiche in corso e non si aspetti a sprangare la stalla quando siano scappati i buoi.

PRESIDENTE. Segue una seconda interrogazione dell’onorevole Costa ai Ministri del bilancio e del tesoro, «per sapere se riconoscano la convenienza di promuovere la modifica dell’articolo 16 del decreto legislativo presidenziale 27 giugno 1946, n. 37, sulla costituzione e sul funzionamento dei Provveditorati regionali alle opere pubbliche, per armonizzarlo con l’articolo 36 del decreto legislativo di pari data, n. 38, sulla Azienda nazionale autonoma delle strade statali, in maniera che anche per il Provveditorato regionale alle opere pubbliche di Venezia l’ufficio distaccato della Corte dei conti eserciti il riscontro soltanto successivo delle spese, limitando il controllo preventivo agli atti del magistrato».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per il tesoro ha facoltà di rispondere.

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Su questa interrogazione la Presidenza del Consiglio aveva fatto sapere che trattandosi di materia che tocca il funzionamento della Corte dei Conti, la Presidenza avrebbe risposto direttamente alla interrogazione stessa, anche in base agli elementi forniti dal Ministero del tesoro.

Ma gli elementi forniti dal Ministero riguardavano semplicemente la dichiarazione dei motivi della propria incompetenza in materia. Quindi, deve esservi stato un disguido amministrativo.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

COSTA. Devo dichiarare che non sono affatto sodisfatto e desidero chiarire la questione ricollegantesi ad un problema che merita di essere considerato.

Nella stessa data del 27 giugno 1946 con i numeri 37 e 38 sono stati emanati due provvedimenti: uno relativo all’ordinamento dell’Azienda della strada, un altro relativo alla istituzione dei Provveditorati per le opere pubbliche.

Provvedimenti emanati nello stesso giorno con inspiegabile diversità di disposizioni in rapporto ai controlli.

Dice il decreto riguardante l’Azienda della strada: «La Corte dei Conti vigila sulle entrate, fa il riscontro consuntivo delle spese dell’Azienda» e basta.

La Corte dei conti – dunque – quando si tratta della Azienda della strada non fa più di così: «vigila sulle entrate e fa il riscontro consuntivo delle spese».

Viceversa il provvedimento che riguarda i Provveditorati per le opere pubbliche – pur emanato nello stesso giorno – dice: «L’Ufficio distaccato (siccome in ogni Provveditorato c’è un Ufficio distaccato della Corte dei conti) a termini del decreto, ecc., ecc., eserciterà anche le funzioni di riscontro preventivo e successivo sulle spese e di controllo preventivo sugli atti del magistrato».

Ora domando io al Ministero del tesoro (perché la Corte dei conti è un Istituto che ha rapporti col Ministero del tesoro) e se non sarà il Ministero del tesoro altri si assuma la competenza a rispondere e risponda: ritiene o non ritiene il Governo che sia il caso, per semplificare le formalità di questi controlli, di uniformare la legislazione relativa ai Provveditorati per le opere pubbliche a quella sull’Azienda della strada, in maniera che, quando si tratti di spese, sia sufficiente il controllo consuntivo e non si aggiunga anche un controllo preventivo?

Si badi che la differenza è enorme, perché il controllo preventivo sulle spese, dopo che le spese sono state già autorizzate con decreto del Provveditorato alle opere pubbliche – soggetto al controllo della Corte dei conti anche questo – significa che, dopo emanato il decreto del Provveditorato alle opere pubbliche e sottoposto al controllo della Corte dei conti, bisogna mandare all’ufficio staccato della Corte stessa tutto un fascio enorme di fatture riferentisi ad innumerevoli lavori. I Provveditorati per le opere pubbliche hanno lavori per centinaia di milioni e sono in quantità enorme i lavori in corso; e le fatture che si devono mandare sono dei pacchi spaventevoli che fanno perdere una quantità di tempo all’Ufficio del controllo.

E allora, se si vuole il controllo preventivo sulle fatture, perché prescrivere anche il controllo consuntivo sulle stesse fatture, che sono liquidate solo quando si conosce il preciso ammontare? A che cosa giova questa complicazione?

È difficile rendersi ragione della diversità di trattamento tra i due istituti (Azienda della strada e Provveditorato opere pubbliche) in maniera che per l’uno basti solo il controllo consuntivo della Corte dei Conti e non basti per l’altro. E le conseguenze sono queste: che passa un tempo ragguardevole per i pagamenti di queste fatture, in quanto si attende il controllo preventivo, per necessità di cose molto ritardato.

Non mi preoccupo dei grandi appaltatori che, se anche aspettano, possono avere pazienza. Mi preoccupo dei piccoli e soprattutto delle cooperative. Quando una cooperativa attende il pagamento dell’importo liquidato per lavori eseguiti – e si ritarda questo pagamento per la necessità di adempiere tutte le ricordate formalità, una delle quali è evidentemente superflua – è costretta a pagare degli interessi in misura notevole sui suoi finanziamenti. Il che porta come conseguenza che, quando c’è la necessità di sopportare interessi bancari per attendere il pagamento di fatture liquidate, all’atto in cui vi saranno successivi appalti, i prezzi saranno superiori, cioè maggiorati di quel tanto che gli interessati sanno rappresentare l’onere degli interessi fino al momento del pagamento.

Mi pare di avere sufficientemente chiarito questa contradizione. È assurdo che tutto ciò possa sussistere e vorrei chiudere con una considerazione: basterebbe che gli egregi rappresentanti del Governo pensassero quello che era stato fatto dopo l’altra guerra per le terre liberate. Per queste c’era una legislazione speciale che sarebbe ovvio fosse richiamata in vigore, perché questo dopoguerra somiglia moltissimo a quello precedente. Penserei quindi che quei provvedimenti si potrebbero adottare anche ora. Questa sarebbe la mia idea preferita; quanto meno è necessario adottare una uniformità di indirizzo nei confronti delle norme contabili in vigore per l’Azienda della strada e per i Provveditorati alle opere pubbliche.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Desidererei rimandare questa interrogazione a lunedì prossimo, onde poter sentire il Ministero che è più competente, che ritengo sia il Ministero dei lavori pubblici.

PRESIDENTE. Resta così stabilito.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Di Giovanni, al Ministro dell’interno, «per conoscere se rispondano a verità le notizie diffuse negli ambienti popolari ed impiegatizi di Siracusa sull’accertamento di gravi irregolarità nell’Ufficio alimentazione e razionamento di Siracusa, per ammanchi o sottrazioni di notevoli quantità di farina, col peggioramento della confezione del pane, irregolarità che avrebbero determinato la nomina di un commissario prefettizio; e se e quali provvedimenti siano stati o si intendano adottare contro i responsabili di imperdonabili malefatte, in un momento così delicato ed in materia così sensibile, date le gravi deficienze del grano».

L’onorevole Sottosegretario per l’interno ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Nel giugno scorso il direttore della Sepral di Siracusa informava il prefetto di avere motivo di dubitare della regolarità del funzionamento dell’Ufficio razionamento del comune capoluogo di quella provincia.

Il prefetto diede allora allo stesso direttore l’incarico di esperire subito riservate e accurate indagini, e, in base alle prime risultanze – dalle quali apparivano sensibili discordanze fra il carico e il discarico della farina assegnata al comune – procedette, in data 5 luglio, alla nomina del dottor Salvatore Cavarra, capo ufficio statistico, col compito di approfondire le indagini iniziate dal direttore e di promuovere i provvedimenti opportuni per la riorganizzazione dell’ufficio.

Responsabili delle irregolarità apparvero subito il capo Ufficio razionamento ragioniere Agliano e l’impiegato Gastaldo Pasquale.

La Giunta comunale frattanto, con deliberazione del 7 luglio, stabiliva di sospendere i predetti dall’impiego e di denunziarli all’autorità giudiziaria.

Dagli accertamenti effettuali in seguito è risultato che gli scarichi in più avvenivano mediante alterazione dei relativi moduli, eseguita materialmente dall’impiegato Gastaldo.

Con tale sistema vennero sottratti, durante i mesi dal gennaio all’aprile del corrente anno, quintali 1937 di farina, la cui disponibilità veniva fatta figurare maggiorando nei modelli di prenotazione i dati relativi alle previsioni.

Complici del Gastaldo sono risultati altri quattro impiegati.

L’autorità giudiziaria ha spiccato mandato di cattura contro gli impiegati, nonché contro due carrettieri.

Si presume che la farina distratta sia stata indebitamente ceduta ad alcuni panificatori, la cui responsabilità è tuttora in corso di accertamento da parte dell’autorità giudiziaria. Indipendentemente da tale accertamento, il commissario Cavarra ha contestato agli stessi panificatori le giacenze contabili di farina, ed essi si sono dato carico di quintali 1040 di giacenza, che devono considerarsi come effettivo quantitativo di farina recuperata a fronte dei complessivi quintali 1937 distratti.

Si sta ora procedendo alla revisione della contabilità relativa alla pasta, ma dai primi sommari accertamenti, sembra che al riguardo si possano escludere delle irregolarità.

Le irregolarità riscontrate non hanno però avuto influenza sulla cattiva qualità del pane lamentata nel giugno scorso a Siracusa, dovuta invece alla scadente qualità del grano sbarcato dal piroscafo Quinterno e distribuito nell’epoca, mentre il pane successivamente distribuito è di pieno gradimento della popolazione.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

DI GIOVANNI. Sono grato all’onorevole Sottosegretario di Stato delle cortesi ed esaurienti informazioni. Certo è impressionante il fatto che si siano potuti sottrarre dall’ufficio alimentazione ben 1.900 e più quintali di farina; e non si intende come gli organi destinati alla vigilanza non si siano mai accorti di queste sottrazioni, tanto che sia stato possibile, in breve volgere di tempo; raggiungere quantità così rilevanti.

Verrebbe fatto di domandare, non solo come sia stato possibile consumare così gravi reati in danno dell’ufficio di alimentazione, senza che fosse tempestivamente intervenuta una doverosa difesa preventiva degli interessi della collettività, ma anche come si sia agito nell’esplicazione dell’attività repressiva, in quanto sembra che taluno dei responsabili, quale esecutore materiale, abbia avuto il tempo di prendere il largo e sia uccel di bosco, ed altri restino ai margini tuttora indisturbati. Certo che le indagini vanno anche dirette verso i favoreggiatori ed i ricettatori, che non sono meno responsabili degli esecutori materiali dei reati; perché è chiaro che ci deve essere, e c’è indubbiamente, una larga rete di intrighi e d’interessi ed una vera associazione delittuosa; ed io voglio raccomandare all’onorevole Sottosegretario di Stato di invitare i poteri responsabili alla vigile, sollecita, severa esplicazione della loro azione, di fare che i cent’occhi d’Argo degli ufficiali della polizia giudiziaria e della stessa magistratura siano bene aperti, perché i responsabili siano tutti assicurati alla giustizia, sicché l’esempio sia salutare e di ammonimento agli altri.

Sarebbe legata questa mia interrogazione a quella che viene immediatamente dopo; ed il legame non è puramente occasionale, perché, mentre da un canto si distraevano quantità così notevoli di farina all’Ufficio di alimentazione, e quindi ai bisogni del popolo, si provvedeva da parte dell’Ufficio alla confezione ed alla distribuzione del pane utilizzando detriti, miscelando farina di granturco, ed altre farine non commestibili, producendo quei danni alla salute pubblica, che dettero luogo alla mia seconda interrogazione sulla cattiva confezione del pane e sulle conseguenze in materia di igiene e sanità.

Anche su questo argomento, mentre sono grato dell’assicurazione che mi viene dall’onorevole Sottosegretario di Stato, desidererei raccomandare la più stretta, continua ed oculata vigilanza.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Di Giovanni, all’Alto Commissario per l’alimentazione, «sulla pessima qualità del pane che viene distribuito alla popolazione della città e della provincia di Siracusa, con evidente grave nocumento della salute dei cittadini, specialmente delle classi lavoratrici, costrette a comprare il pane della tessera ed impossibilitate a sostituirlo con quello proveniente dal mercato nero. La confezione del pane tesserato è quanto di più deplorevole ed antigienico possa immaginarsi: le miscele di farina di grano turco e di altre non commestibili lo rendono esiziale per la salute pubblica, specie nel periodo del caldo estivo. Sono quindi a deplorare non pochi casi di enterite, principalmente fra i bambini, e taluni di infezione tifica serpeggiante fra le classi povere. L’interrogante invoca immediate disposizioni ai competenti uffici onde ovviare al gravissimo inconveniente».

L’Alto Commissario per l’alimentazione ha facoltà di rispondere.

RONCHI, Alto Commissario per l’alimentazione. Dagli accertamenti compiuti nei primi di luglio presso le Autorità e gli organi locali responsabili, risultò che le lamentele e gli inconvenienti segnalati, circa la cattiva confezione del pane in provincia di Siracusa nel corso dell’ultima decade di giugno, furono causati:

1°) dalla non gradita miscela di farina di granoturco con farina di grano;

2°) dall’impiego di farina di qualità molto scadente, che proveniva da una partita di grano di importazione argentina.

Per quanto riguarda il punto primo si fa presente che l’adozione di detta miscela è stata una necessità assoluta, conseguente alla carenza di grano di fronte alla rilevante disponibilità di granoturco, e la miscela è stata applicata in tutte le provincie. Però in quelle siciliane l’impiego della farina di grano turco fu limitatissimo. Comunque non possono certo essere imputati a detta miscela i casi di enterite verificatisi nella popolazione infantile e denunciati dall’onorevole interrogante.

In merito al secondo punto, e cioè la scadente qualità del grano argentino, confermo gli inconvenienti del grano argentino, ma non risulta che abbiano avuto conseguenze agli effetti della salute pubblica. D’altra parte si deve rilevare che con il carico dello stesso piroscafo di grano argentino furono approvvigionate anche altre provincie, che per altro non dettero luogo a rilievi di sorta.

Comunque l’inconveniente ebbe un carattere del tutto temporaneo e venne superato con l’esaurirsi del grano in questione.

In quell’epoca poi, recatomi in Sicilia, concordai con le autorità del Governo regionale la distribuzione della razione di 200 grammi di pane confezionato con sola farina di grano nazionale, abburattata all’85 per cento, se di grano tenero, e al 90 per cento se di grano duro; oppure confezionata con farina bianca di importazione, escludendo la miscela col granoturco ed adottando eventualmente quella con orzo e segale.

Da allora la qualità del pane dev’essere notevolmente migliorata, poiché non ho avuto altre segnalazioni di ulteriori inconvenienti.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

DI GIOVANNI. Come accennavo, questa interrogazione è legata a quella precedente.

Sostanzialmente, si sottraeva la farina buona e, per la panificazione, bisognava, ricorrere a degli espedienti, pure ammettendo il fatto che da un piroscafo proveniente dall’Argentina sia stato sbarcato del grano di pessima qualità.

È ben vero che le ripercussioni sulla salute pubblica furono temporanee e non gravi, come è stato accennato dall’Alto Commissario per l’alimentazione, ma ci furono e non trascurabili, specialmente fra i bambini che risentirono più direttamente e più facilmente le conseguenze della cattiva qualità del pane distribuito alla popolazione.

È da augurare che il fatto deplorevole non si ripeta, perché, come ho accennato, mentre la farina bianca andava a finire presso i fornai, che poi la mettevano in vendita o la panificavano per il mercato nero, il pane per il popolo costituiva un vero attentato alla salute pubblica. Il che ancora sta a confermare quanto sia difficile modificare in meglio la situazione descritta e deplorata dal buon papà Manzoni, a proposito dei fornai che né «gride» né «bandi» erano riusciti a correggere.

Occorre seriamente provvedere perché il pane – alimento essenziale e forse unico per alcuni strati della popolazione, e soprattutto per le classi operaie e meno abbienti – risponda almeno alle più elementari esigenze dell’alimentazione e dell’igiene.

PRESIDENTE. Segua l’interrogazione dell’onorevole Riccio, ai Ministri dell’interno e della marina mercantile, «per conoscere quali provvedimenti sono stati presi in rapporto all’arbitrario atto del sindaco di Pozzuoli, il quale emetteva una illegittima ordinanza di sospensione dei lavori di allargamento di una chiesa, prendendo a pretesto l’occupazione di pochi metri di banchina, e si ribellava apertamente ad una decisione del prefetto di Napoli».

L’onorevole Sottosegretario per l’interno ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Il Ministro della marina mercantile, rispondendo recentemente ad analoga interrogazione dell’onorevole Sansone, ha rilevato che tutte le autorità e tutti gli uffici locali espressero parere favore all’accoglimento della domanda del parroco della chiesa di Santa Maria delle Grazie di Pozzuoli per l’acquisto di suolo demaniale marittimo situato sulla banchina di quel porto.

Infatti, trattandosi di demanio marittimo, il sindaco non era competente ad emettere ordinanze concernenti la disposizione di quel suolo, che era stato concesso con le debite forme. Ma il sindaco di Pozzuoli non si è limitato ad ordinare la sospensione dei lavori. Nonostante i precedenti chiarimenti datigli dalla Prefettura prima e dall’Avvocatura dello Stato poi, ha inviato sul posto il comandante dei vigili urbani con una decina di uomini a sospendere i lavori, e solo l’atteggiamento del comandante del porto ha potuto evitare, con l’allontanamento dei vigili, spiacevoli incidenti.

Per quanto riguarda più specificamente il Ministero dell’interno dirò che tale operato del sindaco di Pozzuoli ha formato oggetto di una inchiesta testé eseguita a carico dell’amministrazione comunale di Pozzuoli, le cui complesse conclusioni sono attualmente in corso di esame.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dire se sia sodisfatto.

RICCIO Io non posso che dichiararmi sodisfatto delle comunicazioni che vengono dal Ministro dell’interno. Vorrei soltanto dire al Ministro dell’interno – perché al Ministro della marina mercantile non devo dire niente, visto che quanto è stato dichiarato in risposta all’interrogazione dell’onorevole Sansone risponde pienamente a verità – che se, come dalle sue stesse dichiarazioni risulta, un reato è stato commesso, esso va denunziato. Vi fu l’intervento violento di vigili mandati dal sindaco e vi fu anche la distruzione di opere già costruite. Ciò integra un reato. A me sembra doveroso che il Ministro rimetta all’autorità giudiziaria l’incarto e chiedo che si proceda a carico di questo sindaco.

PRESIDENTE. Seguono le interrogazioni dell’onorevole Mazza, al Ministro del tesoro, «per conoscere i motivi dell’ostinazione con la quale si escludono, dai decreti di equiparazione del caro-vita dei comuni viciniori di Napoli, quelli della penisola sorrentina, compresi in un raggio di 25 chilometri e legati al centro da molteplici mezzi di trasporto marittimi e terrestri», e dell’onorevole Riccio, al Ministro del tesoro, «per conoscere se intenda concedere l’adeguamento carovita, a norma dell’articolo 14 del decreto legislativo presidenziale 5 agosto 1947, a Gragnano, ai comuni della penisola sorrentina, delle isole di Capri e di Ischia, trattandosi dei paesi della provincia di Napoli in cui più costa la vita e che più sono legati economicamente al capoluogo, superando una interpretazione restrittiva dell’espressione: «via ordinaria»; o, se comunque intenda procedere ad una modifica della disposizione.

Trattandosi di materia analoga, esse possono essere trattate congiuntamente.

L’onorevole Sottosegretario di Stato per il tesoro ha facoltà di rispondere.

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. In merito si precisa anzitutto che la concessione invocata, di ottenere per i dipendenti statali con sede di servizio nei comuni di Gragnano, Capri, Ischia, nonché in quelli della penisola Sorrentina, la indennità carovita nella misura del 120 per cento prevista per i dipendenti con sede di servizio a Napoli, è subordinata, oltreché al sussistere della condizione di prossimità col centro maggiore (in questo caso Napoli), che, con l’articolo 14 del decreto legislativo 5 agosto 1947, n. 778, è stata interpretata nel senso che i comuni minori non devono distare da quello maggiore più di 30 chilometri misurati su via ordinaria tra le rispettive sedi comunali, alle due seguenti condizioni:

1°) unicità di centro economico del comune minore con quello maggiore, condizione questa esistente principalmente quando i comuni stessi siano collegati con mezzi di comunicazione intensissimi e frequentissimi;

2°) particolare elevatezza del costo dell’alimentazione nel comune minore. L’accertamento del sussistere delle cennate condizioni, nonché di quelle della distanza, rientra anche nella competenza del Ministero dell’interno, il quale, esaminate le concrete proposte delle Prefetture interessate, esprime il proprio parere al Ministero del tesoro col concerto del quale va disposta la concessione dell’elevazione dell’indennità caro-vita.

Ciò premesso, e poiché non sono ancora pervenute al Ministero dell’interno concrete proposte in merito all’elevazione dell’indennità carovita per i cennati comuni della provincia di Napoli, il Ministero del tesoro potrà rispondere alla questione in esame solo quando verrà in possesso di tutti quegli elementi atti a valutare il sussistere o meno delle condizioni prescritte ai sensi delle vigenti disposizioni. Peraltro, per quanto concerne in particolare la locuzione «via ordinaria», contenuta nell’articolo 14 del citato decreto n. 778, che gli onorevoli interroganti vorrebbero fosse interpretato non in senso restrittivo, si precisa che, con la locuzione stessa, il legislatore ha inteso riferirsi alla via che, per frequenza e intensità dei traffici, è ordinariamente seguita per lo svolgimento delle attività di ogni genere, che interferiscono fra i due comuni viciniori, e cioè alla via terra.

Ora, se per i comuni quali quello di Capri, che sono collegati unicamente per via mare, è ovvio che questa sia la via ordinaria, non sembra altrettanto possa affermarsi sempre per quei comuni che siano raggiungibili ugualmente per via mare e per via terra, in quanto è questa ultima che dovrebbe ritenersi ordinariamente usata per i traffici fra un comune e l’altro. Ed è quindi per via terra che andrebbe calcolata la distanza esistente fra i due comuni ai fini dell’applicazione della norma di cui all’articolo 1, penultimo comma, del decreto legislativo 29 maggio 1947, n. 488, e successive modificazioni. Comunque, anche su questo punto gli elementi di giudizio che potrà fornire il Ministero dell’interno saranno esaminati dal Tesoro con la maggiore comprensione.

Soggiungo ad ogni modo, a chiarimento e conferma di quanto già detto agli onorevoli interroganti, che al Ministero del tesoro non è pervenuta alcuna proposta per l’attribuzione ai comuni, dei quali gli onorevoli interroganti si interessano, di elevazione dell’aliquota del caro-vita e per l’adeguamento a quello che vige nel capoluogo della provincia di Napoli.

PRESIDENTE. L’onorevole Mazza ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MAZZA. L’onorevole Sottosegretario, dopo aver affermato che la pratica per l’elevazione del caro-vita non è ancora pervenuta al Ministero del tesoro, ha affrontato la questione.

Per quanto riguarda il ritardo dell’arrivo, io chiederò alla buona volontà dell’onorevole Petrilli se è vero che di questa questione stiamo parlando da circa un anno. Mi permetterò di far notare che da molti mesi la pratica è al Ministero dell’interno, esattamente alla Direzione generale degli affari civili, dal dottor Fortini; forse nessuno la vuole trovare. Per quanto riguarda l’esame dettagliato che l’onorevole Petrilli ha voluto fare, in attesa che la pratica arrivi al Tesoro e che l’Amministrazione del Tesoro prenda le sue decisioni, io mi permetto di far notare che la via marittima è la via ordinaria, perché è la più breve, la più rapida, la più economica, perché lo Stato sovvenziona le linee di trasporto marittimo.

Mi permetto di far notare che i paesi della penisola sorrentina sono in condizione peggiore di uno stesso centro economico, in quanto il costo della vita non è uguale a Napoli, ma è maggiore, poiché essi sono paesi turistici. Io chiedo alla buona volontà del Sottosegretario al tesoro di tornare a Sorrento qualche volta con il suo pensiero. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. L’onorevole Riccio ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

RICCIO. Vorrei rettificare soltanto un’affermazione dell’onorevole Petrilli. Non è esatto che la pratica non sia al suo Ministero. In data 10 settembre è stata spedita dalla Prefettura di Napoli un’ampia relazione relativa ai paesi della penisola sorrentina; e di questa relazione si propone che sia ritenuta, anche per i paesi della penisola sorrentina, ordinaria la via marittima, che è brevissima. Si suggeriva anche di considerare la situazione topografica del porto di Napoli.

Da Napoli a Sorrento, in linea diretta, sono 20 chilometri; mentre la via che segue la costa è lunga, sino Massalubrense, quaranta. Non perché vi è il mare e vi è una via che segue le tortuosità della natura, Sorrento si sposta. È sempre là. Non mi pare perciò che il ragionamento del Ministro possa essere approvato.

Qual è lo spirito della legge, al quale dobbiamo riportarci?

Noi, che conosciamo i paesi della provincia di Napoli, possiamo dire che si verifica un grave assurdo. Paesi, i quali hanno un costo di vita molto più basso di quello di Napoli, hanno avuto l’adeguamento del caro-vita; mentre i paesi, tutti i paesi – che hanno un costo di vita molto più alto di quello di Napoli – come Capri, Ischia, Sorrento ed anche Gragnano – per una interpretazione restrittiva della legge verrebbero ad essere privati di questo beneficio.

Si tendeva ad alleviare il costo della vita in quei paesi, che costituiscono una unità economica con i grandi centri. Ebbene Capri, Ischia, Sorrento e Gragnano sono economicamente inscindibili da Napoli.

Prego l’onorevole Sottosegretario per il tesoro, che ha dato prove di larga comprensione, in rapporto ai paesi della nostra provincia, che ancora una volta voglia rendersi conto di queste gravi esigenze e trovare la via per risolvere favorevolmente la questione posta. Sarà anche esatta applicazione dell’articolo 14, in rapporto a quello che è lo spirito della legge, e non miopia formalistica e burocratica. Comunque, si potrebbe agevolmente modificare, se necessario, l’articolo 14 surrichiamato, adeguandolo a questi bisogni di giustizia sociali ulteriormente emersi.

Mi auguro di avere al più presto una risposta di accettazione delle richieste formulate. Sin d’ora ne ringrazio l’onorevole Petrilli.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Miccolis, al Ministro dell’agricoltura e delle foreste, «per conoscere se risulta rispondente a verità quanto è stato pubblicato dal quotidiano Il Globo del 18 luglio 1947, secondo cui granoturco avariato per uso zootecnico viene venduto all’asta ad un prezzo più che raddoppiato o quasi triplicato rispetto a quello di lire 1600-1900 corrisposto dagli ammassi agli agricoltori, i quali in genere sono nel tempo stesso allevatori ed acquirenti di mangimi. Se gli risulta che il fatto denunziato dalla stampa alla pubblica opinione si riferisce ad un caso eccezionale di speculazione, che a nessun privato sarebbe consentita, oppure ad un sistema instaurato dagli enti ammassatori, i quali per sottoprodotti, commisti a materiale estraneo di ogni natura fino al 90 per cento, richieggono prezzi di gran lunga superiori ai prodotti genuini. Se l’onorevole Ministro ritiene simile commercio, monopolistico ed esoso, lecito e capace di favorire la produzione di carni, grassi, latticini con conseguente contrazione di prezzi».

Siccome il Ministro Segni è fuori Roma per ragioni di ufficio, devo annunziare all’onorevole Miccolis che lo svolgimento della sua interrogazione è rinviato.

MICCOLIS. Non ho difficoltà.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Bastianetto, Giacchero, Carignani, Russo Perez, ai Ministri dell’interno e della pubblica istruzione, «per sapere come intendano provvedere al ricovero ed all’educazione professionale dei minori infortunati civili, per cui in atto viene provveduto sporadicamente senza alcuna organicità e coordinamento; e se conoscono che di oltre 10 mila minori, i ricoverati non assommano che a poche centinaia. Per conoscere, inoltre, se intendono superare le difficoltà che si frappongono acché i collegi dell’ex G.I.L. vengano ceduti all’Opera nazionale per gli invalidi di guerra, che è l’Ente preposto per legge all’assistenza dei minori invalidi di guerra, e le ragioni per cui non è stato ancora assegnato alla predetta Opera l’ex collegio di Monte Mario in Roma».

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Su richiesta dell’onorevole Bastianetto, la risposta a questa interrogazione è stata tramutata in risposta scritta.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Tozzi Condivi, al Ministro dell’industria e commercio, «per conoscere perché alla flottiglia motopeschereccia dell’importante porto di San Benedetto del Tronto vengono assegnate mensilmente quantità di gasolio appena sufficienti per 6 giorni e 21 ore di moto in modo da danneggiare gravemente quella fiorente attività. Questo – mentre ad altre flottiglie di altri porti – quale ad esempio quella di Anzio – si fanno assegnazioni esuberanti, per modo che non vengono neppure ritirate».

Non essendo presente l’interrogante, si intende che vi abbia rinunziato.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Geuna, al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’industria e commercio, «per conoscere se e quali provvedimenti intendano adottare per eliminare l’attuale inconveniente derivante all’industria torinese in particolare e piemontese in genere, dal fatto che il Comitato centrale per la ripartizione dei prodotti destinati all’industria, con sede in Milano, favorisce naturalmente l’industria lombarda».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’industria e il commercio ha facoltà di rispondere.

CAVALLI. Sottosegretario di Stato per l’industria e il commercio. La Commissione centrale dell’industria assegna alle varie sottocommissioni di Milano, Roma, Napoli e Palermo i quantitativi globali di merci per i fabbisogni delle loro rispettive circoscrizioni.

La ripartizione delle materie prime, dei semilavorati e dei prodotti finiti alle singole aziende è effettuata dalle Sottocommissioni interregionali, ciascuno per il territorio della propria circoscrizione e sulla base delle richieste delle singole aziende, debitamente controllate, in relazione alla capacità produttiva, al numero degli operai ed a tutti gli altri elementi, che concorrono a determinare il fabbisogno effettivo delle aziende stesse.

La Sottocommissione industria per l’Italia settentrionale provvede alla ripartizione delle merci predette, sia per il Piemonte e la Lombardia che per l’Emilia, il Veneto e la Venezia Giulia.

Finora non è pervenuta alcuna comunicazione al Ministero che detta Sottocommissione dia la preferenza, nella ripartizione, all’industria lombarda, con pregiudizio di quella del Piemonte.

Allo scopo di avere elementi esatti di giudizio, sarebbe necessario che fossero precisati circostanze e fatti concreti, sui quali il Ministero potrà disporre immediatamente accertamenti, per eliminare gli inconvenienti lamentati.

Comunque, informo che è allo studio la riforma di questi organi sorti per sopperire a situazioni di emergenza.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

GEUNA. Ringrazio l’onorevole Sottosegretario delle spiegazioni che ha dato alla mia interrogazione, e mi permetto di far osservare che potrò presentare elementi precisi a giustificazione della mia osservazione. È una situazione generale che si determina ed è dovuta a questi fenomeni.

In primo luogo, dispersione di materie prime, inevitabile, che avviene all’arrivo ai porti, non per colpa degli organi governativi, ma per ragioni di contingenza, dovute all’ingerenza della borsa nera e comunque non facilmente controllabili.

Dopo questa prima dispersione si arriva alla ripartizione dei buoni da parte del Comitato residente a Milano, nella cui ripartizione giuoca l’ambiente regionale, per cui ditte o localmente rappresentate o localmente con sedi in Milano hanno possibilità (per ragioni di conoscenze e di contatti quotidiani) ben maggiori di quelle ditte periferiche o dislocate in regioni lontane. Questo fenomeno, che non è notevolissimo per le grandi industrie – le quali hanno generalmente loro rappresentanti con sede in Milano – è penosissimo per le piccole e le medie industrie, che si trovano già in condizioni inferiori di capacità e di potenzialità economica in lotta contro gli organismi più grandi, ed escono assolutamente danneggiate, quando debbono, ad ogni richiesta e ad ogni questione di necessità di materie prime, mandare delle persone da Torino a Milano, oggi che le condizioni di trasporti non sono ancora agevoli, e per di più inviandole in qualità di forestieri, che sottraggono qualcosa agli interessi locali, e che perciò sono considerati come nemici. Tutto questo genera un senso di sfiducia, di scoramento, di stanchezza e, possiamo anche dirlo, di disagio economico, e fa sì che si determini uno stato di minorazione delle industrie piemontesi piccole e medie, ciò che ha determinato questa nostra richiesta.

Prendo atto delle dichiarazioni e delle promesse dell’onorevole Sottosegretario, cioè che è allo studio una revisione di questo sistema; ma, se mi fosse permesso, vorrei chiedere con quale indirizzo si intende modificare questo sistema, vale a dire se il Comitato di ripartizione (che oggi si riduce a sole quattro sedi per l’Italia settentrionale, centrale, meridionale ed insulare) si intenda portarlo sul piano regionale, il che porterebbe ad altri inconvenienti. Pur affermando che la questione va risolta, chiediamo nello stesso tempo sotto quale aspetto è stata considerata la modifica della nuova struttura. Quando il Ministero avrà fatto presente come intende sopperire alle esigenze che gravano sulla industria piemontese piccola e media in ispecie, allora presenteremo all’esame le nostre proposte.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Geuna e Giacchero, al Ministro del bilancio, «per conoscere se non intenda favorire la istituzione di un ente bancario piemontese, con sede in Torino, per evitare che i risparmi assorbiti in Piemonte vengano per la maggior parte destinati a finanziare iniziative di altre regioni, dato che le sedi principali delle banche sono a Roma e a Milano».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per il tesoro ha facoltà di rispondere.

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Gli interroganti partono dalla premessa che sia necessario istituire in Torino un ente bancario piemontese, allo scopo di evitare che i risparmi assorbiti in Piemonte vengano per la maggior parte destinati a finanziare le iniziative di altre regioni, dato che le sedi principali delle banche sono a Roma ed a Milano.

Le critiche mosse dagli interroganti al sistema bancario italiano sono comuni ai rappresentanti di tutte le regioni italiane, ognuna delle quali lamenta che i risparmi locali siano trasportati altrove e destinati ad aiutare iniziative di altre regioni, sicché le lagnanze paiono a priori escludersi a vicenda.

Per quanto riguarda il Piemonte giova notare che questo possiede tre grandi istituzioni bancarie: la Banca popolare di Novara, che disponeva, al 30 giugno 1947, di 42 miliardi e 600 milioni di depositi e conti correnti, con 223 sportelli; l’Istituto San Paolo di Torino, con 16 miliardi e 100 milioni di depositi e 129 sportelli, e la Cassa di risparmio di Torino, con 11 miliardi e 700 milioni di depositi e 127 sportelli.

Questi tre Istituti raccoglievano dunque da soli 70 miliardi e 400 milioni di depositi e conti correnti su un totale di 868 miliardi e 800 milioni in tutto lo Stato, ossia l’8,1 per cento del totale dei depositi italiani. Se si pensa che, tenuto conto dei depositi e conti correnti di tutte le banche nazionali e locali operanti in Piemonte, esse raccoglievano nel 1946 l’11,7 per cento dei depositi di tutto lo Stato, si può ritenere fondamentalmente che il risparmio raccolto dalle tre Banche sopra ricordate, più quello messo insieme dalle minori Casse di risparmio e dalle non poche banche cooperative popolari e private operanti nel Piemonte, equivalgono al totale del risparmio raccolto in Piemonte. Se una parte di questo è messo a disposizione di banche aventi sede fuori del Piemonte, d’altro canto le banche piemontesi ricevono cospicui depositi da altre parti dello Stato, cosicché si può ritenere esservi compensazione fra le somme che le banche piemontesi raccolgono fuori del Piemonte e quelle che le banche forestiere raccolgono nel territorio subalpino.

Non si vede in che modo l’istituzione di un nuovo grande ente bancario possa ovviare ad un inconveniente, il quale, d’altra parte, non pare sussistere. Né sarebbe consigliabile d’altro canto la fusione dei tre maggiori enti sopra ricordati in un ente unico: ognuno di essi ha una storia, tradizione, consuetudine di lavoro, clientela propria, sicché la fusione mentre non aggiungerebbe nulla alla fiducia della quale i tre Istituti meritatamente godono, sminuirebbe la loro capacità di lavoro e di adattamento alle esigenze della clientela diversa per ognuno di essi.

Neppure si vede la convenienza di fondare, accanto ad essi, un nuovo Istituto, il quale male potrebbe vivere, ove non intenda privare gli altri del loro lavoro antico, solo creando nuovi risparmi e nuovo clientele.

Non si esclude che col rifiorire delle industrie ciò possa in avvenire accadere, ma il momento presente non appare singolarmente propizio all’iniziativa.

Sin qui, soprattutto per quanto si riferisce alla raccolta dei depositi.

Per ciò che invece riguarda l’impiego dei depositi, punto a cui soprattutto pongono mente gli interroganti, giova riportare alcune cifre relative alle varie regioni italiane. Se noi collochiamo queste in ordine decrescente, rispetto al rapporto percentuale che nel 1946 si verificò tra impieghi e depositi, otteniamo il seguente risultato. Si ricordano i dati del 1938 che si riferiscono ad una certa normalità anteriore alla guerra, e quelli del 1946, in cui si riflette l’inizio del ritorno alla normalità medesima. Nell’anno 1938 avevamo per le Marche 84,6 per cento, nel 1946 il 93,7 per cento; nella Umbria 84,2 per cento nel 1938 e l’85,4 per cento nel 1946; negli Abruzzi e Molise il 91,3 per cento nel 1938, il 79,2 per cento nel 1946; nella Liguria il 61,5 per cento e poi il 77,7 per cento; nella Sardegna il 185,3 per cento e poi il 75,9 per cento; nell’Emilia il 78,5 per cento e poi il 72,8 per cento; in Toscana il 67,6 per cento e poi il 71,2 per cento; nel Veneto il 75,3 per cento e poi il 57,7 per cento; nella Sicilia il 68,8 per cento e poi il 57,1 per cento; nella Calabria il 101,1 per cento e poi il 54,4 per cento.

La media dello Stato era nel 1938 il 64,2 e nel 1946 il 54,9.

Per tutte queste regioni è ovvio, è facile osservare che esse si trovano al di sopra della media dello Stato. Seguono ora le regioni che si trovano al disotto della media dello Stato.

Il Piemonte nel 1938 aveva il 45,2, ora è risalito al 51,6; la Lombardia dal 57,3 è scesa a 50,30; la Campania dal 56 è scesa al 49,7; il Lazio dal 51,2 al 42,3; le Puglie dal 92,2 al 41,3; la Venezia Tridentina dal 56,3 al 30; la Venezia Giulia e Zara dal 55,4 al 29,7; la Lucania dal 133,1 al 23,7.

Le cifre significano che nelle Marche, ad esempio, il 93,7 per cento dei depositi ricevuti localmente dalle banche, anche quelle aventi sede altrove, a Milano, a Roma, fu impiegato localmente. I dati su riportati si presterebbero a molte considerazioni, fra le quali bastano due generalissime: in primo luogo risulta non essere corrispondente al vero il rimprovero che le banche impiegano sempre i risparmi del Sud per trasportarli al Nord; che sono numerose anche le regioni meridionali che stanno al di sopra della linea media dello Stato. Ciò vuol dire che le banche impiegano in loco nel Sud una proporzione maggiore dei depositi ricevuti in loco di quelli che loro derivano dalla media del territorio italiano. In secondo luogo, risulta non corrispondente al vero il rimprovero parimenti fatto al sistema bancario italiano, di favorire più le città che le campagne, poiché sono, per l’appunto, ad eccezione della Liguria, le regioni agricole le quali sono massimamente favorite dall’impiego dei depositi locali.

Quanto al Piemonte, esso si trova, è vero, al di sotto della linea media dello Stato, ma esso si trova immediatamente al disotto di tale linea ed inoltre la sua posizione è notevolmente migliorata rispetto al 1938; dal 45,2 è passato al 51,5 nell’impiego dei depositi in loco. Essa è anche migliore di quella della Lombardia ritenuta per lo più in Piemonte ed anche, a quanto pare, dagli onorevoli interroganti, la maggiore responsabile del pompamento dei risparmi piemontesi. E la Lombardia è anche sotto questo rispetto peggiorata in confronto al 1938.

La verità è che tutte queste accuse reciproche fra regione e regione sono sostanzialmente ed ugualmente infondate. Innanzi tutto non si può immaginare che nessuna banca impieghi tutti i propri depositi. Essa sarebbe, così facendo, imprudentissima e si scaverebbe da sé la tomba con rovina dei depositanti e del Paese. Tutte le banche devono tenere un margine di liquidità, ossia impieghi di depositi in denaro contante, in buoni del tesoro a breve scadenza e in depositi realizzabili a vista presso l’Istituto di emissione:

Si può riconoscere che la percentuale media dal 54,9 relativa al 31 dicembre 1946 era bassa e poteva salire, ma essa è già salita, e al 31 luglio 1947 giungeva al 72 per cento, proporzione non ancora pericolosa, ma vicina al punto di pericolo, talché il Comitato interministeriale per il credito e il risparmio ha dovuto il 2 agosto, non appena costituito, intervenire non a frenare il già fatto, ma a limitare per l’avvenire l’avanzamento su una via, che era stata pericolosa, a passo accelerato nei mesi decorsi dal 31 maggio 1946 in qua.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

GEUNA. Mi permetta l’onorevole Sottosegretario: non sono un tecnico e non posso quindi iniziare una discussione in materia. Mi permetto osservare che i tre Istituti bancari di più notevole entità che operano in Piemonte non sarebbero sufficienti a superare le attuali difficoltà.

Le Casse di risparmio non possono consentire una immediata e pronta sovvenzione; l’Istituto di San Paolo ha caratteristiche tutte sue particolari, e non può rispondere come una banca normale; la Banca di Novara sarebbe l’ente più attrezzato, ma il suo lavoro si svolge con maggior preponderanza nella zona lombarda, ed ecco come il nostro atteggiamento, che può sembrare campanilistico, trova giustificazione.

Entrando nell’esame della potenzialità ed efficienza degli istituti piemontesi nei confronti di quelli lombardi, il Sottosegretario potrà comprendere lo spirito della mia interrogazione.

Ma per dare una spiegazione un po’ più chiara a questo riguardo, mi permetto senz’altro di esporre alcuni elementi, che potranno dare un’idea precisa del pensiero determinante della nostra richiesta: si tratta di elementi che ho voluto appuntare per maggiore esattezza e mi si consenta la breve lettura; ometterò le tabelle in rapporto al limitato tempo consentitomi.

Quando si parla di problemi, di difficoltà o di crisi dell’economia piemontese, il pensiero corre istintivamente e come su una via obbligata all’immediato raffronto con l’adiacente e per tanti riguardi simile economia lombarda, a rilevare vecchie e nuove inferiorità rispetto ad un organismo ritenuto più completo e soprattutto più fortunato: infatti, se lo strumento produttivo industriale della vicina regione può definirsi un solido edificio appoggiato a due basi larghe e fondate, credito e commercio, il complesso torinese viene sovente paragonato al classico colosso dai piedi di creta, con deficienze più sentite e appariscenti proprio nella sua attrezzatura bancaria.

Tuttavia il Piemonte seppe per primo, grazie all’impulso di un Governo addestrato e al fiorente spirito di libertà, svincolarsi dai pregiudizi ed inoltrarsi sul terreno delle imprese mobiliari, donde derivano talune sue presenti inferiorità.

Lo squilibrio di distribuzione del nuovo capitale tra gli impieghi diretti di carattere industriale per lo più largamente immobilizzati, e gli accantonamenti monetari liquidi presso un gruppo di banche genuinamente e sensibilmente locali, a costituire in appoggio degli impieghi diretti una massa di manovra pronta con rapida circolazione a fronteggiare i rischi di crisi nei settori di volta in volta minacciati, venne a definirsi non senza episodiche manifestazioni negative nel primo decennio del nuovo secolo; si accentuò negli anni della prima guerra europea sotto l’influsso del «boom» bellico; si esasperò nell’euforia inflazionista e speculativa dell’immediato dopo guerra. Infatti, il periodo 1914-17 segnò 300 milioni di aumento nei capitali delle anonime, ma il 1920 denunciò ben 600 milioni di incremento, al netto dei disinvestimenti: per contro si ebbero solo modesti progressi di vecchi istituti creditizi locali, pressoché estranei al campo produttivo, e l’affermazione della Popolare di Novara, banca piemontese di sede e di nome.

Conseguenze di questa situazione furono senza dubbio le altre non meno cocenti disavventure del risparmio piemontese. Dalla mancanza di una intermediazione da parte di una solida e responsabile rete creditizia locale e del suo controllo sul mercato finanziario e sui molteplici rapporti tra pubblico e iniziative di impresa, dalla diretta e invigilata immissione dei privati investitori nel cerchio della grossa speculazione, derivarono le gravose perdite dei risparmiatori piemontesi nelle ben note avventure di talune maggiori società azionarie negli anni dell’azione fascista. Dall’assenza di orientamento, di autonomia, di informazione ebbero origine per il risparmio monetario quelle altre falcidie subite nella catastrofe della Banca Italiana di Sconto, i cui creditori piemontesi figurano per ben 517 milioni di lire, ossia poco meno del 15 per cento del totale.

Il progressivo paternalismo instaurato dal regime fascista nel campo bancario, se accollava allo Stato le perdite incontrate da talune maggiori banche in una politica speculativa e ben poco ortodossa alla luce delle esperienze e dei canoni tradizionali, non recò alcun correttivo alle deficienze della situazione piemontese: invece il conseguente graduale burocratizzarsi dei grandi istituti nazionali, rendendo meno vivi e sensibili lo spirito di iniziativa e la ricerca degli impieghi più redditizi, e mettendo in prima linea il fattore di personale responsabilità dei dirigenti periferici, non fece ovviamente che accrescere le difficoltà di incontro delle esigenze regionali con la politica creditizia di direzioni generali eccentriche e preoccupate soprattutto di corrispondere a direttive superiori, di prevalente carattere politico e comunque subordinate in via assoluta a considerazioni di finanza pubblica e di prestigio monetario.

Occorre però subito dichiarare che da questo complesso di inconvenienti di metodo e di procedura, incidenti in modo pressoché uniforme sull’istruzione e sugli esiti delle pratiche di finanziamento, non è derivata necessariamente una sostanziale e apprezzabile distrazione di risparmio piemontese, almeno nel senso comunemente inteso di storno in favore di determinate regioni vicine o lontane, e in proposito vogliamo richiamare il confronto delle cifre e la loro quasi esauriente dimostrazione.

Dobbiamo ancora precisare che l’ipotesi di distrazione va considerata soltanto in senso relativo, ossia in termini di confronto tra le singole regioni e non sotto il profilo di un utilizzo integrale in loco del risparmio raccolto, che non risulta realizzato neppure per le banche di genuino carattere locale rispetto alle loro ristrette zone di lavoro.

Vi sono infatti operazioni che sono svolte unicamente dalle centrali, con obiettivi e per iniziative di carattere generale e nazionale, utilizzando i fondi raccolti in tutte le zone di lavoro: sottoscrizioni in proprio a prestiti pubblici, ed emissioni obbligazionarie, partecipazioni in enti di struttura e azione nazionale, impiego di eccedenze magari rilevantissime in buoni ordinari o in conto corrente del Tesoro. Queste forme di «reimpiego nazionale», che non possono ovviamente essere imputate alla regione sede della centrale operante, tendono ad assorbire una quota sempre più preponderante della massa dei capitali amministrati, per effetto della politica finanziaria governativa dall’anteguerra e anche delle particolari esigenze di congiuntura nel dopoguerra, e dal fenomeno non risultano neppure sottratte, come già è stato accennato, le minori banche locali.

A noi compete nella fattispecie di osservare se il Piemonte, avendo una prevalente attrezzatura bancaria con centro giuridico o di fatto in Lombardia, non riceva eventualmente un trattamento di impieghi diretti residuali (dedotti i cosiddetti «reimpieghi nazionali») inferiore a quello della Regione vicina.

Dai dati risulta che col 1944 gli indici di reimpiego diventano più favorevoli per il Piemonte, e il margine positivo si accentua nel confronto degli indici delle due provincie capoluogo, ciò che si giustifica ricordando come sia maggiore a Torino, in confronto di Milano, l’accentramento industriale nel quadro delle rispettive regioni.

Dai dati elaborati risultano al disotto dell’indice medio regionale di impiego le Banche di interesse nazionale (in misura più accentuata proprio in Lombardia, loro zona centrale giuridica o di fatto) e le Casse di risparmio e Monti di prima categoria: evidentemente per motivi pressoché opposti. Per le Casse di risparmio la ragione discende dalla scarsa gamma delle operazioni loro consentite, che le orienta fatalmente verso i «reimpieghi nazionali» (titoli pubblici, ecc.); per le banche di interesse nazionale vale invece appunto la varietà ed elasticità dei settori nei quali operano e la loro estensione nazionale.

Un dubbio permane pur sempre sulla precisa delimitazione di molti reimpieghi nazionali e sulla loro genuina e oggettiva neutralità ed estraneità rispetto alla zona della direzione centrale, il che potrebbe ovviamente infirmare in parte il valore della dimostrazione data. Ci pare comunque di avere meglio e più esattamente configurato il problema, spostando i termini di esso dalla ipotizzata distrazione interregionale alla crescente o generale distrazione verso i reimpieghi nazionali, conseguenza in buona parte della politica governativa degli ultimi anni, di accaparramento con tutti i mezzi giuridici o pratici dei risparmi liquidi confluenti sul mercato, a favore del Tesoro e a danno dei settori produttivi: politica sulla quale molto resta da dire e dalla quale il Piemonte, in ragione della sua più elevata concentrazione industriale e conseguente esigenza di credito, proprio in regime di più limitata autonomia bancaria, ha sofferto in massima misura.

Per concludere, mi limito a precisare che la nostra interpellanza, più che fissare la creazione di un nuovo Ente bancario come soluzione unica e migliore della questione in parola, tendeva e tende a far rilevare lo stato di fatto che lamentiamo, e suggerire, o meglio, porre il problema della sua soluzione.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Lettieri, al Ministro dell’agricoltura e delle foreste, «per conoscere se non ritenga di disporre – in considerazione del continuo depauperamento della terra delle colline, provocato dalle piogge e dalle annuali e superficiali coltivazioni – che sulle colline, specie a forte pendio, siano sospese le coltivazioni superficiali, sia impedito il depauperamento della terra (muratura, palizzate) e sia favorita in ogni modo la piantagione di alberi a profonde e fitte radici».

Non essendo presente l’onorevole Ministro dell’agricoltura e delle foreste, l’interrogazione è rinviata.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Lettieri, al Ministro della pubblica istruzione, «per conoscere il suo interessamento per combattere l’analfabetismo, che è sempre in aumento nell’Italia meridionale, e per impedire la mancanza di stabilità degli insegnanti, i quali in questo loro servizio ambulante, spesso a causa della pioggia, della neve, del freddo, disertano le scuole e con la loro assenza favoriscono la negligenza degli alunni».

Non essendo presente l’onorevole interrogante, si intende che vi abbia rinunziato.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Tumminelli al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro della pubblica istruzione, «per conoscere: 1°) se il Commissariato nazionale della G.I. (Gioventù Italiana), creato con decreto del 2 agosto 1943 con il compito di reperire il patrimonio della ex GIL e di predisporre i lavori di una Commissione interministeriale per decidere sulla destinazione di quel patrimonio, abbia espletato il suo compito e con quali conclusioni; 2°) se non si ritiene improrogabile imporre a partiti politici e ad enti l’immediata restituzione allo Stato degli immobili e delle attività tutte della ex GIL, di cui sono in illegittimo possesso o fanno arbitrario uso; 3°) se non sembra opportuno ed urgente che l’intero patrimonio della ex GIL venga conferito all’Ente dei patronati scolastici, tenendo presente che solo con questa destinazione quel cospicuo patrimonio del popolo italiano può considerarsi restituito al legittimo uso, fuori di ogni passione politica».

Non essendo presente l’onorevole interrogante, si intende che vi abbia rinunziato.

Segue l’interrogazione degli onorevoli De Martino, Giordani e Rodinò Ugo, al Presidente del Consiglio dei Ministri, «per conoscere:

1°) se, in previsione dell’Anno Santo 1950 – avvenimento che si annunzia di particolare importanza e significazione, e per cui un elevato numero di pellegrini, da ogni parte del mondo cattolico, affluirà in Italia – non ritenga di redigere un concreto piano, elaborato nei suoi dettagli organizzativi e tecnici, per mettere «a punto» l’attrezzatura turistica e ricettiva italiana e adeguarla alla eccezionale esigenza;

2°) se non reputi doveroso, da parte del Governo italiano, in omaggio alla portata universale della fausta e sacra ricorrenza – e congiuntamente nell’interesse della Nazione, che potrà ricevere dall’afflusso cospicuo di visitatori stranieri un benefico e provvidenziale apporto di valuta pregiata – di stabilire le indispensabili premesse, e provvedere gli stanziamenti finanziari occorrenti, perché l’Italia possa offrire ai pellegrini dell’Anno Santo 1950 il massimo desiderabile di conforto, col rendere efficiente l’attrezzatura alberghiera non soltanto della Capitale – dove convergeranno essenzialmente le folle – ma anche nelle zone a spiccato carattere turistico di cui la Penisola è doviziosamente ricca. Il patrimonio d’arte e di archeologia; la incomparabile e prestigiosa bellezza delle riviere, delle pianure e dei monti; i ricordi recenti – come i luoghi dello sbarco alleato, i campi di battaglia ed i Cimiteri di guerra – costituiscono un irresistibile richiamo di amore e di nostalgia;

3°) se non ritenga essenziale armonizzare l’attuazione del programma di opere pubbliche per la ricostruzione ed a sollievo della disoccupazione, alle esigenze relative al miglioramento della rete stradale e delle comunicazioni che si rende necessario realizzare per consentire un ordinato e soddisfacente movimento turistico;

4°) se non giudichi conveniente dar sollecito inizio ad una perfetta, moderna propaganda dei luoghi considerati nel paragrafo 2° attraverso la pubblicazione di opuscoli editi con serietà di propositi e dignità di forma nelle varie lingue e da diffondersi nei vari paesi del mondo; con la ripresa di documentari cinematografici; con radiotrasmissioni nelle varie lingue, anche in collegamento con stazioni estere, perché si formi, intorno all’avvenimento dell’Anno Santo 1950, una fervida atmosfera di interesse e di attesa;

5°) se non creda di dover, tra l’altro – direttamente il Governo o attraverso organi, ed enti che più si riterranno competenti ed idonei – predisporre la organizzazione di veri e propri peripli turistici attraverso i luoghi che offrano al forestiero motivi, risorse e conforti di maggiore attrattiva, fissando persino il costo di essi, comprensivo dal momento dello sbarco dall’arrivo sul suolo italiano, di viaggi, albergo, vitto, tasse di soggiorno e di ogni altra eventuale prestazione, allo scopo di incoraggiare con opportuna tempestività, coloro i quali, per avventura, intendessero rinunciare al viaggio in Italia per non correre l’alea dell’imprevisto, nei riguardi della spesa;

6°) se non ritenga di suscitare, con proficue iniziative, negli italiani che dovranno aver comunque contatti con gli ospiti – funzionari, pubblici ufficiali, agenti, personale alberghiero e dei pubblici esercizi, guide e cittadini tutti – una fervida gara di cortesia dignitosa ed accogliente, perché la tradizionale gentilezza italica superi la aspettativa e si affermi come non ultima e non trascurabile espressione di civiltà e di consapevolezza;

7°) se non ravvisi, infine, l’opportunità di demandare ad una Commissione parlamentare di studio il compito di coordinare le varie iniziative in un piano unico da attuarsi con gradualità e che, fin d’ora, impegni la Nazione e la prepari materialmente e spiritualmente all’importante avvenimento».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha facoltà di rispondere.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. L’onorevole De Martino ha tracciato un vero e proprio piano di preparazione per l’Anno Santo.

Io cercherò di limitare i termini della risposta, per controbilanciare la lunghezza dell’interrogazione.

Il Governo è naturalmente d’accordo nel riconoscere l’importanza, oltre che sul piano religioso e ideale, anche sul piano civile nazionale, della manifestazione che avrà luogo nel 1950 per l’Anno Santo; la quale, se non sono errate le nostre informazioni, comincerà nella Pentecoste del 1949. Quindi, tanto più urgente è predisporre questo programma governativo, perché sia, entro i limiti delle possibilità attuali e delle prevedibili possibilità dell’anno venturo, degnamente preparato quanto è necessario per l’Anno Santo.

Naturalmente, il piano specifico per l’Anno Santo si inquadra nel piano di ricostruzione dell’Italia, specialmente di tutte le attrezzature turistiche, le quali non soltanto debbono essere riportate al livello precedente la guerra, ma anzi devono essere aumentate e modernizzate, conformemente alle nuove esigenze.

Come è noto all’onorevole interrogante, forse si è discusso troppo su come dovranno organizzarsi le strutture centrali del turismo e si potrà magari con una disciplina legislativa non ancora perfetta, dar mano al più presto ad una realizzazione di iniziative.

Sta di fatto che il decreto sulla istituzione dell’Alto Commissariato per il turismo, dopo molte vicissitudini in seno al Governo ed in seno all’Assemblea, è stato da poche settimane pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale; e spero che tra breve si possa far luogo alla nomina del Comitato centrale per il turismo, al quale spetta il compito – inquadrato in tutte le altre mete assegnategli – di organizzare anche la preparazione specifica per l’Anno Santo. Questa preparazione si deve svolgere su diversi settori: prima di tutto, sul settore alberghiero, dove si risentono fortemente gli effetti distruttivi dei bombardamenti e quelli del deterioramento progressivo per opera dell’occupazione degli alberghi prima da parte delle truppe tedesche e poi da parte delle truppe alleate di ogni genere.

La derequisizione del patrimonio alberghiero è stata ottenuta nei limiti delle possibilità. Per il Trattato di pace, col 15 ottobre dovrebbe aversi la restituzione piena alla attività privata della attrezzatura alberghiera in Italia. Perché, però, sia possibile ricostruire gli alberghi distrutti e costruirne di nuovi, è stato predisposto un sistema di finanziamento che – debbo riconoscerlo – finora si è dimostrato non del tutto sufficiente, anzi direi, in proporzione, forse irrisorio per quel che riguarda una ricostruzione a tappe accelerate degli alberghi. Credo che in seno al Governo e, eventualmente fosse necessario, in seno alle Commissioni o in seno all’Assemblea, sia opportuno discutere tra breve sul problema del credito alberghiero, che è la base necessaria per una ricostruzione e una costruzione, degne di questi nomi, dei nostri alberghi.

C’è poi un problema collaterale che a Roma è stato in qualche modo affrontato ed in un certo senso risolto: il problema della ricostruzione dei cosiddetti alberghi di massa. Qui, dopo molte trattative in cui non è stato facile vincere le normali resistenze dell’autorità militare onde liberare le attrezzature militare di Pietralata, queste attrezzature sono state, per parte militare, liberate e se, come credo, anche il demanio non opporrà difficoltà, si potrà costruire in Pietralata un primo grande albergo di massa che rappresenterà non naturalmente la soluzione del problema alberghiero di Roma ma un avviamento ed un indice di effettiva ripresa.

Accanto al problema della ricostruzione alberghiera vi è quello, accennato nell’interrogazione dell’onorevole De Martino, della ripresa della propaganda turistica. Questo è un problema veramente importante e che con una certa leggerezza è stato negli anni passati accantonato, forse per il preconcetto che, prima, esso rientrava nell’ambito del Ministero della cultura popolare.

È invece interesse primario del Governo italiano e della economia del nostro Paese che si faccia a cura di appositi organi una razionale propaganda per il turismo in Italia, anche perché – basta leggere un qualsiasi giornale – si hanno notizie che anche da parte della Francia e di altre Nazioni questa propaganda è in pieno atto e viene fatta con una abilità ed una imponenza di mezzi che devono preoccupare, in considerazione di una concorrenza che potrebbe danneggiare il nostro Paese. Anche questo sarà uno dei primi compiti del Comitato centrale del turismo; per parte del Governo, è già stata fatta richiesta al Tesoro di uno stanziamento di fondi necessari per l’Ente del turismo il quale, avendo una certa tradizione e vari beni nelle principali capitali straniere, può, senza dispendio eccessivo di mezzi, riprendere la propaganda e riprenderla in tempo utile, non solo per il 1949 e il 1950, ma anche per la stagione prossima, per il 1948.

Occorre poi affrontare tutta una serie di problemi, per poter aprire al traffico internazionale il nostro Paese, che vanno dallo sveltimento delle pratiche alla frontiera alle risoluzioni delle questioni valutarie e dei traffici transoceanici inerenti al nostro turismo.

Per quanto riguarda in particolare la preparazione specifica per l’Anno Santo, poiché questa deve essere coordinata con la serie di manifestazioni religiose che saranno tenute in quella circostanza, è stato già costituito un Comitato misto con rappresentanti di organi ministeriali, delle associazioni interessate e anche di quella istituzione della Peregrinatio Romana de Petri Sede che è un po’ l’organo tecnico che agisce in questo campo per quanto riguarda le manifestazioni religiose. Debbo confessare che con mia sorpresa ho constatato che fino ad ora non è stato fatto molto da questo Comitato. Mi impegno a che prestissimo il Comitato si metta seriamente al lavoro perché non può naturalmente essere fatto un programma serio da parte nostra se non è coordinato a quello che è il calendario delle manifestazioni per l’Anno Santo.

Infine, l’onorevole De Martino chiede che sia nominata una Commissione parlamentare per lo studio di questo problema. Il Governo non sarebbe d’accordo in questo senso. A parte il fatto che la Commissione dovrebbe essere nominata ora, in una fase di grande lavoro per la Costituente, difficilmente in due mesi tale Commissione potrebbe predisporre un vero e proprio programma, dato che la Costituente fra due mesi dovrà terminare i suoi lavori. Ritengo che sia meglio chiamare a far parte del Comitato centrale presso la Presidenza del Consiglio per la preparazione dell’Anno Santo anche alcuni deputati particolarmente competenti in questo campo. Credo che l’onorevole De Martino sarà d’accordo con me nel ritenere che in genere forse il peggior modo per risolvere un problema sia quello di nominare una Commissione. È un sistema questo molto comodo da parte del Governo per eludere le proprie responsabilità. Ma non è a questo fine che vanno la volontà e gli sforzi dell’onorevole De Martino e degli altri colleghi che hanno sottoposto al Governo questo problema, così come la volontà e gli sforzi del Governo stesso.

PRESIDENTE. L’onorevole De Martino ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

DE MARTINO. Ringrazio il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio per aver studiato abbastanza profondamente il problema che è stato al Presidente del Consiglio ed a lui sottoposto.

Faccio presente che sottoscrivo pienamente quanto il Sottosegretario di Stato si è compiaciuto di affermare, e cioè che si è discusso troppo. Io aggiungerei che si è combinato poco. Spero che per l’avvenire si possa discutere di meno e fare di più.

Siccome però il tempo stringe e vi sono molte cose da fare, è opportuno che questo Comitato (non insisto sul fatto che debba essere parlamentare, anzi sono d’accordo senz’altro col Sottosegretario) incominci a studiare il problema con molta celerità.

Ha parlato l’onorevole Sottosegretario del problema alberghiero ed ha detto che, con tutta probabilità, fra non molto, gli alberghi saranno restituiti all’industria alberghiera italiana. Gli alberghi italiani tutti, a quanto pare, hanno una capacità ricettizia inferiore alla capacità ricettizia della sola Parigi; cioè noi non arriviamo a poter ospitare, come si dovrebbe, 30 mila persone.

Io penso che l’Anno Santo, se ci saremo organizzati bene, darà la possibilità a molti stranieri di venire da noi, non soltanto per inginocchiarsi dinanzi alla Cattedra di San Pietro, ma anche per visitare, per esempio, le salme dei loro caduti. In tutta Italia c’è qualcosa come circa 40 mila inglesi e circa 35 mila americani sepolti nei cimiteri di guerra. Io non dispero che se riusciamo ad organizzarci bene potremo avere un afflusso giornaliero di 25 mila persone, con una media di permanenza di dieci giorni, il che praticamente si risolverà in una permanenza di 250 mila persone. Siccome è esatto quello che l’onorevole Sottosegretario ha dichiarato, che cioè l’Anno Santo avrà inizio nell’aprile del 1949, ne consegue che noi potremo ricevere ed ospitare questi stranieri per ben 600 giorni. Il che porta il calcolo (250 mila per 6 giorni) a 150 milioni di giornate di presenza che darebbero la possibilità a noi, Nazione italiana, di incassare qualche cosa come 500 e forse anche più di 500 miliardi. Come vedete, onorevole Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, il problema, qui, non si risolve col chiedere al Ministro del tesoro pochi milioni da stanziare a favore del Commissariato del turismo, ma è qualche cosa di molto, più importante. Noi dovremmo affrontare, per esempio, il problema della costruzione alberghiera, il problema della costruzione di 40, 50, 60 mila vani che, aggiunti poi agli alberghi di massa e alla possibilità che hanno gli istituti religiosi di ospitare i pellegrini, porterebbero alla cifra di cui ho fatto cenno. Per costruire questi alberghi occorre del denaro; e il denaro che è stato stanziato attraverso la legge per agevolare la costruzione e la ricostruzione di alberghi non è sufficiente. Lo ha dichiarato lo stesso Sottosegretario.

Per esempio, si potrebbe anche studiare la possibilità da parte del Ministero dei lavori pubblici di costruire. Io non sono d’accordo, intendiamoci bene, su questa evenienza; ma al non far niente è preferibile che il Ministero dei lavori pubblici faccia qualche cosa.

Io dirò che, per poter approntare 60 mila vani, cioè 120 mila letti, ammettendo per ogni camera di albergo due letti, occorre qualche cosa come 60 miliardi; ma, come si vede, i 60 miliardi rispetto ai 500 o ai 600 che verrebbero ad essere incassati per l’Anno Santo costituiscono una cifra che potrebbe essere ammortizzata ad usura durante il periodo stesso. Che cosa si potrà fare di questi vani poi? Prima di tutto siamo sicuri che in Italia gli stranieri, quando sarà ristabilito un clima di tranquillità, di serietà, così auspicato ed auspicabile, potranno ritornare come e più di prima; ma pur fermandoci all’ipotesi peggiore, cioè che questi stranieri dopo l’Anno Santo non ritornino, noi ci troveremo ad aver costruito circa 4 milioni di vani che potranno essere destinati ai senza tetto. Costruiamone subito una certa porzione ed intanto potremo sfruttarli per l’Anno Santo ed avremo l’ammortamento di questa spesa e poi, se volete, li destineremo ai senza tetto. Avremo fatto così due cose buone. Ed ecco la conclusione: mi dichiaro sodisfatto ma contemporaneamente esprimo il desiderio che la Presidenza del Consiglio non sottovaluti questa proposta, la, quale mentre può essere considerata non tempestiva, è invece appena appena tempestiva, perché soltanto se cominciamo da oggi potremo riuscire nell’intento di far sì che l’Anno Santo possa dare all’Italia un rinsanguamento economico e quel prestigio che tutti quanti auspichiamo. (Applausi).

PRESIDENTE. Poiché i Ministri dei lavori pubblici e dell’industria e commercio sono assenti, rinvio la trattazione delle altre interrogazioni iscritte all’ordine del giorno.

Svolgimento di interrogazione con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro dell’interno mi ha fatto sapere di essere disposto a rispondere subito alla seguente interrogazione con richiesta di urgenza:

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’interno, per sapere quali provvedimenti abbiano preso e intendano prendere in seguito alla scandalosa provocazione fascista e antirepubblicana della sera di venerdì 10 ottobre in Piazza Colonna.

«Cianca, Lussu, Schiavetti, Morandi, Lombardi Riccardo, Foa».

L’onorevole Ministro dell’interno ha facoltà di rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Per quanto riguarda lo svolgimento dei fatti, come è noto agli onorevoli interroganti, il Movimento sociale italiano ha presentato per le elezioni di Roma una lista. Di conseguenza aveva il diritto di tenere comizi di propaganda elettorale.

In base all’articolo 18 della legge di pubblica sicurezza, le disposizioni riguardanti la autorizzazione per i comizi non si applicano durante il periodo elettorale.

Durante il periodo elettorale, tutti i partiti hanno il diritto di tenere i comizi senza necessità di preventiva autorizzazione della pubblica sicurezza, come possono affiggere manifesti elettorali senza nessuna autorizzazione.

Quindi anche il Movimento sociale, essendo uno dei concorrenti al Campidoglio, ha esercitato in questo il suo diritto.

Esisteva una disposizione di carattere generale impartita dal Ministero dell’interno che, a tutela della libertà del Capo dello Stato, dell’Assemblea Costituente e del Governo, stabiliva che nei pressi della residenza del Capo dello Stato, dell’Assemblea Costituente e del Governo non si dovessero tenere comizi, riunioni o assembramenti di nessun genere.

A questa disposizione le autorità di pubblica sicurezza hanno ritenuto di poter derogare appunto in base all’articolo 18 della legge di pubblica sicurezza, trattandosi di periodo elettorale.

Informato che un comizio politico si svolgeva nei pressi del Parlamento e indipendentemente dal contenuto della manifestazione, io ho impartito disposizioni al questore di Roma perché si procedesse allo scioglimento del comizio, appunto in applicazione di quella disposizione che vuol far salva all’Assemblea Costituente la sua piena libertà di azione, disposizione che si applica in tutti i momenti, e a cui neppure in periodo elettorale è lecito derogare.

Sicché i comizi possono tenersi liberamente in tutta Roma, salvo che nelle piazze che sono presso le sedi del Governo, del Parlamento o del Capo dello Stato.

L’intervento della polizia è stato immediato, e si è proceduto allo scioglimento.

Per quanto riguarda quindi le responsabilità circa questo comizio, non ho trovato nulla da osservare, nel senso che non v’era colpa da parte dell’autorità di pubblica sicurezza per essere venuta meno ad una disposizione di legge. Anzi quell’autorità ha ritenuto di non poter vietare – non dico autorizzare, perché non esisteva la possibilità di nessuna autorizzazione in quanto non era stata richiesta – il comizio in quanto v’era una tassativa disposizione di legge che l’autorizzava.

Quanto allo svolgimento del comizio, le informazioni che sono pervenute, a seguito di una inchiesta svolta, accennano che da parte di alcuni individui fra la folla si è emesso qualche grido che si può considerare sedizioso, visto che esiste una legge che vieta le manifestazioni fasciste.

Naturalmente in manifestazioni di questo genere non è facile rendersi conto subito di ciò che avviene nella folla, e la pubblica sicurezza, che in genere non si trova in mezzo alla gente, ma sta ai margini, non è in grado di intervenire concretamente. Perché – è bene ripetere – non si è trattato di manifestazioni di, folla, ma di grida isolate.

Peraltro, la stessa manifestazione si sarebbe ridotta a ben poca cosa, come tutte le altre manifestazioni del M.S.I. durante la campagna elettorale, se non si fosse fatto molto chiasso intorno al Movimento stesso.

Io ho seguito attentamente questo Movimento e le sue manifestazioni oratorie durante la campagna elettorale.

I partecipanti alle riunioni si aggiravano fra le cinquanta e le cento persone al massimo. Se c’è stato in un comizio un numero superiore alle cento persone, è stato forse a Piazza Colonna, dove si calcola che gli attivisti, cioè gli iscritti al movimento, non fossero tuttavia più di centocinquanta. Ma Piazza Colonna è un luogo così centrale che è facile a chiunque si metta a parlare di racimolare una folla di qualche centinaio di curiosi.

Da parte degli oratori non sono state pronunciate espressioni dirette, esplicite di esaltazione del regime fascista, ma fatte in forma negativa, cioè di critica all’antifascismo.

In quanto ai canti che sarebbero stati intonati è stato cantato (mi pare fosse un disco) l’inno a Roma, e, dopo lo scioglimento da parte della pubblica sicurezza, è stato cantato anche da un gruppo di dimostranti l’inno degli arditi.

Questa è la ricostruzione degli avvenimenti. Ma, ripeto, la manifestazione di Piazza Colonna non sarebbe andata al di là di altre manifestazioni se non si fosse svolta proprio nei pressi del Parlamento e sotto gli occhi di una folla numerosa che ha potuto assistere, giustamente indignata, a manifestazioni, sia pure isolate, di esaltazione di uomini e cose del passato regime.

In questa materia, e per quel che riguarda la politica del Governo rispetto al neo-fascismo e al M.S.I., il Presidente dei Consiglio ha già risposto per suo conto ed io avrei ben poco da aggiungere.

Desidero solo dire che sono state adottate delle misure, che sono in corso, che faranno riflettere – immagino – i nostalgici del passato regime; perché una cosa è certa, onorevoli colleghi, nella volontà del Governo e degli uomini che hanno la responsabilità della politica interna: che noi non siamo disposti a deflettere dalla linea politica di pacificazione, di larga pacificazione verso i fascisti come individui, ma che da parte nostra si troverà la più decisa e recisa opposizione ad ogni tentativo di rinascita, sotto qualunque forma, del fascismo.

La politica di tolleranza verso gli individui non può essere politica di tolleranza verso un sistema, verso un metodo, verso un movimento che tanta distruzione ha portato al nostro Paese; ed il Governo è deciso a difendere, reprimendo tali manifestazioni, la libertà e la democrazia, perché il fascismo rappresenta appunto, la negazione della libertà e della democrazia, e nella difesa della libertà e della democrazia il Governo è deciso a compiere tutto il suo dovere. (Approvazioni al centro).

Un’altra dichiarazione intendo fare: quella che, di fronte a questa volontà precisa del Governo, di fronte a questo impegno di difesa della democrazia, superando ogni equivoca manifestazione che possa apparire tolleranza, ma non è tolleranza; che, di fronte a questa recisa volontà del Governo di tutelare in Italia le libertà democratiche, il Governo stesso rivendica l’onere e l’onore di difendere con le proprie forze e coi propri mezzi tali libertà in Italia, intendendo con questo di reprimere ogni e qualsiasi manifestazione che potesse significare ritorno a mezzi che sono in contrasto con un regime libero, con un regime politico: di libertà e di democrazia.

Non possiamo ammettere – e non consentiremo – le manifestazioni fasciste, né i tentativi di ricorso e di mobilitazione della piazza contro le manifestazioni fasciste, perché il Governo – ripeto – è deciso a stroncare ogni rinascente forma di fascismo, ma, nello stesso tempo, a garantire la libertà coi propri mezzi, che il Governo ritiene di possedere; mezzi sufficienti a tutelare la libertà e la democrazia in Italia.

Se i mezzi legali attualmente a disposizione non fossero sufficienti, potrà chiederne altri al Parlamento, ma riteniamo che allo stato delle cose il Governo sia in grado di controllare e controlla (posso dare questa assicurazione all’Assemblea) attentamente le manifestazioni neo-fasciste, benché ne conosca la portata limitata – anche se rumorosa – delle manifestazioni esteriori, ed è deciso, ripeto, a compiere tutto il proprio dovere perché ogni rinascente fascismo trovi la repressione legale attraverso la legge e la forza dello Stato. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. L’onorevole Cianca ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

CIANCA. La nostra interrogazione ha dato modo al Governo di sciogliere la riserva che l’onorevole De Gasperi aveva formulata venerdì sera quando promise all’onorevole Lussu che si proponeva di dare all’Assemblea più ampi particolari.

La risposta del Ministro dell’interno si divide in due parti.. Per quanto riguarda l’episodio di Piazza Colonna, io devo rilevare che egli ha rettificato un’affermazione fatta venerdì sera dal Presidente del Consiglio, il quale aveva dichiarato che il comizio non era stato autorizzato. Devo rilevare, altresì, che le autorità di pubblica sicurezza sono state di una generosità strana nel consentire ai rappresentanti di questo Movimento sociale italiano di tenere un comizio nelle vicinanze immediate di Montecitorio, in deroga ad una norma vigente. Io mi domando quale sia stata l’ispirazione che ha condotto le autorità di pubblica sicurezza a dare questa autorizzazione.

Ha detto il Ministro dell’interno che durante il comizio sono state emesse da qualcuno delle grida, ma che non c’è stata una vera e propria esaltazione del fascismo e di Mussolini.

La verità, secondo le testimonianze che noi abbiamo raccolte da coloro che erano presenti a quella manifestazione, è che non soltanto furono emesse da gruppi numerosi delle grida in favore del fascismo, ma che il discorso pronunciato dall’oratore ufficiale era non una implicita, ma una esplicita esaltazione del regime fascista e della guerra fascista.

Ora, non mi sembra esatto che le autorità di pubblica sicurezza siano esenti da qualunque responsabilità, sol perché ad un determinato momento hanno sospeso il comizio. La verità è che il comizio ha proceduto per un lungo periodo di tempo e che è stato necessario l’intervento di alcuni rappresentanti della nostra Assemblea perché le autorità di pubblica sicurezza fossero richiamate a meditare sullo scandalo di questa provocazione che si compiva a pochi passi dal Parlamento.

Io devo ricordare che l’onorevole Amendola si rivolse al vicequestore, il quale dirigeva il servizio d’ordine, e gli disse che era assolutamente necessario sospendere il comizio. Il vicequestore dichiarò che non poteva sospenderlo in quanto non aveva ordini in questo senso il che vuol dire che le autorità di pubblica sicurezza, anche quando si sono trovate di fronte alla flagranza di un reato, ossia alla esaltazione del regime fascista, fatta nelle vicinanze del Palazzo della Costituente, hanno creduto che la legge non dovesse essere applicata. Se, dopo tutto questo, il Ministro dell’interno pensa che le autorità di pubblica sicurezza siano esenti da qualunque responsabilità, egli deve riconoscerci il diritto di affermare che ha torto perché le responsabilità della pubblica sicurezza derivano in modo chiaro dall’atteggiamento che le autorità di polizia tennero durante il comizio.

Poi c’è la seconda parte delle dichiarazioni fatte dal Ministro dell’interno.

Qui il problema sale su un piano generale, e si può sintetizzare in una domanda precisa che noi rivolgiamo al rappresentante del Governo. Un movimento, il quale ha le caratteristiche del M.S.I., ha esso diritto di libera cittadinanza nella vita politica italiana? Il quesito è questo. Io ho inteso le promesse che nella parte finale del suo discorso il Ministro dell’interno ha formulato. Egli ha detto che il Governo si propone di prendere misure le quali faranno riflettere i nostalgici del fascismo. Ora, mi sembra – se il Ministro dell’interno lo consente – che ci sia una sproporzione fra la gravità dei fatti dinanzi ai quali ci troviamo e queste assicurazioni generiche per l’avvenire. La verità è che noi siamo di fronte ad una sistematica provocazione fascista e antirepubblicana la quale impone degli obblighi precisi al Governo ed impone a noi, che abbiamo lottato contro il fascismo, di richiamare il Governo al senso preciso del proprio dovere. Non si tratta di prendere misure generiche: si tratta di stabilire se questo movimento possa essere inserito nei quadri della legalità repubblicana. V’è un contrasto di carattere fondamentale che voi dovete risolvere, e che non potete risolvere che in una sola direzione. Io facevo parte del Governo insieme con l’onorevole Ministro dell’interne quando fu decretata l’amnistia. L’amnistia poteva essere un atto di forza generosa, se fosse stata seguita da una politica di fermezza, capace di stroncare ogni velleità di rinascita fascista, di rinascita antirepubblicana. Io devo dire all’onorevole Scelba che l’azione svolta dal Governo e da lui personalmente non mi tranquillizza in questo senso. Purtroppo, senza drammatizzare e senza formulare dei giudizi sommari, devo dire che ho l’impressione che questa gente, nostalgica del fascismo, ha la sensazione di poter osare sotto questo Governo quello che non avrebbe osato sotto altri Governi più sicuramente solleciti degli interessi della Repubblica e della democrazia. Ripeto, qui si tratta di un problema di carattere generale; e noi ci riserviamo di discuterlo in questa Assemblea, in quanto ci proponiamo di presentare un’apposita interpellanza. (Applausi a sinistra).

Annunzio di interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Comunico che sono pervenute alla Presidenza le seguenti interrogazioni con richiesta di risposta urgente:

«Al Ministro dell’interno, per conoscere i risultati definitivi delle indagini sul bestiale assassinio dello studente Gervasio Federici, ed i provvedimenti che il Governo intende adottare, affinché la lotta politica non vada progressivamente degenerando in guerra civile, come vari recenti episodi fanno temere.

«Gronchi, Uberti, Angelucci, Moro, Piccioni, Guidi Cingolani Angela, Giordani, Taviani, Di Fausto, Bonomi Paolo, Orlando Camillo, De Palma, Corsanego, Coccia, Dominedò, Caronia».

«Al Ministro dell’interno, per conoscere quali provvedimenti siano stati presi, a carico dei responsabili diretti ed indiretti della devastazione della tipografia del Corriere del Giorno di Taranto e per impedire il ripetersi di nuovi attentati alla libertà di stampa.

«Lucifero».

«Al Ministro dell’interno, per conoscere quali provvedimenti siano stati presi per scoprire i responsabili della distruzione della tipografia del giornale Il Corriere del Giorno premeditatamente perpetrata in Taranto nelle prime ore del pomeriggio di sabato, 11 ottobre, da una schiera di partecipanti alla manifestazione organizzata principalmente per iniziativa del Partito comunista; e per conoscere se non intenda promuovere un provvedimento legislativo che integri il progetto di legge per la difesa delle istituzioni, stabilendo e precisando la responsabilità dei partiti, le cui manifestazioni si risolvono in simili atti di vandalico terrorismo squadrista, che sopprimono praticamente ogni libertà e consentono ai mandanti e agli esecutori di trincerarsi dietro l’estrema difficoltà di indagini, caratteristica dei delitti di folla.

«Codacci Pisanelli».

Chiedo al Ministro dell’interno, di comunicare quando intenda rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Se gli onorevoli interroganti non hanno nulla in contrario, nella seduta antimeridiana di mercoledì prossimo risponderò a queste interrogazioni.

PRESIDENTE. Sta bene.

Ricordo che la Commissione per la Costituzione è convocata per domani alle 9 in adunanza plenaria e avverto che l’Assemblea domani terrà sedute alle 11,30 e alle 17.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

DE VITA, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per sapere se non ritenga opportuno chiarire con circolare ad hoc la portata dell’articolo 8 del decreto legislativo 5 agosto 1947, n. 778, nel senso che, per le speciali categorie di funzionari elencate in detto articolo, i miglioramenti del trattamento economico, in seguito alla revisione da farsi nel termine di tre mesi dalla pubblicazione del decreto (avvenuta nella Gazzetta Ufficiale del 21 agosto 1947), avrà la stessa data di decorrenza stabilita per tutte le altre categorie di funzionari ed i miglioramenti stessi dovranno non superare, ma neanche essere inferiori, a quanto stabilito per i funzionari delle altre Amministrazioni dello Stato. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Persico».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri del tesoro e delle poste e telecomunicazioni, per conoscere per quali motivi non è stata data finora applicazione, nei confronti del personale delle poste e telecomunicazioni, alla circolare n. 3837-2296 della Ragioneria generale dello Stato, la quale dispone inequivocabilmente la corresponsione delle competenze arretrate in favore degli impiegati che si sottrassero al trasferimento al Nord, passando conseguentemente in aspettativa.

«La cosa sembra inspiegabile anche perché risulta che detta circolare ha già trovato facile ed immediata applicazione in tutti gli altri Dicasteri. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Marinaro».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’industria e del commercio, per conoscere le ragioni per le quali ai produttori dello zucchero non viene accordata la facoltà di disporre liberamente della eventuale eccedenza che dovesse risultare dopo accantonata o dedotta la quota riservata col tesseramento ai consumatori.

«La produzione dello zucchero, attualmente ha raggiunto circa i nove decimi del fabbisogno nazionale prebellico, e perciò non può non riuscire strano che per tale prodotto non siasi ancora pensato di abolire tutti i vincolismi istituiti in occasione della guerra, mentre per altri prodotti si è già provveduto ad acconsentire che una quota possa essere immessa al libero commercio, sebbene si sappia che per gli stessi neppure nel prossimo anno, potrà essere raggiunta la detta percentuale di produzione.

«Accordandosi ai produttori dello zucchero la facoltà di disporre liberamente di detta eventuale eccedenza, oltre ad agevolare la possibilità che la produzione abbia ad essere elevata, nel 1948, allo stesso quantitativo prebellico, si verrebbe, intanto, non solo a riconoscersi così concretamente le benemerenze di una categoria di industriali che tra i primi, e senza alcun concorso dello Stato, hanno saputo riattivare gli stabilimenti in gran parte distrutti dalla guerra, ma altresì a favorire gli interessi dei consumatori, i quali potrebbero, in tal modo, concorrere all’acquisto di detta eccedenza ad un prezzo notevolmente inferiore a quello che essi debbono, corrispondere alla borsa nera, alla quale l’eccedenza stessa viene ceduta dai pochi privilegiati ai quali viene assegnata.

«È noto infatti che alla borsa nera si può oggi acquistare quanto zucchero si vuole, per cui devesi logicamente ritenere che essa viene alimentata esclusivamente dai vari beneficiari delle assegnazioni ordinarie e politiche, i quali così senza alcuna fatica, ed anzi per il solo vantaggio delle assegnazioni ottenute, vengono a realizzare ingenti guadagni, mentre ai produttori non si è avuto il coraggio di riconoscere neppure il diritto ad un compenso equamente adeguato al costo di produzione.

«L’abolizione, in tali condizioni, di ogni vincolismo sullo zucchero si impone pertanto come una necessità inderogabile per eliminare una buona volta il legittimo sospetto di favoritismi, o peggio ancora, di corruzioni, nelle assegnazioni per scopi, in taluni casi, anche politici ed elettoralistici ed a tutto danno dei consumatori. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rodinò Mario».

«Il sottoscritto chiede di interrogare l’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica ed il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere se sono a conoscenza che le acque di scarico del sanatorio di Paluzza (Udine) sono immesse – senza alcuna sterilizzazione – nel torrente Bût, con grave e continuo pericolo per la salute della popolazione a valle e per sapere quali provvedimenti di urgenza intendono prendere. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Piemonte».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere le ragioni per le quali non sia stato ancora deliberato il provvedimento, più volte annunciato, nelle dichiarazioni programmatiche del Governo, che dovrebbe porre definitivamente riparo alle ingiuste applicazioni delle leggi sull’epurazione, causa non ultima del perdurante grave disordine nelle pubbliche Amministrazioni. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bozzi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e i Ministri delle finanze e del tesoro, per conoscere e di urgenza quali provvedimenti intendano adottare per rendere possibile il ritorno alla vita civile dei moltissimi reduci dai campi di internamento, già affetti da tubercolosi, clinicamente guariti.

«Si impone:

  1. a) il disbrigo sollecito delle pratiche medico-legali e conseguente liquidazione delle pensioni, istituendo magari degli uffici regionali deliberanti;
  2. b) la revisione del sistema degli aiuti economici, elevando l’ammontare degli anticipi sulle pensioni; le attuali 1500-2000 lire mensili a chi va assegnato alla prima categoria si dimostrano insufficienti, inadeguate alle prime necessità della vita;
  3. c) la revisione e conseguente aumento degli aiuti da parte dei Consorzi antitubercolari (attualmente sono di lire 200 giornaliere).

«Detta categoria di reduci merita la particolare attenzione del Governo. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Ferrarese».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno trasmesse ai Ministri competenti per la risposta scritta.

La seduta termina alle 19.15.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 11.30 e alle ore 17.

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

POMERIDIANA DI VENERDÌ 10 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLIV.

SEDUTA POMERIDIANA DI VENERDÌ 10 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Sul processò verbale:

Codacci Pisanelli

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Mortati

Colitto

Rossi Paolo

Stampacchia

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Calamandrei

Lucifero

Uberti

Gasparotto

Benedettini

Laconi

Scoccimarro

Conti

Manzini

Maffi

Lussu

La Malfa

Mazzoni

Priolo

Pacciardi

Amendola

Sui lavori dell’Assemblea:

Presidente

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

Bozzi

Badini Confalonieri

Lussu

Rodi

Targetti

Nitti

Codacci Pisanelli

Scoccimarro

Cosattini

Votazione segreta:

Presidente

Risultato della votazione segreta:

Presidente

Per un comizio elettorale nei pressi di Montecitorio:

Pajetta Giancarlo

Sansone

Presidente

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri

La seduta comincia alle 16.

MEZZADRA, ff. Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

Sul processo verbale.

CODACCI PISANELLI. Chiedo di parlare sul processo verbale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODACCI PISANELLI. Richiamo di nuovo l’attenzione dell’Assemblea sul valore da attribuire alle votazioni, in cui il numero dei voti favorevoli sia esattamente uguale a quello dei voti contrari, in relazione al progetto di Costituzione che è stato presentato dalla Commissione dei settantacinque.

Ieri, essendosi verificata questa ipotesi, siamo giunti a concludere, secondo l’affermazione dell’onorevole Presidente, che una votazione di questo genere significa rigetto dell’articolo contenuto nei progetto di Costituzione.

Mi permetto di rinnovare i miei dubbi circa questa soluzione, in quanto che in una votazione, nella quale il numero dei voti favorevoli equivalga perfettamente a quello dei voti contrari, per lo meno si dovrebbe giungere a concludere che la votazione non ha nessun valore. In altri termini, ci troveremmo di fronte ad un problema analogo a quello del silenzio, che è stato più volte dibattuto nel campo del diritto. (Commenti).

Il silenzio non ha nessun valore, a meno che una norma giuridica, o ì principî, o l’analogia, consentano di attribuirgli un particolare significato.

Ieri, a giustificazione della tesi secondo cui, in caso di parità di voti, il progetto o l’articolo del progetto dovrebbe ritenersi respinto, è stato detto: infatti, prima di annunziare il risultato della votazione, noi diciamo sempre il numero dei votanti, la maggioranza, e se è stata raggiunta, o meno, questa maggioranza.

Per venire a termini pratici, se i votanti sono 360 e la maggioranza è 180… (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Codacci Pisanelli, la maggioranza viene calcolata aggiungendo uno alla metà.

CULACCI PISANELLI. Dicevo, se la mèta è 180, solo nel caso che i voti favorevoli siano 181, si può ritenere che l’articolo sia approvato.

Non condivido questa tesi. Se vi fosse, per esempio, un certo numero di astenuti, e vi fosse un numero di voti favorevoli maggiore di quello dei voti contrari, ma inferiore a 181, l’articolo dovrebbe ritenersi ugualmente approvato.

Ma non insisto su questo punto. A me interessa mettere in evidenza che ci troviamo di fronte ad un progetto elaborato in maniera diversa dai comuni progetti di legge. Ci troviamo di fronte ad un caso sui generis e dobbiamo risolverlo, perché si tratta di un precedente importante per i nostri futuri lavori.

La Commissione dei settantacinque si suddivise in Sottocommissioni; ogni Sotto commissione, attraverso votazioni, è giunta alla formazione di un progetto, sottoposto alla Commissione dei settantacinque in seduta plenaria. Di nuovo vi è stata una votazione; si tratta, dunque, di un progetto presentato da un organo di questa stessa Assemblea; perciò, nel caso in cui non sia respinta espressamente una parte di questo progetto, secondo me, non si può arrivare alla conclusione che ci si trovi di fronte ad un rifiuto di approvare l’articolo. Si dovrebbe quindi attribuire perlomeno a questo silenzio il valore di un niente di fatto e si dovrebbe, di conseguenza, ripetere la votazione.

Ma, secondo me, anche un passo più avanti si potrebbe fare, perché il fatto che le conclusioni di un organo dell’Assemblea non siano state respinte deve intendersi come vera e propria approvazione: e abbiamo già detto che la Commissione è un organo dell’Assemblea.

Che d’altra parte questo mio pensiero non sia campato in aria, (Commenti) mi accingerò ora a dimostrarvi. Vi farò pertanto osservare che nel nostro Regolamento non vi è alcun articolo che contempli la questione; ma ve n’è uno il quale, pur rifacendosi ad un caso un poco diverso, consente tuttavia di spiegare che cosa sia la maggioranza e in quali casi essa debba riconoscersi per tale. Mi riferisco all’articolo 26, relativo alla Giunta delle elezioni, il quale esattamente dice: «le conclusioni della Giunta sono prese a maggioranza di voti. In caso di parità, si riterranno per la convalidazione».

Siamo d’accordo che si tratta di un argomento diverso da quello che stiamo contemplando, ma poiché nel Regolamento non v’è alcun’altra norma circa il significato da attribuire alle votazioni in caso di parità, ritengo non sia azzardato inferirne che, quando vi sia parità di voti nei confronti di un articolo presentato dalla Commissione dei settantacinque nel suo progetto, si debba trarne la conclusione che l’articolo, o il comma di cui si tratta, sia approvato.

Per questa ragione io formulo le mie riserve intorno alle votazioni fatte ieri e mi ripropongo anzi di presentare una mozione al riguardo; e così pure per quanto concerne il valore da attribuire agli ordini del giorno e alla pretesa preclusione che da essi si inferirebbe, contrastando anche con ciò quanto ha detto proprio questa mattina il nostro onorevole Presidente, che cioè l’Assemblea può sempre, ove lo creda, ritornare sulle proprie decisioni.

PRESIDENTE. Onorevole Codacci Pisanelli, ella aveva diritto di prendere la parola sul processo verbale. Ma poiché io lo prevedevo, non fidandomi troppo delle mie sole conoscenze e della mia scienza, ho voluto fornirmi di qualche alleato che potrà, spero, meritare da parte sua quello stesso rispetto che io gli tributo. Si tratta del noto «Mancini e Galeotti»: Norme ed usi del parlamento italiano, ove, a pagina 308, al numero 445, io leggo: «In caso di voti pari, la proposta messa in votazione non può ritenersi approvata. Da ciò l’importanza massima di una giusta determinazione della priorità nel concorso di più proposte».

E poi, fra parentesi, (1) – nota a piedi pagina – «Fa eccezione alla norma generale l’articolo 18 del Regolamento – quello che lei ha invocato poco fa, onorevole Codacci Pisanelli – per ciò che concerne il procedimento della Giunta delle elezioni».

Il che significa che non si può dedurre dall’articolo 18 una norma generale, perché l’articolo 18 è un’eccezione alla norma generale. E perché è un’eccezione? Perché in tutti i giudizi collegiali, quando vi è parità di voti, questa gioca a favore dell’imputato. Non che l’eletto che si vede contestata la propria elezione sia un imputato! Ma la Giunta delle elezioni è una magistratura e quindi la sua opera è regolata dalle norme solite alle magistrature.

Ecco quindi, onorevole Codacci Pisanelli, che proprio l’articolo da lei invocato riconferma contro di lei che quando una votazione ha avuto esito pari, la proposta messa in votazione non può ritenersi approvata.

Ma, d’altra parte, abbiamo dei precedenti da noi stessi creati. Non più tardi della seduta del giorno 7 ottobre, ad esempio, parlando di una votazione alla quale si è proceduto e che è terminata per l’appunto con la parità dei voti, dice il nostro resoconto:

«Dopo prova e controprova, e votazione per divisione, con la esatta parità dei voti, non è approvata».

E in quel momento né lei, né nessun altro collega ha sollevato eccezioni. Abbiamo, quindi, già un precedente.

Ma, v’è di più, onorevole Codacci Pisanelli, Lei stamane ha dato un voto, nella piena consapevolezza del suo valore, a proposito dell’articolo 61 della Costituzione. E col terzo comma noi abbiamo approvato – e mi pare (posso sbagliare) che abbia votato anche lei con la maggioranza dell’Assemblea – questa norma: «Le deliberazioni delle Camere non sono valide se non è presente la maggioranza dei loro membri e se non sono adottate a maggioranza dei presenti». A maggioranza e non a parità; e maggioranza era appunto, nel caso di ieri, il 181 mancato in confronto del 180 ottenuto: 181 era la maggioranza, 180 la metà; e una metà non ha mai significato approvazione.

Questo dovevo dirle, dato che lei ha creduto opportuno – e ne aveva il diritto – di riprendere una questione che ritenevo chiusa.

CODACCI PISANELLI. Non so se mi sia consentito di aggiungere qualche considerazione.

PRESIDENTE. Dica, onorevole Codacci Pisanelli.

CODACCI PISANELLI. Volevo osservare che a proposito del precedente invocato dal l’onorevole Presidente, si tratta di una votazione su un emendamento; e, in quanto emendamento, non ho niente da dire.

COSTANTINI. È lo stesso!

CODACCI PISANELLI. Non mi pare – se non ricordo male – che si trattasse di una votazione relativa proprio al testo della Costituzione.

Quanto all’invocazione del testo del Mancini e Galeotti, sono d’accordo circa il valore da attribuirgli, ma si tratta, in fondo, dell’opinione di un giurista e non di una disposizione legislativa. D’altra parte, quello che io avevo fatto presente è la particolare situazione in cui noi ci troviamo: non si tratta di un normale progetto di legge; è un progetto formulato dagli stessi membri di questa Assemblea. (Commenti a sinistra). Trattandosi, quindi, di una situazione completamente diversa dal solito, io credo che dovremmo venire ad una conclusione differente, in quanto che, probabilmente, la conclusione di una Commissione specializzata, la quale ha tenuto lunghe sedute al riguardo e si è occupata di proposito dei singoli articoli e delle parti di essi, potrebbe ritenersi prevalente nel caso in cui si trovi nella posizione di perfetta parità dei voti.

COSTANTINI. Questa è la disintegrazione atomica del consenso.

PRESIDENTE. Non perché voglia essere io a dire l’ultima parola ma, mi permetto di osservarle che questa Assemblea, nel momento in cui si è inizialmente convocata, ha adottato un Regolamento, e non ha detto affatto che, dato il modo particolare con cui avrebbe proceduto alla preparazione del materiale da sottoporre alle proprie discussioni, avrebbe proceduto alle votazioni in modo diverso da quello indicato nel Regolamento adottato.

Lei ha una via aperta, onorevole Codacci Pisanelli: proponga una modifica al Regolamento; e se l’Assemblea l’accetterà, non osserverà più le norme di quel Regolamento che, per intanto, è ancora oggi il suo.

Le farò ancora presente che, quando stamani abbiamo votato l’articolo 61, abbiamo accettato che vi si dicesse: «Le deliberazioni delle Camere». Ora una deliberazione è un voto che verte su di una questione di procedura del Regolamento, su di un progetto di legge, su di un ordine del giorno, su di una mozione, ecc. Tutto ciò è sempre deliberazione. E la decisione di stamane non ha fatto distinzioni che innovino, al proposito.

Comunque, ripeto che, se vuole, può presentare una proposta di modifica del Regolamento, che la Giunta prenderà tosto in esame.

Se non vi sono altre osservazioni il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Stamane gli onorevoli Benvenuti, Bettiol e altri, hanno presentato il seguente emendamento aggiuntivo all’articolo 63, che abbiamo approvato stamane:

«Contro la decisione di ciascuna Camera i deputati e i senatori possono ricorrere per violazione di legge alla Corte costituzionale».

Poiché lo stesso onorevole Benvenuti, presentando l’emendamento, ha fatto presente che l’Assemblea non ha ancora deliberato in ordine alla Corte costituzionale, teniamo in sospeso questo emendamento aggiuntivo, che esamineremo quando si tratterà della Corte costituzionale.

Riprendiamo dunque il nostro esame all’articolo 64, al quale non sono stati presentati emendamenti. Se ne dia lettura.

DE VITA, Segretario, legge:

«Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato».

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 64.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 65. Se ne dia lettura.

DE VITA, Segretario, legge:

«I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni e dei voti espressi nell’esercizio delle loro funzioni».

«Nessun membro del Parlamento può, senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, essere sottoposto a procedimento penale, ne arrestato, o altrimenti privato della libertà personale, o sottoposto a perquisizione domiciliare, salvo il caso di flagrante delitto, per il quale è obbligatorio il mandato o l’ordine di cattura.

«Eguale autorizzazione è richiesta per trarre in arresto o mantenere in detenzione un membro del Parlamento, in esecuzione di una sentenza anche irrevocabile».

PRESIDENTE. L’onorevole Mortati ha presentato a. questo articolo il seguente emendamento:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«I membri del Parlamento non possono essere perseguiti in via giudiziaria, né amministrativa o disciplinare, per le opinioni politiche espresse ed i voti dati nell’esercizio delle loro funzioni».

L’onorevole Mortati ha facoltà di svolgerlo.

MORTATI. Il mio emendamento ha lo scopo di chiarimento formale, perché mi sembra che la formula adottata dalla Commissione non sia molto felice, in quanto dice genericamente che «non possono essere chiamati a rispondere». Ora, dicendo «rispondere», si può ritenere che si sia irresponsabili anche politicamente. Questa è una formula generica, mentre invece, se si vuole specificare meglio il significato della norma, sarebbe opportuno chiarire che la responsabilità a cui si è sottratti è quella che ha carattere giuridico, sia penale che civile e amministrativo. A questo scopo tende il mio emendamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Colitto ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma, alla parola: opinioni, aggiungere la parola: espresse, e alla parola: espressi, sostituire la parola: dati».

L’onorevole Colitto ha facoltà di svolgerlo.

COLITTO. Nel testo del progetto si parla di opinioni e di voti espressi. Poiché mi sembra che le opinioni si esprimono ed i voti si danno, io ho proposto che la dizione del progetto sia sostituita da quest’altra «opinioni espresse e voti dati».

PRESIDENTE. Gli onorevoli Ghidini, Rossi Paolo, Di Gloria, Vigorelli, e Grilli hanno presentato il seguente emendamento:

«Nessun membro del Parlamento può essere arrestato o altrimenti privato della libertà personale o sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, salvo che sia colto nell’atto di commettere un delitto per il quale sono obbligatori il mandato o l’ordine di cattura; né può essere sottoposto a procedimento penale senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene».

In sostituzione del primo firmatario, l’onorevole Rossi Paolo ha facoltà di svolgere l’emendamento.

ROSSI PAOLO. L’emendamento che sosteniamo è dovuto alla diligenza dell’onorevole Ghidini, il quale ha rilevato due notevoli imprecisioni nel testo della Commissione. La prima è: così come l’articolo è redatto, si potrebbe ritenere che, pur non potendo il deputato essere arrestato o altrimenti privato della libertà personale, salvo il caso di flagrante delitto, per cui è obbligatorio il mandato di cattura, potrebbe essere sottoposto a procedimento penale quando si tratti di reato per cui sia obbligatorio il mandato o l’ordine di cattura.

Se i colleghi hanno la bontà di seguire il testo, vedranno che c’è una incertezza, un certo equivoco, o per lo meno un equivoco che potrebbe determinare una incertezza di interpretazione, perché si potrebbe ritenere che il deputato possa essere sottoposto a tali provvedimenti senza l’autorizzazione della Camera, nel caso in cui sia perseguito per un delitto per il quale è obbligatorio il mandato di cattura. Nel testo dell’emendamento questo dubbio è eliminato.

Un altro dubbio potrebbe sorgere dal testo della Commissione, quando si parla di flagrante delitto e si riconosce che nel caso di flagrante delitto è lecito l’arresto e la perquisizione domiciliare.

Nel nostro emendamento non si parla più di flagranza por evitare possibili questioni sul concetto di essa. Tutti ricordano infatti le discussioni ripetute che si sono avute in ordine alla precisazione di questa nozione. Si è parlato della flagranza, della semi-flagranza, dell’uomo inseguito dal pubblico clamore, e ci sono state sentenze e discussioni a questo proposito.

L’emendamento Ghidini, che io ho l’onore di presentare, elimina le discussioni in merito, sostituendo a questa frase incerta, intorno alla quale si è troppe volte vanamente discusso, l’altra frase più precisa: «Salvo che sia colto nell’atto di commettere un delitto».

Con questa frase tutte le questioni suddette sono tolte di mezzo.

Quindi io mi permetto di raccomandare ai voti dell’Assemblea questa formula, come più precisa e concreta.

PRESIDENTE. L’onorevole Stampacchia unitamente agli onorevoli Vigna, Laconi, Nobili Tito Oro, Tonello, Tega e Grieco ha presentato il seguente emendamento:

«Al secondo comma, dopo la parola: «perquisizione», aggiungere: «personale o».

L’onorevole Stampacchia ha facoltà di svolgerlo.

STAMPACCHIA. Si tratta di riparare ad una evidente distrazione della Commissione, la quale non ha ricordato che la perquisizione può essere personale, oltre che domiciliare. E ciascuno che ne ha esperienza ben ricorda che ciò che offendeva di più la nostra sensibilità non era tanto la perquisizione domiciliare quanto quella personale, allorché lo sbirro frugava sulla persona del perquisito, mettendogli le mani addosso per verificare se per caso non vi fosse il contrabbando.

Ripeto che si tratta di una evidente distrazione della Commissione, sicché mi pare necessario ripararvi, aggiungendo la perquisizione personale ai casi in cui è necessaria l’autorizzazione della Camera contemplata dall’articolo in discussione.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Ruini di esprimere il parere della Commissione su questi emendamenti.,

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Dirò molto rapidamente. Gli emendamenti proposti sono quasi tutti di forma ed hanno piccolissima importanza.

L’onorevole Colitto propone che invece di dire che i membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere «delle opinioni e dei voti espressi» si dica «delle opinioni espresse e dei voti dati». Tutte le questioni di forma dovrebbero essere rimandate alla elaborazione finale. Quelle proposte fin da adesso possono essere accolte, senza più pregiudizio di eventuali revisioni, che si possano rendere necessarie per criteri generali e complessivi, nella detta elaborazione. Con questa riserva accolgo l’emendamento Colitto.

L’onorevole Ghidini, oggi assente, ha presentato, insieme ad altri colleghi, un emendamento piuttosto vasto. Per quanto riguarda la chiarificazione formale non sono del tutto d’accordo con l’onorevole Paolo Rossi, perché potrebbero sorgere dubbi anche da questo emendamento; ad esempio, mettendo alla fine le parole «senza autorizzazione della Camera» potrebbe sembrare che essa sia richiesta solo per l’ultima parte – arresto – e non per la prima – processo – dell’articolo in esame. Non credo che l’onorevole Rossi avrà difficoltà a consentire che la redazione formale sia definitivamente concordata, con lo stesso onorevole Ghidini, in sede di Comitato.

Si terrà allora presente anche la modifica più sostanziale, sulla «flagranza di reato». L’onorevole Ghidini propone di escludere i casi cosiddetti di quasi-flagranza, come quando il colpevole fugge, inseguito dal pubblico clamore e di limitarsi a quando il colpevole è colto proprio nell’atto di commettere il reato. La limitazione è ispirata ad una maggior garanzia dell’istituto parlamentare, e – sentiti anche altri colleghi competenti in materia penale – il Comitato non ha difficoltà ad accettarla; ma si riserva di formulare tutti, anche questi punti – in un testo definitivo.

L’aggiunta dell’onorevole Stampacchia, – perquisizione personale oltre che domiciliare – è compresa nella proposta Ghidini: e ne segue le sorti.

Per quanto riguarda l’emendamento Mortati, credo che sarebbe opportuno conservare la vecchia dizione «rispondono» che ha un significato. Sarebbe un rimpicciolirlo, sostituendovi la casistica minuta dell’onorevole Mortati. La costituzione non è soltanto un codice od una legge. È qualcosa di più. Le sue parole hanno un valore che è anche etico politico, di portata giuridica, ma in un senso più ampio; né occorre ricordare che in diritto pubblico hanno vigore anche principî e criteri generali. Prego l’onorevole Mortati di non insistere nella sua proposta.

PRESIDENTE. L’onorevole Mortati mantiene il suo emendamento?

MORTATI. Limito l’emendamento alla sostituzione, nel primo comma, della parola: «perseguiti per le» alle parole: «chiamati a rispondere delle».

PRESIDENTE. Allora per l’emendamento Ghidini, svolto dall’onorevole Rossi Paolo, vi è stato l’accordo fra il proponente e la Commissione. Quello dell’onorevole Stampacchia si può ritenere assorbito dall’emendamento Ghidini, del quale la Commissione farà quel saggio uso che riterrà opportuno.

La Commissione accetta l’emendamento modificato dell’onorevole Mortati?

RUINI, Presidente delle Commissione per la Costituzione. Il Comitato preferisce «rispondere», che è più solenne, più tradizionale, e più ampio; mentre «perseguito» potrebbe non estendersi alla responsabilità civile. Il concetto da considerare è quello di «responsabilità». Ma la questione è di scarsa importanza; e – per evitare contrasti con perdita di tempo – lascia all’Assemblea di decidere.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma con l’emendamento Mortati che sostituisce alle parole: «chiamati a rispondere delle» la parola: «perseguiti per le».

(È approvato).

RUINI. Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Per il secondo comma, la Commissione accetta la sostanza dell’emendamento Ghidini, salvo la revisione e la formulazione definitiva dell’intero comma.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il secondo comma nel testo della Commissione, salvo impegno, da parte della Commissione, ad inserire nel testo, a proposito della questione della «flagranza», la formula dell’emendamento Ghidini; ed anche l’indicazione sopra la perquisizione personale contenuta nell’emendamento Stampacchia.

(È approvato).

Pongo in votazione il terzo comma.

(È approvato).

L’articolo 65 risulta, nel suo complesso, così approvato, con la riserva relativa al secondo comma:

«I membri del Parlamento non possono essere perseguiti per le opinioni espresse e i voti dati nell’esercizio delle loro funzioni.

«Nessun membro del Parlamento può, senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, essere sottoposto a procedimento penale, né arrestato, e altrimenti privato della libertà personale, e sottoposto a perquisizione domiciliare, salvo il caso di flagrante delitto, per il quale è obbligatorio il mandato e l’ordine di cattura.

«Eguale autorizzazione è richiesta per trarre in arresto o mantenere in detenzione un membro del Parlamento, in esecuzione di una sentenza anche irrevocabile».

Passiamo all’articolo 66. Se ne dia lettura.

DE VITA, Segretario, legge:

«I membri del Parlamento ricevono una indennità fissata dalla legge».

PRESIDENTE. È stato presentato un emendamento da parte dell’onorevole Calamandrei, del seguente tenore:

«Sostituirlo col seguente:

«I componenti del Parlamento ricevono una indennità fissata dalla legge, che può essere determinata in misura più alta per coloro che non abbiano altri redditi.

«Ai componenti del Parlamento non possono essere conferiti incarichi retribuiti, né nella Amministrazione pubblica centrale o locale, né in enti pubblici o soggetti al controllo dello Stato; l’accettazione di uno di tali incarichi è causa di decadenza dall’ufficio parlamentare.

«Solo in caso di pubblica utilità detti incarichi possono essere conferiti per nomina deliberata da ciascuna Camera».

L’onorevole Calamandrei ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

CALAMANDREI. Onorevoli colleghi, il mio emendamento si compone di tre commi, che sono il frutto di una unica ispirazione; la quale – ve lo dico sinceramente – deriva dall’esperienza che io ho avuto, e voi avete avuto con me, del funzionamento della Commissione degli undici.

Onorevoli colleghi, io non se voi abbiate una impressione, che io ho vivissima: cioè che l’opinione pubblica non ha, in questo momento, molta simpatia e molta fiducia per i deputati. Vi è intorno a noi un’atmosfera, che tutti quanti avvertiamo, di sospetto e di discredito.

Fondamentalmente al centro di questa atmosfera c’è la convinzione diffusa, che molte volte l’esercizio del mandato parlamentare, il quale è conferito per il raggiungimento di scopi di pubblico interesse, possa servire a mascherare il soddisfacimento di interessi personali; e diventi un affare, una professione, un mestiere.

Ora, nella massima parte dei casi questa impressione dell’opinione pubblica, è sbagliata. Ma ci sono profonde ragioni che potrebbero spiegare perché è sorta: ragioni che in parte risalgono lontano, ed in parte anche al ventennio trascorso. Oggi l’opinione pubblica scarica su di noi il disprezzo accumulato in venti anni contro gli uomini politici del fascismo, contro i «gerarchi». Noi siamo gli innocenti parafulmini delle malefatte dei gerarchi del ventennio fascista. Ma ad accrescere questa opinione sfavorevole ha contribuito, io credo, recentemente anche l’inchiesta della Commissione degli undici, la quale, se per i casi concreti presi in esame ha dato risultati sodisfacenti – come sempre è sodisfacente il risultato, quando accerta la inesistenza di accuse lanciate contro parlamentari – però, per il modo con cui la Commissione ha funzionato ha dato l’impressione che sotto inchiesta fosse tutta quanta la Camera. Sicché nell’opinione pubblica si è andata diffondendo la convinzione che le accuse, lanciate contro alcuni, colpivano, per la loro indeterminatezza, tutti noi e che proprio per questo non hanno avuto nella relazione della Commissione una risposta esauriente. Tuttavia, il funzionamento della Commissione degli undici ha avuto almeno un risultato favorevole e benefico: quello di dimostrare, direi quasi sul tavolo sperimentale, quali possono essere le vie attraverso cui la corruzione può penetrare nei meccanismi parlamentari. Anche se la Commissione ha accertato che nei casi concreti questo non era avvenuto, l’indagine ha potuto dimostrare come questo potrebbe avvenire; e quindi può essere utile, facendo tesoro di questa esperienza, guardare, per quel poco che possono fare le leggi, là dove soprattutto vale il costume, come si possa chiudere alcuna di queste via di infezione che minacciano l’ordinamento. Il primo comma modifica l’articolo 66 del progetto «I membri del Parlamento ricevono una indennità, fissata dalla legge» in quest’altro testo: «I componenti del Parlamento ricevono una indennità fissata dalla legge, che può essere determinata in misura più alta per coloro che non abbiano altri redditi».

Qui vi è un problema, che riguarda tutti noi: quanta parte della propria attività il deputato deve dare alla esplicazione del mandato parlamentare? Deve dedicarla tutta e inibirsi ogni altro lavoro, o è opportuno che egli continui ad esercitare la sua professione? E nel caso che vi siano deputati, i quali dedicano tutta la loro attività al mandato parlamentare, ed altri che invece ne dedicano soltanto una parte, perché continuano a fare i professionisti, è giusto che l’indennità sia uguale per gli uni che negli altri? Vi sono certe professioni (chi vi parla, è un avvocato e quindi non è persona sospetta, se egli stesso lo dice) per le quali tradizionalmente, si ritiene, anche se non è sempre esatto, che l’esercizio del mandato parlamentare rappresenti un aumento di decoro e quindi di reddito professionale, quasi un complemento naturale della professione; in modo che dall’esercizio del mandato parlamentare, il professionista non solo non ha una perdita, che meriti di essere compensata con indennità, ma in sostanza può alla fine avere un guadagno.

Ma possono esserci casi anche più tipici: di uomini di affari, per i quali il mandato parlamentare costituisce una specie di biglietto d’ingresso ai Ministeri, per ottenere agevolazioni nella conclusione dei loro affari, che non otterrebbero se non fossero deputati.

Si potrebbe arrivare anche alla misura draconiana di vietare ai deputati l’esercizio di qualsiasi altra attività.

Ma non credo che questo sarebbe in sostanza giovevole alle stesse istituzioni parlamentari: che i deputati diventino mestieranti retribuiti della politica, funzionari di partiti che abbiano nell’esercizio del mandato parlamentare la loro professione o il loro mestiere, non credo che questo sia augurabile per innalzare il prestigio delle istituzioni parlamentari. D’altra parte una quantità di professionisti posti dinanzi al bivio tra scegliere la deputazione e la professione, non esiterebbero un istante a scegliere questa seconda via, non soltanto per ragioni di guadagno, ma anche per ragioni più alte, di carattere spirituale, per attaccamento alla propria vocazione e ai propri studi. E così si sottrarrebbero alle Assemblee legislative gli uomini più competenti. Credo per questo che in via migliore sia quella di adottare l’emendamento che ho proposto: se ci sono deputati, parlo soprattutto dei deputati appartenenti a certe categorie di lavoratori, come gli operai, gli impiegati, i contadini, che assumendo il mandato parlamentare vengono necessariamente a dedicare ad esso tuttala loro attività, sia loro conferita una indennità superiore a quella conferita a coloro i quali dal mandato parlamentare ricevono indirettamente un vantaggio professionale, e quindi patrimoniale.

Altri due commi dell’emendamento si riferiscono a quella materia delicatissima degli incarichi conferiti dal Governo o dalle pubbliche amministrazioni a deputati in carica (se non addirittura, come talvolta si è visto a Sottosegretari o a Ministri che fanno parte dello stesso Governo).

Non vi ricorderò come questa sia stata una delle materie più dibattute in seno alla Commissione degli undici e come questo sia in astratto uno degli aspetti che bisogna tener presenti quando si voglia, come vi dicevo, chiudere le vie più pericolose attraverso le quali la corruzione penetra nei meccanismi parlamentari. Divieto assoluto, secondo me, di conferire incarichi pubblici ai deputati in carica: non solo incarichi pubblici di nomina governativa, ma anche incarichi pubblici nelle amministrazioni locali. La formula che vi propongo è questa: «ai componenti del Parlamento non possono essere conferiti incarichi retribuiti, né nell’Amministrazione pubblica centrale o locale, né in Enti pubblici soggetti al controllo dello Stato. L’accettazione di uno di tali incarichi è causa di decadenza dall’ufficio parlamentare».

Possono esservi però casi in cui, in via assolutamente eccezionale, si riconosce che nel Parlamento c’è l’uomo tipicamente competente al quale lo stesso interesse pubblico consiglia di affidare un incarico pubblico retribuito. In questi casi l’ultimo comma dell’emendamento disporrà, se voi lo accetterete, che «solo in caso di pubblica utilità detti incarichi possono essere conferiti per nomina deliberata da ciascuna Camera», (non si intende, per nomina governativa).

LUCIFERO. Chiedo di parlare sull’emendamento dell’onorevole Calamandrei.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Confesso che, quando ho letto l’emendamento dell’onorevole Calamandrei, sono rimasto trasecolato; quando l’ho sentito illustrare ho trasecolato, se era possibile, ancora di più, perché, in verità, io l’emendamento, tra le altre cose, non l’avevo capito quando l’ho letto ed ho finito per non capirlo affatto quando lo ha illustrato l’onorevole Calamandrei. (Commenti).

Ho avuto l’impressione precisa, leggendo l’emendamento e sentendo parlare l’onorevole Calamandrei – e l’impressione è stata più profonda, dato che, come modesto giurista, ho una stima grandissima di quel grande giurista che è l’onorevole Calamandrei – ho avuto l’impressione precisa (l’onorevole Calamandrei mi perdoni) che questo emendamento e la sua illustrazione fossero stati ugualmente dettati da un complesso di inferiorità; da quello stesso complesso di inferiorità che fece prendere a questa Camera la deliberazione affrettata della costituzione di quella Commissione degli undici, alla quale l’onorevole Calamandrei si è riferito; quello stesso complesso di inferiorità per il quale molti, che non avevano nessuna ragione di rispondere a quella Commissione, perché nessuno li aveva messi menomamente in causa, hanno ugualmente risposto; il complesso di inferiorità di chi non trova appagamento nella tranquillità della propria coscienza.

Onorevoli colleghi, va bene che noi siamo di fronte al pubblico, ma noi siamo di fronte al giudizio del pubblico e non a disposizione delle calunnie del pubblico. E noi non facciamo altro che asservirci a qualunque calunniatore ed a qualunque ricattatore che, individualmente o collegialmente, voglia farci paura per ottenere non si sa che cosa o, molto spesso, si sa che cosa; e soprattutto per gettare discredito sugli organi massimi della democrazia, che noi tanto faticosamente stiamo ricostruendo in Italia.

Questo è il complesso di inferiorità contro il quale mi ribello.

Io non sono professionista, onorevole Calamandrei, ma vi dico questo: non voglio un Parlamento di plutocrati, di vagabondi o di stipendiati di partito. Io aspiro ad un Parlamento di uomini liberi, e gli uomini liberi non sono né fra i ricchi, né fra gli stipendiati; perché i ricchi sono servi del loro danaro e gli stipendiati sono servi di chi li paga. E noi abbiamo bisogno di deputati liberi, e questo lo possiamo ottenere solo se questi deputati potranno fare i deputati con serenità di coscienza, senza andare a cercare di essere pagati da qualcuno o da qualche cosa.

Noi escludiamo con questo emendamento tutta questa gente che vive di determinato lavoro e che questo lavoro non può lasciare; noi escludiamo con questo emendamento una quantità di persone che si troverebbero in uno stato di inferiorità. Perché, chi è che va alla Camera a mendicare uno stipendio superiore? Ogni uomo ha il suo decoro. Noi dobbiamo stabilire un criterio paritetico. Credo che il più povero di noi non sarebbe disposto a firmare una domanda che gli assicuri 10 o 15 mila lire al mese di più del suo collega, perché si sentirebbe in uno stato di inferiorità.

Manteniamo quelle che sono le vecchie tradizioni. Non possiamo chiedere a della gente che lavora, che sospenda la propria attività per un periodo di cinque anni, perché quando andrà a riprenderla si troverà che dovrà ricominciare daccapo.

Noi non possiamo dire, come qui è scritto: «Enti pubblici o soggetti al controllo dello Stato». Onorevole Calamandrei, lo dicessi ancora io che sono da questa parte della Camera, che sono un liberale; ma lei è seduto alla sinistra. Voi volete un’economia generale controllata. Dove sarà più l’ente che non sia controllato dallo Stato? Ma se già tutto è controllato dallo Stato! E le banche, e le miniere, e l’agricoltura, e le industrie, e i commerci, e i traffici: tutto è controllato dallo Stato. Ma volete fare la Camera dei vagabondi? Per ognuno, si potrà sollevare l’eccezione. Io credo che dovremmo ricordarci come è sorta l’indennità parlamentare, che non è uno stipendio. E mi permetta la Camera di ricordarlo. Quando il suffragio universale allargò ancora le porte del Parlamento in Italia diventarono più frequenti delle figure che forse non sono illustri come dovrebbero essere illustri, figure soprattutto, di quei banchi (Accenna a sinistra) come l’onorevole Chiesa, come alcuni altri; quei deputati che la sera pigliavano (parlo di Chiesa il socialista) il treno e scendevano a Chiusi per essere di nuovo la mattina a Roma e non pagare una camera d’albergo, che costava due lire; quei deputati che si cuocevano due uova sul davanzale delle finestre della Camera nascondendosi ai commessi che cercavano di richiamarli all’ordine perché sporcavano coi giornali bruciati; quei deputati che molti di voi ricordano e che il pubblico non ricorda più. Ed allora fu stabilitoci dare non uno stipendio, ma una indennità. È vero che lo Statuto, il quale era elastico, diceva che la professione di deputato è gratuita, ma occorre pensare che se effettivamente lo slancio e la passione e l’amor patrio che fanno fare il deputato non possono essere pagati, si può dignitosamente soccorrere alle necessità di un individuo. Oggi abbiamo visto per esperienza che, se vuole veramente compiere il suo dovere, il deputato deve lasciare tutto; quelli di noi che fanno parte di Commissioni lo sanno: sono entrati stamattina alle 9 e usciranno stasera non si sa a che ora, e così per giorni e giorni, e non c’è più professione, non c’è più lavoro. Non dobbiamo fare sperequazioni; non dobbiamo creare fra noi certe differenziazioni che vogliamo distruggere fuori; rifacciamoci alle origini. Purtroppo, o per fortuna, le indennità parlamentari sono tali che non spostano nulla per gli abbienti e che risolvono dei problemi soltanto per i veramente poveri. Ricordiamoci delle origini. Rispettiamo i più poveri; ricordiamoci dei più poveri; rigettiamo l’emendamento dell’onorevole Calamandrei e rimettiamoci a quello che la saggezza ha già istituito e che ha egregiamente funzionato. (Applausi al centro e a destra).

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’onorevole Lucifero ha detto che non aveva compreso l’emendamento dell’onorevole Calamandrei. Io l’ho compreso ed è appunto per questo che debbo fare alcuni rilievi, e non posso accettarlo.

Non mi abbandonerò ai voli che, con la sua giovanile esuberanza, ha fatto l’onorevole Lucifero. Mi limiterò ad osservazioni modeste e concrete. La prima parte dell’articolo aggiuntivo Calamandrei è che la indennità può essere determinata in misura più alta per coloro che non hanno alti redditi. Due semplici osservazioni: la prima è che l’indennità non è uno stipendio, tanto è vero che non è soggetta a ricchezza mobile; è una indennità a rimborso di spese; ne deriva logicamente che dovrebbe essere conferita indipendentemente dalla situazione finanziaria di coloro cui è attribuita. La seconda è che, se andiamo nell’ordine di idee proposto dall’onorevole Calamandrei, dovremmo fare un ufficio di accertamenti delle finanze e dei redditi dei membri del Parlamento, una specie di ufficio imposte, magari con calcolo di bisogni ed assegni famigliari. Spero che l’onorevole Calamandrei si convinca che tutto ciò è praticamente impossibile.

Il secondo comma dell’articolo Calamandrei dice che ai componenti del Parlamento non possono essere conferiti incarichi retribuiti, né nella Amministrazione pubblica centrale o locale, né in Enti pubblici o soggetti al controllo dello Stato senza che portino alla decadenza dall’ufficio parlamentare. Osservo in linea preliminare che, anche se non nelle proporzioni a cui ha accennato un po’ fantasiosamente l’onorevole Lucifero, l’intervento economico dello Stato si è sviluppato largamente; e può convenire che alle gestioni economiche dirette o indirette dello Stato siano chiamati a partecipare anche membri del Parlamento. La dizione usata dall’onorevole Calamandrei è ad ogni modo non precisa; e potrebbe da un lato impedire una nomina per concorso, ad esempio a professore; e dall’altro colpire un semplice incarico, ad esempio di una perizia professionale. Comunque sia, non è accettabile il criterio che ogni e qualunque incarico retribuito porti automaticamente alla decadenza. Il testo costituzionale da noi approvato rinvia alla legge la determinazione dei casi di ineleggibilità e di incompatibilità, e noi – accogliendo un punto di un altro emendamento Calamandrei – abbiamo aggiunto che le Camere giudicano anche delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità. Rinviamo dunque alla legge, che è la sede più opportuna, l’esame e la decisione se e quando nuovi incarichi retribuiti siano da considerarsi fra tali cause. La legge, e lo stesso Regolamento delle Camere, potranno stabilire altre cautele e norme, ad esempio che degli incarichi debba darsi comunicazione alla Camera o al suo Ufficio di Presidenza, e che magari occorra un’autorizzazione. Ma decidere oggi, senz’altro, nella forma drastica che ci è proposta, non mi sembra opportuno. Aggiungo che – tenendo presenti gli scrupoli e gli intenti, che hanno un giusto fondamento, dell’onorevole Calamandrei, di purificare da ogni sospetto la vita pubblica – bisognerebbe anche, nella nuova legge, considerare, se è possibile, i casi di incarichi, ben più rimunerativi di quelli statali, da parte di società ed imprese private.

Infine, per l’ultimo comma dell’articolo Calamandrei, osservo che la formula usata di «nomina da parte della Camera» non può reggere. La Camera può aver comunicazione; può dar autorizzazione; ma che nomini essa è un assurdo. L’altissima coscienza giuridica dall’onorevole Calamandrei lo riconoscerà.

Per queste ragioni non possiamo accogliere il suo articolo.

PRESIDENTE. Onorevole Calamandrei, mantiene il suo emendamento?

CALAMANDREI. Ritiro, dopo le osservazioni dell’onorevole Lucifero, il primo comma, ma sul secondo e sul terzo comma dell’emendamento insisto, e credo che alcuni colleghi proporranno l’appello nominale.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Oltre alla sostanza, non può andare la forma del suo testo, onorevole Calamandrei.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Sono decisamente contrario a tutte le limitazioni all’esplicazione del mandato parlamentare, perché, altrimenti, rischiamo di creare una posizione diversa fra cittadino e cittadino. Questa disposizione potrebbe applicarsi – se venisse approvata – anche ad un assessore comunale, a un sindaco di un Comune, il quale ha un’indennità e non potrebbe più essere sindaco; vi è poi il caso dei professori – non solamente quelli universitari, i quali possono magari svolgere ugualmente il loro compito – ma professori di scuole medie, insegnanti elementari, che hanno pure diritto di poter essere presenti in questa Assemblea.

E poi vi sono numerose altre categorie che hanno qualche incarico, anche pubblico, per cui in sostanza, si vedrebbero a preferire solo coloro che hanno abbracciato la carriera di avvocato e che con la loro qualità di deputati possono domani difendere delle cause importantissime, proprio perché questa carica ha dato loro un lustro particolare.

Anche di fronte a queste considerazioni mi sembra che una proposta di questo genere non sia assolutamente accettabile.

Credo che l’unica sanzione sia quella dell’opinione pubblica, quella del popolo, il quale, se trova che un suo rappresentante non ha agito corrispondentemente alle norme della correttezza e della giustizia, potrà non rieleggerlo. Ci sarà la sanzione popolare, che è l’unica, la vera; saranno gli elettori che non rieleggeranno quei deputati che non hanno fatto come meglio avrebbero potuto e dovuto.

Ora, per queste ragioni, ritengo che questo emendamento non possa essere accolto, e ve lo dico io che non ho nessun incarico e che ho cercato semplicemente di svolgere in questa Assemblea nel modo migliore il mio compito, cercando di essere sempre presente e rinunziando a qualsiasi provento. Io dico che, proprio per questo, è assolutamente necessario non fare alcuna discriminazione fra deputato e deputato, perché rischieremmo di commettere ingiustizie profonde ai danni di qualche categoria di deputati.

Se esaminiamo a fondo la questione, vediamo che vi sono delle situazioni talmente diverse, talmente complicate, che non è possibile mettere una norma di questo genere nella Costituzione.

Ci sarà la legge elettorale e lì potremo meglio specificare e vedere se vi siano da prevedere determinate incompatibilità; ma mettere nella Costituzione una disposizione di questo genere non solamente determinerebbe sperequazioni profonde, ma suonerebbe anche disistima, verso il popolo, in quanto sarebbe come insinuare che esso non arriva a saper scegliere quelli che sono più degni di essere i suoi rappresentanti. (Applausi).

GASPAROTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GASPAROTTO. Dichiaro di votare il testo della Commissione. Riconosco bensì necessario che una legge precisi le incompatibilità parlamentari; riconosco che è opportuno che coloro i quali si presentano come candidati alla deputazione sappiano sino da quel momento di fronte a quali incompatibilità vanno incontro; ma non convengo con l’onorevole Calamandrei che oggi, così affrettatamente, si decida tanto delicata materia che porta a ripercussioni economiche e morali profonde.

Onorevole Calamandrei, la questione è ben più complessa di quel che non si rilevi dal testo del suo emendamento. Io mi limiterò a ricordare – ed è tradizione nobilissima del nostro Parlamento – che nel 1919 la Camera dei Deputati votò all’unanimità un semplice ordine del giorno su proposta di Eugenio Chiesa, con il quale si riteneva incompatibile per i deputati l’esercizio professionale dell’avvocatura nelle cause in cui lo Stato fosse parte o avesse comunque degli interessi.

Ebbene, senza che questo ordine del giorno venisse mai convertito in legge, il Parlamento italiano lo ha sempre scrupolosamente rispettato, fino all’avvento del fascismo. Vi era anzi qualcuno che eccepiva l’incompatibilità generica fra l’esercizio del mandato parlamentare e l’esercizio dell’avvocatura, in quanto – si diceva – che da parte del deputato influente si sarebbe potuto esercitare un’indebita pressione sull’autorità giudiziaria.

Sono argomenti questi, onorevoli colleghi, che vanno trattati con ponderazione e larghezza d’indagini; soprattutto si dove valutare il fatto che non si può limitare eccessivamente l’attività privata del deputato, per evitare il pericolo che egli diventi un mestierante della politica. Si diceva infatti un tempo, che il deputato, prima ancora di entrare in Parlamento, dove essere un cittadino che viva del proprio lavoro come tutti gli altri, tanto vero che l’indennità per un certo tempo non costituiva che un appena parziale rimborso di spese.

Temo che approvando l’emendamento presentato dall’onorevole Calamandrei, si potrebbe rendere il deputato un professionista della politica, e quindi un elemento parassitario nella vita del Paese. Lasciamo quindi impregiudicata la questione della quale si parlerà nella discussione della legge elettorale. Vuol dire che da questa anticipata delibazione dell’argomento la Commissione competente trarrà argomento per presentare più meditate proposte.

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Onorevoli colleghi, io vorrei precisare un argomento formale che è stato delineato anche attraverso la discussione di questa mattina. Questa mattina – l’onorevole Calamandrei era assente, se non erro – noi abbiamo approvato l’articolo 62 in cui è detto che la legge determina i casi di incompatibilità con l’esercizio della funzione di deputato o di senatore. Ora, quanto è sancito nel testo dell’emendamento dell’onorevole Calamandrei si risolve in un caso di decadenza, e io non vedo perché noi questa specifica figura la dobbiamo fissare nella Costituzione, mentre tutte le altre cause di ineleggibilità e di incompatibilità, che possono anche essere gravi, le dobbiamo rinviare alla legge.

Io credo che la legge è la sede opportuna, perché tutte le figure di ineleggibilità e di incompatibilità preventive o successive di decadenza siano previste, anche perché la legge ha una maggiore mobilità della Costituzione. Mentre la Costituzione è qualche cosa che deve, o dovrebbe, restare senza modificazioni più a lungo possibile, la legge subisce le influenze dei tempi, delle visioni politiche che mutano, e quindi può meglio adattarsi alle diverse situazioni. Cosicché quello che diceva l’onorevole Ruini acquista veramente rilievo, perché oggi esiste, si può dire, un controllo dello Stato su tutti gli enti. Infatti, chi ha pratica di cose di diritto, sa quanto è difficile stabilire se ci sia il controllo e la vigilanza, e dove sia questo controllo. Si tratta di questioni molto astruse, perché oggi lo Stato interviene dappertutto, oggi non vi sono limiti alla sfera di ingerenza dell’attività statale nell’attività privata. Qual è oggi l’ente che, in un certo senso, non si possa dire che sia controllato dallo Stato?

Io credo che questi problemi seri e meritevoli di studi profondi, che sono stati sottoposti al nostro esame dalla proposta dell’onorevole Calamandrei, vadano risolti in quella legge speciale che si occuperà delle cause di ineleggibilità e incompatibilità.

BADINI CONFALONIERI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BADINI CONFALONIERI. Io non ho trasecolato come l’amico Lucifero; ho cercato di rendermi conto dei motivi che potevano aver indotto l’onorevole Calamandrei a proporre il suo emendamento. E francamente, pur mettendomi nella sua direzione di pensiero, non sono riuscito a comprendere quella diversità che nella sostanza si sarebbe venuta a creare tra coloro che accettano incarichi statali o parastatali, o come li si voglia chiamare, e coloro i quali accettano incarichi da società private, che non sono i meno lauti e che anzi, il più delle volte, sono i meglio retribuiti.

D’altra parte, devo dire all’onorevole Calamandrei che sono completamente scettico sulla possibilità di fissare attraverso delle disposizioni di legge l’onestà di un Parlamento. Io penso che questa onestà debba vivere nella coscienza degli uomini e che, comunque, la legge è assolutamente insufficiente e assolutamente inidonea a questo fine.

Collimo, poi, con le osservazioni fatte dai precedenti oratori.

Per questi motivi, voterò contro l’emendamento Calamandrei.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Se il collega onorevole Calamandrei avesse conservato il primo emendamento al primo comma, io, in coscienza, per la parte centrale dell’emendamento che comincia dalle parole «Ai componenti del Parlamento» e finisce con «ufficio parlamentare», avrei votato a favore.

Ma dicendosi «‘incarichi retribuiti» a me pare che ciò non significhi includere il caso dei professori universitari, dei professori di liceo o di ginnasio, ecc., perché quelli non sono incarichi. «Incarico», se non mi sbaglio – e il collega onorevole Calamandrei può correggermi – vuol dire tutt’altra cosa. Incarico, secondo me, è per esempio quello di un presidente del consiglio d’amministrazione di una società industriale, o di un consigliere delegato, ecc., ecc.

Mi pare che questo sia il caso dell’incarico. Quindi, in coscienza, io voto a favore di questa parte. Però, non mi pare che sulla questione si debba chiedere l’appello nominale, perché colleghi e amici miei su questo la pensano differentemente e votano quindi in modo differente. Il che mi fa immediatamente comprendere che l’appello nominale non ha più alcun significato.

Perciò vorrei pregare i colleghi, che intendevano su questo chiedere la votazione per appello nominale, di non presentare più tale richiesta.

PRESIDENTE. C’è anche una richiesta di scrutinio segreto, onorevole Lussu!

LUSSU. E pregherei anche i colleghi che hanno presentato questa richiesta di ritirarla.

COLITTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Mi associo ai rilievi fatti dall’onorevole Lucifero e dagli altri colleghi.

Io credo che il deputato abbia due luci che devono illuminargli la vita: la propria coscienza e l’interesse del corpo elettorale. Sono due luci che costituiscono insieme due limiti.

Ora, se questi limiti sono stati rispettati, il deputato è libero di fare quello che egli crede e di assumere incarichi che la sua probità e la sua sensibilità gli permettono di accettare. Ecco le ragioni per le quali io dichiaro di votare contro l’emendamento.

RODI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RODI. Mi associo a quanto ha brillante mente detto l’onorevole Lucifero ed aggiungo che l’onorevole Calamandrei è partito da un presupposto, secondo me, errato, poiché egli ha sostenuto che l’Assemblea Costituente è circondata da un grande discredito.

Ora io affermo invece, che il popolo italiano segue attentamente il nostro lavoro e penso quindi, che la valutazione dell’onorevole Calamandrei sia del tutto soggettiva.

Per questo io voterò contro l’emendamento Calamandrei.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Onorevoli colleghi, mi associo all’osservazione fatta dall’onorevole Bozzi che – in base all’articolo 62, che noi abbiamo già approvato – questa materia dev’essere regolata dalla legge speciale.

Ricordo a me stesso il tenore dell’articolo 62: «la legge determina i casi di ineleggibilità e incompatibilità con l’ufficio di deputato o di senatore».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. E aggiunge: «e le cause sopraggiunte di ineleggibilità e incompatibilità».

TARGETTI. Però, siccome si potrebbe essere d’accordo di rinviare alla legge elettorale, tanto essendo contrari quanto essendo favorevoli ai concetti che hanno ispirato l’emendamento dell’onorevole Calamandrei, per ciò che mi riguarda (e coerentemente a quello che ho avuto occasione di sostenere nei lavori della seconda Sottocommissione), in massima io sono favorevole alle preoccupazioni che ispirano l’emendamento dell’onorevole Calamandrei.

Bisogna tener presente che, di ciò che egli ha detto, nella illustrazione del suo emendamento, non tutto è stato incluso nell’emendamento stesso. A proposito dell’esercizio della professione dell’avvocato, si potrebbe aggiungere anche l’esercizio di qualche altra professione. Anzi vorrei dire che, tolta la professione del medico, quasi tutte le altre professioni offrono vantaggi e facilitazioni a chi le esercita ricoprendo la carica di deputato. E non solo le professioni: ma vi sono tante altre forme di attività sociale, che purtroppo ricevono queste facilitazioni.

Tutti questi problemi però non sono considerati dall’emendamento Calamandrei che riguarda, come i colleghi sanno, dei fatti, delle ipotesi specifiche, le quali, articolate forse in un modo un po’ diverso, non possono non costituire casi di incompatibilità.

Per queste considerazioni io sono d’accordo che non sia questa la sede di regolare questa materia. Tuttavia ho ritenuto opportuno fare queste dichiarazioni e ribadisco che in linea di massima, io sono nell’ordine di idee dell’onorevole Calamandrei.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Ruini di esprimere il parere della Commissione.

RUINI. Presidente della Commissione per la Costituzione. Desidero chiarire che non faccio mie alcune osservazioni che ho sentito echeggiare in questa discussione; che cioè non c’è niente da fare, e non si possono trovare norme per evitare gli inconvenienti accennati dall’onorevole Calamandrei; non c’è che la coscienza, il costume, eccetera. No; riconoscendo che le preoccupazioni dell’onorevole Calamandrei hanno un fondamento giusto e morale, credo che si debbano tener presenti in sede opportuna; e si debba cercare, per quanto è possibile, di trovare norme adatte. Credo che si debbano considerare non solo incarichi dello Stato, ma anche di società ed aziende private. Ma non si può mettere tutto ciò nella Costituzione; tanto meno nella formulazione Calamandrei, che si presta ai rilievi da me già fatti.

Penso che l’onorevole Calamandrei potrebbe tener presenti queste esplicite dichiarazioni del Comitato, fatte proprie dall’Assemblea; ed acconsentire ad un rinvio alla legge ed al Regolamento della Camera.

NITTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Io prego l’Assemblea di mettere fine a questa discussione che è completamente inutile. Il testo dell’articolo è semplice e chiaro: non avrebbe dovuto dar luogo ad alcuna discussione. Esso dice soltanto, che i membri del Parlamento ricevono una indennità fissata dalla legge. È questa una disposizione così chiara e così semplice che non meritava tutta questa dissertazione.

Di che discutiamo? Di cose assurde. I membri del Parlamento hanno diversa situazione: devono ricevere diverse indennità. Vi pare serio? E quale Parlamento mai ha discusso su questo?

Tutto al più può essere materia di regolamento, o di leggi speciali. Ma non si può in questa materia decidere in blocco con una disposizione costituzionale. Il fatto che i membri del Parlamento possono avere altre cariche non costituisce materia per le norme della Costituzione.

I membri del Parlamento possono avere altri uffici? In quale misura? Con quali limiti? Se ne discuterà in sede opportuna. Qui basta affermare che i membri del Parlamento hanno diritto ad una indennità. E finiamola con le assurde differenziazioni, come la differenziazione di tessera per il pane.

Credete che sia semplice discutere queste cose? Volete che non lo Stato, non il Governo, ma il nostro Parlamento decida, se si può, caso per caso. Mettiamo fine a queste discussioni che ci hanno fatto perdere gran parte della seduta e che, potete esserne sicuri, nessuno di noi prevedeva, perché l’articolo era così semplice e la questione così chiara che non meritava veramente la perdita di tanto tempo.

Prego, quindi, l’Assemblea di votare l’articolo come è stato proposto dalla Commissione. Le questioni singole le vedremo caso per caso, quando si tratterà dei vari argomenti.

PRESIDENTE. Onorevole Calamandrei, le domando se mantiene il suo emendamento.

CALAMANDREI. Onorevole Presidente, io vorrei chiarire ai colleghi (dolendomi che l’onorevole Nitti mi abbia mosso un rimprovero per aver fatto perdere tempo all’Assemblea, mentre credo che nelle mie abitudini non ci sia l’uso di farlo perdere troppo spesso… In ogni seduta noi siamo lieti di ascoltare i lunghi discorsi dell’onorevole Nitti; ma quasi in nessuna seduta l’Assemblea deve perdere tempo con l’ascoltare i discorsi tanto meno autorevoli di colui che qui vi parla) vorrei spiegare, ripeto, ai colleghi che nel secondo comma del mio emendamento è contenuto un concetto che potrà essere discutibile ma che è chiaro; perché, mentre la posizione degli impiegati che diventano deputati, ed il divieto fatto a questi impiegati di conseguire promozioni o incarichi nel loro impiego mentre sono deputati, è materia di un altro articolo che si trova già nel progetto della Commissione, questo mio emendamento mira a prevenire ed a vietare quell’inconveniente del quale sembra che oggi gli oratori di questa Camera siano ignari, mentre si tratta proprio di quell’inconveniente sul quale è stata ordinata da questa Assemblea un’inchiesta generale, e la Commissione degli Undici ha lungamente indagato, con un lavoro di statistica su schede che tutti noi abbiamo dovuto riempire, che è durato molti mesi. Si trattava allora, come ricorderete, di accertare quali sono i deputati che hanno incarichi pubblici retribuiti di nomina governativa: come può essere quello di commissario o di sequestratario di un ente parastatale, o di presidente di un istituto bancario, o qualsiasi altro di questa natura qualunque ne sia la denominazione. Proprio su questi incarichi la Commissione degli Undici fu invitata a indagare: non si tratta dunque di materia nuova e misteriosa.

Ora, onorevoli colleghi, quando il Governo è chiamato, in casi come quelli su cui la Commissione degli Undici indagò, a nominare alcuno ad un pubblico ufficio ed invece di nominare una persona qualificata per i suoi requisiti tecnici, nomina un uomo politico del proprio partito, si può pensare che i criteri che hanno guidato il Governo a questa nomina siano stati criteri non tecnici, come avrebbero dovuto essere, ma politici; e questo è un motivo di corruzione parlamentare, perché può portare a mettere ai posti di comando non gli uomini tecnicamente più degni, ma quelli più graditi al partito che in quel momento è al Governo; e altresì perché in questo modo il mandato parlamentare, in coloro che sperano di trarre un lucro appunto dal conseguire questi incarichi, rischia di degenerare in una specie di caccia a questi incarichi: sicché può temersi che il deputato svolga la sua attività politica non in conformità degli interessi pubblici, ma in vista della possibilità di conseguire questi incarichi lucrosi.

Tutto questo, onorevoli colleghi, sarà un linguaggio ingenuo, ma è un linguaggio chiaro, perché proprio su questo fu chiamata a indagare la Commissione degli Undici formata da voi; e se con questo mio emendamento si cerca di prevenire che si ripetano per l’avvenire inconvenienti simili a quelli su cui la Commissione degli Undici fu chiamata a indagare, mi pare che non ci sia da meravigliarsi… Quindi io mantengo il secondo e il terzo comma del mio emendamento. Non tengo a che su di esso si voti per appello nominale. Si può votare per alzata e seduta; e se in questa votazione per alzata e seduta l’unico ad alzarsi sarò io, non mi avrò a male se voi mi darete dell’ingenuo; ma io stasera andrò a casa con la coscienza tranquilla.

PRESIDENTE. Poiché l’onorevole Calamandrei ha rinunciato al primo comma del suo emendamento, possiamo votare il testo della Commissione. Gli altri due commi dell’emendamento Calamandrei si devono considerare come emendamenti aggiuntivi al testo della Commissione.

Pongo in votazione l’articolo 66 nel testo della Commissione:

«I membri del Parlamento ricevono una indennità fissata dalla legge».

(È approvato).

Sopra i due commi aggiuntivi dell’onorevole Calamandrei ho ricevuto una richiesta di scrutinio segreto a firma degli onorevoli, Meda, Corbino, Candela, Castelli Avolio, Rodinò Mario, Codacci Pisanelli, Caronia, Siles, Orlando Camillo, Romano, Dominedò, Quarello, Balduzzi, Valenti, Avanzini e altri. Domando se è mantenuta.

CODACCI PISANELLI. La ritiriamo.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Sottopongo a lei, signor Presidente, questo problema. Siccome io ed altri colleghi abbiamo fatto la proposta di rimandare la soluzione di questa questione alla legge elettorale, non crede lei che sia opportuno interrogare prima l’Assemblea su questo punto?

GASPAROTTO. Siamo tutti d’accordo.

PRESIDENTE. Coloro che saranno incaricati di redigere la legge elettorale avranno senz’altro facoltà, se lo ritengono opportuno, di riprendere il concetto e di immetterlo. Non so se è nella sua intenzione che una decisione dell’Assemblea divenga impegnativa per la Commissione per la legge elettorale. Lei propone che l’Assemblea deliberi di rimettere questa formulazione alla Commissione che esaminerà la legge elettorale; ma con una tale votazione l’Assemblea impegna la Commissione della legge elettorale a includerla.

TARGETTI. Impegno me stesso, ma non Assemblea.

PRESIDENTE. I componenti della Commissione per la legge elettorale sono presenti nell’Aula e terranno conto della discussione di questo argomento e dei pareri espressi.

TARGETTI. Lo scopo della mia proposta sarebbe questo: portare l’Assemblea ad affermare che la materia non è di competenza della Carta costituzionale, ma dev’essere regolata dalla legge elettorale.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. A nome del Gruppo comunista dichiaro che, se avessimo la certezza che nella legge elettorale sarebbe incluso questo principio, noi voteremmo a favore del rinvio.

Ma, poiché il modo come si pone la questione non dà questa certezza, noi voteremo a favore dell’emendamento Calamandrei. (Commenti).

PRESIDENTE. Ritengo che, poiché l’emendamento Calamandrei è presentato e l’Assemblea ne è investita, questa debba votare. Successivamente, nella ipotesi che l’Assemblea non approvasse in sede costituzionale il testo dell’onorevole Calamandrei, c’è sempre la possibilità di invitare la Commissione per la legge elettorale ad esaminare se non sia materia eventualmente della legge elettorale.

COSATTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSATTINI. La proposta fatta dagli onorevoli Gasparotto, Targetti ed altri ha una vera portata sospensiva nella decisione.

PRESIDENTE. Non l’hanno formulata come tale.

COSATTINI. Ho detto che ha portata sospensiva, perché una volta che l’Assemblea decidesse di rimettere la questione alla Commissione per la legge elettorale, essa non avrebbe più ragione di continuare la discussione.

BADINI CONFALONIERI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BADINI CONFALONIERI. Desidero fare osservare all’onorevole Targetti che la sua proposta è stata già votata ed accettata, perché noi abbiamo votato l’unico comma dell’articolo 66, il quale prevede proprio il rinvio alla legge elettorale: «I membri del Parlamento ricevono una indennità fissata dalla legge». Siamo tutti d’accordo che la legge dovrà fissare ed eventualmente dovrà o no limitare l’indennità.

Noi chiediamo con la reiezione dell’emendamento Calamandrei che questa discussione non avvenga, demandando al legislatore di quella tale legge, alla quale ci richiamiamo, di decidere come meglio riterrà opportuno.

PRESIDENTE. Mi permetto di richiamare l’attenzione dell’onorevole Cosattini sulla disposizione regolamentare, la quale esclude che si possa proporre la sospensiva per gli emendamenti.

Quindi la proposta di sospensiva non può essere accolta.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Data la delicatezza dell’argomento, ritengo che si debba votare a scrutinio segreto.

PRESIDENTE. Comunico che è stata presentata una domanda di votazione a scrutinio segreto dagli onorevoli: Lucifero, Rodi, De Maria, De Martino, Di Fausto, Benedettini Raimondi, Codacci Pisanelli, Montini, Pecorari, Rapelli, Delli Castelli Filomena, Colitto, Burato, Perugi, Capua, De Unterrichter Maria, Genua, Sullo, Buonocore.

Precisiamo allora cosa votiamo e come si vota. Dobbiamo procedere alla votazione per scrutinio segreto dei due commi aggiuntivi all’articolo 66 proposti dall’onorevole Calamandrei di cui do lettura:

«Ai componenti del Parlamento non possono essere conferiti incarichi retribuiti, né nella Amministrazione pubblica centrale o locale, né in enti pubblici o soggetti al controllo dello Stato; l’accettazione di uno di tali incarichi è causa di decadenza dall’ufficio parlamentare.

«Solo in caso di pubblica utilità detti incarichi possono essere conferiti per nomina deliberata da ciascuna Camera».

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la votazione.

Presidenza del vicepresidente CONTI

(Segue la votazione).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione e invito gli onorevoli segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Presidenza del Presidente TERRACINI

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione segreta:

Presenti e votanti     292

Maggioranza           147

Voti favorevoli        125

Voti contrari                        167

(L’Assemblea non approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Adonnino – Aldisio – Ambrosini – Amendola – Andreotti – Angelucci – Arata – Arcaini – Arcangeli – Assennato – Avanzini – Azzi.

Bacciconi – Balduzzi – Baracco – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basso – Bastianetto – Bei Adele– Bellusci – Belotti – Benedetti – Benedettini – Benvenuti – Bergamini – Bernamonti – Bertola – Bertone – Bettiol – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Bitossi – Bocconi – Boldrini – Bonino – Bonomi Paolo Bordon – Bosco Lucarelli – Bosi – Bovetti – Bozzi – Braschi – Buffoni Francesco – Bulloni Pietro – Burato.

Cacciatore – Calamandrei – Camangi – Canevari – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Capua – Carbonari – Carboni Angelo – Caristia – Caronia – Carratelli – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Castiglia – Cavallari – Cavalli – Cavallotti – Cerreti – Chatrian – Chiarini – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Conci Elisabetta – Conti – Coppi Alessandro – Corbi – Cosattini – Costa – Costantini – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo.

D’Amico – D’Aragona – De Caro Gerardo – De Gasperi – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Mercurio – De Michele Luigi – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Di Giovanni – Dominedò – Dozza.

Ermini.

Fabbri – Facchinetti – Fanfani – Fantoni – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Federici Maria – Ferrarese – Ferrario Celestino – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Firrao – Fornara – Franceschini – Froggio – Fuschini.

Gabrieli – Galati – Gasparotto – Gavina – Gervasi – Geuna – Ghislandi – Giacchero – Giacometti – Giolitti – Giordani – Gotelli Angela – Grassi – Grazi Enrico – Grieco – Guariento – Guerrieri Filippo – Gullo Fausto.

Jervolino.

Labriola – Laconi – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Lazzati – Leone Giovanni – Li Causi – Lizier – Lizzadri – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo – Lombardo Ivan Matteo – Longo – Lozza – Lucifero – Lussu.

Macrelli – Maffi – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Malvestiti – Mannironi – Marazza – Mariani Enrico – Martinelli – Marzarotto – Mastino Gesumino – Mattarella – Mazza – Mazzei – Meda Luigi – Merlin Angelina – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molè – Monterisi – Monticelli – Montini – Morandi – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati – Mùrdaca – Murgia – Musolino.

Nasi – Negro – Nicotra Maria – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Noce Teresa – Notarianni – Novella – Numeroso.

Pacciardi – Pajetta Gian Carlo – Pallastrelli – Paolucci – Paratore – Pastore Raffaele – Pat – Pecorari – Pella – Perassi – Perlingieri – Perugi – Pesenti – Piccioni – Pieri Gino – Pignedoli – Pistoia – Ponti – Preti – Preziosi – Priolo – Proia – Pucci.

Quarello.

Raimondi – Rapelli – Ravagnan – Reale Eugenio – Riccio Stefano – Rodi – Rodinò Ugo – Romano – Romita – Roselli – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Roveda – Ruggeri Luigi – Ruini – Rumor.

Saccenti – Salizzoni – Sampietro – Sansone – Santi – Sartor – Scalfaro – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Segni – Sicignano – Siles – Silipo – Simonini – Spallicci – Spataro – Stampacchia – Sullo Fiorentino.

Targetti – Taviani – Tega – Terranova – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Togni – Tonello – Tonetti – Tosi – Trimarchi – Tripepi –Tupini.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Vanoni – Vernocchi Veroni – Vicentini – Vigna – Villani.

Zaccagnini – Zuccarini.

Sono in congedo:

Angelini.

Carmagnola – Caporali – Caroleo – Caso – Cevolotto.

Dugoni.

Jacini.

Martino Enrico – Martino Gaetano.

Pera – Perrone Capano – Porzio.

Russo Perez.

Sapienza – Sardiello.

Per un comizio elettorale nei pressi di Montecitorio.

PAJETTA GIANCARLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PAJETTA GIANCARLO. Domando scusa all’onorevole Presidente e agli onorevoli colleghi se chiedo di parlare non sull’argomento che voi state trattando in questo momento. Ma, mentre qui si vuole fondare la Repubblica, a cento, a cinquanta metri di qui le forze di polizia di un Governo, che dovrebbe essere il Governo della Repubblica, stanno proteggendo i banditi, gli assassini dei nostri fratelli, dei delinquenti, che hanno gridato in faccia a me e in faccia ai vostri colleghi: «Viva i repubblichini! Viva i tedeschi! Viva il duce!».

Qui vi sono dei deputati che dovrebbero sentire lo sdegno per questo fatto che oltraggia il Parlamento italiano e Roma, capitale della Repubblica! Qui vi sono dei membri del Governo, e tra essi vedo l’onorevole Andreotti che è molto vicino al Presidente del Consiglio, i quali dovrebbero vergognarsi della condotta di questi rinnegati e delle forze di polizia. Uscite di qui! Venite con noi, membri del Governo! Andate a vedere! Qui non si tratta di una inchiesta parlamentare, non si tratta di mandare sul luogo un Sottosegretario o un Ministro! Potete vedere voi stessi i vostri poliziotti all’opera, i vostri poliziotti che dovrebbero essere gli agenti della Repubblica!

Vi sono centinaia di uomini che hanno tentato di percuoterci e di insultarci, gridando il nome dei fascisti, il nome di Mussolini. Io e i deputati antifascisti abbiamo gridato che Mussolini l’abbiamo impiccato a Piazza Loreto. (Vivi applausi a sinistra).

L’Italia non è soltanto quella del Governo della tolleranza e della complicità, di un Governo che sta diventando il Governo della vergogna! L’Italia è l’Italia di coloro che hanno vinto il fascismo e se voi non sapete fare altro, toglietevi di mezzo, se non sapete impedire che il fascismo ritorni a Roma e in tutta l’Italia. (Vivissimi applausi – Si grida: Abbasso il fascismo!).

SANSONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SANSONE. Aderisco alle parole di protesta e di sdegno dell’onorevole Pajetta, sicuro di interpretare l’opinione del gruppo parlamentare del partito socialista italiano. Qui, a cinquanta passi da Montecitorio, si è suonata la marcia reale e si sono suonati tutti gli inni fascisti.

BENEDETTINI. Che c’entra la marcia reale con gli inni fascisti? (Vivissime proteste – Rumori a sinistra).

PRESIDENTE. Facciano silenzio! Onorevole Benedettini, non si dimentichi che questa è l’Assemblea Costituente della Repubblica italiana e che, se nella Repubblica italiana ogni parere ed ogni opinione politica rispettosi delle leggi costituite hanno il diritto di manifestarsi, non bisogna tuttavia trarne la conseguenza che si possa dimenticare ciò che è costata al popolo italiano la conquista della Repubblica. (Vivissimi, prolungati applausi – Si grida: Viva la Repubblica!).

Io vorrei che anch’ella si rendesse conto di ciò che è compatibile nel quadro della nuova realtà repubblicana e di ciò che non è ammissibile. La sua veemente protesta di poco fa, per esempio non era la più opportuna in questo momento.

Onorevole Sansone, continui pure.

SANSONE. Io dicevo che il comizio del cosiddetto M.S.I. si è iniziato poc’anzi al suono della marcia reale e di tutti gli inni fascisti, mentre la polizia è rimasta impavida a guardare ed a sentire. È logico che tale comportamento ha provocato delle reazioni, delle proteste, cui hanno preso parte anche i colleghi Amendola e Pajetta: ebbene, la polizia ha manganellato coloro che protestavano. (Rumori prolungati).

PRESIDENTE. Lascino parlare l’onorevole Sansone.

SANSONE. Questa è la situazione che ho potuta constatare io, con altri, un quarto d’ora fa.

E tuttora il comizio continua con una forma di irrisione alla Repubblica, alle libertà democratiche. È un partito, onorevoli colleghi, che ha come suo immediato programma politico questo motto: «Ripulire il Campidoglio, per poi ripulire Montecitorio», nel che si esprime una profonda offesa per la democrazia.

E voi siete silenziosi, mentre l’offesa incalza per tutti. (Interruzioni – Rumori).

E mi sia consentito dire all’Assemblea che non dovrebbero esservi divisioni tra noi, ma invece un’unione dell’Assemblea contro questo che è un serio pericolo per la democrazia italiana. (Interruzioni al centro).

Perciò io dicevo che dovremmo essere tutti in piedi a protestare contro questa manifestazione pericolosa.

Chiedo, signor Presidente, che il Governo, qui presente, dia delle assicurazioni all’Assemblea. Che il Presidente del Consiglio assicuri che il Ministro dell’interno vieterà queste manifestazioni, che non sono manifestazioni di libertà democratiche conquistate, ma sono invece l’espressione di chi per venti anni ha irriso al Parlamento, ha irriso e calpestate tutte le libertà, e ora si vuole valere di questi mezzi per ripristinare il fascismo.

Questa protesta io elevo a nome del Gruppo del partito socialista italiano, e attendo le assicurazioni del Governo. (Vivi applausi a sinistra).

DE GASPERI, Presidente del Consiglio. dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Mi sono informato dei fatti a cui si è accennato. Sono passato dieci minuti fa, facendo il solito giro per venire all’Assemblea, e non mi ero accorto che di grida molto lontane. (Commenti a sinistra). Questo, dieci minuti o un quarto d’ora fa. Ad ogni modo, sono intervenuto subito presso il Ministro dell’interno, domandando spiegazioni perché e come si possano tenere comizi di qualsiasi specie (e ne dirò la qualità) nelle vicinanze immediate dell’Assemblea. Il Ministro dell’interno non era informato. (Interruzioni – Commenti a sinistra).

Una voce a sinistra. Tutti i muri di Roma sono tappezzati di manifesti che indicono il comizio.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Poco fa, quando mi avete visto, dopo una breve presenza, scomparire, sono stato chiamato al telefono dal Ministro dell’interno, il quale mi ha detto che era un comizio non autorizzato assolutamente… (Interruzioni a sinistra – Rumori – Commenti).

Disgraziatamente, negli ultimi giorni prima delle elezioni, questi comizi non autorizzati sono improvvisati spesso in molte piazze. (Proteste e interruzioni all’estrema sinistra).

PRESIDENTE. Facciano silenzio, per favore, onorevoli colleghi. Se hanno qualche cosa da dire chiedano di parlare.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Aggiungo che il Ministro dell’interno ha dato subito l’ordine alla polizia di sciogliere il comizio e di impedire a tutti i costi che specialmente nelle vicinanze della Camera si improvvisino comizi di qualsiasi specie. (Approvazioni al centro – Rumori – Commenti a sinistra). Aggiungo che solo ora ho avuto notizia – e credo che me ne avete informato voi direttamente – che vi sono state delle grida, chiamiamole pure, di carattere sovversivo, se sono dirette contro la Repubblica, e di carattere provocatorio, se riprendono certi toni e certe canzoni del passato che non hanno diritto di esistere, non perché siano una opinione (perché tutte le opinioni sono rispettabili) ma perché sono una provocazione. (Applausi).

Aggiungo che, salva sempre la libertà di ogni partito e di ogni movimento per quello che è sostanziale e compatibile con la democrazia, il Governo sente il dovere di difendere, se sarà necessario, la democrazia, la libertà, la Repubblica, e che lo farà con tutti i mezzi a sua disposizione!

Aggiungo che, secondo la mia opinione (e non so se mi sbaglio), la certezza e la sicurezza di queste istituzioni, passate ormai nel sangue e nella convinzione del popolo italiano, sono tali che io credo esagerato l’allarme che si dà. (Vivi applausi al centro).

In ogni modo, l’ordine è stato dato come se il pericolo veramente esistesse. Ma io credo che, se noi su questo siamo d’accordo, di rispettare la libertà di tutti e di non usare la violenza (perché disgraziatamente non è solo qui che è stata usata la violenza, che non dev’essere usata contro nessun partito), se veramente questa legge fondamentale della democrazia si incarna nei nostri metodi e nella nostra coscienza, la Repubblica in Italia non ha niente da temere e la democrazia siamo disposti a difenderla con qualunque mezzo e; soprattutto, siamo disposti a difendere la libertà e la dignità del Parlamento. (Vivissimi applausi al centro – Commenti).

BENEDETTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BENEDETTINI. Signor Presidente, io volevo semplicemente fare un chiarimento a seguito del richiamo che ella mi ha fatto.

Io non ho difeso né voglio difendere quelli che stanno qui fuori offendendo il sentimento di italiani che hanno sofferto.

Io voglio fare una precisazione. Siccome ho inteso dire che si è suonata la marcia reale insieme ad inni fascisti, tengo a dichiarare che non permetterò mai che qui dentro si confonda ancora una volta la propaganda monarchica con quella neofascista. (Interruzioni a sinistra).

Noi monarchici abbiamo fatto e stiamo facendo comizi, in base a quelle libertà democratiche che ce li hanno consentiti, per sostenere una nostra ideologia che non ha nulla a che vedere con quello che sta facendo il Movimento sociale italiano, che fra l’altro è un movimento repubblichino. (Commenti).

LACONI. Signor Presidente, in questo istante la polizia carica i deputati sulla piazza, i deputati che rivendicano il diritto di gridare «Viva la Repubblica»! Il Governo che cosa fa? (Rumori al centro – Interruzioni).

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. È da molti anni che noi lottiamo per la libertà, e la bandiera intorno alla quale noi tutti ci siamo riuniti portava scritto: libertà per tutti, non per i fascisti. Oggi voi avete tradito questa formula. (Approvazioni a sinistra – Rumori vivissimi – Proteste al centro).

Quando parliamo di fascisti non intendiamo dire gli ex fascisti che oggi vogliono manifestare una opinione politica in un partito qualsiasi, ma parliamo di coloro che si presentano oggi come fascisti e che rivendicano il fascismo.

Ora, in queste condizioni, quando un deputato sulla soglia di Montecitorio lancia il grido: «Viva la Repubblica!» e la polizia interviene per impedirglielo, noi vi diciamo… (Interruzioni al centro).

Io voglio richiamare l’attenzione dell’Assemblea…

Una voce al centro. Onorevole Presidente, voglia richiamare il pubblico delle tribune che sta interpellando i deputati.

PRESIDENTE. Ha ragione. Non me ne ero accorto. Rammento al pubblico delle tribune che non deve assolutamente intervenire in ciò che avviene nell’Aula, altrimenti faccio sgombrare le tribune.

Onorevole Scoccimarro prosegua.

SCOCCIMARRO. Io ricordo che una molteplicità di episodi sono andati susseguendosi in questi ultimi tempi. Dopo la bomba di Milano c’è quella di Genova e di altre città dove si sono compiuti attentati contro le organizzazioni democratiche. Si tratta di episodi che si ripetono a periodi sempre più brevi e che rispondono ad un piano organizzato.

Non è per noi soli, onorevoli colleghi, che parliamo, ma anche per voi: il giorno che le nostre organizzazioni venissero distrutte, verrebbero poi distrutte anche le vostre.

Ora io desidero fare una dichiarazione, e prego l’onorevole Presidente del Consiglio di non ritenere che le parole che io pronuncerò in questo momento siano dovute ad un atto impulsivo od a contingente esagitatone d’animo: contro le forze democratiche si va creando piano piano una situazione assai pericolosa. Se le forze dello Stato non si dimostrano capaci di tutelare la nostra libertà, noi vi provvederemo direttamente con nostri mezzi. (Vivissimi applausi a sinistra – Rumori vivissimi al centro e a destra – Interruzioni).

Vi sono momenti che impongono di assumere responsabilità dirette, e noi ce le assumiamo. (Commenti al centro).

Voci a destra. Ma questo argomento non è all’ordine del giorno!

PRESIDENTE. Onorevoli deputati, dal momento che il Presidente del Consiglio dei Ministri ha accettato di rispondere in questa questione, ritengo che la loro osservazione sia assolutamente inopportuna, ed è questa la ragione per la quale prego l’Assemblea di continuare ordinatamente questa discussione.

SCHIRATTI. Se non erro, l’ordine del giorno lo modifica l’Assemblea. Questo per Regolamento.

SCOCCIMARRO. Io desidero richiamare l’attenzione del Governo su un fatto. Noi tutti abbiamo fatto l’esperienza degli anni dal 1920 al 1922 e noi sappiamo che un Governo, il quale oggi si pone nella stessa posizione in cui si posero i governi di quel tempo, non può tutelare la libertà contro l’azione fascista: anche se non lo vuole obiettivamente, esso aiuta lo sviluppo del fascismo. Voi state commettendo gli stessi errori del 1922. Io non posso credere che volontariamente l’onorevole De Gasperi voglia aiutare il fascismo, ma di fatto la sua politica porta a questo risultato. Quando da un errore passato non si trae nessun insegnamento per l’avvenire, allora le responsabilità diventano ancora maggiori. Noi dobbiamo protestare e richiamare il Governo al suo dovere di far rispettare la legge. Onorevoli colleghi, che garanzia può dare alla Repubblica una polizia che si comporta come si è comportata ora la Celere dinanzi a Montecitorio? Che garanzia può dare una polizia che difende chi canta gli inni fascisti ed interviene contro chi grida «Viva la Repubblica, Viva la Democrazia»? Una polizia così diretta, così ispirata non può dare nessuna garanzia a tutela delle libertà democratiche. Ora si dice: noi difenderemo la Repubblica e la democrazia. Ma voi la difendete in modo tale da non dare nessuna garanzia, perché lasciate la possibilità… (Rumori al centro).

Tenga presente il Governo che tutelare la libertà vuol dire dare garanzia alle forze democratiche, che non si lascia via libera al fascismo, come si fa oggi. Quando l’azione dello Stato, l’azione del Governo è quella che è stata oggi in Piazza Montecitorio, allora, signori, può anche avvenire che dovremo provvedere noi stessi a difendere Montecitorio! (Approvazioni a sinistra – Rumori al centro – Commenti).

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Io ho creduto di compiere un dovere sostanziale del Governo, al di là di quello che possa essere l’ordine del giorno, rispondendo. Comunque, ho risposto guardando la sostanza delle cose, ed ho creduto mio dovere di rispondere su quel tanto che mi era noto, e per quel tanto che è nei propositi e nel programma del Governo. Evidentemente non possiamo in questa sede e per questo incidente allargare più oltre la discussione. Però devo constatare:

1°) non è stato dato il permesso al comizio. Il comizio si è improvvisato, si è fatto all’improvviso come disgraziatamente avviene spesso;

2°) il comizio è stato sciolto. Mi si annuncia adesso che dinanzi a Montecitorio non c’è nessuno, perché il relativamente esiguo numero va scomparendo da Piazza Colonna. Quindi non aumentiamo le proporzioni del fatto. Il fatto è deplorevole, e lo deploro. Ho dato assicurazioni, che corrispondono al mio sentimento, al mio proposito sia riguardo alla libertà democratica sia alla Repubblica; non posso credere che ci sia un deputato, per quanto autorevole, che sia autorizzato a dedurre da questo incidente o da un contegno di un Governo che ha cercato sempre di mantenere la disciplina, il diritto di difendere con le armi, eventualmente, la propria causa. (Vivi applausi al centro e a destra – Commenti).

Questo era il linguaggio anche del 1918 e del 1922, di altri che venivano da sinistra e che hanno usato simili mezzi che non possiamo tollerare. (Applausi al centro e a destra).

Aggiungo che se saranno accertati degli errori o delle colpe da parte dell’Autorità di pubblica sicurezza, verrà proceduto sul serio a difesa della democrazia e della Repubblica; e vi prego non di usare parole che lascino intendere che si possa ritornare ad una qualsiasi forma di guerra civile, ma di unirvi con me con un senso di unità repubblicana nella quale c’è l’unità della Nazione. Non bisogna lasciar credere né all’interno né all’estero che ci sia un Governo che permette che l’ordine pubblico venga difeso da una parte contro l’altra. (Vivi applausi al centro – Commenti).

Vi prego di prendere atto di questo fatto; di ridurre le proporzioni dell’incidente a quelle che sono; ma di prendere atto soprattutto dei nostri propositi, del nostro programma, del nostro sentimento, che in questo è unito a voi quando si tratta di difendere le istituzioni, ma che non può assolutamente concedere che una parte, per rappresaglia, si ritenga in diritto di difenderle per conto suo. (Vivissimi applausi al centro e a destra – Commenti).

CONTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONTI. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, l’annuncio che ci ha dato il collega Pajetta poco fa non poteva non essere sentito profondamente da me. Credo di essere un repubblicano fedele alla Repubblica. Mi sono preoccupato delle sue gravi parole. Ho atteso che il Governo rispondesse. Ho seguito i colleghi sulla Piazza Montecitorio per accertarmi della realtà di questo fatto: che sulla Piazza Montecitorio si caricassero dalla polizia i deputati. Sono stato sulla Piazza; ho visto soltanto questo spettacolo: che a Piazza Colonna le jeeps e la polizia caricavano la folla, evidentemente folla riottosa e rivoltosa. Non ho osservato con i miei occhi, che vedono bene, il caricamento dei deputati in Piazza Montecitorio, dove sono pochissime persone.

FARALLI. È intervenuta la polizia!

LI CAUSI. Parli Pacciardi!

CONTI. Ho voluto accertarmi, signor Presidente e onorevoli colleghi, perché io voglio avere la tranquillità che la polizia della Repubblica difende la Repubblica. Io mi rifiuto di allineare preventivamente la polizia tra coloro che combattono la Repubblica con scopi che non voglio indagare. (Approvazioni al centro). Ho la certezza che la polizia risponderà al suo dovere, ho la certezza che chi la dirige ha animo repubblicano. Voglio dire questa parola, che è una testimonianza: il capo della polizia, Ferrari, è un repubblicano dalla giovinezza.

PAJETTA GIANCARLO. È un inetto.

Una voce al centro. Andrà lei al suo posto. (Rumori a sinistra).

CONTI. Onorevoli colleghi, io affermo che con certi sistemi, che non sono abbastanza considerati, noi stiamo per creare una situazione simile a quella del 1922. (Interruzioni e rumori a sinistra – Approvazioni al centro).

Dico, signori, che nel 1922, prima e dopo, ho visto tanti che volevano difendere la libertà, la democrazia, tante altre cose, i quali al momento buono non furono più con noi e con voi. (Rumori a sinistra).

PAJETTA GIANCARLO. Non si indirizzi da questa parte!

Una voce al centro. Siete intolleranti; non amate la libertà e la democrazia. (Vivi rumori all’estrema sinistra).

CONTI. Io ero qui.

Una voce all’estrema sinistra. Al Tribunale Speciale c’eravamo noi, lei no.

CONTI. Io nel 1922 ero qui. (Interruzioni – Rumori a sinistra).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, suppongo che coloro che poco fa hanno commesso atti ignominiosi all’esterno di questo palazzo, sarebbero piuttosto lieti se sapessero che questa discussione, che dovrebbe svolgersi seria e piena di significato, procede invece in questo modo tumultuoso.

È assolutamente impossibile di fronte a troppi di loro dire una parola ponderata e serena. Prosegua, onorevole Conti.

CONTI. Voglio continuare a dire una parola ponderata e serena, onorevole Presidente, e prego i colleghi di ascoltarmi e di riflettere insieme con me. Nel 1922 io ero qui…

TONELLO. Anch’io ero qui! (Vivi rumori al centro e a destra).

CONTI. …ed il 17 novembre del 1922, il giorno dopo il discorso sferzante di Mussolini, quel discorso che altri deputati hanno ricevuto sulla faccia, io ho parlato contro il dittatore e gli dissi parole che mi onorano, gli dissi parole che erano il presagio di queste giornate. Dissi che egli preparava la Repubblica; dissi che io l’avrei fatta anche col diavolo. Con queste parole chiusi il mio discorso.

Ed ora sono qui, cari colleghi, a difendere questo «cencio di Repubblica» (Proteste a sinistra) che gli italiani cominciano ad amare, cominciano a sentire, questa Repubblica che convincerà tutti i dubbiosi perché sarà veramente la consacrazione della libertà e della democrazia, perché sarà la Repubblica che costituirà l’ambiente per tutte le grandi riforme sociali che dovremo serenamente volere per l’avvenire d’Italia. (Approvazioni al centro e a destra). Se noi, in questi momenti, per ragioni che non voglio stabilire, per moventi che dovrebbero essere repressi nello spirito di rivoluzionari e di riformatori veri, se in questo momento si crede che con un episodio o con un altro si possa modificare o migliorare od alterare la situazione politica attuale, io dico a coloro che lo pensano (Vivi rumori all’estrema sinistra) o lo possono pensare, io dico…

Voci all’estrema sinistra. Voi fate sempre il processo alle intenzioni!

CONTI. …io dico: «Amici, pensate seriamente all’avvenire del Paese; difendiamo la Repubblica non creando od immaginando come pericolosi avversari quattro scalzacani che non fanno né caldo né freddo. (Applausi al centro e a destra – Vivi rumori a sinistra).

SCOCCIMARRO. Il fascismo non passa più!

ALDISIO. I fascismi non passano più! (Approvazioni – Rumori – Interruzione del deputato Li Causi).

CONTI. Noi non dobbiamo, colleghi, amici, valorizzare questi movimenti dando ad essi un’importanza eccessiva…

LI CAUSI. Lei è in errore! Lei è in errore!

CONTI. Caro Li Causi, non si difende la Repubblica con le leggi che ci ha presentato il Ministro Grassi. Dichiaro fin da ora che io voterò contro quelle leggi. Con le manette, con le carceri e con il filo spinato non si difende la Repubblica: non facciamo ridere (Vivi rumori all’estrema sinistra); la Repubblica si consoliderà con le grandi riforme, assicurando la libertà e la democrazia, creando nel Paese un’atmosfera di moralità che ispiri il popolo ad amare la nostra Repubblica. (Vivi applausi al centro e a destra – Rumori all’estrema sinistra – Commenti).

LI CAUSI. La metteranno in galera, prima delle riforme! (Rumori al centro e a destra – Commenti).

MANZINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MANZINI. Le mie parole sono in gran parte rese superflue dalle nobili, equilibrate espressioni dell’onorevole Conti. Ma, avendo assistito alle manifestazioni di piazza, che avevano qui un riflesso sproporzionato alla loro gravità, desidero dare due testimonianze. La prima è questa: la fase risolutiva, che è stata rapidissima, è avvenuta in modo da non lasciare alcun dubbio sulla volontà energica, direi perfino esuberante della polizia. E l’episodio, qui denunciato, di deputati coinvolti nell’azione repressiva, si spiega benissimo, perché la polizia si è letteralmente scagliata sulla folla, sia in Piazza Colonna, sia davanti a Montecitorio, dove i deputati erano commisti alla folla e non si poteva distinguere quali essi erano. (Approvazioni – Interruzioni a sinistra). Dico in Piazza Colonna e davanti a Montecitorio, tanto è vero, che ho ammirato l’energia dell’onorevole Pajetta che si è gettato energicamente in mezzo al conflitto.

Ma un’altra considerazione, che mi sembra più importante e che si riallaccia alle nobili parole dell’onorevole Conti (io non intendo minimamente sottovalutare il peso politico e la gravità dell’episodio politico di questa sera) è lo stato d’animo dei dimostranti e degli improvvisati comiziaiuoli. Erano dei fascisti. Però, mentre da un lato rilevo la rapidità con cui l’episodio è stato liquidato, e mentre aggiungo che certo anche i piccoli sintomi devono essere tenuti nel più sensibile conto, tuttavia aggiungo che nel clima in cui questa manifestazione si è svolta, cioè alla vigilia di una grande manifestazione elettorale in cui Roma ha visto un centinaio di comizi con centinaia di migliaia di dimostranti, che si trovino due o trecento giovani, che per suggestione o per ignoranza si buttano ad una manifestazione di questo genere, è cosa deplorevole, ma che non merita di essere trattata con tanto accento di gravità nell’Assemblea Costituente italiana, perché domani ne avremo una risonanza in tutto il Paese, come se Annibale fosse alle porte, ed il fascismo fosse qui per risorgere. Lo stesso onorevole Scoccimarro ha drammatizzato dicendo: «difenderemo noi, con le nostre forze, il Parlamento». Io credo che mentre da un lato sia giusto – e mi associo – che il Governo in questo sia strettamente vigilante, e credo che lo è, tuttavia non dobbiamo fare un po’ il gioco di questa parte, perché anche recentemente tutti i giornali italiani hanno riportato che venti-trenta fascisti sono stati trovati a Roma cantando, ecc. ecc., dimodoché l’opinione pubblica ha l’impressione che si trovi già di fronte ad una forza in atto. Il che è una propaganda a rovescio.

Io credo che noi, nella nostra coscienza democratica e nella nostra coscienza di libertà, possiamo associarci alla parola dell’onorevole Conti, certi che sarà con la nostra opera, con il nostro esempio di libertà, di concordia, di profonda rinnovazione di clima morale, soprattutto della realtà sociale del nostro Paese, che rafforzeremo la Repubblica e vedremo fugata questa larva che ancora si agita dinanzi a noi, come la nebbia del mattino di fronte alla pienezza del sole meridiano. (Vivi applausi al centro e a destra – Commenti).

MAFFI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAFFI. Non avrei chiesto la parola se non si fosse verificato l’intervento di un cosiddetto repubblicano. (Si ride).

CONTI. Lui lo sa che sono repubblicano; lo sa tutta Roma che sono repubblicano; lo so io soprattutto.

MAFFI. Lo sa lui. Questa è la convinzione, il comportamento di tutti gli egocentrici. Ad ogni modo, onorevole Conti, non è col sottovalutare la sgherraglia che si fa opera contro la sgherraglia. (Rumori – Proteste al centro e a destra).

MANZINI. Sgherraglia!

MAFFI. Sgherraglia, sì, perché tutti gli sgherri sono stati al servizio di qualcuno che li muove.

CHIEFFI. Vorrebbe la polizia di parte!

MAFFI. Chiamateli sgherri, o come volete. Parlo di fascisti; l’avete capito benissimo; e per qualche cosa fate finta di non capire, perché non ho visto in quei banchi la reazione morale e politica che ogni uomo dovrebbe attendersi da cosiddetti democratici e cosiddetti cristiani. (Rumori – Proteste al centro). Dico il pensiero di uno che ha vissuto (e come!) il periodo prefascista, e fascista: non lo so soltanto io, onorevole Conti, lo sanno anche altri. La caratteristica di quel periodo, del periodo prefascista è stata quella di Governi o deboli, o che hanno voluto essere deboli, e che hanno preparato coscientemente o incoscientemente il fascismo e l’hanno condotto fino alle porte di Roma. E se i partiti non sono stati sufficientemente coscienti di questo pericolo, (Interruzione a destra) oggi l’esperienza politica ci ha insegnato a non ripetere più la malaugurata frase: «bisogna avere il coraggio della viltà». Quella frase, l’esperienza politica poi fatta cadere nel vuoto, nell’assoluta inefficienza. Bisogna avere il coraggio cosciente di una organizzazione consapevole contro il pericolo che si presenta, e bisogna avere questo coraggio agli inizi del pericolo, seppure siamo agli inizi. Noi non abbiamo una concezione così astratta del fascismo; sappiamo che il fascismo è un gioco organizzato da interessi antiproletari; lo sappiamo e vogliamo che il proletariato con sangue freddo, con calma, ma con decisione si prepari a resistere. I Governi sanno quale è il loro compito, e se non lo sanno lo imparino, perché ne va di mezzo la vita del Paese, la tranquillità del Paese, il vivere o il precipitare dei Governi.

La storia che ci ha dato un quarto di secolo di ammaestramenti, non si conclude con la indifferenza di uomini che vengono qui a farci testimonianze positive su dati puramente negativi, perché essi non hanno visto ciò che sì era svolto, mentre qui abbiamo le testimonianze positive di uomini che hanno visto lo svolgimento di questo quadro episodico che s’intona ad una preparazione effettiva.

È stato qui attestato da molti che hanno visto come si sono svolti gli incidenti di Piazza Colonna e di Piazza Montecitorio. Non basta venire qui a dire: «non ho visto e perciò nego». Questo è un modo insulso di ragionare. (Proteste al centro).

Insulso vuol dire «senza sale». Ebbene, signori, non vi è nulla di provocatorio, quando si dice che si deve provvedere in modo che non si ripeta ciò. È proprio antiprovocatorio, è proprio la negazione della provocazione, è un monito che lanciamo a voi, se siete teneri della concordia della pace e del rafforzamento della Repubblica! (Applausi a sinistra – Commenti).

LACONI. Chiedo di parlare. (Commenti al centro e a destra – Interruzione del deputato Uberti).

PRESIDENTE. Ne ha facoltà,

LACONI. È una cosa troppo seria, perché l’Assemblea si stanchi! Sono entrato in quest’Aula, onorevole Uberti, e mi sono rivolto al Presidente dell’Assemblea e non al Governo, perché non ricordavo nemmeno in quell’istante che ci fosse un Governo! Poco prima, onorevoli colleghi, sulla piazza che sta di fronte alla nostra Assemblea, ho visto violare quelle libertà e denigrare quelle istituzioni che dovrebbero essere care a noi tutti. (Commenti animati). E se vi è stata cosa che mi ha colpito entrando in quest’Aula è stato il vedere l’Assemblea divisa e sentire voci e accenti diversi dall’una e dall’altra parte della Camera! Ognuno vuol parlare su fatti che solo pochi conoscono. Manzini non ha visto nulla; Conti non ha visto niente. Forse pensavano che i deputati sarebbero rimasti a farsi caricare dalla polizia, fino a quando essi non son venuti a controllare con i loro occhi? Eravamo in gruppo Pesenti, Faralli ed io. Faralli per primo ha gridato: viva la Repubblica! E Pesenti lo secondò. Allora la polizia venne da noi e ci affrontò, nonostante che Pesenti dichiarasse agli agenti che noi eravamo deputati al Parlamento e che eravamo nel pieno diritto di fare echeggiare di fronte ai fascisti il grido di: «Viva la Repubblica!» (Interruzioni del deputato Chieffi – Commenti).

Ho trovato Giordani che mi diceva: «È una cosa incredibile!». Noi avevamo sentito la più vergognosa esaltazione del fascismo, la più sfacciata denigrazione della democrazia.

Non l’ho contro quei giovani che acclamavano; sono giovani che non comprendono quello che fanno. Ma l’ho contro di voi, che non comprendete quale enorme pericolo si celi dietro tutto ciò. I poliziotti hanno agito in un determinato modo, così come è loro stato ordinato; sta bene. Ma il Governo cosa fa? Non ha pensato cosa significhi consentire una manifestazione fascista dinanzi alla sede dell’Assemblea?! (Rumori al centro – Applausi a sinistra).

Da tre giorni erano esposti i manifesti per tutta Roma annunzianti questo comizio. Da tre giorni dunque il Ministero dell’interno sa che è annunziato il comizio e non conosce chi debba parlare. E anch’io tuttora non so chi abbia parlato, celato com’era l’oratore alla vista degli ascoltatori. (Rumori al centro).

Io non chiedo che siate solidali con me, perché so bene che siete i sostenitori del Governo; ma vorrei che almeno solidarizzaste con me per quanto riguarda l’invito al Governo a far sì che una cosa simile non si ripeta. Che almeno si punisca l’oratore che ha esaltato il fascino del fascismo e si stabiliscano delle norme che impediscano che fatti simili si ripetano, almeno sotto i nostri occhi. (Rumori al centro – Applausi a sinistra).

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Onorevoli colleghi, io non intendo per nulla drammatizzare su questo miserabile episodio, anche se tutti i colleghi che sono stati in quest’Aula circa venticinque anni fa – compreso lei, Presidente De Gasperi – qualche lieve diritto, tenue diritto a drammatizzare pur lo avrebbero. E non penso neppure che sia il caso di ripetere la nostra critica all’azione generale del Governo che si è esaurita con il voto di fiducia di alcuni giorni fa. Io stesso quel che avevo da dire l’ho detto allora e non ho nulla da aggiungere.

Ma è il fatto specifico, localizzato, che ci interessa, il fatto di cui ho sentito riferire qui dai colleghi e, in particolare, dall’onorevole Questore, collega Priolo, che, a giudizio di tutti, non è un uomo di parte: è un gentiluomo.

Io ho sentito, come gli altri colleghi, quello che è avvenuto in piazza Montecitorio.

Sta, dunque, di fatto questo: che in Piazza del Parlamento, mentre l’Assemblea siede, si possono riunire, convocati da differenti parti, automezzi e gregari per una manifestazione fascista. Io credo che nessuno possa mettere in dubbio che questa miserabile manifestazione è stata fascista. E questa è una cosa seria. Perciò molti fra di noi – credo tutti – vorremmo sapere chi ha autorizzato questa manifestazione.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Ma l’ho detto che nessuno l’ha autorizzata. (Commenti a sinistra).

Una voce a sinistra. Da tre giorni ci sono i manifesti per le strade!

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, lascino parlare!

SANSONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Mi permetto di dichiarare che in questa discussione non do la facoltà di parlare per la seconda volta a nessun deputato.

Onorevole Lussu, continui.

LUSSU. In un periodo elettorale, come l’attuale, autorizzazioni preventive non sono strettamente necessarie. Ma è da ritenere che in genere, come misura di precauzione, il Viminale dovesse costantemente vigilare nei dintorni del Parlamento. (Interruzioni al centro).

Io chiedo quali provvedimenti si intendano prendere, quali provvedimenti domani saranno stati presi contro tutti quei miserabili che sono scesi in Piazza Montecitorio a rinnovare i canti della follia che tutto ha distrutto?

Desidererei che il Governo ci comunicasse provvedimenti specifici.

E un’altra cosa è certa: che mentre tutto questo miserabile scandalo avveniva in Piazza Montecitorio, noi non ne eravamo informati. Il Presidente di questa Assemblea non ne sapeva nulla, e neppure il Ministro dell’interno. E allora, in coscienza, sento il bisogno di chiedere quali provvedimenti sono stati presi contro i capi di quella polizia che aveva la responsabilità dell’ordine. (Approvazioni a sinistra – Commenti).

Veda, onorevole Gonella, veda onorevole Grassi, forse è un «tic» nervoso, involontario, ma io li ho visti sorridere. Ebbene, qui non è proprio il caso di ridere e neppure di sorridere.

Io non credo neppure che questo sia un motivo per piangere; ma dico che questo avvenimento ci obbliga ad essere seri.

Onorevole Presidente del Consiglio, lei era qui ventisei anni fa; sa che cosa è stato il fascismo, perché ha pagato di persona; lei sa che ventisei anni fa, quei deputati che intendevano difendere l’espressione della sovranità popolare e la propria dignità, erano obbligati ad entrare qui, nel palazzo di Montecitorio, con la pistola in tasca! Saremmo obbligati a ripetere ancora questo gesto di legittima difesa? È il Presidente del Consiglio che me lo deve dire!

Permetta, caro amico Conti, nella foga con cui si improvvisa, nei voli oratori, lei ha detto (e ciò non rappresentava certo l’intimo del suo pensiero!) «questo cencio di Repubblica». Ebbene, caro Conti, onorevoli colleghi tutti, questo non è un cencio di Repubblica, questa è una grande bandiera! (Vivissimi, generali, prolungati applausi – Interruzione del deputato Conti).

PRESIDENTE. Onorevole Conti, la prego, non interrompa.

Onorevole Lussu, le sarei grato se si avviasse alla conclusione.

LUSSU. Poiché mi interrompe sono obbligato a risponderle, vecchio e caro amico Conti. Non basta esser sicuri che il Ministro dell’interno è repubblicano e che repubblicano è il capo della polizia! Facta era un liberale, non un fascista; e non era fascista, ma liberale il Ministro dell’interno dell’epoca.

CONTI. Ma allora c’era Vittorio Emanuele III.

LUSSU. Caro Conti, mi lasci finire. Io dicevo, prima che lei mi interrompesse, che la Repubblica è una grande bandiera, fatta sacra e cara col sangue e col sacrificio del popolo italiano. (Vivi applausi).

LA MALFA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA. Vorrei riferire ai colleghi con molta semplicità i fatti ai quali ho assistito.

Mentre ero qui a Montecitorio, alcuni amici mi hanno chiamato per dirmi che in Piazza Colonna si stava svolgendo una manifestazione con canti fasciati ed esaltazioni del fascismo. Con diversi altri colleghi, sono uscito per andare a vedere di che si trattava.

In effetti abbiamo udito un linguaggio talmente provocatorio, ripugnante, che ci ha ricordato molte cose, moltissime cose del passato. Sentire nella più importante piazza di Roma tutto questo, dopo qualche anno dalla fine del fascismo, mi ha impressionato!

Non ho assistito alla discussione che si è finora svolta. Affermo però che, finché il comizio è durato, non ho notato un comportamento scorretto della polizia; essa nel corso del comizio ha cercato di evitare incidenti individuali. Quando venne finalmente l’ordine di scioglimento, la polizia intervenne energicamente. Naturalmente ributtò indietro deputati e non deputati, ma nell’oscurità questo poteva avvenire.

Il punto fondamentale, per me, è che la manifestazione fosse sciolta. Ed ecco dove sorge una responsabilità politica di Governo. Comizi del genere vanno controllati fin dal primo momento!

È giusto ed è doveroso rispettare tutte le libertà democratiche. Ma non appena in un comizio si fa il minimo accenno apologetico al fascismo la polizia deve intervenire. L’altro giorno il Ministro Scelba diceva di tutelare l’autorità del Governo vietando manifesti lesivi di tale autorità. Quanto è avvenuto al comizio è ancora più grave. Come è possibile star lì a sentire per mezz’ora, per tre quarti d’ora, l’apologia del fascismo senza che la polizia intervenga? Io riferisco cose che ho sentito. La polizia quando ha ricevuto l’ordine è intervenuta ed anche con energia, ma dopo mezz’ora, e questo non è ammissibile. (Applausi).

Devo dire francamente: c’è una questione pregiudiziale che va risolta. Senza di che ciascuno è indotto a risolvere la questione come può, come l’ho risolta io: le ho date e le ho prese! (Applausi).

Se qualcuno pensa che siamo noi a dover decidere, andiamo pure a decidere, dovunque.

C’è una legge chiara: il fascismo in Italia non deve più esistere. Credo che, nonostante la violenza delle nostre polemiche, nessuno di noi – anche se siamo divisi – spingerebbe la polemica al di là di certi limiti. Perché c’è qualcosa che ancora ci lega. Noi abbiamo un rispetto reciproco che deriva dalla concezione democratica. Ebbene, ho avuto l’impressione che, nell’incidente di piazza che deploriamo, tutta la democrazia fosse colpita.

Una voce al centro. Esagerato!

LA MALFA. No, non voglio drammatizzare. Sono avvenuti dei semplici scontri. Ma quando si arriva a questo punto c’è da domandarsi: qual è il limite di questa situazione? Il Governo deve avere questa preoccupazione. Non si può consentire che si scenda su questo terreno, e se si consente che qualcuno vi arrivi ed abbia successo, le conseguenze saranno ovvie. (Applausi a sinistra).

MAZZONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAZZONI. Se l’emozione non ha totalmente abolito i diritti della cronaca, io che sono stato con parecchi colleghi qui presenti – il collega che mi ha preceduto c’era anche lui – in mezzo al tumulto, dal principio alla fine, sento il dovere di dire una parola serena, che risponda ai fatti che ho visto.

Non cadrò nello sproposito in cui sono cadute le frazioni estreme nel 1919: lasciarsi trascinare nella bocca del lupo, dire sempre male della polizia, perché questo sarebbe ingiusto e oltre tutto scioccamente pericoloso. (Interruzioni).

Qui serenamente posso dire che la polizia l’ho vista manovrare, che ho visto anche arrestare parecchie persone; uomini e donne che gridavano, per esempio: Viva il duce! Viva il fascismo! Io li ho visti portar via, con i miei occhi.

LI CAUSI. Dopo un’ora!

MAZZONI. Sentite, io ammetto che si facciano questioni di opinione, ma la gente che dice che io sono cieco non la conosco e non l’ammetto.

Ora, a un certo punto, dopo un frastuono di inferno e dopo anche la nostra reazione (perché noi eravamo dieci o dodici ed abbiamo modestamente reagito) dopo tre quarti d’ora la polizia si è decisa ad un atto energico e fece lavorare le camionette. È un miracolo se io sono qui perché c’è mancato poco che non fossi andato a finire sotto una camionetta. Ma se io avessi perduto una gamba, non avrei assolutamente il diritto di dire che la polizia porta via le gambe ai rappresentanti del Parlamento. (Si ride). È avvenuto un serra serra generale; prima s’è sgombrata Piazza Colonna e poi, siccome la folla si riversava negli imbocchi, la polizia ha continuato la sua azione. Questa è la verità onesta e precisa, come io l’ho vista.

La filosofia che deriva da questo avvenimento è però un’altra. Io intendo la libertà repubblicana fino alle sue estreme conseguenze. I monarchici facciano la loro propaganda monarchica. Non ho niente da dire. Ma quando in un comizio si cantano gli inni fascisti, si grida «bombe a mano», si invoca Mussolini, allora io dico che quella è apologia di reato. (Applausi generali).

Ed allora non facciamo della burocrazia e del protocollo circa il permesso, che c’è stato o non c’è stato. Bisogna che da ora in poi – mi pare che sia domanda onesta e democratica – il Governo precisi esattamente la casistica di queste dimostrazioni e che la polizia sia preventivamente avvertita e non sia costretta ad intervenire solo dopo un’ora.

Bisogna che la polizia sappia fin dal principio che bisogna lasciare la più ampia libertà in questo Paese che non ha paura di sentire le verità più scottanti. Ma quando ci sono scellerati che fanno l’apologia di ciò che ha assassinato il nostro Paese, il capo della polizia deve dare ordine di scioglimento dei comizi perché quella non è più libertà, ma apologia di reato. (Vivi applausi).

PRIOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PRIOLO. Mi associo a quanto hanno detto i colleghi che mi hanno preceduto, e più particolarmente agli onorevoli Sansone, Lussu, La Malfa e Mazzoni.

Debbo lealmente riconoscere che la polizia, quando ricevette gli ordini, ha fatto il suo dovere e sciolse immediatamente l’ignobile adunata, che insozzava il centro di Roma.

Né, a quanto mi consta (si noti che intervenni solo in un momento successivo), la polizia assalì i deputati, perché, e mi è testimonio il compagno onorevole Faralli, allorché io, declinando la mia qualifica, arrestai le camionette, che muovevano verso piazza Montecitorio, e resi noto agli agenti che in piazza vi erano i membri della Costituente, non trovai opposizione ed insistenza.

Però qui il problema è un altro. L’onorevole Presidente del Consiglio dice che il comizio non era autorizzato (veramente centinaia di manifesti ne davano fin dal mattino l’annuncio); ma allora non bisognava consentire che avesse avuto inizio e quel che è peggio svolgimento per circa quaranta minuti con discorsi, che inneggiavano a Mussolini ed al fascismo e con canti blasfemi, che rievocavano i pugnali e le bombe a mano di infausta memoria. Da ciò il legittimo risentimento di cittadini e di alcuni membri della Costituente contro i quali si rivolse l’ira minacciosa dei dimostranti del M.S.I.

Vi è da domandarsi a questo punto non cosa facessero gli agenti, poveri e bravi figliuoli, che giustamente attendevano gli ordini del superiore, ma cosa invece pensasse e facesse il funzionario (non so veramente chi sia) preposto al servizio, e cosa aspettasse per porre termine a discorsi provocatori, che oltre al resto costituivano apologia di reato. Debbo amaramente supporre che traesse motivo di compiacimento da quanto veniva gridato sulla piazza e che in maniera assai diversa si sarebbe comportato, ove si fosse trattato di un comizio mancante di autorizzazione, fatto però da operai o da contadini. (Applausi a sinistra – Commenti).

È stato necessario che l’eco della manifestazione di marca prettamente fascista giungesse in quest’Aula perché il Presidente del Consiglio si decidesse a telefonare al Ministro Scelba, solo allora il funzionario di servizio, richiamato al dovere, diede gli ordini e il comizio prontamente venne sciolto.

Non sopravalutiamo il fatto, va bene, ma santo Dio, non lo svalutiamo neppure! È così che si comincia e poi non si sa dove si finisce.

Poco fa io dicevo a quattr’occhi all’onorevole Grassi, Ministro di grazia e giustizia: ecco le conseguenze dell’eccessiva indulgenza, che viene purtroppo scambiata per debolezza, anzi per paura: è così che si comincia e poi piano piano si torna al 1923, al 1924, al 1925 con quello che segue…

Io vorrei ricordare all’onorevole De Gasperi le riunioni segrete di quel tempo in una saletta del ristorante dei «Tre re», oggi scomparso (particolari vivi nella mia memoria: il suo alto colletto bianco e la sua parola decisiva e dura); dobbiamo tornare a quei tempi?

Avevo trent’anni ed i capelli neri, ora li ho grigi, se poi giro lo sguardo su questi banchi trovo pochi, pochissimi deputati di quel periodo funesto. E mi domando: gli altri? Gli altri morti, morti ammazzati, morti nelle galere od in esilio!

E che davvero l’esperienza del passato non debba ammonirci! In pericolo le nostre vite in questo Palazzo, maggiormente in pericolo fuori di qui.

La sera accompagnavo Filippo Turati a Campo Marzio, nella stanzetta modesta dove egli dormiva, pronto a fargli scudo del mio corpo se un bandito avesse cercato recargli offesa. Un certo giorno, il cui ricordo mi rattrista ancora, gli volevo dare una rivoltella, egli mi disse che non sapeva maneggiarla e che comunque non l’avrebbe mai usata e la rifiutò. Un’altra rivoltella diedi all’onorevole Labriola, non me la restituì più, ma non è per richiedergliela che io ricordo ciò, ma per rendere noto ai colleghi ignari ed ai sorridenti dalle braccia conserte la situazione amara nella quale ci trovavamo allora. In quest’Aula e nei corridoi di questo palazzo lampeggiavano l’odio e le minacce di morte: necessità quindi di armarci per difenderci; dobbiamo tornare a quei tempi?

Indulgenza sì, tolleranza sì, libertà sì, ma non per coloro, che vogliono ancora assassinare la libertà, mortificare la Nazione, ridurci nuovamente in catene: perché allora sappiate colleghi che De Gasperi, Togliatti e Corbino non saranno più impiccati soltanto in effige, cosa questa di nessun rilievo, ma lo saranno davvero.

Ed io avrei voluto vedere scattare in un impeto di indignazione e di protesta tutti voi colleghi presenti in questa Assemblea (Commenti); perché si può e si deve contrastare ed anche vivacemente fra di noi – nel civile contrasto è la vita – ma, quando a cinquanta metri da questo Palazzo una masnada di cialtroni urla contro il Parlamento ed inneggia al duce, bisogna che unanime sia la protesta, e decisa l’intenzione di porre legalmente riparo a tanto scempio. (Applausi a sinistra). Mi è perciò profondamente doluto vedere su taluni banchi della destra ed anche del centro dei colleghi seduti, a braccia conserte, indifferenti, sorridere, anzi ridere, di fronte all’indignata protesta di grandissima parte dell’Assemblea. (Applausi – Commenti).

Il nostro appello abbia perciò un’eco profonda ed ammonisca il Governo a vigilare, ed ove occorra, ad intervenire energicamente in difesa della libertà, della democrazia e della Repubblica. (Vivissimi, prolungati applausi a sinistra).

PACCIARDI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PACCIARDI. Devo anzitutto sottolineare il consenso del mio Gruppo e mio alle conclusioni cui sono pervenuti gli ultimi oratori. In realtà, io sono arrivato tardi in Piazza Colonna insieme con altri colleghi, anche comunisti, dei quali invoco la testimonianza per dire che intorno al nostro gruppo di deputati la polizia ha fatto il suo dovere. Non ho nessuna ragione di mettere in dubbio la parola di altri deputati verso i quali invece la polizia non si sarebbe comportata correttamente. Ma non è questo il problema. Quando siamo arrivati nella piazza, siamo veramente rimasti tutti indignati. Ci pareva di rivivere le giornate macabre del 1919 e del 1920, quando si era in piena gazzarra fascista, in piena gazzarra d’insulti.

Vi riferirò che intorno a me un gruppo di fascisti facinorosi che mi ha riconosciuto ha detto: «Quello è Pacciardi: bisogna ammazzarlo». È una indegnità che si possano permettere delle reminiscenze di questo genere. Siamo rimasti indignati; ma questo è il risultato, in fondo, di una situazione alla quale non siamo giunti per caso. Abbiamo permesso che gli stessi insulti lanciatici oggi da quei giovinastri ci vengano lanciati insieme con l’apologia del fascismo da tutti i giornali fascisti risorgenti, senza dire una parola: questi insulti di «venduto» e di «sciacallo» quotidianamente vengono pubblicati dai giornali fascisti, nella olimpica indifferenza del Ministro dell’interno.

Un appunto sereno e sincero desidero fare al Governo, che non può ignorare i precedenti di questa manifestazione. Non da oggi nelle vie centrali e nelle piazze di Roma si cantano gli inni fascisti e si formano cortei fascisti, indisturbati dalla polizia.

È evidente – e mi associo alle deplorazioni dei colleghi – che quando c’è un’apologia di reato in atto, cioè una contravvenzione alla legge, la polizia non deve avere bisogno di domandare il permesso al Governo per intervenire. Essa deve intervenire automaticamente. Se non interviene, è segno che il Governo non ha dato l’ordine preventivo di intervento. Perché, laddove il Governo dà l’ordine, la polizia obbedisce, come ha obbedito in questa occasione.

Onorevole Presidente del Consiglio, noi che viviamo – e ce ne gloriamo – di reminiscenze repubblicane, dobbiamo ricordare la consegna che alla Repubblica romana dava Mazzini. Il suo Governo – diceva – in quelle occasioni deve essere conciliatore ed energico. Mi pare che tutti siamo stati conciliatori. La amnistia è un atto di conciliazione verso coloro che davano segni di ravvedimento e mostravano resipiscenza, dimenticando il passato. Tutti quanti abbiamo invocato questa riconciliazione nazionale nelle istituzioni repubblicane, nella casa comune, che diventava di tutti gli italiani con la instaurazione della Repubblica. Ma contro coloro che, malgrado questi sentimenti di conciliazione espressi da tutti i partiti, hanno continuato pervicacemente non solo a sognare, ma a tentare di ricreare il fascismo, contro costoro non più conciliazione occorre, ma energia, ed energia spietata. Bisogna stroncare la testa a questo fascismo risorgente. Questa è la consegna che bisogna dare. (Vivi applausi a sinistra).

PAJETTA GIAN CARLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Non avendo dato all’onorevole Sansone la facoltà di parlare una seconda volta, ella deve comprendere, onorevole Pajetta, che non posso concedere tale facoltà neppure a lei.

PAJETTA GIAN CARLO. Non comprendo, ma non insisto.

AMENDOLA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

AMENDOLA. Non parlerei, se non sentissi il bisogno di precisare, come i colleghi hanno fatto, che il contegno degli agenti di polizia è stato esemplare. Quando essi si sono trovati di fronte a casi flagranti di fascisti isolati che provocavano ed insultavano, hanno agito subito. Deploriamo il contegno non dei singoli agenti di polizia, ma del vice questore, che era sul posto; e, sopra di lui, c’è la responsabilità del capo della polizia e del Ministro dell’interno.

Il comizio era da più giorni conosciuto, anche per i numerosi manifesti che tappezzavano il Corso del Popolo. Infatti, in Piazza Colonna vi era un forte schieramento di polizia. Il comizio è cominciato alle ore 18 con atti provocatori fascisti e col canto degli inni del passato regime. Quando mi sono trovato di fronte a queste manifestazioni, che hanno offeso i nostri sentimenti e determinato il nostro legittimo sdegno di vedere una piazza di Roma insozzata da simile canaglia, ho chiesto al vice questore di intervenire immediatamente di fronte a così flagrante violazione della legge. Invece, il vice questore ha creduto di dover aspettare gli ordini. Siamo tornati a Montecitorio e abbiamo dovuto fare appello al Governo, ed aspettare così quaranta minuti, perché l’ordine venisse dato. Per quaranta minuti la manifestazione è continuata alle porte del Palazzo di Montecitorio.

Non è, dunque, agli agenti della Celere che deve andare il nostro rimprovero; anzi a questo reparto va il nostro plauso. (Approvazioni). Io sono sicuro che gli agenti della Celere, da buoni italiani, faranno sempre il loro dovere; ma io non posso avere e non ho la stessa fiducia in coloro che sono al comando di queste forze e che dovrebbero assicurarci che esse siano impegnate nella difesa delle istituzioni repubblicane. In quest’Aula si sono rievocati poco fa dei ricordi; sia permesso anche a me, onorevole Conti, di rievocare alcuni ricordi…

LUSSU. Viva Amendola! (L’Assemblea in piedi applaude lungamente inneggiando a Giovanni Amendola).

CARONIA. Viva Giovanni Amendola!

AMENDOLA. Ebbene, ricordo che nel 1922, 1923 e 1924, i parenti dei deputati dell’opposizione erano all’uscita del Palazzo di Montecitorio; tutti noi li aspettavamo al termine della seduta con trepidazione perché sapevamo che la salute dei nostri cari era in pericolo, perché sulla piazza di Montecitorio erano in permanenza gruppi di fascisti armati che cercavano così di esercitare una pressione intimidatrice sopra i deputati dell’opposizione. Io ricordo anche, onorevole De Gasperi, di averla veduta uscire, insieme con mio padre, dalla porta che dà su via della Missione e cercare di sfuggire all’agguato delle camicie nere fasciste. Noi non vogliamo che questi tempi tornino. Non è per permettere alla canaglia fascista di manifestare davanti a Montecitorio che abbiamo per venti anni combattuto. Non è per questo che sono caduti i figli migliori del popolo italiano. Io credo che non sia drammatizzare oltremodo l’incidente arrivare a conclusioni di questo genere. Ciò deve servire di ammonimento: non è a caso che sono venuti a Piazza Colonna a manifestare. Essi preparano altre manifestazioni e, se noi non intervenissimo oggi, seguirebbero ben più gravi episodi.

Ma noi siamo ben decisi ad intervenire. Siamo intervenuti oggi in questa sede, con il diritto che ci deriva dal mandato conferitoci dal popolo italiano. Siamo intervenuti oggi e interverremo in questa sede e fuori di questa sede perché, onorevole De Gasperi, anche questo è un ricordo di lontani anni, ci ricordiamo della capitolazione di quei Governi che avevano il dovere di difendere le libertà democratiche e che invece aprirono la strada al fascismo. Noi non permetteremo che simili cose si ripetano. Io ricordo la giornata tragica del 28 ottobre in cui il Governo che aveva il dovere d’intervenire non intervenne e vidi mio padre piangere di vergogna. Ma, in caso di carenza del Governo e di capitolazione di fronte ad attacchi fascisti, c’è oggi nel popolo italiano la volontà di far fronte con i suoi mezzi a qualunque minaccia. Ed io mi associo alle dichiarazioni dell’onorevole Scoccimarro: il popolo italiano ha la forza per spezzare ogni attacco fascista e per intervenire efficacemente di fronte ad un Governo che protegge simili canaglie e utilizza le forze di polizia contro gli operai ed i partiti democratici. (Vive proteste al centro). Le masse operaie sapranno difendere in ogni caso la libertà e la democrazia.

Finisco con due precise domande. Domando al Governo di farci conoscere nella prossima seduta quali provvedimenti ha preso contro il capo della polizia e contro il questore di Roma (Rumori al centro), responsabili di aver permesso che un comizio fascista durasse per quaranta minuti in Piazza Colonna. Inoltre io domando che il Governo ci faccia conoscere al più presto quali provvedimenti esso ha preso contro il partito che inscena, in piena Roma, manifestazioni di questo tipo fascista. Ed il solo provvedimento che s’impone è lo scioglimento.

A questa domanda noi vogliamo una risposta perché il popolo italiano esige questa risposta, perché il popolo italiano non vuole che ai fascisti sia data la libertà di tramare nuovamente contro le libertà che noi abbiamo conquistato. (Applausi a sinistra – Commenti).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, io credo che nessuno di noi possa stupirsi se il tumulto degli animi, giustamente provocato dagli avvenimenti di cui siamo stati testimoni o dei quali abbiamo avuta notizia, abbia trovato una eco nel tumulto delle parole nelle quali i sentimenti ed i pensieri si sono tradotti ed espressi. È evidente che non può esserci una separazione tra ciò che si sente e ciò che si dice. Ma credo che vi sia stato qualcosa di comune in tutto ciò che qui si è detto, indipendentemente dal tono delle parole usate: ed è il senso di profonda preoccupazione, che in alcuni un eccesso di responsabilità, più o meno bene interpretato, può aver spinto ad attenuare mentre in altri l’impeto irrefrenabile del giusto risentimento ha portato invece ad accentuare, ma che evidentemente esiste in tutti.

Egregi colleghi, penso che questa discussione – la quale non sta, si tranquillizzino coloro che sono preoccupati del Regolamento, fuori dei poteri e dei doveri Dell’Assemblea Costituente – suoni quanto meno ammonimento per tutti coloro i quali non riescono ancora a comprendere ciò che oggi avviene e domani potrebbe avvenire nel nostro Paese. Ed anche suoni non dirò più come ammonimento, ma come un serio invito per coloro cui è affidato il compito di realizzare la volontà del popolo italiano. Noi costituenti non possiamo che dare forma alla volontà popolare tesa verso l’avvenire, e lo facciamo redigendo la Carta costituzionale; ma nessuna Carta costituzionale, per quanto ponderata, pensata, e discussa, redatta e poi votata, potrà nulla creare di buono per il nostro Paese, se si permette che, annidati nelle sue fondamenta le più profonde, restino gli elementi di disgregazione e di sovvertimento di cui stasera le grida tumultuose fuori di questo Palazzo ci hanno ancora una volta denunciato e confermato la perniciosa presenza. (Vivissimi applausi).

Il Governo ha dichiarato che in una prossima seduta, per bocca dei suoi rappresentanti, risponderà alle questioni che gli sono state poste stasera. Credo che dobbiamo attendere questa risposta prima di esprimere nuovi pensieri.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Mi pare che sostanzialmente, per quello che riguarda la direttiva del Governo, ho risposto con tutta franchezza, nei miei due precedenti interventi. Se si tratta di accertamenti di responsabilità e di provvedimenti conseguenti, naturalmente il Ministro dello interno è a disposizione dell’Assemblea, come è suo dovere; ma credo che, come direttiva del Governo, ho già dato tali assicurazioni che possono ben tranquillare coloro che possono temere una deviazione derivante da debolezza di Governo o da mancanza di propositi. I confronti che si sono fatti mancano di termine di paragone.

Quando si parla del 1924 si dimentica che al Governo era Mussolini che era anche Ministro dell’interno. Si è parlato e si sono portati esempi del 1924 e credo che nessuno possa dubitare che in noi e nel nostro Governo ci sia la centesima parte delle tendenze di un Governo Mussolini.

In secondo luogo quando ci si riferisce al 1919-1920 si parla di altri Governi a cui partecipavano anche uomini di buona volontà, anche uomini di tendenza antifascista, i quali però non avevano la triste esperienza che abbiamo avuto noi ed erano inoltre eccessivamente fiduciosi dello spirito ormai tradizionale di libertà.

I Governi devono oggi trarre insegnamento da una esperienza vissuta; e le precauzioni a questo riguardo non sono mai sufficienti. Su questo posso impegnare la mia parola di onore, come uomo che ha sentito che cosa era il fascismo, che ha combattuto e che ha fede soprattutto nella libertà, nella democrazia e nelle istituzioni repubblicane.

Se qui si fanno interpellanze con un tono che mette pregiudizialmente fuori questione il Governo, come un Governo che non riscuote fiducia, allora il tono della mia risposta deve essere diverso. Se, invece, si ha fiducia nella mia coscienza e nella mia capacità di Governo, prego di non paragonare il mio con i Governi di altri tempi. (Vivissimi applausi al centro e a destra – Commenti).

Sui lavori dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Il seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana è rinviato ad una prossima seduta.

Lunedì alle 16 si terrà seduta dedicata alle interrogazioni.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri di grazia e giustizia e del lavoro e previdenza sociale e l’Alto Commissario per l’alimentazione, per sapere se risponda a verità quanto il giornale II Mattino dell’Italia Centrale ha pubblicato in merito al mancato versamento della somma di lire 342.300 da parte della cooperativa «La Rinascita», di Grosseto, che, incaricata dalla Sepral di provvedere alla distribuzione ai vari comuni della provincia di 163 quintali di riso sequestrato il 12 febbraio 1946 dalla squadra annonaria, ne versò il ricavato l’8 agosto 1947, cioè dopo oltre un anno e mezzo, quando già era stata presentata denunzia per appropriazione indebita alla Procura della Repubblica di Novara.

«Per conoscere altresì quali provvedimenti si intendano adottare, anche da parte del Ministro del lavoro, verso la suddetta cooperativa.

«L’interrogante chiede lo svolgimento di urgenza.

«Monticelli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare, il Ministro del lavoro e della previdenza sociale e l’Alto Commissario per l’alimentazione, per sapere se risponda a verità quanto il giornale Il Mattino dell’Italia Centrale ha pubblicato in merito alla mancata distribuzione alle cooperative di consumo di 200 quintali di baccalà salinato, assegnato dall’Alto Commissariato per l’alimentazione alla Federazione provinciale delle cooperative di Grosseto, e da questa rivenduto, a prezzo notevolmente maggiorato, ad una ditta di Fucecchio. In caso affermativo, quali provvedimenti intenda prendere il Ministro del lavoro verso la Federazione delle cooperative di Grosseto.

«L’interrogante chiede lo svolgimento di urgenza.

«Monticelli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro degli affari esteri, per sapere se e come siano state concluse le trattative diplomatiche relative a pretese avanzate dal Governo francese sui campi cimiteriali di guerra in Italia – in riferimento particolare al cimitero sul Colle della Farnesina in Roma – pretese che, secondo dichiarazioni ufficiali, «vanno al di là del semplice diritto di uso».

«Di Fausto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle poste e delle telecomunicazioni, per conoscere le ragioni che impediscono la riattivazione delle comunicazioni telefoniche delle frazioni del comune di Sorano (Grosseto) indispensabili per i soccorsi sanitari e per esigenze di ordine pubblico.

«Si precisa a tal proposito che fin dal 1946 il Ministro delle poste e delle telecomunicazioni ad altra analoga interrogazione dell’interrogante aveva risposto che i lavori per la riattivazione dei collegamenti telefonici erano già in corso ed era quasi completato il ripristino delle relative palificazioni. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Monticelli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere se non ritenga opportuno abrogare la disposizione ministeriale emessa durante la guerra, con la quale, ai fini di ridurre al minimo il movimento dei viaggiatori sulle ferrovie si limitava a quattro all’anno l’uso degli scontrini per la concessione C (50 per cento) del titolare del libretto e delle persone di famiglia per i dipendenti dello Stato.

«Abrogata nei riguardi del titolare, la limitazione rimane per le persone di famiglia.

Ora, considerato che: a) questa limitazione costituisce un altro aggravio indiretto per una categoria di persone già ridotte in penose condizioni; b) che sono in gran parte cessate le ragioni che provocarono il provvedimento limitativo in oggetto; c) che la limitazione colpisce numerosissime famiglie residenti fuori del capoluogo provinciale, che pur sono costrette a frequentare per ragioni di studio, per pratiche, ecc., sembra giusto e necessario che le antiche agevolazioni siano senz’altro ripristinate. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Arata».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se in sede di riforma e coordinamento delle norme concernenti gli oneri dei comuni e i mezzi per fronteggiarli non ritenga opportuno tenere in considerazione, per un eventuale definitivo regolamento, la parte che riguarda le spese di manutenzione degli uffici giudiziari e degli edifici delle scuole secondarie ed ispettorati scolastici.

«Si fa noto – ad esempio – che il comune di Piacenza trovasi impegnato in spese rilevanti e, in via normale, non sopportabili per la sistemazione degli uffici giudiziari, alcuni dei quali, come il Tribunale e la Corte d’assise, sono al servizio non soltanto dei cittadini del comune capoluogo, ma di tutta la provincia.

«È appunto sotto questo aspetto che potrebbe essere prospettata la riforma: nel senso, cioè, che l’onere per la manutenzione degli uffici posti al servizio di tutta la collettività provinciale debba essere proporzionalmente ripartito fra tutti i comuni. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Arata».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’industria e del commercio, per sapere:

  1. a) se non ritenga opportuno emettere provvedimenti ancora più rigidi di quelli vigenti per eliminare o almeno ridurre al minimo possibile l’abuso del consumo dell’energia elettrica per fini non direttamente produttivi o di stretta necessità ed utilità;
  2. b) se non ritenga necessario intervenire perché nella distribuzione della stessa energia si tenga favorevolmente e proporzionalmente conto sino al raggiungimento del limite anteguerra delle zone dove appunto, per le conseguenze belliche patite (come nella provincia di Spezia), la ripresa industriale è stata e permane particolarmente difficile e dove l’iniziativa privata trova ostacolo al suo sorgere o al suo sviluppo per la denegata concessione anche di minimi quantitativi di energia, determinando così il permanere e l’aggravarsi di uno stato di disagio e di disoccupazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere perché – considerato che il regime armistiziale è venuto a cessare colla avvenuta ratifica del Trattato di pace – non si addiviene all’annullamento dell’articolo 7 del decreto in data 21 maggio 1946 del Ministero del tesoro, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, edizione speciale n. 132-2, del 10 giugno 1946, per il quale non sono ammessi ricorsi né in via amministrativa, né in via giudiziaria, contro i provvedimenti del Ministero del tesoro, con cui vengono liquidati gli indennizzi a risarcimento di danni alle persone, causati – non per operazioni di guerra – dalle truppe alleate in Italia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rodinò Mario».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 20.15

Ordine del giorno per la seduta di lunedì 13 ottobre 1947.

Alle ore 16:

Interrogazioni.

ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 10 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLIII.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 10 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedi:

Presidente

Interrogazione (Svolgimento):

Presidente

Marazza, Sottosegretario di Stato per l’interno

Rossi Paolo

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Fuschini

Colitto

Mortati

Clerici

Stampacchia

Tonello

Uberti

Priolo

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Lucifero

Costantini

Buffoni

Lussu

Laconi

Nitti

Romano

Rossi Paolo

Gasparotto

La seduta comincia alle 11.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati Caso, Dozza, Pera, Sapienza, Sardiello.

(Sono concessi).

Svolgimento di interrogazione.

PRESIDENTE. L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha chiesto di rispondere all’interrogazione presentata dagli onorevoli Rossi Paolo, Lami Starnuti, Segala, Mazzoni, Carboni Angelo, Persico:

«Al Ministro dell’interno, sulle violenze commesse durante la campagna elettorale in Roma contro candidati del P.S.L.I. e in particolare modo sull’aggressione organizzata contro un membro dell’Assemblea Costituente, l’onorevole Matteotti; e per sapere quali urgenti disposizioni intenda prendere per assicurare le libertà di riunione, di parola e di voto».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Desidero chiedere agli onorevoli interroganti se intendono estendere l’interrogazione, che riguarda i fatti del giorno 7 anche ai fatti del giorno 8.

ROSSI PAOLO. Evidentemente.

PRESIDENTE. Scusi, onorevole Marazza, c’è una interrogazione specifica sui fatti del giorno 8?

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. No.

PRESIDENTE. Allora, c’è una interrogazione sui fatti del giorno 7 e solo su questi è stata posta la questione.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Era per economia di tempo che volevo rispondere anche sui fatti del giorno 8.

PRESIDENTE. Ma poiché lei ha posto la domanda agli onorevoli interroganti, se questi desiderano altre informazioni dovranno presentare un’altra interrogazione.

ROSSI PAOLO. Se la potessi presentare oralmente, ne sarei lieto, perché così l’onorevole Sottosegretario potrebbe venire incontro al mio desiderio di avere la risposta più completa possibile.

PRESIDENTE. Onorevole Rossi, il Sottosegretario, nella sua risposta, può toccare qualunque tema connesso o non connesso con l’argomento, ma io ho fatto l’osservazione semplicemente per il modo con cui è stata posta la questione. L’onorevole Sottosegretario aveva chiesto a lei se intendeva avere la risposta su fatti che non erano considerati nell’interrogazione, e ciò non era normale.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Desideravo semplicemente sapere se potevo rispondere anche per i fatti del giorno 8 per economia di tempo. Comunque, i fatti sono i seguenti:

La sera del giorno 7, l’onorevole Matteotti, unitamente ad altri elementi del suo partito, andava compiendo in Roma una serie di piccoli comizi a bordo di una camionetta munita di altoparlante. Questi comizi non erano stati, evidentemente, preannunziati all’autorità di pubblica sicurezza la quale, altrettanto evidentemente, non poteva perciò trovarsi nelle singole località.

Giunti nella piazza di Pietralata ed avendo tentato di iniziare il suo discorso, una folla di trecento persone (a tanto fu valutata) cominciava ad intonare «Bandiera rossa» e ad emettere urla, mentre da parte di una turba di ragazzi presenti veniva inscenata un’altra manifestazione ostile, mediante rumori determinati da barattoli di latta usati a mo’ di tamburi.

Naturalmente il discorso dell’onorevole Matteotti non poté essere nemmeno iniziato. La cosa determinò l’irritazione da parte dei suoi amici e ne derivarono dei tafferugli. Nel corso di questi tafferugli vi furono dei contusi.

Devo dichiarare espressamente che per le circostanze già accennate, nelle quali questo comizio ebbe a svolgersi, non credo si possano riscontrare responsabilità delle autorità preposte alla tutela dell’ordine, le quali, appena informate, sono intervenute ed hanno impedito che i tafferugli, ai quali ho accennato, degenerassero in più gravi conflitti. L’onorevole Matteotti, con i suoi amici, si allontanò poco dopo ed altri incidenti non se ne sono avuti. Però l’avvenuto non poteva non preoccupare l’autorità di pubblica sicurezza ancora di più perché, in questa campagna elettorale per le elezioni del comune di Roma, episodi del genere si sono ripetuti in parecchie località ed abbastanza frequentemente. Di conseguenza il Questore convocava presso di sé la Giunta elettorale di uno dei partiti in lotta, cioè del Blocco del popolo, che veniva indicato come quello al quale apparteneva la massa dei dimostranti, ed esercitava presso questa Giunta la massima pressione onde ottenere che episodi del genere non si verificassero in avvenire. Reclamava inoltre che si facesse dell’accaduto una pubblica deplorazione. La Giunta, così convocata, aderiva all’invito; s’impegnava a fare opera presso i propri aderenti affinché venisse rispettata, in ogni caso, la libertà di parola di tutti gli oratori; e inoltre si impegnava anche ad una pubblica deplorazione.

Il Questore, non accontentatosi di queste assicurazioni, richiamava subito tutti gli organi di pubblica sicurezza da lui dipendenti ad esercitare la massima sorveglianza affinché questi deplorevoli incidenti non si verificassero più: comunque, ad intervenire prontamente in ogni circostanza e a procedere con la massima energia nei confronti di tutti i disturbatori. Non si faceva aspettare, tuttavia, un nuovo, altrettanto deplorevole incidente, perché la sera del giorno seguente lo stesso onorevole Matteotti, dovendo tenere un comizio in piazza Testaccio, vi trovava addensata una folla valutata a 1500 persone, le quali dimostravano, come già la folla della sera precedente, la propria vivissima ostilità all’oratore che parlava da un balcone poco elevato sulla piazza e che veniva minacciato violentemente. La vivacità della dimostrazione e la gravità del pericolo che pareva minacciasse l’onorevole Matteotti, determinarono l’intervento di reparti celeri della Pubblica Sicurezza che si trovavano disposti nelle vicinanze e che, quando l’onorevole Matteotti intese ritirarsi, lo protessero e impedirono che incidenti dovessero avvenire.

Naturalmente, così parlando e così dimostrando – almeno spero – che da parte delle autorità preposte all’ordine fu fatto quanto stava in loro, io non intendo esaurire l’argomento perché in una questione di questo genere non può mancare, anche da parte del Governo, una parola di viva deplorazione: tanto più viva, io vorrei dire, nella specie, perché, se penso a ciò che ha significato e significherà sempre per tutti noi e per tutto il popolo italiano il nome di Matteotti, non posso non reagire con tutte le forze a chi ha offeso nel figlio del Martire la libertà che è l’aureola del suo martirio. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

ROSSI PAOLO. Ringrazio l’onorevole Sottosegretario per l’interno, specialmente per le parole che hanno coronato le sue dichiarazioni; ma egli mi consentirà di non entrare nel merito dei provvedimenti adottati dall’autorità per garantire la libertà di parola. È di tutta evidenza che la nostra interrogazione non postulava una risposta pratica; e sia ben chiaro per tutti che non invochiamo dal Governo alcun provvedimento particolare. Il problema non è un problema di polizia e forse nemmeno un problema politico nel senso stretto della parola. È un problema morale di estrema delicatezza. Non lo possono risolvere, evidentemente, né il Questore di Roma, né l’onorevole Ministro dell’interno. Solo la coscienza popolare, solo un rinnovato sentimento democratico che penetri più profondamente nell’animo degli italiani possono dare quelle garanzie di vita civile, che sarebbe ingenuo e forse anche contradittorio domandare soltanto ai congegni politico-amministrativi dello Stato.

La dignità dell’individuo si chiama onore e la dignità dei popoli si chiama libertà; libertà ed onore sono dunque una sola cosa ed hanno una sola garanzia nell’onore e nella libertà. Non invochiamo dunque particolari interventi governativi, ma io voglio esprimere con semplicità il profondo dolore, la protesta e lo sdegno per il fatto che, mentre ancora si sta elaborando faticosamente la struttura dalle istituzioni democratiche conquistate attraverso una soma così grande di sacrifici e di umiliazioni, manipoli di giovani, purtroppo organizzati ed addestrati, impediscano sistematicamente l’esercizio dei fondamentali e primari diritti di riunione e di parola. Come accadde all’onorevole Simonini a Guastalla, all’onorevole D’Aragona a Livorno e a molti altri amici in altre parti d’Italia, ad un deputato alla Costituente fu avantieri impedito di parlare a Roma ed egli fu anche duramente malmenato: ciò che l’onorevole Sottosegretario all’interno non ci ha detto con chiarezza.

Non pronunzierò il nome di quel deputato perché ci sono nomi che non vanno riportati dalla storia alla polemica e perché la libertà è di tutti ed è ugualmente grave offesa che se ne privi il primo, come l’ultimo dei cittadini italiani. Né quel deputato vorrebbe mai essere distinto dagli altri: quando il padre

… tinse del suo sangue

gli arsi lastrici di giugno,

fu per la libertà di tutti gli italiani (Approvazioni) per i figli creò con la sua morte un solo privilegio, quello di essere primi nella lotta e nel sacrificio ed essi lo esercitarono semplicemente, trovando giusto e doveroso di collocarsi colà dove c’è da affrontare l’ingiustizia e la prepotenza.

Il fascismo se ne è andato, ma non avremo rinnovato nulla, se i manganelli continueranno a roteare, solo per il fatto che abbiano cambiato mano; tanto più, onorevoli colleghi, che spesso non hanno nemmeno cambiato mano. (Applausi). Le mani che li agitano sono le stesse e sono soltanto diverse le parole ed i simboli che accompagnano le stesse violenze contro le stesse persone.

Ma non vogliamo cadere in alcuna esagerazione.

L’onorevole Togliatti ha chiuso il suo ultimo discorso rievocando, attraverso una pagina di Engels, il plurisecolare, luminoso, fervido martirio cristiano. E confesso che trovai nella retorica di quella bella perorazione un certo vizio di proporzione. Né la questione dei manifesti e degli altoparlanti si può accostare all’ultima persecuzione, che fu, secondo gli storici, la più sanguinosa contro i cristiani, né mi pare, in coscienza, che sia proporzionato e architettonico il paragone fra Diocleziano e l’onorevole Scelba. (Si ride).

LACONI. Venti anni di galera non se li ricorda?

ROSSI PAOLO. Ma, Scelba non c’era!

I nostri giovani (e mando di qui un saluto a due che non sono deputati, Solari e Feliziani, che son dovuti andare all’ospedale di San Giovanni) (Interruzioni a sinistra) e i meno giovani che, minacciati e percossi una sera, affrontano, con tutta tranquillità, la sera dopo, nuove, previste, orchestrate e aggravate violenze, non pretendono, per così poco, la palma del martirio, né chiederanno per un tale atto di modesto e di doveroso coraggio civile di essere paragonabili, per esempio, a quell’Ignazio antiocheno che, in confronto dei leoni ruggenti, disse forse la più bella parola del martiriologio cristiano: «Frumento sono io del Signore e i denti delle fiere mi macineranno per fare di me una farina più pura e più bianca».

I nostri compagni sanno che il loro dovere è quello di affrontare con animo sereno e senza inflazioni retoriche queste, e se occorre peggiori, violenze, per dire a qualunque costo la verità, la nostra verità, alla classe operaia, ideologicamente captata e chiusa con artifizi nelle paratie stagne di un esasperato e pericoloso monismo psicologico.

E voglio affermare a loro nome, pacatamente, senza alcuna iattanza, ma senza alcun timore, che questo dovere lo compiremo fino in fondo, sia che il Governo faccia quanto può e deve per garantire l’esercizio dei diritti politici, sia che non lo faccia; sia che le violenze si attenuino, come spero, sia che si accrescano ancora.

Io dico volutamente in quest’Aula, anche per rispondere ad alcune frasi che ho udito qui, e che mi pareva suonassero: «Provate a venire a dire queste cose nei comizi e davanti agli operai, nelle fabbriche», io dico: verremo (Commenti a sinistra). Ci fischieranno, ci batteranno. Nessuno di noi è minimamente intimidito o minimamente scoraggiato per gli incidenti di Roma. Non temiamo per l’avvenire.

La democrazia ha in comune con la verità questo singolare privilegio, amici, se permettete; che qualunque cosa si faccia a pro o contro di essa, finisce col tempo, per ritornare in sua esaltazione! (Applausi).

LACONI. Avete aspettato vent’anni!

ROSSI PAOLO. Non io, che mi son fatto bastonare dieci volte; lei forse ha aspettato vent’anni. (Applausi – Congratulazioni – Commenti all’estrema sinistra).

Seguito della discussione del Progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Dobbiamo esaminare l’articolo 59. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Le due Camere si riuniscono di diritto il primo giorno non festivo di febbraio e di ottobre.

«Ciascuna Camera si riunisce inoltre in via straordinaria per iniziativa del suo Presidente, o su richiesta del Presidente della Repubblica o di un terzo dei membri della Camera.

«Quando si riunisce una Camera, è convocata di diritto anche l’altra».

Sull’articolo 59 non sono stati presentati emendamenti.

Pongo in votazione il primo comma: «Le due Camere si riuniscono di diritto il primo giorno non festivo di febbraio e di ottobre».

(È approvato).

Pongo in votazione il secondo comma.

(È approvato).

Pongo in votazione il terzo comma.

(È approvato).

Allora, il testo dell’articolo 59 è stato approvato così come proposto dalla Commissione.

Passiamo all’articolo 60. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Ciascuna Camera elegge nel proprio seno il Presidente e l’Ufficio di Presidenza.

«La Presidenza dell’Assemblea Nazionale è assunta per la durata di un anno, alternativamente, dal Presidente della Camera dei Deputati e dal Presidente della Camera dei Senatori».

PRESIDENTE. Faccio presente che il secondo comma di questo articolo si riferisce all’Assemblea Nazionale, di cui è stato deciso di trattare al momento nel quale si saranno definiti i compiti e la competenza delle Camere.

FUSCHINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUSCHINI. Vorrei domandare a quale punto ella intenderebbe mettere in discussione la creazione dell’Assemblea Nazionale.

PRESIDENTE. Non appena concluso il Titolo del potere legislativo.

FUSCHINI. Vi sono delle interferenze, però, che sopravvengono proprio nella distinzione dei compiti delle due Camere. Io credo, che sarebbe meglio fare prima questa discussione.

PRESIDENTE. L’Assemblea, su proposta degli onorevoli Mortati, Tosato ed altri, ha preso questa deliberazione, in sede di esame dell’articolo 52:

«Si propone la sospensione di ogni deliberazione sull’ultimo comma dell’articolo 52 fino a quando non saranno deliberate le disposizioni relative alla formazione del Senato ed alla nomina del Capo dello Stato».

In questo momento lei propone una nuova soluzione. L’Assemblea può sempre rivedere la decisione già presa; ma la cosa più opportuna mi pare sia quella di decidere in merito all’Assemblea Nazionale nel momento in cui si sia deciso tutto quanto attiene alla Camera e al Senato. Evidentemente, dipende dalle facoltà e dai poteri dell’una e dell’altra Camera lo stabilire se il terzo istituto, l’Assemblea Nazionale, debba o no, essere costituito.

Onorevole Fuschini, restiamo alla deliberazione presa: vuol dire che la sua proposta di emendamento la esamineremo in quella sede.

PRESIDENTE. Allora, pongo in votazione il primo comma dell’articolo 60, sul quale non sono stati presentati emendamenti:

«Ciascuna Camera elegge nel proprio seno il Presidente e l’Ufficio di Presidenza».

(È approvato).

Il secondo comma sarà esaminato quando esamineremo la questione dell’Assemblea Nazionale.

Passiamo all’articolo 61. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Ciascuna Camera e l’Assemblea Nazionale adottano il proprio regolamento a maggioranza assoluta dei loro membri.

«Le sedute sono pubbliche; tuttavia le Camere e l’Assemblea possono deliberare di riunirsi in Comitato segreto.

«Le deliberazioni delle Camere e dell’Assemblea non sono valide se non è presente la maggioranza dei loro membri è se non sono adottate a maggioranza dei presenti, salvo che la Costituzione prescriva una maggioranza speciale.

«I membri del Governo, anche se non fanno parte delle Camere, hanno diritto e, se richiesti, obbligo di assistere alle sedute. Debbono essere intesi ogni volta che lo richiedano».

PRESIDENTE. Resta inteso, onorevoli colleghi, che ogni riferimento all’Assemblea Nazionale nel contesto di questo articolo evidentemente non ci impegna nella deliberazione di merito, in quanto tutto ciò che si riferisce all’Assemblea Nazionale lo decideremo quando esamineremo il problema nel suo complesso.

All’articolo 61 l’onorevole Colitto ha proposto i seguenti emendamenti:

«Al secondo, comma, alle parole: in comitato segreto, sostituire le altre: senza la presenza del pubblico».

«Sopprimere il terzo comma».

«Al quarto comma sopprimere le parole: se richiesti».

L’onorevole Colitto ha facoltà di svolgerli.

COLITTO. A questo articolo io ho proposto tre emendamenti. Il primo capoverso dell’articolo 61, dopo aver disposto che le sedute delle Camere e dell’Assemblea Nazionale sono pubbliche, aggiunge che le une e l’altra possono deliberare di riunirsi in comitato segreto. Ora, io propongo che alle parole «in comitato segreto» siano sostituite le altre «senza la presenza del pubblico». Queste ultime sembrano a me più precise. Non si può, infatti, disconoscere che, pur essendo il pubblico assente dalle sedute, le Camere e l’Assemblea Nazionale restano tali e non si trasformano, per effetto appunto dell’assenza del pubblico, in «comitato».

Parlandosi di «comitato», sembra a me che le Camere, solo perché si chiudono le porte, subiscano una certa trasformazione, non essendo più Camere, ma diventando comitato.

Anche lo Statuto albertino, all’articolo 52, dopo aver disposto che le sedute delle Camere sono pubbliche, dice: «Ma quando dieci membri ne facciano per iscritto domanda, esse possono deliberare in segreto». Ugualmente dispone l’articolo 38 della Costituzione polacca, là dove stabilisce che la dieta può deliberare «la segretezza della discussione». Così il paragrafo 37 della Costituzione estone, il quale dispone che l’Assemblea può decidere di «riunirsi in seduta segreta».

Nessuna Costituzione parla di «comitato». La commissione speciale della seconda Sottocommissione propose, del resto, la seguente formulazione, in cui non si parlava di «comitato»: «Le sedute delle Camere sono pubbliche. Tuttavia, con l’approvazione di due terzi delle Camere stesse, possono essere segrete». Non si comprende, poi, come la stessa seconda Sottocommissione in un secondo tempo, abbia potuto preferire l’altra formulazione di «comitato», e proprio non mi spiego le ragioni che possono aver determinato questo mutamento.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma è un mutamento che non ha alcuna importanza sostanziale.

COLITTO. Ho chiesto poi la soppressione del terzo comma, il quale fissa le norme regolatrici delle deliberazioni delle Camere e dell’Assemblea Nazionale, le quali non sarebbero valide, se non con la presenza della maggioranza dei loro membri ed adottate a maggioranza dei presenti, salvo che la Costituzione non prescrivesse una maggioranza speciale.

Ho chiesto dunque la soppressione di questo comma, perché a me sembra che ciò possa formare oggetto più che di norma costituzionale, di norma del regolamento delle due Camere.

Ho chiesto poi, con un terzo emendamento, la soppressione, all’ultimo comma, delle parole «se richiesti». A me sembra, infatti, che i membri del Governo abbiano non solo il diritto, ma il dovere di assistere alle sedute della Camera; mi sembra, quindi, strano che si parli di dovere solo quando intervenga una formale richiesta.

PRESIDENTE. L’onorevole Mortati ha presentato due emendamenti, del seguente tenore:

«Sostituire il terzo comma coi seguenti:

«Le deliberazioni non sono valide se non sono adottate a maggioranza dei presenti, salvo i casi di deroga stabiliti dalla Costituzione.

«Il Regolamento interno determina le condizioni per la validità delle sedute».

«Sopprimere il quarto comma:

«In via subordinata, ove il comma fosse conservato, aggiungere dopo la parola: sedute, le altre: nonché alle riunioni delle Commissioni nei casi dell’articolo 69, terzo comma».

L’onorevole Mortati ha facoltà di svolgerli.

MORTATI. Il primo di questi due miei emendamenti presenta un carattere prevalentemente formale. Esso consiste, soprattutto, in una proposta di rinvio della determinazione delle condizioni relative alla validità delle sedute in sede di regolamento.

Con il mio secondo emendamento, propongo invece la soppressione del quarto comma, che è quello ove è detto che i membri del Governo, anche se non fanno parte della Camere, hanno diritto e, se richiesti, obbligo di assistere alle sedute e che debbono essere intesi ogni volta che lo richiedano. Tale disposizione infatti era necessaria nelle vecchie carte costituzionali di quei paesi che non erano retti dal regime parlamentare o nei quali esso non era ancora consolidato, ma non ha evidentemente più ragione d’essere in Stati, come nel nostro, in cui il regime parlamentare sia stato esplicitamente consacrato nella Costituzione.

L’obbligo dei membri del Governo di intervenire alle sedute delle Camere emerge dalla natura stessa del Governo parlamentare, che esige una immediatezza e continuità di rapporti fra Governo e Camere, appunto per il principio della responsabilità del Governo di fronte alle Camere.

Non sussiste poi neanche quell’altra ragione, che può in altri Paesi suggerire una disposizione del genere, cioè il divieto per un Ministro, che non sia membro delle Camere, di prendere parte alle sedute delle Camere stesse, perché c’è da noi una consuetudine, consolidata nel senso che i Ministri hanno diritto di partecipare alle sedute delle Camere, anche se non ne fanno parte.

Quindi, in relazione a queste considerazioni, mi sembra che si potrebbe sopprimere il comma, contribuendo così alla semplificazione della struttura formale del lesto costituzionale.

PRESIDENTE. L’onorevole Clerici ha presentato il seguente emendamento:

«Inserire tra il terzo e il quarto comma il seguente:

«La ripetuta negligente assenza dai lavori parlamentari verrà dai regolamenti stabilita quale causa di decadenza dal mandato parlamentare».

Ha facoltà di svolgerlo.

CLERICI. Onorevoli colleghi, ho poco da aggiungere all’emendamento aggiuntivo che ho presentato, e che si ricollega, mi pare, a quanto ha detto testé il collega onorevole Colitto.

Il mio emendamento tende a stabilire non solo il diritto, ma il dovere da parte delle Camere future di statuire nel loro regolamento interno un principio, che essendo di notevole importanza costituzionale, a mio avviso deve essere anche inserito nella Carta costituzionale; bisogna cioè stabilire che il deputato o il senatore, cioè in genere il parlamentare, il quale con negligenza persistente viola il dovere del suo ufficio, mancando sistematicamente e negligentemente ai lavori parlamentari, può decadere dal mandato.

Io credo che sia bene che il principio venga stabilito nella nostra Costituzione e che il Regolamento lo riconfermi e lo sviluppi perché è uno scandalo che alcuni parlamentari concepiscano la loro funzione unicamente per vantaggio, decoro e utile personali propri, od almeno, col loro contegno, lascino credere che questa è la ragione per la quale hanno richiesto e mantengono il mandato parlamentare. E non è giusto che da qualche collega si consideri la Camera o il Senato come una specie di «club», al quale si va, anziché a giocare a bridge o a dama, ad alzare la mano per votare, senza neanche essere al corrente dei lavori precedenti, tanto più che la Camera futura e il Senato futuro, che dovranno compiere un lungo lavoro di controllo e un pesante lavoro legislativo, specialmente nelle Commissioni, avranno necessità che le Commissioni non vadano deserte, come avviene purtroppo sovente anche per le sedute di alcune Commissioni di questa stessa nostra Costituente.

Pertanto, mi sembra che sia legittimo che la rappresentanza costituzionale del Paese, che noi, cioè, che siamo la Nazione che legifera, inseriamo nella Costituzione questo imperativo, che non è un impedimento o una limitazione che vengano posti all’esercizio del mandato parlamentare, dal momento che è la stessa rappresentanza della Nazione – cioè noi – a porre questo dovere; dovere che risponde, in fin dei conti, anche alla serietà sociale e al fatto che ormai deputati e senatori sono, se non pagati, indennizzati, e quindi sono compensati del tempo che dedicano ai lavori parlamentari.

Mi pare giusto che, mentre gli umili operai ed impiegati, andando al lavoro, devono persino far notare, secondo la prassi moderna, sulla carta che contrassegna la loro presenza, l’ora del loro ingresso, il deputato e il senatore non trascurino negligentemente e sistematicamente i lavori parlamentari, pena la decadenza. Tanto più che vi è la possibilità, col sistema attuale elettorale, di far succedere a colui contro il quale è pronunciata la decadenza, il candidato che viene immediatamente dopo nella lista. Ritengo, quindi, che questo principio debba essere affermato nella Costituzione italiana.

STAMPACCHIA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Su che cosa?

STAMPACCHIA. Sugli emendamenti presentati ed anche sulla proposta Clerici e sul terzo capoverso dell’articolo 61.

PRESIDENTE. Dica pure, onorevole Stampacchia, tenendo però presente che discussioni generali sugli articoli non ne abbiamo fatte mai, per espressa deliberazione dell’Assemblea.

STAMPACCHIA. Osservo, fermandomi preliminarmente sul terzo capoverso dell’articolo 61, che quanto esso disciplina costituisce materia regolamentare. Se noi fissiamo nella Costituzione tale disposizione – specialmente nella progettata forma assai cruda ed anche semplice – si potrà verificare che chiunque, anche i terzi estranei all’Assemblea, potranno ricorrere a quel qualsiasi organo cui sarà demandato di tutelare la Costituzione, ed impugnare le deliberazioni dell’Assemblea legislativa deducendo che nella deliberazione mancò il numero legale. E passo innanzi, perché credo che la cosa è così intuitiva che non ha bisogno di ulteriore svolgimento.

Per quanto riguarda i membri del Governo, di cui si parla al quarto capoverso, osservo che qui s’introduce un sistema già abbandonato dopo il 2 giugno 1946 – e che solo recentemente lo si è fatto rivivere – e cioè che gli estranei al Parlamento, o ad uno dei suoi rami, possano far parte del Governo. Quando ciò accadeva, vi era il correttivo, possibile solo con lo Statuto Albertino, della nomina a senatori di codesti estranei.

Pertanto, io riterrei, in questa materia, che sarebbe disposizione di carattere veramente democratico stabilire in modo esplicito che i membri del Governo non possano essere scelti se non tra gli eletti del popolo. E quindi ritengo che, ad evitare che la questione sia oggi definitivamente pregiudicata, si debba votare contro l’inciso del capoverso il quale ammette esplicitamente che i membri del Governo possono non far parte delle Camere.

Per quanto attiene all’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Clerici si permetta a me – che ho coscienza di essere tra i più assidui perché sempre presente ai lavori di questa Assemblea – di osservare che i deputati e i senatori eletti dal corpo elettorale devono dar conto della loro attività soltanto al corpo elettorale che li ha mandati ad uno dei due rami del Parlamento; diversamente si corre il rischio che un colpo di maggioranza possa ingiustamente colpire alcuno o alcuni che si assentano dall’Assemblea. L’assenza può qualche volta assumere particolare significato politico e non essere indice di noncuranza, di negligenza, di disinteresse ai lavori parlamentari. In proposito voglio ricordare che, dopo il delitto Matteotti, un cospicuo numero di deputati – e non soltanto di questi settori di sinistra – ritennero, come atto di solenne protesta, di doversi assentare dal Parlamento per non partecipare ulteriormente ai lavori di quella Camera veramente indegna; e si ritirarono, come allora si disse, sull’Aventino. Atto adunque fu quello squisitamente politico. Ebbene, che cosa fece allora il fascismo? Trasse motivo dall’assenza per dichiarare decaduti quei deputati.

Concludendo: l’assenza può avere significazione politica; onde è necessario sia fermo che della loro attività i membri del Parlamento debbono rispondere soltanto di fronte ai propri elettori e che le Assemblee non hanno diritto di rivedere, di controllare comunque, quell’attività. (Applausi a sinistra).

TONELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Alcune parole voglio aggiungere su quanto hanno detto l’onorevole Clerici e l’onorevole Stampacchia.

Che sia deplorevole che vi siano colleghi che non compiono il loro dovere, siamo d’accordo. Io, che ho l’abitudine di assistere a tutte le sedute del Parlamento, molte volte ho provato un senso di disgusto per questa assenza di colleghi in tutti i banchi. Ma, fra constatare questo e derivarne provvedimenti quasi disciplinari, c’è una bella distanza.

Convengo sulla sconvenienza di un uomo che, investito di un mandato dai propri elettori, se ne infischia del mandato, fa i propri interessi e trascura i doveri parlamentari in modo biasimevole; e sono d’accordo che gli elettori faranno molto bene a ricordarsi di questa trascuratezza abituale del deputato.

Ma soprattutto, secondo me, dovrebbero agire i partiti. Viviamo in tempo di partiti. I partiti hanno l’obbligo anche di vigilare sull’attività dei propri aderenti e obbligarli ad essere presenti.

Io so che anche il mio partito, quando ha avuto bisogno di avere presenti i compagni, ha mandato dei telegrammi, ha mandato delle sollecitazioni ed altrettanto avranno fatto gli altri partiti. Il deputato, quando riceve una sollecitazione dal partito, deve pensare che questa sollecitazione non risponde al capriccio di un segretario qualunque del partito, ma all’interesse degli elettori.

Quindi, io proporrei che non si mettesse nella Costituzione questa minaccia, diciamo procedurale, contro il deputato assente, tanto più che vi può essere il caso di un deputato il quale sia più utile fuori del Parlamento che sui banchi del Parlamento stesso. In un momento di eccitazione politica, quando qualche cosa interessa le masse dei lavoratori ed esse richiedono il loro deputato sul posto, non è allora giusto che un deputato, il quale corra sui campi dello sciopero o sui campi dell’agitazione per cercare di comporre delle divergenze e cerchi insomma di fare il proprio dovere fuori dai banchi di Montecitorio, sia poi chiamato all’ordine perché non ha assistito alle sedute.

Non tutti quelli che sono assenti da qui lo sono per trascuratezza. Molti hanno degli impegni, tanto più che questi impegni erano necessari per tirare avanti. Adesso con l’aumento dell’indennità parlamentare a molti si è data la possibilità di vivere, ma prima molti colleghi avevano bisogno, per poter vivere, di svolgere la loro professione. Quindi, che sia soltanto sancito questo obbligo morale che ciascun deputato deve sentire. Questo perché sarebbe troppo ripugnante che oltre ad essere chiamati all’ordine dai nostri elettori, dovessimo essere chiamati all’ordine anche dal Parlamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Conti ha presentato il seguente emendamento:

«Aggiungere, in fine, il seguente comma:

«Per le sedute dell’Assemblea Nazionale si applica il regolamento della Camera dei deputati».

Poiché si riferisce all’Assemblea Nazionale, verrà posto in discussione al momento in cui esamineremo quel problema generale.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Non sono d’accordo con il mio collega, onorevole Clerici, perché ritengo che il mandato parlamentare debba risiedere essenzialmente nella coscienza del rappresentante stesso, in quanto vi possono essere varie forme di esprimere il mandato parlamentare e vi può essere un determinato momento in cui anche l’assenza dall’Assemblea può assumere un valore politico, come l’assunse nel 1924.

Per questi motivi dichiaro che sono contrario all’emendamento ed anzi pregherei lo onorevole Clerici di non insistere. (Applausi).

PRIOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PRIOLO. L’inciso, che l’onorevole Clerici vuole inserire, è inopportuno ed anche, me lo consenta il collega, offensivo; i deputati hanno fatto sempre il loro dovere e continueranno a farlo.

Poiché la nostra Costituzione varrà per le future assemblee legislative debbo fare presente, in nome anche della mia modesta esperienza, che esse non avranno il ritmo ininterrotto ed intenso della Costituente, assemblea sui generis, che ha tenuto e dovrà tenere in avvenire sedute continue, onde assolutamente concludere i suoi lavori entro il 31 dicembre prossimo.

Se in alcuni giorni, pochi in vero, si notarono assenze di deputati, ciò si deve onestamente spiegare con le giuste necessità dei medesimi di trasferirsi in provincia per ragioni politiche apprezzabili o talvolta per impellenti motivi privati. Non avverrà così con le assemblee legislative normali, il cui ritmo di lavoro è diverso, intervallato da periodi di vacanza e che darà modo ai deputati di conciliare i doveri della carica con le altre esigenze. Io ricordo che nelle assemblee normali solo il lunedì, seduta di interrogazioni, si notava un certo assenteismo, cosa che non avveniva negli altri giorni.

Tutto ciò dico in aggiunta a quanto ha saggiamente osservato il collega onorevole Uberti e che perfettamente condivido.

Dichiaro perciò a nome del mio Gruppo che, ove non venga ritirato, voteremo contro l’inciso proposto dall’onorevole Clerici. (Applausi).

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Ruini di esprimere il parere della Commissione sugli emendamenti.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’articolo 61, al primo comma, non ha nessuna proposta di emendamento. Resterà sempre da togliere «e l’Assemblea Nazionale» perché è materia rinviata.

Nel secondo comma abbiamo un emendamento dell’onorevole Colitto, al quale non piacciono le parole «in Comitato segreto». Non c’era nessun intento recondito nel mettere «Comitato»: che è parola classica nel diritto costituzionale e nelle Costituzioni. Ad ogni modo non accetterei la formula che egli propone «senza la presenza del pubblico». Se vogliamo mettere «in seduta segreta» invece di «Comitato segreto», non c’è niente di male. Fugheremo le tenebrose impressioni dell’onorevole Colitto.

Veniamo al terzo comma in cui gli emendamenti sono più numerosi. Bisognerà anche qui togliere «e dell’Assemblea», perché è materia rinviata. Che cosa ha voluto fare la Commissione nel terzo comma dell’articolo 61? Ha seguito questi criteri: che bisogna rinviare per quello che è possibile al regolamento delle Camere, per alleggerire il più possibile il testo della Costituzione, ma che è opportuno stabilire in questa alcuni principî essenziali che sanciscono garanzie costituzionali e dànno la sicurezza del funzionamento dell’Assemblea. E allora, che cosa ha stabilito? Due principî: che le sedute non sono valide se non è presente la maggioranza dei deputati; e che le deliberazioni non sono valide se non sono approvate dalla maggioranza dei presenti. Ecco due principî lineari che si completano e che, anche per una certa ragione estetica, stanno bene insieme. Si è aggiunto che i casi in cui occorrano maggioranze qualificate, sono previsti della Costituzione. Mi pare che sia un sistema che possa reggere.

L’onorevole Colitto propone di sopprimere senz’altro ogni disposizione. Mi oppongo, perché vi devono essere criteri di garanzia costituzionale per cui una Camera non possa tener sedute con tre o quattro presenti soltanto, né deliberare senza che vi sia una vera maggioranza di presenti.

L’onorevole Mortati propone alcune modifiche, che sono più che altro di forma, molto sottili, ed io lo prego di non insistere perché adottandole potrebbe sorgere qualche dubbio. Intanto egli rinvia la questione della presenza necessaria della metà dei deputati al Regolamento, dicendo che il Regolamento farà quello che vorrà. Non mi pare opportuno. Questa norma deve essere un criterio da mettere qui; anche per andare incontro all’esigenza da cui parte l’onorevole Clerici, che vi deve essere una effettiva serietà nei lavori delle Camere. Non comprendo perché l’onorevole Mortati rinvii uno dei punti, la validità delle sedute; e metta qui la validità delle deliberazioni, ma con espressione poco felice, perché la deroga sembra che sia per essere in meno, non in più.

Prego l’onorevole Mortati di ritirare il suo emendamento, di fronte alla disposizione più lineare ed insieme più opportuna e corretta, che il Comitato mantiene.

All’ultimo comma che riguarda i membri del Governo è stabilito che essi, anche se non fanno parte delle Camere, hanno diritto e, se richiesti, obbligo di assistere alle sedute. Disposizioni di questo genere sono contenute in molte Costituzioni; e riguardano due punti: che i membri del Governo che appartengono ad una Camera, possono partecipare anche ai lavori dell’altra (naturalmente senza voto); e che i membri del Governo, che non appartengono a nessuna Camera, possono (sempre senza voto) partecipare ai lavori di tutte due.

Debbo anzitutto una rettifica all’onorevole Stampacchia. Non possiamo stabilire che il Governo debba essere costituito soltanto di membri del Parlamento. Vi possono essere dei casi in cui sia necessario che partecipino al Governo elementi che non fan parte del Parlamento; sarà un caso estremamente eccezionale; ma non è escluso nella prassi più rigorosamente democratica; chi giudica ed ammette è in definitiva il Parlamento, che deve dare o no la fiducia; sarebbe errore escludere costituzionalmente tale possibilità.

L’onorevole Mortati propone di sopprimere l’intero comma, osservando che la disposizione si addiceva agli statuti di vecchio tipo, in cui non era ben affermato il regime parlamentare. Riconosco anch’io ed aggiungo che storicamente regime parlamentare vuol dire anche regime di gabinetto; e presuppone la fiducia del Parlamento nel Governo; così che chiunque fa parte del Governo deve poter partecipare e rispondere nelle sedute al Parlamento. Anche se non è scritto nella Costituzione, ciò può considerarsi acquisito alla nostra prassi costituzionale; e possono bastare norme di regolamento. Crederei meglio mettere qualcosa nel nostro testo; ma poiché non si tratta di necessità, ma di opportunità, il Comitato non solleva formale difficoltà acché il comma sia soppresso.

Veniamo alla proposta aggiuntiva Clerici.

Dichiaro, anzitutto, di riconoscere ed apprezzare la giusta esigenza da cui egli muove. Desidero però sottoporre alla sua mente così chiara, questi tre punti: primo, la sua disposizione non esiste in nessuna Costituzione; secondo, il vero giudice del suo rappresentante è il corpo elettorale; terzo, il più grave: è stato osservato dall’onorevole Uberti, che si potrebbe dare l’adito ad abusi; perché, in fondo, l’Aventino fu stroncato, ed ebbe luogo la famosa mozione di espulsione dalla Camera, perché si disse che gli aventiniani non adempivano al loro mandato di intervenire alle sedute. In mano ad una maggioranza faziosa la formulazione Clerici potrebbe essere pericolosa. Prego l’onorevole Clerici di non insistere sul suo articolo aggiuntivo. Si potrà, col Regolamento delle Camere, colpire in altro modo i deputati assenti, con denuncia in piena Camera ed al pubblico, con soppressione dell’intera indennità, dei biglietti di circolazione o in altri modi; senza arrivare alla decadenza.

PRESIDENTE. Domando ai presentatori degli emendamenti se, dopo aver udite le dichiarazioni dell’onorevole Ruini, mantengono i loro emendamenti. Onorevole Colitto?

COLITTO. Riguardo al primo emendamento, aderisco alla formula proposta dall’onorevole Ruini: «in seduta segreta».

Non insisto nel secondo emendamento.

Il terzo mio emendamento non ha più ragione d’essere, avendo la Commissione accolto la proposta Mortati di sopprimere il quarto comma.

PRESIDENTE. E lei onorevole Mortati?

MORTATI. Aderisco al cortese invito dell’onorevole Ruini per quanto riguarda il primo emendamento.

PRESIDENTE. Onorevole Clerici?

CLERICI. Facendo omaggio all’ultimo argomento espresso dall’onorevole Ruini, argomento che si riallaccia a quanto detto dall’onorevole Uberti, e pur restando dell’opinione personale che il Regolamento potrà ovviare ai colpi di maggioranza, tuttavia, siccome la libertà del deputato è cosa così sacra, che bisogna cercare di impedire ogni pericolo di qualsiasi attentato ad essa, ritiro il mio emendamento.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma dell’articolo 61, tolte le parole «Assemblea nazionale»:

«Ciascuna Camera adotta il proprio regolamento con maggioranza assoluta dei propri membri».

(È approvato).

Pongo in votazione il secondo comma, nella formula che risulta dalla proposta dell’onorevole Colitto, modificata dall’onorevole Ruini:

«Le sedute sono pubbliche. Tuttavia le Camere possono deliberare di riunirsi in seduta segreta».

(È approvato).

Passiamo al terzo comma: «Le deliberazioni delle Camere non sono valide se non è presente la maggioranza dei loro membri e se non sono adottate a maggioranza dei presenti, salvo che la Costituzione prescriva una maggioranza speciale».

Poiché tanto l’emendamento Mortati, quanto la proposta soppressiva dell’onorevole Colitto sono state ritirate, pongo in votazione il testo della Commissione.

(È approvato).

Rimane l’ultimo comma: «I membri del Governo, anche se non fanno parte delle Camere, hanno diritto e, se richiesti, obbligo di assistere alle sedute. Debbono essere intesi ogni volta che lo richiedano».

L’onorevole Mortati ha proposto che fosse soppresso, e l’onorevole Ruini ha aderito.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Su questa soppressione dell’ultimo comma io faccio presente che, chi non è membro delle Camere non può entrare nelle Camere. Infatti anche quando un Senatore era nominato Ministro, riceveva l’autorizzazione, in qualità di Ministro, a presenziare alle sedute della Camera dei deputati. In Inghilterra non è ammessa nemmeno questa eccezione.

Una norma che autorizzi coloro i quali non sono membri delle Camere, ma del Governo, a poter partecipare alle sedute delle Camere in questa loro qualità, ritengo che si debba conservare.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Come ho già detto, io considero che la disposizione del comma sia già compresa nello spirito e nella prassi costituzionale italiana; che nulla vieta sia diversa da quella inglese; non occorre un articolo di Costituzione: basta il Regolamento e la consuetudine a stabilire che un Ministro membro di una sola Camera, o di nessuna, partecipi ai lavori parlamentari.

TONELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Vorrei che fosse aggiunto questo: che, quando si tratta di un voto di fiducia o sfiducia al Governo, i membri del Governo si debbano astenere. (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Tonello, metta per iscritto la sua proposta: non si può presentare un emendamento esprimendo una propria idea in forma verbale.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Faccio noto che il fatto di poter partecipare e non presenziare soltanto alle sedute del Parlamento, deriva da un diritto conferito dagli elettori a determinati cittadini. Chi non ha ricevuto dagli elettori questo diritto non può discutere nell’Aula di nessun ramo. Bisogna stabilire quindi, come si è sempre fatto, questa norma: che i membri del Governo possano partecipare, senza diritto di voto, alle sedute delle Camere; che i membri di una Camera, che siano membri del Governo possano, senza diritto di voto, assistere alle sedute dell’altra Camera. Io insisto perché questo concetto sia mantenuto nella Costituzione, perché per me è un concetto costituzionale.

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Onorevole Presidente, l’ultimo comma, del quale ora stiamo discutendo, stabilisce che «i membri del Governo hanno diritto e, se richiesti, obbligo di assistere alle sedute». Ora la domanda che in me viene spontanea, sebbene sia sorta con ritardo, è questa: richiesti da chi?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Dal Parlamento!

COSTANTINI. Non si tratterà di una petizione formale di tutta l’Assemblea legislativa!

PRESIDENTE. Onorevole Costantini, se ha qualche proposta concreta, la faccia nella forma dovuta.

COSTANTINI. Io vorrei precisare: «se richiesti dall’ufficio di presidenza». (Commenti).

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Rispondo innanzi tutto all’onorevole Costantini che la formula «se richiesti» mi pare la più adatta, perché lascia un certo criterio elastico. Se nella Camera si manifesta, da qualche parte, la richiesta che un membro del Governo partecipi per una ragione determinata ad una seduta, e la Camera non si oppone, questa è già una richiesta, alla quale deve ottemperare, senza bisogno di una deliberazione formale della Camera stessa o del suo ufficio di Presidenza.

In quanto poi all’onorevole Lucifero, io ripeto, per la terza volta, che il Comitato non ritiene indispensabile che sia collocata nella Costituzione la materia di cui si discute. Si tratta di un giudizio di opportunità. Ma, appunto per questo, se vi sono qui nell’Assemblea colleghi che credono opportuno l’inserimento – e se alcuni, come l’onorevole Lucifero, credono addirittura che sia necessario –, il Comitato non ha ragione di opporsi a ciò che è ripristino della originaria formula della Commissione; la quale – ripeto ancora e sempre – dovrà nella sua sostanza aver vigore in ogni caso, in forza di un articolo della Costituzione, del Regolamento delle Camere o del costume.

BUFFONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BUFFONI. Io penso che sia più conveniente mantenere questa disposizione, per gli argomenti esposti dall’onorevole Lucifero.

PRESIDENTE. Siccome vi sono alcuni membri dell’Assemblea che non aderiscono alla conclusione iniziale cui era giunto il Comitato dei diciotto, metterò in votazione anche l’ultimo comma: «I membri del Governo, anche se non fanno parte delle Camere, hanno diritto, e se richiesti l’obbligo, di assistere alle sedute».

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Vorrei sapere se la Commissione accetta.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Per la quarta volta dichiaro che il Comitato non si opponeva alla soppressione proposta dall’onorevole Mortati, anche per evitare altre discussioni – io ho sempre presente la necessità di non perdere tempo –; ma se vi è chi insiste per mantenere il testo originario della Commissione, aderisco acché questo sia mantenuto.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Il Presidente della Commissione è estremamente debole nel difendere alcuni principî accettati. Perché deve rimettersi all’Assemblea a causa di qualche dubbio sorto? Non deve rimettersi affatto. Questi dubbi non hanno ragione di essere. Noi siamo in materia di vita costituzionale e sappiamo perfettamente che la vita costituzionale non è solo regolata dal diritto scritto, ma anche dalla consuetudine. Le preoccupazioni, per esempio, dell’onorevole Lucifero, non hanno alcun valore per noi, perché nella vita costituzionale italiana, nelle due Camere potevano entrare anche i non appartenenti ad esse, se erano Ministri.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Per verità, c’era lo Statuto.

LUSSU. Non ha importanza. Ciò è entrato nella nostra tradizione, ed anche qui Ministri e Sottosegretari sono entrati nell’Aula.

RUINI, Presidente della Commissione perla Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’onorevole Lussu, che faceva parte della Commissione, poteva benissimo opporsi ad initio alla disposizione che era stata introdotta nel testo della Commissione anche col suo assenso. Se è debolezza mutar opinione, egli è il più debole di tutti. Io non ho mutato opinione. L’onorevole Lussu che del resto ha tante volte combattuto il Comitato, perché sosteneva il testo presentato, si sbaglia se vede una mia debolezza, quando cerco di tener conto di ragionevoli proposte di emendamento. È piuttosto debolezza, onorevole Lussu, incaponirsi, e lei ne sa qualche cosa, in piccole e legnose questioni formali. Io compio il mio dovere, cercando di abbreviare la discussione e di far più presto che si può. Per questo cedo di fronte a proposte di piccola o nulla importanza. È irrilevante costituzionalmente – lo ripeto non so per quale ennesima volta – che questo comma vi sia o no nella Costituzione, ma, se una parte dell’Assemblea vuol metterlo, tornare al testo originario, dobbiamo mantenerlo.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Vorrei far notare che in questa disposizione è introdotto di straforo il principio che i membri del Governo possono non appartenere alle Camere. Io non vorrei che la votazione riuscisse così confusa, che la Assemblea non avvertisse l’importanza di ciò che vota. Penso che sarebbe opportuno votare per divisione, in modo che da prima si affermasse se possono essere membri del Governo persone non facenti parte delle Camere, e poi se hanno diritto all’ingresso alla Camera.

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. C’è una mia proposta subordinata nel senso che, non accettando l’emendamento soppressivo, si aggiunga anche la menzione dell’obbligo o diritto di partecipare alle Commissioni da parte dei Ministri e membri del Governo. Mi pare che se si mantiene l’inciso (che secondo me non ha ragione di essere mantenuto) bisognerebbe specificare ogni cosa, per derimere dubbi circa la possibilità di intervento dei membri del Governo nelle Commissioni, dubbi sorti anche in passato su questo punto.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Desidero e chiedo che non si massimalizzino questioni di scarsa importanza.

I colleghi dovrebbero tener conto che la Commissione ha studiato per un anno il progetto; e non presentare emendamenti minimi, che fanno perdere tempo. L’onorevole Mortati, ad esempio, propone di aggiungere che i Ministri, che non sono membri d’una Camera, possono partecipare alle sedute di Commissioni di cui non si è parlato ancora fin qui nel progetto. Ma c’è proprio bisogno di dirlo? «Sedute» non comprende tutto? Certe sottigliezze non precisano, ma sciupano la linea semplice e costituzionale, che deve avere la Costituzione.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell’ultimo comma: «I membri del Governo, anche se non fanno parte delle Camere, hanno diritto e, se richiesti, obbligo di assistere alle sedute. Debbono essere intesi ogni volta che lo richiedano».

L’onorevole Laconi ha chiesto la votazione per divisione.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Io rinunzio, ma è importante che risulti chiaro che si introduce in sede costituzionale questo principio: che i membri del Governo possono non essere membri del Parlamento. Io non voglio parlare contro questa possibilità, ma altra cosa è ammetterla di fatto, altra cosa è prevederla in un esplicito articolo di Costituzione.

PRESIDENTE. L’onorevole Stampacchia ha presentato il seguente emendamento, che ha già svolto:

«Sopprimere l’inciso: anche se non fanno parte delle Camere».

Gli onorevoli Costantini, Nobile, Tonello, Stampacchia, Tega, Nobili Tito Oro hanno proposto il seguente emendamento:

«I membri del Governo hanno diritto e dovere di assistere alle sedute». (Commenti al centro).

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non ha senso. Come possono allora fare i Ministri?

PRESIDENTE. Voteremo dunque per divisione, necessariamente, date le molte proposte di emendamenti.

Pongo in votazione la prima parte del comma:

«I membri del Governo, anche se non fanno parte delle Camere».

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Un solo chiarimento. Faccio notare che il non votare «anche se non fanno parte della Camera» può creare difficoltà di diverso ordine, oltre che abbandonare completamente una tradizione non solo italiana, ma di quasi tutto il mondo.

Prima di tutto, renderebbe impossibile servirsi, in circostanze eccezionali, di particolari competenze al Governo, o, almeno, metterebbe nella impossibilità che esse possano riferire alla Camera. Ad esempio, potrebbe succedere che, in caso di guerra, si prenda un generale e lo si faccia Ministro della guerra, ma lo si metterebbe nella impossibilità di riferire alle Camere, di rispondere alle interpellanze e di mantenere i contatti fra Governo e Parlamento.

D’altra parte, si creerebbe la situazione che c’è in Inghilterra, cioè che il Ministro senatore non potrebbe intervenire alle sedute della Camera dei deputati e che il Ministro deputato non potrebbe intervenire alle sedute del Senato. Ho desiderato illustrare questa situazione, come, del resto, ha fatto anche l’onorevole Laconi.

PRESIDENTE. L’onorevole Laconi aveva premesso che chiariva, e non ha fatto alcuna opera di convinzione per sostenere l’una o l’altra tesi. D’altra parte, non ritengo che siano necessarie tante illustrazioni, perché ho l’impressione che la maggioranza della Camera sia già orientata.

Pongo in votazione le seguenti parole:

«I membri del Governo, anche se non fanno parte delle Camere».

(Sono approvate).

Pongo in votazione le parole:

«hanno diritto».

(Sono approvate).

Passiamo alla votazione delle parole proposte dall’onorevole Costantini:

«e dovere».

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Vorrei richiamare l’attenzione dell’onorevole Costantini sulle conseguenze pratiche di questa aggiunta: se mancherà un membro del Governo, a richiesta di un deputato si dovrà sospendere la seduta? Votando una disposizione di questo genere mettiamo il Governo in condizione di far funzionare la Camera quando fa ad esso comodo. (Approvazioni al centro).

Un deputato qualsiasi chiede la presenza del Ministro dei lavori pubblici e si sospende la seduta in attesa del Ministro. Molto comodo per il Governo, ed io mi oppongo.

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Osservo all’onorevole Lucifero che nella formulazione della Commissione può proprio avvenire quanto egli deplora nell’emendamento, che io ho proposto appunto per ovviare a tale inconveniente.

Nel testo della Commissione è scritto che i membri del Governo hanno l’obbligo di intervenire, se richiesti.

Prima ho formulato una precisa domanda: richiesti da chi? Mi è stato risposto: dal Parlamento.

Dai membri del Parlamento o dal Parlamento, corpo collegiale? Allora, il quesito che pongo è il seguente: se nel testo costituzionale noi non mettiamo chi ha il diritto di richiedere la presenza di un membro del Governo, avverrà che qualunque deputato potrà chiedere ad un signor Ministro di intervenire ad una seduta. Con quali conseguenze, allora, onorevole Lucifero, se non proprio quelle che lei deplora? Tanto più che il testo costituzionale, di fronte alla mia proposta che parla di «dovere», dice «obbligo». E l’obbligo è più del dovere, perché lascia supporre anche un atto coercitivo, onde averne l’adempimento.

Allora, proprio per ovviare all’inconveniente accennato dall’onorevole Lucifero, ho creduto di proporre il mio emendamento.

Naturalmente, il dovere verrà esercitato quando il signor Ministro riterrà che sia di effettivo interesse partecipare alle sedute della Camera.

Questo è lo spirito che ha informato il mio emendamento.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Desidero fare alcune osservazioni semplicissime e molto pratiche. Se noi stabiliamo il dovere dei Ministri di assistere alle sedute, senz’altro, si deve logicamente intendere: a tutte le sedute. Ma un Ministro che ha tante cose da fare, come potrebbe assistere ora, per esempio, a tutti i nostri lavori di costituenti, mattina e sera? È meglio dire che devono assistere, se ne sono richiesti.

Sono stati espressi dubbi anche dall’onorevole Lucifero. Ma in che mondo viviamo? Se la richiesta non è seria, è evidente che si alzeranno gli altri deputati e si pronunceranno contro. Il pericolo che i Ministri possono, assentandosi dalle sedute, fare ostruzionismo al lavoro parlamentare è semplicemente fantastico. Né occorre formale ordinanza o decreto di Camera o di Presidenza per condurre nell’Aula, manu armata, i Ministri.

NITTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Senza mancare di riguardo all’Assemblea, debbo confessare che mi pare che noi stiamo facendo una discussione sterile.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Verissimo.

NITTI. Questa non è materia di costituzione, è materia di regolamento.

RUINI. Presidente della Commissione per la Costituzione. Io l’avevo detto.

NITTI. Qual è la situazione dei Ministri? In Inghilterra essi non possono intervenire alle sedute se non sono membri della Camera; in America, i Ministri non sono che segretari del Presidente.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. In America non c’è il regime parlamentare.

NITTI. In Francia, com’era da noi, intervenivano in tutti e due i rami del Parlamento. E i Sottosegretari, che furono una tardiva invenzione di Crispi, in principio non entrarono: poi entrarono.

Ora, cosa significa dovere? È la solidarietà del Ministero; un Ministro può anche rispondere per altri Ministri; può rispondere per tutte le questioni che riguardano il Gabinetto: lo fate voi stessi. E allora perché facciamo tutte queste questioni? Lasciamo questa materia ai regolamenti. Noi facciamo una Costituzione, non facciamo un regolamento: manteniamoci dunque in questa linea. (Applausi).

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Costantini: «e dovere».

(Non è approvato).

Pongo ora in votazione le parole: «e, se richiesti, obbligo di assistere alle sedute».

(Sono approvate).

Abbiamo ora la proposta dell’onorevole Mortati di aggiungere; dopo la parola: «sedute» le altre: «nonché alle riunioni delle Commissioni, nei casi dell’articolo 69, terzo comma».

MORTATI. La ritiro.

PRESIDENTE. Sta bene. Non è rimasta allora che un’ultima frase, l’ultima proposizione: «Debbono essere intesi ogni volta che lo richiedano». La pongo in votazione.

(È approvata).

Pertanto l’articolo 61 nel suo complesso risulta così approvato:

«Ciascuna Camera adotta un proprio regolamento a maggioranza assoluta dei propri membri.

«Le sedute sono pubbliche; tuttavia le Camere possono deliberare di riunirsi in seduta segreta.

«Le deliberazioni delle Camere non sono valide se non è presente la maggioranza dei loro membri e se non sono adottate a maggioranza dei presenti, salvo che la costituzione non prescriva una maggioranza speciale.

«I membri del Governo, anche se non fanno parte delle Camere, hanno diritto e, se richiesti, l’obbligo di assistere alle sedute. Debbono essere intesi ogni volta che lo richiedano».

Passiamo all’articolo 62. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge.

«La legge determina i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l’ufficio di deputato o di senatore.

«Nessuno può essere contemporaneamente membro delle due Camere».

PRESIDENTE. A questo articolo l’onorevole Colitto ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma sopprimere le parole: di ineleggibilità e».

Ha facoltà di svolgerlo.

COLITTO. Io ho proposto di sopprimere al primo comma le parole: «di ineleggibilità e», perché dell’eleggibilità si è parlato negli articoli 54 e 55 della Costituzione.

Poiché la materia della eleggibilità è già stata trattata in altra parte della Costituzione, penso che non se ne debba parlare novellamente qui.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non credo che siano ragioni sufficienti quelle addotte dall’onorevole Colitto. Negli articoli che egli ha citato si tratta di alcune condizioni di eleggibilità; non di tutti i casi di ineleggibilità, che devono essere previsti e regolati dalla legge elettorale. Caso mai bisognerebbe riferirsi all’articolo 45. Ma io sono sicuro che l’onorevole Colitto non insisterà, anche tenendo presente – egli che ha tanto cura della forma – che «ineleggibilità ed incompatibilità» è una formula inscindibile e classica, che si completa e suona bene nelle costituzioni.

PRESIDENTE. Onorevole Colitto, lei insiste nel suo emendamento?

COLITTO. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Pongo allora in votazione il primo comma dell’articolo 62:

«La legge determina i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l’ufficio di deputato o di senatore».

(È approvato).

Pongo in votazione il secondo comma dell’articolo:

«Nessuno può essere contemporaneamente membro delle due Camere».

(È approvato).

Allora, l’articolo 62 è approvato nel testo della Commissione.

Passiamo all’articolo 63. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei propri membri».

PRESIDENTE. A questo articolo l’onorevole Romano ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire l’articolo 63 col seguente:

«La Corte di cassazione giudica dei titoli di ammissione dei membri delle due Camere.

«Il collegio giudicante è costituito da tutti i presidenti di sezione della Suprema Corte e presieduto dal primo presidente della Corte stessa».

Ha facoltà di svolgerlo.

ROMANO. L’argomento ha formato oggetto anche di discussioni nei Parlamenti passati, il che dimostra che anche i deputati di allora rimasero insoddisfatti di quanto decidevano le Giunte parlamentari.

Oggi la verifica dei poteri viene fatta in prima istanza, diciamo così, dalle Giunte parlamentari, e dall’Assemblea stessa, in seconda istanza.

Se si considera che le assemblee ordinariamente sono espressione dei partiti, delle correnti politiche, è facile dedurre che questi due organi funzionano da parte e da giudici, il che desta preoccupazioni.

Basterebbe questo rilievo per ritenere ordinariamente poco sereno il giudizio. Sulla decisione di tutte le questioni influiscono elementi diversi, figuriamoci in questioni di natura politica che sono sempre permeate di passione.

Quindi questo è uno dei motivi per cui i Parlamenti del passato si sono occupati più volte della questione.

Prova ne è che nella nostra biblioteca esistono monografie e discorsi contrari alla Giunta parlamentare.

E la prova è che anche nella nostra biblioteca vi sono monografie di parlamentari diversi che se ne sono occupati.

Si è detto che le Giunte parlamentari sono formate da giuristi, da maestri del diritto, e che quindi dovrebbe tranquillizzare, ma va osservato che di frequente sono chiamati a farvi parte anche profani del diritto e, quindi, finiscono per seguire gli esperti; ora se questi si avvalgono della loro capacità per fare prevalere lo spirito di parte, gli altri sono indotti ad avallare incoscientemente un giudizio errato.

Ma prescindendo dal giudizio, gli inconvenienti si possono verificare anche al di fuori del giudizio della Giunta; e la storia parlamentare registra diversi di questi inconvenienti.

Noi abbiamo assistito, anche recentemente, a casi di deputati che sono rimasti nell’Assemblea per tutta la legislatura ed alcuni hanno anche ricoperto posti di Governo, senza avere avuto la convalida della Giunta e dell’Assemblea.

Si può osservare che, demandando la verifica dei poteri ad organi estranei al Parlamento, si verrebbe quasi a ledere la sovranità dell’Assemblea; ma questo rilievo io penso che non sia del tutto fondato. Basta osservare che, finché l’elezione non è convalidata, non si può considerare l’eletto parte integrante dell’Assemblea. Quindi, se un organo estraneo all’Assemblea giudica sulla convalida, sostanzialmente non viola la sovranità dell’Assemblea stessa.

Ora, demandando alla Suprema Corte di Cassazione la verifica dei poteri, gli inconvenienti che si sono finora lamentati verrebbero in gran parte ad essere eliminati. Il magistrato ordinario è libero da vincoli di amicizia e di convinzioni politiche che legano fra loro i membri di partiti; per i magistrati non hanno valore le convenienze, le così dette opportunità politiche.

Il magistrato, per suo stesso abito mentale, è condotto a ritenersi superiore a tutte queste miserie della vita politica.

Queste qualità sono garanzia della serenità del responso.

Si è detto che le contestazioni investono ordinariamente questioni politiche. La verità è che il movente è l’ambizione politica, ma le contestazioni riguardano o questioni di diritto, e sono le più numerose, o reati, e sono le meno numerose.

Ma in entrambi i casi trattasi di applicare e interpretare la legge, e questa competenza specifica è propria del magistrato.

Con l’emendamento aggiuntivo di oggi ho inteso costituire il collegio giudicante con i presidenti di sezione della Corte di Cassazione per prevenire nella formazione manovre politiche.

Penso che l’emendamento possa essere accolto. (Interruzioni).

Voci a sinistra. Basta con la magistratura fascista!

ROMANO. La magistratura non si è mai sporcata di fascismo, è rimasta sempre al suo posto e lo è anche oggi. Siete voi che la volete asservita, ma non vi riuscirete. (Commenti).

PRESIDENTE. Seguono gli emendamenti presentati dall’onorevole Calamandrei:

Sostituirlo con i seguenti:

Art. …

«Ciascuna Camera è giudice dei titoli di ammissione dei propri componenti, previa indagine di una Giunta permanente, nominata con la rappresentanza proporzionale dei vari Gruppi della Camera, e fornita degli stessi poteri istruttori che ha l’Autorità giudiziaria.

«Spetta a detta Giunta indagare, anche di ufficio, sulle cause di ineleggibilità e di incompatibilità sopraggiunte dopo le elezioni, per riferirne alla Camera, che può dichiarare la decadenza dalla carica del deputato o senatore diventato ineleggibile o incompatibile».

Art. …

«Ciascuna Camera è giudice delle accuse mosse nel Parlamento alla onorabilità dei suoi componenti. Non si può addivenire alla discussione e deliberazione pubblica su tali accuse, se prima non si sia pronunciata su di esse, a richiesta degli interessati o anche di ufficio, la Giunta permanente di cui al precedente articolo, la quale indaga sulla fondatezza delle medesime e ne riferisce alla Camera per gli opportuni provvedimenti».

ROSSI PAOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROSSI PAOLO. Faccio miei i due emendamenti dell’onorevole Calamandrei, assente.

Pregherei di rinviarne l’esame al momento in cui si discuterà l’articolo 78.

Difatti l’onorevole Calamandrei, nel redigere questi articoli, ha volutamente lasciato in bianco la numerazione, perché quella materia andrebbe trattata in fondo al Titolo.

PRESIDENTE. Onorevole Rossi, la sua richiesta di rinvio può aver valore per la seconda delle formulazioni; la prima, invece, deve essere trattata in questa sede.

ROSSI PAOLO. Illustrerò allora brevemente la seconda proposto. Mi pare che sia evidente che devono essere le Camere giudici dei titoli d’ammissione dei propri membri e mi pare che questo supremo giudizio non possa essere affidato ad altri corpi che non siano le Camere stesse. È vero, però, che si tratta di una materia di estrema delicatezza, e quindi la garanzia contenuta nell’alinea dell’emendamento proposto dall’onorevole Calamandrei mi sembra che acquisti rilevanza costituzionale ed ecceda i limiti del semplice regolamento. Ritengo opportuno che si dica nella Costituzione che quella che si chiamerà la Giunta permanente delle elezioni debba essere nominata col criterio della rappresentanza proporzionale dei Gruppi della Camera.

È davvero materia troppo delicata ed è materia troppo importante per lasciarla affidata unicamente alle norme regolamentari.

Possiamo votare con tranquillità che la Giunta delle elezioni deve essere nominata con la rappresentanza proporzionale di tutti i Gruppi che fanno parte della Camera.

Rimane la seconda parte dell’emendamento Calamandrei. Tra i poteri della Giunta vi deve essere evidentemente anche quello di esaminare la ineleggibilità o la incompatibilità sopraggiunta ed è opportuno che ciò abbia rilevanza costituzionale e non sia affidato semplicemente al Regolamento.

Per queste ragioni invito l’Assemblea a votare il secondo degli emendamenti Calamandrei.

Per il primo credo che il Presidente concordi con me circa l’opportunità di rinviarne la trattazione all’articolo 78.

PRESIDENTE. Sta bene.

Segue l’emendamento dell’onorevole Mortati:

«Sostituirlo col seguente:

«Un tribunale elettorale, composto, in numero pari, di magistrati della Cassazione, del Consiglio di Stato e di membri eletti dalle due Camere, e presieduto dal primo presidente della Cassazione, giudica del possesso dei requisiti per la nomina a membro del Parlamento, nonché delle questioni relative alla perdita del mandato.

«Compete a ciascuna Camera la pronuncia definitiva sull’ammissione dei propri membri e sulla loro cessazione».

L’onorevole Mortati ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

MORTATI. Ho ripresentato in questa sede una proposta già fatta in sede di Commissione per la Costituzione, e che allora non fu coronata da successo. Probabilmente non lo sarà neanche adesso, ma ad ogni modo io sento il dovere di insistere in essa, sembrandomi corrispondere ad un’esigenza rilevante. Rilevante per quei paesi, come il nostro, dove non vi è ancora un saldo costume che conduce allo spontaneo rispetto delle regole del giuoco. Uno dei problemi fondamentali della nostra nascente democrazia è precisamente quello di creare guarentigie abbastanza solide per la tutela delle minoranze. Il mio emendamento tende precisamente a raggiungere questo intento di tutelare i diritti delle minoranze in quella sede così delicata che è l’accertamento dei titoli per l’ammissione dei membri delle Camere. Il pericolo che questo accertamento si faccia con criteri politici non è solo eventuale, ma concreto, ed esso tende a divenire sempre più grave via via che la lotta politica assume carattere di maggiore asprezza, e che assume un particolare rilievo quando si accolga, come si è fatto da noi per il Senato, il principio del collegio uninominale. Infatti, l’interesse di fare annullare l’elezione di avversari politici nel caso della rappresentanza proporzionale può essere tenue, subentrando un altro deputato dello stesso partito, ma è molto più grave quando si tratta di elezione con il collegio uninominale, perché in tal caso l’annullamento può condurre ad uno spostamento del rapporto delle forze politiche. Non sembra fondata l’obiezione che si muove alle proposte di sottrarre, in tutto o in parte, al Parlamento la verifica dei titoli dei propri membri, quella cioè di far venire meno l’autonomia e compromettere le guarentigie inerenti alla posizione di organo supremo da esso rivestito. A parte la considerazione che, secondo la mia proposta, il giudizio definitivo rimane al Parlamento, è da osservare che l’accertamento dei titoli di ammissione si compie attraverso un esame di pura legittimità, e quindi meglio può essere adempiuto da un organo che, per la sua composizione, dia affidamento di poterlo compiere con maggiore competenza ed indipendenza.

Si può poi ricordare che il sistema da me proposto si accosta a quello vigente in Inghilterra fin dal 1868, in una nazione cioè che ha una illustre tradizione di rispetto della autonomia del Parlamento, ma che, con un sano empirismo, ha saputo rinunziare ad una eccessiva rigidezza del principio della separazione dei poteri quando ciò appariva utile ad un rafforzamento delle garanzie della libertà.

Vorrei poi richiamare l’attenzione dei colleghi sull’ultima parte del mio emendamento, che prevede l’accertamento da parte di un organo imparziale anche per la pronuncia della decadenza dei membri del Parlamento. Si può ricordare un esempio macroscopico di abuso del Parlamento in questa materia: e cioè la decadenza dichiarata dal Parlamento fascista dei deputati aventiniani.

L’esistenza di una norma del genere di quella proposta avrebbe potuto per lo meno rendere più difficile l’abuso.

Una voce a sinistra. Sarebbe stato lo stesso! È stata la violenza! (Commenti).

ROMANO. La Magistratura è stata sempre al suo posto! (Proteste all’estrema sinistra).

PRESIDENTE. Onorevole Romano, non interrompa!

SCOCA. È un magistrato che difende la Magistratura!

PRESIDENTE. Nessuno glielo vieta, ma deve prendere regolarmente la parola. Già un’altra volta l’onorevole Romano ha chiesto la parola a questo scopo.

MORTATI. Per concludere, mi paro utile che sia distinta la questione di principio, circa l’opportunità della sottrazione al Parlamento, in via totale o parziale, del giudizio di verifica dei poteri, dall’altra relativa ai modi concreti di realizzazione del medesimo. Tali modi possono essere molteplici e lo studio di quello da ritenere preferibile potrebbe compiersi utilmente solo dopo avere risolto approssimativamente il primo punto.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Desidererei esprimere la mia opinione ed anche la mia sorpresa sulla insistenza dell’onorevole Mortati a presentare questo emendamento, dopo che in seno alla Commissione è stato accolto, non dico con spirito negativo, ma con sdegno generale. L’onorevole Mortati ha il pieno diritto come deputato di presentare un emendamento; ma io credo che la sua cortesia non mi negherà l’uguale diritto che io ho di esprimere il mio sentimento. Io sento lo stesso senso di offesa nell’esaminare questo emendamento, così come la sentirei se l’onorevole Mortati, in base alle considerazioni note e arcinote sulla superiore linea imparziale della Magistratura e della Cassazione, avesse proposto che il Presidente della nostra Assemblea fosse addirittura Presidente della Corte di cassazione.

L’Inghilterra! Sta bene, l’Inghilterra. Onorevole Mortati, non si faccia trascinare dall’esempio di un paese come l’Inghilterra, perché, se fossimo sempre conseguenti nella linea di questo esempio, noi dovremmo riesaminare i nostri istituti e vedere se non sia il caso, per la nostra salute pubblica, d’introdurre la Camera dei Lords o, meglio ancora, rimettere in piedi l’istituto monarchico!

Ora, l’Inghilterra ha la sua storia, le sue tradizioni ed il suo sviluppo giuridico, costituzionale, politico. Noi ne abbiamo un altro; ed è in base a questa nostra diversa situazione che io considero questo emendamento proprio particolare di un uomo non politico – me lo permetta l’onorevole Mortati. Solo un costituzionalista, estraneo alla politica, poteva presentare un emendamento di questo genere e per giunta insistere nel suo errore.

GASPAROTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GASPAROTTO. Dichiaro di aderire al testo proposto dalla Commissione, perché mi sembra che resterebbe esautorata l’Assemblea se rinunciasse a questo suo diritto, che è affermato da tutta la tradizione della democrazia italiana. Dai banchi dell’esterna, in tempi lontani, da Cavallotti a Imbriani, esso fu fissato, e successivamente adottato e costantemente mantenuto. Del resto, in onore del Parlamento italiano, dobbiamo riconoscere che nei casi controversi si è sempre resa giustizia, e che le Commissioni inquirenti delegate all’istruttoria in materia di corruzione elettorale hanno giudicato serenamente e obbiettivamente. Il precedente, accennato dall’onorevole Mortati, del 9 novembre 1926, non calza. Fu quello un gesto squisitamente rivoluzionario. Io era allora deputato; appartenevo a quella Assemblea: non ho certo votato quella deliberazione. Fu nell’occasione in cui era iscritto all’ordine del giorno il disegno di legge per l’istituzione del Tribunale speciale straordinario che contemplava anche il ripristino della pena di morte, mentre intorno a quel progetto l’opposizione dell’Aula si era particolarmente agguerrita, che inopinatamente, senza che fosse stata iscritta all’ordine del giorno, fu presentata la proposta della defenestrazione degli aventiniani, passando sopra a Regolamenti e a consuetudini parlamentari.

Quindi, il richiamo non regge. Si tratta del più turpe atto rivoluzionario che abbia compiuto il fascismo.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ruini a esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Le proposte degli onorevoli Romano e Mortati hanno posto questo problema: togliere al Parlamento la verifica dei poteri, che finora gli è spettata in Italia.

Il problema ha qualche riflesso altrove. In alcuni Paesi è stato creato un tribunale elettorale; in nessuno però il compito è stato deferito alla Cassazione ordinaria.

Nella proposta Mortati non si capisce bene cosa sia il suo tribunale elettorale; è piuttosto una giunta istruttoria, perché compete a ciascuna Camera la pronunzia definitiva per l’ammissione dei suoi membri. Quindi, figura ibrida, che il Comitato non accetta per la sua imprecisione, e per l’imperfezione della disposizione.

Il problema da porre nella sua pienezza è se si debba istituire uno speciale tribunale elettorale, spossessando le Camere di una loro funzione tradizionale.

La Commissione ha stabilito, fin dall’inizio dei suoi lavori – ed ora il Comitato non ha nessuna ragione di cambiare questa decisione – che la verifica dei poteri resti a ciascuna Camera. Vi è anche una ragione pratica: che – se entrassimo nell’idea d’un tribunale elettorale – dovremmo prevederne e regolarne bene la composizione. Ma vi ha di più: crediamo che non si possa spossessare il Parlamento di una sua attribuzione, cui è legato un valore altamente democratico.

Aggiungo che, nell’esercizio dei loro poteri di verifica, dopo tutto, i due rami del Parlamento non hanno mai compiuto gravissimi abusi. È inutile dire male di noi stessi. Vi possono essere state incertezze. Ma in tutta la loro storia le Camere hanno mostrato senso di giustizia in questa materia.

L’onorevole Rossi ha fatto propri gli emendamenti presentati dall’onorevole Calamandrei. Questi, che è un altissimo giurista, onore del nostro Paese, ha scritto lunghi articoli, che non credo sia il caso di mettere nella nostra Costituzione. Potrebbe essere accettato un solo punto. L’articolo 63 dice: «Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei propri membri». Si è sempre inteso che quando sopravviene una causa di ineleggibilità o di incompatibilità, questa sia compresa nell’«ammissione» e ricada sempre nel giudizio di verifica della Camera. Se si vuole chiarire bene questo punto e togliere ogni (pur non fondatissimo) dubbio, si può dire così: «Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei propri membri e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità».

Non credo che siano da introdurre nella Costituzione tutte le modalità riguardanti la Giunta delle elezioni e la questione della rappresentanza dei vari Gruppi. Esse sono comprese nello spirito della Disposizione generale. Una soverchia minuzia toglierebbe la semplicità dello stile costituzionale. Sono norme da stabilirsi con i Regolamenti delle Camere; né – perché ciò possa avvenire – occorre che la Costituzione ne faccia esplicita delega ai Regolamenti.

PRESIDENTE. Chiedo ai presentatori di emendamenti se intendono conservarli. Onorevole Rossi Paolo?

ROSSI PAOLO. Non insisto ed accetto le proposte dell’onorevole Ruini.

PRESIDENTE. E lei, onorevole Romano?

ROMANO. Aderisco al testo dell’emendamento Mortati.

PRESIDENTE. E lei, onorevole Mortati?

MORTATI. Lo conservo come affermazione di principio, pur rendendomi conto della opportunità di rielaborare più accuratamente i dettagli del procedimento proposto. Non trovo però del tutto esatti i rilievi mossi dall’onorevole Ruini, perché esso ricalca, nei tratti fondamentali, il sistema inglese, caratterizzato da un duplice giudizio innanzi alla Corte di giustizia, e in via definitiva innanzi alla Camera. La Camera ha l’ultima parola, ma difficilmente essa potrebbe distaccarsi dalla soluzione di un organo così autorevole come il proposto tribunale elettorale.

Sono vere le osservazioni dell’onorevole Lussu sulle differenze fra il costume politico inglese e il nostro: ma non per questo si debbono tacciare di astrazione tutti i tentativi di avviarsi verso un rinnovamento di questo costume. È da ricordare che anche altri Paesi del continente, ispirati ad un ideale di più perfezionata democrazia, come la Cecoslovacchia e la Germania di Weimar, per citare solo i più importanti esempi, hanno costituito tribunali elettorali.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Se ella stessa, che è così autorevole studioso, riconosce che il suo emendamento dovrebbe essere riveduto e corretto e che ha delle linee che non le pare possano reggere – non si può istituire un tribunale e poi dargli solo funzioni istruttorie – io la prego di ritirarlo.

MORTATI. Ritiro il mio emendamento.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Lo faccio mio senza l’ultimo capoverso. (Commenti). Sono membro della Giunta delle elezioni e quindi non voglio entrare nella discussione, ma traggo la mia convinzione da una esperienza vissuta e sofferta. Io credo che sia una garanzia per tutti che un organo misto esamini ogni elezione contestata. Almeno sarà una garanzia per il Parlamento, perché non si facciano certi commenti e certe polemiche che certamente non sono utili al suo prestigio, né alla sua funzionalità. Faccio mio l’emendamento dell’onorevole Mortati senza l’ultimo capoverso che è, secondo me, in contradizione con il resto. Chiedo pertanto che sia posto in votazione.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell’emendamento dell’onorevole Mortati, fatto proprio dall’onorevole Lucifero senza l’ultimo comma, sostitutivo dell’articolo 63 del progetto. Ne do nuovamente lettura:

«Un tribunale elettorale, composto, in numero pari, di magistrati della Cassazione, del Consiglio di Stato e di membri eletti dalle due Camere, e presieduto dal primo Presidente della cassazione, giudica del possesso dei requisiti per la nomina a membro del Parlamento, nonché delle questioni relative alla perdita del mandato».

Lo pongo ai voti.

(Non è approvato).

Occorre ora votare l’articolo 63 nel testo del progetto, completato dalla aggiunta suggerita dal Presidente della Commissione, il quale ha ripreso un concetto contenuto nell’emendamento Calamandrei, fatto proprio e svolto dall’onorevole Rossi Paolo.

Il testo dell’articolo 63 risulta pertanto del seguente tenore:

«Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei propri membri e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità».

Lo pongo ai voti.

(È approvato).

Il seguito della discussione è rinviato alle ore 16.

La sedata termina alle 13.10.

POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 9 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLII.

SEDUTA POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 9 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Laconi

Avanzini

De Vita

Carboni Angelo

Nobili Tito Oro

Donati

Codacci Pisanelli

Bastianetto

Rodi

Arata

Moro

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Gasparotto

Clerici

Lussu

Nobile

Targetti

Perassi

Lucifero

Scoccimarro

Corbino

Fabbri

Bosco Lucarelli

Piccioni

Di Vittorio

Rossi Paolo

Camangi

Giannini

Benedettini

Bozzi

Votazione segreta:

Presidente

Risultato della votazione segreta:

Presidente

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

DE VITA, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Dobbiamo passare all’esame delle proposte relative alla costituzione del primo Senato della Repubblica, presentate dagli onorevoli Leone Giovanni, Martino Gaetano, De Vita e Laconi.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Su che cosa, onorevole Laconi?

LAGONI. Su una questione pregiudiziale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Vorrei chiedere all’Assemblea se non ravvisi l’opportunità di discutere tale questione quando si discuterà delle norme transitorie.

AVANZINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

AVANZINI. Ho chiesto di parlare al posto dell’onorevole Leone Giovanni, che ha dovuto assentarsi.

Vorrei prospettare l’opportunità, appunto perché si tratta della costituzione del Senato per la prima volta, e non del Senato organo definitivo, di rimandare la votazione di queste proposte in sede di esame e discussione delle disposizioni transitorie.

PRESIDENTE. Ieri sera questa questione è stata già accennata.

Rammento che all’inizio avevo appunto manifestato questa opinione, ma alcuni colleghi si erano espressi in contrario. Ci troviamo in questo momento, però, di fronte alla proposta precisa che tutto ciò che si riferisce alla costituzione del primo Senato della Repubblica sia rinviato – e come esame e come votazione – al momento in cui si esamineranno e si voteranno le norme transitorie.

Se nessuno ha da esprimere contrario avviso, pongo in votazione questa proposta.

(È approvata).

Passiamo ora all’esame dell’articolo 56. Se ne dia lettura.

DE VITA, Segretario, legge:

«Sono eleggibili a senatori gli elettori, nati o domiciliati nella Regione, che hanno compiuto trentacinque anni d’età, e sono o sono stati:

decorati al valore nella guerra di liberazione 1943-1945, capi di formazioni regolari o partigiane con grado non inferiore a comandante di divisione;

Presidenti della Repubblica, Ministri o Sottosegretari di Stato, Deputati all’Assemblea Costituente o alla Camera dei deputati, membri non dichiarati decaduti del disciolto Senato;

membri per quattro anni complessivi di Consigli regionali o comunali;

professori ordinari di università e di istituti superiori, membri dell’Accademia dei Lincei e di corpi assimilati;

magistrati e funzionari dello Stato e di altre pubbliche amministrazioni di gradi non inferiori o equiparati a quelli di consigliere di cassazione o direttore generale;

membri elettivi per quattro anni di consigli superiori presso le amministrazioni centrali; di consigli di ordini professionali; di consigli di Camere di commercio, industria ed agricoltura; di consigli direttivi nazionali, regionali o provinciali di organizzazioni sindacali;

membri per quattro anni di consigli di amministrazione o di gestione di aziende private o cooperative con almeno cento dipendenti o soci; imprenditori individuali, proprietari conduttori, dirigenti tecnici ed amministrativi di aziende di eguale importanza».

PRESIDENTE. Sono stati presentati a questo articolo vari emendamenti.

Il primo è quello dell’onorevole De Vita, del seguente tenore:

«Sostituirlo col seguente:

«Sono eleggibili a senatori gli elettori, nati o domiciliati nella Regione, che hanno compiuto quaranta anni di età».

L’onorevole De Vita ha facoltà di svolgerlo.

DE VITA. A parte ogni considerazione sulla opportunità di mantenere nelle categorie di eleggibili a senatori, alcuni componenti, come i magistrati e i funzionari dello Stato di grado non inferiore al quarto, essendo assai discutibile se sia opportuno che alti magistrati e alti funzionari dello Stato partecipino alla viva lotta politica, ritengo che la Commissione si sia trovata dinanzi a difficoltà assai gravi nello stabilire le categorie elencate all’articolo 56.

È completa l’elencazione? Sono assai ristrette o sono troppo ampie le categorie elencate?

Mi pare che queste domande contengano la condanna al criterio seguito dalla Commissione, perché è assai difficile – direi quasi impossibile – trovare un criterio assoluto che valga a stabilire se una elencazione sia completa e se le categorie siano troppo ampie o assai ristrette.

Ritengo, peraltro, che ogni limitazione posta in questo campo sia non soltanto arbitraria, ma anche antidemocratica.

Per quanto riguarda il limite minimo di età – con la mia proposta elevato da 35 a 40 anni – ritengo di non dovere spendere troppe parole. L’emendamento è ispirato dalla considerazione che il Senato debba essere composto da elementi che, anche per la loro età, diano garanzia di serenità, di obiettività e soprattutto di maggiore ponderatezza nelle deliberazioni che saranno chiamati ad adottare.

PRESIDENTE. L’onorevole Carboni Angelo ha presentato il seguente emendamento, firmato anche dagli onorevoli Preti, Lami Starnuti, Rossi Paolo, Di Giovanni, Ruggiero.

«Sostituirlo col seguente:

«Sono eleggibili a senatori gli elettori, nati o domiciliati nella Regione, che hanno compiuto trentacinque anni di età al momento delle elezioni».

L’onorevole Carboni ha facoltà di svolgerlo.

CARBONI ANGELO. Il mio emendamento coincide esattamente con quello ora svolto dall’onorevole De Vita, salvo per quanto riguarda il limite di età, perché io mi sono attenuto a quello di 35 anni proposto dalla Commissione. L’onorevole De Vita propone invece che questo limite sia elevato a 40 anni, ed io non ho obiezioni da fare.

A quanto ha detto l’onorevole De Vita sul contenuto sostanziale del suo emendamento, coincidente – ripeto – col mio, cioè

che l’elencazione degli eleggibili a senatori non corrisponde ad un criterio di opportunità, perché quelle categorie da un lato appaiono troppo ristrette, dall’altro troppo larghe, a me pare si debba aggiungere un’altra considerazione, cioè che limitare l’eleggibilità a senatore a determinate categorie di cittadini, ritenuti presuntivamente più capaci ed idonei, sia un criterio antidemocratico, che offende la libertà di scelta da parte del corpo elettorale in base ad una valutazione concreta della capacità e dell’attitudine di ciascuno.

Però io credo che ormai questo della determinazione delle categorie degli eleggibili sia un argomento superato dagli eventi.

La formulazione dell’articolo in esame è il risultato della laboriosa ricerca, nella Commissione dei settantacinque, di un criterio differenziatore fra le due Camere, il Senato e la Camera dei deputati. Si volle fissare qualche cosa che differenziasse la formazione delle due Camere, e si credette di trovare questo elemento differenziatore, stabilendo l’obbligatorietà della scelta dei senatori in determinate categorie di cittadini.

Ora l’Assemblea ha fissato il criterio differenziatore in qualche cosa di molto più saldo e più efficace, perché ha votato due ordini del giorno, uno che determina in linea di massima che la Camera dei deputati debba essere eletta col sistema proporzionale, l’altro che il Senato debba essere eletto col sistema del collegio uninominale.

In questa maniera si viene a differenziare la formazione dell’una e dell’altra Camera in tale modo, da rendere inutile l’espediente dell’elencazione delle categorie di eleggibili a senatori.

Raccomando, quindi, il mio emendamento ai voti dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento degli onorevoli Targetti, Amadei, Carpano Maglioli, De Michelis, Fedeli Aldo, Malagugini, così concepito:

«Sostituirlo col seguente:

«A senatori sono eleggibili gli elettori che hanno compiuto trentacinque anni di età.

«Subordinatamente:

«Al terzo alinea sopprimere: o comunali, e sostituire: Deputazione provinciale o Giunta comunale.

«Al quarto alinea sopprimere: e di corpi assimilati.

«Sopprimere il settimo alinea».

Non essendo presente alcuno dei firmatari, si intende che abbiano rinunciato a svolgerlo.

L’onorevole Nobili Tito Oro ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«Sono eleggibili a senatori i cittadini elettori che abbiano compiuto i trentacinquenni di età».

Ha facoltà di svolgerlo.

NOBILI TITO ORO. Onorevoli colleghi, l’articolo 56 stabilisce le norme per la eleggibilità dei senatori e le relative limitazioni per età, per naturalità o domicilio e per categoria.

L’emendamento da me proposto, lasciando inalterata l’età stabilita dal progetto in trentacinque anni, elimina ogni altra limitazione, sia in ordine alla naturalità o al domicilio, sia in ordine alle categorie sociali, economiche, culturali, ecc.

Del requisito dell’età si è preoccupato pel nostro Gruppo il collega Targetti, il quale ha proposto che essa sia elevata a quaranta anni; e lo stesso Targetti, con altri colleghi, ha pure proposta la soppressione delle altre limitazioni sopra indicate. Tale emendamento, essendo decaduto per assenza dei proponenti, viene ripreso col mio, col quale perfettamente coincide, salvo per quanto riflette il requisito dell’età.

In ordine a questa, riconoscendo che l’unico giustificato criterio differenziale fra le due Camere può essere rappresentato dalla maggiore prudenza che contradistingue gli uomini più maturi negli anni, ho lasciata inalterata l’età proposta dal progetto in trentacinque anni almeno.

L’emendamento Targetti invece appoggia, come ho detto, la tendenza a portare l’età degli eligendi a un limite minimo più elevato, e almeno ai quaranta anni. Su questo punto vi è pertanto disaccordo fra la proposta mia e quella dei colleghi; la mia è più aderente a criteri di democrazia, l’altra maggiormente seconda la preoccupazione di creare un organo dotato di maggiore esperienza della vita, e quindi di maggiore prudenza. Mi permetto però di far presente all’Assemblea che trattasi tuttavia di una differenza così lieve da rendersi irrilevante: onde, per riguardo ai colleghi proponenti che non potranno intervenire nella discussione, preferisco, anziché prender partito per l’una piuttosto che per l’altra risoluzione, di rimettere la scelta all’Assemblea.

Sugli emendamenti da portare alle altre parti del testo sono invece pienamente d’accordo col collega Targetti. Noi non possiamo accettare la limitazione della eleggibilità in ragione di naturalità o di domicilio, nel senso di esigere che il candidato sia nato o domiciliato nella Regione che dovrebbe eleggerlo.

La nostra tradizione unitaria ha precedenti chiari: non gioverebbe ricercarla nelle disposizioni della Statuto albertino riguardanti il Senato, perché esso contemplava un Senato di nomina regia.

Ma il principio dello Stato-Nazione, cioè dello stato unitario attraverso la rappresentanza estensiva degli interessi generali dell’intero Paese per parte di ogni singolo parlamentare, era ben definito nelle disposizioni riguardanti la Camera dei deputati. Era ivi espressamente dichiarato, mi pare all’articolo 41, che il deputato non rappresenta soltanto il collegio dal quale è stato eletto, ma la intiera Nazione. D’altra parte in nessuna delle leggi elettorali dello Stato italiano è stato mai prescritto che per la eleggibilità del deputato occorresse che egli fosse o nato o domiciliato entro l’àmbito del collegio dove si fosse presentato candidato. Siffatta pretesa non trova del resto riscontro in alcuna altra Carta costituzionale, che non siano quelle di Paesi governati a sistema federale o a Federazione di stati. Ognuno comprende come questo non sia il caso nostro. Noi abbiamo continuamente riaffermato la decisa volontà del Paese di ispirarsi sempre a quell’indirizzo unitario al quale si è ispiralo il nostro Risorgimento, rispetto al quale la nostra fede rappresenta un superamento, non un rinnegamento.

L’unità d’Italia, nel moto spontaneo dei popoli verso le grandi formazioni che sollecitano l’abbattimento delle «barriere scellerate» e la fratellanza di tutte le genti, ha una tradizione degna; di epopea, costellata di lotte, di sacrifici, di martiriologio; e la convinzione della sua necessità formò il substrato etico e passionale delle lotte, delle rivolte insurrezionali che condussero alla costituzione dello Stato nazionale italiano. C’è qualcuno che si illuda di poter oggi, profittando della sciagura, dare il colpo di spugna alle conquiste che di tale movimento furono le conseguenze?

Di questo spirito, che le calamità mai non riuscirono a spegnere, è documento la Costituzione della Repubblica romana, che ammetteva alla propria Assemblea non i naturali soltanto del proprio territorio, ma i cittadini degli Stati tutti d’Italia che da sei mesi vi avessero preso stanza. Lo ricordino gli immemori!

Il Senato è uno dei due rami del Parlamento nazionale; e legifera, vigile tutore dell’interessi generali di tutto il Paese, sugli interessi medesimi; e attinge, nella formazione della propria Assemblea, a tutto il territorio nazionale, senza distinzioni territoriali: sotto tale riflesso tutti i cittadini devono poter partecipare all’Assemblea medesima, in qualunque parte del territorio siano nati, in qualunque parte siano stati proclamati candidati ed eletti. La limitazione della eleggibilità dei senatori in ragione della naturalità e del domicilio nell’ambito della Regione che dovrebbe eleggerlo, offende dunque la coscienza unitaria del Paese e le origini dello Stato italiano; essa può essere stata ispirata soltanto dalla esasperazione di quello spirito regionalista che mina ormai la compagine statale e che di recente faceva emettere in quest’Aula a un membro del Governo, una esclamazione di angoscia: «Nel 1947 si sono create le Regioni, e si è spenta l’Italia!». (Commenti).

Il grido non è mio, è di un membro di questo Governo; ma io sento tutta la portata di questa onesta preoccupazione.

È una preoccupazione alla quale bisogna reagire. Ma bisogna reagire anche alla infatuazione regionalista, come a un fenomeno patologico, di panico, di egoismo localistico, di incipiente disinteressamento per il risollevamento delia Nazione nel mondo. Quando indicammo il pericolo, ci si rispose che la creazione dell’ente Regione era la conseguenza necessaria dell’accettato principio delle autonomie locali, l’applicazione pura e semplice di quel decentramento amministrativo che noi stessi avevamo invocato. Ma qui si rende più evidente che non si fosse visto finora, che la riforma non vuole limitarsi a quel ragionevole decentramento che avrebbe potuto con successo svilupparsi sugli enti Provincia e Comune, ma arditamente si spinge sul terreno politico, tende a formare delle Regioni le circoscrizioni elettorali del Senato, dei Consigli regionali altrettanti grandi elettori di ben un terzo dei Senatori (e questo tentativo è fortunatamente naufragato), a imporre che questi siano scelti in seno ai nativi e ai domiciliati nella Regione stessa, e a considerarli come portatori in seno al Senato, della voce della Regione, come rappresentanti, in seno ad esso, degli interessi particolaristi di questa, anziché di quelli generali della Nazione. Di guisa che non potrebbe più parlarsi di semplice prefederalismo; si tratterebbe ormai di dar vita a un Senato in funzione di Camera Federale delle Regioni. Ecco perché è proprio necessario eliminare il sospetto che si tenda alla graduale distruzione dell’unità italiana a soddisfazione del tradizionale spirito guelfo. Ecco perché occorre eliminare la preoccupazione che i propositi dei sostenitori vadano molto al di là della lettera del progetto, come ha fatto dubitare l’onorevole Ambrosini, quando, a conclusione della sua dotta relazione orale, nella discussione generale sulle Regioni, ha ricordato il rimprovero fattogli dal suo Partito «di aver troppo contenuto la riforma».

Questa preoccupazione e quel sospetto noi non vogliamo che si diffonda, ma bisogna anche evitare che ad essi si dia esca in maniera da far credere che il nostro ordinamento si inoltri per la via del federalismo. La rappresentanza che si vuol dare ad interessi di Regione in una Assemblea a funzione e a fini nazionali, è completamente ingiustificata. Ingiustificata sotto tutti i rapporti, anche sotto quello della opportunità e dell’utilità. È logico che in ciascuna circoscrizione, sia ristretta, sia allargata, i Partiti prima, ed il popolo poi, il corpo elettorale in altri termini, abbiano sempre interesse di scegliere, per quanto possibile, gli elementi locali e di preferirli a quelli estranei. E ciò basta a far ritenere superflua e non necessaria la odiosa limitazione. Il peggio è che, per effetto di questa, il progetto preclude la via alle circoscrizioni di cercare i propri candidati in altre località, anche nel caso che una scelta sodisfacente ne sia stata impossibile nel proprio seno. Il vizio del progetto della tendenza maggioritaria è dunque individuato: essa antepone ai fini generali è unitari quelli particolaristici: così quando si batté per un Senato corporativo, a categorie d’interessi; così quando si batte per un Senato a rappresentanza d’interessi regionali; così quando, caduto il tentativo precedente, si batterà per un Senato aperto esclusivamente a limitate categorie culturali, economiche e sociali che non includono però le forze vive del lavoro. Per questi motivi noi ci batteremo contro questa prima parte dell’articolo 56 e sosterremo ad oltranza l’emendamento che abbiamo proposto.

E ora vengo all’ultima parte dell’emendamento, con la quale, contro la proposta della Commissione di accordare la eleggibilità a limitate categorie di cittadini, proponiamo la soppressione dell’elenco che lo sviluppa, per lasciare aperto, anche pel Senato il diritto di elettorato passivo a tutti i cittadini elettori indistintamente. Prima di tutto mi propongo questo quesito: l’elenco delle categorie proposte ha un carattere tassativo o vuole essere soltanto esemplificativo, un elenco tipo insomma, che permetta un allargamento per analogia, come ad esempio farebbe supporre a rafforzamento del principio favores sunt ampliandi, il fatto, che là dove si parla dei membri dell’Accademia dei Lincei si soggiunge immediatamente «o di altri corpi assimilati»? Nell’uno e nell’altro caso s’impongono dei rilievi.

Nella ipotesi che l’elenco voglia essere tassativo, non appare evidente che alcune categorie di eleggibili sono state incomprensibilmente pretermesse, senza che ne sia stata data alcuna spiegazione? Confrontando (questa non è una preoccupazione di partito, ed io la esprimo a titolo di puntualità costituzionale) lo Statuto albertino col nostro articolo 56, trovo, per esempio, che è omessa la categoria degli Arcivescovi e dei Vescovi dello Stato, e non si è voluto certamente escludere con ciò che costoro abbiano i requisiti per poter portare l’espressione della loro esperienza e della loro prudenza nelle deliberazioni interessanti il Paese. Non è da pensarlo, perché troppi elementi vigilavano a che una deliberazione di questo genere, e con questa portata non fosse assunta. E allora, quale è la ragione recondita, di questa esclusione? Forse la preoccupazione rispettosa ne ludibrio exponentur in una Assemblea agitata da passioni di parte? O forse per lasciare più libere, senza la preoccupazione del doveroso riguardo ai presuli dovuto, le manifestazioni dell’Assemblea? Non si tratta di una curiosità; era un nostro diritto saperlo, anche per la soddisfazione dovuta alle nostre coscienze. Il quesito resterà forse senza risposta.

A questa strana e inesplicata omissione si contrappone una intrusione storicamente ingiustificata, quella della categoria «degli imprenditori individuali, proprietari, conduttori… di aziende con almeno 100 dipendenti o soci».

Questa categoria mira ad introdurre, sebbene mascherata, l’antica categoria del censo; e ciò tanto più si rende evidente quando si pensi che oggi anche i maggiori tenimenti terrieri sono tutti organizzati ad impresa. E in contrapposto non c’è una categoria che riguardi le forze vive del lavoro, quelle forze che la Repubblica italiana, fondata sul lavoro, coll’articolo 1 della sua Costituzione, ha chiamato alla partecipazione effettiva a tutta l’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Il Senato fa o non fa parte della organizzazione politica del Paese?

L’esclusione dalla eleggibilità al Senato della Repubblica delle forze vive del lavoro, malgrado la proclamazione dell’articolo 1 della Costituzione, perpetrerebbe la più flagrante violazione di quei diritti essenziali che si vollero garantiti cogli articoli 2 e 3 della Costituzione, che a tutti i cittadini, di qualunque condizione sociale, assicurano eguaglianza assoluta anche nel godimento dei diritti politici; e susciterebbe il sospetto che la elencazione dell’articolo 56 sia stata adottata o, se vuolsi, mantenuta proprio allo scopo precipuo di escludere dal Senato i lavoratori. Né varrebbe opporre di avervi inclusi membri dei consigli direttivi nazionali, regionali e provinciali, delle organizzazioni sindacali, già che ciò non basterebbe a rendere eleggibili i lavoratori che non intraprendano la missione organizzativa.

Eppure sarebbe oltreché doveroso, socialmente e politicamente utilissimo aprire ai lavoratori tutte le vie, comprese quelle che conducono alle supreme Magistrature, eccitando in loro il desiderio di formarsi e di pervenire, sviluppandone l’amore allo studio e al perfezionamento tecnico. Conosco operai dei più svariati settori che, autodidatti, hanno raggiunto i gradi di coltura e di addestramento più sorprendente nelle lettere, nelle scienze, e nelle arti. Perché tenerli lontani dall’esercizio di un diritto politico che procede dalla sovranità popolare? Bisogna sapere ormai reagire al pregiudizio delle distinzioni aristocratiche. Ecco perché noi combattiamo l’elencazione dell’articolo 56, che è in funzione di una ingiustizia sociale che sarebbe delittuosa; e tanto più la combattiamo in quanto la si voglia considerare tassativa.

Passo all’esame dell’altra ipotesi. Se l’elenco dovesse considerarsi esemplificativo, occorrerebbe domandarsi chi sarà il giudice dell’analogia? Quanto dire della eleggibilità. Sarà l’ufficio del collegio uninominale? Sarà l’ufficio del collegio centrale oppure l’organo del Senato per la verifica dei poteri?

Comunque, quali garanzie di obiettività potranno avere le minoranze di fronte ad un giudizio di tal natura, devoluto ad uomini che non possono dare se non giudizi soggettivi e non sempre sono in grado di mantenersi obiettivi?

I quesiti propostici servono dunque a dimostrare che, dal punto di vista strutturale, il progetto di Costituzione rivela prima facie nell’articolo 56, i vizi che vi si annidano e ne fanno presentire le conseguenze.

Ma, indipendentemente da ciò, s’impone anche qui il rilievo di carattere politico. Come si concilia colla nostra Carta (che cogli articoli 6 e 7 esalta i cosiddetti diritti essenziali, e primo fra tutti quello dell’eguaglianza di tutti i cittadini di fronte ai diritti politici) la esclusione dal Senato della categoria dei lavoratori, la più numerosa, e certamente la più benemerita, specie in questo momento di febbrile ricostruzione, e colla esclusione altresì dei ceti professionali e di tante altre categorie di cittadini, per milioni e milioni? Nessuna giustificazione potrà purtroppo valere a dimostrare che qui il principio democratico della eguaglianza dei cittadini e quello della sovranità popolare non siano stati sopraffatti dalla nostalgia anacronistica del privilegio di casta, mal dissimulata dall’adito al Senato che il progetto consente poi, evidente beffa, al consigliere comunale di Roccacannuccia.

Il rimedio esiste ed è nei principî: la scelta dei senatori, come quella dei deputati, spetta completamente e liberamente alla sovranità popolare. E il popolo la eserciterà sotto la guida dei partiti, attraverso il criterio che essi ne faranno nel loro senso di responsabilità e attraverso l’ulteriore selezione che sulle candidature sarà fatta dal corpo elettorale.

Alla direzione dei partiti politici è il fiore della intelligenza e dell’accorgimento che ciascuno di essi può dare: è di tutta certezza che questi uomini sapranno, nell’interesse stesso dei partiti, esercitare la scelta, in collaborazione dei comitati locali, con ogni avvedimento e colla precipua preoccupazione di non creare rappresentanze che nella contesa parlamentare siano preventivamente condannate alla inferiorità nei confronti degli altri partiti. E il buon senso del corpo elettorale farà il resto, nell’esercizio della più delicata funzione della sovranità popolare.

Non si deve rappresentare la funzione dei partiti come contrapposta a quella della sovranità popolare e parlare di sopraggiunta partitocrazia, quasi essi quella sovranità abbiano detronizzata o mirino a detronizzare: i partiti, non è chi non possa comprenderlo, sono invece gli organi di questa sovranità, che si esprime e si esercita sotto la loro guida, perché non potrebbe esprimersi ed esercitarsi se non per via di organizzazione.

Garanzie dunque ne abbiamo a sufficienza, perché il Senato, senza bisogno di ricorrere a limitazioni odiose e antistoriche, risulti dalla accurata scelta degli elementi più probi, più capaci, più prudenti. La caratteristica di questo ramo del Parlamento, alla quale conferirà anche la limitazione dell’età che sarà richiesta per la eleggibilità, sarà la prudenza, intesa non come spirito reattivo agli impulsi di progresso, ma come preoccupazione di quel maggiore avvedimento che solo la più lunga esperienza della vita può fornire. E, pertanto, questa caratteristica non potrà costituire motivo di minor simpatia da parte del popolo per il nascente Senato della Repubblica; e il popolo ne accompagnerà la nascita col fiducioso ricordo che quando prudentia senium spreta est res publica periclitavit.

Si sopprimano, dunque, le anacronistiche limitazioni così contrastanti collo spirito dello stesso progetto di Costituzione; si riconosca in pieno, anche per la elezione dei senatori, la sovranità del popolo; non si creino sospetti d’insincerità sull’opera nostra. Solo così potremo dimostrare che la nostra Carta costituzionale non per vana lustra ha fatto le proclamazioni contenute nei suoi primi tre articoli, ma col fermo proposito di garantire a tutti i cittadini indistintamente una assoluta eguaglianza sostanziale, politica e sociale. (Applausi a. sinistra).

PRESIDENTE. L’onorevole Donati ha presentato il seguente emendamento:

Dopo la parola: elettori, togliere l’inciso: nati o domiciliati nella Regione.

Ha facoltà di svolgerlo.

DONATI. Onorevoli colleghi, non ho nulla da aggiungere a quanto è stato già a suo tempo esposto dall’onorevole Nitti ed ora dall’onorevole Nobili Oro in merito all’inopportunità di fare delle Regioni tanti compartimenti-stagni agli effetti dell’eleggibilità dei senatori. Voglio soltanto osservare, che, anche a voler tenere nella maggiore evidenza la base regionale, l’inciso di cui propongo la soppressione, non presenta alcuna utilità. Anzitutto è sempre inutile, e quindi dannosa una norma che può essere facilmente violata: tale è la norma proposta dalla Commissione perché, se il luogo di nascita non può essere cambiato, il domicilio può essere facilmente mutato, anche soltanto in vista delle elezioni.

D’altro canto, è frequente l’ipotesi di persone che hanno illustrato nel campo delle scienze, delle lettere, delle arti o dell’attività industriale o nel campo della beneficienza la Regione dalla quale traggono origine, pur non essendovi nati perché, ad esempio, figli di impiegati che prestavano servizio fuori della Regione di origine e pure non essendovi neppure domiciliati. In tali casi, col testo della Commissione si preclude agli elettori di una regione la possibilità di elevare al Senato i suoi figli più degni.

Pertanto ritengo questo provvedimento dannoso ed insisto per la sua soppressione.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Cifaldi e Cairo hanno presentato il seguente emendamento:

«Dopo le parole: gli elettori, sopprimere l’inciso: nati o domiciliati nella Regione».

Poiché nessuno dei presentatori è presente, si intende che abbiamo rinunziato a svolgerlo.

Gli onorevoli Codacci Pisanelli, Castelli Avolio, Chatrian, Cingolani, Ermini, Tupini, Tozzi Condivi, De Palma hanno presentato i seguenti emendamenti:

«Al primo comma sopprimere le parole: nati o domiciliati nella Regione».

«Nel caso che il detto emendamento soppressivo non fosse approvato dall’Assemblea, aggiungere, alla fine dell’articolo stesso, il seguente comma:

«Il requisito della nascita o del domicilio nella Regione, di cui alla prima parte del presente articolo, non si applica a coloro che siano stati, in uno dei collegi della Regione, deputati alla Costituente o alla Camera dei deputati».

L’onorevole Codacci Pisanelli ha facoltà di svolgerli.

CODACCI PISANELLI. L’emendamento proposto ha bisogno appena di essere illustrato. Si riferisce in realtà al problema testé prospettato dall’oratore che mi ha preceduto, cioè quello di non esigere il requisito del domicilio, tanto più che il domicilio potrebbe essere eletto con tale facilità da non costituire garanzia di rapporto di particolare legame con la Regione o con la circoscrizione nella quale si aspira ad essere eletti. Non voglio dilungarmi su quanto è stato già illustrato dal collega. Ritengo che si possa fare a meno di porre i requisiti stabiliti nel progetto e quindi che questo emendamento possa essere accolto senza difficoltà, ove non si voglia escludere del tutto il requisito del domicilio.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Bastianetto, Bazoli, Montini, Caso, Bettiol, Lizier, Corsanego, Martinelli, Spataro e Cotellessa hanno presentato il seguente emendamento:

«Dopo le parole: gli elettori, sopprimere: nati o domiciliati nella Regione».

Onorevole Bastianetto, ha facoltà di svolgerlo.

BASTIANETTO. È già stato svolto dall’onorevole Donati alle cui conclusioni mi associo.

PRESIDENTE. L’onorevole Conti ha presentato i seguenti emendamenti:

«Alle parole: trentacinque anni di età, sostituire le altre: quaranta anni di età».

«Sopprimere le categorie».

Non essendo egli presente, si intende che abbia rinunziato a svolgerli.

L’onorevole Rodi ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il primo alinea col seguente:

«I decorati al valore, invalidi e mutilati di tutte le guerre, che abbiano il grado non inferiore a generale di divisione».

Fo presente che questo è il primo degli emendamenti che si riferiscono alle categorie.

L’onorevole Rodi ha facoltà di svolgerlo.

RODI. Ho presentato questo emendamento, proponendomi di variarlo a seconda della discussione, perché il testo della Commissione mi sembra ambiguo, non soltanto nello spirito, ma anche, direi, nel senso grammaticale, perché dice: «Sono eleggibili a senatori i decorati al valore nella guerra di liberazione 1943-45, capi di formazioni regolari o partigiane con grado non inferiore a comandante di divisione».

Questa virgola, che ha separato la prima parte del periodo dalla seconda, lascia dei dubbi, nel senso cioè che siano compresi in questa categoria i decorati e poi i generali, oppure i generali di divisione che siano stati decorati al valore nella guerra del 1943-45? Per me già la stesura grammaticale non è troppo chiara. Ad ogni modo ho presentato questo emendamento: «i decorati al valore, invalidi e mutilati di tutte le guerre che abbiano il grado non inferiore a generale di divisione», nel senso cioè che ho voluto precisare che accanto ai decorati, poiché questo comma è destinato a chi è stato valoroso in guerra, si includessero anche gli invalidi e mutilati di tutte le guerre ed a questo proposito ho anche firmato un emendamento presentato da altri colleghi, affinché questa categoria sia compresa fra gli eleggibili a senatore. E poi ho desiderato eliminare le limitazioni riguardanti la guerra di liberazione 1943-45 perché, francamente, mi sembra ingiusto disconoscere in maniera così chiara e mortificante che le medaglie d’oro della guerra 1940-43 non debbano avere da parte del popolo italiano quel riconoscimento che loro spetta, perché, per quanto la si voglia dire una guerra fascista, per quanto si voglia dare a questa guerra un valore politico, non è meno vero che questa guerra l’abbiamo fatta come italiani e se in quel periodo ci sono state delle medaglie d’oro è addirittura offensivo escluderle a bella posta dall’elenco degli eleggibili a senatori. Pertanto il mio emendamento tende a questo: a comprendere tutti gli eroi indistintamente, poi gli invalidi e i mutilati di guerra. (Applausi a destra).

ARATA. Chiedo di parlare per una pregiudiziale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ARATA. Noi qui ora abbiamo iniziato la discussione degli emendamenti che riguardano le categorie degli eleggibili.

Proporrei, per economia della discussione, che si votasse senz’altro il primo comma dell’articolo 56 con gli emendamenti che lo riguardano, in quanto che, nel caso di votazione positiva, l’elencazione delle categorie verrebbe senz’altro a cadere e quindi elimineremmo la discussione di numerosi emendamenti che riguardano le varie categorie degli eleggibili.

PRESIDENTE. L’onorevole Arata, partendo dal presupposto che molti degli emendamenti sostitutivi, già svolti dai proponenti, concludono con la proposta di soppressione delle categorie, propone che si passi alla votazione di questi primi emendamenti che, se fossero accolti, renderebbero poi inutile ogni altra votazione.

C’è qualcuno che domanda la parola su questa proposta?

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Io credo che siano assennate le considerazioni dell’onorevole Arata. Solo vorrei fare osservare che, in fondo, la valutazione della opportunità di mantenere o meno le categorie deriva anche dall’apprezzamento che si faccia delle singole categorie così come sono presentate negli emendamenti proposti. È chiaro che non si può decidere in astratto. È opportuno che il principio della limitazione delle categorie di eleggibili sia considerato in concreto, in relazione alle categorie che sono effettivamente proposte.

Mi rendo conto che si guadagnerebbe del tempo, ma mi domando se non sia opportuno prolungare la discussione per illuminare meglio il punto di principio attraverso l’esame dei successivi emendamenti.

PRESIDENTE. L’onorevole Moro ha veramente obiettato che sarebbe necessaria ancora una certa chiarificazione per sapere se si accetta o meno il criterio.

Questa chiarificazione deriverebbe dall’esame delle categorie proposte; a seconda del carattere di queste categorie ritiene l’onorevole Moro che si possa o non si possa accettare il principio stesso.

Ma il criterio dell’onorevole Moro significa, in sostanza, respingere la proposta dell’onorevole Arata.

Se non vi sono altre osservazioni, pongo in votazione la proposta dell’onorevole Arata tendente a far precedere la votazione del primo comma dell’articolo 56 all’eventuale svolgimento degli emendamenti che riguardano le singole categorie di eleggibili alla carica di senatore.

(È approvata).

Invito l’onorevole Ruini a esprimere il pensiero della Commissione in ordine agli emendamenti svolti.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevoli colleghi, riferirò su ciò che ha stabilito il Comitato, non sicuro però, per ripetute esperienze, che i colleghi i quali hanno votato in un modo nel Comitato voteranno nello stesso modo anche nell’Assemblea. Veniamo ai gruppi di emendamenti presentati. Abbiamo innanzitutto gli emendamenti degli onorevoli Targetti, e quelli degli onorevoli Nobili Tito Oro, Donati, Cifaldi, Nitti ed altri e, in via subordinata, anche quello Codacci Pisanelli, che voglion sopprimere la condizione «nati e domiciliati nella Regione». A questo proposito, il Comitato ha tenuto presente che vi sono dei casi i quali dimostrano che la nascita o il domicilio nella Regione non assicurano il nesso di appartenenza diretta ed efficiente alla Regione stessa. Vi può essere un cittadino, figlio di un impiegato, il quale sia nato per combinazione in una Regione, ma non vi abbia più rimesso piede: questi potrebbe essere candidato. Viceversa vi possono essere altri, di genitori e di gente ab antiquo d’una Regione che sono nati fuori ed hanno domicilio altrove (un decisivo peso ha il domicilio legale), ma han conservato i vincoli più stretti, vi sono stati eletti deputati (l’amico Tupini ha citato il suo caso), e non potrebbero esservi nominati senatori.

Tutto sommato, il Comitato ha ritenuto a maggioranza che si debba togliere questa condizione, in quanto non raggiunge l’effetto voluto di imprimere un carattere di sicura regionalità.

Veniamo ora alla questione dell’età: il testo propone 35 anni, ma alcuni colleghi, gli onorevoli Nitti, De Vita, Conti, Carboni, hanno proposto che questo limite venga elevato sino ai 40 anni. Il Comitato ha aderito a tale emendamento, che gli è parso più consono al carattere del Senato: senato viene infatti da seniores.

Per quanto concerne le categorie degli eleggibili al Senato, ho già altra volta accennato, e debbo ora ricordare, come è stata impostata la loro formulazione. Il motivo fondamentale che le giustifica era di trovare, anche nella qualificazione dei senatori, una differenziazione del Senato dall’altra Camera, ed una accentuazione del suo carattere più particolare di competenza e di tecnicità. Per il criterio di qualificazione la seconda Sottocommissione, presieduta dall’onorevole Terracini, partì col proposito di andare incontro, se era possibile, all’idea sostenuta dall’onorevole Piccioni e da altri colleghi, delle categorie professionali, ispirate alla rappresentanza organica; era una via di mezzo; il corpo elettorale unico avrebbe scelto gli appartenenti a tali categorie. La Sottocommissione si pose al lavoro. Ma per strada si è trasformata la cosa: ed invece di categorie più propriamente professionali e di rappresentanza organica, si sono avute categorie di più complesso e vario ordine; così che l’intento originario della loro configurazione è andato perduto. L’elenco che è risultato dà luogo ad incertezze e fa sorgere il dubbio se convenga mantenere il sistema delle categorie od abbandonarlo.

Debbo ad ogni modo, rilevando un’osservazione dell’onorevole Nobili Tito Oro, che trova come la formula proposta, dimenticando e trascurando gli elementi operai, offenda e ferisca i principî del lavoro e della democrazia, osservare che fra le categorie vi sono quelle dei membri di Consigli, non solo nazionali o regionali, ma provinciali di organizzazioni sindacali, e ciò per gli operai come per i datori di lavoro; così che non vi è stata la dimenticanza denunciata.

Ma altri rilievi si possono fare. Vi è stato, in Sottocommissione e poi in Commissione plenaria, uno sforzo notevole per trovare un ordine logico e graduato delle categorie. Si è fatto capo soprattutto, al concetto di comprendervi chi già ha ed ha avuto in qualche modo un mandato, una designazione, una funzione di rappresentanza in un’assemblea politica o amministrativa, o professionale o, persino, in una società anonima o cooperativa. Ma si è poi creduto di dover ammettere anche chi, non avendo un titolo di questo genere, ad esempio dirigesse personalmente un’azienda della stessa vastità di quella stabilita nelle anonime e cooperative per renderne eleggibili gli amministratori.

Si è cercato di ricondurre le categorie a gruppi abbastanza organici che, in sostanza, oltre a quello dei decorati al valore, sarebbero quattro: cariche politiche, amministrative, ordini professionali e culturali, sindacati. Ma bisogna confessare che la formulazione ottenuta, con ogni sforzo, non è riuscita sodisfacente e sufficiente, anche per alcuni di quelli che avevano partecipato alla formulazione stessa; e poi, ha provocato così numerose proposte di soppressione. Il Comitato, pur ritenendo che sarebbe opportuno richiedere qualifiche speciali pei senatori, ha d’altra parte considerato che, essendo avvenuta in altro modo – con l’adozione dei sistemi elettorali – la differenziazione delle due Camere, vien meno la ragione più forte per il sistema delle categorie. Pertanto il Comitato ha aderito, a maggioranza, agli emendamenti soppressivi.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Gasparotto, Veroni, Villabruna, Bocconi, Lami Starnuti, Carboni Angelo, Filippini, Rossi Paolo, Arata, Bordon, hanno presentato il seguente emendamento:

«Aggiungere, oltre alle parole: nati o domiciliati, anche le altre: o residenti».

L’onorevole Gasparotto ha facoltà di svolgerlo.

GASPAROTTO. Sono favorevole alla soppressione delle categorie, ma ove a questo non si addivenisse, io dico che bisogna parlare non soltanto del luogo di nascita e del domicilio, ma anche della residenza, la quale ha grande importanza nell’attività dell’individuo. Il domicilio si confonde quasi sempre col luogo di nascita, ed è mantenuto soprattutto per ragioni affettive. La residenza, per definizione data dal Codice civile, è la sede principale dei propri affari ed interessi, ed è nella residenza che si esplica la maggior parte dell’attività del cittadino. Dunque, si potrebbe eventualmente sopprimere la voce «domicilio», per sostituirla con «residenza»; ma, per non perderci in quisquilie, proponiamo semplicemente di aggiungere «o residenti».

CLERICI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CLERICI. Chiedo all’onorevole Presidente che sia messo in votazione per divisione il punto dell’articolo 56, là dove dice: «nati o domiciliati nella Regione», perché – e faccio così anche una dichiarazione di voto – a me pare – ed il punto non è stato ancora rilevato dagli onorevoli colleghi – che con questa statuizione noi verremmo ad urtare il principio stabilito dall’articolo che voteremo tra poco, cioè dall’articolo 64 del progetto di Costituzione, il quale statuisce che «ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione».

Ricordo a me stesso che ciò è perfettamente conforme al moderno concetto di rappresentanza, in contrapposto a quello antico che stabiliva i cahiers, cioè mandato proprio e vincolativo. Oggi, adunque, al pari del deputato, il senatore rappresenta la Nazione. Per cui è assurdo che, poiché anche il Senato rappresenta la Nazione, debba porsi questa limitazione localistica.

PRESIDENTE. E allora, onorevoli colleghi, passiamo alla votazione che – secondo lo spirito della proposta dell’onorevole Arata, che l’Assemblea ha approvato – avverrà per divisione. Voteremo sul primo comma dell’articolo 56:

«Sono eleggibili a senatori gli elettori, nati o domiciliati nella Regione, che hanno compiuto trentacinque anni di età, e sono o sono stati».

Poiché, d’altra parte, sono stati presentati emendamenti a diverse parti di questo primo comma, e precisamente alla prima parte, dove si afferma il principio della nascita o del domicilio nella Regione; e alla seconda che si riferisce all’età; e, infine, alle categorie, procederemo alla votazione in tre parti distinte, votando prima l’inciso:

«Sono eleggibili a senatori gli elettori, nati o domiciliati nella Regione».

Faccio presente che hanno chiesto la soppressione dell’ultima parte di questo inciso «nati o domiciliati nella Regione» gli onorevoli Targetti, Donati, Nobili Tito Oro, Cifaldi, Codacci Pisanelli, Bastianetto.

LUSSU. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Io voterò la dichiarazione contemplata nel primo comma: «Sono eleggibili a senatori gli elettori nati e domiciliati» e sono disposto anche a votare l’aggiunta introdotta dal collega Gasparotto, se sarà votata.

Dichiaro che voterò questo perché nessuna delle ragioni esposte dall’onorevole Ruini ha minimamente convinto e non mi ha neppure convinto l’ultima ragione espressa dall’onorevole Clerici. Sono tutte finzioni, falsi ragionamenti che non possono far dimenticare quello che inizialmente la Commissione aveva inteso affermare. È chiaro che ogni deputato ed ogni senatore rappresenta la Nazione. Questo avveniva anche nel periodo in cui il sistema di elezione era il collegio uninominale; era una questione teorica, ma era ovvio ed ammesso da tutti che il deputato rappresentasse la Nazione. Così può rappresentare perfettamente la Nazione, conciliando gli interessi della Regione con quelli dello Stato e della Nazione, chi sia senatore con il requisito voluto di essere nato e domiciliato nella determinata Regione dove ha presentato la propria candidatura.

NOBILE. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Io voterò contro.

In un secolo in cui l’aeroplano ha raggiunto mille chilometri all’ora e l’automobile ha sorpassato i seicento, quando è possibile lavorare durante la giornata a Roma e dormire la notte a Milano, trovo assolutamente anacronistica ed assurda una tale disposizione nella nuova Costituzione della Repubblica.

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.

Per necessità di chiarezza, metterò in votazione la formula:

«Sono eleggibili a senatore gli elettori».

(È approvata).

Pongo in votazione le parole:

«nati e domiciliati nella Regione».

(Non sono approvate).

Pertanto decade anche l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Gasparotto.

Sulla questione dell’età necessaria per porre la candidatura al Senato vi sono due sole proposte: la proposta di trentacinque anni, che è della Commissione, e l’altra, sostenuta dagli onorevoli De Vita, Conti e Nitti, di quaranta anni.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. I quarant’anni sono stati accettati anche da noi.

PRESIDENTE. Sta bene.

Pongo dunque in votazione la proposta di fissare l’eleggibilità dei senatori in quarant’anni.

(Dopo prova e controprova è approvata).

Passiamo ora alla votazione delle ultime parole del comma:

«e sono o sono stati».

I due verbi implicano evidentemente l’accettazione o meno del principio dell’elencazione delle categorie. Pertanto chi approva questa formulazione, implicitamente approva che esista una elencazione, salvo a definirla. Chi non approva esclude ogni elencazione di categoria, quindi ogni altro limite di eleggibilità all’infuori di quelli già votati con le due votazioni fatte or ora.

Faccio presente che è stata presentata domanda di votazione per appello nominale dagli onorevoli Bertola, Burato, Ferrarese, Tambroni, Vicentini, Nicotra Maria, Caso, Bosco Lucarelli, De Martino, Restagno. È stata anche presentata domanda di votazione a scrutinio segreto dagli onorevoli Laconi, Scoccimarro, Grieco, Corbi, Moranino, Cavallari, Maltagliati, Scotti Francesco, Ravagnan, Rossi Maria Maddalena, Lombardi Carlo, Longo, Maffi, Pellegrini, Barontini Anelito, Saccenti, D’Onofrio, Musolino, Pastore Raffaele, Barontini Ilio, Minio.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Ho chiesto la parola soltanto per ricordare che il nostro Gruppo aveva presentato un emendamento che portava all’abolizione delle categorie.

PRESIDENTE. Avverto che non si procede alla votazione delle proposte soppressive.

A norma del Regolamento, ha la precedenza la votazione a scrutinio segreto.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Procediamo alla votazione segreta.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione ed invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari procedono alla numerazione dei voti).

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto:

Presenti e votanti     360

Maggioranza           181

Voti favorevoli        180

Voti contrari                        180

(Non essendo stata raggiunta la maggioranza, l’Assemblea non approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Alberti – Aldisio – Allegato – Ambrosini – Amendola – Andreotti – Arata – Arcangeli – Assennato – Avanzini – Azzi.

Bacciconi – Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basso – Bastianetto – Bazoli – Bei Adele – Bellato – Bellusci – Belotti – Benedetti – Benedettini – Benvenuti – Bergamini – Bernabei – Bernamonti – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Binni – Bocconi – Boldrini – Bolognesi – Bonino – Bonomelli – Bonomi Paolo – Bordon – Bosco Lucarelli – Bosi – Bovetti – Bozzi – Braschi – Bucci – Bulloni Pietro – Burato.

Cacciatore – Camangi – Camposarcuno – Canevari – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Carbonari – Carboni Angelo – Carboni Enrico – Carignani – Caristia – Caronia – Carratelli – Caso – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Castiglia – Cavallari – Cavalli – Cavallotti – Cerreti – Chatrian – Chiarini – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Cianca – Ciecolungo – Cimenti – Cingolani Mario– Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsanego – Costa – Costantini – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo – Cuomo.

D’Amico – De Caro Gerardo – De Caro Raffaele – De Gasperi – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Di Gloria – Dominedò – Donati – D’Onofrio – Dossetti – Dozza.

Einaudi.

Fabbri – Fabriani – Faccio – Fanfani – Fantoni – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Ferreri – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Fioritto – Flecchia – Fogagnolo – Foresi – Fornara – Franceschini – Froggio.

Gabrieli – Galati – Gallico Spano Nadia – Gasparotto – Gavina – Germano – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Ghislandi – Giacchero – Giacometti – Giolitti – Giua – Gonella – Gorreri – Gotelli Angela – Grassi – Grieco – Grilli Guariento – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jacometti – Jervolino.

Laconi – Lami Starnuti – Landi – La Pira – Lazzari – Leone Francesco – Lettieri – Li Causi – Lizier – Lizzadri – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo – Lombardo Ivan Matteo – Longo – Lozza – Lucifero – Lussu.

Macrelli – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Malvestiti – Mancini – Manzini – Mariani Enrico – Martinelli – Marzarotto – Massola – Mastino Gesumino – Mattarella – Mattei Teresa – Mazza – Mazzoni – Merlin Angelina – Merlin Umberto – Mezzadra – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molè – Molinelli – Momigliano – Montagnana Mario – Montagnana Rita – Monterisi – Monticelli – Montini – Morandi – Moranino – Morelli Renato – Moro – Mortati – Moscatelli – Mùrdaca – Murgia – Musolino.

Nasi – Negarville – Negro – Nenni – Nicotra Maria – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Notarianni– Novella – Numeroso.

Pacciardi – Pajetta Gian Carlo – Pallastrelli – Paolucci – Paratore – Paris – Parri – Pastore Raffaele – Pat – Pecorari – Pella – Pellegrini – Perassi – Perlingieri – Persico – Perugi – Pesenti – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pignedoli – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Ponti – Preti – Preziosi – Proia – Pucci.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Raimondi – Rapelli – Ravagnan – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Restagno – Riccio Stefano – Rodi – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Romano – Romita – Roselli – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Roveda – Ruggeri Luigi – Ruini – Rumor.

Saccenti – Salerno – Salizzoni – Sampietro – Sansone – Santi – Sapienza – Sartor – Scalfaro – Scarpa – Scelba – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Scotti Francesco – Secchia – Segala – Segni – Sereni – Siles – Silipo – Spallicci – Spano – Spataro – Stampacchia – Stella.

Tambroni Armaroli – Targetti – Tega – Terranova – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Togni – Tonello – Tonetti – Tosi – Tozzi Condivi – Trimarchi – Tripepi – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Vanoni – Vernocchi – Veroni – Viale – Vicentini – Vigna – Villabruna – Villani.

Zaccagnini – Zanardi – Zerbi – Zotta.

Sono in congedo:

Angelini.

Cairo – Caporali – Carmagnola – Caroleo – Cevolotto.

Dugoni.

Jacini.

Mannironi – Martino Enrico – Martino Gaetano.

Perrone Capano – Porzio.

Russo Perez.

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

CODACCI PISANELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODACCI PISANELLI. Sottopongo soltanto un quesito, signor Presidente. Non sono ben addentro nella prassi parlamentare; ma mi sembra che, trattandosi di votare il testo proposto nel progetto costituzionale e non un emendamento, il fatto che non sia stata raggiunta la maggioranza implica l’approvazione del testo. (Interruzioni a sinistra).

PRESIDENTE. Gradirei, onorevole Codacci Pisanelli, che lei precisasse il suo concetto.

CODACCI PISANELLI. Se permette, preciso. Quando ci troviamo di fronte agli emendamenti, sappiamo che, qualora l’emendamento raggiunga la parità, è respinto, perché non ha la maggioranza; ma quando si tratta di un articolo del progetto di Costituzione, presentato dalla Commissione dei Settantacinque, il fatto che non sia stato respinto dalla maggioranza implica l’approvazione di questo testo.

PRESIDENTE. Onorevole Codacci Pisanelli, le confesso che non riesco a cogliere la sua sottile distinzione. Mi sembra pacifico che, affinché un testo qualunque sia approvato, deve avere la maggioranza e, per calcolare la maggioranza, il computo è molto semplice. C’è una norma che ognuno conosce ed io, ogni volta che comunico i risultati di una votazione, indico per prima cosa qual è la quota di maggioranza. Poco fa ho letto queste cifre, che rileggo: presenti e votanti: 360; maggioranza: 181. Ciò significa che, perché si raggiunga il quoziente necessario all’approvazione, occorre avere almeno 181 voti, e tuttavia i voti favorevoli sono stati 180. Onorevole Codacci, mi pare che non ci sia discussione possibile.

CODACCI PISANELLI. Quanto alla distinzione che all’onorevole Presidente è sembrata molto sottile, mi pare che in realtà, sia differente l’ipotesi dell’emendamento da quella del testo presentato. L’emendamento porta modificazioni al testo, e quindi si richiede questa maggioranza; viceversa, quando si tratta di un progetto di legge, che è presentato per l’approvazione, a mio avviso il fatto che vi sia la parità implica l’approvazione e non il rigetto. È una questione che sottopongo all’Assemblea perché potrebbe presentarsi ancora in avvenire.

PRESIDENTE. Credevo di averla convinta La maggioranza non è una ipotesi, è una realtà immutabile. Data una certa cifra di votanti, qualunque cosa si voti (un testo, un emendamento, una mozione, un ordine del giorno), la maggioranza è un dato fisso ed immutabile, che si computa – le ripeto, onorevole Codacci Pisanelli – secondo regole elementari contenute in tutti i manuali. Applicata questa regola al numero di 360 presenti e votanti in quest’Aula, la maggioranza si fissa in 181. Si sono raccolti 180 voti, la conclusione è evidente.

Passeremo, ora, all’esame dell’articolo 57. Se ne dia lettura.

DE VITA, Segretario, legge:

«Il numero dei membri da eleggere per ciascuna Camera è stabilito con legge in base all’ultimo censimento generale della popolazione».

PRESIDENTE. Pregherei l’onorevole Mortati di voler rispondere ad un quesito che gli pongo. Egli ha presentato a questo articolo in emendamento del seguente tenore:

«Possono essere eleggibili al Parlamento gli italiani che non siano cittadini della Repubblica».

Ora, forse, penso che sarebbe meglio esaminare subito questa proposta Mortati, non come emendamento all’articolo 57, salvo poi a determinare la collocazione della norma.

Onorevole Mortati, vorrei il suo avviso al riguardo.

MORTATI. Propongo che l’esame dell’emendamento sia rinviato, e ciò per poter procedere ad una migliore sua elaborazione.

Infatti, se il principio affermato fosse accolto, occorrerebbe estenderne la portata oltre che alla elezione al Parlamento ad altre cariche parimenti elettive. Occorrerà inoltre forse elaborare meglio la formula, che, così come è stata proposta, vorrebbe tradurre la vecchia dizione di «italiani non regnicoli». Senonché, mentre questa aveva un suo significato consacrato dall’uso, la nuova formulazione potrebbe dar luogo a dubbi di interpretazione. Mi pare quindi sufficientemente giustificato il rinvio proposto.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE, Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La proposta di rinvio dell’onorevole Mortati mi pare accettabile. Egli ha esposto due ragioni: la prima è che per la posizione sarebbe più opportuno collocare il suo emendamento nell’articolo 45, ove si parla della eleggibilità in generale; la seconda è di sostanza: si tratta di una questione, che desta subito interesse e simpatia, ma va esaminata attentamente per tutti i possibili riflessi, anche internazionali. È quindi opportuno rinviarla al Comitato.

PRESIDENTE. Se non vi sono altre osservazioni, l’esame della proposta Mortati è rinviato.

(Così rimane stabilito).

Passiamo all’esame dell’articolo testé letto.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. A proposito dell’articolo 57 ho trovato già occasione di parlare in uno dei miei interventi. È stabilito in questo articolo 57 che il numero dei membri da eleggere nelle due Camere si riferisce alla popolazione in base all’ultimo censimento generale.

Io ho esposto come considerazione di fatto, che l’ultimo censimento che abbiamo è del 1936, cioè di quasi 12 anni fa, con un risultato di 43 milioni di abitanti. Poi l’Istituto centrale di statistica procedé man mano ad aggiornamenti che sono definitivi al 1947, con 45 milioni e mezzo, compresa la Venezia Giulia. Altri aggiornamenti al 1946, con la stessa cifra di 45 milioni e mezzo, ma senza la Venezia Giulia, sono ancora provvisori. Avremo dati definitivi, sempre in via di aggiornamento, pel 1947, ma non sappiamo se in tempo per le nuove elezioni. Tutto consiglia di non impegnarsi ora sulle basi di un censimento di 12 anni fa. La legge elettorale vedrà la possibilità e la convenienza di riferirsi ad un aggiornamento successivo.

Si aggiunge – e ciò non solo per le prime elezioni, ma come considerazione generale e permanente – che il riferimento al censimento non sembra materia di tale importanza costituzionale da dover essere inserito nel testo vero e proprio della Costituzione. Può essere rimandato alla legge come le son rinviate, ad esempio, le questioni di eleggibilità e d’incompatibilità.

PRESIDENTE. All’articolo 57 è stato presentato un emendamento dell’onorevole Perassi del seguente tenore:

«Alle parole: il numero dei membri da eleggere per ciascuna Camera, sostituire le seguenti: il numero dei membri di ciascuna Camera da eleggere in ragione degli abitanti».

L’onorevole Perassi ha facoltà di svolgerlo.

PERASSI. L’emendamento non ha più ragione di essere, data la formula che è stata accolta da parte dell’Assemblea circa il modo di indicare il numero dei senatori per ciascuna Regione. Di fronte al ritiro dell’articolo l’emendamento decade.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, vi è dunque la proposta di ritirare l’articolo 57.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Io ritengo che quanto dice la Commissione possa fare oggetto di una norma transitoria, ma che sarà bene stabilire nella Costituzione quale sia il principio generale che dovrà vigere per la determinazione del numero dei deputati. Quindi lascerei l’articolo 57, salvo poi a fare, alla fine, data la situazione speciale in cui ci troviamo, una disposizione transitoria perché nella prima elezione si tenga presente la situazione esposta dall’onorevole Ruini.

Almeno costituzionalmente stabiliamo il principio.

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Mi associo a quanto ha detto l’onorevole Lucifero.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ripeto che non vi è ragione assoluta di mettere disposizioni di questo genere nella Costituzione; ma non è questione che merita controversie e lunghe votazioni (come purtroppo avviene spesso). Per non perdere tempo accolgo la proposta Lucifero-Mortati.

PRESIDENTE. Pongo pertanto in votazione l’articolo 57, così come è nel testo:

«Il numero dei membri da eleggere per ciascuna Camera è stabilito con legge in base all’ultimo censimento generale della popolazione».

(È approvato).

Il Comitato di redazione terrà presente il suggerimento dell’onorevole Lucifero per ciò che si riferisce alla norma transitoria.

Passiamo all’articolo 58. Se ne dia lettura.

DE VITA, Segretario, legge:

«Le due Camere sono elette per cinque anni.

«I loro poteri sono tuttavia prorogati sino alla riunione delle nuove Camere.

«La legislatura può essere prorogata solo nel caso di guerra in corso o di imminente pericolo di guerra.

«Le elezioni delle nuove Camere hanno luogo entro settanta giorni dalla fine delle precedenti. Il provvedimento che le indice fissa la prima riunione delle Camere non oltre il ventesimo giorno dalle elezioni».

A questo articolo sono stati presentati vari emendamenti.

L’onorevole Conti ha proposto di sostituire il primo comma col seguente:

«Le due Camere sono elette per quattro anni».

L’onorevole Conti non è presente.

SCOCCIMARRO. Faccio mio l’emendamento dell’onorevole Conti, e rinunzio a svolgerlo.

PRESIDENTE. L’onorevole Caronia ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«La Camera dei Deputati è eletta per cinque anni. Il Senato viene rinnovato per metà ogni cinque anni».

L’onorevole Caronia non è presente.

CORBINO. Faccio mio l’emendamento presentato dall’onorevole Caronia.

PRESIDENTE. Ha facoltà di svolgerlo.

CORBINO. L’emendamento dell’onorevole Caronia tende a dare al Senato un carattere di continuità di esistenza. Si può dissentire sui termini con i quali l’onorevole Caronia ha accennato alla durata media di una parte del Senato della Repubblica; ma sul principio che il Senato debba avere una durata diversa, sono d’accordo con l’onorevole Caronia.

In sostanza, se diamo alle due Camere lo stesso periodo di durata, noi avremo un periodo di vacanza completa di tutti gli organi costituzionali. Ma a me pare che, sia per le ragioni che ha già ripetutamente svolto l’onorevole Nitti – l’esperienza degli altri paesi è fondata sul principio della continuità di una delle due Camere, e precisamente del Senato – sia per dar modo di effettuare consultazioni elettorali per periodi di tempo più brevi di quello corrispondente alla durata massima della prima Camera, il principio di assegnare una durata differente alle due Camere, rinnovando la seconda in parte, meriti di essere accolto.

Per questa ragione faccio mio l’emendamento Caronia, riservandomi in sede di discussione di modificare eventualmente il termine di cinque anni che egli ha proposto.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento proposto dagli onorevoli Targetti, Amadei, Carpano Maglioli, De Michelis, Fedeli Aldo e Malagugini:

«Sopprimere il terzo comma».

TARGETTI. Lo ritiro, anche per gli altri firmatari.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Mortati del seguente tenore:

«Sostituire il terzo comma col seguente:

«La legislatura può essere prorogata con legge nel caso di guerra, o di eventi di uguale gravità, tali da rendere impossibile la con vocazione dei comizi».

L’onorevole Mortati ha facoltà di svolgerlo.

MORTATI. L’onorevole Targetti ha rinunziato all’emendamento, oppure ha rinunziato a svolgerlo?

TARGETTI. L’ho ritirato.

MORTATI. Una volta caduto l’emendamento Targetti, che proponeva la soppressione dell’istituto della proroga legale, ben poco mi rimane da dire per illustrare il mio, il quale si limita a sostituire al testo della Commissione una dizione più comprensiva. Infatti la proroga della legislatura nel testo della Commissione è prevista solo in caso di guerra in corso o di imminente pericolo di guerra, mentre pare opportuno prevedere casi del tutto analoghi a quest’ultimo, che dovrebbero suggerire identica soluzione.

Il mio emendamento tende, appunto, a integrare in questo senso la norma proposta.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Crederei che, sebbene ella non l’abbia menzionato, non sia caduto l’emendamento dell’onorevole Nitti, secondo il quale i senatori di nomina elettiva durano in carica sei anni e sono rinnovabili per un terzo ogni due anni.

Se l’emendamento non è decaduto, ed egli lo svolge, la cosa può essere interessante poiché udita dalla voce del proponente; altrimenti avrei una certa tendenza a fare mio l’emendamento cui mi riferisco.

PRESIDENTE. Onorevole Fabbri, l’onorevole Nitti ha svolto, e anche ampiamente, questa sua proposta allorché ha avuto facoltà di parlare molte sedute fa, per svolgere i testi sostitutivi degli articoli 55 e seguenti, da lui proposti.

Poiché non ha dichiarato di ritirarlo, evidentemente questo emendamento si intende valido.

FABBRI. Quindi, suscettibile di votazione.

PRESIDENTE. Naturalmente; mi pare che l’onorevole Nitti l’abbia confermato anche ieri.

NITTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Poche parole soltanto.

Non esiste nessun Senato che abbia la stessa durata della Camera dei deputati. Dove vi sono state Assemblee di senatori, esse hanno avuto quella funzione che viene dalla loro natura: il Senato non si scioglie, la Camera dei deputati può essere sciolta dal Presidente della Repubblica, il Senato dura. Ora, io avevo proposto che come in America il Senato non ha limiti di scadenza perché per esso è sancita la durata di sei anni, ma si rinnova ogni due, si adottasse anche noi il medesimo criterio. Parlare infatti della stessa durata del Senato e della Camera dei deputati è un assurdo, perché le due Assemblee hanno funzione e carattere diversi.

Noi dobbiamo dunque, lasciare il Senato sempre vivo, per far sì che esso abbia il prestigio necessario. Il Senato deve rimanere, se noi vogliamo mantenerlo con la sua natura; non dobbiamo quindi esporlo alle vicende d’una continua mutazione.

Dichiaro quindi di mantenere la mia proposta, che mi auguro verrà accolta.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Targetti, Amadei, Carpano Maglioli, De Michelis, Fedeli Aldo e Malagugini, hanno presentato il seguente emendamento:

«Al quarto comma, dopo le parole: dalla fine delle precedenti, aggiungere: tranne che sia dichiarato lo stato di guerra».

L’onorevole Targetti ha facoltà di svolgerlo.

TARGETTI. Rinunzio a svolgerlo.

PRESIDENTE. L’onorevole Perassi ha presentato il seguente emendamento:

«Al quarto comma, sostituire le parole: Il provvedimento, con le seguenti: Il decreto del Presidente della Repubblica».

L’onorevole Perassi ha facoltà di svolgerlo.

PERASSI. Il mio emendamento presenta un carattere meramente formale, esclusivamente tecnico. Anziché dire cioè «il provvedimento che indice le elezioni», propongo che si dica «il decreto del Presidente della Repubblica», perché in effetti l’atto con cui si indicono le elezioni è un atto di competenza del Presidente della Repubblica, come risulta dalla legge elettorale in corso di approvazione.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ruini a pronunziarsi su questi emendamenti a nome della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevoli colleghi! Debbo esporre le ragioni che determinarono in origine la Commissione; né credo che alcunché sia mutato nell’indirizzo da essa seguito.

La Commissione partì dal concetto che occorreva differenziare le due Camere, ma non attribuire a ciascuna di esse diversità di funzioni. Si può anzi dire che il criterio della parificazione funzionale si accompagnasse nel nostro sistema a quello della differenziazione costitutiva. Ciò posto, si comprende come siasi adottata – né sorsero controversie al riguardo – una durata eguale per le due Camere.

Tutto il progetto è informato ad un criterio di simmetria e di equilibrio; che verrebbe meno con la diversa durata; non si avrebbero più, ad esempio, la legislatura, la sessione, il funzionamento parallelo e sincrono delle due Camere. La Commissione, pur non respingendo la bicameralità, ha tenuto presente che il Parlamento deve essere concepito con una logica connessione e con una corrispondenza di funzioni, che implica anche l’eguaglianza di durata. Né la Commissione ha inclinato è può inclinare al sistema del Senato perenne, con rinnovazioni parziali che muove in fondo da nostalgie di un organo ormai superato del vecchio regime; il Senato monarchico, perenne e continuamente rinnovato. La nuova democrazia vuole due Camere, differenziate, ma funzionanti in parallelo. Si aggiunga che le frequenti rinnovazioni parziali del Senato e la diversità di durata delle due Camere, farebbero sorgere la necessità di continue elezioni, complicate e costose per lo Stato, e terrebbero in continua febbre elettorale il popolo; né gioverebbero a quella stabilità dei Governi che è necessaria nell’interesse dello Stato. Il Comitato pertanto, tiene fermo: non rinnovazioni parziali, né durata diversa a quella della Camera dei deputati.

Vi è un emendamento Mortati che ammette la prorogabilità delle Camere non nel solo caso di guerra in corso o imminente, ma in quella di eventi d’eguale gravità, che rendano impossibile la convocazione dei comizi. Possono per verità darsi di questi casi; mi sembra di rammentare che si siano verificati col terremoto calabro-siculo. Ma il Comitato teme di allargare in modo poco determinato la facoltà di proroga, di cui si potrebbe abusare. Mantiene, quindi, la sua formulazione.

Mentre l’onorevole Mortati vuol allargare, l’onorevole Targetti vuol restringere la facoltà di proroga al caso di guerra già dichiarata. Il Comitato è incline a restringere più che ad allargare, crede però che sia meglio parlare genericamente di caso di guerra.

Quanto all’emendamento Perassi, non abbiamo difficoltà ad accettarlo.

PRESIDENTE. Faccio presente che l’onorevole Bosco Lucarelli ha presentato un emendamento col quale propone di sostituire le parole «settanta giorni» con le parole «novanta giorni».

Ha facoltà di svolgerlo.

BOSCO LUCARELLI. Mi permetto di esporre le ragioni per cui mi pare che il termine di 70 giorni sia troppo breve. Dobbiamo infatti tener presente che si tratta di compiere tutte le operazioni precedenti alle elezioni: la formazione delle liste, la loro presentazione, ecc. Specialmente per la Camera dei deputati, mi sembra che 70 giorni non siano sufficienti. Se la Commissione ritiene che 70 giorni siano sufficienti, vada per 70 giorni, ma se non sono sufficienti, credo che 90 giorni darebbero un maggiore margine di tempo sia per la formazione delle liste, sia per la loro presentazione, e in genere per tutte le formalità che la legge richiede, specialmente ripeto, per le elezioni della Camera dei deputati.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non credo che si possa accogliere l’emendamento dell’onorevole Bosco Lucarelli, perché è bene che non vi sia una troppo lunga pausa fra le due legislature. Si tratterà di accelerare il più possibile le procedure elettorali; e la legge elettorale provvederà in questo senso.

Devo poi fare un’osservazione. Non avevo tenuto presente che l’emendamento dell’onorevole Targetti non si riferisce al terzo, ma al quarto comma, ed in sostanza contempla il caso, per verità rarissimo, che siano già sciolte le Camere e bandite le nuove elezioni, e che capiti improvvisamente la guerra; In tal caso, dice l’onorevole Targetti, si possono rimandare le elezioni. Se la portata dell’emendamento Targetti è in questo senso, non suscita le stesse difficoltà che si creerebbero se si riferisse al comma antecedente.

PRESIDENTE. L’onorevole Corbino, ha presentato la seguente nuova formulazione dell’emendamento Caronia, che aveva fatto suo, del seguente tenore:

«La Camera dei deputati è eletta per cinque anni. Il Senato della Repubblica viene rinnovato per un terzo ogni tre anni».

Si presenta qui, onorevoli colleghi, la questione principale, che è appunto questa: se il Senato debba essere rinnovato interamente ad ogni fine della sua legislatura – cioè seguire a questo proposito lo stesso destino e le stesse norme della Camera dei deputati – oppure debba rinnovasi parzialmente di tempo in tempo, salvo a stabilire i periodi di rinnovo.

Vi sono due proposte definite: una, per cui, a somiglianza della Camera dei deputati, il Senato ha un tempo stabilito di durata, eguale per tutti i senatori – proposta che è per l’appunto contenuta nel progetto di Costituzione; e vi è, invece, l’altra proposta, sostenuta dagli emendamenti Nitti, Caronia e Corbino, e da numerosi altri colleghi che hanno firmato l’emendamento Corbino. Secondo questi tre emendamenti, il Senato dovrebbe avere una durata così stabilita: per l’onorevole Nitti, di sei anni; per l’onorevole Caronia, di dieci anni; per l’onorevole Corbino, di nove anni.

L’onorevole Nitti propone il rinnovamento ogni due anni per un terzo; l’onorevole Corbino, ogni tre anni per un terzo, e l’onorevole Caronia, per metà ogni cinque anni.

Abbiamo, dunque, due sistemi. Occorre scegliere fra questi due sistemi. Per poter scegliere, onorevoli colleghi, ritengo che bisogna ricorrere alla votazione degli emendamenti.

Vi è l’emendamento dell’onorevole Corbino, il quale distingue la disposizione per la Camera e per il Senato, ed è del seguente tenore: «La Camera dei deputati è eletta per cinque anni, il Senato della Repubblica viene rinnovato per un terzo ogni tre anni».

Vi è poi la proposta dell’emendamento dell’onorevole Conti – fatto proprio dall’onorevole Scoccimarro – che riduce da cinque a quattro anni il termine del mandato, e pertanto bisognerà votare in precedenza questa proposta che emenda il testo della Commissione.

E pertanto, pongo per prima in votazione questa formula dell’onorevole Corbino, modificata dall’emendamento Conti-Scoccimarro: «La Camera dei deputati è eletta per quattro anni».

Faccio presente che, nel caso che venga respinta questa formulazione, metterò in votazione la stessa formulazione col periodo di durata proposto dall’onorevole Corbino: cinque anni.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Poiché il mio emendamento è quello che più si scosta dal contenuto del primo capoverso dell’articolo 58 – e si scosta precisamente nella durata della seconda Camera – non è detto che noi dobbiamo cominciare a votare con la Camera dei deputati e passare poi al Senato. Poiché l’articolo 58 dice: «Le due Camere», a me pare che sarebbe più chiaro votare prima il mio emendamento sul Senato, che è risolutivo rispetto alla questione generale; ove l’Assemblea respinga il mio emendamento sul Senato, implicitamente afferma il principio che le due Camere debbano avere la stessa durata.

Potremmo poi votare sull’emendamento dell’onorevole Scoccimarro.

PRESIDENTE. Prego il Presidente della Commissione di esprimere il suo avviso.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io credo che, per chiarezza di votazione, l’Assemblea si debba pronunciare prima sul principio se le due Camere devono avere la stessa durata e poi sull’altro, se il Senato debba essere rinnovato parzialmente, invece che in una sola volta. Sono questioni connessw fra loro, ma che non si debbono confondere. Se non procediamo a votazioni ben chiare, possiamo incorrere in incertezze e dubbi, come è avvenuto altre volte. Ad ogni modo mi sembra che l’eguale durata delle Camere sia questione preliminare.

NITTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Noi non possiamo fare una legislazione astrale, nelle nuvole. Quello che esiste nei paesi che hanno sperimentato da secoli queste forme politiche, noi lo dobbiamo tenere presente inevitabilmente. Dovunque, in Francia, come in Inghilterra, come in America, la Camera alta è una cosa diversa dalla Camera dei deputati. In Inghilterra vi è una Camera dei Lords che ha una diversa legislazione. Ma anch’essa segue le norme generali che vigono in tutti i paesi per la seconda Camera.

In America come si è fatto? Come si è fatto in Francia? Non mettiamoci fuori della realtà. Si è detto che la seconda Camera, il Senato, ha una sua funzione, ed ha quindi una continuità. Tutti i Governi passati in Inghilterra, in Francia, in America hanno tenuto conto di questo. Ora noi non possiamo dire che vogliamo in Italia sottomettere la Camera e il Senato alle stesse norme, perché ciò sarebbe assurdo. Infatti diversa è la loro funzione. Il Senato non si scioglie, la Camera si scioglie; hanno funzioni del tutto diverse: concorrono allo stesso fine, ma la loro funzione, i loro atteggiamenti sono diversi. È per questo che ho proposto di adottare gli stessi limiti che sono adottati in America per quanto riguarda il Senato: durata 6 anni, rinnovo ogni due anni.

MALAGUGINI. Ma allora facciamo le elezioni ogni momento!

NITTI. Certo! E bisognerebbe farle più spesso. In nessun altro paese è stato adottato il criterio che si vorrebbe adottare in Italia. In America si fanno le elezioni ogni due anni. Non è possibile cristallizzarsi, quando si entra qui dentro. Noi dobbiamo essere a contatto del popolo, bisogna sapere ciò che il popolo pensa di noi. Non possiamo crearci questo privilegio. Non c’è ragione di rifuggire dal fare le elezioni ogni due anni.

Insisto perciò nella mia proposta. Per la Camera dei deputati preferisco quattro anni. Anche coi Governi conservatori in Francia la Camera non è mai durata più di 4 anni. E perché noi dobbiamo oltrepassare questo limite? Perché mettere cinque anni? L’America fa le elezioni ogni due anni. E credete che sia una difficoltà?

Noi non possiamo accaparrarci. un privilegio. Già abbiamo fatto una Camera numerosissima e sconteremo questo errore. Ma sta bene che duri quattro anni, non di più.

Il Senato non può avere la stessa durata della Camera. Come Senato è permanente, ma deve rinnovarsi parzialmente almeno ogni due anni; altrimenti diventa qualcosa di massiccio, qualcosa di solido, di non permeabile, mentre dobbiamo sempre rimanere a contatto della vita popolare.

Ripeto che mantengo la mia proposta, che la Camera duri 4 anni. Sono disposto a subire 5 anni, sebbene io lo consideri un errore. Ma quattro anni è un termine già abbastanza lungo. In America dura due anni ed in Francia quattro. Per quanto riguarda il Senato, mantengo quello che ho detto, cioè ritengo sia necessario che esso non abbia la stessa durata della Camera, che non possa essere sciolto, ma che sia rinnovabile sempre, ogni due anni.

PICCIONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PICCIONI. Mi dispiace che ancora una volta non posso concordare con l’opinione dell’onorevole Nitti, ma devo fare osservare che la posizione rispettiva delle due Camere, così com’è delineata dal progetto di Costituzione, diverge profondamente da ogni altro esempio che si possa invocare presso le nazioni democratiche. Il concetto che ispira la formazione delle due Camere nel progetto di Costituzione è la funzionalità di esse, ed è un concetto che si riferisce non soltanto alla loro funzionalità legislativa vera e propria, ma anche alla loro partecipazione all’attività di Governo. Ora se noi prevediamo che nel giro di ogni due anni, quella che può essere la continuazione rappresentativa politica del Paese, che si rispecchia nell’una e nell’altra Camera, può essere modificata ed alterata fino al punto da mettere in forse la stessa maggioranza di Governo e la stessa sua stabilità, evidentemente facciamo cosa che non risponde ad uno degli scopi della nostra Costituzione, che è anche quello di garantire una certa continuità e una certa stabilità di Governo. Invano si invoca, a questo proposito, l’esempio americano, che sarebbe l’unico che potrebbe avere qualche riferimento (a differenza della Camera dei Lords inglese), perché in America la stabilità di Governo è garantita, quali possano essere le oscillazioni delle rappresentanze politiche delle due Camere, dalla forma presidenziale del Governo. Se si dovesse consentire in Italia che ogni due anni si debba ritornare, ad un diverso orientamento della maggioranza politica delle due Camere, evidentemente renderemmo più instabile, più illusoria quella che è la garanzia di una certa continuità che vogliamo conseguire.

A questo argomento, aggiungo l’altro che è stato accennato in una interruzione dell’onorevole Malagugini, e cioè che nelle condizioni in cui l’Italia si trova, nella febbre elettorale particolarmente caratteristica che prende il corpo elettorale, mi pare non sia augurabile di tenere il Paese permanentemente o quasi in questo stato di tensione febbrile.

Per queste considerazioni dichiaro che noi voteremo per la durata della seconda Camera in modo ininterrotto così come per la prima.

DI VITTORIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DI VITTORIO. Io credo che l’Assemblea debba ispirarsi ad una soluzione che sia la più democratica possibile, ed io sono persuaso che la soluzione più democratica è quella che propone l’onorevole Nitti, per due ragioni essenziali: la prima è quella di evitare una vacanza parlamentare totale, che faccia mancare di un controllo parlamentare il potere esecutivo.

La seconda ragione è quella di avere un contatto più diretto e più frequente con il Paese. Io comprendo la preoccupazione dell’onorevole Piccioni, ma non penso che ci possano essere dei mutamenti talmente profondi dell’opinione pubblica che il rinnovamento di un terzo del Senato possa mettere in pericolo la stabilità del Governo. E d’altra parte, se questo mutamento così profondo vi fosse nel Paese, perché noi dovremmo adottare un sistema che ci obbligherebbe a fingere di ignorare questo mutamento, ed avere così una rappresentanza parlamentare che non corrisponda più alla volontà del Paese?

PICCIONI. Perché non dovrebbe avvenire questo per l’altra Camera?

DI VITTORIO. La questione sarebbe differente; e allora l’osservazione del collega onorevole Malagugini sarebbe giusta. Non possiamo fare permanentemente le elezioni, ma il Senato lo dobbiamo rinnovare. Il punto è di sapere: lo dobbiamo rinnovare lo stesso giorno, contemporaneamente alla Camera dei deputati o lo dobbiamo rinnovare per un terzo ogni due anni? Questa seconda soluzione non modifica nulla; non fa fare elezioni in più: soltanto stabilisce una graduazione, un innovamento parziale, che permette ad una delle due Camere di essere sempre in attività e quindi di assicurare il controllo legislativo della rappresentanza popolare del potere esecutivo. Per queste ragioni, credo che l’Assemblea debba votare prima la durata della Camera dei deputati e poi quella del Senato.

Per concludere, vorrei porgere una preghiera all’onorevole Corbino. Poiché il suo emendamento non si differenzia in linea di principio da quello dell’onorevole Nitti, lo pregherei, per semplificare e dare un significato più chiaro a questo voto, di ritirare il suo emendamento e di associarsi a quello dell’onorevole Nitti.

ROSSI PAOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROSSI PAOLO. Onorevoli colleghi, io personalmente, e credo il mio Gruppo, siamo contrari a questa distinzione fra senatori freschi e senatori stantii. Mi spiego: il Senato, nel modo in cui verrà formato, e cioè eletto con suffragio universale, con il sistema del collegio uninominale che favorisce la scelta di elementi che abbiano maggiore autorità, con numero notevolmente più ristretto di componenti rispetto alla prima Camera, sarà già una Camera che avrà in sé una prevalente autorità rispetto alla Camera dei Deputati. Se noi, per di più, costituiamo nel Senato un palladio, un usbergo della continuità politica e giuridica dello Stato, e ne facciano una Camera insolubile, mentre la Camera dei deputati si può sciogliere, anche prima del termine, noi creiamo una disparità fra i due organi del Parlamento e accresciamo un privilegio che siamo venuti, forse senza volere, conferendo al Senato rispetto alla Camera.

Per la seconda questione mi pare evidente un dilemma. Si fanno rinnovazioni parziali ogni due o tre anni. Delle due, una: o la metà rieletta nelle elezioni parziali riproduce, presso a poco, la composizione politica della parte del Senato che è rimasta in funzione, ed allora l’esperimento è inutile; o abbiamo quella distinzione, che dicevo pocanzi, fra senatori freschi e senatori coperti di polvere, fra senatori che hanno in sé una vera autorità politica e senatori che si devono riconoscere destituiti del suffragio popolare che hanno avuto anni prima. Ciò importa che questi senatori se ne vadano, si dimettano, o siano nella condizione di mancare di prestigio e di autorità rispetto agli altri, determinando la necessità o la convenienza di uno scioglimento.

Ed ecco l’ultimo argomento: quello delle elezioni più o meno frequenti.

Non vorrei essere tacciato di antidemocrazia. Ovviamente, preferisco delle elezioni anche tutti i giorni a dei periodi venticinquennali senza confronto elettorale; ma c’è il giusto mezzo, in cui bisogna stare.

Tutta la democrazia rappresentativa è fondata, onorevoli colleghi, sopra una astrazione. Sono persuaso che se noi consultassimo tutte le domeniche, invece che con la SISAL, coi comizi elettorali il popolo italiano, noi avremmo 52 risultati elettorali differenti all’anno. Noi siamo qui per i voti che abbiamo conseguito il 2 giugno; ma è probabile che la domenica 9 giugno vi sarebbe stata una sensibile variazione nei risultati elettorali. Ci sono anzi settimane nella vita politica italiana, in cui queste variazioni sono più che sensibili, amplissime. Penso che una certa astrazione occorra nella democrazia rappresentativa.

Bisogna rassegnarsi a constatare che ci sono momenti in cui la coincidenza delle forze numeriche dei partiti nel Parlamento e nel Paese non è assolutamente esatta.

Se pensiamo che abbiamo le elezioni politiche, poi ogni due anni le elezioni per il rinnovamento dei senatori, poi le elezioni amministrative, che nelle grandi città sono pure una sostanziale, intrinseca consultazione politica, ed infine – lo abbiamo finora dimenticato – le elezioni regionali, vediamo che il nostro Paese sarebbe mutato in un comizio continuo, e qualunque Governo non potrebbe reggersi seriamente e portare a compimento qualsiasi programma.

Per queste ragioni il nostro Gruppo voterà per il testo della Commissione.

CLERICI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CLERICI. A quanto ha detto l’onorevole Rossi mi permetto di aggiungere, come dichiarazione di voto personale, tre modeste osservazioni che mi paiono per altro ovvie.

La prima è questa: l’onorevole Di Vittorio ha invocato, come uno dei due argomenti principali della sussistenza del Senato anche durante lo scioglimento della Camera, quello che il Senato continui la sua funzione di controllo parlamentare.

Ora, io mi permetto di fare osservare all’onorevole Di Vittorio che esiste un principio fondamentale nel diritto parlamentare: le due Camere devono funzionare contemporaneamente; non può essere aperta l’una e chiusa l’altra; non può essere convocata l’una e l’altra rimanere sciolta.

Questo principio, che credo sia generale e costante nel diritto parlamentare, è stato confermato anche nel nostro progetto di Costituzione; infatti all’articolo 59 è detto: «Quando si riunisce una Camera è convocata di diritto anche l’altra». Ed allora, onorevole Di Vittorio, come concepire un controllo del Senato, mentre l’altra Camera è sciolta?

Ma vi è un secondo argomento, che mi pare molto evidente ed è che il progetto di Costituzione, innovando sapientemente e dando soddisfazione a quella che fu un’antica aspirazione democratica, la quale sfociò anche in alcune proposte concrete tra 1919 ed il 1922, ha stabilito al primo alinea dell’articolo 58 un principio, che secondo me è nuovo ed importante.

DI VITTORIO. Il Senato non era elettivo.

CLERICI. Il principio or ora da me ricordato, onorevole Di Vittorio, vale anche per il Senato elettivo, tanto è vero che era stabilito ed è stabilito anche in Francia e negli altri Paesi con Senato elettivo, ed è stabilito con questa disposizione che ora ho letto per il nostro Senato repubblicano. Dunque, quando si riunisce la Camera, è convocato anche il Senato della Repubblica.

Chiuso l’inciso e data la risposta all’onorevole Di Vittorio, torno al secondo mio argomento. Dunque il comma innovativo stabilisce: «I loro poteri sono tuttavia prorogati sino alla riunione delle nuove Camere». E stabilito con ciò un principio nuovo e fecondo, perché anche dopo il decreto di convocazione dei comizi elettorali, e non solo fino al giorno delle elezioni, ma altresì fino al giorno in cui fisicamente i nuovi senatori ed i nuovi deputati occuperanno questi scanni e quelli di Palazzo Madama, le due vecchie Camere sussisteranno. Allora, onorevoli colleghi, il controllo vi è già, e permanente e vi è sempre la possibilità di autoconvocarsi da parte dell’uno o dell’altro Parlamento, e di conseguenza non vi è più un momento alcuno in cui si possa dire che il Parlamento sia vacante. Anzi avremo ora, per così dire, la permanenza tanto della Camera, come del Senato, perché sino al momento in cui i nuovi deputati ed i nuovi senatori non occuperanno gli stalli, la funzione legislativa e quella generale di controllo dello Stato è esercitata dai precedenti parlamentari.

Faccio in terzo luogo questa modestissima, pedestre osservazione, che forse appunto per la sua modestia è sfuggita a qualcuno. Si è pensato di fare un’elezione parziale di un terzo del Senato. Ma, tenuto presente che abbiamo già votato e deciso il principio che i senatori sono legati alla Regione, e che i seggi regionali non sono poi neanche numerosi, specie per le piccole Regioni, come è possibile risolvere il problema dello scomponimento in tre? Infatti occorrerebbe per tale disposizione che il numero dei senatori per ciascuna Regione fosse multiplo di tre e quindi divisibile per tre, altrimenti non so in quali difficoltà porremo il legislatore nello stabilire la legge elettorale del Senato, perché allora ci troveremo di fronte a questo fatto: che i senatori che debbono essere legati alla Regione debbono essere divisi per tre, quando – per la metà almeno dei casi – non saranno i seggi regionali dei senatori multipli del numero tre.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Desidererei sottolineare un fatto nuovo che, a mio parere, sta emergendo da questa discussione e dalla votazione sul Senato. Inizialmente tutti noi, almeno in forma subordinata, visti sparire i nostri temi principali, in gran maggioranza mi pare che fossimo d’accordo nel ritenere che il Senato avesse gli stessi poteri della Camera dei deputati. Ho l’impressione che pian piano si voglia fare del Senato una seconda Camera con qualche potere maggiore e con un prestigio certamente maggiore di quello della Camera dei deputati. Intanto abbiamo assistito stamattina, dopo aver già ridotto sensibilmente il numero dei senatori di fronte al numero dei deputati, abbiamo assistito – dicevo – alla introduzione nel Senato del Presidente della Repubblica. Basta questo solo fatto per attribuire al Senato uno speciale prestigio. Poi, ultimamente, per quanto in forma non eccessivamente corretta – a mio parere – ma comunque avvenuta, abbiamo anche assistito all’introduzione di «cinque uomini di chiara fama» i quali, aggiunti al Presidente della Repubblica, che è di chiarissima fama, evidentemente contribuiscono a dare un marcato prestigio al Senato. Ed allora io comprendo perfettamente perché l’onorevole Presidente Nitti insista nel voler dare al Senato questa sua particolare funzione di permanenza di fronte a quella che non ha la Camera dei deputati. Infatti l’onorevole Nitti ha sempre considerato il Senato, di fronte alla prima Camera, di maggior prestigio. «Il Senato romano», egli stesso ce l’ha ricordato più volte.

Ed allora, io sono dolente di non poter aderire alle argomentazioni espresse qui, con spirito democratico, dal collega Di Vittorio, il quale ha ritenuto scorgere nella proposta Nitti un principio di democrazia. Io pregherei sempre il collega Di Vittorio ed i compagni socialisti di diffidare, con estrema simpatia, della democrazia del Presidente Nitti (Si ride), il quale è certamente un grande democratico, ma tipo antico, direi quasi, me lo si perdoni, tipo conservatore, di fronte alle nuove esigenze democratiche. Poi, vedo subito il conflitto che si creerebbe inevitabilmente fra Senato e Camera dei deputati. Quando il Senato, rinfrescato con queste elezioni biennali, rappresenti più profondamente e indirettamente la volontà popolare, appare questa incredibile conclusione: che la Camera dei deputati, espressione sovrana, in ogni Paese, della volontà popolare, è diminuita di fronte al Senato, il quale rappresenta più direttamente la volontà popolare.

Ora, c’è un’altra considerazione che mi fa diffidare dell’apparente carattere democratico che l’onorevole Nitti vorrebbe dare al Senato o pensa che il Senato abbia, ed è il Senato francese, che lo stesso Presidente Nitti ci ha ricordato più volte. Ma il Senato francese, onorevole Presidente Nitti, non esiste più, e non esiste più appunto perché le correnti più democratiche del popolo francese hanno voluto sopprimere questo organismo, che in un certo senso, a torto o a ragione, appariva conservatore.

Concludendo: noi che siamo stati in maggioranza per l’uguaglianza dei poteri delle due Camere, non possiamo acconsentire alla proposta Nitti, sia pure sostenuta da elementi democratici, indubbiamente più progressivi. Come ultima conclusione, a mio parere, l’espressione democratica verrebbe a sparire se venisse introdotto quel sistema.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Dichiaro che voterò a favore del rinnovamento periodico e parziale del Senato in ragione di un terzo dei suoi componenti, perché io ritengo che sia un vantaggio immenso per il regolare e democratico svolgimento della vita del Paese quello che è l’effetto delle elezioni parziali. Queste, senza sconvolgere tutto un Paese e senza invitare tutta la generalità dei cittadini alle urne, danno la possibilità, da parte del Governo, di tenere, come si suol dire, il polso del Paese in mano, e quindi conoscere, ad intervalli di tempo non troppo lunghi, quali sono le tendenze, in senso positivo o negativo, regressivo o progressivo, che si precisano attraverso le elezioni.

Questo concetto di far coincidere l’elezione generale delle due Camere in un momento solo, mi pare un gravissimo errore, in quanto c’è la possibilità che queste elezioni generali delle due Camere siano influenzate da un avvenimento che può essere utile o disutile a certi fini, ma di natura transitoria e che certo non dà quella sensazione di continuità di rapporto costante fra le espressioni del Paese e le esigenze della politica.

Quindi, le elezioni parziali sono una cosa utilissima, e proprio per questa ragione, fondamentale io voterò per il rinnovamento periodico del Senato in ragione di un terzo dei suoi componenti ogni due anni, od ogni tre anni, a seconda che sia di sei o di nove anni la durata della nomina.

Non vedo poi la concludenza dell’argomento dell’onorevole Clerici, che ciò sarebbe contrario alla base regionale del Senato. E, mi permetta che glielo dica: questa famosa base regionale egli ora l’afferma, ora la disconosce; ha votato per la cosiddetta base regionale del Senato, ma poi non ha voluto, fra i requisiti dell’eleggibilità dei senatori, che vi fosse quello della nascita o del domicilio nella Regione, perché ha osservato – e credo a ragione – che rappresentano la Nazione. Dopo aver abbandonato dunque la base regionale per un argomento, ora si riattacca alla base regionale per un altro, e pretende che il rinnovamento parziale del Senato non sia possibile perché i senatori in ogni Regione dovrebbero essere un multiplo di tre. Non c’è affatto questa necessità, perché in ragione di un terzo le elezioni parziali possono avvenire o in ragione di un terzo dei molti collegi uninominali o per un terzo delle varie Regioni, e quindi quando ci saranno le elezioni nel Piemonte e non nella Lombardia non è necessario che ci siano nel Piemonte per un terzo. Quello che è necessario è che ci sia questo rinnovamento parziale e che non ci sia mai completo il vuoto parlamentare accanto al Governo. E qui rievoco l’argomento democratico dell’onorevole Di Vittorio, al quale non è giusto opporre esigenze del sistema bicamerale, perché quando si dice funzionamento bicamerale, del quale sono stato sempre strenuo sostenitore; ciò non significa che la funzione bicamerale si esaurisca nell’attività legislativa e che la apertura delle due Camere e i lavori delle due Camere debbano avvenire con un assoluto parallelismo di giorni o settimane. Se uno dei due rami parlamentari, al momento della chiusura imminente dell’altro ramo, non ha finito una certa attività legislativa, evidentemente la può proseguire, e non c’è obbligo che vada in vacanza allo stesso giorno dell’altro ramo del Parlamento. Ma poi ci sono altrettante funzioni, e forse a volte più essenziali di quella legislativa, la funzione ispettiva, la funzione di controllo, ecc., e ci può essere un ramo del Parlamento che ha disposto una inchiesta, senza nessuna necessità che questa inchiesta sia contemporaneamente fatta dall’altro ramo del Parlamento. Ci può essere dunque, anche quando la durata della Camera dei deputati è scaduta, la necessità di un contatto fra gli esponenti del Governo e gli uomini parlamentari investiti di mandato in atto, e questi uomini parlamentari, se noi avremo un Senato che non si scioglie mai, composto sempre, in qualunque momento, almeno di due terzi dei suoi componenti, avranno la possibilità di essere sentiti dal Governo.

Con le elezioni generali fatte contemporaneamente per i due rami del Parlamento, e con i Ministri che, tutti, dovranno essere rieletti, si pregiudica il principio della continuità del funzionamento dello Stato.

A queste ed altre ragioni voglio aggiungerne un’ultima di carattere pratico, e cioè che anche la scelta dei candidati viene facilitata, come criterio di selezione, se non si devono contemporaneamente eleggere tutti gli esponenti e i rappresentanti del popolo, perché, evidentemente, se si fanno contemporaneamente le elezioni alle due Camere, non è ammissibile che gli stessi candidati siano usufruiti per l’una e per l’altra. Anche dunque dal punto di vista selettivo non ci sarà niente di male che le elezioni del Senato avvengano periodicamente, quando non sono indetti i comizi generali per la Camera dei deputati. La scelta dei candidati sarà molto più facile ed oculata ed avrà una maggiore facilità di buon esito.

Si fa, dagli avversari del rinnovamento parziale, l’obiezione che il Senato finirebbe per avere maggior prestigio della Camera: osservo che io sono stato sempre un sostenitore fermo della necessità che anche il Senato fosse eletto a suffragio universale, ed una volta stabilita la elezione a suffragio universale non mi preoccupo in nessun modo che il prestigio del Senato possa essere eventualmente maggiore del prestigio della Camera. Se noi abbiamo stabilito nel nostro spirito che gli uomini di 40 anni siano eventualmente più riflessivi e siano con maggiore prestigio di quelli di 25, evidentemente abbiamo stabilito che questa seconda Camera debba avere delle caratteristiche diverse e forse anche, per quanto possa dispiacere all’onorevole Lussu, più autorevoli di quelle della prima Camera. La questione sotto questo punto di vista mi pare del tutto secondaria, perché l’una e l’altra Camera sono elette a suffragio universale e l’una e l’altra Camera hanno delle esigenze proprie, sono di carattere non assolutamente identico l’una all’altra.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Onorevoli colleghi, io non so se interpreto il pensiero dei colleghi del Gruppo, ma personalmente mi permetto di fare questa osservazione, o per meglio dire, questa dichiarazione: io non sono arrivato a comprendere i veri, reali e grandi vantaggi della proposta dell’onorevole Nitti, perché quando si dice che l’accoglimento di questa proposta assicurerebbe una continuità della funzione legislativa, si dice qualche cosa che è superato da quella nuova disposizione, già ricordata dal collega Clerici, per la quale le due Camere seguitano ad esercitare la loro attività fino a che non si è insediata la nuova Camera dei deputati e il nuovo Senato della Repubblica. Quindi un’interruzione dell’attività legislativa, una carenza non c’è. Siccome, come sembra, lo scopo principale della proposta dell’onorevole Nitti sarebbe quello di ovviare a questo inconveniente, non esistendo in realtà questo inconveniente, non vedo il vantaggio della proposta.

Un’altra osservazione, che è collegata a questa. L’onorevole Nitti sostiene la sua proposta anche sotto quest’altro punto di vista: che il Senato, in questo modo, potrebbe continuare ad esercitare la sua funzione, anche quando la prima Camera non funzionasse. Ma l’onorevole Nitti mi insegna che, non solo in conseguenza dei principî a cui si sono sempre informati i sistemi bicamerali, ma anche in conseguenza dei principî riaffermati dalla nostra Costituzione, una Camera non può vivere senza l’altra; non può agire, non può concludere, senza il concorso dell’altra.

Ecco perché (senza entrare in particolari, giacché l’Assemblea conosce, il funzionamento, l’architettura, la costruzione e la formazione delle leggi), ecco perché la nostra Costituzione stabilisce la contemporaneità assoluta nell’esercizio dell’attività dei due rami del Parlamento.

Se questo è, e se non si arriva a vedere l’utilità della proposta dell’onorevole Nitti, è quasi inutile mettere in rilievo quali ne sono gli inconvenienti, tra gli altri quello di venire a dare al Senato un’importanza preminente sopra la Camera dei deputati. Importanza preminente che non è certamente nel nostro pensiero.

Per queste modestissime considerazioni io, personalmente, non mi sentirei di approvare la proposta Nitti, pur riconoscendo che si tratta di una questione che può essere risolta anche positivamente, senza gravi conseguenze.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Signor Presidente, mi pare che questa discussione si sia un po’ perduta in alcune correnti laterali, e che sarà opportuno ricondurla al suo contenuto essenziale.

E sono giunto a questa conclusione, dal rilievo della diversa natura delle osservazioni dei sostenitori della tesi, che possiamo chiamare Nitti-Corbino, e degli oppositori di questa tesi.

Gli uni, cioè i sostenitori, hanno portato – di massima – argomenti positivi; gli altri, cioè gli oppugnatori di questa tesi, hanno portato di massima argomenti negativi, nel senso che, più che dire per quali ragioni essi preferirebbero un altro sistema, hanno soprattutto detto le regioni per cui non vogliono quel sistema.

Ora, una vecchia esperienza dialettica mi ha insegnato che questi argomenti sono, al solito, argomenti molto deboli.

Vorrei ricondurre la questione al fondo. Prima di tutto, si è da molti invocato il sistema escogitato dalla Commissione. Ora, intendiamoci bene, di questa Commissione facevo parte anch’io, i suoi lavori li ho seguiti; ma il sistema, ormai, è stato completamente cambiato. È inutile che noi ci appelliamo a quello che è stato il sistema che la Commissione aveva proposto: di quel sistema, ormai, è rimasto quello che noi abbiamo come base del progetto e che andiamo continuamente modificando. Anzi, noi abbiamo escogitato, stabilito, votato e codificato un sistema che è in contrasto con quello del progetto, proprio perché, evidentemente, la maggioranza di quest’Assemblea voleva che il sistema fosse diverso. Quindi, prima di tutto, dobbiamo considerare il problema dal punto di vista del nuovo sistema e non di quello che è stato abbandonato. E, dal punto di vista del nuovo sistema, noi vediamo una preoccupazione politica affiorare in alcuni, e di questa preoccupazione politica si è fatto portavoce l’onorevole Lussu, il quale teme di veder sorgere, con questo nuovo Senato della Repubblica, un organo conservatore.

Onorevole Lussu, io sono un conservatore; sono anzi uno di quei pochi conservatori in Italia che dicono di essere tali solo per differenziarsi dai moltissimi conservatori, che non hanno il coraggio di dirlo perché lo sono più di lui. (Applausi a sinistra).

Qui mi trovo però in una grande perplessità, perché io so che quei tali conservatori diversi da me hanno una paura matta di questo Senato, proprio per le ragioni opposte a quelle che ha prospettato lei e che ha prospettate, sia pure in altro senso, l’onorevole Paolo Rossi. Ma io sono guidato da un’altra considerazione. Io sono guidato, cioè dalla considerazione che questo Senato debba divenire un organo suscettivo di essere adoperato dallo Stato, mentre sarà lasciata al Paese la responsabilità di dagli quel colore che risponde più alle sue esigenze ed alle sue opinioni.

Io non mi sono dunque lasciato guidare dal timore che, votando questo o quell’emendamento, io potessi favorire o meno i miei avversari politici. Qui la questione è un’altra: noi dobbiamo fare sì o no uni Senato che si differenzi dalla Camera dei deputati? Che si differenzi soprattutto secondo le scaturigini che noi gli abbiamo dato? E allora, se così è, noi dobbiamo accettare questo concetto della continuità.

È del resto quello della continuità un concetto che abbiamo già accettato, con quell’istituto della prorogatio che, introdotto nella Costituzione, non sarà per noi che una garanzia di più.

Ma noi dobbiamo dare al Senato il suo carattere; e, d’altra parte, se il rinnovamento del Senato dovesse valere a dimostrare l’esistenza nel Paese di indirizzi nuovi, sarà prezioso appunto per poter seguire questi indirizzi. Perché infatti, onorevoli colleghi, dobbiamo noi temere dei mutamenti? L’opinione pubblica è quella che ci deve guidare; io non riesco davvero a comprendere una preoccupazione che possa derivare dal manifestarsi dell’opinione pubblica.

La verità è, onorevoli colleghi, che qui si confonde molto spesso l’organo con la funzione. Non si dimentichi che noi qui creiamo l’organo: esso poi funzionerà per suo conto. Oggi noi dobbiamo stabilire che il Senato abbia un carattere particolare; ebbene, possiamo noi astenerci dal conferire al Senato, per ciò stesso, un carattere di rinnovamento e di continuità?

È questo, onorevoli colleghi, il concetto conservatore: che cioè nulla si conserva se non si rinnovi continuamente. Che cosa sarà dunque mai del Senato se non si trasfonderà in esso questo continuo travaso di nuove idee? Questo è e deve essere il concetto del Senato. Nessuno tema allora che il Senato possa assumere maggior prestigio della Camera dei deputati; onorevoli colleghi, l’importante è che non abbia maggiori poteri: il prestigio se lo conquistano gli uomini e gli organismi che essi compongono con quello che fanno. Sarà pertanto compito della Camera dei deputati di mostrarsi ad un’altezza tale da non perdere di prestigio davanti al Senato; e, se la Camera dei deputati non sarà a tale altezza, non sarà a tale livello, meglio allora che, per l’interesse del Paese, sia precisamente il Senato ad avere tale maggior prestigio.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, poiché tutte le opinioni sono state espresse, non c’è ora che passare ai voti. L’onorevole Ruini ha fatto una proposta, che tuttavia penso non si possa attuare: la proposta di votare il principio. Molte volte noi abbiamo infatti potuto esperimentare la non opportunità di votare dei semplici principî, giacché non riesce poi facile trasferire i principî già approvati in una formulazione precisa.

La questione è già stata discussa alcune volte. D’altra parte, abbiamo davanti a noi degli emendamenti su cui possiamo votare.

Ho detto che l’emendamento dell’onorevole Corbino mi pare sia quello che meglio si presta per questa votazione. L’emendamento dell’onorevole Nitti si riferisce esclusivamente al Senato, mentre questo dell’onorevole Corbino pone il problema di ambedue le Camere. Questa la ragione per cui mi pare che il testo dell’onorevole Corbino sia quello che si presta più favorevolmente alla nostra votazione. Lo rileggo:

«La Camera dei deputati è eletta per cinque anni. Il Senato della Repubblica viene rinnovato per un terzo ogni tre anni».

In questo emendamento è contenuto il principio della rinnovabilità periodica del Senato, sul quale l’onorevole Ruini proponeva di votare inizialmente.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Mi pare che in questa formula proposta dall’onorevole Corbino sia indicata anche la durata della Camera dei deputati.

PRESIDENTE. Sì: la Camera dei deputati – è detto – è eletta per cinque anni.

Infatti, onorevole Targetti, io avevo proposto poco fa che si votasse dapprima: «La Camera dei deputati è eletta»; e poi il limite di tempo, dato appunto che c’è un emendamento che vuole fissarlo a quattro anni.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Vorrei chiedere che fosse precisato se la durata complessiva del Senato sarebbe posta poi in votazione dopo l’eventuale rinnovabilità.

PRESIDENTE. Ho detto che non votiamo questioni di principio, ma formulazioni concrete; e le formulazioni sono quelle di cui ho già dato lettura.

Se sarà chiesto che si voti per divisione, evidentemente voteremo dapprima: «Il Senato viene rinnovato», e con ciò la questione di principio è affermata. Resta poi aperta la fissazione del termine di periodicità.

Credo ormai che si possa passare alla votazione della prima parte dell’emendamento dell’onorevole Corbino.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Non abbiamo ben capito il valore di questa votazione.

Noi siamo dell’opinione che la Camera dei deputati sia eletta per cinque anni, come, d’altra parte, pensiamo che anche il Senato sia eletto per cinque anni. Quindi saremmo favorevoli al testo della Commissione.

Se ella mette in votazione questa prima parte dell’emendamento Corbino, questa prima parte, come tale, coincide con il nostro pensiero.

Ora, noi vorremmo sapere se, volendo votare contro la tesi del rinnovamento parziale del Senato, noi dobbiamo votare contro tutto questo emendamento.

PRESIDENTE. Onorevole Moro, lei voterà affermativamente: «La Camera dei deputati è eletta per cinque anni», e poi voterà contro la seconda parte: «Il Senato viene rinnovato».

Dato lo svolgimento delle votazioni, evidentemente occorrerà votare ora una formula redatta in via provvisoria, nella quale si ripeterà la dizione del testo, sostituendo però al soggetto attuale, l’altro: «Il Senato», e che potrà poi essere coordinata dal Comitato di redazione.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. La proposta fatta dall’onorevole Corbino, almeno per la sua prima parte, cioè per quella parte che riguarda la durata della Camera dei deputati, coincide con la proposta del Comitato di redazione.

Evidentemente la proposta che limita la durata a quattro anni deve avere la precedenza.

PRESIDENTE. Onorevole Laconi, ho infatti detto prima che la votazione sarebbe stata fatta inizialmente sulla formula: «La Camera dei deputati è eletta per quattro anni»; e poi, respinti i quattro anni, «per cinque», appunto per potere tener conto – nel quadro dell’emendamento Corbino – dell’emendamento Scoccimarro.

Faremo, successivamente, le seguenti votazioni: prima la Camera dei deputati con la durata di quattro anni e, eventualmente, dopo con la durata di cinque anni. Poi passeremo alla seconda parte dell’emendamento Corbino. Se fosse respinta, si porrebbe la necessità di votare per il Senato una formula uguale a quella votata per la Camera. Le due formule sarebbero poi coordinate.

Pongo pertanto in votazione questa formulazione:

«La Camera dei deputati è eletta per quattro anni».

(Dopo prova e controprova, non è approvata).

Pongo in votazione la prima parte dell’emendamento Corbino:

«La Camera dei deputati è eletta per cinque anni».

(È approvata).

Dobbiamo ora passare alla seconda parte che si riferisce al Senato. Si tenga presente che, votando la formula, di cui darò lettura, si accetta un Senato che si rinnova parzialmente e periodicamente.

E allora voteremo questa parte dell’emendamento Corbino che dice: «Il Senato viene rinnovato».

Ci fermiamo a questo punto perché vi sono altre proposte per una periodicità riferita ad un numero di anni diverso da quello proposto dall’onorevole Corbino.

Pongo dunque in votazione questa formulazione:

«Il Senato viene rinnovato».

(Non è approvata).

Passiamo dunque alla votazione in ordine al Senato, allo stesso modo con cui abbiamo votato per la Camera. Bisogna stabilire infatti se il Senato, pur rinnovandosi al completo ad ogni scadenza di mandato, debba avere una durata eguale a quella della Camera.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Io credo che almeno una cosa dovremmo impedire. Ormai siamo ai piccoli problemi, perché quelli grandi li abbiamo risolti. Dovremmo impedire la simultaneità delle elezioni, cioè la confusione infinita che si creerebbe nel Paese per una contemporanea consultazione elettorale, col sistema proporzionale e col collegio uninominale, con l’incrociarsi e il confondersi delle due lotte politiche, per cui la gente, che non passa la vita su questi problemi, sarebbe nell’assoluta impossibilità di esprimere una opinione che significhi qualche cosa. Noi dobbiamo stabilire per il Senato una durata maggiore o minore, ma dobbiamo fare in modo che le elezioni non coincidano, altrimenti fabbricheremmo una Torre di Babele. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. Onorevole Lucifero, la prego di fare una proposta concreta.

LUCIFERO. L’onorevole Nitti ha detto, con una certa mia sorpresa, che in nessun popolo civile le legislature durano cinque o sei anni. In Inghilterra, in verità, durano sei anni e non hanno dato cattiva prova. Eppure credo che l’inglese sia un popolo civile. Io proporrei, quindi, che il Senato abbia la durata di sette anni in maniera che le elezioni per il Senato non si sovrappongano a quelle della Camera e non si finiscano le une per cominciare le altre.

CLERICI. Propongo la durata di sei anni.

LUCIFERO. Mi associo alla proposta dell’onorevole Clerici, ritirando la mia.

PRESIDENTE. Allora vi è la proposta della Commissione che il Senato abbia la stessa durata della Camera e la proposta Clerici, cui ha aderito l’onorevole Corbino, che il Senato duri in carica sei anni.

CAMANGI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAMANGI. Desidero far notare che, se si vuol dare una diversa durata alle due Camere per evitare la coincidenza delle elezioni, questa coincidenza, sia pure a più lunga scadenza, avverrà. (Commenti).

PRESIDENTE. Pongo in votazione la formula proposta dall’onorevole Clerici, accettata dall’onorevole Lucifero.

«Il Senato della Repubblica è eletto per sei anni».

(È approvata).

Se non vi sono osservazioni, resta stabilito che il Comitato di redazione provvederà a coordinare le due formulazioni approvate, e cioè quella relativa alla Camera e l’altra relativa al Senato.

(Così rimane stabilito).

Passiamo al secondo comma dell’articolo 58:

«I loro poteri sono tuttavia prorogati sino alla riunione delle nuove Camere».

Lo pongo in votazione.

(È approvato).

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Desidero fare un’osservazione più generale: con l’ultima votazione che ha portato – contro il mio pensiero – a sei anni la durata del Senato, si viene ad intaccare il concetto di legislatura, che era comune alle due Camere; e significava che le due Camere venivano elette nello stesso tempo e potevano essere sciolte nello stesso tempo.

Faccio le mie riserve, non solo per questo punto, ma per altri; perché molte disposizioni sistematiche del progetto, basate sul parallelo delle due Camere, vengono meno.

PRESIDENTE. Forse in questo caso la dizione significa che quella delle due Camere che in quel momento dovrebbe essere sciolta non lo sarà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Questa dello scioglimento sarà materia di un successivo articolo, soltanto è mio dovere far presente che bisognerà, nell’elaborazione finale, rivedere e coordinare possibilmente alcune disposizioni.

PRESIDENTE. Segue il terzo comma:

«La legislatura può essere prorogata con legge solo nel caso di guerra in corso o di imminente pericolo di guerra».

L’onorevole Mortati ha proposto il seguente emendamento sostitutivo:

«La legislatura può essere prorogata con legge nel caso di guerra, o di eventi di uguale gravità, tali da rendere impossibile la convocazione dei comizi».

NITTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Ritengo che questa disposizione sia anche inutile. La Camera dei deputati eletta il 27 novembre 1913 durò fino al 29 settembre 1919; essa fu prorogata senza che la proroga fosse prevista da una disposizione statutaria. Si tratta del caso di necessità, che non occorre prevedere.

FABBRI. Lo Statuto albertino era flessibile. Ora si sta elaborando una Carta costituzionale a sistema rigido.

NITTI. Comunque, ritengo che questa disposizione sia superflua.

GIANNINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIANNINI. Ritengo che, nell’interesse dell’uomo qualunque, bisogna vietare qualsiasi proroga delle Camere, anche in caso di guerra. È chiaro che, se scoppia una guerra, questa guerra scoppia principalmente perché la politica fatta dalle Camere ha portato alla guerra. (Commenti).

Sono molto lieto di vedere colleghi disposti alla ilarità; ma ritengo di non dire una cosa del tutto errata. Una guerra scoppia per tante ragioni, fra cui quella di una cattiva politica, fatta precisamente dalle due Camere, cioè dagli organi legislativi eletti dal popolo. Ed allora si stabilirebbe questa situazione immorale: che, per aver fatto una politica che ha portato alla guerra, il Corpo legislativo si autoprorogherebbe, per continuare a commettere gli errori che hanno portato alla guerra, approfittando dello stesso errore, la guerra.

Si stabilirebbe insomma questa immoralità: che coloro i quali sono, in parte maggiore o minore, colpevoli dello stato di guerra determinatosi avrebbero la facoltà di prolungare i loro poteri per continuare a commettere gli errori che hanno portato alla guerra. Ciò è immorale e debbo dire, per quanto mi riguarda, che voterò contro qualsiasi proroga. (Approvazioni a sinistra).

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Sono dolente di non poter concordare con l’amico Giannini, perché la sua osservazione sarebbe giustissima se si potessero sciogliere tutti i Parlamenti del mondo, perché, com’è evidente, una guerra non è fatta da un Paese solo ma almeno da due Paesi ed oggi da tutti. Molto spesso, anzi, le guerre si subiscono e i Parlamenti non sono colpevoli delle guerre imposte dalle circostanze. Qui si tratta di un problema di vita pratica. In certi Paesi, come abbiamo visto, in piena guerra si sono fatte le elezioni. Vuol dire che si trattava di Paesi che si trovavano nella possibilità di farle. Ma ciò si verifica soltanto raramente. Quindi la possibilità di prorogare le legislature della Camera e del Senato ci deve essere, ma solo in caso di guerra. Non posso quindi accettare l’emendamento Mortati. Se si prevedono altri casi di proroga, se si dà alle Camere la prerogativa di inventare i motivi per prorogarsi, esse tenderanno sempre a prorogarsi, così come si è prorogata questa nostra Assemblea. (Commenti). Dobbiamo avere il coraggio di dirlo. Quindi solo in caso di guerra può essere prorogata la legislatura. «Può», non «deve», sicché la proroga non sarebbe obbligatoria. Io chiederei, signor Presidente, che fossero mantenuti la parola «solo» nel testo iniziale e l’emendamento che l’onorevole Targetti ha conservato all’ultimo comma, emendamento che chiarisce e definisce questo concetto.

BENEDETTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BENEDETTINI. Signor Presidente, riferendomi a quanto ha accennato l’onorevole Giannini, io penso che quel che ha detto l’onorevole Nitti circa l’opportunità di non parlare affatto della possibilità di proroga è giusto, anche perché è stato già approvato un articolo il quale dice che l’Italia rinuncia alla guerra, per cui la guerra in questa Costituzione è completamente messa al bando. (Commenti). Quindi io proporrei di non parlare affatto della proroga.

SERENI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SERENI. Il Gruppo comunista è contrario a che in caso di guerra siano sospese le garanzie costituzionali. È evidente che, come diceva d’altronde l’onorevole Giannini, esiste una responsabilità del Parlamento e del Governo nel caso che il Paese sia trascinato, sia pure senza sua diretta responsabilità, in una guerra. Possono esservi casi di aggressioni internazionali in cui il Paese sia trascinato anche malgrado una politica giusta fatta dal Governo. Può esservi però l’ipotesi contraria: in questo caso occorre che il popolo non sia privato del diritto di sostituire le Camere e il Governo che lo hanno trascinato in una guerra ingiusta. (Approvazioni a sinistra).

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Ritiro il mio emendamento, non senza fare osservare, che esso era stato suggerito dalla considerazione dell’opportunità della equiparazione di situazioni che, facendo sorgere le medesime esigenze, dovrebbero dare luogo agli stessi provvedimenti.

Osservo ora che se veramente si vuole limitare, come diceva l’onorevole Lucifero, il caso della proroga solo ad eventi che non siano suscettibili di valutazioni discrezionali da parte dell’Assemblea che decide la proroga stessa, bisognerebbe conseguentemente modificare anche il testo del progetto, sopprimendo la frase «o di imminente pericolo di guerra», poiché è evidente che l’accertamento di tale circostanza si presta ad apprezzamenti senza carattere di certezza obiettiva.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, passiamo alla votazione. Poiché l’onorevole Mortati ritira il suo emendamento, resta soltanto il testo della Commissione. Ma poiché l’onorevole Mortati ha accennato all’idea che la seconda parte del testo della Commissione abbia un carattere a sé stante e pertanto richieda forse una votazione particolare, se nessuno si oppone, pongo in votazione per divisione il testo della Commissione, e precisamente: «La legislatura può essere prorogata con legge solo nel caso di guerra in corso». Poi, voteremo: «o di imminente pericolo di guerra».

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Io trovo che, essendosi variati i periodi di durata delle due Camere, la facoltà di proroga dovrebbe essere riferita all’ultimo comma dell’articolo 58, dove si dice: «Le elezioni delle nuove Camere hanno luogo entro settanta giorni dalla fine delle precedenti». Siccome noi avremo sempre una Camera in vita, data la diversa durata di ciascuna delle due, è a questa eventualità che ci si deve riferire per la proroga, non alla legislatura.

PRESIDENTE. Onorevole Corbino, per adesso votiamo sul testo della Commissione, la quale poi coordinerà la norma con quelle precedentemente approvate.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Nell’osservazione dell’onorevole Corbino c’è un concetto costituzionale molto giusto. Qui si tratta non di prorogare la legislatura ma di far funzionare l’istituto della prorogatio fino al termine dello stato di guerra; cioè la legislatura si scioglie di diritto, ma i 70 giorni si prolungano a tempo indefinito. (Commenti). Sta proprio in ciò la questione. Quindi si dovrebbe, con l’emendamento Targetti, sopprimere il terzo comma e dire semplicemente: «Le elezioni delle nuove Camere hanno luogo entro settanta giorni dalla fine delle precedenti, tranne che sia dichiarato lo stato di guerra». In tal modo le Camere continuerebbero a funzionare per prorogatio fino al termine dello stato di guerra.

PRESIDENTE. L’onorevole Giannini ha presentato il seguente emendamento sostitutivo del terzo comma: «In nessun caso la legislatura può essere prorogata».

Faccio notare, per evitare obiezioni, che non si tratta di un emendamento soppressivo (ed in tal caso non lo metteremmo in votazione). Si tratta di un emendamento che afferma un principio, un divieto, e che pertanto ha la precedenza sul testo della Commissione.

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Non mi pare che una formulazione del genere di quella proposta dall’onorevole Giannini possa essere accolta. Poiché, come è stato or ora esattamente osservato dall’onorevole Fabbri, la nostra Costituzione è rigida, essendovi una disposizione costituzionale secondo cui le Camere sono elette per 5 anni, basta tacere circa la possibilità di proroga perché questa sia esclusa. Con la formula Giannini si potrebbe perfino ritenere che la prorogabilità della legislatura sia da escludere anche in sede di revisione costituzionale.

PRESIDENTE. L’onorevole Giannini è del parere che occorra porre nel testo costituzionale un divieto esplicito.

Pongo pertanto ai voti l’emendamento Giannini:

«In nessun caso la legislatura può essere prorogata».

(Non è approvato).

Pongo allora in votazione la prima parte del terzo comma nel testo del progetto: «La legislatura può essere prorogata con legge solo nel caso di guerra in corso».

(È approvata).

Pongo in votazione la seconda parte: «o di imminente pericolo di guerra».

(Non è approvata).

Passiamo all’ultimo comma.

BOSCO LUCARELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOSCO LUCARELLI. Ritiro il mio emendamento all’ultimo comma.

PRESIDENTE. Pongo ai voti il primo periodo dell’ultimo comma:

«Le elezioni delle nuove Camere hanno luogo entro settanta giorni dalla fine delle precedenti».

(È approvato).

Ricordo che al secondo periodo di questo comma: «Il provvedimento che le indice fissa la prima riunione delle Camere non oltre il ventesimo giorno dalle elezioni» è stato proposto dall’onorevole Perassi un emendamento inteso a sostituire le parole: «Il provvedimento» con le seguenti: «Il decreto del Presidente della Repubblica».

LUCIFERO. Chiedo di parlare:

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Non possiamo trascurare il caso previsto nell’emendamento dell’onorevole Targetti, al quale mi sono già richiamato, tendente ad inserire, dopo le parole: «hanno luogo entro settanta giorni dalla fine delle precedenti», le altre: «tranne che sia dichiarato lo stato di guerra». L’onorevole Targetti prevede l’ipotesi che lo stato di guerra sopravvenga nelle more tra la fine della legislatura e le elezioni. Quindi io insisterei perché l’emendamento dell’onorevole Targetti fosse mantenuto e messo ai voti, altrimenti avremmo votato la possibilità di proroga prima della fine della legislatura e resterebbe in sospeso l’altra eventualità.

PRESIDENTE. Onorevole Targetti, conserva il suo emendamento?

TARGETTI. Lo conservo.

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Vorrei pregare l’onorevole Targetti di spiegarci il significato di questo suo emendamento, perché non appare chiaro. Noi abbiamo stabilito che in caso di guerra dichiarata può aver luogo, con legge, la proroga della legislatura. Ora, i casi sono due: o questa proroga è già stata stabilita ed allora non c’è bisogno, naturalmente, di aggiungere l’inciso proposto dall’onorevole Targetti, perché si intuisce che nel caso di proroga non si procede alle nuove elezioni. Se poi la proroga non ci fosse, allora non si intende come si possano sospendere le elezioni già indette. Vorrei quindi pregare l’onorevole Targetti di spiegare la ragione del suo emendamento e la possibilità che vi è di inserirlo nell’insieme delle disposizioni relative alla proroga in caso di guerra.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. L’emendamento mi sembra molto chiaro e di una portata molto limitata: si riferisce ad un caso che sarà rarissimo, eccezionale, ma che può verificarsi: che cioè lo stato di guerra sia dichiarato dopo che la legislatura ha finito il suo compito e prima che sia stata eletta la nuova Camera. Non c’è stato modo di prorogare la legislatura perché lo stato di guerra ancora non si era verificato; si è verificato in quell’intervallo, ed allora non vale più la regola del termine fisso determinato per le nuove elezioni.

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. L’ipotesi che ha prospettato l’onorevole Targetti in realtà si può verificare. Ma già nel testo che abbiamo approvato c’è la possibilità costituzionale di porvi rimedio. Ed è il secondo comma, in base al quale le Camere prorogano i loro poteri sino alla riunione delle nuove. Ora, se interviene l’evento al quale faceva riferimento l’onorevole Targetti, le Camere si riconvocheranno di diritto e potranno prorogare la loro durata.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. C’è un errore, perché le Camere si possono prorogare, possono cioè prendere il provvedimento legislativo di prorogarsi finché non sono state sciolte. Ma quando funzionano per prorogatio, cioè sono già sciolte, questo provvedimento di legge non lo possono più prendere. Ecco perché devono essere autorizzate, secondo quanto stabilisce l’emendamento dell’onorevole Targetti.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ruini ad esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ho dichiarato che il caso sollevato dall’onorevole Targetti è eccezionalissimo e potrà, se l’Assemblea vuole, prevedersi nel testo. Occorrerà in ogni modo precisare, in relazione al punto prospettato dall’onorevole Lucifero di una proroga, votata da una Camera già sciolta. Questa revisione potrà farsi nel coordinamento finale.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Targetti, che propone di aggiungere alla fine del primo periodo del quarto comma già approvato le seguenti parole: «tranne che sia dichiarato lo stato di guerra».

(È approvato).

Pongo in votazione il secondo periodo dell’ultimo comma con l’emendamento proposto dall’onorevole Perassi e accettato dalla Commissione:

«Il decreto del Presidente della Repubblica che le indice fissa la prima riunione delle Camere non oltre il ventesimo giorno dalle elezioni».

(È approvato).

Abbiamo così esaurito l’articolo 58. Ne do lettura nel testo approvato, salvo il coordinamento:

«La Camera dei Deputati è eletta per cinque anni; il Senato della Repubblica è eletto per sei anni.

«I loro poteri sono tuttavia prorogati fino alla riunione delle nuove Camere.

«La legislatura può essere prorogata con legge solo nel caso di guerra in corso.

«Le elezioni delle nuove Camere hanno luogo entro settanta giorni dalla fine delle precedenti, tranne che sia dichiarato lo stato di guerra. Il decreto del Presidente della Repubblica che le indice fissa la prima riunione delle Camere non oltre il ventesimo giorno dalle elezioni».

Il seguito della discussione è rinviato alle ore 11 di domani.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

RICCIO, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere quali provvedimenti abbia preso in conseguenza dell’atto proditorio compiuto giorni or sono contro la sede della sezione comunista di Montalto Pavese; e per conoscere, altresì, quali direttive intenda impartire alle forze di polizia per impedire l’eventuale ripetersi di tale atto, in una zona tranquilla, nella quale tali violenze contro i partiti democratici genererebbero una giusta reazione tra i partigiani e il popolo.

«Mezzadra».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle poste e delle telecomunicazioni, per conoscere lo stato di esecuzione del decreto legislativo 30 giugno 1947, n. 783, riguardante rimpianto e l’estensione di reti telefoniche urbane e i collegamenti interurbani nei comuni dell’Italia meridionale, della Sicilia e della Sardegna.

«L’interrogante chiede all’onorevole Ministro se non ritenga opportuno che il decreto abbia sollecita applicazione, sia per la sua pratica utilità, sia per non aggiungere nuove prove che convalidino la convinzione, diffusa nelle popolazioni meridionali, che i provvedimenti in suo favore trovino intralcio nella burocrazia.

«Galati».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere per quali ragioni non è ancora stato provveduto a definire la posizione dei diplomati degli Istituti tecnici industriali e per geometri, nel senso della loro ammissione alle facoltà tecniche universitarie; e se è vero che l’onorevole Ministro ebbe ad assicurare detta ammissione per l’anno accademico 1947-48, con sua dichiarazione ufficiale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Preti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere quali provvedimenti intenda prendere per la sistemazione della Facoltà di medicina della Università di Genova, il cui corpo insegnante, a causa dell’assoluta deficienza di locali e di mezzi, specie per quanto riguarda la clinica ostetrica, la clinica chirurgica e l’istituto di patologia chirurgica, si è trovato costretto a sospendere ogni attività didattica. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Guerrieri Filippo».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere per quali ragioni il Molise – regione provata come poche altre dal flagello della guerra – è trascurato in modo così inverosimile ed incredibile nei suoi servizi ferroviari, come è stato già in precedenza segnalato al Ministro.

«Sulla linea Campobasso-Termoli e su quella Campobasso-Benevento il servizio viaggiatori è disimpegnato solo da vecchie vetture di terza classe, mal ridotte ed indecenti. Spesso anche queste mancano ed a disposizione dei viaggiatori sono soltanto carri bestiame, ove occorre stare in piedi per ore ed ore, con gravissimo disagio.

«Tale mortificante stato di cose è offensivo per una regione, che è fra le prime di Italia per alto senso di civismo e per dedizione alla Patria in ogni tempo.

«Per tale insopportabile situazione, giorni or sono, il Vescovo di Campobasso, in partenza sul treno per Termoli, fu, in segno di doveroso omaggio, invitato a salire nel bagagliaio, come il posto più decente; ma fu, poi, invitato a discendere subito, adducendosi inopportunamente motivi regolamentari, in modo che il Vescovo fu costretto, fra l’indignazione dei presenti, a viaggiare in carro bestiame, (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Camposarcuno».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, sui provvedimenti che intenda prendere per risolvere al più presto il grave problema della sistemazione economica degli agenti di custodia.

«In particolare l’interrogante osserva che il Corpo degli agenti di custodia, fin da quando l’Amministrazione carceraria dipendeva dal Ministero dell’interno, è stato sempre equiparato, per quanto si riferisce al trattamento economico, al Corpo degli agenti di pubblica sicurezza. E ciò fu confermato anche col passaggio dell’Amministrazione carceraria dal Ministero dell’interno a quello della giustizia, avvenuto il 1° luglio 1925.

«Il regolamento per il Corpo degli agenti di custodia 30 dicembre 1937, n. 2584, mantiene inalterato tale concetto, come pure il recente decreto legislativo luogotenenziale 21 agosto 1945, n. 508, con l’articolo 15 non solo ribadisce quanto sopra, ma addirittura equipara il trattamento economico degli agenti di custodia a quello dei carabinieri.

«L’interrogante rileva che con lo stesso decreto all’articolo 12 l’indennità di pubblica sicurezza è stata estesa anche agli agenti di custodia sotto la denominazione di «indennità carceraria».

«Non vi è dubbio dunque che gli agenti di custodia abbiano diritto al medesimo trattamento economico concesso agli altri appartenenti ai Corpi di pubblica sicurezza. E ciò è tassativamente sancito dal decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato del 5 agosto 1947, n. 778, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 190 del 21 agosto 1947.

«Tale decreto, con la tabella n. 4, non fa distinzione alcuna fra i Corpi di pubblica sicurezza, comprendendo espressamente il Corpo degli agenti di custodia delle carceri fra i carabinieri, la guardia di finanza e il Corpo delle guardie di pubblica sicurezza.

«Infine si fa presente che dal 1° gennaio 1947 a tutti gli appartenenti ai Corpi armati dello Stato è stato concesso il beneficio della razione viveri in natura, a titolo di retribuzione. Non v’ha dubbio che tale beneficio debba estendersi anche al Corpo degli agenti di custodia delle carceri, con la medesima decorrenza, in quanto il suddetto Corpo con decreto legislativo luogotenenziale 21 agosto 1945, n. 508, è entrato a far parte integrale delle Forze armate dello Stato con disciplina militare e con l’obbligo dell’uso delle stellette sulla divisa.

«Pertanto dal 1° gennaio 1947 venga fatto il conguaglio fra il valore della razione viveri in natura non goduta e l’indennità di caro-vita corrisposta, o quanto meno venga corrisposta una indennità compensativa mensile di lire 5000, che rappresenta la differenza tra il valore della razione viveri in natura e la diminuzione dei caro-viveri, che ne sarebbe scaturita se il personale avesse goduto del beneficio della razione viveri in natura.

«Da quanto viene riferito, pare che il Ministero del tesoro abbia già approvato in linea di massima l’estensione della razione viveri in natura anche a favore del Corpo degli agenti di custodia. Non dovrebbe essere difficile avere l’approvazione del Consiglio dei Ministri.

«La soluzione di questa pratica sta molto a cuore al personale di custodia, che si sente assai avvilito di fronte agli appartenenti agli altri Corpi armati di polizia, ed è fonte di vivo malumore tra essi e questi ultimi, con evidente pregiudizio per il delicato servizio a cui devono attendere, perché oltre a soffrire la palese ingiustizia, ne risentono fortemente le loro già precarie condizioni economiche.

«I 14.000 componenti il Corpo degli agenti di custodia, stanchi delle lusinghevoli promesse che si sono avvicendate per circa 10 mesi, senza mai avere ottenuto nulla di concreto, attendono con ansia la soluzione della lunga attesa pratica. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bastianetto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se – in analogia a quanto è stato sancito a favore dei provveditori agli studi reggenti – non ritenga equo stabilire un punteggio di valutazione del servizio di reggenza prestato dai direttori didattici nei posti di ispettore e dagli insegnanti elementari nei posti di direttore, per effetto degli incarichi loro affidati dagli Alleati, nel periodo di emergenza, e dai provveditori a norma del regio decreto-legge 4 giugno 1944, n. 158. Tale punteggio dovrebbe avere effetto nello scrutinio di promozione al grado superiore per i direttori e nel concorso direttivo per i maestri. In prossimità degli scrutini di promozione e dei concorsi, il provvedimento richiesto ha carattere di urgenza. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Galati».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e i Ministri delle finanze e del tesoro, per conoscere se non ritengano equo ed opportuno elevare la somma assicurata in lire 5000 ai combattenti dallo Stato nel 1918, mediante il rilascio delle polizze gratuite, in misura tale da consentire se non un integrale adeguamento del valore della moneta dal 1918 al 1948, almeno un riconoscimento coerente al significato morale ed al valore materiale dell’impegno dello Stato, commisurando in lire 50.000 le lire 5000 del 1918. E ciò, in considerazione che per i decreti luogotenenziali 7 marzo 1918, n. 874; 10 dicembre 1917, n. 1970; 30 dicembre 1917, n. 2047; 19 maggio 1918, n. 769; 8 dicembre 1918, n. 1953, concernenti il rilascio delle polizze gratuite ai combattenti ed ai loro superstiti, veniva il premio di assicurazione fissato in lire 5000 e lire 1500; che tale premio viene a maturare, per i superstiti, dopo 30 anni, nel 1948; che per il decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 7 aprile 1947, n. 397, i combattenti della guerra 1915-18, assicurati con le polizze miste con scadenza 1° gennaio 1948, possono chiedere il pagamento delle polizze stesse, presentando domanda all’Istituto nazionale delle assicurazioni; ed in considerazione, infine, che la somma di lire 5000, così come nel 1918 rappresentava apprezzabile premio a coloro che avevano bene meritato, conquistando alla Patria con il loro assai duro e sanguinoso sacrifizio, le terre irredente ed i naturali confini, oggi suona irrisorio quanto umiliante compenso ai combattenti superstiti della grande guerra 1915-18. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Mastrojanni».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testò lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte ai loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 20.15.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 11 e alle ore 16:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 9 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLI.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 9 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

ScelbA

Lucifero

Laconi

Rodi

Bertone

Codacci Pisanelli

Mastino Pietro

Nitti

Uberti

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Condorelli

Targetti

Nobile

Costantini

Clerici

Leone Giovanni

Togliatti

Schiratti

Votazione segreta:

Presidente

Risultato della votazione segreta:

Presidente

La seduta comincia alle 11.

SCHIRATTI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Onorevoli coreghi, ricordo che l’Assemblea deve continuare l’esame dell’articolo aggiuntivo 55-bis.

Ieri sera si è proceduto ad una votazione a scrutinio segreto, a conclusione della quale è risultato che l’Assemblea ha rifiutato di includere nel Senato come membri di diritto gli ex Presidenti del Consiglio e gli ex Presidenti delle Assemblee legislative della Repubblica. Se bene rammentano, la votazione è stata fatta su di una formula che conteneva la condizione particolare che si richiedeva perché queste persone potessero far parte del Senato, purché non rinunciassero a questo loro diritto. Infatti la formula votata fu: «ex Presidenti del Consiglio ed ex Presidenti delle Assemblee legislative della Repubblica, salvo rinuncia». Naturalmente, essendosi posta in votazione a scrutinio segreto tutta la formula, anche l’inciso condizionante è stato respinto.

Tuttavia questa particolare condizione, che libera dall’obbligo dell’accettazione coloro che per diritto devono far parte del Senato, nel testo presentato dall’onorevole Alberti si riferiva anche agli ex Presidenti della Repubblica. Sarebbe, quindi, necessario che con un accorgimento interpretativo o con una votazione apposita, per alzata è seduta, noi aggiungiamo la clausola alla formula accettata in precedenza in relazione agli ex Presidenti della Repubblica, dei quali si è riconosciuto la partecipazione di diritto all’Assemblea ma ai quali, per ora non si è esplicitamente accordata la facoltà di rinuncia.

Data questa spiegazione, propongo di votare in aggiunta alla dizione già accettata, che dispone che gli ex Presidenti della Repubblica facciano parte di diritto del Senato, la formula: «salvo rinunzia».

Tale formula, resta bene inteso – dovrà essere posta in connessione alla votazione già avvenuta relativa alla inclusione di diritto degli ex Presidenti della Repubblica.

SCELBA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA. La rinunzia era condizionata ad un certo termine, entro il quale doveva essere manifestata. La rinunzia può essere sempre sottintesa, perché ognuno può rinunziare ad un proprio diritto. La formula: «salvo rinunzia» aveva un significato perché era previsto che la rinunzia dovesse essere fatta prima di un certo termine.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Io voterò contro, perché noi siamo in regime di libertà e non abbiamo bisogno di consacrare il diritto del cittadino di rinunciare ad una determinata carica o incarico.

Questo mi sembrerebbe in contrasto con tutta la nostra legislazione costituzionale. È evidente che chi vuole rinunciare ad un diritto può farlo. A me sembra una formula illiberale e quindi voterò contro.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Desidero far notare che nella Costituzione sarà probabilmente sancita l’incompatibilità fra l’appartenenza all’una o all’altra Camera. Affermare il diritto di rinuncia dei senatori di diritto significa quindi affermare la facoltà, per questi uomini, di potere avere invece l’elezione per la prima Camera.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, la formula «salvo rinunzia» non è contenuta letteralmente nel testo preciso proposto dall’onorevole Alberti; la cui formulazione è la seguente: «A tale diritto si può rinunziare, purché la rinunzia sia fatta prima della firma del decreto di nomina da parte del Capo dello Stato».

Ieri sera tuttavia, nel corso della discussione, da parte di qualche collega è stata sollevata eccezione su questo procedimento che dovrebbe sanzionare partitamente la nomina di coloro che pure avrebbero il diritto, costituzionalmente riconosciuto, di far parte del Senato.

Si è detto che, dato appunto il loro diritto costituzionale, costoro potrebbero vedere subordinato ad un atto particolare di pubblicazione il suo godimento. Ecco perché, alla fine della discussione, quando ieri sera si trattò di porre in votazione la formula relativa agli ex Presidenti del Consiglio e agli ex Presidenti della Repubblica, sì suggerì – e nessuno ha allora fatto eccezione – che il testo dell’onorevole Alberti, si riducesse a quello più sintetico e che naturalmente escludeva la criticata modalità di nomina, di «salvo rinunzia».

Si può ora riprendere – però – se la si preferisce la formula intera dell’onorevole Alberti, che implica una certa procedura per il riconoscimento del diritto di ciascuno di coloro che posseggono titolo ad entrare automaticamente nel Senato, oppure – se si ritiene meglio – la formula che dissi più sintetica, ma in realtà di diverso contenuto, secondò le osservazioni che ha fatto l’onorevole Laconi.

RODI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RODI. Credo che basti dire «salvo rinunzia». In queste parole è sintetizzato il concetto e non credo sia opportuno precisare che la rinunzia debba avvenire prima o dopo un determinato momento. Si intende che la legge speciale prevede quando debba essere fatta la rinunzia.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Credo che sia opportuno mantenere la formula proposta dall’onorevole Alberti, perché la questione della rinunzia del senatore, dopo avvenuta la nomina, può dar luogo a discussioni non lievi.

La questione si è presentata già per il vecchio Senato, quando l’onorevole Ciccotti, nominato senatore sotto il Governo di Mussolini, fece un discorso di opposizione. Mussolini, con un atto volgare, gli rinfacciò che, dopo tutto, lo aveva fatto nominare lui senatore. L’onorevole Ciccotti immediatamente rinunziò alla carica e diede le dimissioni. La Presidenza del Senato si radunò e ritenne che fosse discutibile se si potevano dare le dimissioni da parte di un senatore nominato a vita. Infatti le dimissioni non furono accettate, ma l’onorevole Ciccotti non pose più piede in Senato.

Ora, la questione non sorgerebbe per i senatori che fossero nominati temporaneamente, ma per il Presidente della Repubblica che viene nominato a vita parmi sia necessario, se non intende accettare, che lo dichiari prima della nomina.

CODACCI PISANELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODACCI PISANELLI. Sono d’accordo con l’onorevole Lucifero, cioè ritengo che sia superfluo inserire le parole «salvo rinunzia», perché nessuno può essere costretto ad accettare. Quanto al precedente che è stato ora invocato, ritengo che non possa considerarsi come perfettamente analogo, in quanto allora ci trovavamo di fronte ad un Senato completamente diverso da quello che noi stiamo adesso per costituire. Quindi, ritengo che anche quell’inconveniente a cui si era accennato prima, cioè la possibilità di vedere pubblicato il proprio nome come senatore anche contro la propria volontà, si può evitare, perché basterà che quella persona rinunci sotto qualunque forma per vedere esclusa la sua nomina. Voterò perciò contro l’inclusione di questa aggiunta, in quanto la ritengo superflua.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Ho poco da aggiungere. Voglio soltanto, far notare che la formula dell’onorevole Alberti è ancora peggiore delle altre, perché stabilirebbe addirittura il principio che una volta nominati, cioè una volta fatto il decreto di nomina, si è legati a questo decreto per tutto il resto della vita, cioè l’individuo non può rinunciare successivamente. Credo che qui non siamo nel caso dei deputati, cioè nella vecchia prassi, che purtroppo abbiamo abbandonato, per cui non si poteva rinunciare al mandato ricevuto dagli elettori. Qui si tratta di un diritto che può essere esercitato o può non essere esercitato. Non abbiamo bisogno di consacrare un concetto che poi, posto al rovescio, potrebbe stabilire il principio dell’obbligo di accettare certe cariche.

Quanto a quello che dice l’onorevole Laconi, mi pare irrilevante perché l’incompatibilità sarà stabilita con apposite norme di legge che verranno approvate; e quindi la rinunciabilità si eserciterà o non si eserciterà quando ve ne sarà la circostanza. Ma consacriamo che i cittadini italiani siano uomini liberi e che possano accettare quanto vogliono, e che non ci sia una norma di legge che tolga loro i diritti del libero cittadino.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Sono d’avviso che esplicitamente deve essere riconosciuta la facoltà della rinunzia o delle eventuali dimissioni: la rinunzia, prima che la nomina sia avvenuta; le dimissioni, in un periodo successivo. L’osservazione fatta dall’onorevole Lucifero, secondo la quale questo esplicito riconoscimento di rinunzia parrebbe partire dal presupposto che non si viva in regime di libertà, non mi sembra una eccezione che meriti accoglimento; in quanto, anzi, riconoscere esplicitamente il diritto alla rinunzia o alle dimissioni, è la riconferma del clima di libertà. D’altra parte, ancora poc’anzi, l’onorevole Codacci Pisanelli ha rilevato come durante il regime mussoliniano sia stata per lo meno indecisa, non definita, la posizione in cui venne a trovarsi l’onorevole Ciccotti. Questo basta a dimostrare come in quest’Aula affiori la possibilità di una dubbia interpretazione che deve essere senz’altro tolta, con l’aggiungere alla votazione già fatta quello che adesso il nostro Presidente ha proposto, un riferimento ad una rinunzia a cui si abbia diritto senz’altro. Io parlerei di rinunzia senza limitazione di tempo, o meglio, per essere più precisi, parlerei di rinunzia e di dimissioni, indicando i due periodi diversi in cui queste due dichiarazioni possono essere fatte: la rinunzia prima della nomina, le dimissioni, in un periodo successivo.

PRESIDENTE. Ritengo che si possa votare la formula più succinta «salvo rinunzia», che appare come un emendamento alla formulazione dell’onorevole Alberti; e successivamente, ove questa formula non fosse accettata, porrò in votazione quella appunto, dell’onorevole Alberti.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Proporrei che si aggiungessero le parole: «o dimissioni».

PRESIDENTE. Mi pare che nella parola «rinuncia» sia implicito il concetto di dimissioni. La rinuncia è un atto che esclude l’inizio stesso del godimento del diritto.

MASTINO PIETRO. Il diritto di rinuncia dev’essere accordato senza limitazione di tempo.

PRESIDENTE. In realtà non soltanto è sempre esistito il diritto, delle dimissioni dal Senato, ma, come c’insegna la rubrica dei senatori attraverso i tempi, molti senatori hanno dato a loro tempo, le dimissioni che sono state accettate; ed hanno cessato di far parte del Senato antico per dimissioni e non – fortunatamente per loro – per morte.

Quindi, il diritto di presentare le dimissioni già esiste: non vi sarebbe la necessità di riaffermarlo. Di qualunque Assemblea si faccia parte, si ha il diritto di dimissione. Comunque, nella formula «salvo rinunzia» mi sembra sancito il principio delle dimissioni.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Ritengo che, ove si parli di rinuncia, condizionandola ad una determinata data, cioè se si vuole che la rinunzia debba avvenire prima del decreto di nomina, possa essere messo in discussione il diritto alle dimissioni, ponendo la differenza fra rinunzia e dimissioni.

PRESIDENTE. Prima voteremo la formula «salvo rinunzia»; in un secondo momento la formula completa proposta dall’onorevole Alberti relativa sempre alla rinunzia; infine passeremo alla votazione delle parole: «o dimissioni».

Pongo in votazione la proposta di aggiungere dopo la dizione, già approvata: «Sono senatori di diritto gli ex Presidenti della Repubblica» la formula: «salvo rinunzia».

NITTI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Dichiaro di astenermi dalla votazione.

(È approvata).

La formula proposta dall’onorevole Alberti è così assorbita.

Pongo in votazione le parole: «o dimissioni».

(Non sono approvate).

Gli altri emendamenti, che si riferiscono alla partecipazione di diritto al Senato, prevedono un certo numero di alte cariche dello Stato: cioè – secondo la proposta dell’onorevole Nitti – il Primo Presidente della Corte di Cassazione, il Presidente del Consiglio di Stato, il Presidente della Corte dei conti e ci limitiamo per ora a queste categorie.

L’onorevole Clerici, a sua volta, ha proposto che facciano parte di diritto del Senato: il Primo Presidente della Corte di Cassazione, il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione, il Presidente del Consiglio di Stato, il Presidente della Corte dei Conti, l’Avvocato generale dello Stato, il Presidente del Consiglio nazionale delle ricerche, il Presidente dell’Accademia dei Lincei, il Capo di Stato Maggiore generale.

Chiedo all’onorevole Uberti se insiste ancora nella richiesta fatta ieri di votazione segreta, per tutte quelle categorie che riguardino membri dell’Assemblea Costituente.

UBERTI. Insisto.

PRESIDENTE. Porrò anzitutto in votazione per alzata e seduta l’inclusione di quelle categorie che non riguardano membri dell’Assemblea, quali il Primo Presidente della Corte di Cassazione, il Presidente del Consiglio di Stato, il Presidente della Corte dei Conti.

LACONI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Mi spiace che la proposta venga da una fonte così autorevole come quella dell’onorevole Nitti. Ben lungi dall’approvare il concetto informatore di questa proposta, eravamo nell’intenzione di porre all’Assemblea la questione della incompatibilità tra le cariche di Primo Presidente della Corte di Cassazione o del Consiglio di Stato o della Corte dei Conti, e quella di senatore. Accogliere la proposta significherebbe compromettere l’autonomia di questi organi ed, in qualche misura, l’autonomia degli organi del potere legislativo.

Per queste ragioni voteremo contro.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Debbo dichiarare che il Comitato, quando esaminò questa materia, si pronunziò contro l’ammissione di diritto delle alte cariche dello Stato perché (a prescindere dalla deviazione dal carattere elettivo del Senato) ritenne che le funzioni di questi alti funzionari riecheggiano piena indipendenza ed autonomia e non giova interferirle col Parlamento. Mi sia lecito aggiungere a titolo personale, che io non sono per nulla interessato a questa proposti, perché a metà dicembre lascio per limiti di età, la presidenza del Consiglio di Stato: dunque non vi sarebbe per tale carica nessuna questione personale di membri attuali della Costituente da richiedere lo scrutinio segreto, secondo la proposta dell’onorevole Uberti.

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Onorevoli colleghi, voglio augurarmi che il voto espresso ieri sera abbia il significato di un puntuale dissenso in rapporto a quella proposta e non il significato di un indirizzo preciso in merito all’elencazione di categorie che dovrebbero far parte di diritto del Senato. Perché queste proposte – e sono varie – sono determinate da un duplice scopo: quello di assicurare al Senato alcune altissime personalità e l’altro, che io considero forse più rilevante, di accrescere prestigio all’altissimo consesso che deve essere il Senato. Noi, esaminando il progetto, abbiamo man mano abbandonato una serie di proposte che tendevano ad attribuire al Senato una funzione specifica, che gli avesse dato specifica ragion d’essere accrescendone l’autorità. Ora siamo su un’altra direttiva, cioè sulla direttiva di accrescere autorità al Senato, migliorando, quanto più è possibile, i criteri selettivi e di scelta dei senatori. In questo senso sì è scelto, per esempio, il sistema del collegio uninominale diretto quale metodo di formazione del Senato.

Le varie proposte presentate dagli onorevoli Nitti, Clerici, Alberti, da me e da altri, tendono ad assicurare al Senato il prestigio che gli deriverà certamente dalla collaborazione di uomini eminenti della vita politica, della cultura, delle scienze. Ora io vorrei che si esaminasse attentamente questo problema, perché ho la sensazione che non il principio democratico, ma il pregiudizio democratico possa danneggiare la democrazia che noi vogliamo istituire. Infatti danneggeremmo la democrazia se creassimo una Camera che dovrebbe essere la prima Camera, la Camera Alta, ma che fatalmente diventerebbe la Camera bassa. Invero, quando noi abbiamo stabilito che l’elezione si debba fare col sistema del collegio uninominale, noi abbiamo reso indubbiamente più difficile l’elezione…

LIBERTI. Le grandi personalità se ne avvantaggeranno ancora di più!

CONDORELLI. …più difficile l’elezione al mandato parlamentare meno ambito. Io credo che la quasi totalità degli uomini politici preferirà la vita militante della Camera dei Deputati al seggio senatorio che, per ragioni di tradizione, è considerato di giubilazione. Avremmo così che, con mezzi più duri, si conseguirebbero minori risultati: noi dobbiamo ritenere che alla Camera Alta verrebbero ad aspirare figure politiche secondarie. Allora perché non rendere più ambita la Camera Alta, riunendo in essa quella che è l’élite della politica, della cultura e del lavoro della Nazione? (Commenti a sinistra).

Io penso che noi operando così non comprometteremo minimamente il principio democratico perché in fondo quando una persona è mandata in questa Camera dalla legge, che in regime democratico è espressione della volontà generale, cioè della volontà popolare, e perciò non tradiremo minimamente i principi democratici.

D’altro canto, riflettete, colleghi, sul significato costituzionale che ha il Senato quando voi lo rendete totalmente elettivo. Quando esso è totalmente elettivo, è una Camera parallela e concorrente con la Camera dei Deputati. Se invece voi gli aggiungete delle personalità eminenti, che siano nominate e scelte in modo diverso che col sistema elettivo, voi imprimete a questa Camera un carattere diverso: quel carattere di controllo e di supervisione delle leggi, che veramente salva totalmente il principio democratico, perché la direzione politica dello Stato e del Governo, della politica rimarrà proprio alla Camera dei deputati ed il Senato adempirà alla durissima funzione di controllo e supervisione delle leggi, che non potrà ostacolare, nella prassi politica, l’attività della Camera dei deputati, ma che eserciterà una funzione diversa, ugualmente indispensabile, che non incrinerà minimamente la necessaria determinanza dell’elemento democratico nella struttura dello Stato.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Vorrei proporre che invece di votare sulle singole cariche, si procedesse ad un’unica votazione a scrutinio segreto. Questo per una ragione molto semplice: se si adottassero due sistemi diversi di votazione, noi potremmo giungere all’assurdo che il sistema di votazione ci porti a decidere in un modo per certe categorie ed in un altro modo per certe altre, ed ammettere, per esempio, il Presidente della Corte di Cassazione nel Senato ed invece il Presidente del Consiglio di Stato no; cosa fuori senso.

Mi pare che siccome la proposta ha la sua organicità, si possa addivenire ad un’unica votazione, a scrutinio Segreto, per tutte queste cariche.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Credo accettabile la proposta Laconi, perché se si procedesse ad una votazione carica per carica – e tanto più se a scrutinio segreto – si potrebbe compromettere la linea unica della proposta; ed avere soluzioni disparate e non coerenti. Vi deve essere un principio unico. Caso mai, si potrebbe votare per due gruppi: la proposta Nitti, che riguarda alte magistrature, e quella Clerici che aggiunge altre cariche.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Chiederei ai colleghi firmatari, Clerici ed altri, di ritirare il loro emendamento. Se essi lo ritirassero dimostrerebbero una sensibilità morale e politica, di cui molti di noi dovrebbero essere sodisfatti. Infatti, dopo che l’Assemblea ha deliberato che non facciano parte di diritto del Senato il Presidente del Consiglio e il Presidente dell’Assemblea, non potrebbe apparire come una stonatura che vi facciano parte di diritto persone indubbiamente inferiori?

Se poi essi all’emendamento vogliono dare un altro senso, dirò così fiscale, ed allora aggiungiamo pure, ed io me ne faccio propugnatore, il Comandante dell’Arma dei carabinieri, il Comandante della polizia, e qualche altro. Io pregherei i colleghi firmatari di ritirare l’emendamento. Credo che sia nel desiderio della Camera che questo avvenga.

NITTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. A seguito della votazione di ieri sera, dichiaro di ritirare il mio emendamento. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Allora, onorevoli colleghi, vi è una proposta dell’onorevole Laconi di procedere con una unica votazione alla decisione in ordine alle varie proposte di senatori per diritto.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Mi permetto far presente che la questione alla quale ella accenna potrà essere proposta quando sarà in discussione una proposta di nomina a vita. L’onorevole Nitti ha ritirato il suo emendamento.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Rimane la proposta dell’onorevole Clerici.,

PRESIDENTE. Onorevole Targetti, mi pare che il dissenso sorga su questo: se si ha diritto ad essere senatori per il fatto di ricoprire una determinata carica. Il fatto se il seggio sia a vita o no costituisce un’altra questione. Nella proposta dell’onorevole Clerici, ad esempio, non si parla di coprire dei seggi del Senato a vita, ma durante l’esercizio dell’ufficio, e ciò, ad esempio, per il Presidente della Corte di Cassazione, il Procuratore Generale ed altri. Ieri invece, abbiamo votato a proposito degli ex Presidenti del Consiglio e delle Assemblee legislative per una nomina a vita. Ma qui altra è la questione. L’onorevole Laconi ed altri si sono soffermati su questa domanda: se ricoprire queste cariche dia diritto alla nomina a senatori. Questa è la questione.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Non sono d’accordo sulla proposta fatta dall’onorevole Laconi, perché l’Assemblea deve essere in condizioni di poter esprimere il suo avviso sulla possibilità che l’una o l’altra di quelle cariche siano comprese fra queste nomine. Per esempio io non ho nulla in contrario a che vi sia compreso il Presidente del Consiglio delle ricerche; ma allora, mi domando, perché non includervi anche altre cariche analoghe, per esempio il Presidente dell’Accademia dei Lincei od il Rettore di università? Ora, mettere l’Assemblea in condizioni di non potere esprimere il suo avviso su ciascuna di queste cariche a me sembra che non si possa accettare. Ecco perché sono del parere che si votino le categorie una per una.

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Dissento dal pensiero esposto dall’onorevole Nobile anche per un’altra ragione, onorevoli colleghi, che è la seguente. Ieri sera l’Assemblea Costituente, a scrutinio segreto, ha stabilito che gli ex Presidenti del Consiglio e gli ex Presidenti di questa Assemblea non dovranno far parte del Senato. Come una conseguenza logica di questa deliberazione mi sembrerebbe assai strano, a parte i rilievi fatti da altri colleghi, che dovessimo oggi stabilire che hanno diritto di far parte del Senato il Presidente del Consiglio di Stato, il Presidente della Corte di Cassazione, cariche indubbiamente elevatissime, ma che sono sempre inferiori a quelle di Presidente del Consiglio o di Assemblea legislativa.

Una voce a destra. Il criterio è diverso.

COSTANTINI. Ecco perché è opportuno che si faccia una votazione unica.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, per procedere ad una votazione unica mi pare che la miglior cosa sarebbe di votare il principio che vi possano essere senatori di diritto.

Evidentemente se il principio è respinto, non si procederà a nessuna votazione; se invece il principio è accettato, allora si può scendere alla votazione delle singole proposte.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Mi permetta, onorevole Presidente, il principio è già stato accettato; sul principio non v’è più nessuna discussione. (Commenti). Il principio è già stato accettato quando abbiamo votato che gli ex Presidenti della Repubblica hanno il diritto di essere membri del Senato. Con questo abbiamo ammesso il principio che vi possano essere dei cittadini membri di diritto del Senato. Il principio ormai non si discute più: si tratta di discuterne l’applicazione a determinate categorie. Ed allora, concordo con l’onorevole Nobile, perché, ad esempio, si può trovare che le categorie comprese nell’emendamento Clerici sono troppe, un altro invece può aggiungerne qualche altra. Bisogna quindi votare le categorie una per una; ma sul principio no, perché l’abbiamo già consacrato.

PRESIDENTE. In realtà, se pure si possa ammettere che, attraverso una votazione specifica abbiamo già accettato il principio che riconosce il diritto di far parte del Senato a vita per carica ricoperta, è certo che le proposte attuali pongono, invece, se mai, il diritto di far parte del Senato solo per il tempo durante il quale si ricopri una certa carica. Si tratta quindi di un principio diverso da quello già approvato.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Vorrei far notare che, dal punto di vista morale, c’è un abisso fra le due questioni. Con la prima votazione si trattava di determinate persone che hanno avuto delle cariche e che, al momento che cessano dalla carica, acquistano di diritto il titolo di Senatore. Ora, invece, si tratta di persone che dovrebbero ricoprire la carica di senatore, in funzione della carica ricoperta. Mentre, ad esempio, la questione dell’incompatibilità non sorgeva per i primi, sorge per i secondi.

PRESIDENTE. Onorevole Laconi, ella propone formalmente di fare una votazione cumulativa?

LACONI. Sì.

PRESIDENTE. Allora la sottopongo all’Assemblea.

CLERICI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CLERICI. V’è anche una proposta degli onorevoli Nobile e Lucifero, di votare per divisione; quindi credo che la votazione per divisione debba avere la precedenza, a termini di Regolamento.

Io mi associo alla proposta dell’onorevole Nobile di procedere alla votazione per divisione delle otto categorie elencate nel mio emendamento.

PRESIDENTE. Onorevole Clerici, indichi come attuerebbe la divisione del suo emendamento, il quale è così redatto:

«Sono Senatori di diritto, durante l’esercizio del loro ufficio, il Primo Presidente della Corte di cassazione, il Procuratore generale presso la Corte di cassazione, il Presidente del Consiglio di Stato, il Presidente della Corte dei conti, l’Avvocato generale dello Stato, il Presidente del Consiglio nazionale delle ricerche, il Presidente dell’Accademia dei Lincei, il Capo di Stato Maggiore generale».

CLERICI. Io direi di dividere e votare carica per carica, oppure, se non vi è ostacolo da parte dei colleghi, si potrebbe anche dividere così: i primi quattro che sono magistrati, nel senso lato della parola, e gli altri quattro che non sono magistrati. (Commenti).

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Vorrei specificare, per quanto mi concerne, la richiesta di votazione per divisione.

Io chiedo che si voti prima la proposizione: «Sono senatori di diritto», poi l’inciso: «durante l’esercizio del loro ufficio».

Io, ad esempio, voterò sì per la prima parte e no per la seconda.

Si dovrebbero votare poi, una per una, le singole cariche indicate. Chiedo quindi che la votazione per divisione proceda con questo metodo.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Onorevole Presidente, io concreto la mia proposta in questi termini: si voti prima la proposizione iniziale, che contiene un’enunciazione di principio: «Sono senatori di diritto»; poi l’altra espressione: «durante l’esercizio del loro ufficio».

PRESIDENTE. Sta bene. Poiché dunque è accettato che si voti per divisione, questa dovrà essere fatta secondo le proposte più articolate.

Porrò quindi in votazione la prima proposizione dell’emendamento Clerici: «Sono senatori di diritto».

LACONI. Propongo che la votazione avvenga per scrutinio segreto. (Commenti).

PRESIDENTE. Chiedo se, a norma dell’articolo 27 del Regolamento, questa proposta sia appoggiata.

(È appoggiata).

Onorevoli colleghi, desidero ancora chiarire il significato della votazione sulla formula: «Sono senatori di diritto».

Questa votazione riguarda una norma permanente per la costituzione del Senato, ma non coinvolge le votazioni alle quali dovremo procedere per la formazione del primo Senato della Repubblica. Vi sono altri emendamenti a questo proposito, che esamineremo.

In secondo luogo, tengano presente che votando contro questa formula, si esclude qualsiasi altra votazione per la partecipazione di diritto al Senato; e non soltanto in relazione alle alte cariche della Magistratura, ma a qualunque altra carica dello Stato.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Questo esclude anche la possibilità che si possa votare sulla eventuale ammissione di diritto nel Senato di qualunque altra categoria?

PRESIDENTE. In modo permanente.

LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LEONE GIOVANNI. Intendo prospettare un dubbio che può invalidare la sostanza di questa votazione. Può darsi che sulla base di questa formula si voti affermativamente. Può darsi (è illogico, ma può accadere, perché anche le cose illogiche accadono spesso in questa Assemblea) che, se si dà voto contrario a tutte le singole categorie, ci troveremo di fronte ad un solo senatore di diritto, che entra nella Carta costituzionale. Ora ritengo che si dovrebbe cominciare col votare le singole categorie.

PRESIDENTE. Non cerchi di ritornare su quanto è stato già deciso, perché lei mi insegna che talvolta accadono cose illogiche, ma che la logica le corregge.

Abbiamo chiarito ormai la questione.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Si proceda alla votazione a scrutinio segreto sulla formula dell’emendamento Clerici:

«Sono senatori di diritto».

Presidenza del Vice Presidente BOSCO LUCARELLI

(Segue la votazione).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione ed invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Risultato della votazione segreta.

Presidenza del Presidente TERRACINI

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto:

Presenti e votanti     368

Maggioranza           185

Voti favorevoli        160

Voti contrari                        208

(L’Assemblea non approva – Applausi a sinistra).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Adonnino – Alberti – Aldisio – Allegato – Ambrosini – Amendola – Andreotti – Angelucci – Arata – Arcangeli – Assennato – Avanzini – Azzi.

Bacciconi – Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Bastianetto – Bazoli – Bei Adele – Bellato – Bellusci – Belotti – Benvenuti – Bergamini – Bernabei – Bernamonti – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Bitossi – Bocconi – Bolognesi – Bonino – Bonomelli – Bonomi Paolo – Bordon – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bosi – Bovetti – Bozzi – Braschi – Bruni – Bucci – Bulloni – Burato.

Cacciatore – Camangi – Camposarcuno – Candela – Canevari – Cappa Paolo – Cappi Giuseppe – Capua – Carbonari – Carboni Angelo –Carboni Enrico – Carignani – Caristia – Caronia – Carratelli – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavalli – Cavallotti – Chatrian – Chiarini – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cifaldi – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsanego – Cortese – Costa – Costantini – Cotellessa – Covelli – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo – Cuomo.

De Caro Gerardo – De Caro Raffaele – De Filpo – De Gasperi – Del Curto – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Di Gloria – Di Vittorio – Dominedò – Donati – D’Onofrio – Dossetti – Dozza.

Einaudi – Ermini.

Fabriani – Facchinetti – Faccio – Fanfani –Fantoni – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrario Celestino – Ferreri – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Fioritto – Flecchia – Foa – Fogagnolo – Foresi – Fornara – Franceschini – Froggio.

Galati – Gallico Spano Nadia – Gasparotto – Gavina – Germano – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Ghislandi – Giacchero – Giacometti – Giolitti – Giordani – Giua – Gonella – Gotelli Angela – Grassi – Grazia Verenin – Grieco – Grilli – Guariento – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jacometti.

Labriola – Laconi – Lagravinese Pasquale – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Lazzati – Leone Francesco – Leone Giovanni – Lettieri – Li Causi – Lizier – Lizzadri – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo – Longo – Lozza – Lucifero –Lussu.

Maffi – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Malvestiti – Mancini – Manzini – Mariani Enrico – Marinaro – Martinelli – Marzarotto – Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mastrojanni – Mattarella – Mazza – Mentasti – Merlin Angelina – Merlin Umberto – Mezzadra – Miccolis – Minella Angiola – Minio – Molè – Molinelli – Momigliano – Montagnana Mario – Montagnana Rita – Monterisi – Monticelli – Montini – Morandi – Moranino – Morelli Renato – Moro – Mortati – Moscatelli – Mùrdaca – Murgia – Musolino.

Nasi – Negarville – Nenni – Nicotra Maria – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Noce Teresa – Notarianni – Novella – Numeroso.

Pacciardi – Pajetta Gian Carlo – Pajetta Giuliano – Pallastrelli – Paolucci – Paratore – Paris – Pastore Giulio – Pastore Raffaele – Pat – Pella – Pellegrini – Penna Ottavia – Perassi – Persico – Perugi – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pignedoli – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Ponti – Preziosi – Priolo – Proia – Pucci.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Raimondi – Rapelli – Ravagnan – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Restagno – Rodi – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Romano – Romita – Roselli – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Roveda – Ruggeri Luigi – Ruini – Rumor.

Saccenti – Salizzoni – Sampietro – Santi – Sapienza – Sartor – Scalfaro – Scarpa – Scelba – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Scotti Francesco – Secchia – Segala – Segni – Sereni – Siles – Silipo – Spallicci – Spano – Spataro – Stampacchia – Stella.

Tambroni Amaroli – Targetti – Taviani – Tega – Terranova – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Togni – Tonello – Tonetti – Tosi – Tozzi Condivi – Trimarchi – Tripepi – Tupini – Turco.

Uberti.

Valmarana – Vanoni – Venditti – Vernocchi – Veroni – Viale – Vicentini – Vigna – Villabruna – Villani.

Zaccagnini – Zanardi – Zerbi – Zuccarini.

Sono in congedo:

Angelini.

Cairo – Caporali – Carmagnola – Caroleo – Cevolotto.

Dugoni.

Jacini.

Mannironi – Martino Enrico – Martino Gaetano.

Perrone Capano – Porzio.

Russo Perez.

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Con la votazione eseguita testé si è quindi deciso che del Senato non faranno parte Senatori di diritto.

Resta, tuttavia, ancora aperta la questione posta dall’onorevole Alberti con la proposta di aggiungere il seguente comma:

«Cinque Senatori sono nominati a vita dal Capo dello Stato fra coloro che, con meriti insigni, nel campo sociale, scientifico, artistico, letterario hanno illustrata la Patria».

Non si tratta di Senatori di diritto, ma di Senatori da prescegliersi a facoltà del Capo dello Stato, subordinatamente però alla condizione che abbiano conseguito meriti insigni in determinati campi.

Pongo, pertanto, in votazione la proposta dell’onorevole Alberti.

NITTI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Dichiaro di votare contro.

(La votazione si effettua per alzata e seduta – Il Presidente ne comunica l’esito negativo).

PRESIDENTE. Faccio presente che, nel momento stesso in cui avevo determinato la mia comunicazione, l’onorevole Schiratti, segretario, mi ha comunicato che egli non aveva terminato il computo. (Proteste a sinistra).

Procediamo, pertanto, alla votazione per divisione. (Rumori a sinistra).

(Segue la votazione per divisione – La proposta è approvata – Applausi al centro e a destra – Rumori a sinistra).

Onorevoli colleghi, l’onorevole Lussu mi aveva fatto pervenire, nel corso della votazione, la richiesta di non computare, agli effetti di questa votazione, i voti dei Ministri assenti alla prima votazione per alzata e seduta. Orbene, nell’Assemblea attuale e nelle Camere italiane, non è stata mai accettata la norma, per quanto alcune volte proposta, ed ancora pochi mesi fa attraverso la Giunta del Regolamento nella elaborazione di quelle tali modificazioni che furono respinte, che si chiudano le porte al momento in cui si inizia una votazione, per evitare appunto la gara, alcune volte non troppo seria, di richiami e affluenza improvvisa dei colleghi momentaneamente assenti che accorrono per dare il loro voto, senza aver seguito la discussione.

Onorevole Lussu, la norma non esiste; ed in questa stessa votazione abbiamo visto che, se sono entrati all’ultimo nell’Aula alcuni Ministri che stavano nel transatlantico, sono entrati con loro anche dei deputati. Pertanto mi pare che la misura sia stata colmata dall’una parte e dall’altra. (Applausi al centro e a destra – Commenti).

Per questa ragione, non ho creduto, onorevole Lussu, di dare corso alla sua richiesta, ma ho voluto darle in questo momento la risposta.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Tutti abbiamo assistito all’ingresso in Aula di parecchi deputati, e della destra e della sinistra, e se dovessimo fare, secondo coscienza, un calcolo potremmo affermare genericamente che sono entrati in egual. numero e dall’una e dall’altra parte. Però, tutti abbiamo constatato che durante la prima votazione per alzata e seduta – che noi ritenevamo valida, se non fosse intervenuto, in un certo senso non correttamente, il segretario Schiratti – (Proteste al centro) mancavano in blocco tutti i Ministri, mentre poi abbiamo assistito all’ingresso in Aula in blocco di tutti i Ministri per partecipare alla seconda votazione. (Commenti al centro).

Ora, i precedenti parlamentari sono quelli che sono. Il Regolamento non parla di esclusione, ma io credo, nell’interesse di tutti, nell’interesse di tutte le correnti politiche rappresentate in quest’Aula, che sarebbe più opportuno che questa votazione fosse ripetuta con calma in un altro momento, possibilmente nel pomeriggio.

È quello che io mi permetto di proporre. (Commenti al centro).

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. Onorevoli colleghi, sono contrario alla richiesta che è stata avanzata dall’onorevole Lussu. Per quanto noi in questa votazione siamo stati la seconda volta battuti, mentre la prima credevamo di aver avuto il successo, ritengo che creeremmo un pericolosissimo precedente se ammettessimo che unicamente perché dei colleghi stavano nei corridoi o altrove e non sono stati nell’Aula nel momento in cui è avvenuta quella votazione che il Presidente ha ritenuto valida agli effetti del risultato, la votazione dovesse essere annullata. Vi è stato un incidente che avremmo voluto che fosse evitato e che riguarda l’Ufficio di Presidenza. Noi non c’entriamo. L’Ufficio di Presidenza ha le sue norme che sono sancite a tutela di tutti noi e deve rispettarle. In questo momento però l’esito della votazione è stato proclamato e sarebbe un errore se volessimo ritornare indietro. (Applausi – Commenti).

SCHIRATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCHIRATTI. Non entro nel merito della validità o meno della votazione. Desidero soltanto dire una parola all’onorevole Lussu il quale, se non sono male informato, perché in quel momento ero fuori dell’Aula, avrebbe detto che il mio contegno non è stato completamente corretto.

PREZIOSI. Verso il Presidente. (Commenti animati al centro).

PRESIDENTE. Mi pareva che l’onorevole Togliatti avesse ridato a questa conclusione di seduta un tono di dignità e di cortesia che sarebbe opportuno fosse conservato sino alla fine.

Prosegua, onorevole Schiratti.

SCHIRATTI. Desidero protestare contro questo apprezzamento e non mi riconduco ai fatti. Esercitavo una mia funzione, perché il controllo delle votazioni spetta ai segretari, e al Presidente spetta soltanto dichiarare quanto dai segretari viene accertato. Perciò ho ritenuto e ritengo di avere compiuto nient’altro che il mio dovere.

Se di diversa opinione dovesse essere l’Assemblea, pongo a disposizione dell’Assemblea stessa il mio mandato di segretario. (Applausi al centro – Commenti a sinistra,).

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Dichiaro che, per quella deferenza e per quel rispetto che tutti qui dentro abbiamo nei confronti del nostro Presidente, qualunque decisione parta dal nostro Presidente io la accetto, senza discutere.

Devo aggiungere questo: io ho detto che l’intervento del collega segretario era stato in un certo senso non corretto. Lo confermo e preciso: non è stato cronologicamente corretto. Infatti, egli ha presentato le sue rimostranze dopo che il nostro onorevole Presidente aveva dichiarato l’esito della votazione.

SCHIRATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCHIRATTI. Per la verità – ed il Presidente mi perdoni – io ho sempre pensato che, allorché i Segretari stanno facendo la numerazione, debbano essere precisi e scrupolosi. Può essere stata – ed io non faccio nessuna imputazione all’onorevole Presidente – una sua momentanea dimenticanza di seguire le norme che ha sempre seguito, per la verità, di chiedere cioè a tutti i Segretari se essi avevano compiuto la loro numerazione. Infatti, questa volta il Presidente non mi ha rivolto la richiesta: ha proclamato l’esito senza chiedere a tutti i Segretari presenti sul banco della Presidenza se avessero ultimato la numerazione. Mentre stava proclamando il risultato della votazione, io ho detto: non ho finito di numerare.

Quindi, se una deficienza vi fu – e non è certo una deficienza dolosa o colposa – essa è stata per una dimenticanza, scusabile, da parte dell’onorevole Presidente.

PRESIDENTE. Sta bene.

Il seguito di questa discussione è rinviato alle ore 16.

La seduta termina alle 13.5.

POMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 8 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCL.

SEDUTA POMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 8 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedo:

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Mortati

Lussu

Laconi

Moro

Nobile

Bordon

Corbino

Lucifero

Fabbri

Bozzi

Costantini

Rubilli

Dominedò

Nobili Tito Oro

Lami Starnuti

Targetti

Reale Vito

Gronchi

Codacci Pisanelli

Dossetti

Togliatti

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Perassi

Badini Confalonieri

Alberti

Nitti

Clerici

Nenni

Priolo

Uberti

Condorelli

Rodi

Votazione segreta:

Presidente

Risultato della votazione segreta:

Presidente

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Andreotti, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri

Leone Giovanni

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

MATTEI TERESA, Segretaria, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo il deputato Caporali.

(È concesso).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, ricordo che stamane abbiamo approvato il primo comma dell’emendamento sostitutivo dell’articolo 55, proposto dall’onorevole Mortati.

Il secondo comma dell’articolo 55 nel testo della Commissione pone, anzitutto, il problema dell’assegnazione di un numero fisso di senatori ad ogni Regione.

In secondo luogo, stabilisce il quoziente per l’elezione dei senatori, senza indicare se questo quoziente debba intervenire o meno nella determinazione del modo di elezione del numero fisso di senatori di cui al primo comma.

Il problema è ripreso anche nell’emendamento dell’onorevole Mortati, il quale però trasforma il numero fisso in un minimo di senatori per ogni Regione.

Sono due diversi modi di presentazione di un problema.

A proposito del numero fisso dei senatori, quasi tutti gli emendamenti proposti, oltre a quello dell’onorevole Mortati sono contrari. Così gli emendamenti presentati dagli onorevoli Lami Starnuti, Preti, Targetti, Laconi, Caronia. Invece, l’emendamento dell’onorevole Nitti propone per l’appunto che ogni Regione abbia un numero fisso di senatori, oltre a quelli che devono esserle riconosciuti a seconda del quoziente.

Vi sono, dunque, tre possibilità: assegnare alla Regione null’altro che il numero di senatori discendente dal rapporto tra il quoziente e gli abitanti; oppure un numero di senatori minimo, assicurato indipendentemente dal rapporto tra quoziente e numero degli abitanti; e infine, vi è la terza possibilità, di assegnare ad ogni Regione un numero fisso di senatori, un numero base, al quale si aggiungerà quell’altro numero variabile che discende dal solito rapporto tra il quoziente e il numero degli abitanti. Tre possibilità, dunque, due delle quali si diversificano dalle proposte contenute nell’articolo della Commissione; per l’appunto quella che trasforma il numero fisso in numero minimo e quella che esclude sia il numero fisso che il numero minimo.

Quali di queste due proposte si allontani di più di testo della Commissione è un po’ difficile determinare. Comunque, le porremo alla prova della votazione, poiché essendo gli emendamenti già stati svolti, in questo momento non si tratta d’altro che di decidere. Anche nelle discussioni che si sono svolte ieri e questa mattina è del resto stata trattata questa questione, per cui credo che essa possa considerarsi matura conclusione.

Se, tuttavia, qualche onorevole collega desiderasse ancora prendere la parola su questo argomento, noi lo ascolteremo. Ciò però che più importa mi pare sia il tener presenti le conseguenze delle votazioni che ci apprestiamo a fare. E certamente la principale sarà che, ammettendo sia un numero minimo che un numero fisso base a cui vengano poi ad aggiungersi gli eletti nel numero stabilito dal rapporto tra il quoziente e la popolazione, i senatori verrebbero a rappresentare masse diverse di popolazione dall’una e all’altra Regione.

L’onorevole Mortati ha facoltà di svolgere la seconda parte del suo emendamento presentato stamane:

«Il numero dei senatori è determinato in ragione di uno ogni 250 mila abitanti, attribuendosi però a ciascuna Regione un numero minimo di sei senatori».

MORTATI. Il mio emendamento riguarda due punti; il primo è quello della percentuale di senatori a seconda della popolazione, la quale percentuale propongo sia elevata da 200 a 250 mila abitanti e ciò per fare del Senato un organo che meglio si differenzi dalla Camera dei deputati. Se di questa, con l’aumento del numero dei membri, rispetto a quanto era stato proposto dal progetto, si è voluto fare una espressione analitica della volontà popolare, appare opportuno che invece il Senato adempia alla funzione di una rappresentanza più sintetica di grandi nuclei regionali.

La proposta, quindi, relativa all’elevazione del numero dei senatori si basa su questa prima considerazione. Ma se ne può aggiungere una seconda, quella cioè desumibile dall’esigenza di fare del Senato un corpo che sia il più possibile selezionato qualitativamente, soprattutto ai fini di una migliorie elaborazione delle leggi; al che può giovare il non elevarne eccessivamente il numero, così come gioverà il limitare la scelta degli eleggibili in determinate categorie, secondo una proposta che dovrà essere discussa in seguito.

Si può trovare conforto nella tesi sostenuta nell’esempio offerto dalle Costituzioni di non poche fra le maggiori altre Nazioni, le quali appunto presentano una tendenza alla riduzione del numero dei membri del Senato, della seconda Camera rispetto a quello dei membri della Camera dei deputati. Si può in proposito ricordare che il Senato degli Stati Uniti è composto di appena 96 membri su 130 milioni di abitanti; la seconda Camera russa conta 570 membri su ben 170 milioni di abitanti; la Camera alta del Brasile, risulta composta di appena 42 membri su 44 milioni di abitanti; così ancora l’Australia, la quale non ha anch’essa che 30 senatori su 12 milioni di abitanti. Ma v’è poi l’altro punto, quello cioè che si riferisce alla sostituzione del limite minimo al posto del numero fisso.

I due sistemi pur differendo fra loro, hanno una radice comune, nella comune finalità di rafforzare il peso politico delle piccole Regioni di fronte alle grandi.

Sono state fatte delle obiezioni al riguardo. Si è detto che questo premio dato alle piccole Regioni potrebbe essere un incitamento alla moltiplicazione delle stesse, e quindi potrebbe portare al sorgere artificioso di movimenti regionali, diretti alla costituzione di nuove piccole Regioni, allo scopo appunto di aumentare il peso della loro rappresentanza politica al Senato. Si può, però, osservare che la formazione delle nuove Regioni secondo il progetto in esame non è sottoposta all’arbitrio delle popolazioni interessate, ma alla legge costituzionale; e quindi vi è la garanzia, data dall’intervento di tutte le forze politiche dello Stato, che possono neutralizzare le tendenze particolari delle Regioni che aspirino ad un ampliamento artificioso del numero dei rappresentanti al Senato.

Quindi, non mi pare che vi siano obiezioni serie, dal punto di vista pratico, all’accoglimento del principio di attenuare il criterio della determinazione del numero dei senatori in modo rigidamente proporzionale alla popolazione.

D’altra parte, faccio osservare che le proposte di modificare questa proporzione sono contenute in limiti così modesti, che portano a spostamenti minimi. Per esempio, della mia proposta di dare un numero mimmo di sei senatori per ogni Regione – tenuto conto delle Regioni storiche e del Friuli (la cui costituzione come Regione autonoma è stata decisa) – verrebbero, in sostanza, a beneficiare cinque Regioni e la composizione totale del Senato verrebbe aumentata solo di poche unità. Il che non mi pare determini un turbamento notevole nella composizione politica del Senato, mentre, d’altra parte, rappresenta un riconoscimento di quella che può essere l’esigenza delle piccole Regioni, e specialmente delle piccole Regioni del Sud, ad avere un potenziamento, sia pure modesto e più simbolico che sostanziale, della loro influenza politica in questo Senato che, per quanto ridotto nel suo aspetto regionalistico, pur tuttavia conserva un legame con la struttura regionale, e quindi è il rappresentante di questo nuovo ente che abbiamo costituito.

A me pare, perciò, che sia l’una che l’altra proposta meritino di essere accolte.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, passiamo alla votazione. Mi pare, che, essendo la questione ripresa da numerosi emendamenti, sia pure in vari contesti, la miglior cosa sia di votare la questione in sé, e cioè: deve darsi un numero minimo di senatori per ogni Regione? A risposta affermativa, voteremo poi se debbano essere i sei proposti dall’onorevole Mortati e dagli altri colleghi, oppure in altro numero.

Non passando invece la proposta di principio, voteremo se si debba dare un numero di senatori fisso di base, al quale si aggiungano poi i senatori eletti in rapporto al quoziente della popolazione. Questa mi pare debba essere la successione dei voti. Importante per ora non è la formulazione letteraria, ma il quesito in sé.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Noi stessi, che abbiamo lungamente discusso questo problema nella seconda Sottocommissione, abbiamo una certa perplessità e penso che, a maggior ragione, i colleghi che devono adesso affrontare la votazione abbiano bisogno di essere maggiormente illuminati.

Qual è lo scopo di questa proposta per cui si è fissato un numero minimo di senatori per ogni Regione? Evidentemente per avvantaggiare alcune Regioni. Quali Regioni?

PRESIDENTE. L’ha detto d’onorevole Mortati proprio adesso.

LUSSU. Ma quali sono? Sono parecchie? Sono quattro?

PRESIDENTE. Onorevole Mortati, le precisi lei che ha esposto il concetto.

MORTATI. Venezia Tridentina, Friuli, Lucania, Umbria e Sardegna.

Poiché ho la parola, vorrei pregare di tener presente che nel mio emendamento è stato omesso, per un errore materiale, di tener conto delle frazioni, ma è implicito che le frazioni di 125 mila abitanti dovevano essere incluse.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Mi parrebbe logico che noi alterassimo un po’ l’ordine di votazione che la Presidenza ha proposto in questo momento, e cioè che votassimo prima il quoziente e poi eventualmente il numero fisso, in modo che l’Assemblea si possa render conto del beneficio che dà a determinate Regioni.

PRESIDENTE. Io sono tenuto a seguire l’ordine della materia come risulta dal testo della Commissione. Qualche collega può comunque parlare ed esporci in forma di esemplificazione quali sarebbero le conseguenze del voto, a seconda che l’Assemblea accetti l’uno o l’altro dei quozienti proposti. I quozienti sono quelli di 200 mila da parte della Commissione, di 120 mila da parte dell’onorevole Lami Starnuti, di 150 mila da parte dell’onorevole Targetti, di 250 mila da parte dell’onorevole Mortati.

LACONI. Permetta, signor Presidente, mi sembra logico che l’Assemblea debba far dipendere la sua votazione sul numero fisso da quella sul quoziente e non viceversa, e cioè che possano variare le opinioni sul numero minimo fisso in relazione alla decisione che sarà presa per il quoziente.

PRESIDENTE. Io non contesto questa sua tesi, ma ho detto che lei potrà renderla evidente esponendo quali sarebbero i risultati a seconda dei quozienti che si accettano. D’altra parte, ieri, attraverso gli interventi di vari colleghi, abbiamo appreso che questa affermazione del numero minimo o del numero fisso ha uno scopo che valica – direi – il dato quantitativo dei senatori che verrebbero eletti, ma mira ad affermare, attraverso un certo accorgimento, il carattere regionale del Senato. Comunque, ho dinanzi a me il testo della Commissione, che dice:

«A ciascuna Regione è attribuito, oltre ad un numero fisso di cinque senatori, un senatore per 200 mila abitanti o per frazione superiore a centomila».

Esso quindi propone prima questo problema.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Il numero fisso previsto nel progetto era un’altra cosa. La Commissione non faceva cenno di un numero minimo fisso, ma parlava di un numero fisso aggiuntivo. Comprendo le difficoltà procedurali dinanzi alle quali si trova il Presidente in questo momento, ma penso che, se i diversi Gruppi dell’Assemblea non hanno difficoltà, si può procedere a stabilire il quoziente.

PRESIDENTE. I colleghi hanno udito la proposta dell’onorevole Laconi. Se non si presentano argomentazioni contrarie, posso aderirvi. Perché tutti abbiamo in mente già quello che intendiamo fare e qual è il modo in cui desideriamo sia risolto il problema, non muteremo il nostro atteggiamento solo perché muta l’ordine della votazione.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Noi non abbiamo obiezioni da fare, quindi accettiamo la proposta dell’onorevole Laconi.

PRESIDENTE. Sta bene. E allora per prima cosa votiamo sul quoziente che deve regolare il rapporto fra la popolazione e il numero dei senatori eletti.

Vi è la proposta della Commissione, che il quoziente sia stabilito in 200 mila abitanti. E poi vi sono le proposte: dell’onorevole Lami Starnuti per un quoziente di 120 mila; dell’onorevole Targetti per un quoziente di 150 mila e dell’onorevole Mortati per un quoziente di 250 mila.

Quella che si allontana di più dal testo della Commissione è la proposta dell’onorevole Lami Starnuti per un quoziente di 120 mila. La pongo in votazione per prima.

(Non è approvala).

Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Targetti per il quoziente di 150 mila abitanti.

(Dopo prova e controprova, la proposta non è approvata).

Ora dovrei porre in votazione la proposta dell’onorevole Mortati.

MORTATI. Ritiro la proposta di 250.000 ed accetto quella della Commissione.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta della Commissione che il quoziente sia fissato nella cifra di 200.000 abitanti o per frazione superiore a centomila.

(È approvata).

Onorevole Laconi, abbiamo risolto la questione pregiudiziale. Si tratta adesso di passare alla seconda questione, quella del numero fisso o del numero minimo. La Commissione propone il numero fisso, l’emendamento dell’onorevole Mortati propone il numero minimo. Voteremo quindi sull’emendamento dell’onorevole Mortati. La proposta dell’onorevole Mortati è di attribuire a ciascuna Regione un numero minimo di sei senatori.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Io vorrei conoscere quali siano i motivi che inducono a favorire le piccole Regioni, perché realmente io non mi spiego perché si voglia fare questo trattamento particolare e favorire così il frazionamento del nostro Paese.

BORDON. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BORDON. Questa mattina io ho fatto un’aggiunta all’emendamento dell’onorevole Mortati e desidero quindi che esso sia riportato nella sua completezza.

PRESIDENTE. Onorevole Bordon, non c’è un deputato nell’Assemblea, per quanto appassionato per le Regioni, che intenda dare sei senatori alla Val d’Aosta.

BORDON. Non sappiamo cosa farcene.

PRESIDENTE. Non c’è infatti nessun emendamento in tal senso al testo della Commissione che propone un senatore. È sufficiente.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Vorrei domandare al collega Mortati se egli si è basato, nel determinare il numero minimo, sul quoziente di 250.000 e quali variazioni porta all’elenco delle Regioni, che ha già comunicato, l’avere abbassato il quoziente a 200.000.

MORTATI. Nessuna.

PRESIDENTE. L’onorevole Conti ha proposto di modificare l’emendamento principale dell’onorevole Mortati, nel senso di attribuire ad ogni Regione un numero minimo di quattro senatori. Pongo in votazione la proposta.

(Non è approvata).

Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Mortati, che ad ogni Regione si attribuisca un numero minimo di sei senatori.

(È approvata).

È stato dunque stabilito fino ad ora che il quoziente per l’elezione dei senatori sia di 200 mila e che ogni Regione abbia assicurato un minimo di sei senatori. Resta adesso a decidere ancora, sempre in tema di articolo 55, che la Val d’Aosta abbia un solo Senatore.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. È bene che sia chiarito, visto che abbiamo votato il testo dell’articolo, che l’onorevole Mortati ha fatto presente che aveva dimenticato di mettere la frazione di 200 mila, altrimenti si potrebbero domani sollevare obiezioni.

PRESIDENTE. L’onorevole Mortati ha detto di accettare la proposta della Commissione in cui si dice: «un senatore per duecento mila abitanti o per frazione superiore a centomila». Pongo ora in votazione la seguente proposizione:

«La Valle d’Aosta ha un solo senatore».

(È approvata).

Passiamo ora all’ultimo periodo del secondo comma del testo della Commissione:

«Nessuna Regione può avere un numero di senatori maggiore di quello dei deputati che manda all’altra Camera».

Vi è un emendamento di carattere formale, presentato dall’onorevole Colitto, il quale propone di togliere l’ultimo inciso «che manda all’altra Camera».

Gli onorevoli Mortati, Fuschini, Ferrarese, De Palma, Sullo, Dominedò, Carignani, Bubbio, Balduzzi, Salizzoni, Viale, propongono la soppressione di questo periodo.

Ma questo emendamento opera, in quanto, posta in votazione la formulazione, questa venga respinta.

MORO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Dichiaro che noi voteremo contro questa parte dell’articolo essendo favorevoli alla soppressione proposta dall’onorevole Mortati.

LUCIFERO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Ritengo che, nella nuova composizione del Senato, questo articolo non abbia ragion d’essere, perché abbiamo creato un sistema autolimitato. Quella aggiunta valeva, quando il sistema era organizzato diversamente. Oggi sarebbe in contradizione col sistema. Quindi, io voterò contro.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. A me pare che questo sistema sia irrazionale. Si pongono i deputati, in certe Regioni, quasi in uno stato di inferiorità, come espressione di sovranità popolare, di fronte ai senatori.

Io trovo che il ragionamento logico, conclusivo delle premesse della discussione nostra era questo emendamento presentato dall’onorevole Mortati. Non capisco perché adesso, all’ultimo momento, quell’emendamento sia ritirato, quando tutti eravamo d’accordo.

Pertanto, io prego che sia ripresentato l’emendamento il quale è stato riconosciuto come un’esigenza di rappresentanza politica.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Vorrei far notare all’Assemblea quale efficacia può avere oggi, la clausola introdotta dall’onorevole Lussu a suo tempo. Influirebbe soltanto sulla rappresentanza di una regione, il Molise, la cui costituzione è ancora incerta; in quanto verrebbe a limitare la rappresentanza dei senatori soltanto per quelle regioni, che abbiano una popolazione inferiore ai 480.000 abitanti.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Desidero osservare che ormai, stabilito che si avrà un deputato per ogni ottantamila abitanti, e un senatore ogni duecentomila, non sussiste più la possibilità di un numero di senatori superiore a quello dei deputati per ogni Regione.

PRESIDENTE. Mi pare che, a questo proposito, questa norma, se sarà approvata, gioverà a tutte le Regioni, le quali abbiano meno di 600.000 abitanti.

Comunque, l’Assemblea deciderà. Pongo in votazione la formulazione:

«Nessuna Regione può avere un numero di senatori maggiore di quello dei deputati che manda all’altra Camera», con l’emendamento formale proposto dall’onorevole Colitto, cioè di sopprimere l’inciso «che manda all’altra Camera».

(Non è approvata).

Dobbiamo ora passare all’ultimo comma dell’articolo 55:

«I senatori sono eletti per un terzo dai membri del Consiglio regionale e per due terzi a suffragio universale e diretto dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età».

L’Assemblea ha votato un ordine del giorno del quale occorre riprendere le affermazioni in relazione al contenuto appunto di questo articolo. Noi abbiamo già votato un articolo, il 53, nel quale vengono indicati gli elementi principali del modo di elezione dei deputati. È evidente che occorre qualcosa di analogo per il Senato. Tuttavia, poiché è stato già approvato in proposito un ordine del giorno, ritengo che non sia più necessario ripetere la votazione: l’ordine del giorno impegna l’Assemblea. Basterà dare incarico al Comitato di redazione di mutare il terzo comma dell’articolo 55, sostituendo alle affermazioni od alle proposte in esso contenute, le proposte che l’Assemblea ha già accettato votando l’ordine del giorno a tutti noto. Resta così inteso.

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Desidero ricordare che, a proposito della Camera dei deputati, si è ritenuto, di comune accordo, che l’affermazione circa il modo di composizione non fosse materia costituzionale e si è appunto a questo scopo trasformato l’emendamento Giolitti, circa la composizione proporzionale della Camera stessa, in ordine del giorno, ritenendosi che l’affermazione concreta del principio ed i modi specifici dei suo svolgimento dovessero trovare il loro luogo più proprio nella legge elettorale. A me pare che lo stesso orientamento debba farsi valere per il Senato e che per tanto la sua composizione, per quanto riguarda il metodo di elezione, non debba essere oggetto di statuizione costituzionale, bensì di regolamentazione per opera della legge elettorale. L’affermazione pertanto contenuta nell’ordine del giorno approvato può valere come indicazione del proposito dell’Assemblea, che sarà tenuto presente in sede di elaborazione della legge elettorale da parte dell’Assemblea stessa. Così decidendo, l’ultimo comma dell’articolo 55 potrebbe essere soppresso, o, al massimo, sempre per analogia con il criterio adottato nell’articolo 53, dedicato alla Camera dei deputati, potrebbe limitarsi a disporre che l’elezione del Senato debba avvenire con suffragio universale e diretto.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. A me pare che le osservazioni fatte dall’onorevole Mortati vadano un po’ in là nella loro portata, anche perché, mentre l’ordine del giorno dell’onorevole Giolitti fu votato a conclusione di una discussione, l’ordine del giorno dell’onorevole Nitti è stato invece votato come pregiudiziale ad una discussione. Ad ogni modo, nell’ultimo capoverso dell’articolo 55 vi sono due parti: una cade automaticamente ed è quella relativa alla parte eletta dai membri del Consiglio regionale, perché l’ordine del giorno approvato lo esclude; resta però la questione degli elettori, cioè della loro età. Io penso che è su questo punto che noi dobbiamo deliberare. L’altra è caduta automaticamente. Non possiamo accettare il concetto dell’onorevole Mortati, che l’ordine del giorno che abbiamo votato come pregiudiziale a tutta la nostra discussione sia come una specie di raccomandazione. È invece una chiara deliberazione delle nostre intenzioni in campo costituzionale, cioè del modo con il quale vogliamo differenziare le due Camere. Una delle ragioni per cui abbiamo votato un sistema contrario all’altro è proprio questo, che noi vogliamo stabilire il criterio con il quale intendiamo differenziare una Camera rispetto all’altra.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Vorrei osservare, intorno al dissidio manifestatosi tra le posizioni dell’onorevole Mortati e dell’onorevole Lucifero, che veramente è questo un punto da considerare con attenzione. Non ini sembra che le ragioni addotte dall’onorevole Lucifero provino la necessità che la norma, la quale stabilisce che il Senato debba essere eletto col sistema uninominale, faccia parte integrante della Costituzione.

Se si ritiene che sia il sistema elettorale che serva a differenziare una Camera dall’altra, è evidente che non si può fare un diverso trattamento tra Senato e Camera dei deputati. Bisogna cioè che per l’una e per l’altra Camera sia indicato nella Costituzione quell’elemento differenziale che serva per distinguere l’una Camera dall’altra. Se invece si segue un diverso avviso e si ritiene che attraverso l’indicazione generica dell’ordine del giorno le due Camere siano sufficientemente differenziate, ancora una volta non si può fare un trattamento diverso e l’ordine del giorno che è stato votato ieri da questa Assemblea non può restare, come l’ordine del giorno Giolitti, se non come un’indicazione generica.

Non vale che sia stato votato quest’ordine del giorno prima o dopo la discussione, perché la sostanza delle cose è identica nell’un caso e nell’altro.

Ma mi sembra che vi sia una questione pregiudiziale, di fronte alla quale questo dibattito può essere accantonato, ed è il problema nato dalle affermazioni dell’onorevole Presidente che io, in verità, non mi sento di condividere. L’ordine del giorno che è stato votato ieri dall’Assemblea, è un’indicazione di carattere generale, non è una norma di legge. Esso deve essere completato attraverso una precisa votazione, alla stessa stregua di tutte le altre disposizioni che nella giornata di oggi noi abbiamo votato, allo scopo di determinare altri caratteri propri del Senato. Quindi, a me sembra indispensabile che si proceda ad una nuova votazione. (Commenti a sinistra).

Né può chiedere a noi di mutare opinione e di votare a favore.

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Onorevoli colleghi, mi sembra che noi stiamo per riprendere quella discussione che ieri sera sembrava conclusa, specialmente dopo le affermazioni dell’onorevole Mortati, che oggi sono state sostanzialmente contraddette dal collega onorevole Moro.

In sostanza, la votazione dell’ordine del giorno Nitti e la votazione dell’ordine deb giorno Perassi, ognuna per il significato che ha, hanno escluso che abbia più valore l’ultimo comma dell’articolo 55. II che significa che indubbiamente l’ultimo comma dell’articolo 55 è stato respinto dall’Assemblea.

PERASSI. Non è esatto.

BOZZI. C’è un’altra questione: il valore da attribuire agli ordini del giorno votati dall’Assemblea Costituente.

È una questione, onorevoli colleghi, sulla quale io richiamo tutta la vostra attenzione. Non è soltanto l’ordine del giorno che riguarda il senato o la Camera dei deputati, ma possono essere tutti gli altri ordini del giorno che l’Assemblea Costituente voterà.

Io mi domando: quale valore giuridico essi hanno nella gerarchia dei valori da attribuire alle norme, tanto per esprimermi con un’espressione tecnica? Io penso che l’ordine del giorno, anche se non si trasforma in una norma che si inserisca nel testo costituzionale, ha valore costituzionale, cioè l’Assemblea per ragioni di opportunità, più o meno apprezzabili, ritiene che un principio non debba essere inserito come articolo, come norma del testo costituzionale, ma lo consacra tuttavia e questo principio ha valore costituzionale, nel senso che esso non solo vincolerà l’Assemblea stessa quando, nella specie, essa dovrà fare la legge elettorale tanto per la Camera, quanto per il Senato, ma vincola anche la futura Camera legislativa ordinaria, qualora il compito di fare queste leggi dovesse essere per avventura ad essa affidato. In altri termini non sarà mai possibile che una Camera legislativa futura ordinaria possa violare con una normale maggioranza un ordine del giorno votato dall’Assemblea Costituente.

Io penso che questo abbia un valore costituzionale e per cambiarlo bisognerà addivenire ad una votazione con quelle particolari forme con cui si procederà alla revisione costituzionale.

Questo, onorevoli colleghi, è un problema di importanza fondamentale, altrimenti votiamo degli ordini del giorno che non hanno nessun valore.

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Sono perfettamente dell’opinione del collega che mi ha preceduto, onorevole Bozzi. Io mi devo chiedere se le deliberazioni dell’Assemblea, che sono intervenute a seguito di votazione, abbiano o non abbiano valore vincolante. L’Assemblea è sovrana e come tale pronunzia le sue decisioni. Si è detto all’inizio che non era materia da inserirsi nella Costituzione il sistema di votazione della Camera dei deputati e quindi successivamente di quella dei senatori. Ed allora si è trovato che con un ordine del giorno sarebbe stato opportuno indicare, per le Assemblee legislative, quale sarebbe stato il metodo di elezione dei deputati, e l’Assemblea ha votato l’ordine del giorno del collega Giolitti, se non erro. Adesso, superata la questione della nomina indiretta dei senatori attraverso il rigetto dell’ordine del giorno Perassi e l’approvazione dell’ordine del giorno Nitti, si ripresenta il problema per l’elezione della seconda Camera. Allora, viene fatto di chiederci se le deliberazioni che abbiamo preso a mezzo di ordini del giorno, abbiano valore indicativo o di norme veramente costituzionali, da considerare inserite, cioè, nella Costituzione, per le Assemblee future. Perché da questo dipende tutto lo svolgersi della procedura attraverso la quale il Paese nominerà i suoi rappresentanti. Ed allora se l’ordine del giorno ha un valore semplicemente platonico, era inutile intrattenere l’Assemblea con discussioni e votazioni.

Io penso che l’ordine del giorno, pur essendo fuori, per una ragione formale più che sostanziale, dal testo della Costituzione, deve ritenersi vincolante per le Assemblee legislative future. Se invece si volesse, con un gioco di formalismo, annullare la sostanza delle nostre deliberazioni, allora è doveroso assumere la responsabilità di inserire specificatamente nel testo costituzionale che la Camera dei Deputati deve essere nominata col sistema proporzionale, e che il Senato dovrà essere nominato col sistema del collegio uninominale. È un dovere di lealtà di fronte agli altri ed a noi stessi, perché, diciamolo pure francamente, è difficile che qualcuno, qui dentro, possa nascondere la verità ad un altro. Quindi esprimiamo il nostro pensiero, avendo il coraggio della franchezza affermandolo apertamente, senza ritenere che qualcuno cada in quei tranelli che sono fatti in altri ambienti. Questo almeno io mi auguro. (Applausi).

RUBILLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUBILLI. Chiedo che la proposta inoltrata dal collega non sia posta in votazione, perché assolutamente contraria ad ogni norma regolamentare.

Una voce. Quale?

RUBILLI. La proposta fatta che l’Assemblea deliberi che l’ordine del giorno votato ieri valga come una semplice raccomandazione.

Io chiedo che se si domanda su questo una votazione non sia in alcun modo consentita. Noi siamo in Assemblea Costituente ed io faccio appello alle guarentigie costituzionali.

Quello che si è votato e deliberato non si può distruggere ad un tratto con un colpo di maggioranza. (Applausi a sinistra). Se ammettiamo questo criterio che annulla completamente la democrazia, e sarei per dire che offende persino la civiltà, la libertà, la giustizia (Commenti al centro), se ammettiamo che con un colpo di maggioranza si può fare qualunque cosa, anche l’assurdo, l’illogico, l’inverosimile, si legalizza la più esosa e ripugnante sopraffazione.

Ora, dobbiamo credere che il collega Moro abbia equivocato nel tempo, perché ha confuso l’Assemblea Costituente con la Consulta Nazionale e crede di essere ancora in tempo di Consulta. Noi invece non siamo qui riuniti in Assemblea per formulare dei voti, per dare delle indicazioni, dei pareri che possono essere, o meno, accolti. Noi siamo qui per fare la legge e quello che abbiamo deliberato, dopo la deliberazione, è legge. Non c’è dubbio su questo, dal punto di vista costituzionale e giuridico.

Ora, che cosa avverrebbe? Che mentre noi abbiamo deliberato e votato ed abbiamo fatta la legge per la parte che è stata decisa, domani viene una Commissione, vengono altri e diranno: «Vi ringraziamo delle vostre indicazioni; siete stati troppo buoni; vi siamo obbligati, ma non rispettiamo nulla di quello che avete detto o fatto»; così il collegio uninominale sfuma, e la deliberazione di ieri è completamente distrutta.

Questa allora non sarebbe più Costituente! Non si può ragionare in questo modo.

Io dico che il Presidente deve garantire i nostri diritti: faccio appello a lui perché dica quello che si può fare e quello che non si può fare. (Applausi a sinistra).

Diversamente si dovrebbe persino ammettere che si potesse tornar indietro a votare gli articoli precedenti, l’articolo 7 e tutti gli altri, compresa la riforma regionale.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Mi consenta l’Assemblea di soggiungere una precisazione, inclusa del resto, a mio avviso, anche nelle osservazioni precedentemente fatte. E ciò allo scopo di diradare questa singolare atmosfera, per cui si può essere determinata l’impressione, non fondata, di una evasione alle risultanze di una deliberazione dell’Assemblea stessa, (Interruzione del deputato Togliatti). Mi consenta, onorevole Togliatti. Ella conosce la mia correttezza ed il mio senso di rispetto della legge e, a maggior ragione, della Costituzione: ho il diritto di chiederle che mi ascolti con obiettività e serenità.

Ora, la votazione che ha fatto l’Assemblea ieri, si riferisce ad un ordine del giorno. L’ordine del giorno non ha contenuto normativo, in senso stretto; non è norma, né proposta di norma. Laddove avessimo voluto articolare una norma o una proposta di norma, evidentemente avremmo dovuto proporre, in luogo dell’ordine del giorno, un emendamento. E se io mi permetto di insistere su questa differenza formale, è appunto per il rispetto intrinseco dell’ordine costituzionale, esigenza che mi ispira al pari dell’onorevole Rubilli.

Orbene, se è stato votato un ordine del giorno, la conseguenza logica è che, al pari di ogni altro ordine del giorno (e mi permetto di ripetere l’analogia con la votazione presa per la Camera, la quale fa stretto pendant con l’attuale), al pari di ogni altro ordine del giorno, dicevo, noi abbiamo determinato quelle conseguenze di orientamento, per cui l’ordine del giorno ispirerà il futuro legislatore, o vincolerà il costituente, in sede di legge elettorale; ma ancora non può dirsi che sia nata la norma. E allora il quesito che resta aperto, lo spiraglio che tuttora dobbiamo colmare, è questo: vogliamo noi oggi tradurre questo ordine del giorno in articolo normativo? In questo caso, delibereremo in tal senso. Oppure: vogliamo mantenerlo sul terreno dell’ordine del giorno orientativo? E allora delibereremo in questo secondo senso.

Ecco, onorevoli colleghi, il dilemma ancora aperto, sul quale non si può pronunciare che la volontà sovrana dell’Assemblea. (Applausi al centro).

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Poche parole soltanto, onorevoli colleghi, per dissipare un equivoco che è sorto intorno al mio pensiero. Su questo punto, che cioè un ordine del giorno non possa costituire una norma di legge, una norma costituzionale, non mi pare ci possa esser dubbio, e mi meraviglio che l’onorevole Rubilli possa averne avanzato e anzi – quel che è peggio – possa avere addirittura parlato di violazione delle garanzie costituzionali.

Si potrà quindi, ritenere che, per quanto riguarda la determinazione del sistema elettorale, si tenga per il Senato lo stesso atteggiamento che si è tenuto a proposito della Camera dei Deputati. Al sistema elettorale si farà allora richiamo soltanto in un ordine del giorno, il quale non dovrà essere di necessità tradotto in una norma di legge.

Ma v’è, invece, un’altra parte dell’ordine del giorno che deve essere, di necessità, tradotta in una norma di legge. Essa è costituita da quello schema di formazione del Senato che si trovava nel progetto di Costituzione e che deve essere ripetuto ora.

A me sembra quindi, che da parte dell’Assemblea si debba scegliere soltanto in questo senso: o si vota semplicemente questa cornice, questo schema formale, rinunziando a inserire in questa sede il sistema elettorale adottato per il Senato, e allora le cose andranno bene in questo modo; o si intende invece di consacrare nella Costituzione il sistema elettorale del Senato e allora si solleva necessariamente la questione dell’inserimento del sistema elettorale della Camera nell’ambito della stessa Costituzione.

Non v’è quindi alcun dubbio che ad una votazione si debba pervenire, circa le conseguenze che sorgono nei riguardi del sistema elettorale deliberato per la Camera dei deputati.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. A mio nome, a titolo cioè puramente personale, debbo dire che mi pare doveroso esprimere su questa questione il mio pensiero. Quando l’Assemblea ha votato l’ordine del giorno dell’onorevole Nitti, io ho inghiottito un rospo: però, in coscienza, sento che non c’è niente da fare. Ora, è chiaro che, se noi giudichiamo con criteri rigorosamente giuridici, dobbiamo concludere che questo non è un articolo costituzionale e, quindi, non è nemmeno una vera affermazione a carattere normativo; tuttavia serve a dirigere i nostri lavori. In coscienza sento che mi farebbe piacere se si potesse, in modo serio e coerente, buttare per aria il collegio uninominale, ma riconosco che l’ordine del giorno Nitti ci obbliga ad inserire il collegio uninominale nell’articolo 55.

Avendo noi votato che ogni duecentomila elettori eleggeranno un senatore, ciò significa che vi saranno tante circoscrizioni elettorali senatoriali quanto volte i duecentomila abitanti sono inseribili in una Regione.

Questo a me pare che si debba lealmente riconoscere.

Quindi, è una questione di dizione, di redazione; è una raccomandazione al Comitato di redazione, perché trovi il modo migliore di inserire nell’articolo 55 il collegio uninominale. Ma è chiaro che noi, una volta approvato l’ordine del giorno Nitti, non possiamo più discutere del collegio uninominale. (Applausi a sinistra).

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Signor Presidente, qui si riprende un nostro colloquio: lei mi ha rimproverato due volte perché io insistevo che si votasse su norme di legge, e non su quesiti o su formule di indirizzo. Ed io ho insistito sempre su questa mia idea ed ho insistito ieri, motivandola molto chiaramente, perché mi sembrava non ci si attenesse alle regole del gioco.

Ora, è bene che si dica una parola chiara.

La parola chiara l’ha detta l’onorevole Lussu: noi siamo vincolati in sede costituzionale a quanto abbiamo deliberato. (Approvazioni a sinistra). E l’onorevole Moro deve riconoscere che egli può votare a favore o contro una o un’altra formulazione che codifichi le deliberazioni già prese, ma non può, con un voto contro qualche formulazione che codifichi quelle deliberazioni, mandare per aria le deliberazioni stesse.

MORO. Certo!

LUCIFERO. Io sono lieto di questo «certo», perché l’onorevole Moro nel suo primo intervento – me lo sono appuntato – ha fatto una dichiarazione di voto preventiva ed ha concluso: «Noi voteremo contro, come abbiamo votato contro ieri».

Una voce al centro. Era un’ipotesi.

LUCIFERO. Il che dava almeno la sensazione di scoprire un recondito pensiero. (Commenti al centro).

Ora, l’onorevole Moro mi dice che questo recondito pensiero non c’è, ed io ne sono lieto.

Ad ogni modo, mi pare che la discussione sia perfettamente inutile. Qui si tratta di decidere una cosa sola: come trasformare in una norma di legge quanto noi abbiamo già deciso come principio di massima. Quindi si tratta unicamente di una questione di forma. Sulla formula si potrà discutere – perché fui io stesso a dichiarare che in una formula giuridica una parola messa in un modo o in un altro, può avere un significato diverso – ma sulla questione di principio non vi è più ormai da discutere. Noi sappiamo benissimo quello che la maggioranza ha voluto fare; e noi tutti siamo, come democratici, impegnati dal voto della maggioranza. Abbiamo una sola cosa da fare: collaborare tutti perché la formula sia buona, chiara, esplicita, e vincoli almeno gli altri al rispetto delle regole del giuoco. (Applausi a sinistra).

NOBILI TITO ORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILI TITO ORO. Bisogna riconoscere onestamente che questa discussione sta diventando mortificante (Approvazioni a sinistra).

Io ebbi occasione di esprimere ieri il mio pensiero sulle preclusioni che investono ormai le varie parti dell’articolo 55 e quando la seduta si sciolse, l’onorevole Presidente aveva già prese e comunicate le risoluzioni di sua competenza. Come è possibile ritornarvi sopra?

L’Assemblea ha votato l’ordine del giorno Nitti in forma deliberativa e perentoria…

MORO. Che cosa vuol dire?

NOBILI TITO ORO. …non ha espresso una opinione, una raccomandazione, un votò, ma ha affermata solennemente una volontà recisa, ha statuito affermando che «il Senato sarà eletto a suffragio universale e diretto, col sistema del collegio uninominale».

Eccolo il sostitutivo del terzo comma dell’articolo 55 che affida l’elezione di una parte dei senatori ai Consigli regionali! E pertanto l’onorevole Presidente, quando, procedendo al completamento dell’esame dell’articolo, incontrerà questo terzo comma, che ha una portata completamente diversa e contrastante coll’ordine del giorno Nitti votato ieri, non dovrà fare altro che riconoscere e dare atto che il terzo comma è completamente assorbito e sostituito dalla formula chiara e precisa già votata con quell’ordine del giorno; formula che non dobbiamo compilare o ricostruire noi, ma è già nell’ordine del giorno Nitti dal quale può essere qui trasferita di peso: «Il Senato sarà eletto a suffragio universale e diretto, col sistema del collegio uninominale».

Questo dissi, questo giustificai, questo posso ripetere, perché non è stato ragionevolmente confutato da alcuno. Che cosa può prestarsi ancora a discussione del terzo comma? Solo un punto: quello relativo all’età degli elettori del Senato.

L’onorevole Nitti stamane faceva intendere che egli stesso è in dubbio se l’affermazione del suffragio universale non escluda anche questa limitazione del voto in relazione all’età degli elettori. Perché questa restrizione verrebbe a portare una limitazione del corpo elettorale chiamato all’elezione dei senatori: tutti gli elettori dal 21° anno di età al 25° non compiuto sarebbero esclusi. E ciò si risolverebbe in limitazione del suffragio universale, in dissonanza col voto già emesso.

A rigore di logica il ragionamento è esatto; ma io ammetto che possano onestamente manifestarsi in proposito dispareri, da giustificare che questo punto formi ancora oggetto non precluso della discussione. In altri termini, se, di tutto il comma, un campo può restare ancora aperto alla discussione, esso è soltanto quello relativo all’età degli elettori e non altro. L’esame dell’articolo 55, onorevole Presidente, eccezion fatta per questo punto, è dunque completamente esaurito, e nessun voto è più possibile sul sistema delle elezioni senatoriali.

LAMI STARNUTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LAMI STARNUTI. Io ho votato contro l’ordine del giorno Nitti. Ciononostante credo di poter dire anch’io – come ha detto per sé l’amico onorevole Lussu – una parola obiettiva, quantunque le mie conclusioni siano diverse da quelle a cui è giunto l’onorevole Lussu.

Io vorrei richiamare all’attenzione dei colleghi, specialmente dei compagni di questa parte della Camera, i precedenti della nostra discussione e delle nostre decisioni.

Quando cominciammo a discutere l’articolo 55 ed io svolsi il mio emendamento in favore del sistema proporzionale, dichiarai subito che avrei trasformato l’emendamento in ordine del giorno perché, a somiglianza di quanto era stato fatto per la Camera dei Deputati, a somiglianza di quanto era stato proposto dall’onorevole Giolitti con suo ordino del giorno, ritenevo acquisito che nella Costituzione non dovesse trovar luogo…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Benissimo!

LAMI STARNUTI. …il sistema elettorale di formazione delle Assemblee legislative.

Tanto queste mie osservazioni parvero esatte che, dietro di me, gli altri presentatori di emendamenti si affrettarono a trasformare subito i loro emendamenti in ordini del giorno. L’onorevole Nitti, che aveva presentato un emendamento per il collegio uninominale, propose allora il suo ordine del giorno; e la stessa cosa fece l’onorevole Perassi trasformando anch’egli in ordine del giorno il suo emendamento, che non era né per il collegio uninominale, né per la rappresentanza proporzionale, ma per una elezione di secondo grado.

Tutto questo concorso di attività e di idee confermava quello che era stato detto all’inizio della discussione, cioè che l’Assemblea non intendeva porre tra le norme costituzionali il modo di elezione della seconda Camera.

E allora, se questi sono i precedenti, perché si dice, come fanno gli onorevoli Bozzi, Rubilli, Costantini, Nobili, che l’ordine del giorno dell’onorevole Nitti votato ieri vincola in sede costituzionale l’Assemblea?

RUBILLI. Già è stato dimezzato!

LAMI STARNUTI. Che cosa è stato dimezzato? Il concetto dell’onorevole Nitti è l’affermazione del collegio uninominale. Se noi mettessimo il principio del collegio uninominale nella Carta costituzionale, andremmo incontro a quegli inconvenienti lamentati fin da quando discutemmo la formazione della Camera dei Deputati, cioè, innanzi tutto, l’inconveniente di non poter eventualmente modificare con legge normale un determinato sistema elettorale quando la pratica avesse dimostrato gli inconvenienti o gli errori di quel sistema.

E allora, a mio avviso, l’ordine del giorno ha un valore che non è normativo. Tanto meno ha un valore costituzionale. (interruzioni – Commenti).

Ha un valore politico, un valore impegnativo, ma in sede di legge elettorale, non in sede di formazione delle norme costituzionali.

Nella Costituzione, a mio giudizio, deve essere posto soltanto il principio prevalso nell’Assemblea, che l’elezione del Senato avverrà non in forma indiretta, ma col suffragio universale diretto e segreto.

Vi è una parte degli emendamenti (Interruzioni) e cioè l’emendamento nostro, e quello degli onorevoli Targetti, Amadei ed altri, i quali nella loro prima parte suonano in modo identico dicendo che il Senato della Repubblica è eletto a suffragio universale diretto.

Questa parte delle proposte fatte all’Assemblea può essere trasferita nella Carta costituzionale. Ma, ripeto, sarebbe a mio giudizio un eccesso se andassimo oltre e se ritenessimo senz’altro che l’ordine del giorno Nitti ha il valore di norma costituzionale e come tale debba essere inserito nella nostra Carta, fondamentale. (Applausi al centro).

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Ho domandato la parola per muovere due sole obiezioni agli egregi colleghi Dominedò e Lami Starnuti.

Si è detto dall’onorevole Dominedò che qui siamo in un caso perfettamente analogo a quello nel quale ci trovammo a proposito del sistema elettorale della prima Camera.

Là si ebbe un ordine del giorno dell’onorevole Giolitti, qui abbiamo un ordine del giorno dell’onorevole Nitti.

Mi permetto di richiamare l’attenzione della Camera sul tenore sostanzialmente diverso e, per dir meglio, sulla portata sostanzialmente diversa dei due ordini del giorno. Io non mi imbarcherò – perché farei certamente naufragio – in una discussione di diritto costituzionale, ma mi limiterò a ricordare all’Assemblea che mentre l’ordine del giorno Giolitti, relativo al sistema col quale deve essere eletta la prima Camera, diceva: «L’Assemblea Costituente ritiene che l’elezione dei membri della prima Camera debba avvenire col sistema proporzionale» (è inutile mettere in rilievo il significato della parola «ritiene»), l’ordine del giorno dell’onorevole Nitti, invece, è imperativo: «L’Assemblea Costituente «afferma» che il Senato sarà eletto con suffragio universale diretto e col sistema del collegio uninominale».

L’Assemblea Costituente ha deciso che una cosa avverrà. E qual è la cosa che avverrà? L’elezione del Senato con suffragio universale diretto e con collegio uninominale. Che m’importa (siamo nel campo politico) di fare una discussione sul valore normativo e non normativo dell’ordine del giorno? La maggioranza ha deliberato che il Senato sarà eletto con un determinato sistema elettorale. Io domando, onorevoli colleghi, di fronte a questa affermazione perentoria di volontà da parte dell’Assemblea Costituente, come potrebbe il nostro amatissimo Presidente (e vengo al secondo ed ultimo punto della mia breve osservazione) mettere in votazione il testo del progetto di Costituzione che su questo argomento dice: «I senatori sono eletti per un terzo, ecc.»?

Una voce al centro. Nessuno lo chiede.

TARGETTI. Il Presidente sarebbe nell’impossibilità di porre in votazione qualsiasi proposta che contrastasse col contenuto e la portata del voto dell’Assemblea. Allora, come può il Presidente invitare a votare quando si sa che una votazione non può avere per oggetto che delle proposte che siano intonate all’ordine del giorno approvato dall’Assemblea?

Infine qui si tratta di una modalità di elezione. Ma, badate, ad essere sinceri come tutti noi cerchiamo di essere, qui siamo in una ipotesi nella quale il sistema elettorale ha un’importanza che non si può paragonare a quella che ha per l’elezione della prima Camera.

UBERTI. Perché? È la stessa cosa.

TARGETTI. Il perché l’avrei detto senza la sua sollecitazione, onorevole Uberti. Il perché è questo: che la composizione, la finalità, la funzione della prima Camera è la stessa qualunque sia il sistema col quale viene eletta.

Invece per la seconda Camera, fino dal periodo di elaborazione del progetto, la fatica a cui tutti i costituenti sono stati sottoposti è stata quella di trovare una differenziazione fra le due Camere, ammesso il principio della bicameralità. Trovare il modo di differenziare una Camera dall’altra per evitare che la seconda fosse un duplicato della prima. Ora, il sistema migliore, la via più diritta e più sicura per ottenere questa differenziazione molti di noi l’hanno ravvisata nel sistema di elezione della stessa Camera.

Tutti quelli che, come noi, sono decisamente contrari a quel catalogo di condizioni per l’eleggibilità dei senatori, condizioni che oltre a tutto mettono i componenti della prima Camera in una condizione di inferiorità perché vogliono dire: «Badate, chi appartiene a queste categorie può avere l’onore di far parte del Senato della Repubblica; chi non vi appartiene faccia pur parte della prima Camera»; tutti quelli che sono anche per altre ragioni contrari a subordinare a determinate condizioni, che non siano quelle dell’età, l’eleggibilità dei senatori, trovano in questo diverso modo di elezione la caratteristica differenziale della composizione delle due Camere. Ecco perché, proprio per l’elezione del Senato della Repubblica riteniamo che il sistema elettorale faccia parte integrante della sua costituzione.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Ho l’impressione che ci sia in questo momento un’atmosfera di sospetto forse ingiustificata. Penso che possiamo parlare con una certa serenità e che in tutti gli interventi vi siano elementi ragionevoli che devono essere presi in considerazione.

Mi pare anche, che vi sia un punto sul quale tutti dobbiamo essere d’accordo: il fatto che l’Assemblea ha già preso una decisione. Il fatto poi che essa abbia adottato una procedura, invece che un’altra, per deliberare, non comporta una menomazione dell’atto di volontà dell’Assemblea, che è arbitra di decidere che una deliberazione figuri o meno nella Carta costituzionale senza pregiudicare il valore che deriva ai suoi atti dal potere costituente di cui le è rimesso l’esercizio.

Indubbiamente, ammesso questo, sorge la questione: è opportuno o no inserire questa deliberazione nella Costituzione? C’è un precedente, ed è il precedente che richiamava poco fa l’onorevole Lami Starnuti. Per quanto riguardava il sistema proporzionale l’Assemblea non ha creduto inserirlo nella Costituzione. Questo precedente vale anche oggi? Io credo che questo sia discutibile. Oggi il sistema di elezione, come giustamente rilevava l’onorevole Targetti poco fa, è diventato qualche cosa di diverso, e cioè è diventato un criterio di differenziazione fra le due Camere. Quindi la questione che indubbiamente non aveva un rilievo costituzionale nel primo caso, lo ha forse acquistato nel secondo.

Comunque, è una cosa evidente che su questo punto l’Assemblea non ha preso una deliberazione; mentre è evidente che nella sostanza l’Assemblea ha deliberato, è evidente che non ha deliberato sull’inserimento o meno nella Costituzione, inserimento o meno che è soltanto una questione di opportunità. Perché il fatto che l’Assemblea abbia deliberato, attraverso l’una o l’altra forma, non muta il valore dell’atto dell’Assemblea. Quindi, in sostanza, l’inserimento o meno nella Carta costituzionale significa soltanto scegliere l’uno o l’altro sistema per formulare la norma, ma non cambia niente. (Commenti al centro).

Ritengo che, in sostanza, si tratti unicamente di una questione di opportunità. Chi deve valutare questa opportunità? Io credo che sarebbe inutile e forse dannoso, se fossimo noi, in questo momento, a valutare questa opportunità. Noi abbiamo creato un Comitato di coordinamento, col compito di risolvere queste questioni, di valutare queste opportunità. Per quale ragione non ci rimettiamo al Comitato di coordinamento? Esso può meglio valutare la questione nel suo complesso; perché è evidente che, se si ritiene di dover introdurre il collegio uninominale per la seconda Camera, si dovrà indubbiamente reintrodurre anche il criterio della proporzionale per la prima, in modo che la differenziazione abbia rilievo e risulti dalla Carta costituzionale.

Ma noi non possiamo ora, riprendere in esame la questione del sistema proporzionale e discuterne l’inserimento o meno in relazione a questo secondo sistema. Mi pare, pertanto, che, dato che si tratta solo di questione di opportunità, potremmo rimetterla al Comitato.

So che osterà contro questa proposta la convinzione di un certo numero di colleghi, da una parte e dall’altra, che la questione in discussione possa avere rilievo sostanziale; cioè, che, attraverso un espediente di procedura, si possa rimettere in discussione la sostanza di quello che l’Assemblea ha votato. Vorrei che tanto da una parte che dall’altra ci si persuadesse che questo sospetto è infondato, in quanto che la deliberazione presa dall’Assemblea, sia pure attraverso un ordine del giorno, è deliberazione di un’Assemblea che esercita il potere costituente e come tale ha sempre valore costituzionale.

REALE VITO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

REALE VITO. Vorrei chiarire questa situazione. Noi siamo al punto di sapere se l’ultimo comma dell’articolo 55 debba o non debba essere votato.

In materia è stato già deciso con due ordini del giorno: quello dell’onorevole Perassi e quello dell’onorevole Nitti.

L’Assemblea ha respinto l’ordine del giorno Perassi, che si presentava in forma negativa, ed ha confermato, invece, i principî opposti, cioè in forma positiva, contenuti nell’ordine del giorno Nitti.

Possiamo noi riesaminare l’ultimo comma dell’articolo 55? A questo punto, il Presidente può mettere in votazione qualsiasi parte dell’ultimo comma dell’articolo 55?

Questo è l’unico quesito, che non l’Assemblea, ma il Presidente deve risolvere.

Ora, l’ultimo comma dice: «I senatori sono eletti per un terzo dai membri del Consiglio regionale…», questo principio è stato due volte bocciato e non è possibile rimetterlo in votazione, «e per due terzi a suffragio universale diretto». Anche questa parte di questo comma non può essere messa in votazione, perché è stata esplicitamente, per ben due volte, respinta dalla Assemblea.

Si tratta adesso di sapere se l’articolo 55 debba essere sostituito con l’ordine del giorno Nitti, il quale contiene tutte le condizioni per sostituire questo comma. Ed in effetti, a chi lo avesse dimenticato giova ricordare che l’ordine del giorno Nitti è del seguente tenore: «Il Senato sarà eletto con suffragio universale e diretto, con il sistema del collegio uninominale». Questa è norma costituzionale.

GRONCHI. Neanche per sogno!

REALE VITO. Quando, con tanta esattezza sia in forma diretta che in forma indiretta si è votato dall’Assemblea, è evidente che non è possibile che il contrario possa essere rimesso in votazione. Resta – e in questo sono d’accordo con l’onorevole Laconi – una questione di opportunità: se completare, con queste precise affermazioni dell’Assemblea, l’articolo 55, o lasciarlo semplicemente come una norma precisa ed inderogabile da essere applicata in sede di legge elettorale. Questa è l’unica questione che si può presentare; ma presentare il quesito che l’ultimo comma dell’articolo 55 possa essere oggetto di una nuova votazione, quando così esplicitamente e categoricamente è stato rigettato, mi pare questione fuor d’opera che tocca soprattutto la dignità dell’Assemblea. (Approvazioni a sinistra).

GRONCHI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRONCHI. Qualche volta pare impossibile che questioni le quali sono sufficientemente chiare per se stesse, durante una discussione arrivino invece che ad un chiarimento progressivo, ad una involuzione. Di che si tratta? Si tratta di stabilire se una norma che definisce il sistema elettorale possa diventare, anzi sia utile che diventi, una norma costituzionale, cioè vincolativa, non solo per questa Assemblea, ma anche per le successive, pena una revisione della Costituzione; oppure se convenga per il sistema elettorale, adottare una norma che sia vincolativa per noi, ma che possa essere modificata dalle Camere legislative successive senza incomodare la Costituzione, il che esige una procedura di molto maggiore complicatezza e difficoltà.

Quelli che, come noi, pensano che gli ordini del giorno Nitti e Giolitti siano vincolativi soltanto per questa Assemblea, e cioè che le elezioni, rispettivamente per la Camera dei Deputati e per la Camera dei Senatori, debbano avvenire l’una col sistema proporzionale, l’altra col sistema uninominale, sostengono il principio che non sia utile includere né l’una norma del sistema proporzionale né l’altra del sistema uninominale nella Costituzione. Gli altri che sostengono di introdurre nella Costituzione le due norme, pensano che si debba costringere le future Camere ad una revisione della Costituzione in sede di pura e semplice discussione della legge elettorale. La questione è così: non ci sono né truffe, né retropensieri, né altre diavolerie che durante la discussione sono apparse come fantasmi contro cui si combatte con la stessa illusione con la quale Don Chisciotte combatteva contro i molini a vento. Questa è la questione, la quale andrebbe mantenuta puramente e semplicemente nei suoi termini che sono così chiari. (Approvazioni al centro).

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Volevo fare una proposta che avevo pensato potesse risultare estremamente conciliativa, ma purtroppo le ultime conclusioni dell’onorevole Gronchi mi tolgono questa illusione e mi fanno vedere che forse la mia proposta è soltanto del tutto ingenua. In ogni modo confesso questa ingenuità e chiarisco il mio pensiero. Dal momento che tutti dichiarano di ritenere che sia reciprocamente vincolativo l’uno e l’altro ordine del giorno, quello del sistema proporzionale per la Camera dei Deputati e quello del sistema a scrutinio uninominale per il Senato, poteva essere opportuno autorizzare il Comitato di coordinamento a inserire nel testo di Costituzione un articolo aggiuntivo a contenuto puramente dichiarativo. Non pensavo di richiedere di mettere senz’altro in votazione un testo formulato ex novo, ma di richiedere, se vi era la unanimità dei consensi, un’autorizzazione pel Comitato di redazione che facesse sparire questa differenza di indole puramente tecnica onde relativamente al sistema elettorale della Camera dei Deputati non si è inserita l’enunciazione del sistema di elezione nella Costituzione, mentre adesso appariva opportuno inserirlo per il Senato della Repubblica. Con questa doppia enunciazione di contenuto puramente dichiarativo di fronte ad una situazione che lealmente e moralmente io ritenevo vincolante e pacifica per tutti, la soluzione da me vagheggiata poteva rimettere tutto a posto, in modo che non se ne parlasse più.

Ma, certamente, le dichiarazioni finali fatte dall’onorevole Gronchi possono creare una difficoltà all’adesione a questa mia proposta che, come dico, escludeva una votazione a contenuto di merito, ma tendeva a provocare soltanto, secondo la mia illusione, una dichiarazione spontanea e sincera che i due ordini del giorno avevano lo stesso valore e che erano stati votati sul serio, non per perdere tempo o suscitare delle riprese di discussioni di merito su questioni superate.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, mi pare che tutta la discussione non si sarebbe fatta se la proposta iniziale dell’onorevole Moro fosse stata del tenore delle ultime considerazioni dell’onorevole Gronchi. Ma, a quanto mi è parso di sentire, l’onorevole Moro aveva invece fatto la proposta che si rivotasse sopra le affermazioni singole contenute nell’ordine del giorno Nitti. Ed è attorno a questa proposta Moro, che era stata già accompagnata da una espressa dichiarazione di voto, che si è venuta sviluppando tutta la discussione. È evidente che se non si fosse così messa in dubbio la validità della decisione presa dall’Assemblea Costituente con la votazione dell’ordine del giorno Nitti, nessuno avrebbe parlato; solo la preoccupazione che si pensasse, forse da parte di ciascuno, di rimettere in votazione cose che non possono essere più votate, ha portato innanzi tutta questa discussione.

Onorevoli colleghi, l’ordine del giorno che cosa è? È evidente che non è affermazione che vincola i terzi al di fuori di questa Assemblea, non è una legge, nel senso giuridico del termine, che è fatta dal Parlamento per tutti i cittadini; ma gli ordini del giorno, mi pare, sono leggi che l’Assemblea dà a sé stessa, oppure un ordine – mi si consenta la parola – che l’Assemblea dà al Governo, che trae dall’Assemblea stessa i propri poteri.

In questo senso mi pare che gli ordini del giorno, che noi siamo venuti votando, hanno avuto questo doppio valore: hanno significato l’impegno dell’Assemblea di attenersi ad una certa decisione ed hanno significato l’ordine – ripeto la parola al Governo, perché, nei limiti nei quali esso deve tradurre in atto una decisione dell’Assemblea, in quel senso si muova e non in altro senso.

Così, per le leggi elettorali: quando l’Assemblea ha votato che la prima Camera dovrà essere eletta sulla base della proporzionale, ciò ha semplicemente significato che il Ministro dell’interno, competente a redigere il progetto di legge che dev’essere presentato a questa Assemblea, deve redigerlo sul sistema della proporzionale, e che l’Assemblea stessa, per quanto possa modificare i particolari del progetto presentato, non può modificarlo in tal modo da mutare il sistema proporzionale nel sistema uninominale.

La stessa considerazione vale per l’ordine del giorno votato in rapporto al Senato della Repubblica.

Non per polemizzare, onorevoli colleghi, ma io penso che non dovremmo creare degli ostacoli nuovi ad un più rapido ritmo dei nostri lavori, dimenticando come si è giunti a votare l’ordine del giorno Nitti e cosa significassero gli altri ordini del giorno che insieme a quello Nitti sono stati presentati al voto e respinti.

Io la pregherei, onorevole Moro, di dirmi schiettamente: se fosse stato approvato l’ordine del giorno Perassi, forse che non si sarebbe ritenuto da tutti e anche da lei senza altro acquisito al testo costituzionale il suo contenuto concreto?

MORO. È arbitrario.

PRESIDENTE. Permetta, sarebbe stata sì o no acquisita al testo costituzionale la disposizione a tenore della quale i senatori avrebbero dovuto essere eletti nel numero di 3 per ogni Regione dal Consiglio regionale e per il resto da delegati eletti a suffragio universale, ecc.?

Io almeno, nella mia semplicità, penso che se si fosse approvato quell’ordine del giorno queste due norme sarebbero entrate nella Costituzione. Comunque ho fatto questa ipotesi, soltanto per trarne la considerazione che occorre tenere presente non semplicemente i risultati alcune volte non graditi delle votazioni; ma anche il modo col quale vi ci si è giunti. Ogni votazione comporta due possibilità: la prescelta da ogni votante e la decisa dalla maggioranza. Se si era pronti ad accettare la prima; evidentemente si doveva essere pronti ad accettare anche la seconda. Ad ogni modo credo che la questione si possa risolvere in questi termini: nell’ordine del giorno Nitti si afferma che il Senato sarà eletto col suffragio universale diretto e col sistema del collegio uninominale. Analogamente a quanto abbiamo fatto per l’elezione della Camera, porremo però nell’articolo costituzionale soltanto l’affermazione che il Senato sarà eletto col suffragio universale diretto, mentre invece continueremo a considerare ordine del giorno a sé stante l’affermazione che impegna a valersi del collegio uninominale, ordine del giorno nel senso che indicavo prima, cioè che la legge che verrà depositata in questa Assemblea per l’elezione del Senato della Repubblica, deve essere una legge basata sul sistema del collegio uninominale.

Ora, mi pareva, che l’onorevole Moro chiedesse che si ripetesse la votazione sia sul carattere universale come sul carattere diretto del suffragio richiesto per l’elezione del Senato e poi anche sopra la questione del collegio uninominale. Non si rifarà nessuna di queste votazioni. Ma ciò che nell’ordine del giorno Nitti è simile alle proposte dell’articolo 55, verrà incluso nel testo definitivo dell’articolo stesso; mentre non vi includeremo ciò che non vi trova rispondenza, analogamente alla procedura seguita nel rapporto fra l’ordine del giorno Giolitti e l’articolo 53. Onorevoli colleghi, dovrebbe essere chiaro che le votazioni che si fanno hanno un valore definitivo. Ma per quanto si riferisce alla loro materia, il modo di disporla è sempre una cosa lasciata al criterio di opportunità, a cui si richiamava anche l’onorevole Laconi, e direi anche, alle esigenze di simmetria del testo costituzionale.

CODACCI PISANELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODACCI PISANELLI. Vorrà scusarmi, signor Presidente, se intrattengo l’Assemblea su questo problema che mi sembra però di tale importanza da non dovere essere risolto così rapidamente.

PRESIDENTE. Rapidamente, veramente no, onorevole Codacci Pisanelli!

CODACCI PISANELLI. Ci si domanda quando è che una deliberazione dell’Assemblea diventa definitiva, cioè in qual momento l’Assemblea non possa più tornare su di essa. (Commenti a sinistra).

PRESIDENTE. Onorevole Codacci, consideri, la prego, che la discussione è stata già ampia: perciò nel suo intervento resti al nocciolo del problema e tenga conto che qui siamo in una Assemblea politica.

CODACCI PISANELLI. L’ordine del giorno, domando, vincola di già l’Assemblea in modo definitivo, o può l’Assemblea tornare eventualmente sull’ordine del giorno?

Una voce a sinistra. No, no!

CODACCI PISANELLI. Pongo soltanto un problema. Non esamino se si possa votare un articolo in contrasto con l’articolo precedente, ma domando se, approvato un ordine del giorno, questo sia vincolante.

Io ritengo che la deliberazione dell’Assemblea divenga definitiva soltanto quando sia stata tradotta in un preciso dispositivo di articolo, cioè quando sia stata articolata. Fino a quel momento ritengo che l’ordine del giorno non impegni in modo definitivo l’Assemblea.

PRESIDENTE. Onorevole Codacci Pisanelli, io ho cercato di ricostruire il processo che ha portato alla presentazione di questi ordini del giorno. È vero che un ordine del giorno resta sempre un ordine del giorno; ma centomila ordini del giorno non sono soltanto centomila ripetizioni di uno stesso ordine del giorno. Coloro che li redigono, discutono ed approvano, sanno che non c’è uno che abbia la stessa importanza di un altro.

Ma tutti gli ordini del giorno qui discussi e votati hanno un eguale valore impegnativo: e come impegno io li interpreto, onorevole Codacci Pisanelli.

MORO. Chiedo di parlare.

RESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Solo per un chiarimento, onorevole Presidente.

Se è vero che nell’atto di porre questa questione che stiamo dibattendo c’è in me lo stato d’animo di colui che ha vista sopraffatta una tesi che gli era cara, io dichiaro con la più grande sincerità che questa questione è stata sollevata per una ragione di principio.

Noi siamo stati battuti nell’Assemblea Costituente un’altra volta, su un punto che era estremamente importante per noi, quello della indissolubilità del matrimonio. Ebbene, nessuno di noi ha sollevato, in quel caso, delle obiezioni.

Se obiezioni sono state sollevate in questa sede, è perché veramente noi riteniamo che la soluzione che si cerca di dare a questo problema non è una soluzione esatta, corrispondente alle norme di Regolamento e alle norme di legge.

Io sin da principio ho dichiarato che, a mio parere e a parere dei miei amici – e su questo punto credo che prenderà la parola, con la competenza tecnica che lo distingue, l’onorevole Mortati – l’ordine del giorno che è stato votato è un ordine del giorno che non sostituisce una norma di legge: è un ordine del giorno che vincola l’Assemblea, ma non supplisce le necessarie formali votazioni, attraverso le quali si crea una norma di legge.

Ora, il punto delicato di tale controversia era costituito dalla eventuale votazione da ripetere sul sistema elettorale, sul collegio uninominale. Ma poiché su questo punto io mi associo alle dichiarazioni dell’onorevole Gronchi, e prendo atto con soddisfazione che l’onorevole Presidente ha creduto anch’egli di accedere alla tesi di fare uguale trattamento all’indicazione dei sistemi elettorali, sia per la Camera dei deputati, sia per il Senato, evidentemente il punto politicamente più delicato è fuori discussione. Se dunque non si torna a votare sul sistema di elezione, possiamo serenamente riaffermare i principî i quali impongono, senza alcun pericolo di ordine politico, che si voti sulla struttura del Senato con l’indicazione della espressione «a suffragio universale diretto e segreto».

E, su questo punto, per una ragione di principio, insisto nel chiedere la votazione, alla quale spero non vogliano contrastare coloro i quali vedono che il collegio uninominale è in tal modo sottratto ad una nuova decisione.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, cerchiamo dunque di concludere su questo punto. L’onorevole Moro ha fatto richiamo ad una questione di principio. Ma, onorevole Moro, il Regolamento ella lo ha sottomano, suppongo; e vi può leggere l’articolo 87 che dice che gli ordini del giorno determinano o modificano il contenuto della legge. (Approvazioni a sinistra). Non ho bisogno di queste approvazioni, egregi colleghi,.

Una voce a sinistra. Ma vengono spontanee.

PRESIDENTE. L’attuale Regolamento riprende in questa forma il concetto che era espresso nel Regolamentò precedente, nell’affermazione che gli ordini del giorno erano equiparati agli emendamenti. È chiaro quindi che, un ordine del giorno votato dell’Assemblea, ha il potere di modificare la legge ed esso, in quanto tale, serve di istruzione alla Commissione, la quale – anche questo dice il Regolamento – deve trasferire nella legge il contenuto dello stesso ordine del giorno.

UBERTI. No, no.

PRESIDENTE. Onorevole Uberti, legga l’articolo 87 del Regolamento, la prego.

La questione di principio non nasce in questo momento: esisteva già ed è stata risolta dal nostro Regolamento.

Credo pertanto di poter concludere così, come prima: che, per quanto si riferisce all’ultimo comma dell’articolo 55, l’Assemblea ha già deliberato, decidendo che il Senato sia eletto mediante suffragio diretto ed universale; mentre non si includerà nel testo costituzionale la parte dell’ordine del giorno che si riferisce al sistema del collegio uninominale, in armonia a quanto l’Assemblea ha fatto per il sistema di elezione della Camera.

Resta quindi soltanto da deliberare in merito al limite di età per gli elettori del Senato. Io non credo, a questo riguardo, come sostiene l’onorevole Oro Nobili, che dire «suffragio universale» significhi senz’altro che tutti i cittadini hanno diritto al voto quando abbiano raggiunto il ventunesimo anno di età.

Tutti i colleghi i quali nel corso della discussione relativa alla prima parte del progetto di Costituzione, hanno proposto che il diritto elettorale attivo spettasse a tutti gli italiani dai 18 anni in su, a buon diritto dal loro punto di vista, possono considerare l’attuale suffragio, che fissa a ventun anni il diritto elettorale, come suffragio non universale. Ma invece la dizione stessa del testo costituzionale dichiara che si tratta di suffragio universale.

L’universalità del suffragio, mi pare, si riferisce a tutte le condizioni per l’elettorato attivo, salvo, per l’appunto, quella dell’età che non è un elemento predeterminato per natura e neanche da una certa struttura politica e di organizzazione dello Stato.

Per queste ragioni io credo che con la votazione già avvenuta non si sia risolto il problema relativo al limite di età, ed è a questo dunque che ora passeremo per concludere questa abbastanza faticosa votazione dell’articolo 55.

DOSSETTI. Chiedo di parlare. (Commenti a sinistra).

PRESIDENTE. Su quale argomento, onorevole Dossetti?

DOSSETTI. Chiedo di parlare a proposito dell’interpretazione da lei data all’articolo 87 del Regolamento, che per la prima volta viene in esame nella discussione di questa sera. Credo, quindi, di aver diritto – senza stancare l’Assemblea con la ripetizione di argomenti già svolti – di chiedere di parlare su un argomento nuovo, invocato dal Presidente.

PRESIDENTE. Non ho nulla in contrario a concederle la parola, ma mi permetto di rammentarle che, per ciò che si riferisce al valore delle votazioni avvenute, ho già espresso il mio avviso, e cioè ho stabilito – e questo rientra nella mia facoltà di Presidente – in quale modo esse debbano essere assunte nel risultato dei nostri lavori. (Approvazioni a sinistra). Se ella ritiene di doverci, ciò non ostante, esporre l’interpretazione ch’ella dà all’articolo 87, noi siamo lieti di ascoltarla.

DOSSETTI. Onorevole Presidente, non credo di poter convenire sulle ultime parole da lei formulate, perché, appunto, la sua interpretazione si fonda su un argomento nuovo, da lei escogitato in base all’articolo 87.

PRESIDENTE. Onorevole Dossetti, non mi faccia dire quello che non ho detto. Consideri che, in quanto a precisione le mie parole, lo tenga presente, non possono costituire un elemento di polemica nel corso delle discussioni dell’Assemblea.

Io non ho invocato l’argomento nuovo dell’articolo 87 per suffragare la mia-interpretazione; tanto è vero che ho fatto il richiamo solo dopo aver enunciato la mia decisione. È stato un soprappiù: tutti hanno detto tante cose che non entravano affatto nella materia della nostra discussione, ed anch’io mi sono permesso un fronzolo. La mia interpretazione, anzi la mia decisione, è stata presa in base a quanto è avvenuto e si è detto in quest’Aula da tre giorni a questa parte.

È per ciò che, dandole la facoltà di parlare, perché lei possa esporci il suo punto di vista sull’articolo 87, ritengo necessario avvertirla ancora una volta che ciò non può avere relazione né influenza con la decisione che ho presa e comunicata nel pieno esercizio dei poteri che l’Assemblea mi riconosce.

DOSSETTI. Prendo atto di quanto lei ha dichiarato, onorevole Presidente. Questo conferma che la sua conclusione – sulla quale non discuto – è indipendente dall’argomento ricavabile dall’articolo 87.

Però è per me importante – e credo lo sia anche per i colleghi – fare una riserva, in merito a quella che è la particolare interpretazione data dell’articolo 87, in quanto si è creduto di ricavare dall’articolo 87 la determinazione della funzione degli ordini del giorno, mentre per chi rilegga l’articolo 87 e veda che i verbi, da cui si è ricavata la determinazione di questa funzione, sono messi evidentemente al congiuntivo, in forma ipotetica, risulta evidente che la determinazione della funzione dell’ordine del giorno è qui ipotetica.

Dice infatti l’articolo 87: (Interruzioni a sinistra) «Durante la discussione generale, o prima che s’apra, possono essere presentati da ciascun deputato ordini del giorno concernenti il contenuto della legge, che ne determinino o ne modifichino il concetto o servano d’istruzioni alle Commissioni». (Interruzione dell’onorevole Laconi).

PRESIDENTE. Non interrompa, onorevole Laconi!

DOSSETTI. Mi pare che ci sia differenza fra questa proposizione ed un’altra, che sia enunciata all’indicativo, e cioè che l’ordine del giorno determina o modifica o serve di istruzione alle Commissioni.

In questo caso la norma avrebbe carattere imperativo generale; mentre qui è semplicemente indicala una funzione eventuale di alcuni ordini del giorno. (Interruzioni).

Ma io non insisto perché mi basta la dichiarazione dell’onorevole Presidente, che ha sganciato la conclusione a cui egli è pervenuto dall’articolo 87, per cui era opportuno che noi facessimo una necessaria riserva, anche per evitare il ripetersi della questione, per eventuali successive altre interpretazioni.

Vorrei soltanto dire che l’argomentazione da me svolta risulta all’evidenza confermata dall’ultimo comma dell’articolo 89, che dice: «Non si potranno riprodurre sotto forma di emendamenti o di articoli aggiuntivi gli ordini del giorno respinti nella discussione generale, nel qual caso può sempre essere opposta la pregiudiziale».

PRESIDENTE. Questo previene l’eventuale sua intenzione di ripresentare ordini del giorno.

DOSSETTI. Non avevamo affatto questa intenzione. Comunque, dichiaro che questa intenzione non era la mia e non era quella dei miei colleghi.

Risulta però confermato da questo comma che si possono dare degli emendamenti che ripropongono quanto era dichiarato in ordini del giorno, ed è espressamente distinto qui il valore formale di atti diversi; cioè, l’ordine del giorno, che ha un carattere programmatico indicativo generale per i lavori dell’Assemblea, e l’articolo o emendamento che è la vera norma alla quale solo ci si deve ricondurre per stabilire quale sia la determinazione terminale dell’Assemblea stessa. Perché evidentemente, con una interpretazione che parificasse la decisione d’un ordine del giorno a quella di un testo giuridico, avremmo questa conseguenza paradossale: che il futuro interprete e il futuro legislatore dovrebbero consultare sempre, non con valore interpretativa generico, ma specifico di norma giuridica, tutti gli atti successivi attraverso i quali la norma è pervenuta. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. Onorevole Dossetti, mi perdoni, ma per quanto non voglia che i colleghi possano pensare che io mi conceda ciò che molte volte ho rimproverato ad altri – di trasformare cioè in sede di discussioni astratte queste nostre laboriose sedute – sento la necessità di farle osservare che quel tale congiuntivo, dal quale ella crede di potere dedurre certe conseguenze, è congiuntivo per necessità del concetto che esso esprime. Infatti un ordine del giorno presentato, può ancora sempre essere respinto; è a questo stadio che l’articolo 87 lo considera, poiché afferma solo il diritto dei deputati a presentarlo. Ma in questo momento manca la certezza dell’accoglimento delle proposte contenute nell’ordine del giorno, le quali non possono quindi richiamarsi alla forma indicativa, positiva del verbo. È chiaro che se l’ordine del giorno sarà poi approvato, la modificazione ch’esso propone si trasfonde nel progetto; esso non è più soltanto una possibilità, ma una realtà; verrà espresso non più col congiuntivo ma coll’indicativo. (Applausi a sinistra).

TOGLIATTI. Chiedo di parlare sulla questione sollevata dall’onorevole Dossetti.

PRESIDENTE. La prego, onorevole Togliatti, tenga presente che questa non è la sede per una discussione in tema di grammatica; e chiedo anzi scusa di avervi io stesso dato l’avvio.

TOGLIATTI. Lo dico, in due parole: prego l’onorevole Dossetti di tener presente che nella corretta lingua italiana, in casi come questo, il «che» preceduto dal verbo potere, regge sempre il congiuntivo. Spero che il Gruppo democristiano non pretenderà di farci cambiare la grammatica italiana col peso dei suoi 207 voti. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell’ultimo quesito proposto sull’articolo 55, quello che si riferisce all’età degli elettori del Senato.

Vi è a questo proposito un emendamento presentato dall’onorevole Conti, il quale ha proposto che invece di 25 anni di età si dica «21 anni di età».

Pongo quindi in votazione questo emendamento.

(Dopo prova e controprova, l’emendamento non è approvato).

Pongo in votazione, il testo della Commissione: «I senatori sono eletti a suffragio universale diretto dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età».

(È approvato).

L’articolo 55 risulta, nel suo complesso, così approvato:

«Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale.

«Il numero dei senatori è determinato in ragione di uno ogni 200 mila abitanti, o frazione superiore ai 100 mila, attribuendosi però a ciascuna Regione un numero minimo di sei senatori.

«La Valle d’Aosta ha un solo senatore.

«I senatori sono eletti a suffragio universale diretto dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione: Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io non sono mai intervenuto perché nella sostanza delle questioni il Comitato è in disaccordo interno, ed è una vera disgrazia. Ma osservo che, come pura forma, sarebbe opportuno dare un’altra espressione.

PRESIDENTE. Io ho riletto il testo risultante dalle varie votazioni perché tutti i colleghi conoscano con precisione il frutto del lavoro di questi giorni. Non la forma, ma il contenuto è necessario richiamare ora alla mente. Il Comitato di redazione, da parte sua, darà poi la forma che riterrà più adeguata.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Se non erro, per quanto riguarda questo secondo comma, l’onorevole Presidente ha sottoposto successivamente le questioni di principio, e si sono votate successivamente le diverse proposte; ma non è stato mai letto un testo completo del secondo comma. Ora, faccio presente che il testo della Commissione è formulato un po’ diversamente da come è stato letto ultimamente.

PRESIDENTE. L’onorevole Perassi ha sollevato l’obiezione che il testo del quale ho dato lettura, dopo di aver ricucito accuratamente assieme tutte le votazioni che abbiamo eseguito, non corrisponderebbe alle votazioni stesse. Desidero far osservare all’onorevole Perassi che l’Assemblea non ha votato sul testo della Commissione, ma sugli emendamenti, ed è cosa abbastanza elementare che nel testo che io ho letto abbia ripresi letteralmente gli emendamenti votati.

Onorevole Perassi, nell’emendamento dell’onorevole Mortati, attorno al quale si è svolta tutta la discussione, si dice appunto «attribuendosi a ciascuna regione un numero minimo di sei senatori». Lei ha rilevato che nel testo definitivo non avrei ripresa l’espressione. Ma il testo che ho letto dice così: «attribuendosi però a ciascuna regione un numero minimo di sei senatori».

Sarei veramente curioso di sapere in che cosa il testo che ho letto differisce dal testo votato e il testo votato da quello proposto dall’onorevole Mortati.

Prego i colleghi prima di sollevare questioni, di essere sicuri di quello che dicono.

Dobbiamo ora esaminare le seguenti proposte aggiuntive:

«Aggiungere il seguente comma:

«Cinque senatori sono nominati a vita dal Capo dello Stato fra coloro che, con meriti insigni, nel campo sociale, scientifico, artistico, letterario, hanno illustrata la Patria.

«Alberti».

«Art. 55-bis.

«Sono senatori di diritto e a vita gli ex Presidenti della Repubblica.

«Sono pure senatori di diritto e a vita gli ex Presidenti del Consiglio e gli ex Presidenti delle Assemblee legislative, i quali abbiano coperto la carica almeno per un anno anche se non continuativamente.

«A tale diritto si può rinunziare, purché la rinunzia sia fatta prima della firma del decreto di nomina da parte del Capo dello Stato.

«Alberti».

«Per la prima elezione del Senato, sono nominati senatori di diritto con decreto del Capo dello Stato: i deputati dell’Assemblea Costituente che abbiano fatto parte del disciolto Senato, o che siano stati Presidenti del Consiglio o di Assemblea, o che abbiano avuto almeno tre elezioni, compresa quella all’Assemblea Costituente.

«A tale diritto si può rinunciare, ma la rinuncia deve essere fatta prima della firma del decreto di nomina.

«Leone Giovanni, Avanzini, Rossi Paolo, Pignatari, Cifaldi, Villabruna, Candela, Alberti, Preziosi, Corbino, Condorelli, Costantini, Martinelli, Arcaini, Castelli Avolio, Adonnino».

«Per la prima elezione del Senato, sono nominati senatori con decreto del Capo dello Stato:

а) i deputati al Parlamento dichiarati decaduti nella seduta del 9 novembre 1926 e quelli che non furono dichiarati decaduti, ma esercitarono la funzione di oppositori nell’Aula;

  1. b) i deputati dell’Assemblea Costituente che sono stati Presidenti del Consiglio o di Assemblea;
  2. c) coloro che siano stati membri del disciolto Senato ed abbiano mantenuto atteggiamento di costante opposizione al regime fascista dopo il 3 gennaio 1925.

«Martino Gaetano, Morelli Renato, Vlllabruna, Cifaldi, Bonino, Colitto, Perrone Capano, Condorelli, Colonna, Mazza, Rodinò Mario».

«Sono senatori di diritto, durante l’esercizio del loro ufficio, il Primo Presidente della Corte di cassazione, il Procuratore generale presso la Corte di cassazione, il Presidente del Consiglio di Stato, il Presidente della Corte dei conti, l’Avvocato generale dello Stato, il Presidente del Consiglio nazionale delle ricerche, il Presidente dell’Accademia dei Lincei, il Capo di Stato Maggiore generale.

«Clerici, Montini, Raimondi, Morelli Luigi, Cotellessa, Marconi, Adonnino, Carboni Enrico, Ponti, Sampietro».

Queste proposte considerano due questioni: la prima è quella dell’immissione nel Senato sia di senatori non eletti, ma nominati dal Capo dello Stato per meriti insigni, sia di senatori che tali divengono per la carica che essi ricoprono. La seconda si riferisce a una norma transitoria, a tenore della quale del primo Senato dovrebbero far parte di diritto alcuni cittadini a causa di cariche che ricoprono o hanno ricoperto.

In relazione alla prima questione, relativa all’esistenza di senatori che non ripetano dal suffragio universale diretto il loro potere, ritengo che la votazione già eseguita dall’Assemblea impedisca di prenderla in considerazione. Il Senato, infatti, è costituito sulla base del suffragio universale e diretto: mi pare pacifico che non possa accogliere in sé persone che da questo suffragio non ripetano la carica. Resta sempre aperta invece, come norma transitoria, la proposta che prevede la immissione nel primo Senato, cioè nel Senato alla sua prima formazione, di certe persone che ricoprono o hanno ricoperto certe particolari dignità pubbliche o politiche. Pertanto ritengo che non sia più da porsi in votazione la prima proposta dell’onorevole Alberti.

Ritengo che ugualmente non possa essere messa in votazione la proposta dell’onorevole Alberti a tenore della quale sono senatori di diritto a vita gli ex Presidenti della Repubblica, ecc.

Quindi decade anche la votazione sull’ultimo comma, che stabiliva la possibilità di rinuncia da parte degli interessati a questa nomina automatica.

Resta invece da porre in votazione la proposta dell’onorevole Leone Giovanni, relativa alla prima elezione del Senato.

Le altre proposte dell’onorevole Martino Gaetano e dell’onorevole Clerici sono analoghe.

BADINI CONFALONIERI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BADINI CONFALONIERI. Quando c’è stata una lunga discussione sul valore dell’ordine del giorno, ho taciuto; ma vedo che purtroppo la questione torna in argomento in questo momento, e che dobbiamo tornare a discuterla, tenendo conto di quanto prima si è detto e cercando di non ripeterci.

Non c’è dubbio, per quella interpretazione che lei signor Presidente ha già dato, che quando si vota un ordine del giorno si delibera qualche cosa, si fissa un principio; e poiché siamo Assemblea Costituente, si fissa un principio di carattere costituzionale.

A questo proposito credo, anche se l’onorevole Perassi non è d’accordo, che la maggioranza di noi convenga. Però, ci deve essere un motivo differenziatore, perché talora si presenti un emendamento e talaltra un ordine del giorno; altrimenti, non si comprende perché talora si userebbe una forma e talaltra forma diversa.

La differenza mi pare sia questa: con l’ordine del giorno si vuole fissare un principio, ma il principio consente delle eccezioni, in casi particolari; con l’emendamento, invece, si vuole inserire una determinata testuale disposizione di legge, che resta immutabilmente quella e non può essere modificata, non consente eccezioni.

Questo, per concludere che con la votazione dell’ordine del giorno Nitti noi abbiamo fissato il principio che «il Senato deve essere di carattere elettivo»; tuttavia non ci siamo preclusa la strada a che alcuni membri del Senato possano non avere questo carattere elettivo.

Il principio è stato fissato e non possiamo rimetterlo in discussione; ma, naturalmente, non si tratta di una norma di legge precisa e specifica, e quindi le eccezioni sono consentite.

Su queste eccezioni l’Assemblea è chiamata a discutere ed a votare.

ALBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ALBERTI. L’ordine del giorno Nitti, approvato dall’Assemblea, afferma che il Senato sarà eletto col suffragio universale diretto col sistema del collegio uninominale. Però, a me non sembra che questo precluda all’Assemblea la possibilità di stabilire che possa venire aggiunta, con altro metodo, qualche altra categoria di senatori, precisamente quella cui ho fatto cenno nel primo e nel secondo emendamento.

Questa – se mi permette l’allusione e non la interpreta come una indiscrezione – credo sia anche l’opinione dello stesso onorevole Nitti, il quale aveva, con altro ordine del giorno, proposto che alcuni senatori fossero indicati dai Consigli delle Università fra i professori di Università.

C’è un ordine del giorno, nel quale è detto precisamente: «Fanno parte del Senato: il Presidente della Corte di cassazione di Roma, il Presidente del Consiglio di Stato, il Presidente della Corte dei conti e sei professori di Università, designati per elezione dal Consiglio superiore della pubblica istruzione».

Mi pare, quindi, che, se nello stesso pensiero del proponente dell’ordine del giorno, che abbiamo votato, c’è questa possibilità, noi possiamo insistere perché cinque senatori siano nominati a vita dal Capo dello Stato fra coloro che, con meriti insigni nel campo sociale, scientifico, artistico-letterario hanno illustrato la Patria; e che possa essere votato l’articolo 55-bis, il quale indica, fra coloro che hanno diritto a sedere in Senato, gli ex Presidenti della Repubblica e gli ex Presidenti del Consiglio e delle Assemblee legislative i quali abbiano ricoperto la carica per qualche tempo.

NITTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Io avevo presentato una serie di proposte in questa materia e prego il Presidente di avere un po’ di tolleranza se mi permetto di divagare.

Non c’è nessun Senato che possa essere sciolto. Questa non è materia di discussione: la Camera si scioglie; il Senato non si scioglie. In nessun paese il Senato si scioglie: così è in America e così era in Francia. Il Senato dunque ha una sua speciale funzione: la continuità. Il Senato rappresenta non soltanto l’impressione di un momento, come l’elezione a suffragio universale in una data situazione o in una certa circostanza. Il Senato permane anche se non funziona legislativamente, anche quando non funziona la Camera. Le Camere debbono essere collegate, e non vi è nulla di più pericoloso del considerarle due cose troppo distinte. In America vi è questa strana Costituzione: chi è Presidente del Senato non è senatore; Presidente del Senato è il Vice Presidente della Repubblica, che rappresenta dunque la stessa ondata popolare che ha portato alla Presidenza della Repubblica colui che comanda. Quindi cosa fa il Vice Presidente del Senato? Poiché non è senatore non vota, ma dirige i lavori e mantiene la continuità. Ecco la spiegazione delle mie proposte che possono parere strane. In Francia cosa c’era? Vi era un Senato che durava troppo a lungo, vi era un Senato non conveniente: lo dicevano gli stessi senatori, i quali duravano in carica ben nove anni. Inoltre il Senato si rinnovava ogni tre anni per un terzo. Cosa vuol dire il Senato? Il Senato vuol dire la continuità, e vuole dire una scelta di persone od una designazione di persone che rappresentino tendenze, direi, permanenti. Il Senato dunque da noi non può essere troppo differente. Quando io ho letto il progetto di Costituzione: la Camera dura cinque anni; il Senato dura cinque anni, non ho compreso più nulla. Io non conosco funzioni legislative di questa natura. Il Senato non si scioglie, deve durare. Da noi facciamo che duri sei anni e che si rinnovi ogni due anni per un terzo, come accade in America, dove si rinnova ogni due anni, mentre in Francia si rinnova ogni tre anni, pure per un terzo.

Il Senato vuol dire la permanenza di qualche cosa. Nelle nuove istituzioni bisogna conservare sempre qualcosa delle antiche, perché abbiano attrazione sulle masse umane. Io mi sono ribellato prima di tutto all’idea che si chiami «Camera dei senatori». Si chiami Senato! Dobbiamo avere qualcosa che indica la continuità: per questo mi sono permesso di indicare alcune categorie. Prima di tutto quella che sembra ad alcuni tanto strana: ex Presidenti della Repubblica ed ex Presidenti delle Camere legislative, perché ho visto da vicino cosa significa la mancanza di qualcosa che possa in Senato ricordare la spiegazione di avvenimenti che, cinque o sei anni dopo, non si spiegano più dalla maggioranza. Lasciamo dunque che vi siano gli ex Presidenti del Consiglio e, credetemi, non l’ho fatto per causa mia, perché non ho proprio il desiderio di essere senatore. Che vi siano poi gli ex Presidenti della Repubblica è normale. Sapete cosa ha significato in Francia la mancanza di questa disposizione? Gli ex Presidenti del Consiglio e gli ex Presidenti della Repubblica appena cadevano, avevano bisogno di affrontare la lotta elettorale. Poincaré, appena caduto da Presidente della Repubblica, è andato a presentarsi agli elettori come candidato al Senato. Briand ha fatto la stessa cosa. È una necessità, e bisogna trovare il modo di ovviare a questo, per l’esperienza di quello che avviene in altri paesi. Solo Clemenceau ha sbagliato, perché quando non fu eletto Presidente della Repubblica, fu talmente crucciato che non volle essere più nulla. Quando ebbe il più lungo colloquio della sua vita, durato cinque ore (racconterò questo grande avvenimento, ho preso l’impegno di pubblicarlo), passò in rassegna la vita pubblica francese. Non volle essere più nulla e morì crucciato.

Gli ex Presidenti della repubblica e gli ex Presidenti del Consiglio possono far parte del Senato. È una cosa che non offende il suffragio universale, perché rappresenta una necessità contingente chi, con l’esperienza del passato, si rende ancora più evidente. Vi avevo chiesto, quindi, in quelle proposizioni che avevo fatto, che insieme agli ex Presidenti della Repubblica e agli ex Presidenti del Consiglio venissero alcune categorie di uomini che, per la prima ed unica volta, rappresentavano la transazione fra il vecchio e il nuovo, e la creazione di qualcosa che desse la sensazione della continuità.

Dunque, in quanto alla proposta di designare cittadini di alto valore scientifico, per il decoro stesso del Senato (benché il Senato non sia un’Accademia) io riconosco questo, ma bisogna metter fuori il Presidente della Repubblica, che non deve far parte direttamente del Senato. Questa disposizione non vi è in nessuna Repubblica. Il Senato deve vivere della sua vita, deve vivere del suffragio universale. Può avere alcune categorie designate nella legge, transitoriamente, ma non può in nessuna guisa il Presidente della Repubblica entrare in questa materia.

Permettete, signori, io sono l’uomo che ha nominato più Senatori, l’unico credo che ha avuto il coraggio di fare in una sola lista 96 Senatori. È un fatto di orgoglio. Tutti i Presidenti del Consiglio che non hanno coraggio, non fanno Senatori. I tre Presidenti del Consiglio degli ultimi anni della monarchia che hanno nominato Senatori sono stati Giolitti, Salandra ed io, perché ne assumevamo la responsabilità. I Presidenti del Consiglio che esitavano, non facevano Senatori, perché promettevano a tutti il Senato e facevano tante promesse che poi non potevano mantenere. La prima condizione per mantenerle era quella di non farne. Ho avuto una grande soddisfazione: l’unico Presidente del Consiglio che negli ultimi trent’anni ha nominato Senatori. Giolitti vide respinte buona parte delle sue nomine e lo stesso Mussolini, nella sua onnipotenza, in certi momenti ha visto nomine di Senatori respinte. Io ho fatto il più gran numero di Senatori, e mai alcuna mia nomina è stata respinta dal Senato.

Io so quindi la delicatezza di questo argomento. Bisogna dare al Senato il carattere di rispettabilità. Bisogna metterlo, soprattutto per quanto riguarda la sua origine, al di fuori del sospetto, e però io non accetto alcuna cosa che conferisca al Presidente della Repubblica il diritto di nominare Senatori. I Senatori non possono essere nominati che per suffragio universale o per designazione indicata da una legge, che disponga vi siano Senatori di alcune categorie per breve tempo o a lungo o indeterminatamente, quando la loro partecipazione sia creduta necessaria. E questa non è una deroga al suffragio universale; questa non è una mancanza ai principî generali; questa è una necessità contingente, soprattutto perché noi formiamo un Senato interamente ex novo in un Paese che per un quarto di secolo si trova sbattuto da tante correnti politiche. Ora, che vi siano alcuni Senatori che non siano di nomina popolare, per suffragio universale, è perfettamente logico e spiegabile. Ma questo deve essere limitato, ed è perciò che io ho proposto che i Senatori siano nominati anche fra ex deputati che abbiano un certo numero di legislature, in modo che possano dare prova di competenza. Quindi io pregherei di entrare in questa decisione: di designare alcune categorie di cittadini, non per elezione, non a suffragio universale, ma per legge, di tal che essi non debbono premere sull’Assemblea, ma siano di utile consiglio e di utile collaborazione. Quindi limito la mia proposta a questo, pregando di tenere fuori il Presidente della Repubblica, perché egli non può agire senza i suoi Ministri né contro i suoi Ministri. Egli non può dar corso a nomine che abbiano carattere politico di parte, e quindi significa metterlo in imbarazzo affidare a lui personalmente la scelta dei Senatori.

Io dunque prego l’Assemblea di consentire che vi siano alcune categorie al di fuori del suffragio universale, ciò che non è deroga, ma è completamento. Sono a disposizione dell’Assemblea se essa vorrà chiedere chiarimento su altre questioni.

ALBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ALBERTI. Quando ho svolto gli emendamenti, ho indicato le ragioni per le quali ritenevo che la nomina dei cinque Senatori a vita potesse essere fatta dal Capo dello Stato, e non ritengo di dover ritornale.su quell’argomento. Ma se ora l’onorevole Nitti pensa che questa nomina da parte del Capo dello Stato possa essere pericolosa, io vorrei chiedere all’Assemblea se non ritiene che questa designazione possa essere fatta eventualmente dallo stesso Senato, perché la designazione di alcuni uomini illustri da parte delle Università, del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione e la nomina di 6 professori di Università, non mi pare corrispondano al concetto che io avevo inteso di racchiudere in questa proposta.

L’ambiente universitario, rispettabilissimo e che tutti noi veneriamo, non esaurisce, mi pare, nel suo campo le illustrazioni nazionali. Se queste illustrazioni nazionali dovessero essere designate fra i professori di Università, dai Consigli superiori delle Università stesse, molti uomini illustri rimarrebbero esclusi. (Interruzione del deputato Nitti).

L’onorevole Nitti dice ora che intende che siano soltanto designati. Diversamente, pensavo che, ad esempio, il nostro collega Benedetto Croce non avrebbe potuto essere compreso fra le illustrazioni nazionali.

CLERICI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CLERICI. L’emendamento, che ho avuto l’onore di presentare insieme ad altri colleghi e che credo debba essere messo in votazione per le stesse ragioni che sono già state esposte precedentemente per analoghi emendamenti da altri colleghi – e alle quali ragioni mi associo –, ha valore di emendamento del penultimo comma dell’emendamento del Presidente Nitti, in quanto l’onorevole Nitti nel penultimo comma del suo emendamento dice: «Fanno parte del Senato il Presidente della Corte di cassazione di Roma (debbo rilevare che da tempo una sola è la Corte di cassazione), il Presidente del Consiglio di Stato, il Presidente della Corte dei conti e sei professori nominati dal Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione»; mentre il mio emendamento suona così: «Sono senatori di diritto durante l’esercizio del loro ufficio (tale limitazione è un concetto che completa la proposta, e che forse è implicito, ma comunque è bene che sia esplicito, in quella del Presidente Nitti) il Primo Presidente della Corte di cassazione, il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione, il Presidente della Corte dei Conti, l’Avvocato Generale dello Stato, il Presidente del Consiglio nazionale delle ricerche, il Presidente dell’Accademia dei Lincei, il Capo di Stato Maggiore generale».

Ben poco ho da dire per spiegare il mio emendamento: le più alte cariche amministrative dello Stato – alcune neanche in senso proprio, perché l’Accademia dei Lincei è fuori dell’ambito delle Amministrazioni dello Stato – avrebbero, in tal modo, nella seconda Camera una voce, la voce della competenza e della autorevolezza, sia pure ridotta al minimo possibile. Ma queste sette voci, per le ragioni che sono state dette dai colleghi che mi hanno preceduto, devono a mio parere, stare nel Senato, senza che si turbi con ciò il principio generale che, per la massima parte, il Senato è eletto a suffragio universale.

Ricordo un solo esempio analogico: nella Camera dei Comuni inglese, come tutti i colleghi sanno e mi insegnano, accanto agli eletti dei borghi e delle contee, hanno sempre seduto i rappresentanti delle dieci o dodici Università del Regno Unito.

PAJETTA GIAN CARLO. Erano due le Università.

CLERICI. No: sono esattamente dodici quei deputati. Ora per quanto si sia, attraverso i secoli, modificato il sistema elettorale inglese, partendo dai borghi putridi per arrivare attraverso la legge del 1832 ed a quelle del 1867 e del 1884 fino al suffragio universale il più esteso, della legge 1918, completata nel 1928, malgrado questa vasta evoluzione, nessuno – che io sappia – ha mai contrastata e, comunque, è rimasta sempre ferma nella Camera dei Comuni inglese, la rappresentanza delle Università. Il che vuol dire che quel popolo, nel quale sempre è fiorita la libertà e in cui man mano si è fondata, estesa e consolidata la più autentica democrazia, non ha mai ritenuto che avesse carattere eterogeneo la rappresentanza di tali ambasciatori del pensiero, della cultura, dell’alta amministrazione della cosa pubblica entro il Parlamento, anzi proprio entro la Camera elettiva, popolare per eccellenza.

Per questa ragione, credo non costituisca una anomalia quanto io propongo.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Presento all’Assemblea il seguente emendamento aggiuntivo firmato anche dai colleghi La Rocca, Togliatti, Moranino, Dozza, Nenni, Minella Angiola, Mattei Teresa, Iotti Leonilde e Montagnana Rita:

«I deputati alla Costituente che abbiano sofferto almeno cinque anni di carcere per una condanna del tribunale speciale per motivi politici sono senatori di diritto del primo Senato della Repubblica». (Commenti).

PRESIDENTE. Facciano silenzio, onorevoli colleghi.

LACONI. Non credo vi sia motivo che io illustri il mio emendamento. Diceva poco fa l’onorevole Clerici, a proposito di un suo emendamento, che esso si illustrava da sé: si trattava della nomina nel primo Senato della Repubblica del Presidente dell’Accademia dei Lincei, di magistrati e di generali. Tanto meno quindi reputo sia necessario illustrare un emendamento il quale chiama a far parte del primo Senato della Repubblica quegli uomini che, unici forse, hanno acquistato diritto a farne parte, dopo avere sofferto per la difesa della democrazia e delle libertà popolari.

Voglio anche far notare che nel mio emendamento si riconosce questo diritto soltanto a coloro i quali, ritrovandosi nella condizione su accennata, siano stati nel tempo stesso membri di questa Assemblea, che abbiano cioè anche avuto una investitura popolare. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, mi pare, dagli intervenuti che abbiamo ascoltato, che, in linea generale, prevalga nell’Assemblea il criterio che, fermo restando il carattere elettivo fondamentale del Senato, esso non si opponga all’inclusione nel Senato stesso di senatori i quali ripetano altrimenti la loro autorità e la loro nomina.

Abbiamo sentito parecchi oratori in proposito; ed io penso che, di fronte a questa manifestazione di volontà diffusa, sebbene non abbracciante proprio tutti i settori dell’Assemblea, si possa a buon diritto considerare che il silenzio dei pochi non abbia tale peso da farci ritenere senz’altro respinto questo criterio.

E, pertanto, possiamo mettere in votazione la serie di proposte che sono state avanzate in ordine all’immissione nel Senato di un certo numero di senatori che non ripetano dall’elezione la propria nomina considerandole partitamente. Si tratta degli emendamenti presentati, e questa sera sviluppati, dagli onorevoli Alberti, Clerici, Nitti e Laconi.

Se pertanto non vi sono obiezioni da fare al riguardo o altre considerazioni da svolgere, esaminiamo senz’altro allora le singole categorie proposte per quest’ammissione di diritto al Senato.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Si tratta di due distinte questioni: quella del diritto a vita e quella dell’ammissione al primo Senato della Repubblica.

PRESIDENTE. È esatto, si tratta di due questioni diverse: quella che contempla la norma permanente e quella dell’ammissione valida soltanto per la prima costituzione del Senato. Bisognerà poi vedere ancora se questa immissione è a vita o soltanto per il periodo di mandato del primo Senato della Repubblica.

A questo proposito, vi sono delle proposte formulate dall’onorevole Nitti, dall’onorevole Alberti, dall’onorevole Clerici e dall’onorevole Laconi.

Propone l’onorevole Nitti – e assieme a lui anche l’onorevole Alberti – che facciano sempre parte di diritto del Senato gli ex Presidenti della Repubblica e gli ex Presidenti del Consiglio. Aggiunge l’onorevole Alberti anche gli ex Presidenti delle Assemblee legislative. L’onorevole Alberti pone tuttavia una condizione per i Presidenti del Consiglio e i Presidenti delle Assemblee legislative, e cioè che essi abbiano ricoperto la carica, sia pure non in forma continuativa, almeno per un anno. L’onorevole Nitti a questo proposito non pone condizioni.

Si tratta di votare innanzitutto su questo quesito: se gli ex Presidenti della Repubblica debbano far parte di diritto del Senato.

E mi pare implicito, che, per queste persone, l’ammissione al Senato sia ammissione di carattere permanente, a vita, e non soltanto temporanea. Ed è per questa ragione che questa norma deve essere inclusa nel testo della Costituzione, e non fra le norme transitorie. Mentre ritengo che le disposizioni relative al primo Senato della Repubblica debbano essere inserite fra le norme transitorie.

Pongo in votazione, quindi, la proposta che gli ex Presidenti della Repubblica facciano parte di diritto del Senato.

(È approvata).

Ed ora, onorevoli colleghi, pongo in votazione la proposta che gli ex Presidenti del Consiglio e gli ex Presidenti delle Assemblee legislative – e qui entra in funzione l’emendamento-condizione Alberti, per cui è richiesto che abbiano ricoperto la carica almeno per un anno, anche se non continuativamente – debbano far parte del Senato.

L’onorevole Nitti non pone tale condizione. Ritengo che occorra dapprima votare l’emendamento dell’onorevole Alberti. È d’accordo l’onorevole Nitti?

NITTI. Sì, sono d’accordo.

NENNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NENNI. Posso chiedere, per cortesia, una spiegazione?

PRESIDENTE. Dica, onorevole Nenni.

NENNI. Desidero sapere se si tratta dei Presidenti del Consiglio dopo la proclamazione della Repubblica o anche prima della proclamazione della Repubblica.

PRESIDENTE. Chiedo ai proponenti di voler specificare, rispondendo al quesito posto dall’onorevole Nenni. Ha facoltà di parlare l’onorevole Alberti.

ALBERTI. A partire dalla proclamazione della Repubblica: questa è una proposta la quale dovrebbe essere integrata con l’altra proposta, di carattere transitorio, che riguarda gli ex Presidenti del Consiglio in passato. Questa dovrebbe riguardare la norma per l’avvenire, da inserire nella Costituzione. Per quel che riguarda gli ex Presidenti del Consiglio nel passato, v’è la norma transitoria, che sarà proposta dopo, e che riguarda anche i deputati con tre legislature. In quel provvedimento sono compresi gli ex Presidenti del Consiglio che fanno parte della Costituente. Questa riguarda gli ex Presidenti del Consiglio per l’avvenire.

PRESIDENTE. L’onorevole Nitti ha facoltà di rispondere al quesito posto dall’onorevole Nenni.

NITTI. Ex Presidenti del Consiglio vuol dire uomini che hanno occupato questo posto prima e dopo, perché non si può ammettere che – come Orlando ed io, per esempio, che siamo stati Presidenti del Consiglio prima e non dopo – questi uomini, dicevo, non abbiano il diritto di entrare in Senato, quando la designazione degli ex Presidenti del Consiglio è fatta proprio per esprimere quella continuità e per avere fonti di informazione e fonti di illustrazione di avvenimenti da coloro che ne furono i principali responsabili.

Quindi, quando io parlo di ex Presidenti del Consiglio, voglio dire prima e dopo; naturalmente, escludendo quelli che furono Presidenti del Consiglio durante un regime eccezionale. Di quelli non si discute.

Se volete aggiungere «che facciano parte dell’Assemblea Costituente» non è necessario. Ma può sembrare anche, se si fa questa indicazione, una specie di privilegio, una specie di onore fatto a quelli che sono nella Costituente.

In quanto alla indicazione chiesta dall’onorevole Laconi, ne parleremo dopo. Non credo che essa sia necessaria. Si può essere un eroe, si possono aver resi grandi servizi alla Patria, si può essere anche disposti a renderne ancora, ma si può essere anche incompetentissimi. Qui dobbiamo invece fare un Senato di uomini competenti e capaci.

Quindi, io credo che, per quanto riguarda i Presidenti del Consiglio, debba trattarsi di una nomina permanente, e non per la prima legislatura, perché ritengo che gli ex Presidenti della Repubblica come gli ex Presidenti del Consiglio, appunto per una ragione di capacità personale e come fonte di informazione e di illustrazione, debbano essere chiamati permanentemente a far parte del Senato. Sono così pochi che non rappresentano certo dei concorrenti.

PRIOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PRIOLO. Io comprendo le preoccupazioni dei colleghi: si teme, e fondatamente, che, usando una dizione generica, diventerebbero senatori di diritto anche persone che noi tutti vogliamo e dobbiamo escludere, ed i cui nomi non faccio perché abbastanza noti.

Ritengo perciò che sarebbe sufficiente inserire nel testo della norma transitoria le seguenti parole «e che abbiano fatto parte dell’Assemblea Costituente».

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Ho chiesto di parlare soltanto per un chiarimento. All’onorevole Nitti io vorrei precisare che dal mio ordine del giorno sono avvantaggiati soltanto quegli ex condannati politici che facciano già parte di questa Assemblea. Quindi la questione di competenza non si pone.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Osservo che è estremamente delicato discutere di membri di questa Assemblea i quali avrebbero immediatamente il diritto di essere senatori senza essere eletti. Ora, come quando si tratta di questioni di persone, io credo che noi non possiamo in nessun modo votare per alzata e seduta, ma solamente a scrutinio segreto. (Approvazioni).

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Mi riferisco alla proposta aggiuntiva fatta dall’onorevole Priolo, e capisco la ragion d’essere che la promuove. Però essa presenta un inconveniente: i futuri Presidenti del Consiglio, che naturalmente non avranno fatto parte dell’Assemblea Costituente, non saranno così senatori.

PRIOLO. Si può fare una norma transitoria.

PRESIDENTE. Onorevole Bozzi, v’è la possibilità di risolvere la questione.

Poiché tutti condividono le ragioni che suggeriscono la ricerca di una formulazione che ponga al riparo il futuro Senato dall’obbligo di accogliere elementi non desiderati, non si tratta più qui di discutere sul merito, ma sulla formula da adoperare. Credo che la questione si possa risolvere ponendo nel testo della Costituzione la disposizione per cui i Presidenti della Repubblica e i Presidenti del Consiglio, che di diritto fanno parte del Senato, siano quelli che hanno ricoperto queste cariche dopo la proclamazione della Repubblica: questo dovrebbe essere stabilito in una norma permanente. Nelle norme transitorie dovrebbe poi mettersi una disposizione per la quale facciano parte di diritto del Senato i Presidenti del Consiglio che sono stati anche membri dell’Assemblea Costituente. E questi sono per l’appunto quelli che tutti pensano debbano essere inclusi nel Senato; mentre gli altri che tutti pensano che debbano essere esclusi…

CONDORELLI. Onorevole Presidente, non dica che tutti pensano che debbano essere esclusi. (Commenti – Interruzioni).

PRESIDENTE. Onorevole Condorelli, prendo senz’altro atto della sua eccezione. Comunque, per le ragioni dette, penso che una formula come quella da me proposta possa risolvere la questione.

Onorevoli colleghi, tengano presente che vi è anche la limitazione posta dall’onorevole Alberti, il quale propone che il Presidente del Consiglio ed i Presidenti delle Assemblee legislative facciano parte del Senato quando abbiano ricoperto almeno per un anno, seppure non continuativamente, la carica.

ALBERTI. Rinuncio a questa condizione.

PRESIDENTE. Sta bene. Allora la formula da porre in votazione sarebbe la seguente:

«… gli ex Presidenti del Consiglio e gli ex Presidenti delle Assemblee legislative che abbiano ricoperto la carica dopo la proclamazione della Repubblica».

Poi si dovrebbe votare la norma transitoria.

BADINI CONFALONIERI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BADINI CONFALONIERI. Sono perfettamente d’accordo nella sostanza, ma per la forma, anziché dire «dopo la proclamazione della Repubblica» basterebbe dire «saranno pure senatori, ecc…».

RODI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RODI. Io credo che nell’articolo costituzionale bisogna fissare soltanto il principio di coloro che devono far parte di diritto del Senato, e solo nelle norme transitorie tratteremo tutti questi particolari che sono ora in discussione. Quindi io penso che nell’articolo costituzionale si debba fissare soltanto e semplicemente il principio.

PRESIDENTE. Questa inclusione degli ex Presidenti del Consiglio e degli ex Presidenti delle Assemblee legislative non può essere considerata una disposizione transitoria. Se viene accettata, infatti, varrà non solo per gli attuali Presidenti ma anche per i futuri.

RODI. Appunto per questo. Nell’articolo costituzionale si dirà: gli ex Presidenti della Repubblica, gli ex Presidenti del Consiglio, gli ex Presidenti dell’Assemblee legislative fanno parte di diritto del Senato.

Nelle norme transitorie tratteremo questi argomenti particolari.

PRESIDENTE. Anche questa può essere una soluzione. Del resto, nel concetto si è concordi. Bisogna adesso passare alla votazione.

CIBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Io faccio fin d’ora riserva sopra queste votazioni perché noi in realtà votiamo per delle persone. (Interruzioni – Commenti).

PRESIDENTE. L’onorevole Uberti insiste nella sua richiesta che si proceda alla votazione a scrutinio segreto per tutte quelle categorie di membri di diritto del Senato i quali facciano parte di questa Assemblea.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. L’osservazione dell’onorevole Uberti può essere considerata come fondata per quel che concerne le categorie che verranno dopo; ma per quel che concerne gli ex Presidenti del Consiglio e gli ex Presidenti di Assemblea non credo che la votazione per scrutinio segreto possa essere influenzata dal fatto che, mettendoceli tutti, non ci sono che quattro persone in questa situazione. Perciò l’importante è di accettare il principio dell’onorevole Uberti per le successive votazioni; ma per gli ex Presidenti di Assemblea e gli ex Presidenti del Consiglio possiamo votare tranquillamente.

PRESIDENTE. L’onorevole Perassi propone che si dica: «Gli ex Presidenti dei Consigli dei Ministri e delle Assemblee legislative della Repubblica», lasciando alle norme transitorie tutte le altre specificazioni.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Penso che le nostre decisioni, se procederemo in questo modo affrettato e caotico, non potranno rispondere a nessuna concezione armonica ed a nessuna esigenza logica. Proporrei, poiché siamo giunti alle sette e mezzo, che la seduta venisse sospesa in modo che domani mattina le diverse correnti e i diversi presentatori di ordini del giorno, dopo essersi accordati, possano presentare proposte concrete.

PRESIDENTE. Onorevole Laconi, non per l’argomentazione un poco strana dell’onorevole Moro, ma perché non vedo una giustificazione valida della sua proposta, non ritengo di poterla accettare. Abbiamo sotto gli occhi tutti gli emendamenti. Si tratta di coordinare le varie proposte e di riunirle in pochi gruppi, che si possono successivamente votare.

La proposta di scrutinio segreto dell’onorevole Uberti si riferisce soltanto a quelle categorie nelle quali siano compresi membri di questa Assemblea. Le altre proposte possono rientrare in una norma transitoria; e avremo quattro o cinque proposte diverse su cui votare. Penso che possiamo questa sera concludere le votazioni sulle categorie di coloro per i quali si propone, per la loro carica, un diritto permanente ad appartenere al Senato; mentre domattina potremo procedere alla votazione per le categorie di coloro che avranno il diritto di partecipare al primo Senato, per le quali l’onorevole Uberti ha chiesto la votazione a scrutinio segreto e delle quali forse il Comitato di redazione potrà domani presentare un elenco più ordinato.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Mi sembra che il Presidente abbia limitato alle proposte relative alle norme transitorie le votazioni per scrutinio segreto.

Ritengo, invece, che, ogniqualvolta vi sia la possibilità per un membro di questa Assemblea di essere incluso in quelle categorie, perché gli altri membri abbiano piena libertà di votare, si debba votare a scrutinio segreto. (Commenti a sinistra).

PRESIDENTE. Onorevole Uberti, io sonò sicuro che lei ha letto attentamente tutti gli emendamenti; ed allora le sarei grato se mi indicasse una delle categorie proposte per l’appartenenza permanente al Senato, i cui componenti si trovano in questa Assemblea.

UBERTI. Il Presidente del Consiglio, per esempio.

PRESIDENTE. Ma abbiamo trovato una formula di carattere generale.

UBERTI. È lo stesso. L’onorevole De Gasperi sarebbe senatore di diritto; anche lei, come Presidente dell’Assemblea, sarebbe senatore di diritto.

PRESIDENTE. Sta bene. Dunque, lei desidera la votazione a scrutinio segreto? Ma lei sa come la deve richiedere.

UBERTI. C’è la domanda.

PRESIDENTE. Le faccio osservare che la domanda si deve presentare partitamente ad ogni votazione che viene indetta e che non si può presentare una domanda permanente e globale per tutta una serie di votazioni a scrutinio segreto.

UBERTI. Allora, quella domanda vale per la prima votazione. La presenterò per le altre.

PRESIDENTE. Sta bene, onorevole Uberti; ma certi atti procedurali non si dovrebbero compiere in forma così familiare.

Onorevoli colleghi, passiamo alla votazione.

Gli onorevoli Uberti, Gronchi, Fantuzzi, Moro, Turco, Cappi, Castelli, Bianchini Laura, Salizzoni, De Unterrichter Maria, Lazzati, Fabriani, Dossetti, Ferrarese, Delli Castelli Filomena, Nicotra Maria, Cimenti, De Palma, Bastianetto e Colombo, hanno chiesto lo scrutinio segreto per la votazione della seguente formula:

«Sono pure senatori di diritto e a vita gli ex Presidenti del Consiglio e gli ex Presidenti delle Assemblee legislative della Repubblica».

Faccio presente ai colleghi, perché possano valutare il loro voto, che vi è poi da votare un comma il quale dice: «A tale diritto si può rinunciare, purché la rinuncia sia fatta ecc.».

CLERICI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CLERICI. Non si può fare un’unica votazione aggiungendo alla prima formula le parole: «salvo rinuncia»?

ALBERTI. Accetto.

PRESIDENTE. Si può infatti votare in un unico contesto. Onorevoli colleghi, su proposta dell’onorevole Clerici, la votazione avverrà su questa formula: «Sono pure senatori di diritto e a vita gli ex Presidenti del Consiglio e gli ex Presidenti delle Assemblee legislative della Repubblica, salvo rinuncia».

La legge dovrà poi stabilire come e quando la rinuncia deve essere manifestata.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Indico la votazione a scrutinio segreto.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione e invito gli onorevoli Segretari a procedere al computo dei voti.

(Gli onorevoli Segretari procedono al computo dei voti).

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto:

Presenti e votanti     376

Maggioranza           189

Voti favorevoli        167

Voti contrari            209

(L’Assemblea non approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Adonnino – Alberti – Aldisio – Allegato – Ambrpsini – Amendola – Andreotti – Arata – Arcangeli – Assennato – Azzi.

Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basso – Bastianetto – Bazoli – Bei Adele – Bellato – Belotti – Bencivenga – Benvenuti – Bergamini – Bernabei – Bernamonti – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bruno – Bianchini Laura –Bibolotti – Binni – Bitossi – Bocconi – Boldrini – Bolognesi – Bonino – Bonomelli – Bonomi Paolo – Bordon – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bosi – Bovetti – Bozzi – Braschi – Brusasca – Bulloni Pietro – Burato.

Cacciatore – Caccuri – Calamandrei – Camposarcuno – Candela – Canevari – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Carbonari – Carboni Angelo – Carboni Enrico – Carignani – Caristia – Caronia – Carratelli – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Castiglia – Cavallari – Cavalli – Cavallotti – Cerreti – Chatrian – Chiarini – Chieffi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cifaldi – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsi – Cortese – Costa – Costantini – Cotellessa – Covelli – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo – Cuomo.

D’Amico – D’Aragona – De Caro Gerardo – De Caro Raffaele – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Di Vittorio – Dominedò – Donati – D’Onofrio – Dossetti – Dozza.

Ermini.

Fabbri – Fabriani – Faccio – Fanfani – Fantoni – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Ferreri – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Fioritto – Flecchia – Foa – Fogagnolo – Foresi – Fornara – Franceschini – Froggio – Fuschini.

Galati – Gallico Spano Nadia – Gasparotto – Gavina – Germano – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Ghislandi – Giacchiero – Giacometti – Giolitti – Giua – Gonella – Gorreri – Gotelli Angela – Grazia Verenin – Grieco – Grilli – Guariento – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jacometti – Jervolino.

Labriola – Laconi – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Lazzati – Leone Francesco – Leone Giovanni – Lettieri – Li Causi – Lizier – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo – Lombardo Ivan Matteo – Longo – Lozza – Lucifero – Lussu.

Maffi – Magnani – Maltagliati – Malvestiti – Mancini – Manzini – Marazza – Mariani Enrico – Marinaro – Martinelli – Marzarotto – Massini – Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mastrojanni –     Mattarella – Mattei Teresa – Mazza – Mazzoni – Meda Luigi – Mentasti – Merlin Angelina – Merlin Umberto – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molè – Molinelli – Momigliano – Montagnana Mario – Montagnana Rita – Monterisi – Monticelli – Montini – Morandi – Moranino – Morelli Luigi – Morelli Renato – Moro – Mortati – Moscatelli – Mùrdaca – Murgia – Musolino.

Nasi – Negarville – Negro – Nenni – Nicotra Maria – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Noce Teresa – Notarianni – Novella – Numeroso.

Pacciardi – Pajetta Gian Carlo – Pajetta Giuliano – Pallastrelli – Paratore – Pastore Giulio – Pastore Raffaele – Pat – Patricolo – Pecorari – Pella – Pellegrini – Penna Ottavia – Pera – Perassi – Persico – Pertini Sandro – Perugi – Pesenti – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Ponti – Preti – Preziosi – Priolo – Proia – Pucci.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Raimondi – Rapelli – Ravagnan – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Restagno – Rivera – Rodi – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Romano – Romita – Roselli – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Roveda – Rubilli – Ruggeri Luigi – Ruini – Rumor.

Saccenti – Salizzoni – Sampietro – Scalfaro – Scarpa – Scelba – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Francesco – Secchia – Segala – Sereni – Siles – Silipo – Silone – Simonini – Spallicci – Spano – Spataro – Stampacchia – Stella.

Tambroni Armaroli – Targetti – Taviani – Tega – Terranova – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Togni – Tonello – Tonetti – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Trimarchi – Tripepi – Turco.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Vanoni – Venditti – Vernocchi – Veroni – Viale – Vicentini – Vigna – Villabruna – Villani.

Zaccagnini – Zanardi – Zerbi – Zotta – Zuccarini.

Sono in congedo:

Angelini.

Cairo – Carmagnola – Caroleo – Cevelotto.

De Vita – Dugoni.

Jacini.

Mannironi – Martino Enrico – Martino Gaetano.

Perrone Capano – Porzio.

Russo Perez.

Il seguito della discussione è rinviato a domani.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Sono pervenute alla Presidenza alcune interrogazioni con richiesta d’urgenza.

La prima è dell’onorevole Caronia:

«Al Ministro dei trasporti, per conoscere se sia esatta la notizia pubblicata dall’agenzia ARI circa il blocco operato a Napoli da parte degli operai degli stabilimenti Avis dei vagoni ferroviari carichi di prodotti ortofrutticoli di primissima scelta e di altri generi deperibili, che in conseguenza sono andati perduti. Il sistema di risolvere questioni di lavoro particolari con azioni tali da produrre danno ad intere popolazioni, oltre a produrre un danno notevole all’economia generale, mette i siciliani nella dolorosa condizione di non poter fare affidamento nei mezzi legali per azionare i loro traffici con il Nord Italia».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Ne darò notizia al Ministro competente.

PRESIDENTE. E stata presentata la seguente altra interrogazione:

«Al Ministro dell’interno, per conoscere i motivi per cui si è rifiutata all’amministrazione del Pio Istituto Santo Spirito ed Ospedali riuniti di Roma l’autorizzazione a contrarre con la Cassa depositi e prestiti un mutuo di lire 400.000.000 per completare e mettere in efficienza l’Ospedale sanatoriale Monte Mario, ospedale di urgente necessità per sgombrare i congestionati ospedali di Roma delle molte centinaia di ammalati di tubercolosi, che limitano la disponibilità dei posti-letto per le malattie per cui si richiede più immediata assistenza, e costituiscono un pericolo per gli altri infermi.

«Caronia, Dominedò, Di Fausto, Angelucci, Giordani, Orlando Camillo, Corsanego, Guidi Cingolani Angela, De Palma, Bonomi Paolo».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere a questa interrogazione.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Non ne riconosco l’urgenza.

PRESIDENTE. L’interrogazione sarà allora iscritta all’ordine del giorno e svolta a suo turno.

Segue una interrogazione dell’onorevole Benedettini:

«Al Ministro dell’interno, per conoscere quali provvedimenti siano stati presi contro quel gruppo di 30 comunisti, che martedì 7 ottobre, in Roma, alla fine di un comizio monarchico, hanno aggredito 5 studenti, producendo ai giovani Ponzani Umberto, di 17 anni, e Spica Giacomo, di 21, iscritti all’Unione monarchica italiana, ferite lacero-contuse e contusioni multiple, e per conoscere inoltre quali preventive precauzioni intenda adottare per garantire le libertà democratiche e le manifestazioni politiche contro i metodi dell’azione diretta».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Qualora risultassero completate le indagini, il Governo risponderà nella seduta pomeridiana di domani.

PRESIDENTE. Segue la seguente altra interrogazione:

«Al Ministro di grazia e giustizia, per conoscere se intenda provvedere alla proroga del decreto legislativo luogotenenziale 10 agosto 1944, n. 194 (che cesserà di avere vigore il 15 ottobre 1947), particolarmente per la parte concernente la scarcerazione per perenzione dell’arresto, ripristinata in ossequio ai principî democratici della giustizia penale.

«Per conoscere, inoltre, se intenda, nel provvedimento legislativo di proroga, disporre che le ordinanze in tema di scarcerazione automatica siano suscettibili di ricorso per Cassazione, in ossequio al principio (d’imminente consacrazione costituzionale) dell’indefettibilità del sindacato della Corte di cassazione su tutti i provvedimenti giurisdizionali.

«Leone Giovanni, Mastino Gesumino, Numeroso, Scoca, Notarianni, De Martino, Bettiol, Federici Maria, Condorelli, Riccio Stefano, Persico, Gasparotto, Arata, Rossi Paolo, Carboni Angelo, Targetti, Patricolo».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere a questa interrogazione.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Non ne riconosco l’urgenza.

LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LEONE GIOVANNI. Vi è una data, quella del 15 ottobre, alla quale cessa di aver vigore il decreto legislativo del quale si chiede la proroga.

PRESIDENTE. Comunicherò l’interrogazione al Ministro competente.

Do, infine, lettura della seguente altra interrogazione:

«Al Ministro dell’interno, sulle violenze commesse durante la campagna elettorale in Roma contro candidati del P.S.L.I. e in particolare modo sull’aggressione organizzata contro un membro dell’Assemblea Costituente, l’onorevole Matteotti; e per sapere quali urgenti disposizioni intenda prendere per assicurare le libertà di riunione, di parola e di voto.

«Rossi Paolo, Lami Starnuti, Segala, Mazzoni, Carboni Angelo, Persico».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio. Anche per questa interrogazione, il Governo risponderà nella seduta pomeridiana di domani qualora al Ministero competente risultassero completate le indagini.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dei lavori pubblici e dei trasporti, per conoscere come e quando intendano sodisfare le legittime ed urgenti aspirazioni delle popolazioni calabresi, sempre neglette ed abbandonate, della zona compresa tra Soverato, Gioiosa Ionica, Vibo Valentia e Francavilla Angitola, che, da decenni, reclamano il congiungimento del versante tirrenico con quello ionico, mediante la costruzione di opportuni tronchi ferroviari a scartamento ridotto, e l’allacciamento tra di loro dei molti comuni della zona, mediante tronchi stradali, onde assicurare le condizioni essenziali per il loro sicuro sviluppo agricolo, industriale, minerario e turistico, che toglierà quelle nobili popolazioni dalle odierne deplorevoli condizioni sociali.

«Mancini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dei lavori pubblici e dell’interno, per conoscere quali urgenti provvedimenti intendano adottare per eliminare l’arbitraria azione dell’Azienda autonoma acquedotto di San Remo che, attualmente, esegue lavori di escavazione di pozzi sulla sinistra del torrente Argentina in Riva Ligure (Imperia), tendenti all’accaparramento delle acque del sottosuolo, che su tale lato appartengono esclusivamente alla popolazione del comune di Riva Ligure, costituita nella maggior parte di piccoli coltivatori di fiori, ed utilizzate come materia prima ed insostituibile di tale industria, da oltre quaranta anni, con piena soddisfazione di tutti, mediante un triplice complesso di opere consistente nell’acquedotto consorziale di Riva, nell’acquedotto Gazzano e nei numerosissimi pozzi privati muniti di impianto irriguo proprio, i quali ultimi, in dipendenza di detti lavori, si sono completamente essiccati con l’immenso e comprensibile danno alle coltivazioni esistenti.

«Si richiama particolarmente l’attenzione sulla improrogabile necessità che venga posto fine ad un tale stato di cose che, manifestandosi deleterio agli interessi di un intero paese, reca vivo malcontento verso le autorità competenti in tutta la popolazione della zona. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rodinò Mario».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se non ritenga necessario promuovere un provvedimento legislativo che assicuri l’allontanamento di obiettivi di carattere militare da complessi monumentali di interesse artistico e storico.

«La guerra recente ha dimostrato le irrimediabili conseguenze di una promiscuità perniciosa, anche in tempo di pace, alla conservazione ed alla sicurezza del patrimonio artistico nazionale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Di Fausto».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri della difesa e della pubblica istruzione, per sapere se, in attesa di un auspicato provvedimento di carattere generale, non ritengano opportuna la completa dismissione della caserma adiacente alla insigne Basilica di Santa Giustina in Padova, col ritorno del residuo edificio al demanio che potrebbe procedere all’eventuale restituzione ai monaci, in vista della necessità di dare adeguata sistemazione ai numerosi studenti universitari rifugiati in Padova, in conseguenza della guerra.

«Il complesso della Basilica, del Monastero, e dell’adiacente zona archeologica romana-paleo-cristiana, tutelato dalla dichiarazione di monumento nazionale, non consente una ulteriore promiscuità di uso, anche per la necessità evidente di allontanare definitivamente obiettivi di carattere militare, da monumenti di importanza artistica e storica. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Di Fausto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per conoscere se non ritenga opportuna l’emanazione di un provvedimento, che conceda, sia pure con le cautele del caso, la sanatoria ai mutilati ed invalidi di guerra, i quali, in seguito alla particolare ed eccezionale situazione determinatasi nel territorio dello Stato durante e dopo il conflitto, non hanno presentato, od hanno tardivamente presentato, il ricorso entro i prescritti novanta giorni dalla notifica del decreto negativo o inadeguato, oppure non hanno chiesto, od hanno tardivamente chiesto, la fissazione di udienza entro un anno dalla notifica delle conclusioni da parte del procuratore generale.

«L’interrogante considera atto di doverosa clemenza della Patria, verso chi per essa ha versato generosamente il sangue ed ha sacrificato la salute, l’offerta della possibilità di rientrare nei termini lasciati infruttuosamente scadere o per materiale impossibilità da parte degli interessati di provvedere in tempo alla tutela dei loro interessi o per comprensibile ignoranza delle disposizioni di legge. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Pat».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri del tesoro e di grazia e giustizia, per conoscere le ragioni della non ancora avvenuta emanazione del provvedimento legislativo di estensione agli appartenenti al Corpo degli agenti di custodia – per recente disposizione di legge chiamati a far parte delle Forze armate dello Stato – dei beneficî che loro competono, a mente di quanto stabilito dall’articolo 2, terzo capoverso, del decreto legislativo luogotenenziale 21 novembre 1945, n. 722, tenuto presente il delicato servizio loro affidato e le condizioni di grave disagio morale ed economico in cui si trovano a vivere attualmente. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Ghidetti».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 20.20.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 11 e alle ore 16:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

ANTIMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 8 OTTOBRE

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCXLIX.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 8 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedi:

Presidente

Comunicazione del Presidente:

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Vigna

Dominedò

Bozzi

Targetti

Nitti

Mortati

Lussu

Togliatti

Badini Confalonieri

Reale Vito

Moro

Pignatari

Lucifero

Candela

Votazione nominale:

Presidente

Risultato della votazione nominale:

Presidente

La seduta comincia alle 11.

AMADEI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati Caroleo e Simonini.

(Sono concessi).

Comunicazione del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che, in sostituzione del compianto onorevole Modigliani, ho chiamato l’onorevole Romita a far parte della Giunta per il Regolamento interno.

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Riprendiamo l’esame dell’articolo 55.

VIGNA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VIGNA. Onorevoli colleghi; io penso che sia indispensabile in questo momento richiamarci ai veri limiti della discussione nella quale ci siamo intrattenuti ieri sera, limiti che sono stati reiteratamente precisati dall’illustre nostro Presidente, che sono stati precisati anche dal Presidente della Commissione dei settantacinque, ma dai quali vari oratori sono andati via via discostandosi.

La questione che ci interessa si concreta in un quesito: se, cioè, dopo le deliberazioni dell’Assemblea di rigetto dell’ordine del giorno dell’onorevole Perassi e di approvazione dell’ordine del giorno dell’onorevole Nitti, sia sorta, o quanto meno sia sorta entro determinati limiti, una preclusione all’ulteriore deliberazione da parte dell’Assemblea sulle ipotesi formulate dall’articolo 55 del Progetto. L’ordine del giorno dell’onorevole Perassi è stato respinto in toto nella sua formulazione concreta e quindi io penso non sia consentito un ulteriore esame e tanto meno ulteriori decisioni su questo ordine del giorno. Onde la questione si restringe all’esame del contenuto dell’ordine del giorno dell’onorevole Nitti e dell’articolo 55 del Progetto.

Con l’approvazione dell’ordine del giorno dell’onorevole Nitti l’Assemblea afferma che il Senato, nella sua entità unica, indivisibile, dovrà essere eletto a suffragio universale e diretto. Dico nella sua entità unica e indivisibile perché non è concepibile che si possa frazionare il Senato, e che una parte di esso possa venire eletta ai sensi dell’ultimo comma dell’articolo 55 ed un’altra parte venga eletta, invece con suffragio universale diretto…

PRESIDENTE. Onorevole Vigna, mi permetta, il suo riassunto e la sua esposizione sono molto interessanti, ma ho l’impressione che lei ci faccia fare un passo indietro perché ieri sera, per bocca di numerosi colleghi, si è già ampiamente discusso questo punto – si era giunti almeno a precisarne i termini concreti. Non so se sia veramente necessario, per l’andamento della nostra discussione, che lei in questo momento riprenda una tesi già tanto dibattuta, suffragandola con nuovi argomenti. Io mi ero ripromesso, riprendendo oggi i nostri lavori, di partire dal punto acquisito per modo che si potesse discutere su qualche cosa di determinato. Ma ho l’impressione che lei ci ripiombi in pieno nella discussione di ieri sera.

VIGNA. Ogni sua osservazione per me è un ordine. Vuol dire che salterò quella parte che tende a dimostrare come effettivamente, su parte dell’articolo 55, sia intervenuta quella preclusione di cui lei ha fatto cenno ieri sera. Ma a me pare che in questo momento la questione di maggiore importanza che noi dobbiamo affrontare sia questa: se una preclusione esiste, a chi la funzione di dichiarare tale preclusione? Io sostengo che l’Assemblea non può essere interrogata su questo argomento. Richiamare l’Assemblea a deliberare se esista o no una preclusione, vorrebbe dire porre l’Assemblea in condizioni tali da arrivare a una deliberazione, eventualmente contradittoria con quella che è stata presa in precedenza; vorrebbe dire soprattutto privare le minoranze di quelle garanzie che alle minoranze stesse derivano dal Regolamento e dal regime parlamentare.

Onde io penso che l’Assemblea non possa, non debba essere chiamata a pronunziarsi su questa questione: se la preclusione esista o non esista. Il Regolamento della Camera detta, a mio avviso, la via maestra che dobbiamo seguire. Il Presidente ha facoltà, e io penso che in determinati momenti e particolarmente in momenti come questi abbia il dovere, di porre le questioni all’Assemblea: le questioni come sorgono, come si risolvono e si esauriscono. Soltanto al Presidente spetta questa funzione. Ed allora io concludo affermando che soltanto Ella, signor Presidente, dovrà decidere fino a quale punto si sia maturata quella tale preclusione; dovrà decidere su quali questioni ancora comprese nell’articolo 55 potrà l’Assemblea essere chiamata a deliberare. E dico subito che, a mio avviso, le questioni insolute restano tre, e precisamente: il rapporto numerico fra l’entità nazionale o popolazione e gli eleggendi al Senato, la rappresentanza per la Val d’Aosta e il limite di età degli elettori.

Su queste tre sole questioni, potrà la Camera essere invitata a deliberare; sulle altre no, perché la preclusione impedisce ulteriori deliberazioni che possano essere prese dall’Assemblea.

PRESIDENTE. Onorevole Vigna, mi pare che lei si preoccupi di controbattere una proposta che nessuno ha fatto; perché nessuno aveva proposto di sottoporre all’Assemblea di decidere se una preclusione esisteva o no.

Io ho ricevuto ad esempio un emendamento all’articolo 55, del quale adesso darò lettura, ma in esso non si toccano argomenti che possano far sorgere una questione di preclusione o di non preclusione.

VIGNA. La questione non è stata posta formalmente; però, dalle argomentazioni di vari oratori derivava la conseguenza necessaria che effettivamente si impugnasse l’esistenza di questa preclusione.

PRESIDENTE. Lei ha contestato la ipotetica proposta che, esistendo la preclusione, dovesse essere l’Assemblea a decidere in merito. Ora ieri molti colleghi hanno parlato di preclusione, ma, a quanto mi ricordo ed a quanto risulta dai processi verbali, nessuno aveva proposto, anche solo in forma iniziale, che una tale questione fosse deferita all’Assemblea.

Entriamo finalmente nel merito delle nostre questioni, la prego.

È stato presentato dagli onorevoli Mortati, Tosato, Uberti, Dominedò, Bastianetto, Perlingieri, Recca, Alberti, Ferrarese, Storchi il seguente emendamento all’articolo 55:

«Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale.

«Il numero dei senatori è determinato in ragione di uno ogni 250.000 abitanti, attribuendosi però a ciascuna Regione un numero minimo di sei senatori».

Ora, riguardo al contenuto degli emendamenti, abbiamo due questioni, essenziali, da risolvere, secondo quanto ieri sera si era detto da varie parti: il quoziente ed il numero minimo di senatori.

Su questo secondo punto, vi è da risolvere la questione di principio se debba esservi o no questo numero minimo di senatori per ogni Regione. Risolta la questione di principio, si tratterà di indicare il quoziente; evidentemente occorrerà esaminare tutte le proposte fatte in relazione alla proposta iniziale della Commissione; ma l’Assemblea fisserà questo quoziente, sempre tenendo presente la decisione, già presa, di un numero fisso o meno di senatori per ogni singola Regione.

In merito al primo comma «Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale», ieri sera l’onorevole Bozzi aveva affacciato questa idea: che questo primo comma potesse essere rinviato come ultimo argomento; non era una proposta di rinvio o di sospensiva, ma semplicemente una subordinazione di questa decisione a quelle sugli altri argomenti in oggetto ai quali, evidentemente, la formulazione è connessa; il che ritengono tutti coloro che hanno parlato ieri sia difensori della formula, sia oppugnatori.

Penso che si potrebbe accedere a questo criterio: cioè, risolvere prima le questioni relative al numero fisso o – qualche altro propone – al numero minimo dei senatori per Regione e poi, la questione del quoziente, come ultima decisione, facendola discendere dalla decisione che si sarà presa su questo punto: decidere, quindi, sopra il primo comma, il quale può acquistare un preciso significato, ed è necessario, a seconda delle decisioni concrete prese in ordine alla costituzione del Senato.

Se questo risulterà formato in certo modo, è evidente, anche se non lo si dicesse – ma bisognerebbe dirlo – che sarebbe eletto su base regionale. Se fosse, invece, formato in altro modo, è evidente che non sarebbe l’affermazione posta al primo comma, che modificherebbe la natura e la struttura del Senato stesso.

Pertanto, se non vi sono obiezioni a questo proposito, io passerei subito alla votazione, salvo le dichiarazioni eventuali che si desiderasse fare su queste due questioni: il quoziente ed il numero minimo o fisso di senatori per ogni Regione.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Prima di scendere all’esame del merito del secondo comma, cui si riferisce il nostro emendamento, relativamente alla determinazione del numero dei senatori e del criterio per arrivare a tale determinazione, mi pare che, dal punto di vista sistematico e logico, preceda la votazione del primo comma. Questo ha un valore indicativo di carattere generale, essendo rivolto ad affermare in via di principio la base regionalistica, nell’ambito della quale deve operare il concetto uninominalistico ieri approvato, ed essendo quindi destinato ad influenzare il sistema nel campo delle possibili applicazioni.

Ciò è tanto vero, che non si spiegherebbe diversamente come si possa senz’altro entrare nel merito di una determinazione numerica dei senatori, da fare in relazione alla Regione, se non si fosse prestabilito, in linea direttiva, il criterio regionale stesso, come dal primo comma dell’articolo 55.

Perciò, mi permetto di formulare la proposta che si proceda alla votazione secondo quest’ordine logico, cominciando dal primo comma, di portata generale e introduttiva.

PRESIDENTE. Non ho nulla in contrario ad accettare la richiesta dell’onorevole Dominedò. Vorrei però che egli si rendesse conto di questo fatto: che una tale votazione non impegna senz’altro l’Assemblea, e cioè, ogni singolo membro dell’Assemblea, a votare poi in un certo senso sui due problemi concreti: questa è una semplice affermazione di principio. Successivamente bisognerà votare invece su due questioni non di principio, ma di valutazione e di opportunità e potrebbe avvenire, onorevole Dominedò, che, approvata la determinazione di principio, l’Assemblea, nella sua sovranità, voti poi, in relazione al quoziente ed all’esistenza o meno di un numero fisso o di un numero minimo, in tal modo, da portare necessariamente a rivedere la decisione presa in ordine al primo comma.

Già fin dall’inizio di questi nostri lavori costituzionali, si è detto, fra l’altro, che non si ritorna su votazioni già fatte, salvo il caso in cui nuove votazioni creino contraddizioni con decisioni prese in precedenza e sorga, evidentemente, la necessità di coordinare le due decisioni: coordinamento significa sempre, almeno in parte, modificazione.

Fatta questa premessa osservo che sarà, in definitiva, dalle decisioni relative al quoziente ed all’esistenza o meno di un numero fisso o di un numero minimo di senatori per ogni Regione, che dipenderà la conservazione o meno della affermazione di principio.

Non ho nulla in contrario a mettere in votazione il primo comma dell’articolo 55 contenuto nel suo emendamento, che riprende a questo proposito, sostanzialmente, il testo della Commissione.

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Ieri nel mio intervento avevo fatto cenno dell’opportunità che del primo comma si parlasse dopo la votazione del secondo ed oggi ho visto che l’onorevole Presidente ha ripreso questo concetto e l’ha proposto quasi formalmente all’Assemblea. Ora questo primo comma, sebbene venga per primo, è in sintesi il proemio, come diceva ieri l’onorevole Ruini, di quel che era il contenuto dell’articolo 55 del progetto della Commissione dei Settantacinque. Ora questo articolo 55 è stato già in parte distrutto nella sua parte fondamentale, che è l’ultimo comma dell’articolo. Che cosa significa dire: «Il Senato è eletto a base regionale»? L’espressione: «a base regionale» – ed io ricordo i lavori della seconda Sottocommissione – è una espressione vaga e incerta. Può significare due cose: può significare che si assume la Regione come una circoscrizione elettorale; può significare che le Regioni, come enti di diritto pubblico, concorrono alla formazione del Senato. Questo ultimo concetto era quello espresso nell’ultimo comma, in quanto i Consigli regionali eleggevano, sia pure per una frazione ed una quota, i senatori. Quest’ultimo concetto è venuto meno.

Come possiamo affermare senz’altro, aprioristicamente che il Senato è eletto a base regionale, se non sapremo se vi sarà un numero fisso di senatori attribuito alla Regione, indipendentemente dal rapporto di un senatore ogni 200 mila od ogni 250 mila abitanti? Come potremo votare preventivamente questo concetto se non sapremo il contenuto di queste parole: «a base regionale»? Può essere che quando avremo determinato il modo di formazione e di elezione del Senato e dei senatori, vi sarà una base regionale ed allora metteremo questo primo comma come un proemio; ma se la frase dovesse essere svuotata di contenuto, mi sembra che votare in anticipo sia una cosa, non dirò tanto inutile, onorevoli colleghi, ma dannosa perché dopo si potrebbe dire: abbiamo già affermato che il Senato deve avere base regionale e bisogna dare assolutamente un contenuto a questa espressione che di per sé è troppo vaga.

Quindi, onorevole Presidente, ritornerei sulla proposta che feci ieri, così per incidens, e le darei un carattere formale.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Mi associo, in sostanza, alle osservazioni fatte dal collega Bozzi, ma vorrei aggiungere qualche altra osservazione. È proprio necessario procedere alla votazione di un principio quando vi sono degli emendamenti sostitutivi dell’articolo 55 che negano il principio che dovrebbe essere messo in votazione? Il signor Presidente sa che vi sono vari emendamenti: quello dell’onorevole Lami Starnuti ed il nostro che sono emendamenti sostitutivi dell’articolo 55. Quando l’Assemblea approvasse uno di questi emendamenti avrebbe già risolto la questione del primo comma dell’articolo 55. E faccio osservare che questi emendamenti sono intonati all’ordine del giorno Nitti, che abbiamo approvato.

Riconosco che non si potrebbe mettere in votazione un emendamento che si basi sulla rappresentanza proporzionale, perché andrebbe contro al concetto approvato dall’Assemblea attraverso l’ordine del giorno Nitti; ma gli altri emendamenti che parlano di elezione di senatori a suffragio universale diretto non vedo la ragione per la quale non debbano essere proposti senz’altro all’approvazione dell’Assemblea, senza passare attraverso una votazione di un principio di massima.

NITTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. L’ordine del giorno che è stato votato ieri ha cambiato alcuni articoli, se non molti, della Costituzione, e bisognerà tener conto di questa realtà.

Quale era il progetto ministeriale, che poi la Commissione, in gran parte, aveva fatto suo? La Camera dei senatori, come si diceva impropriamente, è in fondo una rappresentanza locale delle Regioni, e la Regione è formata soprattutto da elementi che hanno carattere locale. Difatti, si incominciava col dire che condizione per l’eleggibilità per i candidati al Senato era di essere nati o domiciliati nella determinata Regione dove essi presentassero la candidatura, quindi una concezione del tutto diversa da quella che noi abbiamo ammessa e che vogliamo.

Che cosa dice l’ordine del giorno votato? Non vi è nessun dubbio su questa materia. L’ordine del giorno votato dice che il Senato deve essere eletto con suffragio universale diretto, col sistema del collegio uninominale; in dipendenza di ciò, dunque, sono cadute molte disposizioni. Ogni carattere locale del Senato più non sussiste perché con questa deliberazione il Senato ha ora carattere nazionale. È caduta quindi tutta una serie di articoli: si erano stabilite perfino le categorie di elettori e di eleggibili. Si era stabilito che gli elettori dovevano essere scelti in alcune categorie, e gli eleggibili, a loro volta, erano scelti in alcune categorie. Questo è caduto.

Dunque, ora la situazione è semplice. Noi dobbiamo adattare tutti gli altri articoli a questi due concetti essenziali. Che significa la disposizione che il Senato è eletto a base regionale? Ora non c’è più la base regionale. La Regione non elegge nessuno, non designa nessuno e l’elezione è fatta a collegio uninominale e non vi sono più privilegi o limitazioni.

Noi dobbiamo sancire, dunque, il sistema del collegio uninominale con suffragio universale, suffragio universale naturalmente limitato dall’età, perché in tutti i Paesi l’eleggibilità dei senatori dipende da condizioni diverse dalla Camera dei Deputati. Così l’eleggibilità come l’elettorato dipendono da condizioni diverse. Pertanto, dobbiamo formare il Senato diversamente dalla Camera dei Deputati, che è eletta, come abbiamo stabilito – con mio dispiacere, – sulla base del sistema proporzionale. Il Senato è eletto col sistema del collegio uninominale. Dunque su questo non si può tornare. È mutile girare la questione.

Che significa la proposta: «Il Senato è eletto a base regionale»? Che le circoscrizioni dentro cui si fanno le elezioni rimangono regionali, se volete. Non più di questo.

Dunque vi sarà una Regione Puglie o Basilicata dentro cui, come era con la legge del 1919, si faranno le partizioni per il collegio uninominale. Quindi le Puglie, la Calabria, la Basilicata, come tutte le altre Regioni formeranno delle circoscrizioni elettorali sulla base del numero degli elettori che noi stabiliremo.

Viene l’altra questione: vi saranno al di fuori di questo senatori che non sono in rapporto al numero o ad una quantità fissa per ogni collegio quale che sia il numero degli abitanti? Io ho riconosciuto questo e sono io stesso esitante, perché sono disposizioni le quali spesso danno luogo a inconvenienti e dire che ogni Regione all’infuori del numero dei senatori che elegge in ragione appunto della popolazione, ha un numero fisso di senatori non manca di un certo pericolo.

Questo è comprensibile in certi paesi i quali arrivano, come l’America, perfino a non dare importanza al numero dei votanti e al numero dei voti per il Senato, ma si tratta di un Paese con ordinamento federale. Al Senato americano, i senatori non rappresentano la massa degli elettori. La massa degli elettori è rappresentata dalla Camera dei Deputati. La Camera dei Deputati in America è eletta ogni due anni; ha una vita turbinosa perché lo Stato vuole mantenersi a contatto dell’opinione pubblica.

Il Senato, poi, non si scioglie mai. Un altro degli errori di questo progetto. Noi parliamo di scioglimento del Senato.

PRESIDENTE. Onorevole Nitti, per favore, resti nell’argomento. Dello scioglimento parleremo dopo.

NITTI. Benissimo. Le altre questioni però sono legate a questo. Quando diciamo: «Il Senato è eletto a base regionale» abbiamo considerato il vecchio progetto governativo, invece adesso, questo implica solo che le circoscrizioni elettorali saranno fissate nell’ambito della Regione. Non più di questo. Del resto siamo completamente legati alla disposizione che abbiamo presa e che non possiamo più cambiare. Quindi prego di tener conto di questa situazione nella votazione.

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Sono state affacciate due tesi: una, secondo la quale la votazione del primo comma dell’articolo 55 sarebbe inibita dalla votazione precedente, sull’ordine del giorno Nitti; l’altra, affacciata dall’onorevole Bozzi, secondo cui si tratterebbe semplicemente di sospendere la votazione, rinviandola a dopo che sarà approvato il secondo comma.

Sul primo punto, cioè sulla tesi più drastica, preclusiva, affacciata dall’onorevole Nitti, mi permetto richiamare le osservazioni fatte ieri, osservazioni, che stanno a dimostrare che la votazione sull’ordine del giorno incide, escludendole, su alcune delle applicazioni che si erano dedotte dal principio della base regionale, ma non esclude la possibilità di altre. E fra queste ho ricordato il numero fisso per ogni Regione, le circoscrizioni, lo scrutinio regionale, ecc.

Non è esatto ritenere che senza una espressa formulazione nella Costituzione della base regionale, per lo meno della circoscrizione regionale, sia pacifico che i nuovi collegi uninominali saranno contenuti nell’ambito di una stessa Regione, perché nulla toglierebbe al futuro legislatore di fare collegi che comprendano elettori di due Regioni. Basterebbe questa sola eventualità a giustificare la menzione della base regionale del Senato. Ma, in via più generale, è da ribadire che si tratta di un principio direttivo suscettibile di applicazioni varie, applicazioni che possono essere imprevedibili oggi, ma potrebbero trovare nel legislatore di domani degli svolgimenti verso singole concretizzazioni che, ripeto, oggi sarebbe opportuno non discutere o rinviare.

È un’affermazione di principio, è una direttiva che, essendo – come dicevo – suscettibile di applicazioni varie, sia in questa sede, sia nella sede legislativa futura, ha una ragion d’essere, che è stata illustrata anche da altri oratori, nel suo collegamento con la riforma regionale, che non può non ripercuotersi, per il carattere costituzionale ad essa conferito, sulla organizzazione dei poteri centrali dello Stato.

Da quanto si è dettò sembra dimostrato non solo che la votazione di ieri non è preclusiva dell’affermazione del principio che il Senato è a base regionale, ma altresì che questa affermazione ha carattere preliminare rispetto all’esame di altri punti.

Mi pare appunto che, dalla funzione direttiva da attribuire all’inciso del primo comma, si argomenti la necessità di una votazione preventiva del medesimo, pure ammettendo quanto ha detto il Presidente, che questa votazione preliminare non impegna ad adottare questa o quella singola applicazione del principio, ma impegna a mantenerlo fermo con quelle modalità, con quei limiti, che si vedranno di volta in volta.

Quindi, insisto nell’affermare elle la votazione di ieri non è preclusiva dell’esame di questo primo punto, e che inoltre tale esame debba precedere quello sui commi successivi.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Io condivido la proposta del collega onorevole Dominedò. Sono, cioè, contrario a quanto ha testé proposto il nostro onorevole Presidente seguito in questo dall’onorevole Bozzi, e sono altresì contrario a quanto ha detto l’onorevole Presidente Nitti.

Se io non ho mal sentito, ho l’impressione che l’onorevole Presidente Nitti – me lo consentirà – abbia espresso oggi un pensiero che può apparire contradittorio con quello espresso ieri. Infatti ieri l’onorevole. Presidente Nitti ci ha detto, se non ho mal compreso, che era perfettamente inutile votare su questa prima parte dell’articolo 55, perché era implicita. Oggi invece ci dice che è incompatibile, perché abbiamo votato ieri il suo ordine del giorno. Ora, a mio parere, questo non è giusto, ed ho anche l’impressione che l’onorevole Presidente Nitti, dopo avere ottenuto sulla sua proposta una vittoria relativa, voglia oggi farla diventare assoluta.

Non è esatto, secondo il mio avviso, il ragionamento dell’onorevole Presidente Nitti, perché, ad esempio, può essere ancora votato l’articolo 56. E la votazione avvenuta sul suo ordine del giorno non esclude appunto che si voti l’articolo 56, là dove si dice, ad esempio, nel primo comma, che i senatori debbono risiedere nella Regione.

Ciò dunque indiscutibilmente significa, onorevoli colleghi, che il criterio della rappresentanza, per quanti eufemismi si possano adoperare, è basato sulla Regione. Io penso dunque, tenendo presente ciò, che noi dobbiamo prima adottare il principio e poi, rispettando il principio stesso, attenerci ad esso. Io penso dunque che, siccome questa prima parte di tale articolo ha avuto la grande maggioranza in seno alla Commissione, possa con facilità avere del pari la maggioranza in seno all’Assemblea.

Debbo dire pertanto che, circa quanto il collega onorevole Targetti ha detto poc’anzi, io ritengo che, se egli si pone a riflettere su quanto egli stesso ha in modo molto bello espresso in quest’Aula, deve ammettere che non è possibile allontanarsi dal principio regionalistico.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, io non credo che la richiesta dell’onorevole Targetti possa essere accolta. Infatti gli emendamenti sostitutivi di articoli complessi non sono stati mai votati in toto dall’Assemblea, ma sempre sono stati votati in contrapposto alla correlativa parte del testo della Commissione; non c’è pertanto ragione di abbandonare in questo momento tale metodo.

In secondo luogo, quando vi sono delle formulazioni soppressive – implicite o esplicite – noi abbiamo sempre adottato il criterio di votare contro la formulazione positiva, mentre non abbiamo posto in votazione emendamenti soppressivi a sé stanti.

All’onorevole Nitti desidererei far presente che la votazione di ieri sul suo ordine del giorno, come del resto è stato sostenuto anche da altri colleghi questa mattina stessa, non ci impedisce di votare il primo comma dell’articolo 55. È stato pure sottolineato ieri dal collega onorevole Mortati, quando sedeva al banco della Commissione, in qual forma, anche applicando il criterio del collegio uninominale, si possa tuttavia dare un carattere regionale alla formazione del Senato. E pertanto quella votazione di ieri sul collegio uninominale non impedisce oggi all’Assemblea eventualmente di pronunziarsi su proposte concrete, le quali tengano conto del principio regionale e pertanto ammettano l’affermazione anche del principio regionale nella formulazione dell’articolo 55.

All’onorevole Mortati vorrei soltanto dire che ho preso atto di quanto egli ha esposto, perché corrisponde anche alla mia opinione, espressa poco fa, che cioè, anche se adesso votiamo il primo comma dell’articolo 55, il risultato non precluderà poi nessuna votazione in ordine agli elementi relativi al quoziente e al numero fisso. E pertanto resti chiaro che, anche votando adesso il primo comma, ciò non potrà poi essere impugnato successivamente se, per ipotesi, respingendo il numero fisso per ogni Regione, si venisse con ciò, in fondo, a svuotare l’articolo 55 del solo elemento concreto che giustificherebbe la prima affermazione regionale.

Ha ragione l’onorevole Lussu quando dice che resta sempre salva la votazione sull’articolo 56, che reca un inciso, sul quale non ci siamo ancora pronunziati, secondo cui per essere eleggibili, bisogna essere nati o domiciliati nella Regione. Ma suppongo che, anche se l’Assemblea accettasse questa formulazione, essa sarebbe insufficiente a dare carattere regionale al Senato. Se fosse sufficiente, comunque, e se ne accontentassero coloro che difendono il carattere regionale delle elezioni del Senato, questa formula resterebbe in piedi in relazione solo alla determinazione dell’articolo 56 e non per la determinazione dell’articolo 55, cioè in funzione di un requisito di eleggibilità, e non in relazione al sistema e al metodo della elezione del Senato.

Queste le cose che mi pare dovessi dire per chiarire le votazioni alle quali in questo momento dobbiamo procedere.

Vi sono numerosi colleghi che chiedono insistentemente che si voti, comunque, il primo comma: «La Camera dei Senatori è eletta a base regionale», e ripreso nelle proposte di emendamento: «Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale».

Ho detto che non ho nulla in contrario a porlo in votazione; ma sottolineo ancora una volta che, qualunque sia il risultato di questa votazione, nessun collega successivamente, quando si votino le determinazioni concrete, e una risoluzione favorevole ad esse non si determinasse, ma fosse nettamente in contrasto con questa prima affermazione, possa riferirsi a tale contradittorietà per impugnare la votazione avvenuta o per proporre che a questa votazione non si addivenga.

E questa votazione – diciamolo subito, per avere chiara la cosa – è quella relativa al numero fisso di senatori per ogni Regione o al numero minimo. E da questo punto di vista – mi perdoni, onorevole Nitti, a ciascuno di noi le idee si chiariscono progressivamente nelle cose complesse, e vediamo chiare oggi cose che ieri parevano oscure – è chiaro che, quando l’onorevole Nitti nella sua proposta di emendamento indicava il numero fisso di tre senatori per Regione, contraddiceva al sistema generale che poi esponeva nel suo emendamento e contraddiceva a quanto questa mattina ci ha detto.

Resti, dunque, chiaro che se si vota un numero fisso o un numero minimo di senatori per ogni Regione, con ciò si afferma il carattere regionale del Senato. Ma, onorevoli colleghi, bisognerà poi accettare la conseguenza che i senatori non saranno tutti eletti dallo stesso numero di elettori, o meglio, non ci sarà un quoziente unico per tutti i membri del Senato. Questo lo dico, non perché io lo desideri, ma perché ciascuno si renda conto di questa conseguenza particolare del voto, quando vi procederemo.

Comunico che su questo primo comma dell’articolo 55, nella formulazione dell’emendamento Mortati è stata chiesta la votazione per appello nominale dagli onorevoli Uberti, Dominedò, Moro, Bertone ed altri.

Faccio presente che, d’altra parte, questo primo comma, era stato preso in considerazione in numerosi emendamenti: ad esempio, l’emendamento dell’onorevole Targetti, l’emendamento dell’onorevole Russo Perez, sia pure con alcune modificazioni, accoglievano in sé qualcosa che si avvicinava alla definizione regionale del Senato o della sua base; mentre abbiamo altri emendamenti – per esempio, degli onorevoli Lami Starnuti, Preti e Laconi – che proponevano implicitamente od esplicitamente la soppressione di questo comma.

Il problema dunque non è sorto stamani, né ieri: esso era stato considerato e risolto secondo varie formule in precedenza.

Adesso troveremo la soluzione definitiva.

TOGLIATTI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. Dichiaro a nome del Gruppo comunista che noi voteremo a favore di questa formulazione, e ciò anche allo scopo di sottolineare che non vediamo contradizione formale in questa formulazione; per dire cioè che noi consideriamo che il voto di questa formula non annulla i risultati acquisiti con la votazione di ieri, cioè che il voto per l’elezione dei senatori dovrà essere diretto e sulla base del collegio uninominale.

BADINI CONFALONIERI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BADINI CONFALONIERI. Dichiaro di votare contro questo primo comma dell’articolo 55 in quanto, a malgrado delle molte delucidazioni qui avute, a mio parere questa formulazione non è soltanto vaga ed imprecisa ma non significa nulla. Se si vuole dire «nell’ambito della circoscrizione regionale», si deve allora mutare totalmente la formulazione e si deve dire: «le circoscrizioni saranno regionali» oppure si deve trovare un’altra formulazione, ma non questa «a base regionale» che non ha nessun significato. (Commenti).

TARGETTI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Dichiaro che il nostro Gruppo – non per preconcetti antiregionalisti ma per la convinzione che il concetto espressovi non possa avere una pratica applicazione – voterà contro questo primo comma dell’articolo 55.

Se ne persuadano i colleghi regionalisti. Una volta approvato l’ordine del giorno dell’onorevole Nitti – che le elezioni avvengono col sistema del collegio uninominale – la base regionale non abbiamo ancora avuto il piacere di sapere che cosa significhi. Perché quando si dice che significa impedire che un collegio si formi con un pezzo di regione ed un pezzo di un’altra ci si richiama ad un pericolo inesistente. Non c’è ragione di vietare ciò che non è mai avvenuto e non potrà mai avvenire per ragioni logiche. D’altra parte il comma proposto non ha altro significato.

REALE VITO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

REALE VITO. Io vorrei – ad eliminare ogni equivoco – proporre un emendamento a questo comma.

Una voce. Ma siamo in votazione, in sede di dichiarazioni di voto.

REALE VITO. Questo per avere un voto chiaro e non equivoco.

Io propongo che al comma sia sostituita questa formula: «Il Senato è eletto nell’ambito delle Regioni». (Interruzione del deputato Uberti).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, l’onorevole Reale Vito ed altri mi ha fatto pervenire un emendamento al testo dell’articolo.

Mi pare che la soluzione possa essere trovata in questo senso che, se è respinta la formulazione dell’onorevole Mortati, allora subentra la formulazione dell’onorevole Reale Vito; perché, a rigore di termini, onorevole Uberti, non eravamo ancora in sede di votazione. Nel Regolamento si prevede il caso: quando sia cominciata la votazione non si possono presentare emendamenti, ma la votazione ha inizio quando effettivamente si comincia a votare. (Interruzione del deputato Piccioni).

Onorevole Piccioni, ho anticipato la soluzione, e la soluzione credo che dia sodisfazione a lei e all’onorevole Reale Vito. Tuttavia, a termini di Regolamento, così spesso invocato, la votazione ha inizio quando comincia la chiama. (Interruzione del deputato Piccioni).

Procederemo ora alla votazione del primo comma nella formula dell’onorevole Mortati e, se questa non ottenesse la maggioranza, la proposta di emendamento dell’onorevole Reale Vito avrebbe diritto di essere presentata all’Assemblea.

Chiedo ai firmatari della richiesta di appello nominale se, dopo le dichiarazioni di voto, conservano la loro richiesta.

MORO. Poiché si tratta di uno schieramento di forze molto importante di natura politica, riteniamo opportuno mantenere la richiesta di appello nominale.

PRESIDENTE. Sta bene.

PIGNATARI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIGNATARI. Dichiaro di essere contrario al primo comma dell’articolo 55 perché, votandolo, è evidente che non si vuole soltanto che l’elezione dei senatori avvenga su base regionale, intendendo per base regionale lo ambito territoriale della regione, ma attraverso l’approvazione del primo comma dell’articolo 55, come d’altra parte è dimostrato dall’insistenza della richiesta di un appello nominale, si vuol far rivivere e si vuole annullare il voto dato ieri.

LUCIFERO. Chiedo di parlare per dichiarazione.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Voglio semplicemente dichiarare, perché non ci possano essere equivoci sul mio voto, che io voterò contro la formula proposta dall’onorevole Mortati, perché mi riservo di votare a favore dell’emendamento Reale, che è molto più chiaro.

CANDELA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CANDELA. Se l’emendamento Mortati è uguale al testo, della Commissione, si deve votare per primo l’emendamento dell’onorevole Vito Reale.

PRESIDENTE. Io ritenevo che da ciò che ho detto poco fa si fosse compreso che l’emendamento a firma Vito Reale è stato presentato in ritardo e che solo per non respingerlo senz’altro ho fatto quelle considerazioni. Ma ciò non significa che possa addirittura avere la precedenza.

Votazione nominale.

PRESIDENTE. Pongo in votazione per appello nominale il primo comma dell’articolo 55 nella formulazione dell’emendamento Mortati:

«Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale».

Estraggo a sorte il nome del deputato dal quale comincerà la chiama.

(Segue il sorteggio).

Comincerà dal deputato Sansone.

Si faccia la chiama.

SCHIRATTI, Segretario, fa la chiama.

Hanno risposto sì:

Adonnino – Alberti – Aldisio – Allegato – Ambrosini – Amendola – Andreotti – Angelucci – Arcangeli – Assennato – Azzi.

Baldassari – Balduzzi – Baracco – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Bastianetto – Bazoli – Bei Adele – Bellato – Bellusci – Belotti – Benedettini – Benvenuti – Bernabei – Bernamonti – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Bitossi – Bolognesi – Bonomi Paolo – Bordon – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bosi – Bovetti – Braschi – Bruni – Brusasca – Bubbio – Bucci – Bulloni Pietro – Burato.

Caccuri – Calosso – Camposarcuno – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Carbonari – Carboni Angelo – Carboni Enrico – Carignani – Caristia – Ca– ronia – Carratelli – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavallari – Cavalli – Cavallotti – Chatrian – Chiarini – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsanego – Corsi – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo.

D’Amico – De Caro Gerardo – De Filpo – De Gasperi – Del Curto – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Michele Luigi – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Di Vittorio – Dominedò –– D’Onofrio – Dossetti – Dozza.

Ermini.

Fabriani – Fanfani – Fantoni – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Ferreri – Fiore – Firrao – Flecchia – Foresi – Franceschini – Fresa – Froggio – Fuschini.

Gabrieli – Galati – Gallico Spano Nadia – Gatta – Gavina – Germano – Geuna – Ghidetti – Giacchero – Giolitti – Giordani – Gonella – Gorreri – Gotelli Angela – Grassi – Gronchi – Guariento – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela.

Imperiale – Iotti Nilde.

Jervolino.

Laconi – La Malfa – Landi – La Pira – La Rocca – Lazzati – Leone Francesco – Leone Giovanni – Lettieri – Li Causi – Lizier – Lombardi Carlo – Longo – Lozza – Lussu.

Maffi – Magnani – Magrini – Malvestiti – Manzini – Marazza – Marconi – Martinelli – Massini – Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mattarella – Meda Luigi – Mentasti – Merlin Umberto – Mezzadra – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molinelli – Montagnana Mario – Montagnana Rita – Montini – Moranino – Morelli Luigi – Moro – Mortati – Moscatelli – Murdaca – Murgia.

Negarville – Negro – Nicotra Maria – Noce Teresa – Notarianni – Novella – Numeroso.

Pacciardi – Pajetta Giuliano – Pallastrelli – Pastore Giulio – Pastore Raffaele – Pat – Patricolo – Pecorari – Pella – Pellegrini – Perassi – Perlingieri – Persico – Pesenti – Petrilli – Piccioni – Platone – Pollastrini Elettra – Ponti – Proia – Pucci – Puoti.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Raimondi – Rapelli – Ravagnan – Reale Eugenio – Recca – Restagno – Rivera – Rodinò Ugo – Romano – Roselli – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Roveda – Ruggeri Luigi – Ruini – Rumor.

Saccenti – Salerno – Salizzoni – Sampietro – Scalfaro – Scarpa – Scelba – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Scotti Francesco – Secchia – Segni – Sereni – Silipo – Spallicci – Spataro – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Taviani – Terranova – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Togni – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Trimarchi – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Vanoni – Veroni – Viale – Vicentini.

Zaccagnini – Zerbi – Zotta – Zuccarini.

Hanno risposto no:

Abozzi – Amadei – Arata.

Badini Confalonieri – Basso – Bencivenga – Bergamini – Bianchi Bianca – Bocconi – Bonino – Bonomelli – Bozzi.

Cacciatore – Candela – Canevari – Costantini – Covelli – Cuomo.

De Michelis Paolo – Di Gloria – Donati.

Fabbri – Faccio – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fiorentino – Fioritto – Fo– gagnolo – Fornara.

Ghislandi – Giacometti – Giua – Grazi Enrico – Grilli.

Jacometti.

Labriola – Lagravinese Pasquale – Lami Starnuti – Lizzadri – Lombardi Riccardo – Lopardi.

Mancini – Mariani Enrico – Marinaro – Mastrojanni – Mazzoni – Merlin Angelina – Miccolis – Molè – Momigliano – Morandi – Morelli Renato – Morini.

Nasi – Nenni – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro.

Paris – Pera – Pertini Sandro – Perugi – Piemonte – Pignatari – Pistoia – Preziosi – Priolo.

Reale Vito – Rodi – Romita – Rossi Paolo – Rubilli.

Sapienza – Segala – Stampacchia.

Targetti – Tega – Tieri Vincenzo – Tonello – Tonetti – Tripepi.

Vernocchi – Vigna – Villabruna – Villani.

Zanardi.

Sono in congedo:

Angelini.

Cairo – Carmagnola – Caroleo – Cevolotto.

De Vita – Dugoni.

Jacini.

Mannironi – Martino Enrico – Martino Gaetano.

Perrone Capano – Porzio.

Russo Perez.

Simonini.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione nominale e invito gli onorevoli Segretari a procedere al computo dei voti.

(Gli onorevoli Segretari procedono al computo dei voti).

Risultato della votazione nominale.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione nominale.

Presenti e votanti     380

Maggioranza           191

Hanno risposto      294

Hanno risposto no    86

(L’Assemblea approva).

Il seguito della discussione è rinviato alle ore 16.

La seduta termina alle 13.

MARTEDÌ 7 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCXLVIII.

SEDUTA DI MARTEDÌ 7 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEL VICEPRESIDENTE BOSCO LUCARELLI

INDICE

Sul processo verbale:

Rubilli

Parri

Labriola

Congedi:

Presidente

Commemorazione di Giuseppe Emanuele Modigliani:

Presidente

Saragat

Targetti

Molè

Rubilli

Gronchi

Mastrojanni

Lussu

Grieco

Sardiello

Merlin Umberto, Ministro delle poste e telecomunicazioni

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Perassi

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Targetti

Lussu

Nitti

Lucifero

Mastino Pietro

Rubilli

Conti

Mortati

Nobili Tito Oro

Laconi

Bozzi

Moro

Persico

Bosco Lucarelli

Piemonte

Votazione segreta:

Presidente

Risultato della votazione segreta:

Presidente

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Andreotti, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri

Sulla nomina di tre membri della Corte costituzionale per la Sicilia:

Presidente

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

AMADEI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

Sul processo verbale.

RUBILLI. Chiedo di parlare sul processo verbale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUBILLI. Volevo chiarire che io, liberale, ieri non ho invocato affatto leggi eccezionali, come a torto si volle accennare nei miei riguardi. Non le potevo invocare perché, secondo me, danno troppo il ricordo delle vecchie leggi in difesa dello Stato, di non lieto auspicio, e perché credo che in Italia non se ne senta assolutamente bisogno.

Mi limitai soltanto a dire che siccome l’onorevole Covelli aveva creduto di tenere un comizio, indiscutibilmente di carattere monarchico, in Avellino, poteva farlo benissimo, non essendovi alcun divieto al riguardo a norma delle leggi ora vigenti.

PARRI. Chiedo di parlare sul processo verbale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PARRI. Desidererei fare inserire a verbale che, se fossi stato presente alla seduta di sabato, avrei dato il mio voto all’ordine del giorno Magrini.

LABRIOLA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LABRIOLA. Desidero anch’io chiarire che, se fossi stato presente alla seduta di sabato, avrei votato tutte le mozioni contrarie al Governo, nonché l’ordine del giorno Magrini, con riserva di fare altrettanto per i successori dell’onorevole De Gasperi.

PRESIDENTE. Se non vi sono altre osservazioni, il processo verbale s’intende approvato.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo gli onorevoli Dugoni e Perrone Capano.

(Sono concessi).

Commemorazione di Giuseppe Emanuele Modigliani.

PRESIDENTE (Si alza in piedi e con lui tutta l’Assemblea e il pubblico delle tribune): Onorevoli deputati, stamani abbiamo accompagnato alla sua ultima dimora l’onorevole Giuseppe Emanuele Modigliani. E tanto numerosi ci ritrovammo alla triste cerimonia che mi chiedo se in essa appunto non potrebbe intendersi essersi conclusa quella celebrazione del morto, contesta di cordoglio e di memorie, che si svolge normalmente, ad ogni consimile luttuosa evenienza, qui, nell’Aula, con discorsi commemorativi. E tuttavia io stesso avverto il bisogno di esprimere in parole la tristezza profonda nata in me all’annunzio di una perdita cui da tempo eravamo preparati, ma che, non per questo, ci è giunta meno dolorosa ed aspra.

Così ancora una volta risuonerà in quest’Aula il nome di Giuseppe Emanuele Modigliani, nome che tanto spesso vi venne pronunciato in anni lontani, quando esso significava preannuncio di forti discorsi battaglieri a difesa degli interessi delle masse popolari, ad esaltazione dei diritti del lavoro, a riconoscimento dei doveri di tutti verso la Nazione e verso l’umanità.

Deputato per quattro legislature normali, l’onorevole Modigliani era entrato nella Camera nel 1913, a quelle prime elezioni fatte in Italia sulla base del suffragio universale che, immettendo nella vita politica le immense energie, fino allora respinte o represse, delle moltitudini dei campi e delle officine, doveva spezzare in gran parte le consuetudini, forse un po’ troppo quiete e composte, del vecchio mondo dei legislatori, creando un più immediato tramite di pensiero e di azione fra Paese e Parlamento. E la Sua vitalità potente, il fervore del Suo intelletto formatosi nell’agitata atmosfera sociale di un grande porto tirrenico, la passionalità innata del Suo animo dovevano costituirlo ben tosto in figura preminente non solo dell’ala estrema, ma dell’intero Parlamento, pure così folto di incisive, ricche personalità.

Né il Suo spirito combattivo conobbe flessioni o intiepidimenti quando, nel quadro delle differenziazioni che venivano rispecchiando in seno al socialismo i nuovi contrasti del moto sociale, Egli si riconobbe nella concezione e nella corrente riformista.

Perché Giuseppe Emanuele Modigliani sentiva, come forse nessun altro, il valore decisivo che, per una democrazia di popolo, assumono l’istituto e le funzioni parlamentari; e in queste si era immedesimato, conscio che solo difendendole e perfezionandole si sarebbe potuto assicurarne al popolo tutti i frutti fecondi e progressivi. Di qui quella Sua gelosa cura delle norme e dei regolamenti che parve a volte amore di sottilizzazioni o strano bizantinismo, ma che svelava invece la sua consapevolezza che ogni minimo cedimento su questo terreno avrebbe potuto favorire poi finanche l’ultima rovina. Di qui il grido impetuoso di ribellione e di sdegno con cui Lui, e Lui solo, in una seduta torbida di paure e di umilianti patteggiamenti, ardì spezzare la ebbra allocuzione del capo-in-testa, che era stato portato a vittoria da tante note viltà complici e servili.

Poi anche Egli dovette battere le vie dure dell’esilio, fatto bersaglio dell’odio implacabile del dittatore, che a sua volta d’altronde, mai risparmiò, continuando a combatterlo, da giornali e da tribune, in una infaticabile, ardente requisitoria.

Giuseppe Emanuele Modigliani ha conosciuto sì la gioia del ritorno in una terra fatta libera anche dal Suo sacrificio, e quest’Aula, di cui Egli aveva rivendicato l’alta missione civile e di progresso, contro il ludibrio favorito e tollerato da altri, Lo ha rivisto, ma ormai spezzato nella Sua fibra dalla terribile ventennale vicenda.

L’animo non aveva ceduto però; ed il grande amore per i liberi istituti democratici, il fierissimo senso del dovere comandavano ogni giorno al Suo corpo stanco di levarsi, di camminare, di portare fin qui quanto in Lui restava di vivo, di squisitamente vivo: la Sua coscienza. E credo che nessuno di noi dimenticherà mai più quella figura solenne, biblica che, immota e silenziosa, dal primo banco del primo settore pareva – in questi ultimi mesi – stare a custodia della soglia di quest’Aula, già una volta purtroppo violata, venticinque anni fa, nonostante il suo grido audace.

L’Assemblea Costituente sente come proprio onore e titolo di nobiltà l’aver annoverato fra i propri deputati Giuseppe Emanuele Modigliani; e, reverente, ne trasmetterà la memoria ai nuovi Parlamenti della Repubblica. (Vivi, generali applausi).

SARAGAT. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SARAGAT. Onorevoli colleghi, Modigliani non è più. Il cuore di un uomo giusto e generoso ha cessato per sempre di battere.

Per sempre tacerà la voce eloquente che durante un mezzo secolo si levò, appassionata e ammonitrice, in un mondo che pareva e pare sordo ai richiami della vera saggezza ed ai consigli dei veri profeti.

Più non vedremo animato dalla fiamma vitale il caro volto del compagno che fu uno dei maestri della nostra generazione.

Nathan il saggio riposa per sempre, portando con sé nella tomba l’angoscia segreta ed il fervore profondo di una vita spesa per la sacra causa della pace fra gli uomini. Perché nessuno ha odiato più di Modigliani la guerra, in un tempo in cui il destino tragico nel breve spazio di un quarto di secolo ha condannato per ben due volte i padri a seppellire i loro figli.

Tutta la vita di Modigliani è un veemente atto di accusa contro la guerra, contro le cause che la generano, contro gli effetti funesti che ne derivano.

In ogni natura superiore, la lotta contro le forze del male che si avvinghiano alla vita con mille e mille tentacoli per trascinarla nel nulla da cui è emersa, si concentra su uno di essi e su quello abbatte la spada della giustizia per tentare di reciderlo.

Tragica lotta che durerà quanto dureranno le forze del male, vale a dire che durerà quanto durerà la vita stessa; ma lotta che non avrà mai tregua, perché sempre la vita troverà dei liberatori per difenderla, sempre balzeranno al suo fianco, veri angioli tutelari, i martiri e gli eroi.

Modigliani oggi riposa nella fredda bara dopo la sua lunga e operosa giornata, ed alla nobiltà che la vita conferiva al suo volto di antico saggio, si aggiunge quella misteriosa e profonda che a tutti conferisce la morte.

Vorremmo non turbare con parole vane questo riposo sacro e questo sonno eterno; vorremmo potere, in silenzio, nel nostro ricordo rifare il cammino che abbiamo compiuto sotto la sua guida paterna.

Ma è pur giusto dire ai giovani che non sanno e ricordare ai vecchi che potessero averlo dimenticato, il significato di una vita fervidamente vissuta a servizio di un all’ideale umano.

Modigliani viene al socialismo spintovi da un profondo sentimento di fraternità per gli umili. Non motivi teorici, non fredda dottrina lo avviano per la strada che seguirà sino alla morte; ma impulso di quel cuore umano che ha delle ragioni che la ragione ignora.

La dottrina verrà dopo e sarà una dottrina che noi giovani consideravamo con quella sufficienza presuntuosa che su questo terreno caratterizza il comportamento di ogni generazione nei confronti di quella che immediatamente la precede.

Il positivismo di Modigliani che si sovrapponeva a una più profonda visione delle cose derivatagli dal marxismo, non offriva per noi altro che motivo di affettuosa polemica.

Ciò che ci legava a lui come allievi al maestro era ben altro: era una coscienza morale di irraggiungibile altezza, una bontà infinita, una intransigenza esemplare, e soprattutto l’esempio di una vita in perfetta armonia con i fini umani a cui era dedicata.

Il socialismo di Modigliani è impulso verso una società in cui la libertà sia la sorella della giustizia.

All’individualismo delle civiltà fondate sulla economia capitalistica, Modigliani oppone la solidarietà che fiorisce al vertice del sentimento di responsabilità della persona umana.

La stessa lotta delle classi viene così concepita come qualcosa che lungi dallo spezzare il patto di solidarietà che deve unire tutte le creature, lo cementa nell’atto stesso in cui gli oppressi, conducendo la loro buona battaglia, anticipano nella loro coscienza l’immagine di un mondo più giusto ed umano per il cui avvento combattono.

Socialismo quindi che, avendo sempre presente la piena umanità dei suoi fini, non cade nell’errore funesto di ricorrere a mezzi che a quei fini contrastino.

Democratico sarà quindi Modigliani in ogni fibra del suo essere, democratico perché uomo libero, democratico perché socialista.

Tutta la sua vita è una milizia al servizio di questi principî. Il periodo in cui egli entra nell’agone politico è dominato dall’illusione dell’indefinito progresso, di quel progresso che non conosce tramonto. Modigliani non partecipa a questa illusione. Modigliani sente, forse prima di ogni altro, avvicinarsi i tempi della bestia che porta sul suo corpo i segni maledetti.

E un giorno del lontano 1914 i fatti si compiono. Il mondo entra in una era terribile da cui, dopo oltre 30 anni, non siamo ancora usciti.

Da questo istante Modigliani trova la sua vocazione vera e riscuote nel suo cuore una volontà indomabile che lo guiderà per tutta la vita. Guerra alla guerra sarà la sua parola d’ordine, quella che certo splendeva nel suo spirito ancor lucido, pur nelle ore dell’agonia.

La guerra, quali che siano le sue cause, quali che siano i suoi moventi, è il male radicale, il male in sé, il male assoluto.

Se è vero, come diceva Jaurès, che il capitalismo porta nel suo grembo la guerra come la nube porta l’uragano, non è meno vero che essa è generata dalla sua stessa essenza, che essa anticipa nel tempo i motivi che prenderanno inevitabile.

Non basterà quindi lottare contro le forme sociali in cui il morbo si annida e da cui trae alimento; bisognerà lottare direttamente contro la guerra in sé, come il chirurgo lotta contro il cancro che distrugge i tessuti sani.

Il positivista Modigliani assume quindi di fronte a questo mostro un atteggiamento che ha, non soltanto nel fervore dell’azione ma anche nella determinazione dei moventi, come un afflato religioso.

In nome del senso storico si potrebbe irridere a questa posizione, se la guerra stessa non ponesse il problema in termini nuovi.

Oggi, nell’atto in cui la guerra, se scoppiasse, distruggerebbe tutta l’umanità ossia la storia umana, c’è da chiedersi se il senso storico sia adeguato come criterio di giudizio per qualche cosa che minaccia di trascendere; c’è da chiedersi se Modigliani non avesse ragione.

Se quelle posizioni potevano essere irrise ieri, oggi debbono essere considerate da tutti gli uomini di cuore come qualcosa di profondamente vitale, come un fermento risanatore per una umanità che, secondo l’espressione del poeta, appare come uno sciame di assurdi insetti invisibilmente attirati dalla fiamma.

Guerra alla guerra dunque, quali che siano le sue cause, quali che siano i suoi moventi. Ed è questa posizione che lo porta a Zimmerwald, dove egli affermerà con passione i suoi principî.

Se la guerra è il male radicale, essa non può che riprodursi in nuovi mostri, non può che generare nuove catastrofi che limiteranno sempre più la zona della vita, sino ad annullarla per sempre.

Chi pensa che la guerra sia la levatrice della storia, sbaglia. La guerra ne è l’affossatrice. Se non si uccide il mostro, l’umanità, di convulsione in convulsione, precipiterà nell’abisso sino al suo annientamento totale.

Il valore di questa posizione veramente religiosa nei confronti della guerra, non si può quindi commisurare né al criterio storico che spiega i conflitti e neppure allo stesso criterio morale che distingue le guerre giuste dalle guerre ingiuste.

È una posizione che nasce da un istinto vitale, il quale sente inaridire le fonti da cui la vita trae alimento. È una ribellione contro una storia che distrugge sé stessa in nome della ragione storica. È il grido di un profeta antico e nuovo contro tutte le guerre, quali che siano i motivi invocati dagli uomini per uccidere altri uomini, sino alla strage totale che farebbe sparire sul nostro pianeta il genere umano.

Al lume di questa posizione fondamentale, tutta la vita di Modigliani appare come una meravigliosa crociata di vita attraverso un mondo che diventa disumano.

L’antifascismo profondo di Modigliani di fronte alla dittatura nata in Italia dalla prima guerra mondiale, si lega quindi a motivi che vanno al di là della politica, che vanno al di là dello stesso principio morale di libertà.

Il fascismo è il mostro generato dalla guerra e come tale porta in sé le stigmate di un male radicale.

Nella dittatura, prima di ogni altro, Modigliani presente qualcosa di cadaverico, i cui miasmi grevi soffocheranno il respiro della vita.

Ed è notevole che Modigliani, nel periodo di incubazione del fascismo, sorretto da questa sua illuminazione religiosa intorno al significato della guerra come male assoluto, abbia avuto la più lucida visione del problema politico che travagliava allora l’Italia e che solo dopo 20 anni di prove dolorose fu risolto.

Dove il realismo degli altri sfociava nella concezione puramente economica della lotta di classe, il suo senso religioso della libertà lo portava a ficcare lo sguardo più in fondo e a intendere l’intima sostanza delle cose.

Fu in quel periodo che Modigliani, unico forse fra tutti gli uomini della sinistra socialista, pose di fronte alla coscienza del Paese il problema istituzionale in termini di democrazia repubblicana.

Si fece allora dell’ironia sulla repubblichetta di Modigliani. Ma quelli stessi che allora irrisero a una concezione che pareva inadeguata a seguire lo slancio in avanti del popolo, dovettero, dopo un quarto di secolo di sventure e di lutti, salutare l’avvento della Repubblica come una grande vittoria.

L’assassinio di Matteotti trova Modigliani all’avanguardia contro il fascismo. Egli sarà nello stesso tempo il protettore della vedova e dell’orfano, l’accusatore del tiranno, il vindice della giustizia offesa.

Le persecuzioni si fanno più implacabili: la sua casa è devastata, egli stesso è minacciato di morte.

Egli continua imperterrito per la sua strada protetto dalla devozione della sua compagna fedele ed è più tardi, quando la partita in Italia sarà perduta, che il movimento socialista gli consegnerà la preziosa bandiera perché la ponga in salvo al di là della frontiera della Patria.

Comincia per Modigliani, all’avanguardia anche in questo, quel lungo e duro esilio che è tanta parte della vita di noi in cui veramente si è conclusa la sua.

Figlio di una stirpe che conosce da due millenni le amarezze della diaspora, c’è chi potrebbe immaginarselo chiuso in un fatalismo doloroso e in un’attesa messianica. Errore. Nessuno di noi ha sofferto, quanto lui, dall’esilio. Nessuno più di lui ha sentito la separazione dalla Patria come una lacerazione nell’anima e quasi come una amputazione fisica.

Ma nessuno più di lui ha saputo dissimulare la sua sofferenza con un animo stoico che reagiva al dolore con le risorse dell’ironia e, quando l’ironia non bastava, con quelle di una ricca natura a un tempo aristocratica e plebea in cui vedevi la finezza del gran signore e l’esuberanza beffarda del popolo livornese.

Come in Patria, così nell’esilio il suo pensiero dominante era la guerra. La guerra passata che ha generato la dittatura, e quella che viene, portata in grembo dalla dittatura.

Durante un ventennio, sulla stampa, da tutte le tribune, in tutti i congressi dell’internazionale socialista, in Europa e in America, è contro la guerra passata, è contro la guerra futura che egli si leverà in un atto di accusa tremenda.

Il grande avvocato è sempre presente in lui nella tragica causa, che ha come accusato un mostro inafferrabile e come vittima l’umanità tutta intera.

Venti anni di lotta e la causa è, alla fine, di nuovo perduta. Spunta l’alba tragica del settembre 1939.

Per la seconda volta, nella sua vita, Modigliani sente l’agonia della pace come la sua propria agonia.

Vecchio ormai e stanco, lotta con le forze della disperazione per salvare almeno la bandiera del Partito che gli è stata affidata.

Potrebbe recarsi in America dove gli è offerto sicuro rifugio; ma si ostina a rimanere in una Francia invasa dalle armate di Hitler, sotto la minaccia continua della tortura e della morte.

Ed è soltanto nel 1943 che gli amici fraterni lo circondano, riescono a indurlo a varcare il confine della Svizzera, dove colpito dal male, attenderà l’epilogo dell’immane tragedia.

Liberato il territorio nazionale, Modigliani rientra in Patria unicamente per morire. Rieletto deputato si trascinerà in quest’Aula come per offrire la suprema testimonianza di un moribondo, della devozione che gli uomini liberi devono avere per le istituzioni democratiche.

Il nostro Gruppo parlamentare lo designa suo Presidente ed è in questa dignità di nostro fratello maggiore che la morte pietosa lo coglie, troncando la dolorosa agonia.

Modigliani si è spento in un tempo in cui la guerra bussa di nuovo alle porte di una umanità che, come Macbeth, ha ancora le mani rosse di sangue.

Spranghiamo la porta e tracciamo sulla sua soglia il pentagramma che arresta gli spiriti malefici. Fuori di metafora, odiamo la guerra con tutte le forze dell’animo nostro e uniamo tutti gli uomini di buona volontà in questa passione sacrosanta di pace, che è la sola che può suggerire gli accorgimenti che la fredda politica ignora.

Se un soffio universale di libertà e di giustizia non rianima questa umanità che soffoca sotto un destino maledetto, per la terza volta la causa della pace sarà perduta e forse sarà perduta per sempre.

È questo immenso amore della pace tra gli uomini il retaggio che Modigliani ci lascia e che noi tutti dobbiamo raccogliere.

Oggi noi ci inchiniamo sulle fredde ceneri di un uomo che negli ultimi istanti della sua vi fa ha potuto dire di sé come Paolo di Tarso: sono giunto al termine della mia corsa. Ho tenuto ferma la mia fede, ho combattuto la buona battaglia, attendo adesso la corona della giustizia.

Lottiamo con tutte le nostre forze per scongiurare la guerra e affrettiamo l’avvento di un mondo in cui l’umanità, divenuta giusta con sé stessa, sarà degna di deporre un serto di gloria sulla fronte dei grandi che hanno combattuto perché non ci fosse tolto il supremo dei diritti: quello di sperare e di credere. (Applausi).

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Onorevoli colleghi, nelle nobilissime parole del Presidente, Emanuele Modigliani ha già trovato, qui, in mezzo a noi, la più degna commemorazione, e di lui in quest’Aula ha or ora parlato nobilmente anche il collega Saragat. Ma il nostro dolore non può tacere, anche se sa di non poter trovare in questo momento parole adeguate.

La perdita del nostro caro Modigliani era temuta ogni giorno di più. Stringeva il cuore, vederlo in questi ultimi tempi trascinarsi penosamente a quel banco dove egli sembrava stare a difesa della libertà, come una croce su la soglia di un luogo che si vuole difendere dal male.

Ci stringeva il cuore, o colleghi, vederlo lì, non assente col pensiero, ma muto, muto lui, in quest’Aula, dove tante volte la sua eloquenza aveva raggiunto le vette più eccelse.

Gli si passava vicino, lo si salutava, soffermandosi appena per evitargli l’angoscia di non poter rispondere al saluto; e si vedeva la sua faccia stanca spianarsi ed i suoi occhi illuminarsi di un dolce sorriso. Era poco ma, per noi, era qualche cosa. Era il modo di dare al nostro Modigliani la certezza che continuava per lui tutta la nostra tenerezza.

Ma ora, anche questo, o colleghi, è finito; e negli animi nostri vi è una grande tristezza. Chi è venuto, in giorni ormai lontani, in quella milizia in cui trovò Modigliani già audace e fervido combattente; chi, nel corso del tempo, ha avuto la grande fortuna di lottare al suo fianco; chi, attraverso tanti anni, gli è rimasto sempre, anche da lontano, spiritualmente vicino avendo con lui comuni i pericoli, le ansie e le speranze; chi fu legato a lui da una amicizia sorta con la spontaneità, con la freschezza di tutti i sentimenti giovanili e che poi si è rinsaldata, rinforzata attraverso il tempo e le prove, tanto che neppure un malaugurato dissenso, che per la sua gravità avrebbe potuto annebbiarla, non è riuscito a renderla in nulla meno affettuosa e fraterna; come può, in quest’ora, non sentire nell’animo una grande pena?

Onorevoli colleghi, non è una debolezza sentimentale se, nel perdere Emanuele Modigliani, a molti di noi è sembrato che qualche cosa di noi stessi si perdesse; che con lui dileguasse qualche cosa di noi. E per sempre.

Questi però sono sentimenti personali, che l’Assemblea deve scusare se per un bisogno dell’animo abbiamo manifestato. Ma tutto il gruppo del nostro partito è unito e concorde nel rendere questo estremo omaggio alla memoria di chi per la fede comune, per la grande fede socialista, sacrificò tutto se stesso. Si può dire che sacrificò la vita, condannandosi all’esistenza più combattuta, più triste, più angosciata e più amara.

Non credo che sia questa l’ora e non è certo questo il luogo di parlare della sua specifica attività politica, dell’atteggiamento da lui tenuto di fronte alle varie questioni, che si sono presentate nella vita del nostro partito, accennare ai suoi orientamenti ideologici. Non è l’ora e non è il luogo perché, anzitutto, onorevoli colleghi, io sento che qui, nella nostra Aula, quando si rievoca uno dei nostri, non si deve mai dimenticare che siamo in un consesso dove sono rappresentate tutte le idee, le più diverse, anche le più opposte.

Esaltare una determinata fede mi sembra che sempre voglia dire, anche non volendo, opporre la nostra fede alla fede altrui. Quello che si può e si deve esaltare, col consenso di tutti e con lo stesso animo, è il modo col quale una idealità politica si è servita. E di Emanuele Modigliani si può qui, nell’Aula dell’Assemblea Costituente, ben ricordare anche quello che il nostro illustre Presidente ha già ricordato: la difesa che egli sempre fece dell’istituto parlamentare.

Nel corso del tempo, questo istituto potrà trasformarsi – io sono modestamente tra quelli che ritengono che una trasformazione sia necessaria – ma, badate, finché nulla di diverso esisterà, l’istituto parlamentare sarà sempre la base, il fondamento del rispetto di ogni libertà, di ogni civiltà. Tale egli lo considerò e, perché tale, lo volle difendere ad ogni costo, in mezzo ad ogni difficoltà, ad ogni pericolo. Egli fu un grande esperto di vita parlamentare. Questa Aula fu il suo campo di battaglia preferito. Egli fu un grande stratega delle battaglie parlamentari. Ma di lui si deve soprattutto ricordare come egli seppe servire l’idea, che lo guidò e lo illuminò lungo tutta la via: un sacrificio, onorevoli colleghi, assoluto, intero di se stesso; una dedizione – non vorrei da una parte esagerare, e dall’altra, ridurre il significato d’una così grande parola – una dedizione da martire, vorrei dire.

Pensate! Col suo ingegno, con la sua cultura, con la sua preparazione, con la sua parola, avrebbe potuto trionfare nell’agone forense, ricevere onori, guadagnarsi una meritata agiatezza di vita. Non lo sedusse nulla; lo sedusse soltanto il grande sogno di servire una grande idea.

E fu così fermo nell’asserire la sua fede socialista, che di fronte al fascismo (il quale, oltre ad essere negazione di socialismo, anzi per essere negazione di socialismo, aveva dovuto anche negare democrazia e libertà) Egli fu inflessibile e fu, a suo merito fra i più odiati dal passato regime.

Perseguitato, in ogni modo, in ogni luogo, senza tregua, brutalmente. Ingiuriato, schernito, inseguito, percosso, ferito, esposto più volte a pericolo di vita. Ma la sua fede sembrava quasi rafforzarsi ad ogni nuovo assalto e divenire a lui, per ogni nuovo pericolo e ogni nuovo dolore, più cara.

Tutta la sua vita fu una sola battaglia, Ma la vita fu ingiusta verso di lui così giusto; una fortuna sola ebbe, una di quelle fortune che non hanno nome e che forse non si riesce mai a misurare: l’amore di una donna che fu il suo sostegno, la sua difesa, il suo scudo morale e persino in qualche evento, di fronte alla teppaglia fascista, anche materialmente il suo scudo. Ma, tolta questa grande fortuna, poche gioie conobbe: la vita fu aspra, fu amara e cattiva con lui e tuttavia non riuscì, onorevoli colleghi, a renderlo meno buono, perché una delle sue più grandi virtù fu una immensa bontà. Combatté tante cose, forse odiò molte cose, ma non volle mai male a nessuno. Questa, forse, la più grande delle sue grandezze ed è questo il perché a compiangerlo siamo uomini anche di opposte ideologie. L’attività politica può e deve essere diversamente apprezzata; dagli uni esaltata, combattuta dagli altri, ma vi sono dei complessi di virtù dinanzi ai quali le differenze ideologiche e le differenze di fede scompaiono, cancellate, travolte tutte da un grande sentimento di ammirazione. È per questo che, se io non m’inganno, non certo per merito delle nostre povere parole, ma per merito dell’uomo che rievochiamo, in quest’ora, in quest’Aula in cui, non per colpa di alcuni, ma per necessità di cose, non frequenti sono i consensi e spesso aspri sono i contrasti, mi sembra che aleggi una diffusa mestizia a cui nessuno può sottrarsi, e che tutti gli animi assiema ed affratella.

Benedette siano queste figure umane di eccezione che in vita seppero esser tali che, morendo, le accompagna un rimpianto che tutti rattrista, ma di una tristezza che ci rende un po’ migliori. (Vivi applausi).

MOLÈ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MOLÈ. Non è volontà di prolungare una commemorazione così dolorosa, che può avermi indotto a parlare, a nome mio e dei miei amici. Alcuni di noi vissero gli anni della giovinezza lontana in consuetudine di pensiero e di vita con l’uomo che oggi piangiamo: così che a noi pare che con lui scompaia qualcosa di noi, forse la parte migliore: la stessa poesia della giovinezza lontana. Non è volontà di prolungare una così dolorosa commemorazione che dunque c’induce a parlare.

I morti restano nel ricordo di quelli che sopravvivono, non per il numero delle parole e per l’ampiezza delle celebrazioni, ma per quello che furono, per quello che hanno fatto, per l’eredità che lasciano di insegnamenti e di opere.

E di quello che fu Modigliani, nella nostra vita politica; di quel che operò nel periodo più oscuro e tormentoso della nostra storia civile: di lui, socialista, rappresentante del popolo, combattente della libertà in Patria e fuori; della sua odissea aspra e tempestosa di profugo che divise con colei che mai da lui non fu divisa il pane salato dell’esilio e della miseria, hanno detto i colleghi che mi han preceduto: l’onorevole Saragat, dando di scorcio la visione complessiva di quello che fu il suo pensiero politico, l’amico Targetti tracciando l’immagine morale dell’uomo.

Una sola cosa io vi dirò. Emanuele Modigliani fu onore del socialismo italiano. Ma tutti i partiti possono onorarsi di lui, perché chi fa della vita politica una severa milizia, chi offre l’esempio di una perfetta coerenza di pensiero e di azione, chi affronta persecuzioni, pericoli, miseria, sacrificio per servire una idea, chi può dire morendo, come Spinoza, che la sua eredità è una riconferma dell’Etica, esula dai confini di una formazione politica e personifica i valori religiosi della vita.

Nulla dunque da aggiungere alla commossa celebrazione che, con unanime consenso, il Parlamento fa di Colui che lo difese a viso aperto. Noi uniamo a questo accorato cordoglio il nostro accorato rimpianto.

Ma nel nostro rimpianto vi è una vena di amarezza perché non sappiamo tacere una protesta, ahimè quanto vana! Contro l’iniquità del destino che ha concluso la vita di Modigliani.

Il destino fu per lui beffardo ed ostile.

La sua morte è di ieri. Ieri si è conchiuso il Suo ciclo e si è spenta l’ultima luce che si era raccolta negli occhi. Ma la morte era cominciata da quando il morbo gli aveva suggellato sulle labbra la parola; quella libera parola, fatta di potenze, di finezze, di passione e di impeti, che non era riuscita a soffocare la tirannide e che era stato lo strumento della sua lotta, l’arma del suo dominio. Così lentamente era costretto a morire giorno per giorno, ora per ora, spettatore e vittima della sua stessa tragedia – la più terribile tragedia che possa colpire gli uomini di pensiero: la tragedia del pensiero che pensa e non si esprime, la tragedia del pensiero che permane lucido e vivo ma è imbrigliato e incatenato dalla impossibilità dell’espressione. Questo martirio è durato due anni.

Noi lo vedemmo qualche volta aggirarsi in quest’Aula, testimone del suo glorioso passato, come l’ombra di se stesso, come un’ombra che cercasse in quest’Aula se stesso e gli echi del suo passato! Ma, estraniato dalle moltitudini, che lo amavano e che erano la vocazione del suo più grande amore, egli dovette recludersi in solitudine. E in solitudine attese la morte.

Che ieri è giunta per lui, finalmente, liberatrice.

Non così, non così doveva finire, inerte e muto, con la parola spenta o gorgogliante nella gola, questo grande signore della parola che aveva osato levarsi in nome di tutte le libertà contro tutte le tirannie. Non così, non così doveva finire questo dominatore di Assemblee, capace da solo di tenere in iscacco una maggioranza e di mettere in minoranza un Governo. Egli meritava altra sorte. A questo povero inerme e glorioso che nella parola aveva la sua unica potenza e la sua grande ricchezza, il destino beffardo ed iniquo non doveva togliere, non poteva togliere, dopo tanto soffrire, la sua sola potenza, la sua sola ricchezza. Questo grande lottatore meritava di finire come il gladiatore sul terreno.

Così, così doveva morire Emanuele Modigliani: in piedi – combattendo fulminato, folgorato nella pienezza della sua eloquenza – non vuotato, impoverito, assottigliato, mutilato dal male della carne miserabile che soffoca la voce del pensiero e spegne la luce divina dello spirito.

È questo senso di ribellione che aggrava il nostro rimpianto e rende più cocente il nostro dolore.

Ma Emanuele Modigliani non muore tutto quanto, se lascia tanta eredità di insegnamento e di opere.

Egli lascia, soprattutto, a noi la sua fede e la sua idea: la consegna di continuare come un sacro mandato, con la sua fede e la sua idea, l’opera cui dedicò tutta la vita: questa opera per la libertà umana e per la giustizia sociale: la meta, Egli disse, verso cui va inesorabilmente la storia, la meta – noi ripetiamo con Lui – verso cui andrà inesorabilmente la storia. (Applausi).

RUBILLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUBILLI. Porto l’adesione commossa del Gruppo parlamentare liberale alla solenne, doverosa, adeguata commemorazione di Giuseppe Emanuele Modigliani.

Prima il nostro Presidente, poi chi più ne aveva il diritto, il dovere e l’autorità e poi anche gli altri oratori hanno di già ricordato la fede, i sentimenti, i meriti, le qualità e la multiforme attività politica di Giuseppe Emanuele Modigliani con le grandi lotte, le grandi battaglie da lui sostenute per il trionfo della civiltà e della giustizia. Noi, radicali e liberali, seguimmo tutta quanta l’opera sua con simpatia e con ammirazione, ed anche con l’animo aperto a tutte le idealità democratiche, a tutte le rivendicazioni sociali.

Io desidero però ricordare soltanto, che qui abbiamo conosciuto l’insigne parlamentare, abbiamo ammirato il campione invitto del socialismo, ma bisogna pur dire che l’attività di Emanuele Modigliani si svolgeva anche mirabile in altri campi, poiché egli era un illustre professionista, uno dei più grandi avvocati penali d’Italia. Mi piace poi, rievocarlo in questo momento come ancora ci pare di rivederlo, nei suoi momenti migliori, specialmente durante il periodo della prima guerra mondiale, quando in quest’Aula appariva veramente come un dominatore, un dominatore nell’aspetto, un dominatore nell’atteggiamento, nel gesto, nella parola travolgente e formidabile.

Quindi vennero le persecuzioni, poi venne l’esilio, vennero i dolori che fiaccarono il gagliardo e robusto organismo, e poi venne la libertà, venne il suo ritorno in Patria, il suo ritorno nell’Aula, in quest’Aula dei suoi grandi trionfi: ma il gigante, purtroppo, era abbattuto.

Però, anche quando egli si trascinava sorretto da qualche collega o anche da qualche usciere, poggiato sul suo bastoncello, noi notavamo che negli occhi gli brillavano sempre la stessa fede, gli stessi sentimenti che accoglieva nell’anima, quando era un dominatore, quando era un gigante.

Mentre ora vivamente commossi ci raccogliamo nel dolore per la sua dipartita, che pur non era assolutamente imprevista, io non credo di aggiungere altro a quanto di lui è stato di già detto. Non vi è bisogno di molte parole per commemorare Modigliani, perché egli appartiene indiscutibilmente a quella fulgida schiera di grandi figure parlamentari che hanno onorato l’Italia e che, anche attraverso gli anni, non potranno mai essere dimenticate! (Vivi applausi).

GRONCHI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRONCHI. Dinanzi alla maestà della morte, onorevoli colleghi, inadeguate ed esteriori appaiono anche le parole dettate dal più profondo e sincero sentimento. Ma non può mancare, dinanzi alla scomparsa di Emanuele Modigliani, né l’omaggio commosso e riverente di tutto il nostro Gruppo, né l’espressione mia personale che mi associa così profondamente a tanto rimpianto.

Emanuele Modigliani è stato un lottatore aperto, leale, impetuoso per la sua fede, fin dai tempi lontani in cui gli uomini della mia generazione cercavano faticosamente, ma ardentemente, di avvicinare la loro fede religiosa al primo anelito di liberazione delle classi lavoratrici. In quel primo affermarsi della Democrazia cristiana, che schierò i più ardenti e consapevoli di noi a lato delle aspirazioni e delle rivendicazioni di libertà, io fui vicino ad Emanuele Modigliani, anche per l’attività che egli svolgeva nella sua Livorno, fui tra coloro che esperimentarono in quel suo temperamento positivista quanto poteva l’idealismo di una fede, che lo conduceva a rispettare altamente tutte le altre fedi sinceramente professate e lo rendeva araldo di libertà e di democrazia, anche nel periodo nel quale l’atmosfera arroventata della guerra mondiale, sembrava portare le folle lavoratrici verso forme di intolleranza o di violenta opposizione ad ogni altra idea che non fosse la loro.

Egli combatté due lotte elettorali e io lo ebbi, noi lo avemmo avversario leale ed aperto, ma rispettoso di ogni forma di libertà; ed imparammo a conoscere in lui quella cui i colleghi che hanno parlato prima di me hanno fatto cenno e che egli ebbe in altissima misura, cioè la grande bontà, quella bontà che lo rendeva istintivamente vicino ad ogni causa di giustizia e lo faceva sentire fraterno in ogni sofferenza e in ogni miseria.

È così che, senza retorica, pensando a lui, pensando alla forma altamente ideale con cui si combattevano le campagne politiche di una volta, non credo sia esagerato definirlo – come vorrei definirlo chiudendo queste mie brevi parole – cavaliere dell’umanità. (Applausi).

MASTROJANNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTROJANNI. Onorevoli colleghi! La morte di Emanuele Modigliani non tanto ci sorprende, quanto ci addolora. L’età veneranda, nel fragile corpo, da tempo aggredito dal male, più non consentiva umane speranze risolutive. Tuttavia la morte che sempre rende pensosi, tanto più ci fa meditare quando, come questa volta, chiude la vita di un uomo, il cui nome è assurto a simbolo di libertà.

Quando piccoli uomini, investiti del mandato parlamentare, intimiditi dalla boriosa tracotanza del dittatore, supinamente piegarono la bandiera della libertà, qui, Emanuele Modigliani, solo tra pochi, levò alta e solenne la sua protesta ammonitrice. Qui Emanuele Modigliani sciolse il più grande inno alla libertà.

Noi non possiamo dimenticare ciò; noi ci inchiniamo reverenti di fronte a uomo sì grande, a uomo, il quale non è morto. Egli vive perennemente nei nostri cuori; egli vive per tutte le generazioni future che saranno illuminate dalla sua memoria, per tutti i supremi beni dello spirito. A nome del Gruppo parlamentare dell’Uomo Qualunque, esprimo il più profondo cordoglio. (Applausi).

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Dopo così ardenti rievocazioni, mi sia consentito, a nome del nostro Gruppo e di coloro i quali composero il movimento di «Giustizia e Libertà», intorno a cui Modigliani visse per circa quindici anni, recare una parola di saluto.

Noi sentiamo che, più che ai partiti ed alle correnti politiche, le grandi anime – e Modigliani fu una grande anima – appartengono all’umanità. Io voglio di lui ricordare soltanto la semplice, eroica serenità con la quale sempre, in ogni momento, seppe affrontare i rischi e i pericoli che il fascismo, attraverso le sue persecuzioni e le sue polizie – tre polizie – lo colpì. Aggiungo che egli tentò il passaggio (e vi riuscì) in Svizzera, perché il passare era ugualmente rischioso quanto il rimanere.

Io voglio anche portare, a nome del nostro Gruppo e principalmente a nome della vecchia famiglia di «Giustizia e Libertà» nella quale Carlo Rosselli era verso Modigliani come un figliolo – alla compagna di Modigliani, Vera Modigliani, l’espressione del nostro affetto e della nostra devozione.

Credo che più degnamente non era possibile scolpire la devozione, la coerenza che questa fedele, coraggiosa compagna mantenne in tutta la sua vita, delle parole che essa volle mettere come prefazione alla dedica del libro dell’esilio, che ricorda gli anni dal 1926 alla liberazione dell’Italia, così semplicemente concepita: Ubi tu Caius et ego Caia. Dovunque tu sia e comunque tu sia, al tuo fianco io, la tua compagna.

È un simbolo. (Applausi).

GRIECO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRIECO. Il Gruppo comunista si associa al profondo tributo di cordoglio dell’Assemblea per la morte del grande tribuno Giuseppe Emanuele Modigliani. (Applausi).

SARDIELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SARDIELLO. Il Gruppo parlamentare repubblicano si associa a questa rievocazione di Giuseppe Emanuele Modigliani.

Non ripeterò, in nome dei miei amici di Gruppo, le alte parole pronunciate dai precedenti oratori, ma il Partito repubblicano italiano non può, non vuole dimenticare che Giuseppe Emanuele Modigliani, nato alla lotta politica nell’atmosfera grande e luminosa delle battaglie per le rivendicazioni sociali, ebbe sempre una particolare sensibilità per i problemi più strettamente politici, per le battaglie dirette alla conquista dei diritti politici del popolo. E fu assertore magnifico e tra i più forti sostenitori del suffragio universale. E quando drammatici eventi, parvero dare veramente una grande espressione sintetica di certe leggi profonde della storia, mostrando che alle conquiste sociali è mezzo potente la conquista del diritto politico, Giuseppe Emanuele Modigliani naturalmente, fu tra gli assertori più vivi, più alti e costanti dell’idea e delle istituzioni repubblicane.

Per questo suo atteggiamento di pensiero politico, che egli nella realtà concretò in una perenne simpatia (animata dalla visione di una lunga, perseverante battaglia da sostenere insieme) verso il Partito repubblicano; in nome di questi ricordi, il Gruppo parlamentare repubblicano partecipa alla commozione di tutta l’Assemblea in quest’ora di profonda tristezza. (Applausi).

MERLIN UMBERTO, Ministro delle poste e telecomunicazioni. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MERLIN UMBERTO, Ministro delle poste e telecomunicazioni. Il Governo si associa con cuore commosso alle meritate onoranze che sono state rese da questa Camera, con la voce di uomini autorevoli dei vari partiti, alla memoria del grande parlamentare onorevole Modigliani.

È una delle fortune del nostro sistema politico di potere spesso onorare questi uomini superiori, che si ergono al disopra di ogni divisione e che con la loro altezza morale personificano quell’ideale di libertà, che costituisce il patrimonio comune di tutti gli uomini che credono nel regime democratico. Per questi ideali il Nostro ha tanto sofferto nella sua esistenza.

Io che ho avuto l’onore di sedere in questa Aula per tre legislature, prima dell’avvento del fascismo, e che ho partecipato con l’onorevole Modigliani ad una delle più belle battaglie che siano state combattute in difesa della libertà – la battaglia dell’Aventino – io ho sempre ammirato questa splendida figura di uomo realmente superiore, di grande parlamentare, il quale non era solo antifascista per ragioni politiche, ma soprattutto, o signori, era antifascista per ragioni morali, io ho il dovere in quest’ora di riconoscere la superiorità di questo uomo. Egli nella lotta contro il fascismo vedeva soprattutto il dovere di tutti gli uomini onesti di combattere una dottrina che voleva vincere l’avversario, non con la persuasione e la vittoria del numero, ma con la violenza sopraffattrice.

Ed io ricordo che, quando fu certo ormai, che Giacomo Matteotti era stato trucidato dai fascisti e che la responsabilità del Governo di allora era evidente, l’onorevole Modigliani fu uno di quelli che più fermamente sostennero che noi dell’opposizione non potevamo più rimanere in quest’Aula, perché una barriera incolmabile erasi creata tra noi e la maggioranza.

Il suo antifascismo era basato su questa ripugnanza morale e noi condividevamo il suo retto pensiero. Egli aveva il culto del Parlamento e capiva che ogni offesa rivolta a questo Istituto, palladio di tutte le libertà, era un’offesa rivolta alla libertà del cittadino, alla tolleranza verso tutte le opinioni, alla difesa della dignità e della personalità umana.

Campione della libertà, difensore del Parlamento, quest’uomo, che tanto sofferse nel lungo esilio, era tornato fra noi ormai vecchio e ammalato; e noi che lo avevamo conosciuto forte, fiero, virilmente pugnace, soffrivamo spesso vedendolo nelle condizioni fisiche in cui egli era. Ma non pensavamo che così presto egli ci fosse rapito.

È per questo che, finché ci sarà al mondo il culto per la libertà, finché vi sarà al mondo un Parlamento da difendere, finché vi saranno uomini pronti a dare per la libertà anche la vita, il nome di Giuseppe Emanuele Modigliani sarà sempre onorato nei secoli. (Vivissimi applausi).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Penso che sia opportuno, onorevoli colleghi, ricordare brevemente l’ultima seduta nella quale abbiamo discusso in ordine al progetto costituzionale e abbiamo correlativamente votato.

Nella seduta scorsa, dedicata al progetto costituzionale, dopo aver udito lo svolgimento degli ultimi due emendamenti che si riferivano ad un modo complementare di formazione del Senato per mezzo di alcune nomine dall’alto e di alcuni posti da ricoprire per cariche, siamo passati all’esame del modo di votazione e ci siamo trovati di fronte due ordini del giorno.

I due ordini del giorno erano stati presentati rispettivamente dall’onorevole Lami Starnuti e da altri colleghi, e dall’onorevole Nitti e da altri colleghi.

I due ordini del giorno ponevano nettamente il problema della formazione del Senato della Repubblica sulla base del suffragio universale e diretto, ma l’uno col sistema proporzionale, l’altro invece col sistema uninominale.

Si è svolta una lunga discussione procedurale, perché alcuni colleghi sostenevano che non si potessero mettere in votazione gli ordini del giorno prima della votazione degli emendamenti.

Dopo quella lunga discussione procedurale, essendo stato accettato da tutti il criterio che si procedesse alla votazione degli ordini del giorno, alcuni colleghi hanno però ritenuto opportuno che ai due ordini del giorno già presentati se ne aggiungesse un altro che affermasse un nuovo e diverso principio. E precisamente quello della elezione indiretta, di secondo grado.

È sufficiente che i colleghi rileggano, non il sommario, ma il resoconto stenografico di quella seduta, per constatare come l’ordine del giorno che chiamerò Perassi, sebbene presentato da altri colleghi che hanno però in esso ripreso il contenuto di un emendamento Perassi – mirava essenzialmente a fissare questo principio in ambedue i settori elettorali che quest’ordine del giorno proponeva per l’elezione del Senato della Repubblica. E cioè, un primo settore costituito dalla Assemblea regionale, e un secondo settore costituito da elettori di secondo grado che avrebbero dovuto essere eletti secondo un sistema particolare.

Si è proceduto alla votazione, che, come i colleghi ricordano, è stata fatta per divisione, e si è votato contemporaneamente sopra le due parti dell’ordine del giorno Perassi.

L’Assemblea ha respinto a maggioranza sia la prima che la seconda parte di questo ordine del giorno.

Questo è il punto a cui si è giunti. Si tratta quindi, adesso, di passare alla votazione di uno degli altri due ordini del giorno. Se l’ordine del giorno Perassi, che portava, fra le altre, la firma dell’onorevole Uberti, avesse avuto la maggioranza, gli ordini del giorno dell’onorevole Lami Starnuti e dell’onorevole Nitti sarebbero decaduti. Poiché quel primo ordine del giorno è stato respinto, dobbiamo porre adesso alla prova della votazione gli altri due ordini del giorno. Si tratta di stabilire quale di questi debba avere la precedenza. Rammento che nella lunga discussione svoltasi nella ultima seduta dedicata al problema costituzionale, i presentatori di questi due ordini del giorno, gli onorevoli Nitti e Lami Starnuti, non contesero sulla precedenza. Ciascuno di questi ordini del giorno contrappone all’altro un sistema elettorale; ed è evidente che i colleghi non voteranno per l’uno o l’altro perché è per primo posto in votazione, ma voteranno in relazione al modo con cui giudicano i due sistemi. L’onorevole Lami Starnuti aveva accennato, comunque, nel corso di quella lunga discussione, che egli accettava senz’altro che si desse la precedenza all’ordine del giorno Nitti. Credo perciò, che il primo ordine del giorno da mettere in votazione sia quello a firma dell’onorevole Nitti. Quest’ordine del giorno è del seguente tenore:

«L’Assemblea Costituente afferma che il Senato sarà eletto con suffragio universale diretto col sistema del collegio uninominale.

«Nitti, Rubilli, Persico, Laconi, Gullo Fausto, Quintieri Quinto, Nasi, Bozzi, Grieco, Togliatti, Cifaldi, Reale Vito, Vigna, Molè, Perrone Capano, Basile, Russo Perez, Dugoni, Coletto».

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi. L’onorevole Presidente ha richiamato le condizioni nelle quali sono avvenute nella seduta ultima in materia costituzionale le votazioni sull’ordine del giorno di cui ha fatto cenno. Sembra che da qualche espressione usata dall’onorevole Presidente, a quest’ordine del giorno si crede di poter attribuire una portata che a mio avviso non può avere. Io ricordo che in quella seduta l’onorevole Fabbri aveva prospettato l’opportunità che l’Assemblea fosse consultata su dei principî di ordine generale. Questa proposta non ebbe seguito. In realtà si venne alla votazione su quest’ordine del giorno che porta la mia firma. Ora, a me pare che l’Assemblea non può attribuire a quest’ordine del giorno se non un valore strettamente attinente a quanto in esso si dice. In altri termini l’Assemblea non ha approvato due formule concretissime e cioè l’elezione di tre senatori per ciascuna Regione da parte del Consiglio regionale e l’elezione – che è la seconda formula concreta – del resto, per ciascuna Regione, attraverso un procedimento di elezione di secondo grado. A mio avviso quest’ordine del giorno importa semplicemente che l’Assemblea non ha votato quelle due formule concrete. Non si può adesso attribuire ad esso una portata maggiore. Devo quindi fare ogni più ampia riserva circa qualsiasi altra interpretazione dell’ordine del giorno. A mio avviso esso non preclude che le questioni che sono state concretamente poste con quella formula possano essere esaminate dall’Assemblea.

PRESIDENTE. Ritengo che l’interpretazione di. ogni votazione fatta dall’Assemblea non debba basarsi puramente sull’esame schematico del documento votato, ma anche su tutte le discussioni che ne hanno accompagnato la presentazione e preceduta la votazione; in questo senso, poco fa, ho detto che la semplice consultazione del processo verbale della seduta pomeridiana di giovedì 25 settembre 1947 avrebbe fornito lumi a tutti i deputati, e avrebbe – lo speravo – evitato una inutile discussione sull’argomento. In questo processo verbale si legge che, dopo che io stesso avevo preannunciato l’esistenza di due ordini del giorno che sarebbero stati posti in votazione, l’onorevole Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione, ha fatto presente che sarebbe stato necessario stabilire prima, se la composizione del Senato, dovesse essere unica o lasciata in parte ai Consigli regionali; e su questa proposta dell’onorevole Ruini si è sviluppata poi, tutta la discussione successiva.

In questa prese immediatamente la parola l’onorevole Piccioni, facendo per l’appunto rilevare che se attraverso l’ordine del giorno dell’onorevole Nitti si proponeva il collegio uninominale ed attraverso l’ordine del giorno Lami Starnuti si proponeva il suffragio con la proporzionale, c’era un terzo sistema – diceva letteralmente l’onorevole Piccioni – che attraverso la discussione ha raccolto vasti consensi, ed è quello appunto contenuto nell’emendamento dell’onorevole Perassi contemplante l’elezione di secondo grado. Ecco la base delle decisioni dell’Assemblea. L’ordine del giorno Perassi, infatti, non proponeva semplicemente due modi concreti nei quali il sistema elettorale di secondo grado avrebbe potuto tradursi quando l’Assemblea avesse votato in principio il sistema di secondo grado.

L’ordine del giorno Perassi, che portava appunto anche la firma dell’onorevole Piccioni, ha voluto significare contrapporre alle elezioni con il collegio uninominale e alle elezioni con la proporzionale un terzo sistema che attraverso la discussione, come ci ha detto l’onorevole Piccioni, aveva raccolto vasti consensi; ed era quello delle elezioni di secondo grado.

Mi pare che sia da questo punto, è solo da questo punto di vista che noi dobbiamo valutare la votazione avvenuta; e se poi volessi aggiungere ancora un commento chiarificatore, potrei richiamare ciò che l’onorevole Lussu ha detto.

Anche l’onorevole Lussu, invitando i colleghi a trasformare l’emendamento Perassi in un ordine del giorno, ha detto: «È bene che l’Assemblea abbia così di fronte a sé i tre schemi».

Mi pare che ogni ulteriore discussione di fronte alle dichiarazioni espresse di coloro che si sono fatti sostenitori dell’ordine del giorno Perassi sia evidentemente del tutto inutile.

L’Assemblea ha votato un ordine del giorno che proponeva: 1°) il sistema indiretto di elezione; 2°) la devoluzione all’Assemblea regionale di una parte dei senatori che dovevano essere eletti dalle singole Regioni.

Queste due posizioni di principio sono state respinte tutte e due dall’Assemblea, e non per nulla si è chiesto che la votazione avvenisse per divisione: proprio perché poteva avvenire che l’Assemblea accettasse il principio della elezione diretta, ma respingesse il settore elettorale dell’Assemblea regionale, come poteva invece avvenire che l’Assemblea accettasse di deferire all’Assemblea regionale una parte dei senatori da eleggere, pur riservando all’altra parte dei senatori da eleggersi, un sistema elettorale che fosse diretto e non indiretto.

I due principî sono stati posti separatamente e separatamente sono stati chiariti; l’Assemblea ha risposto.

Mi pare, pertanto, che l’obiezione dell’onorevole Perassi non abbia validità.

PERASSI. Io mantengo la mia riserva.

COSTANTINI. Vi sono altri ordini del giorno.

PRESIDENTE. Ve ne sono altri due e bisogna passare alla loro votazione. Indipendentemente da ogni commento sopra la votazione avvenuta, è chiaro che, avendo tre ordini del giorno, avendo dato, per transazione, direi, lodevole da parte di certi settori dell’Assemblea, il consenso che l’ordine del giorno presentato per ultimo fosse votato per primo, non resta che votare gli altri due.

Rammento che nella introduzione alla votazione delle scorse sedute ho fatto rilevare che la votazione degli ordini del giorno devono precedere, a tenore del Regolamento, anche perché influiscono, a seconda del senso, in un modo o nell’altro, sugli emendamenti presentati, o facendoli decadere o provocando la presentazione di emendamenti ad emendamenti. Comunque, ripeto che mi pare pacifico che, votato il primo ordine del giorno, bisogna passare alla votazione degli altri due successivi, ed avvenuta questa votazione, passare agli emendamenti.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Dobbiamo porre in votazione il seguente ordine del giorno presentato dall’onorevole Nitti e da altri:

«L’Assemblea Costituente afferma che il Senato sarà eletto con suffragio universale e diretto, col sistema del collegio uninominale».

È stata chiesta la votazione a scrutinio segreto dagli onorevoli Sicigliano, Molinelli, Minio, Lombardi Carlo, Rossi Maria Maddalena, Pellegrini, Bardini, Cremaschi Olindo, Grieco, Bucci, Bernamonti, Bianchi Bruno, Flecchia, Ferrati, Lozza, Laconi, Dozza, Bibolotti, Mezzadra, Fiore, Rubilli, Bozzi, Badini Confalonieri, Morelli Renato, Cortese, Villabruna, Gasparotto, Paratore.

Procediamo alla votazione a scrutinio segreto.

Presidenza del Vicepresidente BOSCO LUCARELLI

(Segue la votazione).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione. Invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano voti).

Presidenza del Presidente TERRACINI

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto:

Presenti e votanti                   371

Maggioranza                         186

Voti favorevoli                      190

Voti contrari                          181

(L’Assemblea approva – Commenti).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Adonnino – Alberti – Aldisio – Allegato – Amadei – Ambrosini – Amendola – Andreotti – Angelucci – Arcangeli – Assennato – Avanzini – Azzi.

Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basso – Bastianetto – Bei Adele – Bellato – Belotti – Bencivenga – Benedettini – Benvenuti – Bergamini – Bernabei – Bernamonti – Bertola – Bertone – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Bitossi – Bocconi – Bolognesi – Bonino – Bonomelli – Bonomi Paolo – Bordon – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bosi – Bozzi – Braschi – Brusasca – Bubbio – Bucci – Bulloni Pietro.

Cacciatore – Caccuri – Camposarcuno – Candela – Canevari – Caporali – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Capua – Carbonari – Carboni Enrico – Carignani – Caristia – Caronia – Carratelli – Castelli Avolio – Castiglia – Cavallari – Cavalli – Cavallotti – Cerreti – Chatrian – Chiarini – Chieffi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Clerici – Codacci Pisanelli – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsanego – Cortese – Costa – Costantini – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo – Cuomo.

D’Amico – De Filpo – De Gasperi – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Di Gloria – Di Vittorio – Dominedò – Donati – D’Onofrio – Dozza.

Ermini.

Fabbri – Fabriani – Faccio – Fanfani – Fantoni – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Ferreri – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fioritto – Firrao – Flecchia – Foa – Foresi – Fornara – Franceschini – Fresa – Froggio – Fuschini.

Gabrieli – Gallico Spano Nadia – Gasparotto – Gatta – Gavina – Germano – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Ghislandi – Giacchero – Giolitti – Giordani – Giua – Gorreri – Gotelli Angela – Grassi – Grazi Enrico – Grieco – Grilli – Gronchi – Guariento – Gui – Guidi Cingolani Angela.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jacometti – Jervolino.

Labriola – Laconi – Lagravinese Pasquale – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Rocca – Lazzati – Leone Francesco – Leone Giovanni – Lettieri – Li Causi – Lizier – Lizzadri – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo– Lombardo Ivan Matteo – Longo – Lozza – Lucifero – Lussu.

Maffi – Magnani – Magrini – Maltagliati – Malvestiti – Mancini – Marezza – Marchesi – Mariani Enrico – Marinaro – Marzarotto – Massini – Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mastrojanni – Mattarella –  Mattei Teresa – Mazzoni – Meda Luigi – Mentasti – Merlin Angelina – Mezzadra – Miccolis – Minella Angiola – Minio – Molè – Molinelli – Momigliano – Montagnana Mario – Montagnana Rita – Montalbano – Monticelli – Morandi – Moranino – Morelli Luigi – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati – Moscatelli – Mùrdaca – Murgia – Musolino.

Nasi – Negarville – Negro – Nenni – Nicotra Maria – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Noce Teresa – Notarianni – Novella – Numeroso.

Pajetta Gian Carlo – Pajetta Giuliano – Pallastrelli – Paratore – Paris – Parri – Pastore Giulio – Pat – Patricolo – Pecorari – Pella – Pellegrini – Pera – Perassi – Perlingieri – Persico – Pertini Sandro – Perugi – Pesenti – Piccioni – Piemonte – Pignatari – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Ponti – Pratolongo – Preziosi – Priolo – Proia – Pucci – Puoti.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Raimondi – Rapelli – Ravagnan – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Restagno – Restivo – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rodinò Ugo – Romano – Roselli – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Rubilli – Ruggieri Luigi – Ruini – Rumor.

Saccenti – Salerno – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Santi – Sapienza – Saragat – Sardiello – Scalfaro – Scarpa – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scocci-marro – Scotti Francesco – Secchia – Segni – Selvaggi – Sereni – Sicignano – Siles – Silipo – Spano – Spataro – Stampacchia – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.

Targetti – Taviani – Tega Tessitori – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Togni – Tonello – Tonetti – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Trimarchi – Tripepi – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Valiani – Valmarana – Vanoni – Vernocchi – Veroni – Viale – Vicentini – Vigna – Villabruna – Villani – Volpe.

Zanardi – Zerbi – Zotta – Zuccarini.

Sono in congedo:

Angelini.

Cairo – Carmagnola – Cevolotto.

De Vita – Dugoni.

Jacini.

Martino Enrico – Martino Gaetano.

Perrone Capano – Porzio.

Russo Perez.

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Passiamo all’esame dell’articolo 55 nei suoi vari capoversi in relazione agli emendamenti che sono stati svolti nel corso della discussione e che sono compatibili con le votazioni sino a questo momento eseguite dall’Assemblea.

Pregherei il Presidente della Commissione, onorevole Ruini, di dire se dobbiamo attenerci, per l’esame degli emendamenti, al testo stampato ovvero al testo così come è stato redatto nell’ultima riunione del Comitato di redazione e che mi ha comunicato in visione nell’ultima seduta.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevole Presidente, quel testo era stato concordato condizionatamente, nel senso che alcune delle correnti rappresentate nel Comitato avevano dichiarato di aderirvi soltanto nel caso che fosse stato approvato il primo comma dell’articolo 55: «La Camera dei Senatori è eletta a base regionale». Non essendo stato ancora approvato questo comma, il testo nuovo non può essere considerato come nuovo testo di Commissione ed assunto a base di discussione.

Resta ora da vedere la questione sollevata come riserva dal collega Perassi, se si possa, malgrado la reiezione del suo ordine del giorno, procedere alla votazione del comma. Mi sembra che giudice in tale questione, trattandosi di interpretare una sua deliberazione già presa, debba essere l’Assemblea.

Se l’Assemblea deciderà in tal senso, e se sarà approvato il primo comma, allora il Comitato farà formalmente suo il testo concordato.

PRESIDENTE, Pregherei l’onorevole Perassi, il quale ha fatto una riserva prima che si passasse alla votazione or ora conclusa, di esprimere quanto egli pensa in proposito.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Ringrazio l’onorevole Presidente per avermi dato la possibilità di far conoscere il mio pensiero.

Per essere chiaro, osservo anzitutto che quel famoso ordine del giorno, che è stato sottoposto all’Assemblea nella precedente seduta, ha la sua origine in un emendamento che avevo proposto, emendamento che riguardava esclusivamente l’ultimo comma dell’articolo proposto dalla Commissione. Per conseguenza nel mio pensiero è certo che tutto il resto dell’articolo era un presupposto del mio emendamento, che non era toccato affatto. Ora, che cosa ha deliberato l’Assemblea?

A mio avviso, l’Assemblea ha deliberato di non adottare una formula che concerne l’ultima parte dell’articolo, cioè a dire non ha adottato due modi che erano indicati per quanto concerne l’elezione dei senatori assegnati a ciascuna Regione. L’Assemblea ha ritenuto che non fosse opportuno stabilire che tre senatori fossero eletti dal Consiglio regionale; non ha ritenuto opportuno che il resto dei senatori assegnati a ciascuna Regione fosse eletto col sistema che era stato indicato, cioè elezione indiretta con quei certi criteri stabiliti.

A mio avviso, ripeto, quest’ordine del giorno votato dall’Assemblea non può avere effetto preclusivo se non per le formule concrete in esso indicate. Per conseguenza, allo stato delle cose, l’ordine del giorno che è stato approvato, concernente il sistema del collegio uninominale, mi pare tocchi il problema della elezione di una parte dei senatori e, anzitutto, questo ordine del giorno non risolve un altro problema, che è pregiudiziale e che non è stato affatto affrontato. Ed è il problema che è riassunto nei primi due commi dell’articolo proposto dalla Commissione.

Il primo comma afferma anzitutto che il Senato sarà costituito su base regionale: su questo punto non c’è nessuna preclusione.

Il secondo comma afferma un altro concetto, che non ha nulla a che fare col modo di elezione, cioè dice che il numero dei senatori è determinato in relazione a ciascuna Regione, in base ad un certo rapporto proporzionale; ma aggiunge che, oltre al numero dei senatori determinato per ciascuna Regione in proporzione alla popolazione, è assegnato a ciascuna di esse un certo numero fisso, che nel testo era indicato in cinque.

Anche tutti questi aspetti del problema non sono stati affatto pregiudicati dai voti intervenuti. Per conseguenza, a mio avviso, mi pare che non vi sia dubbio che l’Assemblea, allo stato delle cose, non possa far altro se non prendere in esame il progetto della Commissione così come era staio proposto e, per quanto riguarda anzitutto i primi commi, esaminare gli emendamenti che sono stati presentati.

Quando poi si arriverà all’ultimo comma, relativo al modo di elezione, allora si potrà ritenere che sono preclusi quei concreti modi indicati nell’ordine del giorno che noi avevamo presentato e si potrà ritenere che l’elezione del grosso dei senatori – non tutti – avverrà secondo il sistema del collegio uninominale.

Mi pare che in questi termini si possa porre la questione all’ora attuale.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Ho chiesto di parlare perché desidero pregare l’onorevole Perassi di fornirmi un chiarimento. L’Assemblea ha approvato che l’elezione debba avvenire con il sistema del collegio uninominale; l’onorevole Perassi chiede ora che – se ho ben compreso – l’Assemblea sia chiamata a decidere sul primo comma che parla dell’elezione a base regionale. Desidero pertanto che egli mi dica come, in pratica, secondo lui, si possano conciliare queste due cose: il collegio uninominale e la base regionale.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Perassi a rispondere a questo quesito.

PERASSI. A me pare che la risposta alla obiezione sollevata dall’onorevole Targetti sia molto facile: non c’è per niente contradizione. Quando si dice che i senatori sono eletti a base regionale, non si intende con ciò di precludere il modo con cui debbano venir stabiliti i collegi elettorali. (Commenti).

Il primo comma dell’articolo dice «a base regionale»; non dice: «circoscrizioni regionali». Si tratta cioè del concetto un po’ empirico con il quale si voleva inizialmente dire che il Senato è il Senato della Regione. Il problema poi del modo di eleggere i senatori è regolato dall’ultima parte. Ora, anche ammesso che l’ultima parte dell’articolo dica che i senatori, la cui nomina non è diversamente disposta e che è elettiva, sono eletti col sistema del collegio uninominale, questa è tuttavia compatibile con il primo comma.

Vuol dire che entro ciascuna Regione si faranno, per quanto concerne il numero dei senatori, tanti collegi uninominali. Ne deriva che l’unica cosa che risulta esclusa è quella di un collegio uninominale che sia costituito da una frazione di territorio che comprenda due Regioni: tutto il resto è perfettamente compatibile.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Non credevo che l’Assemblea avrebbe votato per i collegi uninominali è quindi non ho preparato un emendamento o una serie di emendamenti che sarebbero stati indispensabili nell’eventualità che si è poi verificata. Ora, il collegio uninominale presuppone la base regionale: è chiaro che non vi possono essere basi nazionali; è chiaro che ogni collegio, ogni circoscrizione è nella Regione, e mai in due Regioni. E allora questa espressione contenuta nell’articolo 55: «La Camera dei Senatori è eletta a base regionale» è o un non senso oppure un eufemismo, col quale non si vuole riconoscere che la Camera dei Senatori o Senato è, in fondo, espressione di rappresentanze regionali. Io pongo chiaramente il problema, così come deve essere posto: l’Assemblea vuole che il Senato sia espressione di base regionale, cioè di interessi regionali? Ebbene, è meglio dirlo chiarissimamente, di modo che non ci sia alcun equivoco.

In seno alla seconda Sottocommissione io avevo presentato un emendamento, che non è passato, cioè: «Il Senato è la Camera delle Regioni»; non è passato, perché in questa dizione alcuni hanno voluto veder penetrare con sotterfugi il concetto federalistico dello Stato, che peraltro è rifiutato dagli articoli finora approvati. Io non mi permetto adesso di presentare ancora quell’emendamento, perché so che sarebbe respinto, ma credo che si può – senza affermare un concetto federalistico, con cui questa Assemblea non è d’accordo – affermare un altro concetto, che è un chiarimento, dicendo per esempio: «I Senatori rappresentano le Regioni nell’ambito dell’unità nazionale».

Se io trovo dei colleghi che sottoscrivono la mia proposta, io presento questo emendamento; e lo presento sicuro di esprimere un concetto di chiarificazione, non solo, ma una esigenza politica. Noi sappiamo che l’Assemblea ha approvato la mozione del regionalismo con estreme riserve; tuttavia la questione delle Regioni è posta, il problema dell’organizzazione dello Stato con le Regioni è posto. Allora, tanto vale accettarne le conseguenze, sia pure estremamente modeste.

Ma quando si afferma che la seconda Camera, cioè il Senato, rappresenta le Regioni nell’ambito dell’unità nazionale, significa questo: che la seconda Camera non accetterà mai che queste rappresentanze regionali siano particolaristiche, ma le accoglie e le accetta in quanto si conciliano e si sintetizzano con quelli che sono gli interessi generali della Nazione, dello Stato. In altre parole, nella seconda Camera si ha la sintesi dell’unità nazionale attraverso i vari particolarismi regionali.

Mi pare quindi un concetto di chiarificazione rispetto all’articolo 55, così come è adesso, e mi pare anche una chiarificazione politica nel senso regionale, ma legato agli interessi superiori dello Stato e della Nazione.

PRESIDENTE. In questo momento il problema che si pone è quello del metodo di elezione del Senato. Mi pare che la sua proposta, onorevole Lussu, miri invece a sottolineare una certa caratterizzazione politica dell’istituzione. L’onorevole Perassi, insistendo perché venga posto in votazione il primo comma dell’articolo 55, si propone uno scopo molto più concreto, e cioè di stabilire una norma limitatrice specifica, da cui discendano poi certe norme per la elezione del Senato.

Quindi, nessuna opposizione acché lei onorevole Lussu, traduca in un emendamento preciso la sua proposta – eventualmente potrebbe trovare anche le firme di altri colleghi –; ma tenga presente che non è questa la questione che stiamo discutendo.

NITTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Io non ho compreso bene. Noi, dunque, abbiamo votato che il Senato sarà eletto a collegio uninominale. Questo è un punto fermo. Ora ci troviamo di fronte ad una proposta, la quale vuole riportare in discussione la questione, ma in realtà non la sposta; perché, quando si dice che la base sarà la Regione, si deve intendere la Regione come divisione interna; cioè i senatori saranno eletti in ogni Regione. Ci dev’essere una base: o provinciale o regionale. Finora nelle elezioni avevano avuto la base provinciale, e nella legge del 1919 prevaleva in fondo il concetto di provincia. Ora avete voluto la Regione, cosa a cui non credo, ma a cui voi credete. Ma questo non sposta nulla, non entra nella questione. Il Senato dev’essere eletto sulla base del collegio uninominale. Vuol dire che i collegi uninominali saranno formati nell’ambito di ciascuna Regione, e voi formerete nella provincia un collegio uninominale a seconda del numero della popolazione. Ma questo non modifica niente, perché l’ammettere che la divisione si faccia all’interno non sposta il principio che abbiamo adottato del collegio uninominale. La Regione è una circoscrizione entro cui si faranno le elezioni dei senatori. E quindi si ammette che non si possono unire arbitrariamente due Regioni per eleggere i senatori quando si è votato il criterio dell’uninominalità. Ora, noi ci dobbiamo limitare a quanto abbiamo votato già. La discussione presente non è quindi necessaria, e direi che è inutile. La Regione rimane, dal momento che l’avete votata. Vuol dire che in una Regione si faranno cinque senatori, in un’altra sei oppure sette a seconda della popolazione della Regione. Ciò che non muta è che il collegio uninominale è la base della elezione. Il resto è secondario, e non dobbiamo occuparcene.

PRESIDENTE. Mi pare che la tesi dell’onorevole Perassi avrebbe validità soltanto se noi accettassimo un criterio che personalmente mi lascia molto dubbioso, quello che i senatori possano essere eletti, da Regione a Regione, da un numero diverso di cittadini e cioè che il quoziente che stabilisce il rapporto fra il numero dei senatori e il numero dei cittadini possa variare da Regione a Regione.

Vedo che l’onorevole Perassi si mostra alquanto stupito, e tuttavia questa sarebbe la conseguenza. Di fatto, è vera l’affermazione dell’onorevole Nitti – io, almeno, la ritengo vera – che nella determinazione dei singoli collegi uninominalisi eviterà naturalmente di superare i confini di ogni singola Regione, in maniera che ciascun collegio sarà contenuto nel termine territoriale di una sola Regione. A questa stregua l’affermazione del carattere regionale della Camera dei Senatori è implicita. Tutte le leggi elettorali che si sono fatte ed applicate da decenni e decenni in Italia, hanno rispettato senza dirlo questo principio. Ma ciò nonostante, nessuno ne traeva la conseguenza che la Camera italiana fosse una Camera a carattere regionale.

Ma ritorniamo a quello che diceva l’onorevole Perassi. Egli ha legato concettualmente il primo comma al secondo. Ora, nel secondo comma si propone che le Regioni abbiano un numero fisso di senatori, e in più un senatore per ogni 100.000 abitanti. (Altri propongono cifre diverse).

Se noi affermeremo nel primo comma la base regionale della Camera dei Senatori e se poi nel secondo comma assicurassimo comunque un numero determinato di senatori ad ogni Regione, oltre al numero variabile in rapporto alla popolazione, è evidente che dato il collegio uninominale, i collegi abbracceranno un numero diverso di cittadini, Regione per Regione.

Non sto a fare esemplificazioni. Ciascuno può fare un calcolo in base a dati di fantasia. Ecco perché ritengo che l’impostazione data alla questione dall’onorevole Perassi non possa essere accettata.

Se egli vuole semplicemente riconfermare nel testo costituzionale la verità elementare esposta dall’onorevole Nitti, questa è una superfluità; e sarebbe bene non appesantirne il testo. Se invece vuole questa affermazione per trarne poi le conseguenze che dovrebbero eventualmente essere inserite nel secondo comma, si tratterebbe di stabilire un principio che mi appare molto lontano da ogni nostro precedente costituzionale.

Concludendo, mi pare che la votazione di poco fa abbia reso impossibile la presa in considerazione del primo comma dell’articolo 55, così come è contenuto nel progetto di Costituzione. Mentre, invece del secondo comma, bisogna esaminare la parte che stabilisce il quoziente necessario per la nomina di ogni singolo senatore.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Domando scusa, ma devo insistere nelle spiegazioni date prima. L’osservazione fatta dall’onorevole Nitti l’ho fatta io per primo. Dicendo che il Senato è costituito su basi regionali, e dicendo poi che i collegi sono uninominali, si esclude la possibilità di un collegio uninominale a cavallo di due Regioni. Questo è positivo.

Ma l’affermazione del primo comma «il Senato è costituito su basi regionali» non preclude e non è incompatibile con la formula adottata del collegio uninominale. Il primo comma vuol dire un’altra cosa, che il Senato è creato sulla base della Regione. (Interruzioni a sinistra).

E la dimostrazione che l’adozione del sistema uninominale per le elezioni non sia incompatibile con tutto il resto che è detto nel primo e nel secondo comma, risulta da questo, che la proposta del collegio uninominale venne anche in seno della Sottocommissione prima e della Commissione plenaria poi, e nessuno allora sostenne la tesi che, avendo adottato il primo e il secondo comma, fosse preclusa la proposta del collegio uninominale. Il che dimostra che il primo e il secondo comma riguardano un problema nettamente diverso da quello che è regolato dal terzo comma.

Nel primo comma si fa un’affermazione di principio, quella della base regionale. Nel secondo comma anzitutto si determina il numero dei senatori assegnati a ciascuna Regione e si stabilisce che questo numero è determinato in ragione della popolazione, con una aggiunta di un certo numero fisso.

Del resto l’onorevole Nitti non può non ricordare che nel suo stesso emendamento si dice: «ad ogni Regione è inoltre attribuito un numero fisso di senatori».

È da ritenersi che nella mente dell’onorevole Nitti questa formula fosse perfettamente compatibile con quelle successive dello stesso emendamento, nel quale si adotta il collegio uninominale. Appunto perché sono due problemi diversi. Nel secondo comma si stabilisce dunque il numero dei senatori, una parte determinata in ragione della popolazione, ed un numero fisso. Il terzo comma, invece, entra nel problema del modo come si procede alle elezioni di questi senatori. Ed allora qui si pone il problema. Una parte dei senatori può essere attribuita al Consiglio regionale in coerenza al concetto della Regione. (Commenti – Rumori a sinistra).

Una voce a sinistra. È stato respinto.

PERASSI. Io protesto ancora una volta. È stata respinta l’elezione di tre senatori. (Commenti a sinistra).

PRESIDENTE. Con la votazione dell’ordine del giorno Nitti si è stabilito il suffragio diretto, non lo dimentichi.

PERASSI. L’adozione del sistema uninominale per la elezione dei senatori o parte di essi non è affatto incompatibile con l’affermazione messa all’inizio e con quanto si afferma nel secondo comma. Non vedo quindi nessuna ragione giuridica che si possa opporre a che il primo e secondo comma del testo proposto dalla Commissione siano sottoposti al voto dell’Assemblea.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Signor Presidente, io ho l’impressione che certe volte ci dimentichiamo delle regole del gioco. Io chiedo scusa e chiedo all’Assemblea di permettermi di parlare con la massima franchezza. È la terza o la quarta volta che succede – e l’osservazione può toccare tutti e quindi non tocca nessuno – che non si sa perdere, e che chi in una questione è rimasto soccombente, cerchi di trovare il modo di far rientrare dalla finestra quello che è uscito dalla porta. (Applausi a sinistra).

Ora, questo è avvenuto da varie parti dell’Assemblea e mi pare che stia accadendo anche adesso. Noi ci siamo trovati di fronte a tre ordini del giorno, che stabilivano tre concezioni diverse circa il futuro Senato della Repubblica. Il primo è stato respinto, ed era un ordine del giorno il quale si fondava su due concetti; quello regionalistico e quello della elezione indiretta. Il secondo, che è stato votato ed è stato accettato, ha stabilito semplicemente una massima: di elezione con suffragio universale diretto con sistema di collegio uninominale; e questa approvazione ha escluso senz’altro dalla votazione la formula dell’onorevole Lami Starnuti, che si trovava in contradizione con quanto era stato approvato.

Ora è evidente che se cominciamo a dire che il Senato della Repubblica è eletto su base regionale, noi o non diciamo niente o diciamo il contrario di quello che abbiamo detto prima. Le argomentazioni dell’onorevole Perassi – e mi scusi l’onorevole Perassi, ma per lui, così fine giurista, è facile trovare delle argomentazioni per cercar di far rientrare quello che un chiaro voto ha escluso – non possono convincere l’Assemblea, ed è anche pericoloso continuare con questo sistema.

Badate che tradire le regole del gioco fa male a tutti quanti: a chi riesce e a chi non riesce.

Comunque io ritengo che noi non possiamo più tornare su questa questione regionale e che noi dobbiamo adesso passare a votare quegli emendamenti; e forse ne dovremo creare qualcuno che organizzi questa elezione del Senato con il collegio uninominale e con il voto diretto, come abbiamo deliberato.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Per quanto una gran parte dell’Assemblea abbia sottolineato le osservazioni dell’onorevole Lucifero, in certo senso approvandole, io mi permetto di dissentire dall’interpretazione che egli ha dato.

L’articolo 55, del quale si discute, stabilisce concetti diversi. Afferma anzitutto che la Camera dei Senatori sarà eletta a base regionale; immediatamente dopo fissa quale sia il numero stabile di senatori da attribuire a ciascuna Regione oltre ad un senatore per 200 mila abitanti o frazione di 200 mila.

Nell’ultimo capoverso si stabilisce il modo da seguire per la votazione. Ora, relativamente al modo da seguire per la votazione, si è stabilito che si debba procedere col metodo del collegio uninominale, ma non abbiamo detto ancora nulla sul numero dei senatori da attribuire a ciascuna Regione e tanto meno abbiamo detto, affermando o negando, se una parte di questi senatori debba essere dal Consiglio regionale indicata anziché no.

PRESIDENTE. Questa è una questione già risolta.

MASTINO PIETRO. L’altro giorno è stato respinto l’ordine del giorno formulato dall’onorevole Perassi. Ma rileggiamolo. Esso stabilisce che «l’Assemblea Costituente ritiene che i senatori devono essere eletti nel numero di tre dal Consiglio regionale per ogni Regione». Non è solo il numero che è stabilito, ma il modo: dal Consiglio regionale. In quanto è stato approvato il metodo del collegio uninominale…

PRESIDENTE. Abbiamo votato poco fa l’elezione diretta, non lo dimentichi.

MASTINO PIETRO. L’elezione diretta può essere anche limitata all’altro numero dei senatori, (Commenti) ed avere, così, due metodi concorrenti all’elezione.

La proposta formulata dall’onorevole Perassi ha ragione di esistere.

RUBILLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUBILLI. Volevo dire prima di tutto quello che ha detto l’onorevole Lucifero; siccome l’ha detto lui, per questa parte me ne astengo. Ma voglio pure domandarvi: le nostre votazioni hanno o non hanno un valore? O cominciamo daccapo dopo aver votato?

Questa è la domanda, per la serietà dell’Assemblea; e mi rivolgo specialmente al nostro onorevole Presidente. C’è una votazione la quale ha stabilito un nuovo sistema di cui non parla il progetto. Ora si tratterà di tradurre in una norma quello che l’Assemblea ha votato, ed a questo potrà provvedere anche la Commissione. Quindi non può non rimaner fermo il rispetto a quello che l’Assemblea ha votato: collegio uninominale e suffragio diretto. Con questi due elementi essenziali ed ormai innegabili dovrà essere modificato il progetto di legge costituzionale. Si è deciso, e non si può ritornare sullo stesso argomento.

Dimodoché del primo capoverso dell’articolo 55 rimane una cosa sola, perché la parte riguardante il numero fisso di cinque senatori per Regione è superata…

PERASSI. Perché? Che c’entra?

RUBILLI. Come non c’entra? Il metodo è stabilito ormai senza eccezioni; suffragio universale diretto e collegio uninominale. Quindi rimane solamente da stabilire se i senatori devono essere eletti sulla base di uno per 200 mila abitanti oppure con criterio diverso.

Non vedo come ci sia ancora possibilità di discussione.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Limito le mie considerazioni solo all’esame del primo comma dell’articolo 55, di cui principalmente ha parlato l’onorevole Perassi.

Io non sono stato affatto scacciato dalla porta e tanto meno voglio rientrare dalla finestra. Io voglio entrare e non rientrare dalla porta.

Per la questione «la Camera dei senatori è eletta a base regionale» faccio appello all’onorevole Ruini, perché questo primo comma è stato l’espressione della maggioranza della Commissione. L’onorevole Ruini non la difende, perché ha avuto un amore estremamente moderato per la Regione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. E me ne vanto.

LUSSU. Se l’Assemblea ritiene di respingere le proposte della Commissione, può farlo nella sua sovranità. Lo stesso onorevole Nitti ammette le elezioni del Senato a base regionale. Egli dice: io sono contrario alle creazioni della «Regione»; ma è chiaro che le elezioni del Senato a base regionale, che alcuni di noi intendono affermare, non è superflua.

Io ho suggerito un criterio per affermarlo in modo più logico di quello che non faccia oggi il primo comma dell’articolo 55.

CONTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONTI. L’onorevole Lucifero ha voluto dirci che parlava con franchezza, anzi ha chiesto il permesso di parlare con franchezza; io non chiedo mai il permesso per parlare con franchezza; parlo con franchezza.

Dico all’onorevole Lucifero che, se egli ha parlato con franchezza, non ha parlato con sincerità.

Gli rimprovero, anzitutto, di avere malamente offeso i regionalisti dicendo che questi vogliono far rientrare dalla finestra quel che non è passato dalla porta. È proprio il contrario. Oggi noi assistiamo alla vendetta degli antiregionalisti contro il regionalismo. Siamo qui ad assistere ad una quantità di manovre che mirano a rendere questo povero istituto della Regione irriconoscibile. Questo è grave, anzi è gravissimo. Riuscirete nello scopo e noi non potremo far nulla. Riuscirete nello scopo perché un’Assemblea di troppi elementi è un’Assemblea che non ragiona, è un’Assemblea che si perde in discussioni le quali non concludono secondo la logica e secondo il buon senso. (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Conti, si tenga all’argomento, cioè all’articolo 55.

CONTI. Io mi tengo all’argomento, perché parlo sull’articolo 55 facendo delle premesse. (Interruzione dell’onorevole Costantini).

Ora è evidente che qui tutte le parti della Camera debbono assumere la loro responsabilità. Se avremo questo Titolo della Costituzione irriconoscibile e se, per l’irriconoscibilità di questo Titolo della Costituzione sarà disordinato tutto il sistema del nostro testo, la responsabilità deve assumerla ognuno di voi e la deve assumere per domani, quando gli effetti di una Costituzione, fatta con questi sistemi, saranno risentiti dal Paese. (Commenti).

Una voce al centro. Quali effetti?

CONTI. Li vedrete. Io per ora affermo, preannunzio e dico che dovete assumere la responsabilità di quel che fate.

Ne avete già assunta una, quando avete deliberato che questa Camera deve riempirsi eccessivamente di deputati; voi già avete assunta questa responsabilità. Continuate su questa strada: gli italiani vi faranno rimprovero di aver tradito il mandato. (Commenti). Vedete che io parlo con franchezza è con sincerità nello stesso tempo. (Commenti). Ora, quando si discute proprio cavillando, dico a lei onorevole Marinaro che dianzi parlava di cavilli, sull’articolo 55 e si contesta che si debba passare alla votazione del primo comma: «La Camera dei senatori è eletta a base regionale», evidentemente si vuol far rientrare dalla finestra quel che è uscito dalla porta; evidentemente si vuol negare l’esistenza della Regione, la funzione della Regione, si vuol negare tutto quello che si è fatto.

Ora, potete rimediare al male che si sta facendo votando tranquillamente il primo comma dell’articolo 55. Non ha nessuna importanza sostanziale, ma ne ha almeno una formale per l’armonia di questo testo costituzionale. Non cancellate in questo Titolo la Regione che avete affermata in altro Titolo.

Evidentemente, questo mi pare che dobbiate ammetterlo, anche se siete irritati con me per le parole franche che vi sto dicendo.

È necessario, onorevoli colleghi, e lo dico all’onorevole Costantini che fa l’interruttore, anzi, meglio, l’interrompitore, che ciò avvenga. Leggevo in una bellissima analisi della vita parlamentare, che si riferisce alla Camera del 1919… (Interruzioni – Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Conti, venga all’Argomento.

CONTI. È quello che sto facendo. Sto dicendo che bisogna votare l’articolo 55 nel suo primo comma, se non si vuole disordinare tutto il sistema di questo testo costituzionale. È necessario che lo facciano anche coloro che sono stati ostili al sistema della Regione. Lo debbono votare se non vogliono creare una disarmonia che sarebbe grave. E siccome questa votazione comporta conseguenze, è evidente che la preghiera che i regionalisti fanno può essere una preghiera accolta dagli antiregionalisti.

Per il resto, c’è forse una incompatibilità fra le affermazioni della votazione per collegio uninominale e la limitazione nell’ambito della Regione dei collegi che devono eleggere i singoli senatori? Evidentemente questa incompatibilità non c’è.

Diceva il Presidente, delucidando la questione, che nel passato, in fondo, tutte le leggi elettorali hanno tenuto presente la Regione. (Io dicevo, fra me, per gli antiregionalisti, che questo è un altro argomento dell’esistenza antica, irresistibile, del fatto regionale in Italia. Si, è negato, si è voluto negare, si continua a negarlo, ed intanto la Regione la trovate in tutti gli elementi della legislazione italiana, sempre).

Evidentemente, non c’è incompatibilità, perché i collegi elettorali che dovranno essere costituiti per l’elezione dei senatori, dovranno essere costituiti nell’ambito della Regione.

C’è l’altra questione: si può, dopo la votazione contraria all’ordine del giorno Perassi sul numero dei senatori, che le Assemblee regionali avrebbero dovuto eleggere, si può oggi, dopo quell’ordine del giorno, stabilire che le Regioni abbiano la facoltà di eleggere un certo numero di senatori, che non siano i tre che sono stati indicati nell’ordine del giorno Perassi? Questa è la questione, è la seconda questione che l’Assemblea deve risolvere. Ed il parere di questi nostri colleghi giuristi è che non vi sia nessuna preclusione, perché, se può apparire che è stato votato il principio contrario alla elezione dei senatori da parte delle Assemblee regionali, si risponde che in sostanza non il principio è stato votato, ma è stata respinta la proposta concreta del numero di 3 dei senatori da eleggersi dalle Assemblee regionali.

Queste sono le questioni poste davanti all’Assemblea; queste sono le questioni sulle quali, mi pare, che senza prevenzioni, con grande spirito di onestà politica, con grande senso di responsabilità, l’Assemblea debba procedere alle sue deliberazioni. (Applausi al centro).

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Desidero dare alcuni chiarimenti. Credo di aver diritto di parlare come Presidente del Comitato di redazione in qualunque momento della discussione. Se si fosse seguita fin dall’inizio la mia proposta di non procedere subito alla votazione degli ordini del giorno, ma di decidere le questioni nell’ordine logico in cui erano proposte dal testo del progetto, si sarebbero evitate queste code di dibattito e di incertezze. Se si fosse deciso prima di tutto, chiaramente e nettamente se era o no ammesso, nel Senato, una quota di senatori eletti dall’ente regionale, non staremmo più ora a tirarci i capelli.

Ciò premesso, per scarico di coscienza, risponderò all’onorevole Lussu, e dirò le ragioni che avevano indotto la Commissione dei Settantacinque a votare questo testo, salvo vedere poi, la posizione che si viene a determinare in base alla reiezione dell’ordine del giorno Perassi ed all’approvazione di quello Nitti.

La maggioranza della Commissione, a suo tempo, decise che il Senato avesse un nesso particolare con l’istituto della Regione.

Badate bene: se anche voi annullaste questo nesso, non è che la Regione sparisca, la Regione rimane nella struttura che è stata approvata. Ma sembrò alla maggioranza che creato questo ente, fosse opportuno dargli una partecipazione nella formazione del Senato. Questo è il concetto da cui è partita la maggioranza. Ed allora, che cosa ha fatto? In un primo comma, che come dissi in un mio intervento, ha un valore più che altro di proemio e di prefazione, ha affermato che il Senato è eletto su base regionale. La sostanza viene nell’altro comma in cui si stabiliscono due cose: 1°) che una parte dei senatori sono eletti dai Consigli regionali; 2°) che le Regioni debbono avere un certo numero di senatori fisso; e ciò per equilibrare meglio questi enti, e tener conto delle Regioni più piccole.

Non apparve allora, e non vi sarebbe ora, alcuna contradizione nel fatto che un terzo (o come fu proposto in sede di emendamento un quarto) di senatori fosse eletto dai Consigli regionali e il rimanente dal popolo direttamente, anche col sistema del collegio uninominale. (Rumori – Commenti – Interruzione del deputato Rubilli).

Onorevole Rubilli, io sto qui esponendo, quali furono le ragioni che indussero la Commissione ad adottare il suo testo. È ineccepibile che non vi era nessuna contradizione. Tant’è che, come ho detto poco fa, anche la minoranza, subordinatamente, accolse il concetto dei due sistemi convergenti di elezione.

Sta di fatto che la soluzione data dall’articolo 55 nel testo della Commissione potrebbe riunire in una equilibrata formula i sostenitori della Regione, che vogliono connetterlo con la formazione del Senato, ed i sostenitori del collegio uninominale, che avrebbe in tutto il resto un’ampia applicazione.

Ma, si dirà, è intervenuta la reiezione dell’ordine del giorno Perassi, e l’adozione di quello Nitti: la rappresentanza delle Regioni, attraverso i loro Consigli, non può più essere ammessa. Non voglio entrare in materia, né parlare per il Comitato di redazione, che, come purtroppo avviene ogni momento, è in disaccordo interno; né ho avuto il tempo di interpellarlo su questo punto. Osservo soltanto, per conto mio, che vi possono essere dubbi; tant’è che, quando fu presentato l’ordine del giorno Nitti, il Presidente della nostra Assemblea suggerì di aggiungere «compiutamente» o qualcosa di simile, perché risultasse in modo chiaro esclusa la rappresentanza dei Consigli regionali; ma il savio consiglio non fu accolto. E l’ordine del giorno Perassi, nelle sue espressioni che riguardano un punto particolare «tre senatori per ogni Consiglio regionale» potrebbe non implicare la decisione assoluta del principio ed escludere una diversa partecipazione dei Consigli regionali. Sono dubbi, ripeto, e sarebbe bene che si decidesse subito al riguardo. Bisogna evitare che si continui a discutere a perdifiato. Decidete una buona volta, in un senso e nell’altro e non se ne parli più. A me sembra che l’Assemblea dovrebbe finire col pronunciarsi sul primo comma dell’articolo 55 nel testo della Commissione, o votandolo direttamente, o fermandosi sulla questione pregiudiziale della preclusione, quale è stata qui impostata.

Vediamo, onorevoli colleghi, di non perdere altro tempo in sfibranti dibattiti di procedura.

Riassumo così il mio pensiero, il progetto della Commissione era organico; senza contradizioni; e si presterebbe benissimo ad un accordo anche col collegio uninominale. La via è ancora aperta, se si riterrà che non osti la eccepita preclusione. Decidiamo in qualunque senso. Anche in discussioni recenti abbiamo visto il valore enorme che ha l’esigenza di non perdere tempo, per poter entro l’anno chiudere i nostri lavori con l’approvazione della Costituzione.

C’è ora, una questione: decidiamola e non se ne parli più.

PRESIDENTE. Penso che dovremo, seguendo l’invito dell’onorevole Ruini, stabilire di che cosa stiamo discutendo, perché avevamo, sì, affrontato l’articolo 55, ma non nel suo intero complesso.

Come stiamo facendo da mesi, l’articolo viene diviso nei suoi accapo; e sui singoli accapo si discute e si vota.

E se pure c’è da fare, discutendo d’un accapo, qualche richiamo agli altri, non dobbiamo però rifare una discussione generale, come invece stiamo oggi larghissimamente facendo.

La materia dell’attuale dibattito è quella che ha richiamato l’onorevole Ruini e che avevo io stesso citata – mi perdonino – fin dall’inizio: si tratta di risolvere un quesito. E lei, onorevole Lucifero, non si rammarichi: se non avesse detto giorni fa che votare per quesiti è «un giuoco da bambini», non ci troveremmo in questa situazione. Infatti avremmo allora proceduto alle nostre votazioni in un ordine logico, superando i vari punti e cioè i vari quesiti uno dopo l’altro.

E il primo quesito che io avevo proposto – leggano il testo stenografico – è appunto quello che ora stiamo dibattendo.

Tuttavia, onorevole Ruini, io domando: si può votare su questo quesito? Ritengo di no, perché la questione è stata già decisa da un voto dell’Assemblea.

È strano che tutti i colleghi che hanno parlato si sono ricordati della votazione di dieci giorni fa – benché sia passato già un certo periodo di tempo – ma hanno già dimenticato la votazione di appena un’ora fa. Orbene, se la votazione di dieci giorni fa lasciava ancora aperta la questione, almeno entro certi limiti (tanto vero che l’onorevole Perassi aveva posto una riserva), con la votazione di questa sera, la questione è stata risolta e non esiste più. Perché io chiedo in qual modo si possa ancora sostenere di commettere al Consiglio regionale l’elezione di una parte dei senatori, quando questa elezione, essendo evidentemente di secondo grado, è ormai preclusa dal voto dell’Assemblea a favore dell’elezione diretta.

Non vi è una via di elusione. Il Senato è un organismo indivisibile ed indifferenziato e, dacché si è deciso che esso deve essere eletto con metodo diretto, si deve intendere – non v’è dubbio – che tutto il Senato debba trovare nell’elezione diretta la propria origine.

Mi sembra pertanto che abbia ragione l’onorevole Ruini quando afferma che deve essere definitivamente fissato questo punto; ma non ha forse più ragione nel ritenere che si debba ancora votare su ciò. Su questa questione, onorevoli colleghi, e soltanto su questa questione, io potrò dare pertanto la parola agli iscritti, pregandoli di restare rigorosamente all’argomento.

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Ho chiesto di parlare sull’interpretazione da dare all’ordine del giorno Nitti, perché – contrariamente a quanto ha or ora affermato l’onorevole Ruini – la questione sorta in proposito non può dirsi chiarita né matura per la decisione, esistendo ancora, come appare da recenti interventi, dei gravi equivoci in ordine ad essa.

È da mettere in rilievo che l’articolo 55 contiene nei suoi secondo e terzo comma due distinti principî: il primo è quello relativo al modo di determinare il numero dei senatori; il secondo invece quello relativo al metodo della loro elezione. Ora, l’ordine del giorno dell’onorevole Nitti, come risulta dal suo tenore letterale e altresì dall’interpretazione che lo stesso proponente ne ha data nello svolgimento dell’emendamento da cui esso è derivato, si riferisce esclusivamente a questo secondo punto, cioè al modo di elezione della seconda Camera.

Mi pare di potere convenire senz’altro nella tesi annunciata dal nostro onorevole Presidente, secondo cui l’approvazione intervenuta di tale ordine del giorno importa l’esclusione di forme elettive del Senato che siano, anche in misura parziale, affidate alla elezione indiretta, e quindi l’esclusione della possibilità di riproposizione della proposta di affidare la scelta di un’aliquota di senatori ai Consigli regionali. Ma, ciò ammesso, è da affermare che viceversa nessuna preclusione è intervenuta, in conseguenza del voto precedente, per quanto riguarda il contenuto del secondo comma dell’articolo 55 e quindi nessun pregiudizio si è avuto nella soluzione dell’altro problema, relativo al modo di determinazione del numero dei senatori. (Commenti).

Del pari impregiudicato deve ritenersi rimanga il principio consacrato nel primo comma dell’articolo in discussione, riferentesi all’affermazione della base regionale del Senato. Base regionale significa collegamento stabile ed istituzionale fra l’ordinamento regionale e il Senato. Tale collegamento è sembrato a tutti costituire un elemento essenziale della riforma regionale, tale da potersi svolgere con applicazioni molteplici ed in particolare con due, espressamente consacrate nell’articolo 55, con quella cioè, in primo luogo, relativa al metodo di scrutinio indiretto ad opera dei Consigli regionali, e questa è stata esclusa; con quella, in secondo luogo, che si realizza attraverso l’attribuzione di un numero fisso di senatori. Quest’ultima applicazione, contrariamente a quanto ritiene l’onorevole Rubilli, non si può considerare eliminata o comunque compromessa dalla votazione dell’ordine del giorno dell’onorevole Nitti. Dice infatti il secondo comma dell’articolo in questione, che contiene i criteri di determinazione del numero dei senatori, che tale numero si ottiene, in parte, in misura proporzionale al numero degli abitanti; in altra parte mediante l’attribuzione di un numero fisso di senatori ad ogni Regione, indipendentemente dalla sua popolazione. Ora, è precisamente questo secondo criterio dell’attribuzione di un numero fisso che vale a conferire una spiccata base regionale al Senato; ed anzi può dirsi che sia proprio esso a imprimere in modo più spiccato di ogni altro tale carattere regionale.

Accertato che il numero fisso serve solo come uno dei criteri per determinare la composizione numerica della seconda Camera e non tocca il metodo di scrutinio, né ha nulla a che fare con l’aliquota che si era proposto di affidare alla elezione dei Consigli regionali viene meno l’obiezione che era stata fatta contro la proposta di passare a discutere il primo comma dell’articolo 55. Si può aggiungere che il principio della base regionale, in esso proclamato, ha, come ha detto l’onorevole Ruini, il valore di una direttiva suscettibile di molteplici applicazioni, anche al di fuori di quella di cui ho parlato adesso, o di altre affermate in altri punti del progetto, come nell’articolo 56. Per provare con un esempio l’esattezza della mia affermazione ricorderò la possibilità di adattare alla base regionale il sistema di scrutinio uninominale, adottato dalla recente deliberazione di quest’Assemblea. Si potrebbe infatti stabilire nella legge elettorale da emanare, e sarebbe questo un altro modo di collegare la elezione del Senato con le Regioni, che, pur avvenendo le elezioni con il sistema del collegio uninominale, lo scrutinio si faccia tenendo presente i risultati ottenuti in tutta la circoscrizione regionale. Ciò utilizzando uno dei tanti sistemi escogitati per abbinare il collegio uninominale con forme di scrutinio proporzionale: utilizzazione che non è affatto esclusa dall’ordine del giorno Nitti, ed alla quale il futuro legislatore potrebbe essere indotto seguendo appunto la direttiva posta dalla Costituzione con la proclamazione della base regionale della seconda Camera.

Così, dunque, mi pare dimostrato che l’approvazione del primo comma dell’articolo 55 non solo non contrasta con le precedenti deliberazioni, non solo non è superflua, ma si presenta necessaria, come complemento naturale dell’ordinamento regionale, come inserzione di questo nell’ordine costituzionale dei poteri, secondo l’opinione unanime sempre espressa da quanti adottarono quell’ordinamento.

NOBILI TITO ORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILI TITO ORO. Io aderisco sostanzialmente, onorevoli colleghi, alle considerazioni svolte dagli onorevoli Lucifero e Rubilli.

Sulle riflessioni di carattere filosofico sviluppate, in tema di giuoco e di perdenti, dall’onorevole Lucifero, in rapporto ai risultati del voto, mi permetto di aggiungere un consiglio…

PRESIDENTE. Onorevole Nobili Oro, mi perdoni, vorrei pregarla di tralasciare ormai queste digressioni marginali e filosofiche, come lei stesso le chiama. Stia alla questione, la prego.

NOBILI TITO ORO. Non si preoccupi, onorevole Presidente, non ho il programma marginale che lei teme. Volevo soltanto ripetere a chi ha perduto il giuoco il consiglio di Catullo: «Quod perdidisti perditum ducas». Questa sintesi mi doveva riallacciare immediatamente all’argomento già trattato dai colleghi ricordati; dirò brevemente il mio pensiero e preciserò i punti nei quali esso si allontana da quello loro. Viene sul terreno della discussione l’articolo 55 del progetto di Costituzione, il quale contempla, in tre distinti commi, la estensione delle circoscrizioni elettorali, la composizione numerica del Senato della Repubblica, la distribuzione dei senatori fra le singole circoscrizioni, e il sistema di elezione. Se non fossero stati presentati tre ordini del giorno, tendenti a modificare l’articolo 55 in ciascuna di queste tre parti, si sarebbe dovuto intraprendere l’esame degli emendamenti proposti per ciascuna di esse, per poi passare alla votazione. Senonché questo, che sarebbe stato il procedimento normale, è stato modificato dal rigetto dell’ordine del giorno Perassi e dalla approvazione di quello Nitti, in quanto le deliberazioni con esso assunte vulnerano più o meno ciascuna delle tre parti dell’articolo. E il Regolamento della Camera, che disciplina i lavori dell’Assemblea, è molto chiaro in proposito. Inspirandosi al principio non bis in idem, che garantisce il rispetto di tutte le decisioni sia sul terreno giudiziario, sia su quello amministrativo o politico, stabilisce che gli ordini del giorno debbono essere discussi e votati con precedenza sugli emendamenti e che le loro statuizioni facciano stato e precludano l’esame di proposte contrastanti. Queste regole, racchiuse principalmente negli articoli 87 e 89, sono illustrate da una prassi abbondantissima; ordunque adesso è necessario di stabilire, per ciascuno dei tre commi dell’articolo 55, se e fino a qual punto esso sia rimasto vulnerato dagli ordini del giorno votati, perché per ogni comma, là dove vulnerazione siasi verificata, vi è preclusa, in tutto o in parte, sia la discussione, sia la votazione. Occorre, pertanto, anzitutto portare ciascuno dei tre commi a raffronto sia coll’ordine del giorno Perassi, sia con quello Nitti. Cominciando dal primo comma, pel quale il Senato dovrebbe essere eletto a base regionale, io non esito a ritenere che il suo esame, come quello degli emendamenti che ne accolgono il principio, sia assolutamente precluso.

Per vero poteva intendersi la base regionale per la elezione dei senatori in rapporto alla statuizione dell’ultimo comma dell’articolo 55 che attribuisce ai Consigli regionali la elezione di un terzo, ripresa dall’ordine del giorno Perassi. Ma quando questo è stato respinto, è crollata con esso la base regionale; e il colpo di grazia le è stato vibrato dall’approvazione dell’ordine del giorno Nitti, pel quale il Senato sarà eletto a suffragio universale e diretto e col sistema del collegio uninominale.

PERASSI. Non è vero!

NOBILI TITO ORO. È verissimo. E la preclusione deriva non solo dalla deliberazione di affidare l’elezione dei senatori al suffragio universale e diretto, la quale basta ad escludere la base regionale che avrebbe trovata la propria manifestazione nella elezione dei senatori affidata ai Consigli regionali; essa deriva soprattutto dalla deliberazione che la elezione si faccia col sistema del collegio uninominale.

E di fronte al collegio uninominale assunto come base elettorale la base regionale inesorabilmente scompare. Se un nostro voto precedente avesse già affermato la volontà di dar vita a un sistema elettorale a base regionale, io non mi rifiuterei, nella coesistenza dei due voti, al tentativo di conciliarli e potrei perfino mettermi d’accordo con coloro che continuano a sostenere che l’ordine del giorno Nitti possa ricevere una interpretazione diversa da quella univoca che ormai si impone. Senonché l’ordine del giorno Nitti è intervenuto quando la base regionale non era stata ancora deliberata; e colla creazione della base elettorale nel collegio uninominale ha prevenuto e impedito il suo affermarsi. Al riguardo non possono elevarsi dubbi di sorta.

Io ho ascoltato le ultime dichiarazioni fatte dall’onorevole Nitti dopo la votazione del suo ordine del giorno sulla estensione che sarebbe stato intendimento suo di dare all’ordine del giorno medesimo; e non nego che esse possano in qualche modo imbaldanzire la tesi di coloro che escludono la preclusione della discussione e della votazione di questo primo comma.

Ma mi duole di dover dire che noi non possiamo accogliere questa chiarificazione come espressione di una interpretazione autentica; perché questa interpretazione avviene quando l’Assemblea ha già votato e l’Assemblea ha votato non in base alle intenzioni, non ancora palesate, dell’onorevole Nitti, ma in base alla lettera chiara del suo ordine del giorno. Quando la lettera è chiara, bisogna stare ad essa. E l’ordine del giorno afferma che «l’elezione dei senatori sarà fatta col sistema del collegio uninominale». Pertanto la base elettorale sarà il collegio uninominale e non già la Regione e il Consiglio regionale.

Questa è dunque la parte insopprimibile della deliberazione assunta, la quale preclude indiscutibilmente la presa in esame del primo comma: il collegio uninominale, circoscrizione ridottissima rispetto a quella della Regione, è circoscrizione autonoma, con ufficio proprio, che non può avere più alcun nesso con l’ente Regione e deve collegarsi direttamente con l’ufficio elettorale centrale. Unica questione ancora possibile potrebbe essere questa: se si debba o no tener presente la circoscrizione delle istituende Regioni, per distribuire nell’ambito di esse, a gruppi territorialmente ravvicinati, i collegi uninominali; ma non si potrà prescindere dalla necessità di considerare il collegio uninominale come base autonoma delle elezioni senatoriali. Questo è per me il decisum già acquisito e quindi un punto incontrovertibile.

E, siccome la prima chiarificazione deve avvenire a questo riguardo, io confido che l’onorevole Presidente vorrà dare atto che il primo comma è assorbito per preclusione. Solo subordinatamente io mi son permesso di proporre un ordine del giorno col quale l’Assemblea è chiamata a dare questa interpretazione, che, allo stato, è l’unica autentica che possa, nella peggiore ipotesi, essere ricercata.

Ritengo che l’onorevole Rubilli possa essere d’accordo in ciò, qualora l’onorevole Presidente non voglia far valere il potere che gli deriva dal voto già emesso, dandogli il crisma formale.

Per economia di discussione il mio ordine del giorno contempla anche la rimanente parte dell’articolo.

A rigore si dovrebbe riconoscere che gli ordini del giorno votati hanno precluso anche il secondo comma, pel quale a ciascuna Regione è attribuito oltre a un numero fisso di cinque senatori, un senatore per duecentomila abitanti o per frazione superiore a centomila: giacché, come ho dimostrato, non si può più parlare di circoscrizione regionale, per effetto dell’ordine del giorno Nitti, mentre il criterio, del numero fisso di senatori eligendi a complemento di quello proporzionale al numero degli abitanti, è stato già respinto per effetto del rigetto dell’ordine del giorno Perassi. Siccome però potrebbe osservarsi che il numero dei senatori da eleggere non è stato definitivamente fissato, perché non è stato ancora determinato il quoziente di ciascun collegio uninominale, sono incline a riconoscere che, limitatamente a questa necessità, possa invocarsi ancora la decisione dell’Assemblea.

Per contro l’ultimo comma dell’articolo è quello totalitariamente vulnerato e distrutto dall’ordine del giorno Nitti e adesso non resta altro da fare all’onorevole Presidente, quale depositario delle manifestazioni di volontà dell’Assemblea, se non dare atto, e non resta altro all’Assemblea che prendere atto che quest’ultimo comma è stato già emendato colla approvazione dell’ordine del giorno Nitti, per effetto del quale il Senato sarà eletto a suffragio universale e diretto col sistema del collegio uninominale. Pretendere in proposito che si rinnovi la votazione sarebbe volere offendere il principio non bis in idem, e violare, tra gli altri, l’articolo 87 del Regolamento.

Per principio di onestà politica e per la serietà dell’Assemblea questo non può però avvenire e noi abbiamo la più completa fiducia che non avverrà.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Io credo che l’Assemblea debba ringraziare – in questa discussione – unicamente l’onorevole Mortati di aver posto la questione in termini chiari, onesti ed esatti. Mi dispiace di non poter dire altrettanto al Presidente del Comitato di coordinamento, il quale, essendo intervenuto senza avere consultato il Comitato, credo dovesse attenersi per lo meno alla logica, la quale in questo momento ed in questa materia ci insegna una cosa molto semplice: che qui ci sono tre questioni: una è quella della base elettorale, la seconda è quella dei collegi elettorali, la terza è quella del numero da stabilire per ogni Regione. La prima questione è difficile da risolvere per prima perché dire che il Senato è eletto a base regionale significa fare un’affermazione piena o vuota di significato, a seconda di quel che segue.

Per quanto riguarda la seconda questione, non v’è dubbio che una votazione in merito è assolutamente esclusa dall’approvazione, già avvenuta, dell’ordine del giorno Nitti. Mi pare che nessuna persona che guardi le cose con un minimo di serenità possa affermare il contrario.

L’unica questione che rimane da discutere è la terza. Io riconosco onestamente – per quanto la cosa non convenga alla parte che rappresento – che la questione del numero dei senatori da fissarsi per ogni collegio regionale o meno, non è pregiudicata dall’ordine del giorno che abbiamo votato. A me sembra però che sia pregiudicata dallo spirito delle votazioni che abbiamo fatte, in quanto sarebbe una cosa assurda che noi domani venissimo a determinare dei collegi uninominali di diversa entità per cui – per esempio – la Sicilia avesse un collegio per 100.000 abitanti e l’Emilia per 150.000 o viceversa. Mi pare che il popolo italiano non riuscirebbe a comprendere una differenza di questo genere.

Comunque, dal punto di vista formale, finora la cosa non è stata giudicata.

Per questo penso che si debba procedere nel modo seguente: escludere completamente una votazione sulla seconda questione e votare sulla terza.

E, infine, qualora il numero fisso fosse approvato, noi potremmo decidere sulla questione della base regionale.

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Concordo con quanto ha detto l’onorevole Laconi.

Qui si tratta di vedere l’interpretazione del testo dell’ordine del giorno che abbiamo votato e la compatibilità del contenuto di questo ordine del giorno con l’articolo 55.

Ora, mi pare che la votazione negativa sull’ordine del giorno Perassi, e la votazione affermativa sull’ordine del giorno Nitti escludano nel modo più tassativo che l’Assemblea possa in qualsiasi modo, sia pure sotto la forma indiretta dell’interpretazione autentica, ritornare sulla sua determinazione. Questi due ordini del giorno, uno respinto, l’altro votato, escludono che si possa votare o interpretare il terzo comma dell’articolo 55.

In altri termini, il Senato non può essere costituito né con l’elezione da parte dei Consigli comunali, né con l’elezione in base al suffragio universale col sistema proporzionale, perché il meccanismo di elezione del Senato dev’essere esclusivamente quello del sistema uninominale: e questo ha voluto affermare l’ordine del giorno Nitti.

Resta la questione accennata dall’onorevole Mortati e ripresa dall’onorevole Laconi, cioè la determinazione del numero dei senatori.

Il secondo comma dell’articolo 55 dice che a formare il numero dei senatori si procede con un duplice sistema: l’attribuzione di un senatore per ogni 200.000 abitanti e una quota fissa di senatori. Questo è un problema impregiudicato dal punto di vista formale.

Forse se si volesse sottilizzare – ma io non ne ho vaghezza – si potrebbe dire che anche la quota fissa è esclusa dall’ordine del giorno Perassi, perché nella prima parte si dice che i senatori devono essere eletti nel numero di tre per ogni Regione.

PERASSI. Non è un numero fisso.

BOZZI. E quanto meno dubbio se l’onorevole Perassi abbia voluto mettere l’accento sulla elezione da parte del Consiglio regionale, oppure sulla quota fissa; sicché possiamo dire che sul secondo comma dobbiamo ancora votare, cioè dobbiamo ancora votare sul modo di costituzione del numero dei senatori da eleggere, in base alla proposta di una quota fissa e di un senatore per ogni 200 mila abitanti.

Resta la questione del primo comma.

Io, signor Presidente, proporrei di suggerire che non si addivenisse adesso a fila votazione del primo comma perché il primo comma – lei ricorda meglio di me come si venne a questa formula un po’ vaga – quando dice che il Senato è eletto a base regionale, in fondo non dice niente. Si volle escludere una affermazione che portasse a considerare la Regione come ente, perché si disse che si sarebbe così costituito un Senato di carattere regionale. Comunque, l’espressione ha la sua ragion d’essere in quanto si siano votati il primo ed il secondo capoverso.

Ora, il secondo capoverso dell’articolo 55 è caduto. Resta da vedere se rimane ferma la quota fissa dei senatori che spettano ad ogni Regione.

Se l’Assemblea voterà questa quota fissa di senatori attribuita ad ogni Regione come tale, noi potremo prendere in esame se sia da votare il primo comma o nella formulazione proposta o in un’altra più confacente.

LUCIFERO, Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Io, in verità, in origine avevo chiesto la parola per un fatto personale, ma parlo nel merito nel quale il fatto personale entra. Ha detto l’onorevole Conti che non ho parlato con sincerità…

PRESIDENTE. Onorevole Lucifero, non faccia il fatto personale.

LUCIFERO. Non lo faccio, perché l’avrei anche con lei il fatto personale, signor Presidente. Mi ha fatto provare una emozione perché in 44 anni questa accusa non me l’aveva mai fatta nessuno, ed io la ringrazio. La mia mancanza di sincerità sarebbe stata nel fatto che noi, antiregionalisti, tenteremmo di fare entrare dalla finestra quello che era uscito dalla porta.

Io che ho degli scrupoli, sono andato a vedere il progetto: venti articoli sulla Regione, onorevoli colleghi, in cui la Regione ha tutti gli elementi per continuare a non funzionare per i secoli, anche se non sarà investita della nomina di alcuni senatori. Quindi non si tratta affatto di andare contro quello che è stato votato. Si tratta semplicemente di delimitare fra le infinite attribuzioni della Regione se vi debba essere anche quella di nominare alcuni senatori oppure no. Ma anche se la Regione non nominerà senatori le resteranno tante di quelle attribuzioni che ci sarà da uscir pazzi non so per quanto tempo.

Detto questo, la questione del voto è proprio questa, cioè di aver voluto limitare, escludere da alcune funzioni la Regione; perché, quando noi abbiamo stabilito un suffragio diretto con un sistema uninominale, che cosa abbiamo fatto? Abbiamo escluso evidentemente tutti i sistemi di elezione indiretta e tutti i sistemi diversi dal collegio uninominale. Ora, non vi è dubbio che una elezione fatta attraverso un Consiglio regionale non sarebbe un’elezione diretta e non sarebbe un’elezione con il collegio uninominale. Quindi questa cosa a me sembra assolutamente esclusa. Voler tornare sulla discussione di questo significherebbe, onorevole Conti, non una insincerità da parte mia, ma un errore da parte sua, anche se io questa volta mi trovo dalla parte di quell’Assemblea che, secondo lei, non ragiona. E, signor Presidente, io avrei voluto un suo intervento quando questa frase circa l’Assemblea, che lei onorevolmente presiede, è stata pronunciata, perché la frase riguardava lei. Per quanto riguarda l’appunto che lei mi ha fatto circa i quesiti, io rispondo con una sua frase. Lei dice: non ci sarebbero state queste questioni se si fossero votati i quesiti. Lei ha escluso che vi possa essere, con questa votazioni con sistema ordinario, la questione. Con una sua frase, come lei vede, abbiamo raggiunto lo stesso risultato senza fare delle innovazioni.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Non parlerò sulla sostanza dei problemi che sono stati avanzati questa sera. Vorrei fare invece una proposta concreta. Sono state sollevate in quest’ultima discussione numerosi problemi che forse l’Assemblea non era preparata a considerare e ci sono state prospettate, in questo gioco delicato di preclusioni, numerose difficoltà. Si dovrà decidere, per esempio, se sia intervenuta una preclusione per quanto riguarda quella parte di senatori che si pensava dovessero essere eletti dai Consigli regionali o nominati dal Capo dello Stato.

Questa è una delle questioni, ma molte altre ne sono state sollevate.

Mi sembra che il complesso di questi problemi sia così vasto e delicato da consigliare un esame da parte del Comitato di redazione. Ho visto anche che i membri del Comitato si sono divisi su alcuni punti che erano in discussione questa sera.

Non sembra opportuno – mi rivolgo sia al Presidente dell’Assemblea, sia al Presidente della Commissione – che il Comitato di redazione si raduni domani, esamini questo gioco di preclusioni e porti delle proposte all’Assemblea? Mi sembra che un esame preliminare sia opportuno e che possa portare a decisioni più mature.

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. A me sembra che la questione sia stata posta chiaramente dall’onorevole Ruini. Il problema è solo questo: se i due ordini del giorno rendano impossibile la votazione dell’articolo 55. Ora, non vi è dubbio che il primo comma dell’articolo 55 si deve votare, perché stabilisce una norma d’ordine generale. La Camera dei senatori, cioè il Senato, è eletto a base regionale; quindi non incide sulla modalità dell’elezione che deriva dall’ordine del giorno Nitti che è stato testé approvato.

L’ordine del giorno Nitti, a che cosa si riferisce? Al sistema elettorale attraverso il quale dovranno essere nominati i senatori. Che cosa rimane da stabilire? Quello che è il problema del secondo comma dell’articolo 55 proposto dalla Commissione. Di questo secondo comma v’è una parte viva e una parte che è caducata. È caducata la parte per cui alcuni senatori devono essere eletti dalla Regione. Però rimane che ogni Regione può avere un numero fisso di senatori. L’equivoco da che cosa è nato, secondo me? Da quel numero fisso di 200.000 cittadini per ogni collegio elettorale. Non è affatto vero che il collegio uninominale avesse un numero fisso. Ricordiamo la vecchia legge elettorale: avevamo collegi con un numero diverso di elettori: Pavullo sul Frignano aveva mille elettori; un collegio di Milano aveva 200.000 elettori. Ciò non è male. Tutto sta a considerare se i senatori dovranno avere la caratteristica di essere l’emanazione di una certa zona regionale, di rappresentare nel Senato una determinata parte di territorio nazionale. Se questo si stabilisce, evidentemente l’ordine del giorno Nitti stabilisce la norma per lo svolgimento delle elezioni: tanto è vero, che lo stesso onorevole Nitti, nella sua proposta di modifica agli articoli 55 e 56, si esprimeva così:

«Il Senato è eletto sulla base di un senatore per 200.000 abitanti. Il territorio della Repubblica è diviso in circoscrizioni elettorali, che eleggono un solo senatore ciascuna. Ad ogni Regione è, inoltre, attribuito un numero fisso di tre senatori».

Quindi, anche l’onorevole Nitti, nella sua proposta sostitutiva dell’articolo 55, ritiene Che ogni Regione deve avere tre senatori, qualunque sia il sistema elettorale prescelto, collegio uninominale o altro (ormai è stato scelto quello uninominale, e non si può più discutere).

Evidentemente il concetto regionale entra nella composizione del Senato. Quindi, potremmo votare il primo comma del testo della Commissione: «La Camera dei senatori è eletta a base regionale». Poi potremmo pregare il Comitato di redazione di coordinare l’ordine del giorno Nitti già approvato con le formalità necessarie perché l’elezione dei senatori avvenga nella circoscrizione regionale; e allora spero che la Commissione muterà il suo avviso sul numero fisso di 200 mila abitanti: perché ci possono essere Regioni che, pur dovendo avere tre o quattro senatori, non hanno il numero necessario di abitanti.

La Basilicata, per esempio, che ha circa 500.000 abitanti, non potrebbe avere tre senatori, come è stabilito nel testo dell’articolo 55 proposto dall’onorevole Nitti.

PRESIDENTE. Che non è ancora stato approvato.

PERSICO. Quindi, l’Assemblea potrà ora votare la prima parte dell’articolo 55.

Resta fermo che l’ultima parte è sostituita dall’ordine del giorno Nitti approvato, circa le modalità dell’elezione: suffragio universale e diretto col sistema del collegio uninominale.

Darei mandato al Comitato di redazione di coordinare quest’ultima parte, approvata, colla prima parte dell’articolo 55 che stabilisce la base regionale, perché vi si innesti il sistema del collegio uninominale.

BOSCO LUCARELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOSCO LUCARELLI. Io sono del parere del collega Moro, di rinviare alla Commissione la formulazione di tutto l’articolo, perché, dopo l’approvazione dell’ordine del giorno Nitti, a me pare che l’articolo vada rifuso.

Qualora ciò avvenisse, io mi permetterei di sottoporre alla Commissione delle questioni pratiche da tenere presenti. Dovendosi determinare le circoscrizioni per i collegi uninominali, ad evitare difficoltà nella compilazione della relativa legge elettorale, credo opportuno che nella Costituzione si dia un indirizzo generale per sapere come debba avvenire il raggruppamento di comuni per costituire i singoli collegi, e cioè se debba avvenire nell’ambito delle provincie o delle regioni, o se debba prescindere da esse.

Nelle vecchie leggi elettorali col sistema uninominale, i collegi erano determinati nell’ambito delle provincie.

L’assegnazione di un senatore per ogni 200 mila elettori, tenuta anche presente l’importanza delle frazioni, rende necessario un accurato esame della questione.

Anche per questo credo vada appoggiata la proposta Moro.

PIEMONTE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIEMONTE. L’altro giorno abbiamo votato, a scrutinio segreto, contro un numero fisso di senatori per Regione. Non comprendo come l’Assemblea oggi possa ritornare sulla deliberazione già adottata.

Richiamo, peraltro, l’attenzione dei regionalisti su questo problema: domandando un minimo di rappresentanza di senatori per ogni Regione, si impedisce che si formino quelle piccole Regioni che, a mio modo di vedere, sono più giustificate delle grandi. Le piccole Regioni potranno effettivamente valere nella vita pubblica italiana, perché esse permettono il massimo controllo sulla pubblica amministrazione; a questo riguardo le grandi Regioni presenteranno di poco diminuiti i danni dell’accentramento burocratico. Se si chiede che le Regioni abbiano un minimo di rappresentanti si darà un’arma perché queste piccole Regioni non siano approvate.

Sono d’accordo con il collega Moro che dopo il voto sull’ordine del giorno Nitti tutto il capitolo vada riveduto e le disposizioni fra loro coordinate e coordinate al principio votato dal Comitato di redazione.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Non vorrei essere in errore, ma mi sembra che questa discussione sulla preclusione o meno della possibilità di mettere in votazione l’articolo bel testo del progetto sia, se non altro, intempestiva. Infatti prima bisognerà mettere in votazione gli emendamenti che sono stati presentati a questo articolo, giacché nel caso in cui qualcuno di questi emendamenti – che sono emendamenti sostitutivi – venga approvato, la questione della preclusione è già assorbita. Non so se sono in errore, ma mi sembra che la questione si ponga così: v’è l’emendamento dell’onorevole Nitti con il quale si propone di sostituire gli articoli 55 e 56 con un articolo da lui stesso formulato; v’è poi, tra gli altri, un nostro emendamento del seguente tenore: «Il Senato della Repubblica è eletto a suffragio universale, diretto e segreto, ecc.». Sono due emendamenti che, se venissero approvati, o l’uno o l’altro, annullerebbero il testo del progetto. Se questi emendamenti saranno respinti, allora si potrà proporre la questione se sia possibile mettere in votazione l’articolo del testo, che è in contradizione, secondo l’opinione di alcuni, con due ordini del giorno: uno approvato e l’altro respinto.

PRESIDENTE. La questione è stata largamente chiarita nonostante che gli onorevoli Moro e Bosco Lucarelli ritengano che essa non lo sia ancora a sufficienza ed abbiano affacciato l’idea di rimetterla al Comitato di redazione. È possibile che non sia chiara per qualcuno, ma io, onorevoli colleghi, debbo ribattere sempre sul medesimo punto: ci avviciniamo alla metà di ottobre e non possiamo rinviare più, neanche di un giorno, questioni che sono state già lungamente discusse; in questo momento, onorevole Moro, si tratta veramente di voler fare soltanto un piccolo sforzo logico. Il problema è questo: il testo dell’articolo 55, che abbiamo ricevuto dalla Commissione per la Costituzione, aveva per l’appunto una sua logica interna. Vi era un primo comma che in tanto teneva, in quanto seguivano il secondo ed il terzo. Coloro i quali hanno partecipato alla discussione di questo testo rammentano che il secondo e il terzo comma sono stati così configurati perché il primo era stato in precedenza redatto in quel particolare modo. È evidente che, affermata una base regionale per il Senato, ne veniva come necessaria conseguenza che per l’elezione del Senato si presupponesse una certa struttura della Regione e, in primo luogo, la esistenza di assemblee regionali.

Onorevoli colleghi, non è responsabilità mia – vorrei lo si riconoscesse – se la strada attraverso la quale siamo giunti a questa prima votazione non ha seguito la stessa traccia di quella percorsa in seno alla seconda Sottocommissione. È stata l’Assemblea a decidere di prendere una via diversa, ed una tale via per la quale avendo votato una prima decisione, non è più permesso seguire nel loro ordine primitivo i tre commi dell’articolo 55.

Vorrei dire a questo proposito, che non vi è dubbio che le decisioni dei Settantacinque e della seconda Sottocommissione che ha elaborato questa parte del progetto conservano valore; ma adesso, a mano a mano che i lavori nostri procedono, se facciamo dei richiami, dobbiamo farli non alle decisioni della Commissione dei Settantacinque, dall’Assemblea non accettate, ma a quelle altre decisioni che l’Assemblea ha ad esse sostituite.

Oggi pertanto l’Assemblea deve ragionare in base alle premesse logiche che si è poste, e se queste non consentono di accettare le norme della Commissione dei Settantacinque, io posso essere il primo a rammaricarmene, perché vi ho collaborato, ma bisogna sottomettersi al volere espresso dell’Assemblea.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Io non vedo le cose con la stessa chiarezza con cui le vede l’onorevole Presidente. Mi dispiace di dover fare una proposta formale perché la materia sia rinviata al Comitato di redazione per un nuovo esame. Domani mattina l’Assemblea potrebbe occuparsi di un altro argomento, mentre il Comitato riprende in esame la materia.

PRESIDENTE. Mi permetto di parlare in maniera molto netta. Se lei, onorevole Moro, propone formalmente che l’Assemblea sospenda i suoi lavori, in attesa che il Comitato di redazione dipani questa matassa, che a me sembra abbastanza dipanata, io metterò in votazione la sua proposta; ma desidero che risulti chiaro a chi spetta la responsabilità del permanente ritardo dei lavori della nostra Assemblea. (Commenti al centro). Mi permettano, ma nessuno vorrà farmi credere che, da dieci giorni a questa parte, voi non abbiate più pensato alle conseguenze dei voti che si erano dati in precedenza.

Credo che nessuno di voi, da dieci giorni a questa parte, abbia completamente rinunciato a svolgere pensieri e considerazioni sui lavori della Costituzione e pertanto non credo che i problemi intorno ai quali oggi stiamo discutendo vi riescano nuovi in maniera tale da non orientarvici.

Onorevole Moro, il problema si pone in questi termini: si è votata una disposizione; questa disposizione stabilisce che il Senato della Repubblica sia eletto a suffragio universale e diretto col sistema del collegio uninominale. La prima conseguenza che se ne trae è senz’altro questa: nessuna forma di elezione indiretta è più ammissibile.

La seconda conseguenza è ancora da trarre, e starà nel quesito se si possa accettare o meno che nel Senato della Repubblica vi siano senatori che si richiamino rispettivamente ad un numero diverso di elettori. Questa è l’unica questione ancora da risolvere. Se l’Assemblea risponde «sì», ed è legittimamente padrona di farlo, allora resta in piedi il quesito del numero fisso di senatori. Se l’Assemblea dice «no», allora non vi sarà più numero fisso di senatori, ma si tratterà soltanto di scegliere, fra le varie proposte relative al quoziente, che vanno da 200 mila a 120 mila. Questa è tutta la questione da risolvere e mi pare in realtà che non sia tanto complessa. Essa pone una questione di principio; se un eletto possa richiamarsi ad un numero di elettori o ad una base di popolazione diversa da un altro eletto. È la sola questione da risolvere. E, onorevoli colleghi, non credo che possiamo affidare la soluzione al Comitato di redazione. È l’Assemblea che deve risolvere e votare. E siccome il quesito è semplice non è necessario che ci venga riportato fra alcuni giorni. Tutto questo ho detto per precisare i termini della questione. Poiché, comunque, l’onorevole Moro ha fatto una proposta formale di sospensiva, dovrò porla in votazione.

MORO. Io chiedevo di rinviare fino a domani pomeriggio e non di tre o quattro giorni.

PRESIDENTE. Già ieri mattina non si è tenuta seduta, stamane neppure, domani mattina non si dovrebbe tenere seduta per dare tempo al Comitato. Siccome io ho una responsabilità e lei e l’Assemblea hanno la loro, le si precisi col voto.

Pongo dunque in votazione la proposta dell’onorevole Moro che si sospenda la discussione e che si rimetta al Comitato di redazione il compito di trarre le conseguenze logiche della votazione oggi avvenuta in relazione al testo del progetto.

(Dopo prova e controprova, e votazione per divisione, con la esatta parità dei voti, la proposta Moro non è approvata).

Il seguito della discussione è rinviato alle ore il di domani.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta di risposta urgente:

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri, sugli sviluppi e sui provvedimenti presi a seguito della serrata delle aziende editoriali dei quotidiani italiani, nonché dello sciopero proclamato dai poligrafici a Torino.

«Froggio».

«Al Ministro dei lavori pubblici, per sapere se e quando intenda provvedere alla sistemazione degli acquedotti della Lucania ove, per la scarsa manutenzione e per la inadeguatezza degli impianti, intere popolazioni sono prive di acqua, con grave pregiudizio della salute e dell’igiene.

«Colombo, Zotta».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Risponderò alla prima interrogazione domani nel pomeriggio; quanto alla seconda, ritengo che il Ministro dei lavori pubblici potrà rispondere lunedì prossimo.

Per la nomina di tre membri della Corte costituzionale della Sicilia.

PRESIDENTE. Avverto che l’Assemblea dovrà procedere, nel corso di questa settimana, alla elezione di tre membri della Corte costituzionale per la Sicilia.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se non intenda mantenere ferma la sospensione della esazione delle tasse e delle imposte a favore dei proprietari dei fondi occupati dalle truppe alleate dal maggio 1944 al maggio 1947, e che dovranno essere nuovamente dissodati per poter venire coltivati, fino a che non verranno concordate e liquidate le indennità di requisizione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Persico».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per conoscere se sia esatto che lo Stato Maggiore dell’Esercito e tutti indistintamente i comandanti militari territoriali si siano espressi favorevolmente per il mantenimento delle direzioni di amministrazione in atto funzionanti e per la non più ricostituzione dei soppressi uffici amministrativi e ciò, oltre che per ragioni tecniche e di snellimento del servizio, anche per ragioni di economia; e per conoscere, altresì, se non sia conseguentemente opportuno dar corso senza ulteriore indugio al provvedimento legislativo già predisposto fin dal 1943, al fine di rendere sotto ogni rapporto legale la costituzione delle direzioni di amministrazione. E ciò tenuto conto:

1°) che con circolare n. 139900/121/4/1 – Gab. – in data 29 giugno 1943 del Ministero della guerra, furono istituite le direzioni di amministrazione allo scopo di riunire in un unico ente direttivo le funzioni disimpegnate dagli uffici amministrativi territoriali di cui al regio decreto-legge 28 settembre 1934, n. 1635 (già rette da funzionari civili dell’Amministrazione centrale) e dagli uffici contabilità e revisione dei comandi difesa territoriale. La materia di competenza dei soppressi uffici amministrativi territoriali passi quindi alle direzioni di amministrazione e più precisamente alla sezione giuridico-amministrativa;

2°) che tale provvedimento venne disposto per rendere più armonico e consono alle effettive esigenze del servizio il funzionamento dell’Amministrazione presso gli enti periferici, comandi di grandi unità nel territorio e per adattare la struttura organico-amministrativa degli enti territoriali a quella degli enti mobilitati, poiché le direzioni di amministrazione previste con gli ordinamenti di guerra già funzionavano fin dal giugno 1940 presso tutte le grandi unità mobilitate con ottimi risultati;

3°) che venne in tal modo uniformato il funzionamento del servizio amministrativo di guerra a quello di pace, non potendo logicamente esistere diversità di formazione tra l’uno e l’altro;

4°) che cumulando in un unico organo direttivo tutte le funzioni amministrative già devolute ai soppressi uffici amministrativi, a quelli di contabilità e revisione, affidandole tutte ad ufficiali dello specifico servizio, perfettamente competenti in materia sia per la lunga carriera percorsa nel ramo amministrativo, che per la perfetta conoscenza delle esigenze dei corpi nei quali vissero a lungo si è creato uno stato di fatto consono ai più elementari principî di buona e saggia amministrazione, attuando in pieno un completo controllo preventivo, concomitante e successivo;

5°) che era stato disposto il relativo provvedimento legislativo per le conseguenti varianti da apportarsi al sopracitato regio decreto-legge 28 settembre 1943, n. 1635, al fine di sancire con regolare disposizione la fusione dei due uffici molto opportunamente disposta con la sopradetta circolare n. 139900 che istituì le direzioni di amministrazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Valenti».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri della pubblica istruzione e del tesoro, per sapere perché abbiano escluso dai concorsi alla presidenza degli Istituti di istruzione classica, di istruzione tecnica, di scuole medie e di scuole di avviamento, testé banditi, gli insegnanti medi titolari e ordinari, forniti di diplomi d’Istituto superiore di magistero conseguiti attraverso un corso quadriennale di studi, con esami orali e scritti pari a quelli sostenuti nelle Università.

«Tale esclusione risulta ingiusta, se si constata che i diplomati degli Istituti superiori di magistero sono ammessi a tutti i concorsi di insegnamento, a cui partecipano i laureati, e percorrono la stessa carriera scolastica degli insegnanti forniti di laurea. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Lozza».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri della pubblica istruzione e del tesoro, per sapere per quale ragione alla maggioranza degli insegnanti di scuole elementari e medie estromessi dal fascismo per motivi politici o razziali, e riassunti dopo la liberazione, non sia ancora stata ricostruita la carriera ed essi siano ancora pagati con nota a parte e con lo stipendio iniziale.

«L’interrogante si permette di riferirsi ad alcuni, fra i molti, casi specifici; quelli di Angelo Sorgoni (insegnante elementare di Ancona), Lia Corinaldi, Giorgina Levi in Arian, Giuliana Fiorentino in Tedeschi, Lina Momigliano, Tina Pizardo in Rieser, insegnanti di Istituti di istruzione media. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Lozza».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere le ragioni per cui il Consorzio agrario di Alessandria maggiora i prezzi dei concimi assegnati ai comuni per la distribuzione agli agricoltori.

«Mentre il Comitato interministeriale dei prezzi ha fissato per il solfato ammonico il prezzo di lire 3300 il quintale, il Consorzio agrario di Alessandria lo vende con una maggiorazione di lire 1360 il quintale, e cioè a lire 4660 il quintale.

«Nella stessa proporzione sono pure maggiorati i prezzi degli altri concimi (perfosfati, nitrati, ecc.).

«Le maggiorazioni denunciate sono così forti da sollevare le giuste proteste degli agricoltori alessandrini. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Lozza».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno trasmesse ai Ministri competenti per la risposta scritta.

La seduta termina alle 20.15.

Ordine del giorno per le sedute di domani

Alle ore 11 e alle ore 16:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

LUNEDÌ 6 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCXLVII.

SEDUTA DI LUNEDÌ 6 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Sul processo verbale:

Nobile

Corbellini, Ministro dei trasporti

Congedi:

Presidente

Comunicazioni del Presidente:

Presidente

Interrogazioni (Svolgimento):

Presidente

Marazza, Sottosegretario di Stato per l’interno

De Mercurio

Rubilli

Sullo

La Rocca

Vinciguerra

Covelli

Corbellini, Ministro dei trasporti

Musotto

Volpe

Petrilli, Sottosegretario di Stato per il tesoro

Canevari

Cappa, Ministro della marina mercantile

Tonetti

Interpellanze (Svolgimento):

Cremaschi Olindo

Petrilli, Sottosegretario di Stato per il tesoro

Gavina

Segni, Ministro dell’agricoltura e delle foreste

Interrogazioni e interpellanza con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Andreotti, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

AMADEI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

Sul processo verbale.

NOBILE. Chiedo di parlare sul processo verbale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Onorevole Presidente, ieri notte fui costretto ad allontanarmi dall’Aula e perciò non potei prendere parte alla votazione dell’ordine del giorno Magrini.

Desidero dichiarare che, se fossi stato presente, avrei votato quell’ordine del giorno, così come avevo già votato a favore delle due precedenti mozioni.

CORBELLINI, Ministro dei trasporti. Chiedo di parlare sul processo verbale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBELLINI, Ministro dei trasporti. Nel resoconto sommario della seduta pomeridiana di sabato scorso è detto che l’onorevole Sereni «dà lettura di un documento da cui inequivocabilmente risulta che l’ingegnere Corbellini fu effettivamente ufficiale della milizia, tanto che il 25 luglio 1940 ottenne la croce di anzianità di servizio».

Tengo a precisare che dal documento letto dall’onorevole Sereni non risulta ch’io sia stato ufficiale della milizia: fui semplicemente iscritto come milite nella milizia ferroviaria, nella quale non prestai mai effettivo servizio. Prego di rettificare.

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati Cairo, Cevolotto, Martino Gaetano, Russo Perez e Angelini.

(Sono concessi).

Comunicazioni del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che ho chiamato a far parte:

l’onorevole Sereni, della seconda Commissione permanente per l’esame dei disegni di legge, in sostituzione dell’onorevole Platone, dimissionario,

e l’onorevole Mattarella, della Commissione speciale per l’esame delle leggi elettorali, in sostituzione dell’onorevole Micheli, dimissionario.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Interrogazioni.

Le seguenti interrogazioni riguardano lo stesso argomento e possono quindi essere svolte congiuntamente:

De Mercurio, Amendola, al Ministro dell’interno, «per conoscere quali provvedimenti siano stati presi contro i responsabili dei gravi fatti verificatisi in Avellino il 28 settembre in occasione di un comizio monarchico tenuto dall’onorevole Covelli, con l’autorizzazione del Ministro dell’interno. Va rilevata la insufficienza del servizio di ordine pubblico, in quanto i preposti hanno minacciato inermi cittadini ed elementi antimonarchici, i quali sono stati fatti segno alle provocazioni di teppisti prezzolati nella malavita di provincie limitrofe ed affluiti nel capoluogo. Tale insufficienza ha portato come conseguenza gravi lesioni, anche da arma da taglio, ed altre lesioni meno gravi, nei confronti di cittadini non partecipanti al comizio. Non risulta che le autorità locali, benché invitate ad una più energica azione contro i responsabili diretti e indiretti degli incidenti, abbiano svolto una positiva attività, non avendo proceduto neppure all’arresto dei colpevoli e alla diffida degli organizzatori del raduno»;

Rubini, al Ministro dell’interno, «sui disordini che si sono verificati in Avellino domenica 28 settembre»;

Sullo, al Ministro dell’interno, «sugli incidenti di Avellino del 28 settembre 1947»;

La Rocca, Sereni, Amendola, Reale Eugenio, al Ministro dell’interno, «sui sanguinosi avvenimenti di Avellino e per sapere se è più oltre possibile una politica di tolleranza verso forme manifeste di rinascente fascismo»;

Vinciguerra, al Ministro dell’interno, «sui gravi incidenti verificatisi in Avellino il 28 settembre 1947 in occasione dei quali pacifici cittadini riportavano anche lesioni»;

Covelli, al Ministro dell’interno, «per sapere quali provvedimenti abbia adottato od intenda adottare a carico di taluni ben noti provocatori di Avellino, che hanno tentato con insulti, con sassate, con minacce a mano armata, in occasione di un comizio del Partito nazionale monarchico, di dar luogo ad incidenti cui, solo per la pazienza, l’amore dell’ordine ed il senso profondo di responsabilità dei partecipanti al comizio, si è evitato che seguissero conseguenze veramente gravi».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Trattasi di incidenti i quali, come si può rilevare dallo stesso tenore delle molte interrogazioni che sono state presentate al riguardo, vengono giudicati in modo molto diverso a seconda della parte alla quale i vari interroganti appartengono. Noi troviamo infatti che l’onorevole De Mercurio li definisce «gravi fatti», che l’onorevole Rubilli si accontenta di chiamarli «disordini», che – più benevolo ancora – l’onorevole Sullo li dice «incidenti»; un po’ meno ottimista, l’onorevole Vinciguerra li chiama «gravi incidenti»; dall’onorevole La Rocca, infine, sono chiamati «sanguinosi avvenimenti».

Dal testo dell’interrogazione dell’onorevole Covelli, poi, sembrerebbe perfino di poter dedurre che di incidenti non ve ne furono affatto, se è vero che vi si legge che taluni hanno tentato con insulti, sassate, minacce, ecc., di dar luogo ad incidenti, ma, insomma, che il profondo senso di responsabilità dei partecipanti al comizio ha in effetti evitato che seguissero apprezzabili conseguenze. Particolarmente impegnato è quindi il Governo a fare il punto della situazione e tale punto crede di poterlo fare in questo modo:

Già l’8 settembre era pervenuto al Comandante del Gruppo locale dei carabinieri un documento, una lettera, a firma di tutti i partiti cosiddetti di sinistra, dalla quale si rilevava che questi partiti intendevano impedire che questo comizio, che si sapeva essere stato progettato dal Partito monarchico, avesse luogo. Esso veniva infatti definito una aperta provocazione alla quale essi partiti non potevano rimanere insensibili e si aggiungeva anche che, nell’interesse della pacificazione nazionale, tali partiti non erano disposti a tollerare provocazioni di tal fatta. Le autorità governative, evidentemente sapendo come un sistema di questo genere, generalizzato, potesse determinare conseguenze facilmente prevedibili, ed assolutamente deprecabili nei rapporti di tutti quanti i comizi che si volessero convocare, si son fatte scrupolo di convocare i rappresentanti dei vari partiti per persuaderli della inammissibilità del sistema ed esercitare su di loro le maggiori pressioni affinché si dimettesse da parte di ciascuno l’idea di provocare gli avversari. Pare che i rappresentanti dei partiti questo l’hanno inteso: comunque hanno assunto nei confronti delle autorità un preciso impegno al riguardo. L’autorità, avendo da parte sua, assunto impegno di fare quanto dipendeva da essa perché gli incidenti fossero prevenuti ed eventualmente repressi, ha a tale scopo disposto innanzitutto posti di blocco sulle strade confluenti alla città e tutti gli automezzi sono stati fermati e i passeggeri perquisiti. Non sono state trovate armi. Sono state trovate alcune bandiere con l’emblema sabaudo, che vennero sequestrate. Dopo di che il comizio ebbe luogo senza incidenti.

Viceversa, quando i dimostranti erano sulla via del ritorno (io conosco poco Avellino, ma mi si dice che la strada percorsa, lungo la quale gli incidenti di cui sto per parlare sono avvenuti, indicasse appunto il proposito dei dimostranti di ripartire) ad un certo punto fischi, dileggi, qualche ingiuria anche, sono partiti all’indirizzo di uno degli automezzi. Questo automezzo si è immediatamente fermato; coloro che vi erano sopra ne sono discesi e ne derivò un tafferuglio. Questo tafferuglio fu abbastanza serio: si ebbe un solo ferito dichiarato guaribile entro 20 giorni. Il tafferuglio sarebbe durato certo di più se non fosse sopravvenuto un reparto della polizia, disposto poco lontano.

Ripresa la marcia dall’automezzo, dopo cinquecento metri, altre ingiurie, altri fischi, altra reazione, altro tafferuglio; e questo tafferuglio ha assunto anche maggiore importanza, in quanto sopraggiunsero ad ingrossarlo coloro che avevano partecipato a quello precedente. Senonché, anche qui la forza pubblica è sopraggiunta con il reparto già intervenuto poco prima e con un altro reparto. Fatto sta che di lì a poco tutto è finito e i dimostranti hanno proseguito sulla via del ritorno senza ulteriori incidenti, finché la polizia informata del ferimento del quale ho parlato prima, provvide ad inseguire immediatamente gli automezzi dei dimostranti e, raggiuntili poco dopo, li sottopose ad una nuova meticolosa perquisizione. Non venne trovata nessun’arma, bensì unicamente un coltello autorizzato. Naturalmente tutti i passeggeri vennero lasciati proseguire.

In questa condizione di cose non pare che da parte della polizia si sia venuto meno a quelli che erano i suoi doveri, sia per aver predisposto i mezzi sufficienti per reprimere gli eventuali incidenti, sia, in seguito a questi, per assicurarsene i responsabili.

Non è riuscita; comunque, le indagini subito iniziate vengono proseguite e voglio augurarmi che esse possano sortire l’effetto desiderato.

In occasione della discussione suscitata da questi incidenti si è verificato in prefettura un deplorevole episodio; un giornalista, infatti, estrasse la pistola ed affermò concitatamente di avere incitato poco prima gli agenti dell’ordine a sparare sui dimostranti, con le parole: «se non sparate voi, sparo io». Pare, tuttavia, che questa sia stata la sola sparata dell’occasione, perché in effetti le indagini svolte per accertare se proprio era stata estratta la pistola…

COVELLI. È stata estratta.

MARAZZA. Sottosegretario di Stato per l’interno. …hanno concluso negativamente. Dopo di che io invito le parti a riportare la questione nei suoi modesti limiti ed a spegnere, se è possibile, i reciproci risentimenti.

PRESIDENTE. L’onorevole De Mercurio ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

DE MERCURIO. Non sono per niente sodisfatto delle dichiarazioni dell’onorevole Sottosegretario, perché esse hanno un tono di ottimismo, che non si addice al caso specifico.

Sta di fatto che tutti i partiti, anche quelli non definiti di sinistra, si associarono alla richiesta di non fare tenere il comizio all’onorevole Covelli, ivi compreso, credo, anche il Partito liberale, certamente la Democrazia cristiana. Tutti i partiti furono solidali in questa richiesta, non perché si volesse impedire al Partito monarchico di tenere il comizio – perché in regime di libertà e di democrazia è giusto che ognuno esponga la propria opinione – ma perché si sapeva in antecedenza che i metodi usati durante la campagna elettorale e post-elettorale dall’oratore che avrebbe parlato ad Avellino, avrebbero certamente portato le conseguenze, che poi si sono verificate. E adesso andiamo ai fatti.

Rivendico alla città di Avellino, che mi onoro di rappresentare in quest’Aula, l’alto senso di civismo e di responsabilità politica dimostrato in questa occasione; perché tutti i presenti – e vi sono anche dei colleghi di altri gruppi – possono dichiarare che il comizio non fu minimamente turbato, anzi direi, fu quasi ignorato.

E che il comizio sia stato ignorato dalla popolazione di Avellino è dimostrato dal fatto che ben 25 camions affluirono quel giorno ad Avellino dalle provincie di Benevento, di Napoli e perfino di Campobasso, come mi ha confermato l’onorevole Azzi, che quel giorno era a Campobasso.

Non parliamo, poi, dei pubblici bandi lanciati per alcuni giorni in parecchi Comuni, fra cui Prata, Candida, Tufo ed altri, preannuncianti un comizio monarchico che sarebbe stato tenuto ad Avellino, allo scopo di far accorrere al comizio stesso la massima parte di convenuti.

MAZZA. Non è vietato, che c’è di male?

DE MERCURIO. Non sto dicendo che è vietato. Fatto sta che il manifesto affisso per l’occasione diceva che l’onorevole Covelli, deputato all’Assemblea Costituente, avrebbe parlato al popolo di Avellino. È evidente che il popolo di Avellino era molto scarsamente rappresentato, perché nella piazza vi erano poco più di 2000 persone venute con 25 camions… (Interruzione del deputato Covelli) affluite dalla provincia anche con tre camions gentilmente concessi dal Ministro dei trasporti, e di questo mi occuperò più tardi. Il comizio si svolse, come dicevo, ordinatamente, tanto ordinatamente che, finito, quelli che vi avevano partecipato si misero nei rispettivi camions e presero la via del ritorno. Qui incomincia il divario fra la nostra versione e quella fornita dal Sottosegretario.

PRESIDENTE. La prego di dichiarare se sia sodisfatto o meno.

DE MERCURIO. No, naturalmente non sono sodisfatto, ma io debbo precisare i fatti. Come ho già detto qui sorge un divario fra me e il Sottosegretario di Stato per l’interno. Infatti quando si prese la via del ritorno, i comizianti scesero dai camions ed andarono ad ingiuriare tutti i presenti. L’ingiuria consisteva nel fatto che furono cantati inni fascisti e fu gridato: Viva la monarchia! Abbasso la repubblica! Viva i reali carabinieri. (Interruzioni a destra).

Io, a questo punto, domando: da chi preveniva la provocazione? Dai pacifici cittadini che erano sui marciapiedi o da chi in regime repubblicano lanciava grida sediziose ed ingiuriose?

COVELLI. Che male c’è a gridare: viva il re?

PRESIDENTE. Io sono stato condannato tre volte per avere gridato: viva la Repubblica!

DE MERCURIO. Ma c’è di più, signor Presidente! L’onorevole Covelli nel suo comizio aveva eccitato i partecipanti al comizio auspicando il ritorno delle aquile romane ed aveva detto che i monarchici erano pronti a tutto osare. (Rumori a sinistra). Queste parole, buttate agli intervenuti, hanno dato un incitamento a malamente osare. Avvenne quindi il primo incidente, nel quale riportò contusioni multiple il Bonerba, il quale è tuttora degente all’ospedale e non so con quali complicazioni. Successivamente, a distanza di 200 metri, è avvenuto l’altro incidente nel quale, estratte le armi, fu colpito il Guerriero. Qui è il grave, il fatto grave sul quale l’onorevole Sottosegretario non mi ha risposto. Quando mi sono recato in Prefettura a protestare presso il prefetto, questo si è stretto nelle spalle dicendo: «L’autorizzazione è stata data dal Ministro dell’interno, io non potevo darla». Io ho poi appreso con rincrescimento e dolore che un maresciallo di pubblica sicurezza quando è stata vibrata la coltellata, ha respinto non coloro che si erano lanciati per accoltellare il Guerrieri, ma ha respinto in malo modo i pacifici cittadini che erano sui marciapiedi. A questo punto era logico che venisse detto al maresciallo quel che meritava e me ne sono andato protestando e facendo le note dichiarazioni.

Ora, su tutti questi fatti l’onorevole Sottosegretario non mi ha detto quali provvedimenti siano stati presi contro i responsabili diretti e indiretti. Abbiamo dovuto domandare noi alla pubblica sicurezza cosa intendesse fare contro i responsabili, perché questi, sui sei camions che andavano a Napoli, si erano già allontanati; abbiamo dovuto dire noi di far telefonare perché fossero fermati e perquisiti, perquisizione che non si era verificata preventivamente.

Ora, domando a me stesso, se non debbo domandarlo all’onorevole Sottosegretario, se ritiene che le provocazioni siano partite da chi stava sul camion o da chi stava pacificamente ad attendere che il comizio avesse fine.

In questa occasione, io chiedo e faccio appello al Governo affinché siano subito messi in discussione avanti a questa Assemblea le leggi sul consolidamento della Repubblica.

PRESIDENTE. L’onorevole Rubilli ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

RUBILLI. Io sono assai sodisfatto di una cosa soltanto, e cioè che sia dalle dichiarazioni che ha fatte il Sottosegretario di Stato, sia dalle notizie private che mi sono giunte, so che in realtà si è trattato di lievi incidenti, con molto lievi conseguenze. Di questo specialmente sono assai sodisfatto e contento. Debbo però rilevare, per quello che riguarda la concessione dei camions per le adunate di partito, anche se, come ho sentito, si tratta di concessioni che si sogliono fare e si sono fatte ancora in casi simili, che questa è un’abitudine deplorevole e sarà meglio non seguirla per l’avvenire. E ciò per una ragione molto semplice: perché il Governo e lo Stato devono garantire ampiamente i partiti nella libera, legittima esplicazione della loro attività, ma non devono dare né sussidi né aiuti, né soccorsi, altrimenti può sorgere anche il sospetto che il Governo faccia quanto può, ed anche quanto non può, per i partiti che lo sostengono, e riserbi solamente le briciole ai partiti avversari. Meglio quindi che questa abitudine sia completamente eliminata per l’avvenire.

Per il resto, l’onorevole Covelli fece ad Avellino, chiamando gente da tutte le parti, specialmente fuori della Provincia, un’adunata di carattere monarchico. D’altronde egli non nasconde i suoi sentimenti, non nasconde la sua fede. Sono manifestazioni che finora, almeno finché non vi saranno leggi in contrario, sono consentite e possono essere legalmente organizzate. Io vedo tappezzate le vie di Roma di annunzi di comizi monarchici per le prossime elezioni amministrative. Dunque, sono un po’ dovunque piuttosto frequenti simili comizi, e se Covelli ha creduto di farne uno ad Avellino, fino a questo momento almeno non abbiamo gran che da opporre. (Interruzione a sinistra).

Sarebbe molto meglio, è vero, che tutti quanti, dopo il 2 giugno, passate le perplessità e i dubbi che prima di tale data non potevano d’un tratto completamente eliminarsi, sentissimo oggi il dovere di essere buoni cittadini per contribuire con tutte le nostre forze e con sentimenti sinceramente patriottici a consolidare la Repubblica, il nuovo regime che il popolo ha deliberato, con libera votazione. Io sono stato il primo nella Consulta Nazionale a pronunziare un discorso sulla legge elettorale proponendo e sostenendo il referendum sulla questione istituzionale. La Consulta accolse la proposta, il popolo si è pronunziato; dunque ogni dissenso su questo argomento dovrebbe da ogni parte ormai aver termine.

Questo è il mio pensiero, questa la mia opinione personale, che purtroppo non vedo ancora completamente seguita, perché molti vogliono persistere a mantenere ferme le loro vecchie idee; ciò potrà anche deplorarsi, ma non si potrà opporre un assoluto divieto che dalle leggi vigenti non è imposto. Però sarà opportuno che sia evitato ogni equivoco al riguardo, perché spesso in simili manifestazioni (e questo è vero) si mescolano degli elementi con spiccate nostalgie fasciste. Sono gli stessi organizzatori che per la loro dignità e nell’interesse della causa che vogliono sostenere, debbono far sì che anche nelle apparenze sia eliminato qualsiasi sospetto e qualsiasi dubbio sul carattere politico di un comizio.

Per quello che riguarda la città di Avellino, devo constatare con grande compiacimento – come cittadino avellinese – che anche in questa occasione essa non è venuta meno alle sue nobili antiche tradizioni. Noi uomini politici della Provincia abbiamo largamente contribuito ad elevare il livello, il clima, l’ambiente politico delle nostre contrade e siamo riusciti con grandi sacrifici a mantenere e conservare il rispetto a tutte le opinioni liberamente e civilmente espresse, anche in tempi e in occasioni molto difficili. Ed in questa occasione, altresì, come è stato constatato dall’onorevole Sottosegretario di Stato, come può essere constatato da tutti gli interroganti – e su ciò potremo essere d’accordo – il comizio non è stato per nulla turbato e gli oratori hanno potuto in Avellino esprimere, senza essere disturbati, il loro pensiero, affermando la loro fede ed i loro sentimenti.

Si sono verificati dei tafferugli, piccoli tafferugli che sono avvenuti dopo, lungo la strada? Ebbene, ne avvengono spesso in casi simili. La fortuna è che hanno avuto piccole conseguenze. Chi li ha determinati? Chi è stato il provocatore? Questo non lo può dire il Sottosegretario; questo non lo possono dire nemmeno i singoli deputati interroganti. Dopo ampia istruttoria e dopo un pubblico dibattimento, se occorre, potrà dirlo soltanto il magistrato con serena, obiettiva sentenza. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Sullo ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

SULLO. Sono lieto che la discussione di questa interrogazione sia avvenuta adesso, perché se fosse avvenuta una settimana fa indubbiamente si sarebbe detto che si trattava di una questione antigovernativa o filogovernativa e l’Assemblea non avrebbe dato una valutazione esatta all’episodio che, se nelle conseguenze fisiche non è di grande importanza, è tuttavia qui da sottolineare, per denunziare e un metodo che bisogna combattere anche sul terreno politico e non soltanto, come l’onorevole Rubilli diceva, sul terreno della Magistratura. Sono perfettamente d’accordo con l’onorevole Sottosegretario che le conseguenze fisiche dell’episodio sono minime, ma sono minime oggi, e se il metodo continuasse per l’avvenire, così come si va trascinando da mesi e starei per dire da anni, non crederei che anche per l’avvenire potessero essere definite come sono state definite in questo momento.

L’Assemblea deve sapere che in tale questione non entra né la Destra, né la Sinistra, né il Centro, né il Governo, né l’opposizione al Governo, ma il tono con cui questa interrogazione – poteva benissimo essere un’interpellanza – deve essere discussa è un tono che riguarda soprattutto la civiltà ed il metodo della propaganda, che riguarda soprattutto l’esempio che dobbiamo dare ai nostri concittadini, di come comportarsi nella vita politica. Perciò io, da un lato, posso senz’altro dire che l’impostazione che alcuni giornali di sinistra hanno dato all’episodio è stata eccessiva, esagerata e controproducente, perché, lasciando intendere che si trattava di attaccare il Ministro dell’interno e il Ministro dei trasporti, hanno insensibilmente portato l’opinione pubblica a difendersi contro questo metodo.

Noi, come democristiani, dobbiamo riprovare che, in questa maniera, in effetti, si sia portata la questione su un altro piano. Anche i nostri amici di destra non devono fissarsi nel solito cliché, a favore del Governo o contro il Governo, ma devono guardare le cose con assoluta obiettività, come cercherò di fare io.

Sono un anno e mezzo o due che certi propagandisti del Partito monarchico, tra i quali è il collega Covelli, hanno cominciato ad adottare il sistema della guardia del corpo. Ora, questo sistema non è un sistema nuovo nella storia dei comizi in Italia, perché mi è stato detto che anche in passato c’era gente che amava portarsi dietro una scorta di uno, due, tre camions di gente autotrasportata, di claque, che fosse pronta a fischiare l’avversario, ad applaudire e, anche un po’ troppo ardentemente, a scivolare nel tafferuglio.

Ma è evidente che nell’anno di grazia 1947, quando predichiamo la democrazia dappertutto, non può essere lecito continuare con questi sistemi. Agli amici di destra, di sinistra e del centro, dico: può darsi che la provocazione sia venuta dalla strada, o dai camions: ma la vera provocazione consiste nel fatto di aver portato ad Avellino della gente di altri capoluoghi di Provincie, da altre Provincie, della gente che indubbiamente non aveva nulla a che fare con la popolazione della Provincia di Avellino.

Qui il problema serio e fondamentale non è quello di dire che potevano essere adottati dei provvedimenti, per quanto il mio partito, proprio nel passato, prendendo occasione dagli incidenti che durante la campagna elettorale erano capitati anche agli attuali deputati della Democrazia cristiana – e l’onorevole Scoca potrebbe dirne qualche cosa – in comizi tenuti nel periodo del 2 giugno, abbia voluto fin d’allora porre il problema dicendo: state attenti, prima di concedere queste autorizzazioni, guardate come le concedete, io plaudo al Ministro Scelba perché ha dato questo permesso, ma il Ministro Scelba non credo abbia dato il permesso di fare un’adunata dei monarchici della Campania, poiché si sarà limitato a dare il permesso di tenere un comizio in Avellino. Invece, nella giornata di domenica, sono giunti ad Avellino dei camions, i quali non possono circolare nei giorni festivi e, per giunta, non possono trasportare persone; questi camions sono venuti da Napoli e la pubblica sicurezza può indagare anche sulla identità delle persone che trasportavano.

Comunque, questi camions avevano l’autorizzazione per trasportare le persone e l’autorizzazione per circolare nei giorni festivi? Ora, amici miei, la vera provocazione è questa: aver portato questa gente ed avere continuato con questi sistemi che noi dobbiamo assolutamente biasimare e deprecare.

Là realtà è questa: quando vi è gente che va via e attraversa un corso affollatissimo, come quello di Avellino nella giornata di domenica, e quando vi è gente che va via dopo un comizio che è stato perfettamente tranquillo e ode dei fischi dalla gente del luogo, ode anche delle provocazioni dalla gente del luogo, se questa gente dei camions non è disposta a fare tafferugli non scende, perché sa che scendendo deve forzatamente attaccare briga.

La provocazione può essere partita da chiunque; ma, come democratico cristiano, io dico che questi sono i metodi che dobbiamo combattere, di là dalle persone. Che la responsabilità personale sia dell’onorevole Covelli io non so: egli ha detto che dei camions non sapeva nulla. Può darsi; a me non interessa. Ma io dico che di chiunque sia questa responsabilità, noi dobbiamo biasimare l’episodio.

Ed, anche se, come ha detto l’onorevole Marazza, l’episodio permette di essere giudicato con un relativo ottimismo, rispetto al modo come si è svolto e alle conseguenze che avrebbero potuto derivarne, esso riveste tuttavia carattere di indiscussa gravità. (Interruzione del deputato Benedettini).

Io parlo indipendentemente dai sentimenti miei anteriori al 2 giugno, perché bisogna che la libertà di parola non rappresenti un sistema per intimidire le persone. (Interruzione del deputato Benedettini).

PRESIDENTE. Concluda, onorevole Sullo.

SULLO. Io denunzio al Paese un metodo che ritengo debba essere riprovato da qualunque cittadino, di qualunque parte politica. (Interruzione del deputato Benedettini).

PRESIDENTE. Onorevole Benedettini, abbiamo incominciato senza interruzioni: la prego di non portarle in campo lei.

L’onorevole La Rocca ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

LA ROCCA. Onorevoli colleghi, le dichiarazioni dell’onorevole Sottosegretario all’interno non sono valse a disperdere in alcun modo le nostre preoccupazioni, né a placare la nostra ansia. A me dispiace che non sia qui a trattare questo argomento l’onorevole Amendola, impegnato altrove. La sua presenza sarebbe stata tanto più utile, in quanto egli è più intimamente legato alla zona avellinese, di cui è diretta e immediata espressione.

Non mi dilungo sui fatti che, nel loro insieme, nonostante una versione partigiana offertaci dall’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno (Commenti), si rivelano particolarmente gravi. Essi sono stati già esposti, esaminati e commentati dagli altri oratori.

Vorrei piuttosto trarre delle conseguenze da questi avvenimenti e tradurle in una linea politica conseguente. Una prima cosa è certa – e l’ha notato proprio ora l’onorevole Sullo – che è tornato l’uso dei raduni, con la raccolta dei peggiori elementi dalle varie contrade, e non già per una dimostrazione di forza, ma per una sfida di baldanza, che poi si converte in una rottura della legalità, che si traduce nell’esercizio della violenza.

Voce a destra. È anche il vostro metodo.

LA ROCCA. Noi non abbiamo bisogno di ricorrere a questi metodi. (Commenti a destra).

Voci a destra. Piazza del Popolo! Piazza del Popolo!

PRESIDENTE. Prego di non interrompere.

LA ROCCA. E una seconda cosa è certa: che il Ministro ingegner Corbellini, il quale in circostanze più prementi non concede mezzi di trasporto, non ha esitato, forse per una simpatia intellettuale verso i suoi ex camerati, a fornire i camions a tristi figuri, (Proteste al centro e a destra) che nella terra di Pasquale Stanislao Mancini e di Francesco De Sanctis, che incarnano, nel campo giuridico e in quello estetico, il pensiero più progressivo del Risorgimento, nella terra dei De Conciliis (Complimenti al centro) e di Guido Dorso, sono andati, se non materialmente, almeno spiritualmente a sollevare il gagliardetto nero dei pirati, col teschio e con gli stinchi, per una netta manifestazione neo-fascista.

L’onorevole Covelli è padronissimo di ritenere che l’avvenire della Nazione sia nell’istituto monarchico. Del resto, nella Campania si trovano, ancora oggi, forse, cadaveri viventi, residui di un passato putrefatto, che accendono ceri per il ritorno dei Borboni. Al delirio dei monarchici neo-fascisti, si risponde, sul piano della legalità democratica, che l’istituto monarchico è stato estraneo alla vita nazionale, che non ha adempiuto al compito storico che è stato proprio della monarchia in altri Paesi: di combattere il frazionamento feudale e contribuire all’unità nazionale; che il Risorgimento, nella sua essenza, è stata l’opera dei Mazzini e dei Garibaldi e che i Savoia si sono impadroniti del sacrificio altrui, di un terreno che non era stato lavorato da loro; che, alla fine, quando l’istituto avrebbe dovuto agire da forza moderatrice, come garanzia dei diritti degli italiani, ha tradito il Paese ed è diventato il complice diretto del fascismo, ne ha sostenuta la dittatura e, col fascismo, ci ha portati alla servitù, alla miseria e al disastro.

Questo è un contrasto di idee, che non deve concludersi nel guizzo delle armi bianche. Ecco il punto. Perché la vitalità e la forza di una qualsiasi ideologia non possono essere affidate alla punta dei pugnali dei briganti e degli assassini.

Una voce al centro. Alle roncole, come a Genzano!

LA ROCCA. Si tratta di domandare all’onorevole Ministro dell’interno fino a quando e fino a quanto egli è disposto a tollerare certi sistemi sul piano inclinato che ci conduce ad una rinascita del passato, che tutti dovremmo essere d’accordo a voler seppellire senza speranza di resurrezione.

Ella, poco fa, ha detto, onorevole Sottosegretario per l’interno, che niente di meno su questi camions che trasportavano una teppa di Napoli – teppa che non osa più agire sulle piazze della grande città, perché Napoli democratica la spazza via con formidabili colpi di scopa, ed è ridotta ad esercitare le sue imprese da saccomanni alla periferia – è stata compiuta una perquisizione. Si sono avuti feriti da arma di punta e taglio. Di dove sono usciti questi pugnali e questi coltelli, se la prima perquisizione è riuscita infruttuosa?

Onorevole Sottosegretario per l’interno, allora riconoscerà che si è trattato di una perquisizione all’acqua di rose, di una perquisizione amichevole, compiuta per la forma.

E aggiungo dell’altro. Ella stesso ha ricordato che tutti i partiti democratici di Avellino non desideravano che lo sconcio fosse avvenuto in una città dove la lotta politica si è svolta sempre democraticamente, nella maniera più libera, senza che la parola di alcuno fosse stata disturbata o imbavagliata dal sopruso o dalla soverchieria di altri gruppi politici. Occorre dunque che intervengano i terzi, di fuori, per avvelenare e turbare l’atmosfera.

E a questo si è risposto in che modo? Nemmeno col gesto di Ponzio Pilato da parte di quelli che sono gli strumenti dell’esecutivo, che sono il vostro braccio nella Provincia: il questore e il prefetto; perché essi non si sono ristretti nemmeno a lavarsi le mani. Hanno dato addirittura una scrollata di spalle; e la piazza intitolata a Matteotti è stata per l’occasione intestata ad un Savoia.

È difficile immaginare provocazioni maggiori e peggiori. Né accade insistere sull’argomento che estranei, stranieri, non possono assolutamente, se non si sentono spalleggiati, sfidare una cittadinanza. compatta, compatta almeno intorno allo spirito che lega un po’ gli uomini della stessa contrada contro gente che viene di fuori a rompere l’ordine pubblico. C’è, dunque, una sorta di favoreggiamento da parte della questura, che non interviene, da parte del prefetto, che si stringe nelle spalle quando ci si lamenta per una manifestazione che era un’aperta sfida ed un’aperta provocazione, a cui un popolo, giunto ad un alto grado di maturità politica e di senso di responsabilità, non cede.

Ora ci domandiamo se questo metodo possa ancora continuare, dopo un’offensiva già da tempo scatenata contro le libertà democratiche, contro l’esercizio della critica e della propaganda, già da noi denunciata e su cui non ritorno; ma oggi ci mettiamo su un terreno quanto mai difficile!

L’altro giorno ho seguito con un senso di grande stupore il modo con cui l’onorevole Ministro dell’interno ha cercato di interpretare a suo modo la legge. Vorrei ricordare all’onorevole Ministro dell’interno un concetto sul quale non è possibile cavillare o sofisticare e che è alla base di tutta la nostra legislazione di diritto pubblico: che cioè un cittadino, a tutela di un suo diritto vitale, si sostituisce allo Stato, quando lo Stato non può intervenire. Siamo nel campo della legittima difesa. C’è da augurarsi che il popolo italiano, per la politica equivoca dell’attuale Ministro dell’interno, non debba trovarsi nella condizione e nella necessità (Commenti al centro) di sostituirsi allo Stato, che non interviene e che non agisce (Commenti al centro), a tutela dei diritti e delle libertà democratiche! (Commenti al centro).

Una voce al centro. Genzano! Si ricordi di Genzano!

LA ROCCA. I democratici cristiani dovrebbero ricordare che nei Vangeli è detto che gli uomini si giudicano non dalle loro parole, ma dai loro atti, come gli alberi non si giudicano dalla loro veste di foglie, ma dai frutti che dànno.

Esiste un abisso tra le parole del Ministro dell’interno e la sua azione politica, che è azione di parte: azione che restringe la sfera dei diritti di alcuni, che sostiene la pratica antidemocratica di altri, che, direttamente o indirettamente, aiuta il risorgere della violenza fascista, C’è un divorzio pauroso tra le parole e i fatti del Ministro dell’interno. Se i questori e i prefetti non ricevessero determinate direttive, non si comporterebbero nel modo con cui si comportano: o saprebbero che, agendo di testa loro e permettendo attentati alla democrazia, finirebbero col ballare il ballo di San Vito, con un Ministro dell’interno, custode dello spirito repubblicano antifascista. (Rumori al centro).

PRESIDENTE. Concluda, onorevole La Rocca, la prego.

LA ROCCA. E allora concluderò ricordando le parole di un marito che ammoniva la moglie multivola (in una deliziosa commedia di Molière). Le diceva: Io ti dico sempre le stesse cose perché tu fai sempre le stesse cose, e finché tu farai sempre le stesse cose io non potrò che dirti sempre le stesse cose».

L’onorevole Ministro dell’interno, per la sua politica, evidentemente somiglia alla moglie multivola; ma il popolo italiano non può identificarsi in quel marito, che in definitiva si chiamava Pierrot! Noi ci auguriamo che il popolo italiano non sia costretto a mettersi in piedi, per difendere da sé le sue libertà contro un nuovo vomito di barbarie fascista. (Applausi a sinistra – Rumori al centro).

PRESIDENTE. L’onorevole Vinciguerra ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

VINCIGUERRA. Onorevoli colleghi, penso che questo mio intervento potrebbe essere anche considerato superfluo, ma credo di dover fare una precisazione, resa necessaria dalla impostazione che ha dato a questa nostra discussione l’onorevole Rubidi.

PRESIDENTE. Non divaghi, onorevole Vinciguerra; siamo in sede di interrogazione.

VINCIGUERRA. Anzi di una piccola interrogazione. Dopo le dichiarazioni del Sottosegretario, l’onorevole Rubilli ha osservato che ovunque c’è il diritto di propaganda; a Roma si assiste a tanti comizi monarchici, e quindi nulla di grave che questo sia successo anche ad Avellino, dove, a suo modo di vedere, la manifestazione sarebbe stata contenuta entro giusti limiti.

Si capisce che la propaganda monarchica è libera come quella comunista, socialista e degli altri partiti; ma io penso che in regime democratico ogni forma di propaganda debba avere i suoi limiti nella legge. Ora, è notorio – e vi porto la testimonianza non sospetta dell’onorevole Sullo che ha parlato con molta obiettività – che l’onorevole Covelli usa nell’organizzazione delle manifestazioni del suo partito un sistema che è del tutto speciale, cioè egli crede di dovervi far partecipare anche elementi estranei, non del luogo, e ordinariamente si tratta di elementi reclutati senza troppi scrupoli, e molte volte si notano persone che non hanno la fedina penale a posto.

Perché questi sistemi? Essi sono resi necessari dal nostro ambiente. Le nostre popolazioni sono costituite in gran parte da ex emigrati negli Stati Uniti d’America, ed hanno quel senso della libertà repubblicana che noi proclamiamo (ma che fino a questo momento non abbiamo fatto rispettare), e sono refrattarie alle nostalgie monarchiche. V’è allora bisogno di portare sul posto elementi, diciamo così, di contorno che facciano opera di intimidazione?

È questa la ragione di quel tipo di manifestazioni monarchiche dovute all’attività del segretario del Partito monarchico, onorevole Covelli.

Voglio concludere con una osservazione di carattere giuridico. Se quella tal proposta di legge per la repressione dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico non fosse rimasta nel cassetto del Presidente del Consiglio e fosse stata invece tradotta in legge (speriamo che si voglia rimediare con una iniziativa parlamentare) noi avremmo trovato la sanzione contro questi sistemi; se quella proposta fosse stata già tradotta in legge, noi non saremmo qui ad occuparci dei fatti di Avellino, ma se ne sarebbe occupata l’autorità giudiziaria. Però è da rilevare che, mentre questi sistemi di intimidazione sono notori da parte del questore di Avellino non è stato adottato nessun provvedimento, né preventivo né repressivo. È invece da rilevare che mentre il questore ed il prefetto avevano creduto di dover proibire il comizio, il Ministro dell’interno fu di diverso parere ed in questo caso ha creduto di sostituirsi al prefetto, forse anche al questore, il quale stando sul posto aveva valutato diversamente la situazione. Tuttavia l’incidente non può finire con delle semplici dichiarazioni anodine del Sottosegretario e attendiamo i provvedimenti politici a carico dei responsabili.

Per i fatti delittuosi nei quali vi sono stati anche dei feriti, provvederà l’autorità giudiziaria.

PRESIDENTE. L’onorevole Covelli ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

COVELLI. Intendo rispondere ai miei avversari del centro e di sinistra e dichiarare che neanche io, soprattutto io, non sono sodisfatto delle dichiarazioni del Ministero dell’interno. Devo premettere, a scanso di equivoci e senza offesa all’intelligenza degli onorevoli avversari, che si è riportato qui in maniera molto palese un motivo elettorale: niente altro che questo. C’è qualche ingenuo, ma tutto quello che è stato detto fa parte di una gretta gelosia elettorale e locale.

RUBILLI. Non credo che lei voglia alludere a me.

COVELLI. Ingenui, l’ho detto prima, ve ne sono stati. Il Ministro dell’interno ci fa sapere, e lo dice con una leggerezza che noi non possiamo tollerare, che c’è stata una protesta preventiva al comizio, cosicché si ammette da parte del Ministro dell’interno che vi possano essere dei rappresentanti, alcuni dei quali sono anche «fasulli», che vadano a dire al prefetto della provincia ed al questore: «Noi non vogliamo che abbia luogo questo comizio». Dice inoltre il Ministro dell’interno che è risultato che uno di questi, di cui ho fatto cenno nella interrogazione, ha estratto la pistola ed ha detto che avrebbe incitato gli spettatori o la polizia a sparare, perché, se la polizia non avesse impedito il comizio, lo avrebbe impedito lui.

Il questore od il prefetto, che hanno sentito la necessità di far inseguire l’autocarro di monarchici per farlo perquisire, non cominciarono prima di tutto ad arrestare chi aveva estratto la pistola. Capisco che l’equilibrismo del signor Ministro dell’interno, in omaggio allo squittio dell’onorevole Sullo, non poteva che portare a questa conclusione.

Ma che si venga a dir qui che le provocazioni sono partite dall’autocarro, che le provocazioni sono state fatte da coloro che in quel momento tornavano tranquillamente a casa, che si venga addirittura a dirlo in quest’Aula – qui subentra il motivo demagogico, la campagna elettorale che deve interessare solo la nostra provincia e non disturbare gli onorevoli colleghi – è un falso inconcepibile.

Si dice: c’era pochissima gente, tutta venuta da Napoli e da Benevento. L’onorevole Azzi ha visto addirittura qualche autocarro venire da Campobasso. In verità, egregi colleghi, anche avversari, la cosa che ha sgomentato, anche sul piano politico, i miei avversari, è stato di aver visto – la cosa del resto, è stata vista e si vede dappertutto – che i monarchici (quelli i quali non credono più in coloro che si fecero eleggere per venire a fare i repubblicani in quest’Aula) seguono con certa simpatia e con certa lealtà coloro i quali, in regime repubblicano, col rispetto delle leggi vigenti, hanno ancora fede nell’istituto monarchico e nell’efficacia dell’istituto monarchico.

Noi, egregi avversari (coi quali non abbiamo niente in comune, perché, se duri e violenti siete voi, subdoli e cinici sono quelli che ci stanno più vicini), noi diamo eccessivo fastidio, perché compromettiamo talune situazioni, che non sono personali. Io avrei voluto ricordare, prima dell’interrogazione, agli onorevoli colleghi, che ad essere elette saranno quelle persone che hanno saputo rispettare la fede degli elettori che li hanno mandati alla Camera.

Non raccolgo le insinuazioni di qualche mio collega della provincia, circa metodi poco democratici di propaganda politica, perché proprio qualcuno, che ha parlato qui, ha istigato quelle popolazioni e poco è mancato che non mi linciassero al solo apparire; hanno reso necessario qualche volta farmi prendere di peso, per isolarmi, nel timore che gli incitati mi si potessero gettare addosso.

Che costoro vengano a fare oggi gli agnellini è cosa stomachevole.

Perché non si viene a dire delle menzogne soltanto a me, ma si dicono delle menzogne a rispettabili colleghi. Il Ministro dell’interno ha il dovere, in un regime di libertà che il suo Governo ritiene di far rispettare, di dire a certi prefetti, in particolare a quello di Avellino, che, come c’è libertà per i comizi comunisti, democristiani e repubblicani, c’è libertà per i comizi monarchici. Si levi il malvezzo a certi prefetti, usi ad inchinarsi peggio di ieri all’autorità imperante, al colore politico imperante, di aver timore di eccedere o meno, dando l’autorizzazione ad un comizio monarchico.

Occorre che la legge ci garantisca le libertà democratiche e non si deve più verificare che la provocazione a mano armata sia legittimata dall’equilibrismo di certe dichiarazioni, tipo quelle che ha fatto lei, onorevole Sottosegretario. Gli autocarri portavano pacificamente gente non di Napoli o di Benevento o di Campobasso, ma della mia provincia, che mi onoro di rappresentare e che detesta certi «fasulli». (Interruzione del deputato Sullo).

Coloro che mi hanno ascoltato in qualità di segretario generale del Partito nazionale monarchico, non soltanto ad Avellino ma in tutte le città in cui mi è stato dato di poter parlare, sanno che nessun autocarro è venuto a proteggermi, nessuna guardia armata è venuta a proteggermi, nessuna malavita io ho raccattata per portarla a guardarmi le spalle. L’onorevole La Rocca, se avesse ascoltato il discorso dell’onorevole Pajetta, ed avesse letto un poco in fondo i giornali da lui molto opportunamente citati, avrebbe visto che in fondo a quei giornali si attaccano non soltanto le istituzioni democratiche ma anche e soprattutto i monarchici che intendono essere, e sono, solamente monarchici, e che non hanno nulla a che vedere con quelle forze che, non so se considerevoli o meno, dànno l’assillo ai nostri avversari di sinistra. Prenda spunto il Governo da questa occasione, non per varare leggi eccezionali – perché il solo parlare di leggi eccezionali sarebbe un tradimento alla democrazia – ma per garantire, con il suo fermo atteggiamento, la libertà a noi e agli altri, soprattutto a noi (perché fino ad oggi siamo noi state le vittime delle sopraffazioni e delle violenze, ogni volta che abbiamo parlato in nome della monarchia) e in tempo utile, cioè prima che noi ravvisiamo la necessità di essere come gli altri antidemocratici…

PAJETTA GIULIANO. Quali altri?

COVELLI. …gli altri che parlano di democrazia, di libertà e di pacificazione e sono gli avvelenatori del popolo. Sono costoro i quali si trovano veramente in possesso non soltanto delle armi bianche, che tanto sgomentano l’onorevole La Rocca. L’onorevole La Rocca poi dovrebbe fare a meno di accennare all’onorevole Amendola, perché l’onorevole Amendola per quella gente che, impropriamente, è ritenuta di malavita, è un brutto ricordo e sarebbe giovevole per l’onorevole Amendola farsi dimenticare, perché lo si ricorda oggi a Napoli come colui che ha dato l’autorizzazione a sparare sulla folla dei monarchici durante le dimostrazioni dopo il referendum istituzionale. (Interruzioni e proteste a sinistra).

Voci a sinistra. Non è vero, non è vero!

COVELLI. I monarchici sono gente democratica che sa dimenticare, e non è vero che tema la piazza di Napoli: la vostra piazza è quella superficiale, per la quale ci vogliono veramente molti autocarri dalla provincia; la piazza nostra, di Napoli, è quella spontanea, che non vi darebbe l’ardire di esercitarvi in queste violenze verbali di cui fate uso nella Camera e fuori (Rumori a sinistra), in quanto è gente che ha saputo ancor oggi, in pieno regime repubblicano e prima con l’amministrazione comunale monarchica, quindi con amministrazioni democratiche, con l’azione che svolge il partito nazionale monarchico a Napoli, ha saputo mostrare di dimenticare le vostre violenze e di sapersi attenere al più scrupoloso rispetto della legge, sempre che voi la rispettiate. (Interruzioni a sinistra – Interruzione del deputato Vernocchi).

PRESIDENTE. Concluda, onorevole Covelli.

COVELLI. Concludo. Il fatto di insolentire nei confronti dei monarchici, trattandoli per persone di malavita, per fascisti, per provocatori, è una cosa che non giova ai partiti che si sentono veramente democratici. Credete a me, di questi monarchici la democrazia italiana si è già avvantaggiata, perché essi hanno impostato il loro problema con lealtà ed onestà politica, soprattutto dopo il 2 giugno; è questo un fatto che deve interessare tutta la democrazia italiana.

Siamo convinti che il Ministro dell’interno, approfondendo l’indagine, perché non temiamo l’autorità giudiziaria, sia veramente in grado di portare a conoscenza degli onorevoli colleghi le responsabilità precise. Responsabilità che se sono accertate in campo giudiziario non devono non essere accertate in campo politico, particolarmente per quello che riguarda il prefetto ed il questore di Avellino. Il prefetto e il questore di Avellino in questa occasione si sono mostrati non degni della situazione, non all’altezza del compito, in quanto solo per avere acceduto all’invito dei partiti così detti democratici che volevano vietarci il comizio, sono venuti meno alla norma di libertà e di democrazia che mi auguro che il Ministro dell’interno voglia tutelare. (Applausi a destra – Congratulazioni).

BENEDETTINI. Viva la monarchia! (Rumori – Commenti a sinistra).

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Naturalmente, non entro nella polemica. Però, vi sono state, dall’una e dall’altra parte, alcune affermazioni alle quali devo necessariamente rispondere. Incominciamo con l’ultima dell’onorevole Covelli, il quale ha realmente portato qui un’accusa contro il prefetto ed il questore di Avellino, accusa assolutamente immeritata. Egli ha detto infatti, che l’uno e l’altro si sono mostrati proni ai partiti suoi avversari, per il fatto di aver ricevuto da loro una lettera. Effettivamente, non usano respingere le lettere al mittente, senza averne prima presa conoscenza. Ed avendo appreso da quella di cui trattasi come i rappresentanti di molti partiti fossero d’avviso che la riunione monarchica non dovesse aver luogo, per le ragioni che ho dette prima, naturalmente non rimasero insensibili e convocarono presso di sé costoro e seriamente li ammonirono a rispettare la legge e ad assumere l’impegno che la legge sarebbe stata rispettata dai loro seguaci. E a questo forse, oltre al senso politico della popolazione di Avellino – alla quale rendo omaggio – che abbiamo sentito qui da più parti esaltare, devesi se il comizio dell’onorevole Covelli si è svolto senza disturbi.

All’onorevole Covelli debbo anche dire che se ovviamente non era possibile disporre, lungo tutto il tragitto che i suoi amici dovevano percorrere per ritornare alle rispettive residenze, dei cordoni di polizia, con tutto ciò di polizia ne è stata mobilitata a sufficienza per potere intervenire e reprimere gli incidenti che egli lamenta.

Ho detto prima che io non so da quale parte siano partite le provocazioni. Non lo so; spero di riuscire a saperlo quanto prima attraverso le risultanze della istruttoria dell’autorità giudiziaria, ma devo difendere in questo momento il prefetto ed il questore di Avellino, che realmente non meritano il rimprovero che l’onorevole Covelli ha loro rivolto.

Devo poi qualche parola al collega onorevole La Rocca. L’onorevole La Rocca ha cominciato con l’accusarmi di versione partigiana ed ha promesso di darne la prova; ma questa prova non ha dato.

Io credo che l’onorevole La Rocca intendeva riferirsi a quello che ha con parola elegante definito «il guizzo delle armi bianche». Ora, l’unico ferito della giornata…

LA ROCCA. I feriti sono due.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. L’unico ferito, tale Guerriero, mi pare, ha sì riportato una ferita di arma da taglio, ma tanto lieve da permettergli il giorno seguente al ferimento di farsi ammirare per tutte le strade di Avellino, e voglio anche aggiungere, di rifiutarsi energicamente di subire gli accertamenti di polizia giudiziaria ai quali era stato invitato. Quanto alla piazza del comizio è vero che l’onorevole Covelli nell’invito alla manifestazione da lui presieduta ebbe a indicarla col nome «Principe di Piemonte». È vero altresì che questa piazza…

DE MERCURIO. Ora si chiama Piazza Matteotti.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. …si chiama ancora Principe di Piemonte…

DE MERCURIO. No, no! Da due anni, in seguito a deliberazione consigliare, questa piazza si chiama Piazza Matteotti!

RUBILLI. Ufficialmente, amministrativamente è Piazza Matteotti; ma il pubblico, come fa anche per altre vie, continua a chiamarla Principe di Piemonte.

DE MERCURIO. Sono piccoli fenomeni che vanno rilevati!

RUBILLI. A Napoli, accade lo stesso. Si dice più spesso Via Toledo, il vecchio nome, anziché Via Roma, il nome attuale.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Abbiate pazienza; non crederete che venga a raccontar delle cose tanto per chiacchierare. Questa Piazza si chiama ancora Principe di Piemonte, legalmente.

DE MERCURIO. Niente affatto!

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Effettivamente, è stata affissa una targa col nome di Matteotti; ma la deliberazione relativa non è stata ancora approvata. Voi direte che questa è una ragione di più per infierire contro l’Amministrazione. (Proteste a sinistra – Interruzione del deputato La Rocca).

Una voce a sinistra. Matteotti fa ancora paura!

MARAZZA, Sottosegretarie di Stato per l’interno. Volevo dire semplicemente questo: che questa delibera del 1944 non è stata ancora approvata dalla Prefettura. Siccome è proprio il prefetto che me lo dice, immagino che non sbaglierà.,

LA ROCCA. Questo sta ad indicare con quale senso di responsabilità opera la Prefettura di Avellino! (Commenti a sinistra).

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Aggiungo che questa mancata approvazione è conforme al parere della Sovrintendenza ai monumenti di Napoli.

Io mi sono preoccupato della cosa e spero che questa approvazione avverrà ben presto; ma ho voluto dirvi che se anche questo fosse un argomento a carico del prefetto e del questore, che non avrebbero proibito, prevenuto, ecc. quel comizio indetto da uno dei partiti che – piaccia o no – è rappresentato anche in questa Assemblea, come argomento vale almeno quanto gli altri.

In merito poi alle altre accuse, che ho sentito ripetere un po’ da tutte le parti (si è parlato di inni fascisti, di evviva al duce, di tante altre cose del genere, devo smentirle tutte: in questo comizio inni fascisti non sono stati cantati, nemmeno nella marcia di ritorno, come pure non è stato inneggiato al duce.

VINCIGUERRA. Monarchia e fascismo sono la stessa cosa! (Commenti).

BENEDETTINI. Non è vero! Non è vero! Monarchia e fascismo non sono la stessa cosa! Questa voluta confusione tra fascismo o monarchia deve cessare! (Commenti).

PRESIDENTE. Facciano silenzio!

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Questo dico semplicemente per riaffermare – concludendo – che per i fatti lamentati, al prefetto ed al questore di Avellino non si possono attribuire responsabilità. (Interruzioni – Commenti).

DE MERCURIO. Chiedo che si inserisca a verbale la mia protesta… (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole De Mercurio, non le posso dare facoltà di parlare.

Segue l’interrogazione degli onorevoli De Mercurio e Sullo, al Ministro dei trasporti, «per conoscere in base a quali disposizioni siano stati concessi dei carri ferroviari da parte del Compartimento di Napoli agli organizzatori di un comizio monarchico in Avellino nella giornata del 28 settembre. Tali carri sono stati messi a disposizione dell’onorevole Covelli, segretario generale del Partito nazionale monarchico, per far affluire, anche con detti mezzi, elementi affiliati a quella organizzazione, prelevandoli dai comuni afferenti alle linee ferroviarie Taurasi-Avellino e Rocchetta Sant’Antonio-Avellino.

Si compiaccia il Ministro comunicare quali provvedimenti siano stati presi contro i responsabili».

L’onorevole Ministro dei trasporti ha facoltà di rispondere.

CORBELLINI, Ministro dei trasporti. La concessione di questi carri ferroviari non fu data né dal Ministro dei trasporti né dal direttore generale delle ferrovie e nemmeno dal capo compartimento di Napoli, perché, nei trasporti domenicali di viaggiatori, la competenza è locale, trattandosi unicamente di regolarsi a seconda dell’affluenza dei viaggiatori e spetta semplicemente alla sezione movimento e ai ripartitori dei veicoli di provvedere.

Ora, la questione si pone nei seguenti termini: dalla stazione di Rocchetta i viaggiatori si sono serviti di treni normali e non v’è nulla dunque a ridire. Il fatto invece che ha dato motivo forse, a questa interrogazione è che l’assuntore della piccola fermata di Taurasi, che si trova tra Cancello ed Avellino, avendo avuto sentore, forse da voci cittadine, che vi sarebbe stata un’affluenza piuttosto inusitata di viaggiatori, ha telefonato al ripartitore dei veicoli per chiedergli se poteva aggiungere qualche carro in più a quelli normali.

Di conseguenza, il ripartitore dei veicoli – notate che di domenica normalmente non si caricano merci – ha dato questi tre carri i quali hanno servito per viaggiatori che avevano regolarmente pagato il loro biglietto.

Ed io che della cosa non avrei avuto alcun motivo di dovermi occupare, l’ho saputa semplicemente quando è stata presentata l’interrogazione, perché si tratta di un’attività normale che deve essere svolta dai capistazione. Non credo che si possa fare diversamente in altri casi, in avvenire, quando un folto gruppo di viaggiatori, una comitiva, chieda la stessa cosa.

Quindi, non ho da dire nulla e non ho preso nessun provvedimento su questa questione che, se poi ha avuto conseguenze politiche, di esse il Ministro dei trasporti non ha nessuna responsabilità. (Approvazioni al centro).

PRESIDENTE. L’onorevole De Mercurio ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

DE MERCURIO. Ho ammirato moltissimo la disinvoltura del Ministro dei trasporti nel rispondere alla mia interrogazione, disinvoltura veramente ammirevole, perché a delle contestazioni specifiche egli ha dato delle risposte vaghe. (Commenti a destra). E preciso: egli ha detto: «Non posso e non debbo occuparmi di affari della mia amministrazione». (Interruzioni al centro).

CREMASCHI CARLO. Non è esatto.

DE MERCURIO. Egli ha sostenuto anche che non si caricavano merci; c’è un’aggravante specifica. L’onorevole Cappugi, il quale è presente, può dire che domenica 28 settembre, mentre nella stazione di Avellino si caricavano delle patate per conto di una cooperativa di ferrovieri di Firenze, di cui l’onorevole Cappugi è Presidente, si è sospeso il carico, per dare i carri ferroviari al comizio monarchico.

Questo è quello che risulta a noi, e l’onorevole Cappugi può confermare il favoritismo del Ministro Corbellini.

CREMASCHI CARLO. Che vuol dire questo?

RUBILLI. I viaggiatori hanno più importanza delle patate; valgono un po’ di più.

DE MERCURIO. Parlerete dopo. Questo non so se rientri nei compiti del Ministro.

Se i carri ferroviari furono cinque o sei, non lo so, ma è certo che furono dati i carri ferroviari. Quindi insisto perché sia fatta luce su quanto è avvenuto.

Chiarisco poi, giacché siamo in argomento, la questione della strada. La via «Principe di Piemonte» si chiama da due anni «Giacomo Matteotti», a seguito di una deliberazione approvata dal Consiglio comunale.

BENEDETTINI. Non approvata.

DE MERCURIO. Tanto è vero che lo stesso questore, allorché gli ho contestato la affissione del manifesto, mi rispose che era stata una svista, che lui aveva semplicemente badato al testo, e non aveva badato alla menzione della strada.

Quindi, non sono sodisfatto e insisto perché su queste mie dichiarazioni specifiche il Ministro Corbellini indaghi e ci faccia sapere i risultati delle sue indagini punendo i responsabili.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione, degli onorevoli Musotto e Fiorentino, al Ministro dell’interno, «sull’arbitrario intervento delle forze di polizia durante lo svolgersi dello sciopero proclamato il 28 settembre 1947 dai contadini di Villalba, Valledomo, Marianopoli, Vallelunga, Mussomeli, Resuttano, in provincia di Caltanissetta; e per conoscere quali provvedimenti intenda adottare contro gli agenti di polizia responsabili di avere manganellato indiscriminatamente uomini e donne che avevano partecipato alla manifestazione».

Sullo stesso argomento vi è l’interrogazione degli onorevoli: Volpe e Aldisio, al Ministro dell’interno, «sui fatti di Mussomeli, Villalba e comuni viciniori».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. L’onorevole Musotto nella sua interrogazione accenna a contadini di Villalba, Valledomo, Marianopoli, Vallelunga, Mussomeli, Resuttano. Io vorrei chiedergli se egli, però, intende riferirsi ai fatti avvenuti a Villalba esclusivamente.

MUSOTTO. Specialmente.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. I fatti sono questi: era stato indetto dal Blocco del popolo un comizio, una riunione, a Villalba, per il giorno 28 del mese scorso.

Devo dire che di questa riunione la notizia era giunta alle autorità provinciali soltanto per via indiretta. Alle autorità provinciali era invece stata esplicitamente richiesta dalla Democrazia cristiana l’autorizzazione per tenere nello stesso Comune e nello stesso giorno un proprio comizio. Ritenendo le autorità provinciali – anche per le affermazioni dei rappresentanti dei vari partiti interessati – che queste manifestazioni avrebbero raccolto in Villalba parecchie migliaia di persone, parve loro opportuno negare, impedire che esse avvenissero.

Ripeto che di autorizzazione ne era stata richiesta soltanto una: dalla Democrazia cristiana.

Ad ogni modo, la Democrazia cristiana, informata, si uniformò; i rappresentanti degli altri partiti, avvertiti, parve che si acconciassero.

Tuttavia – per altre voci loro indirettamente pervenute – il Prefetto ed il Questore decisero di tenere ugualmente d’occhio la situazione, ed il Questore, con un reparto di polizia (130 uomini) si recò sul posto e, essendosi effettivamente riunito sulla piazza del paese un migliaio di persone, dispose perché questa riunione non si trasformasse in quel tale comizio che era stato vietato.

Infatti avendo un deputato dell’Assemblea siciliana tentato di prendere la parola, il funzionario di servizio intervenne ed invitò questa persona a desistere dal parlare.

Vi furono delle resistenze; il funzionario di servizio dovette allora indursi a sciogliere il comizio. Lo scioglimento sarebbe avvenuto, a quanto pare, senza incidenti, se da parte di un altro dei presenti non si fosse incitata la folla a non sciogliersi.

Questo atteggiamento non poteva non indurre il funzionario di servizio ad accompagnare il riluttante fino alla caserma dei carabinieri, dove venne ammonito e quindi rilasciato.

Intanto, poiché in questa folla (che, dicevo, ammontava ad un migliaio di persone) si notava un numeroso gruppo di donne e di ragazzi, fu scrupolo da parte della polizia di isolarlo in modo da sottrarlo ai possibili incidenti, limitati di fatto ad alcuni tafferugli. Soltanto in un caso il tafferuglio fu accanito: e fu quando, da parte di un gruppo di dimostranti, si riuscì ad afferrare un agente di pubblica sicurezza e si tentò di trascinarlo in una casa privata distaccandolo dai suoi compagni.

Ora non si può certamente attribuire a colpa degli agenti di pubblica sicurezza presenti, l’essere essi intervenuti per liberare il collega; e di aver impiegato mezzi idonei. Però – e questo deve esser detto per non ingrandire avvenimenti che non meritano affatto di essere ingranditi – nonostante questo intervento della polizia non si ebbe nessun ferito. A carico dell’unico fermato venne elevata la contravvenzione a sensi dell’articolo 24 della legge di pubblica sicurezza; e, quindi, venne rimesso in libertà. L’azione delle forze di polizia, a seguito di un’inchiesta immediatamente compiuta sul posto per ordine del Ministero appena informato, risultò perfettamente regalare e provvedimenti quindi non parve che dovessero esser presi.

A proposito tuttavia di questa interrogazione, io devo rilevare, che una interrogazione analoga è stata presentata e discussa dal Parlamento siciliano proprio tre giorni fa. Ora, in quella Assemblea l’incidente trovò, a mio modo di vedere, la sua legittima sede; l’averla riproposta in questa, invece, mi pare possa istituire una prassi quanto meno assai disputabile.

NOBILE. Perché?

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Perché, come sapete, l’impiego delle forze di polizia dipende dal Governo regionale. Conseguentemente, tutto ciò che ha connessione con questo impiego mi pare sia di competenza dell’Assemblea regionale. La quale come ho detto, si è già occupata dell’argomento stesso di cui discutiamo.

PRESIDENTE. L’onorevole Musotto ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MUSOTTO. Onorevoli colleghi, va primieramente osservato e credo che in ciò trovi consenzienti tutti i colleghi dell’Assemblea, che a noi non è interdetto intervenire in tutti i fatti che interessano la vita della Regione siciliana. Nessun pericolo noi troviamo né dal punto di vista costituzionale, né dal punto di vista politico. Dal punto di vista costituzionale potrei dire subito che la pubblica sicurezza è una materia rimasta alla competenza dello Stato. Quindi noi possiamo legittimamente intervenire così come siamo intervenuti. Da un punto di vista politico dobbiamo semplicemente far osservare che l’autonomia regionale non ha distaccato la Sicilia dall’Italia, che anzi direi l’ha maggiormente unita e maggiormente rinsaldata all’unità dello Stato.

Quindi abbiamo il diritto di intervenire.

Il Ministro dell’interno si rinchiude sempre nei rapporti dei suoi funzionari; e secondo le notizie che gli hanno trasmesso non vi è il dubbio che la nostra interrogazione è destituita di ogni fondamento. Ma le notizie che a noi pervengono sono diverse, onorevole Sottosegretario. Vere le vostre o vere le nostre. Avete dei privilegi per accreditare vere le vostre informazioni? Non credo: onde noi desidereremmo che si facesse davvero una inchiesta sul posto, che si interrogassero tutti e non ci si fermasse alle affermazioni della Pubblica sicurezza; si dovrebbero interrogare i cittadini che furono presenti a quella manifestazione. Dalle dichiarazioni da lei fatte, deduco che la Democrazia cristiana ha chiesto l’autorizzazione per tenere il comizio. Anche il Partito socialista l’aveva chiesta. Perché non gliela avete concessa? Se la concedete a un partito, dovete concederla anche all’altro. Ma secondo quello che dice l’onorevole Sottosegretario all’interno, l’autorizzazione fu concessa unicamente alla Democrazia cristiana.

Una voce al centro. Non fu concessa.

MUSOTTO. Voi dite che non fu concessa: a me risulta invece che fu concessa. Poté anche non avvalersene, ma fra il fatto di non avvalersene e quello di non averla concessa c’è una grande differenza, miei cari colleghi della Democrazia cristiana. Comunque, che siano stati bastonati dei bambini e delle donne non vi è dubbio. Le notizie che a noi pervengono segnalano questo, ed io mi riservo, onorevole Sottosegretario all’interno, se le notizie che ci perverranno saranno in contrasto con le affermazioni, che non sono vostre, ma dei vostri funzionari, mi riservo il diritto, ripeto, di trasformare la presente interrogazione in interpellanza.

Volevo dire semplicemente questo.

In Sicilia bisogna andare molto piano – in tutta Italia, ma specialmente in Sicilia – con i mezzi repressivi, onorevole Sottosegretario. La Sicilia ha tutto sopportato e sempre sopportato. Badate, però, che è sensibile all’ingiustizia. L’atto di ingiustizia non lo sopporta, non lo ha mai sopportato. Quindi fate una inchiesta per vedere se ci sono agenti di pubblica sicurezza che hanno davvero maltrattato donne e bambini indiscriminatamente. Questo vi chiediamo con immenso interesse, e desideriamo sollecitare il vostro grande senso di responsabilità.

PRESIDENTE. L’onorevole Volpe ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

VOLPE. Non posso ancora dichiararmi sodisfatto, perché la interrogazione da me presentata è diversa.

PRESIDENTE. Sotto quale aspetto, onorevole Volpe?

VOLPE. Perché sono citati altri fatti; quindi, credo che la mia interrogazione meriti una risposta a parte.

PRESIDENTE. Che ne pensa l’onorevole Sottosegretario per l’interno?

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. L’interpretazione, che noi abbiamo data a queste due interrogazioni, è che esse sono molto simili: effettivamente, si riferiscono a fatti analoghi. L’adunata di Villalba, cui io ho accennato, era un’adunata di contadini di tutti i paesi, nominati dall’onorevole Volpe e dall’onorevole Musotto, e incidenti di particolare gravità, tale da giustificare una interrogazione, che si fossero svolti in questi altri comuni citati dall’onorevole Volpe, a noi non risultano.

VOLPE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VOLPE. Mi meraviglia come l’onorevole Sottosegretario per l’interno non abbia rilevato dalla mia interrogazione, nella quale facevo menzione di due centri distinti e separati della provincia di Caltanissetta, che si tratta di avvenimenti, ognuno a sé stante.

Gli incidenti di Villaba, dei quali hanno fatto parola gli amici del Partito socialista, sono una cosa; gli incidenti di Mussumeli sono altra cosa.

PRESIDENTE. Mi pare che la sua interrogazione, onorevole Volpe, sia troppo laconica: è detto «sui fatti di Mussomeli, Villalba e comuni viciniori».

VOLPE. L’onorevole Sottosegretario avrebbe dovuto sapere dalle informazioni che gli incidenti di Villalba sono una cosa e quelli di Mussomeli altra.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Chiedo di rispondere su quegli altri incidenti in altra seduta.

PRESIDENTE. Onorevole Volpe, riproduca la sua interrogazione, specificando i fatti, in modo che l’onorevole Sottosegretario possa rispondere.

VOLPE. Li ho specificati abbastanza; comunque li specificherò meglio in altra interrogazione.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Canevari, al Ministro delle finanze, «per conoscere quali provvedimenti si intendano adottare a favore degli agricoltori coltivatori diretti, delle provincie di Pavia e di Milano, danneggiati dalla grandinata del 22 giugno 1947».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per le finanze ha facoltà di rispondere.

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. In relazione alla richiesta di agevolazioni tributarie fatta dall’onorevole interrogante a favore degli agricoltori, coltivatori diretti, delle Provincie di Pavia e di Milano, danneggiati dalla grandinata del 22 giugno 1947, si osserva che in base all’articolo 47 del regio decreto 8 ottobre 1931, n. 1572, che approva il testo unico delle leggi sul nuovo catasto dei terreni, nei casi in cui per parziali infortuni non contemplati nella formazione dell’estimo venissero a mancare i due terzi almeno del prodotto ordinario del fondo, l’Amministrazione finanziaria può concedere una moderazione dell’imposta erariale sui terreni, nonché dell’imposta sui redditi agrari, dietro presentazione, da parte dei possessori danneggiati, alla competente intendenza di finanza, entro i trenta giorni dall’accaduto infortunio, di apposita domanda con l’indicazione, per ciascuna particella catastale, della qualità e quantità dei frutti perduti e dell’ammontare del loro valore.

I danni provenienti da infortuni atmosferici, come la grandine, le siccità, le gelate e simili, vengono tenuti presenti nella formazione delle tariffe d’estimo e, perciò, di regola, non possono dar luogo alla moderazione di imposta di cui al citato articolo 47 del testo unico 8 ottobre 1931, n. 1572.

Comunque, sono state interessate le intendenze di finanza di Pavia e Milano, per accertare, sentito l’Ufficio tecnico erariale, l’entità dei danni arrecati dalla suddetta grandinata nel territorio di quelle provincie.

Le predette intendenze hanno dichiarato che nessun provvedimento di sgravio delle imposte fondiarie può adottarsi nei confronti degli interessati, in quanto, giusta le risultanze degli accertamenti tecnici all’uopo disposti, i danni prodotti dall’evento in parola non sono stati di carattere straordinario, tale da poterli far considerare non contemplati nella formazione delle tariffe d’estimo, non avendo essi raggiunto il minimo di due terzi del prodotto ordinario del fondo stabilito dalla legge come condizione per la concessione della moderazione dell’imposta fondiaria.

PRESIDENTE. L’onorevole Canevari ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

CANEVARI. Io sono veramente sorpreso della risposta che mi è stata data, dopo oltre due mesi, dal Sottosegretario per il tesoro.

La grandinata, che è stata veramente spaventosa ed ha colpito particolarmente il comune di San Colombano in provincia di Milano ed il comune di Miradolo in provincia di Pavia, due comuni entrambi coltivati prevalentemente a vite, e numerosi altri comuni della provincia di Pavia, ha causato dei danni che sono stati accertati dagli uffici dell’Ispettorato provinciale di agricoltura e dagli uffici economici del Ministero di agricoltura complessivamente ammontanti ad oltre 600 milioni. Io ho pregato il Ministro delle finanze di voler accennarmi quali provvedimenti potevano essere adottati per andare incontro a quei coltivatori diretti. Perché, onorevole Sottosegretario di Stato, non bisogna pensare soltanto ai regolamenti che consentono l’esenzione dalle imposte; ci sono tanti altri modi per andare incontro ai bisogni dei piccoli coltivatori diretti quando sono colpiti da sventure così eccezionali. Per esempio, una sospensione di imposte poteva servire a quei coltivatori diretti; i quali, badate bene, non sono stati, dopo la grandinata, con le mani in mano a meditare sui loro peccati che avrebbero potuto determinare le ire del cielo. Il giorno dopo, o due o tre giorni dopo, li ho rivisti sulle terre colpite dalla grandinata, a riprendere le lavorazioni per altre colture nella speranza di ottenere, nell’annata agraria in corso, un nuovo prodotto: bisognava andare incontro a quella gente. Sapete come è andato loro incontro il Governo? I due ispettorati provinciali, quello della provincia di Milano da una parte, e quello di Pavia dall’altra, avevano chiesto l’intervento del Ministro dell’agricoltura con l’assegnazione di concimi chimici per le nuove colture. Infatti, per la provincia di Pavia, sono stati assegnati 1500 quintali tra solfato ammonico e nitrato di calcio; per la provincia di Milano, 1400 quintali. Riconosco che nel complesso queste quantità potevano essere ritenute sufficienti; ma, tornato sul posto di nuovo, ho visto che in taluni comuni i Consorzi agrari, che avevano avuto l’incarico delle assegnazioni, hanno preteso dei prezzi di una elevatezza e di una esosità tale, da indurre gli stessi coltivatori diretti a rinunziarvi; per cui essi hanno fatto le nuove semine senza concimazione.

Quali provvedimenti dovevano essere adottati dal Ministero delle finanze? Almeno accordare una sospensione dell’imposta straordinaria e lasciare che quella povera gente riprendesse fiato.

Ebbene, non si è fatto niente. Credete a me: questo mancato provvedimento da parte vostra ha fatto una cattiva impressione. È vero che i nostri contadini sono abituati alla sopportazione; ma credo che non siano tanto abituati a dimenticare.

Io sono veramente scandalizzato, perché avevo interessato di ciò il Ministero delle finanze il giorno 11 luglio; il Ministero delle finanze mi ha fatto rispondere in data 28 luglio che aveva messo la cosa allo studio e che sperava di potermi dare buone notizie; ed ora, alla distanza di oltre due mesi, queste sono le notizie che mi sono pervenute da voi! E credo di interpretare il sentimento di quella povera gente dichiarandomi assolutamente insoddisfatto.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Volpe e Borsellino, al Ministro della marina mercantile, «per conoscere quali criteri intenda seguire nell’assegnazione dell’ultimo lotto di Liberty e delle navi restituite al Governo italiano dagli Stati Uniti d’America ed in particolare se non creda, per stimolare le iniziative locali anche nel campo dell’armamento marittimo, destinare una forte percentuale di tali navi alle regioni meridionali ed isolane».

L’onorevole Ministro della marina mercantile ha facoltà di rispondere.

CAPPA, Ministro della marina mercantile. Le trattative per l’acquisto del terzo lotto di navi Liberty sono ancora allo stato iniziale, e non sono stati ancora fissati i criteri per la loro assegnazione ai numerosissimi richiedenti, isolati o raggruppati in associazioni locali.

Occorre, però, tenere presente che, data l’attuale situazione valutaria, è da escludere ogni possibilità di speciali concessioni di valuta agli assegnatari delle navi che dovranno, quindi, provvedere coi propri mezzi al pagamento dei previsti acconti in valuta.

Tale mancata assistenza valutaria, imposta da circostanze di forza maggiore, eliminerà senza dubbio non poche delle richieste già avanzate.

In ogni caso, se le trattative per l’acquisto del terzo lotto giungeranno a buon fine, come speriamo, il Ministero della marina mercantile non mancherà di rendere pubblici i criteri che verranno fissati per procedere all’assegnazione delle navi di cui trattasi, e così tutti potranno rendersi conto della regolarità della procedura seguita per l’assegnazione.

Evidentemente, tali criteri non potranno di molto allontanarsi da quelli seguiti per l’assegnazione dei due precedenti lotti di Liberty, che, come noto, vennero ripartiti sulla base delle perdite subite per causa di guerra dai richiedenti, allo scopo di ricompensarli, in parte, dei limitatissimi indennizzi conseguiti.

Per quanto attiene poi alla prospettata assegnazione di una percentuale di tali navi alle regioni meridionali ed isolane, il Governo sorreggerà certamente tutte le relative iniziative, sempre che esistano forze locali capaci di affrontare le esigenze ed i rischi dell’industria armatoriale, e sempre che i richiedenti dimostrino di possedere, sulla base dei criteri che saranno fissati, i titoli necessari per l’accoglimento delle loro domande.

Formano ancora obietto di esame da parte del Governo le questioni sorgenti dalla restituzione da parte degli Stati Uniti d’America delle navi italiane, e, pertanto, non è possibile, allo stato delle cose, fornire precisazioni sull’argomento.

PRESIDENTE. L’onorevole Volpe ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

VOLPE. Ringrazio il Ministro della marina mercantile, ma mi permetto fargli osservare che nelle precedenti assegnazioni delle navi Liberty, ottenute dagli Stati Uniti in numero di cento, la marina genovese, la quale sicuramente è stata quella che ha avuto i danni maggiori per cause di guerra, già sino ad oggi ha avuto assegnate ben 800.000 tonnellate sul milione di tonnellate di navi Liberty. Le perdite della marina genovese ammontano all’incirca ad un milione di tonnellate, escludendo la grande compagnia di navigazione «Italia».

Quest’assegnazione di Liberty è avvenuta parecchio tempo fa a condizione di privilegio, ed in questo periodo sicuramente gli assegnatari si sono rifatti delle perdite subite; si sono rifatti anzitutto perché hanno recuperato già quasi tutto il materiale perduto (un milione perduto, 800.000 già assegnato) e poi perché hanno lavorato in un momento di particolare situazione a loro beneficio. Quanto, quindi, il Ministro della marina mercantile diceva sulle condizioni da farsi ai nuovi assegnatari delle Liberty, cioè che i nuovi assegnatari dovrebbero essere muniti, dovrebbero dare, versare, fornendosene, procurandosela per conto loro, la valuta, io penso che non sia un criterio giusto. Mi permetto, quindi, di fare osservare al Ministro della marina mercantile che nella nuova distribuzione, prima di tutto, debbono essere aiutati coloro che debbono avere assegnate queste navi, nella valuta. Il sistema, il modo, lo studierà il Ministro della marina mercantile con il Ministro del commercio estero; secondo, tenere veramente in particolare considerazione le regioni rimanenti d’Italia; la Sicilia, la Sardegna, le Puglie, abbiano anche loro un congruo quantitativo, in quanto (io parlo per esempio per la mia Sicilia) in Sicilia noi abbiamo un passato di attività marinara, abbiamo sicuramente una storia che dimostra che la Sicilia ha avuto una marina mercantile; che gli armatori siciliani, anche loro, hanno avuto delle perdite in questa guerra e, quindi, è giusto che questa regione meriti particolare considerazione. La Sicilia su cento Liberty ne ha avute assegnate fino ad oggi tre.

Questo mi permettevo fare osservare al Ministro con la preghiera di tenerlo in benevola considerazione.

CAPPA, Ministro della marina mercantile. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAPPA, Ministro della marina mercantile. Vorrei fare una precisazione: non posso qui controllare se sia esatto il dato dell’onorevole interrogante relativo al tonnellaggio compensato con l’assegnazione delle Liberty. Mi permetto di fare presente che i criteri di assegnazione delle Liberty dei due lotti precedenti furono precisamente stabiliti dal mio collega e predecessore onorevole Aldisio che è siciliano, quindi non credo che egli abbia danneggiato gli interessi di una regione, per favorire quelli di altre regioni.

VOLPE. Doveva, giustamente, compensare la marineria genovese.

CAPPA, Ministro della marina mercantile. Vorrei far presente all’onorevole interrogante che questa questione dell’assegnazione delle navi Liberty ha una particolare delicatezza e presenta notevoli difficoltà. Il Ministero della marina mercantile, quando si è trattato di risolvere la questione, ha ritenuto di ricorrere a quel sistema, appunto in considerazione di queste difficoltà e per eliminare recriminazioni da una parte o dall’altra. Si è stabilito, che, in base al tonnellaggio perduto, si attribuissero proporzionalmente le navi o il tonnellaggio delle navi che erano dal Governo state acquistate dagli Stati Uniti. E mi pare che questo fosse giusto, anche – come prima ho rilevato – per compensare almeno in piccola parte gli armatori che avevano perduto questo tonnellaggio…

VOLPE. Sono stati già compensati.

CAPPA, Ministro della marina mercantile. …e che dovevano avere un compenso per il ridicolo indennizzo derivato dall’assicurazione. Tenga presente l’onorevole interrogante che si trattava di navi requisite.

Così è stato fatto. Il Ministero della marina mercantile, per eliminare anche eventuali ragioni di sospetto o contrasti, cosa ha fatto? Ha invitato la Confederazione degli armatori, in cui sono rappresentati tutti gli armatori d’Italia, a fare essa i conti e a sottoporli ai soci. Quindi si tratta di una cosa fatta pubblicamente, in perfetta correttezza e con soddisfazione generale.

L’assegnazione di queste navi per regioni darebbe luogo ad una quantità di inconvenienti, che non è qui il caso e il momento di far presenti.

A dimostrazione, però, del desiderio mio di andare incontro alle partite minori, particolarmente agli armatori di piccolo tonnellaggio, che hanno perduto il loro tonnellaggio, nella recente assegnazione di 10 navi cisterna – facenti parte del lotto delle 16 navi che recentemente gli Stati Uniti ci hanno ceduto, del quale lotto, 6 erano già state precedentemente attribuite in un lotto che non era stato completato – nell’assegnazione di queste 10 navi cisterna, dicevo, ho voluto favorire, tenendo conto soprattutto dell’interesse del Mezzogiorno, il piccolo armamento e gli armatori che, dato l’armamento minore che avevano in precedenza, avevano avuto un minor tonnellaggio perduto. E così, mentre la Confederazione degli armatori aveva proposto di assegnare proporzionalmente la caratura di queste nave cisterna a coloro che in proporzione potessero pretendere due carature per navi, io, dopo aver fatto esaminare l’assegnazione da una Commissione di armatori in cui erano rappresentanti di tutte le regioni d’Italia, ho stabilito di assegnare le navi fino ad una suddivisione di una caratura, cosicché su una nave potevano essere rappresentanti gli interessi di bene 24 gruppi o armatori.

Assicuro l’onorevole interrogante che comunque, se sarà ottenuta la cessione di un altro lotto di 50 navi dagli Stati Uniti, terrò conto delle osservazioni e dei voti che ha espresso, cercando di conciliare quelle che sono le aspirazioni qui portate, con le possibilità di un’equa ripartizione.

Nei riguardi della valuta, sarebbe certo una bella cosa che il Governo potesse andare incontro, come ha fatto per i primi due lotti, anche agli armatori che diventeranno assegnatari di questo terzo lotto. Ma siamo di fronte a difficoltà di valuta che sono ben note, com’è risultato dalla recente discussione in questa Assemblea. Attualmente il Ministro del commercio con l’estero ha dichiarato che non potrà dare alcuna assegnazione di valuta per il pagamento della prima trancia del debito che si va ad accendere, e cioè del 25 per cento del costo di queste navi.

Siamo di fronte ad una realtà pesante e dolorosa, certamente, ma il Ministero della marina mercantile non può far nulla al riguardo. Spero che l’onorevole interrogante sarà sodisfatto di queste dichiarazioni; la questione sarà comunque riesaminata quando avremo ottenuto la cessione di cui ho parlato.

Faccio presente che, in materia di valuta, nell’assegnazione recente delle 16 navi-cisterna, la concessione della valuta non è stata data e quindi gli assegnatari delle carature delle navi hanno dovuto provvedere con mezzi proprî.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Tonetti, Pellegrini, Costa, Giacometti e Tonello, al Ministro dell’interno, «per conoscere quali provvedimenti intenda prendere a carico dei responsabili dell’arresto arbitrario di alcuni socialisti, comunisti ed organizzatori sindacali, avvenuto due giorni dopo la pacifica dimostrazione di solidarietà all’Amministrazione social-comunista di Caorle, fatta dalla grande maggioranza della popolazione, sdegnata per gli insulti proferiti contro la stessa, nella persona del sindaco, da pochi facinorosi, fra i quali vi era il noto fascista bastonatore, podestà del paese per molti anni, la mattina del 20 luglio, in occasione di un comizio socialista».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. A proposito di questa interrogazione, debbo osservare che sul medesimo argomento ne è stata presentata un’altra dagli onorevoli Mentasti, Lizier, Bastianetto e Ponti. Poiché essa non è all’ordine del giorno di questa seduta, chiedo che venga rimandato lo svolgimento di questa, così da poterle a suo tempo abbinare.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante consente a questo rinvio?

TONETTI. No, perché è più di un mese – anzi, un mese e mezzo – dacché il Ministro ha dato formale assicurazione che era pronto a rispondere. Desidererei quindi che rispondesse questa sera.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Ma io sono pronto: presentavo semplicemente una questione d’opportunità.

TONETTI. Se è pronto, allora la svolga: a suo tempo svolgerà l’altra.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Io ritengo superfluo fare una discussione per doverla poi ripetere a breve scadenza una seconda volta.

PRESIDENTE. Dei deputati presentatori della seconda interrogazione nessuno è presente.

TONETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONETTI. Se essi non sono stati diligenti nel presentarsi, non per questo la risposta deve essere rimandata.

MARAZZA, Sotto segretario di Stato per l’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Ma non è questa la questione. Non si può tacciare di negligenza i firmatari della seconda interrogazione per il fatto che non siano oggi presenti, in quanto essa non è all’ordine del giorno. Io non ho comunque difficoltà a rispondere subito: quindi risponderò.

Sono molto dispiacente di non poter ripetere in questa occasione quanto già pur dissi altre volte, che cioè si tratti di fatti cui è stata attribuita un’importanza maggiore di quanto essi non meritassero.

I fatti di Caorle, oggetto dell’interrogazione dell’onorevole Tonetti, sono, infatti, episodi che rivestono carattere – a mio avviso – di particolare gravità.

Dico subito, a conforto di questa mia affermazione pregiudiziale, che essi formano oggetto di un’istruttoria giudiziaria, che coinvolge, tra l’altro, la persona dello stesso interrogante.

Si tratta di questo: il giorno 20 di luglio, alle 11 del mattino, in Caorle, l’onorevole Tonetti teneva un comizio non autorizzato. Avvennero degli incidenti; evidentemente, non si ebbe l’unanimità dei consensi; però l’onorevole Tonetti poté concludere il comizio e andarsene indisturbato a tenerne un altro poco lontano, parimenti non autorizzato.

In questa seconda riunione gli eventi della mattina, o, per meglio dire, i disturbi che erano stati recati alla parola dell’onorevole Tonetti a Caorle, formarono oggetto di espressioni particolarmente risentite da parte del sindaco di Caorle, il quale io non credo si proponesse di provocare quanto in seguito è avvenuto, ma indubbiamente ha gettato il primo seme.

In seguito è avvenuto questo: alle ore 20 in Caorle, su alcuni camions e anche in bicicletta giungevano alcune centinaia di dimostranti, e l’onorevole Tonetti teneva il terzo comizio non autorizzato. Questo comizio, però, non aveva lo svolgimento di quello della mattina. Infatti, se alla mattina le espressioni di dissenso erano state sopportate, non così avveniva alla sera. Ed essendo partiti alcuni fischi da un certo angolo della piazza, ed essendosi ritenuto che questi fischi partissero da un locale adibito ad osteria, subito un numero notevole di quei tali che erano giunti a Caorle coi mezzi che ho prima accennato, si lanciava all’assalto, invadeva la trattoria, ne frantumava i vetri, si impossessava delle seggiole e se ne valeva come armi aggredendo i presenti e provocando anche parecchi feriti. Ci fu della reazione, s’intende, ma la reazione non ebbe conseguenze del genere di quelle avute dall’aggressione.

L’onorevole Tonetti e i suoi compagni, dopo questo episodio (del quale non sto a raccontare particolari, pure edificanti, per non stancare l’Assemblea) con dimostrazioni di evidente soddisfazione, se ne partiva e la calma ritornava a Caorle, dove però l’episodio lasciava il ricordo che ognuno può pensare.

La pubblica sicurezza, informata, naturalmente indagava sul fatto e, avendo accertato che a questi fatti avevano preso parte determinate persone (l’ho detto prima: in numero di 27) ed avendo raccolto sul conto di queste persone le prove necessarie, ne arrestava cinque (una, in seguito ad ulteriori accertamenti, veniva però subito rilasciata), ne tratteneva quattro e denunciava tutti all’Autorità giudiziaria.

Devo dire che i reati per i quali la denuncia è stata fatta sono quelli di sequestro di persona, di violenza privata, di lesioni, di danneggiamenti e, in seguito, da parte dell’autorità giudiziaria, si elevava imputazione anche per rapina e per adunata sediziosa.

Io, poiché rispondo soltanto alla interrogazione dell’onorevole Tonetti, potrei dire di aver finito. Ma mi sembra che, dato il modo come la pubblica sicurezza ha proceduto all’inchiesta che ha portato alla denuncia, e data la conferma che l’autorità giudiziaria ha dato degli arresti che dalla pubblica sicurezza sono stati effettuati in via preventiva, quanto alla richiesta di provvedimenti a carico della pubblica sicurezza per degli arresti arbitrari avvenuti in occasione della pacifica dimostrazione che ho sopra descritta, mi pare, francamente, non occorra aggiungere molto per dimostrare che il Governo a ragione li ritiene pienamente giustificati.

PRESIDENTE. L’onorevole Tonetti ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

TONETTI. Anzitutto rettifico una inesattezza dell’onorevole Sottosegretario circa l’autorizzazione del comizio, in quanto la sera del 19 luglio il sindaco di Caorle avvertì i carabinieri che il giorno dopo avrei tenuto un comizio.

La risposta del Sottosegretario per l’interno è insoddisfacente, come era prevedibile, anzi inevitabile; perché, se avesse preso provvedimenti a carico dei funzionari della polizia e degli ufficiali dei carabinieri che hanno compiuto abusi e falsificazioni a proposito dei fatti di Caorle, egli avrebbe implicitamente sconfessata la miserabile speculazione politica ordita sui fatti stessi da una parte della Democrazia cristiana della provincia di Venezia.

La verità sui fatti di Caorle, constatata da tutta la popolazione e dai villeggianti, e suffragata da centinaia di testimonianze scritte (in mio possesso), fra le quali anche quella di un monarchico, che si è offerto spontaneamente, è molto semplice e tutt’altro che drammatica. La minoranza democristiana di Caorle aveva deciso di impedire che io tenessi un comizio, per rappresaglia (così dicevano) contro il mancato comizio De Gasperi in piazza San Marco a Venezia. Con schiamazzi e con insulti impedirono al sindaco comunista di Caorle di aprire il comizio. Ciò non per tanto, a differenza di certi uomini politici che quando lasciano lo scranno ministeriale per parlare sulle piazze credono di essere tabù, dichiarando che accettavo il contraddittorio coi rappresentanti di qualsivoglia partito, ho potuto tenere il comizio. Nel pomeriggio, trovandomi in un paese lontano pochi chilometri da Caorle, numerosi lavoratori agricoli, i quali non erano intervenuti al comizio del mattino per causa di lavoro, si presentarono a dirmi che avevano deciso di fare una manifestazione di solidarietà e di simpatia al loro sindaco, che era stato oltraggiato, e mi invitarono ad unirmi a loro. La manifestazione si svolse con la massima calma e con il massimo rispetto della popolazione e dei villeggianti che rimasero indisturbati nelle vie e nelle piazze del paese, tanto è vero che i carabinieri non hanno avuto motivo per intervenire, malgrado che il parroco, un certo Don Marchesani, ridicolo e bugiardo, fosse andato a dire in caserma che social-comunisti armati avevano invaso Caorle. L’unico incidente fu provocato da dieci democristiani, fra i quali un organizzatore delle squadre d’azione fasciste del 1919, nonché podestà di Caorle per molti anni, i quali, da un caffè poco lontano dal Municipio, innanzi al quale si svolgeva la pacifica manifestazione, pronunciarono espressioni oltraggiose all’indirizzo dei manifestanti, e quando non più di otto di questi si avvicinarono per invitarli al silenzio, prima che parlassero (e di ciò vi sono numerosissimo testimonianze) lanciarono loro addosso le sedie del caffè. Tutto il contrario di quello che ha riferito al signor Sottosegretario. Allora quei facinorosi, che dalla mattina provocavano in tutti i modi ed offendevano i sentimenti della maggioranza della popolazione di Caorle, ebbero la lezione che si meritavano a suon di pugni. Risultato: dieci contusi, uno solo dei quali ebbe quindici giorni di riposo dal dottore. Dopo di che la manifestazione si sciolse con la stessa calma e lo stesso rispetto della popolazione con la quale era cominciata.

Di questo banale episodio di vita politica si sono serviti due giornali democristiani – il Gazzettino ed il Popolo del Veneto – per parlare di spedizioni punitive e per organizzare una stolta montatura, che disonora soltanto gli ideatori di essa. Ma non è questa la sede di occuparsi della diffamazione perpetrata dai su non lodati giornali, che ne risponderanno dinanzi al Magistrato.

Deve essere denunciata invece la condotta delle autorità di polizia. I funzionari della questura di Venezia Dattilo e Giaquinto, il capitano dei carabinieri di Mestre, Olivieri, il tenente dei carabinieri di Portogruaro, i quali non potevano ignorare la verità, perché erano andati a Caorle a fare una inchiesta, compilarono un rapporto falso nel quale copiarono le menzogne pubblicate dai giornali ai quali ho accennato prima e, per avere il primo posto nella graduatoria dei mentitori, non esitarono ad affermare che un camion, liberamente noleggiato dai manifestanti privi di biciclette che volevano recarsi a Caorle, era stato rapinato e l’autista sequestrato.

In conseguenza: quattro lavoratori incensurati, fra cui un valoroso partigiano, furono rinchiusi per 58 giorni nel carcere di Venezia, dove per 60 giorni furono detenuti altri quattro lavoratori presenti a Piazza S. Marco in occasione del già ricordato mancato comizio dell’onorevole De Gasperi, arrestati a casaccio per odio di parte. Basterebbe il solo fatto che i lavoratori di Caorle sono stati scarcerati per dimostrare che il rapporto della pubblica sicurezza e dei carabinieri era falso, in quanto, a norma della legge vigente, rapina e sequestro di persona non consentono libertà provvisoria.

Di fronte all’enormità di questi fatti è spontaneo domandarsi se gli agenti dell’ordine agiscono di loro iniziativa o non piuttosto secondo le direttive del Ministero dell’interno. Questa seconda ipotesi è più plausibile, dati i sistemi che sono instaurati al Ministero dell’interno da quando è retto dall’onorevole Scelba e da certe circolari riservate ai questori delle quali vorrei dar lettura.

PRESIDENTE. Lei non può continuare oltre: concluda.

TONETTI. Noi abbiamo il diritto di reagire. Ad ogni modo la colpa di questi abusi, di questi arresti arbitrari e di queste falsificazioni deve essere attribuita al Ministro dell’interno il quale, anziché esercitare le sue attribuzioni con senso di assoluta imparzialità, con il rispetto del diritto all’opposizione e della libertà dei cittadini come è suo preciso dovere, agisce in modo fazioso, reazionario e abusa del suo potere per interesse di partito, così da sembrare simile, piuttosto che al Ministro di una repubblica democratica, a un capo della polizia pontificia di deprecata memoria. (Ilarità al centro).

Devo osservare che in questo caso, i patetici appelli del Presidente del Consiglio alla pacificazione ed alla solidarietà nazionale per superare la tragica crisi economico-finanziaria sono un oltraggio; più che vani, sono una oltraggiosa ironia, quando con i fatti si scava fra gli italiani un solco di odio che può avere conseguenze imprevedibili. La situazione è tanto grave che è stolto e delittuoso pensare di dominarla con gli arresti arbitrari, con i mitra della Celere e col doppio gioco.

L’onorevole Presidente del Consiglio ed il Ministro dell’interno sappiano che il popolo lavoratore, che non ha avuto paura di combattere la tragica e sanguinosa lotta contro il nazi-fascismo, non è disposto a tollerare che siano istaurati metodi di Governo che incominciano a ricordare quelli della Grecia e della Spagna, come da molte prove appare manifesto essere nelle intenzioni di questo Governo, che ogni giorno maggiormente rivela una mentalità clerico-totalitaria. (Proteste – Commenti al centro).

MARAZZA. Sottosegretario di Stato per l’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Non intendo replicare. Di fronte, però, alle smentite dell’onorevole Tonetti io oppongo la conferma precisa e rigorosa dei fatti, così come li ho esposti.

Assicuro l’Assemblea che le informazioni, le indagini, le ricerche del Governo, sono molto più serie di quanto non siano state le drammatiche urla dell’onorevole Tonetti. (Applausi al centro).

L’onorevole Tonetti avrà diritto di replicare alle dichiarazioni, che con senso di viva responsabilità il Governo ha reso per mio mezzo quest’oggi, soltanto quando l’autorità giudiziaria lo avrà prosciolto dai reati, per i quali è stato denunziato. (Vivi applausi al centro – Commenti a sinistra).

PRESIDENTE. Lo svolgimento delle altre interrogazioni è rinviato ad altra seduta.

Svolgimento di interpellanze.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca lo svolgimento di interpellanze. La prima è quella presentata dagli onorevoli Cremaschi Olindo, Bianchi Bruno, Gavina, Pastore Raffaele, Gorreri, Fantuzzi, Malagugini, Moranino, Lozza, Bucci, Mezzadra e Lizzadri, ai Ministri del tesoro e dell’agricoltura e foreste, «per conoscere le ragioni che hanno indotto il Ministro del tesoro a vendere all’asta pubblica notevoli quantitativi di granone avariato giacenti presso la Federazione nazionale dei consorzi agrari, e se intende usare il medesimo sistema per la vendita di altre ingenti quantità giacenti nelle medesime condizioni».

L’onorevole. Cremaschi ha facoltà di svolgerla.

CREMASCHI OLINDO. Onorevoli colleghi. Da informazioni assunte è risultato che il         Ministero del tesoro, nel mese di luglio ultimo scorso, ha venduto all’asta notevoli quantitativi di granone scondizionato, dei due milioni e 300.000 quintali circa di provenienza U.N.R.R.A., a un prezzo superiore di cinque o sei volte a quello di consegna.

Infatti, risulta che il prezzo d’acquisto del granone proveniente dall’U.N.R.R.A. è di lire 1.080 circa al quintale, mentre quello realizzato nella libera vendita è stato da lire 6.800 a lire 7.250 il quintale.

A parte il fatto che con tale sistema lo Stato abbia potuto incassare parecchi milioni, poiché sarebbero parecchie le migliaia di quintali di granone venduto, vien logico chiedere se allo Stato sia apparsa cosa conveniente alienare dei cereali con maggiorazioni di prezzo che, di riflesso, sono venute ad incidere sul costo di produzione dei prodotti agricoli di prima necessità, e ciò a danno esclusivo di tutti i lavoratori. Infatti quali vantaggi hanno potuto detrarne i consumatori dei grassi e del granone, che fu acquistato a Livorno dalla ditta Galbani di Melzo, dalle Fabbriche riunite amido e glucosio di Milano e di quelle migliaia di quintali venduti a Venezia ed a Mestre? Ci vien logico di domandare se l’U.N.R.R.A. abbia assegnato determinate partite di granone allo scopo di venderle all’asta ai soli commercianti ed industriali; proprio soltanto i grossi commercianti ed industriali risultarono essere venuti in possesso di queste rilevanti partite di granone, mentre le cooperative agricole dei piccoli proprietari, affittuari e mezzadri non sono riuscite, nonostante le loro richieste, ad ottenere nulla, anzi questi, presi dalla grande necessità, per preservare il loro patrimonio zootecnico, hanno dovuto ricorrere ai grandi commercianti per acquistare del granone e pagarlo poi dalle lire 8.000 alle lire 9,000 al quintale. Non sarebbe forse stato più coerente per il Governo destinare le suddette partite ai produttori dai quali il Governo attinge a prezzi vincolistici il conferimento del grano, del latte, dei grassi, dell’olio, del burro, mentre da commercianti e industriali il Governo riceve solo il vantaggio di vedere aumentare vertiginosamente i prezzi dei prodotti destinati al consumo a mezzo della vendita al libero mercato di prodotti ricavati anche da mangimi contingentati, che il Ministro del tesoro stesso a questi ha venduto?

La vendita all’asta di granone, proprio all’epoca della trebbiatura e del conferimento del grano agli ammassi, ha sollevato grandi obiezioni da parte di tutti i piccoli produttori agricoli i quali ben a ragione hanno fatto rilevare essere ingiusto che loro conferissero il grano e i commercianti e gli industriali, che nulla del loro conferivano, erano i soli preferiti per l’assegnazione e per l’acquisto del granone destinato ad uso zootecnico (in compenso l’Alto Commissariato dell’alimentazione, sempre in difesa degli industriali e dei commercianti, ha disposto la libera macellazione dei suini, senza alcuna percentuale vincolata, fino al 30 settembre, ripristinando poi il vincolo nel periodo della macellazione ad uso familiare).

Desidero attirare l’attenzione del Governo, onde evitare che il ripetersi di tali sistemi possa pregiudicare il buon andamento del conferimento dei cereali e dei grassi che tanto sono necessari per favorire l’alimentazione del popolo.

Mentre il Governo si era proposto di combattere il mercato nero e la speculazione, proprio dai suoi uffici sarebbero messi in atto sistemi atti ad alimentare la speculazione e la borsa nera.

Io chiedo, pertanto, al Ministro del tesoro che precisi quali siano state le ragioni che l’hanno indotto a praticare la vendita di granone con maggiorazione di prezzi e quali siano state quelle di indire un’asta non pubblica e come sia stato possibile alienare tale prodotto proveniente dall’U.N.R.R.A. senza incorrere nell’infrazione del regime vincolistico dell’Alto Commissariato dell’alimentazione e delle norme che regolano il soccorso dell’U.N.R.R.A. per l’assistenza alimentare al nostro Paese.

Al Ministro dell’agricoltura ho rivolto l’interpellanza per conoscere le ragioni per le quali si è avuta sul libero mercato la vendita di farina ricavata dal granone degerminato a lire 4120 il quintale. È da notare che il granone, dal quale venne ricavata la suddetta farina, è stato conferito dai produttori e a loro pagato in ragione di 1.600 e 1.900 lire al quintale; pertanto ritengo ingiustificato che debba ritornare, a coloro che hanno conferito del granone, della farina maggiorata di prezzo e ridotta della sua capacità nutritiva. (Questa notizia è stata riportata sul giornale Il Globo del 23 luglio 1947).

Con tali sistemi non si sono affatto aiutati i piccoli produttori ed il Governo non ha dato loro un riconoscimento del grande contributo dato all’alimentazione del Paese col conferimento del loro prodotto. Ma si è favorito il mercato nero e l’aumento dei prezzi a danno di tutte le masse lavoratrici.

Non ho potuto pertanto fare a meno di interpellare il Governo affinché esso ci dia quei necessari chiarimenti atti a determinare nei piccoli produttori quello stato d’animo necessario perché continuino nel loro sforzo e continuino a dare il loro contributo al Paese. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Sottosegretario di Stato per il tesoro ha facoltà di rispondere.

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Gli onorevoli interpellanti hanno chiesto di conoscere quali siano le ragioni che indussero il Ministro del tesoro a vendere all’asta pubblica notevoli quantitativi di granone avariato giacenti presso la Federazione nazionale dei consorzi agrari e se intenda usare il medesimo sistema per la vendita di altre ingenti quantità giacenti nelle medesime condizioni.

Devo premettere che le vendite di granturco scondizionato sono state effettuate col sistema dell’asta fino al 18 luglio ultimo scorso, data dalla quale una deliberazione del Comitato interministeriale per la ricostruzione ha stabilito che detta merce dovesse essere ceduta a prezzo predeterminato dalla pubblica amministrazione.

Le ragioni che giustificarono la procedura di vendita all’asta fino alla data del 18 luglio sono essenzialmente tre:

1°) compensare le gestioni statali delle sensibili perdite derivanti dalla vendita di partite di prodotti vari fortemente deteriorate;

2°) evitare le speculazioni determinantisi intorno alla cessione a basso prezzo di generi alimentari di importazione;

3°) evitare recriminazioni su asserite preferenze di acquirenti.

Le sole eccezioni al nuovo sistema, quello, dico, proposto dal Comitato interministeriale della ricostruzione, della vendita cioè a prezzi predeterminati, sono attualmente quelle riferentesi: a) ai quantitativi inferiori ai cento quintali, che vengono ceduti a prezzo intermedio fra quello ufficiale dei prodotti buoni all’alimentazione umana e quello di libero mercato; b) alle limitate partite destinate ad usi industriali che sono cedute di regola attraverso gare (asta pubblica, licitazione privata, ecc.).

Il Ministero del tesoro ritiene che convenga sottoporre nuovamente al Comitato interministeriale della ricostruzione la situazione in parola, perché esamini se non sia opportuno, come sembra, adottare provvedimenti che adeguino il prezzo del granone scondizionato a più confacente livello per lo Stato, atteso fra l’altro che dal primo del corrente anno il prezzo del cereale buono all’alimentazione umana è stato portato ad oltre lire 3.800 al quintale.

PRESIDENTE. L’onorevole Cremaschi Olindo ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

CREMASCHI OLINDO. Non mi ritengo sodisfatto della risposta data a questa interpellanza, poiché, dato il regime vincolistico, e dato che questi prodotti vengono assegnati per portare un contributo al nostro Paese, non ravviso la ragione per cui il Ministro del tesoro, per risolvere determinate deficienze di operazioni che esso stesso riscontra nella sua risposta, abbia potuto stabilire un aumento dei prezzi. Perché noi vediamo che il prezzo del granone scondizionato è portato a 3.800 lire, comprensivo di determinate spese, mentre l’altro è stato di 7.000-7.250 lire al quintale.

Noi domandiamo per quale ragione vi siano state delle cooperative che avevano avuto delle mirate astrazioni con ordine tassativo di non alterare i prezzi (e qui ricordo l’intervento dell’onorevole Cerreti allorché disse che in seguito al riscontro di una alterazione del prezzo aveva provveduto con la sospensione del presidente e la denuncia dello stesso, mente per il Ministro del tesoro questo non avviene. Quindi l’alterazione dei prezzi non riguardava per nessunissima ragione prodotti che erano stati destinati ad un determinato uso e non ritengo che per questo il Ministro del tesoro abbia avuto ragione di giustificarsi con le proprie operazioni di contabilità, per le assegnazioni che sono state fatte col sistema dell’asta sul mercato libero, che poi non era mercato libero, perché se andiamo a vedere, vi sono state cooperative che si sono presentate a Venezia per andare ad acquistare determinate partite di granone e queste cooperative non sono state accettate come concorrenti, in quanto il granone stesso era già stato assegnato in precedenza. Quindi non è neanche un’asta pubblica.

Se vi sono alterazioni nella determinazione dei prezzi, osservo che c’è una legge che dice che i prezzi di determinati prodotti non possono essere alterati. Vi è un’infrazione di carattere annonario per ciò che riguarda il vincolo del grano ed abbiamo visto che vi sono stati dei sindaci che sono stati processati o colpiti da mandato di cattura perché, per ragioni annonarie, hanno alienato dei prodotti per sanare determinate situazioni in favore dei lavoratori.

Orbene, chi ha alienato e venduto questi prodotti al di fuori del prezzo stabilito? Chi ha dato questo mandato? Sono prodotti che vengono mandati al nostro Paese e devono servire al Paese, non alla speculazione. E poi abbiamo visto che i nostri contadini dovevano recarsi dai grandi mugnai per acquistare il grano. Lo abbiamo visto in provincia di Modena, dove dovevano recarsi ai «Mulini nuovi» per acquistale farina a 10 mila lire al quintale. Quindi, la speculazione non si è eliminata, ma si è potenziata. Lo abbiamo visto nella stessa provincia di Modena, dove il prefetto si era imposto per effettuare la vendita del granone scondizionato.

Ebbene, grazie all’intervento del segretario della Camera del lavoro, questo fu evitato, perché una vendita all’asta ai grandi commercianti ed industriali, in quel particolare momento, quando il contadino doveva conferire i suoi prodotti, non rivestiva il significato di un invito ai produttori ad essere disciplinali e corretti, ma piuttosto pregiudicava il buon andamento della campagna del grano, e non solo del grano, ma del burro, dei grassi in genere, in una parola dei prodotti che sono tanto necessari all’alimentazione del Paese.

Io non mi ritengo quindi sodisfatto della risposta, perché sono convinto che una modifica dei prezzi di prodotti contingentati non può essere disposta dal Ministro del tesoro né dal Comitato interministeriale per la ricostruzione senza interpellare le organizzazioni interessate.

PRESIDENTE. Segue l’interpellanza degli onorevoli Gavina, Cremaschi Olindo, Gorreri, Bianchi Bruno, Moranino, Lozza, Bucci, Mezzadra, Fantuzzi, Lizzadri, Pastore Raffaele e Malagugini, al Ministro dell’agricoltura e delle foreste, «per sapere se e quali provvedimenti intenda adottare per eliminare le conseguenze che si sono determinate, a tutto danno per la produzione, in materia di pagamento di canoni di affitto in natura (grano) in seguito alla promulgazione del decreto che fissava in lire 4000 (quattromila) il quintale il prezzo del grano consegnato agli ammassi; e per sapere se e quali direttive intenda infine dare agli organi periferici delle province di Pavia e Como per permettere che le operazioni di trebbiatura e di consegna agli ammassi si possano svolgere in un clima di ordinato lavoro eliminando la grande tensione che minaccia di turbare la tranquillità di quelle laboriose popolazioni».

L’onorevole Gavina ha facoltà di svolgerla.

GAVINA. Onorevoli colleghi, onorevole Ministro! È questa la prima volta che io prendo la parola in questa Assemblea. Il mio sistema è quello del ragionatore piano, semplice, modesto e particolarmente e possibilmente chiaro; preciso e conciso nel senso di sottoporre all’attenzione degli onorevoli colleghi il problema di cui si tratta, svolgendone la relativa argomentazione.

Perché dunque noi del Gruppo comunista e del Gruppo socialista, firmatari dell’interpellanza, abbiamo creduto di richiamare l’attenzione dell’onorevole Ministro sui problemi in argomento? È dal 22 luglio che è stata presentata questa nostra interpellanza. Allora essa presentava un duplice interesse: da una parte, il rapporto della liquidazione dei canoni in natura; dall’altra, il rapporto delle operazioni di trebbiatura.

Io avevo, per la verità, diviso in due tempi, secondo questa suddivisione, la mia interpellanza. Ma vengo ora semplicemente a quello che è il punto centrale. In questa Camera, nella nostra Assemblea – permettetemi una lievissima digressione – vi è normalmente l’abitudine di parlare molto e in senso giuridico: di praticità, di problemi che si possono risolvere e con il buon senso e con la pratica, poco si discute.

Io non voglio, con questo, muovere un appunto ai colleghi avvocati: sono avvocato anch’io. Io rilevo però che vi sono gravi disquisizioni giuridiche nelle quali si perde il punto. È vero che perdiamo il punto tutti insieme, onorevole Ministro, se l’argomento che vi sto esponendo dovesse portare a ritenere che la Magistratura ha detto che è tutto incostituzionale ciò che ha fatto il Governo.

Ci vuol dunque maggiore praticità, maggiore aderenza giuridica a quella che è la soluzione pratica dei problemi, e non già aderenza a quelle che sono le disquisizioni.

Io sono lombardo; parlo da lombardo, parlo in senso pratico.

E allora, qual è l’argomento che ci interessa?

Prezzo del grano 1945-46: 2250 lire al quintale; delle quali 750 erano date a titolo di premio di maggiorazione, di intensificazione della produzione, e 1.500 erano indicate come ammontare dei canoni che si pagano in natura. Voi sapete che da noi, in particolare oggi, i canoni dei fitti, delle tenute affittate, sono pagati non in denaro, ma con corrispettivo in natura. Ebbene, voi avete due termini di confronto: 2250 lire: 750 al produttore, 1.500 al locatore.

Prezzo del grano 1946-47: 4.000 lire. Stando così le cose noi abbiamo che il prezzo da corrispondere al locatore è di 4.000 lire al posto di 1.500. Quando scrivevo l’interpellanza il provvedimento non era stato ancora preso. Si diceva – l’ho letto in un articolo del Globo – che il Ministero avesse intenzione di proporre una maggiorazione del 30 per cento.

Il che avrebbe portato a questo risultato: 1.200 lire quale premio di integrazione per la produzione del grano e 2.800 per canone di affittanza.

Anche se fosse venuto questo provvedimento, è vero o non è vero, onorevoli colleghi, che noi avremmo ottenuto il raddoppiamento dell’importo del canone in natura al locatore e una maggiorazione di 500 lire per chi produce il grano? Voi avete aumentato il prezzo del grano, portandolo da 2250 a 4.000 lire, per incrementare la produzione, e avete ottenuto come risultato di aver raddoppiato il canone d’affitto.

Ma non sarebbe ancora niente. Distinguo rapidissimamente il mio dire in due dati: uno di fatto, del quale mi sto occupando, e uno di riflesso giuridico, di diritto, del quale verrò a parlare in seguito. Perché il ritardo nello svolgimento della nostra interpellanza – credo che in ciò sia consenziente il Ministro – ha portato a questo risultato: di doverci occupare dell’una e dell’altra cosa.

Ebbene, dicevo che il risultato pratico sarebbe oggi di aver raddoppiato il canone di affitto. Vi sono altre voci, non solo quella del grano, vi sono altri prodotti che attendono di essere perequati, per potervi avere una perequazione dei canoni di affitto.

Premesso questo, credo di aver richiamato la vostra attenzione sull’assillante problema: o il Governo interviene e precisa d’imperio un prezzo che sia di premio alla produzione, oppure assisteremo a questo bel risultato: che i locatori non solo non si adegueranno a quella che sarebbe l’indicazione di perequazione data da voi, Ministro dell’agricoltura, del 30 per cento, che porterebbe a 2.800 lire il prezzo del canone di affitto, canone in natura, ma pretenderebbero e pretendono che l’affittuario, che il conduttore versi, se non paghi direttamente nelle mani del locatore, versi la differenza, cioè paghi – facciamo l’esempio di cento quintali – invece delle 150 mila lire del 1946, 280 mila, se accetta la perequazione del 30 per cento; 400 mila se non l’accetta. Questa è la situazione di fatto.

Ma dicevo, onorevole Ministro, che noi ci dobbiamo preoccupare di una situazione che è venuta a crearsi dopo, e sulla quale permetterete che io richiami la vostra attenzione, non per il problema in se stesso, che parte dal decreto del 1° aprile 1947, ma perché si riallaccia a tutta quella che è la precedente legislazione in materia.

Nel 1942 noi abbiamo, o meglio il Governo di allora ha fissato, un premio per i conferenti.

È nata una contestazione giuridica nella quale la magistratura, intervenendo sul rilievo che il conferente era tanto il locatore quanto il conduttore, ha detto: il premio va suddiviso a tutte e due le parti.

E allora (1944-45) il Ministro Gullo ha cercato di ovviare all’inconveniente spostando il termine: anziché parlare di conferente ha parlato di produttore.

Senonché la magistratura dichiarava incostituzionale il decreto Gullo, non essendo consentito al Ministro di emanare norme in materia di diritto privato.

Poiché la tardiva decisione della Cassazione veniva a riaprire i cicli economici già chiusi (perché si erano liquidati i canoni su questa base), che cosa è avvenuto? Nell’intento di ovviare all’inconveniente, con decreto 22 giugno 1946, n. 44, del Presidente della Repubblica, all’articolo 4 si convalidavano i due decreti Gullo del 1944-45. Ma la Cassazione a sezioni riunite dichiarava la incostituzionalità di detto articolo in quanto con detta disposizione il Capo dello Stato poneva nel nulla il provvedimento dell’Autorità giudiziaria che aveva già dichiarato incostituzionale il decreto Gullo.

Così la questione venne riaperta.

Per inciso (mi si permetta un piccolo breve inciso), non si è parlato in quel decreto di quello che è il canone in natura del risone, di guisa che anche per questo non è stata e non è possibile una liquidazione.

E allora, nell’interesse di sanare queste situazioni (perché voi capite, onorevoli colleghi, che quando uno lavora e va dal proprietario per pagare il suo canone di affitto e si sente dire che non solo non può prendere la percentuale attuale che ha stabilito oggi il nuovo Governo, ma deve restituire anche l’illecito – dico l’illecito! – che avrebbe trattenuto, voi capite che la casistica va all’infinito e che la situazione alla periferia diventa caotica); per sanare queste situazioni – dicevo – che cosa ha fatto il Governo? Il Governo, col decreto 1° aprile 1947 del quale ci occupiamo (e per inciso ne ho richiamato i limiti), ha cercato di risolvere in pieno la controversia nel senso di istituire commissioni periferiche (due commissioni: una generica e l’altra particolare e specifica) per adeguare i canoni in natura.

Forse io penso che il provvedimento era – almeno nella mente e nell’animo di chi lo emanava – un anticipo di quel provvedimento integrativo del 30 per cento; e cioè: secondo l’ubicazione e secondo la possibilità di produzione dei fondi, la commissione arbitrale locale avrebbe provveduto a determinare il canone.

Che cosa è avvenuto? Anche prima che le Commissioni (che dovevano essere per legge presiedute da un magistrato) si mettessero all’opera in provincia (perché il decreto consentiva 90 giorni per la presentazione del ricorso), con sentenza 18 giugno 1947 la Corte d’appello di Torino dichiarava inapplicabile il decreto, esulando dai poteri del Capo dello Stato quello di istituire delle commissioni speciali.

E allora, onorevole Ministro ed onorevoli colleghi, possiamo noi assistere ad un così indecoroso fatto, per cui la nostra autorità legislativa emana decreti e quella che dovrebbe essere l’autorità interpretativa ed applicativa della legge li dichiara tutti incostituzionali?

Alla periferia avviene questo: non si possono liquidare i canoni di affitto, malgrado la buona volontà dei coltivatori, per incomprensione o meglio esosità dei locatari, ai quali non sembra vero di potersi appigliare a cavilli legali e le commissioni non funzionano.

Onorevole Pallastrelli (mi rivolgo a lei per incidenza come vecchio amico e come agricoltore), quando io ieri l’altro ho avuto l’invito da lei per assistere a quella riunione dove con altri competenti volevate proporre e prospettare la possibilità di provvedimenti per la produzione del grano, non potendo per impedimento intervenirvi, ho pensato che l’agricoltore Pallastrelli, del Consorzio provinciale agrario di Piacenza, non poteva non sapere che se noi abbiamo una lira che vale venti soldi e la spendiamo diciannove volte per diciannove soldi, all’ultimo noi ci troviamo senza la lira. Non potete pretendere dai produttori che si versi il grano all’ammasso se non avete prima fissato il prezzo del grano, che ovvii a tale inconveniente. Il prezzo va fissato prima della semina.

Per ritornare nei termini del mio problema, io chiedo al Governo se e quali provvedimenti può emanare e chiedo ai colleghi della Costituente che dicano se possiamo fare un articolo di legge il quale tagli nettamente ogni possibilità di discussione.

Io ricordo che problemi contingenti della specie li abbiamo risolti da soli, nelle nostre province quando, io viceprefetto politico di Pavia e voi, onorevoli colleghi Fornara e Lombardi, prefetti rispettivamente di Novara e Milano, abbiamo preso analoghi provvedimenti omologati dalla A.M.G.: le parti, sulle indicazioni date, hanno allora potuto, e potrebbero ancora oggi, direttamente liquidare i loro interessi privati; se non il liquidano, ci sia la commissione specifica la quale decida inappellabilmente: si vada avanti alla commissione per finire le cose, non per cominciarle.

Perdonino i colleghi avvocati, ma quando si va davanti alle commissioni assistiti da legali, di regola non si risolve mai nulla. Questa è la proposta che faccio all’Assemblea e al Governo perché la mia modesta parola possa servire di pratica soluzione e non di critica inutile e sterile. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro dell’agricoltura e delle foreste ha facoltà di rispondere.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Risponderò molto brevemente. La prima questione, quella del canone di affitto in grano per l’anno agrario 1946-47, era già risolta quando veniva presentata l’interrogazione. Naturalmente, la deliberazione al Consiglio dei Ministri venne qualche giorno dopo, e il decreto è stato pubblicato in ritardo nella Gazzetta Ufficiale del 2 ottobre 1947. Ha subito questo ritardo per una vicenda singolare. Il decreto fu mandato alla Commissione della Costituente con la richiesta di urgenza e fu ritirato trascorso largamente il termine fissato in regolamento senza nessuna decisione della Commissione stessa, forse perché si era in periodo di vacanza dell’Assemblea. La Corte dei conti per questo motivo oppose difficoltà alla registrazione, che furono superate solo alcuni giorni or sono. Il decreto però ormai è entrato in vigore, e regolerà senza che vi siano gravi attriti fra le parti i canoni in grano dell’anno agrario decorso. Non vi sono gravi differenze fra la situazione del 1945-46 e la situazione del 1946-47, in quanto per lo scorso anno la riduzione apportata al prezzo del grano era del 33 per cento e quest’anno è del 30 per cento. Quindi i gravami all’affittuario, di cui parla l’onorevole Gavina, non mi pare che in realtà vi siano stati: i canoni vengono raddoppiati; ma tutti i prezzi sono stati raddoppiati purtroppo in quest’ultimo anno. Sono stati raddoppiati anche i prezzi a cui si vendono le merci e le derrate agricole, in modo che è equo che l’affittuario paghi di più, siccome ha un reddito quasi doppio dell’anno decorso. Si è avuta per i fitti una proporzione quasi uguale a quella fra tutti gli altri costi e prezzi del 1946 e quelli del 1947.

L’altra questione sollevata dall’onorevole Gavina è più complessa: riguarda non solo il decreto di questo anno ma tutto il sistema dei canoni di affitto del grano da molti anni a questa parte: non solo i canoni regolati dai decreti Gullo 1944-45, ma anche i canoni anteriori per i quali erano state emanate dal Governo fascista alcune norme analoghe, attraverso il comitato corporativo che si riteneva allora investito di questo potere. Fin dal 1942 abbiamo avuto una scomposizione nel prezzo pagato dagli ammassi per i conferimenti grano, in modo che gli affittuari non corrispondono l’intero prezzo ma una parte. Nel 1943 il rapporto era di un terzo all’affittuario e due terzi al proprietario. Nel 1944 questa proporzione fu elevata al 50 per cento; nel 1946 e 1947 si è ritornati al punto di partenza. I rapporti di affitto si erano adattati sostanzialmente a questa scomposizione del prezzo, e nei nuovi contratti si era quindi tenuto conto di questa scomposizione per aumentare i quantitativi del corrisposto. Vi fu un adeguamento su una norma che dopo cinque anni poteva dirsi tradizionale. Ed è per questo che quest’anno gli affittuari hanno richiesto di addivenire ad uno sdoppiamento del prezzo appunto perché i canoni stipulati in questi anni tengono conto di questo sdoppiamento: un terzo e due terzi. E quindi se si fosse venuto ad eliminare lo sdoppiamento si sarebbe aggravato eccessivamente il canone, in modo che non sarebbe stato sopportabile dagli affittuari.

D’altronde, si è creduto di dare una riduzione minore di quella dell’anno scorso in relazione ai maggiori oneri fiscali che i proprietari fondiari devono sopportare. Per lo stesso motivo nel decreto che regola l’ammasso per contingente si è stabilito che il canone in natura venga trasformato in canone in danaro al pieno prezzo che verrà stabilito per il grano. Questo perché se noi dobbiamo incoraggiare le imprese agricole, dobbiamo anche però tener conto dei maggiori gravami fiscali sul proprietario come tale, indipendentemente dalla gestione dell’impresa agricola. La patrimoniale straordinaria proporzionale, la patrimoniale straordinaria progressiva, le imposte fondiarie gravano sulla proprietà e non sull’impresa; e si è ritenuto necessario che il proprietario possa essere posto in condizione di poter sopportare questi oneri. Questo a prescindere dalla manutenzione e da altri oneri del proprietario. Però con un decreto che l’onorevole Gavina ha ricordato, decreto del 1° aprile 1947, che è richiamato anche nel decreto testé pubblicato e che deve valere come principio generale, si era creduto di poter dare una regolamentazione più completa a questa materia molto complessa; si era addivenuti alla costituzione di due commissioni: una commissione tecnica, la quale doveva dare direttive d’ordine generale, ed una giurisdizionale, la quale doveva giudicare i casi che fossero rimasti controversi dopo le decisioni della prima commissione, per perequare i canoni di affitto eliminando le punte eccessive, ossia eliminando sia i canoni eccessivamente alti, come quelli eccessivamente bassi. La perequazione deve avvenire nei due sensi: tanto nel senso di diminuire i canoni elevati, come nel senso di elevare quelli troppo bassi. Esistevano infatti contratti a termine più o meno lungo, novennali o ultranovennali, stipulati prima dell’attuale svalutazione, i quali mettevano il proprietario in una condizione veramente difficile, mentre ponevano l’affittuario nella condizione di avere un notevole lucro di congiuntura.

Questo decreto, purtroppo, ha avuto una prima disavventura: la Corte di appello di Torino lo ha dichiarato incostituzionale, per i motivi ricordati dall’onorevole Gavina.

Tuttavia, posso dichiarare che, poiché la sentenza era passata in giudicato, è stato interposto ricorso davanti alla Cassazione nell’interesse della legge. Il Governo si è preoccupato della grave situazione che veniva a crearsi in seguito alla sentenza ricordata e ha ritenuto di dovere riaffermare la costituzionalità dello stesso decreto, poiché ha disposto l’impugnativa della detta sentenza nell’interesse della legge.

Richiederò che il ricorso, già proposto, sia discusso nel più breve termine possibile. Ritengo che la questione della incostituzionalità dei decreti del 1° aprile e del 22 giugno 1946 sia di una gravità veramente notevole, perché investe una molteplicità di rapporti, i quali, in base ad una serie di norme, emanate dal 1942 in poi, avevano trovato una loro sistemazione. La maggior parte di questi rapporti si era sistemata pacificamente tra le parti, con l’adeguamento a norme di legge, riconosciute eque, seppure con qualche adattamento, caso per caso.

La recente sentenza, ricordata dall’onorevole Gavina, rimette in discussione non solo il decreto Gullo, ma tutte le norme precedenti del Governo fascista, e rimette in campo una questione spinosissima e complessa. Il Governo ha già dimostrato di volere ovviare alla situazione, mediante la interposizione di ricorso alla Cassazione, nell’interesse della legge. Se questo rimedio non si rivelerà efficace, l’Assemblea Costituente dovrà risolvere la questione. Perciò dichiaro, come mia opinione personale, che il Governo chiederà di sottoporre la questione all’Assemblea, perché la risolva con una sua legge, non potendosi lasciare nell’incertezza norme che riguardano imprese agrarie di tutte le dimensioni, le quali ci dànno grano ed altri prodotti agricoli e per le quali occorre ricostituire una situazione di tranquillità.

Credo che con questa legge potranno essere definitivamente risolte tutte le questioni al riguardo.

PRESIDENTE. L’onorevole Gavina ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

GAVINA. Sono lieto di aver provocato e di aver avuto le delucidazioni dell’onorevole Ministro, le quali, in fondo, come egli ha assicurato, dànno la prova che il problema esiste e sussiste e che il Governo intende risolverlo.

Io faccio presente una cosa, in linea di fatto: già il decreto del 1° aprile lo premette: nella eventualità che le Sezioni riunite della Corte di cassazione dessero parere contrario al ricorso presentato e si dovesse perciò ricorrere alla Costituente, voglia il Governo tener presente che non si tratta solo del grano, ma di tutti i prodotti per i quali si paga il canone in natura, e chiaramente provvedere.

D’altra parte, il decreto 1° aprile 1947 incideva già nel merito in tal senso.

Ringrazio l’onorevole Ministro della risposta datami ed attendo che si possa rapidamente giungere in porto.

PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interpellanze e quindi dell’ordine del giorno.

Interrogazione e interpellanza con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. È pervenuta alla Presidenza la seguente interrogazione con richiesta di risposta urgente:

«Al Governo, per conoscere cosa risulti allo stesso circa il ferimento di giovani democristiani a Genzano, in seguito ad aggressione avvenuta nel pomeriggio di domenica 5 ottobre 1947.

«Cremaschi Carlo».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il Governo risponderà nella seduta di lunedì prossimo.

PRESIDENTE. È pervenuta anche la seguente interpellanza con richiesta di svolgimento urgente:

«Al Ministro di grazia e giustizia, per chiedere se non ritenga conforme ai principî ispiratori della legislazione penale sui minorenni l’adeguamento delle pene pecuniarie all’odierna svalutazione della moneta, ai fini dell’applicazione del perdono giudiziale e della sospensione condizionale della pena, e se, allo stesso scopo, non ravvisi opportuno che siano eliminate, nei confronti degli imputati d’età minore, specie per i reati d’indole annonaria, l’obbligatorietà del mandato di cattura e tutte le altre aggravate restrizioni limitative della libertà personale.

«Caroleo».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Mi riservo di far conoscere quando il Governo intenda rispondere..

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

AMADEI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per chiedere se, in attesa dell’auspicata riforma agraria, non ritenga rispondente a criteri di giustizia verso i lavoratori della terra, oltre che alle esigenze dell’appoderamento, l’adozione di un provvedimento legislativo, rivolto ad agevolare, nei convenzionali trasferimenti di proprietà immobiliare, specie nelle zone di latifondo, il maggior frazionamento della terra, col rispetto dovuto alla minima entità colturale; e rivolto, altresì, a stabilire un diritto di prelazione nell’acquisto, a parità di condizioni, in favore di coltivatori diretti, i quali si trovino da più anni in possesso del terreno in vendita e vi abbiano eseguito opere di miglioramento.

«Caroleo».

«Le sottoscritte chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro dell’interno, per conoscere le circostanze ed i motivi che hanno determinato l’indegno atteggiamento delle forze di polizia di Palermo, che non hanno esitato a caricare un pacifico corteo di donne e di fanciulli, che ordinatamente chiedeva il tesseramento differenziato e la distribuzione di viveri. Le interroganti chiedono quali provvedimenti si intendano adottare sia a carico dei responsabili dell’inumana azione di polizia di Palermo sia per tutelare le manifestazioni democratiche, oggi nemmeno più difese dalla presenza di innocenti fanciulli e dall’elementare rispetto dovuto alle donne.

«Gallico Spano Nadia, Merlin Angelina, Montagnana Rita, Mattei Teresa, Bei Adele, Noce Teresa, Pollastrini Elettra, Iotti Leonilde, Minella Angiola, Rossi Maria Maddalena».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere se non ritenga opportuno ridurre da cinque a tre il numero di anni di lodevole servizio previsti dal decreto legislativo il novembre 1946, n. 461, perché possa prescindersi dal limite massimo di età per l’ammissione ai concorsi pubblici presso gli Enti locali del personale non di ruolo di detti Enti; e ciò a favore di coloro che non furono mai iscritti al partito fascista o che ne subirono persecuzioni, e che quindi – come di fatto si è verificato in molti casi – vengono a trovarsi esclusi dal suddetto beneficio, in quanto non poterono prestar servizio presso quelle pubbliche Amministrazioni prima del 25 luglio 1943. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Giolitti».

«II sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere se è a conoscenza delle gravissime condizioni di deperimento in cui versa, per incuria dell’amministrazione competente, la linea tramviaria Cuneo-Torino, gestita dalla S.A.T.I.P., dalla quale dipendono totalmente i trasporti in una vasta è importante zona agricola; e se non ritenga, al riguardo, di accogliere le proposte formulate dalla Commissione interna della S.A.T.I.P. in data 8 agosto 1947, o almeno di disporre per una accurata ed esauriente ispezione che metta il Ministro in grado di prendere tempestivamente adeguati provvedimenti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Giolitti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere se, in adesione ai voti formulati dagli Enti locali, non si ritenga opportuno disporre perché il servizio dei vigili del fuoco per i capoluoghi inferiori ai 50.000 abitanti ritorni alle dirette dipendenze dei Comuni, come esisteva prima della trasformazione operata dal fascismo, rendendo così possibile un migliore adeguamento del servizio alle esigenze locali con notevole riduzione di spesa, fermi rimanendo il coordinamento provinciale tra i diversi corpi comunali e la destinazione definitiva ad essi dei materiali di cui attualmente sono dotati. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bubbio».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri del lavoro e previdenza sociale e del tesoro, per conoscere se non ritengano doveroso, ciascuno per la propria competenza, emanare provvedimenti a favore della categoria dei ciechi, i quali, in questo periodo di grave disagio economico, reso ancor più grave dalla naturale impossibilità a provvedere da sé, si trovano in condizioni della più nera miseria.

«L’interrogante fa rilevare che l’Unione italiana ciechi ha già avanzato memoriali, esponenti la grave loro situazione e che ebbe promesse di provvedimenti, che ancora, dopo lungo tempo, non sono stati definiti.

«Questo silenzio da parte dell’Amministrazione dello Stato determina in questi italiani infelici un’esasperazione che va sollevata per quel senso di elementare solidarietà umana e nazionale, a cui hanno diritto i nostri ciechi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Musolino».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per conoscere se sia suo intendimento di fare affluire urgentemente lavoro di manifattura di biancheria disposto dall’U.N.R.R.A. al laboratorio di Palermo, dove lavorano circa cento operaie, in parte vedove di guerra ed in parte mogli o figlie di reduci, che fra una diecina di giorni dovranno essere sospese per mancanza di lavoro.

Se non sia nelle intenzioni dell’onorevole Ministro abolire il compenso a cottimo nei riguardi delle predette operaie, che si ravvisa assolutamente inadeguato, sostituendovi il compenso a giornata, secondo i minimi di paga relativi a tale categoria di lavoratrici. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Castiglia».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare l’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica, per conoscere se abbia adottato o si proponga di adottare provvedimenti intesi a normalizzare l’attuale situazione dell’organizzazione provinciale sanitaria di Catania.

«Sembra, infatti, che i servizi sanitari di quella provincia lascino molto a desiderare, soprattutto per la mancanza di un titolare dell’ufficio sanitario provinciale e che, nonostante la nomina sia stata fatta sin dal marzo scorso, sarebbe riuscito vano al medico nominato ogni tentativo di prendere possesso del suo ufficio. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Varvaro».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 19.50.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 16:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

POMERIDIANA DI SABATO 4 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCXLVI.

SEDUTA POMERIDIANA DI SABATO 4 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEL, VICEPRESIDENTE BOSCO LUCARELLI

INDICE

Sul processo verbale:

Sereni

Congedi:

Presidente

Mozioni (Seguito della discussione):

Sforza, Ministro degli affari esteri

Nenni

Togliatti

Saragat

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri

Presidente

Lucifero

Giannini

Bozzi

Bellavista

Tosato

Dugoni

Dossetti

Cortese

Fabbri

Crispo

La Rocca

Lussu

Lombardi Riccardo

Macrelli

D’Aragona

Dominedò

Chiostergi

Nitti

Caroleo

Mazzoni

Votazione nominale:

Presidente

Risultato della votazione nominale:

Presidente

Sugli ordini del giorno:

Quintieri Quinto

Micheli

Magrini

Crispo

Macrelli

Domenidò

Scoccimarro

Laconi

Sardiello

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri

Chiostergi

Interrogazioni e interpellanza (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

Sul processo verbale.

SERENI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SERENI. Nella seduta pomeridiana di ieri ebbe seguito un incidente sollevato nella seduta del mattino, a proposito di un brano del mio discorso, da parte dell’ingegnere Corbellini. Mentre parlava l’onorevole Pajetta, che ebbe a fare il nome dell’ingegner Corbellini, questi ribadì quanto aveva detto nella seduta della mattina. Io avevo parlato a proposito della composizione del nuovo Governo, del significato di questa composizione; avevo fatto un accenno al passato dell’ingegner Corbellini, al passato politico, senza fare nessun particolare apprezzamento personale, ma traendone motivo per dare una valutazione della composizione del Governo. Alle mie parole, ed a quelle pronunciate nello stesso senso dal collega Pajetta nel pomeriggio, l’ingegnere Corbellini disse che avrebbe querelato chi vi parla. Io credo che l’ingegner Corbellini, che non è un parlamentare, ignori il fatto che un parlamentare non può essere querelato (Commenti al centro). Tuttavia la redazione de Il Popolo, un giornale che appartiene al Capo del Governo, ha pubblicato un articolo stamani nel quale si dice che l’ingegner Corbellini minaccia di querelare il comunista Sereni.

Ora, io potrei avvalermi con tranquillità della mia facoltà di deputato per ridere di questa querela, ma non intendo affatto avvalermene, e preferisco leggere un documento, di cui depositerò alla Presidenza un esemplare, che così dice:

«Ministero delle comunicazioni. Ferrovie dello Stato. Direzione servizi materiali e trazione. Firenze 25 luglio 1940 anno XVIII. n. 52118650135.

«Al Servizio personale affari generali.

«Si trasmette, per le opportune registrazioni a matricola generale, il brevetto di concessione dellà croce per anzianità di servizio nella milizia volontaria per la sicurezza nazionale, concesso all’ispettore Capo superiore (163376) Corbellini, ingegnere, professore, commendatore Guido.

«Si resta in attesa di ricevere, ecc., ecc.».

Io voglio fare ammenda che non conoscevo questa anzianità. Io non avevo parlato di anzianità. (Interruzioni al centro). Nessuna mia intenzione personale nei confronti dell’ingegnere Corbellini. Abbiamo affermato nella seduta di ieri e riaffermiamo oggi che non abbiamo nessuna intenzione di escludere dalla vita nazionale quelli che hanno avuto un passato fascista. Ho voluto citare questo documento soltanto per dimostrare questo: che mentre in quel momento avevo fatto tutte le riserve perché non conoscevo questo documento particolare, non merito la taccia di calunniatore e che invece il Governo merita la taccia di bugiardo nei confronti della sua maggioranza, che in buona fede ignorava questo fatto. (Applausi a sinistra – Proteste al centro – Commenti).

PRESIDENTE. Se non vi sono altre osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Hanno chiesto congedo gli onorevoli Porzio, De Vita e Martino Enrico.

(Sono concessi).

Seguito della discussione di mozioni.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione di mozioni.

Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro degli affari esteri.

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Onorevoli colleghi, anche senza la mozione degli onorevoli Nenni e Togliatti, io avrei cercato la prima occasione possibile per riferire all’Assemblea Nazionale sull’azione del Governo circa la conferenza di Parigi e sulla nostra azione circa l’ammissione dell’Italia all’O.N.U.

Ho sempre creduto che il Governo non può che trarre forza dal comunicare le proprie direttive di politica estera all’Assemblea e trarne ammaestramenti e, se può, appoggi. Ma ciò farò in modo brevissimo, perché in certi casi la brevità è la chiave della chiarezza; aggiungerò poi altri elementi i quali risponderanno direttamente o indirettamente ad alcune delle osservazioni che i colleghi hanno fatto durante la discussione sulla politica estera. Essi mi scuseranno se non rispondo loro partitamente per rispetto al tempo ed all’ora. Fissando bene come nacque la Conferenza di Parigi avrò fornito una risposta agli oratori che criticarono come troppo rapida la immediata accettazione dell’invito che fu rivolto all’Italia. Ecco la veridica storia: negli ultimi giorni del giugno scorso i Governi britannico e francese si fecero promotori della immediata convocazione di una Conferenza a tre a Parigi per discutere il problema europeo. A me non piacque questa iniziativa, che correva il rischio di fare diventare politico un convegno che, con la partecipazione di tutti gli Stati europei, doveva essere esclusivamente economico. Non mi piacque perché, con la esclusione anche solo iniziale dei piccoli Paesi e di Paesi come l’Italia che erano stati considerati ex-nemici, esso minacciava di perpetuare una distinzione divenuta anacronistica e che sarebbe stata dannosa alla pace e alla rinascita europea. E tosto formulai queste mie riserve e questi miei sentimenti.

L’Unione Sovietica, dichiarandosi paladina degli interessi delle piccole Nazioni, accentuò il significato politico che la Conferenza avrebbe avuto e ne deprecò il successo.

Ma fu allora che gli anglo-francesi, correggendo l’errore iniziale, affermarono l’esclusivo aspetto economico della riunione e la allargarono, invitando tutti gli Stati di Europa e naturalmente anche la Russia. Dovevamo noi attendere un solo momento per deciderci, proprio quando gli iniziatori della Conferenza davano ragione al nostro punto di vista, cambiando il loro? La nostra rapidità nel decidere era in ragione del nostro interesse e della nostra decisa volontà di agire con tutte le nostre forze a favore della rinascita europea. Non potevamo esitare, coscienti come eravamo del dovere di tutti di superare qualsiasi egoismo per salvare la vita economica dell’Europa, cioè la vita stessa di ognuno di noi.

Come vi riferii nei precedenti discorsi del luglio scorso, stimai subito inammissibile che l’Italia partecipasse senza parità assoluta di condizioni, e lo dichiarai. I governi promotori risposero, invece, che il nostro ritardo a ratificare il Trattato di pace avrebbe impedito una nostra piena partecipazione con diritti uguali agli Stati promotori. Finii, tuttavia, per far comprendere loro che una conferenza economica senza l’Italia era un non senso. L’assicurazione di assoluta parità ci fu quindi data, mentre noi, a nostra volta, dichiarammo che avremmo fatto quanto era in nostro potere perché il Trattato fosse portato all’Assemblea.

Ma il 5 luglio l’Ambasciata sovietica ci significò che il suo Governo non avrebbe aderito alla conferenza. Nella sua nota il Governo di Mosca dichiarava «di avere avuto fin dal principio poca fiducia verso questa iniziativa, sia perché inglesi e francesi si erano messi d’accordo circa le condizioni delle discussioni con gli Stati Uniti dietro le spalle della Russia, sia anche perché nelle dichiarazioni stesse di Marshall non erano state fissate le condizioni e le dimensioni del credito, né la realtà stessa del credito».

Dopo aver ripetuto a due riprese con nuove parole, ma senza un’ombra di prova, questo sospetto, la nota sovietica concludeva dicendo cosa si sarebbe dovuto fare secondo il Governo di Mosca:

«Anzitutto bisognava chiarire la realtà del credito, le sue condizioni e dimensioni, quindi chiedere ai Paesi europei quali sono i loro bisogni di credito e infine compilare un programma sintetico delle loro dichiarazioni, le quali dovrebbero, in quanto possibile, essere soddisfatte in conto dei crediti da parte degli Stati Uniti. Con simile procedere i Paesi europei rimarrebbero padroni della loro economia e potrebbero disporre liberamente delle proprie risorse e delle proprie abbondanze».

Voi vedete quali «risorse e abbondanze» noi avevamo! La nota così concludeva:

«Data una così seria divergenza tra la posizione anglo-francese e la posizione sovietica l’accordo è risultato impossibile».

Noi non abbiamo il menomo diritto di dubitare dell’assoluta sincerità della dichiarazione sovietica, ma essa costituiva un processo ad intenzioni, senza addurre il menomo indizio circa le pretese mire americane. Col sistema dei sospetti sarebbe stato facile ritorcere gli argomenti della nota sovietica. Ma tali esercizi polemici sono pericolosi perché inaspriscono l’atmosfera.

L’andamento della conferenza dovette mostrare a Mosca quanto le cose fossero più semplici, chiare e niente affatto combinate in anticipo; e certo le mostrò quanto liberamente le tesi più diverse poterono agevolmente comporsi.

Fummo molto dolenti che l’Unione Sovietica e gli Stati ad essa vicini non venissero a Parigi; né mai omisi occasione di dichiararlo sia a Mosca che altrove: L’Italia continuò ad auspicare un progressivo allargamento della conferenza e a volere tutte le porte aperte, anche a conferenza finita, verso tutti gli Stati orientali che avessero in seguito voluto aderire all’organizzazione di cui si fossero fissate le basi a Parigi. Molte testimonianze possono darsi in proposito. Ho qui sott’occhio sette od otto mie documentate dichiarazioni che provano come, ogni volta che potei, alla Conferenza di Parigi o altrove, ho insistito perché la porta restasse aperta verso l’Unione Sovietica e gli Stati ad essa alleati e ho affermato la volontà del Governo italiano di mantenere viva la fiducia, la speranza che tutti gli Stati d’Europa aderiscano un giorno ad una organizzazione in cui l’America – è ormai provato – non ha che delle perdite da subire e nessun guadagno e nessuna cupidigia da soddisfare.

Citerò, per esempio, il mio discorso di apertura alla Conferenza di Parigi in cui dissi: «Noi siamo alla vigilia di una trasformazione del vecchio mondo; noi lo faremo con la coscienza che la nostra ricostruzione conservi tutte le porte aperte verso la collaborazione fiduciosa dell’Europa orientale. Dobbiamo tentare di tutto per ricondurre al nostro fianco tutti i Paesi assenti» e così feci il 10 luglio alla Delegazione di Parigi.

Ancora.

Tornato a Roma, in una riunione di Ministri tecnici indetta per concordare ulteriori precisazioni da inviare alla delegazione rimasta a Parigi, stabilii coi colleghi che si significasse quanto segue agli onorevoli Campilli e Tremelloni:

«Si afferma l’interesse economico dell’Italia acché l’area dei Paesi del piano Marshall rimanga aperta nei confronti dell’oriente europeo e che si compia ogni sforzo per favorire la tendenza in atto da parte di alcuni dei Paesi del blocco orientale ad intensificare i rapporti commerciali con i Paesi dell’occidente. In ogni caso l’Italia non dovrebbe rinunziare, ma anzi sviluppare i traffici già avviati con la Polonia, la Cecoslovacchia, la Jugoslavia e gli altri Paesi della Penisola balcanica».

Potrei qui leggervi molti altri testi analoghi. Ma non lo farò per brevità.

Si può aggiungere che la Conferenza di Parigi ha affidato l’esame di talune questioni tecniche, la cui discussione si era iniziata sul piano della Conferenza stessa, alle Sottocommissioni competenti della Commissione economica europea di cui come è noto, fanno parte l’Unione sovietica, la Polonia, la Jugoslavia ed altri Paesi dell’Europa Orientale. L’Italia aderì a tale decisione, non senza sacrifizio, in quanto, non per nostra colpa, non facendo ancora parte dell’O.N.U., non potremo partecipare ai lavori delle Commissioni predette su un piede di parità assoluta. Tuttavia noi abbiamo ritenuto opportuno che di un organismo internazionale già esistente, e del quale fanno parte Paesi non aderenti piano Marshall, venisse fatto uso nel quadro del piano predetto, come prova tangibile del desiderio nostro di vedere tutti i Paesi europei unirsi un giorno per la rinascita del nostre continente.

Circa la nostra mancata ammissione all’O.N.U., voglio dire quanto mi parve doloroso che in Russia si siano ignorati quegli elementi morali e imponderabili per cui è inconcepibile – come ebbe a dire Bevin in un telegramma a me diretto – che esista un organismo internazionale senza la presenza dell’Italia. Ma v’è un altro lato della questione, il quale forse è sfuggito ai dirigenti sovietici; ed è che il preambolo del Trattato di pace, liberamente firmato dalla Russia, dichiara che l’entrata in vigore del Trattato stesso sarebbe stato un elemento notevolissimo in favore della nostra ammissione all’O.N.U.

Se analoghe dichiarazioni sono contenute nei preamboli di altri trattati di pace ciò non mi pare dovrebbe avere rilievo nei confronti del nostro buon diritto.

Oltre a ciò, nell’accordo di Potsdam, che spesso viene citato a torto, al capoverso in cui si parla dei Trattati di pace in preparazione, l’Italia viene completamente distinta dagli altri Stati ex nemici. L’accordo dice: «L’Italia è stata la prima potenza dell’Asse a staccarsi dalla Germania alla cui disfatta essa ha apportato un materiale contributo. L’Italia si è liberata dal regime fascista e sta compiendo buoni progressi verso il ristabilimento di una forma istituzionale democratica».

«La conclusione di un Trattato di pace con un Governo italiano riconosciuto come democratico renderà possibile ai tre Governi di appoggiare una domanda di ammissione dell’Italia alle Nazioni Unite». Di fronte all’O.N.U. e al problema della nostra ammissione, ben sapendo io – nonostante l’evidenza degli impegni presi a Potsdam a nostro favore – che dovevamo contare anche sulla Russia, feci il possibile per tener conto dei suoi punti di vista. Eccovi a prova – e potrei citarvene molte altre – le istruzioni che inviai il 7 settembre all’Ambasciata d’Italia a Parigi: «L’ammissione dell’Italia all’O.N.U. – cito – non può essere discussa se non insieme alle ammissioni di altri Stati. Invece di cercare l’appoggio di ognuna delle grandi Potenze, occorre adoperarsi per ottenere una loro azione comune sul problema degli ex nemici. Dopo tutto – continuava il mio telegramma di istruzioni – qualora tali Stati o anche taluni di essi potessero intervenire nelle discussioni internazionali, ciò gioverebbe alla lunga all’universalità che deve rimanere principio e finalità dell’organizzazione delle Nazioni Unite».

Voi vedete, dunque, con quale indipendenza di spirito e con quale riguardo ai differenti e più opposti punti di vista noi agimmo e agiamo.

Non parlerò più oltre dell’O.N.U.; ma se ci trovassimo sulla difensiva – il che non è – potrei anche aggiungere che noi facemmo domanda di entrare nell’O.N.U. dopo aver ottenuto l’approvazione e l’assenso della Commissione per i trattati.

Ma qui vorrei fare un’osservazione: potremmo noi differire, bensì, com’è naturale che accada in una libera Assemblea, sui punti, sui principî più varî della nostra politica generale e anche della nostra politica estera, ma dobbiamo mostrarci uniti in un punto che ha solamente questo senso: noi abbiamo diritto di essere nell’O.N.U., perché – come diceva Bevin nel telegramma a me diretto – è inconcepibile un grande organismo internazionale, nel quale l’Italia non sieda pari fra pari in mezzo a tutti gli altri Stati. Se noi mostrassimo costantemente, senza scherni e senza dubbi, che il nostro diritto ad entrare all’O.N.U. è sentito da tutto il popolo italiano, la nostra posizione sarebbe assai più forte; benché, come ho detto, debole non è.

Perché questo è il punto: o l’O.N.U. esisterà, l’O.N.U. diventerà attiva – ed è impossibile concepire che ciò sia senza un popolo del valore morale, intellettuale e demografico dell’Italia; o, se l’O.N.U. perirà, come perì la Società delle Nazioni, una delle ragioni per le quali perirà è che l’Italia non c’è entrata. (Applausi al centro).

Del resto, se oggi l’ammissione dell’Italia alla Organizzazione delle Nazioni Unite è ancora in discussione, ciò non avviene perché si dubiti della nostra volontà di pace e capacità di adempiere agli obblighi incombenti sugli Stati membri, bensì perché – all’infuori di noi e dei nostri desideri – il caso italiano è venuto a trovarsi legato a quello di altri Stati sulla cui ammissibilità esistono in seno al Consiglio di sicurezza dei pareri discordi. È un problema che l’Italia non ha creato e per la soluzione del quale essa non ha purtroppo – nonostante la sua migliore buona volontà – veste per un’azione determinante.

Quello che non perirà, in ogni modo, è il costante sentimento dei popoli, più maturo di certi Governi, verso l’ideale di un’Unione europea. È per questo che io sono lieto dell’eco di profonda simpatia che la proposta da me formulata il 15 luglio a Parigi per un’unione doganale italo-francese ha avuto in Francia. Bisogna che sappiate, a proposito del progetto dell’Unione doganale italo-francese, che, per ciò che ci concerne, noi Governo italiano sempre abbiamo detto: vogliamo un’unione doganale italo-francese, perché essa darà nuovo respiro e nuove forze ai due popoli di fronte alle eventualità dell’avvenire, ma anche perché la consideriamo come una base e una porta aperta a qualunque futura adesione, possa questa venite sia dal Nord che dall’Est.

Non vi avrei detto completamente il mio pensiero, se non facessi cenno delle ragioni per le quali il Governo ed io personalmente siamo perfettamente e profondamente convinti che ogni voce, anche se sincera, che viene lanciata ogni tanto, di tentativi degli Stati Uniti di influire indebitamente sui governi europei, è priva assolutamente di ogni consistenza.

Noi possiamo essere profondamente ottimisti, malgrado incidenti penosi che possono avvenire, circa il futuro della pace europea, perché una cosa – a mio avviso – è certa: che la Russia non farà mai la guerra e che gli Stati Uniti non faranno mai la guerra. La Russia non farà mai la guerra perché è convinta (ed ha ragione) che in un lontano avvenire il suo sviluppo interiore sarà molto più importante di una vittoria militare qualunque; e gli Stati Uniti non faranno mai la guerra perché chi li conosce sa benissimo che vi è un articolo non scritto nella Costituzione americana ed è che l’America non fa mai la guerra se non è invasa.

Roosevelt, che voleva la guerra perché temeva il dilagare del dominio nazista, sarebbe stato incapace di indurre il suo Paese ad entrare nella fornace ardente se i giapponesi non avessero commesso la follia di andare a bombardare la flotta americana in un’isola americana.

PAJETTA GIAN CARLO. E la guerra di Cuba?

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Onorevole Pajetta, la guerra di Cuba è stata fatta dagli americani come la guerra del Transvaal è stata fatta dagli inglesi e come purtroppo la guerra dell’Abissinia è stata fatta da italiani; ma gli anni passano e i popoli imparano, e vi è fra il periodo della guerra di Cuba ed ora una distanza di secoli; per chi conosce l’America è noto che tutti gli americani considerano oggi gli atti di violenza compiuti da vecchi presidenti repubblicani, cioè conservatori, nell’America centrale, come una macchia sullo stemma degli Stati Uniti; gli americani, in fondo ancor oggi puritani, idealisti e alcun poco isolazionisti, non si immischiano delle cose europee che per un senso di dovere, senza nessun piacere; e – lo sanno bene – senza nessun loro guadagno.

Tutti coloro che ben conoscono l’America sanno quanto fu profondamente veridico il presidente Truman quando, ricevendo il presidente De Gasperi, gli rivolse questo discorsetto che non è stato abbastanza rilevato in Italia: «Vi vogliamo aiutare per la vivissima simpatia che abbiamo per il popolo italiano, di cui esiste qui una così forte e leale comunità. Non vogliamo nulla dall’Italia, che deve fare la sua strada per suo conto e riconquistare il suo posto a cui ha diritta nel mondo. Se un uomo può esprimere i sentimenti di un popolo intero, io vi dico che l’America ha rispetto ed amicizia per l’Italia e farà tutto quel che potrà fare in suo favore».

E poiché le parole sono parole e i fatti sono fatti, credo di non essere indiscreto se vi cito una decisione ufficiale che a noi non consta ancora in modo diretto, ma che so che il Governo americano ha preso. Io non sono forse autorizzato a dire ciò. E se il Governo americano (io non ne so niente) ha ritardato questa comunicazione per non aver l’aria di mescolarsi nei nostri dibattiti politici, io dico che il nostro rispetto per il Governo americano deve aumentare.

In ogni modo, ecco che cosa posso trarre da due telegrammi ricevuti giorni fa dalla nostra ambasciata a Washington: il Presidente Truman ed il Segretario di Stato Marshall hanno deciso finalmente di rinunciare alla quota che spettava all’America del nostro naviglio da guerra e lasciarlo completamente nelle nostre mani per i nostri usi. (Vivissimi, generali, prolungati applausi – Il Presidente, i componenti del Governo, i deputati si levano in piedi).

Il Dipartimento di Stato conta far presente ad altrui che sarà felice se la decisione del Governo americano servirà di esempio ad altri Paesi. (Applausi).

Badate, non crediate che questa è solo una decisione di Governo. Il Governo americano è così fatto che né il Presidente, né il Congresso, né i governanti sono capaci di fare alcunché che abbia una importanza siffatta, se non hanno dietro di loro l’opinione pubblica.

Una voce all’estrema sinistra. Anche la limitazione sulla legge degli scioperi? (Commenti al centro).

Una voce al centro. Proprio come in Russia! (Commenti a sinistra).

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Io non so quando il Governo americano ci farà una comunicazione ufficiale a questo riguardo. Sarà prestissimo, suppongo, ma vi voglio dire fin d’ora che risponderò che noi italiani siamo grati al Governo americano ed alle associazioni religiose, laiche, filantropiche americane che durante gli anni terribili dell’armistizio riuscirono a salvare dalla tubercolosi i nostri bambini e a far vivere noi stessi, ma che la nostra gratitudine per gli aiuti materiali sarà nulla in confronto di quanto sentiremo per questo gesto morale di cui noi apprezziamo tutta l’importanza; infatti il popolo italiano come tutti i popoli che hanno una storia gloriosa, ma piena di sofferenze, apprezza la giustizia più di tutto, l’apprezza perfino – non so se oso dire troppo – più della libertà, più della democrazia; ed in questo atto del Governo americano gli italiani vedranno la prova che giustizia all’Italia è stata resa. In fondo, si poteva benissimo non darci del pane, ma si doveva render giustizia alla Marina italiana che, dopo il fatale 8 settembre, ha fatto miracoli di coraggio, di abnegazione morale al lato degli alleati; aveva ragione il popolo italiano, sentendo che era una ferita al nostro sentimento di giustizia, il colpirci ingiustamente in quella Marina da guerra che spontaneamente, eroicamente, stoicamente ha servito la causa non solo nostra, ma anche degli Stati Uniti e dell’Inghilterra. (L’Assemblea, in piedi, grida: «Viva la Marina!» – Vivissimi, prolungati applausi).

Devo aggiungere, poiché noi italiani siamo felici di vedere ogni spiraglio di luce e di comprensione da tutte le parti, che da Mosca mi è giunta una proposta di cui sono lieto. Eccone le origini. Nel mio discorso del 24 luglio scorso dissi: «Il terzo pilastro della costruzione sarà, oltre la politica migratoria con l’America latina, anche una vasta politica culturale, commerciale, con la stessa America latina da una parte e con l’Europa orientale dall’altra, non perdendo occasioni per migliorare le nostre relazioni con quei mondi dall’avvenire per noi tanto importante, dalla vicina Jugoslavia, fino all’Unione Sovietica, passando per tutti i popoli Balcanici». Due o tre giorni dopo ebbi una conversazione con l’Ambasciatore sovietico che mi domandò che cosa quelle frasi significavano. Risposi: «Sono un uomo semplice e ciò che ho detto significa solo ciò che ho detto. Se noi possiamo stabilire dei buoni rapporti economici con voi ne saremo felici». L’altro giorno il signor Kostylev, riferendosi al mio discorso o alla mia dichiarazione, mi domandò se non credevo che fosse venuto il tempo di mandare una missione commerciale in Russia per vedere di stabilire dei rapporti economici con quel Paese. Il Governo italiano ha messo subito allo studio la questione, e non mancherà di fare quanto è in noi perché i rapporti fra i due Paesi vengano progressivamente migliorati nell’interesse comune e nell’interesse della pace. (Applausi al centro).

Il nostro pensiero in politica estera è questo: sicuri del nostro avvenire, come Mazzini fu sicuro un secolo fa dell’unità, noi dobbiamo guardare avanti e veder lontano. È per questo, lo ripeto, che sono lieto dell’adesione dell’onorevole Giannini al concetto dell’Unione Europea. È per questo che sono convinto che noi dobbiamo inventare un nuovo sacro egoismo; ma questo nuovo sacro egoismo deve essere: identificare l’essenza più profonda dei nostri interessi italiani con gli interessi dell’umanità, del progresso sociale e dell’Europa. (Applausi al centro).

Così, noi agiremo per i gruppi italiani rimasti in Africa, per i nostri interessi in Africa; li difenderemo perché sono italiani e perché sono carne della nostra carne; ma anche perché mostreremo e faremo sentire al mondo che la presenza degli italiani in terre africane, che prima di noi erano deserti, costituisce un beneficio comune per l’Europa. Non v’è dubbio infatti; quei luoghi ridiventerebbero dei deserti se gli italiani ne partissero.

Quindi è interesse dell’Europa e della civiltà occidentale che essi rimangano dove essi con il loro sangue e con il loro sudore fruttificarono i terreni dell’Africa. (Approvazioni al centro e a destra).

Questo dirò a Londra, quando prossimamente – oramai la data della mia visita è definitivamente fissata tanto da parte di Bevin quanto da parte mia – mi recherò a Londra, se la vostra fiducia ci è conservata, tra il 25 e il 30 di ottobre. Là parlerò degli interessi dell’Italia, ma parlerò degli interessi dell’Italia in relazione a quelli che sono anche gli interessi supremi della Gran Bretagna, perché nella situazione attuale del mondo non vi è salvezza per gli uni se non vi è salvezza per gli altri. Voi riconoscerete che in questa mia breve comunicazione io sono stato del tutto obiettivo senza parlare un sol momento del Ministro degli esteri, che, come uomo, poco conta in questi problemi. Ma in quanto gli uomini possono contare, poiché sono essi che rappresentano o spiegano una politica, vorrei dire ad uno degli oratori della passata discussione (oratore che, per altro, ebbe frasi gentili verso di me e di ciò lo ringrazio) che quando egli dichiarò che noi non dobbiamo avere un complesso di inferiorità, io sono bensì d’accordo con lui, ma alla condizione che il complesso di inferiorità non sia escluso attraverso il facile trucco di parole bombastiche, esagerate, retoriche. Non è con la sciatteria di vacui discorsi roboanti che si può acquistar la stima e il rispetto dei Paesi stranieri: anzi, più noi ci mostreremo modestamente sicuri della nostra coscienza e sicuri del nostro avvenire, ma diremo questo con parole piane, senza vantarci delle quattro nostre civiltà passate, senza rinnovare quelle atmosfere dannunziane che, a torto o a ragione, sono sì mal sentite dai popoli esteri, e più noi daremo l’impressione di sentirci uguali tra uguali senza costantemente montare sui trampoli della letteratura per accentuare una superiorità che può essere solo garantita dalla nostra serenità e compostezza. È con tali pensieri e tali sentimenti che io, finché resterò a questo posto, agirò al servizio della causa italiana. Così parlerò presto a Londra; così parlerò dovunque e credo che questo linguaggio, o colleghi, è il solo corretto, onesto, efficace per servire l’Italia. (Vivi applausi al centro e a destra – Congratulazioni).

PRESIDENTE. Darò ora la parola ai presentatori delle mozioni nell’ordine in cui essi le hanno svolte.

L’onorevole Nenni ha facoltà di parlare.

NENNI. Onorevoli colleghi, signori del Governo. Se dicessi che la discussione mi ha posto in condizioni di dire una parola conclusiva sui problemi che ho avuto l’onore di sottoporre all’Assemblea e al Governo, direi certamente cosa inesatta.

Gli arcani del Regolamento sono stati invocati per rovesciare quello che mi pareva dovesse essere l’ordine logico della discussione, per far parlare cioè i presentatori delle mozioni di sfiducia prima che il Presidente del Consiglio abbia loro risposto.

Posso io considerare di avere avuto dai Ministri, che hanno successivamente preso la parola nel corso della discussione, una risposta adeguata? Credo che l’Assemblea riconoscerà che questa risposta non c’è stata.

Come potrei, per esempio, considerare esauriente la risposta del Ministro Merzagora, il quale, avendo escluso che esistesse uno scandalo dei conti valutari, ha però richiamato l’attenzione dell’Assemblea sullo scandalo delle evasioni delle valute, il quale, nello spirito mio, è la conseguenza dello scandalo dei conti valutari, e che, in ogni modo, di per se stesso, è infinitamente più grave dello scandalo da me denunciato?

Posso considerare soddisfacente la risposta del Ministro Togni alle critiche mosse alla mancanza di un piano di priorità nell’industria ed allo stato indisciplinato, vorrei dire anarchico, della produzione industriale?

Debbo manifestare la medesima insoddisfazione, per il discorso che ha pronunciato questa mattina il Ministro Einaudi, discorso che noi attendevamo con una certa impazienza, che il Paese attendeva con una impazienza maggiore, in quanto desiderava di veder chiaro nelle intenzioni del Governo, e che ci ha delusi.

Il collega Morandi aveva posto al Ministro Einaudi due problemi per noi fondamentali. Aveva chiesto al Ministro Einaudi se egli si assumeva la responsabilità della politica valutaria e della politica dei prezzi seguita dal Gabinetto da lui definito la «Centrale dell’inflazione». Non credo che il Ministro Einaudi abbia dato, non dico, una risposta sodisfacente, ma neanche una risposta approssimativa. Egli ha parlato delle restrizioni del credito con una lontananza che mi ha sorpreso, come se attorno a questo problema non si fosse determinato un vero stato di tormentosa attesa nel Paese, come se esso non fosse fondamentale per il destino di vasti settori della industria e degli operai che ne dipendono.

Noi non possiamo quindi considerare come sodisfacenti le risposte dei Ministri che finora hanno parlato, ed io voglio sperare che il Presidente del Consiglio sarà meno generico e più aderente alla concretezza dei problemi da noi sollevati.

Devo dire che anche il Ministro degli esteri ci ha deluso.

Non so se debbo attribuire alle imperfezioni della acustica di questa sala il non aver trovato nelle sue parole una spiegazione di quella che vorrei chiamare la nostra avventura dell’O.N.U.

Onorevoli colleghi, quando ci è stato chiesto un voto che lacerava la coscienza nazionale, che, come italiani, ci poneva di fronte a uno dei problemi più angosciosi, quando ci è stato chiesto di ratificare anticipatamente il Trattato di pace, cosa ha detto il Governo? Ha detto due cose: che dovevamo subire la ratifica anticipata per poter andare a Parigi alla Conferenza che stava elaborando la piattaforma dell’Europa sul cosiddetto piano Marshall. Codesta affermazione del Governo fu smentita nel corso stesso della discussione, che concludemmo col Ministro degli esteri il quale tornava dalla Conferenza di Parigi.

Si pretese allora che la ratifica anticipata condizionasse il nostro ingresso all’O.N.U., ed ecco il Governo si ripresenta all’Assemblea dopo di aver inflitto all’Italia l’umiliazione inutile di farci respingere dall’O.N.U. (Proteste a destra e al centro).

Una voce al centro. È stata la Russia…

NENNI. Onorevoli colleghi è stata la conseguenza della unilateralità della nostra politica estera. (Proteste al centro e a destra).

È evidente (e noi lo dicemmo nella misura in cui ciò si poteva dire senza incorrere nel sospetto che noi offrissimo argomenti a chi avesse voluto escluderci dall’O.N.U.), è evidente che tanto più appariremo legati sul piano della politica estera all’uno dei blocchi mondiali, tanto più ci condanneremo a subire l’ostilità dell’altro. Giacché, ci piaccia o non ci piaccia – ed io non sto a dire se sono fra coloro cui piace o non piace, ciò essendo senza importanza – a determinare la politica europea e mondiale, non c’è soltanto un blocco di potenze, ma ce ne sono due, dei cui conflitti noi faremo sempre le spese tutte le volte che prenderemo una posizione unilaterale o partigiana.

Mi consenta poi il Ministro degli esteri di esprimere la mia meraviglia per avere egli sorpreso il sentimento dell’Assemblea con l’annunzio che gli Stati Uniti sono disposti a non far valere i diritti che a loro conferisce il Trattato di pace su una parte delle nostre navi. Tale promessa degli Stati Uniti risale a parecchi mesi or sono, e fu fatta contemporaneamente dagli Stati Uniti e dall’Inghilterra.

Una voce a destra. E la Russia?

NENNI. Non ha quindi rapporto con la anticipata ratifica del Trattato, ma risale all’epoca in cui si discusse a Parigi la sorte della nostra Marina da guerra.

È un gesto, questo, di cui dobbiamo prendere atto con soddisfazione come di un parziale riconoscimento dell’ingiustizia usata nei nostri confronti.

Onorevoli colleghi, venendo ora ai problemi di ordine generale ai quali si collega la mia mozione di sfiducia, non ho, per orientarmi sulle intenzioni del Governo, che il discorso dell’onorevole Piccioni, elemento necessario di questo dibattito, in quanto che se le nostre critiche erano dirette al Governo, il nostro appello per creare una situazione nuova era diretto alla Democrazia cristiana.

Ma prima di affrontare il tema centrale, mi consenta l’Assemblea di rispondere ad un quesito che l’onorevole Piccioni ha posto a me e – al di là dalla mia persona – ha posto al Partito socialista italiano. L’onorevole Piccioni, si è rammaricato di non scorgere nell’azione pratica divergenze apprezzabili, sostanziali, fra la nostra azione e quella del Partito comunista.

Egli riprendeva così – e lo lodo di averlo fatto sul terreno dell’azione pratica e senza spaziare fra le nuvole dell’astrazione secondo il metodo di Saragat – il vecchio problema già posto dall’onorevole Presidente del Consiglio, quando invocò lumi danteschi per chiederci se socialisti e comunisti eravamo due in uno, o uno in due.

Io potrei, onorevole Piccioni, prendermi il lusso di rovesciare la domanda e porre alla Democrazia cristiana un analogo quesito.

Quando la frazione più avanzata della Democrazia cristiana, quando i gruppi, i nuclei di essa verso i quali esiste da parte nostra un vincolo sentimentale che gli avvenimenti degli ultimi tempi non hanno distrutto, quando codesta frazione avanzata antifascista della Democrazia cristiana lottava insieme con i comunisti e con noi socialisti, per la liberazione del Paese, per abbattere il regime fascista, per scacciare i dominatori stranieri, quale era, sul terreno dell’azione pratica, la differenza fra la Democrazia cristiana e l’estrema sinistra?

L’onorevole Piccioni, gli uomini della Democrazia cristiana, che hanno partecipato a questa lotta ed alcuni dei quali siedono al banco del Governo, hanno mai considerato leso, diminuito, annullato il carattere autonomo del loro Partito, solo perché trovavano al loro fianco i comunisti e con essi combattevano? (Interruzioni al centro).

E più tardi, quando con una frazione della Democrazia cristiana, che era maggioranza nel partito e minoranza nella famiglia cattolica italiana (come lo dimostrarono le elezioni del 2 giugno), quando abbiamo lottato per la Repubblica ha l’onorevole Piccioni, hanno i democristiani nostri alleati di allora, considerato che l’autonomia del loro Partito fosse insidiata dal fatto che combattevano per la Repubblica assieme ai socialisti?

Ora la nostra posizione di fronte ai problemi attuali della società italiana e della democrazia italiana, è identica alla vostra nella lotta contro il fascismo e per la Repubblica. (Commenti al centro).

Una voce al centro. Vi sbagliate.

NENNI. I problemi fondamentali della democrazia italiana sono oggi per noi i problemi sociali. Lo abbiamo detto in quest’Aula dopo il 2 giugno, lo abbiamo ripetuto in cento manifestazioni attraverso il Paese. Per noi, i problemi fondamentali del popolo sono la riforma agraria e la riforma industriale. E allora, con chi volete che il Partito socialista si allei se non con coloro che come noi, col nostro stesso spirito, vogliono la riforma agraria e la riforma industriale? (Applausi all’estrema sinistra).

Se allarghiamo poi il dibattito dal particolare al generale, allora è evidente il problema del socialismo, è quello dell’avvento delle classi lavoratrici al potere, come lo riconosceva l’altro giorno lo stesso onorevole Saragat.

A chi dobbiamo allearci, per risolvere questo problema: agli agrari, agli industriali? (Interruzioni al centro).

Una voce al centro. Alla Russia! (Proteste a sinistra).

NENNI. Saremmo lieti, onorevoli colleghi del centro democristiano, di poter affrontare questi problemi anche con voi. Sono personalmente convinto che esiste una sinistra democristiana (Commenti al centro); che essa è costituita non tanto dagli uomini coi quali abbiamo condotto assieme la cospirazione antifascista, ma dai giovani che cercano le vie di una conciliazione della Democrazia cristiana con la sinistra operaia, proprio per risolvere la questione sociale. Saremmo lieti di poter collaborare con questi giovani e di poter estendere a loro l’alleanza che pratichiamo coi comunisti e che vogliamo allargare a tutti i settori della sinistra. (Vivi applausi all’estrema sinistra).

Onorevole Piccioni, che cosa vuole ella da me? Ella mi chiede di associarmi ad un processo alle intenzioni.

Allorché in un recente discorso a Bologna ho voluto dire in quale momento potrebbe rompersi la nostra alleanza coi comunisti, ho fatto riferimento ad un avvenire ipotetico, che probabilmente non si verificherà mai: ho dovuto dire che romperemo la nostra alleanza coi comunisti quando essi si metteranno fuori e contro la Nazione, fuori e contro la democrazia. Senonché non avevo nessun elemento positivo sul quale basare la mia ipotesi. (Applausi all’estrema sinistra).

Signori, sulla base del processo alle intenzioni nessuna convivenza politica è mai stata possibile e sarà mai possibile. Il solo processo ammissibile è quello dei fatti; e – permettetemi – non il processo ai fatti esterni (la Russia o la Bulgaria, la Grecia o la Spagna) ma a quelli interni. Oggi non c’è probabilmente nessun comunista il quale pensi che il cammino che dovrà percorrere il popolo italiano per realizzare le sue aspirazioni politiche e sociali debba essere quello per cui passò la rivoluzione bolscevica. Né noi siamo abituati, in ogni caso, a cercare la ispirazione dei problemi che poniamo di fronte alla collettività nazionale, in Russia o in Inghilterra: noi poniamo i problemi che la storia pone al popolo italiano, e li risolviamo con quanti concordano nel nostro metodo e nel nostro fine.

Ecco perché siamo, restiamo, resteremo alleati del partito comunista.

L’onorevole Saragat ha citato qui la frase dettata a Rosa Luxemburg da un momento di orgoglio intellettuale: «Se sei nella verità, se sei sulla diritta via, incontrerai il proletariato». No, Saragat, per i socialisti il problema non si è mai posto in questi termini; giustamente Pertini ha ricordato che Rosa Luxemburg, avendo nel gennaio 1919 aspramente combattuto nel suo Partito contro la frazione spartachiana favorevole all’insurrezione immediata, una volta la decisione presa, non dette appuntamento agli operai di Berlino ad un punto indefinito del tempo e dello spazio, ma si mise alla testa dei proletari che sapeva destinati alla disfatta, ma dei quali volle condividere la sorte e la morte. (Applausi all’estrema sinistra).

Del resto, oggi Saragat fa il processo delle intenzioni nostre e dei comunisti, e su questo processo fonda il suo tentativo di dividere i lavoratori.

Ad un Congresso parigino del 1937, quando un illustre socialista italiano, – che non nomino perché assente – volle fare il processo delle intenzioni per le quali in Ispagna i comunisti morivano sulle trincee della libertà e della democrazia, Saragat rispose: «Non faccio di questi processi. Non c’è testimonianza più eloquente del sangue».

Signori, noi accettiamo il contributo che i comunisti hanno dato alla lotta di liberazione del Paese, noi accettiamo il loro contributo alla soluzione della questione sociale come un fatto, ed è sulla base di questo fatto che è nata la nostra alleanza con loro, la coincidenza della loro azione pratica con la nostra.

Quanto alle differenze, più che nelle ideologie, io la troverei nella storia. Io sono di coloro che pensano che la scissione del 1921 fu un errore. Io sono di coloro che pensano che il compito della classe lavoratrice italiana, degli stessi comunisti, sarebbe più facile se la scissione non ci fosse stata. Ma non è dato a me, non è dato a nessuno, di fare à rebours la storia. Essa è quella che è. Prendete però, onorevoli colleghi, atto di un’affermazione che tengo a ripetere davanti alla Costituente: noi socialisti siamo indipendenti ed autonomi nei confronti di tutti; siamo indipendenti e autonomi nei confronti del Partito comunista, come nei confronti di ogni altro partito. Non siamo autonomi nei confronti della classe lavoratrice. (Applausi all’estrema sinistra).

Se la nostra naturale ambizione è di influenzare la classe lavoratrice nella direzione delle nostre ideologie e del nostro metodo, niente però potrà mai dividerci dal proletariato del nostro Paese, neppure gli errori che esso potesse compiere. (Applausi all’estrema sinistra).

Ciò detto, quale apprezzamento posso io dare del discorso dell’onorevole Piccioni? Ho la convinzione che egli abbia parlato come uomo di partito, come segretario del suo Partito, in uno stato che posso ammettere fosse di legittima difesa, ma più guidato dall’orgoglio che dalla riflessione. Credo che l’onorevole Piccioni converrà con me – e ne converrà, lo spero, il Presidente del Consiglio dei Ministri – che c’è un momento in cui il patriottismo di partito non basta; c’è un momento in cui la qualità di uomini responsabili si misura dalla capacità che abbiamo di superare gli stretti limiti del partito e di parlare ed agire secondo l’interesse dello Stato e della Nazione.

Ora, se io non sono riuscito a convincere l’Assemblea dei motivi nazionali della nostra opposizione, la colpa è mia; è della insufficienza della mia capacità comunicativa. Ho sentito dire dall’onorevole Giannini e da altri che tutto per noi si ridurrebbe a chiedere un posto nel Governo.

Onorevoli colleghi, il destino ha voluto che la nostra vita si svolgesse quasi sempre fuori legge. Non c’è difficoltà maggiore di quella di piegare uomini come noi alle esigenze del Governo e dello Stato. Quando si è trascorsa tutta la propria vita considerando nello Stato il nemico, si può diventare, come è capitato a me, Vice Presidenti del Consiglio dei Ministri, ma si resiste difficilmente all’attrattiva della opposizione, che è il nostro stato naturale, per cui forse ha ragione l’onorevole De Gasperi quando dice che siamo all’opposizione anche essendo al Governo. Tuttavia non sono uomini come noi che possono subire la vanità del potere. Ora ecco che, ammaestrati dalle cose, tornati nel nostro Paese dopo una grande tragedia, gioiosi di aver concorso a risolvere uno dei problemi della nostra gioventù (quello repubblicano), ecco che, mentre il proletariato avverte che è venuta l’ora di superare i confini della esclusiva attività di Partito e di classe, voi ci ricacciate nell’opposizione. E viene in vostro soccorso anche l’onorevole Calosso ad accusarci di diciannovismo, cioè della tendenza ad isolarci ed a considerare che la classe operaia non può risolvere i suoi problemi che da sola, nella pienezza della sua vittoria, concepita come vittoria insurrezionale, un po’ alla francese, come le grand soir. Ora è proprio questo primitivo massimalismo blanquista che noi abbiamo superato, ad esso sostituendo il senso della nostra responsabilità verso il Paese, del socialismo che diviene ogni giorno, che avanza se avanza la vita collettiva della Nazione. E voi signori ci ricacciate indietro con un processo alle intenzioni e scavate così più profonde le divisioni di partito e di classe proprio nel momento in cui vi abbiamo offerto, onorevole De Gasperi, la possibilità di una distensione.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Dopo tre mesi di propaganda!

NENNI. Al quesito che abbiamo posto non è sufficiente risposta la piccola cronaca, oppure la rispolveratura delle parole poco cortesi dell’Avanti! o dell’Unità, o l’episodio del manifesto ingiurioso alla porta della casa dell’onorevole De Gasperi.

Soltanto l’onorevole Nitti ha mostrato di capirci quando rivolto all’onorevole Piccioni – che aveva usato il linguaggio orgoglioso di un capo di setta – ha chiesto: «siete sicuri di potere dominare gli avvenimenti che si svolgeranno nel Paese? Siete sicuri di avere autorità e forza sufficiente per arrivare a dicembre senza situazioni catastrofiche? (Commenti al centro e a destra).

Una voce al centro. Il caos!

NENNI. Onorevoli colleghi: questo è il problema che Nitti ha posto.

SILES. Nitti lo ha posto a noi ed anche a voi. (Commenti a sinistra).

NENNI. Se voi avete l’orgogliosa certezza di tenere in pugno la situazione, allora anticipando, sulla normale vita dei parlamenti, voi potete avventurarvi a governare con un voto di maggioranza. In questo caso, onorevole Scelba, è perfettamente inutile ritorcere contro i comunisti l’accusa che i comunisti fanno alla Democrazia cristiana, di aver rotto il fronte repubblicano, perché in definitiva al popolo interessa meno di sapere chi è responsabile della rottura del fronte repubblicano di quanto non lo interessi sapere se lo schieramento si può rifare.

Noi diciamo di sì, e se nella discussione generale abbiamo premesso che voi non potete fare miracoli al Governo, come non ne potremmo fare noi, non è per precostituirci un alibi in vista del domani, ma per dimostrare che né gli uni né gli altri da soli siamo in grado di trarre il Paese a salvamento. È inteso, onorevoli colleghi della Democrazia cristiana, voi siete in quest’Aula i più forti. Ma i voti basta contarli o bisogna anche pesarli? (Commenti al centro). Io sono convinto che bisogna contarli e pesarli.

L’onorevole Finocchiaro Aprile pose, in forma sbagliata, un problema che vorrei a mia volta riproporre all’Assemblea. Egli fece un confronto, fra quelle che chiamava le «donnaccole» che avevano votato per la Democrazia cristiana e le masse operaie che avevano dato il voto ai socialisti e ai comunisti. Il problema così non è ben posto. Non è lecito stabilire una differenza di grado di responsabilità fra le categorie degli elettori e delle elettrici. Però, signori, non sfugge a nessuno che al peso del numero occorre aggiungere la valutazione della funzione sociale. 1 voti, quindi, bisogna contarli ed anche pesarli. Ed è contando e pesando i voti che noi siamo arrivati alla conclusione che, nelle attuali condizioni, senza la Democrazia cristiana non si può costituire un Governo il quale abbia nella Costituente la maggioranza necessaria per affrontare la crisi e del Paese, così come senza l’estrema sinistra manca al Governo l’autorità non meno necessaria perché i suoi atti siano accettati dalle masse lavoratrici, anche quando colpiscono interessi che hanno una naturale tendenza a reagire.

È il problema di oggi, problema al quale la Democrazia cristiana non ha risposto, limitandosi a ricordarci che dispone di 207 seggi in questa Assemblea, cosa che non possiamo disgraziatamente porre in dubbio, pur fiduciosi come siamo in un responso diverso del Paese nelle prossime elezioni. (Commenta al centro).

Senonché, onorevoli colleghi del centro, così come noi riconosciamo il valore e il peso del vostro Gruppo in quest’Aula e della vostra forza nel Paese, così voi non potete negare il peso e la forza di milioni di lavoratori giunti ormai ad un grado tale di maturità da costituire una potenza con la quale dovete trattare.

Signori del centro, così potete respingere il nostro appello, cosa di cui vi pentireste nelle prossime settimane, nei prossimi mesi, come di una occasione perduta. (Proteste al centro e a destra). Ma se volete accettarlo, non ricorrete allora alla mediocre furberia di sostituire una piccola maggioranza di destra con una piccola maggioranza di centro-sinistra che lascerebbe impregiudicata l’attuale situazione, anche se per ambizione di Governo noi vi dessimo il nostro assenso. Il problema è più vasto e non si risolve che allargando il governo a tutto il fronte democratico e repubblicano e ai rappresentanti diretti delle classi lavoratrici, sulle quali, in ogni caso, ricadranno in larga misura i sacrifici della ricostruzione e che hanno diritto al riconoscimento della loro alta funzione politica e sociale.

Di che si tratta in definitiva?

La Nazione auspica una distensione politica e sociale. Condizione di tale distensione è il riconoscimento che non c’è soltanto il quarto partito, quello del capitale, ma ci sono anche i partiti della classe operaia, appena usciti dalla lotta per l’indipendenza e la libertà del Paese, alla quale hanno dato un contributo decisivo. Se, onorevoli colleghi, noi ci ponessimo da un punto di vista esclusivo di partito, potremmo augurarci di veder respinta la nostra mozione. Ma sappiamo, noi che fummo per tanto tempo posti fuori della legge comune, che c’è qualche cosa di più importante del partito, fors’anche della classe, ed è l’interesse collettivo della Nazione. Abbiamo perciò coscienza di aver parlato non come militanti di un partito, ma come italiani preoccupati del domani della Nazione. (Vivissimi applausi all’estrema sinistra – Molte congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Togliatti.

TOGLIATTI. Onorevoli colleghi! Come senza dubbio ricorda questa Assemblea, la mozione di sfiducia al Governo da me presentata a nome del Gruppo comunista all’Assemblea Costituente, partiva dalla critica di determinati atti compiuti dal Ministro degli interni e dalle autorità da lui dipendenti, e di qui arrivava alla considerazione, o ad una serie di considerazioni, relative alla politica generale del Governo.

Sebbene l’onorevole Scelba non mi avesse fatto l’onore di ascoltare le mie critiche, ho ascoltato questa mattina la sua replica. I colleghi mi permettano di consacrare alcune espressioni a rispondergli.

Su nessuno dei problemi da me sollevati, piccoli o grandi che fossero, ho sentito non dico una risposta sodisfacente, ma ho sentito che il Ministro si ponesse su quel terreno sul quale egli avrebbe dovuto porsi, se la sua risposta avesse voluto essere una risposta oggettiva, argomentata, documentata.

Pensavo prima di tutto che l’onorevole Scelba dovesse citare i documenti in questione, i manifesti da lui proibiti, per dimostrare dove era e se esisteva in essi il vilipendio delle istituzioni repubblicane, di cui egli ha parlato. Lo sfido, e sfido tutto il Governo e tutti i colleghi di quella parte che lo sostengono, a trovare un sol documento comunista o una parola sola in un documento comunista dove vi sia un vilipendio delle istituzioni democratiche e repubblicane o qualsiasi accenno che possa significare vilipendio a queste istituzioni, a meno che non si voglia considerare come istituzione la persona di singoli Ministri, la persona del Ministro degli interni, o anche la persona del Presidente del Consiglio…

Credo che nemmeno nella legislazione fascista i Ministri fossero coperti da una simile prerogativa: soltanto il cosiddetto – così lo chiamavano allora – Capo del Governo.

Non credo che gli attuali Ministri abbiano voluto, né che l’onorevole Scelba abbia voluto o voglia che il Governo del quale egli fa parte estenda la legislazione fascista, o per lo meno lo spirito di quella legislazione, sino a concedere garanzie di intangibilità e inviolabilità agli uomini del Governo, tali che debba considerarsi vilipendio l’affissione in un manifesto dell’immagine di un uomo del Governo stesso e non invece offensiva l’affissione dell’immagine di un membro di questa Assemblea.

Quanto alle ingerenze illecite, da me denunciate, nelle amministrazioni comunali, l’onorevole Scelba ha ripetuto cose che sapevo di già, perché sono cose che qualsiasi mediocre conoscitore della legislazione amministrativa conosce. Ma perché, onorevole Scelba, ella non si riferisce ai fatti? Perché, onorevole Scelba, ella ha taciuto che quei sindaci della provincia di Bologna da lei deferiti all’autorità giudiziaria e sospesi dalle loro funzioni, si trovano oggi nella curiosa situazione che il Tribunale di Bologna ha respinto il procedimento, in quanto non era stata compiuta la procedura di sospensione della guarentigia amministrativa? Di fronte a questo risultato, o si restaura il sindaco nelle sue funzioni o si continua il processo: ma non è stata fatta né una cosa né l’altra. È dunque avvenuto – e tutte le argomentazioni avvocatesche svolte da lei e da altri colleghi del settore liberale, non recano alcun elemento valido rispetto a questo fatto – è dunque avvenuto che l’autorità giudiziaria si è rifiutata di giudicare sindaci che furono sospesi dalle loro funzioni, non so se per volere suo o dei prefetti che da lei dipendono, ma sempre in violazione della legge. La posizione da me sostenuta, di condanna e denuncia dei suoi arbitrî, è quindi confermata persino da una sentenza di tribunale.

Circa la colpevole tolleranza verso le organizzazioni fasciste, lei non ha risposto a nessuna delle cose che sono state dette da me, dall’onorevole Pajetta, dall’onorevole Lussu, dall’onorevole Macrelli. Lei che si accorge dell’affissione della sua fotografia in un manifesto e se ne scandalizza, non si accorge del vilipendio delle istituzioni democratiche e repubblicane fatto nella stampa, nei manifestini sui muri, nei comizi e dappertutto dai fascisti. Questa è la strada su cui si arriva ai gravissimi episodi denunziati e da me e dall’onorevole Pajetta. E dell’attività facinorosa delle associazioni segrete o non segrete fasciste lei ha forse parlato? No, lei non ne ha parlato: da quella parte tutto va bene, dunque, secondo lei. Onorevole Scelba, la sua risposta può darsi abbia sodisfatto i colleghi del suo partito, che sono tenuti per solidarietà a batterle le mani; certo ha sodisfatto i rottami di fascismo che purtroppo sono presenti in quest’Aula; non credo però possa aver sodisfatto chiunque giudichi di questi problemi con ispirito di obiettività, partendo dalla sollecitudine per la difesa della democrazia e della Repubblica.

Ma passo ai temi di carattere generale, in quanto la nostra mozione investiva tutta la politica di questo Governo, e quindi investiva anche la sua composizione e la sua attività nei diversi campi.

Il dibattito che sul tema delle nostre mozioni si è svolto in questa Assemblea, ha toccato questi temi generali; ma io pure debbo dolermi di dover replicare senza aver ancora avuto dal Governo una risposta alle questioni di questa natura, qui sollevate. Credo che anche se il Regolamento impone l’ordine di interventi che è stato scelto, sarebbe stato democraticamente e parlamentarmente corretto che il Governo, per bocca di uno dei suoi principali esponenti, rispondesse anche prima che noi replicassimo, circa il modo con il quale considera questi problemi generali, perché io non posso considerare come una replica fatta a nome del Governo il discorso tenuto dall’onorevole Piccioni, segretario del partito della Democrazia cristiana.

Ad ogni modo tutti i partiti, o quasi tutti, che sono rappresentati in questa Assemblea, si sono schierati, hanno esposto le loro vedute con maggiore o minore rilievo. Ho avuto la impressione che il partito che tra tutti meno è riuscito a dar rilievo alle proprie posizioni sia stato il Partito liberale. Questo, del resto, non è soltanto in relazione con la maggiore o minor valentia dei colleghi che lo rappresentano in quest’Aula, ma è piuttosto in funzione dell’esistenza della struttura, della natura di questo Governo, il quale – come io ebbi occasione di dire nel mio intervento nel mese di luglio – condanna effettivamente i partiti che sono alla sua destra, alla paralisi, a non potersi muovere, a perdere ogni iniziativa, in quanto fa propria, senza riserve, la loro posizione di difensori sino all’ultimo delle classi possidenti più ricche. Il Partito liberale, fatta eccezione per qualche guizzo di indipendenza di giudizio che abbiamo colto nel discorso dell’onorevole Corbino, non ha potuto fare altro che adempiere alla funzione di colui che, in coro, ripete il ritornello delle litanie intonate dall’onorevole De Gasperi.

Maggior rilievo, senza dubbio, ha avuto la posizione del Partito qualunquista, a proposito del quale alcuni rimproveri sono stati fatti a noi, e a me personalmente, accusandoci non so se di eccessiva simpatia per questo partito o di una tendenza a determinati accordi con esso. Si è persino parlato di patti. Onorevole Giannini, ella sa perfettamente che questi patti non esistono. Però è verissimo che noi, nei confronti del Partito qualunquista abbiamo seguito e seguiamo una politica determinata, la quale non può in nessun modo ridursi a un’ingiuria, o a una serie di male parole. No, per noi lo sviluppo del Partito qualunquista è un fenomeno che studiamo con attenzione e di fronte al quale sentiamo il dovere come democratici e nell’interesse della democrazia italiana di reagire in un determinato modo. Riteniamo che se nel 1919-20, quando gruppi all’inizio, e poi masse di piccola borghesia, presero orientamenti analoghi a quelli che prendono oggi determinati gruppi della stessa natura sociale che seguono il qualunquismo, orientamenti che poi vennero sfruttati dal partito fascista agli scopi della sua politica reazionaria, crediamo che se allora vi fosse stata nella democrazia italiana la capacità di comprendere a tempo questo fenomeno e di riparare facendo fronte ad esso, forse lo sviluppo del fascismo sarebbe stato meno facile.

Non dico che non vi sarebbe stato. Le forze decisive non furono quelle, non furono i piccoli borghesi che battendo le mani al duce organizzarono la marcia su Roma e le successive fasi del fascismo. No, decisive furono le forze dirigenti della grande industria, della banca, del capitalismo…

GIANNINI. …e della massoneria.

TOGLIATTI. Anche, e della Chiesa cattolica, almeno in parte.

La piccola borghesia disorientata e disillusa formò soltanto il coro, la massa.

Ebbene, noi consideriamo oggi il fenomeno qualunquista come qualcosa di ancora confuso e indeterminato, e vediamo che vi sono in esso ancora delle incognite. Vi sono senza dubbio (vi erano all’inizio e vi sono tuttora) uomini e gruppi che vedono nel qualunquismo nient’altro che la prima tappa o, direi, la prima mascheratura di una rinascita del fascismo che essi continuano a sognare. Vi sono però, senza dubbio, anche masse malcontente e disorientate le quali si orientano verso il qualunquismo senza vedere questo pericolo, senza comprenderlo, e noi sentiamo che è nostro dovere quello di comportarci, nei confronti di queste masse e quindi di quel movimento, come dei ragionatori, degli uomini politici. Per questo polemizziamo, per questo anche – se necessario – assistiamo a una seduta del Congresso dell’uomo qualunque, per riuscire a comprendere quel che ci interessa nei dibattiti che vi si svolgono. E perché ci interessano? E in qual senso abbiamo noi polemizzato con l’onorevole Giannini? Abbiamo polemizzato e condurremo una politica nei confronti dell’Uomo qualunque allo scopo di favorire un distacco dagli elementi apertamente o larvatamente fascisti, di quella che può essere invece una massa di malcontenti che cerca una strada, che non l’ha trovata e che forse non la troverà, noi crediamo, sotto la guida dell’onorevole Giannini.

GIANNINI. L’ha trovata, l’ha trovata!

TOGLIATTI. Questo è il nostro obiettivo; crediamo, comportandoci in questo modo, di servire la causa della democrazia e dell’antifascismo, né ci toccano le insinuazioni e le calunnie che vengono lanciate a questo proposito contro di noi.

Nel corso di questa discussione, ripeto, la posizione del rappresentante del Partito qualunquista è stata senza dubbio più vivace di quella liberale Ho avuto però l’impressione che quel guizzo di opposizione, cui ci ha fatto assistere l’onorevole Giannini nel suo ultimo discorso, in realtà partisse piuttosto dallo stato d’animo di un concorrente dell’onorevole De Gasperi che non da un avversario di una determinata politica, e di determinati metodi di questo Governo.

Questa impressione non ho del resto ricavata solo dalle cose che l’onorevole Giannini ha detto, ma, direi, da tutto lo sviluppo della sua personalità politica: questo professarsi cristiano, cattolico, adire contemporaneamente a tutti i Sacramenti…

Una voce al centro. A tutti no! (Si ride).

TOGLIATTI. Diciamo, a tutti i «possibili» Sacramenti, e la propaganda fattaci attorno, effettivamente dà l’impressione che anche qui non vi sia una differenza sostanziale fra l’onorevole Giannini e l’onorevole De Gasperi, come capi di partito, in quanto questo ostentato impulso religioso derivi dal fatto che per entrambi la religione sia essenzialmente instrumentum regni, strumento di Governo o di fortuna e successo di un partito nelle lotte elettorali. In realtà se osservo l’onorevole Giannini, riferendomi al suo passato, e cerco di adattare alla sua figura un «Credo» qualunque, mi pare che alle sue labbra l’unico che si addica sarebbe il «Credo» che un nostro grande poeta, il Pulci, metteva sulla bocca di quel mezzo gigante che si chiamava Margutte, il quale credeva «nella torta e nel tortello, l’uno la madre, e l’altro il figliolo». La torta sarebbe in questo caso la maggioranza parlamentare e sarebbe riservata all’onorevole De Gasperi, mentre il tortello sarebbe per lei, onorevole Giannini, e sarebbe un posticino di Ministro o anche di Sottosegretario per l’unione di tutta l’Europa. (Si ride).

Ad ogni modo, fra poche ore il dubbio sarà sciolto. Fra poche ore sapremo se abbiamo assistito a una presa di posizione coerente, corrispondente alla volontà di correggere una situazione politica determinata in un senso determinato, o se vi è stato da parte dell’onorevole Giannini unicamente un guizzo senza conseguenze ulteriori, e quindi potremo assistere al fatto che il pappagallo qualunquista rientrerà tranquillo e prudente sotto le gonne maleolenti della nonna democristiana. (Si ride).

L’onorevole Saragat e gli altri oratori del suo partito hanno posto alcuni problemi seriamente, altri invece in modo tale che ritengo sarebbe indegno di noi se polemizzassimo su quel terreno. Le calossate non son fatte per noi.

Vedete, quando voi ci accusate di non essere democratici, vi dico che per noi la democrazia non è soltanto un principio, un complesso di istituzioni: è anche un metodo, e prima di tutto un metodo di discutere le posizioni dell’avversario, riproducendole esattamente, oggettivamente, non sostituendo a quella che è l’elaborazione del pensiero dell’avversario quel fantoccio ripugnante che voi vi sforzate di creare, e di fare circolare per le strade, con l’aiuto della stampa fascista e neofascista. Democrazia, cioè, è prima di tutto onestà di polemica politica. Per questo io discuterò di voi soltanto la posizione relativamente seria che avete presa e che consiste nel rivendicare una direzione socialista del Governo e d’Italia.

Non so se questa rivendicazione corrisponda in questo momento alla struttura di questa Assemblea che fino alle prossime elezioni rappresenta il Paese. Quello che so però, è che non corrisponde alla rivendicazione di una direzione socialista del Paese il fatto di avere scisso quelle forze che potevano, unite, rivendicare con maggiore possibilità di successo una direzione socialista. La vostra posizione nei nostri confronti è essa pure in contraddizione stridente con la vostra rivendicazione di una direzione socialista. Come escludete voi dal socialismo questo nostro partito di operai, per cui hanno votato masse di lavoratori, di contadini, di impiegati, d’intellettuali di avanguardia, che credono agli ideali del socialismo? Per noi, vi dovrebbe essere il bando dalla democrazia e dal socialismo. È vero che voi cercate di giustificare questa posizione con i vili e spregevoli argomenti cui ho accennato prima, ma ciò non toglie che essa è in contraddizione profonda con la rivendicazione che avanzate di una direzione socialista. Voi vi adoprate ancora una volta per dividere quelle forze che possono, unite, non dico realizzare oggi una direzione socialista, ma per lo meno realizzare quel tanto di misure socialiste che oggi sono realizzabili. Questa è la profonda contraddizione che mina le vostre posizioni, e in conseguenza della quale voi, mentre parlate di socialismo e dite di volere una direzione socialista, in realtà dimostrate di essere al servizio delle forze reazionarie. L’operazione che voi compite o vorreste compiere è nell’interesse delle forze reazionarie di cui siete i servitori; ed è per questo che da quelle parti vi vengono e verranno sempre gli applausi

Molto più preoccupante la posizione del Partito della democrazia cristiana quale è stata esposta qui dagli oratori che lo hanno rappresentato e, in particolare, dal suo segretario generale, onorevole Piccioni; è preoccupante non tanto perché noi riteniamo la Democrazia cristiana un partito – diceva l’onorevole Piccioni – famelico, o piuttosto assetato, – correggerebbe onorevole Micheli – di potere. Ogni partito ha il diritto di aspirare a quel potere che gli spetta secondo le forze che rappresenta.

MICHELI. È assetato lei di potere, oggi! (Si ride).

TOGLIATTI. Quello che ci preoccupa nella posizione del Partito della democrazia cristiana è prima di tutto il fatto che esso, attraverso le parole del suo Segretario generale, si è presentato ancora una volta come un partito che semina e vuole la discordia del Paese.

Una voce a destra. Che ama la chiarezza!

TOGLIATTI. Che ama la discordia. La maggior parte dell’intervento dell’onorevole Piccioni, la parte sostanziale politica è stata infatti diretta a trattare la questione dei rapporti tra il nostro Partito e il Partito socialista.

Io aspettavo una risposta dall’onorevole Piccioni; aspettavo che egli mi dicesse perché, secondo il Partito della Democrazia cristiana, noi comunisti dovremmo essere tenuti in quella particolare posizione che esclude una nostra partecipazione alla direzione politica del Paese. L’onorevole Piccioni non mi ha risposto con argomenti; non ha discusso il nostro programma politico; non ha preso le nostre risoluzioni per far vedere all’Assemblea e al popolo italiano quali sono le nostre proposte economiche, politiche, organizzative che sono cattive e da respingersi, allo scopo di far risultare un contrasto fondamentale che impedisca una eventuale nostra collaborazione. No! Se l’è cavata con una frase; e io mi sono ricordato quello che diceva Goethe: «Quando tu non hai un pensiero (o, in questo caso, quando vuoi nascondere il tuo pensiero) mettici delle parole». Erano parole e frasi senza contenuto, le sue, non erano argomenti.

Ma la risposta vera l’onorevole Piccioni l’ha data quando ha parlato del Partito socialista e perfino nei confronti del Partito socialista ha voluto porre un veto alla sua collaborazione, a una attività di direzione politica, pur dopo avere premesso che non vedeva disaccordi di sostanza e programmatici. Tuttavia egli ha posto anche nei confronti dei socialisti un veto. Perché? Perché il Partito socialista tende la mano agli appestati e gli appestati siamo noi. Grave posizione, per un partito come quello della Democrazia cristiana. Grave posizione perché, onorevole Piccioni, onorevole De Gasperi, che male vi fa il fatto che due partiti di questo Parlamento abbiano stretta tra loro un’alleanza? Forse che in questo Parlamento non sono esistite nel passato altre alleanze tra differenti partiti? È perché vi dovrebbe essere non alleanza ma discordia tra due partiti che, entrambi, si richiamano alla classe operaia e alle masse lavoratrici, che sorgono dallo stesso ceppo storico, ed hanno, lo diceva testé l’onorevole Nenni, i punti programmatici fondamentali immediati comuni? Il Partito socialista non sarebbe autonomo e non sarebbe indipendente. Tutti coloro che hanno osservato lo sviluppo della lotta politica nel corso dell’ultimo anno, sanno che il Partito socialista e il Partito comunista prendono delle posizioni che non sempre coincidono, anche se le loro attività ad un certo punto confluiscono.

Ad esempio, l’iniziativa di questo dibattito non è stata la nostra, ma dei socialisti. Altre volte siamo stati noi a prendere determinate iniziative e il Partito socialista vi ha aderito. Io direi che, tra l’altro, lo stile del mio partito è diverso: diverso è il temperamento dei due partiti. Basta osservare, ad esempio, il temperamento di Nenni e il mio. Nenni si richiama alla scuola del repubblicanesimo, alla scuola dei grandi dibattiti parlamentari francesi. Io ho un’altra scuola, quella del lavoro paziente clandestino…

Una voce al centro. La scuola della Russia. (Commenti al centro).

TOGLIATTI. Sì, collega, io ho quella scuola ed è anzi una scuola che ho fatto in misura troppo limitata. Ho la scuola di quei grandi uomini che hanno saputo fare della Russia, che era alla fine dell’altra guerra uno dei Paesi più arretrati e più devastati, la grande potenza socialista che oggi domina nel mondo. (Applausi all’estrema sinistra). Io ho quella scuola e mi vanto di averla. Ma quando voi, colleghi della Democrazia cristiana, posti di fronte al problema di costituire un governo di unità delle forze democratiche e repubblicane e di unità dei partiti che hanno l’appoggio delle classi lavoratrici, sollevate questa eccezione, inevitabilmente gettate nel Paese il germe della discordia. Voi volete che la classe operaia sia divisa: nell’interesse di chi lo volete? Nell’interesse dei capitalisti e delle forze antidemocratiche, nell’interesse del fascismo e delle forze antirepubblicane. Soltanto in quell’interesse voi potete volere questa divisione, e lavorare, come voi lavorate, per provocare nel corpo della classe operaia e della nazione una scissione pericolosa.

Preoccupante assai anche la posizione del Partito democratico cristiano nei confronti non solo del nostro partito, ma direi di tutti gli altri partiti dell’Assemblea. Si possono avere 207 deputati nell’Aula e gli elettori corrispondenti nel Paese, ma non si può, fondandosi su questo fatto, rivendicare quello che voi avete rivendicato; un diritto di direzione esclusiva. Anzi, quanto maggiore è la responsabilità che una parte del corpo elettorale vi ha dato – e non so se oggi vi darebbe di nuovo – tanto più grande è il dovere che voi avete di agire nell’interesse dell’unità di tutte le forze democratiche e repubblicane, di tutte le forze vive dei lavoratori.

Ed è inutile che l’onorevole Scelba ci dica che il dissenso fra noi e la Democrazia cristiana deriva dal fatto che noi avremmo accusato De Gasperi di austriacantismo, accusa che non credo sia passata nei differenti giornali altro che di sfuggita. Nessuno ha ancora tirato fuori documenti in proposito. Per lo meno, non ne ho ancora visti. Ma l’onorevole Scelba è andato sì a scovare negli archivi della polizia, venendo meno al suo dovere di custode degli archivi dello Stato, e quindi anche degli archivi della polizia, un documento che è una domanda sottoscritta da Longo in cui egli, come tutti hanno fatto, e come lei ha fatto, onorevole De Gasperi, e come ha fatto l’onorevole Gonella, per sfuggire ad una persecuzione si poneva sotto la protezione di uno Stato, che non era lo Stato fascista. E, badate, che egli non vi riuscì, perché i fascisti non ci credettero. Però, l’onorevole Scelba ha trovato e sottratto il documento negli archivi della sua polizia, che egli dovrebbe custodire e non mettere a disposizione del suo Partito, per diffamare pubblicamente i membri dell’Assemblea.

DE GASPERI. Presidente del Consiglio dei Ministri. Tanto per rettificare: io sono rimasto cittadino italiano anche quando ero funzionario in Vaticano. Non faccio nessuna accusa, ma rettifico il fatto.

TOGLIATTI. E anche noi siamo sempre rimasti cittadini italiani. Ma il fatto è che ella è ricorso a determinate protezioni e a determinate autorità per salvare la sua persona fisica.

È inutile quindi l’argomento, suo, onorevole Scelba. Se vogliamo comprendere a fondo il perché della lotta contro di noi, con tutte le armi, che avete iniziato e conducete, e di cui volete fare l’asse della situazione italiana in questo momento, bisogna cercare i motivi nel fatto che voi state progressivamente rinunciando a quei punti, di un vostro originario programma, che coincidevano con determinati punti del nostro. Siccome voi state rinunciando a questo e state diventando, a poco a poco, un normale partito rappresentativo delle classi possidenti italiane, in tutte le loro sfumature, sino alle più reazionarie, per questo voi volete questa rottura, per questo accentuate la punta della polemica e della vostra azione contro di noi.

Ma si è detto che il nostro intervento in questo dibattito, la nostra mozione di sfiducia e il nostro appello all’Assemblea perché voti la sfiducia a questo Governo, sarebbero viziati dal fatto che noi soltanto, chiediamo di andarci al Governo. Onorevoli colleghi, ho già detto, replicando ad un interruttore, che è diritto di ogni opposizione cercare di diventare Governo.

Desidero però precisare molto bene in che senso noi vogliamo entrare nel Governo, perché noi vogliamo questa rivendicazione, e quale è il Governo che noi rivendichiamo e al quale parteciperemmo.

Noi eravamo in determinati governi e oggi, l’onorevole De Gasperi ci rimprovera perché quei governi non hanno fatto molte cose che noi oggi rivendichiamo. È vero. Non le hanno fatte. Ma per questo appunto noi quei governi li abbiamo criticati, per spingerli a fare quelle cose che erano nel nostro programma, nel programma degli stessi governi di cui facevamo parte. Quando l’onorevole De Gasperi ci rivolge questa critica come se ciò dimostrasse una nostra incapacità di fare parte di un Governo democratico e repubblicano, giustifica tutta la nostra azione di critica dei precedenti governi.

Desidero però porre questo problema in modo ancora più chiaro, perché si sappia molto bene che se domani ci si proponesse di entrare in un Governo come l’attuale, che facesse la politica che fa questo Governo, noi non accetteremmo mai.

Noi consideriamo questo Governo come un Governo che sempre più sta prendendo fisionomia di un ordinario comitato di affari di determinati gruppi della classe possidente italiana, dei gruppi più forti, dei grandi capitalisti, degli agrari, dei grandi industriali e delle forze che si basano sulla speculazione. Lo abbiamo del resto dimostrato. Orbene, in un Governo che abbia questa fisionomia è ben chiaro che i comunisti non ci entreranno mai e poi mai. Non è questo il Governo che noi vogliamo. (Applausi all’estrema sinistra).

Non solo le cose dette da noi, ma le cose dette da voi stessi e dai deputati del vostro Partito confermano questo nostro giudizio. La posizione presa qui dal Ministro dell’industria rispetto alle agitazioni operaie, posizione che coincide del resto, con quella espressa da un famigerato ordine del giorno pubblicato dalla Democrazia cristiana il giorno in cui si annunciava lo sciopero dei braccianti della Valle Padana, quella posizione non è ammissibile non dico per un Governo che sia sollecito degli interessi delle classi lavoratrici, ma neanche per un Governo democratico, perché essa consiste nel condannare in qualsiasi caso ogni agitazione operaia. L’onorevole Ministro dell’industria non ha distinto; ha detto puramente e semplicemente: «Tutte le agitazioni sono inconsulte». Che cosa vuol dire ciò? Vuol dire che ha sempre ragione la parte padronale. Del resto questo era il contenuto del vostro ordine del giorno all’inizio dello sciopero dei braccianti della Valle Padana. (Applausi a sinistra – Proteste al centro). Un Governo che prende una posizione simile è un Governo che prima di tutto viola le norme della democrazia. Nei conflitti del lavoro, un Governo democratico non può schierarsi in questo modo pregiudizionalmente a favore della parte padronale, anche perché ad esso potrà spettare di intervenire per comporre la vertenza nell’interesse della collettività e non della parte padronale. Una simile dichiarazione qualifica il Governo che la fa, come l’agente di una delle classi che sono di fronte nei conflitti del lavoro. In un Governo il quale ha una posizione simile noi non possiamo entrare.

Ma voglio precisare ancora di più. Il Governo che noi rivendichiamo deve essere un Governo che faccia conseguentemente una politica democratica, di unità delle forze democratiche e repubblicane e di difesa degli interessi delle grandi masse lavoratrici. E questo in tutti i campi, a cominciare da quello della politica estera.

Si è parlato qui della esistenza di due blocchi. Si è discusso se è vero o non è vero che questi blocchi esistano. Si è cercato di caratterizzarli. Qualcuno ha cercato di trovare, tra i due blocchi una terza strada. Non voglio oggi approfondire tutta la questione. È sempre più chiaro però, oggi, agli occhi dell’uomo comune, dell’uomo semplice, che per lo meno due blocchi esistono in questo senso: che nel mondo c’è qualcuno che lavora per la pace e qualcuno che lavora per la guerra e noi ci accontentiamo di una differenziazione che prenda questo come punto di partenza. Vi sono uomini e gruppi politici e sociali di natura imperialistica, che per questa loro stessa natura spingono alla guerra, reclamano la guerra, vogliono la guerra.

«Noi possiamo ancora organizzare il blocco psicologico contro la Russia», – ecco quello che scrive uno dei rappresentanti di questi gruppi. «Se non vi riusciamo, noi dobbiamo schiacciarla con la forza delle armi». Ecco il linguaggio di chi è pronto, per la difesa del proprio interesse e della propria posizione di gruppo imperialistico che vuole il dominio del mondo, a gettare tutta l’umanità nell’abisso di un nuovo conflitto mondiale.

«Bisogna produrre un grande numero di bombe atomiche per servirsene contro un dato paese» – e sappiamo tutti qual è questo paese – «senza domandarsi se vi è o non vi è una ragione di credere che quel paese sia sul punto di produrre delle armi». Questo dicono i provocatori di guerra, i gruppi che vogliono ancora una volta gettarci in questo abisso.

E non è per un caso che nel nostro Paese, in Italia, checché voi diciate, la paura della guerra si sta diffondendo sempre di più.

Un istituto che fa indagini sugli orientamenti dell’opinione pubblica, al termine di una ricerca relativa alla percentuale di cittadini che nei diversi paesi del mondo credono allo scoppio di una nuova guerra mondiale, arrivava alla conclusione che al primo posto è l’Italia: il 58 per cento dei cittadini italiani nutre questa convinzione.

Questo cosa vuol dire? Non credo che quel 58 per cento di cittadini italiani siano uomini che desiderino la guerra: essi hanno paura della guerra. Da questa massa di cittadini italiani esce un imperativo per il nostro Governo: fate una politica di pace. Ma fare una politica di pace vuol dire: schieratevi contro i provocatori di guerra, non siate al loro servizio, non siate al loro seguito, come sembra invece che voi siate e vogliate mantenervi. (Proteste al centro).

Una voce al centro. Ma se è Tito il primo provocatore di guerra!

TOGLIATTI. Vi sono potenze imperialistiche le quali sulla paura di una guerra, sul ricatto di una nuova guerra, sulla preparazione di una nuova guerra, fondano tutta la loro politica e le cui iniziative, anche se sono presentate sotto i manti più attraenti, coprono sempre una politica di preparazione alla guerra. Alla testa di queste potenze imperialistiche vi sono gli Stati Uniti, e noi reclamiamo da un Governo democratico italiano che esso mantenga la nostra indipendenza di fronte a questo paese imperialistico fomentatore di guerre. Questa è una delle condizioni di salvezza dell’Italia, questa è una delle condizioni della nostra indipendenza.

GIANNINI. Ci vuole l’unione europea. (Commenti).

TOGLIATTI. E non a caso sollevo la questione della nostra indipendenza nel momento in cui parlo della composizione del Governo e chiedo la creazione di un Governo il quale sia l’espressione di tutte le forze democratiche e repubblicane e di tutte le forze lavoratrici.

È inutile che l’onorevole Sforza metta la testa sotto il banco come lo struzzo. Anche noi abbiamo letto quelle interviste e dichiarazioni che qui sono state citate, e nelle quali è detto chiaramente che gli Stati Uniti non desiderano che il Partito comunista partecipi al Governo. Basta il solo fatto che la questione venga sollevata con chiari riferimenti a interventi stranieri nella nostra vita interna, perché la rivendicazione della partecipazione del Partito comunista al Governo d’Italia sia una rivendicazione di indipendenza del nostro Paese. (Vivissimi applausi all’estrema sinistra – Commenti al centro e a destra).

Non sarà mai né un Governo indipendente né un partito indipendente quello che accetterà da qualsiasi straniero una simile imposizione.

Una voce al centro. Voi a Mosca dite che la Russia è la vostra patria. (Rumori all’estrema sinistra).

TOGLIATTI. Noi rivendichiamo quindi, in primo luogo, da un Governo italiano il quale voglia effettivamente essere un Governo democratico, una politica estera indipendente; e condanniamo questo Governo perché non vediamo nella sua politica estera questa caratteristica fondamentale.

Nella politica interna, essenzialmente chiediamo che l’attività di tutti gli organi dello Stato sia volta a far fronte ad ogni tentativo e ad ogni minaccia – anche se lontana – di fascismo e neo-fascismo. Questo è oggi il compito di un Governo che voglia veramente essere rispettoso delle nuove istituzioni democratiche e repubblicane: non già quello di andar cercando se nei manifesti nostri si manchi di rispetto al Ministro dell’interno, per poi lasciare impuniti gli attentati che si commettono contro le organizzazioni dei lavoratori.

E quando scoppiano manifestazioni come quelle recenti, o come quelle che ancora sono in corso in Sicilia per la ripartizione dei feudi siciliani a beneficio delle masse lavoratrici, non è compito del Governo mandare la celere, le jeeps e i mitra contro i lavoratori i quali si son fatti promotori di rivendicazioni sociali che rispondono a un’esigenza altamente sentita in tutto il Paese: il compito del Governo è quello di essere alla testa di questo movimento, movimento sociale profondamente rinnovatore, che tende al progresso di tutta la Nazione. (Vivi applausi all’estrema sinistra).

Noi chiediamo, infine, che il Governo abbia una politica economica, sia essa più o meno pianificata, la quale nelle sue sostanziali misure sia diretta a impedire il crollo della nostra moneta, e sia diretta ad elevare il tenore di vita delle masse lavoratrici, combattendo la speculazione e prendendo in tutti i campi quelle misure che sono necessarie affinché questi scopi vengano raggiunti. È soltanto ad un Governo che soddisfi queste rivendicazioni che noi potremmo dare la nostra adesione.

Si comprende, quindi, quale è il significato della nostra richiesta di un nuovo Governo.

Un nuovo Governo vuol dire per noi una composizione governativa nuova, con un programma nuovo: con un programma di politica estera, di politica interna, di politica economica e finanziaria, che sia effettivamente nell’interesse delle grandi masse lavoratrici, di tutto il popolo, di tutta la Nazione. Un Governo simile io non so se sarebbe Governo di unità nazionale – anche questo rimprovero ci è stato rivolto: di servirci troppo di frequente di questo termine – un Governo simile sarebbe però certamente un Governo che avrebbe l’appoggio di tutte le forze democratiche e repubblicane del Paese.

Uscirà da questo dibattito un mutamento della attuale formazione governativa? Non lo so. Ogni Gruppo è posto di fronte alle proprie responsabilità. Di fronte alla propria responsabilità è posta però, prima di tutto, questa Assemblea. Questa Assemblea, in tutti i suoi partiti, deve dimostrare di saper comprendere quali sono le odierne esigenze fondamentali della nostra vita nazionale e di saperle sodisfare; e i partiti qui rappresentati, grandi e piccini, devono saper valutare quali sono le trasformazioni avvenute nello spirito pubblico dopo il 2 giugno e che le consultazioni elettorali hanno rivelato e riveleranno ancora una volta domani; devono saper comprendere quali sono i pericoli che minacciano la nostra indipendenza, la nostra libertà, la nostra moneta, il tenore di vita delle nostre masse lavoratrici, e far fronte a questi pericoli con uno sforzo unitario di tutte le forze democratiche e repubblicane.

Si metterà la nostra Assemblea su questa strada? Dimostrerà di saper comprendere queste esigenze? Dalla risposta che essa darà dipende il giudizio che il popolo darà dell’Assemblea. Non dimenticate, infatti, che per qualunque voto che qui venga dato vi è una istanza di appello, sempre: la consultazione del corpo elettorale; il popolo, chiamato liberamente a esprimere la propria opinione attraverso l’elezione dei propri rappresentanti.

Questo Governo si presentò promettendo che una delle sue cure principali, forse la principale delle sue cure, sarebbe stata quella di portarci, nel corso di questo autunno, alla consultazione elettorale, come mezzo radicale per risanare l’atmosfera politica. Era la prima delle promesse fatte da questo Governo; ed è stata la prima delle promesse non mantenute, contraddette, tradite (Commenti al centro – Proteste a sinistra).

Il problema rimane, onorevoli colleghi, qualunque sia il voto che tra poche ore qui verrà dato: il giudizio definitivo spetta al popolo italiano, che lo darà fra otto giorni a Roma, tra qualche mese in tutto il Paese.

Dimostri l’Assemblea Costituente di non essere in contrasto con lo spirito che prevale nelle grandi masse del popolo lavoratore, il quale aspira a un rinnovamento della nostra vita nazionale e della nostra attività governativa.

Quanto al nostro Partito, onorevoli colleghi, particolarmente da parte democristiana e da parte dei socialisti riformisti, stiamo assistendo a un curioso accentuarsi delle lotte contro di noi, delle polemiche contro di noi, delle calunnie contro di noi, (Interruzioni al centro) delle diffamazioni contro di noi, e di una tendenza alla persecuzione, per quanto ancora in embrione (e vorrei vedere che fosse diversamente con la forza che abbiamo!).

Vi ho detto altra volta (e qualcuno di voi ha finto di non capire cosa dicessi) che veniamo da lontano e andiamo lontano. E vi ho detto dove andiamo.

Una voce a destra. In Russia.

TOGLIATTI. Sì collega, noi vogliamo creare in Italia una società socialista. In Russia esiste una società socialista. Noi creeremo una società socialista secondo il metodo nostro, nelle condizioni obiettive del nostro Paese, tenendo conto di tutto quello di cui occorrerà tenere conto, come già abbiamo dimostrato di saper fare.

Noi consideriamo questa marea anticomunista, che da diverse parti si cerca di scatenare, con la più grande tranquillità. Siamo sicuri non solo del nostro passato, ma del nostro avvenire.

Vorrei leggervi alcune parole di uno dei nostri grandi, Federico Engels, scritte quando in Germania, contro il movimento socialista di allora, si scatenava pure una marea di insulti, provocazioni, calunnie e misure persecutorie contro il movimento socialista. Sapete che cosa rievocava quel nostro grande di fronte a questa offensiva? La storia del cristianesimo! (Commenti al centro).

«Sono passati quasi 1600 anni – scriveva egli – da quando nell’impero romano agiva ugualmente un pericoloso partito sovversivo. Esso minava la religione e tutte le basi dello Stato; negava che il volere dell’imperatore fosse la legge suprema» (e noi neghiamo, appunto che la legge suprema, sia la volontà dei plutocrati e dei capitalisti), «si estendeva in tutte le terre», «era internazionale», «aveva fatto per un lungo periodo di tempo un lavoro segreto, sotterraneo» (come l’abbiamo fatto anche noi, contro il fascismo), «ma già da parecchio tempo si sentiva abbastanza forte per mostrarsi alla luce del sole. Questo partito sovversivo, conosciuto con il nome di Cristianesimo, era anche fortemente rappresentato nell’esercito, intiere legioni erano cristiane» (come erano comuniste, nella loro maggioranza, le gloriose nostre unità garibaldine); «quando erano comandati per far servizio d’onore nelle cerimonie dei sacrifici della Chiesa di Stato… i soldati sovversivi spingevano la temerità sino a porre, sui loro elmi in senno di protesta distintivi particolari». «L’imperatore Diocleziano, non potendo assistere al modo come l’ordine e la disciplina venivano minate, prese delle misure energiche contro i socialisti, voglio dire contro i cristiani: le riunioni dei sovversivi vennero proibite, i loro locali chiusi…, i distintivi vennero proibiti… si proibì ai cristiani di domandare giustizia davanti ai tribunali. Anche questa legge eccezionale rimase senza effetto. I cristiani la strapparono dai muri per scherno. Si dice anche che essi abbiano persino incendiato il palazzo dove si trovava l’imperatore e allora questi si vendicò con le grandi persecuzioni dell’anno 303. Essa fu l’ultima del genere. E fu così efficace che diciassette anni dopo l’esercito era composto in grande maggioranza di cristiani e il successivo autocrate di tutto l’impero romano, Costantino, che i preti chiamano il Grande, proclamò il cristianesimo religione dello Stato». (Applausi).

Anche noi, onorevoli colleghi, abbiamo una grande fede e non vi è marea di calunnie, di accuse, di insinuazioni, di provocazioni e di misure poliziesche che possa scuoterla o sconfiggerla.

Una voce dal centro. Ma il capo di quegli altri è Cristo, figlio di Dio. Voi non l’avete.

TOGLIATTI. Non vi dico che andremo avanti, vi dico che già andiamo avanti sicuri di ogni nostro passo e del nostro successo finale. La causa della libertà, della democrazia, del socialismo per cui noi combattiamo è una causa di cui la vittoria è sicura. (Vivissimi applausi all’estrema sinistra – Moltissime congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Saragat.

SARAGAT. L’Assemblea è stanca. Deve sentire ancora il Capo del Governo, e deve votare. Sarò brevissimo. Innanzi tutto, il terreno della discussione si è spostato.

Qui c’è un problema di Governo, su questo mi voglio soffermare. Ho poco da aggiungere a quello che ho detto ed a quello che hanno detto gli altri oratori del nostro Gruppo. Noi neghiamo la fiducia a questo Governo e la neghiamo per ragioni economiche e per ragioni politiche.

Abbiamo detto che non potevamo associarci ad altre mozioni: abbiamo presentato anche noi una mozione di sfiducia; ed è su quella che votiamo. Quanto abbiamo udita da parte degli oratori del Governo a difesa della sua politica non ci ha convinti.

Noi, più che mai, pensiamo che la soluzione dei problemi che interessano oggi il popolo italiano, la si può trovare soltanto nel quadro di una economia seriamente controllata. Noi chiediamo l’economia pianificata. È su questo punto che voglio molto rapidamente intrattenere l’Assemblea.

Secondo me, si è fatta confusione da alcuni oratori intorno a questo concetto di economia pianificata. Anche l’onorevole Nitti, se non erro – nonostante la sua competenza – ha fatto confusione fra economia pianificata e controllata. L’economia vincolistica non ha nulla di comune con la economia pianificata. L’economia vincolistica pone remore, senza un criterio organizzativo, alla iniziativa individuale. Noi intendiamo per economia pianificata un’altra cosa, del resto come tutti coloro che si occupano di questi problemi in Europa.

Un’economia pianificata presuppone un punto di vista centrale per tutti i problemi nazionali ed è una economia che lungi dal porre remore alle iniziative individuali è, in molti casi, un incentivo per queste iniziative. Vorrei fare qualche caso, molto banale: c’è chi pensa, per esempio, che il giorno in cui il Governo si avvia per la strada dell’economia pianificata, il lustrascarpe all’angolo non potrà lustrare le scarpe se non giungono gli ordini dal Governo. Molti colleghi hanno denunciato il fatto che a Milano si stanno costruendo case di quindici vani a due milioni e mezzo il vano; questo vuol dire che c’è gente che può spendere 40 milioni per comprare queste case; vuol dire che ci sono in Italia energie umane, cemento e ferro che vengono impiegati per fare queste case di lusso, quando ci sono ancora dei villaggi distrutti che attendono la ricostruzione. L’economia pianificata servirebbe ad evitare tutto questo sconcio e ad avviare l’economia verso forme più redditizie ed eque per il Paese. L’economia pianificata non è altro che questo: un’organizzazione più razionale degli sforzi e nello stesso tempo un incentivo a perequare meglio il reddito nel nostro Paese ad evitare le iniquità che esistono in Italia tra classe e classe, tra ceto e ceto, tra regione e regione. È una cosa che ci pare stupefacente, che qui in Italia non si arrivi a comprendere, ciò che tutti i Paesi d’Europa comprendono. Noi sosteniamo questo criterio della pianificazione, che invece di spezzare le iniziative individuali le suscita nel Paese, ma nell’interesse collettivo, nell’interesse di tutti.

Voglio accennare brevemente all’aspetto politico del problema, che è quello che ci interessa di più. Questo Governo è un Governo che non può permanere, così com’è. Se anche dovesse rimanere così com’è, noi non potremmo accettarlo perché non risponde agli interessi del Paese. Ma c’è di peggio: questo è il Governo che, lasciato a se stesso, secondo la logica delle cose, dovrà spingersi verso destra. Questo è il problema che ci interessa di più in questo momento. Il problema come noi ora lo poniamo è di suscitare le forze sufficienti per spostare questo Governo verso sinistra. Qui sono state mosse a noi delle accuse, di volere non sappiamo quali esclusioni ed accuse di colpe che non sono nostre. La situazione è quella che è, il Governo è quello che è perché voi (Accenna alla estrema sinistra) avete fatto la politica che avete fatto durante tre anni. (Commenti a sinistra). Se aveste fatto una politica diversa non saremmo a questo punto. (Interruzioni a sinistra). Il problema obiettivamente posto è questo: riunire le forze concrete che possono ristabilire l’equilibrio spezzato dagli errori che voi avete commessi in passato. Questo è il punto fondamentale. Bisogna cercare di ristabilire l’equilibrio spezzato. L’onorevole Nenni si è rivolto alle forze di sinistra della Democrazia cristiana ed ha fatto un appello, appello che io apprezzo e che penso si possa fare. Esse hanno una seria responsabilità in questo momento. Ma io faccio appello ad un’altra forza che penso abbia una responsabilità maggiore in questo momento. Io credo che essa sia l’unica che possa determinare una situazione nuova in Italia: essa è costituita dalle forze del socialismo autonomo e qui dovrei veramente iniziare una polemica con l’onorevole Nenni e con l’onorevole Togliatti. Non lo farò, perché mi porterebbe lontano ed acuirebbe il dissidio esistente tra noi e loro. Ma c’è una cosa, che l’onorevole Nenni elude: il problema che in questa Europa contemporanea si pone in maniera dominante: il problema della libertà umana. (Applausi al centro – Proteste a sinistra).

C’è uno scrittore francese, che non è di parte socialista, ma è un uomo il quale ha seguito con entusiasmo la lotta operaia, che ha partecipato con tutto il suo spirito alla lotta per la Spagna repubblicana, il quale diceva una cosa, che voglio ripetervi, che forse non so se si capirà da quella parte (Indica l’estrema sinistra): «Nulla separa il socialismo dal comunismo, salvo qualche abisso». E quando vedo spalancarsi un abisso, come quello dell’altro giorno, che è l’affare Petkow, io ho il diritto di dire che l’abisso c’è. (Applausi al centro – Proteste a sinistra).

Ma io vorrei chiudere questa polemica inutile. Ci vuole oggi, da parte dei socialisti, un grande senso di responsabilità. Io so che la contradizione è nelle cose. Lo so, ma appunto per questo tu (Si rivolge a Nenni) avresti dovuto avere maggior senso di responsabilità, nei mesi passati, negli anni passati. Se la situazione è quella che è nel tuo partito e nel nostro, la colpa è tua. (Applausi al centro – Proteste all’estrema sinistra – Interruzioni del deputato Nenni).

Questi sono problemi che trovano la loro sede naturale in un Congresso socialista. Ma tu non hai creato un’atmosfera democratica nel seno dei tuoi congressi, di modo che noi ci siamo trovati stranieri in casa nostra ! (Interruzioni all’estrema sinistra – Interruzione del deputato Nenni).

Il problema oggi è questo: noi cerchiamo che si crei in questa Assemblea un raggruppamento di forze di sinistra, profondamente democratiche, per poter risolvere il problema di Governo. Io accetto quindi l’appello fatto alle forze della Democrazia cristiana di sinistra. Lo estendo ad altre forze, soprattutto ai socialisti autonomi di tutte le correnti. Vorrei fare un appello anche a loro per dire che è da un atto di coraggio dei socialisti che dipende in questo momento la salvezza del nostro Paese. (Applausi al centro).

(La seduta, sospesa alle 19.10, è ripresa alle 19.45).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Presidente del Consiglio dei Ministri.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Onorevoli colleghi, sono lieto di poter dare una notizia di pace sociale. Poco fa si è conciliata la vertenza delle terre incolte nel Lazio fissando una procedura di Commissioni conciliative e di ricorso eventualmente in ultima istanza al Ministero dell’agricoltura, come del resto è previsto per legge.

Così possiamo dire di avere evitato ogni pericolo di sciopero generale. (Applausi al centro). Aggiungo ancora che anche lo sciopero dei bancari è stato superato, cioè la minaccia dello sciopero a Roma e lo sciopero in attuazione a Livorno. Vi sono fortissime speranze, direi quasi la certezza, di concordare anche circa la vertenza dei tessili. Dandovi queste notizie di pacificazione sociale, io colgo il destro per ricordarvi una questione della quale in questo dibattito non si è mai accennato: non c’è stato forse mai Governo che, in così breve periodo, abbia mediato vertenze sindacali in così gran numero e con esito felice per la classe lavoratrice, come dal giugno a questa epoca. Ed io qui compio il dovere di ringraziare in modo particolare coloro che hanno partecipato alle trattative: per le ultime, specialmente il Ministro Segni, l’onorevole Marazza, il collega Fanfani; per le prime (quelle che trattavano il caro-vita), gli stessi oltre l’Alto Commissario per l’alimentazione. Io devo ricordare che fin dalla prima settimana di attività del nuovo Governo, prima ancora della presentazione alla Camera, già si erano iniziate conversazioni con la Confederazione del lavoro per la questione degli impiegati statali, e che queste trattative, che erano pure laboriose e che imponevano senza dubbio grossi carichi allo Stato, vennero concluse col concedere una media del 30 per cento di aumento, il che importò 62 miliardi di nuova spesa.

Pochi giorno dopo si deliberarono anche miglioramenti ai pensionati, in relazione agli stipendi, e ciò importò nove miliardi 700 milioni di spesa.

Una settimana più tardi si decise l’aumento delle pensioni di previdenza amministrate dalla Cassa depositi e prestiti, per 220 milioni.

Il giorno 20 agosto nuove misure per le paghe degli appartenenti alle Forze armate, per due miliardi e 200 milioni.

Si approvò, poi, nel Consiglio dei Ministri del 22 luglio, la deliberazione concernente i miglioramenti economici ai pensionati di guerra quattro miliardi e 600 milioni.

Se si somma il complesso di queste cifre e si unisce all’onere annuale il caro-vita, nei rispettivi scatti in favore degli statali, si arriva a dover far fronte ad una maggiore spesa di 122 miliardi e 720 milioni. Nello stesso periodo venne anche approvato il contratto della gente di mare.

Ciò non è proprio una prova che il Governo trascuri completamente le classi lavoratrici e, soprattutto, come mi è stato detto da qualche oratore, che il Governo eviti di intervenire nei conflitti di lavoro, ed eviti i contatti con la Confederazione del lavoro. I contatti con la Confederazione del lavoro vennero tenuti anche molto vivi ed intensi durante il breve periodo di vacanze ministeriali, nelle discussioni sopra i progetti della Confederazione per il caro-vita, e, in quelle discussioni, i nostri tecnici, in modo particolare l’Alto Commissario, ebbero occasione di dimostrare l’impossibilità di applicare, come è dimostrato dai censimento, il sistema differenziato per il grano.

Ciò non toglie che poi, in tutta la campagna di stampa, fino agli ultimi giorni, fino all’adunanza del 20 settembre, si continuò a dire che la soluzione per il grano è nel sistema differenziato. Ciò non toglie che la prova sia stata ripetuta dall’Alto Commissario, come chiarito in un discorso molto dettagliato, che però le opposizioni in genere hanno disertato; il che vuol dire che si continua a ripetere certe frasi e certi postulati, di cui si dimostra l’impossibilità di realizzazione. (Interruzione del deputato Di Vittorio). Caro Di Vittorio, lasciami dire che già con te abbiamo avuto occasione di esprimere i nostri pensieri.

Si deve osservare che in base a queste discussioni, subito dopo il Ferragosto, ci fu una serie intensa di Consigli dei Ministri per affrontare il problema del caro-vita e per vedere cosa si potesse fare.

Abbiamo affrontato prima di tutto la questione dei cereali e ci siamo trovati dinanzi ad una dura realtà, che avevamo bisogno di importarne per 48 milioni di quintali. Tuttavia, in questo periodo, non è che abbiamo dimostrato una qualche idea pregiudizialista contro il sistema differenziato, – infatti abbiamo applicato il trattamento differenziato per l’olio e lo zucchero. Di più per la prossima campagna granaria, avremo la possibilità di applicare il trattamento differenziato anche per il grano, cioè per quel contingente che verrà vincolato dallo Stato, perché una delle categorie, e forse anche due categorie previste, potranno, sodisfare le loro esigenze sul mercato libero.

C’è quindi una concezione, un programma, un piano – se così volete chiamarlo – molto chiaro, che è risultato da studi, da elaborazioni, da discussioni. E qui io avrei desiderato che la Camera – approvi o condanni questo Governo – avesse affrontato sul serio i problemi economici, perché il Paese ed il nuovo eventuale Governo sappiano quali sono le difficoltà che si debbono affrontare e sappiano, soprattutto, che è assolutamente necessario che noi si importi del grano, ed in misura notevole, se non si vuol diminuire la razione.

In quelle discussioni, abbiamo anche tracciato un piano – la parola ormai è di moda – per cui occorrono contributi dall’estero. Avete anche sentito parlare di un trattato con l’Argentina ed io vi posso dire che proprio questa mattina è arrivato un telegramma che annuncia che è stato siglato. (Commenti). Avete sentito parlare del prestito con il Canada, avete sentito parlare delle trattative con la Banca delle esportazioni ed importazioni e delle trattative della Banca internazionale di cui si è occupato il Vicepresidente Einaudi a Londra.

Già in queste trattative si manifesta un programma di approvvigionamento e di finanziamento, che ha di necessità richiesto il consiglio di tecnici e la deliberazione di tutti i Ministri. E il Governo ha preso le sue responsabilità per questa strada.

Anche per i prezzi, abbiamo studiato il problema e siamo addivenuti alla conclusione che, con quell’organismo che possediamo, non siamo neppure in grado di diminuirne o di attutirne le punte estreme se prima non si istituisce una specie di camera di consumo, donde nascano convinzioni discusse e meditate e se, in secondo luogo, non avremo in precedenza disposto un corpo di ispettori, accertatori, i quali stabiliscano i costi tanto della materie prime, quanto della produzione.

Questo solo può essere un elemento indispensabile por poter agire sui prezzi. Certo è che noi ci troviamo dinanzi ad una grossa questione. La questione è che le importazioni di grano e di carbone vengono dall’estero e vengono anche dall’estero altre importazioni di materie prime, i cui prezzi all’estero aumentano. Quindi anche se dall’interno non ci fosse quella spinta che c’è all’aumento, noi dovremmo ugualmente subire questo aumento, che ci viene dal di fuori.

Oltre a ciò, siamo sotto uno sforzo notevole per inserirci nell’equilibrio mondiale della moneta.

In quelle sedute abbiamo anche dato delle garanzie solidali e non più ausiliarie dello Stato, fino al 70 per cento, per il finanziamento degli enti di consumo. Questo rende possibile ai comuni di esigere questo fido in quanto che il 50 per cento è garantito nella stessa misura da parte dello Stato.

L’onorevole Togliatti prima, l’onorevole Lizzadri poi, hanno detto che il Governo non fa nulla per i lavoratori.

Ora, giudichi l’Assemblea: dal 2 giugno al 2 ottobre, per i provvedimenti presi in materia di aumento delle pensioni della previdenza sociale, aumento degli assegni familiari, delle prestazioni per infortunio e malattie e di integrazioni salariali, di aumento delle indennità di disoccupazione et similia, il Governo ha imposto un trasferimento di ricchezza dagli abbienti ai lavoratori, per il periodo dal luglio 1947 al giugno 1948, di oltre 80 miliardi di lire. Ho qui i dati, naturalmente in dettaglio; e la loro somma porta a questo risultato.

Se, accanto alle critiche, accanto agli attacchi e alle accuse di insufficienza politica, o di insufficienza dei provvedimenti economici, ci fosse stata nella stampa avversaria anche qualche considerazione, qualche notizia di questi provvedimenti, non mi lagnerei. Ma in realtà una certa stampa – è inutile che la nomini – pregiudizialmente esclude qualsiasi notizia concreta, positiva, che possa, per caso, sembrar utile, o che possa sembrare in favore della politica del Governo. Ecco perché ci siamo trovati dinanzi ad un’agitazione, dopo la costituzione del nuovo Governo, di cui poche volte abbiamo avuto l’esempio. Io sono stato subito descritto come il «cancelliere», ogni provvedimento del Governo ignorato, tentativi di impedirci la parola, tattica di esasperazione dei conflitti; sospetti sul Governo nero, reazionario, che fosse – come diceva il mio ex collega Morandi – prono al capitale e sordo alle sofferenze dei lavoratori; sospetti su ogni negoziato in America, sospetti sul piano Marshall; accuse di essere affamatori, in tutte le piazze.

Qualcuno, mi pare l’onorevole Labriola, ha portato l’esempio di Giolitti, il quale si rideva di quello che stampavano e delle figure che comparivano su un giornale umoristico; ebbene, dei giornali umoristici non mi interesso, ma della propaganda sulle masse, della suggestione sulle masse, su certe masse, alle quali non ci riesce di far arrivare una parola di verità o di conciliazione, questa sì, dico, è una situazione che in Italia dovrebbe cessare. (Applausi al centro – Commenti a sinistra).

DUGONI. Create il Ministero della stampa e propaganda!

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Credete, egregi avversari, io non pretendo troppo dalla stampa avversaria: riconosco che l’Avanti! deve scrivere come l’Avanti! e l’Unità come l’Unità; però se davvero c’era in loro il desiderio di ricostituire una coalizione, una maggioranza, una collaborazione come era stata nel passato o simile a quella, in ogni modo una collaborazione con la Democrazia cristiana, cogli uomini che la Democrazia cristiana ha mandato a questo Governo, si doveva evidentemente seguire un’altra tattica, perché la tattica del ricatto, della pressione pubblica per farci mettere in ginocchio, a terra, e farci accettare una collaborazione a qualunque prezzo, questa tattica non riesce assolutamente quando un partito ha la propria dignità da difendere. (Applausi al centro).

Non crediate che tutto questo sia avvenuto semplicemente per esuberanza o esasperazione di masse non organizzate. La circolare del 16 agosto dell’onorevole Togliatti, che dice: «Noi intendiamo per opposizione un seguito – questa è la circolare interna, un’enciclica entro il partito – di agitazioni, di lotte, di natura sia economica che politica, le quali portino a manifestare la loro opposizione al Governo ed a schierarsi contro di esso la parte importante della popolazione. Ciò che si è fatto è stato quasi esclusivamente di natura sindacale. Sono mancati agitazioni e movimenti legati a motivi di altra natura. La nostra opposizione al Governo mantiene, quindi, per ora, un carattere più verbale che di lotta». Dico che questo…

TOGLIATTI. Questo è democrazia!

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Questo è democrazia, ma non democrazia parlamentare. (Proteste a sinistra). Comunque, onorevole Togliatti, se questa è democrazia, è certo che per lo meno non è democrazia di collaborazione o democrazia che possa fondarsi sulla collaborazione. (Interruzioni a sinistra).

Una voce a sinistra. È opposizione.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Anche l’opposizione può contribuire al progresso sociale e politico quando si tenga entro certe linee che evidentemente salvaguardino la verità e la coscienza.

Una voce a sinistra. Come diceva Mussolini..

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Dei pareri di Mussolini non sono responsabile.

Io non voglio dire che i movimenti siano stati senz’altro politici; senza dubbio gli scioperi e le vertenze sindacali hanno, la maggior parte, un’origine ed un contenuto sindacali; però è un fatto, che da giugno al settembre gli scioperi furono in continuo aumento: 287 nel giugno, 215 in luglio, 259 in agosto, 400 in settembre, fino al 18 settembre!

Una voce a sinistra. Come l’aumento dei prezzi.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. In complesso abbiamo avuto in questo anno 2617 scioperi con 4.851.523 scioperanti.

Badate, di scioperi ne ho diretti anche io e non ho nessuna pregiudiziale contro lo sciopero di per sé, come misura di difesa sindacale. Però lo sciopero continuo, intensificato, come arma ordinaria, non solo si spunta per ottenere l’effetto contrario, ma in ogni caso crea una tale irrequietudine che assume un aspetto politico. Ci pensino coloro che devono pur tener conto anche dell’impressione che si produce al di fuori di qui, dell’impressione che possono avere coloro che hanno volontà di lavorare e di far lavorare, e ci pensino soprattutto per la produzione!

Ammessa e sancita nella Costituzione la libertà di sciopero, nella stessa Costituzione è però prevista anche la regolamentazione dello sciopero; è necessario che si arrivi a dare carattere di diritto pubblico alle organizzazioni sindacali per poter creare una procedura, che renda lo sciopero non uno strumento ordinario, ma solo eccezionale della lotta sindacale, ed è evidente che quando essi sono troppi e frequenti, non hanno più tale carattere. (Interruzioni a sinistra).

Si deve arrivare all’arbitrato! Una volta abbiamo proposto in Consiglio dei Ministri, al Ministro del lavoro, di presentare un progetto di legge sull’arbitrato, e lo aveva anche elaborato, ma è venuto il veto dal di fuori.

Ora, io credo che, se non saremo più in grado, noi, come Assemblea Costituente, di fare una simile legge, dobbiamo metterci d’accordo tutti nei prossimi Parlamenti, nelle prossime Camere, per affrontare questo problema che salvaguardi la libertà dello sciopero, che non conduca ad una coazione sotto una sentenza di giudice, ma che almeno faciliti l’arbitrato e la soluzione arbitrale.

Riguardo alla collaborazione della Confederazione del lavoro, ne abbiamo avuto molta. Ne avremmo avuta di più se, dopo le discussioni che si facevano molto amichevolmente fra rappresentanti della Confederazione del lavoro e rappresentanti del Governo, non ci fossero stati dei giornali i quali inquinavano tutte queste discussioni con un veleno politico, rendendo difficile la cordialità che è necessaria, quando le difficoltà sono grandi e si devono superare con un tono di amicizia. Mi auguro che la Confederazione diventi forte, che rimanga unitaria, ma deve assolutamente essere fuori dei partiti, deve essere indipendente da qualunque partito. Allora si potranno citare le Trade Unions qui, come si è fatto in Inghilterra, perché c’è un contributo laburista che è superiore alle divisioni politiche. Allora sì che la Confederazione potrà essere una forza che nessuno toccherà e che i nostri dissensi politici non metteranno in pericolo (Applausi). Voi troverete, egregi avversari, o avete già trovato per bocca di Nenni, che io esagero quando mi lamento del contegno dei giornali, di qualche manifesto, ecc. Qualche? Presentatemi la raccolta dell’Avanti! e trovatemi un numero in cui non si attacchi violentemente il Governo, un solo numero! (Commenti a sinistra). Dico questo, egregi colleghi, perché è un’analisi clinica che potrà farci del bene, ma voi dovete persuadervi che questo sistema di agitazioni politiche crea un’atmosfera impossibile alla collaborazione di Governo.

Una voce a sinistra. È democratico.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Se è democratico, vuol dire che non è della nostra democrazia. (Applausi al centro). Esempi ne abbiamo avuto nei passati Governi e non è, come ha accennato l’onorevole Nenni, che io mi sia lagnato qualche volta di qualche contraddittorietà. No, mi sono lagnato sempre dopo aver tentato in ripetuti regolamenti, convenzioni, gentlemen’s agreements, ecc.; dopo aver tentato tutto questo, mi sono lagnato in modo definitivo, quando il tripartito si è sciolto. È così vero che questa esasperazione della lotta politica alla periferia crea imbarazzo ai parlamentari che usano una tattica più prudente, che Togliatti, in quella circolare che ho accennato continua a dire, lamentandosi verso i comunisti che trattano troppo male i democristiani: «la maggioranza del partito ha praticamene ignorato la direttiva che tendeva ad impedire che si creasse un abisso fra noi e i democristiani ed inh particolare fra le nostre masse e i democristiani. Insensibilmente il partito tende a scivolare nel terreno della lotta aperta e violenta contro la Democrazia cristiana e le sue masse. Così avviene che la nostra propaganda perde ogni capacità di attirare le masse dalla Democrazia cristiana ed anche dalla destra reazionaria, che ha tutto l’interesse che non ci sia alcun contatto di nessun genere, ma solo lotta aperta fra noi e i democristiani». (Commenti a sinistra).

Io non voglio ripetervi quello che mi è stato detto, ripetutamente, anche durante l’ultima crisi e quello che è stato detto qui, da questo banco, da questo posto, in risposta alle accuse che mi sono state mosse nell’ultima crisi. È inutile che ripeta le stesse cose e le stesse prove e faccia le stesse affermazioni perché voi le negate ostinatamente o ripetete la stessa versione.

Comunque, guardiamo pure l’avvenire. L’esperienza, a me che sono stato per tre anni collaboratore dei socialisti e dei comunisti, e prima ancora dei liberali nei Governi dei Comitati di liberazione o nei Governi tripartitici, a me l’esperienza ha portato questi risultati: fino a che la meta rimane la conquista del potere, sia pure attraverso le elezioni, ma conquista del potere mediante un patto d’azione tra i due partiti che si trovano in posizione di particolare privilegio in confronto del terzo partito; fintanto che dura questa situazione, è assolutamente impossibile che un partito rischi il suo credito e un Governo non si svaluti in una situazione di contradizioni che si manifesta soprattutto non nell’interno, – perché nell’interno di un Consiglio ci si trova quasi sempre fra uomini ragionevoli – ma nelle lotte e nei riflessi che le divergenze generano nella stampa nella pubblica propaganda. Può essere, e mi auguro, egregi colleghi, che quando sarà combattuta la battaglia elettorale e quando saranno decise le maggioranze, la situazione cambi. Può essere. Mi auguro sia così. E quando abbiamo fatto questo Governo speravamo che le elezioni avrebbero potuto esser fatte al più presto. (Commenti a sinistra).

Questa marcia comune dei socialisti e comunisti, la quale si richiama naturalmente allo stesso movimento psicologico, alle stesse origini marxiste, fino alla dittatura del proletariato, questa marcia rende sospetta e difficile ogni attività. (Interruzioni a sinistra).

Una voce a sinistra. Si potrà arrivare alla democrazia.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Si potrà arrivare a una «democrazia» non occidentale, chiamiamola così; ma questa è un’altra cosa. (Applausi al centro – Commenti a sinistra).

Il bloccardismo, che si poggia non su una confluenza d’interessi proletari – perché certo bloccardismo manifesta un campionario di gradazioni sociali molto variopinte – ma su un certo bloccardismo massonico di vecchia maniera, è la seconda caratteristica che ha reso impossibile la continuazione dei Governi tripartiti o simili.

Lo so, l’amico onorevole Macrelli propone la ricostituzione di un Governo su larga base, senza nessuna esclusione a sinistra: mettendo però – e lui l’ha sentito per l’esperienza che ha fatto nel passato – delle condizioni che permettano di dire: «a patto che ci si dia una stretta di mano fra galantuomini e si cambino i metodi passati». A queste condizioni, se potessi averne la fiducia, lo farei; ma disgraziatamente ho perso la fiducia prima che voi la togliate a me. (Applausi al centro).

Tutti coloro che credono che un simile Governo significherebbe la pacificazione in un periodo elettorale, si ingannano. È una illusione; e quindi credo che il rischio non meriti la candela.

È assolutamente necessario che si cambi metodo.

Una voce a sinistra. È già cambiato.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Come volete!

Io ho sentito il discorso dell’onorevole Nenni che mi ha scombussolato. Mi sono fatto portare subito il testo della mozione per vedere se avesse proposto la fiducia invece che la sfiducia, considerato il tenore, il tono e l’invito che proveniva dalle labbra dell’onorevole Nenni. Ho trovato che il testo è ancora quello.

Ma come volete che noi accettiamo questi inviti singoli, che saranno anche sinceri come espressione dello stato psicologico di un determinato momento, quando poco prima un altro collega, l’ex Ministro onorevole Morandi, ci ha accusato semplicemente d’esser sordi alle sofferenze del popolo e proni al capitale? E quando un altro ex collega ha avuto la perfidia d’insinuare che la scelta dei Ministri fu fatta per far piacere all’industria del Nord contro gli interessi del Mezzogiorno? (Proteste a sinistra – Interruzione del deputato Musolino). Io aggiungo un’altra ragione che riguarda la contingenza storica. Ditemi: come avremmo potuto fare a deciderci subito alla partecipazione alla Conferenza di Parigi ed al «Piano Marshall» se fossimo stati nel tripartito ed avessimo avuto dentro i rappresentanti di quell’opinione che si manifesta nei giornali assolutamente contraria al piano Marshall ed a tacitare l’invito dell’O.N.U.?

Togliatti ha affermato, ed io stesso lo dico, che ci sono nelle linee generali della politica estera delle differenze talmente approfondite che la collaborazione in un momento in cui la politica estera è anche politica interna ed economica, è inefficace, contraddittoria ed è tempo perduto. (Applausi al centro – Commenti a sinistra).

TOGLIATTI. L’ambasciatore americano…

DE GASPERI, Presidente del Consiglio. Voi sentite le interruzioni di Togliatti? Potete immaginare che io possa sedere ad uno stesso tavolo con lui che dice: sarà l’ambasciatore americano, ecc., ecc.? (Applausi al centro e a destra).

Riguardo alla politica estera, poiché ci siamo, debbo osservare la facilità con la quale Nenni è passato sopra alla decisione americana che ci è stata ufficiosamente comunicata questa sera, dicendo che era una cosa scontata, perché si sapeva benissimo che l’America e la Gran Bretagna avrebbero, ecc., ecc. Io dico: 1°) dell’Inghilterra non sappiamo nulla; 2°) l’America aveva espresse le sue intenzioni: me l’aveva detto personalmente Truman, come ha ricordato il Ministro Sforza, ma altro è il dire altro è prendere una decisione. E la decisione, evidentemente, si poteva prendere solo dopo la ratifica del Trattato di pace da parte nostra.

Dovrei anche aggiungere, ma non voglio inasprire la polemica, una considerazione che si potrebbe fare circa la nostra ammissione all’O.N.U.

PERTINI. Mi pare che di asprezza ce ne sia abbastanza.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Sì, è vero, ce n’è abbastanza, ma noi avevamo diritto di entrare nell’O.N.U., perché fra l’altro, nell’introduzione di quel Trattato di pace che noi abbiamo firmato c’è l’impegno di tutti e quattro gli alleati. Noi avevamo questo diritto e nessuno poteva togliercelo senza mancare fede a quell’impegno del Trattato. (Vivi applausi al centro e a destra – Commenti a sinistra). Io dico soltanto che se ciò è accaduto, è avvenuto per la combinazione di altre situazioni che non ci riguardano. Io non voglio emettere nessun giudizio su coloro che questa decisione hanno preso. Però permettetemi di meravigliarmi, che quando si parla dell’O.N.U., da quella parte ci si lanci contro il Governo come quella colpa fosse nostra, e da quella parte non si dica una parola di coloro che hanno impedito il nostro ingresso. (Applausi al centro e a destra – Commenti a sinistra).

L’onorevole Togliatti mi ha detto che da un certo mio discorso è cominciata la mia avversione al comunismo e che farò tanta strada: fino a divenire neo-fascista. (Interruzioni a sinistra).

Ora io debbo dichiarare molto nettamente: i contrasti tra la dottrina nostra e quella comunista sono profondi; erano sempre stati profondi.

Ciò non ci aveva impedito, con un programma di azione ben chiarito, di partecipare al Governo e di collaborare insieme per il bene del popolo italiano, sia per la forma dello Stato, sia per altri progressi sociali. Ciò non ci impedirà nemmeno domani, se questa sarà una necessità parlamentare, di tornare a simile collaborazione, dopo le prossime elezioni; (Commenti a sinistra) però ad una condizione: bisogna, che sia ben chiaro, e che sia chiaro nella prassi, che i partiti, di qualsiasi colore siano, devono sottoporsi alle regole convenzionali della civiltà nazionale, alla quale dobbiamo subordinare tutto. E questi principî convenzionali, queste mete, si chiamano: libertà e democrazia. E questo deve essere non detto, ma provato nel programma, nel contegno, nello schieramento di battaglia, nella propria azione nel Paese. (Applausi al centro – Commenti a sinistra).

Una voce a sinistra. Siamo noi che abbiamo dato questo esempio. (Protesta al centro).

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. L’onorevole Pajetta, in quella parte di discorso che ho ascoltata, ha detto, a proposito dell’onorevole Giannini: «Tante cose si sono cambiate in Giannini, ed un po’ – egli ha aggiunto – forse egli è stato aiutato anche da noi comunisti, cioè dalla sua opposizione». Non so se questo sia vero, ma io applico questa didascalia ai rapporti fra noi e i comunisti. Vedano di cambiare parecchio nei loro sistemi, e se possiamo, con la stessa posizione che ha tenuto il Partito comunista contro i qualunquisti, anche noi cercheremo di aiutarli perché mutino questo loro costume. (Commenti a sinistra).

TOGLIATTI. Cerchi di mantenere fede ai suoi impegni!

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. «La terza via», come sapete, è il titolo di un libro famoso di Röpke, che è un liberale famoso, ed alle sue idee si sono ispirati alcuni discorsi dei liberali, quello di Crispo e quello di Cortese, nel presente dibattito. Vi sono delle idee che sono molto vicine a noi, che vi sono dappertutto in tutti i settori (bisogna augurarselo), negli adattamenti alle necessità della vita, nelle confluenze necessarie, anche là dove le origini sono contraddittorie.

Saragat di questa terza via ha stabilito la pietra miliare: difesa della pace, libertà, lotta contro la miseria. Crediamo anche noi di essere su questa linea. Ma egli ha dato particolare rilievo alla pianificazione, e stasera ha spiegato un po’ meglio, sicché non ho molte difficoltà a giungere alla interpretazione di questa parola. Io vi faccio soltanto osservare che il congegno di programmazione – perché a questo si riduce la pianificazione nel senso indicato da Saragat – esiste nel Governo: è il C.I.R., è l’organismo dello studio e dell’applicazione dei problemi economici, che segue una certa direttiva e costruisce un certo piano. Abbiamo creato poi il Comitato delle meccaniche, anche come strumento di pianificazione in confronto di una industria che alimenta 650 mila operai e quindi rappresenta una delle industrie di maggiore speranza, ma oggi di maggiore imbarazzo dell’Italia. Anche noi cerchiamo nella nuova forma, che abbiamo dato alla legge sui prezzi e soprattutto nella sanzione degli incettatori, di creare degli organismi, degli strumenti per potere veramente programmare la nostra attività di Governo nel campo economico, rispondendo anche alle esigenze di coloro ai quali ci rivolgiamo per prestiti o investimenti in Italia. Non è dunque che si tratti di cosa nuova, si tratta evidentemente di perfezionare, e sono il primo a dire che dal primo Governo ad oggi molte modificazioni sonò state fatte, ma non sono ancora sufficienti. Si tratta di coordinare programmi che già esistono e quando si parla di programmazione non bisogna dimenticare che abbiamo un programma di gestione, di finanziamento e di costruzioni ferroviarie che è elaborato fin nei maggiori dettagli. In questo primo periodo le funzioni stimolatrici dei premi di maggiore rendimento, che salgono ad oltre 2 miliardi e 300 milioni, hanno portato a far lavorare gli stessi ferrovieri per un traffico aumentato del 15 per cento di quello anteriore. Gli aumenti dei costi dei trasporti, l’aumento delle tariffe (badate, nonostante tutto quello che si è detto, sono ancora otto volte minori a quelle della Svizzera, quattro volte nei confronti della Polonia, Danimarca, Francia; sei volte minori della Svezia, del Belgio, ecc.) corrisponde a un certo programma che ha una meta e ormai, è in vista il pareggio del bilancio di esercizio delle Ferrovie dello Stato nel prossimo anno finanziario 1948-49 e si è in pieno fervore di ricostruzione. Poi c’è il piano di ricostruzione delle ferrovie, per cui abbiamo fissato 175 miliardi da dividersi in 3 esercizi e che nel 1950-51 dovrebbe essere coronato dal successo.

Un altro piano è quello delle bonifiche. Si e fatto accenno da qualcuno alla bonifica, alle migliorie.

Anche qui noi abbiamo il piano, abbiamo il progetto fin nel dettaglio, ma il ritardo nell’applicazione è dovuto a mancanza finanziaria e non a mancanza di programmazione, o a difetto di studi necessari per l’attuazione delle bonifiche. Ma è certo che abbiamo piena coscienza che specialmente per il Mezzogiorno, occorre provvedere in quanto è necessario equilibrare una fatale deficienza che avviene quando cerchiamo in qualche misura di sostenere l’industria meccanica del Nord, e conguagliare le esigenze del Mezzogiorno. Per queste ragioni che d’altra parte non sono essenziali, – l’essenziale è che si deve combattere la disoccupazione ed aumentare la produzione – un programma dettagliato è pronto per l’esecuzione; è ormai fatto.

Si tratta solo di potere aumentare i fondi messi a disposizione del Ministero dell’agricoltura, perché le bonifiche delle Puglie, della Basilicata e della Sardegna – circa 700.000 ettari – possano sul serio venire condotte avanti. A proposito dell’I.R.I., da quando siamo entrati in questo Governo con questa formazione abbiamo fatto un passo notevole, mi pare, perché abbiamo incaricato un uomo fuori dei partiti, un tecnico, di studiare tutte le possibilità entro l’I.R.I. dirigendole, per portarci delle proposte concrete, proposte che in parte ci ha portato e che in parte completerà entro 15 giorni o 3 settimane; progetti e proposte che verranno studiati dal Comitato di ricostruzione e poi verranno applicati con questo scopo: mantenere tutto quello che è vitale, mantenere tutto quello che è chiave degli interessi collettivi, liberarsi del resto, perché, altrimenti, tutto cade in rovina, e la situazione a questo riguardo è molto seria.

Se aveste assistito ad una conferenza che ho avuto qui, subito dopo la prima seduta, con i rappresentanti della Camera del lavoro e delle banche e degli industriali di Milano voi avreste avuto la conoscenza e, direi, l’angoscia dell’asprezza di questo problema. Essi venivano a dirci: «Non vogliamo l’inflazione, non vogliamo che lo Stato stampi per dare denaro agli industriali; vogliamo altre riforme, altre forme di credito». E noi su questo ci siamo scambiati delle idee ed abbiamo avviato trattative; ma si vedeva l’angoscia degli stessi operai, che sanno cosa voglia dire l’inflazione (Commenti a sinistra) e sanno che, se ci mettiamo su quella strada, anche per esigenze giuste, non faremmo gli interessi della classe operaia.

Io sono persuaso che, nonostante tutto quello che scrivete voi, se ci fosse data la possibilità di parlare serenamente agli operai, di dir loro che il loro destino è legato a questa migliore amministrazione dello Stato, a queste riforme, a questa prudenza che abbiamo introdotte, siamo persuasi che essi ci direbbero sì e sarebbero pronti ad accettare questa disciplina. (Applausi al centro e a destra).

Certo che nel campo della programmazione, della pianificazione in genere, dell’applicazione dei rimedi economici, la collaborazione non è mai abbastanza. Noi abbiamo dimostrato sia nelle trattative per il piano Marshall, sia nelle trattative per la Banca Internazionale, sia nel Comitato per le industrie meccaniche, che cerchiamo la competenza anche al di fuori del Governo e anche in partiti che votano contro il Governo, dimostrando con ciò la nostra volontà di chiamare tutte le forze competenti per poter riuscire a superare queste grandi difficoltà che travagliano il nostro Paese.

Questo è il criterio che abbiamo applicato, anche quando si trattò di concludere accordi commerciali e anche quando si tratta di inviare consoli o rappresentanti diplomatici. Questo criterio va seguito e va allargato, in questo senso, che nel momento in cui le difficoltà sono così gravi, bisogna chiamare tutti gli uomini a bordo.

Ed ora mi rivolgo in particolare all’amico Giannini. (Commenti). Si è fatto molto rumore intorno al suo discorso, ma mi è parso che Giannini stesso abbia preventivamente dato il giusto significato alle sue conclusioni, quando ha detto qui e poi ha stampato sul suo giornale queste parole:

«Si è parlato di trattative fra il mio partito e la Democrazia cristiana, o fra il mio partito e il Governo. Non crediamo che il Governo possa fare trattative sotto l’assillo del voto; non sarebbe morale. Noi ci sentiremmo di essere imbarazzati a dire all’onorevole De Gasperi: vogliamo questo in cambio dei nostri 33 voti. Non sappiamo De Gasperi con quali parole ci risponderebbe, ma noi sappiamo le parolacce che diremmo al suo posto».

Credo di avere interpretato il significato delle sue dichiarazioni secondo questa sua premessa: le sue dichiarazioni sono postulati programmatici, non condizioni di voto, le quali non mi vennero poste né da questo, né da nessun altro partito. Con nessun partito, durante queste trattative, ho voluto avere negoziati, per la ragione semplice che un uomo di cui si mette in dubbio la capacità di governare e contro il quale si muove in triplice assalto un voto di sfiducia, si mostrerebbe veramente ridicolo, se cercasse di superare le difficoltà con misure che riguardano semplicemente l’atteggiamento di un voto o di un Gruppo. (Applausi al centro).

Ma quando egli fra i postulati chiede una politica di pacificazione e di disarmo civile io gli rispondo: d’accordo. Abbiamo già, dopo la concessione dell’amnistia del 1947, ritenuto necessario ritornare alla normalità nell’amministrazione della giustizia e abbiamo disposto, con decreto 26 giugno, la chiusura delle Corti d’assise speciali, fissando un breve termine per la definizione dei lavori pendenti.

La nostra è dunque una identica finalità di pacificazione. Stanno a dimostrarlo il provvedimento già elaborato relativo all’epurazione e al riconoscimento del diritto degli anti-fascisti esonerati, sotto il cessato regime, per ragioni politiche. Con detto provvedimento, che sarà presentato alle Commissioni legislative di questa Assemblea, il Governo, considerando che di fronte al compito immane della ricostruzione è indispensabile l’unione di tutti gli sforzi in una concorde ed operosa volontà di rinascita, ha limitato i casi di procedimento di epurazione agli addebiti di notevole gravità e alla responsabilità di coloro che hanno gradi più elevati nella gerarchia statale e che assunsero posizioni non compatibili con la permanenza del rapporto di impiego.

Quando poi egli parla di direttiva liberale democratica in economia, penso che egli voglia dire che la meta deve essere il ritorno alla libertà e che non chieda che da oggi a domani si lascino cadere tutte le discipline, senza una certa graduatoria e senza sostituirle con mezzi efficaci per arrivare alla libertà.

GIANNINI. Al più presto possibile.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Ed ecco che la misura che noi abbiamo preso nel campo del grano corrisponde proprio al vostro postulato; noi andiamo verso la libertà, ma abbiamo bisogno, in un primo esperimento, che gli agricoltori producano e ci consegnino quei tanti milioni di quintali di grano che sono necessari per le classi più povere.

Poi verrà la libertà, se gli agricoltori faranno il loro dovere. E ripeto qui quello che ho detto in una assemblea di tecnici agricoli: non è che io non sappia – come è stato stampato più volte – scegliere tra vincolismo e libertà. No; io credo che questo esperimento vada fatto e che sia il migliore che si possa fare. Ma certamente, se non corrisponderà la solidarietà degli agricoltori e se l’egoismo – ed io spero che ciò non sia – di alcuni ci farà naufragare questo progetto, io vi domando: che cosa rimarrà più a un Governo qualsiasi che dovrà legiferare in quel momento, se non ricorrere a misure più drastiche?

Ma allora saranno proprio coloro che avranno chiesto la libertà, che si saranno tirati addosso questa misura di vincolismo. (Approvazioni al centro – Commenti a sinistra).

L’onorevole Nitti ha rilevato l’importanza dei ceti e dei partiti medi. Lo riconosco; riconosco che non basta avere una massa di elettori, riconosco che non basta avere un’organizzazione perfezionata e valersi del sistema elettorale per portare nei Parlamenti una numerosa rappresentanza dei partiti di massa.

Bisogna augurarsi che nei Parlamenti entrino anche delle personalità che, con il loro ingegno, con le loro qualità, compensino eventualmente le debolezze del numero. Io vedo quindi con speranza, e non con avversione, che accanto ai partiti di massa entrino a far parte della Camera anche i rappresentanti di quei ceti medi, i rappresentanti di quei gruppi che valgano a dire una parola di serenità come ieri l’ha pronunciata qui l’onorevole Nitti.

Noi questo Governo lo abbiamo definito l’altra volta: è un Governo di necessità. Lo sappiamo che questa non è una situazione normale; ma che cosa c’è di normale oggi nel Paese, onorevoli colleghi? Nelle difficoltà enormi di carattere economico, nei nostri rapporti con l’estero, ditemi voi se non è stata una fatalità che in quasi tutti i campi si sia dovuto ricorrere troppo spesso a degli espedienti?

Questo è un Governo di necessità perché Governi di grande coalizione allora – e l’onorevole Nitti lo sa – non si son voluti fare all’infuori della mia persona; e quindi è inutile che poi si sia andati tanto a decantare l’ingiustizia che io avessi tutto organizzato per diventare Cancelliere e per imporre non so che restrizioni della libertà. (Commenti a sinistra).

È inutile che si suggestioni la folla perché questa mi impedisca di parlare sulle pubbliche piazze. Questo diritto me lo sono Conquistato e me lo difendo: il diritto di parlare a nome del popolo, e di parlare alla coscienza del popolo direttamente, (Applausi al centro e a destra – Commenti a sinistra).

Sono d’accordo con l’onorevole Nitti quando parla di libertà di elezioni. Senza dubbio, qualsiasi Governo che sarà al potere in quel momento dovrà garantire l’assoluta libertà delle elezioni; cosa relativamente facile col sistema presente, perché gli intrugli che facilmente avvenivano nel collegio uninominale, non avvengono, non possono avvenire nel sistema proporzionale.

Ah, mi sono dimenticato, ho saltato una risposta che dovevo all’onorevole Giannini. (Commenti a sinistra). Non importa; lo dirò così; sarò tanto più sincero: non l’ho scritto. Mi sono dimenticato di prendere atto del postulato dell’onorevole Giannini nella politica internazionale, cioè del movimento europeista. Qui, in questo Governo siede l’amico autorevole Einaudi, che già nel 1917 o 1918 ha scritto un volume sopra il sistema federale degli Stati europei. Oltre a ciò questo Governo ha avuto cura, già al suo primo ripresentarsi alla vita internazionale, di lanciare ed alimentare l’idea di una unione degli Stati europei. (E oggi, mentre parliamo, si sta discutendo a Roma l’Unione doganale tra la Francia e l’Italia). Movimento interessantissimo, movimento che sarà lento nell’attuazione, ma che è senza dubbio il movimento dell’avvenire. Se il qualunquismo si trasformerà in qualunquismo europeo, nel senso della fratellanza dei popoli, ci troverà pienamente concordi e collaboratori con esso in tutti i sensi. (Applausi al centro – Commenti a sinistra).

Aderisco anche all’appello che l’onorevole Nitti ha fatto perché nel nostro agitato periodo, che per forza si svolgerà durante le elezioni, ci sia serenità, rispetto della libertà, rispetto di un partito di fronte all’altro. È questo un desiderio vivissimo nostro, ed è questo il compito del Governo: cercare in tutti i modi di salvaguardare la libertà dei partiti e dei candidati.

Una voce al centro. E degli elettori.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Il Governo di necessità vuole mantenere lo Stato al di sopra dei partiti; vuole liberare la nostra economia dalla stretta, superare i conflitti sociali coi metodi della libertà, garantire il libero sviluppo e il consolidamento delle istituzioni repubblicane, egualmente aperte a tutti i cittadini.

Si è fatto un po’ di scandalo per le affermazioni dell’amico Piccioni, quando Piccioni rivendicava al Partito democratico cristiano una prevalente direzione politica. Ora, si può ben tradurre il suo pensiero con queste altre parole: che egli rivendicava una prevalente responsabilità, non volendola addossare ad altri partiti, liberi di prendere il loro atteggiamento come credono meglio, dinanzi all’interesse della nazione, anche in un voto come quello di fiducia o sfiducia. Responsabilità prevalenti, ma non esclusive, ed in ogni caso non per finalità egoistiche proprie, ma in servizio dello Stato e per la causa della pacificazione sociale e della pacificazione fra i partiti.

L’onorevole Lussu mi ha attribuito dell’ambizione personale. Se fossi ambizioso di rimanere a questo posto, sarei veramente uno sciocco, perché dimostrerei di non avere imparato ancora che a questo posto le spine sono molte e le rose pochissime!

Ma vi dico subito che esiste nella coscienza dei popoli anche un altro sentimento; che è quello della forza di assumere responsabilità!

Ed ora vi dico: io non voglio dare cattivo esempio a milioni di uomini che in Italia si battono disperatamente contro le difficoltà e resistono allo scoramento di questo momento. Il loro sacrificio esige, per quanto riguarda la mia volontà, anche il sacrificio mio, e questa è la mia ambizione! (Applausi al centro). Ma voi soli potete liberarmi da quest’obbligo di coscienza in confronto delle mie responsabilità; voi soli, voi rappresentanti del popolo, se mi scioglierete da questa responsabilità, la mia ambizione sola sarà di obbedirvi, in qualità di semplice cittadino, ma sempre in difesa della libertà e delle grandi tradizioni della civiltà italiana! (Vivissimi prolungati applausi al centro e a destra – Moltissime congratulazioni).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la discussione. Comunico che è stato presentato ora un terzo ordine del giorno, del seguente tenore, firmato dagli onorevoli Magrini, La Malfa, De Mercurio, Azzi, Macrelli, Chiostergi, Paolucci, Pacciardi ed altri:

«L’Assemblea, udite le dichiarazioni del Governo, non le approva e passa all’ordine del giorno».

Ricordo che erano stati presentati i seguenti ordini del giorno:

«L’Assemblea Costituente, preso atto delle comunicazioni del Governo, ne approva le attuali direttive politiche ed economiche, raccomandando che i provvedimenti necessari per riportare alla normalità la produzione e la vita del Paese siano accompagnati da tutte le cautele atte ad attenuare gli inevitabili contraccolpi di un cambiamento di congiuntura, e passa all’ordine del giorno.

«Quintieri Quinto, Bonino, Condorelli, Fabbri; Cifaldi, Villabruna, Lucifero, Perrone Capano, Bellavista, Cortese».

«L’Assemblea Costituente,

ritenuto, che non è possibile fermare il ritmo dei lavori pubblici della ricostruzione e contro la disoccupazione, e particolarmente di quelli che dipendono da impegni assunti dallo Stato;

invita il Governo a provvedere agli stanziamenti necessari e, nella certezza che provvederà in questo senso, gli esprime la sua fiducia».

«Micheli».

Abbiamo, dunque, le tre mozioni intorno alle quali si è svolta tutta la discussione, ed abbiamo tre ordini del giorno, ma in questa discussione particolare gli ordini del giorno devono cedere il passo alle mozioni. Chiedo quindi ai presentatori delle mozioni, onorevoli Nenni, Togliatti e Saragat, il quale ha svolto la mozione che aveva per prima la firma dell’onorevole Canevari, se conservano le loro mozioni.

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. Desidererei una breve sospensione di seduta per poter consultare il mio Gruppo.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, credo che la richiesta dell’onorevole Togliatti risponda a un desiderio abbastanza diffuso e di cui si erano fatti portavoce altri deputati.

Possiamo quindi sospendere la seduta fino alle 21.30. (Commenti).

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Signor Presidente, in verità abbiamo già avuto una sospensione prima del discorso del Presidente del Consiglio, e mi stupisco che dei Colleghi, che hanno presentato le mozioni, le hanno discusse, le hanno ridiscusse, ancora non sappiano se vogliono mantenerle o no. Ad ogni modo rispetto le titubanze e le incertezze di tutti, ma pregherei il Presidente, se vuole dare questa sospensione, che ci dia almeno un’ora di tempo.

GIANNINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIANNINI. Signor Presidente, le parole del collega, onorevole Lucifero, sono perfettamente giuste in quanto egli appartiene al solo Gruppo che ha interamente definito la sua condotta e quindi è perfettamente giusto che si preoccupi solamente della cena, perché evidentemente è il Gruppo che non ha altro da fare che andare a cena. Per quanto riguarda noi, signor Presidente, mi permetto associarmi alla richiesta dell’onorevole Togliatti, a costo di confermare ancora una volta la leggenda che noi prendiamo tanti rubli dai comunisti per la nostra organizzazione, e quindi desidererei che ci fosse concessa una sospensione, se possibile fino alle 22.

(La seduta, sospesa alle 21, è ripresa alle. 21.55).

PRESIDENTE. Propongo ai tre presentatori delle mozioni il quesito che avevo posto prima: se essi conservano oppure ritirano le mozioni.

Onorevole Nenni?

NENNI. Onorevole Presidente, noi manteniamo la nostra mozione e domandiamo il voto per divisione nella intenzione di chiedere l’appello nominale soltanto sull’ultima parte della mozione.

PRESIDENTE. La prego di precisare quale è questa divisione che lei propone.

NENNI. La divisione è fra la motivazione e la conclusione. La motivazione comprende le parole: «L’Assemblea Costituente, di fronte ai risultati della politica generale del Governo, ed in particolare di quella economico-finanziaria che compromette lo sforzo solidale della ricostruzione del Paese, l’ordine interno e il tenore di vita delle masse popolari». Per questa parte domandiamo il voto per alzata e seduta. Per la conclusione, che comprende le parole: «nega la sua fiducia al Governo e passa all’ordine del giorno», chiediamo l’appello nominale.

PRESIDENTE. Onorevole Togliatti?

TOGLIATTI. Mantengo la mozione.

PRESIDENTE. Onorevole Saragat?

SARAGAT. Noi manteniamo la nostra mozione.

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Signor Presidente! Onorevoli colleghi! Mi riferisco alla proposta fatta dall’onorevole Nenni, che ha chiesto la votazione per divisione. Io credo che questo procedimento non possa essere ammesso. Qui c’è una mozione di sfiducia: sarebbe come se in una sentenza – scusate se ricorro all’esempio di un documento che mi è familiare – si volesse scindere la motivazione dal dispositivo e dare un dispositivo senza dirne le ragioni.

Ora, l’articolo 3 della legge del 1946, ultimo comma, che regola la vita ed il procedimento di questa Assemblea dice che il Governo è giuridicamente obbligato a dimettersi quando, con una maggioranza qualificata, sia approvata una apposita mozione di sfiducia. Vuol dire che si è voluto qualificare giuridicamente, costituzionalmente una particolare forma di mozione, che è diversa dalla mozione prevista dal Regolamento della Camera del 1921-22. Si tratta di una figura nuova venuta nelle Costituzioni del dopoguerra, e intesa a dare stabilità ai governi. È vero che nell’articolo 128-129 del Regolamento della Camera è detto che la mozione può essere votata per divisione, ma qui, come ho detto, ci si riferisce a un concetto diverso, vale a dire ad una mozione che proponeva un progetto di legge, o altro provvedimento da parte del Governo. Ma è evidente che una mozione di sfiducia non si può votare per divisione, separando la motivazione dall’atto finale. Si può dividere nella parte motivata. E vi è infatti un altro argomento a sostegno di questa tesi, e cioè che la mozione di sfiducia ha valore orientativo per il Capo dello Stato, perché, se essa fosse accolta, il Capo dello Stato dovrà addivenire alle designazioni necessarie per la formazione del nuovo Governo. Quale sarà l’orientamento che noi daremmo se votassimo il dispositivo senza dire le ragioni di questa sfiducia che diamo al Governo? Io credo che alla votazione per divisione non si possa addivenire.

BELLAVISTA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BELLAVISTA. Volevo appunto dire quanto il collega Bozzi ha finito di esporre, sottolineando particolarmente che se la mozione di sfiducia è essenzialmente un atto di giudizio, essa è logicamente scindibile in un «atto di intelligenza», che è costituito dalla motivazione, e in un «atto di volontà», che è il dispositivo. Ma la prima è il prius logico, che conduce alla seconda. Per questo io credo che la proposta dell’onorevole Nenni non si possa accettare, e la mozione debba votarsi senza divisione.

TOSATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSATO. Credo anch’io che la domanda di votazione per divisione della mozione presentata dall’onorevole Nenni e da altri colleghi non possa essere accolta. L’articolo 128 del Regolamento della Camera al terzo comma prevede bensì la possibilità della votazione per divisione di una mozione. Tuttavia è chiaro che il Regolamento dell’Assemblea, cioè il vecchio Regolamento vigente prima del fascismo, vale in quanto sia compatibile con la legge di natura costituzionale che regola la costituzione dello Stato in questo momento. Ora l’articolo 3 della legge del 16 marzo 1946, che rappresenta la nostra Costituzione provvisoria, contiene anche una disciplina abbastanza precisa del Governo parlamentare, rilevante ai fini della soluzione della questione che ora si discute.

L’articolo 3 stabilisce che «il Governo è responsabile di fronte all’Assemblea Costituente» e successivamente, all’ultimo comma, determina il procedimento con il quale si deve esprimere la sfiducia al Governo e le condizioni, date le quali, la manifestazione della sfiducia importa, obbligatoriamente, le dimissioni del Governo. Ecco il testo dell’articolo 3: «Il rigetto di una proposta governativa da parte dell’Assemblea non porta come conseguenza le dimissioni del Governo. Queste sono obbligatorie soltanto in seguito alla votazione di una apposita mozione di sfiducia, intervenuta non prima di due giorni dalla sua presentazione e adottata a maggioranza assoluta dei membri dell’Assemblea».

Per revocare la fiducia al Governo è necessario adunque che la votazione abbia luogo su una apposita mozione – notate bene: mozione, e non ordine del giorno – presentata almeno 48 ore prima, e che la mozione di sfiducia sia approvata dilla maggioranza assoluta dei membri dell’Assemblea.

Ora, a parte il rilievo che non è concepibile una mozione senza motivazione, mi pare che la questione della divisibilità o meno della votazione della mozione di sfiducia vada e debba essere considerata in rapporto a questa norma fondamentale che regola il Governo parlamentare in Italia. Con questa norma si introduce un sistema nuovo che si discosta notevolmente dalla prassi tradizionale. Il Governo deve godere la fiducia dell’Assemblea. Una volta ottenuta la fiducia dell’Assemblea, il Governo dura in carica e si presume assistito dalla fiducia parlamentare, fino a che non sia approvata una specifica mozione di sfiducia e finché questa mozione di sfiducia non sia approvata a maggioranza assoluta.

Perché la norma costituzionale richiede la presentazione di una mozione apposita, e la approvazione della mozione stessa da parte della maggioranza assoluta dei membri dell’Assemblea, affinché la volontà della Assemblea sia operativa agli effetti di rovesciare il Governo in carica e di provocare la costituzione di un nuovo Governo? Tutto ciò è richiesto, evidentemente, perché non si ammette più che una qualsiasi opposizione possa rovesciare il Governo, ma si vuole una opposizione tale da poter costituire un nuovo governo in sostituzione di quello che si intende rovesciare.

Ora, perché si abbia una opposizione atta a formare un nuovo Governo, occorre che l’opposizione stessa sia concorde e costituisca la necessaria maggioranza non soltanto all’effetto generico di rovesciare il Governo in carica, ma anche all’effetto di costituire il nuovo Governo. Di qui la necessità della motivazione, che è l’elemento indispensabile a identificare la maggioranza necessaria per costituire un nuovo Governo. Solo l’identità dei motivi nella sfiducia al Governo permette di riconoscere se esiste una nuova maggioranza che formi la base di un nuovo Governo; solo l’esistenza di una nuova concorde maggioranza giustifica una crisi di Governo. Se più mozioni di sfiducia possono concludere allo stesso modo nella sfiducia al Governo, e tuttavia queste mozioni di sfiducia, essendo derivate da motivazioni diverse, e magari opposte, non possono per sé stesse condurre alla formazione di quella maggioranza che è necessaria per costituire un nuovo Governo, la sfiducia al Governo in carica non è giustificata e non è operativa. (Interruzioni a sinistra).

Per queste ragioni, ai sensi della legge costituzionale vigente, non è ammissibile accogliere la richiesta di votare per divisione le mozioni di sfiducia che sono state presentate. In tal caso si avrebbe quella confusione che la legge ha voluto evitare. (Commenti a sinistra).

DUGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Mi sembra che la richiesta di votazione della mozione presentata dall’onorevole Nenni e da altri colleghi per divisione non possa, in nessun modo, venire contestata.

È stato stabilito che i nostri lavori, di qualsiasi tipo e di qualsiasi genere – e questo contemporaneamente alla pubblicazione della legge 16 marzo 1946 – siano ordinati dal Regolamento della Camera dei deputati del 1921. (Commenti al centro).

Vi è stata una deliberazione di questa Assemblea la quale ha confermato che i nostri lavori siano guidati dal Regolamento 1921. Questa nostra deliberazione vale in linea assoluta anche come deliberazione legislativa. Su questo non vi è nessun dubbio, perché è una deliberazione normativa che regola i lavori della nostra Assemblea. Non ha né il legislatore, né l’Assemblea Costituente, fatta nessuna distinzione fra mozioni che riguardino la legge 16 marzo e mozioni ordinarie. In queste condizioni non vi è nessun dubbio che noi abbiamo il diritto di chiedere la votazione per divisione. Non solo, ma la richiesta di votazione per divisione è un diritto individuale, inalienabile ed appartiene a ciascun deputato (Commenti al centro), diritto, ho detto, personale ed inalienabile che ciascun deputato ha, di vedere rispecchiato con esattezza il valore del proprio voto.

Pertanto io mi chiedo: se noi avessimo richiesto una qualsiasi altra divisione della mozione, avreste voi potuto rifiutarla? Se cioè ci fossimo fermati a un terzo o alla prima frase della mozione e avessimo chiesto la votazione su quella, domando se voi aveste potuto rifiutarla. Se non potete rifiutare una qualsiasi altra divisione, non potete neanche rifiutare quella che noi abbiamo proposta, perché questa corrisponde esattamente al nostro pensiero: cioè noi desideriamo che si formi una maggioranza di voti, ed a questo fine abbiamo chiesto l’appello nominale, intorno ad un determinato punto della nostra mozione. (Commenti al centro).

DOSSETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOSSETTI. Temo in primo luogo che si prolunghi questa discussione su un punto di diritto così evidente, e che dovrebbe essere tanto più evidente dopo le discussioni intervenute in sede di preparazione del nostro progetto di Costituzione.

DUGONI. Ma che non c’entrano oggi.

DOSSETTI. Non c’entrano, ma si conoscono perfettamente i motivi ed il significato della norma così come oggi dobbiamo applicarla. In secondo luogo l’onorevole Dugoni, che insiste sulla non pertinenza di queste considerazioni, avrebbe per lo meno dovuto imparare da quella discussione una cosa che forse ha un po’ dimenticato dai banchi dell’Università, e cioè la gerarchia delle norme e la necessaria graduazione della validità delle norme regolamentari rispetto alle norme che regolamentari non sono. Ad ogni modo, voglio scendere sul terreno dell’onorevole Dugoni e, senza ripetere le considerazioni che si riconnettono alla norma dell’articolo 3 del decreto del marzo 1946, così autorevolmente e lucidamente esposte dagli onorevoli Bozzi, Bellavista e Tosato, mi limito semplicemente al Regolamento, invocato dall’onorevole Dugoni.

E chiedo: è vero o non è vero che il Capo XVI del Regolamento prevede una serie di figure diverse, e cioè l’interrogazione, l’interpellanza, la mozione, l’ordine del giorno, in modo che lo stesso articolo 127 distingue tra mozione e ordine del giorno? Ora, di queste figure, alcune sono espressamente definite dal Regolamento, così come accade per l’interrogazione e l’interpellanza. Ma nel caso nostro, della mozione, non è detto il concetto; tuttavia il concetto deriva in maniera sostanziale dalla contrapposizione di questa figura con le altre figure espressamente definite. E il concetto che della mozione si ricava dal Regolamento è precisamente questo: di una iniziativa, di una deliberazione motivata, in cui la connessione tra la deliberazione e la motivazione rappresenta non soltanto quella necessità logica alla quale accennava l’onorevole Bellavista, (Commenti a sinistra) ma la caratteristica della figura parlamentare di fronte alle altre. E questo è tanto vero, che l’articolo 127 contrappone alla mozione l’ordine del giorno e distingue vari ordini del giorno.

Allora, quando l’articolo 128 ci parla di una divisibilità della mozione, stando sempre al terreno regolamentare, noi dobbiamo necessariamente ricavare questa conseguenza: che la divisibilità deve essere una divisione tale, da non alterare quello che è l’ordinamento individuante tipico della figura parlamentare. Se astraiamo completamente il dispositivo da uno o più motivi, noi scindiamo la caratteristica tipica della mozione. La divisione non potrà altro che riferirsi, eventualmente, ad una divisibilità dei motivi, ma non ad una divisione che è uno spezzettamento del concetto della mozione. (Interruzioni a sinistra).

Quindi, io credo che, di fronte a queste considerazioni, non ci sia bisogno di insistere ulteriormente. (Commenti a sinistra). La stessa intemperanza di cui danno prova quei settori dimostra la non sensibilità delle loro menti, non preparate alla forza di questi argomenti. (Applausi al centro).

Mi limito a concludere, rivolgendo all’onorevole Presidente non un invito, ma semplicemente una considerazione, di cui egli è bene in grado di valutare tutta l’importanza: e cioè che in questo momento non stiamo interpretando una qualche norma regolamentare che, in caso estremo, possa essere rimessa ad una semplice votazione per alzata di mano; ma stiamo applicando una norma fondamentale dell’attuale ordinamento costituzionale, completamente sottratto ad una qualsiasi deliberazione di questa Assemblea e di cui il Presidente, nella sua funzione di interprete della legge, deve in questo istante assumersi piena ed intera responsabilità. (Applausi al centro e a destra).

CORTESE. Chiedo di parlale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORTESE. Presidente, sarà per colpa mia, ma non arrivo a comprendere su che cosa l’onorevole Nenni chiede il voto per divisione, perché io rileggo la prima parte, che dovrebbe essere una parte che diventi autonoma, tale da poter essere materia sottoponibile ad un voto, ad un sì o ad un no. Io leggo:

«L’Assemblea Costituente, di fronte ai risultati della politica generale del Governo ed in particolare di quella economico-finanziaria che compromette lo sforzo solidale della ricostruzione del Paese, l’ordine interno e il tenore di vita delle masse popolari…»! A questo punto dovrei dire, io, deputato, sì o no.

Io domando al buon senso che cosa mi propone di votare l’onorevole Nenni col suo primo quesito? (Applausi al centro e a destra).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, nonostante l’affermazione e l’invito molto cortese, ma solenne, dell’onorevole Dossetti – proprio perché si tratta di una questione che non ha precedenti e che potrà ancora presentarsi per l’avvenire, nel funzionamento della nostra Assemblea – penso non possa essere un atto di volontà mia personale a fare la legge. Ma occorre rimettersi alla decisione di coloro che sono in questo momento investiti di decidere sul sì o sul no alla legge stessa fondamentale.

Rimetterò, dunque, secondo l’articolo citato dallo stesso onorevole Dossetti, all’Assemblea decidere se si debba stabilire o no questo precedente, se cioè, in questa materia o in questa sede, si possa o non si possa votare per divisione, si debba o non si debba attenersi al Regolamento della Camera che l’Assemblea ha fatto proprio.

Mi permetta tuttavia l’onorevole Dossetti: è vero che l’articolo 3 del decreto del 16 marzo 1946 parla di una mozione di sfiducia, ma, quando dice che deve essere votata, non fa alcun cenno al modo di votazione, dicendo semplicemente: «Le decisioni del Governo sono obbligatorie in seguito alla votazione di una apposita mozione di sfiducia».

Nel progetto costituzionale ancora da votare, e che pertanto può esprimere l’opinione ponderata e saggia di 75 membri di questa Assemblea, ma non fa ancora testo per l’Assemblea, si parla di mozioni di sfiducia «motivate». Ma a me pare che, proprio perché la Commissione dei Settantacinque ha voluto ponderatamente aggiungere questo aggettivo, coloro che, redigendo il decreto 16 marzo 1946, non ve lo hanno inscritto, a meno che li tacciamo di negligenza e di incapacità, evidentemente lo hanno omesso a ragione veduta.

D’altra parte, onorevoli colleghi, qual è il regolamento che dobbiamo seguire in questa discussione? Se fosse vero che noi non siamo impegnati a ciò che il Regolamento della Camera stabilisce in tema di mozione, allora qualcuno avrebbe dovuto sollevarsi – sollevarsi, si intende in forma parlamentare, chiedendo la parola – per reclamare poco fa contro la nostra procedura.

Un’ora fa, infatti, io ho dato lettura di alcuni ordini del giorno che sono stati presentati.

DOSSETTI. Ne parleremo.

PRESIDENTE. Onorevole Dossetti, io non l’ho interrotta, quando lei parlava. Se noi abbiamo accettata dunque la presentazione degli ordini del giorno…

DOSSETTI. Noi non abbiamo accettata la presentazione degli ordini del giorno.

PRESIDENTE. Onorevole Dossetti, noi l’abbiamo accettata, perché io ho dato la parola ai presentatori e nessuno, neanche lei, ha protestato. E i presentatori appartenevano, fra l’altro, anche al suo partito e al partito liberale, a nome del quale l’onorevole Cortese ha sollevato poco fa un’eccezione contraria. E se un ordine del giorno è stato presentato ed è stato svolto, esso deve di necessità ritenersi acquisito all’Assemblea.

Ciò deve farci riflettere. Non è una cosa così chiara e così netta, come alcuno sostiene, nella quale si possa decidere con certezza assoluta il quesito che ci sta dinanzi; ed è questa la ragione per la quale, non ritenendomi il depositario della certezza, io chiederò all’Assemblea di decidere essa stessa, avvalendomi di quella norma del Regolamento che sottopone i casi controversi di questo genere al voto dell’Assemblea, per alzata e per seduta.

DOSSETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOSSETTI. Onorevole Presidente, non voglio affatto tediare i colleghi e i miei amici, perché anch’io ho interesse alla rapida conclusione di questo dibattito; ma poiché il Presidente ha creduto opportuno di desumere da quella che gli è parsa una certa acquiescenza, una norma, la determinazione di una prassi dell’Assemblea, sono costretto, quindi, a fare immediatamente le mie riserve.

Dovrei fare delle riserve su quelle che sono state le risposte che l’onorevole Presidente ha dato alle considerazioni, ripeto, soprattutto dell’onorevole Bozzi e dell’onorevole Tosato, in quanto l’onorevole Presidente non ha centrato, a mio modesto avviso, o almeno non ha risposto a quello che era l’argomento fondamentale, deducibile dall’articolo 3 del decreto del marzo 1946, cioè il significato sostanziale di quella norma, la quale risiede nella sua precisa portata e nella interpretazione che le si deve dare; e la risposta è stata data dagli analoghi precedenti francesi, da cui è stato dedotto che la mozione sia costituita in modo e sia votata in modo che ne risulti una precisa indicazione politica di maggioranza e di designazione di responsabilità.

Questo argomento fondamentale non è stato affatto considerato dall’onorevole Presidente. Ma non è su questo punto, dal momento che l’onorevole Presidente ha creduto di deferire al giudizio dell’Assemblea un’interpretazione di una norma costituzionale fondamentale, che dovrebbe essere interpretata direttamente dall’onorevole Presidente stesso, sotto la sua precisa responsabilità, che io voglio insistere.

Io voglio, invece, far subito le mie riserve – e fra l’altro, aprendomi la possibilità ad un ulteriore intervento, quando si parlerà degli ordini del giorno – in merito alla conclusione, mi pare un poco intempestiva, che l’onorevole Presidente ha creduto di desumere dal fatto che ieri sera sono stati presentati degli ordini del giorno, nei confronti dei quali nessuno ha protestato, e che oggi ne sia stato presentato un altro.

Quanto agli ordini del giorno presentati ieri sera, non possono costituire in nessuna maniera un argomento per le conclusioni alle quali ha voluto pervenire l’onorevole Presidente, perché sono ordini del giorno di fiducia, e quindi non hanno niente a che fare con la procedura della quale ora discutiamo, cioè quella di mettere in crisi un Governo, il quale ha già avuto la sua fiducia. (Commenti a sinistra).

In secondo luogo, per quel che riguarda poi l’ordine del giorno di sfiducia presentato stasera, devo dichiarare che noi ne abbiamo avuto formalmente notizia da parte dell’onorevole Presidente al momento della conclusione (se non vado errato) della riunione di questa sera. Come il Presidente ha dato questo annuncio, io alzai immediatamente la mano per chiedere di parlare e desistetti dall’insistere a questo riguardo unicamente perché la richiesta di dilazione proposta dall’onorevole Togliatti e da altri colleghi mi ha dato l’impressione che sulle questioni di procedura, che, come si sapeva, da ventiquattr’ore covavano, si sarebbe dovuto discutere all’inizio della ripresa della seduta.

Per questi motivi ritengo che non ci sia niente da modificare e che, quindi, avremo possibilità di discutere della votazione dell’ordine del giorno di sfiducia quando di esso si parlerà. (Commenti a sinistra).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, certe questioni non bisogna sollevarle, se non si intende discuterle fino in fondo. Io intendo rimettere la questione all’Assemblea la quale sta esprimendosi già attraverso tutti gli oratori che hanno parlato e che vorranno parlare.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Non mi pare dubbia la circostanza che durante la discussione di mozioni gli oratori che svolgono degli interventi abbiano sempre la possibilità di presentare degli ordini del giorno. C’è però una norma precisa di Regolamento, che cioè questi ordini del giorno potranno essere portati alla discussione e alla votazione prima delle mozioni, soltanto se risulterà che le mozioni sono ritirate. Ora, l’acquisizione del fatto – avvenuta soltanto in questo ultimo momento – che le mozioni sono mantenute, implica la conseguenza per l’Assemblea, che coloro che hanno presentato le mozioni, hanno il pieno diritto di veder procedere su di esse a votazione, e questa conseguenza fa automaticamente cadere la possibilità di votare prima gli ordini del giorno, perché le mozioni hanno la precedenza, come ho già ricordato, sugli ordini dèi giorno.

Ciò dico per quanto si attiene alla procedura.

Su quella che poi è la questione di merito, io sono completamente d’accordo pei motivi ricordati dai colleghi Bozzi e Bellavista, che la particolare mozione Nenni risulta nel suo testo indivisibile e, dunque, non deve essere votata per divisione. L’articolo 3 della legge costituzionale provvisoria esclude la votazione pura e semplice di sfiducia senza una premessa per questa conclusione. Si è voluto assicurare una certa stabilità al Governo quando le opposizioni non risultassero concordi su una direttiva, ed è chiaro che la disposizione precisa dell’articolo 3, di carattere eminentemente costituzionale e sostanziale, si è preoccupata dell’ipotesi della caduta o non caduta di un Governo in questo momento particolarissimo di particolarissimo regime costituzionale transitorio. Se è così e se, quindi, la disposizione dell’articolo 3 è di legge speciale costituzionale sostanziale, questa non può essere messa in giuoco e compromessa da una disposizione regolamentare, che è una fonte assolutamente subordinata.

GRISPO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. Noi siamo dinanzi soltanto ad una questione. La questione che si propone è una questione di procedura; cioè se si debba o non si debba, se si possa o non si possa votare per divisione la mozione di sfiducia. È questa la questione.

Non credo – e concordo in questo con l’onorevole Presidente dell’Assemblea – che in proposito si possa invocare l’articolo 3 della legge del giugno 1946, perché l’articolo 3 stabilisce soltanto in quali casi siano obbligatorie le dimissioni del Governo; e soggiunge che le dimissioni del Governo si verificano soltanto come conseguenza di una mozione di sfiducia presentata in determinate occasioni.

Quindi l’articolo 3 non fa in alcun modo cenno della procedura relativa alla votazione della mozione di sfiducia.

Occorre adunque richiamarsi all’articolo del Regolamento, all’articolo 128.

Se ci soffermiamo sull’ultima parte dell’articolo 128, apparentemente potrebbero aver ragione coloro che sostengono che si possa procedere alla votazione per divisione della mozione, perché l’ultima parte dell’articolo 128 dice testualmente: «la votazione di una mozione può farsi per divisione». Ma la questione, a mio avviso, si risolve assai agevolmente; perché qui non siamo dinanzi ad una questione di interpretazione di una norma regolamentare; siamo dinanzi ad una questione meramente di fatto, vale a dire che si procede per divisione sempre quando una votazione per divisione sia logicamente e organicamente attuabile, onde l’osservazione già fatta dal collega Cortese resta tale, che nessuna eccezione logicamente è dato sollevare contro di essa. Ci troviamo noi di fronte ad una mozione per la quale sia ammissibile la procedura della votazione per divisione? Evidentemente no. Ecco perché dico che non è una questione di diritto ma è una questione di fatto. Se la prima parte è così inscindibilmente legata alla seconda parte che votandosi la prima parte non si sa che cosa si vota, innegabilmente siamo dinanzi ad un caso che non consente la procedura della votazione per divisione.

LA ROCCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA ROCCA. Onorevoli colleghi, credo che non sia il caso di distendersi in disquisizioni di un carattere nettamente giuridico che degenera quasi in carattere curialesco. (Ilarità). Alla stregua del decreto del 16 marzo, l’Assemblea è stata incaricata di deliberare sul testo costituzionale e per due altri compiti: elaborare la legge elettorale e approvare i trattati internazionali. Il potere legislativo è stato delegato al Governo. L’Assemblea Costituente non ha la facoltà di investire della sua fiducia il Governo che si ritiene, che si presume già investito di questa fiducia. Però, se l’azione governativa non gode la fiducia del Paese, l’Assemblea Costituente può rendersi interprete e voce di questo scontento, negando la fiducia al Governo. Alla stregua dell’articolo 3 del famoso decreto del 16 marzo, che è quello in base al quale noi siamo qui radunati (ed è presumibilmente da attendersi che non vengano degli spaccatori di capelli in quattro a negare il fondamento di tutto questo), alla stregua di questo decreto, dicevo, l’Assemblea Costituente è chiamata a negare puramente e semplicemente la sua fiducia al Governo a maggioranza assoluta dei membri.

FABBRI. Su apposita mozione.

LA ROCCA. Su apposita mozione di sfiducia. Il che non significa, onorevole Fabbri, che la mozione debba essere motivata. (Commenti al centro e a destra).

Noi qui possiamo più o meno andare a scuola di diritto, ma non a scuola di lingua italiana: «apposita mozione» non sta a significare «mozione motivata». Chiediamo, alla stregua della disposizione dell’articolo 3, che l’Assemblea dimostri di non aver fiducia nell’indirizzo generale della politica del Governo. Questo è il succo; questo è il risultato: così stanno le cose. (Interruzioni al centro e a. destra).

Così stando le cose, diventa semplicemente, non una argomentazione, ma casistica e cavillo, voler impedire che la mozione possa essere ridotta – diciamo così – come in due tronconi, cioè divisa; senza contare che l’osservazione dell’onorevole Fabbri – e mi duole che un giurista della sua statura incorra in certi equivoci – non è in alcun modo fondata: perché, quando egli si richiama all’articolo 4, dimentica che l’articolo 4 fa riferimento esplicito, in questo caso, al Regolamento, dicendo che «L’Assemblea Costituente, nel corso dei suoi lavori, non avendo avuto modo di elaborare un nuovo Regolamento, adotterà quello della Camera». Ora, il Regolamento della Camera all’articolo 128, ultimo capoverso, dice che la mozione può essere votata per divisione. Non so davvero come possano sorgere tanta opposizione e tanti cavilli per impedire che l’Assemblea giunga al succo della questione.

L’Assemblea questa sera si è radunata per decidere se ha o no fiducia nell’attuale Governo, quanto mai democratico, per così dire. (Commenti al centro – Rumori).

Noi siamo qui per esprimere la nostra sfiducia. (Interruzioni). Per esprimere questa sfiducia, si può votare per divisione. (Commenti al centro).

NENNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NENNI. Noi ci eravamo rimessi – ed eravamo in questo d’accordo con la Democrazia cristiana – al giudizio del Presidente dell’Assemblea. Il Presidente dell’Assemblea ritiene di doversi appellare all’Assemblea. Non abbiamo nessuna difficoltà per parte nostra ad accettare la sua proposta.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Se l’onorevole Presidente, accettando la proposta del collega Nenni, si assumesse la responsabilità di decidere, io non avrei nulla da dire e sospenderei il mio intervento. Ma se la cosa non fosse così pacifica come il collega Nenni sostiene, evidentemente bisogna entrare nel tema. Io dico subito che, arrivati a questo punto della discussione – chiedo scusa dell’arroganza – se fossi il Presidente dell’Assemblea, mi rimetterei alla decisione dell’Assemblea e non mi assumerei questa responsabilità. (Commenti al centro). Io ho interpretato la richiesta dell’onorevole Nenni nel senso che si rimetteva alla decisione del Presidente, ma poiché non è così, chiedo scusa, ma non ne ho colpa se il microfono è arrivato in ritardo.

PRESIDENTE. Allora è d’accordo?

LUSSU. Sono d’accordo ma penso che è l’Assemblea che deve decidere. (Commenti al centro). Io desidererei che i colleghi di quel settore rispettassero gli interventi degli altri, tanto più che da questa parte, comunque almeno da parte mia, con rispetto si è assistito al doppio o al triplo intervento di molti giovani colleghi.

PRESIDENTE. Onorevole Lussu, la prego stia al tema.

LUSSU. Il tema è questo: che, a mio parere, la questione è semplice ed è stata un po’ complicata dai nostri illustri onorevoli colleghi ed avvocati. (Si ride). La questione è politica: si tratta del voto di fiducia che il Governo deve avere. Può l’Assemblea con una mozione chiedere all’Assemblea stessa questo voto di fiducia o di sfiducia? Certamente sì. Qual è la legge ed il Regolamento che regolano la presentazione, discussione e votazione delle mozioni? Non vi è, ma è chiaro che la mozione può essere presentata. La mozione deve essere motivata e, mi dispiace onorevole collega Dossetti, ma non si può portare qui il giudizio di una parte di noi, dei Settantacinque, come quello che dovrebbe regolare come principio il lavoro dell’Assemblea. Su questo non ci può essere nessuna insistenza da parte sua.

Ma ecco l’altra questione, la sola che è interessante dal punto di vista della discussione: ci può essere divisione oppure no?

Evidentemente, ci può essere divisione. Non c’è mai stata nel passato una divergenza su questo. Una mozione può essere divisa, e può essere divisa, sia essa di sfiducia o di fiducia.

Si può – ecco un’altra questione, che è l’ultima – obiettare, come è stato fatto: ma la prima parte non si può scindere dalla seconda. E per quale ragione? La prima parte riguarda considerazioni che nel testo sono state esposte, e significa critica e condanna a quell’azione particolare del Governo qui indicata. La parte ultima è la fiducia. Questo è quello che conta. Che se poi il Presidente della Repubblica avrà bisogno di chiarire il pensiero e la volontà dell’Assemblea, sono i rappresentanti politici dei Gruppi parlamentari che lo faranno.

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. L’onorevole Nenni ha accettato la proposta del Presidente di rimettere la questione al giudizio dell’Assemblea.

Io non sono d’accordo con l’onorevole Nenni. (Commenti al centro). Avete parlato tutti, lasciate che parli anch’io!

Ci troviamo di fronte ad uno di quei casi più delicati, relativi al contegno dell’Assemblea nei confronti di quella che è la guida dei dibattiti parlamentari: il Regolamento. Noi siamo già intervenuti, ed io particolarmente sono intervenuto parecchie volte, per sostenere che non possiamo, con un voto di maggioranza, modificare il Regolamento. Non possiamo perché le maggioranze cambiano ed il Regolamento deve invece essere sempre quello per tutti, con qualsiasi maggioranza, con qualsiasi minoranza. Ora, in questo caso il Regolamento è inserito nella legge dalla legge stessa, perché vi è un articolo della legge costitutiva di questa Assemblea che dice, dopo aver parlato della mozione di sfiducia, che l’Assemblea deve osservare nei suoi dibattiti il Regolamento della Camera, il quale ammette in tutte lettere la divisione di una votazione su una mozione.

Mi pare che questo basterebbe. Credo infatti che in questi casi è bene attenersi, il più possibile, alla lettera del testo, perché questa è la vera garanzia per tutti. Assai pericoloso è interpretare il Regolamento per modificarne la lettera, perché allora possono venir fuori dieci interpretazioni differenti di una norma chiara e semplice, e ogni garanzia va perduta tanto per la maggioranza che per la minoranza.

Ma io mi appello anche allo spirito della legge e del Regolamento. Noi siamo qui 500 e più. Possiamo dividerci in dieci gruppi di 50, ognuno dei quali disapprova il Governo, ma per un motivo diverso. Ognuno di noi ha diritto di votare una parola della mozione di sfiducia o di respingerla, e di votare in seguito la frase in cui si dice che non si ha fiducia nel Governo. Questo è diritto di ognuno di noi, perché quello in cui consentiamo è di rovesciare il Governo. Se non si ammette questo principio, possiamo venire alla conseguenza che il Governo non potrà essere mai rovesciato, se non vi è consenso generale sui motivi della sfiducia, perché può darsi benissimo che sui motivi non saremo mai tutti d’accordo, mentre saremo d’accordo lutti che il Governo non soddisfa alle esigenze di una politica nazionale.

Questo è il fondo della questione. E sia per questo motivo, sia perché la lettera del Regolamento è superiore ad ogni equivoco, invito i colleghi democratici cristiani a desistere dal chiederci di sottoporre ai voti una norma di Regolamento, perché questo, come dissi parecchie altre volte, è un precedente troppo pericoloso.

Se l’onorevole Nenni rinuncia a chiedere la divisione della sua mozione, questo è affar suo, ma una volta chiesta, ritengo pericolosissimo risolvere una questione con un voto di Assemblea. Questo è contro le norme che devono regolare la vita di una Assemblea democratica.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, due osservazioni, e poi passeremo alla decisione.

Per la precisione desidero sottolineare che gli ordini del giorno non sono stati presentati tutti questa sera, un’ora fa. Uno di questi ordini del giorno è stato presentato già da quattro giorni ed il presentatore lo ha svolto il giorno dopo. In quel momento, onorevole Dossetti, non abbiamo valutato quel documento nel merito; quanto meno io non l’ho così valutato. Come Presidente io trascendo sempre dal giudizio del merito. Indipendentemente dalla tesi che sostengono, per me tutte le proposte sono uguali: che propongano fiducia o sfiducia al Governo. Un ordine del giorno è un ordine del giorno; e quando, tre giorni fa uno ne fu ampiamente sviluppato dall’onorevole Quintieri né l’onorevole Dossetti né altri colleghi hanno sollevato obiezioni.

La seconda osservazione: che l’applicabilità nel nostro caso della disposizione del Regolamento – indipendentemente dal fatto che non la ritengo obbligatoria – sarebbe giustificata da questa constatazione: che abbiamo qui tre mozioni con tre diverse motivazioni, ma con una conclusione unica. Il che significa appunto che vi può essere diversità nelle premesse e confluenza nella conclusione, e cioè che l’Assemblea può diversificarsi nelle motivazioni e concordare nella conclusione. E appunto il fatto che in una discussione si possono presentare mozioni diversamente motivate, conferma il valore autonomo della motivazione che ha valore a sé, indipendente dalla conclusione.

All’onorevole Togliatti mi limito a rispondere che il fatto che vi sia nel Regolamento l’articolo 85, che prevede espressamente i richiami per ragione di Regolamento e dispone il conseguente modo di votazione, sta appunto ad indicare che, l’applicazione stessa del Regolamento può essere oggetto di votazione: non vi è pertanto pericolo per la maggioranza o per la minoranza nel deferire all’Assemblea una decisione sul Regolamento.

LACONI. Con proposta di modifica.

PRESIDENTE. Senza proposta di modifica, ma bensì nel semplice corso di una discussione. L’articolo 85 non ha nulla a che vedere con la Giunta del Regolamento. Ma la ragione fondamentale per la quale, in base all’articolo 85, pongo la questione all’Assemblea è ancor sempre questa, che il caso attuale costituirà un precedente. L’articolo 85 dispone tassativamente che la votazione si faccia per alzata e seduta. Così voteremo.

Riassumendo: l’onorevole Nenni chiede che la sua mozione venga votata per divisione. Poiché sono state sollevate delle obiezioni e si è anzi espressamente proposto di respingere un tal modo di votazione, chiedo all’Assemblea di decidere.

Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Nenni, se si possa nel caso di una mozione di sfiducia contro il Governo presentata a norma dell’articolo 3 del decreto 16 marzo 1946, votare per divisione, secondo quanto prescritto dall’articolo 128 del Regolamento.

(Dopo prova e controprova, non è approvata).

La proposta della votazione per divisione dalla maggioranza dell’Assemblea non essendo stata approvata, in base alle considerazioni esposte poco fa, la votazione procederà, pertanto, non per divisione, ma sulla mozione nel suo complesso.

Sopra la mozione presentata dall’onorevole Nenni è stato chiesto l’appello nominale dagli onorevoli Merlin Lina, Tomba, Vernocchi, Stampacchia, Costa, Di Vittorio, Lopardi, Silipo, Fogagnolo, Barbareschi, Dugoni, Carpano Maglioli, Li Causi, Giua, Cosattini, De Filpo, D’Amico. D’altra, parte, è tempo che intorno a questo punto non vi sia discussione; queste mozioni devono essere sempre votate per appello nominale, poiché si tratta di constatare la maggioranza assoluta richiesta dall’articolo 3. Comunque, a sussidio di questa necessità implicita, vi è una richiesta di appello nominale presentata dagli onorevoli Merlin, Cosattini, Carpano Maglioli, Dugoni e altri.

LOMBARDI RICCARDO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LOMBARDI RICCARDO. Onorevoli colleghi! La chiusura della discussione votata ieri sera non mi ha consentito di esporre le ragioni, per le quali il Gruppo al quale appartengo voterà l’ordine del giorno Nenni, così come voterà – ove questo fosse respinto – tutti gli altri ordini del giorno di sfiducia al Governo, poiché non ci importa molto la motivazione della sfiducia, e questo maggiormente dopo la discussione e le dichiarazioni che il Governo e i rappresentanti della maggioranza hanno fatto nel corso della discussione stessa.

Da questa discussione noi siamo persuasi che le ragioni, le quali nel giugno scorso ci avevano indotto a negare la fiducia al Governo allora costituito, permangono e sono aggravate. Allora noi avevamo espresso la nostra profonda sfiducia nell’incapacità di questo Governo, in ragione della sua composizione, e in ragione delle circostanze che ne avevano determinato la costituzione, ad opporre una valida resistenza all’urto degli interessi che si sarebbero affollati intorno al Governo e che oggi si affollano non contro il Governo, ma contro determinati provvedimenti del Governo.

Onorevole Einaudi, non le dice niente l’offensiva che si conduce, non certo contro il Governo di cui ella fa parte, perché coloro i quali oggi conducono la campagna contro i suoi provvedimenti sono quelle stesse forze, quegli stessi partiti i quali desiderano la permanenza di questo Governo, ma contro determinati provvedimenti i quali urtano i loro interessi?

È così che lei si trova in una posizione esposta, e non so fino a che punto ella potrà tenere, perché, qualunque sia la determinazione delle persone che compongono questo Governo, qualunque sia il grado di indipendenza che esse possono opporre, è il tipo di questo Governo, è il genere di maggioranza dal quale dipende la sua vita, che rendono impossibile opporre all’urto di queste forze una resistenza sufficiente.

Dirò che le dichiarazioni del Ministro Scelba – alle quali sostanzialmente si è associato l’onorevole Presidente del Consiglio – hanno indotto un senso profondo, non di perplessità, ma di sfiducia e di preoccupazione nella politica che questo Governo svolgerebbe, ove esso fosse mantenuto e ove il voto di sfiducia non venisse accolto.

Dalle dichiarazioni che noi abbiamo sentito, abbiamo riportato non la sensazione, ma la persuasione che il Governo tenda a confondere la difesa della propria posizione politica con la difesa delle istituzioni democratiche e con la difesa della Repubblica. Ora, questo noi non possiamo per alcun modo ammettere; questa confusione è gravida di pericoli e su di essa richiamo il Governo, ove esso dovesse rimanere al suo posto.

Questa nostra persuasione è stata d’altronde più ancora aggravata dalle dichiarazioni che ha fatto ieri in questa Assemblea l’onorevole Piccioni. L’onorevole Piccioni ha fatto delle dichiarazioni che non sono naturaliter christianae, ma naturaliter diabolicae. (Proteste al centro).

Egli ha fatto un tentativo pericoloso, il tentativo cioè di stabilire, di attirare un numero maggiore di adesioni alla politica del Governo, abbozzando una frattura, una differenziazione tra le forze ostili e le forze favorevoli al Governo, che è pericolosa per la democrazia; perché una tendenza si è spiegata nell’intervento dell’onorevole amico Piccioni: quella, cioè di dividere questa Assemblea in due blocchi, ma non già nei due blocchi di coloro che hanno fiducia nel Governo e di coloro che al Governo questa fiducia negano, ma nel blocco di coloro che sono per la libertà, e di coloro che sono contro la libertà. (Applausi a sinistra – Proteste al centro e a destra).

Noi non accetteremo mai – e qui sta veramente la profonda unità di questa Assemblea – non accetteremo mai che si cristallizzi, che si solidifichi questa linea di frattura la quale sarebbe, una volta determinata, irreparabile. I problemi che ci dividono – perché la vita democratica è fatta di divisioni – sono ben più complessi e non possono essere ridotti alla pura e semplice linea, alla concezione semplicistica di coloro che sono per la libertà e di coloro che sono contro la libertà.

Elementi e pericoli per la libertà e contro la libertà ci sono dovunque… (Commenti al centro).

Una voce a destra. Vada in Ungheria!

LOMBARDI RICCARDO. Amici democristiani, io intendo mantenermi nei limiti del Regolamento, e non ne abuserò affatto. Amici democristiani, se noi dovessimo veramente accettare questa frattura, e giudicare per astrazione e per differenziazione ideologiche, noi ci troveremmo ben presto nel Paese nell’impossibilità di far funzionare le istituzioni democratiche, perché, guardate che questo è un gioco assai pericoloso, e come nessuno nega oggi a voi di essere sul terreno democratico e sul terreno liberale, malgrado il Sillabo (Commenti al centro), malgrado lo statuto della disciolta… (Interruzioni al centro) impostare così la questione in un Paese, il quale domani potrà mandare anche una maggioranza di fascisti, di comunisti e di socialisti al Governo, significa rendere impossibile per l’avvenire la lotta democratica, e passare necessariamente sul terreno dello scontro e della frattura irreparabile.

Questo modo di impostare la questione da parte dell’onorevole Piccioni – che devo ritenere essere stata l’impostazione ufficiale della Democrazia cristiana – aggiunto alla profonda diffidenza che l’onorevole Piccioni ha esposto circa le possibilità che abbiamo chiamate qui della pianificazione, ci preoccupano. Ma, onorevoli colleghi, mi pare che diciamo troppo e troppo poco: è chiaro che la pianificazione non si improvvisa; ma quando noi parliamo di pianificazione, di dirigismo nell’economia, si tratta di una cosa ben più semplice e impegnativa, perché reale: si tratta di creare gli strumenti della vita socialista del Paese, perché lo Stato non si conquista né coi sistemi della violenza, né coi sistemi dei blocchi: lo Stato si amministra e si organizza; è sul modo di amministrarlo e di organizzarlo che vertono le divergenze legittime in questa Assemblea e sono le lecite discussioni. (Interruzioni al centro).

PRESIDENTE. Prosegua pure, onorevole Lombardi.

LOMBARDI RICCARDO. Ho finito. Dirò soltanto, per concludere – mi dispiace di aver annoiato i colleghi – che questa divisione che si tende a creare e dalla quale io – con la scarsa autorità che posso avere – scongiuro veramente l’amico Piccioni di recedere, è pericolosa sul terreno nazionale ed è pericolosa sul terreno internazionale. Qui, se avessi potuto parlare, mi sarei soffermato su questo punto, perché nella situazione in cui è il Paese, non si possono creare la leggenda e la verità; non si possono creare, perché quando si pongono le pregiudiziali, quelli che sono fantasmi, diventano all’occhio di coloro che stanno fuori dei nostri confini, realtà, realtà possibili. Non è lecito creare nel Paese un partito dello straniero.

Amici democristiani, c’è qualche cosa nella storia che dovrebbe ammonirci: l’esempio dei cattolici inglesi, ai quali fu negato per lungo tempo il diritto politico, perché papisti, perché dipendenti da un dominio straniero. Il pericolo è evidente. Non creiamo la leggenda del partito dello straniero, perché sono persuaso che nel Paese non c’è un partito dello straniero. Io vorrei che si avesse da parte del Governo e si avesse da parte degli amici del partito che ha la maggioranza in questa Assemblea, una fiducia maggiore nelle forze della democrazia, nelle forze interne degli stessi partiti. Non creiamo il «führerprinzip»; non creiamo in Italia una idea astratta, un’idea rigida dei partiti come di complessi che si muovono quali eserciti al comando e che sono senza fisionomia differenziata, masse informi e deformi.

C’è una spinta democratica, c’è una possibilità e realtà democratica in tutti i partiti, e nei partiti di massa, che non dobbiamo sottovalutare o annullare. Dobbiamo non avere sfiducia ma fiducia. E sono anzi queste forze democratiche all’interno dei partiti, dei grandi partiti, che noi dobbiamo aiutare a tenersi sul terreno democratico! Non dobbiamo scoraggiarle e respingerle fuori dalla libertà democratica, poiché respingere qualsiasi partito che dichiaratamente nella sua impostazione e nella sua prassi si muove sul terreno democratico, respingerlo fuori dal terreno della democrazia significa creare condizioni perché la Repubblica non viva! (Applausi a sinistra).

MACRELLI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MACRELLI. Parlo per dichiarazione di voto e dico subito la ragione, che ha la sua importanza, perché è sorto un dubbio in noi, soprattutto dopo la discussione a cui abbiamo assistito per la proposta fatta dall’onorevole Nenni.

Noi abbiamo presentato un ordine del giorno. Noi chiediamo sin da questo momento se l’ordine del giorno sarà posto o no in votazione, dopo le mozioni, s’intende. E la richiesta che facciamo noi è legittima, non solo dal punto di vista squisitamente parlamentare e regolamentare, ma soprattutto da un punto di vista politico, di responsabilità politica. Se l’ordine del giorno rimane ed è posto in discussione, noi dichiariamo subito che ci asterremo dal votare le mozioni, tutte e tre le mozioni, perché partono da presupposti che noi completamente non condividiamo.

Io ieri sera ho esposto – credo abbastanza chiaramente – il pensiero del mio partito e il pensiero del mio Gruppo. Di esso non troviamo riflesso nelle tre mozioni presentate dall’onorevole Nenni, dall’onorevole Togliatti e dall’onorevole Saragat. Quelle premesse vincolerebbero la nostra libertà d’azione di uomini e di partito. Ma se dal Governo, dalla Presidenza dell’Assemblea, fosse posto un veto al nostro ordine del giorno, dichiariamo subito che voteremo per tutte le mozioni, per la prima, per la seconda, per la terza.

Era necessaria questa mia dichiarazione. È una dichiarazione di lealtà e di onestà politica sulla quale io richiamo l’attenzione Dell’Assemblea. (Applausi).

PRESIDENTE. Onorevole Macrelli, il problema è molto semplice. Gli ordini del giorno restano se le mozioni cadono, inquantoché prima bisogna votare le mozioni e poi gli ordini del giorno. Se, nel corso della votazione delle mozioni, una di queste ottiene la maggioranza, ciò rende inutile, anzi impossibile, la votazione di un ordine del giorno, poiché si è deciso nel merito.

Tuttavia, quando si passasse agli ordini del giorno, si dovrebbe ritornare alle norme sugli ordini del giorno; il Governo avrà dunque il diritto di indicare su quale di essi dovrà avvenire la votazione. E poiché noi avremmo – nel caso attuale – l’ordine del giorno dell’onorevole Quintieri Quinto, di fiducia, e l’ordine del giorno presentato da lei e da alcuni suoi colleghi di Gruppo, di sfiducia, è ovvio, mi pare, su quale dei due cadrebbe la scelta e l’indicazione del Governo.

Non c’è nulla da aggiungere.

D’ARAGONA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

D’ARAGONA. Onorevoli colleghi. Io mi limiterò ad una semplicissima dichiarazione di voto a nome del Gruppo socialista dei lavoratori. Il nostro Gruppo ha presentato una sua mozione la quale conclude con l’affermare la sua sfiducia nell’attuale Governo, ma questa mozione ha delle premesse che stabiliscono le ragioni per le quali noi non abbiamo fiducia in questo Governo. Noi non possiamo votare la mozione che è ora in votazione, perché le motivazioni di questa mozione non possono essere accettate da noi. Noi ci asterremo da questa votazione perché ci riserviamo di dare il nostro voto di sfiducia al Governo sulla nostra mozione.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Per motivo di rispetto rigoroso ed obiettivo delle norme di legge, mi limito a fare una espressa riserva.

In questo senso: che, in coerenza di quanto è stato da noi precedentemente sostenuto o di quanto, quindi, è stato sottoposto alla deliberazione dell’Assemblea, ritenendo con ciò di interpretare la volontà reale del Regolamento e non già ad esso di sovrapporsi, come accennava l’onorevole Togliatti, devo dire che noi pensiamo che la sfiducia prevista dall’articolo 3 della legge istitutiva della Costituente debba essere affidata al sistema formalmente e sostanzialmente previsto dalla legge stessa, la quale presuppone un’apposita mozione di sfiducia con quei caratteri formali e sostanziali che sono stati già esposti da altri, notevole tra i quali il deposito preventivo entro il termine di 48 ore in anticipo.

Di conseguenza, poiché qui si tratta di applicare strettamente la legge, anzi una legge costituzionale, devo ritenere che nei confronti di un Governo il quale abbia precedentemente ottenuto il suffragio dell’Assemblea, nei confronti di un Governo per cui non sorga la necessità di presentarsi all’Assemblea per riscuoterne la fiducia, bensì al contrario la sola questione di opporsi ad una mozione di sfiducia, occorra rigorosamente attenersi allo schema formale c sostanziale dell’articolo 3. Con la pratica conseguenza che una mozione di sfiducia non depositata con l’osservanza delle forme c dei termini previsti, e giuridicamente equiparabile a un ordine del giorno puro e semplice, non possa essere oggi sottoposta alla votazione dell’Assemblea. (Applausi al centro).

GIANNINI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIANNINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, mi trovo costretto a fare una dichiarazione personale, poiché la votazione che ha avuto luogo sul modo di votazione della mozione Nenni ha creato, secondo me, un fatto nuovo, ossia rende impossibile la divisione della mozione stessa in seguito a votazione dell’Assemblea. Secondo me, questo è un fatto nuovo. Non ho il tempo, né oso chiedere né a lei, né all’Assemblea di consentirmi di mettermi in contatto con i miei amici, poiché non conosco il loro pensiero in merito: per cui, senza violare nessuna disciplina di Gruppo, sono costretto, da questo fatto nuovo, a consultare unicamente la mia coscienza. Aggiungerò che, dopo le dichiarazioni degli onorevoli De Gasperi, Sforza e Scelba, avrei potuto anche sentirmi molto soddisfatto, e dimenticare il discorso dell’amico Piccioni il quale reca la data del 3 ottobre e non del 3 gennaio. (Si ride). Ma a parte questo, la situazione nuova, creata dalla votazione che ha avuto luogo sulla mozione Nenni, e l’impossibilità in cui mi trovo, di prendere contatti con i miei amici di Gruppo, mi costringono ad astenermi dalla votazione sulla mozione Nenni. (Commenti).

CHIOSTERGI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CHIOSTERGI. La dichiarazione fatta dall’onorevole Dominedò ci obbliga a fare una dichiarazione e a domandare al Presidente dell’Assemblea Costituente se avremo o no la possibilità di esprimere la nostra sfiducia all’attuale Governo votando l’ordine del giorno che abbiamo presentato. Poiché, se questa possibilità non ci è garantita, nostro malgrado – pur non condividendo le motivazioni delle tre mozioni presentate – noi saremo obbligati, pur volendoci differenziare e riservare completamente la nostra libertà d’azione, a votare le tre mozioni di sfiducia presentate dai colleghi. (Applausi a sinistra).

NITTI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Debbo confessare lo stato di disagio nel quale mi trovo in questo momento. Io avevo intenzione di negare la fiducia al Governo (Commenti al centro) e non mi pareva che, date le mie idee ed i miei precedenti, dovessi agire diversamente; ma speravo che qualche cosa di vivo uscisse da questa discussione: e non è uscito nulla.

Ci troviamo ora di fronte ad un Governo che ha, o comunque ha avuto finora, una maggioranza. Anche dopo il distacco degli elementi più avanzati, non ci troviamo di fronte ad alcuna unione. Io speravo che da queste discussioni uscisse almeno tra tutti i partiti minori un senso di concordia e di unione.

Ho già sperimentato personalmente come ciò sia difficile. Quando il Presidente della Repubblica volle consultarmi per dirmi se accettavo di fare un Governo, io gli indicai le ragioni che mi inducevano a volere un Governo che rappresentasse veramente una unione, di fronte alle grandi minacce politiche, economiche e sociali che incombono sul Paese. Io mi illudevo. Trovai molte difficoltà a fare quel Governo che la gravità del momento richiedeva.

Per demolire un Governo occorre che vi sia un Governo da sostituire.

Ora vi è unione di molti contro il Governo attuale, non unione per costituire un nuovo Governo. Parliamo con lealtà: se il Governo oggi è abbattuto, vi sentite di fare un secondo Governo? Per fare un Governo non basta soltanto avere una coalizione, ma occorre una maggioranza. La maggioranza non è solo nei voti, ma nell’unione. Ora la disunione è grande, da una parte e dall’altra, proprio quando noi andiamo verso un’ora terribile. Non ci illudiamo: siamo nell’angoscia di una situazione che fra uno, due o tre mesi diventerà sempre più grave. Vi sentite la sicurezza di buttare a terra il Governo ora, senza pensare di sostituirlo con qualcosa d’efficiente? Non basta essere contro il Governo. La cosa non ha che mediocre importanza; un Governo o l’altro, purché si possa fare un vero Governo. Io non vedo fra gli oppositori che disunione.

Nelle ore difficili, oserei dire terribili, cui andiamo incontro fra uno o due mesi, ancora di più fra tre mesi e nel terribile anno che si inizia con il 1948, io non vedo le forze operanti per formare una unione che ci possa salvare. Non basta avere una incerta maggioranza di voti, ma occorre una base di associati che abbiano almeno intenzione e programma sicuri.

Io esitavo ieri (mi consentano i colleghi la sincerità): il discorso dell’onorevole Piccioni, così audace ed anche così esuberante, mi aveva ricacciato nella tristezza del dubbio. Mi pareva aumentasse i contrasti invece che diminuirli. La sua stessa sicurezza contro gli avversari e il linguaggio quasi minaccioso mi turbavano. Noi non sappiamo quale sia la nostra situazione reale in questo momento. L’onorevole De Gasperi ci ha detto ieri che noi manchiamo di grano. Quando io dissi che mancavano almeno 29 milioni di quintali di grano, si è riso del mio pessimismo. Ora l’onorevole De Gasperi con sincerità, ha dovuto dichiarare che la deficienza è ben maggiore di quel che io avevo detto. Non è il grano soltanto che ci manca: ci mancheranno presto molte delle cose che ci sono necessarie ed è impossibile mentire. Non abbiamo grano e mancano dollari per comprare grano. Dobbiamo trovarne. E non basta: mancano tante altre cose necessarie. L’onorevole Einaudi stamattina ci ha detto che, pur avendo accresciuto le imposte, pur avendole portate ad una pressione molto alta, non è diminuito il disavanzo. Ci ha confessato le difficoltà che si creano da una qualunque politica che voglia arrestare veramente la caduta della lira, che ci minaccia realmente, a breve intervallo, se non faremo una politica saggia, onesta, audace: politica di economie che imponga nuove privazioni.

Il pericolo è grave la situazione nostra all’estero, nonostante l’ottimismo arcadico di Sforza, non è certo ragione di orgoglio e non è programma di sicurezza.

Noi abbiamo difficoltà interne di sistemazione; vi sono forze che agiscono più in senso di dissoluzione che di coesione e di rinnovazione. Molte cose ci mancano. Ci manca soprattutto quell’unità spirituale di un Paese che, conscio delle sue difficoltà e dei suoi pericoli, si vuol salvare con la unione e con il sacrificio di tutti alla causa comune. Troppo grande è il rancore di quegli stessi che erano ieri ancora riuniti, troppo grande è il distacco spirituale. Noi dobbiamo evitare a ogni costo l’aggravarsi di questo stato degli animi.

Qui dentro vi sono tanti spiriti onesti che vedono solo la Patria, ma forse non mancano persone che hanno di mira soprattutto il Governo. Per quanto il Governo non possa avere attrazione per uomini veramente responsabili – tante sono le difficoltà – pure esercita ancora attrazione.

Il Governo attuale, se rimane, come io credo, al suo posto, deve pensare al suo compito terribile. E tra due, tre mesi, lo ripeto, la situazione sarà molto più critica di adesso, e nell’anno nuovo sarà gravissima.

Non desideriamo nessuna avventura. Aspettiamo. Che il Governo cada è probabile, ma io so che chi vota per la caduta del Governo, deve pensare al Governo che segue. Ora, è possibile a noi fare un Governo che faccia a meno dei democratici cristiani da una parte, dell’America dall’altra?

Vediamo la situazione così com’è, ruvidamente, brutalmente, senza dissimularci nulla. Non solo non possiamo vincere le difficoltà più grandi contro l’America, ma né meno senza l’America. Data la situazione attuale non si può fare un Governo contro i democristiani e né meno senza i democristiani. Ora, in queste condizioni, io ritengo che sia grave avventura lanciarsi in una crisi di Governo. Pensiamo che domani apriremmo una crisi che durerebbe almeno venti giorni, paralizzando tutto. E poi ci sarebbe una nuova discussione sul programma del Governo. Discussione eterna e forse inutile. E intanto ci avviciniamo alla fine dell’esistenza della Costituente senza avere compiuto il nostro compito.

Dunque, io vi dico che, pur essendo nell’animo mio spesso in molte cose contro il Governo, non mi sento adesso nel diritto di votar contro e di provocare una crisi. Il Governo non può essere eterno. Fra venti giorni, fra un mese, fra due mesi, fra tre bisognerà affrontare tali problemi che minacceranno il Governo. Vi potrà essere persino necessità di una crisi. Ma in tal caso, bisogna che vi sia qualcosa di ben definito e non già l’incertezza e l’equivoco. Sono gli avvenimenti che ci dominano. E noi, non perdendo mai il senso della realtà, dobbiamo seguire i nostri programmi e i nostri ideali adattandoci alla realtà. Forse saranno possibili tante cose che ora non lo sono. Dichiaro che, pur mantenendo tutte le mie idee, la mia azione, il mio programma, in questo momento credo mio dovere votare la fiducia al Governo, cioè evitare una crisi. (Applausi al centro – Commenti a sinistra).

PRESIDENTE. Dobbiamo ora passare alla votazione.

CHIOSTERGI. Onorevole Presidente, mi scusi, le avevo chiesto una assicurazione.

PRESIDENTE. Mi stupisco che Ella ripresenti la questione. Bisognerebbe che io potessi prevedere l’esito delle prossime votazioni per darle la garanzia che mi chiede. Evidentemente ora non posso dargliela. A seconda del modo con cui si concluderanno le votazioni si potranno poi o no votare gli ordini del giorno. Questa è l’unica cosa che posso dirle.

CHIOSTERGI. Mi permetto di fare osservare che in quest’Aula c’è un partito che potrebbe dare la risposta, ed è il partito della democrazia cristiana. (Commenti).

PRESIDENTE. In queste questioni, in Aula, la risposta la dà solo il Presidente.

Votazione nominale.

PRESIDENTE. Procediamo alla votazione nominale sulla mozione degli onorevoli Nenni, Basso, Romita, Cosattini, Faralli, Giacometti, Giua, Jacometti, Lizzadri, Morandi, Nobili Tito Oro, Cacciatore, Stampacchia, Tonello e Vernocchi:

«L’Assemblea Costituente, di fronte ai risultati della politica generale del Governo ed in particolare di quella economico-finanziaria che compromette lo sforzo solidale della ricostruzione del Paese, l’ordine interno e il tenore di vita delle masse popolari, nega la sua fiducia al Governo e passa all’ordine del giorno».

Estraggo il nome del deputato dal quale comincerà la chiama.

(Segue il sorteggio).

Comincerà dal deputato Sardiello.

Si faccia la chiama.

Presidenza del Vicepresidente BOSCO LUCARELLI

RICCIO, Segretario, fa la chiama:

Hanno risposto sì:

Alberganti – Allegato – Amadei – Amendola – Assennato.

Baldassari – Barbareschi – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basso – Bei Adele – Bernamonti – Bernardi – Bernini Ferdinando – Bianchi Bruno – Bibolotti – Bitossi – Boldrini – Bolognesi – Bonomelli – Bosi – Bruni – Bucci – Buffoni Francesco.

Cacciatore – Calamandrei – Caldera – Carpano Maglioli – Cavallari – Cavallotti – Cerreti – Cevolotto – Chiarini – Cianca – Codignola – Colombi Arturo – Corbi – Cosattini – Costa – Costantini – Cremaschi Olindo.

D’Amico Michele – De Filpo – De Michelis Paolo – Di Vittorio – Donati – D’Onofrio – Dozza – Dugoni.

Faccio – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Ferrari Giacomo – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Fioritto – Flecchia – Foa – Fogagnolo – Fornara.

Gallico Spano Nadia – Gavina – Gervasi – Ghidetti – Ghislandi – Giacometti – Giolitti – Giua – Gorreri – Grazi Enrico – Grazia Verenin – Grieco – Gullo Fausto.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jacometti.

Laconi – Landi – La Rocca – Leone Francesco – Li Causi – Lizzadri – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo – Longo – Lopardi – Lozza – Luisetti – Lussu.

Maffi – Magnani – Malagugini – Maltagliati – Mancini – Marchesi – Mariani Enrico – Massini – Massola – Mastino Pietro – Mattei Teresa – Matteotti Carlo – Merighi – Merlin Angelina – Mezzadra – Minella Angiola – Minio – Molè – Molinelli – Montagnana Mario – Montagnana Rita – Montalbano – Morandi – Moranino – Moscatelli – Musolino – Musotto.

Nasi – Negarville – Negro – Nenni – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Noce Teresa – Novella.

Pajetta Gian Carlo – Pajetta Giuliano – Pastore Raffaele – Pellegrini – Pertini Sandro – Pesenti – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Pratolongo – Pressinotti – Priolo – Pucci.

Ravagnan – Ricci Giuseppe – Romita – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Roveda – Ruggero Luigi.

Saccenti – Sansone – Santi – Scarpa – Schiavetti – Scoccimarro – Scotti Francesco – Secchia – Sereni – Sicignano – Silipo – Spano – Stampacchia.

Targetti – Tega – Togliatti – Tomba – Tonello – Tonetti.

Valiani – Varvaro – Vernocchi – Veroni – Vigna – Vinciguerra.

Zannerini – Zappelli.

Hanno risposto no:

Abozzi – Adonnino – Alberti – Aldisio – Ambrosini – Andreotti – Angelini – Angelucci – Arcaini – Arcangeli – Avanzini – Ayroldi.

Bacciconi – Badini Confalonieri – Balduzzi – Baracco – Bastianetto – Bazoli – Bellato – Bellavista – Belotti – Bencivenga – Benedettini – Benvenuti – Bergamini – Bertini Giovanni – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchini Laura – Bonino – Bonomi Paolo – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Braschi – Brusasca – Bubbio – Bulloni Pietro – Buonocore – Burato.

Caccuri – Caiati – Camposarcuno – Cannizzo – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Capua – Carbonari – Carboni Enrico – Carignani – Caristia – Caroleo – Caronia – Carratelli – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Castiglia – Cavalli – Chatrian – Chieffi – Ciampitti – Ciccolungo – Cicerone – Cifaldi – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombo Emilio – Colonna di Paliano – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbino – Corsanego – Corsini – Cortese – Cotellessa – Covelli – Cremaschi Carlo – Crispo – Cuomo.

Damiani – De Caro Gerardo – De Caro Raffaele – De Falco – De Gasperi – Del Curto – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Michele Luigi – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Dominedò – Dossetti.

Einaudi – Ermini.

Fabbri – Fabriani – Fanfani – Fantoni – Federici Maria – Ferrarese – Ferrario Celestino – Ferreri – Firrao – Foresi – Franceschini – Fresa – Froggio – Fuschini – Fusco.

Gabrieli – Galati – Galioto – Garlato – Gatta – Germano – Geuna – Giacchero – Giordani – Gonella – Gortani – Gotelli Angela – Grassi – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippi – Gui – Guidi Cingolani Angela.

Jervolino.

La Gravinese Nicola – Lagravinese Pasquale – La Pira – Lazzati – Leone Giovanni – Lettieri – Lizier – Lucifero.

Malvestiti – Mannironi – Manzini – Marazza – Marconi – Marina Mario – Marinaro – Martinelli – Martino Gaetano – Marzarotto – Mastino Gesumino – Mastrojanni – Mattarella – Mazza – Meda Luigi – Medi Enrico – Mentasti – Merlin Umberto – Miccolis – Micheli – Monterisi – Monticelli – Montini – Morelli Luigi – Morelli Renato – Moro – Mortati – Motolese – Murgia.

Nicotra Maria – Nitti – Notarianni – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pallastrelli – Pastore Giulio – Pat – Patrissi – Pecorari – Pella – Penna Ottavia – Perlingieri – Perrone Capano – Perugi – Petrilli – Piccioni – Pignedoli – Ponti – Proia – Puoti.

Quarello – Quintieri Adolfo – Quintieri Quinto.

Raimondi – Rapelli – Recca – Rescigno – Restagno – Restivo – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Romano – Roselli – Rubilli – Ruini – Rumor – Russo Perez.

Saggin – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sartor – Scalfaro – Scelba – Schiratti – Scoca – Segni – Selvaggi – Sforza – Siles – Spataro – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Taviani – Terranova – Tessitori – Tieri Vincenzo – Titomanlio Vittoria – Togni – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Trimarchi – Tripepi – Trulli – Tumminelli – Topini – Turco.

Uberti.

Valenti – Vallone – Valmarana – Vanoni – Venditti – Viale – Vicentini – Vigo – Vilardi – Villabruna – Volpe.

Zaccagnini – Zerhi – Zotta.

Si sono astenuti:

Arata – Azzi.

Bennani – Bernabei – Bianchi Bianca – Bocconi – Bonfantini.

Cairo – Calosso – Camangi – Canevari – Caporali – Carboni Angelo – Cartìa – Chiaramello – Chiostergi – Conti – Corsi.

D’Aragona – Della Seta – De Mercurio – Di Govanni – Di Gloria.

Facchinetti – Fietta – Filippini.

Gasparotto – Ghidini – Giannini – Grilli – Gullo Rocco.

La Malfa – Lami Starnuti – Longhena.

Macrelli – Magrassi – Magrini – Matteotti Matteo – Mazzoni – Momigliano – Montemartini – Morini.

Pacciardi – Paolucci – Paris – Pera – Perassi – Persico – Pignatari – Preti.

Rossi Paolo.

Salerno – Sapienza – Saragat – Sardiello – Segala – Simonini – Spallicci.

Tremelloni – Treves.

Vigorelli – Villani.

Zuccarini.

Sono in congedo:

Carmagnola.

De Vita.

Jacini.

Parri – Pellizzari – Porzio.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione nominale ed invito gli onorevoli Segretari a procedere al computo dei voti.

(Gli onorevoli Segretari fanno il computo dei voti).

Presidenza del Presidente TERRACINI

Risultato della votazione nominale.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione nominale sulla mozione presentata dall’onorevole Nenni:

Presenti                                 512

Astenuti                                 63

Votanti                                  449

Maggioranza assoluta dei

membri dell’Assemblea         279

Hanno risposto                   178

Hanno risposto no                  271

Non essendo stata raggiunta la maggioranza assoluta, di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 16 marzo 1946, n. 98, la nozione non è approvata.

Si riprende la discussione delle mozioni.

PRESIDENTE. Dobbiamo ora passare alla mozione presentata dagli onorevoli Togliatti, Scoccimarro, Longo, D’Onofrio, Secchia, Novella, Rossi Maria Maddalena e Laconi:

«L’Assemblea Costituente, di fronte alle misure delle autorità di pubblica sicurezza e prefettizie che limitano la libertà di propaganda e agitazione, e le libertà democratiche in generale, nega la sua fiducia al Governo e passa all’ordine del giorno».

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. Signor Presidente, mi pare che, dato che sulla mozione presentata dal nostro Gruppo difficilmente si realizzerebbe uno schieramento diverso da quello che testé è stato constatato, per non far perdere maggiormente tempo all’Assemblea il nostro Gruppo ha deciso di ritirare la mozione. (Applausi).

PRESIDENTE. Segue la mozione presentata dagli onorevoli Canevari, Saragat, Zagari, Vigorelli, Simonini, Persico, Piemonte, Villani, Cartia, Lami Starnuti e Cairo:

«L’Assemblea Costituente, considerati la gravità della crisi economica del Paese ed i preoccupanti sviluppi della situazione internazionale, ritiene necessaria una nuova formazione di Governo più rispondente di quella attuale agli interessi solidali della Nazione e delle classi lavoratrici. Conseguentemente nega la sua fiducia al Governo e passa all’ordine del giorno».

NENNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NENNI. Onorevoli colleghi, per quanto convinti che il risultato negativo della lotta che si è svolta in questa Assemblea sia dovuto all’atteggiamento che ha tenuto il Gruppo di cui in questo momento ci si chiede di votare la mozione, abituati però a porre le conclusioni al disopra dei nostri sentimenti e dei nostri risentimenti, noi voteremo la mozione che è stata presentata.

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. Dichiaro che anche il nostro Gruppo, dopo avere nel dibattito chiaramente sottolineato le proprie posizioni in confronto alle posizioni sostenute dal partito dell’onorevole Saragat, siccome mira prima di tutto al risultato positivo e concreto del voto parlamentare, voterà la mozione dell’onorevole Saragat.

CAROLEO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAROLEO. Dichiaro che voterò contro la mozione Saragat pur approvandone, in via di massima, la prima parte.

MAZZONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAZZONI. Io avrei votato la mozione Saragat, ma poiché in questo momento, già torbido per vari aspetti, pieno di ombre e di cose insincere, la mozione Saragat assumerebbe un aspetto falso in seguito alle dichiarazioni che hanno fatto gli onorevoli Togliatti e Nenni, in nome di una sincerità che non deve essere disprezzata ed anzi deve essere onorata in questo momento, dichiaro che voterò contro. (Applausi al centro e a destra – Commenti a sinistra).

D’ARAGONA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

D’ARAGONA. A nome del mio Gruppo devo dichiarare che l’onorevole Mazzoni già da tempo non appartiene ad esso. (Interruzioni – Commenti). Quindi la dichiarazione dell’onorevole Mazzoni è una dichiarazione strettamente personale che non impegna affatto il nostro Gruppo.

MERLIN ANGELINA. L’onorevole Mazzoni è un socialista, mentre lei non lo è. (Commenti).

MAZZONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAZZONI. Signor Presidente, non ho l’abitudine di mescolare le meschinità, le miserie e le amarezze dei partiti nella discussione delle assemblee pubbliche, che hanno il diritto di dare giudizi e voti in piena libertà. Ma poiché l’onorevole D’Aragona, con una impudenza di cui gli do atto, s’è permesso di fare accenno alle mie dimissioni, gli devo osservare che, circa le mie dimissioni – che ho date per l’incertezza è l’ambiguità di un voto che si è trascinato fino a queste ultime ore, fino a questa mattina e quest’oggi – gli amici mi hanno pregato di rientrare perché delle mie dimissioni non si voleva prendere atto. Detto questo, dichiaro all’onorevole D’Aragona che non ricevo lezioni né da lui, né da altri. (Commenti).

Votazione nominale.

PRESIDENTE. Comunico che sulla mozione Saragat è stato chiesto l’appello nominale dagli onorevoli Preti, Simonini, Piemonte, Persico, Villani, Morini, Bennani, Calosso, Filippini, Carboni Angelo, Paris, Cartia, Gullo Rocco, Rossi Paolo, Chiaramello e Caporali.

Procediamo alla votazione nominale.

Estraggo a sorte il nome del deputato dal quale comincerà la chiama.

(Segue il sorteggio).

Comincerà dal deputato Morandi.

Si faccia la chiama.

RICCIO, Segretario, fa la chiama:

Hanno risposto sì:

Alberganti – Allegato Amadei – Amendola – Arata – Assennato.

Baldassari – Barbareschi – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basso – Bei Adele – Bennani – Bernamonti – Bernardi – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Bibolotti – Binni – Bitossi – Bocconi – Boldrini – Bolognesi – Bonfantini – Bonomelli – Bosi – Bruni – Bucci – Buffoni Francesco.

Cacciatore – Cairo – Calamandrei – Caldera – Calosso – Canevari – Caporali – Carboni Angelo – Carpano Maglioli – Cartia – Cavallari – Cavallotti – Cerreti – Cevolotto – Chiaramello – Chiarini – Cianca – Codignola – Colombi Arturo – Corbi – Corsi – Cosattini – Costa – Costantini – Cremaschi Olindo.

D’Amico – D’Aragona – De Filpo – De Michelis Paolo – Di Giovanni – Di Gloria – Di Vittorio – Donati – D’Onofrio – Dozza – Dugoni.

Faccio – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Ferrari Giacomo – Fietta – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Fioritto – Flecchia – Foa – Fogagnolo – Fornara.

Gallico Spano Nadia – Gavina – Gervasi – Ghidetti – Ghidini – Ghislandi – Giacometti – Giolitti – Giua – Gorreri – Grazi Enrico – Grazia Verenin – Grieco – Grilli – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jacometti.

Laconi – Lami Starnuti – Landi – La Rocca – Leone Francesco – Li Causi – Lizzadri – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo – Longhena – Longo – Lopardi – Lozza – Luisetti – Lussu.

Maffi – Magnani – Malagugini – Maltagliati – Mancini – Marchesi – Mariani Enrico – Massini – Massola – Mastino Pietro – Mattei Teresa – Matteotti Carlo – Matteotti Matteo – Merighi – Merlin Angelina – Mezzadra – Minella Angiola – Minio – Molè – Molinelli – Momigliano – Montagnana Mario – Montagnana Rita – Montalbano – Montemartini – Morandi – Moranino – Morini – Moscatelli – Musolino – Musotto.

Nasi – Negarville – Negro – Nenni – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Noce Teresa – Novella.

Pajetta Gian Carlo – Pajetta Giuliano – Paris – Pastore Raffaele – Pellegrini – Pera – Persico – Pertini Sandro – Pesenti – Piemonte – Pignatari – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Pratolongo – Pressinotti – Preti – Priolo – Pucci.

Ravagnan – Ricci Giuseppe – Romita – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Roveda – Ruggieri Luigi.

Saccenti – Salerno – Sansone – Santi – Sapienza – Saragat – Scarpa – Schiavetti – Scoccimarro – Scotti Francesco – Secchia – Segala – Sereni – Sicignano – Silipo – Silone – Simonini – Spano – Stampacchia.

Targetti – Tega – Togliatti – Tomba – Tonello – Tonetti – Tremelloni – Treves.

Valiani – Varvaro – Vernocchi – Veroni – Vigna – Vigorelli – Villani – Vinciguerra.

Zagari – Zanardi – Zannerini – Zappetti.

Hanno risposto no:

Abozzi – Adonnino – Alberti – Aldisio – Ambrosini – Andreotti – Angelini – Angelucci – Arcaini – Arcangeli – Avanzini – Ayroldi.

Bacciconi – Badini Confalonieri – Balduzzi – Baracco – Bastianetto – Bazoli – Bellato – Bellavista – Belotti – Bencivenga – Benedettini – Benvenuti – Bergamini – Bertini Giovanni – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchini Laura – Bonino – Bonomi Paolo – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Braschi – Brusasca – Bubbio – Bulloni Pietro – Buonocore – Burato.

Caccuri – Caiati – Camposarcuno – Cannizzo – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Capua – Carbonari – Carboni Enrico – Carignani – Caristia – Caroleo – Caronia – Carratelli – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Castiglia – Cavalli – Chatrian – Chieffi – Ciampitti – Ciccolungo – Cicerone – Cifaldi – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombo Emilio – Colonna di Paliano – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbino – Corsanego – Corsini – Cortese – Cotellessa – Covelli – Cremaschi Carlo – Crispo – Cuomo.

Damiani – De Caro Gerardo – De Caro Raffaele – De Falco – De Gasperi – Del Curto – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Michele Luigi – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Dominedò – Dossetti.

Einaudi – Ermini.

Fabbri – Fabriani – Fanfani – Fantoni – Federici Maria – Ferrarese – Ferrario Celestino – Ferreri – Firrao – Foresi – Franceschini – Fresa – Froggio – Fuschini – Fusco.

Gabrieli – Galati – Galioto – Garlato – Gatta – Germano – Geuna – Giacchero – Giordani – Gonella – Gortani – Gotelli Angela – Grassi – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela.

Jervolino.

La Gravinese Nicola. – Lagravinese Pasquale – La Pira – Lazzati – Leone Giovanni – Lettieri – Lizier – Lucifero.

Maffioli – Malvestiti – Mannironi – Manzini – Marazza – Marconi – Marina Mario – Marinaro – Martinelli – Martino Gaetano – Marzarotto – Mastino Gesumino – Mastrojanni – Mattarella – Mazza – Mazzoni – Meda Luigi – Medi Enrico – Mentasti – Merlin Umberto – Miccolis – Micheli – Monterisi – Monticelli – Montini – Morelli Luigi – Morelli Renato – Moro – Mortati – Motolese – Murgia.

Nicotra Maria – Notarianni – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pallastrelli – Pastore Giulio – Pat – Patrissi – Pecorari – Pella – Penna Ottavia – Perlingieri – Perrone Capano – Perugi – Petrilli – Piccioni – Pignedoli – Ponti – Proia – Puoti.

Quarello – Quintieri Adolfo – Quintieri Quinto.

Raimondi – Rapelli – Recca – Rescigno – Restagno – Restivo – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Romano – Roselli – Rubilli – Rumor – Russo Perez.

Saggin – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sartor – Scalfaro – Scelba – Schiratti – Scoca – Segni – Selvaggi – Sforza – Siles – Spataro – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Taviani – Terranova – Tessitori – Tieri Vincenzo – Titomanlio Vittoria – Togni – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Trimarchi – Tripepi – Trulli – Tumminelli – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Vallone – Valmarana – Vanoni – Venditti – Viale – Vicentini – Vigo – Vilardi – Villabruna – Volpe.

Zaccagnini – Zerbi – Zotta.

Si sono astenuti:

Azzi.

Bernabei.

Camangi – Chiostergi – Conti.

Della Seta – De Mercurio.

Facchinetti.

La Malfa.

Macrelli – Magrini.

Pacciardi – Paolucci – Perassi.

Sardiello – Spallicci

Zuccarini.

Sono in congedo:

Carmagnola.

De Vita.

Jacini.

Parri – Pellizzari – Porzio.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione nominale. Invito gli onorevoli segretari a procedere al computo dei voti.

(Gli onorevoli Segretari procedono al computo dei voti).

Risaltato della votazione nominale.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione nominale sulla mozione presentata dall’onorevole Saragat:

Presenti                                      512

Astenuti                                     17

Votanti                                      495

Maggioranza assoluta dei

membri dell’Assemblea              279

Hanno risposto                        224

Hanno risposto no                       271

Non essendo stata raggiunta la maggioranza assoluta, di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 16 marzo 1946, n. 98, la mozione non è approvata.

Sugli ordini del giorno.

PRESIDENTE. Dobbiamo ora passare agli ordini del giorno degli onorevoli Quinto Quintieri, Micheli e Magrini.

Chiedo ai presentatori se vi insistono. Ha facoltà di parlare l’onorevole Quinto Quintieri.

QUINTIERI QUINTO. Ritiro il mio ordine del giorno, avendolo presentato soltanto per richiamare l’attenzione del Governo sopra un aspetto particolarmente delicato della sua politica finanziaria.

PRESIDENTE. L’onorevole Micheli ha facoltà di dichiarare se conserva il suo ordine del giorno.

MICHELI. Come ho già dichiarato rinunziando allo svolgimento del mio ordine del giorno, esso aveva il solo scopo di richiamare l’attenzione del Governo sopra le necessità che non si interrompa il ritmo dei lavori per la ricostruzione e di provvidenze per lenire la disoccupazione. Pertanto lo ritiro.

PRESIDENTE. L’onorevole Magrini ha facoltà di dichiarare se mantiene il suo ordine del giorno.

MAGRINI. Lo mantengo.

CRISPO. Chiedo di parlare per una pregiudiziale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. Onorevole Presidente, ritengo che l’ordine del giorno Magrini non possa essere posto in votazione. È questa la pregiudiziale che io presento. E mi affretto a dire subito che a sostegno del mio assunto io non invoco l’ultima parte dell’articolo 3 della legge del 16 marzo 1946, n. 98. L’ultima parte dell’articolo 3 della legge 16 marzo 1946 stabilisce in quali casi la mozione di sfiducia debba determinare obbligatoriamente le dimissioni del Governo e determina le condizioni nelle quali questa mozione di sfiducia debba essere presentata per produrre gli effetti delle dimissioni del Governo. Non invoco adunque l’ultima parte dell’articolo 3, perché mi si potrebbe osservare agevolmente (e faccio a me stesso l’obiezione) che l’ordine del giorno potrebbe essere votato, ma non sarebbe destinato a produrre gli effetti dell’articolo 3 della legge 16 marzo 1946.

Ecco perché dicevo che non invoco a sostegno della mia tesi l’articolo 3, ma invoco invece l’articolo 28 del Regolamento.

Spiego subito il mio pensiero. In effetti, l’ordine del giorno di sfiducia riproduce la mozione di sfiducia.

Voci a sinistra. No, No!

PRESIDENTE. Prego: non interrompano.

CRISPO. L’ordine del giorno riproduce, dicevo, – e ripeto – la mozione di sfiducia, con questa differenza, che l’una si chiama mozione di sfiducia e quello presentato, e sul quale si dovrebbe votare, si chiama ordine del giorno, e che l’una – la mozione di sfiducia – è motivata e questo ordine del giorno non è motivato. Ma, nella sostanza e nel contenuto, l’ordine del giorno riproduce una dichiarazione di sfiducia al Governo.

Qual è la ragione per la quale, secondo me, è inammissibile la votazione su quest’ordine del giorno che, nella sua sostanza e nel suo contenuto, riproduce una dichiarazione di sfiducia? Questa: che si potrebbe determinare una evidente contradizione… (Interruzione del deputato Carpano Maglioli – Commenti a destra).

Vi sono tre mozioni di sfiducia, delle quali una, quella dell’onorevole Togliatti, ritirata; le altre due respinte. Com’è conciliabile una votazione su un ordine del giorno di sfiducia quando già, respingendosi le mozioni di sfiducia, è stata data la fiducia al Governo? (Applausi al centro).

LACONI. Le mozioni non esauriscono tutte le motivazioni possibili.

Una voce al centro. Ne potete fare centomila di motivazioni! (Commenti).

CRISPO. Rispondo all’onorevole Laconi che ho già ricordato come l’ordine del giorno sia senza alcuna motivazione: il più comprende evidentemente il meno. Se sono state respinte due mozioni motivate, evidentemente deve intendersi respinto anche un ordine del giorno che conclude allo stesso modo delle mozioni ed in più è senza motivazione. (Proteste a sinistra – Commenti al centro e a destra).

CRISPO. Vorrei, signor Presidente, a ribadire la esattezza della mia tesi, dire un’altra cosa. Se io presentassi in questo momento un ordine del giorno di fiducia al Governo, potrebbe questo ordine del giorno essere votato? Evidentemente no; non potrebbe essere votato perché è stata già votata implicitamente la fiducia al Governo, respingendosi le mozioni di sfiducia. Questo mi sembra evidentissimo (Commenti a sinistra). E allora meno ancora può essere votato un ordine del giorno di sfiducia al Governo.

Un’ultima considerazione. Ho già ricordato come non invocassi – e difatti non ho invocato – l’ultima parte dell’articolo 3; ma posso in questo momento riferirmi all’ultima parte dell’articolo 3, per una definitiva osservazione. (Interruzioni – Commenti prolungati a sinistra).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, facciano silenzio, per favore. Onorevole Crispo, la prego, continui.

CRISPO. La disposizione dell’articolo 128 del Regolamento, per la quale l’ordine del giorno puro e semplice e l’ordine del giorno motivato non hanno nella votazione la precedenza sulle mozioni, va interpretata, senza dubbio, nel senso che in tanto possa essere votato un ordine del giorno in occasione della votazione di una mozione, in quanto l’ordine del giorno non riproduca la mozione perché, altrimenti, si tratterebbe di un bis in idem.

Si potrà votare solo un ordine del giorno il quale abbia un contenuto sostanzialmente diverso da quello di mozioni già votate. (Interruzione dell’onorevole Nenni – Commenti e proteste a sinistra).

PRESIDENTE. Facciano silenzio, onorevoli colleghi. Onorevole Nenni, la prego.

CRISPO. Quale definitivo argomento, posso ora ricordare anche l’ultima parte dell’articolo 3 del decreto 16 marzo 1946, per dire che, se la sfiducia al Governo obbedisce ad una sola finalità, quella di obbligare il Governo stesso a rassegnare le dimissioni, e se la legge stabilisce una determinata e speciale procedura, quella cioè che ha luogo attraverso un’apposita mozione di sfiducia presentata in un determinato modo, è evidente, onorevoli colleghi, che non si può dare la sfiducia al Governo attraverso un ordine del giorno.

Per queste ragioni, sostengo l’inammissibilità dell’ordine del giorno e chiedo che non sia posto in votazione. (Applausi al centro e a destra – Commenti a sinistra).

MACRELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MACRELLI. Mi dispiace che le parole dell’onorevole Crispo non siano arrivate fino a me. Immagino che si sia appellato alla parola e allo spirito del decreto 16 marzo 1946 e del Regolamento.

Potremmo discutere anche su questo tema; potremmo anche esprimere il nostro giudizio a questo proposito, in assoluto contrasto con la tesi che ha presentato L’onorevole Crispo.

Una voce al centro. Ma se non l’ha sentita!

MACRELLI. Me l’immagino, anche se non l’ho sentita.

Ho delle ragioni personali che militano a favore di questo mio assunto. Purtroppo sono un vecchio parlamentare. (Commenti). Appartengo ad anni lontani. Ho discusso altre volte qui anche il Regolamento che dirige i nostri lavori; quindi, lo conosco e, poi, sono un avvocato, non della levatura dell’onorevole Crispo (Commenti), ma credo di sapere interpretare e la legge e il Regolamento, nella parola e nello spirito.

Ma non farò una questione di ordine giuridico; io sollevo una questione di ordine morale e politico, una questione di onestà e di lealtà. Mi rivolgo alla Presidenza, allo stesso Governo, a tutta l’Assemblea.

Voi avete sentito che io ho parlato prima che fossero messe in votazione le mozioni; ho detto le ragioni per cui noi del Gruppo repubblicano ci saremmo astenuti dal votare le tre mozioni, perché le premesse non collimavano col nostro pensiero e col nostro giudizio. Ma abbiamo detto qualche cosa di più, e ci siamo rivolti alla Presidenza e ci siamo rivolti anche all’Assemblea Costituente. Il collega Chiostergi, su un richiamo venuto dal banco della Presidenza, ha rivolto una domanda specifica proprio al Gruppo della democrazia cristiana.

Una voce al centro. Non a noi.

MACRELLI. L’ha rivolta anche a voi; comunque l’ha fatto. Questa è la situazione. Nonostante qualche accenno che ha sollevato un dubbio molto importante, noi abbiamo dichiarato che non avremmo votato le mozioni perché ci riservavamo di votare il nostro ordine del giorno. Se avessimo saputo che invece questo nostro atteggiamento sarebbe stato interpretato così come si intende interpretarlo adesso, noi avremmo votato la prima e l’ultima mozione. (Commenti al centro). E allora la nostra astensione acquista un altro valore e un altro significato. Se si potessero rettificare i voti, i risultati delle votazioni, noi potremmo anche dire: aggiungete i nostri voti ai risultati.

BADINI CONFALONIERI. Ma il risultato non cambierebbe!

MACRELLI. Non importa, onorevole Badini, noi riteniamo ugualmente mantenere la nostra corretta linea morale e politica. Non significa nulla il risultato della votazione; per me hanno valore fino ad un certo punto i voti: sono le premesse, le condizioni, le situazioni, soprattutto i pensieri che dirigono i voti, che hanno valore.

Ecco quello che noi affermiamo davanti al Governo e davanti all’Assemblea. Noi insistiamo. Il Governo avrà la maggioranza dei voti. Perfettamente d’accordo. Noi non ci lamenteremo. Ma permetteteci che, facendo appello al vostro senso di onestà e di lealtà, noi insistiamo.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Devo dissentire dall’impostazione data dall’onorevole Crispo per la ragione che non ritengo sussista un motivo di preclusione, nascente dalle precedenti votazioni. Infatti dal giuoco delle diverse motivazioni può ben discendere un diverso giuoco dei risultati, come è comprovato praticamente dal fatto che il Gruppo repubblicano, astenutosi da una precedente votazione, è successivamente portato ad esprimere un voto contrario. Questo, per debito di lealtà.

Aggiungo – e desidero sottolinearlo nei confronti dell’onorevole Macrelli il quale osservava che se i repubblicani fossero stati resi edotti tempestivamente di questa presa di posizione, avrebbero potuto diversamente votare nell’ambito dell’ultima votazione – aggiungo, dicevo, che noi abbiamo ritenuto doveroso dal punto di vista della correttezza parlamentare preannunciare a tempo la nostra interpretazione della materia. Noi ci fondiamo sul terreno strettamente giuridico, non in base alle argomentazioni regolamentari testé svolte e che personalmente non condivido, bensì in forza di quel principio di ordine costituzionale contenuto nell’articolo 3 della legge istitutiva della Costituente, la quale tende a creare tutto un nuovo spirito nella serie dei giudizi politici che possono darsi ai fini della caduta o meno del Governo, esigendo, per il principio di stabilità del potere esecutivo rispetto alla funzione del potere legislativo, un’apposita mozione di sfiducia da depositare nei termini e nelle forme previste. Né varrebbe operare fuori di questo quadro, mediante votazioni semplicemente indicative le quali non portino come conseguenza l’obbligatorietà delle discussioni: poiché ciò sarebbe violare lo spirito della legge.

Sono questi i principî costituzionali che noi teniamo a preservare, proprio in questa fase storica di profonda elaborazione costituzionale.

Detto questo, resta solo da aggiungere che potrebbe tuttavia subentrare una valutazione contingente di ordine politico, sul cui apprezzamento di convenienza non compete a me fare parola in quanto il giudizio spetta al Governo.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. L’apprezzamento politico del quale parlava testé l’onorevole Dominedò si collega al quesito posto dall’onorevole Crispo, il quale si domanda: dopo il voto sulle mozioni di sfiducia, che vale votare un ordine del giorno su una cosa già decisa? Non avrebbe lo stesso significato?

Ebbene no, non ha lo stesso significato. Una mozione di sfiducia che ottenga la maggioranza obbliga il Governo a dimettersi, l’ordine del giorno non obbliga il Governo a dimettersi, ma può significare un consiglio al Governo, l’indicazione di un orientamento, di uno stato d’animo; in questa differenziazione v’è la giustificazione del voto sull’ordine del giorno. Questo mi pare un atto politico che non si possa respingere: il Governò può anzi avere interesse che si compia.

Ha importanza, onorevole Crispo, sapere se in questi quattro mesi i voti di fiducia o di sfiducia al Governo sono aumentati o diminuiti. Per questo chiediamo che l’ordine del giorno venga messo in votazione.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Comprendo lo stato di agitazione in cui si trova l’Assemblea in quest’ora, ma il fatto si è che vengono sollevate eccezioni senza fondamento, proprio perché danno motivo a che altre questioni sulla interpretazione del Regolamento vengano sottoposte all’Assemblea. È proprio per porre un freno a questo sistema che io desidero intervenire.

Vorrei rispondere a due eccezioni, sollevate una dall’onorevole Crispo e l’altra dall’onorevole Dominedò. L’onorevole Crispo notava giustamente che la approvazione di un ordine del giorno di sfiducia non comporta le dimissioni automatiche del Governo. Questo è pacifico. Ma la votazione ha comunque un valore di indicazione e di orientamento che ha un suo rilievo politico. In questo senso l’ordine del giorno può essere votato. Sono state votate due mozioni di sfiducia, con due distinte motivazioni; ma vi sono infinite motivazioni possibili di una mozione di sfiducia. È evidente quindi che l’Assemblea, votandone due, non le ha esaurite tutte. Votando l’ordine del giorno non motivato, l’Assemblea vota qualche cosa di infinitamente più ampio delle mozioni di sfiducia che ha fino ad ora respinto; quindi l’Assemblea si riserva, attraverso la votazione di un ordine del giorno, quel diritto che le è stato negato con il voto sulla questione di procedura, allorché è stata impedita la divisione delle mozioni, e cioè il diritto di coalizione di tutte le opposizioni discordanti nelle motivazioni ma coincidenti nella conclusione. A questo titolo io chiedo che l’ordine del giorno dell’onorevole Macrelli venga messo in votazione. (Applausi a sinistra – Commenti al centro).

SARDIELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SARDIELLO. Onorevoli colleghi, desidero obiettivare la discussione non tenendo presente per un momento che l’ordine del giorno del quale si discute è stato presentato dal Gruppo al quale appartengo.

Erano stati già presentati due ordini del giorno sull’argomento (la fiducia o no al Governo) uno dei quali, come ha avvertito l’onorevole Presidente, da tre o quattro giorni è stato svolto già nella Assemblea dall’onorevole Quintieri Quinto, e su di esso, senza che sorgesse eccezione alcuna, appena un minuto addietro l’onorevole Presidente ha chiesto al presentatore se intendesse mantenerlo o meno. Dunque è fermo che sulla materia in questione sono consentite la presentazione e la votazione di un ordine del giorno.

Si introdurrà ora qui il concetto di una differenza di regolamentazione in considerazione soltanto del diverso orientamento politico di due forme di manifestazione parlamentare? Se la forma dell’ordine del giorno è consentita, deve dirsi (a patto di rinunciare a quelle tante nozioni che testé l’onorevole Dossetti rimproverava a qualcuno di aver lasciato sui banchi della scuola), che non è possibile fare la distinzione sulla sostanza. Allora che cosa rimane di quello che hanno detto gli avversari per contrastare che l’ordine del giorno vada in votazione? Rimane un’osservazione: che sono state presentate su questo argomento della fiducia al Governo anche delle mozioni, e per questo l’ordine del giorno non dovrebbe trovar posto. E dove è detto – fra tante norme regolamentari citate – che quando su un argomento sia presentata una mozione non possa essere presentato anche un ordine del giorno?

Incalzano sulla scia di questo argomento gli avversari, e ci dicono: «la mozione ha la conseguenza diretta, automatica, delle dimissioni del Governo; l’ordine del giorno, no». Mi permetto di dire che appunto questa diversità di conseguenza dell’una e dell’altra forma regolamentare legittima la presentazione e della mozione e dell’ordine del giorno: può infatti accadere che un Gruppo o una parte dell’Assemblea intenda soltanto di sollecitare una manifestazione politica che non giunga a quelle conseguenze. Il che prova ancora che l’una e l’altra forma regolamentare possono coesistere.

Ma l’argomentazione è superflua là dove sono due realtà di fatti che non possono essere negate a patto che non si esca di qua dicendo che c’è una parte politica che deve subire necessariamente una menomazione. Le conseguenze di questo sarebbero preoccupanti. Ci sono due realtà che non possono essere discusse.

Una, che la forma dell’ordine del giorno, come dicevo in principio, è stata ammessa; l’altra che, allorquando, in seguito a vociferazioni colte tra i banchi di diversi settori, sorse la preoccupazione che l’ordine del giorno potesse non essere votato, i colleghi Macrelli e Chiostergi hanno interpellato l’onorevole Presidente appellandosi alla sua autorità, ed egli ha risposto che se l’esito della votazione sulle mozioni fosse stato favorevole, non si sarebbe fatto luogo alla votazione dell’ordine del giorno. Il che includeva la «reciproca» che, nel caso le mozioni non avessero avuto successo, si sarebbe andati alla votazione dell’ordine del giorno. Anche per la fiducia che doverosamente abbiamo riposto in quella parola è venuta la nostra insistenza che manteniamo, fiduciosi nel senso politico e di giustizia dell’Assemblea, chiedendo la votazione dell’ordine del giorno. (Applausi a sinistra).

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Poiché i colleghi repubblicani hanno fatto, accantonando la questione giuridica, una questione politica e morale, il Governo non fa opposizione perché l’ordine del giorno venga votato. Devo però dirvi che temo assai che il precedente sia cattivo. La forma tradizionale di esprimere la sfiducia è quella di non approvare le dichiarazioni del Governo. Questa è la forma della tradizione parlamentare; e di questo ci ricordammo quando formulammo il decreto 16 marzo 1946. Tuttavia circondammo la manifestazione di sfiducia con diverse cautele, appunto per rendere più stabili i Governi: necessità questa, che fu avvertita da tutti coloro che parteciparono alla elaborazione della legge. Lo scopo fondamentale era di evitare che un ordine del giorno potesse trovare in qualunque momento una maggioranza casuale.

Non vorrei, come uno dei compilatori di quel decreto, che si creasse un cattivo precedente. Si sono presentate tre mozioni di sfiducia e si sono seguite tutte le norme che erano previste; si sono avute anche le votazioni; e durante questa discussione si ripresenta la vecchia formula del non approvare le dichiarazioni del Governo, cercandosi in tal modo di annullare il significato, lo scopo e le finalità della formula nuova, quella cautelare, la cui importanza caratteristica non consiste tanto nella maggioranza qualificata quanto nella particolare procedura stabilita. Temo assai, come vecchio parlamentare, guardando quello che sta avvenendo nella nostra Assemblea, che questo precedente annulli completamente quello che si è tentato di fare, nell’interesse della democrazia, per una certa stabilità nel presente regime provvisorio. È avvenuto anche in Francia un simile dibattito e si è risolto in favore della mia tesi.

Detto questo, poiché i colleghi repubblicani hanno capito le cose diversamente e credevano di avere in mano l’interpretazione giusta, poiché essi hanno inteso porre su un altro terreno la questione, il Governo non vuole in nessuna maniera contribuire a dare adito a interpretazioni errate sul suo atteggiamento; non vuole che si possa accusarlo di non lealtà o di fuga o timore di non ottenere una terza dichiarazione di fiducia e prega gli amici di regolarsi come si sono regolati precedentemente. Non ho quindi obiezioni a che venga posto in votazione l’ordine del giorno Magrini. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. Sull’ordine del giorno Magrini gli onorevoli Chiostergi, De Mercurio, Nasi, Cevolotto, Paolucci, La Malfa, Spallicci, Bernabei, Magrini, Camangi, Foa, Sardiello, Zuccarini, Facchinetti e Azzi hanno chiesto la votazione per appello nominale. Chiedo ai presentatori della richiesta se intendano mantenerla.

CHIOSTERGI. Conserviamo la domanda di appello nominale.

Votazione nominale.

PRESIDENTE. Pongo pertanto in votazione, per appello nominale, l’ordine del giorno presentato dall’onorevole Magrini ed altri, di cui do ancora uno volta lettura: «L’Assemblea Costituente, udite le dichiarazioni del Governo, non le approva e passa all’ordine del giorno».

Estraggo a sorte il nome del deputato dal quale comincerà la chiama.

(Segue il sorteggio).

Comincerà dal deputato De Vita.

Si faccia la chiama.

SCHIRATTI, Segretario, fa la chiama:

Hanno risposto sì:

Alberganti – Allegato – Amadei – Amendola – Arata – Assennato – Azzi.

Baldassari – Barbareschi – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basso – Bei Adele – Bennani – Bernabei – Bernamonti – Bernardi – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Bibolotti – Binni – Bitossi – Bocconi – Boldrini – Bolognesi – Bonfantini – Bonomelli – Bosi – Bruni – Bucci – Buffoni Francesco.

Cacciatore – Calamandrei – Caldera – Calosso – Camangi – Canevari – Caporali – Carboni Angelo – Carpano Maglioli – Cartia – Cavallari – Cavallotti – Cerretti – Cevolotto – Chiaramello – Chiarini – Chiostergi – Cianca – Codignola – Colombi Arturo – Corbi – Cosattini – Costa – Costantini – Cremaschi Olindo.

D’Amico Michele – D’Aragona – De Filpo – Della Seta – De Mercurio – De Michelis Paolo – Di Giovanni – Di Gloria – Di Vittorio – Donati – D’Onofrio – Dozza – Dugoni.

Facchinetti – Faccio – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Ferrari Giacorno – Fietta – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Fioritto – Flecchia – Foa – Fogagnolo – Fornara.

Gallico Spano Nadia – Gasparotto – Gavina – Gervasi – Ghidetti – Ghidini – Ghislandi – Giacometti – Giolitti – Giua – Gorreri – Grazi Enrico – Grazia Verenin – Grieco – Grilli – Gullo Fausto.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jacometti.

Laconi – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Rocca – Leone Francesco – Li Causi – Lizzadri – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo – Longhena – Longo – Lopardi – Lozza – Luisetti – Lussu.

Macrelli – Maffi – Magnani – Magrassi – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Mancini – Marchesi – Mariani Enrico – Massini – Massola – Mastino Pietro – Mattei Teresa – Matteotti Carlo – Matteotti Matteo – Meda Luigi – Merighi – Merlin Angelina – Mezzadra – Minella Angiola – Minio – Molè – Molinelli – Momigliano – Montagnana Mario – Montagnana Rita – Montalbano – Montemartini – Morandi – Moranino – Morini – Moscatelli – Musolino – Musotto.

Nasi – Negarville – Negro – Nenni – Nobili Tito Oro – Noce Teresa – Novella.

Pacciardi – Pajetta Gian Carlo – Pajetta Giuliano – Paolucci – Paris – Pastore Raffaele – Pellegrini – Pera – Perassi – Persico – Pertini Sandro – Perugi – Pesenti – Piemonte – Pignatari – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Pratolongo – Pressinotti – Preti – Priolo – Pucci.

Ravagnan – Ricci Giuseppe – Romita – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Roveda – Ruggeri Luigi.

Saccenti – Salerno – Sansone – Santi – Sapienza – Saragat – Sardiello – Scarpa – Schiavetti – Scoccimarro – Scotti Francesco – Secchia – Sereni – Sicignano – Silipo – Silone – Simonini – Spallicci – Spano – Stampacchia.

Targetti – Tega – Togliatti – Tomba – Tonello – Tonetti – Treves.

Valiani – Varvaro – Vernocchi – Veroni – Vigna – Vigorelli – Villani – Vinciguerra.

Zagari – Zanardi – Zannerini – Zappelli – Zuccarini.

Hanno risposto no:

Abozzi – Adonnino – Alberti – Aldisio – Ambrosini – Andreotti – Angelini – Angelucci – Arcaini – Arcangeli – Avanzini – Ayroldi.

Bacciconi – Badini Confalonieri – Balduzzi – Baracco – Bastianetto – Bazoli – Bellato – Bellavista – Belotti – Bencivenga – Benedettini – Benvenuti – Bergamini – Bertini Giovanni – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchini Laura – Bonino – Bonomi Paolo – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Braschi – Brusasca – Bubbio – Bulloni Pietro – Buonocore – Burato.

Caccuri – Caiati – Camposarpuno – Cannizzo – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Capua – Carbonari – Carboni Enrico – Carignani –Carìstia – Caroleo – Caronia – Carratelli – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Castiglia – Cavalli – Chatrian – Chieffi – Ciampitti – Ciccolungo – Cicerone – Cifaldi – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombo Emilio – Colonna di Paliano – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbino – Corsanego – Corsini – Cortese – Cotellessa – Covelli – Cremaschi Carlo – Crispo – Cuomo.

Damiani – De Caro Gerardo – De Caro Raffaele – De Falco – De Gasperi – Del Curto – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Michele Luigi – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Dominedò – Dossetti.

Einaudi – Ermini.

Fabbri – Fabriani – Fanfani – Fantoni – Federici Maria – Ferrarese – Ferrario Celestino – Ferreri – Firrao – Foresi – Franceschini – Fresa – Froggio – Fuschini – Fusco.

Gabrieli – Galati – Galioto – Garlato – Gatta – Germano – Geuna – Giacchero – Giordani – Gonella – Gortani – Gotelli Angela – Grassi – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Gingolani Angela.

Jervolino.

La Gravinese Nicola – Lagravinese Pasquale – La Pira – Lazzati – Leone Giovanni – Lettieri – Lizier – Lucifero.

Maffioli – Malvestiti – Mannironi – Manzini – Marazza – Marconi – Marina Mario – Marinaro – Martinelli – Martino Gaetano – Marzarotto – Mastino Gesumino – Mastrojanni – Mattarella – Mazza – Meda Luigi – Medi Enrico – Mentasti – Merlin Umberto – Miccolis – Micheli – Monterisi – Monticelli – Montini – Morelli Luigi – Morelli Renato – Moro – Mortati – Motolese – Murgia.

Nicotra Maria – Notarianni – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pallastrelli – Pastore Giulio – Pat – Patrissi – Pecorari – Pella – Penna Ottavia – Perlingieri – Perrone Capano – Perugi – Petrilli – Piccioni – Pignedoli – Ponti – Proia – Puoti.

Quarello – Quintieri Adolfo – Quintieri Quinto.

Raimondi – Rapelli – Recca – Rescigno – Restagno – Restivo – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Romano – Roselli – Rubilli – Rumor – Russo Perez.

Saggin – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sartor – Scalfaro – Scelba – Schiratti – Scoca – Segni – Selvaggi – Sforza – Siles – Spataro – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Taviani – Terranova – Tessitori – Tieri Vincenzo – Titomanlio Vittoria – Togni – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Trimarchi – Tripepi – Trulli – Tumminelli – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Vallone – Valmarana – Vanoni – Venditti – Viale – Vicentini – Vigo – Vilardi – Villabruna – Volpe.

Zaccagnini – Zerbi – Zotta.

Si è astenuto:

Conti.

Sono in congedo:

Carmagnola.

De Vita.

Jacini.

Parri – Pellizzari – Porzio.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione ed invito gli onorevoli segretari a procedere al computo dei voti.

(Gli onorevoli Segretari procedono al computo dei voti).

Risultato della votazione nominale.

PRESIDENTE. Comunico i risultati della votazione nominale:

Presenti                            507

Votanti                             506

Astenuti                             1

Maggioranza                     254

Hanno risposto               236

Hanno risposto no            270

(L’Assemblea non approva l’ordine del giorno Magrini – Vivissimi, prolungati applausi al centro e a destra).

Interrogazioni e interpellanza.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni e di una interpellanza pervenute alla Presidenza.

RICCIO, Segretario, legge:

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere per quali motivi non si provveda ad emanare un provvedimento legislativo, che estenda i beneficî dell’amnistia e dell’indulto ai reati in danno delle Forze armate alleate. L’ingiustificato. trattamento di rigore per tali reati poteva finora trovare giustificazione soltanto nel regime di armistizio, cessato il quale il Governo – per sanare, sia pure in ritardo, l’ingiusta sperequazione – dovrebbe, senza ulteriore indugio, provvedere all’estensione dei beneficî del condono.

«Gli interroganti chiedono lo svolgimento di urgenza.

«Leone Giovanni, Bettiol».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dell’agricoltura e foreste e di grazia e giustizia, per sapere se non ritengano opportuno:

il primo, di disporre che venga senz’altro abbandonata l’azione promossa dall’Ufficio di reintegra dei tratturi (U.R.T.) di Foggia – sezione distaccata di Pescara – per la reintegra di vaste zone del centro abitato di Pescara, in considerazione sia dell’assoluto difetto di ogni suo fondamento in fatto e in diritto, nonché per motivi pratici e di ordine pubblico: a) in quanto è da escludersi nettamente, in base a documenti, a dati storici ed a rilievi inoppugnabili, anche di carattere geografico, che in dette zone sia passato alcun tratturo, a partire dai primi anni del 1500; b) perché, anche se si ammettesse – per pura ipotesi – il contrario, ogni possibile diritto dello Stato sulle zone medesime si sarebbe prescritto almeno da un secolo e mezzo, per l’avvenuta cessazione tacita della demanialità, principio ammesso dalla Corte di cassazione in tema di strade pubbliche; c) perché la questione, che interessa ed ha messo in allarme ed in agitazione circa 2000 cittadini, costituisce un grave ostacolo alla ricostruzione della città – tanto provata dalle distruzioni della guerra – rendendo dubbia la proprietà del suolo e provocando anche la incommerciabilità delle aree edificatorie poste in quelle stesse zone;

il secondo, di promuovere, in ogni caso, l’emanazione di apposite norme legislative che modifichino il regio decreto 30 dicembre 1923, n. 3244 e i regolamenti di cui al regio decreto 29 dicembre 1927, n. 2801 e 16 luglio 1936, n. 1706, col sopprimere, nel primo decreto, il secondo e il terzo capoverso dell’articolo 10 e, negli altri due, l’articolo 2, che attribuiscono, nientemeno, allo stesso Ministero dell’agricoltura, dal quale dipende l’Ufficio di reintegra dei tratturi, cioè ad una delle parti in causa, la decisione definitiva delle controversie in materia di pretesa occupazione di suolo dei tratturi, ripristinando, invece, le precedenti disposizioni prefasciste, con le quali le predette controversie erano devolute al magistrato ordinario. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Paolucci».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se in vista delle complesse difficoltà di interpretazione e documentazione inerenti alle denuncie dell’imposta straordinaria sul patrimonio non creda promuovere una ulteriore proroga del termine di presentazione fissato al 31 ottobre prossimo; e se per le accennate difficoltà, tanto più sensibili e gravi nei centri dove è diffusa la piccola e media proprietà, non creda altresì urgente dare disposizioni ai propri uffici, affinché cerchino di alleggerire le penose ricerche dei denuncianti aiutandoli preventivamente con la istituzione di reparti appositi a scopo di avviamento delle pratiche. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bertini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere quanto di illegale ed arbitrario sia stato fatto dalle Commissioni di Stato per gli esami di maturità classica in Brindisi (Liceo Marpolla) e Lecce da un ispettore ministeriale. Se l’onorevole Ministro non ritenga indispensabile ed urgente prendere adeguati provvedimenti perché alcun danno non ricada sugli allievi.

«Pare inoltre che a presiedere la Commissione di Brindisi sia stata chiamata persona priva del titolo richiesto dalla legge. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Ayroldi».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere a quali motivi sia da attribuire il fatto che, anche nel nuovo orario delle ferrovie dello Stato nella linea Spezia-Sestri Levante non vi sia alcun treno accelerato dalle ore 7.20 fino alle 17.20, con grave disagio della popolazione, che per affari o per lavoro deve recarsi a La Spezia e non può far ritorno che a sera ai propri paesi, i quali, privi di qualunque strada, sono collegati tra loro e la città soltanto per mezzo del treno e del tutto isolati quando questo viene a mancare (inconveniente tanto più grave per i numerosi studenti: per la loro salute, per i loro studi, per la loro educazione); e se non ritenga quindi urgente, in vista anche della prossima riapertura delle scuole, rimediare a questa grave lacuna, che finora non è stata colmata, nonostante le varie sollecitazioni presso gli organi competenti, istituendo un treno accelerato, che parta da La Spezia nelle prime ore del pomeriggio. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Gotelli Angela, Guerrieri Filippo».

«Il sottoscritto chiede d’interpellare il Ministro dell’interno, per sapere se e in qual modo si intenda dare sistemazione al compendio termale di Guardia Piemontese, sottraendolo alfine allo sfruttamento di una ditta privata, alla quale fu concesso nel 1942, con gravissimo pregiudizio degli interessi dei comuni di Guardia Piemontese e di Acquappesa, che ne sono usufruttuari perpetui e che invano chiedono da tre anni l’annullamento di un contratto che fu il risultato di illecite inframmettenze e pressioni.

«Gullo Fausto».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

Così pure l’interpellanza sarà iscritta all’ordine del giorno, qualora il Ministro interessato non vi si opponga nel termine regolamentare.

La seduta termina alle 2.10.

Ordine del giorno per la seduta di lunedì 6 ottobre 1941.

Alle ore 16:

  1. – Interrogazioni.
  2. – Svolgimento di interpellanze.