Come nasce la Costituzione

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POMERIDIANA DI SABATO 4 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCXLVI.

SEDUTA POMERIDIANA DI SABATO 4 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEL, VICEPRESIDENTE BOSCO LUCARELLI

INDICE

Sul processo verbale:

Sereni

Congedi:

Presidente

Mozioni (Seguito della discussione):

Sforza, Ministro degli affari esteri

Nenni

Togliatti

Saragat

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri

Presidente

Lucifero

Giannini

Bozzi

Bellavista

Tosato

Dugoni

Dossetti

Cortese

Fabbri

Crispo

La Rocca

Lussu

Lombardi Riccardo

Macrelli

D’Aragona

Dominedò

Chiostergi

Nitti

Caroleo

Mazzoni

Votazione nominale:

Presidente

Risultato della votazione nominale:

Presidente

Sugli ordini del giorno:

Quintieri Quinto

Micheli

Magrini

Crispo

Macrelli

Domenidò

Scoccimarro

Laconi

Sardiello

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri

Chiostergi

Interrogazioni e interpellanza (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

Sul processo verbale.

SERENI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SERENI. Nella seduta pomeridiana di ieri ebbe seguito un incidente sollevato nella seduta del mattino, a proposito di un brano del mio discorso, da parte dell’ingegnere Corbellini. Mentre parlava l’onorevole Pajetta, che ebbe a fare il nome dell’ingegner Corbellini, questi ribadì quanto aveva detto nella seduta della mattina. Io avevo parlato a proposito della composizione del nuovo Governo, del significato di questa composizione; avevo fatto un accenno al passato dell’ingegner Corbellini, al passato politico, senza fare nessun particolare apprezzamento personale, ma traendone motivo per dare una valutazione della composizione del Governo. Alle mie parole, ed a quelle pronunciate nello stesso senso dal collega Pajetta nel pomeriggio, l’ingegnere Corbellini disse che avrebbe querelato chi vi parla. Io credo che l’ingegner Corbellini, che non è un parlamentare, ignori il fatto che un parlamentare non può essere querelato (Commenti al centro). Tuttavia la redazione de Il Popolo, un giornale che appartiene al Capo del Governo, ha pubblicato un articolo stamani nel quale si dice che l’ingegner Corbellini minaccia di querelare il comunista Sereni.

Ora, io potrei avvalermi con tranquillità della mia facoltà di deputato per ridere di questa querela, ma non intendo affatto avvalermene, e preferisco leggere un documento, di cui depositerò alla Presidenza un esemplare, che così dice:

«Ministero delle comunicazioni. Ferrovie dello Stato. Direzione servizi materiali e trazione. Firenze 25 luglio 1940 anno XVIII. n. 52118650135.

«Al Servizio personale affari generali.

«Si trasmette, per le opportune registrazioni a matricola generale, il brevetto di concessione dellà croce per anzianità di servizio nella milizia volontaria per la sicurezza nazionale, concesso all’ispettore Capo superiore (163376) Corbellini, ingegnere, professore, commendatore Guido.

«Si resta in attesa di ricevere, ecc., ecc.».

Io voglio fare ammenda che non conoscevo questa anzianità. Io non avevo parlato di anzianità. (Interruzioni al centro). Nessuna mia intenzione personale nei confronti dell’ingegnere Corbellini. Abbiamo affermato nella seduta di ieri e riaffermiamo oggi che non abbiamo nessuna intenzione di escludere dalla vita nazionale quelli che hanno avuto un passato fascista. Ho voluto citare questo documento soltanto per dimostrare questo: che mentre in quel momento avevo fatto tutte le riserve perché non conoscevo questo documento particolare, non merito la taccia di calunniatore e che invece il Governo merita la taccia di bugiardo nei confronti della sua maggioranza, che in buona fede ignorava questo fatto. (Applausi a sinistra – Proteste al centro – Commenti).

PRESIDENTE. Se non vi sono altre osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Hanno chiesto congedo gli onorevoli Porzio, De Vita e Martino Enrico.

(Sono concessi).

Seguito della discussione di mozioni.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione di mozioni.

Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro degli affari esteri.

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Onorevoli colleghi, anche senza la mozione degli onorevoli Nenni e Togliatti, io avrei cercato la prima occasione possibile per riferire all’Assemblea Nazionale sull’azione del Governo circa la conferenza di Parigi e sulla nostra azione circa l’ammissione dell’Italia all’O.N.U.

Ho sempre creduto che il Governo non può che trarre forza dal comunicare le proprie direttive di politica estera all’Assemblea e trarne ammaestramenti e, se può, appoggi. Ma ciò farò in modo brevissimo, perché in certi casi la brevità è la chiave della chiarezza; aggiungerò poi altri elementi i quali risponderanno direttamente o indirettamente ad alcune delle osservazioni che i colleghi hanno fatto durante la discussione sulla politica estera. Essi mi scuseranno se non rispondo loro partitamente per rispetto al tempo ed all’ora. Fissando bene come nacque la Conferenza di Parigi avrò fornito una risposta agli oratori che criticarono come troppo rapida la immediata accettazione dell’invito che fu rivolto all’Italia. Ecco la veridica storia: negli ultimi giorni del giugno scorso i Governi britannico e francese si fecero promotori della immediata convocazione di una Conferenza a tre a Parigi per discutere il problema europeo. A me non piacque questa iniziativa, che correva il rischio di fare diventare politico un convegno che, con la partecipazione di tutti gli Stati europei, doveva essere esclusivamente economico. Non mi piacque perché, con la esclusione anche solo iniziale dei piccoli Paesi e di Paesi come l’Italia che erano stati considerati ex-nemici, esso minacciava di perpetuare una distinzione divenuta anacronistica e che sarebbe stata dannosa alla pace e alla rinascita europea. E tosto formulai queste mie riserve e questi miei sentimenti.

L’Unione Sovietica, dichiarandosi paladina degli interessi delle piccole Nazioni, accentuò il significato politico che la Conferenza avrebbe avuto e ne deprecò il successo.

Ma fu allora che gli anglo-francesi, correggendo l’errore iniziale, affermarono l’esclusivo aspetto economico della riunione e la allargarono, invitando tutti gli Stati di Europa e naturalmente anche la Russia. Dovevamo noi attendere un solo momento per deciderci, proprio quando gli iniziatori della Conferenza davano ragione al nostro punto di vista, cambiando il loro? La nostra rapidità nel decidere era in ragione del nostro interesse e della nostra decisa volontà di agire con tutte le nostre forze a favore della rinascita europea. Non potevamo esitare, coscienti come eravamo del dovere di tutti di superare qualsiasi egoismo per salvare la vita economica dell’Europa, cioè la vita stessa di ognuno di noi.

Come vi riferii nei precedenti discorsi del luglio scorso, stimai subito inammissibile che l’Italia partecipasse senza parità assoluta di condizioni, e lo dichiarai. I governi promotori risposero, invece, che il nostro ritardo a ratificare il Trattato di pace avrebbe impedito una nostra piena partecipazione con diritti uguali agli Stati promotori. Finii, tuttavia, per far comprendere loro che una conferenza economica senza l’Italia era un non senso. L’assicurazione di assoluta parità ci fu quindi data, mentre noi, a nostra volta, dichiarammo che avremmo fatto quanto era in nostro potere perché il Trattato fosse portato all’Assemblea.

Ma il 5 luglio l’Ambasciata sovietica ci significò che il suo Governo non avrebbe aderito alla conferenza. Nella sua nota il Governo di Mosca dichiarava «di avere avuto fin dal principio poca fiducia verso questa iniziativa, sia perché inglesi e francesi si erano messi d’accordo circa le condizioni delle discussioni con gli Stati Uniti dietro le spalle della Russia, sia anche perché nelle dichiarazioni stesse di Marshall non erano state fissate le condizioni e le dimensioni del credito, né la realtà stessa del credito».

Dopo aver ripetuto a due riprese con nuove parole, ma senza un’ombra di prova, questo sospetto, la nota sovietica concludeva dicendo cosa si sarebbe dovuto fare secondo il Governo di Mosca:

«Anzitutto bisognava chiarire la realtà del credito, le sue condizioni e dimensioni, quindi chiedere ai Paesi europei quali sono i loro bisogni di credito e infine compilare un programma sintetico delle loro dichiarazioni, le quali dovrebbero, in quanto possibile, essere soddisfatte in conto dei crediti da parte degli Stati Uniti. Con simile procedere i Paesi europei rimarrebbero padroni della loro economia e potrebbero disporre liberamente delle proprie risorse e delle proprie abbondanze».

Voi vedete quali «risorse e abbondanze» noi avevamo! La nota così concludeva:

«Data una così seria divergenza tra la posizione anglo-francese e la posizione sovietica l’accordo è risultato impossibile».

Noi non abbiamo il menomo diritto di dubitare dell’assoluta sincerità della dichiarazione sovietica, ma essa costituiva un processo ad intenzioni, senza addurre il menomo indizio circa le pretese mire americane. Col sistema dei sospetti sarebbe stato facile ritorcere gli argomenti della nota sovietica. Ma tali esercizi polemici sono pericolosi perché inaspriscono l’atmosfera.

L’andamento della conferenza dovette mostrare a Mosca quanto le cose fossero più semplici, chiare e niente affatto combinate in anticipo; e certo le mostrò quanto liberamente le tesi più diverse poterono agevolmente comporsi.

Fummo molto dolenti che l’Unione Sovietica e gli Stati ad essa vicini non venissero a Parigi; né mai omisi occasione di dichiararlo sia a Mosca che altrove: L’Italia continuò ad auspicare un progressivo allargamento della conferenza e a volere tutte le porte aperte, anche a conferenza finita, verso tutti gli Stati orientali che avessero in seguito voluto aderire all’organizzazione di cui si fossero fissate le basi a Parigi. Molte testimonianze possono darsi in proposito. Ho qui sott’occhio sette od otto mie documentate dichiarazioni che provano come, ogni volta che potei, alla Conferenza di Parigi o altrove, ho insistito perché la porta restasse aperta verso l’Unione Sovietica e gli Stati ad essa alleati e ho affermato la volontà del Governo italiano di mantenere viva la fiducia, la speranza che tutti gli Stati d’Europa aderiscano un giorno ad una organizzazione in cui l’America – è ormai provato – non ha che delle perdite da subire e nessun guadagno e nessuna cupidigia da soddisfare.

Citerò, per esempio, il mio discorso di apertura alla Conferenza di Parigi in cui dissi: «Noi siamo alla vigilia di una trasformazione del vecchio mondo; noi lo faremo con la coscienza che la nostra ricostruzione conservi tutte le porte aperte verso la collaborazione fiduciosa dell’Europa orientale. Dobbiamo tentare di tutto per ricondurre al nostro fianco tutti i Paesi assenti» e così feci il 10 luglio alla Delegazione di Parigi.

Ancora.

Tornato a Roma, in una riunione di Ministri tecnici indetta per concordare ulteriori precisazioni da inviare alla delegazione rimasta a Parigi, stabilii coi colleghi che si significasse quanto segue agli onorevoli Campilli e Tremelloni:

«Si afferma l’interesse economico dell’Italia acché l’area dei Paesi del piano Marshall rimanga aperta nei confronti dell’oriente europeo e che si compia ogni sforzo per favorire la tendenza in atto da parte di alcuni dei Paesi del blocco orientale ad intensificare i rapporti commerciali con i Paesi dell’occidente. In ogni caso l’Italia non dovrebbe rinunziare, ma anzi sviluppare i traffici già avviati con la Polonia, la Cecoslovacchia, la Jugoslavia e gli altri Paesi della Penisola balcanica».

Potrei qui leggervi molti altri testi analoghi. Ma non lo farò per brevità.

Si può aggiungere che la Conferenza di Parigi ha affidato l’esame di talune questioni tecniche, la cui discussione si era iniziata sul piano della Conferenza stessa, alle Sottocommissioni competenti della Commissione economica europea di cui come è noto, fanno parte l’Unione sovietica, la Polonia, la Jugoslavia ed altri Paesi dell’Europa Orientale. L’Italia aderì a tale decisione, non senza sacrifizio, in quanto, non per nostra colpa, non facendo ancora parte dell’O.N.U., non potremo partecipare ai lavori delle Commissioni predette su un piede di parità assoluta. Tuttavia noi abbiamo ritenuto opportuno che di un organismo internazionale già esistente, e del quale fanno parte Paesi non aderenti piano Marshall, venisse fatto uso nel quadro del piano predetto, come prova tangibile del desiderio nostro di vedere tutti i Paesi europei unirsi un giorno per la rinascita del nostre continente.

Circa la nostra mancata ammissione all’O.N.U., voglio dire quanto mi parve doloroso che in Russia si siano ignorati quegli elementi morali e imponderabili per cui è inconcepibile – come ebbe a dire Bevin in un telegramma a me diretto – che esista un organismo internazionale senza la presenza dell’Italia. Ma v’è un altro lato della questione, il quale forse è sfuggito ai dirigenti sovietici; ed è che il preambolo del Trattato di pace, liberamente firmato dalla Russia, dichiara che l’entrata in vigore del Trattato stesso sarebbe stato un elemento notevolissimo in favore della nostra ammissione all’O.N.U.

Se analoghe dichiarazioni sono contenute nei preamboli di altri trattati di pace ciò non mi pare dovrebbe avere rilievo nei confronti del nostro buon diritto.

Oltre a ciò, nell’accordo di Potsdam, che spesso viene citato a torto, al capoverso in cui si parla dei Trattati di pace in preparazione, l’Italia viene completamente distinta dagli altri Stati ex nemici. L’accordo dice: «L’Italia è stata la prima potenza dell’Asse a staccarsi dalla Germania alla cui disfatta essa ha apportato un materiale contributo. L’Italia si è liberata dal regime fascista e sta compiendo buoni progressi verso il ristabilimento di una forma istituzionale democratica».

«La conclusione di un Trattato di pace con un Governo italiano riconosciuto come democratico renderà possibile ai tre Governi di appoggiare una domanda di ammissione dell’Italia alle Nazioni Unite». Di fronte all’O.N.U. e al problema della nostra ammissione, ben sapendo io – nonostante l’evidenza degli impegni presi a Potsdam a nostro favore – che dovevamo contare anche sulla Russia, feci il possibile per tener conto dei suoi punti di vista. Eccovi a prova – e potrei citarvene molte altre – le istruzioni che inviai il 7 settembre all’Ambasciata d’Italia a Parigi: «L’ammissione dell’Italia all’O.N.U. – cito – non può essere discussa se non insieme alle ammissioni di altri Stati. Invece di cercare l’appoggio di ognuna delle grandi Potenze, occorre adoperarsi per ottenere una loro azione comune sul problema degli ex nemici. Dopo tutto – continuava il mio telegramma di istruzioni – qualora tali Stati o anche taluni di essi potessero intervenire nelle discussioni internazionali, ciò gioverebbe alla lunga all’universalità che deve rimanere principio e finalità dell’organizzazione delle Nazioni Unite».

Voi vedete, dunque, con quale indipendenza di spirito e con quale riguardo ai differenti e più opposti punti di vista noi agimmo e agiamo.

Non parlerò più oltre dell’O.N.U.; ma se ci trovassimo sulla difensiva – il che non è – potrei anche aggiungere che noi facemmo domanda di entrare nell’O.N.U. dopo aver ottenuto l’approvazione e l’assenso della Commissione per i trattati.

Ma qui vorrei fare un’osservazione: potremmo noi differire, bensì, com’è naturale che accada in una libera Assemblea, sui punti, sui principî più varî della nostra politica generale e anche della nostra politica estera, ma dobbiamo mostrarci uniti in un punto che ha solamente questo senso: noi abbiamo diritto di essere nell’O.N.U., perché – come diceva Bevin nel telegramma a me diretto – è inconcepibile un grande organismo internazionale, nel quale l’Italia non sieda pari fra pari in mezzo a tutti gli altri Stati. Se noi mostrassimo costantemente, senza scherni e senza dubbi, che il nostro diritto ad entrare all’O.N.U. è sentito da tutto il popolo italiano, la nostra posizione sarebbe assai più forte; benché, come ho detto, debole non è.

Perché questo è il punto: o l’O.N.U. esisterà, l’O.N.U. diventerà attiva – ed è impossibile concepire che ciò sia senza un popolo del valore morale, intellettuale e demografico dell’Italia; o, se l’O.N.U. perirà, come perì la Società delle Nazioni, una delle ragioni per le quali perirà è che l’Italia non c’è entrata. (Applausi al centro).

Del resto, se oggi l’ammissione dell’Italia alla Organizzazione delle Nazioni Unite è ancora in discussione, ciò non avviene perché si dubiti della nostra volontà di pace e capacità di adempiere agli obblighi incombenti sugli Stati membri, bensì perché – all’infuori di noi e dei nostri desideri – il caso italiano è venuto a trovarsi legato a quello di altri Stati sulla cui ammissibilità esistono in seno al Consiglio di sicurezza dei pareri discordi. È un problema che l’Italia non ha creato e per la soluzione del quale essa non ha purtroppo – nonostante la sua migliore buona volontà – veste per un’azione determinante.

Quello che non perirà, in ogni modo, è il costante sentimento dei popoli, più maturo di certi Governi, verso l’ideale di un’Unione europea. È per questo che io sono lieto dell’eco di profonda simpatia che la proposta da me formulata il 15 luglio a Parigi per un’unione doganale italo-francese ha avuto in Francia. Bisogna che sappiate, a proposito del progetto dell’Unione doganale italo-francese, che, per ciò che ci concerne, noi Governo italiano sempre abbiamo detto: vogliamo un’unione doganale italo-francese, perché essa darà nuovo respiro e nuove forze ai due popoli di fronte alle eventualità dell’avvenire, ma anche perché la consideriamo come una base e una porta aperta a qualunque futura adesione, possa questa venite sia dal Nord che dall’Est.

Non vi avrei detto completamente il mio pensiero, se non facessi cenno delle ragioni per le quali il Governo ed io personalmente siamo perfettamente e profondamente convinti che ogni voce, anche se sincera, che viene lanciata ogni tanto, di tentativi degli Stati Uniti di influire indebitamente sui governi europei, è priva assolutamente di ogni consistenza.

Noi possiamo essere profondamente ottimisti, malgrado incidenti penosi che possono avvenire, circa il futuro della pace europea, perché una cosa – a mio avviso – è certa: che la Russia non farà mai la guerra e che gli Stati Uniti non faranno mai la guerra. La Russia non farà mai la guerra perché è convinta (ed ha ragione) che in un lontano avvenire il suo sviluppo interiore sarà molto più importante di una vittoria militare qualunque; e gli Stati Uniti non faranno mai la guerra perché chi li conosce sa benissimo che vi è un articolo non scritto nella Costituzione americana ed è che l’America non fa mai la guerra se non è invasa.

Roosevelt, che voleva la guerra perché temeva il dilagare del dominio nazista, sarebbe stato incapace di indurre il suo Paese ad entrare nella fornace ardente se i giapponesi non avessero commesso la follia di andare a bombardare la flotta americana in un’isola americana.

PAJETTA GIAN CARLO. E la guerra di Cuba?

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Onorevole Pajetta, la guerra di Cuba è stata fatta dagli americani come la guerra del Transvaal è stata fatta dagli inglesi e come purtroppo la guerra dell’Abissinia è stata fatta da italiani; ma gli anni passano e i popoli imparano, e vi è fra il periodo della guerra di Cuba ed ora una distanza di secoli; per chi conosce l’America è noto che tutti gli americani considerano oggi gli atti di violenza compiuti da vecchi presidenti repubblicani, cioè conservatori, nell’America centrale, come una macchia sullo stemma degli Stati Uniti; gli americani, in fondo ancor oggi puritani, idealisti e alcun poco isolazionisti, non si immischiano delle cose europee che per un senso di dovere, senza nessun piacere; e – lo sanno bene – senza nessun loro guadagno.

Tutti coloro che ben conoscono l’America sanno quanto fu profondamente veridico il presidente Truman quando, ricevendo il presidente De Gasperi, gli rivolse questo discorsetto che non è stato abbastanza rilevato in Italia: «Vi vogliamo aiutare per la vivissima simpatia che abbiamo per il popolo italiano, di cui esiste qui una così forte e leale comunità. Non vogliamo nulla dall’Italia, che deve fare la sua strada per suo conto e riconquistare il suo posto a cui ha diritta nel mondo. Se un uomo può esprimere i sentimenti di un popolo intero, io vi dico che l’America ha rispetto ed amicizia per l’Italia e farà tutto quel che potrà fare in suo favore».

E poiché le parole sono parole e i fatti sono fatti, credo di non essere indiscreto se vi cito una decisione ufficiale che a noi non consta ancora in modo diretto, ma che so che il Governo americano ha preso. Io non sono forse autorizzato a dire ciò. E se il Governo americano (io non ne so niente) ha ritardato questa comunicazione per non aver l’aria di mescolarsi nei nostri dibattiti politici, io dico che il nostro rispetto per il Governo americano deve aumentare.

In ogni modo, ecco che cosa posso trarre da due telegrammi ricevuti giorni fa dalla nostra ambasciata a Washington: il Presidente Truman ed il Segretario di Stato Marshall hanno deciso finalmente di rinunciare alla quota che spettava all’America del nostro naviglio da guerra e lasciarlo completamente nelle nostre mani per i nostri usi. (Vivissimi, generali, prolungati applausi – Il Presidente, i componenti del Governo, i deputati si levano in piedi).

Il Dipartimento di Stato conta far presente ad altrui che sarà felice se la decisione del Governo americano servirà di esempio ad altri Paesi. (Applausi).

Badate, non crediate che questa è solo una decisione di Governo. Il Governo americano è così fatto che né il Presidente, né il Congresso, né i governanti sono capaci di fare alcunché che abbia una importanza siffatta, se non hanno dietro di loro l’opinione pubblica.

Una voce all’estrema sinistra. Anche la limitazione sulla legge degli scioperi? (Commenti al centro).

Una voce al centro. Proprio come in Russia! (Commenti a sinistra).

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Io non so quando il Governo americano ci farà una comunicazione ufficiale a questo riguardo. Sarà prestissimo, suppongo, ma vi voglio dire fin d’ora che risponderò che noi italiani siamo grati al Governo americano ed alle associazioni religiose, laiche, filantropiche americane che durante gli anni terribili dell’armistizio riuscirono a salvare dalla tubercolosi i nostri bambini e a far vivere noi stessi, ma che la nostra gratitudine per gli aiuti materiali sarà nulla in confronto di quanto sentiremo per questo gesto morale di cui noi apprezziamo tutta l’importanza; infatti il popolo italiano come tutti i popoli che hanno una storia gloriosa, ma piena di sofferenze, apprezza la giustizia più di tutto, l’apprezza perfino – non so se oso dire troppo – più della libertà, più della democrazia; ed in questo atto del Governo americano gli italiani vedranno la prova che giustizia all’Italia è stata resa. In fondo, si poteva benissimo non darci del pane, ma si doveva render giustizia alla Marina italiana che, dopo il fatale 8 settembre, ha fatto miracoli di coraggio, di abnegazione morale al lato degli alleati; aveva ragione il popolo italiano, sentendo che era una ferita al nostro sentimento di giustizia, il colpirci ingiustamente in quella Marina da guerra che spontaneamente, eroicamente, stoicamente ha servito la causa non solo nostra, ma anche degli Stati Uniti e dell’Inghilterra. (L’Assemblea, in piedi, grida: «Viva la Marina!» – Vivissimi, prolungati applausi).

Devo aggiungere, poiché noi italiani siamo felici di vedere ogni spiraglio di luce e di comprensione da tutte le parti, che da Mosca mi è giunta una proposta di cui sono lieto. Eccone le origini. Nel mio discorso del 24 luglio scorso dissi: «Il terzo pilastro della costruzione sarà, oltre la politica migratoria con l’America latina, anche una vasta politica culturale, commerciale, con la stessa America latina da una parte e con l’Europa orientale dall’altra, non perdendo occasioni per migliorare le nostre relazioni con quei mondi dall’avvenire per noi tanto importante, dalla vicina Jugoslavia, fino all’Unione Sovietica, passando per tutti i popoli Balcanici». Due o tre giorni dopo ebbi una conversazione con l’Ambasciatore sovietico che mi domandò che cosa quelle frasi significavano. Risposi: «Sono un uomo semplice e ciò che ho detto significa solo ciò che ho detto. Se noi possiamo stabilire dei buoni rapporti economici con voi ne saremo felici». L’altro giorno il signor Kostylev, riferendosi al mio discorso o alla mia dichiarazione, mi domandò se non credevo che fosse venuto il tempo di mandare una missione commerciale in Russia per vedere di stabilire dei rapporti economici con quel Paese. Il Governo italiano ha messo subito allo studio la questione, e non mancherà di fare quanto è in noi perché i rapporti fra i due Paesi vengano progressivamente migliorati nell’interesse comune e nell’interesse della pace. (Applausi al centro).

Il nostro pensiero in politica estera è questo: sicuri del nostro avvenire, come Mazzini fu sicuro un secolo fa dell’unità, noi dobbiamo guardare avanti e veder lontano. È per questo, lo ripeto, che sono lieto dell’adesione dell’onorevole Giannini al concetto dell’Unione Europea. È per questo che sono convinto che noi dobbiamo inventare un nuovo sacro egoismo; ma questo nuovo sacro egoismo deve essere: identificare l’essenza più profonda dei nostri interessi italiani con gli interessi dell’umanità, del progresso sociale e dell’Europa. (Applausi al centro).

Così, noi agiremo per i gruppi italiani rimasti in Africa, per i nostri interessi in Africa; li difenderemo perché sono italiani e perché sono carne della nostra carne; ma anche perché mostreremo e faremo sentire al mondo che la presenza degli italiani in terre africane, che prima di noi erano deserti, costituisce un beneficio comune per l’Europa. Non v’è dubbio infatti; quei luoghi ridiventerebbero dei deserti se gli italiani ne partissero.

Quindi è interesse dell’Europa e della civiltà occidentale che essi rimangano dove essi con il loro sangue e con il loro sudore fruttificarono i terreni dell’Africa. (Approvazioni al centro e a destra).

Questo dirò a Londra, quando prossimamente – oramai la data della mia visita è definitivamente fissata tanto da parte di Bevin quanto da parte mia – mi recherò a Londra, se la vostra fiducia ci è conservata, tra il 25 e il 30 di ottobre. Là parlerò degli interessi dell’Italia, ma parlerò degli interessi dell’Italia in relazione a quelli che sono anche gli interessi supremi della Gran Bretagna, perché nella situazione attuale del mondo non vi è salvezza per gli uni se non vi è salvezza per gli altri. Voi riconoscerete che in questa mia breve comunicazione io sono stato del tutto obiettivo senza parlare un sol momento del Ministro degli esteri, che, come uomo, poco conta in questi problemi. Ma in quanto gli uomini possono contare, poiché sono essi che rappresentano o spiegano una politica, vorrei dire ad uno degli oratori della passata discussione (oratore che, per altro, ebbe frasi gentili verso di me e di ciò lo ringrazio) che quando egli dichiarò che noi non dobbiamo avere un complesso di inferiorità, io sono bensì d’accordo con lui, ma alla condizione che il complesso di inferiorità non sia escluso attraverso il facile trucco di parole bombastiche, esagerate, retoriche. Non è con la sciatteria di vacui discorsi roboanti che si può acquistar la stima e il rispetto dei Paesi stranieri: anzi, più noi ci mostreremo modestamente sicuri della nostra coscienza e sicuri del nostro avvenire, ma diremo questo con parole piane, senza vantarci delle quattro nostre civiltà passate, senza rinnovare quelle atmosfere dannunziane che, a torto o a ragione, sono sì mal sentite dai popoli esteri, e più noi daremo l’impressione di sentirci uguali tra uguali senza costantemente montare sui trampoli della letteratura per accentuare una superiorità che può essere solo garantita dalla nostra serenità e compostezza. È con tali pensieri e tali sentimenti che io, finché resterò a questo posto, agirò al servizio della causa italiana. Così parlerò presto a Londra; così parlerò dovunque e credo che questo linguaggio, o colleghi, è il solo corretto, onesto, efficace per servire l’Italia. (Vivi applausi al centro e a destra – Congratulazioni).

PRESIDENTE. Darò ora la parola ai presentatori delle mozioni nell’ordine in cui essi le hanno svolte.

L’onorevole Nenni ha facoltà di parlare.

NENNI. Onorevoli colleghi, signori del Governo. Se dicessi che la discussione mi ha posto in condizioni di dire una parola conclusiva sui problemi che ho avuto l’onore di sottoporre all’Assemblea e al Governo, direi certamente cosa inesatta.

Gli arcani del Regolamento sono stati invocati per rovesciare quello che mi pareva dovesse essere l’ordine logico della discussione, per far parlare cioè i presentatori delle mozioni di sfiducia prima che il Presidente del Consiglio abbia loro risposto.

Posso io considerare di avere avuto dai Ministri, che hanno successivamente preso la parola nel corso della discussione, una risposta adeguata? Credo che l’Assemblea riconoscerà che questa risposta non c’è stata.

Come potrei, per esempio, considerare esauriente la risposta del Ministro Merzagora, il quale, avendo escluso che esistesse uno scandalo dei conti valutari, ha però richiamato l’attenzione dell’Assemblea sullo scandalo delle evasioni delle valute, il quale, nello spirito mio, è la conseguenza dello scandalo dei conti valutari, e che, in ogni modo, di per se stesso, è infinitamente più grave dello scandalo da me denunciato?

Posso considerare soddisfacente la risposta del Ministro Togni alle critiche mosse alla mancanza di un piano di priorità nell’industria ed allo stato indisciplinato, vorrei dire anarchico, della produzione industriale?

Debbo manifestare la medesima insoddisfazione, per il discorso che ha pronunciato questa mattina il Ministro Einaudi, discorso che noi attendevamo con una certa impazienza, che il Paese attendeva con una impazienza maggiore, in quanto desiderava di veder chiaro nelle intenzioni del Governo, e che ci ha delusi.

Il collega Morandi aveva posto al Ministro Einaudi due problemi per noi fondamentali. Aveva chiesto al Ministro Einaudi se egli si assumeva la responsabilità della politica valutaria e della politica dei prezzi seguita dal Gabinetto da lui definito la «Centrale dell’inflazione». Non credo che il Ministro Einaudi abbia dato, non dico, una risposta sodisfacente, ma neanche una risposta approssimativa. Egli ha parlato delle restrizioni del credito con una lontananza che mi ha sorpreso, come se attorno a questo problema non si fosse determinato un vero stato di tormentosa attesa nel Paese, come se esso non fosse fondamentale per il destino di vasti settori della industria e degli operai che ne dipendono.

Noi non possiamo quindi considerare come sodisfacenti le risposte dei Ministri che finora hanno parlato, ed io voglio sperare che il Presidente del Consiglio sarà meno generico e più aderente alla concretezza dei problemi da noi sollevati.

Devo dire che anche il Ministro degli esteri ci ha deluso.

Non so se debbo attribuire alle imperfezioni della acustica di questa sala il non aver trovato nelle sue parole una spiegazione di quella che vorrei chiamare la nostra avventura dell’O.N.U.

Onorevoli colleghi, quando ci è stato chiesto un voto che lacerava la coscienza nazionale, che, come italiani, ci poneva di fronte a uno dei problemi più angosciosi, quando ci è stato chiesto di ratificare anticipatamente il Trattato di pace, cosa ha detto il Governo? Ha detto due cose: che dovevamo subire la ratifica anticipata per poter andare a Parigi alla Conferenza che stava elaborando la piattaforma dell’Europa sul cosiddetto piano Marshall. Codesta affermazione del Governo fu smentita nel corso stesso della discussione, che concludemmo col Ministro degli esteri il quale tornava dalla Conferenza di Parigi.

Si pretese allora che la ratifica anticipata condizionasse il nostro ingresso all’O.N.U., ed ecco il Governo si ripresenta all’Assemblea dopo di aver inflitto all’Italia l’umiliazione inutile di farci respingere dall’O.N.U. (Proteste a destra e al centro).

Una voce al centro. È stata la Russia…

NENNI. Onorevoli colleghi è stata la conseguenza della unilateralità della nostra politica estera. (Proteste al centro e a destra).

È evidente (e noi lo dicemmo nella misura in cui ciò si poteva dire senza incorrere nel sospetto che noi offrissimo argomenti a chi avesse voluto escluderci dall’O.N.U.), è evidente che tanto più appariremo legati sul piano della politica estera all’uno dei blocchi mondiali, tanto più ci condanneremo a subire l’ostilità dell’altro. Giacché, ci piaccia o non ci piaccia – ed io non sto a dire se sono fra coloro cui piace o non piace, ciò essendo senza importanza – a determinare la politica europea e mondiale, non c’è soltanto un blocco di potenze, ma ce ne sono due, dei cui conflitti noi faremo sempre le spese tutte le volte che prenderemo una posizione unilaterale o partigiana.

Mi consenta poi il Ministro degli esteri di esprimere la mia meraviglia per avere egli sorpreso il sentimento dell’Assemblea con l’annunzio che gli Stati Uniti sono disposti a non far valere i diritti che a loro conferisce il Trattato di pace su una parte delle nostre navi. Tale promessa degli Stati Uniti risale a parecchi mesi or sono, e fu fatta contemporaneamente dagli Stati Uniti e dall’Inghilterra.

Una voce a destra. E la Russia?

NENNI. Non ha quindi rapporto con la anticipata ratifica del Trattato, ma risale all’epoca in cui si discusse a Parigi la sorte della nostra Marina da guerra.

È un gesto, questo, di cui dobbiamo prendere atto con soddisfazione come di un parziale riconoscimento dell’ingiustizia usata nei nostri confronti.

Onorevoli colleghi, venendo ora ai problemi di ordine generale ai quali si collega la mia mozione di sfiducia, non ho, per orientarmi sulle intenzioni del Governo, che il discorso dell’onorevole Piccioni, elemento necessario di questo dibattito, in quanto che se le nostre critiche erano dirette al Governo, il nostro appello per creare una situazione nuova era diretto alla Democrazia cristiana.

Ma prima di affrontare il tema centrale, mi consenta l’Assemblea di rispondere ad un quesito che l’onorevole Piccioni ha posto a me e – al di là dalla mia persona – ha posto al Partito socialista italiano. L’onorevole Piccioni, si è rammaricato di non scorgere nell’azione pratica divergenze apprezzabili, sostanziali, fra la nostra azione e quella del Partito comunista.

Egli riprendeva così – e lo lodo di averlo fatto sul terreno dell’azione pratica e senza spaziare fra le nuvole dell’astrazione secondo il metodo di Saragat – il vecchio problema già posto dall’onorevole Presidente del Consiglio, quando invocò lumi danteschi per chiederci se socialisti e comunisti eravamo due in uno, o uno in due.

Io potrei, onorevole Piccioni, prendermi il lusso di rovesciare la domanda e porre alla Democrazia cristiana un analogo quesito.

Quando la frazione più avanzata della Democrazia cristiana, quando i gruppi, i nuclei di essa verso i quali esiste da parte nostra un vincolo sentimentale che gli avvenimenti degli ultimi tempi non hanno distrutto, quando codesta frazione avanzata antifascista della Democrazia cristiana lottava insieme con i comunisti e con noi socialisti, per la liberazione del Paese, per abbattere il regime fascista, per scacciare i dominatori stranieri, quale era, sul terreno dell’azione pratica, la differenza fra la Democrazia cristiana e l’estrema sinistra?

L’onorevole Piccioni, gli uomini della Democrazia cristiana, che hanno partecipato a questa lotta ed alcuni dei quali siedono al banco del Governo, hanno mai considerato leso, diminuito, annullato il carattere autonomo del loro Partito, solo perché trovavano al loro fianco i comunisti e con essi combattevano? (Interruzioni al centro).

E più tardi, quando con una frazione della Democrazia cristiana, che era maggioranza nel partito e minoranza nella famiglia cattolica italiana (come lo dimostrarono le elezioni del 2 giugno), quando abbiamo lottato per la Repubblica ha l’onorevole Piccioni, hanno i democristiani nostri alleati di allora, considerato che l’autonomia del loro Partito fosse insidiata dal fatto che combattevano per la Repubblica assieme ai socialisti?

Ora la nostra posizione di fronte ai problemi attuali della società italiana e della democrazia italiana, è identica alla vostra nella lotta contro il fascismo e per la Repubblica. (Commenti al centro).

Una voce al centro. Vi sbagliate.

NENNI. I problemi fondamentali della democrazia italiana sono oggi per noi i problemi sociali. Lo abbiamo detto in quest’Aula dopo il 2 giugno, lo abbiamo ripetuto in cento manifestazioni attraverso il Paese. Per noi, i problemi fondamentali del popolo sono la riforma agraria e la riforma industriale. E allora, con chi volete che il Partito socialista si allei se non con coloro che come noi, col nostro stesso spirito, vogliono la riforma agraria e la riforma industriale? (Applausi all’estrema sinistra).

Se allarghiamo poi il dibattito dal particolare al generale, allora è evidente il problema del socialismo, è quello dell’avvento delle classi lavoratrici al potere, come lo riconosceva l’altro giorno lo stesso onorevole Saragat.

A chi dobbiamo allearci, per risolvere questo problema: agli agrari, agli industriali? (Interruzioni al centro).

Una voce al centro. Alla Russia! (Proteste a sinistra).

NENNI. Saremmo lieti, onorevoli colleghi del centro democristiano, di poter affrontare questi problemi anche con voi. Sono personalmente convinto che esiste una sinistra democristiana (Commenti al centro); che essa è costituita non tanto dagli uomini coi quali abbiamo condotto assieme la cospirazione antifascista, ma dai giovani che cercano le vie di una conciliazione della Democrazia cristiana con la sinistra operaia, proprio per risolvere la questione sociale. Saremmo lieti di poter collaborare con questi giovani e di poter estendere a loro l’alleanza che pratichiamo coi comunisti e che vogliamo allargare a tutti i settori della sinistra. (Vivi applausi all’estrema sinistra).

Onorevole Piccioni, che cosa vuole ella da me? Ella mi chiede di associarmi ad un processo alle intenzioni.

Allorché in un recente discorso a Bologna ho voluto dire in quale momento potrebbe rompersi la nostra alleanza coi comunisti, ho fatto riferimento ad un avvenire ipotetico, che probabilmente non si verificherà mai: ho dovuto dire che romperemo la nostra alleanza coi comunisti quando essi si metteranno fuori e contro la Nazione, fuori e contro la democrazia. Senonché non avevo nessun elemento positivo sul quale basare la mia ipotesi. (Applausi all’estrema sinistra).

Signori, sulla base del processo alle intenzioni nessuna convivenza politica è mai stata possibile e sarà mai possibile. Il solo processo ammissibile è quello dei fatti; e – permettetemi – non il processo ai fatti esterni (la Russia o la Bulgaria, la Grecia o la Spagna) ma a quelli interni. Oggi non c’è probabilmente nessun comunista il quale pensi che il cammino che dovrà percorrere il popolo italiano per realizzare le sue aspirazioni politiche e sociali debba essere quello per cui passò la rivoluzione bolscevica. Né noi siamo abituati, in ogni caso, a cercare la ispirazione dei problemi che poniamo di fronte alla collettività nazionale, in Russia o in Inghilterra: noi poniamo i problemi che la storia pone al popolo italiano, e li risolviamo con quanti concordano nel nostro metodo e nel nostro fine.

Ecco perché siamo, restiamo, resteremo alleati del partito comunista.

L’onorevole Saragat ha citato qui la frase dettata a Rosa Luxemburg da un momento di orgoglio intellettuale: «Se sei nella verità, se sei sulla diritta via, incontrerai il proletariato». No, Saragat, per i socialisti il problema non si è mai posto in questi termini; giustamente Pertini ha ricordato che Rosa Luxemburg, avendo nel gennaio 1919 aspramente combattuto nel suo Partito contro la frazione spartachiana favorevole all’insurrezione immediata, una volta la decisione presa, non dette appuntamento agli operai di Berlino ad un punto indefinito del tempo e dello spazio, ma si mise alla testa dei proletari che sapeva destinati alla disfatta, ma dei quali volle condividere la sorte e la morte. (Applausi all’estrema sinistra).

Del resto, oggi Saragat fa il processo delle intenzioni nostre e dei comunisti, e su questo processo fonda il suo tentativo di dividere i lavoratori.

Ad un Congresso parigino del 1937, quando un illustre socialista italiano, – che non nomino perché assente – volle fare il processo delle intenzioni per le quali in Ispagna i comunisti morivano sulle trincee della libertà e della democrazia, Saragat rispose: «Non faccio di questi processi. Non c’è testimonianza più eloquente del sangue».

Signori, noi accettiamo il contributo che i comunisti hanno dato alla lotta di liberazione del Paese, noi accettiamo il loro contributo alla soluzione della questione sociale come un fatto, ed è sulla base di questo fatto che è nata la nostra alleanza con loro, la coincidenza della loro azione pratica con la nostra.

Quanto alle differenze, più che nelle ideologie, io la troverei nella storia. Io sono di coloro che pensano che la scissione del 1921 fu un errore. Io sono di coloro che pensano che il compito della classe lavoratrice italiana, degli stessi comunisti, sarebbe più facile se la scissione non ci fosse stata. Ma non è dato a me, non è dato a nessuno, di fare à rebours la storia. Essa è quella che è. Prendete però, onorevoli colleghi, atto di un’affermazione che tengo a ripetere davanti alla Costituente: noi socialisti siamo indipendenti ed autonomi nei confronti di tutti; siamo indipendenti e autonomi nei confronti del Partito comunista, come nei confronti di ogni altro partito. Non siamo autonomi nei confronti della classe lavoratrice. (Applausi all’estrema sinistra).

Se la nostra naturale ambizione è di influenzare la classe lavoratrice nella direzione delle nostre ideologie e del nostro metodo, niente però potrà mai dividerci dal proletariato del nostro Paese, neppure gli errori che esso potesse compiere. (Applausi all’estrema sinistra).

Ciò detto, quale apprezzamento posso io dare del discorso dell’onorevole Piccioni? Ho la convinzione che egli abbia parlato come uomo di partito, come segretario del suo Partito, in uno stato che posso ammettere fosse di legittima difesa, ma più guidato dall’orgoglio che dalla riflessione. Credo che l’onorevole Piccioni converrà con me – e ne converrà, lo spero, il Presidente del Consiglio dei Ministri – che c’è un momento in cui il patriottismo di partito non basta; c’è un momento in cui la qualità di uomini responsabili si misura dalla capacità che abbiamo di superare gli stretti limiti del partito e di parlare ed agire secondo l’interesse dello Stato e della Nazione.

Ora, se io non sono riuscito a convincere l’Assemblea dei motivi nazionali della nostra opposizione, la colpa è mia; è della insufficienza della mia capacità comunicativa. Ho sentito dire dall’onorevole Giannini e da altri che tutto per noi si ridurrebbe a chiedere un posto nel Governo.

Onorevoli colleghi, il destino ha voluto che la nostra vita si svolgesse quasi sempre fuori legge. Non c’è difficoltà maggiore di quella di piegare uomini come noi alle esigenze del Governo e dello Stato. Quando si è trascorsa tutta la propria vita considerando nello Stato il nemico, si può diventare, come è capitato a me, Vice Presidenti del Consiglio dei Ministri, ma si resiste difficilmente all’attrattiva della opposizione, che è il nostro stato naturale, per cui forse ha ragione l’onorevole De Gasperi quando dice che siamo all’opposizione anche essendo al Governo. Tuttavia non sono uomini come noi che possono subire la vanità del potere. Ora ecco che, ammaestrati dalle cose, tornati nel nostro Paese dopo una grande tragedia, gioiosi di aver concorso a risolvere uno dei problemi della nostra gioventù (quello repubblicano), ecco che, mentre il proletariato avverte che è venuta l’ora di superare i confini della esclusiva attività di Partito e di classe, voi ci ricacciate nell’opposizione. E viene in vostro soccorso anche l’onorevole Calosso ad accusarci di diciannovismo, cioè della tendenza ad isolarci ed a considerare che la classe operaia non può risolvere i suoi problemi che da sola, nella pienezza della sua vittoria, concepita come vittoria insurrezionale, un po’ alla francese, come le grand soir. Ora è proprio questo primitivo massimalismo blanquista che noi abbiamo superato, ad esso sostituendo il senso della nostra responsabilità verso il Paese, del socialismo che diviene ogni giorno, che avanza se avanza la vita collettiva della Nazione. E voi signori ci ricacciate indietro con un processo alle intenzioni e scavate così più profonde le divisioni di partito e di classe proprio nel momento in cui vi abbiamo offerto, onorevole De Gasperi, la possibilità di una distensione.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Dopo tre mesi di propaganda!

NENNI. Al quesito che abbiamo posto non è sufficiente risposta la piccola cronaca, oppure la rispolveratura delle parole poco cortesi dell’Avanti! o dell’Unità, o l’episodio del manifesto ingiurioso alla porta della casa dell’onorevole De Gasperi.

Soltanto l’onorevole Nitti ha mostrato di capirci quando rivolto all’onorevole Piccioni – che aveva usato il linguaggio orgoglioso di un capo di setta – ha chiesto: «siete sicuri di potere dominare gli avvenimenti che si svolgeranno nel Paese? Siete sicuri di avere autorità e forza sufficiente per arrivare a dicembre senza situazioni catastrofiche? (Commenti al centro e a destra).

Una voce al centro. Il caos!

NENNI. Onorevoli colleghi: questo è il problema che Nitti ha posto.

SILES. Nitti lo ha posto a noi ed anche a voi. (Commenti a sinistra).

NENNI. Se voi avete l’orgogliosa certezza di tenere in pugno la situazione, allora anticipando, sulla normale vita dei parlamenti, voi potete avventurarvi a governare con un voto di maggioranza. In questo caso, onorevole Scelba, è perfettamente inutile ritorcere contro i comunisti l’accusa che i comunisti fanno alla Democrazia cristiana, di aver rotto il fronte repubblicano, perché in definitiva al popolo interessa meno di sapere chi è responsabile della rottura del fronte repubblicano di quanto non lo interessi sapere se lo schieramento si può rifare.

Noi diciamo di sì, e se nella discussione generale abbiamo premesso che voi non potete fare miracoli al Governo, come non ne potremmo fare noi, non è per precostituirci un alibi in vista del domani, ma per dimostrare che né gli uni né gli altri da soli siamo in grado di trarre il Paese a salvamento. È inteso, onorevoli colleghi della Democrazia cristiana, voi siete in quest’Aula i più forti. Ma i voti basta contarli o bisogna anche pesarli? (Commenti al centro). Io sono convinto che bisogna contarli e pesarli.

L’onorevole Finocchiaro Aprile pose, in forma sbagliata, un problema che vorrei a mia volta riproporre all’Assemblea. Egli fece un confronto, fra quelle che chiamava le «donnaccole» che avevano votato per la Democrazia cristiana e le masse operaie che avevano dato il voto ai socialisti e ai comunisti. Il problema così non è ben posto. Non è lecito stabilire una differenza di grado di responsabilità fra le categorie degli elettori e delle elettrici. Però, signori, non sfugge a nessuno che al peso del numero occorre aggiungere la valutazione della funzione sociale. 1 voti, quindi, bisogna contarli ed anche pesarli. Ed è contando e pesando i voti che noi siamo arrivati alla conclusione che, nelle attuali condizioni, senza la Democrazia cristiana non si può costituire un Governo il quale abbia nella Costituente la maggioranza necessaria per affrontare la crisi e del Paese, così come senza l’estrema sinistra manca al Governo l’autorità non meno necessaria perché i suoi atti siano accettati dalle masse lavoratrici, anche quando colpiscono interessi che hanno una naturale tendenza a reagire.

È il problema di oggi, problema al quale la Democrazia cristiana non ha risposto, limitandosi a ricordarci che dispone di 207 seggi in questa Assemblea, cosa che non possiamo disgraziatamente porre in dubbio, pur fiduciosi come siamo in un responso diverso del Paese nelle prossime elezioni. (Commenta al centro).

Senonché, onorevoli colleghi del centro, così come noi riconosciamo il valore e il peso del vostro Gruppo in quest’Aula e della vostra forza nel Paese, così voi non potete negare il peso e la forza di milioni di lavoratori giunti ormai ad un grado tale di maturità da costituire una potenza con la quale dovete trattare.

Signori del centro, così potete respingere il nostro appello, cosa di cui vi pentireste nelle prossime settimane, nei prossimi mesi, come di una occasione perduta. (Proteste al centro e a destra). Ma se volete accettarlo, non ricorrete allora alla mediocre furberia di sostituire una piccola maggioranza di destra con una piccola maggioranza di centro-sinistra che lascerebbe impregiudicata l’attuale situazione, anche se per ambizione di Governo noi vi dessimo il nostro assenso. Il problema è più vasto e non si risolve che allargando il governo a tutto il fronte democratico e repubblicano e ai rappresentanti diretti delle classi lavoratrici, sulle quali, in ogni caso, ricadranno in larga misura i sacrifici della ricostruzione e che hanno diritto al riconoscimento della loro alta funzione politica e sociale.

Di che si tratta in definitiva?

La Nazione auspica una distensione politica e sociale. Condizione di tale distensione è il riconoscimento che non c’è soltanto il quarto partito, quello del capitale, ma ci sono anche i partiti della classe operaia, appena usciti dalla lotta per l’indipendenza e la libertà del Paese, alla quale hanno dato un contributo decisivo. Se, onorevoli colleghi, noi ci ponessimo da un punto di vista esclusivo di partito, potremmo augurarci di veder respinta la nostra mozione. Ma sappiamo, noi che fummo per tanto tempo posti fuori della legge comune, che c’è qualche cosa di più importante del partito, fors’anche della classe, ed è l’interesse collettivo della Nazione. Abbiamo perciò coscienza di aver parlato non come militanti di un partito, ma come italiani preoccupati del domani della Nazione. (Vivissimi applausi all’estrema sinistra – Molte congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Togliatti.

TOGLIATTI. Onorevoli colleghi! Come senza dubbio ricorda questa Assemblea, la mozione di sfiducia al Governo da me presentata a nome del Gruppo comunista all’Assemblea Costituente, partiva dalla critica di determinati atti compiuti dal Ministro degli interni e dalle autorità da lui dipendenti, e di qui arrivava alla considerazione, o ad una serie di considerazioni, relative alla politica generale del Governo.

Sebbene l’onorevole Scelba non mi avesse fatto l’onore di ascoltare le mie critiche, ho ascoltato questa mattina la sua replica. I colleghi mi permettano di consacrare alcune espressioni a rispondergli.

Su nessuno dei problemi da me sollevati, piccoli o grandi che fossero, ho sentito non dico una risposta sodisfacente, ma ho sentito che il Ministro si ponesse su quel terreno sul quale egli avrebbe dovuto porsi, se la sua risposta avesse voluto essere una risposta oggettiva, argomentata, documentata.

Pensavo prima di tutto che l’onorevole Scelba dovesse citare i documenti in questione, i manifesti da lui proibiti, per dimostrare dove era e se esisteva in essi il vilipendio delle istituzioni repubblicane, di cui egli ha parlato. Lo sfido, e sfido tutto il Governo e tutti i colleghi di quella parte che lo sostengono, a trovare un sol documento comunista o una parola sola in un documento comunista dove vi sia un vilipendio delle istituzioni democratiche e repubblicane o qualsiasi accenno che possa significare vilipendio a queste istituzioni, a meno che non si voglia considerare come istituzione la persona di singoli Ministri, la persona del Ministro degli interni, o anche la persona del Presidente del Consiglio…

Credo che nemmeno nella legislazione fascista i Ministri fossero coperti da una simile prerogativa: soltanto il cosiddetto – così lo chiamavano allora – Capo del Governo.

Non credo che gli attuali Ministri abbiano voluto, né che l’onorevole Scelba abbia voluto o voglia che il Governo del quale egli fa parte estenda la legislazione fascista, o per lo meno lo spirito di quella legislazione, sino a concedere garanzie di intangibilità e inviolabilità agli uomini del Governo, tali che debba considerarsi vilipendio l’affissione in un manifesto dell’immagine di un uomo del Governo stesso e non invece offensiva l’affissione dell’immagine di un membro di questa Assemblea.

Quanto alle ingerenze illecite, da me denunciate, nelle amministrazioni comunali, l’onorevole Scelba ha ripetuto cose che sapevo di già, perché sono cose che qualsiasi mediocre conoscitore della legislazione amministrativa conosce. Ma perché, onorevole Scelba, ella non si riferisce ai fatti? Perché, onorevole Scelba, ella ha taciuto che quei sindaci della provincia di Bologna da lei deferiti all’autorità giudiziaria e sospesi dalle loro funzioni, si trovano oggi nella curiosa situazione che il Tribunale di Bologna ha respinto il procedimento, in quanto non era stata compiuta la procedura di sospensione della guarentigia amministrativa? Di fronte a questo risultato, o si restaura il sindaco nelle sue funzioni o si continua il processo: ma non è stata fatta né una cosa né l’altra. È dunque avvenuto – e tutte le argomentazioni avvocatesche svolte da lei e da altri colleghi del settore liberale, non recano alcun elemento valido rispetto a questo fatto – è dunque avvenuto che l’autorità giudiziaria si è rifiutata di giudicare sindaci che furono sospesi dalle loro funzioni, non so se per volere suo o dei prefetti che da lei dipendono, ma sempre in violazione della legge. La posizione da me sostenuta, di condanna e denuncia dei suoi arbitrî, è quindi confermata persino da una sentenza di tribunale.

Circa la colpevole tolleranza verso le organizzazioni fasciste, lei non ha risposto a nessuna delle cose che sono state dette da me, dall’onorevole Pajetta, dall’onorevole Lussu, dall’onorevole Macrelli. Lei che si accorge dell’affissione della sua fotografia in un manifesto e se ne scandalizza, non si accorge del vilipendio delle istituzioni democratiche e repubblicane fatto nella stampa, nei manifestini sui muri, nei comizi e dappertutto dai fascisti. Questa è la strada su cui si arriva ai gravissimi episodi denunziati e da me e dall’onorevole Pajetta. E dell’attività facinorosa delle associazioni segrete o non segrete fasciste lei ha forse parlato? No, lei non ne ha parlato: da quella parte tutto va bene, dunque, secondo lei. Onorevole Scelba, la sua risposta può darsi abbia sodisfatto i colleghi del suo partito, che sono tenuti per solidarietà a batterle le mani; certo ha sodisfatto i rottami di fascismo che purtroppo sono presenti in quest’Aula; non credo però possa aver sodisfatto chiunque giudichi di questi problemi con ispirito di obiettività, partendo dalla sollecitudine per la difesa della democrazia e della Repubblica.

Ma passo ai temi di carattere generale, in quanto la nostra mozione investiva tutta la politica di questo Governo, e quindi investiva anche la sua composizione e la sua attività nei diversi campi.

Il dibattito che sul tema delle nostre mozioni si è svolto in questa Assemblea, ha toccato questi temi generali; ma io pure debbo dolermi di dover replicare senza aver ancora avuto dal Governo una risposta alle questioni di questa natura, qui sollevate. Credo che anche se il Regolamento impone l’ordine di interventi che è stato scelto, sarebbe stato democraticamente e parlamentarmente corretto che il Governo, per bocca di uno dei suoi principali esponenti, rispondesse anche prima che noi replicassimo, circa il modo con il quale considera questi problemi generali, perché io non posso considerare come una replica fatta a nome del Governo il discorso tenuto dall’onorevole Piccioni, segretario del partito della Democrazia cristiana.

Ad ogni modo tutti i partiti, o quasi tutti, che sono rappresentati in questa Assemblea, si sono schierati, hanno esposto le loro vedute con maggiore o minore rilievo. Ho avuto la impressione che il partito che tra tutti meno è riuscito a dar rilievo alle proprie posizioni sia stato il Partito liberale. Questo, del resto, non è soltanto in relazione con la maggiore o minor valentia dei colleghi che lo rappresentano in quest’Aula, ma è piuttosto in funzione dell’esistenza della struttura, della natura di questo Governo, il quale – come io ebbi occasione di dire nel mio intervento nel mese di luglio – condanna effettivamente i partiti che sono alla sua destra, alla paralisi, a non potersi muovere, a perdere ogni iniziativa, in quanto fa propria, senza riserve, la loro posizione di difensori sino all’ultimo delle classi possidenti più ricche. Il Partito liberale, fatta eccezione per qualche guizzo di indipendenza di giudizio che abbiamo colto nel discorso dell’onorevole Corbino, non ha potuto fare altro che adempiere alla funzione di colui che, in coro, ripete il ritornello delle litanie intonate dall’onorevole De Gasperi.

Maggior rilievo, senza dubbio, ha avuto la posizione del Partito qualunquista, a proposito del quale alcuni rimproveri sono stati fatti a noi, e a me personalmente, accusandoci non so se di eccessiva simpatia per questo partito o di una tendenza a determinati accordi con esso. Si è persino parlato di patti. Onorevole Giannini, ella sa perfettamente che questi patti non esistono. Però è verissimo che noi, nei confronti del Partito qualunquista abbiamo seguito e seguiamo una politica determinata, la quale non può in nessun modo ridursi a un’ingiuria, o a una serie di male parole. No, per noi lo sviluppo del Partito qualunquista è un fenomeno che studiamo con attenzione e di fronte al quale sentiamo il dovere come democratici e nell’interesse della democrazia italiana di reagire in un determinato modo. Riteniamo che se nel 1919-20, quando gruppi all’inizio, e poi masse di piccola borghesia, presero orientamenti analoghi a quelli che prendono oggi determinati gruppi della stessa natura sociale che seguono il qualunquismo, orientamenti che poi vennero sfruttati dal partito fascista agli scopi della sua politica reazionaria, crediamo che se allora vi fosse stata nella democrazia italiana la capacità di comprendere a tempo questo fenomeno e di riparare facendo fronte ad esso, forse lo sviluppo del fascismo sarebbe stato meno facile.

Non dico che non vi sarebbe stato. Le forze decisive non furono quelle, non furono i piccoli borghesi che battendo le mani al duce organizzarono la marcia su Roma e le successive fasi del fascismo. No, decisive furono le forze dirigenti della grande industria, della banca, del capitalismo…

GIANNINI. …e della massoneria.

TOGLIATTI. Anche, e della Chiesa cattolica, almeno in parte.

La piccola borghesia disorientata e disillusa formò soltanto il coro, la massa.

Ebbene, noi consideriamo oggi il fenomeno qualunquista come qualcosa di ancora confuso e indeterminato, e vediamo che vi sono in esso ancora delle incognite. Vi sono senza dubbio (vi erano all’inizio e vi sono tuttora) uomini e gruppi che vedono nel qualunquismo nient’altro che la prima tappa o, direi, la prima mascheratura di una rinascita del fascismo che essi continuano a sognare. Vi sono però, senza dubbio, anche masse malcontente e disorientate le quali si orientano verso il qualunquismo senza vedere questo pericolo, senza comprenderlo, e noi sentiamo che è nostro dovere quello di comportarci, nei confronti di queste masse e quindi di quel movimento, come dei ragionatori, degli uomini politici. Per questo polemizziamo, per questo anche – se necessario – assistiamo a una seduta del Congresso dell’uomo qualunque, per riuscire a comprendere quel che ci interessa nei dibattiti che vi si svolgono. E perché ci interessano? E in qual senso abbiamo noi polemizzato con l’onorevole Giannini? Abbiamo polemizzato e condurremo una politica nei confronti dell’Uomo qualunque allo scopo di favorire un distacco dagli elementi apertamente o larvatamente fascisti, di quella che può essere invece una massa di malcontenti che cerca una strada, che non l’ha trovata e che forse non la troverà, noi crediamo, sotto la guida dell’onorevole Giannini.

GIANNINI. L’ha trovata, l’ha trovata!

TOGLIATTI. Questo è il nostro obiettivo; crediamo, comportandoci in questo modo, di servire la causa della democrazia e dell’antifascismo, né ci toccano le insinuazioni e le calunnie che vengono lanciate a questo proposito contro di noi.

Nel corso di questa discussione, ripeto, la posizione del rappresentante del Partito qualunquista è stata senza dubbio più vivace di quella liberale Ho avuto però l’impressione che quel guizzo di opposizione, cui ci ha fatto assistere l’onorevole Giannini nel suo ultimo discorso, in realtà partisse piuttosto dallo stato d’animo di un concorrente dell’onorevole De Gasperi che non da un avversario di una determinata politica, e di determinati metodi di questo Governo.

Questa impressione non ho del resto ricavata solo dalle cose che l’onorevole Giannini ha detto, ma, direi, da tutto lo sviluppo della sua personalità politica: questo professarsi cristiano, cattolico, adire contemporaneamente a tutti i Sacramenti…

Una voce al centro. A tutti no! (Si ride).

TOGLIATTI. Diciamo, a tutti i «possibili» Sacramenti, e la propaganda fattaci attorno, effettivamente dà l’impressione che anche qui non vi sia una differenza sostanziale fra l’onorevole Giannini e l’onorevole De Gasperi, come capi di partito, in quanto questo ostentato impulso religioso derivi dal fatto che per entrambi la religione sia essenzialmente instrumentum regni, strumento di Governo o di fortuna e successo di un partito nelle lotte elettorali. In realtà se osservo l’onorevole Giannini, riferendomi al suo passato, e cerco di adattare alla sua figura un «Credo» qualunque, mi pare che alle sue labbra l’unico che si addica sarebbe il «Credo» che un nostro grande poeta, il Pulci, metteva sulla bocca di quel mezzo gigante che si chiamava Margutte, il quale credeva «nella torta e nel tortello, l’uno la madre, e l’altro il figliolo». La torta sarebbe in questo caso la maggioranza parlamentare e sarebbe riservata all’onorevole De Gasperi, mentre il tortello sarebbe per lei, onorevole Giannini, e sarebbe un posticino di Ministro o anche di Sottosegretario per l’unione di tutta l’Europa. (Si ride).

Ad ogni modo, fra poche ore il dubbio sarà sciolto. Fra poche ore sapremo se abbiamo assistito a una presa di posizione coerente, corrispondente alla volontà di correggere una situazione politica determinata in un senso determinato, o se vi è stato da parte dell’onorevole Giannini unicamente un guizzo senza conseguenze ulteriori, e quindi potremo assistere al fatto che il pappagallo qualunquista rientrerà tranquillo e prudente sotto le gonne maleolenti della nonna democristiana. (Si ride).

L’onorevole Saragat e gli altri oratori del suo partito hanno posto alcuni problemi seriamente, altri invece in modo tale che ritengo sarebbe indegno di noi se polemizzassimo su quel terreno. Le calossate non son fatte per noi.

Vedete, quando voi ci accusate di non essere democratici, vi dico che per noi la democrazia non è soltanto un principio, un complesso di istituzioni: è anche un metodo, e prima di tutto un metodo di discutere le posizioni dell’avversario, riproducendole esattamente, oggettivamente, non sostituendo a quella che è l’elaborazione del pensiero dell’avversario quel fantoccio ripugnante che voi vi sforzate di creare, e di fare circolare per le strade, con l’aiuto della stampa fascista e neofascista. Democrazia, cioè, è prima di tutto onestà di polemica politica. Per questo io discuterò di voi soltanto la posizione relativamente seria che avete presa e che consiste nel rivendicare una direzione socialista del Governo e d’Italia.

Non so se questa rivendicazione corrisponda in questo momento alla struttura di questa Assemblea che fino alle prossime elezioni rappresenta il Paese. Quello che so però, è che non corrisponde alla rivendicazione di una direzione socialista del Paese il fatto di avere scisso quelle forze che potevano, unite, rivendicare con maggiore possibilità di successo una direzione socialista. La vostra posizione nei nostri confronti è essa pure in contraddizione stridente con la vostra rivendicazione di una direzione socialista. Come escludete voi dal socialismo questo nostro partito di operai, per cui hanno votato masse di lavoratori, di contadini, di impiegati, d’intellettuali di avanguardia, che credono agli ideali del socialismo? Per noi, vi dovrebbe essere il bando dalla democrazia e dal socialismo. È vero che voi cercate di giustificare questa posizione con i vili e spregevoli argomenti cui ho accennato prima, ma ciò non toglie che essa è in contraddizione profonda con la rivendicazione che avanzate di una direzione socialista. Voi vi adoprate ancora una volta per dividere quelle forze che possono, unite, non dico realizzare oggi una direzione socialista, ma per lo meno realizzare quel tanto di misure socialiste che oggi sono realizzabili. Questa è la profonda contraddizione che mina le vostre posizioni, e in conseguenza della quale voi, mentre parlate di socialismo e dite di volere una direzione socialista, in realtà dimostrate di essere al servizio delle forze reazionarie. L’operazione che voi compite o vorreste compiere è nell’interesse delle forze reazionarie di cui siete i servitori; ed è per questo che da quelle parti vi vengono e verranno sempre gli applausi

Molto più preoccupante la posizione del Partito della democrazia cristiana quale è stata esposta qui dagli oratori che lo hanno rappresentato e, in particolare, dal suo segretario generale, onorevole Piccioni; è preoccupante non tanto perché noi riteniamo la Democrazia cristiana un partito – diceva l’onorevole Piccioni – famelico, o piuttosto assetato, – correggerebbe onorevole Micheli – di potere. Ogni partito ha il diritto di aspirare a quel potere che gli spetta secondo le forze che rappresenta.

MICHELI. È assetato lei di potere, oggi! (Si ride).

TOGLIATTI. Quello che ci preoccupa nella posizione del Partito della democrazia cristiana è prima di tutto il fatto che esso, attraverso le parole del suo Segretario generale, si è presentato ancora una volta come un partito che semina e vuole la discordia del Paese.

Una voce a destra. Che ama la chiarezza!

TOGLIATTI. Che ama la discordia. La maggior parte dell’intervento dell’onorevole Piccioni, la parte sostanziale politica è stata infatti diretta a trattare la questione dei rapporti tra il nostro Partito e il Partito socialista.

Io aspettavo una risposta dall’onorevole Piccioni; aspettavo che egli mi dicesse perché, secondo il Partito della Democrazia cristiana, noi comunisti dovremmo essere tenuti in quella particolare posizione che esclude una nostra partecipazione alla direzione politica del Paese. L’onorevole Piccioni non mi ha risposto con argomenti; non ha discusso il nostro programma politico; non ha preso le nostre risoluzioni per far vedere all’Assemblea e al popolo italiano quali sono le nostre proposte economiche, politiche, organizzative che sono cattive e da respingersi, allo scopo di far risultare un contrasto fondamentale che impedisca una eventuale nostra collaborazione. No! Se l’è cavata con una frase; e io mi sono ricordato quello che diceva Goethe: «Quando tu non hai un pensiero (o, in questo caso, quando vuoi nascondere il tuo pensiero) mettici delle parole». Erano parole e frasi senza contenuto, le sue, non erano argomenti.

Ma la risposta vera l’onorevole Piccioni l’ha data quando ha parlato del Partito socialista e perfino nei confronti del Partito socialista ha voluto porre un veto alla sua collaborazione, a una attività di direzione politica, pur dopo avere premesso che non vedeva disaccordi di sostanza e programmatici. Tuttavia egli ha posto anche nei confronti dei socialisti un veto. Perché? Perché il Partito socialista tende la mano agli appestati e gli appestati siamo noi. Grave posizione, per un partito come quello della Democrazia cristiana. Grave posizione perché, onorevole Piccioni, onorevole De Gasperi, che male vi fa il fatto che due partiti di questo Parlamento abbiano stretta tra loro un’alleanza? Forse che in questo Parlamento non sono esistite nel passato altre alleanze tra differenti partiti? È perché vi dovrebbe essere non alleanza ma discordia tra due partiti che, entrambi, si richiamano alla classe operaia e alle masse lavoratrici, che sorgono dallo stesso ceppo storico, ed hanno, lo diceva testé l’onorevole Nenni, i punti programmatici fondamentali immediati comuni? Il Partito socialista non sarebbe autonomo e non sarebbe indipendente. Tutti coloro che hanno osservato lo sviluppo della lotta politica nel corso dell’ultimo anno, sanno che il Partito socialista e il Partito comunista prendono delle posizioni che non sempre coincidono, anche se le loro attività ad un certo punto confluiscono.

Ad esempio, l’iniziativa di questo dibattito non è stata la nostra, ma dei socialisti. Altre volte siamo stati noi a prendere determinate iniziative e il Partito socialista vi ha aderito. Io direi che, tra l’altro, lo stile del mio partito è diverso: diverso è il temperamento dei due partiti. Basta osservare, ad esempio, il temperamento di Nenni e il mio. Nenni si richiama alla scuola del repubblicanesimo, alla scuola dei grandi dibattiti parlamentari francesi. Io ho un’altra scuola, quella del lavoro paziente clandestino…

Una voce al centro. La scuola della Russia. (Commenti al centro).

TOGLIATTI. Sì, collega, io ho quella scuola ed è anzi una scuola che ho fatto in misura troppo limitata. Ho la scuola di quei grandi uomini che hanno saputo fare della Russia, che era alla fine dell’altra guerra uno dei Paesi più arretrati e più devastati, la grande potenza socialista che oggi domina nel mondo. (Applausi all’estrema sinistra). Io ho quella scuola e mi vanto di averla. Ma quando voi, colleghi della Democrazia cristiana, posti di fronte al problema di costituire un governo di unità delle forze democratiche e repubblicane e di unità dei partiti che hanno l’appoggio delle classi lavoratrici, sollevate questa eccezione, inevitabilmente gettate nel Paese il germe della discordia. Voi volete che la classe operaia sia divisa: nell’interesse di chi lo volete? Nell’interesse dei capitalisti e delle forze antidemocratiche, nell’interesse del fascismo e delle forze antirepubblicane. Soltanto in quell’interesse voi potete volere questa divisione, e lavorare, come voi lavorate, per provocare nel corpo della classe operaia e della nazione una scissione pericolosa.

Preoccupante assai anche la posizione del Partito democratico cristiano nei confronti non solo del nostro partito, ma direi di tutti gli altri partiti dell’Assemblea. Si possono avere 207 deputati nell’Aula e gli elettori corrispondenti nel Paese, ma non si può, fondandosi su questo fatto, rivendicare quello che voi avete rivendicato; un diritto di direzione esclusiva. Anzi, quanto maggiore è la responsabilità che una parte del corpo elettorale vi ha dato – e non so se oggi vi darebbe di nuovo – tanto più grande è il dovere che voi avete di agire nell’interesse dell’unità di tutte le forze democratiche e repubblicane, di tutte le forze vive dei lavoratori.

Ed è inutile che l’onorevole Scelba ci dica che il dissenso fra noi e la Democrazia cristiana deriva dal fatto che noi avremmo accusato De Gasperi di austriacantismo, accusa che non credo sia passata nei differenti giornali altro che di sfuggita. Nessuno ha ancora tirato fuori documenti in proposito. Per lo meno, non ne ho ancora visti. Ma l’onorevole Scelba è andato sì a scovare negli archivi della polizia, venendo meno al suo dovere di custode degli archivi dello Stato, e quindi anche degli archivi della polizia, un documento che è una domanda sottoscritta da Longo in cui egli, come tutti hanno fatto, e come lei ha fatto, onorevole De Gasperi, e come ha fatto l’onorevole Gonella, per sfuggire ad una persecuzione si poneva sotto la protezione di uno Stato, che non era lo Stato fascista. E, badate, che egli non vi riuscì, perché i fascisti non ci credettero. Però, l’onorevole Scelba ha trovato e sottratto il documento negli archivi della sua polizia, che egli dovrebbe custodire e non mettere a disposizione del suo Partito, per diffamare pubblicamente i membri dell’Assemblea.

DE GASPERI. Presidente del Consiglio dei Ministri. Tanto per rettificare: io sono rimasto cittadino italiano anche quando ero funzionario in Vaticano. Non faccio nessuna accusa, ma rettifico il fatto.

TOGLIATTI. E anche noi siamo sempre rimasti cittadini italiani. Ma il fatto è che ella è ricorso a determinate protezioni e a determinate autorità per salvare la sua persona fisica.

È inutile quindi l’argomento, suo, onorevole Scelba. Se vogliamo comprendere a fondo il perché della lotta contro di noi, con tutte le armi, che avete iniziato e conducete, e di cui volete fare l’asse della situazione italiana in questo momento, bisogna cercare i motivi nel fatto che voi state progressivamente rinunciando a quei punti, di un vostro originario programma, che coincidevano con determinati punti del nostro. Siccome voi state rinunciando a questo e state diventando, a poco a poco, un normale partito rappresentativo delle classi possidenti italiane, in tutte le loro sfumature, sino alle più reazionarie, per questo voi volete questa rottura, per questo accentuate la punta della polemica e della vostra azione contro di noi.

Ma si è detto che il nostro intervento in questo dibattito, la nostra mozione di sfiducia e il nostro appello all’Assemblea perché voti la sfiducia a questo Governo, sarebbero viziati dal fatto che noi soltanto, chiediamo di andarci al Governo. Onorevoli colleghi, ho già detto, replicando ad un interruttore, che è diritto di ogni opposizione cercare di diventare Governo.

Desidero però precisare molto bene in che senso noi vogliamo entrare nel Governo, perché noi vogliamo questa rivendicazione, e quale è il Governo che noi rivendichiamo e al quale parteciperemmo.

Noi eravamo in determinati governi e oggi, l’onorevole De Gasperi ci rimprovera perché quei governi non hanno fatto molte cose che noi oggi rivendichiamo. È vero. Non le hanno fatte. Ma per questo appunto noi quei governi li abbiamo criticati, per spingerli a fare quelle cose che erano nel nostro programma, nel programma degli stessi governi di cui facevamo parte. Quando l’onorevole De Gasperi ci rivolge questa critica come se ciò dimostrasse una nostra incapacità di fare parte di un Governo democratico e repubblicano, giustifica tutta la nostra azione di critica dei precedenti governi.

Desidero però porre questo problema in modo ancora più chiaro, perché si sappia molto bene che se domani ci si proponesse di entrare in un Governo come l’attuale, che facesse la politica che fa questo Governo, noi non accetteremmo mai.

Noi consideriamo questo Governo come un Governo che sempre più sta prendendo fisionomia di un ordinario comitato di affari di determinati gruppi della classe possidente italiana, dei gruppi più forti, dei grandi capitalisti, degli agrari, dei grandi industriali e delle forze che si basano sulla speculazione. Lo abbiamo del resto dimostrato. Orbene, in un Governo che abbia questa fisionomia è ben chiaro che i comunisti non ci entreranno mai e poi mai. Non è questo il Governo che noi vogliamo. (Applausi all’estrema sinistra).

Non solo le cose dette da noi, ma le cose dette da voi stessi e dai deputati del vostro Partito confermano questo nostro giudizio. La posizione presa qui dal Ministro dell’industria rispetto alle agitazioni operaie, posizione che coincide del resto, con quella espressa da un famigerato ordine del giorno pubblicato dalla Democrazia cristiana il giorno in cui si annunciava lo sciopero dei braccianti della Valle Padana, quella posizione non è ammissibile non dico per un Governo che sia sollecito degli interessi delle classi lavoratrici, ma neanche per un Governo democratico, perché essa consiste nel condannare in qualsiasi caso ogni agitazione operaia. L’onorevole Ministro dell’industria non ha distinto; ha detto puramente e semplicemente: «Tutte le agitazioni sono inconsulte». Che cosa vuol dire ciò? Vuol dire che ha sempre ragione la parte padronale. Del resto questo era il contenuto del vostro ordine del giorno all’inizio dello sciopero dei braccianti della Valle Padana. (Applausi a sinistra – Proteste al centro). Un Governo che prende una posizione simile è un Governo che prima di tutto viola le norme della democrazia. Nei conflitti del lavoro, un Governo democratico non può schierarsi in questo modo pregiudizionalmente a favore della parte padronale, anche perché ad esso potrà spettare di intervenire per comporre la vertenza nell’interesse della collettività e non della parte padronale. Una simile dichiarazione qualifica il Governo che la fa, come l’agente di una delle classi che sono di fronte nei conflitti del lavoro. In un Governo il quale ha una posizione simile noi non possiamo entrare.

Ma voglio precisare ancora di più. Il Governo che noi rivendichiamo deve essere un Governo che faccia conseguentemente una politica democratica, di unità delle forze democratiche e repubblicane e di difesa degli interessi delle grandi masse lavoratrici. E questo in tutti i campi, a cominciare da quello della politica estera.

Si è parlato qui della esistenza di due blocchi. Si è discusso se è vero o non è vero che questi blocchi esistano. Si è cercato di caratterizzarli. Qualcuno ha cercato di trovare, tra i due blocchi una terza strada. Non voglio oggi approfondire tutta la questione. È sempre più chiaro però, oggi, agli occhi dell’uomo comune, dell’uomo semplice, che per lo meno due blocchi esistono in questo senso: che nel mondo c’è qualcuno che lavora per la pace e qualcuno che lavora per la guerra e noi ci accontentiamo di una differenziazione che prenda questo come punto di partenza. Vi sono uomini e gruppi politici e sociali di natura imperialistica, che per questa loro stessa natura spingono alla guerra, reclamano la guerra, vogliono la guerra.

«Noi possiamo ancora organizzare il blocco psicologico contro la Russia», – ecco quello che scrive uno dei rappresentanti di questi gruppi. «Se non vi riusciamo, noi dobbiamo schiacciarla con la forza delle armi». Ecco il linguaggio di chi è pronto, per la difesa del proprio interesse e della propria posizione di gruppo imperialistico che vuole il dominio del mondo, a gettare tutta l’umanità nell’abisso di un nuovo conflitto mondiale.

«Bisogna produrre un grande numero di bombe atomiche per servirsene contro un dato paese» – e sappiamo tutti qual è questo paese – «senza domandarsi se vi è o non vi è una ragione di credere che quel paese sia sul punto di produrre delle armi». Questo dicono i provocatori di guerra, i gruppi che vogliono ancora una volta gettarci in questo abisso.

E non è per un caso che nel nostro Paese, in Italia, checché voi diciate, la paura della guerra si sta diffondendo sempre di più.

Un istituto che fa indagini sugli orientamenti dell’opinione pubblica, al termine di una ricerca relativa alla percentuale di cittadini che nei diversi paesi del mondo credono allo scoppio di una nuova guerra mondiale, arrivava alla conclusione che al primo posto è l’Italia: il 58 per cento dei cittadini italiani nutre questa convinzione.

Questo cosa vuol dire? Non credo che quel 58 per cento di cittadini italiani siano uomini che desiderino la guerra: essi hanno paura della guerra. Da questa massa di cittadini italiani esce un imperativo per il nostro Governo: fate una politica di pace. Ma fare una politica di pace vuol dire: schieratevi contro i provocatori di guerra, non siate al loro servizio, non siate al loro seguito, come sembra invece che voi siate e vogliate mantenervi. (Proteste al centro).

Una voce al centro. Ma se è Tito il primo provocatore di guerra!

TOGLIATTI. Vi sono potenze imperialistiche le quali sulla paura di una guerra, sul ricatto di una nuova guerra, sulla preparazione di una nuova guerra, fondano tutta la loro politica e le cui iniziative, anche se sono presentate sotto i manti più attraenti, coprono sempre una politica di preparazione alla guerra. Alla testa di queste potenze imperialistiche vi sono gli Stati Uniti, e noi reclamiamo da un Governo democratico italiano che esso mantenga la nostra indipendenza di fronte a questo paese imperialistico fomentatore di guerre. Questa è una delle condizioni di salvezza dell’Italia, questa è una delle condizioni della nostra indipendenza.

GIANNINI. Ci vuole l’unione europea. (Commenti).

TOGLIATTI. E non a caso sollevo la questione della nostra indipendenza nel momento in cui parlo della composizione del Governo e chiedo la creazione di un Governo il quale sia l’espressione di tutte le forze democratiche e repubblicane e di tutte le forze lavoratrici.

È inutile che l’onorevole Sforza metta la testa sotto il banco come lo struzzo. Anche noi abbiamo letto quelle interviste e dichiarazioni che qui sono state citate, e nelle quali è detto chiaramente che gli Stati Uniti non desiderano che il Partito comunista partecipi al Governo. Basta il solo fatto che la questione venga sollevata con chiari riferimenti a interventi stranieri nella nostra vita interna, perché la rivendicazione della partecipazione del Partito comunista al Governo d’Italia sia una rivendicazione di indipendenza del nostro Paese. (Vivissimi applausi all’estrema sinistra – Commenti al centro e a destra).

Non sarà mai né un Governo indipendente né un partito indipendente quello che accetterà da qualsiasi straniero una simile imposizione.

Una voce al centro. Voi a Mosca dite che la Russia è la vostra patria. (Rumori all’estrema sinistra).

TOGLIATTI. Noi rivendichiamo quindi, in primo luogo, da un Governo italiano il quale voglia effettivamente essere un Governo democratico, una politica estera indipendente; e condanniamo questo Governo perché non vediamo nella sua politica estera questa caratteristica fondamentale.

Nella politica interna, essenzialmente chiediamo che l’attività di tutti gli organi dello Stato sia volta a far fronte ad ogni tentativo e ad ogni minaccia – anche se lontana – di fascismo e neo-fascismo. Questo è oggi il compito di un Governo che voglia veramente essere rispettoso delle nuove istituzioni democratiche e repubblicane: non già quello di andar cercando se nei manifesti nostri si manchi di rispetto al Ministro dell’interno, per poi lasciare impuniti gli attentati che si commettono contro le organizzazioni dei lavoratori.

E quando scoppiano manifestazioni come quelle recenti, o come quelle che ancora sono in corso in Sicilia per la ripartizione dei feudi siciliani a beneficio delle masse lavoratrici, non è compito del Governo mandare la celere, le jeeps e i mitra contro i lavoratori i quali si son fatti promotori di rivendicazioni sociali che rispondono a un’esigenza altamente sentita in tutto il Paese: il compito del Governo è quello di essere alla testa di questo movimento, movimento sociale profondamente rinnovatore, che tende al progresso di tutta la Nazione. (Vivi applausi all’estrema sinistra).

Noi chiediamo, infine, che il Governo abbia una politica economica, sia essa più o meno pianificata, la quale nelle sue sostanziali misure sia diretta a impedire il crollo della nostra moneta, e sia diretta ad elevare il tenore di vita delle masse lavoratrici, combattendo la speculazione e prendendo in tutti i campi quelle misure che sono necessarie affinché questi scopi vengano raggiunti. È soltanto ad un Governo che soddisfi queste rivendicazioni che noi potremmo dare la nostra adesione.

Si comprende, quindi, quale è il significato della nostra richiesta di un nuovo Governo.

Un nuovo Governo vuol dire per noi una composizione governativa nuova, con un programma nuovo: con un programma di politica estera, di politica interna, di politica economica e finanziaria, che sia effettivamente nell’interesse delle grandi masse lavoratrici, di tutto il popolo, di tutta la Nazione. Un Governo simile io non so se sarebbe Governo di unità nazionale – anche questo rimprovero ci è stato rivolto: di servirci troppo di frequente di questo termine – un Governo simile sarebbe però certamente un Governo che avrebbe l’appoggio di tutte le forze democratiche e repubblicane del Paese.

Uscirà da questo dibattito un mutamento della attuale formazione governativa? Non lo so. Ogni Gruppo è posto di fronte alle proprie responsabilità. Di fronte alla propria responsabilità è posta però, prima di tutto, questa Assemblea. Questa Assemblea, in tutti i suoi partiti, deve dimostrare di saper comprendere quali sono le odierne esigenze fondamentali della nostra vita nazionale e di saperle sodisfare; e i partiti qui rappresentati, grandi e piccini, devono saper valutare quali sono le trasformazioni avvenute nello spirito pubblico dopo il 2 giugno e che le consultazioni elettorali hanno rivelato e riveleranno ancora una volta domani; devono saper comprendere quali sono i pericoli che minacciano la nostra indipendenza, la nostra libertà, la nostra moneta, il tenore di vita delle nostre masse lavoratrici, e far fronte a questi pericoli con uno sforzo unitario di tutte le forze democratiche e repubblicane.

Si metterà la nostra Assemblea su questa strada? Dimostrerà di saper comprendere queste esigenze? Dalla risposta che essa darà dipende il giudizio che il popolo darà dell’Assemblea. Non dimenticate, infatti, che per qualunque voto che qui venga dato vi è una istanza di appello, sempre: la consultazione del corpo elettorale; il popolo, chiamato liberamente a esprimere la propria opinione attraverso l’elezione dei propri rappresentanti.

Questo Governo si presentò promettendo che una delle sue cure principali, forse la principale delle sue cure, sarebbe stata quella di portarci, nel corso di questo autunno, alla consultazione elettorale, come mezzo radicale per risanare l’atmosfera politica. Era la prima delle promesse fatte da questo Governo; ed è stata la prima delle promesse non mantenute, contraddette, tradite (Commenti al centro – Proteste a sinistra).

Il problema rimane, onorevoli colleghi, qualunque sia il voto che tra poche ore qui verrà dato: il giudizio definitivo spetta al popolo italiano, che lo darà fra otto giorni a Roma, tra qualche mese in tutto il Paese.

Dimostri l’Assemblea Costituente di non essere in contrasto con lo spirito che prevale nelle grandi masse del popolo lavoratore, il quale aspira a un rinnovamento della nostra vita nazionale e della nostra attività governativa.

Quanto al nostro Partito, onorevoli colleghi, particolarmente da parte democristiana e da parte dei socialisti riformisti, stiamo assistendo a un curioso accentuarsi delle lotte contro di noi, delle polemiche contro di noi, delle calunnie contro di noi, (Interruzioni al centro) delle diffamazioni contro di noi, e di una tendenza alla persecuzione, per quanto ancora in embrione (e vorrei vedere che fosse diversamente con la forza che abbiamo!).

Vi ho detto altra volta (e qualcuno di voi ha finto di non capire cosa dicessi) che veniamo da lontano e andiamo lontano. E vi ho detto dove andiamo.

Una voce a destra. In Russia.

TOGLIATTI. Sì collega, noi vogliamo creare in Italia una società socialista. In Russia esiste una società socialista. Noi creeremo una società socialista secondo il metodo nostro, nelle condizioni obiettive del nostro Paese, tenendo conto di tutto quello di cui occorrerà tenere conto, come già abbiamo dimostrato di saper fare.

Noi consideriamo questa marea anticomunista, che da diverse parti si cerca di scatenare, con la più grande tranquillità. Siamo sicuri non solo del nostro passato, ma del nostro avvenire.

Vorrei leggervi alcune parole di uno dei nostri grandi, Federico Engels, scritte quando in Germania, contro il movimento socialista di allora, si scatenava pure una marea di insulti, provocazioni, calunnie e misure persecutorie contro il movimento socialista. Sapete che cosa rievocava quel nostro grande di fronte a questa offensiva? La storia del cristianesimo! (Commenti al centro).

«Sono passati quasi 1600 anni – scriveva egli – da quando nell’impero romano agiva ugualmente un pericoloso partito sovversivo. Esso minava la religione e tutte le basi dello Stato; negava che il volere dell’imperatore fosse la legge suprema» (e noi neghiamo, appunto che la legge suprema, sia la volontà dei plutocrati e dei capitalisti), «si estendeva in tutte le terre», «era internazionale», «aveva fatto per un lungo periodo di tempo un lavoro segreto, sotterraneo» (come l’abbiamo fatto anche noi, contro il fascismo), «ma già da parecchio tempo si sentiva abbastanza forte per mostrarsi alla luce del sole. Questo partito sovversivo, conosciuto con il nome di Cristianesimo, era anche fortemente rappresentato nell’esercito, intiere legioni erano cristiane» (come erano comuniste, nella loro maggioranza, le gloriose nostre unità garibaldine); «quando erano comandati per far servizio d’onore nelle cerimonie dei sacrifici della Chiesa di Stato… i soldati sovversivi spingevano la temerità sino a porre, sui loro elmi in senno di protesta distintivi particolari». «L’imperatore Diocleziano, non potendo assistere al modo come l’ordine e la disciplina venivano minate, prese delle misure energiche contro i socialisti, voglio dire contro i cristiani: le riunioni dei sovversivi vennero proibite, i loro locali chiusi…, i distintivi vennero proibiti… si proibì ai cristiani di domandare giustizia davanti ai tribunali. Anche questa legge eccezionale rimase senza effetto. I cristiani la strapparono dai muri per scherno. Si dice anche che essi abbiano persino incendiato il palazzo dove si trovava l’imperatore e allora questi si vendicò con le grandi persecuzioni dell’anno 303. Essa fu l’ultima del genere. E fu così efficace che diciassette anni dopo l’esercito era composto in grande maggioranza di cristiani e il successivo autocrate di tutto l’impero romano, Costantino, che i preti chiamano il Grande, proclamò il cristianesimo religione dello Stato». (Applausi).

Anche noi, onorevoli colleghi, abbiamo una grande fede e non vi è marea di calunnie, di accuse, di insinuazioni, di provocazioni e di misure poliziesche che possa scuoterla o sconfiggerla.

Una voce dal centro. Ma il capo di quegli altri è Cristo, figlio di Dio. Voi non l’avete.

TOGLIATTI. Non vi dico che andremo avanti, vi dico che già andiamo avanti sicuri di ogni nostro passo e del nostro successo finale. La causa della libertà, della democrazia, del socialismo per cui noi combattiamo è una causa di cui la vittoria è sicura. (Vivissimi applausi all’estrema sinistra – Moltissime congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Saragat.

SARAGAT. L’Assemblea è stanca. Deve sentire ancora il Capo del Governo, e deve votare. Sarò brevissimo. Innanzi tutto, il terreno della discussione si è spostato.

Qui c’è un problema di Governo, su questo mi voglio soffermare. Ho poco da aggiungere a quello che ho detto ed a quello che hanno detto gli altri oratori del nostro Gruppo. Noi neghiamo la fiducia a questo Governo e la neghiamo per ragioni economiche e per ragioni politiche.

Abbiamo detto che non potevamo associarci ad altre mozioni: abbiamo presentato anche noi una mozione di sfiducia; ed è su quella che votiamo. Quanto abbiamo udita da parte degli oratori del Governo a difesa della sua politica non ci ha convinti.

Noi, più che mai, pensiamo che la soluzione dei problemi che interessano oggi il popolo italiano, la si può trovare soltanto nel quadro di una economia seriamente controllata. Noi chiediamo l’economia pianificata. È su questo punto che voglio molto rapidamente intrattenere l’Assemblea.

Secondo me, si è fatta confusione da alcuni oratori intorno a questo concetto di economia pianificata. Anche l’onorevole Nitti, se non erro – nonostante la sua competenza – ha fatto confusione fra economia pianificata e controllata. L’economia vincolistica non ha nulla di comune con la economia pianificata. L’economia vincolistica pone remore, senza un criterio organizzativo, alla iniziativa individuale. Noi intendiamo per economia pianificata un’altra cosa, del resto come tutti coloro che si occupano di questi problemi in Europa.

Un’economia pianificata presuppone un punto di vista centrale per tutti i problemi nazionali ed è una economia che lungi dal porre remore alle iniziative individuali è, in molti casi, un incentivo per queste iniziative. Vorrei fare qualche caso, molto banale: c’è chi pensa, per esempio, che il giorno in cui il Governo si avvia per la strada dell’economia pianificata, il lustrascarpe all’angolo non potrà lustrare le scarpe se non giungono gli ordini dal Governo. Molti colleghi hanno denunciato il fatto che a Milano si stanno costruendo case di quindici vani a due milioni e mezzo il vano; questo vuol dire che c’è gente che può spendere 40 milioni per comprare queste case; vuol dire che ci sono in Italia energie umane, cemento e ferro che vengono impiegati per fare queste case di lusso, quando ci sono ancora dei villaggi distrutti che attendono la ricostruzione. L’economia pianificata servirebbe ad evitare tutto questo sconcio e ad avviare l’economia verso forme più redditizie ed eque per il Paese. L’economia pianificata non è altro che questo: un’organizzazione più razionale degli sforzi e nello stesso tempo un incentivo a perequare meglio il reddito nel nostro Paese ad evitare le iniquità che esistono in Italia tra classe e classe, tra ceto e ceto, tra regione e regione. È una cosa che ci pare stupefacente, che qui in Italia non si arrivi a comprendere, ciò che tutti i Paesi d’Europa comprendono. Noi sosteniamo questo criterio della pianificazione, che invece di spezzare le iniziative individuali le suscita nel Paese, ma nell’interesse collettivo, nell’interesse di tutti.

Voglio accennare brevemente all’aspetto politico del problema, che è quello che ci interessa di più. Questo Governo è un Governo che non può permanere, così com’è. Se anche dovesse rimanere così com’è, noi non potremmo accettarlo perché non risponde agli interessi del Paese. Ma c’è di peggio: questo è il Governo che, lasciato a se stesso, secondo la logica delle cose, dovrà spingersi verso destra. Questo è il problema che ci interessa di più in questo momento. Il problema come noi ora lo poniamo è di suscitare le forze sufficienti per spostare questo Governo verso sinistra. Qui sono state mosse a noi delle accuse, di volere non sappiamo quali esclusioni ed accuse di colpe che non sono nostre. La situazione è quella che è, il Governo è quello che è perché voi (Accenna alla estrema sinistra) avete fatto la politica che avete fatto durante tre anni. (Commenti a sinistra). Se aveste fatto una politica diversa non saremmo a questo punto. (Interruzioni a sinistra). Il problema obiettivamente posto è questo: riunire le forze concrete che possono ristabilire l’equilibrio spezzato dagli errori che voi avete commessi in passato. Questo è il punto fondamentale. Bisogna cercare di ristabilire l’equilibrio spezzato. L’onorevole Nenni si è rivolto alle forze di sinistra della Democrazia cristiana ed ha fatto un appello, appello che io apprezzo e che penso si possa fare. Esse hanno una seria responsabilità in questo momento. Ma io faccio appello ad un’altra forza che penso abbia una responsabilità maggiore in questo momento. Io credo che essa sia l’unica che possa determinare una situazione nuova in Italia: essa è costituita dalle forze del socialismo autonomo e qui dovrei veramente iniziare una polemica con l’onorevole Nenni e con l’onorevole Togliatti. Non lo farò, perché mi porterebbe lontano ed acuirebbe il dissidio esistente tra noi e loro. Ma c’è una cosa, che l’onorevole Nenni elude: il problema che in questa Europa contemporanea si pone in maniera dominante: il problema della libertà umana. (Applausi al centro – Proteste a sinistra).

C’è uno scrittore francese, che non è di parte socialista, ma è un uomo il quale ha seguito con entusiasmo la lotta operaia, che ha partecipato con tutto il suo spirito alla lotta per la Spagna repubblicana, il quale diceva una cosa, che voglio ripetervi, che forse non so se si capirà da quella parte (Indica l’estrema sinistra): «Nulla separa il socialismo dal comunismo, salvo qualche abisso». E quando vedo spalancarsi un abisso, come quello dell’altro giorno, che è l’affare Petkow, io ho il diritto di dire che l’abisso c’è. (Applausi al centro – Proteste a sinistra).

Ma io vorrei chiudere questa polemica inutile. Ci vuole oggi, da parte dei socialisti, un grande senso di responsabilità. Io so che la contradizione è nelle cose. Lo so, ma appunto per questo tu (Si rivolge a Nenni) avresti dovuto avere maggior senso di responsabilità, nei mesi passati, negli anni passati. Se la situazione è quella che è nel tuo partito e nel nostro, la colpa è tua. (Applausi al centro – Proteste all’estrema sinistra – Interruzioni del deputato Nenni).

Questi sono problemi che trovano la loro sede naturale in un Congresso socialista. Ma tu non hai creato un’atmosfera democratica nel seno dei tuoi congressi, di modo che noi ci siamo trovati stranieri in casa nostra ! (Interruzioni all’estrema sinistra – Interruzione del deputato Nenni).

Il problema oggi è questo: noi cerchiamo che si crei in questa Assemblea un raggruppamento di forze di sinistra, profondamente democratiche, per poter risolvere il problema di Governo. Io accetto quindi l’appello fatto alle forze della Democrazia cristiana di sinistra. Lo estendo ad altre forze, soprattutto ai socialisti autonomi di tutte le correnti. Vorrei fare un appello anche a loro per dire che è da un atto di coraggio dei socialisti che dipende in questo momento la salvezza del nostro Paese. (Applausi al centro).

(La seduta, sospesa alle 19.10, è ripresa alle 19.45).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Presidente del Consiglio dei Ministri.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Onorevoli colleghi, sono lieto di poter dare una notizia di pace sociale. Poco fa si è conciliata la vertenza delle terre incolte nel Lazio fissando una procedura di Commissioni conciliative e di ricorso eventualmente in ultima istanza al Ministero dell’agricoltura, come del resto è previsto per legge.

Così possiamo dire di avere evitato ogni pericolo di sciopero generale. (Applausi al centro). Aggiungo ancora che anche lo sciopero dei bancari è stato superato, cioè la minaccia dello sciopero a Roma e lo sciopero in attuazione a Livorno. Vi sono fortissime speranze, direi quasi la certezza, di concordare anche circa la vertenza dei tessili. Dandovi queste notizie di pacificazione sociale, io colgo il destro per ricordarvi una questione della quale in questo dibattito non si è mai accennato: non c’è stato forse mai Governo che, in così breve periodo, abbia mediato vertenze sindacali in così gran numero e con esito felice per la classe lavoratrice, come dal giugno a questa epoca. Ed io qui compio il dovere di ringraziare in modo particolare coloro che hanno partecipato alle trattative: per le ultime, specialmente il Ministro Segni, l’onorevole Marazza, il collega Fanfani; per le prime (quelle che trattavano il caro-vita), gli stessi oltre l’Alto Commissario per l’alimentazione. Io devo ricordare che fin dalla prima settimana di attività del nuovo Governo, prima ancora della presentazione alla Camera, già si erano iniziate conversazioni con la Confederazione del lavoro per la questione degli impiegati statali, e che queste trattative, che erano pure laboriose e che imponevano senza dubbio grossi carichi allo Stato, vennero concluse col concedere una media del 30 per cento di aumento, il che importò 62 miliardi di nuova spesa.

Pochi giorno dopo si deliberarono anche miglioramenti ai pensionati, in relazione agli stipendi, e ciò importò nove miliardi 700 milioni di spesa.

Una settimana più tardi si decise l’aumento delle pensioni di previdenza amministrate dalla Cassa depositi e prestiti, per 220 milioni.

Il giorno 20 agosto nuove misure per le paghe degli appartenenti alle Forze armate, per due miliardi e 200 milioni.

Si approvò, poi, nel Consiglio dei Ministri del 22 luglio, la deliberazione concernente i miglioramenti economici ai pensionati di guerra quattro miliardi e 600 milioni.

Se si somma il complesso di queste cifre e si unisce all’onere annuale il caro-vita, nei rispettivi scatti in favore degli statali, si arriva a dover far fronte ad una maggiore spesa di 122 miliardi e 720 milioni. Nello stesso periodo venne anche approvato il contratto della gente di mare.

Ciò non è proprio una prova che il Governo trascuri completamente le classi lavoratrici e, soprattutto, come mi è stato detto da qualche oratore, che il Governo eviti di intervenire nei conflitti di lavoro, ed eviti i contatti con la Confederazione del lavoro. I contatti con la Confederazione del lavoro vennero tenuti anche molto vivi ed intensi durante il breve periodo di vacanze ministeriali, nelle discussioni sopra i progetti della Confederazione per il caro-vita, e, in quelle discussioni, i nostri tecnici, in modo particolare l’Alto Commissario, ebbero occasione di dimostrare l’impossibilità di applicare, come è dimostrato dai censimento, il sistema differenziato per il grano.

Ciò non toglie che poi, in tutta la campagna di stampa, fino agli ultimi giorni, fino all’adunanza del 20 settembre, si continuò a dire che la soluzione per il grano è nel sistema differenziato. Ciò non toglie che la prova sia stata ripetuta dall’Alto Commissario, come chiarito in un discorso molto dettagliato, che però le opposizioni in genere hanno disertato; il che vuol dire che si continua a ripetere certe frasi e certi postulati, di cui si dimostra l’impossibilità di realizzazione. (Interruzione del deputato Di Vittorio). Caro Di Vittorio, lasciami dire che già con te abbiamo avuto occasione di esprimere i nostri pensieri.

Si deve osservare che in base a queste discussioni, subito dopo il Ferragosto, ci fu una serie intensa di Consigli dei Ministri per affrontare il problema del caro-vita e per vedere cosa si potesse fare.

Abbiamo affrontato prima di tutto la questione dei cereali e ci siamo trovati dinanzi ad una dura realtà, che avevamo bisogno di importarne per 48 milioni di quintali. Tuttavia, in questo periodo, non è che abbiamo dimostrato una qualche idea pregiudizialista contro il sistema differenziato, – infatti abbiamo applicato il trattamento differenziato per l’olio e lo zucchero. Di più per la prossima campagna granaria, avremo la possibilità di applicare il trattamento differenziato anche per il grano, cioè per quel contingente che verrà vincolato dallo Stato, perché una delle categorie, e forse anche due categorie previste, potranno, sodisfare le loro esigenze sul mercato libero.

C’è quindi una concezione, un programma, un piano – se così volete chiamarlo – molto chiaro, che è risultato da studi, da elaborazioni, da discussioni. E qui io avrei desiderato che la Camera – approvi o condanni questo Governo – avesse affrontato sul serio i problemi economici, perché il Paese ed il nuovo eventuale Governo sappiano quali sono le difficoltà che si debbono affrontare e sappiano, soprattutto, che è assolutamente necessario che noi si importi del grano, ed in misura notevole, se non si vuol diminuire la razione.

In quelle discussioni, abbiamo anche tracciato un piano – la parola ormai è di moda – per cui occorrono contributi dall’estero. Avete anche sentito parlare di un trattato con l’Argentina ed io vi posso dire che proprio questa mattina è arrivato un telegramma che annuncia che è stato siglato. (Commenti). Avete sentito parlare del prestito con il Canada, avete sentito parlare delle trattative con la Banca delle esportazioni ed importazioni e delle trattative della Banca internazionale di cui si è occupato il Vicepresidente Einaudi a Londra.

Già in queste trattative si manifesta un programma di approvvigionamento e di finanziamento, che ha di necessità richiesto il consiglio di tecnici e la deliberazione di tutti i Ministri. E il Governo ha preso le sue responsabilità per questa strada.

Anche per i prezzi, abbiamo studiato il problema e siamo addivenuti alla conclusione che, con quell’organismo che possediamo, non siamo neppure in grado di diminuirne o di attutirne le punte estreme se prima non si istituisce una specie di camera di consumo, donde nascano convinzioni discusse e meditate e se, in secondo luogo, non avremo in precedenza disposto un corpo di ispettori, accertatori, i quali stabiliscano i costi tanto della materie prime, quanto della produzione.

Questo solo può essere un elemento indispensabile por poter agire sui prezzi. Certo è che noi ci troviamo dinanzi ad una grossa questione. La questione è che le importazioni di grano e di carbone vengono dall’estero e vengono anche dall’estero altre importazioni di materie prime, i cui prezzi all’estero aumentano. Quindi anche se dall’interno non ci fosse quella spinta che c’è all’aumento, noi dovremmo ugualmente subire questo aumento, che ci viene dal di fuori.

Oltre a ciò, siamo sotto uno sforzo notevole per inserirci nell’equilibrio mondiale della moneta.

In quelle sedute abbiamo anche dato delle garanzie solidali e non più ausiliarie dello Stato, fino al 70 per cento, per il finanziamento degli enti di consumo. Questo rende possibile ai comuni di esigere questo fido in quanto che il 50 per cento è garantito nella stessa misura da parte dello Stato.

L’onorevole Togliatti prima, l’onorevole Lizzadri poi, hanno detto che il Governo non fa nulla per i lavoratori.

Ora, giudichi l’Assemblea: dal 2 giugno al 2 ottobre, per i provvedimenti presi in materia di aumento delle pensioni della previdenza sociale, aumento degli assegni familiari, delle prestazioni per infortunio e malattie e di integrazioni salariali, di aumento delle indennità di disoccupazione et similia, il Governo ha imposto un trasferimento di ricchezza dagli abbienti ai lavoratori, per il periodo dal luglio 1947 al giugno 1948, di oltre 80 miliardi di lire. Ho qui i dati, naturalmente in dettaglio; e la loro somma porta a questo risultato.

Se, accanto alle critiche, accanto agli attacchi e alle accuse di insufficienza politica, o di insufficienza dei provvedimenti economici, ci fosse stata nella stampa avversaria anche qualche considerazione, qualche notizia di questi provvedimenti, non mi lagnerei. Ma in realtà una certa stampa – è inutile che la nomini – pregiudizialmente esclude qualsiasi notizia concreta, positiva, che possa, per caso, sembrar utile, o che possa sembrare in favore della politica del Governo. Ecco perché ci siamo trovati dinanzi ad un’agitazione, dopo la costituzione del nuovo Governo, di cui poche volte abbiamo avuto l’esempio. Io sono stato subito descritto come il «cancelliere», ogni provvedimento del Governo ignorato, tentativi di impedirci la parola, tattica di esasperazione dei conflitti; sospetti sul Governo nero, reazionario, che fosse – come diceva il mio ex collega Morandi – prono al capitale e sordo alle sofferenze dei lavoratori; sospetti su ogni negoziato in America, sospetti sul piano Marshall; accuse di essere affamatori, in tutte le piazze.

Qualcuno, mi pare l’onorevole Labriola, ha portato l’esempio di Giolitti, il quale si rideva di quello che stampavano e delle figure che comparivano su un giornale umoristico; ebbene, dei giornali umoristici non mi interesso, ma della propaganda sulle masse, della suggestione sulle masse, su certe masse, alle quali non ci riesce di far arrivare una parola di verità o di conciliazione, questa sì, dico, è una situazione che in Italia dovrebbe cessare. (Applausi al centro – Commenti a sinistra).

DUGONI. Create il Ministero della stampa e propaganda!

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Credete, egregi avversari, io non pretendo troppo dalla stampa avversaria: riconosco che l’Avanti! deve scrivere come l’Avanti! e l’Unità come l’Unità; però se davvero c’era in loro il desiderio di ricostituire una coalizione, una maggioranza, una collaborazione come era stata nel passato o simile a quella, in ogni modo una collaborazione con la Democrazia cristiana, cogli uomini che la Democrazia cristiana ha mandato a questo Governo, si doveva evidentemente seguire un’altra tattica, perché la tattica del ricatto, della pressione pubblica per farci mettere in ginocchio, a terra, e farci accettare una collaborazione a qualunque prezzo, questa tattica non riesce assolutamente quando un partito ha la propria dignità da difendere. (Applausi al centro).

Non crediate che tutto questo sia avvenuto semplicemente per esuberanza o esasperazione di masse non organizzate. La circolare del 16 agosto dell’onorevole Togliatti, che dice: «Noi intendiamo per opposizione un seguito – questa è la circolare interna, un’enciclica entro il partito – di agitazioni, di lotte, di natura sia economica che politica, le quali portino a manifestare la loro opposizione al Governo ed a schierarsi contro di esso la parte importante della popolazione. Ciò che si è fatto è stato quasi esclusivamente di natura sindacale. Sono mancati agitazioni e movimenti legati a motivi di altra natura. La nostra opposizione al Governo mantiene, quindi, per ora, un carattere più verbale che di lotta». Dico che questo…

TOGLIATTI. Questo è democrazia!

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Questo è democrazia, ma non democrazia parlamentare. (Proteste a sinistra). Comunque, onorevole Togliatti, se questa è democrazia, è certo che per lo meno non è democrazia di collaborazione o democrazia che possa fondarsi sulla collaborazione. (Interruzioni a sinistra).

Una voce a sinistra. È opposizione.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Anche l’opposizione può contribuire al progresso sociale e politico quando si tenga entro certe linee che evidentemente salvaguardino la verità e la coscienza.

Una voce a sinistra. Come diceva Mussolini..

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Dei pareri di Mussolini non sono responsabile.

Io non voglio dire che i movimenti siano stati senz’altro politici; senza dubbio gli scioperi e le vertenze sindacali hanno, la maggior parte, un’origine ed un contenuto sindacali; però è un fatto, che da giugno al settembre gli scioperi furono in continuo aumento: 287 nel giugno, 215 in luglio, 259 in agosto, 400 in settembre, fino al 18 settembre!

Una voce a sinistra. Come l’aumento dei prezzi.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. In complesso abbiamo avuto in questo anno 2617 scioperi con 4.851.523 scioperanti.

Badate, di scioperi ne ho diretti anche io e non ho nessuna pregiudiziale contro lo sciopero di per sé, come misura di difesa sindacale. Però lo sciopero continuo, intensificato, come arma ordinaria, non solo si spunta per ottenere l’effetto contrario, ma in ogni caso crea una tale irrequietudine che assume un aspetto politico. Ci pensino coloro che devono pur tener conto anche dell’impressione che si produce al di fuori di qui, dell’impressione che possono avere coloro che hanno volontà di lavorare e di far lavorare, e ci pensino soprattutto per la produzione!

Ammessa e sancita nella Costituzione la libertà di sciopero, nella stessa Costituzione è però prevista anche la regolamentazione dello sciopero; è necessario che si arrivi a dare carattere di diritto pubblico alle organizzazioni sindacali per poter creare una procedura, che renda lo sciopero non uno strumento ordinario, ma solo eccezionale della lotta sindacale, ed è evidente che quando essi sono troppi e frequenti, non hanno più tale carattere. (Interruzioni a sinistra).

Si deve arrivare all’arbitrato! Una volta abbiamo proposto in Consiglio dei Ministri, al Ministro del lavoro, di presentare un progetto di legge sull’arbitrato, e lo aveva anche elaborato, ma è venuto il veto dal di fuori.

Ora, io credo che, se non saremo più in grado, noi, come Assemblea Costituente, di fare una simile legge, dobbiamo metterci d’accordo tutti nei prossimi Parlamenti, nelle prossime Camere, per affrontare questo problema che salvaguardi la libertà dello sciopero, che non conduca ad una coazione sotto una sentenza di giudice, ma che almeno faciliti l’arbitrato e la soluzione arbitrale.

Riguardo alla collaborazione della Confederazione del lavoro, ne abbiamo avuto molta. Ne avremmo avuta di più se, dopo le discussioni che si facevano molto amichevolmente fra rappresentanti della Confederazione del lavoro e rappresentanti del Governo, non ci fossero stati dei giornali i quali inquinavano tutte queste discussioni con un veleno politico, rendendo difficile la cordialità che è necessaria, quando le difficoltà sono grandi e si devono superare con un tono di amicizia. Mi auguro che la Confederazione diventi forte, che rimanga unitaria, ma deve assolutamente essere fuori dei partiti, deve essere indipendente da qualunque partito. Allora si potranno citare le Trade Unions qui, come si è fatto in Inghilterra, perché c’è un contributo laburista che è superiore alle divisioni politiche. Allora sì che la Confederazione potrà essere una forza che nessuno toccherà e che i nostri dissensi politici non metteranno in pericolo (Applausi). Voi troverete, egregi avversari, o avete già trovato per bocca di Nenni, che io esagero quando mi lamento del contegno dei giornali, di qualche manifesto, ecc. Qualche? Presentatemi la raccolta dell’Avanti! e trovatemi un numero in cui non si attacchi violentemente il Governo, un solo numero! (Commenti a sinistra). Dico questo, egregi colleghi, perché è un’analisi clinica che potrà farci del bene, ma voi dovete persuadervi che questo sistema di agitazioni politiche crea un’atmosfera impossibile alla collaborazione di Governo.

Una voce a sinistra. È democratico.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Se è democratico, vuol dire che non è della nostra democrazia. (Applausi al centro). Esempi ne abbiamo avuto nei passati Governi e non è, come ha accennato l’onorevole Nenni, che io mi sia lagnato qualche volta di qualche contraddittorietà. No, mi sono lagnato sempre dopo aver tentato in ripetuti regolamenti, convenzioni, gentlemen’s agreements, ecc.; dopo aver tentato tutto questo, mi sono lagnato in modo definitivo, quando il tripartito si è sciolto. È così vero che questa esasperazione della lotta politica alla periferia crea imbarazzo ai parlamentari che usano una tattica più prudente, che Togliatti, in quella circolare che ho accennato continua a dire, lamentandosi verso i comunisti che trattano troppo male i democristiani: «la maggioranza del partito ha praticamene ignorato la direttiva che tendeva ad impedire che si creasse un abisso fra noi e i democristiani ed inh particolare fra le nostre masse e i democristiani. Insensibilmente il partito tende a scivolare nel terreno della lotta aperta e violenta contro la Democrazia cristiana e le sue masse. Così avviene che la nostra propaganda perde ogni capacità di attirare le masse dalla Democrazia cristiana ed anche dalla destra reazionaria, che ha tutto l’interesse che non ci sia alcun contatto di nessun genere, ma solo lotta aperta fra noi e i democristiani». (Commenti a sinistra).

Io non voglio ripetervi quello che mi è stato detto, ripetutamente, anche durante l’ultima crisi e quello che è stato detto qui, da questo banco, da questo posto, in risposta alle accuse che mi sono state mosse nell’ultima crisi. È inutile che ripeta le stesse cose e le stesse prove e faccia le stesse affermazioni perché voi le negate ostinatamente o ripetete la stessa versione.

Comunque, guardiamo pure l’avvenire. L’esperienza, a me che sono stato per tre anni collaboratore dei socialisti e dei comunisti, e prima ancora dei liberali nei Governi dei Comitati di liberazione o nei Governi tripartitici, a me l’esperienza ha portato questi risultati: fino a che la meta rimane la conquista del potere, sia pure attraverso le elezioni, ma conquista del potere mediante un patto d’azione tra i due partiti che si trovano in posizione di particolare privilegio in confronto del terzo partito; fintanto che dura questa situazione, è assolutamente impossibile che un partito rischi il suo credito e un Governo non si svaluti in una situazione di contradizioni che si manifesta soprattutto non nell’interno, – perché nell’interno di un Consiglio ci si trova quasi sempre fra uomini ragionevoli – ma nelle lotte e nei riflessi che le divergenze generano nella stampa nella pubblica propaganda. Può essere, e mi auguro, egregi colleghi, che quando sarà combattuta la battaglia elettorale e quando saranno decise le maggioranze, la situazione cambi. Può essere. Mi auguro sia così. E quando abbiamo fatto questo Governo speravamo che le elezioni avrebbero potuto esser fatte al più presto. (Commenti a sinistra).

Questa marcia comune dei socialisti e comunisti, la quale si richiama naturalmente allo stesso movimento psicologico, alle stesse origini marxiste, fino alla dittatura del proletariato, questa marcia rende sospetta e difficile ogni attività. (Interruzioni a sinistra).

Una voce a sinistra. Si potrà arrivare alla democrazia.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Si potrà arrivare a una «democrazia» non occidentale, chiamiamola così; ma questa è un’altra cosa. (Applausi al centro – Commenti a sinistra).

Il bloccardismo, che si poggia non su una confluenza d’interessi proletari – perché certo bloccardismo manifesta un campionario di gradazioni sociali molto variopinte – ma su un certo bloccardismo massonico di vecchia maniera, è la seconda caratteristica che ha reso impossibile la continuazione dei Governi tripartiti o simili.

Lo so, l’amico onorevole Macrelli propone la ricostituzione di un Governo su larga base, senza nessuna esclusione a sinistra: mettendo però – e lui l’ha sentito per l’esperienza che ha fatto nel passato – delle condizioni che permettano di dire: «a patto che ci si dia una stretta di mano fra galantuomini e si cambino i metodi passati». A queste condizioni, se potessi averne la fiducia, lo farei; ma disgraziatamente ho perso la fiducia prima che voi la togliate a me. (Applausi al centro).

Tutti coloro che credono che un simile Governo significherebbe la pacificazione in un periodo elettorale, si ingannano. È una illusione; e quindi credo che il rischio non meriti la candela.

È assolutamente necessario che si cambi metodo.

Una voce a sinistra. È già cambiato.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Come volete!

Io ho sentito il discorso dell’onorevole Nenni che mi ha scombussolato. Mi sono fatto portare subito il testo della mozione per vedere se avesse proposto la fiducia invece che la sfiducia, considerato il tenore, il tono e l’invito che proveniva dalle labbra dell’onorevole Nenni. Ho trovato che il testo è ancora quello.

Ma come volete che noi accettiamo questi inviti singoli, che saranno anche sinceri come espressione dello stato psicologico di un determinato momento, quando poco prima un altro collega, l’ex Ministro onorevole Morandi, ci ha accusato semplicemente d’esser sordi alle sofferenze del popolo e proni al capitale? E quando un altro ex collega ha avuto la perfidia d’insinuare che la scelta dei Ministri fu fatta per far piacere all’industria del Nord contro gli interessi del Mezzogiorno? (Proteste a sinistra – Interruzione del deputato Musolino). Io aggiungo un’altra ragione che riguarda la contingenza storica. Ditemi: come avremmo potuto fare a deciderci subito alla partecipazione alla Conferenza di Parigi ed al «Piano Marshall» se fossimo stati nel tripartito ed avessimo avuto dentro i rappresentanti di quell’opinione che si manifesta nei giornali assolutamente contraria al piano Marshall ed a tacitare l’invito dell’O.N.U.?

Togliatti ha affermato, ed io stesso lo dico, che ci sono nelle linee generali della politica estera delle differenze talmente approfondite che la collaborazione in un momento in cui la politica estera è anche politica interna ed economica, è inefficace, contraddittoria ed è tempo perduto. (Applausi al centro – Commenti a sinistra).

TOGLIATTI. L’ambasciatore americano…

DE GASPERI, Presidente del Consiglio. Voi sentite le interruzioni di Togliatti? Potete immaginare che io possa sedere ad uno stesso tavolo con lui che dice: sarà l’ambasciatore americano, ecc., ecc.? (Applausi al centro e a destra).

Riguardo alla politica estera, poiché ci siamo, debbo osservare la facilità con la quale Nenni è passato sopra alla decisione americana che ci è stata ufficiosamente comunicata questa sera, dicendo che era una cosa scontata, perché si sapeva benissimo che l’America e la Gran Bretagna avrebbero, ecc., ecc. Io dico: 1°) dell’Inghilterra non sappiamo nulla; 2°) l’America aveva espresse le sue intenzioni: me l’aveva detto personalmente Truman, come ha ricordato il Ministro Sforza, ma altro è il dire altro è prendere una decisione. E la decisione, evidentemente, si poteva prendere solo dopo la ratifica del Trattato di pace da parte nostra.

Dovrei anche aggiungere, ma non voglio inasprire la polemica, una considerazione che si potrebbe fare circa la nostra ammissione all’O.N.U.

PERTINI. Mi pare che di asprezza ce ne sia abbastanza.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Sì, è vero, ce n’è abbastanza, ma noi avevamo diritto di entrare nell’O.N.U., perché fra l’altro, nell’introduzione di quel Trattato di pace che noi abbiamo firmato c’è l’impegno di tutti e quattro gli alleati. Noi avevamo questo diritto e nessuno poteva togliercelo senza mancare fede a quell’impegno del Trattato. (Vivi applausi al centro e a destra – Commenti a sinistra). Io dico soltanto che se ciò è accaduto, è avvenuto per la combinazione di altre situazioni che non ci riguardano. Io non voglio emettere nessun giudizio su coloro che questa decisione hanno preso. Però permettetemi di meravigliarmi, che quando si parla dell’O.N.U., da quella parte ci si lanci contro il Governo come quella colpa fosse nostra, e da quella parte non si dica una parola di coloro che hanno impedito il nostro ingresso. (Applausi al centro e a destra – Commenti a sinistra).

L’onorevole Togliatti mi ha detto che da un certo mio discorso è cominciata la mia avversione al comunismo e che farò tanta strada: fino a divenire neo-fascista. (Interruzioni a sinistra).

Ora io debbo dichiarare molto nettamente: i contrasti tra la dottrina nostra e quella comunista sono profondi; erano sempre stati profondi.

Ciò non ci aveva impedito, con un programma di azione ben chiarito, di partecipare al Governo e di collaborare insieme per il bene del popolo italiano, sia per la forma dello Stato, sia per altri progressi sociali. Ciò non ci impedirà nemmeno domani, se questa sarà una necessità parlamentare, di tornare a simile collaborazione, dopo le prossime elezioni; (Commenti a sinistra) però ad una condizione: bisogna, che sia ben chiaro, e che sia chiaro nella prassi, che i partiti, di qualsiasi colore siano, devono sottoporsi alle regole convenzionali della civiltà nazionale, alla quale dobbiamo subordinare tutto. E questi principî convenzionali, queste mete, si chiamano: libertà e democrazia. E questo deve essere non detto, ma provato nel programma, nel contegno, nello schieramento di battaglia, nella propria azione nel Paese. (Applausi al centro – Commenti a sinistra).

Una voce a sinistra. Siamo noi che abbiamo dato questo esempio. (Protesta al centro).

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. L’onorevole Pajetta, in quella parte di discorso che ho ascoltata, ha detto, a proposito dell’onorevole Giannini: «Tante cose si sono cambiate in Giannini, ed un po’ – egli ha aggiunto – forse egli è stato aiutato anche da noi comunisti, cioè dalla sua opposizione». Non so se questo sia vero, ma io applico questa didascalia ai rapporti fra noi e i comunisti. Vedano di cambiare parecchio nei loro sistemi, e se possiamo, con la stessa posizione che ha tenuto il Partito comunista contro i qualunquisti, anche noi cercheremo di aiutarli perché mutino questo loro costume. (Commenti a sinistra).

TOGLIATTI. Cerchi di mantenere fede ai suoi impegni!

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. «La terza via», come sapete, è il titolo di un libro famoso di Röpke, che è un liberale famoso, ed alle sue idee si sono ispirati alcuni discorsi dei liberali, quello di Crispo e quello di Cortese, nel presente dibattito. Vi sono delle idee che sono molto vicine a noi, che vi sono dappertutto in tutti i settori (bisogna augurarselo), negli adattamenti alle necessità della vita, nelle confluenze necessarie, anche là dove le origini sono contraddittorie.

Saragat di questa terza via ha stabilito la pietra miliare: difesa della pace, libertà, lotta contro la miseria. Crediamo anche noi di essere su questa linea. Ma egli ha dato particolare rilievo alla pianificazione, e stasera ha spiegato un po’ meglio, sicché non ho molte difficoltà a giungere alla interpretazione di questa parola. Io vi faccio soltanto osservare che il congegno di programmazione – perché a questo si riduce la pianificazione nel senso indicato da Saragat – esiste nel Governo: è il C.I.R., è l’organismo dello studio e dell’applicazione dei problemi economici, che segue una certa direttiva e costruisce un certo piano. Abbiamo creato poi il Comitato delle meccaniche, anche come strumento di pianificazione in confronto di una industria che alimenta 650 mila operai e quindi rappresenta una delle industrie di maggiore speranza, ma oggi di maggiore imbarazzo dell’Italia. Anche noi cerchiamo nella nuova forma, che abbiamo dato alla legge sui prezzi e soprattutto nella sanzione degli incettatori, di creare degli organismi, degli strumenti per potere veramente programmare la nostra attività di Governo nel campo economico, rispondendo anche alle esigenze di coloro ai quali ci rivolgiamo per prestiti o investimenti in Italia. Non è dunque che si tratti di cosa nuova, si tratta evidentemente di perfezionare, e sono il primo a dire che dal primo Governo ad oggi molte modificazioni sonò state fatte, ma non sono ancora sufficienti. Si tratta di coordinare programmi che già esistono e quando si parla di programmazione non bisogna dimenticare che abbiamo un programma di gestione, di finanziamento e di costruzioni ferroviarie che è elaborato fin nei maggiori dettagli. In questo primo periodo le funzioni stimolatrici dei premi di maggiore rendimento, che salgono ad oltre 2 miliardi e 300 milioni, hanno portato a far lavorare gli stessi ferrovieri per un traffico aumentato del 15 per cento di quello anteriore. Gli aumenti dei costi dei trasporti, l’aumento delle tariffe (badate, nonostante tutto quello che si è detto, sono ancora otto volte minori a quelle della Svizzera, quattro volte nei confronti della Polonia, Danimarca, Francia; sei volte minori della Svezia, del Belgio, ecc.) corrisponde a un certo programma che ha una meta e ormai, è in vista il pareggio del bilancio di esercizio delle Ferrovie dello Stato nel prossimo anno finanziario 1948-49 e si è in pieno fervore di ricostruzione. Poi c’è il piano di ricostruzione delle ferrovie, per cui abbiamo fissato 175 miliardi da dividersi in 3 esercizi e che nel 1950-51 dovrebbe essere coronato dal successo.

Un altro piano è quello delle bonifiche. Si e fatto accenno da qualcuno alla bonifica, alle migliorie.

Anche qui noi abbiamo il piano, abbiamo il progetto fin nel dettaglio, ma il ritardo nell’applicazione è dovuto a mancanza finanziaria e non a mancanza di programmazione, o a difetto di studi necessari per l’attuazione delle bonifiche. Ma è certo che abbiamo piena coscienza che specialmente per il Mezzogiorno, occorre provvedere in quanto è necessario equilibrare una fatale deficienza che avviene quando cerchiamo in qualche misura di sostenere l’industria meccanica del Nord, e conguagliare le esigenze del Mezzogiorno. Per queste ragioni che d’altra parte non sono essenziali, – l’essenziale è che si deve combattere la disoccupazione ed aumentare la produzione – un programma dettagliato è pronto per l’esecuzione; è ormai fatto.

Si tratta solo di potere aumentare i fondi messi a disposizione del Ministero dell’agricoltura, perché le bonifiche delle Puglie, della Basilicata e della Sardegna – circa 700.000 ettari – possano sul serio venire condotte avanti. A proposito dell’I.R.I., da quando siamo entrati in questo Governo con questa formazione abbiamo fatto un passo notevole, mi pare, perché abbiamo incaricato un uomo fuori dei partiti, un tecnico, di studiare tutte le possibilità entro l’I.R.I. dirigendole, per portarci delle proposte concrete, proposte che in parte ci ha portato e che in parte completerà entro 15 giorni o 3 settimane; progetti e proposte che verranno studiati dal Comitato di ricostruzione e poi verranno applicati con questo scopo: mantenere tutto quello che è vitale, mantenere tutto quello che è chiave degli interessi collettivi, liberarsi del resto, perché, altrimenti, tutto cade in rovina, e la situazione a questo riguardo è molto seria.

Se aveste assistito ad una conferenza che ho avuto qui, subito dopo la prima seduta, con i rappresentanti della Camera del lavoro e delle banche e degli industriali di Milano voi avreste avuto la conoscenza e, direi, l’angoscia dell’asprezza di questo problema. Essi venivano a dirci: «Non vogliamo l’inflazione, non vogliamo che lo Stato stampi per dare denaro agli industriali; vogliamo altre riforme, altre forme di credito». E noi su questo ci siamo scambiati delle idee ed abbiamo avviato trattative; ma si vedeva l’angoscia degli stessi operai, che sanno cosa voglia dire l’inflazione (Commenti a sinistra) e sanno che, se ci mettiamo su quella strada, anche per esigenze giuste, non faremmo gli interessi della classe operaia.

Io sono persuaso che, nonostante tutto quello che scrivete voi, se ci fosse data la possibilità di parlare serenamente agli operai, di dir loro che il loro destino è legato a questa migliore amministrazione dello Stato, a queste riforme, a questa prudenza che abbiamo introdotte, siamo persuasi che essi ci direbbero sì e sarebbero pronti ad accettare questa disciplina. (Applausi al centro e a destra).

Certo che nel campo della programmazione, della pianificazione in genere, dell’applicazione dei rimedi economici, la collaborazione non è mai abbastanza. Noi abbiamo dimostrato sia nelle trattative per il piano Marshall, sia nelle trattative per la Banca Internazionale, sia nel Comitato per le industrie meccaniche, che cerchiamo la competenza anche al di fuori del Governo e anche in partiti che votano contro il Governo, dimostrando con ciò la nostra volontà di chiamare tutte le forze competenti per poter riuscire a superare queste grandi difficoltà che travagliano il nostro Paese.

Questo è il criterio che abbiamo applicato, anche quando si trattò di concludere accordi commerciali e anche quando si tratta di inviare consoli o rappresentanti diplomatici. Questo criterio va seguito e va allargato, in questo senso, che nel momento in cui le difficoltà sono così gravi, bisogna chiamare tutti gli uomini a bordo.

Ed ora mi rivolgo in particolare all’amico Giannini. (Commenti). Si è fatto molto rumore intorno al suo discorso, ma mi è parso che Giannini stesso abbia preventivamente dato il giusto significato alle sue conclusioni, quando ha detto qui e poi ha stampato sul suo giornale queste parole:

«Si è parlato di trattative fra il mio partito e la Democrazia cristiana, o fra il mio partito e il Governo. Non crediamo che il Governo possa fare trattative sotto l’assillo del voto; non sarebbe morale. Noi ci sentiremmo di essere imbarazzati a dire all’onorevole De Gasperi: vogliamo questo in cambio dei nostri 33 voti. Non sappiamo De Gasperi con quali parole ci risponderebbe, ma noi sappiamo le parolacce che diremmo al suo posto».

Credo di avere interpretato il significato delle sue dichiarazioni secondo questa sua premessa: le sue dichiarazioni sono postulati programmatici, non condizioni di voto, le quali non mi vennero poste né da questo, né da nessun altro partito. Con nessun partito, durante queste trattative, ho voluto avere negoziati, per la ragione semplice che un uomo di cui si mette in dubbio la capacità di governare e contro il quale si muove in triplice assalto un voto di sfiducia, si mostrerebbe veramente ridicolo, se cercasse di superare le difficoltà con misure che riguardano semplicemente l’atteggiamento di un voto o di un Gruppo. (Applausi al centro).

Ma quando egli fra i postulati chiede una politica di pacificazione e di disarmo civile io gli rispondo: d’accordo. Abbiamo già, dopo la concessione dell’amnistia del 1947, ritenuto necessario ritornare alla normalità nell’amministrazione della giustizia e abbiamo disposto, con decreto 26 giugno, la chiusura delle Corti d’assise speciali, fissando un breve termine per la definizione dei lavori pendenti.

La nostra è dunque una identica finalità di pacificazione. Stanno a dimostrarlo il provvedimento già elaborato relativo all’epurazione e al riconoscimento del diritto degli anti-fascisti esonerati, sotto il cessato regime, per ragioni politiche. Con detto provvedimento, che sarà presentato alle Commissioni legislative di questa Assemblea, il Governo, considerando che di fronte al compito immane della ricostruzione è indispensabile l’unione di tutti gli sforzi in una concorde ed operosa volontà di rinascita, ha limitato i casi di procedimento di epurazione agli addebiti di notevole gravità e alla responsabilità di coloro che hanno gradi più elevati nella gerarchia statale e che assunsero posizioni non compatibili con la permanenza del rapporto di impiego.

Quando poi egli parla di direttiva liberale democratica in economia, penso che egli voglia dire che la meta deve essere il ritorno alla libertà e che non chieda che da oggi a domani si lascino cadere tutte le discipline, senza una certa graduatoria e senza sostituirle con mezzi efficaci per arrivare alla libertà.

GIANNINI. Al più presto possibile.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Ed ecco che la misura che noi abbiamo preso nel campo del grano corrisponde proprio al vostro postulato; noi andiamo verso la libertà, ma abbiamo bisogno, in un primo esperimento, che gli agricoltori producano e ci consegnino quei tanti milioni di quintali di grano che sono necessari per le classi più povere.

Poi verrà la libertà, se gli agricoltori faranno il loro dovere. E ripeto qui quello che ho detto in una assemblea di tecnici agricoli: non è che io non sappia – come è stato stampato più volte – scegliere tra vincolismo e libertà. No; io credo che questo esperimento vada fatto e che sia il migliore che si possa fare. Ma certamente, se non corrisponderà la solidarietà degli agricoltori e se l’egoismo – ed io spero che ciò non sia – di alcuni ci farà naufragare questo progetto, io vi domando: che cosa rimarrà più a un Governo qualsiasi che dovrà legiferare in quel momento, se non ricorrere a misure più drastiche?

Ma allora saranno proprio coloro che avranno chiesto la libertà, che si saranno tirati addosso questa misura di vincolismo. (Approvazioni al centro – Commenti a sinistra).

L’onorevole Nitti ha rilevato l’importanza dei ceti e dei partiti medi. Lo riconosco; riconosco che non basta avere una massa di elettori, riconosco che non basta avere un’organizzazione perfezionata e valersi del sistema elettorale per portare nei Parlamenti una numerosa rappresentanza dei partiti di massa.

Bisogna augurarsi che nei Parlamenti entrino anche delle personalità che, con il loro ingegno, con le loro qualità, compensino eventualmente le debolezze del numero. Io vedo quindi con speranza, e non con avversione, che accanto ai partiti di massa entrino a far parte della Camera anche i rappresentanti di quei ceti medi, i rappresentanti di quei gruppi che valgano a dire una parola di serenità come ieri l’ha pronunciata qui l’onorevole Nitti.

Noi questo Governo lo abbiamo definito l’altra volta: è un Governo di necessità. Lo sappiamo che questa non è una situazione normale; ma che cosa c’è di normale oggi nel Paese, onorevoli colleghi? Nelle difficoltà enormi di carattere economico, nei nostri rapporti con l’estero, ditemi voi se non è stata una fatalità che in quasi tutti i campi si sia dovuto ricorrere troppo spesso a degli espedienti?

Questo è un Governo di necessità perché Governi di grande coalizione allora – e l’onorevole Nitti lo sa – non si son voluti fare all’infuori della mia persona; e quindi è inutile che poi si sia andati tanto a decantare l’ingiustizia che io avessi tutto organizzato per diventare Cancelliere e per imporre non so che restrizioni della libertà. (Commenti a sinistra).

È inutile che si suggestioni la folla perché questa mi impedisca di parlare sulle pubbliche piazze. Questo diritto me lo sono Conquistato e me lo difendo: il diritto di parlare a nome del popolo, e di parlare alla coscienza del popolo direttamente, (Applausi al centro e a destra – Commenti a sinistra).

Sono d’accordo con l’onorevole Nitti quando parla di libertà di elezioni. Senza dubbio, qualsiasi Governo che sarà al potere in quel momento dovrà garantire l’assoluta libertà delle elezioni; cosa relativamente facile col sistema presente, perché gli intrugli che facilmente avvenivano nel collegio uninominale, non avvengono, non possono avvenire nel sistema proporzionale.

Ah, mi sono dimenticato, ho saltato una risposta che dovevo all’onorevole Giannini. (Commenti a sinistra). Non importa; lo dirò così; sarò tanto più sincero: non l’ho scritto. Mi sono dimenticato di prendere atto del postulato dell’onorevole Giannini nella politica internazionale, cioè del movimento europeista. Qui, in questo Governo siede l’amico autorevole Einaudi, che già nel 1917 o 1918 ha scritto un volume sopra il sistema federale degli Stati europei. Oltre a ciò questo Governo ha avuto cura, già al suo primo ripresentarsi alla vita internazionale, di lanciare ed alimentare l’idea di una unione degli Stati europei. (E oggi, mentre parliamo, si sta discutendo a Roma l’Unione doganale tra la Francia e l’Italia). Movimento interessantissimo, movimento che sarà lento nell’attuazione, ma che è senza dubbio il movimento dell’avvenire. Se il qualunquismo si trasformerà in qualunquismo europeo, nel senso della fratellanza dei popoli, ci troverà pienamente concordi e collaboratori con esso in tutti i sensi. (Applausi al centro – Commenti a sinistra).

Aderisco anche all’appello che l’onorevole Nitti ha fatto perché nel nostro agitato periodo, che per forza si svolgerà durante le elezioni, ci sia serenità, rispetto della libertà, rispetto di un partito di fronte all’altro. È questo un desiderio vivissimo nostro, ed è questo il compito del Governo: cercare in tutti i modi di salvaguardare la libertà dei partiti e dei candidati.

Una voce al centro. E degli elettori.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Il Governo di necessità vuole mantenere lo Stato al di sopra dei partiti; vuole liberare la nostra economia dalla stretta, superare i conflitti sociali coi metodi della libertà, garantire il libero sviluppo e il consolidamento delle istituzioni repubblicane, egualmente aperte a tutti i cittadini.

Si è fatto un po’ di scandalo per le affermazioni dell’amico Piccioni, quando Piccioni rivendicava al Partito democratico cristiano una prevalente direzione politica. Ora, si può ben tradurre il suo pensiero con queste altre parole: che egli rivendicava una prevalente responsabilità, non volendola addossare ad altri partiti, liberi di prendere il loro atteggiamento come credono meglio, dinanzi all’interesse della nazione, anche in un voto come quello di fiducia o sfiducia. Responsabilità prevalenti, ma non esclusive, ed in ogni caso non per finalità egoistiche proprie, ma in servizio dello Stato e per la causa della pacificazione sociale e della pacificazione fra i partiti.

L’onorevole Lussu mi ha attribuito dell’ambizione personale. Se fossi ambizioso di rimanere a questo posto, sarei veramente uno sciocco, perché dimostrerei di non avere imparato ancora che a questo posto le spine sono molte e le rose pochissime!

Ma vi dico subito che esiste nella coscienza dei popoli anche un altro sentimento; che è quello della forza di assumere responsabilità!

Ed ora vi dico: io non voglio dare cattivo esempio a milioni di uomini che in Italia si battono disperatamente contro le difficoltà e resistono allo scoramento di questo momento. Il loro sacrificio esige, per quanto riguarda la mia volontà, anche il sacrificio mio, e questa è la mia ambizione! (Applausi al centro). Ma voi soli potete liberarmi da quest’obbligo di coscienza in confronto delle mie responsabilità; voi soli, voi rappresentanti del popolo, se mi scioglierete da questa responsabilità, la mia ambizione sola sarà di obbedirvi, in qualità di semplice cittadino, ma sempre in difesa della libertà e delle grandi tradizioni della civiltà italiana! (Vivissimi prolungati applausi al centro e a destra – Moltissime congratulazioni).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la discussione. Comunico che è stato presentato ora un terzo ordine del giorno, del seguente tenore, firmato dagli onorevoli Magrini, La Malfa, De Mercurio, Azzi, Macrelli, Chiostergi, Paolucci, Pacciardi ed altri:

«L’Assemblea, udite le dichiarazioni del Governo, non le approva e passa all’ordine del giorno».

Ricordo che erano stati presentati i seguenti ordini del giorno:

«L’Assemblea Costituente, preso atto delle comunicazioni del Governo, ne approva le attuali direttive politiche ed economiche, raccomandando che i provvedimenti necessari per riportare alla normalità la produzione e la vita del Paese siano accompagnati da tutte le cautele atte ad attenuare gli inevitabili contraccolpi di un cambiamento di congiuntura, e passa all’ordine del giorno.

«Quintieri Quinto, Bonino, Condorelli, Fabbri; Cifaldi, Villabruna, Lucifero, Perrone Capano, Bellavista, Cortese».

«L’Assemblea Costituente,

ritenuto, che non è possibile fermare il ritmo dei lavori pubblici della ricostruzione e contro la disoccupazione, e particolarmente di quelli che dipendono da impegni assunti dallo Stato;

invita il Governo a provvedere agli stanziamenti necessari e, nella certezza che provvederà in questo senso, gli esprime la sua fiducia».

«Micheli».

Abbiamo, dunque, le tre mozioni intorno alle quali si è svolta tutta la discussione, ed abbiamo tre ordini del giorno, ma in questa discussione particolare gli ordini del giorno devono cedere il passo alle mozioni. Chiedo quindi ai presentatori delle mozioni, onorevoli Nenni, Togliatti e Saragat, il quale ha svolto la mozione che aveva per prima la firma dell’onorevole Canevari, se conservano le loro mozioni.

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. Desidererei una breve sospensione di seduta per poter consultare il mio Gruppo.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, credo che la richiesta dell’onorevole Togliatti risponda a un desiderio abbastanza diffuso e di cui si erano fatti portavoce altri deputati.

Possiamo quindi sospendere la seduta fino alle 21.30. (Commenti).

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Signor Presidente, in verità abbiamo già avuto una sospensione prima del discorso del Presidente del Consiglio, e mi stupisco che dei Colleghi, che hanno presentato le mozioni, le hanno discusse, le hanno ridiscusse, ancora non sappiano se vogliono mantenerle o no. Ad ogni modo rispetto le titubanze e le incertezze di tutti, ma pregherei il Presidente, se vuole dare questa sospensione, che ci dia almeno un’ora di tempo.

GIANNINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIANNINI. Signor Presidente, le parole del collega, onorevole Lucifero, sono perfettamente giuste in quanto egli appartiene al solo Gruppo che ha interamente definito la sua condotta e quindi è perfettamente giusto che si preoccupi solamente della cena, perché evidentemente è il Gruppo che non ha altro da fare che andare a cena. Per quanto riguarda noi, signor Presidente, mi permetto associarmi alla richiesta dell’onorevole Togliatti, a costo di confermare ancora una volta la leggenda che noi prendiamo tanti rubli dai comunisti per la nostra organizzazione, e quindi desidererei che ci fosse concessa una sospensione, se possibile fino alle 22.

(La seduta, sospesa alle 21, è ripresa alle. 21.55).

PRESIDENTE. Propongo ai tre presentatori delle mozioni il quesito che avevo posto prima: se essi conservano oppure ritirano le mozioni.

Onorevole Nenni?

NENNI. Onorevole Presidente, noi manteniamo la nostra mozione e domandiamo il voto per divisione nella intenzione di chiedere l’appello nominale soltanto sull’ultima parte della mozione.

PRESIDENTE. La prego di precisare quale è questa divisione che lei propone.

NENNI. La divisione è fra la motivazione e la conclusione. La motivazione comprende le parole: «L’Assemblea Costituente, di fronte ai risultati della politica generale del Governo, ed in particolare di quella economico-finanziaria che compromette lo sforzo solidale della ricostruzione del Paese, l’ordine interno e il tenore di vita delle masse popolari». Per questa parte domandiamo il voto per alzata e seduta. Per la conclusione, che comprende le parole: «nega la sua fiducia al Governo e passa all’ordine del giorno», chiediamo l’appello nominale.

PRESIDENTE. Onorevole Togliatti?

TOGLIATTI. Mantengo la mozione.

PRESIDENTE. Onorevole Saragat?

SARAGAT. Noi manteniamo la nostra mozione.

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Signor Presidente! Onorevoli colleghi! Mi riferisco alla proposta fatta dall’onorevole Nenni, che ha chiesto la votazione per divisione. Io credo che questo procedimento non possa essere ammesso. Qui c’è una mozione di sfiducia: sarebbe come se in una sentenza – scusate se ricorro all’esempio di un documento che mi è familiare – si volesse scindere la motivazione dal dispositivo e dare un dispositivo senza dirne le ragioni.

Ora, l’articolo 3 della legge del 1946, ultimo comma, che regola la vita ed il procedimento di questa Assemblea dice che il Governo è giuridicamente obbligato a dimettersi quando, con una maggioranza qualificata, sia approvata una apposita mozione di sfiducia. Vuol dire che si è voluto qualificare giuridicamente, costituzionalmente una particolare forma di mozione, che è diversa dalla mozione prevista dal Regolamento della Camera del 1921-22. Si tratta di una figura nuova venuta nelle Costituzioni del dopoguerra, e intesa a dare stabilità ai governi. È vero che nell’articolo 128-129 del Regolamento della Camera è detto che la mozione può essere votata per divisione, ma qui, come ho detto, ci si riferisce a un concetto diverso, vale a dire ad una mozione che proponeva un progetto di legge, o altro provvedimento da parte del Governo. Ma è evidente che una mozione di sfiducia non si può votare per divisione, separando la motivazione dall’atto finale. Si può dividere nella parte motivata. E vi è infatti un altro argomento a sostegno di questa tesi, e cioè che la mozione di sfiducia ha valore orientativo per il Capo dello Stato, perché, se essa fosse accolta, il Capo dello Stato dovrà addivenire alle designazioni necessarie per la formazione del nuovo Governo. Quale sarà l’orientamento che noi daremmo se votassimo il dispositivo senza dire le ragioni di questa sfiducia che diamo al Governo? Io credo che alla votazione per divisione non si possa addivenire.

BELLAVISTA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BELLAVISTA. Volevo appunto dire quanto il collega Bozzi ha finito di esporre, sottolineando particolarmente che se la mozione di sfiducia è essenzialmente un atto di giudizio, essa è logicamente scindibile in un «atto di intelligenza», che è costituito dalla motivazione, e in un «atto di volontà», che è il dispositivo. Ma la prima è il prius logico, che conduce alla seconda. Per questo io credo che la proposta dell’onorevole Nenni non si possa accettare, e la mozione debba votarsi senza divisione.

TOSATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSATO. Credo anch’io che la domanda di votazione per divisione della mozione presentata dall’onorevole Nenni e da altri colleghi non possa essere accolta. L’articolo 128 del Regolamento della Camera al terzo comma prevede bensì la possibilità della votazione per divisione di una mozione. Tuttavia è chiaro che il Regolamento dell’Assemblea, cioè il vecchio Regolamento vigente prima del fascismo, vale in quanto sia compatibile con la legge di natura costituzionale che regola la costituzione dello Stato in questo momento. Ora l’articolo 3 della legge del 16 marzo 1946, che rappresenta la nostra Costituzione provvisoria, contiene anche una disciplina abbastanza precisa del Governo parlamentare, rilevante ai fini della soluzione della questione che ora si discute.

L’articolo 3 stabilisce che «il Governo è responsabile di fronte all’Assemblea Costituente» e successivamente, all’ultimo comma, determina il procedimento con il quale si deve esprimere la sfiducia al Governo e le condizioni, date le quali, la manifestazione della sfiducia importa, obbligatoriamente, le dimissioni del Governo. Ecco il testo dell’articolo 3: «Il rigetto di una proposta governativa da parte dell’Assemblea non porta come conseguenza le dimissioni del Governo. Queste sono obbligatorie soltanto in seguito alla votazione di una apposita mozione di sfiducia, intervenuta non prima di due giorni dalla sua presentazione e adottata a maggioranza assoluta dei membri dell’Assemblea».

Per revocare la fiducia al Governo è necessario adunque che la votazione abbia luogo su una apposita mozione – notate bene: mozione, e non ordine del giorno – presentata almeno 48 ore prima, e che la mozione di sfiducia sia approvata dilla maggioranza assoluta dei membri dell’Assemblea.

Ora, a parte il rilievo che non è concepibile una mozione senza motivazione, mi pare che la questione della divisibilità o meno della votazione della mozione di sfiducia vada e debba essere considerata in rapporto a questa norma fondamentale che regola il Governo parlamentare in Italia. Con questa norma si introduce un sistema nuovo che si discosta notevolmente dalla prassi tradizionale. Il Governo deve godere la fiducia dell’Assemblea. Una volta ottenuta la fiducia dell’Assemblea, il Governo dura in carica e si presume assistito dalla fiducia parlamentare, fino a che non sia approvata una specifica mozione di sfiducia e finché questa mozione di sfiducia non sia approvata a maggioranza assoluta.

Perché la norma costituzionale richiede la presentazione di una mozione apposita, e la approvazione della mozione stessa da parte della maggioranza assoluta dei membri dell’Assemblea, affinché la volontà della Assemblea sia operativa agli effetti di rovesciare il Governo in carica e di provocare la costituzione di un nuovo Governo? Tutto ciò è richiesto, evidentemente, perché non si ammette più che una qualsiasi opposizione possa rovesciare il Governo, ma si vuole una opposizione tale da poter costituire un nuovo governo in sostituzione di quello che si intende rovesciare.

Ora, perché si abbia una opposizione atta a formare un nuovo Governo, occorre che l’opposizione stessa sia concorde e costituisca la necessaria maggioranza non soltanto all’effetto generico di rovesciare il Governo in carica, ma anche all’effetto di costituire il nuovo Governo. Di qui la necessità della motivazione, che è l’elemento indispensabile a identificare la maggioranza necessaria per costituire un nuovo Governo. Solo l’identità dei motivi nella sfiducia al Governo permette di riconoscere se esiste una nuova maggioranza che formi la base di un nuovo Governo; solo l’esistenza di una nuova concorde maggioranza giustifica una crisi di Governo. Se più mozioni di sfiducia possono concludere allo stesso modo nella sfiducia al Governo, e tuttavia queste mozioni di sfiducia, essendo derivate da motivazioni diverse, e magari opposte, non possono per sé stesse condurre alla formazione di quella maggioranza che è necessaria per costituire un nuovo Governo, la sfiducia al Governo in carica non è giustificata e non è operativa. (Interruzioni a sinistra).

Per queste ragioni, ai sensi della legge costituzionale vigente, non è ammissibile accogliere la richiesta di votare per divisione le mozioni di sfiducia che sono state presentate. In tal caso si avrebbe quella confusione che la legge ha voluto evitare. (Commenti a sinistra).

DUGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Mi sembra che la richiesta di votazione della mozione presentata dall’onorevole Nenni e da altri colleghi per divisione non possa, in nessun modo, venire contestata.

È stato stabilito che i nostri lavori, di qualsiasi tipo e di qualsiasi genere – e questo contemporaneamente alla pubblicazione della legge 16 marzo 1946 – siano ordinati dal Regolamento della Camera dei deputati del 1921. (Commenti al centro).

Vi è stata una deliberazione di questa Assemblea la quale ha confermato che i nostri lavori siano guidati dal Regolamento 1921. Questa nostra deliberazione vale in linea assoluta anche come deliberazione legislativa. Su questo non vi è nessun dubbio, perché è una deliberazione normativa che regola i lavori della nostra Assemblea. Non ha né il legislatore, né l’Assemblea Costituente, fatta nessuna distinzione fra mozioni che riguardino la legge 16 marzo e mozioni ordinarie. In queste condizioni non vi è nessun dubbio che noi abbiamo il diritto di chiedere la votazione per divisione. Non solo, ma la richiesta di votazione per divisione è un diritto individuale, inalienabile ed appartiene a ciascun deputato (Commenti al centro), diritto, ho detto, personale ed inalienabile che ciascun deputato ha, di vedere rispecchiato con esattezza il valore del proprio voto.

Pertanto io mi chiedo: se noi avessimo richiesto una qualsiasi altra divisione della mozione, avreste voi potuto rifiutarla? Se cioè ci fossimo fermati a un terzo o alla prima frase della mozione e avessimo chiesto la votazione su quella, domando se voi aveste potuto rifiutarla. Se non potete rifiutare una qualsiasi altra divisione, non potete neanche rifiutare quella che noi abbiamo proposta, perché questa corrisponde esattamente al nostro pensiero: cioè noi desideriamo che si formi una maggioranza di voti, ed a questo fine abbiamo chiesto l’appello nominale, intorno ad un determinato punto della nostra mozione. (Commenti al centro).

DOSSETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOSSETTI. Temo in primo luogo che si prolunghi questa discussione su un punto di diritto così evidente, e che dovrebbe essere tanto più evidente dopo le discussioni intervenute in sede di preparazione del nostro progetto di Costituzione.

DUGONI. Ma che non c’entrano oggi.

DOSSETTI. Non c’entrano, ma si conoscono perfettamente i motivi ed il significato della norma così come oggi dobbiamo applicarla. In secondo luogo l’onorevole Dugoni, che insiste sulla non pertinenza di queste considerazioni, avrebbe per lo meno dovuto imparare da quella discussione una cosa che forse ha un po’ dimenticato dai banchi dell’Università, e cioè la gerarchia delle norme e la necessaria graduazione della validità delle norme regolamentari rispetto alle norme che regolamentari non sono. Ad ogni modo, voglio scendere sul terreno dell’onorevole Dugoni e, senza ripetere le considerazioni che si riconnettono alla norma dell’articolo 3 del decreto del marzo 1946, così autorevolmente e lucidamente esposte dagli onorevoli Bozzi, Bellavista e Tosato, mi limito semplicemente al Regolamento, invocato dall’onorevole Dugoni.

E chiedo: è vero o non è vero che il Capo XVI del Regolamento prevede una serie di figure diverse, e cioè l’interrogazione, l’interpellanza, la mozione, l’ordine del giorno, in modo che lo stesso articolo 127 distingue tra mozione e ordine del giorno? Ora, di queste figure, alcune sono espressamente definite dal Regolamento, così come accade per l’interrogazione e l’interpellanza. Ma nel caso nostro, della mozione, non è detto il concetto; tuttavia il concetto deriva in maniera sostanziale dalla contrapposizione di questa figura con le altre figure espressamente definite. E il concetto che della mozione si ricava dal Regolamento è precisamente questo: di una iniziativa, di una deliberazione motivata, in cui la connessione tra la deliberazione e la motivazione rappresenta non soltanto quella necessità logica alla quale accennava l’onorevole Bellavista, (Commenti a sinistra) ma la caratteristica della figura parlamentare di fronte alle altre. E questo è tanto vero, che l’articolo 127 contrappone alla mozione l’ordine del giorno e distingue vari ordini del giorno.

Allora, quando l’articolo 128 ci parla di una divisibilità della mozione, stando sempre al terreno regolamentare, noi dobbiamo necessariamente ricavare questa conseguenza: che la divisibilità deve essere una divisione tale, da non alterare quello che è l’ordinamento individuante tipico della figura parlamentare. Se astraiamo completamente il dispositivo da uno o più motivi, noi scindiamo la caratteristica tipica della mozione. La divisione non potrà altro che riferirsi, eventualmente, ad una divisibilità dei motivi, ma non ad una divisione che è uno spezzettamento del concetto della mozione. (Interruzioni a sinistra).

Quindi, io credo che, di fronte a queste considerazioni, non ci sia bisogno di insistere ulteriormente. (Commenti a sinistra). La stessa intemperanza di cui danno prova quei settori dimostra la non sensibilità delle loro menti, non preparate alla forza di questi argomenti. (Applausi al centro).

Mi limito a concludere, rivolgendo all’onorevole Presidente non un invito, ma semplicemente una considerazione, di cui egli è bene in grado di valutare tutta l’importanza: e cioè che in questo momento non stiamo interpretando una qualche norma regolamentare che, in caso estremo, possa essere rimessa ad una semplice votazione per alzata di mano; ma stiamo applicando una norma fondamentale dell’attuale ordinamento costituzionale, completamente sottratto ad una qualsiasi deliberazione di questa Assemblea e di cui il Presidente, nella sua funzione di interprete della legge, deve in questo istante assumersi piena ed intera responsabilità. (Applausi al centro e a destra).

CORTESE. Chiedo di parlale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORTESE. Presidente, sarà per colpa mia, ma non arrivo a comprendere su che cosa l’onorevole Nenni chiede il voto per divisione, perché io rileggo la prima parte, che dovrebbe essere una parte che diventi autonoma, tale da poter essere materia sottoponibile ad un voto, ad un sì o ad un no. Io leggo:

«L’Assemblea Costituente, di fronte ai risultati della politica generale del Governo ed in particolare di quella economico-finanziaria che compromette lo sforzo solidale della ricostruzione del Paese, l’ordine interno e il tenore di vita delle masse popolari…»! A questo punto dovrei dire, io, deputato, sì o no.

Io domando al buon senso che cosa mi propone di votare l’onorevole Nenni col suo primo quesito? (Applausi al centro e a destra).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, nonostante l’affermazione e l’invito molto cortese, ma solenne, dell’onorevole Dossetti – proprio perché si tratta di una questione che non ha precedenti e che potrà ancora presentarsi per l’avvenire, nel funzionamento della nostra Assemblea – penso non possa essere un atto di volontà mia personale a fare la legge. Ma occorre rimettersi alla decisione di coloro che sono in questo momento investiti di decidere sul sì o sul no alla legge stessa fondamentale.

Rimetterò, dunque, secondo l’articolo citato dallo stesso onorevole Dossetti, all’Assemblea decidere se si debba stabilire o no questo precedente, se cioè, in questa materia o in questa sede, si possa o non si possa votare per divisione, si debba o non si debba attenersi al Regolamento della Camera che l’Assemblea ha fatto proprio.

Mi permetta tuttavia l’onorevole Dossetti: è vero che l’articolo 3 del decreto del 16 marzo 1946 parla di una mozione di sfiducia, ma, quando dice che deve essere votata, non fa alcun cenno al modo di votazione, dicendo semplicemente: «Le decisioni del Governo sono obbligatorie in seguito alla votazione di una apposita mozione di sfiducia».

Nel progetto costituzionale ancora da votare, e che pertanto può esprimere l’opinione ponderata e saggia di 75 membri di questa Assemblea, ma non fa ancora testo per l’Assemblea, si parla di mozioni di sfiducia «motivate». Ma a me pare che, proprio perché la Commissione dei Settantacinque ha voluto ponderatamente aggiungere questo aggettivo, coloro che, redigendo il decreto 16 marzo 1946, non ve lo hanno inscritto, a meno che li tacciamo di negligenza e di incapacità, evidentemente lo hanno omesso a ragione veduta.

D’altra parte, onorevoli colleghi, qual è il regolamento che dobbiamo seguire in questa discussione? Se fosse vero che noi non siamo impegnati a ciò che il Regolamento della Camera stabilisce in tema di mozione, allora qualcuno avrebbe dovuto sollevarsi – sollevarsi, si intende in forma parlamentare, chiedendo la parola – per reclamare poco fa contro la nostra procedura.

Un’ora fa, infatti, io ho dato lettura di alcuni ordini del giorno che sono stati presentati.

DOSSETTI. Ne parleremo.

PRESIDENTE. Onorevole Dossetti, io non l’ho interrotta, quando lei parlava. Se noi abbiamo accettata dunque la presentazione degli ordini del giorno…

DOSSETTI. Noi non abbiamo accettata la presentazione degli ordini del giorno.

PRESIDENTE. Onorevole Dossetti, noi l’abbiamo accettata, perché io ho dato la parola ai presentatori e nessuno, neanche lei, ha protestato. E i presentatori appartenevano, fra l’altro, anche al suo partito e al partito liberale, a nome del quale l’onorevole Cortese ha sollevato poco fa un’eccezione contraria. E se un ordine del giorno è stato presentato ed è stato svolto, esso deve di necessità ritenersi acquisito all’Assemblea.

Ciò deve farci riflettere. Non è una cosa così chiara e così netta, come alcuno sostiene, nella quale si possa decidere con certezza assoluta il quesito che ci sta dinanzi; ed è questa la ragione per la quale, non ritenendomi il depositario della certezza, io chiederò all’Assemblea di decidere essa stessa, avvalendomi di quella norma del Regolamento che sottopone i casi controversi di questo genere al voto dell’Assemblea, per alzata e per seduta.

DOSSETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOSSETTI. Onorevole Presidente, non voglio affatto tediare i colleghi e i miei amici, perché anch’io ho interesse alla rapida conclusione di questo dibattito; ma poiché il Presidente ha creduto opportuno di desumere da quella che gli è parsa una certa acquiescenza, una norma, la determinazione di una prassi dell’Assemblea, sono costretto, quindi, a fare immediatamente le mie riserve.

Dovrei fare delle riserve su quelle che sono state le risposte che l’onorevole Presidente ha dato alle considerazioni, ripeto, soprattutto dell’onorevole Bozzi e dell’onorevole Tosato, in quanto l’onorevole Presidente non ha centrato, a mio modesto avviso, o almeno non ha risposto a quello che era l’argomento fondamentale, deducibile dall’articolo 3 del decreto del marzo 1946, cioè il significato sostanziale di quella norma, la quale risiede nella sua precisa portata e nella interpretazione che le si deve dare; e la risposta è stata data dagli analoghi precedenti francesi, da cui è stato dedotto che la mozione sia costituita in modo e sia votata in modo che ne risulti una precisa indicazione politica di maggioranza e di designazione di responsabilità.

Questo argomento fondamentale non è stato affatto considerato dall’onorevole Presidente. Ma non è su questo punto, dal momento che l’onorevole Presidente ha creduto di deferire al giudizio dell’Assemblea un’interpretazione di una norma costituzionale fondamentale, che dovrebbe essere interpretata direttamente dall’onorevole Presidente stesso, sotto la sua precisa responsabilità, che io voglio insistere.

Io voglio, invece, far subito le mie riserve – e fra l’altro, aprendomi la possibilità ad un ulteriore intervento, quando si parlerà degli ordini del giorno – in merito alla conclusione, mi pare un poco intempestiva, che l’onorevole Presidente ha creduto di desumere dal fatto che ieri sera sono stati presentati degli ordini del giorno, nei confronti dei quali nessuno ha protestato, e che oggi ne sia stato presentato un altro.

Quanto agli ordini del giorno presentati ieri sera, non possono costituire in nessuna maniera un argomento per le conclusioni alle quali ha voluto pervenire l’onorevole Presidente, perché sono ordini del giorno di fiducia, e quindi non hanno niente a che fare con la procedura della quale ora discutiamo, cioè quella di mettere in crisi un Governo, il quale ha già avuto la sua fiducia. (Commenti a sinistra).

In secondo luogo, per quel che riguarda poi l’ordine del giorno di sfiducia presentato stasera, devo dichiarare che noi ne abbiamo avuto formalmente notizia da parte dell’onorevole Presidente al momento della conclusione (se non vado errato) della riunione di questa sera. Come il Presidente ha dato questo annuncio, io alzai immediatamente la mano per chiedere di parlare e desistetti dall’insistere a questo riguardo unicamente perché la richiesta di dilazione proposta dall’onorevole Togliatti e da altri colleghi mi ha dato l’impressione che sulle questioni di procedura, che, come si sapeva, da ventiquattr’ore covavano, si sarebbe dovuto discutere all’inizio della ripresa della seduta.

Per questi motivi ritengo che non ci sia niente da modificare e che, quindi, avremo possibilità di discutere della votazione dell’ordine del giorno di sfiducia quando di esso si parlerà. (Commenti a sinistra).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, certe questioni non bisogna sollevarle, se non si intende discuterle fino in fondo. Io intendo rimettere la questione all’Assemblea la quale sta esprimendosi già attraverso tutti gli oratori che hanno parlato e che vorranno parlare.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Non mi pare dubbia la circostanza che durante la discussione di mozioni gli oratori che svolgono degli interventi abbiano sempre la possibilità di presentare degli ordini del giorno. C’è però una norma precisa di Regolamento, che cioè questi ordini del giorno potranno essere portati alla discussione e alla votazione prima delle mozioni, soltanto se risulterà che le mozioni sono ritirate. Ora, l’acquisizione del fatto – avvenuta soltanto in questo ultimo momento – che le mozioni sono mantenute, implica la conseguenza per l’Assemblea, che coloro che hanno presentato le mozioni, hanno il pieno diritto di veder procedere su di esse a votazione, e questa conseguenza fa automaticamente cadere la possibilità di votare prima gli ordini del giorno, perché le mozioni hanno la precedenza, come ho già ricordato, sugli ordini dèi giorno.

Ciò dico per quanto si attiene alla procedura.

Su quella che poi è la questione di merito, io sono completamente d’accordo pei motivi ricordati dai colleghi Bozzi e Bellavista, che la particolare mozione Nenni risulta nel suo testo indivisibile e, dunque, non deve essere votata per divisione. L’articolo 3 della legge costituzionale provvisoria esclude la votazione pura e semplice di sfiducia senza una premessa per questa conclusione. Si è voluto assicurare una certa stabilità al Governo quando le opposizioni non risultassero concordi su una direttiva, ed è chiaro che la disposizione precisa dell’articolo 3, di carattere eminentemente costituzionale e sostanziale, si è preoccupata dell’ipotesi della caduta o non caduta di un Governo in questo momento particolarissimo di particolarissimo regime costituzionale transitorio. Se è così e se, quindi, la disposizione dell’articolo 3 è di legge speciale costituzionale sostanziale, questa non può essere messa in giuoco e compromessa da una disposizione regolamentare, che è una fonte assolutamente subordinata.

GRISPO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. Noi siamo dinanzi soltanto ad una questione. La questione che si propone è una questione di procedura; cioè se si debba o non si debba, se si possa o non si possa votare per divisione la mozione di sfiducia. È questa la questione.

Non credo – e concordo in questo con l’onorevole Presidente dell’Assemblea – che in proposito si possa invocare l’articolo 3 della legge del giugno 1946, perché l’articolo 3 stabilisce soltanto in quali casi siano obbligatorie le dimissioni del Governo; e soggiunge che le dimissioni del Governo si verificano soltanto come conseguenza di una mozione di sfiducia presentata in determinate occasioni.

Quindi l’articolo 3 non fa in alcun modo cenno della procedura relativa alla votazione della mozione di sfiducia.

Occorre adunque richiamarsi all’articolo del Regolamento, all’articolo 128.

Se ci soffermiamo sull’ultima parte dell’articolo 128, apparentemente potrebbero aver ragione coloro che sostengono che si possa procedere alla votazione per divisione della mozione, perché l’ultima parte dell’articolo 128 dice testualmente: «la votazione di una mozione può farsi per divisione». Ma la questione, a mio avviso, si risolve assai agevolmente; perché qui non siamo dinanzi ad una questione di interpretazione di una norma regolamentare; siamo dinanzi ad una questione meramente di fatto, vale a dire che si procede per divisione sempre quando una votazione per divisione sia logicamente e organicamente attuabile, onde l’osservazione già fatta dal collega Cortese resta tale, che nessuna eccezione logicamente è dato sollevare contro di essa. Ci troviamo noi di fronte ad una mozione per la quale sia ammissibile la procedura della votazione per divisione? Evidentemente no. Ecco perché dico che non è una questione di diritto ma è una questione di fatto. Se la prima parte è così inscindibilmente legata alla seconda parte che votandosi la prima parte non si sa che cosa si vota, innegabilmente siamo dinanzi ad un caso che non consente la procedura della votazione per divisione.

LA ROCCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA ROCCA. Onorevoli colleghi, credo che non sia il caso di distendersi in disquisizioni di un carattere nettamente giuridico che degenera quasi in carattere curialesco. (Ilarità). Alla stregua del decreto del 16 marzo, l’Assemblea è stata incaricata di deliberare sul testo costituzionale e per due altri compiti: elaborare la legge elettorale e approvare i trattati internazionali. Il potere legislativo è stato delegato al Governo. L’Assemblea Costituente non ha la facoltà di investire della sua fiducia il Governo che si ritiene, che si presume già investito di questa fiducia. Però, se l’azione governativa non gode la fiducia del Paese, l’Assemblea Costituente può rendersi interprete e voce di questo scontento, negando la fiducia al Governo. Alla stregua dell’articolo 3 del famoso decreto del 16 marzo, che è quello in base al quale noi siamo qui radunati (ed è presumibilmente da attendersi che non vengano degli spaccatori di capelli in quattro a negare il fondamento di tutto questo), alla stregua di questo decreto, dicevo, l’Assemblea Costituente è chiamata a negare puramente e semplicemente la sua fiducia al Governo a maggioranza assoluta dei membri.

FABBRI. Su apposita mozione.

LA ROCCA. Su apposita mozione di sfiducia. Il che non significa, onorevole Fabbri, che la mozione debba essere motivata. (Commenti al centro e a destra).

Noi qui possiamo più o meno andare a scuola di diritto, ma non a scuola di lingua italiana: «apposita mozione» non sta a significare «mozione motivata». Chiediamo, alla stregua della disposizione dell’articolo 3, che l’Assemblea dimostri di non aver fiducia nell’indirizzo generale della politica del Governo. Questo è il succo; questo è il risultato: così stanno le cose. (Interruzioni al centro e a. destra).

Così stando le cose, diventa semplicemente, non una argomentazione, ma casistica e cavillo, voler impedire che la mozione possa essere ridotta – diciamo così – come in due tronconi, cioè divisa; senza contare che l’osservazione dell’onorevole Fabbri – e mi duole che un giurista della sua statura incorra in certi equivoci – non è in alcun modo fondata: perché, quando egli si richiama all’articolo 4, dimentica che l’articolo 4 fa riferimento esplicito, in questo caso, al Regolamento, dicendo che «L’Assemblea Costituente, nel corso dei suoi lavori, non avendo avuto modo di elaborare un nuovo Regolamento, adotterà quello della Camera». Ora, il Regolamento della Camera all’articolo 128, ultimo capoverso, dice che la mozione può essere votata per divisione. Non so davvero come possano sorgere tanta opposizione e tanti cavilli per impedire che l’Assemblea giunga al succo della questione.

L’Assemblea questa sera si è radunata per decidere se ha o no fiducia nell’attuale Governo, quanto mai democratico, per così dire. (Commenti al centro – Rumori).

Noi siamo qui per esprimere la nostra sfiducia. (Interruzioni). Per esprimere questa sfiducia, si può votare per divisione. (Commenti al centro).

NENNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NENNI. Noi ci eravamo rimessi – ed eravamo in questo d’accordo con la Democrazia cristiana – al giudizio del Presidente dell’Assemblea. Il Presidente dell’Assemblea ritiene di doversi appellare all’Assemblea. Non abbiamo nessuna difficoltà per parte nostra ad accettare la sua proposta.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Se l’onorevole Presidente, accettando la proposta del collega Nenni, si assumesse la responsabilità di decidere, io non avrei nulla da dire e sospenderei il mio intervento. Ma se la cosa non fosse così pacifica come il collega Nenni sostiene, evidentemente bisogna entrare nel tema. Io dico subito che, arrivati a questo punto della discussione – chiedo scusa dell’arroganza – se fossi il Presidente dell’Assemblea, mi rimetterei alla decisione dell’Assemblea e non mi assumerei questa responsabilità. (Commenti al centro). Io ho interpretato la richiesta dell’onorevole Nenni nel senso che si rimetteva alla decisione del Presidente, ma poiché non è così, chiedo scusa, ma non ne ho colpa se il microfono è arrivato in ritardo.

PRESIDENTE. Allora è d’accordo?

LUSSU. Sono d’accordo ma penso che è l’Assemblea che deve decidere. (Commenti al centro). Io desidererei che i colleghi di quel settore rispettassero gli interventi degli altri, tanto più che da questa parte, comunque almeno da parte mia, con rispetto si è assistito al doppio o al triplo intervento di molti giovani colleghi.

PRESIDENTE. Onorevole Lussu, la prego stia al tema.

LUSSU. Il tema è questo: che, a mio parere, la questione è semplice ed è stata un po’ complicata dai nostri illustri onorevoli colleghi ed avvocati. (Si ride). La questione è politica: si tratta del voto di fiducia che il Governo deve avere. Può l’Assemblea con una mozione chiedere all’Assemblea stessa questo voto di fiducia o di sfiducia? Certamente sì. Qual è la legge ed il Regolamento che regolano la presentazione, discussione e votazione delle mozioni? Non vi è, ma è chiaro che la mozione può essere presentata. La mozione deve essere motivata e, mi dispiace onorevole collega Dossetti, ma non si può portare qui il giudizio di una parte di noi, dei Settantacinque, come quello che dovrebbe regolare come principio il lavoro dell’Assemblea. Su questo non ci può essere nessuna insistenza da parte sua.

Ma ecco l’altra questione, la sola che è interessante dal punto di vista della discussione: ci può essere divisione oppure no?

Evidentemente, ci può essere divisione. Non c’è mai stata nel passato una divergenza su questo. Una mozione può essere divisa, e può essere divisa, sia essa di sfiducia o di fiducia.

Si può – ecco un’altra questione, che è l’ultima – obiettare, come è stato fatto: ma la prima parte non si può scindere dalla seconda. E per quale ragione? La prima parte riguarda considerazioni che nel testo sono state esposte, e significa critica e condanna a quell’azione particolare del Governo qui indicata. La parte ultima è la fiducia. Questo è quello che conta. Che se poi il Presidente della Repubblica avrà bisogno di chiarire il pensiero e la volontà dell’Assemblea, sono i rappresentanti politici dei Gruppi parlamentari che lo faranno.

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. L’onorevole Nenni ha accettato la proposta del Presidente di rimettere la questione al giudizio dell’Assemblea.

Io non sono d’accordo con l’onorevole Nenni. (Commenti al centro). Avete parlato tutti, lasciate che parli anch’io!

Ci troviamo di fronte ad uno di quei casi più delicati, relativi al contegno dell’Assemblea nei confronti di quella che è la guida dei dibattiti parlamentari: il Regolamento. Noi siamo già intervenuti, ed io particolarmente sono intervenuto parecchie volte, per sostenere che non possiamo, con un voto di maggioranza, modificare il Regolamento. Non possiamo perché le maggioranze cambiano ed il Regolamento deve invece essere sempre quello per tutti, con qualsiasi maggioranza, con qualsiasi minoranza. Ora, in questo caso il Regolamento è inserito nella legge dalla legge stessa, perché vi è un articolo della legge costitutiva di questa Assemblea che dice, dopo aver parlato della mozione di sfiducia, che l’Assemblea deve osservare nei suoi dibattiti il Regolamento della Camera, il quale ammette in tutte lettere la divisione di una votazione su una mozione.

Mi pare che questo basterebbe. Credo infatti che in questi casi è bene attenersi, il più possibile, alla lettera del testo, perché questa è la vera garanzia per tutti. Assai pericoloso è interpretare il Regolamento per modificarne la lettera, perché allora possono venir fuori dieci interpretazioni differenti di una norma chiara e semplice, e ogni garanzia va perduta tanto per la maggioranza che per la minoranza.

Ma io mi appello anche allo spirito della legge e del Regolamento. Noi siamo qui 500 e più. Possiamo dividerci in dieci gruppi di 50, ognuno dei quali disapprova il Governo, ma per un motivo diverso. Ognuno di noi ha diritto di votare una parola della mozione di sfiducia o di respingerla, e di votare in seguito la frase in cui si dice che non si ha fiducia nel Governo. Questo è diritto di ognuno di noi, perché quello in cui consentiamo è di rovesciare il Governo. Se non si ammette questo principio, possiamo venire alla conseguenza che il Governo non potrà essere mai rovesciato, se non vi è consenso generale sui motivi della sfiducia, perché può darsi benissimo che sui motivi non saremo mai tutti d’accordo, mentre saremo d’accordo lutti che il Governo non soddisfa alle esigenze di una politica nazionale.

Questo è il fondo della questione. E sia per questo motivo, sia perché la lettera del Regolamento è superiore ad ogni equivoco, invito i colleghi democratici cristiani a desistere dal chiederci di sottoporre ai voti una norma di Regolamento, perché questo, come dissi parecchie altre volte, è un precedente troppo pericoloso.

Se l’onorevole Nenni rinuncia a chiedere la divisione della sua mozione, questo è affar suo, ma una volta chiesta, ritengo pericolosissimo risolvere una questione con un voto di Assemblea. Questo è contro le norme che devono regolare la vita di una Assemblea democratica.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, due osservazioni, e poi passeremo alla decisione.

Per la precisione desidero sottolineare che gli ordini del giorno non sono stati presentati tutti questa sera, un’ora fa. Uno di questi ordini del giorno è stato presentato già da quattro giorni ed il presentatore lo ha svolto il giorno dopo. In quel momento, onorevole Dossetti, non abbiamo valutato quel documento nel merito; quanto meno io non l’ho così valutato. Come Presidente io trascendo sempre dal giudizio del merito. Indipendentemente dalla tesi che sostengono, per me tutte le proposte sono uguali: che propongano fiducia o sfiducia al Governo. Un ordine del giorno è un ordine del giorno; e quando, tre giorni fa uno ne fu ampiamente sviluppato dall’onorevole Quintieri né l’onorevole Dossetti né altri colleghi hanno sollevato obiezioni.

La seconda osservazione: che l’applicabilità nel nostro caso della disposizione del Regolamento – indipendentemente dal fatto che non la ritengo obbligatoria – sarebbe giustificata da questa constatazione: che abbiamo qui tre mozioni con tre diverse motivazioni, ma con una conclusione unica. Il che significa appunto che vi può essere diversità nelle premesse e confluenza nella conclusione, e cioè che l’Assemblea può diversificarsi nelle motivazioni e concordare nella conclusione. E appunto il fatto che in una discussione si possono presentare mozioni diversamente motivate, conferma il valore autonomo della motivazione che ha valore a sé, indipendente dalla conclusione.

All’onorevole Togliatti mi limito a rispondere che il fatto che vi sia nel Regolamento l’articolo 85, che prevede espressamente i richiami per ragione di Regolamento e dispone il conseguente modo di votazione, sta appunto ad indicare che, l’applicazione stessa del Regolamento può essere oggetto di votazione: non vi è pertanto pericolo per la maggioranza o per la minoranza nel deferire all’Assemblea una decisione sul Regolamento.

LACONI. Con proposta di modifica.

PRESIDENTE. Senza proposta di modifica, ma bensì nel semplice corso di una discussione. L’articolo 85 non ha nulla a che vedere con la Giunta del Regolamento. Ma la ragione fondamentale per la quale, in base all’articolo 85, pongo la questione all’Assemblea è ancor sempre questa, che il caso attuale costituirà un precedente. L’articolo 85 dispone tassativamente che la votazione si faccia per alzata e seduta. Così voteremo.

Riassumendo: l’onorevole Nenni chiede che la sua mozione venga votata per divisione. Poiché sono state sollevate delle obiezioni e si è anzi espressamente proposto di respingere un tal modo di votazione, chiedo all’Assemblea di decidere.

Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Nenni, se si possa nel caso di una mozione di sfiducia contro il Governo presentata a norma dell’articolo 3 del decreto 16 marzo 1946, votare per divisione, secondo quanto prescritto dall’articolo 128 del Regolamento.

(Dopo prova e controprova, non è approvata).

La proposta della votazione per divisione dalla maggioranza dell’Assemblea non essendo stata approvata, in base alle considerazioni esposte poco fa, la votazione procederà, pertanto, non per divisione, ma sulla mozione nel suo complesso.

Sopra la mozione presentata dall’onorevole Nenni è stato chiesto l’appello nominale dagli onorevoli Merlin Lina, Tomba, Vernocchi, Stampacchia, Costa, Di Vittorio, Lopardi, Silipo, Fogagnolo, Barbareschi, Dugoni, Carpano Maglioli, Li Causi, Giua, Cosattini, De Filpo, D’Amico. D’altra, parte, è tempo che intorno a questo punto non vi sia discussione; queste mozioni devono essere sempre votate per appello nominale, poiché si tratta di constatare la maggioranza assoluta richiesta dall’articolo 3. Comunque, a sussidio di questa necessità implicita, vi è una richiesta di appello nominale presentata dagli onorevoli Merlin, Cosattini, Carpano Maglioli, Dugoni e altri.

LOMBARDI RICCARDO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LOMBARDI RICCARDO. Onorevoli colleghi! La chiusura della discussione votata ieri sera non mi ha consentito di esporre le ragioni, per le quali il Gruppo al quale appartengo voterà l’ordine del giorno Nenni, così come voterà – ove questo fosse respinto – tutti gli altri ordini del giorno di sfiducia al Governo, poiché non ci importa molto la motivazione della sfiducia, e questo maggiormente dopo la discussione e le dichiarazioni che il Governo e i rappresentanti della maggioranza hanno fatto nel corso della discussione stessa.

Da questa discussione noi siamo persuasi che le ragioni, le quali nel giugno scorso ci avevano indotto a negare la fiducia al Governo allora costituito, permangono e sono aggravate. Allora noi avevamo espresso la nostra profonda sfiducia nell’incapacità di questo Governo, in ragione della sua composizione, e in ragione delle circostanze che ne avevano determinato la costituzione, ad opporre una valida resistenza all’urto degli interessi che si sarebbero affollati intorno al Governo e che oggi si affollano non contro il Governo, ma contro determinati provvedimenti del Governo.

Onorevole Einaudi, non le dice niente l’offensiva che si conduce, non certo contro il Governo di cui ella fa parte, perché coloro i quali oggi conducono la campagna contro i suoi provvedimenti sono quelle stesse forze, quegli stessi partiti i quali desiderano la permanenza di questo Governo, ma contro determinati provvedimenti i quali urtano i loro interessi?

È così che lei si trova in una posizione esposta, e non so fino a che punto ella potrà tenere, perché, qualunque sia la determinazione delle persone che compongono questo Governo, qualunque sia il grado di indipendenza che esse possono opporre, è il tipo di questo Governo, è il genere di maggioranza dal quale dipende la sua vita, che rendono impossibile opporre all’urto di queste forze una resistenza sufficiente.

Dirò che le dichiarazioni del Ministro Scelba – alle quali sostanzialmente si è associato l’onorevole Presidente del Consiglio – hanno indotto un senso profondo, non di perplessità, ma di sfiducia e di preoccupazione nella politica che questo Governo svolgerebbe, ove esso fosse mantenuto e ove il voto di sfiducia non venisse accolto.

Dalle dichiarazioni che noi abbiamo sentito, abbiamo riportato non la sensazione, ma la persuasione che il Governo tenda a confondere la difesa della propria posizione politica con la difesa delle istituzioni democratiche e con la difesa della Repubblica. Ora, questo noi non possiamo per alcun modo ammettere; questa confusione è gravida di pericoli e su di essa richiamo il Governo, ove esso dovesse rimanere al suo posto.

Questa nostra persuasione è stata d’altronde più ancora aggravata dalle dichiarazioni che ha fatto ieri in questa Assemblea l’onorevole Piccioni. L’onorevole Piccioni ha fatto delle dichiarazioni che non sono naturaliter christianae, ma naturaliter diabolicae. (Proteste al centro).

Egli ha fatto un tentativo pericoloso, il tentativo cioè di stabilire, di attirare un numero maggiore di adesioni alla politica del Governo, abbozzando una frattura, una differenziazione tra le forze ostili e le forze favorevoli al Governo, che è pericolosa per la democrazia; perché una tendenza si è spiegata nell’intervento dell’onorevole amico Piccioni: quella, cioè di dividere questa Assemblea in due blocchi, ma non già nei due blocchi di coloro che hanno fiducia nel Governo e di coloro che al Governo questa fiducia negano, ma nel blocco di coloro che sono per la libertà, e di coloro che sono contro la libertà. (Applausi a sinistra – Proteste al centro e a destra).

Noi non accetteremo mai – e qui sta veramente la profonda unità di questa Assemblea – non accetteremo mai che si cristallizzi, che si solidifichi questa linea di frattura la quale sarebbe, una volta determinata, irreparabile. I problemi che ci dividono – perché la vita democratica è fatta di divisioni – sono ben più complessi e non possono essere ridotti alla pura e semplice linea, alla concezione semplicistica di coloro che sono per la libertà e di coloro che sono contro la libertà.

Elementi e pericoli per la libertà e contro la libertà ci sono dovunque… (Commenti al centro).

Una voce a destra. Vada in Ungheria!

LOMBARDI RICCARDO. Amici democristiani, io intendo mantenermi nei limiti del Regolamento, e non ne abuserò affatto. Amici democristiani, se noi dovessimo veramente accettare questa frattura, e giudicare per astrazione e per differenziazione ideologiche, noi ci troveremmo ben presto nel Paese nell’impossibilità di far funzionare le istituzioni democratiche, perché, guardate che questo è un gioco assai pericoloso, e come nessuno nega oggi a voi di essere sul terreno democratico e sul terreno liberale, malgrado il Sillabo (Commenti al centro), malgrado lo statuto della disciolta… (Interruzioni al centro) impostare così la questione in un Paese, il quale domani potrà mandare anche una maggioranza di fascisti, di comunisti e di socialisti al Governo, significa rendere impossibile per l’avvenire la lotta democratica, e passare necessariamente sul terreno dello scontro e della frattura irreparabile.

Questo modo di impostare la questione da parte dell’onorevole Piccioni – che devo ritenere essere stata l’impostazione ufficiale della Democrazia cristiana – aggiunto alla profonda diffidenza che l’onorevole Piccioni ha esposto circa le possibilità che abbiamo chiamate qui della pianificazione, ci preoccupano. Ma, onorevoli colleghi, mi pare che diciamo troppo e troppo poco: è chiaro che la pianificazione non si improvvisa; ma quando noi parliamo di pianificazione, di dirigismo nell’economia, si tratta di una cosa ben più semplice e impegnativa, perché reale: si tratta di creare gli strumenti della vita socialista del Paese, perché lo Stato non si conquista né coi sistemi della violenza, né coi sistemi dei blocchi: lo Stato si amministra e si organizza; è sul modo di amministrarlo e di organizzarlo che vertono le divergenze legittime in questa Assemblea e sono le lecite discussioni. (Interruzioni al centro).

PRESIDENTE. Prosegua pure, onorevole Lombardi.

LOMBARDI RICCARDO. Ho finito. Dirò soltanto, per concludere – mi dispiace di aver annoiato i colleghi – che questa divisione che si tende a creare e dalla quale io – con la scarsa autorità che posso avere – scongiuro veramente l’amico Piccioni di recedere, è pericolosa sul terreno nazionale ed è pericolosa sul terreno internazionale. Qui, se avessi potuto parlare, mi sarei soffermato su questo punto, perché nella situazione in cui è il Paese, non si possono creare la leggenda e la verità; non si possono creare, perché quando si pongono le pregiudiziali, quelli che sono fantasmi, diventano all’occhio di coloro che stanno fuori dei nostri confini, realtà, realtà possibili. Non è lecito creare nel Paese un partito dello straniero.

Amici democristiani, c’è qualche cosa nella storia che dovrebbe ammonirci: l’esempio dei cattolici inglesi, ai quali fu negato per lungo tempo il diritto politico, perché papisti, perché dipendenti da un dominio straniero. Il pericolo è evidente. Non creiamo la leggenda del partito dello straniero, perché sono persuaso che nel Paese non c’è un partito dello straniero. Io vorrei che si avesse da parte del Governo e si avesse da parte degli amici del partito che ha la maggioranza in questa Assemblea, una fiducia maggiore nelle forze della democrazia, nelle forze interne degli stessi partiti. Non creiamo il «führerprinzip»; non creiamo in Italia una idea astratta, un’idea rigida dei partiti come di complessi che si muovono quali eserciti al comando e che sono senza fisionomia differenziata, masse informi e deformi.

C’è una spinta democratica, c’è una possibilità e realtà democratica in tutti i partiti, e nei partiti di massa, che non dobbiamo sottovalutare o annullare. Dobbiamo non avere sfiducia ma fiducia. E sono anzi queste forze democratiche all’interno dei partiti, dei grandi partiti, che noi dobbiamo aiutare a tenersi sul terreno democratico! Non dobbiamo scoraggiarle e respingerle fuori dalla libertà democratica, poiché respingere qualsiasi partito che dichiaratamente nella sua impostazione e nella sua prassi si muove sul terreno democratico, respingerlo fuori dal terreno della democrazia significa creare condizioni perché la Repubblica non viva! (Applausi a sinistra).

MACRELLI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MACRELLI. Parlo per dichiarazione di voto e dico subito la ragione, che ha la sua importanza, perché è sorto un dubbio in noi, soprattutto dopo la discussione a cui abbiamo assistito per la proposta fatta dall’onorevole Nenni.

Noi abbiamo presentato un ordine del giorno. Noi chiediamo sin da questo momento se l’ordine del giorno sarà posto o no in votazione, dopo le mozioni, s’intende. E la richiesta che facciamo noi è legittima, non solo dal punto di vista squisitamente parlamentare e regolamentare, ma soprattutto da un punto di vista politico, di responsabilità politica. Se l’ordine del giorno rimane ed è posto in discussione, noi dichiariamo subito che ci asterremo dal votare le mozioni, tutte e tre le mozioni, perché partono da presupposti che noi completamente non condividiamo.

Io ieri sera ho esposto – credo abbastanza chiaramente – il pensiero del mio partito e il pensiero del mio Gruppo. Di esso non troviamo riflesso nelle tre mozioni presentate dall’onorevole Nenni, dall’onorevole Togliatti e dall’onorevole Saragat. Quelle premesse vincolerebbero la nostra libertà d’azione di uomini e di partito. Ma se dal Governo, dalla Presidenza dell’Assemblea, fosse posto un veto al nostro ordine del giorno, dichiariamo subito che voteremo per tutte le mozioni, per la prima, per la seconda, per la terza.

Era necessaria questa mia dichiarazione. È una dichiarazione di lealtà e di onestà politica sulla quale io richiamo l’attenzione Dell’Assemblea. (Applausi).

PRESIDENTE. Onorevole Macrelli, il problema è molto semplice. Gli ordini del giorno restano se le mozioni cadono, inquantoché prima bisogna votare le mozioni e poi gli ordini del giorno. Se, nel corso della votazione delle mozioni, una di queste ottiene la maggioranza, ciò rende inutile, anzi impossibile, la votazione di un ordine del giorno, poiché si è deciso nel merito.

Tuttavia, quando si passasse agli ordini del giorno, si dovrebbe ritornare alle norme sugli ordini del giorno; il Governo avrà dunque il diritto di indicare su quale di essi dovrà avvenire la votazione. E poiché noi avremmo – nel caso attuale – l’ordine del giorno dell’onorevole Quintieri Quinto, di fiducia, e l’ordine del giorno presentato da lei e da alcuni suoi colleghi di Gruppo, di sfiducia, è ovvio, mi pare, su quale dei due cadrebbe la scelta e l’indicazione del Governo.

Non c’è nulla da aggiungere.

D’ARAGONA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

D’ARAGONA. Onorevoli colleghi. Io mi limiterò ad una semplicissima dichiarazione di voto a nome del Gruppo socialista dei lavoratori. Il nostro Gruppo ha presentato una sua mozione la quale conclude con l’affermare la sua sfiducia nell’attuale Governo, ma questa mozione ha delle premesse che stabiliscono le ragioni per le quali noi non abbiamo fiducia in questo Governo. Noi non possiamo votare la mozione che è ora in votazione, perché le motivazioni di questa mozione non possono essere accettate da noi. Noi ci asterremo da questa votazione perché ci riserviamo di dare il nostro voto di sfiducia al Governo sulla nostra mozione.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Per motivo di rispetto rigoroso ed obiettivo delle norme di legge, mi limito a fare una espressa riserva.

In questo senso: che, in coerenza di quanto è stato da noi precedentemente sostenuto o di quanto, quindi, è stato sottoposto alla deliberazione dell’Assemblea, ritenendo con ciò di interpretare la volontà reale del Regolamento e non già ad esso di sovrapporsi, come accennava l’onorevole Togliatti, devo dire che noi pensiamo che la sfiducia prevista dall’articolo 3 della legge istitutiva della Costituente debba essere affidata al sistema formalmente e sostanzialmente previsto dalla legge stessa, la quale presuppone un’apposita mozione di sfiducia con quei caratteri formali e sostanziali che sono stati già esposti da altri, notevole tra i quali il deposito preventivo entro il termine di 48 ore in anticipo.

Di conseguenza, poiché qui si tratta di applicare strettamente la legge, anzi una legge costituzionale, devo ritenere che nei confronti di un Governo il quale abbia precedentemente ottenuto il suffragio dell’Assemblea, nei confronti di un Governo per cui non sorga la necessità di presentarsi all’Assemblea per riscuoterne la fiducia, bensì al contrario la sola questione di opporsi ad una mozione di sfiducia, occorra rigorosamente attenersi allo schema formale c sostanziale dell’articolo 3. Con la pratica conseguenza che una mozione di sfiducia non depositata con l’osservanza delle forme c dei termini previsti, e giuridicamente equiparabile a un ordine del giorno puro e semplice, non possa essere oggi sottoposta alla votazione dell’Assemblea. (Applausi al centro).

GIANNINI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIANNINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, mi trovo costretto a fare una dichiarazione personale, poiché la votazione che ha avuto luogo sul modo di votazione della mozione Nenni ha creato, secondo me, un fatto nuovo, ossia rende impossibile la divisione della mozione stessa in seguito a votazione dell’Assemblea. Secondo me, questo è un fatto nuovo. Non ho il tempo, né oso chiedere né a lei, né all’Assemblea di consentirmi di mettermi in contatto con i miei amici, poiché non conosco il loro pensiero in merito: per cui, senza violare nessuna disciplina di Gruppo, sono costretto, da questo fatto nuovo, a consultare unicamente la mia coscienza. Aggiungerò che, dopo le dichiarazioni degli onorevoli De Gasperi, Sforza e Scelba, avrei potuto anche sentirmi molto soddisfatto, e dimenticare il discorso dell’amico Piccioni il quale reca la data del 3 ottobre e non del 3 gennaio. (Si ride). Ma a parte questo, la situazione nuova, creata dalla votazione che ha avuto luogo sulla mozione Nenni, e l’impossibilità in cui mi trovo, di prendere contatti con i miei amici di Gruppo, mi costringono ad astenermi dalla votazione sulla mozione Nenni. (Commenti).

CHIOSTERGI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CHIOSTERGI. La dichiarazione fatta dall’onorevole Dominedò ci obbliga a fare una dichiarazione e a domandare al Presidente dell’Assemblea Costituente se avremo o no la possibilità di esprimere la nostra sfiducia all’attuale Governo votando l’ordine del giorno che abbiamo presentato. Poiché, se questa possibilità non ci è garantita, nostro malgrado – pur non condividendo le motivazioni delle tre mozioni presentate – noi saremo obbligati, pur volendoci differenziare e riservare completamente la nostra libertà d’azione, a votare le tre mozioni di sfiducia presentate dai colleghi. (Applausi a sinistra).

NITTI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Debbo confessare lo stato di disagio nel quale mi trovo in questo momento. Io avevo intenzione di negare la fiducia al Governo (Commenti al centro) e non mi pareva che, date le mie idee ed i miei precedenti, dovessi agire diversamente; ma speravo che qualche cosa di vivo uscisse da questa discussione: e non è uscito nulla.

Ci troviamo ora di fronte ad un Governo che ha, o comunque ha avuto finora, una maggioranza. Anche dopo il distacco degli elementi più avanzati, non ci troviamo di fronte ad alcuna unione. Io speravo che da queste discussioni uscisse almeno tra tutti i partiti minori un senso di concordia e di unione.

Ho già sperimentato personalmente come ciò sia difficile. Quando il Presidente della Repubblica volle consultarmi per dirmi se accettavo di fare un Governo, io gli indicai le ragioni che mi inducevano a volere un Governo che rappresentasse veramente una unione, di fronte alle grandi minacce politiche, economiche e sociali che incombono sul Paese. Io mi illudevo. Trovai molte difficoltà a fare quel Governo che la gravità del momento richiedeva.

Per demolire un Governo occorre che vi sia un Governo da sostituire.

Ora vi è unione di molti contro il Governo attuale, non unione per costituire un nuovo Governo. Parliamo con lealtà: se il Governo oggi è abbattuto, vi sentite di fare un secondo Governo? Per fare un Governo non basta soltanto avere una coalizione, ma occorre una maggioranza. La maggioranza non è solo nei voti, ma nell’unione. Ora la disunione è grande, da una parte e dall’altra, proprio quando noi andiamo verso un’ora terribile. Non ci illudiamo: siamo nell’angoscia di una situazione che fra uno, due o tre mesi diventerà sempre più grave. Vi sentite la sicurezza di buttare a terra il Governo ora, senza pensare di sostituirlo con qualcosa d’efficiente? Non basta essere contro il Governo. La cosa non ha che mediocre importanza; un Governo o l’altro, purché si possa fare un vero Governo. Io non vedo fra gli oppositori che disunione.

Nelle ore difficili, oserei dire terribili, cui andiamo incontro fra uno o due mesi, ancora di più fra tre mesi e nel terribile anno che si inizia con il 1948, io non vedo le forze operanti per formare una unione che ci possa salvare. Non basta avere una incerta maggioranza di voti, ma occorre una base di associati che abbiano almeno intenzione e programma sicuri.

Io esitavo ieri (mi consentano i colleghi la sincerità): il discorso dell’onorevole Piccioni, così audace ed anche così esuberante, mi aveva ricacciato nella tristezza del dubbio. Mi pareva aumentasse i contrasti invece che diminuirli. La sua stessa sicurezza contro gli avversari e il linguaggio quasi minaccioso mi turbavano. Noi non sappiamo quale sia la nostra situazione reale in questo momento. L’onorevole De Gasperi ci ha detto ieri che noi manchiamo di grano. Quando io dissi che mancavano almeno 29 milioni di quintali di grano, si è riso del mio pessimismo. Ora l’onorevole De Gasperi con sincerità, ha dovuto dichiarare che la deficienza è ben maggiore di quel che io avevo detto. Non è il grano soltanto che ci manca: ci mancheranno presto molte delle cose che ci sono necessarie ed è impossibile mentire. Non abbiamo grano e mancano dollari per comprare grano. Dobbiamo trovarne. E non basta: mancano tante altre cose necessarie. L’onorevole Einaudi stamattina ci ha detto che, pur avendo accresciuto le imposte, pur avendole portate ad una pressione molto alta, non è diminuito il disavanzo. Ci ha confessato le difficoltà che si creano da una qualunque politica che voglia arrestare veramente la caduta della lira, che ci minaccia realmente, a breve intervallo, se non faremo una politica saggia, onesta, audace: politica di economie che imponga nuove privazioni.

Il pericolo è grave la situazione nostra all’estero, nonostante l’ottimismo arcadico di Sforza, non è certo ragione di orgoglio e non è programma di sicurezza.

Noi abbiamo difficoltà interne di sistemazione; vi sono forze che agiscono più in senso di dissoluzione che di coesione e di rinnovazione. Molte cose ci mancano. Ci manca soprattutto quell’unità spirituale di un Paese che, conscio delle sue difficoltà e dei suoi pericoli, si vuol salvare con la unione e con il sacrificio di tutti alla causa comune. Troppo grande è il rancore di quegli stessi che erano ieri ancora riuniti, troppo grande è il distacco spirituale. Noi dobbiamo evitare a ogni costo l’aggravarsi di questo stato degli animi.

Qui dentro vi sono tanti spiriti onesti che vedono solo la Patria, ma forse non mancano persone che hanno di mira soprattutto il Governo. Per quanto il Governo non possa avere attrazione per uomini veramente responsabili – tante sono le difficoltà – pure esercita ancora attrazione.

Il Governo attuale, se rimane, come io credo, al suo posto, deve pensare al suo compito terribile. E tra due, tre mesi, lo ripeto, la situazione sarà molto più critica di adesso, e nell’anno nuovo sarà gravissima.

Non desideriamo nessuna avventura. Aspettiamo. Che il Governo cada è probabile, ma io so che chi vota per la caduta del Governo, deve pensare al Governo che segue. Ora, è possibile a noi fare un Governo che faccia a meno dei democratici cristiani da una parte, dell’America dall’altra?

Vediamo la situazione così com’è, ruvidamente, brutalmente, senza dissimularci nulla. Non solo non possiamo vincere le difficoltà più grandi contro l’America, ma né meno senza l’America. Data la situazione attuale non si può fare un Governo contro i democristiani e né meno senza i democristiani. Ora, in queste condizioni, io ritengo che sia grave avventura lanciarsi in una crisi di Governo. Pensiamo che domani apriremmo una crisi che durerebbe almeno venti giorni, paralizzando tutto. E poi ci sarebbe una nuova discussione sul programma del Governo. Discussione eterna e forse inutile. E intanto ci avviciniamo alla fine dell’esistenza della Costituente senza avere compiuto il nostro compito.

Dunque, io vi dico che, pur essendo nell’animo mio spesso in molte cose contro il Governo, non mi sento adesso nel diritto di votar contro e di provocare una crisi. Il Governo non può essere eterno. Fra venti giorni, fra un mese, fra due mesi, fra tre bisognerà affrontare tali problemi che minacceranno il Governo. Vi potrà essere persino necessità di una crisi. Ma in tal caso, bisogna che vi sia qualcosa di ben definito e non già l’incertezza e l’equivoco. Sono gli avvenimenti che ci dominano. E noi, non perdendo mai il senso della realtà, dobbiamo seguire i nostri programmi e i nostri ideali adattandoci alla realtà. Forse saranno possibili tante cose che ora non lo sono. Dichiaro che, pur mantenendo tutte le mie idee, la mia azione, il mio programma, in questo momento credo mio dovere votare la fiducia al Governo, cioè evitare una crisi. (Applausi al centro – Commenti a sinistra).

PRESIDENTE. Dobbiamo ora passare alla votazione.

CHIOSTERGI. Onorevole Presidente, mi scusi, le avevo chiesto una assicurazione.

PRESIDENTE. Mi stupisco che Ella ripresenti la questione. Bisognerebbe che io potessi prevedere l’esito delle prossime votazioni per darle la garanzia che mi chiede. Evidentemente ora non posso dargliela. A seconda del modo con cui si concluderanno le votazioni si potranno poi o no votare gli ordini del giorno. Questa è l’unica cosa che posso dirle.

CHIOSTERGI. Mi permetto di fare osservare che in quest’Aula c’è un partito che potrebbe dare la risposta, ed è il partito della democrazia cristiana. (Commenti).

PRESIDENTE. In queste questioni, in Aula, la risposta la dà solo il Presidente.

Votazione nominale.

PRESIDENTE. Procediamo alla votazione nominale sulla mozione degli onorevoli Nenni, Basso, Romita, Cosattini, Faralli, Giacometti, Giua, Jacometti, Lizzadri, Morandi, Nobili Tito Oro, Cacciatore, Stampacchia, Tonello e Vernocchi:

«L’Assemblea Costituente, di fronte ai risultati della politica generale del Governo ed in particolare di quella economico-finanziaria che compromette lo sforzo solidale della ricostruzione del Paese, l’ordine interno e il tenore di vita delle masse popolari, nega la sua fiducia al Governo e passa all’ordine del giorno».

Estraggo il nome del deputato dal quale comincerà la chiama.

(Segue il sorteggio).

Comincerà dal deputato Sardiello.

Si faccia la chiama.

Presidenza del Vicepresidente BOSCO LUCARELLI

RICCIO, Segretario, fa la chiama:

Hanno risposto sì:

Alberganti – Allegato – Amadei – Amendola – Assennato.

Baldassari – Barbareschi – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basso – Bei Adele – Bernamonti – Bernardi – Bernini Ferdinando – Bianchi Bruno – Bibolotti – Bitossi – Boldrini – Bolognesi – Bonomelli – Bosi – Bruni – Bucci – Buffoni Francesco.

Cacciatore – Calamandrei – Caldera – Carpano Maglioli – Cavallari – Cavallotti – Cerreti – Cevolotto – Chiarini – Cianca – Codignola – Colombi Arturo – Corbi – Cosattini – Costa – Costantini – Cremaschi Olindo.

D’Amico Michele – De Filpo – De Michelis Paolo – Di Vittorio – Donati – D’Onofrio – Dozza – Dugoni.

Faccio – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Ferrari Giacomo – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Fioritto – Flecchia – Foa – Fogagnolo – Fornara.

Gallico Spano Nadia – Gavina – Gervasi – Ghidetti – Ghislandi – Giacometti – Giolitti – Giua – Gorreri – Grazi Enrico – Grazia Verenin – Grieco – Gullo Fausto.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jacometti.

Laconi – Landi – La Rocca – Leone Francesco – Li Causi – Lizzadri – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo – Longo – Lopardi – Lozza – Luisetti – Lussu.

Maffi – Magnani – Malagugini – Maltagliati – Mancini – Marchesi – Mariani Enrico – Massini – Massola – Mastino Pietro – Mattei Teresa – Matteotti Carlo – Merighi – Merlin Angelina – Mezzadra – Minella Angiola – Minio – Molè – Molinelli – Montagnana Mario – Montagnana Rita – Montalbano – Morandi – Moranino – Moscatelli – Musolino – Musotto.

Nasi – Negarville – Negro – Nenni – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Noce Teresa – Novella.

Pajetta Gian Carlo – Pajetta Giuliano – Pastore Raffaele – Pellegrini – Pertini Sandro – Pesenti – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Pratolongo – Pressinotti – Priolo – Pucci.

Ravagnan – Ricci Giuseppe – Romita – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Roveda – Ruggero Luigi.

Saccenti – Sansone – Santi – Scarpa – Schiavetti – Scoccimarro – Scotti Francesco – Secchia – Sereni – Sicignano – Silipo – Spano – Stampacchia.

Targetti – Tega – Togliatti – Tomba – Tonello – Tonetti.

Valiani – Varvaro – Vernocchi – Veroni – Vigna – Vinciguerra.

Zannerini – Zappelli.

Hanno risposto no:

Abozzi – Adonnino – Alberti – Aldisio – Ambrosini – Andreotti – Angelini – Angelucci – Arcaini – Arcangeli – Avanzini – Ayroldi.

Bacciconi – Badini Confalonieri – Balduzzi – Baracco – Bastianetto – Bazoli – Bellato – Bellavista – Belotti – Bencivenga – Benedettini – Benvenuti – Bergamini – Bertini Giovanni – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchini Laura – Bonino – Bonomi Paolo – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Braschi – Brusasca – Bubbio – Bulloni Pietro – Buonocore – Burato.

Caccuri – Caiati – Camposarcuno – Cannizzo – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Capua – Carbonari – Carboni Enrico – Carignani – Caristia – Caroleo – Caronia – Carratelli – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Castiglia – Cavalli – Chatrian – Chieffi – Ciampitti – Ciccolungo – Cicerone – Cifaldi – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombo Emilio – Colonna di Paliano – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbino – Corsanego – Corsini – Cortese – Cotellessa – Covelli – Cremaschi Carlo – Crispo – Cuomo.

Damiani – De Caro Gerardo – De Caro Raffaele – De Falco – De Gasperi – Del Curto – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Michele Luigi – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Dominedò – Dossetti.

Einaudi – Ermini.

Fabbri – Fabriani – Fanfani – Fantoni – Federici Maria – Ferrarese – Ferrario Celestino – Ferreri – Firrao – Foresi – Franceschini – Fresa – Froggio – Fuschini – Fusco.

Gabrieli – Galati – Galioto – Garlato – Gatta – Germano – Geuna – Giacchero – Giordani – Gonella – Gortani – Gotelli Angela – Grassi – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippi – Gui – Guidi Cingolani Angela.

Jervolino.

La Gravinese Nicola – Lagravinese Pasquale – La Pira – Lazzati – Leone Giovanni – Lettieri – Lizier – Lucifero.

Malvestiti – Mannironi – Manzini – Marazza – Marconi – Marina Mario – Marinaro – Martinelli – Martino Gaetano – Marzarotto – Mastino Gesumino – Mastrojanni – Mattarella – Mazza – Meda Luigi – Medi Enrico – Mentasti – Merlin Umberto – Miccolis – Micheli – Monterisi – Monticelli – Montini – Morelli Luigi – Morelli Renato – Moro – Mortati – Motolese – Murgia.

Nicotra Maria – Nitti – Notarianni – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pallastrelli – Pastore Giulio – Pat – Patrissi – Pecorari – Pella – Penna Ottavia – Perlingieri – Perrone Capano – Perugi – Petrilli – Piccioni – Pignedoli – Ponti – Proia – Puoti.

Quarello – Quintieri Adolfo – Quintieri Quinto.

Raimondi – Rapelli – Recca – Rescigno – Restagno – Restivo – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Romano – Roselli – Rubilli – Ruini – Rumor – Russo Perez.

Saggin – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sartor – Scalfaro – Scelba – Schiratti – Scoca – Segni – Selvaggi – Sforza – Siles – Spataro – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Taviani – Terranova – Tessitori – Tieri Vincenzo – Titomanlio Vittoria – Togni – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Trimarchi – Tripepi – Trulli – Tumminelli – Topini – Turco.

Uberti.

Valenti – Vallone – Valmarana – Vanoni – Venditti – Viale – Vicentini – Vigo – Vilardi – Villabruna – Volpe.

Zaccagnini – Zerhi – Zotta.

Si sono astenuti:

Arata – Azzi.

Bennani – Bernabei – Bianchi Bianca – Bocconi – Bonfantini.

Cairo – Calosso – Camangi – Canevari – Caporali – Carboni Angelo – Cartìa – Chiaramello – Chiostergi – Conti – Corsi.

D’Aragona – Della Seta – De Mercurio – Di Govanni – Di Gloria.

Facchinetti – Fietta – Filippini.

Gasparotto – Ghidini – Giannini – Grilli – Gullo Rocco.

La Malfa – Lami Starnuti – Longhena.

Macrelli – Magrassi – Magrini – Matteotti Matteo – Mazzoni – Momigliano – Montemartini – Morini.

Pacciardi – Paolucci – Paris – Pera – Perassi – Persico – Pignatari – Preti.

Rossi Paolo.

Salerno – Sapienza – Saragat – Sardiello – Segala – Simonini – Spallicci.

Tremelloni – Treves.

Vigorelli – Villani.

Zuccarini.

Sono in congedo:

Carmagnola.

De Vita.

Jacini.

Parri – Pellizzari – Porzio.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione nominale ed invito gli onorevoli Segretari a procedere al computo dei voti.

(Gli onorevoli Segretari fanno il computo dei voti).

Presidenza del Presidente TERRACINI

Risultato della votazione nominale.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione nominale sulla mozione presentata dall’onorevole Nenni:

Presenti                                 512

Astenuti                                 63

Votanti                                  449

Maggioranza assoluta dei

membri dell’Assemblea         279

Hanno risposto                   178

Hanno risposto no                  271

Non essendo stata raggiunta la maggioranza assoluta, di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 16 marzo 1946, n. 98, la nozione non è approvata.

Si riprende la discussione delle mozioni.

PRESIDENTE. Dobbiamo ora passare alla mozione presentata dagli onorevoli Togliatti, Scoccimarro, Longo, D’Onofrio, Secchia, Novella, Rossi Maria Maddalena e Laconi:

«L’Assemblea Costituente, di fronte alle misure delle autorità di pubblica sicurezza e prefettizie che limitano la libertà di propaganda e agitazione, e le libertà democratiche in generale, nega la sua fiducia al Governo e passa all’ordine del giorno».

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. Signor Presidente, mi pare che, dato che sulla mozione presentata dal nostro Gruppo difficilmente si realizzerebbe uno schieramento diverso da quello che testé è stato constatato, per non far perdere maggiormente tempo all’Assemblea il nostro Gruppo ha deciso di ritirare la mozione. (Applausi).

PRESIDENTE. Segue la mozione presentata dagli onorevoli Canevari, Saragat, Zagari, Vigorelli, Simonini, Persico, Piemonte, Villani, Cartia, Lami Starnuti e Cairo:

«L’Assemblea Costituente, considerati la gravità della crisi economica del Paese ed i preoccupanti sviluppi della situazione internazionale, ritiene necessaria una nuova formazione di Governo più rispondente di quella attuale agli interessi solidali della Nazione e delle classi lavoratrici. Conseguentemente nega la sua fiducia al Governo e passa all’ordine del giorno».

NENNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NENNI. Onorevoli colleghi, per quanto convinti che il risultato negativo della lotta che si è svolta in questa Assemblea sia dovuto all’atteggiamento che ha tenuto il Gruppo di cui in questo momento ci si chiede di votare la mozione, abituati però a porre le conclusioni al disopra dei nostri sentimenti e dei nostri risentimenti, noi voteremo la mozione che è stata presentata.

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. Dichiaro che anche il nostro Gruppo, dopo avere nel dibattito chiaramente sottolineato le proprie posizioni in confronto alle posizioni sostenute dal partito dell’onorevole Saragat, siccome mira prima di tutto al risultato positivo e concreto del voto parlamentare, voterà la mozione dell’onorevole Saragat.

CAROLEO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAROLEO. Dichiaro che voterò contro la mozione Saragat pur approvandone, in via di massima, la prima parte.

MAZZONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAZZONI. Io avrei votato la mozione Saragat, ma poiché in questo momento, già torbido per vari aspetti, pieno di ombre e di cose insincere, la mozione Saragat assumerebbe un aspetto falso in seguito alle dichiarazioni che hanno fatto gli onorevoli Togliatti e Nenni, in nome di una sincerità che non deve essere disprezzata ed anzi deve essere onorata in questo momento, dichiaro che voterò contro. (Applausi al centro e a destra – Commenti a sinistra).

D’ARAGONA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

D’ARAGONA. A nome del mio Gruppo devo dichiarare che l’onorevole Mazzoni già da tempo non appartiene ad esso. (Interruzioni – Commenti). Quindi la dichiarazione dell’onorevole Mazzoni è una dichiarazione strettamente personale che non impegna affatto il nostro Gruppo.

MERLIN ANGELINA. L’onorevole Mazzoni è un socialista, mentre lei non lo è. (Commenti).

MAZZONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAZZONI. Signor Presidente, non ho l’abitudine di mescolare le meschinità, le miserie e le amarezze dei partiti nella discussione delle assemblee pubbliche, che hanno il diritto di dare giudizi e voti in piena libertà. Ma poiché l’onorevole D’Aragona, con una impudenza di cui gli do atto, s’è permesso di fare accenno alle mie dimissioni, gli devo osservare che, circa le mie dimissioni – che ho date per l’incertezza è l’ambiguità di un voto che si è trascinato fino a queste ultime ore, fino a questa mattina e quest’oggi – gli amici mi hanno pregato di rientrare perché delle mie dimissioni non si voleva prendere atto. Detto questo, dichiaro all’onorevole D’Aragona che non ricevo lezioni né da lui, né da altri. (Commenti).

Votazione nominale.

PRESIDENTE. Comunico che sulla mozione Saragat è stato chiesto l’appello nominale dagli onorevoli Preti, Simonini, Piemonte, Persico, Villani, Morini, Bennani, Calosso, Filippini, Carboni Angelo, Paris, Cartia, Gullo Rocco, Rossi Paolo, Chiaramello e Caporali.

Procediamo alla votazione nominale.

Estraggo a sorte il nome del deputato dal quale comincerà la chiama.

(Segue il sorteggio).

Comincerà dal deputato Morandi.

Si faccia la chiama.

RICCIO, Segretario, fa la chiama:

Hanno risposto sì:

Alberganti – Allegato Amadei – Amendola – Arata – Assennato.

Baldassari – Barbareschi – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basso – Bei Adele – Bennani – Bernamonti – Bernardi – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Bibolotti – Binni – Bitossi – Bocconi – Boldrini – Bolognesi – Bonfantini – Bonomelli – Bosi – Bruni – Bucci – Buffoni Francesco.

Cacciatore – Cairo – Calamandrei – Caldera – Calosso – Canevari – Caporali – Carboni Angelo – Carpano Maglioli – Cartia – Cavallari – Cavallotti – Cerreti – Cevolotto – Chiaramello – Chiarini – Cianca – Codignola – Colombi Arturo – Corbi – Corsi – Cosattini – Costa – Costantini – Cremaschi Olindo.

D’Amico – D’Aragona – De Filpo – De Michelis Paolo – Di Giovanni – Di Gloria – Di Vittorio – Donati – D’Onofrio – Dozza – Dugoni.

Faccio – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Ferrari Giacomo – Fietta – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Fioritto – Flecchia – Foa – Fogagnolo – Fornara.

Gallico Spano Nadia – Gavina – Gervasi – Ghidetti – Ghidini – Ghislandi – Giacometti – Giolitti – Giua – Gorreri – Grazi Enrico – Grazia Verenin – Grieco – Grilli – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jacometti.

Laconi – Lami Starnuti – Landi – La Rocca – Leone Francesco – Li Causi – Lizzadri – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo – Longhena – Longo – Lopardi – Lozza – Luisetti – Lussu.

Maffi – Magnani – Malagugini – Maltagliati – Mancini – Marchesi – Mariani Enrico – Massini – Massola – Mastino Pietro – Mattei Teresa – Matteotti Carlo – Matteotti Matteo – Merighi – Merlin Angelina – Mezzadra – Minella Angiola – Minio – Molè – Molinelli – Momigliano – Montagnana Mario – Montagnana Rita – Montalbano – Montemartini – Morandi – Moranino – Morini – Moscatelli – Musolino – Musotto.

Nasi – Negarville – Negro – Nenni – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Noce Teresa – Novella.

Pajetta Gian Carlo – Pajetta Giuliano – Paris – Pastore Raffaele – Pellegrini – Pera – Persico – Pertini Sandro – Pesenti – Piemonte – Pignatari – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Pratolongo – Pressinotti – Preti – Priolo – Pucci.

Ravagnan – Ricci Giuseppe – Romita – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Roveda – Ruggieri Luigi.

Saccenti – Salerno – Sansone – Santi – Sapienza – Saragat – Scarpa – Schiavetti – Scoccimarro – Scotti Francesco – Secchia – Segala – Sereni – Sicignano – Silipo – Silone – Simonini – Spano – Stampacchia.

Targetti – Tega – Togliatti – Tomba – Tonello – Tonetti – Tremelloni – Treves.

Valiani – Varvaro – Vernocchi – Veroni – Vigna – Vigorelli – Villani – Vinciguerra.

Zagari – Zanardi – Zannerini – Zappetti.

Hanno risposto no:

Abozzi – Adonnino – Alberti – Aldisio – Ambrosini – Andreotti – Angelini – Angelucci – Arcaini – Arcangeli – Avanzini – Ayroldi.

Bacciconi – Badini Confalonieri – Balduzzi – Baracco – Bastianetto – Bazoli – Bellato – Bellavista – Belotti – Bencivenga – Benedettini – Benvenuti – Bergamini – Bertini Giovanni – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchini Laura – Bonino – Bonomi Paolo – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Braschi – Brusasca – Bubbio – Bulloni Pietro – Buonocore – Burato.

Caccuri – Caiati – Camposarcuno – Cannizzo – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Capua – Carbonari – Carboni Enrico – Carignani – Caristia – Caroleo – Caronia – Carratelli – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Castiglia – Cavalli – Chatrian – Chieffi – Ciampitti – Ciccolungo – Cicerone – Cifaldi – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombo Emilio – Colonna di Paliano – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbino – Corsanego – Corsini – Cortese – Cotellessa – Covelli – Cremaschi Carlo – Crispo – Cuomo.

Damiani – De Caro Gerardo – De Caro Raffaele – De Falco – De Gasperi – Del Curto – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Michele Luigi – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Dominedò – Dossetti.

Einaudi – Ermini.

Fabbri – Fabriani – Fanfani – Fantoni – Federici Maria – Ferrarese – Ferrario Celestino – Ferreri – Firrao – Foresi – Franceschini – Fresa – Froggio – Fuschini – Fusco.

Gabrieli – Galati – Galioto – Garlato – Gatta – Germano – Geuna – Giacchero – Giordani – Gonella – Gortani – Gotelli Angela – Grassi – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela.

Jervolino.

La Gravinese Nicola. – Lagravinese Pasquale – La Pira – Lazzati – Leone Giovanni – Lettieri – Lizier – Lucifero.

Maffioli – Malvestiti – Mannironi – Manzini – Marazza – Marconi – Marina Mario – Marinaro – Martinelli – Martino Gaetano – Marzarotto – Mastino Gesumino – Mastrojanni – Mattarella – Mazza – Mazzoni – Meda Luigi – Medi Enrico – Mentasti – Merlin Umberto – Miccolis – Micheli – Monterisi – Monticelli – Montini – Morelli Luigi – Morelli Renato – Moro – Mortati – Motolese – Murgia.

Nicotra Maria – Notarianni – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pallastrelli – Pastore Giulio – Pat – Patrissi – Pecorari – Pella – Penna Ottavia – Perlingieri – Perrone Capano – Perugi – Petrilli – Piccioni – Pignedoli – Ponti – Proia – Puoti.

Quarello – Quintieri Adolfo – Quintieri Quinto.

Raimondi – Rapelli – Recca – Rescigno – Restagno – Restivo – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Romano – Roselli – Rubilli – Rumor – Russo Perez.

Saggin – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sartor – Scalfaro – Scelba – Schiratti – Scoca – Segni – Selvaggi – Sforza – Siles – Spataro – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Taviani – Terranova – Tessitori – Tieri Vincenzo – Titomanlio Vittoria – Togni – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Trimarchi – Tripepi – Trulli – Tumminelli – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Vallone – Valmarana – Vanoni – Venditti – Viale – Vicentini – Vigo – Vilardi – Villabruna – Volpe.

Zaccagnini – Zerbi – Zotta.

Si sono astenuti:

Azzi.

Bernabei.

Camangi – Chiostergi – Conti.

Della Seta – De Mercurio.

Facchinetti.

La Malfa.

Macrelli – Magrini.

Pacciardi – Paolucci – Perassi.

Sardiello – Spallicci

Zuccarini.

Sono in congedo:

Carmagnola.

De Vita.

Jacini.

Parri – Pellizzari – Porzio.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione nominale. Invito gli onorevoli segretari a procedere al computo dei voti.

(Gli onorevoli Segretari procedono al computo dei voti).

Risaltato della votazione nominale.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione nominale sulla mozione presentata dall’onorevole Saragat:

Presenti                                      512

Astenuti                                     17

Votanti                                      495

Maggioranza assoluta dei

membri dell’Assemblea              279

Hanno risposto                        224

Hanno risposto no                       271

Non essendo stata raggiunta la maggioranza assoluta, di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 16 marzo 1946, n. 98, la mozione non è approvata.

Sugli ordini del giorno.

PRESIDENTE. Dobbiamo ora passare agli ordini del giorno degli onorevoli Quinto Quintieri, Micheli e Magrini.

Chiedo ai presentatori se vi insistono. Ha facoltà di parlare l’onorevole Quinto Quintieri.

QUINTIERI QUINTO. Ritiro il mio ordine del giorno, avendolo presentato soltanto per richiamare l’attenzione del Governo sopra un aspetto particolarmente delicato della sua politica finanziaria.

PRESIDENTE. L’onorevole Micheli ha facoltà di dichiarare se conserva il suo ordine del giorno.

MICHELI. Come ho già dichiarato rinunziando allo svolgimento del mio ordine del giorno, esso aveva il solo scopo di richiamare l’attenzione del Governo sopra le necessità che non si interrompa il ritmo dei lavori per la ricostruzione e di provvidenze per lenire la disoccupazione. Pertanto lo ritiro.

PRESIDENTE. L’onorevole Magrini ha facoltà di dichiarare se mantiene il suo ordine del giorno.

MAGRINI. Lo mantengo.

CRISPO. Chiedo di parlare per una pregiudiziale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. Onorevole Presidente, ritengo che l’ordine del giorno Magrini non possa essere posto in votazione. È questa la pregiudiziale che io presento. E mi affretto a dire subito che a sostegno del mio assunto io non invoco l’ultima parte dell’articolo 3 della legge del 16 marzo 1946, n. 98. L’ultima parte dell’articolo 3 della legge 16 marzo 1946 stabilisce in quali casi la mozione di sfiducia debba determinare obbligatoriamente le dimissioni del Governo e determina le condizioni nelle quali questa mozione di sfiducia debba essere presentata per produrre gli effetti delle dimissioni del Governo. Non invoco adunque l’ultima parte dell’articolo 3, perché mi si potrebbe osservare agevolmente (e faccio a me stesso l’obiezione) che l’ordine del giorno potrebbe essere votato, ma non sarebbe destinato a produrre gli effetti dell’articolo 3 della legge 16 marzo 1946.

Ecco perché dicevo che non invoco a sostegno della mia tesi l’articolo 3, ma invoco invece l’articolo 28 del Regolamento.

Spiego subito il mio pensiero. In effetti, l’ordine del giorno di sfiducia riproduce la mozione di sfiducia.

Voci a sinistra. No, No!

PRESIDENTE. Prego: non interrompano.

CRISPO. L’ordine del giorno riproduce, dicevo, – e ripeto – la mozione di sfiducia, con questa differenza, che l’una si chiama mozione di sfiducia e quello presentato, e sul quale si dovrebbe votare, si chiama ordine del giorno, e che l’una – la mozione di sfiducia – è motivata e questo ordine del giorno non è motivato. Ma, nella sostanza e nel contenuto, l’ordine del giorno riproduce una dichiarazione di sfiducia al Governo.

Qual è la ragione per la quale, secondo me, è inammissibile la votazione su quest’ordine del giorno che, nella sua sostanza e nel suo contenuto, riproduce una dichiarazione di sfiducia? Questa: che si potrebbe determinare una evidente contradizione… (Interruzione del deputato Carpano Maglioli – Commenti a destra).

Vi sono tre mozioni di sfiducia, delle quali una, quella dell’onorevole Togliatti, ritirata; le altre due respinte. Com’è conciliabile una votazione su un ordine del giorno di sfiducia quando già, respingendosi le mozioni di sfiducia, è stata data la fiducia al Governo? (Applausi al centro).

LACONI. Le mozioni non esauriscono tutte le motivazioni possibili.

Una voce al centro. Ne potete fare centomila di motivazioni! (Commenti).

CRISPO. Rispondo all’onorevole Laconi che ho già ricordato come l’ordine del giorno sia senza alcuna motivazione: il più comprende evidentemente il meno. Se sono state respinte due mozioni motivate, evidentemente deve intendersi respinto anche un ordine del giorno che conclude allo stesso modo delle mozioni ed in più è senza motivazione. (Proteste a sinistra – Commenti al centro e a destra).

CRISPO. Vorrei, signor Presidente, a ribadire la esattezza della mia tesi, dire un’altra cosa. Se io presentassi in questo momento un ordine del giorno di fiducia al Governo, potrebbe questo ordine del giorno essere votato? Evidentemente no; non potrebbe essere votato perché è stata già votata implicitamente la fiducia al Governo, respingendosi le mozioni di sfiducia. Questo mi sembra evidentissimo (Commenti a sinistra). E allora meno ancora può essere votato un ordine del giorno di sfiducia al Governo.

Un’ultima considerazione. Ho già ricordato come non invocassi – e difatti non ho invocato – l’ultima parte dell’articolo 3; ma posso in questo momento riferirmi all’ultima parte dell’articolo 3, per una definitiva osservazione. (Interruzioni – Commenti prolungati a sinistra).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, facciano silenzio, per favore. Onorevole Crispo, la prego, continui.

CRISPO. La disposizione dell’articolo 128 del Regolamento, per la quale l’ordine del giorno puro e semplice e l’ordine del giorno motivato non hanno nella votazione la precedenza sulle mozioni, va interpretata, senza dubbio, nel senso che in tanto possa essere votato un ordine del giorno in occasione della votazione di una mozione, in quanto l’ordine del giorno non riproduca la mozione perché, altrimenti, si tratterebbe di un bis in idem.

Si potrà votare solo un ordine del giorno il quale abbia un contenuto sostanzialmente diverso da quello di mozioni già votate. (Interruzione dell’onorevole Nenni – Commenti e proteste a sinistra).

PRESIDENTE. Facciano silenzio, onorevoli colleghi. Onorevole Nenni, la prego.

CRISPO. Quale definitivo argomento, posso ora ricordare anche l’ultima parte dell’articolo 3 del decreto 16 marzo 1946, per dire che, se la sfiducia al Governo obbedisce ad una sola finalità, quella di obbligare il Governo stesso a rassegnare le dimissioni, e se la legge stabilisce una determinata e speciale procedura, quella cioè che ha luogo attraverso un’apposita mozione di sfiducia presentata in un determinato modo, è evidente, onorevoli colleghi, che non si può dare la sfiducia al Governo attraverso un ordine del giorno.

Per queste ragioni, sostengo l’inammissibilità dell’ordine del giorno e chiedo che non sia posto in votazione. (Applausi al centro e a destra – Commenti a sinistra).

MACRELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MACRELLI. Mi dispiace che le parole dell’onorevole Crispo non siano arrivate fino a me. Immagino che si sia appellato alla parola e allo spirito del decreto 16 marzo 1946 e del Regolamento.

Potremmo discutere anche su questo tema; potremmo anche esprimere il nostro giudizio a questo proposito, in assoluto contrasto con la tesi che ha presentato L’onorevole Crispo.

Una voce al centro. Ma se non l’ha sentita!

MACRELLI. Me l’immagino, anche se non l’ho sentita.

Ho delle ragioni personali che militano a favore di questo mio assunto. Purtroppo sono un vecchio parlamentare. (Commenti). Appartengo ad anni lontani. Ho discusso altre volte qui anche il Regolamento che dirige i nostri lavori; quindi, lo conosco e, poi, sono un avvocato, non della levatura dell’onorevole Crispo (Commenti), ma credo di sapere interpretare e la legge e il Regolamento, nella parola e nello spirito.

Ma non farò una questione di ordine giuridico; io sollevo una questione di ordine morale e politico, una questione di onestà e di lealtà. Mi rivolgo alla Presidenza, allo stesso Governo, a tutta l’Assemblea.

Voi avete sentito che io ho parlato prima che fossero messe in votazione le mozioni; ho detto le ragioni per cui noi del Gruppo repubblicano ci saremmo astenuti dal votare le tre mozioni, perché le premesse non collimavano col nostro pensiero e col nostro giudizio. Ma abbiamo detto qualche cosa di più, e ci siamo rivolti alla Presidenza e ci siamo rivolti anche all’Assemblea Costituente. Il collega Chiostergi, su un richiamo venuto dal banco della Presidenza, ha rivolto una domanda specifica proprio al Gruppo della democrazia cristiana.

Una voce al centro. Non a noi.

MACRELLI. L’ha rivolta anche a voi; comunque l’ha fatto. Questa è la situazione. Nonostante qualche accenno che ha sollevato un dubbio molto importante, noi abbiamo dichiarato che non avremmo votato le mozioni perché ci riservavamo di votare il nostro ordine del giorno. Se avessimo saputo che invece questo nostro atteggiamento sarebbe stato interpretato così come si intende interpretarlo adesso, noi avremmo votato la prima e l’ultima mozione. (Commenti al centro). E allora la nostra astensione acquista un altro valore e un altro significato. Se si potessero rettificare i voti, i risultati delle votazioni, noi potremmo anche dire: aggiungete i nostri voti ai risultati.

BADINI CONFALONIERI. Ma il risultato non cambierebbe!

MACRELLI. Non importa, onorevole Badini, noi riteniamo ugualmente mantenere la nostra corretta linea morale e politica. Non significa nulla il risultato della votazione; per me hanno valore fino ad un certo punto i voti: sono le premesse, le condizioni, le situazioni, soprattutto i pensieri che dirigono i voti, che hanno valore.

Ecco quello che noi affermiamo davanti al Governo e davanti all’Assemblea. Noi insistiamo. Il Governo avrà la maggioranza dei voti. Perfettamente d’accordo. Noi non ci lamenteremo. Ma permetteteci che, facendo appello al vostro senso di onestà e di lealtà, noi insistiamo.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Devo dissentire dall’impostazione data dall’onorevole Crispo per la ragione che non ritengo sussista un motivo di preclusione, nascente dalle precedenti votazioni. Infatti dal giuoco delle diverse motivazioni può ben discendere un diverso giuoco dei risultati, come è comprovato praticamente dal fatto che il Gruppo repubblicano, astenutosi da una precedente votazione, è successivamente portato ad esprimere un voto contrario. Questo, per debito di lealtà.

Aggiungo – e desidero sottolinearlo nei confronti dell’onorevole Macrelli il quale osservava che se i repubblicani fossero stati resi edotti tempestivamente di questa presa di posizione, avrebbero potuto diversamente votare nell’ambito dell’ultima votazione – aggiungo, dicevo, che noi abbiamo ritenuto doveroso dal punto di vista della correttezza parlamentare preannunciare a tempo la nostra interpretazione della materia. Noi ci fondiamo sul terreno strettamente giuridico, non in base alle argomentazioni regolamentari testé svolte e che personalmente non condivido, bensì in forza di quel principio di ordine costituzionale contenuto nell’articolo 3 della legge istitutiva della Costituente, la quale tende a creare tutto un nuovo spirito nella serie dei giudizi politici che possono darsi ai fini della caduta o meno del Governo, esigendo, per il principio di stabilità del potere esecutivo rispetto alla funzione del potere legislativo, un’apposita mozione di sfiducia da depositare nei termini e nelle forme previste. Né varrebbe operare fuori di questo quadro, mediante votazioni semplicemente indicative le quali non portino come conseguenza l’obbligatorietà delle discussioni: poiché ciò sarebbe violare lo spirito della legge.

Sono questi i principî costituzionali che noi teniamo a preservare, proprio in questa fase storica di profonda elaborazione costituzionale.

Detto questo, resta solo da aggiungere che potrebbe tuttavia subentrare una valutazione contingente di ordine politico, sul cui apprezzamento di convenienza non compete a me fare parola in quanto il giudizio spetta al Governo.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. L’apprezzamento politico del quale parlava testé l’onorevole Dominedò si collega al quesito posto dall’onorevole Crispo, il quale si domanda: dopo il voto sulle mozioni di sfiducia, che vale votare un ordine del giorno su una cosa già decisa? Non avrebbe lo stesso significato?

Ebbene no, non ha lo stesso significato. Una mozione di sfiducia che ottenga la maggioranza obbliga il Governo a dimettersi, l’ordine del giorno non obbliga il Governo a dimettersi, ma può significare un consiglio al Governo, l’indicazione di un orientamento, di uno stato d’animo; in questa differenziazione v’è la giustificazione del voto sull’ordine del giorno. Questo mi pare un atto politico che non si possa respingere: il Governò può anzi avere interesse che si compia.

Ha importanza, onorevole Crispo, sapere se in questi quattro mesi i voti di fiducia o di sfiducia al Governo sono aumentati o diminuiti. Per questo chiediamo che l’ordine del giorno venga messo in votazione.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Comprendo lo stato di agitazione in cui si trova l’Assemblea in quest’ora, ma il fatto si è che vengono sollevate eccezioni senza fondamento, proprio perché danno motivo a che altre questioni sulla interpretazione del Regolamento vengano sottoposte all’Assemblea. È proprio per porre un freno a questo sistema che io desidero intervenire.

Vorrei rispondere a due eccezioni, sollevate una dall’onorevole Crispo e l’altra dall’onorevole Dominedò. L’onorevole Crispo notava giustamente che la approvazione di un ordine del giorno di sfiducia non comporta le dimissioni automatiche del Governo. Questo è pacifico. Ma la votazione ha comunque un valore di indicazione e di orientamento che ha un suo rilievo politico. In questo senso l’ordine del giorno può essere votato. Sono state votate due mozioni di sfiducia, con due distinte motivazioni; ma vi sono infinite motivazioni possibili di una mozione di sfiducia. È evidente quindi che l’Assemblea, votandone due, non le ha esaurite tutte. Votando l’ordine del giorno non motivato, l’Assemblea vota qualche cosa di infinitamente più ampio delle mozioni di sfiducia che ha fino ad ora respinto; quindi l’Assemblea si riserva, attraverso la votazione di un ordine del giorno, quel diritto che le è stato negato con il voto sulla questione di procedura, allorché è stata impedita la divisione delle mozioni, e cioè il diritto di coalizione di tutte le opposizioni discordanti nelle motivazioni ma coincidenti nella conclusione. A questo titolo io chiedo che l’ordine del giorno dell’onorevole Macrelli venga messo in votazione. (Applausi a sinistra – Commenti al centro).

SARDIELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SARDIELLO. Onorevoli colleghi, desidero obiettivare la discussione non tenendo presente per un momento che l’ordine del giorno del quale si discute è stato presentato dal Gruppo al quale appartengo.

Erano stati già presentati due ordini del giorno sull’argomento (la fiducia o no al Governo) uno dei quali, come ha avvertito l’onorevole Presidente, da tre o quattro giorni è stato svolto già nella Assemblea dall’onorevole Quintieri Quinto, e su di esso, senza che sorgesse eccezione alcuna, appena un minuto addietro l’onorevole Presidente ha chiesto al presentatore se intendesse mantenerlo o meno. Dunque è fermo che sulla materia in questione sono consentite la presentazione e la votazione di un ordine del giorno.

Si introdurrà ora qui il concetto di una differenza di regolamentazione in considerazione soltanto del diverso orientamento politico di due forme di manifestazione parlamentare? Se la forma dell’ordine del giorno è consentita, deve dirsi (a patto di rinunciare a quelle tante nozioni che testé l’onorevole Dossetti rimproverava a qualcuno di aver lasciato sui banchi della scuola), che non è possibile fare la distinzione sulla sostanza. Allora che cosa rimane di quello che hanno detto gli avversari per contrastare che l’ordine del giorno vada in votazione? Rimane un’osservazione: che sono state presentate su questo argomento della fiducia al Governo anche delle mozioni, e per questo l’ordine del giorno non dovrebbe trovar posto. E dove è detto – fra tante norme regolamentari citate – che quando su un argomento sia presentata una mozione non possa essere presentato anche un ordine del giorno?

Incalzano sulla scia di questo argomento gli avversari, e ci dicono: «la mozione ha la conseguenza diretta, automatica, delle dimissioni del Governo; l’ordine del giorno, no». Mi permetto di dire che appunto questa diversità di conseguenza dell’una e dell’altra forma regolamentare legittima la presentazione e della mozione e dell’ordine del giorno: può infatti accadere che un Gruppo o una parte dell’Assemblea intenda soltanto di sollecitare una manifestazione politica che non giunga a quelle conseguenze. Il che prova ancora che l’una e l’altra forma regolamentare possono coesistere.

Ma l’argomentazione è superflua là dove sono due realtà di fatti che non possono essere negate a patto che non si esca di qua dicendo che c’è una parte politica che deve subire necessariamente una menomazione. Le conseguenze di questo sarebbero preoccupanti. Ci sono due realtà che non possono essere discusse.

Una, che la forma dell’ordine del giorno, come dicevo in principio, è stata ammessa; l’altra che, allorquando, in seguito a vociferazioni colte tra i banchi di diversi settori, sorse la preoccupazione che l’ordine del giorno potesse non essere votato, i colleghi Macrelli e Chiostergi hanno interpellato l’onorevole Presidente appellandosi alla sua autorità, ed egli ha risposto che se l’esito della votazione sulle mozioni fosse stato favorevole, non si sarebbe fatto luogo alla votazione dell’ordine del giorno. Il che includeva la «reciproca» che, nel caso le mozioni non avessero avuto successo, si sarebbe andati alla votazione dell’ordine del giorno. Anche per la fiducia che doverosamente abbiamo riposto in quella parola è venuta la nostra insistenza che manteniamo, fiduciosi nel senso politico e di giustizia dell’Assemblea, chiedendo la votazione dell’ordine del giorno. (Applausi a sinistra).

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Poiché i colleghi repubblicani hanno fatto, accantonando la questione giuridica, una questione politica e morale, il Governo non fa opposizione perché l’ordine del giorno venga votato. Devo però dirvi che temo assai che il precedente sia cattivo. La forma tradizionale di esprimere la sfiducia è quella di non approvare le dichiarazioni del Governo. Questa è la forma della tradizione parlamentare; e di questo ci ricordammo quando formulammo il decreto 16 marzo 1946. Tuttavia circondammo la manifestazione di sfiducia con diverse cautele, appunto per rendere più stabili i Governi: necessità questa, che fu avvertita da tutti coloro che parteciparono alla elaborazione della legge. Lo scopo fondamentale era di evitare che un ordine del giorno potesse trovare in qualunque momento una maggioranza casuale.

Non vorrei, come uno dei compilatori di quel decreto, che si creasse un cattivo precedente. Si sono presentate tre mozioni di sfiducia e si sono seguite tutte le norme che erano previste; si sono avute anche le votazioni; e durante questa discussione si ripresenta la vecchia formula del non approvare le dichiarazioni del Governo, cercandosi in tal modo di annullare il significato, lo scopo e le finalità della formula nuova, quella cautelare, la cui importanza caratteristica non consiste tanto nella maggioranza qualificata quanto nella particolare procedura stabilita. Temo assai, come vecchio parlamentare, guardando quello che sta avvenendo nella nostra Assemblea, che questo precedente annulli completamente quello che si è tentato di fare, nell’interesse della democrazia, per una certa stabilità nel presente regime provvisorio. È avvenuto anche in Francia un simile dibattito e si è risolto in favore della mia tesi.

Detto questo, poiché i colleghi repubblicani hanno capito le cose diversamente e credevano di avere in mano l’interpretazione giusta, poiché essi hanno inteso porre su un altro terreno la questione, il Governo non vuole in nessuna maniera contribuire a dare adito a interpretazioni errate sul suo atteggiamento; non vuole che si possa accusarlo di non lealtà o di fuga o timore di non ottenere una terza dichiarazione di fiducia e prega gli amici di regolarsi come si sono regolati precedentemente. Non ho quindi obiezioni a che venga posto in votazione l’ordine del giorno Magrini. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. Sull’ordine del giorno Magrini gli onorevoli Chiostergi, De Mercurio, Nasi, Cevolotto, Paolucci, La Malfa, Spallicci, Bernabei, Magrini, Camangi, Foa, Sardiello, Zuccarini, Facchinetti e Azzi hanno chiesto la votazione per appello nominale. Chiedo ai presentatori della richiesta se intendano mantenerla.

CHIOSTERGI. Conserviamo la domanda di appello nominale.

Votazione nominale.

PRESIDENTE. Pongo pertanto in votazione, per appello nominale, l’ordine del giorno presentato dall’onorevole Magrini ed altri, di cui do ancora uno volta lettura: «L’Assemblea Costituente, udite le dichiarazioni del Governo, non le approva e passa all’ordine del giorno».

Estraggo a sorte il nome del deputato dal quale comincerà la chiama.

(Segue il sorteggio).

Comincerà dal deputato De Vita.

Si faccia la chiama.

SCHIRATTI, Segretario, fa la chiama:

Hanno risposto sì:

Alberganti – Allegato – Amadei – Amendola – Arata – Assennato – Azzi.

Baldassari – Barbareschi – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basso – Bei Adele – Bennani – Bernabei – Bernamonti – Bernardi – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Bibolotti – Binni – Bitossi – Bocconi – Boldrini – Bolognesi – Bonfantini – Bonomelli – Bosi – Bruni – Bucci – Buffoni Francesco.

Cacciatore – Calamandrei – Caldera – Calosso – Camangi – Canevari – Caporali – Carboni Angelo – Carpano Maglioli – Cartia – Cavallari – Cavallotti – Cerretti – Cevolotto – Chiaramello – Chiarini – Chiostergi – Cianca – Codignola – Colombi Arturo – Corbi – Cosattini – Costa – Costantini – Cremaschi Olindo.

D’Amico Michele – D’Aragona – De Filpo – Della Seta – De Mercurio – De Michelis Paolo – Di Giovanni – Di Gloria – Di Vittorio – Donati – D’Onofrio – Dozza – Dugoni.

Facchinetti – Faccio – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Ferrari Giacorno – Fietta – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Fioritto – Flecchia – Foa – Fogagnolo – Fornara.

Gallico Spano Nadia – Gasparotto – Gavina – Gervasi – Ghidetti – Ghidini – Ghislandi – Giacometti – Giolitti – Giua – Gorreri – Grazi Enrico – Grazia Verenin – Grieco – Grilli – Gullo Fausto.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jacometti.

Laconi – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Rocca – Leone Francesco – Li Causi – Lizzadri – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo – Longhena – Longo – Lopardi – Lozza – Luisetti – Lussu.

Macrelli – Maffi – Magnani – Magrassi – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Mancini – Marchesi – Mariani Enrico – Massini – Massola – Mastino Pietro – Mattei Teresa – Matteotti Carlo – Matteotti Matteo – Meda Luigi – Merighi – Merlin Angelina – Mezzadra – Minella Angiola – Minio – Molè – Molinelli – Momigliano – Montagnana Mario – Montagnana Rita – Montalbano – Montemartini – Morandi – Moranino – Morini – Moscatelli – Musolino – Musotto.

Nasi – Negarville – Negro – Nenni – Nobili Tito Oro – Noce Teresa – Novella.

Pacciardi – Pajetta Gian Carlo – Pajetta Giuliano – Paolucci – Paris – Pastore Raffaele – Pellegrini – Pera – Perassi – Persico – Pertini Sandro – Perugi – Pesenti – Piemonte – Pignatari – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Pratolongo – Pressinotti – Preti – Priolo – Pucci.

Ravagnan – Ricci Giuseppe – Romita – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Roveda – Ruggeri Luigi.

Saccenti – Salerno – Sansone – Santi – Sapienza – Saragat – Sardiello – Scarpa – Schiavetti – Scoccimarro – Scotti Francesco – Secchia – Sereni – Sicignano – Silipo – Silone – Simonini – Spallicci – Spano – Stampacchia.

Targetti – Tega – Togliatti – Tomba – Tonello – Tonetti – Treves.

Valiani – Varvaro – Vernocchi – Veroni – Vigna – Vigorelli – Villani – Vinciguerra.

Zagari – Zanardi – Zannerini – Zappelli – Zuccarini.

Hanno risposto no:

Abozzi – Adonnino – Alberti – Aldisio – Ambrosini – Andreotti – Angelini – Angelucci – Arcaini – Arcangeli – Avanzini – Ayroldi.

Bacciconi – Badini Confalonieri – Balduzzi – Baracco – Bastianetto – Bazoli – Bellato – Bellavista – Belotti – Bencivenga – Benedettini – Benvenuti – Bergamini – Bertini Giovanni – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchini Laura – Bonino – Bonomi Paolo – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Braschi – Brusasca – Bubbio – Bulloni Pietro – Buonocore – Burato.

Caccuri – Caiati – Camposarpuno – Cannizzo – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Capua – Carbonari – Carboni Enrico – Carignani –Carìstia – Caroleo – Caronia – Carratelli – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Castiglia – Cavalli – Chatrian – Chieffi – Ciampitti – Ciccolungo – Cicerone – Cifaldi – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombo Emilio – Colonna di Paliano – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbino – Corsanego – Corsini – Cortese – Cotellessa – Covelli – Cremaschi Carlo – Crispo – Cuomo.

Damiani – De Caro Gerardo – De Caro Raffaele – De Falco – De Gasperi – Del Curto – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Michele Luigi – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Dominedò – Dossetti.

Einaudi – Ermini.

Fabbri – Fabriani – Fanfani – Fantoni – Federici Maria – Ferrarese – Ferrario Celestino – Ferreri – Firrao – Foresi – Franceschini – Fresa – Froggio – Fuschini – Fusco.

Gabrieli – Galati – Galioto – Garlato – Gatta – Germano – Geuna – Giacchero – Giordani – Gonella – Gortani – Gotelli Angela – Grassi – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Gingolani Angela.

Jervolino.

La Gravinese Nicola – Lagravinese Pasquale – La Pira – Lazzati – Leone Giovanni – Lettieri – Lizier – Lucifero.

Maffioli – Malvestiti – Mannironi – Manzini – Marazza – Marconi – Marina Mario – Marinaro – Martinelli – Martino Gaetano – Marzarotto – Mastino Gesumino – Mastrojanni – Mattarella – Mazza – Meda Luigi – Medi Enrico – Mentasti – Merlin Umberto – Miccolis – Micheli – Monterisi – Monticelli – Montini – Morelli Luigi – Morelli Renato – Moro – Mortati – Motolese – Murgia.

Nicotra Maria – Notarianni – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pallastrelli – Pastore Giulio – Pat – Patrissi – Pecorari – Pella – Penna Ottavia – Perlingieri – Perrone Capano – Perugi – Petrilli – Piccioni – Pignedoli – Ponti – Proia – Puoti.

Quarello – Quintieri Adolfo – Quintieri Quinto.

Raimondi – Rapelli – Recca – Rescigno – Restagno – Restivo – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Romano – Roselli – Rubilli – Rumor – Russo Perez.

Saggin – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sartor – Scalfaro – Scelba – Schiratti – Scoca – Segni – Selvaggi – Sforza – Siles – Spataro – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Taviani – Terranova – Tessitori – Tieri Vincenzo – Titomanlio Vittoria – Togni – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Trimarchi – Tripepi – Trulli – Tumminelli – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Vallone – Valmarana – Vanoni – Venditti – Viale – Vicentini – Vigo – Vilardi – Villabruna – Volpe.

Zaccagnini – Zerbi – Zotta.

Si è astenuto:

Conti.

Sono in congedo:

Carmagnola.

De Vita.

Jacini.

Parri – Pellizzari – Porzio.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione ed invito gli onorevoli segretari a procedere al computo dei voti.

(Gli onorevoli Segretari procedono al computo dei voti).

Risultato della votazione nominale.

PRESIDENTE. Comunico i risultati della votazione nominale:

Presenti                            507

Votanti                             506

Astenuti                             1

Maggioranza                     254

Hanno risposto               236

Hanno risposto no            270

(L’Assemblea non approva l’ordine del giorno Magrini – Vivissimi, prolungati applausi al centro e a destra).

Interrogazioni e interpellanza.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni e di una interpellanza pervenute alla Presidenza.

RICCIO, Segretario, legge:

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere per quali motivi non si provveda ad emanare un provvedimento legislativo, che estenda i beneficî dell’amnistia e dell’indulto ai reati in danno delle Forze armate alleate. L’ingiustificato. trattamento di rigore per tali reati poteva finora trovare giustificazione soltanto nel regime di armistizio, cessato il quale il Governo – per sanare, sia pure in ritardo, l’ingiusta sperequazione – dovrebbe, senza ulteriore indugio, provvedere all’estensione dei beneficî del condono.

«Gli interroganti chiedono lo svolgimento di urgenza.

«Leone Giovanni, Bettiol».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dell’agricoltura e foreste e di grazia e giustizia, per sapere se non ritengano opportuno:

il primo, di disporre che venga senz’altro abbandonata l’azione promossa dall’Ufficio di reintegra dei tratturi (U.R.T.) di Foggia – sezione distaccata di Pescara – per la reintegra di vaste zone del centro abitato di Pescara, in considerazione sia dell’assoluto difetto di ogni suo fondamento in fatto e in diritto, nonché per motivi pratici e di ordine pubblico: a) in quanto è da escludersi nettamente, in base a documenti, a dati storici ed a rilievi inoppugnabili, anche di carattere geografico, che in dette zone sia passato alcun tratturo, a partire dai primi anni del 1500; b) perché, anche se si ammettesse – per pura ipotesi – il contrario, ogni possibile diritto dello Stato sulle zone medesime si sarebbe prescritto almeno da un secolo e mezzo, per l’avvenuta cessazione tacita della demanialità, principio ammesso dalla Corte di cassazione in tema di strade pubbliche; c) perché la questione, che interessa ed ha messo in allarme ed in agitazione circa 2000 cittadini, costituisce un grave ostacolo alla ricostruzione della città – tanto provata dalle distruzioni della guerra – rendendo dubbia la proprietà del suolo e provocando anche la incommerciabilità delle aree edificatorie poste in quelle stesse zone;

il secondo, di promuovere, in ogni caso, l’emanazione di apposite norme legislative che modifichino il regio decreto 30 dicembre 1923, n. 3244 e i regolamenti di cui al regio decreto 29 dicembre 1927, n. 2801 e 16 luglio 1936, n. 1706, col sopprimere, nel primo decreto, il secondo e il terzo capoverso dell’articolo 10 e, negli altri due, l’articolo 2, che attribuiscono, nientemeno, allo stesso Ministero dell’agricoltura, dal quale dipende l’Ufficio di reintegra dei tratturi, cioè ad una delle parti in causa, la decisione definitiva delle controversie in materia di pretesa occupazione di suolo dei tratturi, ripristinando, invece, le precedenti disposizioni prefasciste, con le quali le predette controversie erano devolute al magistrato ordinario. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Paolucci».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se in vista delle complesse difficoltà di interpretazione e documentazione inerenti alle denuncie dell’imposta straordinaria sul patrimonio non creda promuovere una ulteriore proroga del termine di presentazione fissato al 31 ottobre prossimo; e se per le accennate difficoltà, tanto più sensibili e gravi nei centri dove è diffusa la piccola e media proprietà, non creda altresì urgente dare disposizioni ai propri uffici, affinché cerchino di alleggerire le penose ricerche dei denuncianti aiutandoli preventivamente con la istituzione di reparti appositi a scopo di avviamento delle pratiche. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bertini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere quanto di illegale ed arbitrario sia stato fatto dalle Commissioni di Stato per gli esami di maturità classica in Brindisi (Liceo Marpolla) e Lecce da un ispettore ministeriale. Se l’onorevole Ministro non ritenga indispensabile ed urgente prendere adeguati provvedimenti perché alcun danno non ricada sugli allievi.

«Pare inoltre che a presiedere la Commissione di Brindisi sia stata chiamata persona priva del titolo richiesto dalla legge. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Ayroldi».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere a quali motivi sia da attribuire il fatto che, anche nel nuovo orario delle ferrovie dello Stato nella linea Spezia-Sestri Levante non vi sia alcun treno accelerato dalle ore 7.20 fino alle 17.20, con grave disagio della popolazione, che per affari o per lavoro deve recarsi a La Spezia e non può far ritorno che a sera ai propri paesi, i quali, privi di qualunque strada, sono collegati tra loro e la città soltanto per mezzo del treno e del tutto isolati quando questo viene a mancare (inconveniente tanto più grave per i numerosi studenti: per la loro salute, per i loro studi, per la loro educazione); e se non ritenga quindi urgente, in vista anche della prossima riapertura delle scuole, rimediare a questa grave lacuna, che finora non è stata colmata, nonostante le varie sollecitazioni presso gli organi competenti, istituendo un treno accelerato, che parta da La Spezia nelle prime ore del pomeriggio. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Gotelli Angela, Guerrieri Filippo».

«Il sottoscritto chiede d’interpellare il Ministro dell’interno, per sapere se e in qual modo si intenda dare sistemazione al compendio termale di Guardia Piemontese, sottraendolo alfine allo sfruttamento di una ditta privata, alla quale fu concesso nel 1942, con gravissimo pregiudizio degli interessi dei comuni di Guardia Piemontese e di Acquappesa, che ne sono usufruttuari perpetui e che invano chiedono da tre anni l’annullamento di un contratto che fu il risultato di illecite inframmettenze e pressioni.

«Gullo Fausto».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

Così pure l’interpellanza sarà iscritta all’ordine del giorno, qualora il Ministro interessato non vi si opponga nel termine regolamentare.

La seduta termina alle 2.10.

Ordine del giorno per la seduta di lunedì 6 ottobre 1941.

Alle ore 16:

  1. – Interrogazioni.
  2. – Svolgimento di interpellanze.