Come nasce la Costituzione

MARTEDÌ 7 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCXLVIII.

SEDUTA DI MARTEDÌ 7 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEL VICEPRESIDENTE BOSCO LUCARELLI

INDICE

Sul processo verbale:

Rubilli

Parri

Labriola

Congedi:

Presidente

Commemorazione di Giuseppe Emanuele Modigliani:

Presidente

Saragat

Targetti

Molè

Rubilli

Gronchi

Mastrojanni

Lussu

Grieco

Sardiello

Merlin Umberto, Ministro delle poste e telecomunicazioni

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Perassi

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Targetti

Lussu

Nitti

Lucifero

Mastino Pietro

Rubilli

Conti

Mortati

Nobili Tito Oro

Laconi

Bozzi

Moro

Persico

Bosco Lucarelli

Piemonte

Votazione segreta:

Presidente

Risultato della votazione segreta:

Presidente

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Andreotti, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri

Sulla nomina di tre membri della Corte costituzionale per la Sicilia:

Presidente

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

AMADEI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

Sul processo verbale.

RUBILLI. Chiedo di parlare sul processo verbale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUBILLI. Volevo chiarire che io, liberale, ieri non ho invocato affatto leggi eccezionali, come a torto si volle accennare nei miei riguardi. Non le potevo invocare perché, secondo me, danno troppo il ricordo delle vecchie leggi in difesa dello Stato, di non lieto auspicio, e perché credo che in Italia non se ne senta assolutamente bisogno.

Mi limitai soltanto a dire che siccome l’onorevole Covelli aveva creduto di tenere un comizio, indiscutibilmente di carattere monarchico, in Avellino, poteva farlo benissimo, non essendovi alcun divieto al riguardo a norma delle leggi ora vigenti.

PARRI. Chiedo di parlare sul processo verbale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PARRI. Desidererei fare inserire a verbale che, se fossi stato presente alla seduta di sabato, avrei dato il mio voto all’ordine del giorno Magrini.

LABRIOLA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LABRIOLA. Desidero anch’io chiarire che, se fossi stato presente alla seduta di sabato, avrei votato tutte le mozioni contrarie al Governo, nonché l’ordine del giorno Magrini, con riserva di fare altrettanto per i successori dell’onorevole De Gasperi.

PRESIDENTE. Se non vi sono altre osservazioni, il processo verbale s’intende approvato.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo gli onorevoli Dugoni e Perrone Capano.

(Sono concessi).

Commemorazione di Giuseppe Emanuele Modigliani.

PRESIDENTE (Si alza in piedi e con lui tutta l’Assemblea e il pubblico delle tribune): Onorevoli deputati, stamani abbiamo accompagnato alla sua ultima dimora l’onorevole Giuseppe Emanuele Modigliani. E tanto numerosi ci ritrovammo alla triste cerimonia che mi chiedo se in essa appunto non potrebbe intendersi essersi conclusa quella celebrazione del morto, contesta di cordoglio e di memorie, che si svolge normalmente, ad ogni consimile luttuosa evenienza, qui, nell’Aula, con discorsi commemorativi. E tuttavia io stesso avverto il bisogno di esprimere in parole la tristezza profonda nata in me all’annunzio di una perdita cui da tempo eravamo preparati, ma che, non per questo, ci è giunta meno dolorosa ed aspra.

Così ancora una volta risuonerà in quest’Aula il nome di Giuseppe Emanuele Modigliani, nome che tanto spesso vi venne pronunciato in anni lontani, quando esso significava preannuncio di forti discorsi battaglieri a difesa degli interessi delle masse popolari, ad esaltazione dei diritti del lavoro, a riconoscimento dei doveri di tutti verso la Nazione e verso l’umanità.

Deputato per quattro legislature normali, l’onorevole Modigliani era entrato nella Camera nel 1913, a quelle prime elezioni fatte in Italia sulla base del suffragio universale che, immettendo nella vita politica le immense energie, fino allora respinte o represse, delle moltitudini dei campi e delle officine, doveva spezzare in gran parte le consuetudini, forse un po’ troppo quiete e composte, del vecchio mondo dei legislatori, creando un più immediato tramite di pensiero e di azione fra Paese e Parlamento. E la Sua vitalità potente, il fervore del Suo intelletto formatosi nell’agitata atmosfera sociale di un grande porto tirrenico, la passionalità innata del Suo animo dovevano costituirlo ben tosto in figura preminente non solo dell’ala estrema, ma dell’intero Parlamento, pure così folto di incisive, ricche personalità.

Né il Suo spirito combattivo conobbe flessioni o intiepidimenti quando, nel quadro delle differenziazioni che venivano rispecchiando in seno al socialismo i nuovi contrasti del moto sociale, Egli si riconobbe nella concezione e nella corrente riformista.

Perché Giuseppe Emanuele Modigliani sentiva, come forse nessun altro, il valore decisivo che, per una democrazia di popolo, assumono l’istituto e le funzioni parlamentari; e in queste si era immedesimato, conscio che solo difendendole e perfezionandole si sarebbe potuto assicurarne al popolo tutti i frutti fecondi e progressivi. Di qui quella Sua gelosa cura delle norme e dei regolamenti che parve a volte amore di sottilizzazioni o strano bizantinismo, ma che svelava invece la sua consapevolezza che ogni minimo cedimento su questo terreno avrebbe potuto favorire poi finanche l’ultima rovina. Di qui il grido impetuoso di ribellione e di sdegno con cui Lui, e Lui solo, in una seduta torbida di paure e di umilianti patteggiamenti, ardì spezzare la ebbra allocuzione del capo-in-testa, che era stato portato a vittoria da tante note viltà complici e servili.

Poi anche Egli dovette battere le vie dure dell’esilio, fatto bersaglio dell’odio implacabile del dittatore, che a sua volta d’altronde, mai risparmiò, continuando a combatterlo, da giornali e da tribune, in una infaticabile, ardente requisitoria.

Giuseppe Emanuele Modigliani ha conosciuto sì la gioia del ritorno in una terra fatta libera anche dal Suo sacrificio, e quest’Aula, di cui Egli aveva rivendicato l’alta missione civile e di progresso, contro il ludibrio favorito e tollerato da altri, Lo ha rivisto, ma ormai spezzato nella Sua fibra dalla terribile ventennale vicenda.

L’animo non aveva ceduto però; ed il grande amore per i liberi istituti democratici, il fierissimo senso del dovere comandavano ogni giorno al Suo corpo stanco di levarsi, di camminare, di portare fin qui quanto in Lui restava di vivo, di squisitamente vivo: la Sua coscienza. E credo che nessuno di noi dimenticherà mai più quella figura solenne, biblica che, immota e silenziosa, dal primo banco del primo settore pareva – in questi ultimi mesi – stare a custodia della soglia di quest’Aula, già una volta purtroppo violata, venticinque anni fa, nonostante il suo grido audace.

L’Assemblea Costituente sente come proprio onore e titolo di nobiltà l’aver annoverato fra i propri deputati Giuseppe Emanuele Modigliani; e, reverente, ne trasmetterà la memoria ai nuovi Parlamenti della Repubblica. (Vivi, generali applausi).

SARAGAT. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SARAGAT. Onorevoli colleghi, Modigliani non è più. Il cuore di un uomo giusto e generoso ha cessato per sempre di battere.

Per sempre tacerà la voce eloquente che durante un mezzo secolo si levò, appassionata e ammonitrice, in un mondo che pareva e pare sordo ai richiami della vera saggezza ed ai consigli dei veri profeti.

Più non vedremo animato dalla fiamma vitale il caro volto del compagno che fu uno dei maestri della nostra generazione.

Nathan il saggio riposa per sempre, portando con sé nella tomba l’angoscia segreta ed il fervore profondo di una vita spesa per la sacra causa della pace fra gli uomini. Perché nessuno ha odiato più di Modigliani la guerra, in un tempo in cui il destino tragico nel breve spazio di un quarto di secolo ha condannato per ben due volte i padri a seppellire i loro figli.

Tutta la vita di Modigliani è un veemente atto di accusa contro la guerra, contro le cause che la generano, contro gli effetti funesti che ne derivano.

In ogni natura superiore, la lotta contro le forze del male che si avvinghiano alla vita con mille e mille tentacoli per trascinarla nel nulla da cui è emersa, si concentra su uno di essi e su quello abbatte la spada della giustizia per tentare di reciderlo.

Tragica lotta che durerà quanto dureranno le forze del male, vale a dire che durerà quanto durerà la vita stessa; ma lotta che non avrà mai tregua, perché sempre la vita troverà dei liberatori per difenderla, sempre balzeranno al suo fianco, veri angioli tutelari, i martiri e gli eroi.

Modigliani oggi riposa nella fredda bara dopo la sua lunga e operosa giornata, ed alla nobiltà che la vita conferiva al suo volto di antico saggio, si aggiunge quella misteriosa e profonda che a tutti conferisce la morte.

Vorremmo non turbare con parole vane questo riposo sacro e questo sonno eterno; vorremmo potere, in silenzio, nel nostro ricordo rifare il cammino che abbiamo compiuto sotto la sua guida paterna.

Ma è pur giusto dire ai giovani che non sanno e ricordare ai vecchi che potessero averlo dimenticato, il significato di una vita fervidamente vissuta a servizio di un all’ideale umano.

Modigliani viene al socialismo spintovi da un profondo sentimento di fraternità per gli umili. Non motivi teorici, non fredda dottrina lo avviano per la strada che seguirà sino alla morte; ma impulso di quel cuore umano che ha delle ragioni che la ragione ignora.

La dottrina verrà dopo e sarà una dottrina che noi giovani consideravamo con quella sufficienza presuntuosa che su questo terreno caratterizza il comportamento di ogni generazione nei confronti di quella che immediatamente la precede.

Il positivismo di Modigliani che si sovrapponeva a una più profonda visione delle cose derivatagli dal marxismo, non offriva per noi altro che motivo di affettuosa polemica.

Ciò che ci legava a lui come allievi al maestro era ben altro: era una coscienza morale di irraggiungibile altezza, una bontà infinita, una intransigenza esemplare, e soprattutto l’esempio di una vita in perfetta armonia con i fini umani a cui era dedicata.

Il socialismo di Modigliani è impulso verso una società in cui la libertà sia la sorella della giustizia.

All’individualismo delle civiltà fondate sulla economia capitalistica, Modigliani oppone la solidarietà che fiorisce al vertice del sentimento di responsabilità della persona umana.

La stessa lotta delle classi viene così concepita come qualcosa che lungi dallo spezzare il patto di solidarietà che deve unire tutte le creature, lo cementa nell’atto stesso in cui gli oppressi, conducendo la loro buona battaglia, anticipano nella loro coscienza l’immagine di un mondo più giusto ed umano per il cui avvento combattono.

Socialismo quindi che, avendo sempre presente la piena umanità dei suoi fini, non cade nell’errore funesto di ricorrere a mezzi che a quei fini contrastino.

Democratico sarà quindi Modigliani in ogni fibra del suo essere, democratico perché uomo libero, democratico perché socialista.

Tutta la sua vita è una milizia al servizio di questi principî. Il periodo in cui egli entra nell’agone politico è dominato dall’illusione dell’indefinito progresso, di quel progresso che non conosce tramonto. Modigliani non partecipa a questa illusione. Modigliani sente, forse prima di ogni altro, avvicinarsi i tempi della bestia che porta sul suo corpo i segni maledetti.

E un giorno del lontano 1914 i fatti si compiono. Il mondo entra in una era terribile da cui, dopo oltre 30 anni, non siamo ancora usciti.

Da questo istante Modigliani trova la sua vocazione vera e riscuote nel suo cuore una volontà indomabile che lo guiderà per tutta la vita. Guerra alla guerra sarà la sua parola d’ordine, quella che certo splendeva nel suo spirito ancor lucido, pur nelle ore dell’agonia.

La guerra, quali che siano le sue cause, quali che siano i suoi moventi, è il male radicale, il male in sé, il male assoluto.

Se è vero, come diceva Jaurès, che il capitalismo porta nel suo grembo la guerra come la nube porta l’uragano, non è meno vero che essa è generata dalla sua stessa essenza, che essa anticipa nel tempo i motivi che prenderanno inevitabile.

Non basterà quindi lottare contro le forme sociali in cui il morbo si annida e da cui trae alimento; bisognerà lottare direttamente contro la guerra in sé, come il chirurgo lotta contro il cancro che distrugge i tessuti sani.

Il positivista Modigliani assume quindi di fronte a questo mostro un atteggiamento che ha, non soltanto nel fervore dell’azione ma anche nella determinazione dei moventi, come un afflato religioso.

In nome del senso storico si potrebbe irridere a questa posizione, se la guerra stessa non ponesse il problema in termini nuovi.

Oggi, nell’atto in cui la guerra, se scoppiasse, distruggerebbe tutta l’umanità ossia la storia umana, c’è da chiedersi se il senso storico sia adeguato come criterio di giudizio per qualche cosa che minaccia di trascendere; c’è da chiedersi se Modigliani non avesse ragione.

Se quelle posizioni potevano essere irrise ieri, oggi debbono essere considerate da tutti gli uomini di cuore come qualcosa di profondamente vitale, come un fermento risanatore per una umanità che, secondo l’espressione del poeta, appare come uno sciame di assurdi insetti invisibilmente attirati dalla fiamma.

Guerra alla guerra dunque, quali che siano le sue cause, quali che siano i suoi moventi. Ed è questa posizione che lo porta a Zimmerwald, dove egli affermerà con passione i suoi principî.

Se la guerra è il male radicale, essa non può che riprodursi in nuovi mostri, non può che generare nuove catastrofi che limiteranno sempre più la zona della vita, sino ad annullarla per sempre.

Chi pensa che la guerra sia la levatrice della storia, sbaglia. La guerra ne è l’affossatrice. Se non si uccide il mostro, l’umanità, di convulsione in convulsione, precipiterà nell’abisso sino al suo annientamento totale.

Il valore di questa posizione veramente religiosa nei confronti della guerra, non si può quindi commisurare né al criterio storico che spiega i conflitti e neppure allo stesso criterio morale che distingue le guerre giuste dalle guerre ingiuste.

È una posizione che nasce da un istinto vitale, il quale sente inaridire le fonti da cui la vita trae alimento. È una ribellione contro una storia che distrugge sé stessa in nome della ragione storica. È il grido di un profeta antico e nuovo contro tutte le guerre, quali che siano i motivi invocati dagli uomini per uccidere altri uomini, sino alla strage totale che farebbe sparire sul nostro pianeta il genere umano.

Al lume di questa posizione fondamentale, tutta la vita di Modigliani appare come una meravigliosa crociata di vita attraverso un mondo che diventa disumano.

L’antifascismo profondo di Modigliani di fronte alla dittatura nata in Italia dalla prima guerra mondiale, si lega quindi a motivi che vanno al di là della politica, che vanno al di là dello stesso principio morale di libertà.

Il fascismo è il mostro generato dalla guerra e come tale porta in sé le stigmate di un male radicale.

Nella dittatura, prima di ogni altro, Modigliani presente qualcosa di cadaverico, i cui miasmi grevi soffocheranno il respiro della vita.

Ed è notevole che Modigliani, nel periodo di incubazione del fascismo, sorretto da questa sua illuminazione religiosa intorno al significato della guerra come male assoluto, abbia avuto la più lucida visione del problema politico che travagliava allora l’Italia e che solo dopo 20 anni di prove dolorose fu risolto.

Dove il realismo degli altri sfociava nella concezione puramente economica della lotta di classe, il suo senso religioso della libertà lo portava a ficcare lo sguardo più in fondo e a intendere l’intima sostanza delle cose.

Fu in quel periodo che Modigliani, unico forse fra tutti gli uomini della sinistra socialista, pose di fronte alla coscienza del Paese il problema istituzionale in termini di democrazia repubblicana.

Si fece allora dell’ironia sulla repubblichetta di Modigliani. Ma quelli stessi che allora irrisero a una concezione che pareva inadeguata a seguire lo slancio in avanti del popolo, dovettero, dopo un quarto di secolo di sventure e di lutti, salutare l’avvento della Repubblica come una grande vittoria.

L’assassinio di Matteotti trova Modigliani all’avanguardia contro il fascismo. Egli sarà nello stesso tempo il protettore della vedova e dell’orfano, l’accusatore del tiranno, il vindice della giustizia offesa.

Le persecuzioni si fanno più implacabili: la sua casa è devastata, egli stesso è minacciato di morte.

Egli continua imperterrito per la sua strada protetto dalla devozione della sua compagna fedele ed è più tardi, quando la partita in Italia sarà perduta, che il movimento socialista gli consegnerà la preziosa bandiera perché la ponga in salvo al di là della frontiera della Patria.

Comincia per Modigliani, all’avanguardia anche in questo, quel lungo e duro esilio che è tanta parte della vita di noi in cui veramente si è conclusa la sua.

Figlio di una stirpe che conosce da due millenni le amarezze della diaspora, c’è chi potrebbe immaginarselo chiuso in un fatalismo doloroso e in un’attesa messianica. Errore. Nessuno di noi ha sofferto, quanto lui, dall’esilio. Nessuno più di lui ha sentito la separazione dalla Patria come una lacerazione nell’anima e quasi come una amputazione fisica.

Ma nessuno più di lui ha saputo dissimulare la sua sofferenza con un animo stoico che reagiva al dolore con le risorse dell’ironia e, quando l’ironia non bastava, con quelle di una ricca natura a un tempo aristocratica e plebea in cui vedevi la finezza del gran signore e l’esuberanza beffarda del popolo livornese.

Come in Patria, così nell’esilio il suo pensiero dominante era la guerra. La guerra passata che ha generato la dittatura, e quella che viene, portata in grembo dalla dittatura.

Durante un ventennio, sulla stampa, da tutte le tribune, in tutti i congressi dell’internazionale socialista, in Europa e in America, è contro la guerra passata, è contro la guerra futura che egli si leverà in un atto di accusa tremenda.

Il grande avvocato è sempre presente in lui nella tragica causa, che ha come accusato un mostro inafferrabile e come vittima l’umanità tutta intera.

Venti anni di lotta e la causa è, alla fine, di nuovo perduta. Spunta l’alba tragica del settembre 1939.

Per la seconda volta, nella sua vita, Modigliani sente l’agonia della pace come la sua propria agonia.

Vecchio ormai e stanco, lotta con le forze della disperazione per salvare almeno la bandiera del Partito che gli è stata affidata.

Potrebbe recarsi in America dove gli è offerto sicuro rifugio; ma si ostina a rimanere in una Francia invasa dalle armate di Hitler, sotto la minaccia continua della tortura e della morte.

Ed è soltanto nel 1943 che gli amici fraterni lo circondano, riescono a indurlo a varcare il confine della Svizzera, dove colpito dal male, attenderà l’epilogo dell’immane tragedia.

Liberato il territorio nazionale, Modigliani rientra in Patria unicamente per morire. Rieletto deputato si trascinerà in quest’Aula come per offrire la suprema testimonianza di un moribondo, della devozione che gli uomini liberi devono avere per le istituzioni democratiche.

Il nostro Gruppo parlamentare lo designa suo Presidente ed è in questa dignità di nostro fratello maggiore che la morte pietosa lo coglie, troncando la dolorosa agonia.

Modigliani si è spento in un tempo in cui la guerra bussa di nuovo alle porte di una umanità che, come Macbeth, ha ancora le mani rosse di sangue.

Spranghiamo la porta e tracciamo sulla sua soglia il pentagramma che arresta gli spiriti malefici. Fuori di metafora, odiamo la guerra con tutte le forze dell’animo nostro e uniamo tutti gli uomini di buona volontà in questa passione sacrosanta di pace, che è la sola che può suggerire gli accorgimenti che la fredda politica ignora.

Se un soffio universale di libertà e di giustizia non rianima questa umanità che soffoca sotto un destino maledetto, per la terza volta la causa della pace sarà perduta e forse sarà perduta per sempre.

È questo immenso amore della pace tra gli uomini il retaggio che Modigliani ci lascia e che noi tutti dobbiamo raccogliere.

Oggi noi ci inchiniamo sulle fredde ceneri di un uomo che negli ultimi istanti della sua vi fa ha potuto dire di sé come Paolo di Tarso: sono giunto al termine della mia corsa. Ho tenuto ferma la mia fede, ho combattuto la buona battaglia, attendo adesso la corona della giustizia.

Lottiamo con tutte le nostre forze per scongiurare la guerra e affrettiamo l’avvento di un mondo in cui l’umanità, divenuta giusta con sé stessa, sarà degna di deporre un serto di gloria sulla fronte dei grandi che hanno combattuto perché non ci fosse tolto il supremo dei diritti: quello di sperare e di credere. (Applausi).

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Onorevoli colleghi, nelle nobilissime parole del Presidente, Emanuele Modigliani ha già trovato, qui, in mezzo a noi, la più degna commemorazione, e di lui in quest’Aula ha or ora parlato nobilmente anche il collega Saragat. Ma il nostro dolore non può tacere, anche se sa di non poter trovare in questo momento parole adeguate.

La perdita del nostro caro Modigliani era temuta ogni giorno di più. Stringeva il cuore, vederlo in questi ultimi tempi trascinarsi penosamente a quel banco dove egli sembrava stare a difesa della libertà, come una croce su la soglia di un luogo che si vuole difendere dal male.

Ci stringeva il cuore, o colleghi, vederlo lì, non assente col pensiero, ma muto, muto lui, in quest’Aula, dove tante volte la sua eloquenza aveva raggiunto le vette più eccelse.

Gli si passava vicino, lo si salutava, soffermandosi appena per evitargli l’angoscia di non poter rispondere al saluto; e si vedeva la sua faccia stanca spianarsi ed i suoi occhi illuminarsi di un dolce sorriso. Era poco ma, per noi, era qualche cosa. Era il modo di dare al nostro Modigliani la certezza che continuava per lui tutta la nostra tenerezza.

Ma ora, anche questo, o colleghi, è finito; e negli animi nostri vi è una grande tristezza. Chi è venuto, in giorni ormai lontani, in quella milizia in cui trovò Modigliani già audace e fervido combattente; chi, nel corso del tempo, ha avuto la grande fortuna di lottare al suo fianco; chi, attraverso tanti anni, gli è rimasto sempre, anche da lontano, spiritualmente vicino avendo con lui comuni i pericoli, le ansie e le speranze; chi fu legato a lui da una amicizia sorta con la spontaneità, con la freschezza di tutti i sentimenti giovanili e che poi si è rinsaldata, rinforzata attraverso il tempo e le prove, tanto che neppure un malaugurato dissenso, che per la sua gravità avrebbe potuto annebbiarla, non è riuscito a renderla in nulla meno affettuosa e fraterna; come può, in quest’ora, non sentire nell’animo una grande pena?

Onorevoli colleghi, non è una debolezza sentimentale se, nel perdere Emanuele Modigliani, a molti di noi è sembrato che qualche cosa di noi stessi si perdesse; che con lui dileguasse qualche cosa di noi. E per sempre.

Questi però sono sentimenti personali, che l’Assemblea deve scusare se per un bisogno dell’animo abbiamo manifestato. Ma tutto il gruppo del nostro partito è unito e concorde nel rendere questo estremo omaggio alla memoria di chi per la fede comune, per la grande fede socialista, sacrificò tutto se stesso. Si può dire che sacrificò la vita, condannandosi all’esistenza più combattuta, più triste, più angosciata e più amara.

Non credo che sia questa l’ora e non è certo questo il luogo di parlare della sua specifica attività politica, dell’atteggiamento da lui tenuto di fronte alle varie questioni, che si sono presentate nella vita del nostro partito, accennare ai suoi orientamenti ideologici. Non è l’ora e non è il luogo perché, anzitutto, onorevoli colleghi, io sento che qui, nella nostra Aula, quando si rievoca uno dei nostri, non si deve mai dimenticare che siamo in un consesso dove sono rappresentate tutte le idee, le più diverse, anche le più opposte.

Esaltare una determinata fede mi sembra che sempre voglia dire, anche non volendo, opporre la nostra fede alla fede altrui. Quello che si può e si deve esaltare, col consenso di tutti e con lo stesso animo, è il modo col quale una idealità politica si è servita. E di Emanuele Modigliani si può qui, nell’Aula dell’Assemblea Costituente, ben ricordare anche quello che il nostro illustre Presidente ha già ricordato: la difesa che egli sempre fece dell’istituto parlamentare.

Nel corso del tempo, questo istituto potrà trasformarsi – io sono modestamente tra quelli che ritengono che una trasformazione sia necessaria – ma, badate, finché nulla di diverso esisterà, l’istituto parlamentare sarà sempre la base, il fondamento del rispetto di ogni libertà, di ogni civiltà. Tale egli lo considerò e, perché tale, lo volle difendere ad ogni costo, in mezzo ad ogni difficoltà, ad ogni pericolo. Egli fu un grande esperto di vita parlamentare. Questa Aula fu il suo campo di battaglia preferito. Egli fu un grande stratega delle battaglie parlamentari. Ma di lui si deve soprattutto ricordare come egli seppe servire l’idea, che lo guidò e lo illuminò lungo tutta la via: un sacrificio, onorevoli colleghi, assoluto, intero di se stesso; una dedizione – non vorrei da una parte esagerare, e dall’altra, ridurre il significato d’una così grande parola – una dedizione da martire, vorrei dire.

Pensate! Col suo ingegno, con la sua cultura, con la sua preparazione, con la sua parola, avrebbe potuto trionfare nell’agone forense, ricevere onori, guadagnarsi una meritata agiatezza di vita. Non lo sedusse nulla; lo sedusse soltanto il grande sogno di servire una grande idea.

E fu così fermo nell’asserire la sua fede socialista, che di fronte al fascismo (il quale, oltre ad essere negazione di socialismo, anzi per essere negazione di socialismo, aveva dovuto anche negare democrazia e libertà) Egli fu inflessibile e fu, a suo merito fra i più odiati dal passato regime.

Perseguitato, in ogni modo, in ogni luogo, senza tregua, brutalmente. Ingiuriato, schernito, inseguito, percosso, ferito, esposto più volte a pericolo di vita. Ma la sua fede sembrava quasi rafforzarsi ad ogni nuovo assalto e divenire a lui, per ogni nuovo pericolo e ogni nuovo dolore, più cara.

Tutta la sua vita fu una sola battaglia, Ma la vita fu ingiusta verso di lui così giusto; una fortuna sola ebbe, una di quelle fortune che non hanno nome e che forse non si riesce mai a misurare: l’amore di una donna che fu il suo sostegno, la sua difesa, il suo scudo morale e persino in qualche evento, di fronte alla teppaglia fascista, anche materialmente il suo scudo. Ma, tolta questa grande fortuna, poche gioie conobbe: la vita fu aspra, fu amara e cattiva con lui e tuttavia non riuscì, onorevoli colleghi, a renderlo meno buono, perché una delle sue più grandi virtù fu una immensa bontà. Combatté tante cose, forse odiò molte cose, ma non volle mai male a nessuno. Questa, forse, la più grande delle sue grandezze ed è questo il perché a compiangerlo siamo uomini anche di opposte ideologie. L’attività politica può e deve essere diversamente apprezzata; dagli uni esaltata, combattuta dagli altri, ma vi sono dei complessi di virtù dinanzi ai quali le differenze ideologiche e le differenze di fede scompaiono, cancellate, travolte tutte da un grande sentimento di ammirazione. È per questo che, se io non m’inganno, non certo per merito delle nostre povere parole, ma per merito dell’uomo che rievochiamo, in quest’ora, in quest’Aula in cui, non per colpa di alcuni, ma per necessità di cose, non frequenti sono i consensi e spesso aspri sono i contrasti, mi sembra che aleggi una diffusa mestizia a cui nessuno può sottrarsi, e che tutti gli animi assiema ed affratella.

Benedette siano queste figure umane di eccezione che in vita seppero esser tali che, morendo, le accompagna un rimpianto che tutti rattrista, ma di una tristezza che ci rende un po’ migliori. (Vivi applausi).

MOLÈ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MOLÈ. Non è volontà di prolungare una commemorazione così dolorosa, che può avermi indotto a parlare, a nome mio e dei miei amici. Alcuni di noi vissero gli anni della giovinezza lontana in consuetudine di pensiero e di vita con l’uomo che oggi piangiamo: così che a noi pare che con lui scompaia qualcosa di noi, forse la parte migliore: la stessa poesia della giovinezza lontana. Non è volontà di prolungare una così dolorosa commemorazione che dunque c’induce a parlare.

I morti restano nel ricordo di quelli che sopravvivono, non per il numero delle parole e per l’ampiezza delle celebrazioni, ma per quello che furono, per quello che hanno fatto, per l’eredità che lasciano di insegnamenti e di opere.

E di quello che fu Modigliani, nella nostra vita politica; di quel che operò nel periodo più oscuro e tormentoso della nostra storia civile: di lui, socialista, rappresentante del popolo, combattente della libertà in Patria e fuori; della sua odissea aspra e tempestosa di profugo che divise con colei che mai da lui non fu divisa il pane salato dell’esilio e della miseria, hanno detto i colleghi che mi han preceduto: l’onorevole Saragat, dando di scorcio la visione complessiva di quello che fu il suo pensiero politico, l’amico Targetti tracciando l’immagine morale dell’uomo.

Una sola cosa io vi dirò. Emanuele Modigliani fu onore del socialismo italiano. Ma tutti i partiti possono onorarsi di lui, perché chi fa della vita politica una severa milizia, chi offre l’esempio di una perfetta coerenza di pensiero e di azione, chi affronta persecuzioni, pericoli, miseria, sacrificio per servire una idea, chi può dire morendo, come Spinoza, che la sua eredità è una riconferma dell’Etica, esula dai confini di una formazione politica e personifica i valori religiosi della vita.

Nulla dunque da aggiungere alla commossa celebrazione che, con unanime consenso, il Parlamento fa di Colui che lo difese a viso aperto. Noi uniamo a questo accorato cordoglio il nostro accorato rimpianto.

Ma nel nostro rimpianto vi è una vena di amarezza perché non sappiamo tacere una protesta, ahimè quanto vana! Contro l’iniquità del destino che ha concluso la vita di Modigliani.

Il destino fu per lui beffardo ed ostile.

La sua morte è di ieri. Ieri si è conchiuso il Suo ciclo e si è spenta l’ultima luce che si era raccolta negli occhi. Ma la morte era cominciata da quando il morbo gli aveva suggellato sulle labbra la parola; quella libera parola, fatta di potenze, di finezze, di passione e di impeti, che non era riuscita a soffocare la tirannide e che era stato lo strumento della sua lotta, l’arma del suo dominio. Così lentamente era costretto a morire giorno per giorno, ora per ora, spettatore e vittima della sua stessa tragedia – la più terribile tragedia che possa colpire gli uomini di pensiero: la tragedia del pensiero che pensa e non si esprime, la tragedia del pensiero che permane lucido e vivo ma è imbrigliato e incatenato dalla impossibilità dell’espressione. Questo martirio è durato due anni.

Noi lo vedemmo qualche volta aggirarsi in quest’Aula, testimone del suo glorioso passato, come l’ombra di se stesso, come un’ombra che cercasse in quest’Aula se stesso e gli echi del suo passato! Ma, estraniato dalle moltitudini, che lo amavano e che erano la vocazione del suo più grande amore, egli dovette recludersi in solitudine. E in solitudine attese la morte.

Che ieri è giunta per lui, finalmente, liberatrice.

Non così, non così doveva finire, inerte e muto, con la parola spenta o gorgogliante nella gola, questo grande signore della parola che aveva osato levarsi in nome di tutte le libertà contro tutte le tirannie. Non così, non così doveva finire questo dominatore di Assemblee, capace da solo di tenere in iscacco una maggioranza e di mettere in minoranza un Governo. Egli meritava altra sorte. A questo povero inerme e glorioso che nella parola aveva la sua unica potenza e la sua grande ricchezza, il destino beffardo ed iniquo non doveva togliere, non poteva togliere, dopo tanto soffrire, la sua sola potenza, la sua sola ricchezza. Questo grande lottatore meritava di finire come il gladiatore sul terreno.

Così, così doveva morire Emanuele Modigliani: in piedi – combattendo fulminato, folgorato nella pienezza della sua eloquenza – non vuotato, impoverito, assottigliato, mutilato dal male della carne miserabile che soffoca la voce del pensiero e spegne la luce divina dello spirito.

È questo senso di ribellione che aggrava il nostro rimpianto e rende più cocente il nostro dolore.

Ma Emanuele Modigliani non muore tutto quanto, se lascia tanta eredità di insegnamento e di opere.

Egli lascia, soprattutto, a noi la sua fede e la sua idea: la consegna di continuare come un sacro mandato, con la sua fede e la sua idea, l’opera cui dedicò tutta la vita: questa opera per la libertà umana e per la giustizia sociale: la meta, Egli disse, verso cui va inesorabilmente la storia, la meta – noi ripetiamo con Lui – verso cui andrà inesorabilmente la storia. (Applausi).

RUBILLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUBILLI. Porto l’adesione commossa del Gruppo parlamentare liberale alla solenne, doverosa, adeguata commemorazione di Giuseppe Emanuele Modigliani.

Prima il nostro Presidente, poi chi più ne aveva il diritto, il dovere e l’autorità e poi anche gli altri oratori hanno di già ricordato la fede, i sentimenti, i meriti, le qualità e la multiforme attività politica di Giuseppe Emanuele Modigliani con le grandi lotte, le grandi battaglie da lui sostenute per il trionfo della civiltà e della giustizia. Noi, radicali e liberali, seguimmo tutta quanta l’opera sua con simpatia e con ammirazione, ed anche con l’animo aperto a tutte le idealità democratiche, a tutte le rivendicazioni sociali.

Io desidero però ricordare soltanto, che qui abbiamo conosciuto l’insigne parlamentare, abbiamo ammirato il campione invitto del socialismo, ma bisogna pur dire che l’attività di Emanuele Modigliani si svolgeva anche mirabile in altri campi, poiché egli era un illustre professionista, uno dei più grandi avvocati penali d’Italia. Mi piace poi, rievocarlo in questo momento come ancora ci pare di rivederlo, nei suoi momenti migliori, specialmente durante il periodo della prima guerra mondiale, quando in quest’Aula appariva veramente come un dominatore, un dominatore nell’aspetto, un dominatore nell’atteggiamento, nel gesto, nella parola travolgente e formidabile.

Quindi vennero le persecuzioni, poi venne l’esilio, vennero i dolori che fiaccarono il gagliardo e robusto organismo, e poi venne la libertà, venne il suo ritorno in Patria, il suo ritorno nell’Aula, in quest’Aula dei suoi grandi trionfi: ma il gigante, purtroppo, era abbattuto.

Però, anche quando egli si trascinava sorretto da qualche collega o anche da qualche usciere, poggiato sul suo bastoncello, noi notavamo che negli occhi gli brillavano sempre la stessa fede, gli stessi sentimenti che accoglieva nell’anima, quando era un dominatore, quando era un gigante.

Mentre ora vivamente commossi ci raccogliamo nel dolore per la sua dipartita, che pur non era assolutamente imprevista, io non credo di aggiungere altro a quanto di lui è stato di già detto. Non vi è bisogno di molte parole per commemorare Modigliani, perché egli appartiene indiscutibilmente a quella fulgida schiera di grandi figure parlamentari che hanno onorato l’Italia e che, anche attraverso gli anni, non potranno mai essere dimenticate! (Vivi applausi).

GRONCHI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRONCHI. Dinanzi alla maestà della morte, onorevoli colleghi, inadeguate ed esteriori appaiono anche le parole dettate dal più profondo e sincero sentimento. Ma non può mancare, dinanzi alla scomparsa di Emanuele Modigliani, né l’omaggio commosso e riverente di tutto il nostro Gruppo, né l’espressione mia personale che mi associa così profondamente a tanto rimpianto.

Emanuele Modigliani è stato un lottatore aperto, leale, impetuoso per la sua fede, fin dai tempi lontani in cui gli uomini della mia generazione cercavano faticosamente, ma ardentemente, di avvicinare la loro fede religiosa al primo anelito di liberazione delle classi lavoratrici. In quel primo affermarsi della Democrazia cristiana, che schierò i più ardenti e consapevoli di noi a lato delle aspirazioni e delle rivendicazioni di libertà, io fui vicino ad Emanuele Modigliani, anche per l’attività che egli svolgeva nella sua Livorno, fui tra coloro che esperimentarono in quel suo temperamento positivista quanto poteva l’idealismo di una fede, che lo conduceva a rispettare altamente tutte le altre fedi sinceramente professate e lo rendeva araldo di libertà e di democrazia, anche nel periodo nel quale l’atmosfera arroventata della guerra mondiale, sembrava portare le folle lavoratrici verso forme di intolleranza o di violenta opposizione ad ogni altra idea che non fosse la loro.

Egli combatté due lotte elettorali e io lo ebbi, noi lo avemmo avversario leale ed aperto, ma rispettoso di ogni forma di libertà; ed imparammo a conoscere in lui quella cui i colleghi che hanno parlato prima di me hanno fatto cenno e che egli ebbe in altissima misura, cioè la grande bontà, quella bontà che lo rendeva istintivamente vicino ad ogni causa di giustizia e lo faceva sentire fraterno in ogni sofferenza e in ogni miseria.

È così che, senza retorica, pensando a lui, pensando alla forma altamente ideale con cui si combattevano le campagne politiche di una volta, non credo sia esagerato definirlo – come vorrei definirlo chiudendo queste mie brevi parole – cavaliere dell’umanità. (Applausi).

MASTROJANNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTROJANNI. Onorevoli colleghi! La morte di Emanuele Modigliani non tanto ci sorprende, quanto ci addolora. L’età veneranda, nel fragile corpo, da tempo aggredito dal male, più non consentiva umane speranze risolutive. Tuttavia la morte che sempre rende pensosi, tanto più ci fa meditare quando, come questa volta, chiude la vita di un uomo, il cui nome è assurto a simbolo di libertà.

Quando piccoli uomini, investiti del mandato parlamentare, intimiditi dalla boriosa tracotanza del dittatore, supinamente piegarono la bandiera della libertà, qui, Emanuele Modigliani, solo tra pochi, levò alta e solenne la sua protesta ammonitrice. Qui Emanuele Modigliani sciolse il più grande inno alla libertà.

Noi non possiamo dimenticare ciò; noi ci inchiniamo reverenti di fronte a uomo sì grande, a uomo, il quale non è morto. Egli vive perennemente nei nostri cuori; egli vive per tutte le generazioni future che saranno illuminate dalla sua memoria, per tutti i supremi beni dello spirito. A nome del Gruppo parlamentare dell’Uomo Qualunque, esprimo il più profondo cordoglio. (Applausi).

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Dopo così ardenti rievocazioni, mi sia consentito, a nome del nostro Gruppo e di coloro i quali composero il movimento di «Giustizia e Libertà», intorno a cui Modigliani visse per circa quindici anni, recare una parola di saluto.

Noi sentiamo che, più che ai partiti ed alle correnti politiche, le grandi anime – e Modigliani fu una grande anima – appartengono all’umanità. Io voglio di lui ricordare soltanto la semplice, eroica serenità con la quale sempre, in ogni momento, seppe affrontare i rischi e i pericoli che il fascismo, attraverso le sue persecuzioni e le sue polizie – tre polizie – lo colpì. Aggiungo che egli tentò il passaggio (e vi riuscì) in Svizzera, perché il passare era ugualmente rischioso quanto il rimanere.

Io voglio anche portare, a nome del nostro Gruppo e principalmente a nome della vecchia famiglia di «Giustizia e Libertà» nella quale Carlo Rosselli era verso Modigliani come un figliolo – alla compagna di Modigliani, Vera Modigliani, l’espressione del nostro affetto e della nostra devozione.

Credo che più degnamente non era possibile scolpire la devozione, la coerenza che questa fedele, coraggiosa compagna mantenne in tutta la sua vita, delle parole che essa volle mettere come prefazione alla dedica del libro dell’esilio, che ricorda gli anni dal 1926 alla liberazione dell’Italia, così semplicemente concepita: Ubi tu Caius et ego Caia. Dovunque tu sia e comunque tu sia, al tuo fianco io, la tua compagna.

È un simbolo. (Applausi).

GRIECO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRIECO. Il Gruppo comunista si associa al profondo tributo di cordoglio dell’Assemblea per la morte del grande tribuno Giuseppe Emanuele Modigliani. (Applausi).

SARDIELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SARDIELLO. Il Gruppo parlamentare repubblicano si associa a questa rievocazione di Giuseppe Emanuele Modigliani.

Non ripeterò, in nome dei miei amici di Gruppo, le alte parole pronunciate dai precedenti oratori, ma il Partito repubblicano italiano non può, non vuole dimenticare che Giuseppe Emanuele Modigliani, nato alla lotta politica nell’atmosfera grande e luminosa delle battaglie per le rivendicazioni sociali, ebbe sempre una particolare sensibilità per i problemi più strettamente politici, per le battaglie dirette alla conquista dei diritti politici del popolo. E fu assertore magnifico e tra i più forti sostenitori del suffragio universale. E quando drammatici eventi, parvero dare veramente una grande espressione sintetica di certe leggi profonde della storia, mostrando che alle conquiste sociali è mezzo potente la conquista del diritto politico, Giuseppe Emanuele Modigliani naturalmente, fu tra gli assertori più vivi, più alti e costanti dell’idea e delle istituzioni repubblicane.

Per questo suo atteggiamento di pensiero politico, che egli nella realtà concretò in una perenne simpatia (animata dalla visione di una lunga, perseverante battaglia da sostenere insieme) verso il Partito repubblicano; in nome di questi ricordi, il Gruppo parlamentare repubblicano partecipa alla commozione di tutta l’Assemblea in quest’ora di profonda tristezza. (Applausi).

MERLIN UMBERTO, Ministro delle poste e telecomunicazioni. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MERLIN UMBERTO, Ministro delle poste e telecomunicazioni. Il Governo si associa con cuore commosso alle meritate onoranze che sono state rese da questa Camera, con la voce di uomini autorevoli dei vari partiti, alla memoria del grande parlamentare onorevole Modigliani.

È una delle fortune del nostro sistema politico di potere spesso onorare questi uomini superiori, che si ergono al disopra di ogni divisione e che con la loro altezza morale personificano quell’ideale di libertà, che costituisce il patrimonio comune di tutti gli uomini che credono nel regime democratico. Per questi ideali il Nostro ha tanto sofferto nella sua esistenza.

Io che ho avuto l’onore di sedere in questa Aula per tre legislature, prima dell’avvento del fascismo, e che ho partecipato con l’onorevole Modigliani ad una delle più belle battaglie che siano state combattute in difesa della libertà – la battaglia dell’Aventino – io ho sempre ammirato questa splendida figura di uomo realmente superiore, di grande parlamentare, il quale non era solo antifascista per ragioni politiche, ma soprattutto, o signori, era antifascista per ragioni morali, io ho il dovere in quest’ora di riconoscere la superiorità di questo uomo. Egli nella lotta contro il fascismo vedeva soprattutto il dovere di tutti gli uomini onesti di combattere una dottrina che voleva vincere l’avversario, non con la persuasione e la vittoria del numero, ma con la violenza sopraffattrice.

Ed io ricordo che, quando fu certo ormai, che Giacomo Matteotti era stato trucidato dai fascisti e che la responsabilità del Governo di allora era evidente, l’onorevole Modigliani fu uno di quelli che più fermamente sostennero che noi dell’opposizione non potevamo più rimanere in quest’Aula, perché una barriera incolmabile erasi creata tra noi e la maggioranza.

Il suo antifascismo era basato su questa ripugnanza morale e noi condividevamo il suo retto pensiero. Egli aveva il culto del Parlamento e capiva che ogni offesa rivolta a questo Istituto, palladio di tutte le libertà, era un’offesa rivolta alla libertà del cittadino, alla tolleranza verso tutte le opinioni, alla difesa della dignità e della personalità umana.

Campione della libertà, difensore del Parlamento, quest’uomo, che tanto sofferse nel lungo esilio, era tornato fra noi ormai vecchio e ammalato; e noi che lo avevamo conosciuto forte, fiero, virilmente pugnace, soffrivamo spesso vedendolo nelle condizioni fisiche in cui egli era. Ma non pensavamo che così presto egli ci fosse rapito.

È per questo che, finché ci sarà al mondo il culto per la libertà, finché vi sarà al mondo un Parlamento da difendere, finché vi saranno uomini pronti a dare per la libertà anche la vita, il nome di Giuseppe Emanuele Modigliani sarà sempre onorato nei secoli. (Vivissimi applausi).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Penso che sia opportuno, onorevoli colleghi, ricordare brevemente l’ultima seduta nella quale abbiamo discusso in ordine al progetto costituzionale e abbiamo correlativamente votato.

Nella seduta scorsa, dedicata al progetto costituzionale, dopo aver udito lo svolgimento degli ultimi due emendamenti che si riferivano ad un modo complementare di formazione del Senato per mezzo di alcune nomine dall’alto e di alcuni posti da ricoprire per cariche, siamo passati all’esame del modo di votazione e ci siamo trovati di fronte due ordini del giorno.

I due ordini del giorno erano stati presentati rispettivamente dall’onorevole Lami Starnuti e da altri colleghi, e dall’onorevole Nitti e da altri colleghi.

I due ordini del giorno ponevano nettamente il problema della formazione del Senato della Repubblica sulla base del suffragio universale e diretto, ma l’uno col sistema proporzionale, l’altro invece col sistema uninominale.

Si è svolta una lunga discussione procedurale, perché alcuni colleghi sostenevano che non si potessero mettere in votazione gli ordini del giorno prima della votazione degli emendamenti.

Dopo quella lunga discussione procedurale, essendo stato accettato da tutti il criterio che si procedesse alla votazione degli ordini del giorno, alcuni colleghi hanno però ritenuto opportuno che ai due ordini del giorno già presentati se ne aggiungesse un altro che affermasse un nuovo e diverso principio. E precisamente quello della elezione indiretta, di secondo grado.

È sufficiente che i colleghi rileggano, non il sommario, ma il resoconto stenografico di quella seduta, per constatare come l’ordine del giorno che chiamerò Perassi, sebbene presentato da altri colleghi che hanno però in esso ripreso il contenuto di un emendamento Perassi – mirava essenzialmente a fissare questo principio in ambedue i settori elettorali che quest’ordine del giorno proponeva per l’elezione del Senato della Repubblica. E cioè, un primo settore costituito dalla Assemblea regionale, e un secondo settore costituito da elettori di secondo grado che avrebbero dovuto essere eletti secondo un sistema particolare.

Si è proceduto alla votazione, che, come i colleghi ricordano, è stata fatta per divisione, e si è votato contemporaneamente sopra le due parti dell’ordine del giorno Perassi.

L’Assemblea ha respinto a maggioranza sia la prima che la seconda parte di questo ordine del giorno.

Questo è il punto a cui si è giunti. Si tratta quindi, adesso, di passare alla votazione di uno degli altri due ordini del giorno. Se l’ordine del giorno Perassi, che portava, fra le altre, la firma dell’onorevole Uberti, avesse avuto la maggioranza, gli ordini del giorno dell’onorevole Lami Starnuti e dell’onorevole Nitti sarebbero decaduti. Poiché quel primo ordine del giorno è stato respinto, dobbiamo porre adesso alla prova della votazione gli altri due ordini del giorno. Si tratta di stabilire quale di questi debba avere la precedenza. Rammento che nella lunga discussione svoltasi nella ultima seduta dedicata al problema costituzionale, i presentatori di questi due ordini del giorno, gli onorevoli Nitti e Lami Starnuti, non contesero sulla precedenza. Ciascuno di questi ordini del giorno contrappone all’altro un sistema elettorale; ed è evidente che i colleghi non voteranno per l’uno o l’altro perché è per primo posto in votazione, ma voteranno in relazione al modo con cui giudicano i due sistemi. L’onorevole Lami Starnuti aveva accennato, comunque, nel corso di quella lunga discussione, che egli accettava senz’altro che si desse la precedenza all’ordine del giorno Nitti. Credo perciò, che il primo ordine del giorno da mettere in votazione sia quello a firma dell’onorevole Nitti. Quest’ordine del giorno è del seguente tenore:

«L’Assemblea Costituente afferma che il Senato sarà eletto con suffragio universale diretto col sistema del collegio uninominale.

«Nitti, Rubilli, Persico, Laconi, Gullo Fausto, Quintieri Quinto, Nasi, Bozzi, Grieco, Togliatti, Cifaldi, Reale Vito, Vigna, Molè, Perrone Capano, Basile, Russo Perez, Dugoni, Coletto».

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi. L’onorevole Presidente ha richiamato le condizioni nelle quali sono avvenute nella seduta ultima in materia costituzionale le votazioni sull’ordine del giorno di cui ha fatto cenno. Sembra che da qualche espressione usata dall’onorevole Presidente, a quest’ordine del giorno si crede di poter attribuire una portata che a mio avviso non può avere. Io ricordo che in quella seduta l’onorevole Fabbri aveva prospettato l’opportunità che l’Assemblea fosse consultata su dei principî di ordine generale. Questa proposta non ebbe seguito. In realtà si venne alla votazione su quest’ordine del giorno che porta la mia firma. Ora, a me pare che l’Assemblea non può attribuire a quest’ordine del giorno se non un valore strettamente attinente a quanto in esso si dice. In altri termini l’Assemblea non ha approvato due formule concretissime e cioè l’elezione di tre senatori per ciascuna Regione da parte del Consiglio regionale e l’elezione – che è la seconda formula concreta – del resto, per ciascuna Regione, attraverso un procedimento di elezione di secondo grado. A mio avviso quest’ordine del giorno importa semplicemente che l’Assemblea non ha votato quelle due formule concrete. Non si può adesso attribuire ad esso una portata maggiore. Devo quindi fare ogni più ampia riserva circa qualsiasi altra interpretazione dell’ordine del giorno. A mio avviso esso non preclude che le questioni che sono state concretamente poste con quella formula possano essere esaminate dall’Assemblea.

PRESIDENTE. Ritengo che l’interpretazione di. ogni votazione fatta dall’Assemblea non debba basarsi puramente sull’esame schematico del documento votato, ma anche su tutte le discussioni che ne hanno accompagnato la presentazione e preceduta la votazione; in questo senso, poco fa, ho detto che la semplice consultazione del processo verbale della seduta pomeridiana di giovedì 25 settembre 1947 avrebbe fornito lumi a tutti i deputati, e avrebbe – lo speravo – evitato una inutile discussione sull’argomento. In questo processo verbale si legge che, dopo che io stesso avevo preannunciato l’esistenza di due ordini del giorno che sarebbero stati posti in votazione, l’onorevole Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione, ha fatto presente che sarebbe stato necessario stabilire prima, se la composizione del Senato, dovesse essere unica o lasciata in parte ai Consigli regionali; e su questa proposta dell’onorevole Ruini si è sviluppata poi, tutta la discussione successiva.

In questa prese immediatamente la parola l’onorevole Piccioni, facendo per l’appunto rilevare che se attraverso l’ordine del giorno dell’onorevole Nitti si proponeva il collegio uninominale ed attraverso l’ordine del giorno Lami Starnuti si proponeva il suffragio con la proporzionale, c’era un terzo sistema – diceva letteralmente l’onorevole Piccioni – che attraverso la discussione ha raccolto vasti consensi, ed è quello appunto contenuto nell’emendamento dell’onorevole Perassi contemplante l’elezione di secondo grado. Ecco la base delle decisioni dell’Assemblea. L’ordine del giorno Perassi, infatti, non proponeva semplicemente due modi concreti nei quali il sistema elettorale di secondo grado avrebbe potuto tradursi quando l’Assemblea avesse votato in principio il sistema di secondo grado.

L’ordine del giorno Perassi, che portava appunto anche la firma dell’onorevole Piccioni, ha voluto significare contrapporre alle elezioni con il collegio uninominale e alle elezioni con la proporzionale un terzo sistema che attraverso la discussione, come ci ha detto l’onorevole Piccioni, aveva raccolto vasti consensi; ed era quello delle elezioni di secondo grado.

Mi pare che sia da questo punto, è solo da questo punto di vista che noi dobbiamo valutare la votazione avvenuta; e se poi volessi aggiungere ancora un commento chiarificatore, potrei richiamare ciò che l’onorevole Lussu ha detto.

Anche l’onorevole Lussu, invitando i colleghi a trasformare l’emendamento Perassi in un ordine del giorno, ha detto: «È bene che l’Assemblea abbia così di fronte a sé i tre schemi».

Mi pare che ogni ulteriore discussione di fronte alle dichiarazioni espresse di coloro che si sono fatti sostenitori dell’ordine del giorno Perassi sia evidentemente del tutto inutile.

L’Assemblea ha votato un ordine del giorno che proponeva: 1°) il sistema indiretto di elezione; 2°) la devoluzione all’Assemblea regionale di una parte dei senatori che dovevano essere eletti dalle singole Regioni.

Queste due posizioni di principio sono state respinte tutte e due dall’Assemblea, e non per nulla si è chiesto che la votazione avvenisse per divisione: proprio perché poteva avvenire che l’Assemblea accettasse il principio della elezione diretta, ma respingesse il settore elettorale dell’Assemblea regionale, come poteva invece avvenire che l’Assemblea accettasse di deferire all’Assemblea regionale una parte dei senatori da eleggere, pur riservando all’altra parte dei senatori da eleggersi, un sistema elettorale che fosse diretto e non indiretto.

I due principî sono stati posti separatamente e separatamente sono stati chiariti; l’Assemblea ha risposto.

Mi pare, pertanto, che l’obiezione dell’onorevole Perassi non abbia validità.

PERASSI. Io mantengo la mia riserva.

COSTANTINI. Vi sono altri ordini del giorno.

PRESIDENTE. Ve ne sono altri due e bisogna passare alla loro votazione. Indipendentemente da ogni commento sopra la votazione avvenuta, è chiaro che, avendo tre ordini del giorno, avendo dato, per transazione, direi, lodevole da parte di certi settori dell’Assemblea, il consenso che l’ordine del giorno presentato per ultimo fosse votato per primo, non resta che votare gli altri due.

Rammento che nella introduzione alla votazione delle scorse sedute ho fatto rilevare che la votazione degli ordini del giorno devono precedere, a tenore del Regolamento, anche perché influiscono, a seconda del senso, in un modo o nell’altro, sugli emendamenti presentati, o facendoli decadere o provocando la presentazione di emendamenti ad emendamenti. Comunque, ripeto che mi pare pacifico che, votato il primo ordine del giorno, bisogna passare alla votazione degli altri due successivi, ed avvenuta questa votazione, passare agli emendamenti.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Dobbiamo porre in votazione il seguente ordine del giorno presentato dall’onorevole Nitti e da altri:

«L’Assemblea Costituente afferma che il Senato sarà eletto con suffragio universale e diretto, col sistema del collegio uninominale».

È stata chiesta la votazione a scrutinio segreto dagli onorevoli Sicigliano, Molinelli, Minio, Lombardi Carlo, Rossi Maria Maddalena, Pellegrini, Bardini, Cremaschi Olindo, Grieco, Bucci, Bernamonti, Bianchi Bruno, Flecchia, Ferrati, Lozza, Laconi, Dozza, Bibolotti, Mezzadra, Fiore, Rubilli, Bozzi, Badini Confalonieri, Morelli Renato, Cortese, Villabruna, Gasparotto, Paratore.

Procediamo alla votazione a scrutinio segreto.

Presidenza del Vicepresidente BOSCO LUCARELLI

(Segue la votazione).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione. Invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano voti).

Presidenza del Presidente TERRACINI

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto:

Presenti e votanti                   371

Maggioranza                         186

Voti favorevoli                      190

Voti contrari                          181

(L’Assemblea approva – Commenti).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Adonnino – Alberti – Aldisio – Allegato – Amadei – Ambrosini – Amendola – Andreotti – Angelucci – Arcangeli – Assennato – Avanzini – Azzi.

Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basso – Bastianetto – Bei Adele – Bellato – Belotti – Bencivenga – Benedettini – Benvenuti – Bergamini – Bernabei – Bernamonti – Bertola – Bertone – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Bitossi – Bocconi – Bolognesi – Bonino – Bonomelli – Bonomi Paolo – Bordon – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bosi – Bozzi – Braschi – Brusasca – Bubbio – Bucci – Bulloni Pietro.

Cacciatore – Caccuri – Camposarcuno – Candela – Canevari – Caporali – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Capua – Carbonari – Carboni Enrico – Carignani – Caristia – Caronia – Carratelli – Castelli Avolio – Castiglia – Cavallari – Cavalli – Cavallotti – Cerreti – Chatrian – Chiarini – Chieffi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Clerici – Codacci Pisanelli – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsanego – Cortese – Costa – Costantini – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo – Cuomo.

D’Amico – De Filpo – De Gasperi – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Di Gloria – Di Vittorio – Dominedò – Donati – D’Onofrio – Dozza.

Ermini.

Fabbri – Fabriani – Faccio – Fanfani – Fantoni – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Ferreri – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fioritto – Firrao – Flecchia – Foa – Foresi – Fornara – Franceschini – Fresa – Froggio – Fuschini.

Gabrieli – Gallico Spano Nadia – Gasparotto – Gatta – Gavina – Germano – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Ghislandi – Giacchero – Giolitti – Giordani – Giua – Gorreri – Gotelli Angela – Grassi – Grazi Enrico – Grieco – Grilli – Gronchi – Guariento – Gui – Guidi Cingolani Angela.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jacometti – Jervolino.

Labriola – Laconi – Lagravinese Pasquale – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Rocca – Lazzati – Leone Francesco – Leone Giovanni – Lettieri – Li Causi – Lizier – Lizzadri – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo– Lombardo Ivan Matteo – Longo – Lozza – Lucifero – Lussu.

Maffi – Magnani – Magrini – Maltagliati – Malvestiti – Mancini – Marezza – Marchesi – Mariani Enrico – Marinaro – Marzarotto – Massini – Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mastrojanni – Mattarella –  Mattei Teresa – Mazzoni – Meda Luigi – Mentasti – Merlin Angelina – Mezzadra – Miccolis – Minella Angiola – Minio – Molè – Molinelli – Momigliano – Montagnana Mario – Montagnana Rita – Montalbano – Monticelli – Morandi – Moranino – Morelli Luigi – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati – Moscatelli – Mùrdaca – Murgia – Musolino.

Nasi – Negarville – Negro – Nenni – Nicotra Maria – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Noce Teresa – Notarianni – Novella – Numeroso.

Pajetta Gian Carlo – Pajetta Giuliano – Pallastrelli – Paratore – Paris – Parri – Pastore Giulio – Pat – Patricolo – Pecorari – Pella – Pellegrini – Pera – Perassi – Perlingieri – Persico – Pertini Sandro – Perugi – Pesenti – Piccioni – Piemonte – Pignatari – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Ponti – Pratolongo – Preziosi – Priolo – Proia – Pucci – Puoti.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Raimondi – Rapelli – Ravagnan – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Restagno – Restivo – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rodinò Ugo – Romano – Roselli – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Rubilli – Ruggieri Luigi – Ruini – Rumor.

Saccenti – Salerno – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Santi – Sapienza – Saragat – Sardiello – Scalfaro – Scarpa – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scocci-marro – Scotti Francesco – Secchia – Segni – Selvaggi – Sereni – Sicignano – Siles – Silipo – Spano – Spataro – Stampacchia – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.

Targetti – Taviani – Tega Tessitori – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Togni – Tonello – Tonetti – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Trimarchi – Tripepi – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Valiani – Valmarana – Vanoni – Vernocchi – Veroni – Viale – Vicentini – Vigna – Villabruna – Villani – Volpe.

Zanardi – Zerbi – Zotta – Zuccarini.

Sono in congedo:

Angelini.

Cairo – Carmagnola – Cevolotto.

De Vita – Dugoni.

Jacini.

Martino Enrico – Martino Gaetano.

Perrone Capano – Porzio.

Russo Perez.

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Passiamo all’esame dell’articolo 55 nei suoi vari capoversi in relazione agli emendamenti che sono stati svolti nel corso della discussione e che sono compatibili con le votazioni sino a questo momento eseguite dall’Assemblea.

Pregherei il Presidente della Commissione, onorevole Ruini, di dire se dobbiamo attenerci, per l’esame degli emendamenti, al testo stampato ovvero al testo così come è stato redatto nell’ultima riunione del Comitato di redazione e che mi ha comunicato in visione nell’ultima seduta.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevole Presidente, quel testo era stato concordato condizionatamente, nel senso che alcune delle correnti rappresentate nel Comitato avevano dichiarato di aderirvi soltanto nel caso che fosse stato approvato il primo comma dell’articolo 55: «La Camera dei Senatori è eletta a base regionale». Non essendo stato ancora approvato questo comma, il testo nuovo non può essere considerato come nuovo testo di Commissione ed assunto a base di discussione.

Resta ora da vedere la questione sollevata come riserva dal collega Perassi, se si possa, malgrado la reiezione del suo ordine del giorno, procedere alla votazione del comma. Mi sembra che giudice in tale questione, trattandosi di interpretare una sua deliberazione già presa, debba essere l’Assemblea.

Se l’Assemblea deciderà in tal senso, e se sarà approvato il primo comma, allora il Comitato farà formalmente suo il testo concordato.

PRESIDENTE, Pregherei l’onorevole Perassi, il quale ha fatto una riserva prima che si passasse alla votazione or ora conclusa, di esprimere quanto egli pensa in proposito.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Ringrazio l’onorevole Presidente per avermi dato la possibilità di far conoscere il mio pensiero.

Per essere chiaro, osservo anzitutto che quel famoso ordine del giorno, che è stato sottoposto all’Assemblea nella precedente seduta, ha la sua origine in un emendamento che avevo proposto, emendamento che riguardava esclusivamente l’ultimo comma dell’articolo proposto dalla Commissione. Per conseguenza nel mio pensiero è certo che tutto il resto dell’articolo era un presupposto del mio emendamento, che non era toccato affatto. Ora, che cosa ha deliberato l’Assemblea?

A mio avviso, l’Assemblea ha deliberato di non adottare una formula che concerne l’ultima parte dell’articolo, cioè a dire non ha adottato due modi che erano indicati per quanto concerne l’elezione dei senatori assegnati a ciascuna Regione. L’Assemblea ha ritenuto che non fosse opportuno stabilire che tre senatori fossero eletti dal Consiglio regionale; non ha ritenuto opportuno che il resto dei senatori assegnati a ciascuna Regione fosse eletto col sistema che era stato indicato, cioè elezione indiretta con quei certi criteri stabiliti.

A mio avviso, ripeto, quest’ordine del giorno votato dall’Assemblea non può avere effetto preclusivo se non per le formule concrete in esso indicate. Per conseguenza, allo stato delle cose, l’ordine del giorno che è stato approvato, concernente il sistema del collegio uninominale, mi pare tocchi il problema della elezione di una parte dei senatori e, anzitutto, questo ordine del giorno non risolve un altro problema, che è pregiudiziale e che non è stato affatto affrontato. Ed è il problema che è riassunto nei primi due commi dell’articolo proposto dalla Commissione.

Il primo comma afferma anzitutto che il Senato sarà costituito su base regionale: su questo punto non c’è nessuna preclusione.

Il secondo comma afferma un altro concetto, che non ha nulla a che fare col modo di elezione, cioè dice che il numero dei senatori è determinato in relazione a ciascuna Regione, in base ad un certo rapporto proporzionale; ma aggiunge che, oltre al numero dei senatori determinato per ciascuna Regione in proporzione alla popolazione, è assegnato a ciascuna di esse un certo numero fisso, che nel testo era indicato in cinque.

Anche tutti questi aspetti del problema non sono stati affatto pregiudicati dai voti intervenuti. Per conseguenza, a mio avviso, mi pare che non vi sia dubbio che l’Assemblea, allo stato delle cose, non possa far altro se non prendere in esame il progetto della Commissione così come era staio proposto e, per quanto riguarda anzitutto i primi commi, esaminare gli emendamenti che sono stati presentati.

Quando poi si arriverà all’ultimo comma, relativo al modo di elezione, allora si potrà ritenere che sono preclusi quei concreti modi indicati nell’ordine del giorno che noi avevamo presentato e si potrà ritenere che l’elezione del grosso dei senatori – non tutti – avverrà secondo il sistema del collegio uninominale.

Mi pare che in questi termini si possa porre la questione all’ora attuale.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Ho chiesto di parlare perché desidero pregare l’onorevole Perassi di fornirmi un chiarimento. L’Assemblea ha approvato che l’elezione debba avvenire con il sistema del collegio uninominale; l’onorevole Perassi chiede ora che – se ho ben compreso – l’Assemblea sia chiamata a decidere sul primo comma che parla dell’elezione a base regionale. Desidero pertanto che egli mi dica come, in pratica, secondo lui, si possano conciliare queste due cose: il collegio uninominale e la base regionale.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Perassi a rispondere a questo quesito.

PERASSI. A me pare che la risposta alla obiezione sollevata dall’onorevole Targetti sia molto facile: non c’è per niente contradizione. Quando si dice che i senatori sono eletti a base regionale, non si intende con ciò di precludere il modo con cui debbano venir stabiliti i collegi elettorali. (Commenti).

Il primo comma dell’articolo dice «a base regionale»; non dice: «circoscrizioni regionali». Si tratta cioè del concetto un po’ empirico con il quale si voleva inizialmente dire che il Senato è il Senato della Regione. Il problema poi del modo di eleggere i senatori è regolato dall’ultima parte. Ora, anche ammesso che l’ultima parte dell’articolo dica che i senatori, la cui nomina non è diversamente disposta e che è elettiva, sono eletti col sistema del collegio uninominale, questa è tuttavia compatibile con il primo comma.

Vuol dire che entro ciascuna Regione si faranno, per quanto concerne il numero dei senatori, tanti collegi uninominali. Ne deriva che l’unica cosa che risulta esclusa è quella di un collegio uninominale che sia costituito da una frazione di territorio che comprenda due Regioni: tutto il resto è perfettamente compatibile.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Non credevo che l’Assemblea avrebbe votato per i collegi uninominali è quindi non ho preparato un emendamento o una serie di emendamenti che sarebbero stati indispensabili nell’eventualità che si è poi verificata. Ora, il collegio uninominale presuppone la base regionale: è chiaro che non vi possono essere basi nazionali; è chiaro che ogni collegio, ogni circoscrizione è nella Regione, e mai in due Regioni. E allora questa espressione contenuta nell’articolo 55: «La Camera dei Senatori è eletta a base regionale» è o un non senso oppure un eufemismo, col quale non si vuole riconoscere che la Camera dei Senatori o Senato è, in fondo, espressione di rappresentanze regionali. Io pongo chiaramente il problema, così come deve essere posto: l’Assemblea vuole che il Senato sia espressione di base regionale, cioè di interessi regionali? Ebbene, è meglio dirlo chiarissimamente, di modo che non ci sia alcun equivoco.

In seno alla seconda Sottocommissione io avevo presentato un emendamento, che non è passato, cioè: «Il Senato è la Camera delle Regioni»; non è passato, perché in questa dizione alcuni hanno voluto veder penetrare con sotterfugi il concetto federalistico dello Stato, che peraltro è rifiutato dagli articoli finora approvati. Io non mi permetto adesso di presentare ancora quell’emendamento, perché so che sarebbe respinto, ma credo che si può – senza affermare un concetto federalistico, con cui questa Assemblea non è d’accordo – affermare un altro concetto, che è un chiarimento, dicendo per esempio: «I Senatori rappresentano le Regioni nell’ambito dell’unità nazionale».

Se io trovo dei colleghi che sottoscrivono la mia proposta, io presento questo emendamento; e lo presento sicuro di esprimere un concetto di chiarificazione, non solo, ma una esigenza politica. Noi sappiamo che l’Assemblea ha approvato la mozione del regionalismo con estreme riserve; tuttavia la questione delle Regioni è posta, il problema dell’organizzazione dello Stato con le Regioni è posto. Allora, tanto vale accettarne le conseguenze, sia pure estremamente modeste.

Ma quando si afferma che la seconda Camera, cioè il Senato, rappresenta le Regioni nell’ambito dell’unità nazionale, significa questo: che la seconda Camera non accetterà mai che queste rappresentanze regionali siano particolaristiche, ma le accoglie e le accetta in quanto si conciliano e si sintetizzano con quelli che sono gli interessi generali della Nazione, dello Stato. In altre parole, nella seconda Camera si ha la sintesi dell’unità nazionale attraverso i vari particolarismi regionali.

Mi pare quindi un concetto di chiarificazione rispetto all’articolo 55, così come è adesso, e mi pare anche una chiarificazione politica nel senso regionale, ma legato agli interessi superiori dello Stato e della Nazione.

PRESIDENTE. In questo momento il problema che si pone è quello del metodo di elezione del Senato. Mi pare che la sua proposta, onorevole Lussu, miri invece a sottolineare una certa caratterizzazione politica dell’istituzione. L’onorevole Perassi, insistendo perché venga posto in votazione il primo comma dell’articolo 55, si propone uno scopo molto più concreto, e cioè di stabilire una norma limitatrice specifica, da cui discendano poi certe norme per la elezione del Senato.

Quindi, nessuna opposizione acché lei onorevole Lussu, traduca in un emendamento preciso la sua proposta – eventualmente potrebbe trovare anche le firme di altri colleghi –; ma tenga presente che non è questa la questione che stiamo discutendo.

NITTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Io non ho compreso bene. Noi, dunque, abbiamo votato che il Senato sarà eletto a collegio uninominale. Questo è un punto fermo. Ora ci troviamo di fronte ad una proposta, la quale vuole riportare in discussione la questione, ma in realtà non la sposta; perché, quando si dice che la base sarà la Regione, si deve intendere la Regione come divisione interna; cioè i senatori saranno eletti in ogni Regione. Ci dev’essere una base: o provinciale o regionale. Finora nelle elezioni avevano avuto la base provinciale, e nella legge del 1919 prevaleva in fondo il concetto di provincia. Ora avete voluto la Regione, cosa a cui non credo, ma a cui voi credete. Ma questo non sposta nulla, non entra nella questione. Il Senato dev’essere eletto sulla base del collegio uninominale. Vuol dire che i collegi uninominali saranno formati nell’ambito di ciascuna Regione, e voi formerete nella provincia un collegio uninominale a seconda del numero della popolazione. Ma questo non modifica niente, perché l’ammettere che la divisione si faccia all’interno non sposta il principio che abbiamo adottato del collegio uninominale. La Regione è una circoscrizione entro cui si faranno le elezioni dei senatori. E quindi si ammette che non si possono unire arbitrariamente due Regioni per eleggere i senatori quando si è votato il criterio dell’uninominalità. Ora, noi ci dobbiamo limitare a quanto abbiamo votato già. La discussione presente non è quindi necessaria, e direi che è inutile. La Regione rimane, dal momento che l’avete votata. Vuol dire che in una Regione si faranno cinque senatori, in un’altra sei oppure sette a seconda della popolazione della Regione. Ciò che non muta è che il collegio uninominale è la base della elezione. Il resto è secondario, e non dobbiamo occuparcene.

PRESIDENTE. Mi pare che la tesi dell’onorevole Perassi avrebbe validità soltanto se noi accettassimo un criterio che personalmente mi lascia molto dubbioso, quello che i senatori possano essere eletti, da Regione a Regione, da un numero diverso di cittadini e cioè che il quoziente che stabilisce il rapporto fra il numero dei senatori e il numero dei cittadini possa variare da Regione a Regione.

Vedo che l’onorevole Perassi si mostra alquanto stupito, e tuttavia questa sarebbe la conseguenza. Di fatto, è vera l’affermazione dell’onorevole Nitti – io, almeno, la ritengo vera – che nella determinazione dei singoli collegi uninominalisi eviterà naturalmente di superare i confini di ogni singola Regione, in maniera che ciascun collegio sarà contenuto nel termine territoriale di una sola Regione. A questa stregua l’affermazione del carattere regionale della Camera dei Senatori è implicita. Tutte le leggi elettorali che si sono fatte ed applicate da decenni e decenni in Italia, hanno rispettato senza dirlo questo principio. Ma ciò nonostante, nessuno ne traeva la conseguenza che la Camera italiana fosse una Camera a carattere regionale.

Ma ritorniamo a quello che diceva l’onorevole Perassi. Egli ha legato concettualmente il primo comma al secondo. Ora, nel secondo comma si propone che le Regioni abbiano un numero fisso di senatori, e in più un senatore per ogni 100.000 abitanti. (Altri propongono cifre diverse).

Se noi affermeremo nel primo comma la base regionale della Camera dei Senatori e se poi nel secondo comma assicurassimo comunque un numero determinato di senatori ad ogni Regione, oltre al numero variabile in rapporto alla popolazione, è evidente che dato il collegio uninominale, i collegi abbracceranno un numero diverso di cittadini, Regione per Regione.

Non sto a fare esemplificazioni. Ciascuno può fare un calcolo in base a dati di fantasia. Ecco perché ritengo che l’impostazione data alla questione dall’onorevole Perassi non possa essere accettata.

Se egli vuole semplicemente riconfermare nel testo costituzionale la verità elementare esposta dall’onorevole Nitti, questa è una superfluità; e sarebbe bene non appesantirne il testo. Se invece vuole questa affermazione per trarne poi le conseguenze che dovrebbero eventualmente essere inserite nel secondo comma, si tratterebbe di stabilire un principio che mi appare molto lontano da ogni nostro precedente costituzionale.

Concludendo, mi pare che la votazione di poco fa abbia reso impossibile la presa in considerazione del primo comma dell’articolo 55, così come è contenuto nel progetto di Costituzione. Mentre, invece del secondo comma, bisogna esaminare la parte che stabilisce il quoziente necessario per la nomina di ogni singolo senatore.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Domando scusa, ma devo insistere nelle spiegazioni date prima. L’osservazione fatta dall’onorevole Nitti l’ho fatta io per primo. Dicendo che il Senato è costituito su basi regionali, e dicendo poi che i collegi sono uninominali, si esclude la possibilità di un collegio uninominale a cavallo di due Regioni. Questo è positivo.

Ma l’affermazione del primo comma «il Senato è costituito su basi regionali» non preclude e non è incompatibile con la formula adottata del collegio uninominale. Il primo comma vuol dire un’altra cosa, che il Senato è creato sulla base della Regione. (Interruzioni a sinistra).

E la dimostrazione che l’adozione del sistema uninominale per le elezioni non sia incompatibile con tutto il resto che è detto nel primo e nel secondo comma, risulta da questo, che la proposta del collegio uninominale venne anche in seno della Sottocommissione prima e della Commissione plenaria poi, e nessuno allora sostenne la tesi che, avendo adottato il primo e il secondo comma, fosse preclusa la proposta del collegio uninominale. Il che dimostra che il primo e il secondo comma riguardano un problema nettamente diverso da quello che è regolato dal terzo comma.

Nel primo comma si fa un’affermazione di principio, quella della base regionale. Nel secondo comma anzitutto si determina il numero dei senatori assegnati a ciascuna Regione e si stabilisce che questo numero è determinato in ragione della popolazione, con una aggiunta di un certo numero fisso.

Del resto l’onorevole Nitti non può non ricordare che nel suo stesso emendamento si dice: «ad ogni Regione è inoltre attribuito un numero fisso di senatori».

È da ritenersi che nella mente dell’onorevole Nitti questa formula fosse perfettamente compatibile con quelle successive dello stesso emendamento, nel quale si adotta il collegio uninominale. Appunto perché sono due problemi diversi. Nel secondo comma si stabilisce dunque il numero dei senatori, una parte determinata in ragione della popolazione, ed un numero fisso. Il terzo comma, invece, entra nel problema del modo come si procede alle elezioni di questi senatori. Ed allora qui si pone il problema. Una parte dei senatori può essere attribuita al Consiglio regionale in coerenza al concetto della Regione. (Commenti – Rumori a sinistra).

Una voce a sinistra. È stato respinto.

PERASSI. Io protesto ancora una volta. È stata respinta l’elezione di tre senatori. (Commenti a sinistra).

PRESIDENTE. Con la votazione dell’ordine del giorno Nitti si è stabilito il suffragio diretto, non lo dimentichi.

PERASSI. L’adozione del sistema uninominale per la elezione dei senatori o parte di essi non è affatto incompatibile con l’affermazione messa all’inizio e con quanto si afferma nel secondo comma. Non vedo quindi nessuna ragione giuridica che si possa opporre a che il primo e secondo comma del testo proposto dalla Commissione siano sottoposti al voto dell’Assemblea.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Signor Presidente, io ho l’impressione che certe volte ci dimentichiamo delle regole del gioco. Io chiedo scusa e chiedo all’Assemblea di permettermi di parlare con la massima franchezza. È la terza o la quarta volta che succede – e l’osservazione può toccare tutti e quindi non tocca nessuno – che non si sa perdere, e che chi in una questione è rimasto soccombente, cerchi di trovare il modo di far rientrare dalla finestra quello che è uscito dalla porta. (Applausi a sinistra).

Ora, questo è avvenuto da varie parti dell’Assemblea e mi pare che stia accadendo anche adesso. Noi ci siamo trovati di fronte a tre ordini del giorno, che stabilivano tre concezioni diverse circa il futuro Senato della Repubblica. Il primo è stato respinto, ed era un ordine del giorno il quale si fondava su due concetti; quello regionalistico e quello della elezione indiretta. Il secondo, che è stato votato ed è stato accettato, ha stabilito semplicemente una massima: di elezione con suffragio universale diretto con sistema di collegio uninominale; e questa approvazione ha escluso senz’altro dalla votazione la formula dell’onorevole Lami Starnuti, che si trovava in contradizione con quanto era stato approvato.

Ora è evidente che se cominciamo a dire che il Senato della Repubblica è eletto su base regionale, noi o non diciamo niente o diciamo il contrario di quello che abbiamo detto prima. Le argomentazioni dell’onorevole Perassi – e mi scusi l’onorevole Perassi, ma per lui, così fine giurista, è facile trovare delle argomentazioni per cercar di far rientrare quello che un chiaro voto ha escluso – non possono convincere l’Assemblea, ed è anche pericoloso continuare con questo sistema.

Badate che tradire le regole del gioco fa male a tutti quanti: a chi riesce e a chi non riesce.

Comunque io ritengo che noi non possiamo più tornare su questa questione regionale e che noi dobbiamo adesso passare a votare quegli emendamenti; e forse ne dovremo creare qualcuno che organizzi questa elezione del Senato con il collegio uninominale e con il voto diretto, come abbiamo deliberato.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Per quanto una gran parte dell’Assemblea abbia sottolineato le osservazioni dell’onorevole Lucifero, in certo senso approvandole, io mi permetto di dissentire dall’interpretazione che egli ha dato.

L’articolo 55, del quale si discute, stabilisce concetti diversi. Afferma anzitutto che la Camera dei Senatori sarà eletta a base regionale; immediatamente dopo fissa quale sia il numero stabile di senatori da attribuire a ciascuna Regione oltre ad un senatore per 200 mila abitanti o frazione di 200 mila.

Nell’ultimo capoverso si stabilisce il modo da seguire per la votazione. Ora, relativamente al modo da seguire per la votazione, si è stabilito che si debba procedere col metodo del collegio uninominale, ma non abbiamo detto ancora nulla sul numero dei senatori da attribuire a ciascuna Regione e tanto meno abbiamo detto, affermando o negando, se una parte di questi senatori debba essere dal Consiglio regionale indicata anziché no.

PRESIDENTE. Questa è una questione già risolta.

MASTINO PIETRO. L’altro giorno è stato respinto l’ordine del giorno formulato dall’onorevole Perassi. Ma rileggiamolo. Esso stabilisce che «l’Assemblea Costituente ritiene che i senatori devono essere eletti nel numero di tre dal Consiglio regionale per ogni Regione». Non è solo il numero che è stabilito, ma il modo: dal Consiglio regionale. In quanto è stato approvato il metodo del collegio uninominale…

PRESIDENTE. Abbiamo votato poco fa l’elezione diretta, non lo dimentichi.

MASTINO PIETRO. L’elezione diretta può essere anche limitata all’altro numero dei senatori, (Commenti) ed avere, così, due metodi concorrenti all’elezione.

La proposta formulata dall’onorevole Perassi ha ragione di esistere.

RUBILLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUBILLI. Volevo dire prima di tutto quello che ha detto l’onorevole Lucifero; siccome l’ha detto lui, per questa parte me ne astengo. Ma voglio pure domandarvi: le nostre votazioni hanno o non hanno un valore? O cominciamo daccapo dopo aver votato?

Questa è la domanda, per la serietà dell’Assemblea; e mi rivolgo specialmente al nostro onorevole Presidente. C’è una votazione la quale ha stabilito un nuovo sistema di cui non parla il progetto. Ora si tratterà di tradurre in una norma quello che l’Assemblea ha votato, ed a questo potrà provvedere anche la Commissione. Quindi non può non rimaner fermo il rispetto a quello che l’Assemblea ha votato: collegio uninominale e suffragio diretto. Con questi due elementi essenziali ed ormai innegabili dovrà essere modificato il progetto di legge costituzionale. Si è deciso, e non si può ritornare sullo stesso argomento.

Dimodoché del primo capoverso dell’articolo 55 rimane una cosa sola, perché la parte riguardante il numero fisso di cinque senatori per Regione è superata…

PERASSI. Perché? Che c’entra?

RUBILLI. Come non c’entra? Il metodo è stabilito ormai senza eccezioni; suffragio universale diretto e collegio uninominale. Quindi rimane solamente da stabilire se i senatori devono essere eletti sulla base di uno per 200 mila abitanti oppure con criterio diverso.

Non vedo come ci sia ancora possibilità di discussione.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Limito le mie considerazioni solo all’esame del primo comma dell’articolo 55, di cui principalmente ha parlato l’onorevole Perassi.

Io non sono stato affatto scacciato dalla porta e tanto meno voglio rientrare dalla finestra. Io voglio entrare e non rientrare dalla porta.

Per la questione «la Camera dei senatori è eletta a base regionale» faccio appello all’onorevole Ruini, perché questo primo comma è stato l’espressione della maggioranza della Commissione. L’onorevole Ruini non la difende, perché ha avuto un amore estremamente moderato per la Regione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. E me ne vanto.

LUSSU. Se l’Assemblea ritiene di respingere le proposte della Commissione, può farlo nella sua sovranità. Lo stesso onorevole Nitti ammette le elezioni del Senato a base regionale. Egli dice: io sono contrario alle creazioni della «Regione»; ma è chiaro che le elezioni del Senato a base regionale, che alcuni di noi intendono affermare, non è superflua.

Io ho suggerito un criterio per affermarlo in modo più logico di quello che non faccia oggi il primo comma dell’articolo 55.

CONTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONTI. L’onorevole Lucifero ha voluto dirci che parlava con franchezza, anzi ha chiesto il permesso di parlare con franchezza; io non chiedo mai il permesso per parlare con franchezza; parlo con franchezza.

Dico all’onorevole Lucifero che, se egli ha parlato con franchezza, non ha parlato con sincerità.

Gli rimprovero, anzitutto, di avere malamente offeso i regionalisti dicendo che questi vogliono far rientrare dalla finestra quel che non è passato dalla porta. È proprio il contrario. Oggi noi assistiamo alla vendetta degli antiregionalisti contro il regionalismo. Siamo qui ad assistere ad una quantità di manovre che mirano a rendere questo povero istituto della Regione irriconoscibile. Questo è grave, anzi è gravissimo. Riuscirete nello scopo e noi non potremo far nulla. Riuscirete nello scopo perché un’Assemblea di troppi elementi è un’Assemblea che non ragiona, è un’Assemblea che si perde in discussioni le quali non concludono secondo la logica e secondo il buon senso. (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Conti, si tenga all’argomento, cioè all’articolo 55.

CONTI. Io mi tengo all’argomento, perché parlo sull’articolo 55 facendo delle premesse. (Interruzione dell’onorevole Costantini).

Ora è evidente che qui tutte le parti della Camera debbono assumere la loro responsabilità. Se avremo questo Titolo della Costituzione irriconoscibile e se, per l’irriconoscibilità di questo Titolo della Costituzione sarà disordinato tutto il sistema del nostro testo, la responsabilità deve assumerla ognuno di voi e la deve assumere per domani, quando gli effetti di una Costituzione, fatta con questi sistemi, saranno risentiti dal Paese. (Commenti).

Una voce al centro. Quali effetti?

CONTI. Li vedrete. Io per ora affermo, preannunzio e dico che dovete assumere la responsabilità di quel che fate.

Ne avete già assunta una, quando avete deliberato che questa Camera deve riempirsi eccessivamente di deputati; voi già avete assunta questa responsabilità. Continuate su questa strada: gli italiani vi faranno rimprovero di aver tradito il mandato. (Commenti). Vedete che io parlo con franchezza è con sincerità nello stesso tempo. (Commenti). Ora, quando si discute proprio cavillando, dico a lei onorevole Marinaro che dianzi parlava di cavilli, sull’articolo 55 e si contesta che si debba passare alla votazione del primo comma: «La Camera dei senatori è eletta a base regionale», evidentemente si vuol far rientrare dalla finestra quel che è uscito dalla porta; evidentemente si vuol negare l’esistenza della Regione, la funzione della Regione, si vuol negare tutto quello che si è fatto.

Ora, potete rimediare al male che si sta facendo votando tranquillamente il primo comma dell’articolo 55. Non ha nessuna importanza sostanziale, ma ne ha almeno una formale per l’armonia di questo testo costituzionale. Non cancellate in questo Titolo la Regione che avete affermata in altro Titolo.

Evidentemente, questo mi pare che dobbiate ammetterlo, anche se siete irritati con me per le parole franche che vi sto dicendo.

È necessario, onorevoli colleghi, e lo dico all’onorevole Costantini che fa l’interruttore, anzi, meglio, l’interrompitore, che ciò avvenga. Leggevo in una bellissima analisi della vita parlamentare, che si riferisce alla Camera del 1919… (Interruzioni – Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Conti, venga all’Argomento.

CONTI. È quello che sto facendo. Sto dicendo che bisogna votare l’articolo 55 nel suo primo comma, se non si vuole disordinare tutto il sistema di questo testo costituzionale. È necessario che lo facciano anche coloro che sono stati ostili al sistema della Regione. Lo debbono votare se non vogliono creare una disarmonia che sarebbe grave. E siccome questa votazione comporta conseguenze, è evidente che la preghiera che i regionalisti fanno può essere una preghiera accolta dagli antiregionalisti.

Per il resto, c’è forse una incompatibilità fra le affermazioni della votazione per collegio uninominale e la limitazione nell’ambito della Regione dei collegi che devono eleggere i singoli senatori? Evidentemente questa incompatibilità non c’è.

Diceva il Presidente, delucidando la questione, che nel passato, in fondo, tutte le leggi elettorali hanno tenuto presente la Regione. (Io dicevo, fra me, per gli antiregionalisti, che questo è un altro argomento dell’esistenza antica, irresistibile, del fatto regionale in Italia. Si, è negato, si è voluto negare, si continua a negarlo, ed intanto la Regione la trovate in tutti gli elementi della legislazione italiana, sempre).

Evidentemente, non c’è incompatibilità, perché i collegi elettorali che dovranno essere costituiti per l’elezione dei senatori, dovranno essere costituiti nell’ambito della Regione.

C’è l’altra questione: si può, dopo la votazione contraria all’ordine del giorno Perassi sul numero dei senatori, che le Assemblee regionali avrebbero dovuto eleggere, si può oggi, dopo quell’ordine del giorno, stabilire che le Regioni abbiano la facoltà di eleggere un certo numero di senatori, che non siano i tre che sono stati indicati nell’ordine del giorno Perassi? Questa è la questione, è la seconda questione che l’Assemblea deve risolvere. Ed il parere di questi nostri colleghi giuristi è che non vi sia nessuna preclusione, perché, se può apparire che è stato votato il principio contrario alla elezione dei senatori da parte delle Assemblee regionali, si risponde che in sostanza non il principio è stato votato, ma è stata respinta la proposta concreta del numero di 3 dei senatori da eleggersi dalle Assemblee regionali.

Queste sono le questioni poste davanti all’Assemblea; queste sono le questioni sulle quali, mi pare, che senza prevenzioni, con grande spirito di onestà politica, con grande senso di responsabilità, l’Assemblea debba procedere alle sue deliberazioni. (Applausi al centro).

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Desidero dare alcuni chiarimenti. Credo di aver diritto di parlare come Presidente del Comitato di redazione in qualunque momento della discussione. Se si fosse seguita fin dall’inizio la mia proposta di non procedere subito alla votazione degli ordini del giorno, ma di decidere le questioni nell’ordine logico in cui erano proposte dal testo del progetto, si sarebbero evitate queste code di dibattito e di incertezze. Se si fosse deciso prima di tutto, chiaramente e nettamente se era o no ammesso, nel Senato, una quota di senatori eletti dall’ente regionale, non staremmo più ora a tirarci i capelli.

Ciò premesso, per scarico di coscienza, risponderò all’onorevole Lussu, e dirò le ragioni che avevano indotto la Commissione dei Settantacinque a votare questo testo, salvo vedere poi, la posizione che si viene a determinare in base alla reiezione dell’ordine del giorno Perassi ed all’approvazione di quello Nitti.

La maggioranza della Commissione, a suo tempo, decise che il Senato avesse un nesso particolare con l’istituto della Regione.

Badate bene: se anche voi annullaste questo nesso, non è che la Regione sparisca, la Regione rimane nella struttura che è stata approvata. Ma sembrò alla maggioranza che creato questo ente, fosse opportuno dargli una partecipazione nella formazione del Senato. Questo è il concetto da cui è partita la maggioranza. Ed allora, che cosa ha fatto? In un primo comma, che come dissi in un mio intervento, ha un valore più che altro di proemio e di prefazione, ha affermato che il Senato è eletto su base regionale. La sostanza viene nell’altro comma in cui si stabiliscono due cose: 1°) che una parte dei senatori sono eletti dai Consigli regionali; 2°) che le Regioni debbono avere un certo numero di senatori fisso; e ciò per equilibrare meglio questi enti, e tener conto delle Regioni più piccole.

Non apparve allora, e non vi sarebbe ora, alcuna contradizione nel fatto che un terzo (o come fu proposto in sede di emendamento un quarto) di senatori fosse eletto dai Consigli regionali e il rimanente dal popolo direttamente, anche col sistema del collegio uninominale. (Rumori – Commenti – Interruzione del deputato Rubilli).

Onorevole Rubilli, io sto qui esponendo, quali furono le ragioni che indussero la Commissione ad adottare il suo testo. È ineccepibile che non vi era nessuna contradizione. Tant’è che, come ho detto poco fa, anche la minoranza, subordinatamente, accolse il concetto dei due sistemi convergenti di elezione.

Sta di fatto che la soluzione data dall’articolo 55 nel testo della Commissione potrebbe riunire in una equilibrata formula i sostenitori della Regione, che vogliono connetterlo con la formazione del Senato, ed i sostenitori del collegio uninominale, che avrebbe in tutto il resto un’ampia applicazione.

Ma, si dirà, è intervenuta la reiezione dell’ordine del giorno Perassi, e l’adozione di quello Nitti: la rappresentanza delle Regioni, attraverso i loro Consigli, non può più essere ammessa. Non voglio entrare in materia, né parlare per il Comitato di redazione, che, come purtroppo avviene ogni momento, è in disaccordo interno; né ho avuto il tempo di interpellarlo su questo punto. Osservo soltanto, per conto mio, che vi possono essere dubbi; tant’è che, quando fu presentato l’ordine del giorno Nitti, il Presidente della nostra Assemblea suggerì di aggiungere «compiutamente» o qualcosa di simile, perché risultasse in modo chiaro esclusa la rappresentanza dei Consigli regionali; ma il savio consiglio non fu accolto. E l’ordine del giorno Perassi, nelle sue espressioni che riguardano un punto particolare «tre senatori per ogni Consiglio regionale» potrebbe non implicare la decisione assoluta del principio ed escludere una diversa partecipazione dei Consigli regionali. Sono dubbi, ripeto, e sarebbe bene che si decidesse subito al riguardo. Bisogna evitare che si continui a discutere a perdifiato. Decidete una buona volta, in un senso e nell’altro e non se ne parli più. A me sembra che l’Assemblea dovrebbe finire col pronunciarsi sul primo comma dell’articolo 55 nel testo della Commissione, o votandolo direttamente, o fermandosi sulla questione pregiudiziale della preclusione, quale è stata qui impostata.

Vediamo, onorevoli colleghi, di non perdere altro tempo in sfibranti dibattiti di procedura.

Riassumo così il mio pensiero, il progetto della Commissione era organico; senza contradizioni; e si presterebbe benissimo ad un accordo anche col collegio uninominale. La via è ancora aperta, se si riterrà che non osti la eccepita preclusione. Decidiamo in qualunque senso. Anche in discussioni recenti abbiamo visto il valore enorme che ha l’esigenza di non perdere tempo, per poter entro l’anno chiudere i nostri lavori con l’approvazione della Costituzione.

C’è ora, una questione: decidiamola e non se ne parli più.

PRESIDENTE. Penso che dovremo, seguendo l’invito dell’onorevole Ruini, stabilire di che cosa stiamo discutendo, perché avevamo, sì, affrontato l’articolo 55, ma non nel suo intero complesso.

Come stiamo facendo da mesi, l’articolo viene diviso nei suoi accapo; e sui singoli accapo si discute e si vota.

E se pure c’è da fare, discutendo d’un accapo, qualche richiamo agli altri, non dobbiamo però rifare una discussione generale, come invece stiamo oggi larghissimamente facendo.

La materia dell’attuale dibattito è quella che ha richiamato l’onorevole Ruini e che avevo io stesso citata – mi perdonino – fin dall’inizio: si tratta di risolvere un quesito. E lei, onorevole Lucifero, non si rammarichi: se non avesse detto giorni fa che votare per quesiti è «un giuoco da bambini», non ci troveremmo in questa situazione. Infatti avremmo allora proceduto alle nostre votazioni in un ordine logico, superando i vari punti e cioè i vari quesiti uno dopo l’altro.

E il primo quesito che io avevo proposto – leggano il testo stenografico – è appunto quello che ora stiamo dibattendo.

Tuttavia, onorevole Ruini, io domando: si può votare su questo quesito? Ritengo di no, perché la questione è stata già decisa da un voto dell’Assemblea.

È strano che tutti i colleghi che hanno parlato si sono ricordati della votazione di dieci giorni fa – benché sia passato già un certo periodo di tempo – ma hanno già dimenticato la votazione di appena un’ora fa. Orbene, se la votazione di dieci giorni fa lasciava ancora aperta la questione, almeno entro certi limiti (tanto vero che l’onorevole Perassi aveva posto una riserva), con la votazione di questa sera, la questione è stata risolta e non esiste più. Perché io chiedo in qual modo si possa ancora sostenere di commettere al Consiglio regionale l’elezione di una parte dei senatori, quando questa elezione, essendo evidentemente di secondo grado, è ormai preclusa dal voto dell’Assemblea a favore dell’elezione diretta.

Non vi è una via di elusione. Il Senato è un organismo indivisibile ed indifferenziato e, dacché si è deciso che esso deve essere eletto con metodo diretto, si deve intendere – non v’è dubbio – che tutto il Senato debba trovare nell’elezione diretta la propria origine.

Mi sembra pertanto che abbia ragione l’onorevole Ruini quando afferma che deve essere definitivamente fissato questo punto; ma non ha forse più ragione nel ritenere che si debba ancora votare su ciò. Su questa questione, onorevoli colleghi, e soltanto su questa questione, io potrò dare pertanto la parola agli iscritti, pregandoli di restare rigorosamente all’argomento.

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Ho chiesto di parlare sull’interpretazione da dare all’ordine del giorno Nitti, perché – contrariamente a quanto ha or ora affermato l’onorevole Ruini – la questione sorta in proposito non può dirsi chiarita né matura per la decisione, esistendo ancora, come appare da recenti interventi, dei gravi equivoci in ordine ad essa.

È da mettere in rilievo che l’articolo 55 contiene nei suoi secondo e terzo comma due distinti principî: il primo è quello relativo al modo di determinare il numero dei senatori; il secondo invece quello relativo al metodo della loro elezione. Ora, l’ordine del giorno dell’onorevole Nitti, come risulta dal suo tenore letterale e altresì dall’interpretazione che lo stesso proponente ne ha data nello svolgimento dell’emendamento da cui esso è derivato, si riferisce esclusivamente a questo secondo punto, cioè al modo di elezione della seconda Camera.

Mi pare di potere convenire senz’altro nella tesi annunciata dal nostro onorevole Presidente, secondo cui l’approvazione intervenuta di tale ordine del giorno importa l’esclusione di forme elettive del Senato che siano, anche in misura parziale, affidate alla elezione indiretta, e quindi l’esclusione della possibilità di riproposizione della proposta di affidare la scelta di un’aliquota di senatori ai Consigli regionali. Ma, ciò ammesso, è da affermare che viceversa nessuna preclusione è intervenuta, in conseguenza del voto precedente, per quanto riguarda il contenuto del secondo comma dell’articolo 55 e quindi nessun pregiudizio si è avuto nella soluzione dell’altro problema, relativo al modo di determinazione del numero dei senatori. (Commenti).

Del pari impregiudicato deve ritenersi rimanga il principio consacrato nel primo comma dell’articolo in discussione, riferentesi all’affermazione della base regionale del Senato. Base regionale significa collegamento stabile ed istituzionale fra l’ordinamento regionale e il Senato. Tale collegamento è sembrato a tutti costituire un elemento essenziale della riforma regionale, tale da potersi svolgere con applicazioni molteplici ed in particolare con due, espressamente consacrate nell’articolo 55, con quella cioè, in primo luogo, relativa al metodo di scrutinio indiretto ad opera dei Consigli regionali, e questa è stata esclusa; con quella, in secondo luogo, che si realizza attraverso l’attribuzione di un numero fisso di senatori. Quest’ultima applicazione, contrariamente a quanto ritiene l’onorevole Rubilli, non si può considerare eliminata o comunque compromessa dalla votazione dell’ordine del giorno dell’onorevole Nitti. Dice infatti il secondo comma dell’articolo in questione, che contiene i criteri di determinazione del numero dei senatori, che tale numero si ottiene, in parte, in misura proporzionale al numero degli abitanti; in altra parte mediante l’attribuzione di un numero fisso di senatori ad ogni Regione, indipendentemente dalla sua popolazione. Ora, è precisamente questo secondo criterio dell’attribuzione di un numero fisso che vale a conferire una spiccata base regionale al Senato; ed anzi può dirsi che sia proprio esso a imprimere in modo più spiccato di ogni altro tale carattere regionale.

Accertato che il numero fisso serve solo come uno dei criteri per determinare la composizione numerica della seconda Camera e non tocca il metodo di scrutinio, né ha nulla a che fare con l’aliquota che si era proposto di affidare alla elezione dei Consigli regionali viene meno l’obiezione che era stata fatta contro la proposta di passare a discutere il primo comma dell’articolo 55. Si può aggiungere che il principio della base regionale, in esso proclamato, ha, come ha detto l’onorevole Ruini, il valore di una direttiva suscettibile di molteplici applicazioni, anche al di fuori di quella di cui ho parlato adesso, o di altre affermate in altri punti del progetto, come nell’articolo 56. Per provare con un esempio l’esattezza della mia affermazione ricorderò la possibilità di adattare alla base regionale il sistema di scrutinio uninominale, adottato dalla recente deliberazione di quest’Assemblea. Si potrebbe infatti stabilire nella legge elettorale da emanare, e sarebbe questo un altro modo di collegare la elezione del Senato con le Regioni, che, pur avvenendo le elezioni con il sistema del collegio uninominale, lo scrutinio si faccia tenendo presente i risultati ottenuti in tutta la circoscrizione regionale. Ciò utilizzando uno dei tanti sistemi escogitati per abbinare il collegio uninominale con forme di scrutinio proporzionale: utilizzazione che non è affatto esclusa dall’ordine del giorno Nitti, ed alla quale il futuro legislatore potrebbe essere indotto seguendo appunto la direttiva posta dalla Costituzione con la proclamazione della base regionale della seconda Camera.

Così, dunque, mi pare dimostrato che l’approvazione del primo comma dell’articolo 55 non solo non contrasta con le precedenti deliberazioni, non solo non è superflua, ma si presenta necessaria, come complemento naturale dell’ordinamento regionale, come inserzione di questo nell’ordine costituzionale dei poteri, secondo l’opinione unanime sempre espressa da quanti adottarono quell’ordinamento.

NOBILI TITO ORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILI TITO ORO. Io aderisco sostanzialmente, onorevoli colleghi, alle considerazioni svolte dagli onorevoli Lucifero e Rubilli.

Sulle riflessioni di carattere filosofico sviluppate, in tema di giuoco e di perdenti, dall’onorevole Lucifero, in rapporto ai risultati del voto, mi permetto di aggiungere un consiglio…

PRESIDENTE. Onorevole Nobili Oro, mi perdoni, vorrei pregarla di tralasciare ormai queste digressioni marginali e filosofiche, come lei stesso le chiama. Stia alla questione, la prego.

NOBILI TITO ORO. Non si preoccupi, onorevole Presidente, non ho il programma marginale che lei teme. Volevo soltanto ripetere a chi ha perduto il giuoco il consiglio di Catullo: «Quod perdidisti perditum ducas». Questa sintesi mi doveva riallacciare immediatamente all’argomento già trattato dai colleghi ricordati; dirò brevemente il mio pensiero e preciserò i punti nei quali esso si allontana da quello loro. Viene sul terreno della discussione l’articolo 55 del progetto di Costituzione, il quale contempla, in tre distinti commi, la estensione delle circoscrizioni elettorali, la composizione numerica del Senato della Repubblica, la distribuzione dei senatori fra le singole circoscrizioni, e il sistema di elezione. Se non fossero stati presentati tre ordini del giorno, tendenti a modificare l’articolo 55 in ciascuna di queste tre parti, si sarebbe dovuto intraprendere l’esame degli emendamenti proposti per ciascuna di esse, per poi passare alla votazione. Senonché questo, che sarebbe stato il procedimento normale, è stato modificato dal rigetto dell’ordine del giorno Perassi e dalla approvazione di quello Nitti, in quanto le deliberazioni con esso assunte vulnerano più o meno ciascuna delle tre parti dell’articolo. E il Regolamento della Camera, che disciplina i lavori dell’Assemblea, è molto chiaro in proposito. Inspirandosi al principio non bis in idem, che garantisce il rispetto di tutte le decisioni sia sul terreno giudiziario, sia su quello amministrativo o politico, stabilisce che gli ordini del giorno debbono essere discussi e votati con precedenza sugli emendamenti e che le loro statuizioni facciano stato e precludano l’esame di proposte contrastanti. Queste regole, racchiuse principalmente negli articoli 87 e 89, sono illustrate da una prassi abbondantissima; ordunque adesso è necessario di stabilire, per ciascuno dei tre commi dell’articolo 55, se e fino a qual punto esso sia rimasto vulnerato dagli ordini del giorno votati, perché per ogni comma, là dove vulnerazione siasi verificata, vi è preclusa, in tutto o in parte, sia la discussione, sia la votazione. Occorre, pertanto, anzitutto portare ciascuno dei tre commi a raffronto sia coll’ordine del giorno Perassi, sia con quello Nitti. Cominciando dal primo comma, pel quale il Senato dovrebbe essere eletto a base regionale, io non esito a ritenere che il suo esame, come quello degli emendamenti che ne accolgono il principio, sia assolutamente precluso.

Per vero poteva intendersi la base regionale per la elezione dei senatori in rapporto alla statuizione dell’ultimo comma dell’articolo 55 che attribuisce ai Consigli regionali la elezione di un terzo, ripresa dall’ordine del giorno Perassi. Ma quando questo è stato respinto, è crollata con esso la base regionale; e il colpo di grazia le è stato vibrato dall’approvazione dell’ordine del giorno Nitti, pel quale il Senato sarà eletto a suffragio universale e diretto e col sistema del collegio uninominale.

PERASSI. Non è vero!

NOBILI TITO ORO. È verissimo. E la preclusione deriva non solo dalla deliberazione di affidare l’elezione dei senatori al suffragio universale e diretto, la quale basta ad escludere la base regionale che avrebbe trovata la propria manifestazione nella elezione dei senatori affidata ai Consigli regionali; essa deriva soprattutto dalla deliberazione che la elezione si faccia col sistema del collegio uninominale.

E di fronte al collegio uninominale assunto come base elettorale la base regionale inesorabilmente scompare. Se un nostro voto precedente avesse già affermato la volontà di dar vita a un sistema elettorale a base regionale, io non mi rifiuterei, nella coesistenza dei due voti, al tentativo di conciliarli e potrei perfino mettermi d’accordo con coloro che continuano a sostenere che l’ordine del giorno Nitti possa ricevere una interpretazione diversa da quella univoca che ormai si impone. Senonché l’ordine del giorno Nitti è intervenuto quando la base regionale non era stata ancora deliberata; e colla creazione della base elettorale nel collegio uninominale ha prevenuto e impedito il suo affermarsi. Al riguardo non possono elevarsi dubbi di sorta.

Io ho ascoltato le ultime dichiarazioni fatte dall’onorevole Nitti dopo la votazione del suo ordine del giorno sulla estensione che sarebbe stato intendimento suo di dare all’ordine del giorno medesimo; e non nego che esse possano in qualche modo imbaldanzire la tesi di coloro che escludono la preclusione della discussione e della votazione di questo primo comma.

Ma mi duole di dover dire che noi non possiamo accogliere questa chiarificazione come espressione di una interpretazione autentica; perché questa interpretazione avviene quando l’Assemblea ha già votato e l’Assemblea ha votato non in base alle intenzioni, non ancora palesate, dell’onorevole Nitti, ma in base alla lettera chiara del suo ordine del giorno. Quando la lettera è chiara, bisogna stare ad essa. E l’ordine del giorno afferma che «l’elezione dei senatori sarà fatta col sistema del collegio uninominale». Pertanto la base elettorale sarà il collegio uninominale e non già la Regione e il Consiglio regionale.

Questa è dunque la parte insopprimibile della deliberazione assunta, la quale preclude indiscutibilmente la presa in esame del primo comma: il collegio uninominale, circoscrizione ridottissima rispetto a quella della Regione, è circoscrizione autonoma, con ufficio proprio, che non può avere più alcun nesso con l’ente Regione e deve collegarsi direttamente con l’ufficio elettorale centrale. Unica questione ancora possibile potrebbe essere questa: se si debba o no tener presente la circoscrizione delle istituende Regioni, per distribuire nell’ambito di esse, a gruppi territorialmente ravvicinati, i collegi uninominali; ma non si potrà prescindere dalla necessità di considerare il collegio uninominale come base autonoma delle elezioni senatoriali. Questo è per me il decisum già acquisito e quindi un punto incontrovertibile.

E, siccome la prima chiarificazione deve avvenire a questo riguardo, io confido che l’onorevole Presidente vorrà dare atto che il primo comma è assorbito per preclusione. Solo subordinatamente io mi son permesso di proporre un ordine del giorno col quale l’Assemblea è chiamata a dare questa interpretazione, che, allo stato, è l’unica autentica che possa, nella peggiore ipotesi, essere ricercata.

Ritengo che l’onorevole Rubilli possa essere d’accordo in ciò, qualora l’onorevole Presidente non voglia far valere il potere che gli deriva dal voto già emesso, dandogli il crisma formale.

Per economia di discussione il mio ordine del giorno contempla anche la rimanente parte dell’articolo.

A rigore si dovrebbe riconoscere che gli ordini del giorno votati hanno precluso anche il secondo comma, pel quale a ciascuna Regione è attribuito oltre a un numero fisso di cinque senatori, un senatore per duecentomila abitanti o per frazione superiore a centomila: giacché, come ho dimostrato, non si può più parlare di circoscrizione regionale, per effetto dell’ordine del giorno Nitti, mentre il criterio, del numero fisso di senatori eligendi a complemento di quello proporzionale al numero degli abitanti, è stato già respinto per effetto del rigetto dell’ordine del giorno Perassi. Siccome però potrebbe osservarsi che il numero dei senatori da eleggere non è stato definitivamente fissato, perché non è stato ancora determinato il quoziente di ciascun collegio uninominale, sono incline a riconoscere che, limitatamente a questa necessità, possa invocarsi ancora la decisione dell’Assemblea.

Per contro l’ultimo comma dell’articolo è quello totalitariamente vulnerato e distrutto dall’ordine del giorno Nitti e adesso non resta altro da fare all’onorevole Presidente, quale depositario delle manifestazioni di volontà dell’Assemblea, se non dare atto, e non resta altro all’Assemblea che prendere atto che quest’ultimo comma è stato già emendato colla approvazione dell’ordine del giorno Nitti, per effetto del quale il Senato sarà eletto a suffragio universale e diretto col sistema del collegio uninominale. Pretendere in proposito che si rinnovi la votazione sarebbe volere offendere il principio non bis in idem, e violare, tra gli altri, l’articolo 87 del Regolamento.

Per principio di onestà politica e per la serietà dell’Assemblea questo non può però avvenire e noi abbiamo la più completa fiducia che non avverrà.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Io credo che l’Assemblea debba ringraziare – in questa discussione – unicamente l’onorevole Mortati di aver posto la questione in termini chiari, onesti ed esatti. Mi dispiace di non poter dire altrettanto al Presidente del Comitato di coordinamento, il quale, essendo intervenuto senza avere consultato il Comitato, credo dovesse attenersi per lo meno alla logica, la quale in questo momento ed in questa materia ci insegna una cosa molto semplice: che qui ci sono tre questioni: una è quella della base elettorale, la seconda è quella dei collegi elettorali, la terza è quella del numero da stabilire per ogni Regione. La prima questione è difficile da risolvere per prima perché dire che il Senato è eletto a base regionale significa fare un’affermazione piena o vuota di significato, a seconda di quel che segue.

Per quanto riguarda la seconda questione, non v’è dubbio che una votazione in merito è assolutamente esclusa dall’approvazione, già avvenuta, dell’ordine del giorno Nitti. Mi pare che nessuna persona che guardi le cose con un minimo di serenità possa affermare il contrario.

L’unica questione che rimane da discutere è la terza. Io riconosco onestamente – per quanto la cosa non convenga alla parte che rappresento – che la questione del numero dei senatori da fissarsi per ogni collegio regionale o meno, non è pregiudicata dall’ordine del giorno che abbiamo votato. A me sembra però che sia pregiudicata dallo spirito delle votazioni che abbiamo fatte, in quanto sarebbe una cosa assurda che noi domani venissimo a determinare dei collegi uninominali di diversa entità per cui – per esempio – la Sicilia avesse un collegio per 100.000 abitanti e l’Emilia per 150.000 o viceversa. Mi pare che il popolo italiano non riuscirebbe a comprendere una differenza di questo genere.

Comunque, dal punto di vista formale, finora la cosa non è stata giudicata.

Per questo penso che si debba procedere nel modo seguente: escludere completamente una votazione sulla seconda questione e votare sulla terza.

E, infine, qualora il numero fisso fosse approvato, noi potremmo decidere sulla questione della base regionale.

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Concordo con quanto ha detto l’onorevole Laconi.

Qui si tratta di vedere l’interpretazione del testo dell’ordine del giorno che abbiamo votato e la compatibilità del contenuto di questo ordine del giorno con l’articolo 55.

Ora, mi pare che la votazione negativa sull’ordine del giorno Perassi, e la votazione affermativa sull’ordine del giorno Nitti escludano nel modo più tassativo che l’Assemblea possa in qualsiasi modo, sia pure sotto la forma indiretta dell’interpretazione autentica, ritornare sulla sua determinazione. Questi due ordini del giorno, uno respinto, l’altro votato, escludono che si possa votare o interpretare il terzo comma dell’articolo 55.

In altri termini, il Senato non può essere costituito né con l’elezione da parte dei Consigli comunali, né con l’elezione in base al suffragio universale col sistema proporzionale, perché il meccanismo di elezione del Senato dev’essere esclusivamente quello del sistema uninominale: e questo ha voluto affermare l’ordine del giorno Nitti.

Resta la questione accennata dall’onorevole Mortati e ripresa dall’onorevole Laconi, cioè la determinazione del numero dei senatori.

Il secondo comma dell’articolo 55 dice che a formare il numero dei senatori si procede con un duplice sistema: l’attribuzione di un senatore per ogni 200.000 abitanti e una quota fissa di senatori. Questo è un problema impregiudicato dal punto di vista formale.

Forse se si volesse sottilizzare – ma io non ne ho vaghezza – si potrebbe dire che anche la quota fissa è esclusa dall’ordine del giorno Perassi, perché nella prima parte si dice che i senatori devono essere eletti nel numero di tre per ogni Regione.

PERASSI. Non è un numero fisso.

BOZZI. E quanto meno dubbio se l’onorevole Perassi abbia voluto mettere l’accento sulla elezione da parte del Consiglio regionale, oppure sulla quota fissa; sicché possiamo dire che sul secondo comma dobbiamo ancora votare, cioè dobbiamo ancora votare sul modo di costituzione del numero dei senatori da eleggere, in base alla proposta di una quota fissa e di un senatore per ogni 200 mila abitanti.

Resta la questione del primo comma.

Io, signor Presidente, proporrei di suggerire che non si addivenisse adesso a fila votazione del primo comma perché il primo comma – lei ricorda meglio di me come si venne a questa formula un po’ vaga – quando dice che il Senato è eletto a base regionale, in fondo non dice niente. Si volle escludere una affermazione che portasse a considerare la Regione come ente, perché si disse che si sarebbe così costituito un Senato di carattere regionale. Comunque, l’espressione ha la sua ragion d’essere in quanto si siano votati il primo ed il secondo capoverso.

Ora, il secondo capoverso dell’articolo 55 è caduto. Resta da vedere se rimane ferma la quota fissa dei senatori che spettano ad ogni Regione.

Se l’Assemblea voterà questa quota fissa di senatori attribuita ad ogni Regione come tale, noi potremo prendere in esame se sia da votare il primo comma o nella formulazione proposta o in un’altra più confacente.

LUCIFERO, Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Io, in verità, in origine avevo chiesto la parola per un fatto personale, ma parlo nel merito nel quale il fatto personale entra. Ha detto l’onorevole Conti che non ho parlato con sincerità…

PRESIDENTE. Onorevole Lucifero, non faccia il fatto personale.

LUCIFERO. Non lo faccio, perché l’avrei anche con lei il fatto personale, signor Presidente. Mi ha fatto provare una emozione perché in 44 anni questa accusa non me l’aveva mai fatta nessuno, ed io la ringrazio. La mia mancanza di sincerità sarebbe stata nel fatto che noi, antiregionalisti, tenteremmo di fare entrare dalla finestra quello che era uscito dalla porta.

Io che ho degli scrupoli, sono andato a vedere il progetto: venti articoli sulla Regione, onorevoli colleghi, in cui la Regione ha tutti gli elementi per continuare a non funzionare per i secoli, anche se non sarà investita della nomina di alcuni senatori. Quindi non si tratta affatto di andare contro quello che è stato votato. Si tratta semplicemente di delimitare fra le infinite attribuzioni della Regione se vi debba essere anche quella di nominare alcuni senatori oppure no. Ma anche se la Regione non nominerà senatori le resteranno tante di quelle attribuzioni che ci sarà da uscir pazzi non so per quanto tempo.

Detto questo, la questione del voto è proprio questa, cioè di aver voluto limitare, escludere da alcune funzioni la Regione; perché, quando noi abbiamo stabilito un suffragio diretto con un sistema uninominale, che cosa abbiamo fatto? Abbiamo escluso evidentemente tutti i sistemi di elezione indiretta e tutti i sistemi diversi dal collegio uninominale. Ora, non vi è dubbio che una elezione fatta attraverso un Consiglio regionale non sarebbe un’elezione diretta e non sarebbe un’elezione con il collegio uninominale. Quindi questa cosa a me sembra assolutamente esclusa. Voler tornare sulla discussione di questo significherebbe, onorevole Conti, non una insincerità da parte mia, ma un errore da parte sua, anche se io questa volta mi trovo dalla parte di quell’Assemblea che, secondo lei, non ragiona. E, signor Presidente, io avrei voluto un suo intervento quando questa frase circa l’Assemblea, che lei onorevolmente presiede, è stata pronunciata, perché la frase riguardava lei. Per quanto riguarda l’appunto che lei mi ha fatto circa i quesiti, io rispondo con una sua frase. Lei dice: non ci sarebbero state queste questioni se si fossero votati i quesiti. Lei ha escluso che vi possa essere, con questa votazioni con sistema ordinario, la questione. Con una sua frase, come lei vede, abbiamo raggiunto lo stesso risultato senza fare delle innovazioni.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Non parlerò sulla sostanza dei problemi che sono stati avanzati questa sera. Vorrei fare invece una proposta concreta. Sono state sollevate in quest’ultima discussione numerosi problemi che forse l’Assemblea non era preparata a considerare e ci sono state prospettate, in questo gioco delicato di preclusioni, numerose difficoltà. Si dovrà decidere, per esempio, se sia intervenuta una preclusione per quanto riguarda quella parte di senatori che si pensava dovessero essere eletti dai Consigli regionali o nominati dal Capo dello Stato.

Questa è una delle questioni, ma molte altre ne sono state sollevate.

Mi sembra che il complesso di questi problemi sia così vasto e delicato da consigliare un esame da parte del Comitato di redazione. Ho visto anche che i membri del Comitato si sono divisi su alcuni punti che erano in discussione questa sera.

Non sembra opportuno – mi rivolgo sia al Presidente dell’Assemblea, sia al Presidente della Commissione – che il Comitato di redazione si raduni domani, esamini questo gioco di preclusioni e porti delle proposte all’Assemblea? Mi sembra che un esame preliminare sia opportuno e che possa portare a decisioni più mature.

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. A me sembra che la questione sia stata posta chiaramente dall’onorevole Ruini. Il problema è solo questo: se i due ordini del giorno rendano impossibile la votazione dell’articolo 55. Ora, non vi è dubbio che il primo comma dell’articolo 55 si deve votare, perché stabilisce una norma d’ordine generale. La Camera dei senatori, cioè il Senato, è eletto a base regionale; quindi non incide sulla modalità dell’elezione che deriva dall’ordine del giorno Nitti che è stato testé approvato.

L’ordine del giorno Nitti, a che cosa si riferisce? Al sistema elettorale attraverso il quale dovranno essere nominati i senatori. Che cosa rimane da stabilire? Quello che è il problema del secondo comma dell’articolo 55 proposto dalla Commissione. Di questo secondo comma v’è una parte viva e una parte che è caducata. È caducata la parte per cui alcuni senatori devono essere eletti dalla Regione. Però rimane che ogni Regione può avere un numero fisso di senatori. L’equivoco da che cosa è nato, secondo me? Da quel numero fisso di 200.000 cittadini per ogni collegio elettorale. Non è affatto vero che il collegio uninominale avesse un numero fisso. Ricordiamo la vecchia legge elettorale: avevamo collegi con un numero diverso di elettori: Pavullo sul Frignano aveva mille elettori; un collegio di Milano aveva 200.000 elettori. Ciò non è male. Tutto sta a considerare se i senatori dovranno avere la caratteristica di essere l’emanazione di una certa zona regionale, di rappresentare nel Senato una determinata parte di territorio nazionale. Se questo si stabilisce, evidentemente l’ordine del giorno Nitti stabilisce la norma per lo svolgimento delle elezioni: tanto è vero, che lo stesso onorevole Nitti, nella sua proposta di modifica agli articoli 55 e 56, si esprimeva così:

«Il Senato è eletto sulla base di un senatore per 200.000 abitanti. Il territorio della Repubblica è diviso in circoscrizioni elettorali, che eleggono un solo senatore ciascuna. Ad ogni Regione è, inoltre, attribuito un numero fisso di tre senatori».

Quindi, anche l’onorevole Nitti, nella sua proposta sostitutiva dell’articolo 55, ritiene Che ogni Regione deve avere tre senatori, qualunque sia il sistema elettorale prescelto, collegio uninominale o altro (ormai è stato scelto quello uninominale, e non si può più discutere).

Evidentemente il concetto regionale entra nella composizione del Senato. Quindi, potremmo votare il primo comma del testo della Commissione: «La Camera dei senatori è eletta a base regionale». Poi potremmo pregare il Comitato di redazione di coordinare l’ordine del giorno Nitti già approvato con le formalità necessarie perché l’elezione dei senatori avvenga nella circoscrizione regionale; e allora spero che la Commissione muterà il suo avviso sul numero fisso di 200 mila abitanti: perché ci possono essere Regioni che, pur dovendo avere tre o quattro senatori, non hanno il numero necessario di abitanti.

La Basilicata, per esempio, che ha circa 500.000 abitanti, non potrebbe avere tre senatori, come è stabilito nel testo dell’articolo 55 proposto dall’onorevole Nitti.

PRESIDENTE. Che non è ancora stato approvato.

PERSICO. Quindi, l’Assemblea potrà ora votare la prima parte dell’articolo 55.

Resta fermo che l’ultima parte è sostituita dall’ordine del giorno Nitti approvato, circa le modalità dell’elezione: suffragio universale e diretto col sistema del collegio uninominale.

Darei mandato al Comitato di redazione di coordinare quest’ultima parte, approvata, colla prima parte dell’articolo 55 che stabilisce la base regionale, perché vi si innesti il sistema del collegio uninominale.

BOSCO LUCARELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOSCO LUCARELLI. Io sono del parere del collega Moro, di rinviare alla Commissione la formulazione di tutto l’articolo, perché, dopo l’approvazione dell’ordine del giorno Nitti, a me pare che l’articolo vada rifuso.

Qualora ciò avvenisse, io mi permetterei di sottoporre alla Commissione delle questioni pratiche da tenere presenti. Dovendosi determinare le circoscrizioni per i collegi uninominali, ad evitare difficoltà nella compilazione della relativa legge elettorale, credo opportuno che nella Costituzione si dia un indirizzo generale per sapere come debba avvenire il raggruppamento di comuni per costituire i singoli collegi, e cioè se debba avvenire nell’ambito delle provincie o delle regioni, o se debba prescindere da esse.

Nelle vecchie leggi elettorali col sistema uninominale, i collegi erano determinati nell’ambito delle provincie.

L’assegnazione di un senatore per ogni 200 mila elettori, tenuta anche presente l’importanza delle frazioni, rende necessario un accurato esame della questione.

Anche per questo credo vada appoggiata la proposta Moro.

PIEMONTE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIEMONTE. L’altro giorno abbiamo votato, a scrutinio segreto, contro un numero fisso di senatori per Regione. Non comprendo come l’Assemblea oggi possa ritornare sulla deliberazione già adottata.

Richiamo, peraltro, l’attenzione dei regionalisti su questo problema: domandando un minimo di rappresentanza di senatori per ogni Regione, si impedisce che si formino quelle piccole Regioni che, a mio modo di vedere, sono più giustificate delle grandi. Le piccole Regioni potranno effettivamente valere nella vita pubblica italiana, perché esse permettono il massimo controllo sulla pubblica amministrazione; a questo riguardo le grandi Regioni presenteranno di poco diminuiti i danni dell’accentramento burocratico. Se si chiede che le Regioni abbiano un minimo di rappresentanti si darà un’arma perché queste piccole Regioni non siano approvate.

Sono d’accordo con il collega Moro che dopo il voto sull’ordine del giorno Nitti tutto il capitolo vada riveduto e le disposizioni fra loro coordinate e coordinate al principio votato dal Comitato di redazione.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Non vorrei essere in errore, ma mi sembra che questa discussione sulla preclusione o meno della possibilità di mettere in votazione l’articolo bel testo del progetto sia, se non altro, intempestiva. Infatti prima bisognerà mettere in votazione gli emendamenti che sono stati presentati a questo articolo, giacché nel caso in cui qualcuno di questi emendamenti – che sono emendamenti sostitutivi – venga approvato, la questione della preclusione è già assorbita. Non so se sono in errore, ma mi sembra che la questione si ponga così: v’è l’emendamento dell’onorevole Nitti con il quale si propone di sostituire gli articoli 55 e 56 con un articolo da lui stesso formulato; v’è poi, tra gli altri, un nostro emendamento del seguente tenore: «Il Senato della Repubblica è eletto a suffragio universale, diretto e segreto, ecc.». Sono due emendamenti che, se venissero approvati, o l’uno o l’altro, annullerebbero il testo del progetto. Se questi emendamenti saranno respinti, allora si potrà proporre la questione se sia possibile mettere in votazione l’articolo del testo, che è in contradizione, secondo l’opinione di alcuni, con due ordini del giorno: uno approvato e l’altro respinto.

PRESIDENTE. La questione è stata largamente chiarita nonostante che gli onorevoli Moro e Bosco Lucarelli ritengano che essa non lo sia ancora a sufficienza ed abbiano affacciato l’idea di rimetterla al Comitato di redazione. È possibile che non sia chiara per qualcuno, ma io, onorevoli colleghi, debbo ribattere sempre sul medesimo punto: ci avviciniamo alla metà di ottobre e non possiamo rinviare più, neanche di un giorno, questioni che sono state già lungamente discusse; in questo momento, onorevole Moro, si tratta veramente di voler fare soltanto un piccolo sforzo logico. Il problema è questo: il testo dell’articolo 55, che abbiamo ricevuto dalla Commissione per la Costituzione, aveva per l’appunto una sua logica interna. Vi era un primo comma che in tanto teneva, in quanto seguivano il secondo ed il terzo. Coloro i quali hanno partecipato alla discussione di questo testo rammentano che il secondo e il terzo comma sono stati così configurati perché il primo era stato in precedenza redatto in quel particolare modo. È evidente che, affermata una base regionale per il Senato, ne veniva come necessaria conseguenza che per l’elezione del Senato si presupponesse una certa struttura della Regione e, in primo luogo, la esistenza di assemblee regionali.

Onorevoli colleghi, non è responsabilità mia – vorrei lo si riconoscesse – se la strada attraverso la quale siamo giunti a questa prima votazione non ha seguito la stessa traccia di quella percorsa in seno alla seconda Sottocommissione. È stata l’Assemblea a decidere di prendere una via diversa, ed una tale via per la quale avendo votato una prima decisione, non è più permesso seguire nel loro ordine primitivo i tre commi dell’articolo 55.

Vorrei dire a questo proposito, che non vi è dubbio che le decisioni dei Settantacinque e della seconda Sottocommissione che ha elaborato questa parte del progetto conservano valore; ma adesso, a mano a mano che i lavori nostri procedono, se facciamo dei richiami, dobbiamo farli non alle decisioni della Commissione dei Settantacinque, dall’Assemblea non accettate, ma a quelle altre decisioni che l’Assemblea ha ad esse sostituite.

Oggi pertanto l’Assemblea deve ragionare in base alle premesse logiche che si è poste, e se queste non consentono di accettare le norme della Commissione dei Settantacinque, io posso essere il primo a rammaricarmene, perché vi ho collaborato, ma bisogna sottomettersi al volere espresso dell’Assemblea.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Io non vedo le cose con la stessa chiarezza con cui le vede l’onorevole Presidente. Mi dispiace di dover fare una proposta formale perché la materia sia rinviata al Comitato di redazione per un nuovo esame. Domani mattina l’Assemblea potrebbe occuparsi di un altro argomento, mentre il Comitato riprende in esame la materia.

PRESIDENTE. Mi permetto di parlare in maniera molto netta. Se lei, onorevole Moro, propone formalmente che l’Assemblea sospenda i suoi lavori, in attesa che il Comitato di redazione dipani questa matassa, che a me sembra abbastanza dipanata, io metterò in votazione la sua proposta; ma desidero che risulti chiaro a chi spetta la responsabilità del permanente ritardo dei lavori della nostra Assemblea. (Commenti al centro). Mi permettano, ma nessuno vorrà farmi credere che, da dieci giorni a questa parte, voi non abbiate più pensato alle conseguenze dei voti che si erano dati in precedenza.

Credo che nessuno di voi, da dieci giorni a questa parte, abbia completamente rinunciato a svolgere pensieri e considerazioni sui lavori della Costituzione e pertanto non credo che i problemi intorno ai quali oggi stiamo discutendo vi riescano nuovi in maniera tale da non orientarvici.

Onorevole Moro, il problema si pone in questi termini: si è votata una disposizione; questa disposizione stabilisce che il Senato della Repubblica sia eletto a suffragio universale e diretto col sistema del collegio uninominale. La prima conseguenza che se ne trae è senz’altro questa: nessuna forma di elezione indiretta è più ammissibile.

La seconda conseguenza è ancora da trarre, e starà nel quesito se si possa accettare o meno che nel Senato della Repubblica vi siano senatori che si richiamino rispettivamente ad un numero diverso di elettori. Questa è l’unica questione ancora da risolvere. Se l’Assemblea risponde «sì», ed è legittimamente padrona di farlo, allora resta in piedi il quesito del numero fisso di senatori. Se l’Assemblea dice «no», allora non vi sarà più numero fisso di senatori, ma si tratterà soltanto di scegliere, fra le varie proposte relative al quoziente, che vanno da 200 mila a 120 mila. Questa è tutta la questione da risolvere e mi pare in realtà che non sia tanto complessa. Essa pone una questione di principio; se un eletto possa richiamarsi ad un numero di elettori o ad una base di popolazione diversa da un altro eletto. È la sola questione da risolvere. E, onorevoli colleghi, non credo che possiamo affidare la soluzione al Comitato di redazione. È l’Assemblea che deve risolvere e votare. E siccome il quesito è semplice non è necessario che ci venga riportato fra alcuni giorni. Tutto questo ho detto per precisare i termini della questione. Poiché, comunque, l’onorevole Moro ha fatto una proposta formale di sospensiva, dovrò porla in votazione.

MORO. Io chiedevo di rinviare fino a domani pomeriggio e non di tre o quattro giorni.

PRESIDENTE. Già ieri mattina non si è tenuta seduta, stamane neppure, domani mattina non si dovrebbe tenere seduta per dare tempo al Comitato. Siccome io ho una responsabilità e lei e l’Assemblea hanno la loro, le si precisi col voto.

Pongo dunque in votazione la proposta dell’onorevole Moro che si sospenda la discussione e che si rimetta al Comitato di redazione il compito di trarre le conseguenze logiche della votazione oggi avvenuta in relazione al testo del progetto.

(Dopo prova e controprova, e votazione per divisione, con la esatta parità dei voti, la proposta Moro non è approvata).

Il seguito della discussione è rinviato alle ore il di domani.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta di risposta urgente:

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri, sugli sviluppi e sui provvedimenti presi a seguito della serrata delle aziende editoriali dei quotidiani italiani, nonché dello sciopero proclamato dai poligrafici a Torino.

«Froggio».

«Al Ministro dei lavori pubblici, per sapere se e quando intenda provvedere alla sistemazione degli acquedotti della Lucania ove, per la scarsa manutenzione e per la inadeguatezza degli impianti, intere popolazioni sono prive di acqua, con grave pregiudizio della salute e dell’igiene.

«Colombo, Zotta».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Risponderò alla prima interrogazione domani nel pomeriggio; quanto alla seconda, ritengo che il Ministro dei lavori pubblici potrà rispondere lunedì prossimo.

Per la nomina di tre membri della Corte costituzionale della Sicilia.

PRESIDENTE. Avverto che l’Assemblea dovrà procedere, nel corso di questa settimana, alla elezione di tre membri della Corte costituzionale per la Sicilia.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se non intenda mantenere ferma la sospensione della esazione delle tasse e delle imposte a favore dei proprietari dei fondi occupati dalle truppe alleate dal maggio 1944 al maggio 1947, e che dovranno essere nuovamente dissodati per poter venire coltivati, fino a che non verranno concordate e liquidate le indennità di requisizione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Persico».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per conoscere se sia esatto che lo Stato Maggiore dell’Esercito e tutti indistintamente i comandanti militari territoriali si siano espressi favorevolmente per il mantenimento delle direzioni di amministrazione in atto funzionanti e per la non più ricostituzione dei soppressi uffici amministrativi e ciò, oltre che per ragioni tecniche e di snellimento del servizio, anche per ragioni di economia; e per conoscere, altresì, se non sia conseguentemente opportuno dar corso senza ulteriore indugio al provvedimento legislativo già predisposto fin dal 1943, al fine di rendere sotto ogni rapporto legale la costituzione delle direzioni di amministrazione. E ciò tenuto conto:

1°) che con circolare n. 139900/121/4/1 – Gab. – in data 29 giugno 1943 del Ministero della guerra, furono istituite le direzioni di amministrazione allo scopo di riunire in un unico ente direttivo le funzioni disimpegnate dagli uffici amministrativi territoriali di cui al regio decreto-legge 28 settembre 1934, n. 1635 (già rette da funzionari civili dell’Amministrazione centrale) e dagli uffici contabilità e revisione dei comandi difesa territoriale. La materia di competenza dei soppressi uffici amministrativi territoriali passi quindi alle direzioni di amministrazione e più precisamente alla sezione giuridico-amministrativa;

2°) che tale provvedimento venne disposto per rendere più armonico e consono alle effettive esigenze del servizio il funzionamento dell’Amministrazione presso gli enti periferici, comandi di grandi unità nel territorio e per adattare la struttura organico-amministrativa degli enti territoriali a quella degli enti mobilitati, poiché le direzioni di amministrazione previste con gli ordinamenti di guerra già funzionavano fin dal giugno 1940 presso tutte le grandi unità mobilitate con ottimi risultati;

3°) che venne in tal modo uniformato il funzionamento del servizio amministrativo di guerra a quello di pace, non potendo logicamente esistere diversità di formazione tra l’uno e l’altro;

4°) che cumulando in un unico organo direttivo tutte le funzioni amministrative già devolute ai soppressi uffici amministrativi, a quelli di contabilità e revisione, affidandole tutte ad ufficiali dello specifico servizio, perfettamente competenti in materia sia per la lunga carriera percorsa nel ramo amministrativo, che per la perfetta conoscenza delle esigenze dei corpi nei quali vissero a lungo si è creato uno stato di fatto consono ai più elementari principî di buona e saggia amministrazione, attuando in pieno un completo controllo preventivo, concomitante e successivo;

5°) che era stato disposto il relativo provvedimento legislativo per le conseguenti varianti da apportarsi al sopracitato regio decreto-legge 28 settembre 1943, n. 1635, al fine di sancire con regolare disposizione la fusione dei due uffici molto opportunamente disposta con la sopradetta circolare n. 139900 che istituì le direzioni di amministrazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Valenti».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri della pubblica istruzione e del tesoro, per sapere perché abbiano escluso dai concorsi alla presidenza degli Istituti di istruzione classica, di istruzione tecnica, di scuole medie e di scuole di avviamento, testé banditi, gli insegnanti medi titolari e ordinari, forniti di diplomi d’Istituto superiore di magistero conseguiti attraverso un corso quadriennale di studi, con esami orali e scritti pari a quelli sostenuti nelle Università.

«Tale esclusione risulta ingiusta, se si constata che i diplomati degli Istituti superiori di magistero sono ammessi a tutti i concorsi di insegnamento, a cui partecipano i laureati, e percorrono la stessa carriera scolastica degli insegnanti forniti di laurea. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Lozza».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri della pubblica istruzione e del tesoro, per sapere per quale ragione alla maggioranza degli insegnanti di scuole elementari e medie estromessi dal fascismo per motivi politici o razziali, e riassunti dopo la liberazione, non sia ancora stata ricostruita la carriera ed essi siano ancora pagati con nota a parte e con lo stipendio iniziale.

«L’interrogante si permette di riferirsi ad alcuni, fra i molti, casi specifici; quelli di Angelo Sorgoni (insegnante elementare di Ancona), Lia Corinaldi, Giorgina Levi in Arian, Giuliana Fiorentino in Tedeschi, Lina Momigliano, Tina Pizardo in Rieser, insegnanti di Istituti di istruzione media. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Lozza».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere le ragioni per cui il Consorzio agrario di Alessandria maggiora i prezzi dei concimi assegnati ai comuni per la distribuzione agli agricoltori.

«Mentre il Comitato interministeriale dei prezzi ha fissato per il solfato ammonico il prezzo di lire 3300 il quintale, il Consorzio agrario di Alessandria lo vende con una maggiorazione di lire 1360 il quintale, e cioè a lire 4660 il quintale.

«Nella stessa proporzione sono pure maggiorati i prezzi degli altri concimi (perfosfati, nitrati, ecc.).

«Le maggiorazioni denunciate sono così forti da sollevare le giuste proteste degli agricoltori alessandrini. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Lozza».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno trasmesse ai Ministri competenti per la risposta scritta.

La seduta termina alle 20.15.

Ordine del giorno per le sedute di domani

Alle ore 11 e alle ore 16:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.