Come nasce la Costituzione

ANTIMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 10 DICEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

cccxxv.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 10 DICEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Comunicazione del Presidente:

Presidente

Domande di autorizzazione a procedere in giudizio:

Contro il deputato Cremaschi Olindo, per il reato di cui all’articolo 336 del Codice penale. (Doc. I, n. 16).

Presidente

Scalfaro, Relatore della minoranza

Giua

Contro il deputato Colombi Arturo, per il reato di cui all’articolo 595, 2° e 3° comma, del Codice penale. (Doc. I, n. 20).

Presidente

Laconi

Scalfaro, Relatore

Pertini

Lussu

Bettiol

Contro il deputato Colombi Arturo, per il reato di cui all’articolo 595, 2° e 3° comma, del Codice penale. (Doc. I, n. 23)

Laconi

Scalfaro, Relatore

Presidente

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Riordinamento dei Corpi consultivi del Ministero della pubblica istruzione. (35).

Martino Gaetano, Relatore

Gonella, Ministro della pubblica istruzione

Presidente

Colonnetti

Tonello

Sullo

Moro

Rodi

Bertola

Bernini

Bosco Lucarelli

Calamandrei

Miccolis

Presentazione di una relazione:

Fuschini

Presidente

La seduta comincia alle 11.

AMADEI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Comunicazione del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che l’onorevole De Martino ha cessato di far parte del Gruppo parlamentare misto e si è iscritto a quello della Democrazia cristiana.

Domanda di autorizzazione a procedere in giudizio contro il deputato Cremaschi Olindo, per il reato di cui all’articolo 336 del Codice penale. (Doc. I, n. 16).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Domanda di autorizzazione a procedere in giudizio contro il deputato Cremaschi Olindo, per il reato di cui all’articolo 336 del Codice penale (Doc. I, n. 16).

Su questa domanda sono state presentate due relazioni: una di maggioranza, che propone di negare l’autorizzazione a procedere; l’altra, di minoranza, che propone di concederla. Apro la discussione su queste relazioni.

SCALFARO, Relatore della minoranza. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCALFARO, Relatore della minoranza. Se permette l’onorevole Presidente, vorrei chiarire per quali ragione io, per la minoranza, abbia sostenuto che si debba concedere l’autorizzazione a procedere. Sia nella relazione di maggioranza come pure in quella di minoranza, si è cercato anzitutto di delimitare il campo di competenza della Commissione e dell’Assemblea, il campo cioè che riguarda il potere di concedere o meno l’autorizzazione a procedere; ed io mi sono permesso di precisare che, se da una parte è indispensabile vedere se vi siano elementi di persecuzione politica nei confronti del deputato per il quale si chiede l’autorizzazione a procedere, d’altra parte, a volte la Commissione e l’Assemblea sono costrette a compiere una ricerca, che pare una ricerca di merito, fatta ai fini di vedere se vi siano questi estremi di persecuzione politica, ovvero estremi, allo stato degli atti, di reato, perché si debba quindi dichiarare di procedere.

Infatti la relazione stessa di maggioranza, per dichiarare che non si doveva procedere, ha considerato le dichiarazioni agli atti ed ha sostenuto che queste dichiarazioni non costituiscono il reato di minaccia di cui all’articolo 336 del Codice penale. Ed io ho dovuto seguire la stessa via.

Ricapitolando brevemente: vi è stato da parte dell’autorità un ordine perché si eseguissero gli accertamenti per reperire il grano che doveva essere consegnato all’ammasso. Vi era l’esecuzione di questo ordine che, se nel merito era esatta, nella forma forse poteva dare adito a dei commenti, poteva far sollevare degli interrogativi e delle critiche. Ed allora l’onorevole Cremaschi Olindo, che ha una particolare veste, in quanto è a capo della Federterra di Modena, è intervenuto con alcune telefonate, di cui io ed anche il Relatore di maggioranza abbiamo riportato il testo.

Nella prima dichiarazione del teste Nizzi è detto: «ove tali azioni non si fossero sospese, egli sarebbe stato messo in condizioni di dover provocare un’azione dei contadini contro sistemi di pura marca fascista».

Il teste Barbieri dichiarò: «desiderava dette operazioni fossero sospese, minacciando in caso contrario dimostrazioni da parte dei contadini». Entrambi riferiscono le telefonate dell’onorevole Cremaschi Olindo.

Mi è parso, allora, che le deduzioni fossero alquanto semplici e cioè io ho scritto che: «Allo stato degli atti, non estremi o sospetti seri di persecuzione politica (e la frase della relazione di maggioranza relativa alla «persecuzione alla quale l’onorevole Cremaschi è fatto segno» non è né motivata, né comunque appoggiata da elementi oggettivi), né, quindi «alto senso di responsabilità», quale la stessa relazione definisce il comportamento del deputato di cui è causa, che ben diversamente l’onorevole Cremaschi avrebbe avuto modo di usare dell’autorità che gli proveniva dall’essere deputato e presidente della Federterra, ma «intimidazione, minaccia» di usare di un’arma di per sé lecita, per fini non leciti, quali quelli di ribellarsi all’autorità, per cercare di costringere l’autorità stessa ad emettere atti del suo ufficio (art. 336 del Codice penale).

Ed allora un’ultima osservazione: o i contadini erano in regola e nulla vi era da temere per loro, o non lo erano, ed allora perché minacciare agitazioni a difesa di un comportamento illecito e per impedire che appunto perché illecito, tale comportamento venisse accertato e colpito?

Per questo la minoranza della Commissione ha ritenuto di proporre all’Assemblea che si debba concedere l’autorizzazione a procedere, intendendo togliere questo impedimento, in modo che il magistrato possa vedere se, come ha osservato, secondo il mio modesto avviso andando al di là dei poteri di un relatore, il Relatore di maggioranza, le dichiarazioni dei testi siano esatte o esagerate e se vi siano, o no, gli estremi per giungere ad una sentenza di condanna o di assolutoria.

GIUA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIUA. Vorrei fare un’osservazione al Relatore della minoranza. Credo che l’onorevole Scalfaro, nella sua qualità di magistrato, abbia scambiato l’Assemblea per una sede di tribunale e sia venuto a fare delle considerazioni che, forse, in sede di tribunale possono avere qualche valore ma che, in questa Assemblea politica, non hanno alcun valore.

Quindi, prego i colleghi di accettare le conclusioni della relazione di maggioranza, invitando il collega Scalfaro a pensare che dinanzi ad una Assemblea politica, le considerazioni che un giudice può fare in un tribunale hanno scarsissimo interesse.

SCALFARO, Relatore della minoranza. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCALFARO. Avrei preferito che l’onorevole Giua avesse motivato l’affermazione per cui le mie considerazioni non hanno alcun valore: una motivazione è sempre necessaria, anche in una Assemblea Costituente!

PRESIDENTE. Pongo in votazione dapprima le conclusioni della minoranza, per la concessione dell’autorizzazione a procedere.

(Dopo prova e controprova, sono approvate – Commenti a sinistra).

BERTINI. Davanti alla giustizia si deve essere tutti uguali: ognuno deve rispondere di quello che ha scritto e di quello che fa. (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, hanno già espresso la loro opinione con il voto: mi pare assolutamente inutile continuare la discussione.

BERTINI. Non ci devono essere privilegi.

PRESIDENTE. Non si tratta di privilegi, onorevole Bertini: se c’è una Giunta che si divide in due opposti pareri, significa che la questione è controversa.

Domanda di autorizzazione a procedere in giudizio contro il deputato Colombi Arturo, per il reato di cui all’articolo 595, 2° e 3° comma, del Codice penale. (Doc. I, n. 20).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Domanda di autorizzazione a procedere in giudizio contro il deputato Colombi Arturo, per il reato di cui all’articolo 595, secondo e terzo comma, del Codice penale. (Doc. 1, n. 20).

La Commissione propone di concedere l’autorizzazione.

Dichiaro aperta la discussione.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Ho chiesto di parlare per protestare contro l’operato della Commissione, il quale è talmente privo di qualsiasi giustificazione, che non può essere mosso dalla valutazione obiettiva e serena dei fatti. Evidentemente la Commissione si lascia guidare da spirito settario e non da un criterio di obiettività. (Proteste al centro).

In sostanza, il capo d’accusa consiste soltanto in questo: che nel giornale diretto dall’onorevole Colombi sarebbe stata rivolta all’avvocato Maccalini Francesco un’accusa concretata in questi termini:

«…questi è stato pubblicamente ed esplicitamente accusato di essersi reso colpevole di tenere, come suol dirsi, il sacco ad alcuni ladruncoli, rendendosi così complice».

Voglio far notare che, in questo, articolo, non si accusa di niente questo avvocato Maccalini; si constata il fatto – naturalmente in modo tendenzioso, con l’intenzione implicita di invitare questo Maccalini a discolparsi e a chiarire la sua posizione – si constata semplicemente il fatto che sono state rivolte pubbliche accuse contro il Maccalini, alle quali questi non ha risposto.

E la Commissione ritiene, dinanzi ad elementi di questo genere, di dover concedere l’autorizzazione a procedere? Questo non è serio e non è parlamentare. Mi stupisco che una Commissione, che dovrebbe esaminare le richieste di autorizzazioni a procedere con uno spirito di serenità e con la volontà di tutelare la dignità parlamentare, ci presenti delle proposte che sono inqualificabili e indegne di essere prese in considerazione. (Applausi a sinistra – Commenti al centro).

SCALFARO, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCALFARO, Relatore. Non so se ho l’autorità per rispondere a nome di tutta la Commissione, in questo caso dovrebbe averla chiunque, perché, se l’onorevole Laconi avesse letto la relazione, avrebbe visto che essa dice: «La Commissione, all’unanimità, ha deciso, ecc.».

Comunque, la frase che è stata letta dallo stesso onorevole Laconi dice appunto:

«È inspiegabile però che a coprire le funzioni di titolare del detto ufficio sia stato chiamato l’avvocato Maccalini Francesco. Infatti questi è stato pubblicamente ed esplicitamente accusato di essersi reso colpevole di tenere, come suol dirsi, il sacco ad alcuni ladruncoli, rendendosi così complice».

Io, che ho riferito quella che è stata la discussione in seno alla Commissione – e le relazioni vengono scritte e poi ancora approvate dopo scritte – ho aggiunto appunto questo che, se me lo consente l’onorevole Presidente, rileggo:

«La Commissione, all’unanimità, ritiene non sussista elemento alcuno da far escludere la concessione dell’autorizzazione a procedere, non potendosi, allo stato degli atti, sostenere che ragioni politiche abbiano determinato il Maccalini alla querela, di fronte al testo dell’articolo evidentemente diffamatorio» (cioè il dire che un cittadino è complice in furti).

LACONI. Non lo dice. Dice soltanto che è stato pubblicamente accusato.

SCALFARO, Relatore. Esatto. Andiamo oltre.

«Infatti l’articolo non riporta (queste sono state le dichiarazioni dei vari membri della Commissione, che io poi ho sintetizzato), quasi cronaca, delle accuse al Maccalini specificandone le fonti, il che potrebbe lasciar pensare a un sano desiderio di invitarlo a chiarire la sua posizione prima che venga ad assumere la carica di titolare dell’Ufficio regionale della Post-Bellica, ma in modo generico riporta frasi gravemente oltraggiose». (Commenti a sinistra).

Comunque, questa è la tesi della Commissione, contro la quale si può votare.

LACONI. Non è seria.

SCALFARO, Relatore. «Né sarebbe assolutamente sostenibile – prosegue la relazione – la tesi che è dovere della stampa far opera moralizzatrice della vita pubblica, ché in ben altro modo e con metodi ben diversi tale opera può e deve compiersi, primo fra tutti il sistema di criticare senza ingiuriare, di accusare motivando per assumersi la responsabilità dell’accusa».

LACONI. Questa è la moraletta!

SCALFARO, Relatore. Per quanto riguarda il parere dell’onorevole Laconi, che la Commissione compia opera faziosa, non ho veste per difendere l’operato della Commissione, che potrà essere difeso da altri, ma mi permetto di difendere la mia posizione di relatore. Se l’onorevole Laconi vuol guardare tutti i verbali della Commissione, vedrà che contro i miei stessi colleghi democratici cristiani io ho chiesto che si proceda, in nome di un principio, che spero debba essere – secondo una formula molto comune, ma poco usata nella sostanza – uguale per tutti, e cioè che l’autorizzazione a procedere e l’immunità parlamentare non sono scudo per ciascuno di noi perché si possa impunemente calpestare la legge, diversamente da quanto può fare qualsiasi cittadino… (Applausi al centro e a destra).

MORANINO. Patrissi può insultare chi vuole sul suo giornale!

SCALFARO, Relatore. …ma debbano servire per impedire, come è stato detto da più parti in questa stessa Assemblea, che si compiano delle persecuzioni politiche nei confronti dell’uno o dell’altro deputato. Ché se, d’altra parte (ciò che non posso accettare) l’onorevole Laconi sostiene che tutto ciò non è parlamentare, io sarei costretto ad affermare che, se non è parlamentare, certo è giusto! (Applausi al centro e a destra – Commenti a sinistra).

PERTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERTINI. Credo, anche a nome del mio gruppo, di dover dichiarare che ci opponiamo a questa autorizzazione a procedere contro il deputato Colombi. (Commenti al centro).

Lasciamo stare la riflessione che si fa nella relazione, ove si dice che la stampa dovrebbe essere molto più corretta; se dovessimo raccogliere tutte le ingiurie che sono state rivolte contro di noi, non so che cosa si farebbe in questa Camera! Lo sanno gli stessi nostri colleghi che siamo stati ingiuriati anche noi: non è stata criticata la nostra opera, ma si sono gettate ingiurie per ingiuriare, e nessuno da quella parte è mai insorto per difendere la dignità parlamentare. Nessuno!

Però vi è una contradizione nella relazione, quando si dice: «Infatti l’articolo non riporta, quasi cronaca, delle accuse al Maccalini specificandone le fonti, il che potrebbe lasciar pensare ad un sano desiderio di invitarlo a chiarire la sua posizione, etc.». Il Colombi, nel suo articolo, dice: «Infatti questi è stato pubblicamente ed esplicitamente accusato di essersi reso colpevole, etc.»; indubbiamente, se il Colombi ha scritto questo, vuol dire che ciò corrispondeva alla verità. (Interruzioni al centro). Anche se questo non è scritto nell’articolo e se Colombi non ha citato le fonti, è perché non lo riteneva necessario, perché tutti conoscevano, nella zona, ciò di cui il Maccalini era stato pubblicamente ed esplicitamente accusato.

Stava alla Commissione di accertare se era vero che era stato accusato pubblicamente ed esplicitamente.

SCALFARO, Relatore. Non avevamo questi poteri.

PERTINI. Come no? Potevate sentire lo stesso Colombi! Non può affermare che lei non ha questo potere! Loro dovevano sentire lo stesso Colombi, e chiedergli: come mai lei ha scritto che pubblicamente ed esplicitamente è stato accusato il Maccalini? Loro potevano sentire il Colombi, e se questi portava la prova che il Maccalini era stato accusato pubblicamente ed esplicitamente, è chiaro che non potevano chiedere l’autorizzazione a procedere!

RUSSO PEREZ. Ma se è innocente sarà assolto! Che paura ha?

PRESIDENTE. Sulle conclusioni della Commissione è stata chiesta la votazione per appello nominale.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Io mi guardo bene dal considerarmi un vecchio parlamentare, come spesso avviene fra alcuni nostri colleghi che sono stati deputati 20 o 25 anni fa. Vecchio forse sì, ma non certo parlamentare, perché in questi ultimi venti anni ho fatto il deputato quanto quelli che sono stati in galera o che sono stati giovanotti alle Università.

Tuttavia devo dire che ho fatto parte, nelle passate legislature, della Commissione parlamentare per le autorizzazioni a procedere. Ebbene, io non ho mai concesso il mio voto per autorizzazioni a procedere in casi simili. Mai! Quindi, conseguentemente, neppure oggi lo farò.

BETTIOL. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BETTIOL. Onorevole Presidente, vorrei fare una proposta in merito a questa questione che sta accendendo le passioni dell’Assemblea.

A mio avviso, anche se in questa questione l’aspetto politico in sostanza non esiste, si potrebbe prendere lo spunto da quanto ha detto l’onorevole Pertini, e cioè che non è stato sentito il collega Colombi. Propongo che venga rinviato alla Commissione il problema per un supplemento di istruttoria onde si possa sentire l’onorevole Colombi e dopo la sua deposizione prendere le ultime decisioni in materia.

PRESIDENTE. L’onorevole Bettiol propone di rinviare alla Commissione per le autorizzazioni a procedere questa domanda contro l’onorevole Colombi. Questa proposta deve avere la precedenza nella votazione.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Dichiaro di aderire alla proposta dell’onorevole Bettiol.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Bettiol di rimettere alla Commissione per le autorizzazioni a procedere in giudizio la domanda di autorizzazione contro l’onorevole Colombi Arturo per il reato di cui all’articolo 595, 2° e 3° comma, del Codice penale, attualmente in discussione.

(È approvata).

Domanda di autorizzazione a procedere in giudizio contro il deputato Colombi Arturo, per il reato di cui all’articolo 595, 2° e 3° comma, del Codice penale. (Doc. I, n. 23).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Domanda di autorizzazione a procedere in giudizio contro il deputato Colombi Arturo, per il reato di cui all’articolo 595, 2° e 3° comma, del Codice penale.

La Commissione propone di concedere l’autorizzazione.

Dichiaro aperta la discussione.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Dato che il caso è analogo al precedente propongo il rinvio.

SCALFARO, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCALFARO, Relatore. Ho chiesto di parlare soltanto per dire che l’Assemblea prima di votare veda quali sono i fatti. Ché se apparentemente paiono analoghi al precedente, nella sostanza non c’è analogia che possa motivare un rinvio alla Commissione.

In questo caso il giornale ha riportato un articolo sotto il titolo: «Difendiamo le lavoratrici» dove tra l’altro si dice: «Altre (ditte), ed è il caso della pellicceria A.G.I.P., oltre allo sfruttare indegnamente il proprio personale licenziano le operaie che hanno acquisito diritto di anzianità, e dopo otto giorni le riassumono, al solo scopo di non dare loro quanto spetta…» «Deve finire il diritto dei vari reazionari piccoli e grandi di fare l’alto e il basso senza il controllo delle maestranze, deve finire l’affamamento organizzato delle lavoratrici».

Si tenga presente che chi si querela concede ampia facoltà di prova.

Volevo soltanto dichiarare questo. L’Assemblea decida.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta di rimettere alla Commissione anche questa domanda di autorizzazione a procedere contro l’onorevole Colombi Arturo.

(È approvata).

SCALFARO, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCALFARO, Relatore. In seguito al voto dell’Assemblea e non solo per qualche dichiarazione che essendo stata non riguardosa, non nei miei confronti, il che non conterebbe nulla, ma nei confronti di una Commissione di questa Assemblea non ha trovato chi si sia sentito di porre la sua autorevole voce a difesa di quella che è la dignità non tanto dei singoli quanto della Commissione, e quindi dell’Assemblea, ma innanzitutto poiché non posso venir meno ad una linea di condotta che è condivisa anche da altri, in nome della quale credo che i principî della giustizia debbano valere anche e soprattutto per ciascuno di noi che da questi banchi dobbiamo offrire il primo esempio nel credervi e nel viverli, ritengo mio dovere presentare a lei, onorevole Presidente, e all’Assemblea stessa, le mie dimissioni da questa Commissione. (Applausi al centro e a destra – Commenti, a sinistra).

PRESIDENTE. Onorevole Scalfaro, considero questa sua dichiarazione come un preannuncio di dimissioni. Ella sa che le dimissioni devono essere accettate.

Seguito della discussione del disegno di legge: Riordinamento dei Corpi consultivi del Ministero della pubblica istruzione. (35).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del disegno di legge: Riordinamento dei Corpi consultivi del Ministero della pubblica istruzione.

Ha facoltà di parlare il Relatore, onorevole Martino Gaetano.

MARTINO GAETANO, Relatore. Io non condivido, onorevoli colleghi, l’impressione manifestata ieri dall’onorevole Bernini: che questa Assemblea si disinteressi ai problemi della scuola, che essa mostri addirittura la noia di doversi occupare di questi problemi. Al contrario, a me pare che il tono elevato della discussione ieri sera avvenuta qui dentro, certamente non indegno delle più belle tradizioni del Parlamento italiano, sia la prova dell’interesse che – qualunque fosse il numero dei deputati presenti – questa Assemblea dimostrava per i più grandi, i più elevati problemi della scuola.

La discussione è stata elevata, e non solo vorrei dire dal punto di vista tecnico, ma anche dal punto di vista politico. Una sintesi veramente felice dei criteri tecnici e dei criteri politici, che vengono in discussione nell’esame del disegno di legge che è sottoposto all’Assemblea, mi è sembrato di trovarla nelle elevate parole pronunciate dal collega onorevole Tonello.

Io cercherò di essere molto breve nel rispondere agli oratori che sono intervenuti nella discussione; ed accolgo senz’altro l’invito che esplicitamente mi venne rivolto dall’onorevole Sullo: l’invito di «scendere dalle nuvole e venire sul terreno pratico». Ci vengo, onorevole Sullo.

Qual è, in fondo, la differenza fra la struttura del Consiglio Superiore per la pubblica istruzione proposta dalla Commissione e quella proposta invece dal disegno di legge ministeriale? La differenza vera, la differenza sostanziale è questa: mentre la Commissione ritiene che il Consiglio Superiore per la pubblica istruzione debba avere un carattere unitario, il disegno di legge ministeriale prevede un’articolazione in tre Sezioni distinte, cioè una separazione dei problemi della cultura in tre distinti settori.

Noi pensiamo che mantenere il carattere unitario del Consiglio Superiore sia indispensabile. Anzitutto perché è evidente il carattere unitario dei problemi della cultura e della scuola. È bensì vero ciò che è stato detto dall’onorevole Marchesi e da altri, che cioè l’articolo 2 del disegno di legge ministeriale prevede che, qualora si debbano trattare problemi che investano comunque diverse branche della pubblica istruzione, il Consiglio funzioni a Sezioni unite. Ma questo non basta ad impedire che venga turbato il carattere unitario dei problemi della scuola: è mai ammissibile, ad esempio (e qui vengo proprio sul terreno pratico), che una riforma, sulla quale il Consiglio Superiore debba esprimere il proprio parere, concernente esclusivamente la legislazione scolastica della istruzione secondaria non interessi quanto i professori della scuola media anche i professori universitari? Ma coloro che vengono dalle università non provengono forse dalla scuola media? Non siamo noi professori universitari, più che tutti gli altri insegnanti di ogni ordine e grado, interessati alla preparazione dei giovani che dovranno assistere alle nostre lezioni? E lo stesso si può dire per ciò che riguarda l’istruzione elementare e l’istruzione universitaria. Noi riconosciamo che utile (e questo è sottolineato nella mia relazione) è la partecipazione anche del professore di scuole medie, anche del maestro elementare quando si tratti di esprimere pareri che riguardino, comunque, problemi della scuola.

I problemi della cultura e della scuola hanno un carattere così tipicamente unitario, che non ci sembra in nessun modo possibile questa divisione in tre separati settori.

Ma vi è un’altra ragione che dal punto di vista pratico è più importante: creandosi due Sezioni distinte, una per la scuola secondaria ed una per la scuola primaria, si vengono in sostanza a creare due organi nuovi. Dico due organi nuovi perché evidentemente non sospetto in nessun modo che possano essere stati presi a modello organi analoghi istituiti durante il regime fascista mediante quelle cervellotiche leggi del 1932 e del 1938. Organi nuovi, per i quali devono essere fissati compiti nuovi. Ora, la legislazione scolastica attuale non prevede questi compiti nuovi né può evidentemente prevederli un disegno di legge relativo alla composizione e formazione del Consiglio Superiore. Occorre una riforma di tutta la legislazione scolastica perché questi compiti nuovi vengano fissati.

Compiti invece cospicui esistono, come è detto nella mia relazione, per quel che riguarda l’istruzione superiore.

Il Consiglio Superiore della pubblica istruzione è stato finora soprattutto, è vero, l’organo consultivo dell’istruzione superiore. Ciò è stato deplorato dall’onorevole Galati, dall’onorevole Sullo e mi pare da qualche altro oratore. Ma di chi è la colpa? Non certo della vostra Commissione: la colpa è della legislazione scolastica. Mentre infatti, il testo unico sull’istruzione superiore prevede ad ogni passo il necessario intervento del Consiglio Superiore, con pareri a volte vincolanti, per tutto quel che riguarda il funzionamento delle Università e la carriera dei professori universitari, ciò non accade per l’istruzione secondaria e per l’istruzione elementare. È deplorevole – ed anche noi lo deploriamo – che compiti cospicui non abbia il Consiglio Superiore per ciò che riguarda l’istruzione media e l’istruzione elementare; ma tali compiti non possiamo certo fissare noi in questo disegno di legge. Sarà solo in sede di riforma della legislazione scolastica che potrà nascere il problema, ed essere risolto, dell’assegnazione di nuove attribuzioni al Consiglio Superiore per l’istruzione secondaria e per la primaria.

Nelle attuali condizioni pertanto, quando noi istituiamo una sezione indipendente per la scuola media ed una sezione indipendente per la scuola elementare, noi creiamo organi i quali non hanno una funzione.

Dobbiamo noi veramente, come vorrebbe l’onorevole Galati, creare l’organo affinché la sua esistenza serva da stimolo per la creazione delle funzioni da parte del legislatore futuro? Noi apprendemmo tutti sui banchi della scuola che la funzione crea l’organo. Vi dico sinceramente, onorevoli colleghi, che io non credevo di dovere apprendere sui banchi di Montecitorio, sia pure attraverso l’autorevole parola del professore Galati, che è l’organo che crea la funzione.

Lasciate che io vi dica che non è vero che noi abbiamo voluto ridurre il Consiglio Superiore ad organo esclusivo per l’istruzione superiore.

Noi abbiamo anzi incluso nel Consiglio un numero di rappresentanti della scuola media e della scuola elementare superiore a quello previsto dal progetto ministeriale. Noi non abbiamo escluso i rappresentanti della scuola media ed elementare; noi abbiamo voluto soltanto mantenere il carattere unitario dell’organo, appunto perché finora non vediamo né la necessità, né la opportunità della creazione di organi distinti per la istruzione media e per l’istruzione elementare.

A parer mio non è infondata la preoccupazione espressa ieri dall’onorevole Colonnetti, che, qualora si creino questi tre organi distinti, con la particolare composizione prevista nel disegno di legge ministeriale, i corpi consultivi della pubblica istruzione abbiano a degenerare, trasformandosi in organi sindacali o di rappresentanza degli interessi di categoria.

Ciò detto, io ho l’obbligo di respingere, come professore universitario, l’affermazione curiosa dell’onorevole Galati, che, per il loro insegnamento monografico, i professori universitari non rappresentino una garanzia per l’unità della cultura e della scuola; ed ho, come relatore, l’obbligo di respingere l’affermazione degli onorevoli Tonello e Sullo, che «la relazione Martino vorrebbe trasformare il Consiglio Superiore della pubblica istruzione in Consiglio Superiore dell’istruzione superiore». Ciò non è esatto.

Il numero di rappresentanti che noi abbiamo incluso nel Consiglio Superiore, per la scuola media e per la scuola elementare, è anzi così elevato, che l’onorevole Colonnetti ebbe ad esprimere la sua perplessità proprio per la presenza di un così cospicuo numero di persone, che egli ritiene non idonee a trattare gli argomenti, attualmente deferiti dalla legislazione vigente al Consiglio Superiore: cioè le questioni concernenti tipicamente l’istruzione superiore. Io potrei dirvi, a titolo personale, che – per lo meno fino ad un certo punto – condivido anch’io la perplessità e la preoccupazione dell’onorevole Colonnetti; ma naturalmente, come relatore, io ho il dovere di difendere l’operato della Commissione. E ciò faccio ben volentieri, perché sono sinceramente convinto che non inutile sarà la partecipazione degli insegnanti della scuola inedia e della scuola elementare al Consiglio Superiore per la pubblica istruzione.

Dopo ciò, io devo onestamente dichiarare che la Commissione è rimasta impressionata per la quasi unanimità nella preferenza, manifestata dai colleghi che hanno preso la parola su questo argomento, per il testo ministeriale, rispetto al testo della Commissione. Questa è, vorrei dire, la revanche del Ministro Gonella. Presso a poco dai medesimi settori da cui si appuntarono nel luglio scorso le critiche al disegno di legge ministeriale, sono oggi venute le parole di lode al disegno medesimo. Se la Commissione ha contribuito, con il suo operato, a promuovere questa revanche del Ministro Gonella, io dichiaro che noi siamo molto lieti di aver questo provocato.

TONELLO. Lo dichiari a nome suo, non mio! (Si ride).

MARTINO GAETANO, Relatore. In tali condizioni, è evidentemente opportuno cercare la base per un accordo fra le due opposte tendenze: quella di mantenere il carattere unitario del Consiglio Superiore (e di evitare la creazione di organi nuovi senza compiti fissati dalla legge), e l’altra di dar vita a sezioni distinte, fra loro articolate, per l’istruzione superiore, per l’istruzione secondaria e per l’istruzione primaria.

Ora, a noi pare che una base per questo accordo possa trovarsi negli emendamenti che sono stati testé presentati, a nome della Commissione, dall’onorevole Camposarcuno. Con questi emendamenti, in sostanza, il Consiglio Superiore è così costituito: tre Sezioni, di cui la prima, più vasta, per l’istruzione Superiore, la seconda e la terza, più piccole, rispettivamente per l’istruzione media e per l’istruzione elementare. In seno alla prima Sezione viene creata una giunta di dodici membri; nessuna giunta è creata invece in seno alla seconda ed alla terza Sezione, di modo che a queste ultime vengono per ora assegnati i compiti che la legislazione attuale deferisce alla giunta del Consiglio Superiore, per ciò che riguarda l’istruzione media e la elementare. Non si creano così organi privi di contenuto e di funzione.

Questi nuovi organi avranno funzioni limitate, quelle che attualmente la legge assegna alla giunta del Consiglio superiore (cioè compiti di carattere prevalentemente amministrativo e soprattutto disciplinare); domani potrà la nuova legislazione assegnare ad essi compiti nuovi. Nello stesso emendamento dell’onorevole Camposarcuno è quasi rivolto un invito al legislatore futuro perché questi compiti nuovi vengano fissati: è detto infatti che «le Sezioni seconda e terza si pronunciano sulle questioni, riguardanti l’istruzione primaria e secondaria, che il Ministro intende sottoporre all’esame del Consiglio e su quelle altre per le quali sarà richiesto il parere di esso dalle future leggi sull’istruzione secondaria e primaria». Inoltre, con questo emendamento, non è turbato il carattere unitario del Consiglio, poiché si precisa che il Consiglio funzionerà a Sezioni unite, non soltanto quando si tratterà di esaminare questioni che investano più branche della pubblica istruzione, ma anche quando si tratterà di esaminare questioni di ordine generale, e, più specificatamente, proposte di riforme di leggi o di regolamenti che riguardino anche una sola branca della pubblica istruzione. Così sarà dato modo a tutte le Sezioni del Consiglio, a tutti i rappresentanti delle tre branche della pubblica istruzione, di manifestare il proprio pensiero sulle questioni di ordine generale, eventualmente di carattere legislativo o regolamentare, che riguardino anche una sola di queste branche della pubblica istruzione.

Debbo dire ora, che noi riconosciamo fondata la richiesta formulata dall’onorevole Marchesi, che al Consiglio Superiore venga al più presto restituito quel compito, che già ad esso era assegnato dalla legge Casati del 1859, quello cioè di esprimere il proprio parere sulle parificazioni o sui pareggiamenti di scuole non statali, e sulla revoca delle parificazioni e pareggiamenti. Del resto, ciò era già detto nella relazione che accompagna il disegno di legge della Commissione. Inopportuno ci sembra l’aver abbandonato questo compito specifico del Consiglio Superiore ad esso assegnato dalla legge Casati del 1859. Noi accettiamo quindi l’emendamento Marchesi su questo punto. Non siamo, viceversa, d’accordo con l’onorevole Bernini per quanto riguarda la proposta di sostituire alla Commissione di disciplina prevista dal decreto legislativo 21 aprile 1947, la Sezione II del Consiglio Superiore. Noi vediamo una maggiore garanzia nella Commissione di disciplina, come organo giurisdizionale, piuttosto che nella Sezione del Consiglio Superiore. Proprio quello che l’onorevole Bernini ieri lamentava, che cioè il Presidente della Commissione di disciplina sia un consigliere di Stato piuttosto che un professore universitario (come nella Sezione del Consiglio) per noi rappresenta un elemento di garanzia. Qual è la differenza fra la composizione della Commissione di disciplina prevista dal decreto legislativo 21 aprile 1947 e quella della seconda Sezione del Consiglio Superiore prevista dal disegno di legge ministeriale? La differenza è soltanto questa: nella seconda Sezione del Consiglio Superiore per la pubblica istruzione vi sono due professori universitari, membri della prima Sezione: viceversa nella Commissione di disciplina vi è un consigliere di Stato ed un professore universitario (il quale però, deve essere necessariamente un professore ordinario di diritto amministrativo).

Per il resto la composizione della Commissione è identica. Di modo che, se una maggiore garanzia è offerta dalla diversa composizione, questa è offerta proprio dalla Commissione di disciplina piuttosto che dalla Sezione del Consiglio Superiore. Tuttavia, su questo punto la Commissione si rimette a quello che sarà il parere della maggioranza dell’Assemblea.

La Commissione conviene con l’onorevole Marchesi nella osservazione che egli ha fatto circa l’articolo 4 del disegno di legge della Commissione; cioè che alla parola «relatore» occorre sostituire la parola «informatore». Evidentemente il relatore della Corte di disciplina (per i professori universitari) non può non essere un membro della stessa Corte di disciplina. È semplicemente un errore di carattere formale che noi siamo lieti sia stato rilevato e che noi siamo disposti a correggere.

Così pure, la Commissione accoglie l’emendamento dell’onorevole Perassi, per il quale il vicepresidente deve essere scelto fra i professori universitari o fra gli accademici. È del resto quello che è sempre avvenuto, e ciò si richiama a tutta la tradizione di questo Consiglio Superiore. La Commissione accetta altresì l’emendamento dell’onorevole Bernini, per il quale le elezioni devono essere indette con un preavviso di 45 giorni ed il deposito delle candidature dove avvenire almeno 20 giorni prima della elezione. La Commissione non sa invece apprezzare le ragioni addotte dall’onorevole Marchesi per la rappresentanza degli assistenti universitari in seno al Consiglio Superiore. Consentite che io vi dica, onorevoli colleghi, che nessuno più di me, fra i professori universitari presenti in quest’Aula, può sentirsi vicino alla classe degli assistenti. Cultore di scienze sperimentali, io pervenni all’insegnamento attraverso l’assistentato; e nel laboratorio io vivo ogni giorno la vita degli assistenti e necessariamente mi valgo, continuamente, della collaborazione degli assistenti. Nessuno, quindi, più di me ne conosce le esigenze, ne apprezza le aspirazioni, nessuno più di me sa come essi effettivamente rappresentino – lo diceva giustamente l’onorevole Marchesi – un «interesse della scuola».

Ma quale sarebbe l’utilità della presenza degli assistenti universitari nel Consiglio Superiore? Occorre che noi ci intendiamo, una buona volta, su quello che è il vero significato di questo Consiglio Superiore. Finora esso è stato l’organo consultivo del Ministro per i più elevati, i più importanti problemi della cultura e della scuola. Cosa potrà dire, questo rappresentante di un particolare interesse della scuola, di più di quello che potranno dire, nell’esprimere i pareri che il Ministro richiede al Consiglio, i professori universitari di ruolo? Io non riesco a rendermi conto di questo. Non è per disconoscere l’importanza della funzione degli assistenti universitari, ma è perché io non riesco a vedere l’utilità della presenza degli assistenti universitari nel Consiglio Superiore, che mantengo il mio punto di vista. E, con me, la maggioranza della Commissione.

Diceva l’onorevole Marchesi che gli assistenti universitari si devono accrescere e moltiplicare. Non so se la loro inclusione nel Consiglio Superiore sia il mezzo idoneo per ottenere questa crescita e questa moltiplicazione. Se la rappresentanza di un interesse della scuola fosse davvero una ragione sufficiente per includere nel Consiglio Superiore i rappresentanti degli assistenti, allora dovrei dirvi che non si possono trascurare tutti gli altri interessi della scuola. Io dovrei allora aderire pure a quanto proponeva ieri l’onorevole Bertola, che cioè non si trascurino gli incaricati delle Università, perché anche questi rappresentano evidentemente un «interesse della scuola». E dovrei andare più in là: dovrei dirvi che non possiamo trascurare nemmeno i supplenti e gli incaricati delle scuole medie ed elementari, poiché anche questi sono rappresentanti di un «interesse della scuola». Ed ancora oltre: noi dovremmo includere – come mi diceva questa mattina il collega onorevole Condorelli – i padri di famiglia; noi non dovremmo escludere nemmeno gli studenti. Essi pure hanno, del resto, manifestato il desiderio di essere rappresentati nel Consiglio Superiore, ed essi pure rappresentano, evidentemente, un interesse della scuola.

TONELLO. Allora, anche i bidelli.

MARTINO GAETANO. Dire ciò non significa, onorevole Tonello, almeno secondo la mia intenzione, andare alla ricerca del paradosso, e mancare così di riguardo ad un collega tanto autorevole come l’onorevole Marchesi, al quale peraltro, mi legano rapporti di viva simpatia e di rispettosa amicizia. Ricorderò all’onorevole Marchesi – perché egli mi creda quando io questo affermo – che mezzo secolo fa un altro studioso, altrettanto autorevole quanto lui, ebbe a sostenere una tesi che potrebbe sembrare paradossale: ebbe a sostenere cioè, che i concorsi universitari non devono essere giudicati dai professori universitari, ma dagli studenti. Ascoltate: «Non saranno giudici dei meriti di uno scienziato quelli che professano la stessa scienza. Vi sembra forse assurda questa previsione? Vi sembra strano dire che ciò sarà bene? Rispondo interrogando: vi sembra cosa giusta e cosa naturale che il vasaio giudichi del vasaio, il fabbro del fabbro ed il poeta del poeta? Saranno gli studenti stessi che, nell’interesse loro, faranno la scelta migliore».

Questo studioso non meno autorevole del professore Marchesi, era Giovanni Pascoli.

MARCHESI. Io sono per i cuochi, non per i convitati; sono per quelli che preparano le vivande, non per quelli che le gustano. E gli assistenti sono tra i preparatori più benemeriti, se anche più oscuri.

MARTINO GAETANO. Io ritengo di poter sostenere però, senza tema di essere smentito da alcuno, che nel caso specifico i più autorevoli fra i cuochi sono i professori di Università, non già gli assistenti.

Se noi dunque siamo contrari all’inclusione degli assistenti e degli incaricati delle Università nel Consiglio Superiore, ciò non è per misconoscimento di quelle, che l’onorevole Marchesi chiamava ieri le «benemerenze della classe», ma per riconoscimento del vero significato che deve attribuirsi al massimo organo della cultura e della scuola.

Concludo. Io penso che, sulla base di questi nuovi emendamenti della Commissione presentati dal collega onorevole Camposarcuno, possa raggiungersi un accordo nell’Assemblea. Resta solo la preoccupazione che, per eseguire le elezioni e quindi, per costituire questo Consiglio Superiore, molto tempo sia necessario; troppo tempo, tale da paralizzare addirittura la vita delle Università. È pertanto necessario che per lo meno quella che sarà la prima Sezione del Consiglio Superiore, la Sezione per l’istruzione superiore, abbia a funzionare quanto più presto è possibile, e ciò per un mondo di problemi, che sono rimasti fino ad ora in sospeso e che non debbono restare più oltre insoluti.

Io credo che tutti possiamo associarci al voto dell’onorevole Tonello, ché il Ministro immediatamente indica le elezioni per la prima Sezione del Consiglio Superiore, riservandosi di indirle poi, appena possibile, anche per le Sezioni della scuola media e della scuola elementare.

E dall’onorevole Tonello poi io spero che non mi verrà ancora l’accusa di essere, perché liberale, aprioristicamente contrario ad ogni progresso della cultura e della scuola. (Applausi).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro della pubblica istruzione.

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Io non ho nulla da aggiungere alla relazione già stampata e distribuita; ho solo da ringraziare l’onorevole Martino e la Commissione per il lavoro già svolto.

Debbo fare un solo rilievo. Il progetto della Commissione concorda sopra alcuni punti fondamentali con il progetto governativo. Anzitutto istituisce anch’esso un Consiglio Superiore delle belle arti e delle antichità e un Consiglio Superiore delle accademie e biblioteche, accanto a quello della pubblica istruzione. In secondo luogo, come il progetto ministeriale, accetta la garanzia della democraticità dell’organizzazione, che viene assicurata dall’elezione di almeno due terzi dei membri del Consiglio stesso. In terzo luogo accetta che alcuni membri siano di nomina ministeriale al fine di integrare eventuali lacune o di compensare disarmonie dell’organismo stesso. Accetta, infine, pure un postulato fondamentale del progetto governativo, quello cioè dell’inclusione di una rappresentanza della scuola media e di una rappresentanza della scuola elementare accanto alla tradizionale rappresentanza universitaria,

Fin qui c’è dunque concordanza. Ad un certo punto però vi sono differenze sostanziali, che io riassumerei in questo modo: 1°) eccessivo allargamento – mi consenta l’onorevole Martino di affermarlo – dei poteri del Ministro. Per esempio, in fatto di istituzioni di Giunte, il progetto della Commissione dà al Ministro pieni poteri di istituirle a suo piacere, senza alcuna norma limitatrice.

2°) Ritengo inopportuno – e lo dichiarerò quando si arriverà al momento della discussione e della votazione degli emendamenti – eliminare la rappresentanza degli assistenti e degli incaricati; sulla quale rappresentanza io ancora insisterei.

3°) Il progetto della Commissione limitava, secondo me, eccessivamente la rappresentanza della scuola media e della scuola elementare in seno al Consiglio stesso.

Inoltre, introducendo il criterio delle elezioni di secondo grado per la scuola media e per la scuola elementare – criterio di elezione che io accetto pienamente – non specificava, però, nulla in merito a questa procedura; e se fosse possibile, io esprimerei il desiderio che si lasciasse il minimo di discrezionalità alle ordinanze ministeriali e che, per quanto più possibile, si specificasse nella legge stessa il metodo elettorale, di modo che al Ministero non resti che un compito puramente esecutivo.

Ma, come tutti hanno notato, il dissenso fondamentale riguardava l’istituzione o la non istituzione di tre Sezioni del Consiglio Superiore. Dalla discussione – come ha rilevato il Presidente della Commissione, onorevole Martino – è emerso che quasi tutti coloro che hanno parlato si sono dichiarati favorevoli al principio affermato nel progetto governativo, cioè favorevoli all’istituzione delle tre Sezioni. Si sono dichiarati favorevoli anche alcuni membri stessi della Commissione parlamentare. D’altra parte, rilevo dall’esame degli emendamenti che questi sono in gran parte orientati verso questa soluzione. D’altra parte la Commissione stessa, mi pare con gli emendamenti Camposarcuno, entra in questo ordine di idee.

Per questa ragione io concludo dicendo che accetto l’ordine del giorno firmato dall’onorevole Sullo e da altri colleghi, che è stato presentato ieri sera e che stabilisce di tenere come base di discussione il progetto governativo, in quanto è tutto imperniato sul principio della distinzione delle tre Sezioni.

Naturalmente, mi riservo poi di esprimere il mio parere sui singoli emendamenti, quando verranno in discussione.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la discussione generale.

Prima di passare all’esame degli articoli, dobbiamo decidere in merito a due ordini del giorno presentati.

L’onorevole Colonnetti aveva presentato il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente,

pur consentendo col Ministro della pubblica istruzione nel proposito di dar vita a Sezioni del Consiglio superiore della pubblica istruzione particolarmente competenti nei problemi della scuola media ed elementare, e nelle quali i rispettivi docenti siano direttamente rappresentati,

considerata l’urgenza di rimettere in funzione l’organo tradizionale competente nei problemi dell’istruzione superiore,

invita il Ministro a ricostituire immediatamente quest’organo richiamando a tal fine in vigore il decreto legislativo 7 settembre 1944, n. 272».

Onorevole Colonnelli lo mantiene?

COLONNETTE Ho presentato una norma transitoria, la quale provvede allo stesso scopo. Quindi potrei ritirare l’ordine del giorno, riportando la discussione sopra la norma transitoria.

PRESIDENTE. L’onorevole Sullo aveva presentato, insieme con l’onorevole Della Seta il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente,

considerato che il progetto della Commissione sul Consiglio superiore della pubblica istruzione presenta, rispetto al progetto ministeriale, il notevole inconveniente di sopprimere l’articolazione in Sezioni che permettono un lavoro costante, organico e veramente costruttivo, concentrando ogni discussione, anche su temi specifici, in un organo appesantito, e talora anche pletorico rispetto agli argomenti da trattare,

delibera di passare alla discussione degli articoli riconfermando l’esigenza della struttura del Consiglio articolato in Sezioni e Giunte, così come è nello spirito del progetto ministeriale».

Lo sostituisce col seguente, firmato anche dagli onorevoli Bernini, Marchesi, Lozza, Binni, Preti, Bertola, Puoti, Rumor, Bernamonti, Moro:

«L’Assemblea Costituente, riconosciuta la esigenza di articolare il Consiglio superiore in tre Sezioni, nello spirito del progetto ministeriale, riserbando ad altra legge la determinazione degli altri casi in cui il parere della seconda e della terza Sezione è obbligatorio o facoltativo, con particolare riguardo alla costituzione di nuove scuole governative e al riconoscimento di nuove scuole non governative, delibera di passare alla discussione degli articoli».

MARTINO GAETANO, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARTINO GAETANO, Relatore. Io non avevo espresso l’avviso della maggioranza della Commissione su questo ordine del giorno dell’onorevole Sullo e di altri colleghi. Io dissi che una base di accordo – a parer nostro – si poteva trovare negli emendamenti presentati ora dalla Commissione a mezzo dell’onorevole Camposarcuno, in quanto, con questi emendamenti, viene sodisfatta questa esigenza di articolare il Consiglio Superiore in tre Sezioni, e d’altra parte viene mantenuto quel criterio unitario del Consiglio Superiore, che ci ha guidato nei nostri lavori.

Ora, considerando le cose in questo modo, noi dovremmo essere favorevoli all’ordine del giorno Sullo, se non fosse per quell’inciso: «nello spirito del progetto ministeriale». Perché proprio in questo il progetto ministeriale si differenzia dal nostro punto di vista, in quanto esso non mantiene il carattere unitario del Consiglio Superiore che noi vogliamo invece assicurare.

Se, pertanto, il collega Sullo e gli altri firmatari dell’ordine del giorno non avranno difficoltà a sopprimere dal loro testo le parole: «nello spirito del progetto ministeriale», io dichiaro che la Commissione sarà favorevole a quest’ordine del giorno.

TONELLO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Dichiaro che voterò anch’io l’ordine del giorno Sullo, con l’emendamento proposto dal Relatore.

SULLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SULLO. Non ho ritenuto di svolgere quest’ordine del giorno, che è stato concordato fra i Gruppi maggiori dell’Assemblea, perché mi pareva che fosse molto chiaro. In ogni caso devo anticipare questo: che, come tutti i firmatari dell’ordine del giorno, sono d’accordo che le riforme di struttura devono essere studiate dal Consiglio plenario e non dalle Sezioni.

Se, pertanto, la dizione «nello spirito del progetto ministeriale» è interpretata dal collega Martino nel senso che le Sezioni abbiano la competenza delle riforme di struttura dei rispettivi ordini, ciascuna per conto proprio, io lo rassicuro che noi non intendiamo che i compiti delle singole Sezioni si estendano sino al potere di modificare la struttura dei rispettivi ordini della scuola.

Sono pronto, dal momento che il concetto informatore è altro, anche a sopprimere la dizione «nello spirito del progetto ministeriale», ma la sostanza rimane questa: che noi intendiamo che vi sia questa articolazione e crediamo che lo spirito del progetto ministeriale non sia in contrasto con quello che abbiamo deciso e stabilito per le riforme di struttura.

Devo anche sottolineare il fatto che è stato incorporato nell’ordine del giorno medesimo la giusta richiesta dell’onorevole Marchesi in merito all’istituzione di nuove scuole governative e al riconoscimento di nuove scuole non governative. Siamo d’accordo tutti che in questa sede non si possano analizzare singolarmente tutti i casi, in cui la seconda e terza Sezione possano dare pareri specifici e che questo deve essere fatto successivamente e ponderatamente senza conclusioni affrettate. Ma d’altra parte l’ordine del giorno impegna il Governo, l’Assemblea Costituente e le future Camere a redigere al più presto un elenco dei casi, in cui il parere del Consiglio Superiore deve essere rispettivamente vincolante, obbligatorio, facoltativo.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Ministro di esprimere il suo parere sull’ordine del giorno Sullo.

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Accetto l’ordine del giorno Sullo, anche con la soppressione dell’inciso «nello spirito del progetto ministeriale».

MORO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Dichiaro a nome del Gruppo che voteremo a favore di quest’ordine del giorno.

RODI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RODI. Anche noi voteremo a favore dell’ordine del giorno.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’ordine del giorno, con la soppressione, accettata dal Governo, delle parole: «nello spirito del progetto ministeriale».

(È approvato).

Si tratta di passare, pertanto, all’esame degli articoli.

Chiedo al Ministro dell’istruzione di dichiarare su quale testo egli intende si debba procedere nella discussione.

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Non so se erro. Dato l’ordine del giorno, che è stato poc’anzi approvato, il quale insiste sopra l’articolazione per Sezioni, dei due progetti quello che è articolato per Sezione è il progetto governativo. Quindi io ritengo, salvo parere contrario dell’Assemblea, che sia più opportuno, e che faciliti anche i nostri lavori, salvo l’approvazione di tutti gli emendamenti proposti, seguire la linea del progetto governativo.

MARTINO GAETANO, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARTINO GAETANO, Relatore. Gli emendamenti presentati stamane modificano il testo della Commissione. Il nuovo testo della Commissione prevede, pertanto, l’articolazione in Sezioni così come la prevede il testo ministeriale. Per ragioni di opportunità io preferirei che la discussione avvenisse sul testo della Commissione, anziché su quello del Ministro, perché, altrimenti, dovremmo ripresentare tutta una serie di emendamenti al testo del Ministro, mentre ci siamo finora preoccupati di presentare emendamenti al testo della Commissione.

Prego l’onorevole Ministro di aderire a questo concetto, che faciliterà la discussione e lo svolgimento dei lavori.

PRESIDENTE. Avrei fatto presente appunto, dopo che l’onorevole Martino avesse finito di parlare, questa situazione di fatto; tutti gli emendamenti si riferiscono al testo della Commissione e non al testo ministeriale.

Aggiungo che, come ha detto poco fa l’onorevole Martino, è stato presentato dalla Commissione solo stamane, e, quindi, fino a questo momento non è stato possibile distribuirlo ai membri dell’Assemblea, un nuovo testo, specialmente per gli articoli 2 e 3, proposto dalla Commissione, testo che riprende in gran parte la impostazione data ai problemi relativi dal testo ministeriale. Prego, pertanto, l’onorevole Ministro di esaminare la possibilità o meno di aderire a questa richiesta.

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Anche io sono d’accordo, ma non è stato distribuito il fascicolo contenente il nuovo testo e, quindi, in questo momento non è possibile discutere.

BERTOLA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTOLA. Prima di tutto volevo dire che io ho dato il mio voto a quell’ordine del giorno, e come me, credo anche parecchi miei colleghi, proprio perché quell’ordine del giorno significava lo spostamento della discussione del disegno di legge dal testo della Commissione a quello del Ministero. Si è concesso di togliere «lo spirito», perché io, scherzando, ho detto che togliendo lo spirito restava il corpo, ma non vorrei che togliendo lo spirito si togliesse anche il corpo.

Secondo: si capisce che gli emendamenti sono stati presentati sul testo della Commissione per il fatto semplicissimo che non si potevano presentare sul testo del Ministero. Quindi, chiedo, proprio per quell’ordine del giorno che abbiamo votato, che la discussione sia fatta sul testo del Ministero. Indubbiamente molti articoli del testo della Commissione saranno accettati, ma lo schema, però, su cui discutere, dev’essere quello del Ministero.

PRESIDENTE. Penso che sarebbe forse opportuno decidere su questo problema particolare, riguardante il testo base della discussione, all’inizio della seduta pomeridiana, in quanto le divergenze sorgono dall’articolo 2 in poi. Mi pare che possiamo senz’altro procedere all’esame dell’articolo 1, poiché il testo della Commissione ed il testo del progetto ministeriale si differenziano fra loro solo per l’indicazione del numero dei componenti del Consiglio. È questa una questione effettivamente di grande importanza, ma che non concerne l’impostazione delle due formulazioni.

Presentazione di una relazione.

FUSCHINI. Mi onoro di presentare la relazione al disegno di legge: «Modificazioni al decreto legislativo 10 marzo 1946, n. 74, per l’elezione della Camera dei deputati».

PRESIDENTE. Questa relazione sarà stampata e distribuita.

Si riprende la discussione del disegno di legge: Riordinamento dei corpi consultivi del Ministero della pubblica istruzione. (35).

BERNINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERNINI. Volevo associarmi alle dichiarazioni che ha fatto l’onorevole Bertola. È vero che parecchi emendamenti sono stati presentati al progetto della Commissione, ma in realtà si vedrà durante la discussione che la maggior parte di questi emendamenti cadrà. Quindi sono convinto che se seguiremo il progetto ministeriale, noi semplificheremo notevolmente il nostro lavoro.

Mi associo pertanto alle conclusioni dell’onorevole Bertola.

PRESIDENTE. Sta bene. Per il primo articolo il progetto ministeriale deve essere alla base, perché alcune disposizioni dell’articolo 1 del testo della Commissione sono state ora trasferite nella nuova formulazione dell’articolo 2.

Passiamo dunque all’esame dell’articolo 1. Si dia lettura dell’articolo 1, nel testo governativo.

AMADEI, Segretario, legge:

«Il Consiglio Superiore della pubblica istruzione è composto di 46 membri, oltre il Ministro che lo presiede, ed è diviso in tre sezioni, la prima per l’istruzione superiore, la seconda per l’istruzione media, classica, scientifica, magistrale e tecnica e la terza per l’istruzione elementare».

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Proporrei che il numero complessivo dei membri del Consiglio Superiore rimanesse in sospeso, in attesa di determinare la composizione delle varie Sezioni; cioè, lo metteremo al momento in cui avremo detto come sono costituite le Sezioni. Poi proporrei, ai fini pratici della brevità, che la seconda Sezione, anziché chiamarsi per «l’istruzione media, classica, scientifica, magistrale e tecnica», si chiamasse «per l’istruzione secondaria»; come la terza, «per l’istruzione elementare». È una terminologia più comoda e semplice.

BOSCO LUCARELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOSCO LUCARELLI. Onorevoli colleghi, comprendo che avrei dovuto iscrivermi a parlare sulla discussione generale, ma, per non violare il Regolamento a cui mi richiamerebbe il Presidente, mi limiterò a titolo personale a fare dei rilievi che possono essere connessi con l’articolo primo. Questa evidentemente è una leggina di emergenza per la necessità pratica di dover subito ricostituire il Consiglio superiore della pubblica istruzione, perché altrimenti dovrebbe precedere una discussione su l’ordinamento scolastico, del quale è un corollario.

Ordinamento scolastico dal quale io profondamente dissento, e dissento principalmente per quel che riguarda l’organizzazione dell’insegnamento industriale. Ho sempre sostenuto e sostengo che l’insegnamento professionale, industriale, commerciale e agrario debba essere staccato dal Ministero della pubblica istruzione per ritornare nella vita dei Ministeri tecnici, cioè a contatto con la realtà. La deleteria riforma Bottai in questo campo è stata assolutamente distruttiva di quella che era l’antica nostra scuola industriale, commerciale e agraria, la quale andava migliorata e non peggiorata, burocratizzandola.

E anche il titolo, che il Ministro vuol dare alla seconda Sezione, sta a dimostrare che andiamo a distruggere la scuola del lavoro per creare una scuola media anodina, che non risponde ai bisogni dell’industria e della nostra ricostruzione industriale.

Noi avevamo negli antichi ordinamenti un Consiglio superiore dell’insegnamento commerciale, un Consiglio superiore dell’insegnamento industriale e credo anche dell’insegnamento agrario: organi tecnici e specializzati, i quali portavano la voce della realtà e della vita nei diversi problemi del lavoro, problemi che non possono esattamente essere valutati dagli insegnanti delle scuole medie, che questa vita del lavoro non vivono, perché non vivono a contatto dell’industria, del commercio, dell’agricoltura, cui la scuola deve fornire gli elementi essenziali.

Bisogna che l’Assemblea ed il Paese si persuadano che, specie nel Mezzogiorno d’Italia, l’industrializzazione, il rinnovamento industriale ed economico poggia per gran parte sul rinnovamento della scuola, sulla ricostituzione della scuola industriale, la quale deve darci quella mano d’opera qualificata che, se manca in altre zone d’Italia, nel Mezzogiorno manca in maniera totalitaria.

Qualche mese fa parlavo con un industriale di Napoli di questo problema della scuola, la quale deve vivere a contatto dell’industria. Mi diceva che, mentre abbiamo attualmente in Italia 6 alti forni, di essi ben due sono in Napoli, ma le materie prime devono essere mandate in alta Italia per la trasformazione, perché a Napoli manca l’industria necessaria; ed uno dei fattori perché questa industria non sorge è la mancanza della mano d’opera qualificata.

È urgente la necessità di una riforma profonda dell’insegnamento industriale.

Vorrei che l’onorevole Ministro ci desse qualche assicurazione perché potessero risorgere, sia pure nell’attuale ordinamento scolastico, i Consigli superiori tecnici dell’insegnamento agrario, dell’insegnamento industriale, dell’insegnamento commerciale, i quali devono essere costituiti con criteri e con uomini del tutto diversi da quelli, i quali considerano la scuola da un punto di vista schematico di programmi fissi e di programmi umanistici, i quali non possono rispondere alla realtà della scuola del lavoro. La scuola industriale deve vivere senza programmi fissi, ma secondo i bisogni e le esigenze del luogo; deve essere affidata ad uomini che la scuola conoscono, non per costruzione ideologica, ma per la conoscenza dei bisogni reali, che essi attingono alla vita reale ed alle condizioni economiche del proprio paese.

Quindi io, per non mettermi in opposizione alla mia costante aspirazione ed alla modesta opera mia, tendente a questa riforma scolastica, mi sentirei costretto ad astenermi dal voto su questo articolo, se l’onorevole Ministro non mi desse l’assicurazione che questo problema dell’insegnamento industriale, commerciale ed agrario sarà visto con larghezza di vedute.

Ed in questo deve convenire il Tesoro, che deve fornire mezzi finanziari per risolvere questo problema, che è problema fondamentale per la ricostruzione della vita economica italiana.

Noi desideriamo l’assicurazione che, sia pure nell’ambito del Ministero, risorga questo organismo centrale, che deve presiedere alla scuola industriale, commerciale, agraria, con dei Consigli superiori autonomi per i detti tre rami di attività. (Applausi).

CALAMANDREI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CALAMANDREI. Onorevoli colleghi, avrei desiderato parlare in sede di discussione generale, per fare qualche osservazione appunto di carattere generale; ma ieri sera sono arrivato quando già la discussione era chiusa, e quindi devo parlare in sede di esame degli articoli, pure avvertendo che gli emendamenti da me proposti sono connessi a criteri di carattere generale, che brevemente vi espongo.

Devo dire prima di tutto all’onorevole Ministro Gonella che il suo attuale progetto, preferibile a quello della Commissione, mi sembra che meriti plauso, perché effettivamente in alcuni punti, anzi in molti punti, ha tenuto conto utilmente delle critiche che gli furono mosse nella seduta del 24 luglio scorso; il che dimostra che le opposizioni sono la forma migliore di collaborazione.

Il progetto, che oggi il Ministro presenta, non è tanto, come ha detto il collega Martino, una revanche del Ministro Gonella, perché in sostanza il Ministro Gonella ha accolto le critiche degli oppositori; direi piuttosto che il Ministro Gonella ha dimostrato con esso che se errare humanum est, perseverare in errore diabolicum est e che la sua natura, se non è proprio angelica, diabolica non è certamente. (Si ride).

Vorrei che si ponesse l’accento, nel votare gli articoli di questo progetto, su un punto che mi pare essenziale: che il Consiglio superiore non è un organo politico ma è un organo esclusamene tecnico; mentre il Ministro è un organo politico, non tecnico. Le direttive politiche dell’opera sua è il Ministro che le deve stabilire; il Consiglio superiore si deve limitare ad esercitare una funzione di consulenza, di collaborazione tecnica. Senonché, anche in questi limiti di collaborazione tecnica non si deve credere che il Consiglio superiore possa essere e sia bene che sia un docile strumento del Ministro.

Il Consiglio superiore, appunto per poter adempiere alla sua funzione tecnica, deve avere la possibilità ed i poteri per mantenere entro certi limiti dettati da ragioni tecniche le iniziative politiche del Ministro: deve quindi, in un certo senso, essere anche un suo controllo ed un suo moderatore.

Da queste premesse derivano diverse conseguenze.

Prima conseguenza è che proprio perché il Consiglio superiore è un organo tecnico, dal punto di vista tecnico funzionerà assai meglio diviso in quelle tre Sezioni, come il Ministro propone, anziché unificato in un unico consesso, come avrebbe proposto la Commissione.

Ma da questa sua natura tecnica deriva un’altra conseguenza, sulla quale specialmente mi permetto di richiamare l’attenzione dei colleghi, e che attiene alla nomina dei componenti del Consiglio. I componenti del Consiglio devono essere nominati in base a considerazioni di carattere esclusivamente tecnico: si debbono scegliere i migliori filologi, i migliori giuristi e i migliori medici, secondo criteri non politici o confessionali, ma solo prendendo in considerazione la miglior competenza tecnica.

Qual è l’organo che è più idoneo a fare una scelta tecnica dei componenti il Consiglio superiore? Evidentemente il corpo dei professori universitari, per quel che si riferisce alla prima Sezione del Consiglio, o degli altri insegnanti di scuole medie o elementari, per le altre due Sezioni. Ora io mi domando per quale ragione una parte dei componenti del Consiglio (cioè, come mi pare sia detto nel terzo comma dell’articolo 3 del progetto ministeriale, sei di essi), debba, anziché eletta dai professori, esser nominata dal Ministro, il quale è un organo politico e non tecnico e potrà essere in grado, per le nozioni che egli ha personalmente, di fare una scelta tecnica di alcuni studiosi, ma non ha l’onniscienza tecnica che occorrerebbe per poter fare questa scelta con competenza per tutte le discipline. Ricordo ai colleghi ed al Ministro che questa idea che tutti i componenti del Consiglio superiore o una parte di essi siano scelti dal Ministro, è una idea che è stata rimessa in vigore dagli ordinamenti fascisti, prima dei quali v’era, sì, una parte dei componenti del Consiglio che non erano eletti dai professori, ma la loro nomina non era demandata al ministro: alludo alla legge 19 luglio 1909, n. 496, per la quale sei dei componenti erano eletti dal Senato tra i senatori e sei dalla Camera tra i deputati facenti parte del corpo insegnante.

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. È la legge Casati.

CALAMANDREI. Ma successivamente, in un testo più recente, che è quello che era in vigore finora (decreto De Ruggiero del 7 settembre 1944) v’era, sì, una parte dei componenti il Consiglio superiore che non erano eletti dai professori, ma la loro nomina avvenne in via di cooptazione demandata ai professori eletti (i quali erano ventisette, e dovevano per cooptazione nominare gli altri nove). Proprio per conservare al Consiglio superiore questo carattere tecnico ho proposto un emendamento al terzo comma dell’articolo 3 del progetto ministeriale nel senso di stabilire, in conformità del sistema finora in vigore, che quei sei membri, che secondo il progetto ministeriale dovrebbero essere nominati dal Ministro, siano invece ancora nominati per cooptazione dai membri eletti.

D’altra parte si deve ricordare che può accadere, ed assai spesso accade, che il Ministro non ami il Consiglio superiore. È desiderabile che fra il Ministro ed il Consiglio superiore vi siano sensi di cordiale collaborazione, ma può accadere che questo non vi sia, ed allora può darsi che il Ministro tenda a sottrarre più materie che può al parere del Consiglio superiore, e non tanto il Ministro quanto la burocrazia ministeriale può darsi che non ami il Consiglio superiore.

Se questo può accadere (e l’esperienza ha dimostrato varie volte che accade) ritengo che siano da evitare tutte le disposizioni, come quelle contenute negli articoli 8 ed 11 del progetto ministeriale, le quali si limitano semplicemente a dire che il Consiglio superiore potrà dare il suo parere «qualora il Ministro lo richieda», lasciando quindi ad un potere discrezionale del Ministro di portare davanti al Consiglio superiore quelle materie che, a suo arbitrio, il Ministro ritenga di dover sottoporre a quella consulenza. Penso invece che le materie su cui il Consiglio superiore deve essere interpellato devono essere stabilite con precisione dalla legge, e che tutti gli argomenti per i quali è prescritto l’intervento del Consiglio superiore devono essere stabiliti con precisione dalla legge, e che tutti quegli articoli del progetto, in cui l’interpellanza del Consiglio superiore è rimessa alla discrezione del Ministro, siano sostituiti da precise disposizioni nelle quali si dica quali sono le funzioni del Consiglio, i casi in cui è richiesto il parere del Consiglio, i casi in cui il parere del Consiglio è vincolante.

E finalmente un’ultima osservazione. Nella legge Casati e nel decreto De Ruggiero una delle funzioni preminenti del Consiglio superiore era quella di studiare le riforme dell’insegnamento. La legge Casati all’articolo 15 diceva:

«Al termine di ogni 5 anni il Consiglio superiore presenta al Ministro una relazione generale dello stato di ciascuna parte dell’istruzione, con le osservazioni e proposte che stimerà convenienti. A tal fine sono comunicati al Consiglio i rapporti annuali degli ispettori generali e delle altre autorità scolastiche».

E l’articolo 4 del decreto 7 settembre 1944 in un capoverso diceva che «il Consiglio superiore ha facoltà di riferire al Ministro sulle condizioni generali del pubblico insegnamento».

Ora, a noi sembrerebbe che tutte le volte in cui ci siano da fare indagini, o inchieste intorno alle riforme dell’insegnamento, o studi su queste riforme, l’organo essenzialmente competente, per la sua dignità, per la varietà dei suoi componenti e per la varietà delle competenze dei suoi componenti, debba essere proprio il Consiglio superiore dell’istruzione pubblica. Viceversa, che cosa è accaduto durante il Ministero Gonella? Che quando ha creduto di poter iniziare gli studi per una generale riforma scolastica il Ministro ha nominato la macchinosa Commissione «per una inchiesta nazionale sulla riforma della scuola» a capo della quale è stato messo un comitato di ex Ministri della pubblica istruzione, col potere di aggregarsi un numero indefinito di collaboratori e di comitati. E per quest’organo così macchinoso, così complesso, sono stati già predisposti sontuosi locali in un intero piano di un antico palazzo. Di tutto questo il Consiglio superiore, che sarebbe per legge l’organo costituito a questo scopo, non ha saputo assolutamente niente! La riforma della scuola, la riforma delle Università, che un anno e mezzo fa era stata posta all’ordine del giorno del Consiglio superiore, ad un certo momento gli è stata sottratta ed è stata affidata a questo organo creato appositamente dal Ministro.

Ora, se si vuol dare al Consiglio superiore un’efficacia tecnica ed una dignità costruttiva, come quest’organo deve avere, si deve cercare di evitare il più che si può la creazione di questi organi consultivi di fortuna verso i quali, me lo permetta il Ministro, l’onorevole Gonella molte volte ha dimostrato di avere una certa simpatia.

Ci siamo trovati varie volte di fronte a questo, che è un curioso sistema democratico: il Ministro avrebbe avuto nel Consiglio superiore l’organo consultivo appositamente istituito dalla legge per dare il parere sui suoi progetti, ma, forse prevedendo che il Consiglio superiore avrebbe dato un parere contrario, ha preferito di non rivolgersi al Consiglio superiore e di creare al suo posto altri organi consultivi non previsti dalle leggi, composti di fidati del Ministro, il quale ben sapeva che, se ad essi avesse sottoposto i suoi progetti, essi avrebbero naturalmente dato parere favorevole.

Ora questo, secondo noi, è un sistema che non si deve perpetuare e che, in occasione della ricostituzione del Consiglio superiore, si deve cercare di eliminare, accogliendo l’emendamento da me presentato come articolo 1-bis, il quale propone appunto di restituire al Consiglio superiore la competenza esclusiva in materia di inchieste sull’istruzione e di studi di riforme sulla stessa materia. (Applausi).

MICCOLIS. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICCOLIS. Io credo che le preoccupazioni e le raccomandazioni dell’onorevole Bosco Lucarelli siano più che fondate. In effetti le scuole tecniche che noi oggi abbiamo in Italia provengono dai diversi Ministeri tecnici e furono convogliate dal fascismo nel Ministero della pubblica istruzione. Ora, in questo momento nel quale noi andiamo a costituire questo corpo che deve sovraintendere all’istruzione italiana, mi pare che per lo meno si debba scindere, nella scuola secondaria, la scuola dell’ordine classico, scientifico e magistrale da quella dell’ordine tecnico.

Infatti, nel Ministero della pubblica istruzione, v’è una direzione generale per l’istruzione tecnica, mentre ve n’è un’altra per l’istruzione classica, scientifica e magistrale. Ora, io non vedo effettivamente come questa sezione media di cui parla l’onorevole Ministro possa occuparsi dei problemi che interessano l’istruzione tecnica. Si tratta, in realtà, di due cose ben distinte.

Debbo poi osservare all’onorevole Bosco Lucarelli che, in materia di programmi, non sono d’accordo con quanto egli ha detto, perché il programma deve essere unico anche dal punto di vista dell’emigrazione. Ora, nell’ordine tecnico che noi abbiamo, v’è l’istruzione commerciale, l’istruzione industriale, l’istruzione agraria e l’istruzione nautica. Credo, quindi, che un solo organismo debba avere la competenza dei programmi e dello sviluppo di queste scuole.

Nella scuola classica, la faccenda è diversa: là basta una lavagna e un gesso; ma, nell’ordine tecnico, occorrono laboratori e milioni. Non è poi da trascurarsi anche l’intervento del Ministero dei lavori pubblici, perché molte scuole sono tuttora senza locali adatti.

Sentivo ieri parlare l’onorevole Gullo di questioni sindacali; ma qui non si tratta di questioni sindacali: qui si tratta di una questione di competenze. Dobbiamo avere, quindi, un competente per l’istruzione classica, un competente per l’istruzione industriale, un competente per l’istruzione agraria, un competente per l’istruzione nautica.

Noi non possiamo affidare ad un elemento rappresentativo unico l’istruzione tecnica dei diversi rami. Io poi vorrei cogliere l’occasione per ricordare brevemente ai colleghi che in effetti la scuola italiana è troppo classica. Anche in questo momento in cui si parla di emigrazione, noi sentiamo che ci difettano gli elementi tecnici, che difettano gli operai specializzati, operai specializzati che evidentemente dovrebbero esser formati dalle scuole tecniche. Noi invece non abbiamo per l’istruzione tecnica null’altro che una base di partenza.

Come dice l’onorevole Bosco Lucarelli, questa base di partenza è stata creata dai Ministeri tecnici, e dopo il passaggio di queste scuole alla pubblica istruzione, esse si sono fermate e non hanno più progredito.

È necessario, io credo, che si tenga presente la necessità che invece di tre Sezioni, onorevole Ministro, siano quattro, cioè che la Sezione per l’istruzione tecnica sia completamente staccata, come è prospettato dal mio emendamento.

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GONELLA, Ministro dell’istruzione pubblica. Vorrei far presente che mi rendo conto delle osservazioni sia dell’onorevole Bosco Lucarelli che dell’onorevole Miccolis. Non bisogna dimenticare però che nella seconda Sezione v’è un ispettore dell’ordine tecnico, un rappresentante dei Consorzi provinciali per l’istruzione tecnica, un capo istituto di scuola tecnica, tre professori di scuole tecniche; cioè sei rappresentanti dell’ordine tecnico. E non sono altrettanti i rappresentanti dell’ordine classico, perché l’ordine tecnico ha in più il rappresentante dei Consorzi provinciali dell’istruzione tecnica.

Si tratta di vedere se sia il caso di scindere la Sezione aumentando il numero.

COLONNETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLONNETTI. Ringrazio l’onorevole Ministro per i chiarimenti dati; stavo per dire io stesso che non è che si sia dimenticata la rappresentanza delle scuole tecniche. Soltanto ancora una volta devo confessare la mia perplessità. Mi chiedo se effettivamente una Sezione del Consiglio superiore, fatta per metà di rappresentanti dell’istruzione classica o scientifica, e per l’altra metà di i rappresentanti di scuole professionali, tecniche industriali e commerciali, potrà funzionare. E non saprei dare una risposta ad una domanda di questo genere, perché ancora una volta si sente qui la mancanza, che già ieri deploravo, di una chiara definizione dei compiti dell’organo di cui stiamo discutendo la composizione.

Ho già detto ieri, e ripeto in questo momento, che ho l’impressione che bisogna prima creare la funzione e poi l’organo che ad essa deve provvedere. Il Ministro ha detto che si tratta di sapere se per la scuola secondaria sia meglio istituire una Sezione sola o due. In fondo, una risposta a questa domanda non la si può dare se non si ha sott’occhio la precisazione di quelle che saranno le funzioni di questa Sezione. Perché, se si trattasse soltanto di discutere delle questioni di dettaglio, relative agli ordinamenti delle singole scuole, è facile prevedere che la riunione di rappresentanti di due indirizzi così completamente diversi, quali sono quello della scuola media umanistica, destinata alla preparazione agli studi superiori, e quello della scuola media tecnica che mira alla immediata preparazione professionale, cioè che è fine a se stessa, si rivelerà con ogni probabilità inefficiente.

Se, invece, compito della Sezione dovesse essere quello di discutere problemi generali della cultura, sia pure relativi alla scuola secondaria, allora l’abbinamento dei due indirizzi potrebbe condurre a contemperare le esigenze dell’uno e dell’altro, con buoni risultati per entrambi.

Certo è che aveva ragione l’onorevole Bosco Lucarelli quando metteva in evidenza l’enorme importanza che hanno in questo momento per il nostro Paese il riordinamento e la messa in efficienza dell’istruzione tecnica e professionale. E mi sembra per lo meno imprudente che una questione così grave e che interessa un settore così vitale della nostra scuola sia pregiudicata in occasione di questo provvedimento che apparentemente tende solo a disciplinare un organo dell’amministrazione, laddove essa meriterebbe di essere affrontata in sede di discussione delle funzioni per cui l’organo è costituito. Ripeto che perdura in me una grande perplessità e che questa non si elimina se il Ministro per tutta risposta si limita ad invitarci a decidere sulla unione o sullo sdoppiamento della sezione del Consiglio superiore di cui ci stiamo occupando.

Quest’è a parer mio un modo di eludere il nocciolo della questione. Ed io non posso che lamentare che questa decisione venga presa senza che si sia preventivamente chiarita la funzione effettiva dell’organo; non posso che lamentare che non ci si renda conto che a questo modo si rischia di pregiudicare senza volerlo l’avvenire di queste due importantissime branche scolastiche che hanno finalità così diverse: l’una propedeutica per l’avviamento agli studi superiori; l’altra fine a se stessa per la preparazione professionale immediata.

PRESIDENTE. Proporrei di rinviare la seduta al pomeriggio, anziché alle 16, alle 17, per la prosecuzione dei nostri lavori.

(Così rimane stabilito)

La seduta termina alle 13.15.

POMERIDIANA DI MARTEDÌ 9 DICEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCXXIV.

SEDUTA POMERIDIANA DI MARTEDÌ 9 DICEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEI VICEPRESIDENTI CONTI E BOSCO LUCARELLI

INDICE

Domanda di autorizzazione a procedere in giudizio:

Presidente

Disegno di legge (Discussione e approvazione):

Norme per la istituzione dell’Opera di valorizzazione della Sila. (19).

Presidente

Bertini

Quintieri Quinto

Piemonte, Relatore

Segni, Ministro dell’agricoltura e delle foreste

Tessitori

Tonello

Priolo

Tega

Pastore Raffaele

Camangi

Bozzi

Canevari

Rescigno

Belotti

Rivera

Perassi

Turco

Fabbri

Bertone

Caroleo

Colonnetti

Presentazione di relazioni:

Uberti

Presidente

Disegno di legge (Discussione):

Riordinamento del Corpi consultivi del Ministero della pubblica istruzione. (35).

Presidente

Marchesi

Bertola

Galati

Sullo

Bernini

Colonnetti

Tumminelli

Tonello

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

AMADEI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Domanda di autorizzazione a procedere in giudizio.

PRESIDENTE. Comunico che il Ministro di grazia e giustizia ha trasmesso una domanda di autorizzazione a procedere in giudizio contro il deputato Tonetti Giovanni, per il reato di cui all’articolo 342 del Codice penale.

Sarà inviata alla Commissione competente.

Discussione del disegno di legge: Norme per la istituzione dell’Opera di valorizzazione della Sila. (19).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Discussione del disegno di legge: Norme per la istituzione dell’Opera di valorizzazione della Sila. (19).

Dichiaro aperta la discussione generale. Gli onorevoli Bertini, Guerrieri, Uberti, Ferrarese, Carbonari e Tonello hanno presentato il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente,

plaude ai criteri espressi nel disegno di legge per la valorizzazione della Sila e gli opportuni provvedimenti stabiliti in esso e

fa voti

che il Governo porti un esame sollecito e adeguato sulle condizioni di grave decadenza delle zone alpine e di quelle appenniniche dell’Italia centrale, devastate dal protrarsi della resistenza nemica durante la guerra; e ciò sia ai fini del loro bonificamento sociale e tecnico-agricolo, sia ai fini di conservazione e di reintegra del patrimonio forestale che va sinistramente depauperandosi per la necessità di trarre da esso il fabbisogno al riscaldamento familiare e industriale,

confida

che questa opera di trasformazione si realizzi mercé un piano organico di riforme sì da sodisfare alle esigenze e alla orinai prolungata attesa delle popolazioni montane».

L’onorevole Bertini ha facoltà di svolgerlo.

BERTINI. Non spenderò che poche parole, per aderire cordialmente ed interamente al progetto sottoposto alla nostra discussione.

È un progetto organico, ed io che fui alla Camera, nel 1922 ed in sedute memorabili, il portatore – dirò così – della legge sul latifondo, troppo dimenticata in questa Assemblea, oggi sono lieto di constatare che, come in quella legge tutto fu preveduto ai fini di un’organica attuazione delle riforme, così lo stesso metodo di graduale attuazione è stato ora seguito.

Perciò non posso che dare il mio plauso al progetto; e in particolare un plauso merita il Relatore, che nella sua relazione ha maggiormente specificato gli aspetti del progetto, rilevandone il carattere di organicità e di praticità.

Ma permetta l’Assemblea di dire, giacché si parla di una zona così importante del nostro patrimonio montano in Italia, che non vanno dimenticate neppure le zone alpine e appenniniche, gravemente devastate dalla resistenza nemica durante la guerra. Quelle popolazioni, e chi vive a contatto con loro è in grado di saperlo, danni gravissimi hanno riportato, anzitutto sotto l’aspetto umano e sociale.

Vi è in quelle zone un disboscamento, il quale prima che essere forestale e agricolo, è disboscamento umano. Si tratta di popolazioni che non vedono quasi mai altri funzionari statali, all’infuori dell’agente delle imposte e dell’agente forestale, non sempre soliti a corrispondere con larghezza di metodo e di vedute a quella che dovrebbe essere l’opera di collaborazione e di assistenza a popolazioni necessariamente povere e modeste.

Inoltre, il patrimonio forestale, ognuno lo sa e lo vede coi propri occhi, va devastandosi ogni giorno di più.

Lo hanno devastato durante la guerra con dei tagli fatti disorganicamente, e in maniera veramente deplorevole. La guerra poteva scusare questa deficienza; oggi non si scuserebbe più. Ed io rilevo, purtroppo, che se il patrimonio forestale non si cerca di reintegrarlo con misure organiche, atte a tenere conto di tutti gli aspetti sociali di questi problemi per le zone, come ho detto, alpina e specialmente appenninica dell’Italia Centrale, gravi, se non addirittura funeste, potrebbero esserne le conseguenze. I loro abitanti son costretti a fuggirne, perché le condizioni vi sono diventate addirittura impossibili, inferiori al più modesto tenore di vita.

Perciò, senza dilungarmi su questi problemi, dei quali ciascuno di noi sente profondamente l’assillo e la importanza, raccomando alla vostra attenzione il mio ordine del giorno, affinché i concetti, sui quali mi sono soffermato brevemente e sinteticamente, possano essere presentati al Governo. Credo che l’onorevole Relatore, del quale ben conosco la competenza e l’amore per i problemi agricolo-forestali, vorrà valorizzare i miei argomenti con la sua adesione.

Non aggiungo altro. Confido nella continuazione di quest’opera del Ministro dell’agricoltura e del Governo, intesa a redimere dal loro abbandono le popolazioni montane. (Applausi al centro).

QUINTIERI QUINTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

QUINTIERI QUINTO. Voglio dire poche parole su questo argomento che a noi calabresi sta particolarmente a cuore. E cominciò ad associarmi al plauso rivolto al Relatore per la viva simpatia che traluce per la mia Regione fin dalle prime parole della sua relazione.

Debbo però, nel dichiarare il mio pieno appoggio a questo disegno di legge, fare alcune riserve, soprattutto di carattere pratico, alla portata di esso.

Mi sembra, per cominciare, che il titolo «Norme per la istituzione dell’Opera di valorizzazione della Sila» sia un titolo pomposo, scarsamente collegato con la modestia delle somme attribuite a quest’opera. Novantotto milioni all’anno, per un comprensorio che, nella sua forma più ristretta, supera i 100 mila ettari – cioè 1000 lire ad ettaro – sono evidentemente ben modesta somma per poter fare qualcosa di realmente pratico.

Ma c’è qualcosa di più. Questi 98 milioni non solo dovrebbero servire per la trasformazione e la valorizzazione dell’altipiano, cioè di una regione che si estende ad un’altitudine fra i 1200 e i 1600 metri, ma dovrebbero – nella idea, d’altronde giusta, del Relatore – servire pure per la sistemazione di tutta la zona dei contrafforti, dei pendî e delle valli, il che porta la superficie presa in esame a tre o quattro volte quella del massiccio propriamente detto.

E allora si vede che, con 98 milioni all’anno, quei tre o quattrocentomila ettari resteranno press’a poco nello stato in cui si trovano.

L’Opera si dovrebbe dunque chiamare più fondatamente «Opera per lo studio della valorizzazione silana».

Che cosa sarà questo studio della valorizzazione silana? Sarà probabilmente un gruppo di uffici, i quali finiranno coll’assorbire una parte non indifferente del suddetto modesto contributo.

Ecco il primo punto sul quale mi sento in dovere di richiamare l’attenzione del legislatore, perché non vorrei che si presentasse ai calabresi questo disegno di legge come qualche cosa di sufficiente e di destinato a portare, a questo tratto della nostra Regione, una trasformazione e dei benefici reali.

Nella relazione dell’onorevole Piemonte c’è una parte nuova, che non era nel progetto originale e che è quella che si ricollega con la valorizzazione turistica della Regione. Evidentemente questa parte è la più facile a tradursi in atto, e forse è quella che, probabilmente, può portare subito qualche vantaggio alla Calabria, perché può condurre ad un miglioramento delle condizioni di accessibilità, di viabilità e di ospitalità della zona; trattandosi di una località che per sette od otto mesi dell’anno resta totalmente spopolata (in Sila non possiamo pensare ad un turismo di lusso, ma esclusivamente popolare), un turismo invernale ed estivo, soprattutto a carattere sportivo, potrebbe essere di vantaggio ed essere anche in armonia con i modesti mezzi finanziari attribuiti all’Ente.

C’è poi, nella relazione dell’onorevole Piemonte, la proposta che i fondi dell’Opera – già così scarsi – debbano bastare anche per la trasformazione e l’industrializzazione della Regione. Si vede che su tale punto non stiamo più sul terreno della realtà, tanto che non credo sia il caso neppure di discutere della possibilità di industrializzare la Sila con 98 milioni all’anno!

Alcune questioni di dettaglio sorgono, poi, per quanto riguarda la composizione del Consiglio di amministrazione dell’Ente. È stato previsto chi verrà chiamato a farne parte: rappresentanti delle provincie interessate, del Banco di Napoli, delle Camere di commercio, ecc., ma sono stati dimenticati i rappresentanti degli agricoltori e dei coltivatori diretti. Sarebbe bene che anche questa ultima rappresentanza fosse inclusa fra coloro che amministreranno l’Ente.

Ed infine un’ultima osservazione, più di stile, vorrei dire, che di sostanza. Ed è questa: fra gli Enti chiamati a contribuire al finanziamento delle opere di valorizzazione silana è la Cassa di risparmio di Calabria.

Mi pare che le buone regole bancarie dovrebbero opporsi a che i fondi raccolti attraverso i depositi a risparmio calabresi vengano impiegati in lavori stabili, i quali non permetterebbero domani l’immediato ricupero delle somme investite, come dovrebbe essere costante preoccupazione di tutte le banche.

Con questo, credo che le osservazioni principali che avevo da fare siano finite e non mi dilungo per non tediare maggiormente i colleghi.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Relatore a pronunciarsi sull’ordine del giorno dell’onorevole Bertini e su quanto ha proposto l’onorevole Quintieri.

PIEMONTE, Relatore. Io sono dolente di dover obiettare all’onorevole Quintieri che, se non erro, egli deve avere nelle mani un progetto di variazioni al testo governativo che è un po’ diverso da quello che è stato distribuito, giacché due sono i testi di modifiche sorti: quello da me dapprima compilato e al quale l’onorevole Quintieri si riferisce, e quello che è stato redatto in seguito a nuove discussioni in seno della terza Commissione.

Nel nuovo testo, distribuito oggi, infatti, si è mantenuta la dizione del progetto ministeriale del 1° articolo; vale a dire che il perimetro del comprensorio non comprende più le pendici e le vallate che delimitano l’altipiano silano. Certo, pare assai strano che si prospetti un’opera di bonifica montana senza tener conto di quello che avviene più in basso: il bonificatore moderno regola l’acqua dal punto in cui sorge e la utilizza sino alla foce. Ma il comprensorio comprende 100 mila ettari e si è rilevato che per le pianure e le vallate circostanti già esistono altri Consorzi. Perciò, nella relazione definitiva, è detto che bisognerà coordinare l’opera del nuovo ente con quella degli altri enti di bonifica che già esistono. Così pure è stato accennato al criterio di togliere dai rappresentanti dell’amministrazione gli enti di credito, perché mal si concepisce come gli enti di credito, che possono essere finanziatori, siano nel contempo anche degli amministratori. L’onorevole Quintieri si lamenta che nel Consiglio di amministrazione manchino le rappresentanze degli agricoltori e dei produttori diretti, invece vi sono. Legga l’onorevole collega il nuovo testo dell’articolo.

Quanto al funzionamento dell’Ente, la somma stanziata certo non è ingente, ma bisogna tener conto della situazione del Paese, e bisogna anche tener presente che il miliardo che si verrà a spendere nello spazio di dieci anni, sarà notevolmente accresciuto dalla circostanza che tutte le opere di seconda categoria costituiranno un onere che verrà a pesare sul Governo per 1’80 per cento e più. Quindi, per il momento, la Calabria si contenti, che quello che si sta facendo è già un bel passo avanti.

Per quanto poi si riferisce all’ordine del giorno presentato dal collega onorevole Bertini, non posso dir niente, perché non posso consultare gli altri colleghi della Commissione; tuttavia, personalmente, son lieto di dichiarare che aderisco toto corde. Concludendo, io penso che la creazione dell’Ente di valorizzazione della Sila sia un fatto molto importante e che solo per la strada così segnata si farà qualche cosa sul serio per risolvere l’arduo problema del Mezzogiorno d’Italia. (Approvazioni).

Presentazione di relazioni.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Mi onoro di presentare le relazioni sui seguenti disegni di legge:

Norme per la prima compilazione delle liste elettorali nella provincia di Gorizia;

Norme per la limitazione temporanea del diritto di voto ai capi responsabili del regime fascista.

PRESIDENTE. Queste relazioni saranno stampate e distribuite.

Si riprende la discussione del disegno di legge: Norme per l’istituzione dell’Opera di valorizzazione della Sila. (19).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro dell’agricoltura e delle foreste.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Mi pare che l’Assemblea sia d’accordo nel passare alla discussione degli articoli, approvando il disegno di legge.

Io non mi sono nascosto le obiezioni che ha presentato l’onorevole Quintieri; non mi sono nascosto che i fondi sono modesti, ma il lato più importante di questo disegno di legge sta proprio nell’articolo 1, al quale ha fatto cenno l’onorevole Piemonte, cioè nella classifica dell’altipiano, che comprende centomila ettari, fra le bonifiche di seconda categoria. Il che significa che il fondo di 98 milioni annui non è che un fondo annuo di avviamento, perché le singole opere dovranno essere sussidiate dalla legge sulla bonifica e sugli stanziamenti generali.

Eliminata questa preoccupazione, prego quindi l’Assemblea di passare all’approvazione degli articoli del progetto stesso.

Quanto all’ordine del giorno dell’onorevole Bertini, il Governo lo accetta a titolo di raccomandazione.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’ordine del giorno dell’onorevole Bertini del quale ho dato precedentemente lettura.

(È approvato).

Dichiaro chiusa la discussione generale sul disegno di legge.

Passiamo all’esame degli articoli. Chiedo all’onorevole Ministro dell’agricoltura se accetta che la discussione avvenga sul testo della Commissione.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Accetto.

PRESIDENTE. Si dia lettura dell’articolo 1:

AMADEI, Segretario, legge:

«Il territorio dell’altipiano silano è classificato tra i comprensori di bonifica di seconda categoria».

PRESIDENTE. Nessuno chiedendo di parlare, lo pongo in votazione.

(È approvato).

Si dia lettura dell’articolo 2.

AMADEI, Segretario, legge:

È costituita, con sede in Cosenza, l’«Opera per la valorizzazione della Sila» avente lo scopo di promuovere od effettuare direttamente la trasformazione fondiario-agraria dell’altipiano silano tenendo presenti le caratteristiche silvo-pastorali della zona.

«L’Ente altresì promuove e favorisce lo sviluppo dell’industria e del turismo nella regione silana».

PRESIDENTE. Avverto che il secondo comma è stato aggiunto dalla Commissione al testo governativo.

TESSITORI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TESSITORI. Ho chiesto la parola soltanto per rilevare che nel testo mi pare vi sia un errore di stampa; se ciò non è, proporrei che fosse modificata la dizione.

Infatti nella prima parte del primo comma dell’articolo 2 là dove è detto: «promuovere od effettuare» direi: «promuovere ed effettuare».

PIEMONTE, Relatore. Non è un errore di stampa.

TESSITORI. Siccome il Relatore mi interrompe affermando che non si tratta di errore di stampa, in quanto evidentemente il promuovere è attività di carattere preliminare che può non essere completata dalla effettuazione, perché questa potrebbe essere compito di altri enti, io penso però che, anche se questa interpretazione possa ritenersi conforme alla previsione, tuttavia il «promuovere» non può essere disgiunto dalla effettuazione. Che le opere siano eseguite direttamente dall’ente che viene istituito con questo disegno di legge, o siano eseguite indirettamente a mezzo di altri enti, questi indubbiamente dovranno essere in qualche modo controllati dall’ente stesso. Quindi, nella ipotesi che qui non si tratti di puro e semplice errore di stampa, la mia domanda di modificazione di questo elemento congiuntivo mi pare risponda a ragioni logiche e giuridiche. Insisto pertanto nel chiedere che, come nell’ultimo comma proposto dalla Commissione si legge «promuovere e favorire», così anche nel primo comma si dica «promuovere e effettuare».

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Non posso accettare l’emendamento proposto dall’onorevole Tessitore ed il motivo implicitamente l’ha già detto il Relatore. Noi abbiamo, in questo articolo, una formulazione che considera tanto le opere pubbliche di bonifica e trasformazione, quanto le opere di privati, ed in questo campo l’attività dello Stato non può essere che sussidiaria a quella dei privati. Quindi effettuerà la trasformazione quando il privato non avrà provveduto. In fondo l’onorevole Tessitore dice: effettuare o direttamente o indirettamente. Ma quando noi parliamo di effettuazione indiretta, togliamo qualsiasi significato al vocabolo «effettuare» e in sostanza questa effettuazione indiretta non è che il promuovere l’opera di trasformazione agraria.

Quindi pregherei l’onorevole Tessitore di non insistere su questo emendamento.

PRESIDENTE. Qual è il parere della Commissione?

PIEMONTE, Relatore. Anch’io sono d’accordo che non è necessaria questa modificazione, perché «o» ha un significato particolare, cioè l’ente si sostituisce al privato o all’ente che è proprietario del terreno nell’eseguire la bonifica, se questi non compie quello che l’Opera stabilisce. Si tratta di due azioni diverse. L’ente promuove le buone volontà; se queste mancano, vi si sostituisce.

PRESIDENTE. Onorevole Tessitori, insiste nel suo emendamento?

TESSITORI. Non insisto.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 2 nel testo della Commissione, testé letto.

(E approvato).

Passiamo all’articolo 3. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«L’Opera è persona giuridica di diritto pubblico ed è sottoposta alla vigilanza e tutela del Ministero dell’agricoltura e delle foreste».

TONELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Vorrei chiedere un’informazione: noi abbiamo votato la legge che stabilisce le Regioni ed abbiamo attribuito alle Regioni anche un carattere legislativo, e la giurisdizione delle regioni abbraccia anche questo ramo dell’attività. Ora mi domando quindi, se l’opera dipende direttamente, come è detto nell’articolo, dal Ministero dell’interno, s’intende che è sottratta a quella che può essere la facoltà delle Regioni?

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro dell’agricoltura ha facoltà di rispondere.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Quando l’ordinamento regionale sarà perfetto, si vedrà se è il caso di inquadrare questo ordinamento in quello regionale.

PRESIDENTE. Qual è il pensiero del Relatore?

PIEMONTE, Relatore. La questione di dar posto nell’Amministrazione dell’opera alla Regione è stata ventilata in Commissione, ma poi si è finito col concludere che la Regione è un istituto in fieri e quindi di lasciare a futuri provvedimenti l’incarico di definire i rapporti che avranno i due enti.

PRESIDENTE. L’onorevole Tonello si dichiara soddisfatto della risposta?

TONELLO. Sono soddisfatto delle ragioni che sono state addotte.

PRESIDENTE. Ricordo che abbiamo approvato nel testo costituzionale una norma che dice in modo generale quello che l’onorevole Segni ha detto in forma particolare.

PRIOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PRIOLO. Il provvedimento in esame è una prima dimostrazione affettuosa che il Parlamento fa verso il Mezzogiorno. Tutti sappiamo che cosa può rendere l’altipiano silano. Io non sono di quelli che dicono che per il Mezzogiorno non si è fatto niente. Qualche cosa si è fatto, ma bisogna fare di più. Ad ogni modo, questa è una prima manifestazione, ed io prego l’Assemblea di approvare.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 3, testé letto.

(È approvato).

Si dia lettura dell’articolo 4.

AMA DEI, Segretario, legge:

«L’Opera provvede a:

  1. a) redigere il piano generale della trasformazione fondiaria-agraria del comprensorio silano e conseguentemente a proporre gli obblighi minimi di bonifica per i proprietari.

«Sono esclusi da detta trasformazione i boschi esistenti, mentre, per l’eventuale mutamento di destinazione di terreni nudi sottoposti a vincolo forestale, non costituenti spazi vuoti, chiarie e radure di boschi, saranno da osservare le norme di cui al regio decreto 30 dicembre 1923, n. 3267;

  1. b) eseguire in concessione o in appalto le opere pubbliche di bonifica previste nel piano generale, con preferenza nei confronti di qualsiasi altro aspirante alla concessione;
  2. c) eseguire opere di interesse comune a più proprietà o di carattere generale occorrenti per la trasformazione e la colonizzazione;
  3. d) assistere tecnicamente e finanziariamente i proprietari dei terreni per l’esecuzione delle opere che ad essi competono e per l’incremento agricolo e zootecnico dei singoli fondi;
  4. e) promuovere ed assistere tecnicamente e finanziariamente le cooperative di contadini, che, a titolo temporaneo in base al decreto legislativo luogotenenziale 6 settembre 1946, n. 89, o ad altro titolo, esercitino nel comprensorio la conduzione dei terreni;
  5. f) compiere direttamente la trasformazione e il miglioramento fondiario delle terre delle quali acquisti la proprietà o il possesso, e possibilmente con precedenza di quelle attualmente di proprietà collettiva;
  6. g) promuovere e favorire nella regione l’industrializzazione e lo sviluppo del turismo coordinando e aiutando le iniziative locali e l’opera degli altri enti che si propongono tali fini;
  7. h) compiere in generale quanto occorre per facilitare la trasformazione del territorio e la sua valorizzazione».

TEGA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TEGA. Desidererei che si specificasse meglio là dove si dice alla lettera e): «promuovere ed assistere tecnicamente e finanziariamente le cooperative di contadini».

Mi sembra un termine troppo generico. Sostanzialmente, noi intendiamo la cooperazione come la somma degli sforzi di tutte le categorie dei lavoratori, non soltanto dei contadini; tanto più che questo termine «contadini», a seconda delle varie regioni, si presta a diverse interpretazioni.

Per esempio, «contadini» nel vero senso della parola sono chiamati quelli che lavorano sul proprio fondo; gli altri sono chiamati mezzadri. In altri posti sono i braccianti agricoli. Conseguentemente, desidererei, se fosse possibile, che si mettesse, invece di «cooperative di contadini», «cooperative di lavoro e di produzione».

Noi sappiamo che le cooperative di lavoro sono la somma di tutte le energie del bracciantato, non soltanto agricolo, ma anche del bracciantato misto, cioè di lavoro e di produzione.

PASTORE RAFFAELE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PASTORE RAFFAELE. Aggiungerei alla lettera a) dove si dice: «obblighi minimi di bonifica» le parole «e trasformazione agraria». La parola «bonifica» è termine troppo generico: fa pensare solo alla bonifica igienica, mentre noi intendiamo anche la bonifica agraria.

CAMANGI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAMANGI. Desidero un chiarimento: perché alla lettera b) si fanno due casi di esecuzione delle opere pubbliche di bonifica, cioè in concessione o in appalto? Data la natura che l’opera viene ad assumere, in base a quanto detto negli articoli precedenti, mi pare che l’esecuzione delle opere debba farsi soltanto in concessione. Non vedo in quale caso potrebbe intervenire la figura vera e propria dell’appalto.

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Non sarei favorevole all’emendamento proposto dall’onorevole Tega alla lettera e).

Vero è che la dizione «contadino» può essere interpretata in senso diverso, ma ormai l’espressione «cooperativa di contadini» ha una accezione pacifica.

Inoltre, vorrei far rilevare che, se si muta questa espressione, indirettamente sì muta tutto il sistema del decreto legislativo – erroneamente detto luogotenenziale, mentre non lo è – del 6 settembre 1946, il quale disciplina l’assegnazione delle terre incolte o insufficientemente coltivate. Questa assegnazione è fatta alle cooperative di contadini ed ormai in giurisprudenza è pacifica la interpretazione dell’espressione «cooperativa di contadini». Noi incidentalmente inseriremmo un concetto, che sconvolgerebbe tutta la economia di questo decreto del 1946.

CANEVARI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CANEVARI. Nella lettera a) si parla di «piano generale della trasformazione fondiaria-agraria» ed a questo piano è fatto riferimento alla lettera b), laddove si parla della esecuzione delle opere pubbliche di bonifica, cioè di bonifica idraulica ed agraria, mi sembra quindi superflua la proposta fatta dall’onorevole Pastore.

Per quanto si riferisce alle cooperative, vorrei far presente al collega Pastore che, quando si parla di cooperativa agricola, non si può sostituire la dizione troppo generica «cooperativa di lavoro e di produzione». Noi vogliamo riferirci alla cooperative agricole, quindi bisognerebbe mettere «cooperative agricole di produzione e di lavoro»; altrimenti facciamo confusione. Il provvedimento tende ad aiutare il movimento cooperativistico dei contadini.

La parola «contadino» comprende tutti i lavoratori della terra, sia piccoli proprietari che mezzadri o braccianti.

PASTORE RAFFAELE. Possiamo dire «che lavorano direttamente la terra».

QUINTIERI QUINTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

QUINTIERI QUINTO. Richiamo l’attenzione sul fatto che è d’interesse generale che si tratti di veri contadini; perché immettere in tali cooperative elementi non idonei, cioè che non conoscono questo difficile e duro mestiere, significa votare le cooperative all’insuccesso. È nell’interesse stesso del movimento cooperativistico che noi desideriamo che vengano formate queste Cooperative da coltivatori effettivi o contadini.

PRIOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PRIOLO. Alla lettera e), laddove è detto «promuovere ed assistere tecnicamente e finanziariamente le cooperative di contadini», proporrei di aggiungere, «che lavorano direttamente la terra», per evitare ogni speculazione.

CAPORALI. Anche se sono salariati fissi.

TESSITORI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TESSITORI. Vorrei proporre, per uno scrupolo puramente formale, una modificazione alla lettera e) dell’articolo 4. Nel mentre sono d’accordo con coloro i quali ritengono che la dizione: «cooperative di contadini» sia di per sé sufficiente a comprendere tutte le cooperative di quanti intendono direttamente lavorare la terra, mi sorge un certo dubbio, che cioè domani l’abilità interpretativa possa esercitarsi su questa formula: «esercitino nel comprensorio la conduzione dei terreni». Proporrei di sostituire il verbo «esercitino» (che parrebbe rappresentare soltanto un’attività in atto nel momento in cui il decreto venisse ad avere la sua promulgazione e la sua attuazione, quasi che dovessero essere escluse tutte le cooperative che, successivamente alla promulgazione della legge facessero domanda di poter esercitare quell’attività nell’altipiano della Sila). Ad evitare questa interpretazione, che sarebbe contrastante con la buona fede, e che potrebbe generare litigi inutili e perplessità nella giurisprudenza proporrei che si sostituissero alla parola: «esercitino», queste: «intendano esercitare». Così comprenderemmo tutte le cooperative di contadini, sia quelle che, all’atto della promulgazione della legge, sono già pronte ed attrezzate per assumere quest’attività, sia quelle che successivamente intendessero intervenirvi.

RESCIGNO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RESCIGNO. Signor Presidente, io credo che il pensiero che animava il collega Tega nell’avanzare la sua proposta sia altamente lodevole. Egli si preoccupava soprattutto di una categoria di lavoratori della terra, che specialmente nel Mezzogiorno d’Italia vive la vita più misera ed ha bisogno dei maggiori aiuti, cioè la categoria dei braccianti agricoli. Perciò credo che la migliore dizione, alla lettera e) dell’articolo 4 (poiché in essa si parla di «contadini che esercitino nel comprensorio la conduzione dei terreni» ed evidentemente si esclude assolutamente il bracciantato), sarebbe questa, e ne faccio formale proposta: «promuovere ed assistere tecnicamente e finanziariamente le cooperative di contadini conduttori e braccianti». Infatti è proprio attraverso il movimento cooperativistico che noi possiamo elevare la condizione di questi che sono fra i più miseri lavoratori della terra.

BELOTTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BELOTTI. Io propongo la conservazione della formula: «cooperative di contadini», anzitutto perché essa ha già avuto la sua consacrazione in precedenti testi di legge ed una corrispondente configurazione giuridico-tecnica ben precisata; in secondo luogo per la ragione che anche i braccianti, quando si uniscono in cooperative, diventano, perciò stesso, imprenditori. Precipuo carattere delle cooperative è appunto di fare dei lavoratori contemporaneamente degli imprenditori. Io ritengo che, tecnicamente, la formula del progetto sia esatta e che, ad evitare confusioni, non debba essere accolta dall’Assemblea la variante proposta dai colleghi onorevoli Tega e Rescigno.

PRESIDENTE. Chiedo il parere della Commissione sugli emendamenti proposti.

PIEMONTE, Relatore. Io avrei preferito di trovarmi davanti a delle modificazioni precisate, che non rispondere a tante proposte verbali. Intanto, sono d’accordo coi colleghi Perassi e Bozzi, i quali hanno fatto l’osservazione che al 6 settembre 1946 non c’era più il luogotenente, ma era già stata proclamata la Repubblica. Si tratta di un errore di forma da correggere, una modificazione al comma b) che mi pare superflua, posto che già il comma a) parla di un piano generale di trasformazione fondiaria agraria che l’articolo 2 dichiara oggetto della proposta del progetto di legge. Se questa è la sostanza del provvedimento parmi inutile ripeterla ad ogni articolo.

Per quanto riguarda la formula «cooperativa di contadini», che il collega Tega vorrebbe modificare, si potrebbe sostituirla con l’altra «cooperative agricole,» tanto più che c’è un testo che presto sarà promulgato, il quale definisce le caratteristiche delle cooperative agricole nelle quali possono esser compresi tutti i lavoratori della terra, anche se piccoli proprietari, affittuari, mezzadri, ecc. purché lavorino la terra ma non nella quantità necessaria al nucleo famigliare. Quindi io non avrei nessuna difficoltà, salvo il parere del Ministro, perché si dica «cooperative agricole». La formula «che esercitino o intendano esercitare» proposta dal collega Tessitori alla fine del comma mi pare giusta, perché attualmente sono poche le organizzazioni cooperative che di fatto esercitano la loro attività nella zona della Sila. Tutte le altre modifiche proposte mi pare siano state eliminate dalle discussioni avvenute e prego i proponenti di ritirarle.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro dell’agricoltura ha facoltà di esprimere il parere del Governo.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Passerò brevemente in rassegna l’articolo nei suoi vari commi: nella lettera a) l’onorevole Pastore propone di aggiungere alla parola «bonifica» anche le altre «trasformazioni fondiarie o agrarie». Ritengo che sia superflua questa dizione, perché il testo unico 13 febbraio 1933 n. 215, che regola la bonifica, comprende sotto questa formula «bonifica» tutte le opere di bonifiche, sino alla completa trasformazione fondiaria.

Noi rischieremmo quindi di essere imprecisi proprio per voler essere troppo precisi. Io ritengo superflua una aggiunta di questo genere, perché rischia di complicare le interpretazioni. «Quando noi parliamo di «obblighi di bonifica per i proprietari» intendiamo non le opere pubbliche di bonifica ma le opere private, perché le opere pubbliche sono date in concessione ai consorzi dallo Stato, così come avviene per l’Ente della Sila. Quindi, con la formula «obblighi minimi di bonifica» si intendono le trasformazioni, le opere di bonifica private, si intendono cioè tutte le opere che hanno per iscopo di trasformare tutta la proprietà, anche quella privata.

Pertanto, pregherei l’onorevole Pastore, dopo questi chiarimenti, di non insistere sul suo emendamento, in quanto ciò che chiede è già implicito nella formula adottata.

L’onorevole Camangi vorrebbe l’eliminazione delle parole «in appalto» ritenendo che tutte le opere pubbliche debbano essere eseguite in concessione.

Se non che noi abbiamo una, sia pur minima, frazione di opere pubbliche di bonifica che possono esser fatte in gestione diretta; ed è a questo piccolo gruppo di opere di bonifica da eseguirsi dallo Stato che si riferiscono queste parole «in appalto». Vuol dire che queste opere saranno non concesse, ma appaltate all’Ente della Sila.

Quindi proporrei di mantenere questa espressione, che ha lo scopo di comprendere alcuni piccoli gruppi di opere, che possono presentarsi.

La lettera a) ha suscitato una serie di discussioni.

Mi trovo d’accordo con l’onorevole Bozzi nel dichiarare che la formula «cooperative di contadini» ha ormai un significato ben preciso, che risulta da una lunga interpretazione del decreto del 1944 sulla concessione delle terre e poi dal successivo decreto presidenziale (non luogotenenziale) 6 settembre 1946 anch’esso sulla concessione delle terre.

Quando, perciò, usiamo la formula «cooperative di contadini» sappiamo cosa si vuol dire, perché c’è una interpretazione di disposizioni vigenti che ci dice quando si ha una cooperativa di contadini. Se, invece, usiamo la formula «cooperative agricole» usiamo una formula nuova, imprecisa, che non sappiamo come potrà essere interpretata.

Quindi, preferirei rimanere alla formula originaria, il cui significato preciso è quello di cooperative che non sono composte solo da braccianti, ma che possono essere composte anche da piccoli proprietari particellari, piccoli compartecipanti, e cioè da una gamma abbastanza vasta di lavoratori effettivi delle terre, non di imprenditori. Per la formula «conduzione dei terreni»: se vogliamo aggiungere la parola «diretta» ritengo che sia un pleonasmo che non nuoce, ma è un pleonasmo. Quindi io l’ometterei.

Quanto alla preoccupazione dell’onorevole Tessitori, che la parola «esercitino» si riferisca a quelle cooperative che al momento della promulgazione della legge esercitino effettivamente la conduzione dei terreni, si tratta di una preoccupazione che ritengo, forse, eccessiva. In ogni modo, non mi oppongo ad introdurre l’emendamento proposto dall’onorevole Territori, per maggiore cautela e sicurezza.

Per gli altri emendamenti, pregherei di volerli ritirare, perché, in fondo, il testo della legge è ancora più chiaro e preciso degli emendamenti proposti e credo che corrisponda, nella sostanza, allo intendimento degli onorevoli colleghi.

PRESIDENTE. Onorevole Pastore Raffaele, conserva il suo emendamento?

PASTORE RAFFAELE. Lo ritiro, dopo i chiarimenti del Ministro.

PRESIDENTE. L’onorevole Camangi non è presente.

Prego l’onorevole Tega di dichiarare se conserva il suo emendamento.

TEGA. Io accetterei la formulazione proposta dall’onorevole Piemonte, purché si aggiunga «di lavoratori» come ha proposto l’onorevole Priolo, perché in fondo si tratta di una questione d’ordine sociale.

Vi sono delle categorie – i birrocciai e i facchini ad esempio – che saranno interessate ai lavori di sterro, le quali sarebbero in subordine di fronte ai contadini, che verrebbero ad assumere la funzione di datori di lavoro.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura, e delle foreste. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Se parliamo di «cooperative agricole di lavoratori» è come se dicessimo «cooperativo di contadini».

Proporrei quindi di mantenere la formula originaria che corrisponde alla legislazione vigente.

Guardiamoci dall’introdurre formule nuove che potrebbero poi essere interpretate in un modo che non conosciamo, mentre la legge vigente sappiamo bene che cosa vuol dire. Prego quindi anche l’onorevole Piemonte di voler accettare la formula nostra che risponde anche al concetto espresso dall’onorevole Tega.

PRESIDENTE. Sta bene. Onorevole Priolo, mantiene il suo emendamento?

PRIOLO. Vi insisto, nella forma suggerita dall’onorevole Ministro.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Non ho difficoltà ad accettarlo.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 4 fino alla lettera d) inclusa:

«L’Opera provvede a:

  1. a) redigere il piano generale della trasformazione fondiaria-agraria del comprensorio silano e conseguentemente a proporre gli obblighi minimi di bonifica per i proprietari.

«Sono esclusi da detta trasformazione i boschi esistenti, mentre per l’eventuale mutamento di destinazione di terreni nudi sottoposti a vincolo forestale, non costituenti spazi vuoti, chiarie e radure di boschi, saranno da osservare le norme di cui al regio decreto 30 dicembre 1923, n. 3267;

  1. b) eseguire in concessione o in appalto le opere pubbliche di bonifica previste nel piano generale, con preferenza nei confronti di qualsiasi altro aspirante alla concessione;
  2. c) eseguire opere di interesse comune a più proprietà o di carattere generale occorrenti per la trasformazione e la colonizzazione;
  3. d) assistere tecnicamente e finanziariamente ì proprietari dei terreni per l’esecuzione delle opere che ad essi competono e per l’incremento agricolo e zootecnico dei singoli fondi».

(È approvato).

Alla lettera e) l’onorevole Tega ha proposto di sostituire alle parole «di contadini» le altre: «agricole di lavoratori».

L’onorevole Piemonte, Relatore, ha accettato questo emendamento.

PIEMONTE, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIEMONTE, Relatore. Desidero far presente che avevo accettato la formula «cooperative agricole» riferendomi ad un provvedimento, già esaminato dalla terza Commissione, che definisce esattamente tale genere di cooperazione, ma poiché tale provvedimento non è ancora stato emanato, mi pare che il testo del Governo, ad evitare che si determinino possibili dubbi, sia in certo senso il migliore.

PRESIDENTE. Sta bene.

Pongo in votazione la proposta formulata dall’onorevole Tega.

(Non è approvata).

Pongo allora in votazione le parole della lettera e) nel testo della Commissione.

«e) promuovere ed assistere tecnicamente e finanziariamente le cooperative di contadini».

(Sona approvate).

Pongo in votazione la restante parte di questa lettera e) con gli emendamenti Tessitori e Priolo accolti dal Governo e dalla Commissione e con la correzione dell’onorevole Bozzi:

«…che, a titolo temporaneo in base al decreto legislativo 6 settembre 1946, n. 89, o ad altro titolo, esercitino o intendano esercitare nel comprensorio la conduzione diretta dei terreni».

(È approvata).

Pongo in votazione il resto dell’articolo:

«f) compiere direttamente la trasformazione e il miglioramento fondiario delle terre delle quali acquisti la proprietà, o il possesso, e possibilmente con precedenza di quelle attualmente di proprietà collettiva».

«g) promuovere e favorire nella Regione l’industrializzazione e lo sviluppo del turismo coordinando e aiutando le iniziative locali e l’opera degli altri enti che si propongono tali fini».

«h) compiere in generale quanto occorre per facilitare la trasformazione del territorio e la sua valorizzazione».

(È approvato – L’articolo 4 è approvato così modificato).

Si dia lettura dell’articolo 5:

AMADEI, Segretario, legge:

«L’Opera è amministrata da un Consiglio composto da un rappresentante per ciascuno dei Ministeri dell’agricoltura e delle foreste, delle finanze, del tesoro e dei lavori pubblici; da un rappresentante per ciascuna delle Amministrazioni delle provincie di Cosenza e Catanzaro, delle Camere di commercio di Cosenza e Catanzaro, delle Camere del lavoro di Cosenza e Catanzaro, dell’Associazione degli agricoltori di Cosenza è Catanzaro, della Federazione dei coltivatori diretti di Cosenza e Catanzaro, dei Corpi delle foreste di Cosenza e Catanzaro, degli Ispettorati agricoli di Cosenza e Catanzaro, del Corpo del genio civile di Cosenza e Catanzaro; da un rappresentante dell’Ente nazionale del Turismo, da nove rappresentanti dei comuni delle provincie di Cosenza e Catanzaro ricadenti nel perimetro del comprensorio e da quattro rappresentanti dei contribuenti di cui all’articolo 8, lettera b), del presente decreto, eletti secondo le norme del regolamento di cui all’articolo 13.

«Il Consiglio nomina nel suo seno la Giunta esecutiva composta da non meno di cinque e non più di sette membri, tra i quali il presidente, cui spetta altresì la presidenza dell’Opera.

«Il direttore generale dell’Opera è nominato dal Ministero dell’agricoltura e delle foreste, su proposta della Giunta esecutiva, in base al regolamento organico del personale dell’ente di cui al successivo comma.

«Lo statuto ed il regolamento organico del personale debbono essere deliberati dal Consiglio ed approvati dai Ministeri dell’agricoltura e delle foreste e delle finanze e del tesoro».

BELOTTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BELOTTI. Rilevo che il numero dei rappresentanti degli enti chiamati a far parte del consiglio d’amministrazione dell’opera è cospicuo, forse eccessivo, ma debbo tuttavia segnalare all’Assemblea una notevole lacuna.

Dice il paragrafo e) dell’articolo 4, già approvato, che «l’Opera provvede a promuovere ed assistere tecnicamente e finanziariamente le cooperative dì contadini», chiamate a concorrere alla trasformazione fondiaria e alla bonifica del comprensorio silano, e vedo nell’elenco delle istituzioni cui è riconosciuto il diritto di avere un rappresentante nel Consiglio d’amministrazione dell’Opera l’assenza assoluta delle organizzazioni nazionali cooperative. Ora, mi sembra fuori discussione che le uniche organizzazioni competenti ad assistere tecnicamente e finanziariamente le cooperative di contadini siano proprio le rispettive organizzazioni nazionali di rappresentanza unitaria. Né agli enti pubblici, né ad altri enti sindacali di categoria, dette organizzazioni cooperative possono trasferire quel diritto all’autogoverno democratico ad esse riconosciuto dalla recentissima legge sulla disciplina della cooperazione.

Propongo, pertanto, un emendamento aggiuntivo, secondo il quale tra le istituzioni che hanno diritto ad avere un rappresentante nel Consiglio d’amministrazione dell’Opera figurino i due maggiori movimenti in cui si articola la cooperazione italiana, e cioè la Confederazione cooperativa italiana e la Lega nazionale delle cooperative.

PRIOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PRIOLO. Propongo che oltre i rappresentanti delle amministrazioni provinciali di Cosenza e di Catanzaro, delle Camere di commercio di Cosenza e di Catanzaro, delle Camere del lavoro di Cosenza e di Catanzaro vi sia un rappresentante di tali enti anche di Reggio Calabria, per quelli che possono essere gli interessi convergenti.

PASTORE. RAFFAELE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PASTORE RAFFAELE. Nel testo presentato dal Ministero, e ora nel testo della Commissione, si parla di quattro rappresentanti dei proprietari interessati.

Sarebbe bene chiarire in qual forma questi rappresentanti debbono essere eletti, per non ricadere nell’errore verificatosi fin oggi nei Consorzi di bonifica, dove i rappresentanti dei proprietari, secondo l’estensione dei terreni, hanno il voto plurimo. Il voto plurimo fa sì che questi enti che, secondo il legislatore dovrebbero portare dei benefici nelle bonifiche, sono ostacolati da questi grandi proprietari, i quali, per non compiere le opere di loro spettanza, intralciano l’esecuzione dei lavori che dovrebbero essere eseguiti.

Quindi, propongo di fissare fin da ora che i proprietari, qualunque sia l’estensione dei terreni che posseggono, abbiano diritto ad un solo voto per la nomina dei rappresentanti nei Consigli d’amministrazione.

RIVERA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RIVERA. Fra le non rappresentanze di queste organizzazioni, io vorrei segnalare quella della sperimentazione scientifica agraria, la quale dovunque, specialmente fuori d’Italia, è alla direzione di queste trasformazioni.

Noi non possiamo ignorare quello che è il risultato della speculazione scientifica e sperimentale per le trasformazioni agrarie di ogni parte del mondo, risultato che permette sempre di accorciare di molto il cammino e preparare le fortune delle trasformazioni del tipo di quelle che auspichiamo.

Per questo io propongo che il Ministro accetti anche la collaborazione di chi studia e ricerca, attraverso metodi di scienza, le vie nuove del progresso agricolo, cui certamente non possono considerarsi estranei i problemi caratteristici della Sila.

Proporrei pertanto di aggiungere al primo comma alle parole «per ciascuno dei Ministeri dell’agricoltura e delle foreste» le altre: «un rappresentante della ricerca scientifica e della sperimentazione agraria».

Questa aggiunta può precedere o seguire le parole anzidette, come sia più gradito.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Supposto che nessuno abbia altre osservazioni di merito, vorrei fare soltanto qualche rilievo di forma. Nell’ultima frase del comma che stiamo discutendo, tanto nel testo del Governo quanto nel testo della Commissione, si dice: «di cui all’articolo 8, lettera b), del presente decreto». Evidentemente bisogna dire  «legge». Vorrei anche suggerire di dire, più italianamente, «composto di» e non «composto da» nelle disposizioni concernenti la composizione del Consiglio d’amministrazione dell’Opera.

QUINTIERI QUINTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

QUINTIERI QUINTO. Ho chiesto di parlare per rispondere all’osservazione dell’onorevole Pastore, che ha rilevato come la rappresentanza dei proprietari nell’Ente di valorizzazione della Sila dovrebbe non portare agli stessi inconvenienti che ha presentato nei Consorzi di bonifica. E allora vi è una distinzione da tener presente. C’è la dichiarazione della zona silana come comprensorio di bonifica in categoria b), per la quale la rappresentanza dei proprietari dovrebbe avvenire secondo le disposizioni di legge che regolano tali comprensori, mentre è evidente che nell’amministrazione dell’Ente, in quanto tale, i proprietari dovrebbero avere un rappresentante con un voto come tutti gli altri rappresentanti. Dunque, in quanto l’Ente rappresenta un comprensorio di bonifica, dobbiamo richiamarci alla legge generale sulla bonifica, perché diversamente avremmo un comprensorio di nuovo genere al quale verrebbe applicata una parte delle disposizioni di legge e non tutte.

PRESIDENTE. L’onorevole Turco ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma dell’articolo 5, aggiungere:

«e da un rappresentante dell’associazione pro-Calabria con sede a Catanzaro».

Ha facoltà di svolgerlo.

TURCO. Credo che questo mio emendamento aggiuntivo non abbia bisogno di svolgimento. Si tratta di dare un giusto rilievo ad un’Associazione che ha grandi tradizioni e che, da oltre mezzo secolo, riunendo i maggiori esponenti di tutte le categorie politiche e sociali, attende allo studio dei problemi calabresi.

E anche su questo tema specifico si propone di portare un contributo di esperienza e di consapevolezza.

Ecco perché propongo – se il Ministro non avrà difficoltà ad accettare il mio emendamento – che nel Consiglio del nuovo Ente sia accolto il rappresentante dell’Associazione regionale pro-Calabria.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione sugli emendamenti proposti.

PIEMONTE, Relatore. Anche questa volta, sarebbe bene che queste proposte fossero precisate.

Intanto osservo una cosa: che il numero dei rappresentanti nell’amministrazione dell’«Opera» è già abbastanza elevato; si sale alla cifra di 36. Ora, il Consiglio costerà qualche cosa all’Ente, più lo ingrandiamo, più moltiplichiamo il numero dei consiglieri e più il costo sarà evidentemente maggiore.

In quanto ad una rappresentanza della cooperazione chiesta dall’onorevole Belotti, appunto per lo stesso motivo per cui la Commissione ritenne di non includere nel Consiglio rappresentanti delle banche, della Cassa di risparmio, degli Enti finanziatori, così ha pensato di lasciare da parte il movimento cooperativistico, in quanto potrebbe essere incaricato di eseguire opere e di coltivare terreni. Anzi la Commissione pensa e spera che in maggioranza sarà il movimento cooperativo che farà veramente le opere. È parso che ci sia un contrasto morale fra l’esecuzione delle opere e l’appartenenza all’amministrazione dell’Opera. E pertanto, così come si son tenute lontane le banche, si son tenuti lontani i movimenti che possono avere interesse diretto alla trasformazione agraria prevista.

La richiesta del collega Priolo di aggiungere al Consiglio rappresentanti della Provincia, della Camera di commercio e della Camera del lavoro di Reggio Calabria ha il difetto di render ancor più numerosa l’Amministrazione, senza stretta necessità perché il territorio silano è tutto fuori dalla provincia di Reggio.

Viceversa, poiché c’è un Ente che rappresenta tutta la Calabria e che si propone lo studio e il miglioramento economico della Regione e il coordinamento con gli interessi nazionali, nonché di dare impulso alla soluzione di problemi regionali, mi pare che un rappresentante di questo Ente possa essere accettato, a mio avviso, e perciò ritengo possa esser accolta la proposta del collega Turco.

In quanto alla rappresentanza della ricerca scientifica, proposta dal collega Colonnetti, se fosse possibile avere sul posto qualcuno che la rappresenti ne sarei ben lieto, perché più diamo importanza all’elemento tecnico e più saremo sicuri del buon fine e dell’efficacia di questa legge.

PRESIDENTE. L’onorevole Segni ha facoltà di esprimere il parere del Governo.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e dalle foreste. Non ho difficoltà ad accettare che questi numerosi nuovi rappresentanti si introducano nel Consiglio di amministrazione dell’Ente.

Lascio che l’assemblea rifletta se un Consiglio già così ampio possa ancora essere accresciuto, però vorrei che queste proposte di modifica fossero fatte concretamente. Per esempio, non capisco che formulazione l’onorevole Rivera intenda dare alla sua proposta, perché chi è che nomina l’esperto se si tratta di esperto? Io proporrei di riassumere la proposta dell’onorevole Rivera in questa formula: «Un esperto in scienze agrarie e forestali nominato dal Ministero dell’agricoltura».

Voglio fare, poi, un’osservazione all’onorevole Pastore sul modo con cui dovranno essere nominati i quattro rappresentanti dei contribuenti. Fra i contribuenti c’è anche lo Stato, perché una parte dell’altipiano silano è foresta demaniale dello Stato.

In quanto a stabilire il modo con cui vengono eletti i quattro rappresentanti dei contribuenti ciò è demandato al Regolamento, e mi pare che sia materia regolamentare e non legislativa. Quindi, pregherei che venisse lasciata la formula che è stata accettata anche dalla Commissione, cioè lasciare che il regolamento, in conformità della legge sulla bonifica, stabilisse il modo di immissione di questi quattro rappresentanti i quali avranno ciascuno un voto non in relazione alla proprietà soggetta al contributo. Ognuno di questi avrà nel Consiglio di amministrazione un voto come rappresentante della Provincia, del Comune, ecc. Quindi, le preoccupazioni dell’onorevole Pastore mi sembrano in questo momento non giustificate.

Trovo, poi, giusto che si dica invece di «decreto», «legge».

PRESIDENTE. Domando ai presentatori di emendamenti se li mantengono.

Onorevole Priolo, mantiene la sua proposta?

PRIOLO. La mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Belotti, mantiene la sua proposta?

BELOTTI. La mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Rivera, accetta la proposta del Ministro?

RIVERA. Insisto nella mia proposta.

PRESIDENTE. Onorevole Pastore, aderisce alla proposta del Ministro?

PASTORE RAFFAELE. Aderirei se il Ministro accettasse la mia come raccomandazione nel senso che i proprietari votassero pro capite, altrimenti saranno eletti solo i grossi proprietari per cui la piccola proprietà sarebbe esclusa dal Consiglio di amministrazione dell’Ente. Se il Ministro accetta la mia proposta, almeno come raccomandazione, io accetterei la sua.

PRESIDENTE. Onorevole Ministro, accetta?

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Posso accettare la proposta come raccomandazione, tanto più che la richiesta non è rivolta solo a questa questione particolare, ma è una richiesta che è allo studio e che riguarda tutti i comprensori di bonifica.

Terrò presente, ad ogni modo, la segnalazione in relazione alle osservazioni che sono fatte per altri casi di altre Regioni.

PRESIDENTE. La proposta dell’onorevole Turco è stata accettata dal Relatore.

Pongo in votazione la prima parte dell’articolo 5 con la modifica di forma proposta dall’onorevole Perassi:

«L’Opera è amministrata da un Consiglio composto da un rappresentante per ciascuno dei Ministeri dell’agricoltura e delle foreste, delle finanze, del tesoro e dei lavori pubblici».

(È approvata).

Pongo in votazione la seguente parte con l’emendamento dell’onorevole Priolo:

«da un rappresentante per ciascuna delle amministrazioni delle provincie di Cosenza, Catanzaro e Reggio Calabria, delle Camere di commercio di Cosenza, Catanzaro e Reggio Calabria, delle Camere del lavoro di Cosenza, Catanzaro e Reggio Calabria».

(È approvata).

Pongo in votazione le seguenti parole:

«dell’Associazione degli agricoltori di Cosenza e Catanzaro, della Federazione dei coltivatori diretti di Cosenza e Catanzaro, dei Corpi delle foreste di Cosenza e Catanzaro, degli Ispettori agricoli di Cosenza e Catanzaro, del Corpo del genio civile di Cosenza e Catanzaro».

(Sono approvate).

Pongo in votazione le parole:

«da un rappresentante dell’Ente nazionale del turismo».

(Sono approvate).

Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Belotti:

«da un rappresentante della Federazione cooperative italiane e da un rappresentante della Lega nazionale delle cooperative».

(È approvato).

Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Rivera nella formulazione proposta dal Ministro dell’agricoltura:

«da un esperto in scienze agrarie e forestali nominato dal Ministro dell’agricoltura e delle foreste».

(È approvato).

Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Turco:

«da un rappresentante dell’Associazione pro-Calabria con sede a Catanzaro».

(È approvato).

Pongo in votazione la restante parte del primo comma con l’emendamento Perassi:

«da nove rappresentanti dei comuni delle provincie di Cosenza e Catanzaro ricadenti nel perimetro del comprensorio e da quattro rappresentanti dei contribuenti di cui all’articolo 8, lettera b), della presente legge, eletti secondo le norme del regolamento di cui all’articolo 13».

(È approvata).

Pongo ora in votazione gli altri tre commi dell’articolo:

«Il Consiglio nomina nel suo seno la Giunta esecutiva composta da non meno di cinque e non più di sette membri, tra i quali il presidente, cui spetta altresì la presidenza dell’Opera.

«Il direttore generale dell’Opera è nominato dal Ministero dell’agricoltura e delle foreste, su proposta della Giunta esecutiva, in base al regolamento organico del personale dell’ente di cui al successivo comma.

«Lo statuto ed il regolamento organico del personale debbono essere deliberati dal Consigliò ed approvati dai Ministeri dell’agricoltura e delle foreste, delle finanze e del tesoro».

(Sono approvati – L’articolo 5 è approvato così modificato).

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Desidererei, se non vi sono giustificate obiezioni, che le assunzioni degli impiegati dell’Opera fossero fatte per concorso; e che nel regolamento fosse anche regolata la misura delle retribuzioni di tutti i molti e forse troppi rappresentanti, altrimenti potrebbe succedere che non restino adeguate disponibilità per fare la bonifica.

PRESIDENTE. La misura deve essere contenuta nell’organico.

FABBRI. Sarebbe bene determinarla sino da ora, almeno come norma inserita in questa. legge.

PRESIDENTE. L’onorevole Piemonte ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

PIEMONTE, Relatore. Mi associo alla proposta dell’onorevole Fabbri, ma a titolo di raccomandazione perché mi pare che si tratti di materia regolamentare.

TURCO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Né ha facoltà.

TURCO. In aggiunta alla richiesta dell’onorevole Fabbri si tenga conto di un’altra raccomandazione: di non moltiplicare gli impiegati all’infinito. Si prelevino dal Genio civile e dall’Amministrazione comunale e provinciale.

PRESIDENTE. Do lettura della formulazione proposta dall’onorevole Fabbri:

«Nello statuto dell’Opera sarà disposta l’assunzione soltanto su concorso degli impiegati dell’Opera e sarà stabilita la misura delle rimunerazioni dei componenti il Consiglio di amministrazione».

L’onorevole Ministro ha facoltà di esprimere il suo parere.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. La questione non può essere fatta in sede di articolo 5 dove si parla incidentalmente del regolamento, ma in sede di articolo 13.

FABBRI. Non ho difficoltà da sollevare circa la sede dall’enunciativa. Temevo soltanto che fosse preclusa. La mettano pure dove credono meglio.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Non so se sarà possibile trasfonderla in una norma; comunque l’accetto come raccomandazione. Ne discuteremo in sede di articolo 13.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Convengo con l’opinione espressa dal Ministro dell’agricoltura; però, quando si parla del Consiglio di amministrazione che è composto di 40-45 membri, mi pare che la indennità da pagare ai consiglieri sia un carico di spesa ingente per il bilancio. Questa è un’Opera in cui devono essere pagati gli impiegati che lavoreranno alle dipendenze dell’Opera; ma i componenti del Consiglio devono avere il rimborso puro e semplice delle spese. Sono rappresentanti di comuni e provincie; quindi non si parli di paghe, di stipendi e di indennità.

PRESIDENTE. Comunque, se ne tratterrà in sede di articolo 13, secondo l’avviso del Ministro.

Passiamo all’articolo 6. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Al controllo della gestione amministrativa e finanziaria dell’Opera provvede un Collegio sindacale composto di quattro membri, dei quali uno delegato dal Ministero della agricoltura e delle foreste, uno dal Ministero delle finanze e del tesoro, uno nominato dall’assemblea dei sindaci dei comuni ricadenti nel comprensorio ed uno nominato dagli enti e dalle persone che contribuiscono ai finanziamenti.

«I sindaci durano in carica tre anni e possono essere riconfermati».

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Faccio al Ministro la raccomandazione che i delegati da nominare sindaci non siano mandati da Roma, ma siano scelti fra i funzionari locali, per esempio fra i funzionari dell’Intendenza di finanza, che sono in condizione di esercitare il loro mandato meglio che i funzionari centrali.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro ha facoltà di dichiarare se accetti la raccomandazione.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Come raccomandazione l’accetto.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 6.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 7. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Il patrimonio dell’Opera è costituito:

  1. a) dai fondi somministrati dallo Stato, dalle provincie e dai comuni ricadenti nel perimetro ed eventualmente da altri enti;
  2. b) dai beni immobili di cui potrà diventare proprietaria per acquisto o a termini del successivo articolo 9».

PRESIDENTE. Nessuno chiedendo di parlare, lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 8. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«L’Opera provvede alle spese di funzionamento:

  1. a) con i proventi delle dotazioni di cui alle lettere a) e b) dell’articolo 7;
  2. b) con un contributo annuo, a carico dei proprietari (persone fisiche e giuridiche sia private che pubbliche) dei terreni ricadenti nel comprensorio, determinato, su proposta dell’Opera, con decreto del Ministero dell’agricoltura e delle foreste di concerto con quello delle finanze e del tesoro».

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Va fatta una correzione di carattere formale all’articolo 8: alla parola «Ministero» occorre sostituire l’altra «Ministro».

Questa osservazione vale anche per l’articolo 9.

PRESIDENTE. Pongo in votazione lo articolo 8 con la correzione formale proposta dall’onorevole Perassi.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 9. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«L’Opera può esser autorizzata con decreto del Ministero dell’agricoltura, sentito il Consiglio superiore dell’agricoltura, ad espropriare quegli immobili che interessino utilizzazioni industriali attinenti alla sua attività.

«Si applicano al riguardo le disposizioni contenute negli articoli da 11 a 19 del regio decreto 26 febbraio 1940, n. 247.

«Il decreto del Ministro dell’agricoltura e delle foreste che sia difforme, in tutto o in parte, dal parere espresso dal Consiglio superiore dell’agricoltura, deve essere specificamente motivato.

«Negli altri casi di espropriazione valgono le norme e procedure determinate dalle vigenti leggi sulle bonifiche».

PRESIDENTE. La Commissione ha soppresso nel primo comma le parole del testo del Governo relative agli immobili: «del comprensorio che siano suscettibili di importanti trasformazioni fondiarie con fini sociali che rientrino in un suo piano di immediata colonizzazione» e nella espressione: «strettamente attinenti» ha soppresso la parola: «strettamente».

L’onorevole Ministro accetta queste modificazioni proposte dalla Commissione?

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Le accetto.

PASTORE RAFFAELE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PASTORE RAFFAELE. Non capisco perché dovremmo sottrarre a questo Ente, che stiamo per creare, la possibilità di essere autorizzato ad espropriare quegli immobili del comprensorio che siano suscettibili di importanti trasformazioni fondiarie, ai fini agrari, non semplicemente ai fini industriali. Conosciamo benissimo la mentalità del Mezzogiorno. L’Ente che stiamo creando farà un piano di trasformazioni agrarie; se i proprietari non lo eseguiranno, l’Opera potrà espropriare questi terreni ed eseguire essa i piani.

Se noi sottraiamo all’Ente questa facoltà, faremo un’opera inutile.

PRIOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PRIOLO. Non capisco perché la Commissione proponga la soppressione di quell’inciso in una legge che riguarda la trasformazione agraria; ciò significa sopprimere proprio la parte più importante: «espropriare quegli immobili del comprensorio, che siano suscettibili di importanti trasformazioni fondiarie con fini sociali e rientrino in un suo piano di immediata colonizzazione…». Mi pare, ripeto, che questa sia la parte più importante: perché si debba sopprimerla io non riesco a capire, limitandoci agli immobili «che interessino utilizzazioni industriali strettamente attinenti alla sua attività agraria».

Insisto pertanto affinché l’Assemblea voglia approvare il testo integrale, così come era stato proposto dal Governo.

QUINTIERI QUINTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

QUINTIERI QUINTO. Credo che la seconda parte dell’articolo, in merito alla quale mi permetto di dissentire dall’amico Priolo, porti, all’atto pratico, semplicemente la paresi di quelle modeste attività che sono in atto da parte dei proprietari, senza che da parte del Governo si possa sviluppare tali attività in alcun modo. Richiamo a questo proposito l’attenzione degli onorevoli colleghi sul fatto che noi abbiamo dei miliardi spesi per i comprensori di bonifica nelle zone pianeggianti, più popolose di quelle silane e suscettibili di immediata valorizzazione, miliardi che si perdono, perché non si può pensare nemmeno a fare le opere di manutenzione che sarebbero strettamente indispensabili. Credo che dare ad un ente, che dispone di appena 98 milioni all’anno, delle facoltà indeterminate di esproprio per tutta la zona silana, la quale comprende oltre 100.000 ettari, in modo che non sia tutelato in nessun modo il proprietario attivo, il proprietario disposto ad attuare le opere che gli sono consigliate e le opere che gli sono consentite dai suoi mezzi, sia pure modesti, lasciare questa spada di Damocle sulla sua testa, significa soltanto paralizzare tali iniziative private senza sostituirle in nessun modo con l’attività governativa. La piccolezza dello stanziamento indica quanto poco potrà fare l’Opera in Sila. Tale altipiano, per la sua altitudine, e per le sue limitate possibilità di trasformazione agricola, non è certo fra i territori che possono maggiormente richiamare oggi gli scarsi capitali disponibili in Italia.

PRIOLO. Chiedo di fare una precisazione.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PRIOLO. Concordo in parte con il collega Quintieri. Faccio però osservare che qui non è detto che l’Opera «deve far questo», ma soltanto che «può far questo». Ora noi abbiamo un miliardo, diviso in dieci esercizi, la somma è modesta, non penso perciò che un Consiglio così vasto e formato da persone tanto competenti (sono pienamente d’accordo con l’onorevole Bertone, che le indennità ai componenti debbono limitarsi al solo rimborso delle spese, altrimenti i 980 milioni stanziati andranno in fumo) si proponga vasti programmi, che rimarrebbero sulla carta.

Ma, e ne stavo parlando poco fa con il Ministro, bisogna proiettarsi nell’avvenire.

Il bilancio dello Stato migliorerà, questo è l’augurio, ed ai 980 milioni, già stanziati, se ne aggiungeranno altri, che consentiranno di guardare con maggiore tranquillità ed ampiezza di vedute il problema della Sila. È perciò che insisto affinché sia conservata la dizione: «l’Opera può essere autorizzata ecc. ad espropriare quegli immobili del comprensorio, che siano suscettibili di importanti trasformazioni fondiarie con fini sociali e rientrino in un piano di immediata colonizzazione ecc.». Lasciare questa dizione non nuoce, sopprimerla significa stroncare ogni maggiore possibilità di sviluppo all’Ente.

QUINTIERI QUINTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

QUINTIERI QUINTO. La possibilità di esproprio c’è, ed è inclusa nelle disposizioni di legge per cui la zona silana è dichiarata comprensorio di categoria B). In tali disposizioni sono incluse tutte le facoltà per colpire gli inadempienti. Diciamo ciò affinché non si faccia di questo un Ente particolare.

CAROLEO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAROLEO. In sostanza per questa legge l’Opera può adempiere a programmi di bonifica e di trasformazione. Per l’attuazione di tali finalità bastano le vigenti norme sulla bonifica e non è necessario arrivare a questi piani attraverso la espropriazione di terreni, tranne i casi in cui i proprietari risultino inadempienti.

Invece l’espropriazione può rendersi necessaria per l’attuazione di programmi di industrializzazione: e questo è già nella formula proposta dal Ministero.

PRESIDENTE. L’onorevole Piemonte ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

PIEMONTE, Relatore. Ai colleghi Pastore e Priolo, ricordo che in Commissione ha avuto luogo una lunga discussione su questo punto; ma poi, dall’esame attento delle leggi sulla bonifica, si è constatato come questo comma sia superfluo. La dizione dell’ultimo comma dell’articolo è sufficiente per le espropriazioni a fini agricoli, comma che dice: «Negli altri casi di espropriazione valgono le norme e le procedure determinate dalla vigente legge sulla bonifica». A noi è apparso che non fosse proprio ad una legge particolare l’introdurre formulazioni di eccezione in questa materia. Se le norme di espropriazione in materia di bonifica agraria sono insufficienti, si prendano congrui provvedimenti d’indole generale. Certo la legge di bonifica non contempla la possibilità di una azione rapida in caso di impianti industriali, procedura eccezionale che può rendersi necessaria e che giustifica la dizione del primo comma.

Inoltre la Commissione per le eventuali espropriazioni agricole ha adottato una formulazione atta a disarmare le diffidenze e a non spaventare quelle iniziative private già in parte in atto e in parte in progetto che è pur bene che si sviluppino. Infine noto che le disposizioni dell’articolo 10 sono in parte eccezionali e tali da dare armi sufficienti all’Opera contro i proprietari renitenti al loro dovere sociale:

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro dell’agricoltura ha facoltà di esprimere il pensiero del Governo.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura. Ho accettato la modifica dell’articolo 9 proposto dalla Commissione per due considerazioni: anzitutto c’è l’articolo 10 che rafforza le norme ordinarie della legge sulla bonifica, perché, mentre la legge sulla bonifica permette già la espropriazione nei casi di piani di trasformazione obbligatoria entro certo tempo, l’articolo 10 contiene un rafforzamento che mi pare essenziale della legge ordinaria sulla bonifica, e quindi rimedia già in parte alla soppressione proposta dalla Commissione all’articolo 9. L’onorevole Pastore pensava che, se il proprietario era inadempiente, nessun rimedio vi fosse contro di lui, perché l’Ente non può espropriare. No, l’Ente può espropriare in forza della legge generale sulla bonifica, di cui anzi è in corso una modificazione che rende l’opera dello Stato più energica e più rapida. Questa legge non è ancora approvata, ma spero che sarà approvata in uno dei prossimi Consigli dei Ministri. In ogni modo nel testo della legge per la Sila l’articolo 10 contiene una innovazione che a me sembra sufficiente. Perciò io ho approvato anche la formulazione dell’articolo 9, purché sia mantenuto così com’è anche l’articolo 10. Quindi io sono d’accordo con la Commissione, perché mi pare che le armi concesse all’ente per attuare coattivamente i piani di trasformazione siano sufficienti. Vuol dire che l’Ente, invece di espropriare preventivamente, potrà espropriare un anno dopo l’imposizione del piano. L’articolo 10 dà questi poteri e mi pare che siano già sufficienti. Per questo io accetto il testo della Commissione relativo all’articolo 9 collegato però col testo dell’articolo 10.

PRESIDENTE. L’onorevole Priolo mantiene il suo emendamento?

PRIOLO. Lo mantengo.

PASTORE RAFFAELE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PASTORE RAFFAELE. L’onorevole Segni forse ricorderà che questo progetto era stato presentato nel 1945 e non passò, allora, avanti alla Commissione della Consulta perché a questo articolo si opposero i proprietari terrieri. Vuol dire che qui c’è l’equivoco. Ecco perché vorrei che fosse stabilito che l’Opera che andiamo a costituire può espropriare i terreni, qualora i proprietari siano inadempienti.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. L’onorevole Pastore chiede che l’Opera possa espropriare i terreni. Questo c’è già nella legge del 1933 e c’è nell’articolo 10 che, anzi, rafforza la legge del 1933. Quindi, mi pare che ricada in un grosso equivoco. Non è che con la modifica proposta dalla Commissione l’Opera non possa espropriare: può sempre espropriare quando, approvato un piano di trasformazione obbligatoria, i privati non siano adempienti. Anzi, l’articolo 10 della legge rappresenta una modifica notevole perché, invece di attendere che il periodo dato ai privati sia totalmente trascorso nell’inattività degli stessi, permette di agire contro gli inadempienti prima che il termine sia interamente trascorso.

L’articolo 10 dice, infatti:

«Se l’azione dei proprietari obbligati ad eseguire le spese di competenza privata da un piano di bonifica manchi o non si svolga nei modi e nei tempi dall’Opera stabiliti, questa può essere autorizzata dal Ministero dell’agricoltura e delle foreste a sostituirsi nell’esecuzione delle opere ai proprietari inadempienti ed a loro spese».

Quindi esso contiene già una notevole modifica alla legge vigente e ritengo quindi che sia garantito l’interesse pubblico in maniera abbastanza energica, mentre sussiste la possibilità di coordinare l’attività del privato con l’attività dell’ente, che da solo non può fare tutto e che deve rappresentare un incentivo per i privati nell’esecuzione delle opere.

PRIOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PRIOLO. Dopo questi chiarimenti, dichiaro di ritirare il mio emendamento.

PRESIDENTE. Pongo in votazione i primi due commi dell’articolo 9, nel testo della Commissione, avvertendo che al primo comma la parola: «Ministero» deve essere sostituita, come nell’articolo precedente, con la parola: «Ministro»:

«L’Opera può essere autorizzata con decreto del Ministro dell’agricoltura e delle foreste, sentito il Consiglio Superiore della agricoltura, ad espropriare quegli immobili e che interessino utilizzazioni industriali attinenti alla sua attività.

«Si applicano al riguardo le disposizioni contenute negli articoli da 11 a 19 del regio decreto 26 febbraio 1940, n. 247».

(Sono approvati).

Passiamo al terzo comma:

«Il decreto del Ministro dell’agricoltura e delle foreste che sia difforme, in tutto o in parte dal parere espresso dal Consiglio Superiore dell’agricoltura, deve essere specificamente motivato».

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Vorrei pregare il Ministro e la Commissione, se credessero, di voler meglio specificare quest’ultima parte. Perché quando si dice che il decreto del Ministro deve essere specificamente motivato, si dice cosa che è nella natura stessa del provvedimento, in quanto non è possibile supporre che esso non sia motivato.

Viceversa, qui si richiede una motivazione speciale, cioè l’indicazione del perché si sia rifiutato di seguire il parere del Consiglio superiore dell’agricoltura. Quindi oltre la motivazione generale del decreto si vuole una indicazione specifica.

Pregherei, quindi, di aggiungere dopo le parole: «deve essere specificamente motivato» le altre: «sulle ragioni del dissenso».

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Ministro di dichiarare se accetta.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Accetto.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

PIEMONTE, Relatore. Sono d’accordo.

PRESIDENTE. Pongo allora in votazione il terzo comma con l’aggiunta proposta dall’onorevole Bertone.

«Il Decreto del Ministro dell’agricoltura e delle foreste che sia difforme, in tutto o in parte, dal parere espresso dal Consiglio superiore dell’agricoltura, deve essere specificamente motivato sulle ragioni del dissenso».

(È approvato).

Vi è infine il quarto comma aggiuntivo proposto dalla Commissione:

«Negli altri casi di espropriazione valgono le norme e procedure determinate dalle vigenti leggi sulle bonifiche».

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Poiché l’articolo 10 contiene una modifica alla legge sulla bonifica attualmente vigente, occorre far riferimento anche all’articolo 10, oppure sopprimere integralmente questo comma, giacché è già nel nostro sistema giuridico che si osservino le norme vigenti, in quanto non modificate dalla nuova legge. Gradirei anzi, a questo riguardo, di conoscere l’opinione dell’onorevole Perassi.

PRESIDENTE. L’onorevole Perassi ha facoltà di parlare.

PERASSI. Mi pare che questa legge lascerebbe impregiudicate le norme della vigente legge sulla bonifica.

Desidererei piuttosto avere a mia volta qualche chiarimento intorno all’articolo 10. Mi pare che nell’articolo 10 non si preveda un’espropriazione in senso proprio, ma si preveda semplicemente che, nell’ipotesi che un proprietario non adempia agli obblighi derivanti dalle disposizioni adottate dall’Opera, questa possa essere autorizzata dal Ministero a sostituirsi nell’esecuzione delle opere ai proprietari inadempienti e a spese di questi. Mi pare quindi che si tratti di una figura diversa da quella dell’espropriazione.

PRESIDENTE. Dopo le osservazioni dell’onorevole Ministro, domando alla Commissione se essa intenda di conservare o meno l’emendamento aggiuntivo.

PIEMONTE, Relatore. Lo conserva.

PRESIDENTE. Pongo pertanto in votazione questo comma aggiuntivo, testé letto.

(È approvato – L’articolo 9 è approvato così modificato).

Passiamo pertanto all’articolo 10. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Se l’azione dei proprietari obbligati ad eseguire le opere di competenza privata da un piano di bonifica manchi o non si svolga nei modi e nei tempi dall’opera stabiliti, questa può essere autorizzata dal Ministero dell’agricoltura e delle foreste a sostituirsi nell’esecuzione delle opere ai proprietari inadempienti ed a loro spese.

«L’Opera può essere autorizzata dal Ministero dell’agricoltura e delle foreste a farsi rimborsare delle spese sostenute per l’esecuzione delle opere di competenza privata, mediante parziale concessione dell’immobile bonificato.

«Si applicano in questi casi le disposizioni del 3° e 4° comma dell’articolo 11 della legge 2 gennaio 1940, n. 1».

PRESIDENTE. Il primo comma del testo governativo è stato modificato dalla Commissione. Il Governo lo accetta?

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e foreste. Il Governo accetta l’articolo 10 nella formula della Commissione, formula la quale rappresenta un rafforzamento della vigente legge sulla bonifica che noi abbiamo modificato con il decreto sull’Ente di Puglia e Lucania e che in parte riportiamo in questo decreto, intendendo l’espropriazione come un rafforzamento per l’attività della bonifica, prevedendo cioè l’ipotesi che l’ente di bonifica si sostituisca al privato, agendo, sì, per proprio conto, ma a spese del privato stesso, il che in molti casi prevediamo porterà di fatto a quello che è previsto nella legge sulla bonifica e che qui non è espressamente detto, per cui una parte dei fondi privati potrà passare bonariamente all’Opera stessa per le spese dell’esecuzione di queste opere di trasformazione che il privato, evidentemente, non è in condizioni di fare.

Questo testo è anteriore alla successiva legge già votata e approvata sulla costituzione dell’Ente irrigazione per la Puglia e la Lucania, in cui all’articolo 8 viene completata la disposizione di questo articolo 10, permettendo precisamente, in caso di inadempienza un compenso in natura all’Opera stessa, cioè attraverso la cessione di una parte del territorio trasformato.

Non voglio qui inserire all’improvviso una modificazione più spinta in questo senso, anche perché questa è oggetto di un provvedimento generale che si potrà applicare anche all’Opera della Sila, come a tutti gli altri comprensori di bonifica. Ad ogni modo l’articolo in discussione rappresenta di per se stesso un rafforzamento dell’attività dell’ente nei confronti dei privati inadempienti.

Quindi accetto pienamente il testo della Commissione.

PRESIDENTE. Sta bene.

Pongo in votazione il primo comma:

«Se l’azione dei proprietari obbligati ad eseguire le opere di competenza privata da un piano di bonifica manchi o non si svolga nei modi e nei tempi dall’Opera stabiliti, questa può essere autorizzata dal Ministero dell’agricoltura e delle foreste a sostituirsi nell’esecuzione delle opere ai proprietari inadempienti ed a loro spese».

(È approvato).

Passiamo al secondo comma:

«L’Opera può essere autorizzata dal Ministero dell’agricoltura e delle foreste a farsi rimborsare delle spese, sostenute per l’esecuzione delle opere di competenza privata, mediante parziale concessione dell’immobile bonificato».

QUINTIERI QUINTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

QUINTIERI QUINTO. Mi sembra che questo sia un modo evidente di far aumentare la mole ed i costi dei lavori di trasformazione. L’Opera avrà tutto l’interesse di farlo. I proprietari sono responsabili del pagamento, ma farsi pagare con un pezzo della loro proprietà, mi sembra una forma strana di pagamento. Richiamo l’attenzione della Commissione su questo punto.

In sostanza, se il proprietario non potrà pagare, finirà magari col vendere tutta la sua proprietà; ma obbligarlo a cedere una parte del suo terreno, mi sembra una forma ibrida di pagamento.

VILLANI. Avrà la possibilità di scegliere.

QUINTIERI QUINTO. Mi sembra una forma molto strana di esazione di un credito; forma che, a mio avviso, non si inquadra in tutte quelle che sono le norme giuridiche ordinarie. Ma il diritto non è materia mia, e quindi lascio ai competenti di fare le osservazioni del caso. A me sembra strano che, avendo un credito, ci si faccia pagare con un pezzo dell’immobile. L’ente infatti ha soltanto un credito verso il proprietario.

CAROLEO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAROLEO. A me pare che l’onorevole Quintieri abbia perfettamente ragione, perché attraverso tale norma si intenderebbe introdurre in questa materia quel patto commissorio che ormai è stato bandito dal nuovo Codice in tutte le contrattazioni private.

Quindi, penserei di eliminare questa possibilità per l’Opera, la quale, se ha un credito, lo farà valere secondo le norme ordinarie e procedendo anche ad espropriazione forzata contro i proprietari che risultassero inadempienti.

PRESIDENTE. L’onorevole Piemonte ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

PIEMONTE, Relatore. Osservo ai colleghi Quintieri e Caroleo, che in fondo qui si tiene a codificare una norma già esistente. Posto innanzi ad un piano di bonifica, se il proprietario non si sente di fare le spese necessarie che gli incombono, è buona cosa facilitargli il compito in questo senso, che egli si metta d’accordo nel senso che l’amministrazione lo sostituisca sui lavori cedendo a saldo delle spese che avrebbe dovuto sopportare una parte da convenirsi della sua proprietà. Vuol dire che se ha il denaro per pagare, bene, altrimenti ricorre a tale ripiego. Così, senza spese dirette e senza arrivare alla vendita totale del fondo, egli ha il modo di contrattare prima, e poi di avere, per la parte che gli resta, il suo fondo bonificato.

Evidentemente è un sistema empirico, ma un sistema empirico che ha dimostrato la sua utilità ed efficacia, e dal momento che il proprietario può conservare tutta la sua proprietà pagando le spese, non c’è nulla di coattivo in questa disposizione. C’è soltanto una soluzione, un suggerimento, un consiglio, che finisce per esser di profitto all’Ente e al proprietario.

CAROLEO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAROLEO. Per esprimere bene il concetto dell’onorevole Piemonte, occorrerebbe allora aggiungere: «col consenso del proprietario interessato». Questo è l’emendamento che io propongo, se viene accettato dal Relatore e dal Ministro.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ministro ad esprimere il parere del Governo.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Questo primo capoverso dell’articolo 10, come dicevo, rappresenta un attenuazione rispetto all’articolo 8 del testo di legge vigente per la Puglia e la Lucania.

Non dobbiamo dimenticare che si tratta di proprietari inadempienti ai piani di trasformazione dichiarati obbligatori previa una lunga istruttoria e lunghi studi. Non si tratta quindi di piani avventati, ma lungamente meditati e studiati che si devono realizzare nell’interesse pubblico, e ritengo che la norma giovi alla migliore e più rapida esecuzione dei piani stessi. Ritengo anche che i proprietari abbiano interesse, quando non possono pagare, a liberarsi del loro debito mediante cessione parziale dell’immobile.

Il fatto che si tratta di proprietari inadempienti ad un’opera statale obbligatoria, m’induce a mantenere il testo proposto dal Ministero e accettato dalla Commissione. Vedo in esso un complemento necessario di tutto questo istituto, senza il quale l’Ente potrebbe essere privato di ogni possibilità di operare efficacemente.

Né credo che la disposizione debba far paura, perché prima di arrivare ad un piano obbligatorio, abbiamo un lungo iter da percorrere, bisogna ottenere il consenso dei tecnici in base a piani lungamente studiati di interesse generale, ma che è necessario vengano eseguiti il più rapidamente possibile nei termini e nei modi di legge.

Abolire questo capoverso significherebbe in realtà rompere tutta l’armonia della legge. Prego dunque l’Assemblea di accettarlo come è stato proposto dal Governo e già accettato dalla Commissione.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione. Onorevole Caroleo, ella mantiene il suo emendamento?

CAROLEO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il secondo comma dell’articolo 10:

«L’Opera può essere autorizzata dal Ministero dell’agricoltura e delle foreste a farsi rimborsare delle spese sostenute per l’esecuzione delle opere di competenza privata, mediante parziale concessione dell’immobile bonificato».

(È approvato).

Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Caroleo:

«col consenso del proprietario interessato».

(Non è approvato).

Pongo in votazione l’ultimo comma:

«Si applicano in questi casi le disposizioni del terzo e quarto comma dell’articolo 11 della legge 2 gennaio 1940, n. 1».

(È approvato – Si approva l’articolo 10).

Passiamo all’articolo 11. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Tutti gli atti e contratti compiuti dall’Opera ai fini della trasformazione fondiario-agraria e della colonizzazione sono registrati con pagamento della tassa fissa di lire 20.

«Sono soggette all’imposta fissa minima ipotecaria tutte le operazioni ipotecarie fatte nell’interesse dell’Opera, salvi i diritti e compensi spettanti agli Uffici del registro e gli emolumenti dovuti ai conservatori dei registri immobiliari».

PRESIDENTE. Nessuno chiedendo di parlare, lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 12. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Indipendentemente dagli ordinari carichi e contributi statali previsti dalle leggi riguardanti le singole opere di bonifica e di sistemazione idraulico-forestale, è autorizzata la spesa di 980 milioni da effettuare in favore dell’Opera a termini del precedente articolo 7, lettera a).

«Tale somma sarà corrisposta in dieci rate annuali di lire 98 milioni ciascuna a decorrere dall’esercizio 1946-47, da iscriversi nello stato di previsione della spesa del Ministero dell’agricoltura e delle foreste.

«È inoltre autorizzata la spesa di lire 20 milioni per studi e ricerche da compiersi a cura del Ministero dell’agricoltura e delle foreste per la migliore utilizzazione dell’altipiano della Sila. Tale somma sarà corrisposta in 5 rate annuali di lire 4 milioni ciascuna a decorrere dall’anno 1946-47 da iscriversi nello stato di previsione della spesa del Ministero dell’agricoltura e delle foreste».

PRESIDENTE. Pongo allora in votazione i primi due commi.

(Sono approvati).

Passiamo al terzo comma.

COLONNETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLONNETTI. Vorrei chiedere al Ministro se non creda di tener conto, nella enunciazione di questo comma, del fatto che, proprio per favorire la migliore utilizzazione dell’altipiano silano, il Consiglio Nazionale delle ricerche ha recentemente istituito – d’accordo col suo Ministero – un «Centro di studi silani», diviso in due sezioni: una destinata allo studio di problemi agricoli, e una destinata allo studio di problemi geologico-minerari. Questo Centro è naturalmente, come tutti gli organi del Consiglio delle ricerche, a disposizione del Ministero dell’agricoltura per questi studi, ma, poiché il Consiglio delle ricerche ha fatto grandi sacrifici per questo impianto e detto Centro dispone di tre milioni per spese d’impianto e di due milioni annui per le spese di ricerche, io chiedo se non si creda di mettere in evidenza la cosa, aggiungendo, là dove nel comma in esame si dice: «studi e ricerche da compiersi a cura del Ministero dell’agricoltura e delle foreste», le seguenti parole: «e del Centro di studi silani del Consiglio Nazionale delle ricerche.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Relatore di esprimere il suo avviso.

PIEMONTE, Relatore. Io non ho capito bene, da quanto ha detto il collega Colonnetti, se il Centro della ricerca scientifica intenda aumentare il contributo di 4 milioni stabilito dal Governo oppure pensi attingere a questi 4 milioni.

Prego di spiegare un po’ esattamente la portata della richiesta, perché evidentemente per la formazione del piano generale di trasformazione prevista, occorreranno dei fondi notevoli, perché si tratta di un’estensione di cento mila ettari, e ci sarà necessità di un personale tecnico non indifferente per fare studi e rilievi.

Ora, se dovessimo devolvere una parte di questi 4 milioni per ricerche di altro carattere – per quanto utilissime – io non so come si potrebbe poi far fronte alle spese di progettazione nei limiti stabiliti.

Ecco perché, se occorrono per ricerche scientifiche delle spese nuove, penso debbano essere fatte con altri finanziamenti.

PRESIDENTE. Invito allora, l’onorevole Colonnetti a fornire le spiegazioni richieste dall’onorevole Relatore.

COLONNETTI. Non prospettavo l’istituzione di spese nuove e tanto meno di spese che il Consiglio delle ricerche voglia fare per sue finalità speciali. Intendevo soltanto far presente che il Consiglio delle ricerche è venuto incontro alla finalità che l’Ente si propone con la istituzione di questo Centro e chiedevo che attraverso il Consiglio d’amministrazione dell’Opera e nella misura che il Consiglio dell’Opera crederà, i fondi che sono destinati a questi studi possano essere utilizzati anche pel tramite del Centro di studi silani. Quindi nessun aumento di spese chiedo, bensì soltanto il riconoscimento dell’attività di questo centro.

PRESIDENTE. Prego il Governo di esprimere il suo parere.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Il Consiglio Nazionale delle ricerche si è reso veramente benemerito con la istituzione di questo centro di studi ed io non avrei difficoltà e non avrò difficoltà a corrispondere all’opera che ha fatto questo ente e che svolgerà anche in avvenire, destinando a codesto ente una parte di questi finanziamenti. Temo però che non si possa inserire una formula così generica in un testo di legge, perché noi dovremmo anche dire sopra questi quattro milioni annui quale parte sia destinata al Ministro dell’agricoltura e quale all’ente. Una formula cumulativa ed imprecisa ci lascerebbe troppo perplessi e poi dovremmo discutere con la Corte dei conti e col Ministero del tesoro sulla ripartizione della somma. Pregherei l’onorevole Colonnetti di contentarsi di questa mia assicurazione, dato che non possiamo tradurre in una cifra precisa la parte che di questi quattro milioni potrebbe andare al centro di studi del Consiglio Nazionale delle ricerche. Se noi adottassimo una formulazione così generica credo che non potremmo fare poi la legge di stanziamento senza dover lungamente discutere anche con gli organi esecutivi, per metterla in attuazione. Non si tratta di rapporti di Ministeri fra di loro, i quali, essendo organi dello Stato, le successive ripartizioni possono discutere; ma di ripartizione con altri enti pubblici, ed occorrerebbe una formulazione precisa. Se questa formulazione l’onorevole Colonnetti la può fornire, non ho difficoltà a dare un milione all’anno sui quattro milioni a questo centro di studi.

COLONNETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLONNETTI. Io non ho mai pensato a porre in dubbio la posizione gerarchicamente preminente del Ministero. Mi basterebbe che fosse detto: «da compiersi anche a mezzo del Consiglio Nazionale delle ricerche» coll’intesa che spetterebbe sempre al Ministero dell’agricoltura determinare la misura. Io sono convinto che il Ministero dell’agricoltura sarà il primo a riconoscere l’utilità di questa collaborazione, e se ne varrà largamente.

SEGNI, Ministero dell’agricoltura e foreste. Accetto questa aggiunta.

PRESIDENTE. La Commissione accetta?

PIEMONTE, Relatore. Accetto l’emendamento Colonnetti a nome della Commissione.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il terzo comma così modificato: «È inoltre autorizzata la spesa di lire 20 milioni per studi e ricerche da compiersi, anche a mezzo del Centro di studi silani del Consiglio nazionale delle ricerche, a cura del Ministero dell’agricoltura e delle foreste per la migliore utilizzazione dell’altipiano della Sila. Tale somma sarà corrisposta in cinque rate annuali di lire 4 milioni ciascuna a decorrere dall’anno 1946-47 da iscriversi nello stato di previsione della spesa del Ministero dell’agricoltura e delle foreste».

(È approvato – L’articolo 12 è così approvato).

Si dia lettura dell’articolo 13.

AMADEI, Segretario, legge:

«Con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’agricoltura e delle foreste, verranno emanate le norme regolamentari per l’esecuzione della presente legge».

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Mi pare che questo articolo non sia necessario e da un certo punto di vista non opportuno. Non è necessario perché non dice nulla che non risulti già dai principî generali. La facoltà di emanare regolamenti per l’esecuzione di una legge è, infatti, attribuita al Governo da una norma costituzionale generale. Capirei l’aggiunta di un articolo, se in esso si conferisse al Governo il potere di emanare norme di attuazione, o integrazione della legge, cioè norme che esorbitano dall’ambito ristretto delle norme regolamentari di esecuzione. Come è formulato, l’articolo è inutile e perciò ne propongo la soppressione. Se si volesse dare al Governo una competenza a questo riguardo che andasse al di là di quella regolamentare, normale, se si dicesse, ad esempio, che il Presidente della Repubblica, con decreto, può emanare norme integrative si potrebbe ammettere questa norma. Ma se restiamo sul terreno puramente regolamentare mi sembra inutile. Per conseguenza io proporrei di sopprimere questo articolo.

PRESIDENTE. Qual è il pensiero del Governo?

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Accetto questa proposta.

PRESIDENTE. Prego il Relatore di voler esprimere il parere della Commissione.

PIEMONTE, Relatore. La Commissione accetta.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Fabbri se insiste nella sua precedente proposta, rinviata a questo articolo e così formulata:

«Nello statuto dell’Opera sarà disposta l’assunzione soltanto per concorso degli impiegati dell’Opera e sarà stabilita la misura delle remunerazioni dei componenti il Consiglio di amministrazione».

FABBRI. Io ho fatto una proposta da includere in un articolo qualsiasi e non mi sono riferito all’articolo 13 piuttosto che a un altro. Io mi sono riferito in genere ad una norma che si dovrebbe porre onde divenisse obbligatorio questo principio da regolarsi nello Statuto. E volevo chiarire, in seguito all’osservazione dell’onorevole Bertone, che noi partiamo, in fondo, da concetti abbastanza simili, perché egli partiva dal concetto che tutti questi rappresentanti non dovessero avere remunerazioni di sorta, mentre io mi preoccupavo dell’inconveniente perfettamente contrario, che cioè se ne avessero eccessive. Dato che si tratta qualche volta di rappresentanti che non possono essere in condizioni abbastanza facoltose, stabilire la gratuità può essere un rimedio troppo drastico. Mi sembra giusto quindi il principio dell’indennità fissata nello Statuto e quindi normalmente in una misura equa; e ho raccomandato l’altro principio che gli impiegati fossero assunti per concorso, riferendomi anche alle precedenti discussioni che sono state fatte nell’Assemblea, quando, come si ricorderà, si esagerava fino a richiedere che per qualunque ente di diritto pubblico ci volesse un concorso per l’assunzione di impiegati ed io allora opposi che si trattava di una esigenza troppo esagerata e di una norma che non poteva trovare giusta applicazione in casi molto modesti e di dimensioni molto piccole. Ma qui, nel caso particolare del quale si tratta, si crea un’opera con una dotazione di cento milioni all’anno, ed allora mi sembra normale che gli impiegati siano assunti per concorso. Questo è il mio punto di vista, però se l’onorevole Ministro dice che lo accetta soltanto come raccomandazione, data la portata della dichiarazione, io non insisto per provocare una votazione formale. Se il Ministro crede invece di poterla accettare come norma che abbia realmente un contenuto positivo, allora insisto.

Chiedo il pensiero del Governo in proposito.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Mi pare che introdurre una norma di regolamento nella legge sia pericoloso. Mi impegno nel regolamento organico di far adottare come criterio di massima, e salvo casi eccezionali, che gli impiegati devono essere nominati per concorso. Io non avrei difficoltà a sanzionare ciò in una norma di legge, ma trovo difficile la formulazione.

Mi pare quindi che quel concetto, che io dichiaro di condividere, potrà trovare la sua sede nel regolamento organico.

PRESIDENTE. Onorevole Fabbri insiste?

FABBRI. La formulazione vi era; comunque, dato il punto di vista dell’esponente del Governo, non ho ragione d’insistere.

PRESIDENTE. Devo ora porre in votazione la soppressione dell’articolo 13.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Se venisse accettata la soppressione nell’articolo 13, è evidente che alla fine del primo comma dell’articolo 5 si dovrebbe dire semplicemente: «secondo le norme del regolamento:

PRESIDENTE. Sta bene. Allora pongo in votazione la proposta di soppressione dell’articolo 13.

(È approvata).

L’esame degli articoli è così terminato; se non vi sono osservazioni, la votazione a scrutinio segreto su questo disegno avverrà nella seduta di domani.

(Così rimane stabilito).

Discussione del disegno di legge: Riordinamento dei Corpi consultivi del Ministero della pubblica istruzione. (35).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Riordinamento dei Corpi consultivi del Ministero della pubblica istruzione (35).

Dichiaro aperta la discussione generale.

È iscritto a parlare l’onorevole Marchesi. Ne ha facoltà.

MARCHESI. Le mie dichiarazioni saranno assai brevi. L’Assemblea, approvando la mozione che rinviava la votazione dei componenti del Consiglio Superiore, riconosceva implicitamente importanza di questo disegno di legge. Si tratta di costituire un organismo superiore, il quale deve assistere il Governo nella sua funzione amministrativa e aiutarlo in quella legislativa in un momento in cui appare urgentissima l’opera di ordinamento e di potenziamento della scuola italiana.

Il relatore, onorevole Martino, ha esposto le ragioni ed i criteri con i quali la Commissione ha creduto di dover modificare il testo presentato dal Governo. Ma io trovo che questo sia preferibile a quello della Commissione: la quale pone un Consiglio Superiore di quarantotto membri cioè un organo di squilibrio e di confusione.

Fra i tre ordini di scuole, elementare, secondario e universitario, è un legame indissolubile.

Non sono fra gli assertori gelosi di specifiche e di strette competenze.

L’istruzione superiore in un momento di così travagliata crisi di eccedenza di popolazione scolastica, ha bisogno di una solida istruzione primaria, di una solida istruzione secondaria e di una vasta rete bene organizzata ed attrezzata di scuole professionali, le quali dovranno riassorbire una parte di quegli spostati che ora urgono alle porte degli istituti superiori.

Comunque, ci sono problemi che devono essere trattati separatamente dai competenti dei tre ordini di scuole.

Nel testo presentato dal Governo, l’articolo 2 considera i casi in cui il Consiglio Superiore, che nel progetto governativo consta giustamente di tre sezioni separate, deve essere convocato in adunanza plenaria: quando si tratti di esaminare questioni generali che riguardino comunque varî rami dell’istruzione.

Vengo subito ai due emendamenti da me presentati. L’uno riguarda la soppressione del rappresentante degli aiuti e degli assistenti universitari. Io trovo non giustificata questa soppressione e non giustificabile quel mettere insieme incaricati, aiuti ed assistenti.

I professori incaricati possono non esserci; in molti casi, sarebbe preferibile non ci fossero. Gli aiuti, gli assistenti devono esserci sempre. La funzione del professore incaricato è annualmente precaria; la funzione dell’aiuto e dell’assistente non lo è mai; può mutare la persona, ma non la funzione.

Ammettendo la rappresentanza degli aiuti e degli assistenti nella prima sezione del Consiglio Superiore, non si apre la porta a una rappresentanza di categoria; non si riconosce un interesse di categoria: ma un interesse dello insegnamento universitario; essi integrano la opera del titolare. L’aiuto insegna anche lui, esamina anche lui, qualche volta è il solo – e l’onorevole Martino lo sa meglio di me – a dirigere le esercitazioni di laboratorio, di seminario – ed ha una esperienza diretta che spesso manca all’incaricato o al libero docente.

L’aiuto può decadere durante la sessione del Consiglio Superiore, e in tal caso il Ministro può rivolgersi alle rispettive categorie per la nuova elezione. Gli incaricati possono ridursi con vantaggio dell’economia, e, credo, anche dell’insegnamento, perché sappiamo a quali scopi personali molti incarichi siano da attribuire; ma gli aiuti e gli assistenti debbono aumentare nell’interesse stesso dell’insegnamento scientifico. A questa classe non può mancare nel Consiglio Superiore un rappresentante che sia eletto dalle rispettive categorie.

Mi si consenta una osservazione riguardo all’articolo 6, il quale parla della Corte di disciplina per gli insegnanti universitari e dice che «davanti alla Corte interviene, come relatore, un rappresentante del Ministero della pubblica istruzione». Ritengo che questa persona del funzionario-relatore sia da respingere. Il funzionario può essere un informatore; dare chiarimenti, dare notizie, se richiesto, dare anche consigli; ma relatore deve essere un consigliere. Il relatore infatti non è soltanto un riferitore di fatti, ma è anche il più delle volte l’ispiratore di una sentenza. Egli deve dare il suo parere in merito: è un giudice: ciò che non può essere il funzionario ministeriale.

Passo – e ho terminato queste mie brevi dichiarazioni – all’articolo 21.

Propongo che in questo articolo sia ripresa ed integrata una norma di quella legge Casati del 1859, tanto lodata, ma non altrettanto rispettata, la quale imponeva il parere del Consiglio Superiore per il pareggiamento degli istituti privati di istruzione media. Non mi dilungherò su questo argomento, che è stato ampiamente dibattuto in quest’Aula, e, malauguratamente, è apparso turbato da interessi politici, mentre è argomento che riguarda interessi essenzialmente e – vorrei dire – esclusivamente nazionali.

Quelli che hanno una qualche esperienza della scuola sanno come il sistema delle parificazioni, di cui si è enormemente abusato in questi ultimi venticinque anni, è stato ed è uno dei fattori principali della corruttela scolastica, uno dei non pochi fattori. L’onorevole Gonella ha proceduto con passi molto cauti e lenti, da principio, ma dopo, mi permetta l’onorevole Ministro di fare questo rilievo, che non vuole essere offensivo, si è visto che quella lentezza iniziale preludeva a una grande velocità. Da uno spoglio dei bollettini ufficiali dal giugno al settembre 1947 si può vedere come la parificazione raggiunge la cifra enorme di 380.

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Confronti con le parificazioni degli anni precedenti!

MARCHESI. Onorevole Gonella, lei ha una certa propensione a chiedere conforto al passato, ma il passato ci dà spesso tristi esempi che non meritano di essere seguiti. Non credo che questo sia un buon argomento per difendere le 380 parificazioni concesse.

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Spesso è parificata la prima classe di una scuola. Non sono quindi sempre parificazioni di scuole, bensì di classi.

MARCHESI. Da rilevare inoltre che per la maggior parte le parificazioni sono concesse a scuole di ordine religioso, e con questo non intendo muovere accusa di faziosità all’onorevole Ministro. La ragione è anche nel fatto che gli ordini religiosi dispongono di maggiori mezzi per poter allestire istituti privati di educazione.

RESCIGNO. Sono le migliori scuole, però.

MARCHESI. Non so se lei abbia fatto un giro di ispezione…

RESCIGNO. Comunque io appartengo alla scuola, sono un educatore, e per questo lo so.

MARCHESI. Ma io non posso affidarmi ad una testimonianza improvvisata. Non nego che vi siano buone scuole confessionali, ma per l’esperienza indiretta che ho, attraverso fonti insospette e autorevolissime, so che ve ne sono anche di pessime. Con questo non intendo dire che gli Istituti religiosi, i quali hanno da secoli compreso la fondamentale esigenza della scuola, non abbiano i loro meriti, e noi saremmo lieti che le buone scuole private si moltiplicassero, anche quelle confessionali, non importa: la luce della religione potrà divampare o spegnersi.

Una voce al centro. Non può spegnersi.

MARCHESI. Ciò che importa è che vi sia il fondamento dell’educazione e della cultura, che l’insegnamento sia ben disciplinato, e non nascondo che alcune scuole private per la loro serietà rispondono a questo compito educativo. L’aggiunta che io propongo all’articolo 21 non credo possa fare ombra a nessuno, perché tende a liberare il Ministro da un peso e da una responsabilità che non è giusto né desiderabile abbia a gravare su di uno solo.

Sarebbe bene che la parificazione fosse abolita e che si tornasse al vecchio pareggiamento, ma questa non è cosa da trattare e da discutere in questo momento.

Per ora ho finito queste mie brevi dichiarazioni. Riprenderò, se sarà il caso, la parola quando avrò sentito le proposte dei colleghi.

PRESIDENTE. Vorrei pregare gli onorevoli colleghi che debbano svolgere concetti riassunti in emendamenti, di parlare in sede di discussione degli articoli.

È iscritto a parlare l’onorevole Bertola. Ne ha facoltà.

Presidenza del Vicepresidente CONTI

BERTOLA. Onorevoli colleghi, il disegno di legge che ci è stato presentato rappresenta, qualunque sia il nostro giudizio e la nostra critica, un passo importante verso una forma nuova e democratica del nostro ordinamento scolastico. In esso sono stati accettati ed inclusi alcuni concetti nuovi, dei quali vale la spesa rilevare l’entità.

Prima di tutto, un concetto elettivo che, anche se non adottato completamente, comunque lo vorrà l’Assemblea correggere, rappresenta indubbiamente una novità importante e, vorrei dire, quasi decisiva per la struttura nuova di questo Consiglio superiore della pubblica istruzione.

La partecipazione, poi, dei rappresentanti delle scuole medie ed elementari rappresenta una seconda novità – accettata anche dalla Commissione – della quale i rappresentanti di queste scuole saranno indubbiamente grati, e che varrà indubbiamente a portare la parola modesta, se si vuole, ma tecnica e competente di coloro che nella Scuola vivono ed hanno vissuto per lunghi anni.

Il funzionamento, poi, delle sezioni – sia come Consiglio o come Giunta, come vorrà decidere questa Assemblea – tende a creare una funzione specifica nel seno di questo complesso Consiglio della pubblica istruzione, ed è anche questo una novità degna di lode da segnalare.

Infine, un altro passo è stato fatto, ed è quello del riconoscimento di un Consiglio superiore sia per le accademie che per le antichità e belle arti. Però il progetto di legge che abbiamo davanti è un qualche cosa di diverso rispetto ad un altro disegno di legge, quello ministeriale; che avevamo già esaminato e, rispetto ad esso, non sempre questo rappresenta un progresso. Se da un punto di vista tecnico qualcosa è stato fatto, da un punto di vista di concezione teorica, forse, abbiamo fatto qualche passo indietro.

Prima di tutto in questo nuovo progetto v’è un’estensione dei poteri del Ministro, mi sia concesso dirlo, che urta contro l’altro principio, di cui ha testé riconosciuto l’utilità, il principio dell’elettività. V’è un articolo terzo che non voglio qui discutere, ma che vorrei pregare l’Assemblea di meditare, il quale dà al Ministro poteri così vasti da annientare la conquista dell’elettività.

Io temo che la Commissione, e per essa il relatore, sia andata non solo di là dai limiti che noi avremmo voluto, ma sia andata forse anche di là da quei limiti che lo stesso Ministro si era assegnati. E traggo la prova di ciò dal raffronto con il progetto di legge del Ministero.

Così, per quanto riguarda l’esclusione, che è stata notata dall’onorevole Marchesi, dei rappresentanti degli assistenti e degli incaricati universitari. Non ho nulla da aggiungere a quanto è stato detto; voglio però soltanto far notare all’onorevole Marchesi che egli ha posto una distinzione non del tutto comprensibile fra la figura dell’incaricato e quella dell’assistente e dell’aiuto. A me pare che, sotto questo riguardo, si debba fare riferimento alle cifre: le cifre, onorevoli colleghi, non si possono negare, e allora è evidente che anche agli assistenti ed aiuti non si possa negare una rappresentanza.

Anche poi per quello che concerne le accademie, il progetto che ci sta dinanzi ha recato una modifica particolare. Mentre, infatti, il testo del Ministro lasciava indeterminato il numero e i nominativi delle accademie che avevano diritto a tale rappresentanza, qui invece si fa precisamente l’opposto.

Io non dico, si badi, che il progetto del Ministero fosse perfetto: esso era perfettibile, ma purtroppo qui ci moviamo in un grado di imperfezione sensibilmente maggiore. Per quello che riguarda infatti i rappresentanti delle scuole elementari, mi pare che sia lecito il domandarci quali funzioni essi vengano ad assumere in un Consiglio superiore costituito in tal modo.

Vi sono delle considerazioni, onorevoli colleghi, che non si possono tacere. Noi abbiamo, ad esempio, che nel progetto della Commissione, i professori universitari di ruolo – che sono 1.469 – eleggono 32 rappresentanti, mentre i maestri che sono invece ben 96.000 e più ne debbono eleggere solo 6, di cui poi 3 soltanto sono veri maestri, giacché uno è un direttore, un altro un ispettore e un terzo un rappresentante del provveditorato. Mi si dirà che la scuola attiene di più alla qualità che non alla quantità: ma mettere in moto un organismo così vasto, un complesso così mastodontico come quello dei maestri elementari, per eleggere tre soli rappresentanti, mi pare cosa veramente assurda.

Tanto più, poi, che la Commissione ha voluto negare un concetto stabilito dal testo ministeriale; quello delle sezioni distinte. È per ciò che io, sugli emendamenti che sono stati presentati al riguardo, vorrei in modo particolare richiamare l’attenzione della Commissione. Io ritengo che la Commissione debba riflettere su questo punto.

L’altra considerazione che devo fare è quella che riguarda le accademie, per le quali è stato stabilito un numero chiuso: 26. Non voglio domandare quali siano stati i criteri o le considerazioni che hanno portato a questo numero 26 e all’inclusione di quelle particolari accademie, ma non posso non notare che il progetto ministeriale elaborato, comunque lo si voglia giudicare, da tecnici, non ha voluto scendere a questi particolari.

Ora, qui almeno bisognerà includere un comma aggiuntivo, che apra la porta a quelle altre accademie, a quegli altri corpi scientifici, a quegli altri istituti che possono sorgere e che avranno diritto, se attueranno quelle particolari condizioni, di avere propri rappresentanti in questo Consiglio superiore.

Vorrei accennare a questo proposito, di sfuggita – perché non voglio entrare in questo argomento – che abbiamo ancora un problema sospeso: quello dell’Accademia d’Italia. Sorgerà o non sorgerà? Non è questa la sede, né voglio entrare in argomento, ma se sorgerà, vorrete escludere che abbia dei rappresentanti in questo Consiglio superiore?

Comunque, senza entrare in dettagli, dico che si apra una porta, perché altre accademie o altri corpi scientifici, se corrisponderanno a quelle particolari condizioni, possano pretendere di avere dei rappresentanti nel Consiglio superiore.

Queste sono le osservazioni di ordine generale che ho voluto fare, e mi riservo di dare il mio giudizio e di dire la mia parola in particolare nella discussione dei singoli emendamenti presentati.

Una sola chiusa vorrei fare, questa: sulla scuola è stata fatta molta letteratura e si sono fatte pure molte critiche. Però, bisogna dire, che il lavoro è fatto, un po’ poco, molte parole e pochi fatti, come si suol dire. Colpa di chi? Del Ministro, del Ministero, degli insegnanti non preparati? Diciamo la verità: colpa un po’ di tutti, e colpa particolarmente, forse, nostra, che ancora in tanti mesi non siamo riusciti a suscitare questo problema e a farlo penetrare nella opinione pubblica, che tuttora non lo sente.

Ora, se noi in questo strumento nuovo che andiamo fabbricando operiamo con questa nobilita e questa larghezza di vedute, oserei dire che un passo, e non piccolo, sarà stato fatto per adeguare questo problema a quelle che sono le necessità di oggi.

Presidenza del Presidente TERRACINI

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Calati. Ne ha facoltà.

CALATI. Onorevoli colleghi, parlo a titolo personale e a nome della Federazione italiana della scuola, della quale sono il segretario generale.

La Federazione della scuola è stata invitata dall’onorevole Ministro dell’istruzione a esprimere il suo parere sul disegno di legge, e, nell’esprimerlo, ha manifestato il suo compiacimento per i due principî che il progetto introduce: il principio dell’elettività e il principio che dà possibilità di rappresentanza alla scuola media e alla scuola elementare.

Ma, nello stesso tempo, ha dovuto constatare che nel disegno ministeriale la rappresentanza era insufficiente, dico la rappresentanza della scuola media e della scuola elementare, in confronto di quella universitaria.

E questo è uno dei punti essenziali per la Federazione della scuola. L’equilibrio della rappresentanza dei vari ordini va ricercato e stabilito in maniera da evitare che il Consiglio superiore, anche con l’introduzione di rappresentanti della scuola media e della scuola elementare, rimanga quello che è sempre stato: il Consiglio della scuola universitaria.

Tale infatti, voi lo sapete, è nato con la legge Casati del 1859. Tale è sostanzialmente rimasto anche con le riforme successive, persino con la riforma del 1881, importante per l’introduzione parziale del principio elettivo; tanto che nel 1901 si sentì il bisogno di creare una Commissione consultiva speciale per i pareri sui reclami concernenti le ammissioni, promozioni e punizioni dei professori medi e su altro, Commissione poi soppressa. Le modifiche successive, compresa quella della legge Rava del 1909, non mutarono sostanzialmente la struttura del Consiglio superiore, anche se il Senato e il Parlamento ebbero la possibilità di mandare proprî rappresentanti.

Quello che accadde dalla riforma Gentile del 1923 alla riforma Bottai del 1938 vi è noto. Il Consiglio venne riducendo o aumentando sproporzionatamente il suo numero, ma di fatto non funzionò, perché gran parte delle stesse facoltà attribuitegli dalla legge precedente, vennero tolte.

Ora v’era da aspettarsi nel 1944 una riforma in senso democratico, e dico in senso democratico più dal punto di vista pedagogico che dal punto di vista strettamente politico, cioè, a dire, in maniera che il Consiglio superiore avesse una rappresentanza integrale della scuola. Questo non accadde, perché voi sapete che il decreto De Ruggiero riproduce quasi integralmente il Consiglio superiore del 1859: ne fa cioè uno strumento universitario.

Ecco, perché noi della scuola abbiamo accolto con tanta simpatia il progetto ministeriale, appunto perché per la prima volta vedevamo introdotta la rappresentanza dell’intera scuola, pur facendo delle riserve che esponemmo al Ministro in un memoriale, e del quale anche qui, attraverso gli emendamenti presentati, io mi rendo interprete.

Ma non posso fare a meno di manifestare la mia perplessità di fronte al disegno di legge della Commissione, su cui dobbiamo lavorare in questa Assemblea. E soprattutto, me lo consenta l’onorevole Martino, così leale e così amico, soprattutto di fronte alla sua relazione; il cui spirito ci riporta al vecchio Consiglio superiore universitario, anche se accoglie la rappresentanza della scuola media e della scuola elementare.

Ma l’aspetto più grave del disegno di legge Martino, o meglio della Commissione, è la eliminazione delle sezioni. Riconosco che il Relatore è coerente. Effettivamente, in base alle disposizioni vigenti, il Consiglio superiore opera soprattutto sulla materia universitaria. È anche vero che i pareri richiesti per altre materie riguardanti gli altri due ordini di scuola hanno limitato valore.

Ma è appunto in vista di una trasformazione profonda della scuola che noi vogliamo che siano mantenute le sezioni.

È necessario, cioè, definire, non appena sarà possibile, la più larga materia sulla quale dovrà operare il Consiglio superiore.

Il fatto che le disposizioni vigenti non danno larghe possibilità al Consiglio, non deve indurci all’eliminazione delle sezioni, cioè degli organi adatti al suo efficace funzionamento. La loro creazione significa, infatti, creazione di organi, ai quali bisognerà dare lavoro, cioè ai quali bisognerà sottoporre per il parere, obbligante o facoltativo, le materie della scuola media e della scuola elementare. E questo è il grande merito del disegno ministeriale, che noi vogliamo mantenuto nell’impostazione; e, come uomini di scuola, vi chiediamo il vostro voto, se la scuola deve essere veramente rinnovata in Italia come tutti desideriamo.

Nella relazione dell’onorevole Martino si parla di unità della cultura e della scuola, e, in base a questa unità, si chiede la distruzione delle sezioni. Ora, tutti siamo convinti della unità e della cultura e della scuola, ma tuttavia siamo altrettanto convinti che l’unità postula le distinzioni come le distinzioni postulano l’unità; e quindi la creazione nel Consiglio superiore di organi come quelli delle sezioni non toglie nulla all’unità né della cultura né della scuola, anzi dà all’una e all’altra l’apporto della competenza. Ed è in nome della competenza di chi lavora in ogni ordine di scuola che noi chiediamo le sezioni: per evitare cioè l’indifferenziazione, che, in concreto, significa confusione.

È la esperienza diretta, non l’astratta formulazione teorica, che dà la possibilità di una riforma concreta e vitale della scuola italiana. Fate che la scuola italiana sia riformata dai maestri, dagli insegnanti delle scuole medie, dagli universitari, e opererete sul reale. E giacché si è parlato di unità della cultura, non credo che l’ordinamento superiore, a carattere monografico, costituisca la migliore garanzia per mantenerla. Non so fino a qual punto gli universitari, dei quali riconosciamo l’alta funzione, possano rappresentare la massima garanzia per una effettiva comprensione di tutte le esigenze della scuola. Se mai è nella scuola media che si rende possibile il fluire di tutti gli aspetti della cultura. Ma non voglio fare una polemica di questo genere, che sarebbe fuori posto e potrebbe – da uno stato di fatto, qual è l’attuale ordinamento delle nostre università – condurre a conclusioni generali inesatte.

Ho voluto soltanto dare ragione dei miei due più importanti emendamenti, ed io mi auguro che la Commissione si persuada della utilità di accoglierli.

E ritornando ancora al disegno della Commissione, devo notare almeno una sua lacuna. In questo progetto si parla delle Giunte e della materia di loro competenza, ma non si parla della materia di competenza del Consiglio plenario. Da una parte cioè si vuole un unico Consiglio, dall’altra non si fa alcun cenno specifico della sua competenza.

Mi pare una lacuna assai grave.

Ma, ripeto, se noi torniamo al progetto ministeriale iniziale, tutte queste difficoltà e tante altre difficoltà saranno eliminate.

Col mio emendamento sulle sezioni anche il numero dei rappresentanti viene modificato. Ora, la differenza di numero è dovuta a quello che ho detto dianzi; alla necessità, in certo modo, di equilibrare le forze in seno al Consiglio Superiore. Ma se le sezioni saranno create, un numero elevato di universitari non può molto preoccupare, sia perché noi comprendiamo le particolari esigenze delle facoltà, sia perché il funzionamento del Consiglio ne modifica i risultati.

Con la istituzione delle sezioni si eviteranno attriti in seno al Consiglio plenario, perché gli universitari potranno trattare in maniera autonoma quelli che sono i loro più importanti problemi. Piuttosto è da desiderare un collegamento delle tre sezioni. E a questo proposito, è opportuno osservare che tale collegamento potrebbe avvenire per gli universitari con la presenza di qualcuno dei membri della prima sezione nelle altre due, come, del resto, è previsto nel progetto ministeriale. Viceversa, la rappresentanza di un membro della terza sezione nella seconda e nella terza sezione di un rappresentante della seconda, garantisce il collegamento. Ma noi desidereremmo che vi fosse un rappresentante delle scuole medie anche nella prima sezione. Non è forse la scuola universitaria che riceve gli alunni che vengono dalle scuole medie? Non è necessario stabilire questo nesso attraverso la competenza degli insegnanti medi? Mi pare di sì. Manifestate queste esigenze, io non voglio portare il discorso per le lunghe, anche perché forse è opportuno far presto in questo scorcio di lavori della Costituente. Mi riservo di intervenire sugli emendamenti miei ed altrui e mi auguro che l’Assemblea ascolti la voce della più grande organizzazione sindacale della scuola italiana. (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Sullo. Ne ha facoltà.

SULLO. Io parlo a titolo personale, pur essendo membro della prima Commissione, che ha esaminato il disegno ministeriale. Parlo come commissario dissenziente, che non ha ritenuto, perché è necessario affrettare i lavori dell’Assemblea, presentare una relazione di minoranza insieme con gli altri colleghi che hanno condiviso in linea generale la mia tesi in sede di Commissione.

Questo Consiglio superiore ha avuto sempre un po’ in Italia questa storia: una storia di lunghi dibattiti parlamentari. Nel 1881 Francesco De Santis dovette ingollare praticamente un disegno di legge non suo. Ingollarlo, dico, perché dopo tre anni il Consiglio superiore non si faceva ancora; è un poco, a distanza di un cinquantennio, quello che accade anche adesso; anche adesso siamo presi dalla fretta o probabilmente come allora faremo male e prenderemo per forza ciò che ci viene offerto, pur di fare il più presto possibile. Ma la verità è che, se la discussione potesse essere approfondita, noi non dovremmo perdere quei germi di vita nuova che nel progetto ministeriale erano e sono vitali, e che sono stati soffocati da una visione tradizionalistica del Consiglio superiore; in realtà più che di un Consiglio superiore della pubblica istruzione, in Italia, noi dovremmo parlare esattamente di un Consiglio della istruzione superiore, perché fino adesso in Italia non si può dire che vi sia stato un vero Consiglio superiore della pubblica istruzione se non solo all’inizio della vita del nostro Stato. Dalla legge Casati in poi questo carattere del Consiglio superiore si è affievolito, in modo che a poco a poco esso è divenuto un organo consultivo solo per la istruzione superiore.

Non è d’altra parte una osservazione nuova. Era la medesima osservazione che Francesco De Santis faceva quando doveva difendere al Senato un progetto non suo e che doveva accettare per forza, e quando riconosceva le molte pecche del progetto, specialmente per quanto riguardava la vita e l’insegnamento della scuola media e della scuola elementare.

Tuttora la scuola media e la scuola elementare sono oggetto di provvedimenti disparati, studiati da Commissioni nominate e non funzionanti o funzionanti a scatto o con sistema non sempre coordinato.

I miei colleghi della Commissione sanno molto bene che noi, trovandoci di fronte ad un progetto per la riforma dell’istruzione tecnica e del consorzio dell’istruzione tecnica, abbiamo dovuto dire: preghiamo il Ministro che non se ne faccia niente, ed il Ministro medesimo ci ha detto che quel progetto gli era stato tramandato dai tre Ministri precedenti e che egli al riguardo non gli aveva potuto dare nessuna impronta. Che cosa significa tutto questo? Che il Ministro, che gli organi che devono qui rappresentare, in un certo senso, la nostra cultura, vengono a presentarci dei progetti che sono, in genere, sempre il frutto di studi affrettati di commissioni varie. Esiste una Commissione per la riforma della scuola, però sappiamo che la Commissione (non voglio con questo fare accusa a nessuno) è una Commissione che funziona anch’essa quasi soltanto nelle grandi occasioni. Noi non abbiamo in Italia un organo che effettivamente abbia la possibilità di presentare al Parlamento degli studi organici, omogenei per la scuola media e per la scuola elementare. Il Consiglio superiore, così come oggi è per la vigente legislazione, così come la relazione Martino vorrebbe, è semplicemente il Consiglio dell’istruzione superiore. E noi allora, nel sottolineare l’importanza del progetto del Ministro, più ancora che l’elettività, più ancora che ogni altra considerazione di valore sindacale, dobbiamo dire che questo progetto rappresenta una proposta fatta all’Assemblea di creare per la pubblica istruzione un Consiglio superiore tecnico, tale che possa essere veramente un ottimo strumento per predisporre i disegni di legge che il Parlamento deve approvare. Perché io credo, e noi lo abbiamo visto anche qui, che le leggi un Parlamento le fa con una certa difficoltà, ma anche con una certa superficialità. La difficoltà è unita alla superficialità. In ultima analisi i disegni di legge sono, in genere, sempre frutto della preparazione preventiva e sono tanto migliori quanto più affinato è l’organo che dà la possibilità all’Assemblea, al Ministro di discutere. Occorrerebbe che i disegni di legge che il Ministro della pubblica istruzione viene qui a presentare, fossero dei disegni di legge studiati e coordinati da un organo, unitario bensì, ma che lavori sul serio. Ora, in pratica, è possibile con questa sistemazione di un Consiglio superiore di 48 membri, con una Giunta divisa in tre sezioni, fare tutto questo? E possibile che 48 membri, che devono discutere insieme, uniti, siano in grado in un anno di riunirsi, si può dire, quasi ogni giorno, se vogliono effettivamente mettersi a discutere di questi gravi problemi che si manifestano nel campo dell’istruzione media ed elementare?

Onorevoli colleghi, io credo che qui bisogna scendere dalle nuvole e venire sul terreno pratico. E sul terreno pratico noi possiamo dire questo: o il Consiglio superiore si vuole far funzionare come noi vorremmo che funzionasse, come organo di studio e propulsione, come organo di consulenza, ed allora le riunioni plenarie dovrebbero essere proprio quotidiane, per poter affrontare tutta la grande materia che da parte del Ministro può essere proposta o che le leggi possono deferire al Consiglio superiore, oppure non se ne farà niente, e quest’organo, così come noi lo pensiamo, non esisterà di fatto. Abbiamo in effetti in Italia bisogno, non tanto di una riforma generale, quanto di tante riforme specifiche per i tanti settori della scuola media ed elementare, e potrei anche dire universitaria. Abbiamo elaborato una Costituzione che in un articolo, l’articolo 27, enumera leggi molto importanti riguardanti la scuola, che il futuro Parlamento dovrà comunque preparare. Abbiamo tanti compiti specifici che devono essere assolti da questo Consiglio superiore. Chi di noi può essere così ingenuo da ritenere che in pratica questo Consiglio superiore, così come lo si vuole congegnare, senza articolazione in sezioni, senza la divisione di lavoro, che è non solo una conquista del lavoro manuale, ma anche del lavoro culturale, chi può pensare che senza questa articolazione il Consiglio superiore possa effettivamente funzionare? Si sente ogni tanto da parte di qualche collega parlare del numero dei rappresentanti dei maestri elementari e dei professori di scuole medie rispetto ai professori universitari. Si fa questione di categorie. Ma la questione del numero in tanto può essere logica, in quanto ci si allontani dal progetto ministeriale; altrimenti non ci sarebbe neppure ragione che si facesse questione di numero. È ovvio che, quando i maestri elementari sanno che le questioni andranno sempre dibattute in Consiglio plenario, essi si sentano dei naufraghi. Poveri tre maestri elementari su quarantotto rappresentanti; sentono che la loro voce sarà considerata fievole, sperduta. Ugualmente per i professori di scuole medie. Se invece vi fossero le tre sezioni, se invece i maestri elementari sapessero che, sì, la voce dell’alta cultura è rappresentata nelle loro sezioni, ma la loro voce non è soffocata né soffocatrice, se vi fosse questa articolazione effettiva di lavoro, credo non sorgerebbe la questione quantitativa della rappresentanza che può apparire a qualche nostro collega che arriccia il naso come una questione sindacale che debba essere messa in disparte.

Penso che le critiche che sono state fatte sulla mancanza di unità del progetto Ministeriale non abbiano ragione di esistere. L’illustre collega onorevole Marchesi ha infatti già notato che vi è l’articolo 2 del progetto ministeriale che dice: «Il Consiglio superiore della pubblica istruzione funziona normalmente per Sezioni. In adunanza plenaria è convocato tutte le volte che si tratti di esaminare questioni generali che riguardino comunque i vari rami dell’istruzione».

Che cosa significa l’unità della cultura? Significa che, tutte le volte che vi sono questioni che interessano tutti i settori dell’istruzione od uno o due settori, si deve decidere collegialmente; ma non significa affatto che, per esempio, il maestro elementare debba partecipare alle discussioni riguardanti il trasferimento di un professore, cosa che non gli interessa, o che nella discussione di problemi specifici della scuola media ed elementare non debbano soltanto partecipare e assistere uno o due professori universitari. Hanno certamente una qualifica specifica per intervenire, ma tuttavia venti o trenta professori universitari, gli ingegneri che non hanno interesse in quella questione od i medici che non hanno interesse in altra questione mi pare che creerebbero un organo pletorico, quando si debbano trattare questioni particolari; pletorico, non quando tratta delle questioni globali della cultura e dell’indirizzo culturale, ma quando dovesse studiare ogni questione anche particolare.

Il progetto presenta effettivamente delle pecche anche di carattere formale e giuridico. Le Giunte di cui si parla o la divisione della Giunta in sezioni sono qualche cosa di poco chiaro, almeno nel disegno di legge dell’onorevole Martino presentato a nome della Commissione. Sì, nella relazione è detto che alle Giunte sono in sostanza affidati i compiti di carattere amministrativo e disciplinare previsti per la Giunta dalla legislazione prefascista, ma nel testo del disegno di legge non è detto niente. È detto soltanto che la Giunta tratta tutto ciò che le è affidato dalla legge vigente. Anche sotto il profilo formale e giuridico non è ben chiaro. Se invece di chiamarle sezioni le vogliamo chiamare Giunte, facciamolo; ma diamo a queste Giunte la possibilità di trattare problemi culturali e di avere carattere consultivo, specie per le materie che riguardano la scuola media ed elementare, quando non investano problemi più ampi della cultura italiana Su tale base possiamo essere d’accordo con l’onorevole Relatore; ma quando questo non avviene, quando le Giunte devono semplicemente avere carattere di organi disciplinari, amministrativi ecc., allora non è affatto il caso di condividere l’opinione del Relatore; è il caso invece di condividere in pieno l’opinione del Ministro, che mi pare, al di là delle questioni di partito, abbia impostato con una visione nuova, organica, unitaria il Consiglio superiore, come mai prima di adesso. Accennavo all’inizio di questo mio breve intervento al fatto che vi era stato un deterioramento lento della impostazione del Consiglio superiore della pubblica istruzione in Italia. Quando esso è stato istituito dalla legge Casati aveva tutt’altri compiti, molto diversi da quelli strettamente legati all’università, come adesso. Aveva il compito di presentare, per esempio, la relazione generale dello stato della cultura del Paese ogni quinquennio; aveva un compito per quel che riguarda l’equiparamento delle scuole secondarie; compiti specifici che veramente sono degni del Consiglio superiore di un Paese di grandi tradizioni come il nostro.

Noi, col progetto Gonella, non solo ritorniamo a questa bella tradizione iniziale, ma facciamo qualche cosa di più: diamo al Consiglio superiore un tono più elevato di quello che esso ha avuto nel passato.

Io ho presentato un ordine del giorno specifico, perché vorrei che l’Assemblea, nell’approvarlo, desse un poco il via alla impostazione degli emendamenti. Mi permetto di leggerlo:

«L’Assemblea costituente, considerato che il progetto della Commissione sul Consiglio superiore della pubblica istruzione presenta rispetto al progetto ministeriale il notevole inconveniente di sopprimere l’articolazione in sezioni, che permette un lavoro costante, organico e veramente costruttivo, concentrando molte discussioni, anche su temi specifici, in un organo appesantito e talora anche pletorico, rispetto agli argomenti da trattare; delibera di passare alla discussione degli articoli, riconfermando l’esigenza della struttura del Consiglio superiore, così com’è nello spirito del progetto ministeriale».

Voglio sperare che si dissolva la prevenzione che questa discussione abbia cristallizzato le posizioni: quella del professore di scuola media, perché professore di scuola media, e quella del professore universitario, perché professore universitario. Bisogna sganciarsi da questa visione sindacalistica della scuola.

Noi non vogliamo eliminare l’influenza che il professore universitario deve avere nel fissare e discutere questi temi; ma vogliamo che ci sia veramente un Consiglio superiore, che non rappresenti semplicemente un organo che serva alla vita dell’unità della scuola italiana, ma serva anche al potenziamento della cultura del nostro Paese. E con questo augurio io ho presentato l’ordine del giorno, ed affido a voi la responsabilità di respingerlo, facendo sì che, respingendolo, il Consiglio superiore continui ad essere semplicemente un organo ristretto all’istruzione superiore, e non, come ha ben detto l’onorevole Galati, uno strumento di cui ci potremo servire nella futura legislazione.

Bisogna creare organi e strumenti. Non vale dire che questo strumento finora non è stato usato per la cultura media ed elementare. Gli strumenti, allorché non vengono usati, finiscono col perdere ogni importanza e col perire. Se questo strumento viene posto al servizio dell’istruzione media ed elementare, non perirà. (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Bernini. Ne ha facoltà.

BERNINI. Onorevoli colleghi, due sono i progetti di legge, che abbiamo davanti: uno è il progetto già presentato dall’onorevole Ministro e che egli ora ripresenta a noi, dopo avere tenuto conto debitamente di alcune delle nostre osservazioni; l’altro, è il progetto di legge della Commissione. La differenza sostanziale fra i due, come è stato chiaramente detto dagli oratori che mi hanno preceduto, è in questo: che il progetto di legge della Commissione fissa e stabilisce un Consiglio superiore unitario; il progetto di legge dell’onorevole Ministro articola in tre parti autonome, per così dire, il Consiglio superiore stesso. È noto che, quando noi nel settembre scorso abbiamo rivolto critiche ed osservazioni al progetto del Ministro, tali critiche ed osservazioni non si rivolgevano al principio generale che animava il progetto, ma piuttosto ad alcuni particolari importanti, e soprattutto alle modalità delle elezioni. Anzi, io non esito a dichiarare che sono perfettamente d’accordo con gli oratori i quali mi hanno preceduto: il concetto informatore del progetto del Ministro è senza dubbio superiore al concetto informatore del progetto della Commissione. Senonché io ho creduto, per ragioni pratiche, di innestare sul progetto della Commissione gli emendamenti che voi avete visto, perché vi sono stati presentati. Dichiaro che per conto mio sono disposto, anzi noi siamo disposti a sostenere anche qualunque modificazione nel senso voluto dai tre oratori precedenti, purché naturalmente si parta da questa idea principale – che vedo del resto condivisa da altri – che cioè tutti gli insegnanti, di qualunque ordine, hanno il diritto di occuparsi delle riforme di carattere generale. Per esempio, permettetemi colleghi universitari, se domani si facesse una riforma generale universitaria, ritengo che i maestri elementari abbiano diritto di dire il loro parere, così come gli insegnanti delle scuole medie.

Secondo principio: che gli organi che trattano le questioni più concrete della scuola media ed elementare debbono essere organi per gran parte, o meglio per grandissima parte, elettivi; ed in questo avevamo appuntato un po’ di critiche al progetto del Ministro, nel settembre scorso.

Terzo principio, che ci pare anch’esso un principio democratico: che per lo meno il numero dei rappresentanti delle scuole elementari debba essere uguale al numero dei rappresentanti delle scuole medie. Stabiliti questi principî, siamo disposti ad accogliere qualunque sistema che provveda perfettamente ad essi. Certamente sono principî nuovi, come hanno detto bene gli oratori che hanno testé parlato; sono principî nuovi, che si introducono: principî democratici e lodevoli, per cui i professori medi e i maestri entreranno per la prima volta nel Consiglio superiore della pubblica istruzione. Voi conoscete la legge del 1906, la quale ammetteva i professori, non nel Consiglio superiore della pubblica istruzione, ma in una giunta. La legge del 1911, se ben ricordo, costituiva poi una giunta delle scuole elementari, il che dimostra come ora ha trionfato il principio per cui i problemi della scuola sono intimamente collegati tra loro e per cui, a discutere ed a risolvere questi problemi, debbono essere chiamati soprattutto gli uomini, i quali hanno l’esperienza della scuola, l’esperienza diretta della scuola. Voi sapete meglio di me che, nella storia parlamentare d’Italia, è stato notato che troppo spesso i Ministri della pubblica istruzione, nel passato intendo, erano uomini i quali con la scuola avevano pochissimo a che fare, ed è anche un luogo comune, che sentite dire ogni giorno, da maestri.

Se voi li interrogate, dicono: bisogna che a fianco nostro ci siano degli uomini che abbiano esperienza diretta della scuola. Quindi bisogna che questo principio del valore principale della esperienza diretta sia affermato.

Non insisterò su alcuni particolari dell’emendamento da me proposto, anche perché comincia a perdere di importanza la proposta che i nostri colleghi delle scuole elementari passino da cinque a sette, come gli insegnanti delle scuole medie; così non insisto neppure sull’emendamento, per me fondamentale, dell’articolo 3, che nel progetto della Commissione si presentava terribile, emendamento secondo cui i componenti delle sezioni della Giunta debbono essere in gran parte scelti tra quelli elettivi, e soltanto una minoranza deve essere data alla nomina, ovvero alla scelta del Ministro.

Detto questo ben poco mi resta da aggiungere: ci sarebbe un altro punto su cui mi permetto di insistere, ed io spero che anche i colleghi che mi hanno preceduto acconsentiranno in questa mia proposta – ed in questo io ho anche il conforto autorevole dell’onorevole Ministro –: se noi costituiamo queste tre sezioni bisogna che siano attribuite agli insegnanti delle scuole medie quelle funzioni che erano fino ad ora attribuite, in base al decreto legislativo del 21 aprile 1947, ad una Commissione ministeriale. Io non voglio offendere nessuno, e tanto meno uomini eminenti in materia di cultura; ma confesso che ritengo che una Commissione la quale, secondo quel decreto che ho detto, sia composta di cinque insegnanti di scuole medie, di un consigliere di Stato (il quale la presiede), di un professore ordinario di diritto amministrativo e di un provveditore agli studi, dia minore garanzia di sodisfare al principio moderno e democratico, che non una sezione in cui ci siano per la maggior parte rappresentati coloro che sono stati eletti dalla classe, e comunque solo insegnanti o tecnici della scuola.

Spero che questo principio, che era stato spontaneamente accettato, anzi offerto dal Ministro, non sarà rifiutato e respinto dalla classe, perché altrimenti succederebbe questo fatto curioso: che, una volta tanto, la classe vorrebbe meno di quello che il Ministro vuol dare. Quindi mi pare che su questo possiamo essere d’accordo.

Prima ch’io finisca (liberando i nostri egregi colleghi da questa posizione penosa: da una parte la noia che sorge quando si parla di scuola, e dall’altra una specie di rimorso che essi sentono, perché, appunto, involontariamente, nasce in loro quel tale sentimento che non riescono interamente a comprimere, sentimento che, ahimè, è tradizionale nel nostro Paese, anche fra le classi colte) io mi permetto di leggervi alcune parole di alcune vecchie pagine. Ho qui davanti alcuni fogli ingialliti, il che dimostra che sono trascorsi molti anni da quando sono stati stampati, quarant’anni circa. Ecco il testo preciso della relazione che l’onorevole Orlando fece nel 1906 alla legge sullo stato giuridico degli insegnanti medi, la legge che includeva la formazione di quella tale Giunta di cui vi ho parlato. Erano proprio gli anni in cui l’Italia andava evolvendosi verso una sostanziale democrazia, che fu poi interrotta nel modo che tutti sanno.

Ora, ecco le parole che l’onorevole Orlando scriveva in quei giorni: «Gli insegnanti secondari hanno così nella stessa rocca del Ministero una propria rappresentanza diretta (badate che era solo la Giunta), un corpo di guardia che vigili alla difesa dei propri diritti: concorsi, nomine, promozioni, trasferimenti, classi aggiunte, giudizî disciplinari, checché, insomma, può tangere gli interessi morali e materiali degli insegnanti è affidato all’alto senno amministrativo della sezione, che è permanente». Poi continua con parole che non leggerò e soggiunge: «Se l’hanno avuta gli insegnanti medi, è giusto che l’abbiano anche gli insegnanti elementari».

Infatti, dopo pochi anni, gli insegnanti ebbero la loro sezione.

Se qualcuno (e spero non ci sia qua dentro) ritenesse nell’anno di grazia 1947 che queste parole: nomine, promozioni, trasferimenti ecc. odorino di organismo sindacale, io mi permetterei di dirgli che è in gravissimo errore.

Badate, la scuola non vive solo di lodi generiche e di quelle tali parole che io insegnante ho sentito ripetere da trent’anni – noi siamo i sacerdoti della scuola –; la scuola vive anche di realtà concreta. Se volete avere un buon insegnante, specialmente oggi che le condizioni sono così gravi, bisognerà che gli diate almeno certe garanzie di carattere morale, e queste garanzie devono essere la stabilità nel loro posto, la giustizia amministrativa, il fatto che sappia che, quando domani ha qualche cosa da chiedere, c’è qualcuno che può comprenderlo. E, senza voler negare, naturalmente, la parte che si deve al Ministro della pubblica istruzione, non c’è uomo che possa comprendere l’insegnante più dell’insegnante stesso.

Ecco perché è necessario che gli insegnanti delle scuole elementari e gli insegnanti delle scuole medie abbiano questa parte così importante in quella che sarà la scuola di domani.

Come ha detto giustamente uno degli oratori che mi hanno preceduto, in seduta plenaria (perché ci sarà anche questa, perché il fatto di tre sezioni non esclude le sedute plenarie) in seduta plenaria si potranno trattare le grandi questioni generali. E ne sorgeranno moltissime. Chi tornerà qua dentro, chi avrà, diciamo così, la fortuna di tornare qua dentro dovrà sentire molto di più di quanto non abbia sentito finora, dovrà sentire ancora discutere degli articoli 27 e 28. Le leggi che si faranno in applicazione di tali articoli saranno interpretate dal Consiglio superiore.

Nessuna autorità maggiore potrà esservi in proposito di quella costituita dai rappresentanti elettivi dei tre ordini dell’insegnamento.

Io spero e credo che in questo modo la nuova Italia avrà una scuola corrispondente al suo migliore domani. (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Colonnetti. Ne ha facoltà.

COLONNETTI. Sento il bisogno di dire all’onorevole Ministro ed a voi, onorevoli colleghi, tutta la perplessità che fin dal primo momento ho provata di fronte all’innovazione che il progetto ministeriale apportava alla costituzione del Consiglio superiore: e ciò, non perché io fossi esitante a riconoscere l’utilità di rappresentanze dirette dei docenti delle scuole medie e delle scuole elementari, ma soltanto perché non vedevo – come, in fondo non vedo ancora oggi – chiaramente delineato nel testo della legge quello che sarebbe stato il compito effettivo di queste rappresentanze.

La tradizione del Consiglio superiore – come è stato anche rilevato dai colleghi che mi hanno preceduto – è stata ormai da lungo tempo orientata tutta verso l’istruzione superiore, e l’utilità di rappresentanze dirette dei docenti di scuole medie od elementari è, a mio parere, tutta subordinata alla definizione chiara e precisa di quelle che saranno le funzioni degli organi di cui essi faranno parte; perché bisogna evitare in qualunque modo che questi organi degenerino da organi di consulenza scientifica del Ministro ad organi di competenza sindacale; eventualità questa a cui non si può non pensare, allorquando si avverte nelle categorie che ambiscono ad essere rappresentate l’aspirazione, di cui un’eco è giunta in questa discussione, a rappresentanze comunque proporzionate al numero dei rappresentati.

Questa mia perplessità, che fa riscontro a quella chiaramente manifestata da taluno dei colleghi che mi hanno preceduto, e su cui pertanto non mi dilungo, non è diminuita ma, in certo senso, accresciuta, dopo la lettura del testo che la Commissione ha creduto di contrapporre a quello del Ministro.

E vi dico con tutta franchezza che ho l’impressione che, sia pure nel lodevole intento di unificare l’organo e di raccogliere tutte le rappresentanze di scuole di gradi diversi in un tutto unitario, la Commissione, sopprimendo le sezioni distinte che il Ministro aveva proposte, ha nettamente peggiorato la situazione. L’ha peggiorata, perché l’organo unico che essa viene a costituire e che fatalmente dovrà – almeno sino a che non verranno estesi i suoi compiti – quasi esclusivamente occuparsi degli argomenti di cui si occupava il vecchio Consiglio superiore; si troverà, cioè, a dover deliberare quasi sempre su argomenti di carattere universitario (quali nomine, concorsi e ricorsi), con la presenza e l’attiva partecipazione di ben sedici membri – dodici di nomina elettiva e quattro nominati dal Ministro – i quali appartengono alle scuole medie o alle scuole elementari e che non avranno, quindi, per quegli argomenti alcun interesse, e, vorrei anche dire, senza mancare di riguardo a nessuno, alcuna specifica competenza. Mentre, d’altra parte se, come è evidentemente auspicabile, verranno in discussioni argomenti che riguardino specificamente e particolarmente le scuole elementari o le scuole medie, questi membri si troveranno praticamente sopraffatti da una maggioranza di professori universitari, a cui nessuno contesterà la competenza sui problemi generali della scuola, ma che possono alla loro volta non avere nessuna competenza specifica su provvedimenti di dettaglio.

Io ritengo, pertanto, che se si vuole affrontare – come possiamo, forse, essere tutti d’accordo ad auspicare – il problema di un’introduzione organica delle rappresentanze delle scuole medie ed elementari nel Consiglio superiore, bisogna dividere nettamente, e con delle definizioni ben chiare, i compiti delle varie sezioni in cui il Consiglio superiore si dovrà all’atto pratico scomporre.

Il progetto del Ministro tracciava su questo argomento una direttiva alla quale io non avrei difficoltà ad aderire, ove fossero fin d’ora ben definiti i compiti di ciascuna sezione, poiché, se per la sezione relativa all’istruzione superiore esiste per legge e per tradizione tutta una congerie di argomenti sui quali il Ministro è tenuto a chiedere il parere del Consiglio superiore, a volte con valore vincolativo, a volte soltanto con valore consultivo, sicché l’attività di questa sezione si può considerare dalle stesse leggi vigenti e dalla tradizione sufficientemente definita, ciò non avviene affatto per le altre sezioni, per le quali invano sta scritto nella legge che adempiranno ai compiti che la legislazione affida loro, perché questi compiti nella legislazione attuale non esistono, ed è ben poco probabile che gli uffici del Ministero prendano essi l’iniziativa di sentire il Consiglio superiore su argomenti, per i quali nessuna legge prevede che le decisioni del Ministro siano ai pareri di quel Consiglio o vincolate o, comunque, anche soltanto consultivamente subordinate.

Di tutte le modificazioni che la Commissione ha introdotte nel progetto ministeriale, ve n’è una soltanto alla quale io desidero dare la mia completa adesione, ed è quella che prevede per la scelta dei rappresentanti delle scuole medie ed elementari le elezioni di secondo grado. Ritengo che effettivamente sia questo l’unico modo di arrivare seriamente ad una forma di rappresentanza, dato che vi è una così grande disparità fra il numero degli elettori e quello degli eletti.

Aderisco, dunque, a questo concetto, ma non posso non rilevare che attraverso un meccanismo di questo genere le elezioni richiederanno necessariamente molto tempo; lo richiederanno soprattutto in un primo esperimento, nel quale non si potrà ancora fare assegnamento su tradizioni formate.

Così stando le cose, io non posso non richiamare l’attenzione dei colleghi e quella dell’onorevole Ministro sopra uno stato di fatto che si traduce in un grave disagio nella situazione della scuola. Per vicende che è inutile qui richiamare, la scuola è rimasta da ormai molti mesi senza un Consiglio superiore operante. E il meccanismo delle elezioni, in vista di questo rinnovamento nella formazione del Consiglio, è tale che parecchi altri mesi, forse molti altri mesi, passeranno prima che il nuovo Consiglio possa essere formato.

Ora il Ministro sa meglio di me che vi sono pratiche numerosissime, relative ai concorsi in atto, ed altre relative alla revisione dei concorsi passati, le quali richiedono, esigono assolutamente, che l’attività del Consiglio superiore non sia più ulteriormente ritardata.

Mi sembra, pertanto, che non possa questa legge passare attraverso la discussione di questa Assemblea senza che si levi una voce per esprimere il desiderio che in qualche modo si arrivi alla più rapida ripresa dell’attività del Consiglio superiore.

Resta inteso che ciò che urge rapidamente ripristinare è la sezione del Consiglio relativa all’istruzione superiore, perché è quella a cui si riferiscono le pratiche a cui accennavo, e quella a cui si riportano quasi tutte le pratiche che abitualmente il Ministro sottopone al Consiglio. Io penso che si potrebbe conciliare.

Il desiderio di rinnovare il Consiglio immettendo la rappresentanza delle scuole medie ed elementari, con la necessità di veder ripristinata al più presto la sezione del Consiglio superiore che riguarda le Università, attraverso una divisione in due tempi delle operazioni che questa legge prevede.

Penso, cioè, che una deliberazione che tendesse a rendere possibili le immediate elezioni della sezione del Consiglio superiore riguardante le Università, elezioni che non presentano particolari difficoltà e che potrebbero anche farsi colle norme stesse della legge precedentemente in vigore, potrebbe permettere il ripristino dell’attività del Consiglio, senza pregiudizio di quelle ulteriori variazioni di costituzione che al Consiglio verranno attraverso l’introduzione delle sezioni relative alla scuola media e alla scuola elementare; variazioni che non hanno nessuna urgenza di essere attuate finché non siano definitivi i compiti a cui le nuove sezioni dovranno attendere.

Con questo intento io presento un ordine del giorno il quale, accettando le direttive del Ministro nella costituzione definitiva del Consiglio superiore, tende ad accelerare la ricostituzione di quella parte di esso del cui funzionamento si sente ogni giorno più grave la carenza.

L’ordine del giorno potrebbe essere così concepito:

«L’Assemblea Costituente,

pur consentendo col Ministro della pubblica istruzione nel proposito di dar vita a sezioni del Consiglio Superiore della pubblica istruzione particolarmente competenti nei problemi della scuola media ed elementare, e nelle quali i rispettivi docenti siano direttamente rappresentati;

considerata l’urgenza di rimettere in funzione l’organo tradizionale competente sui problemi dell’istruzione superiore;

invita il Ministro a ricostituire immediatamente quest’organo richiamando a tal fine in vigore il decreto legislativo 7 settembre 1944, n. 272».

Presidenza del Vicepresidente BOSCO LUCARELLI

TUMMINELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TUMMINELLI. Ho chiesto di parlare per dichiarare che consento più col testo presentato dal Ministro che con quello della Commissione, in quanto il testo del Ministro mi pare risponda con maggior precisione alle esigenze della scuola. E in ciò concordo perfettamente col collega Sullo.

Il Consiglio superiore, così come è stato formulato, si è un po’ allontanato da quella che era la sua funzione originaria stabilita dalla legge Casati e va prendendo piuttosto un carattere specifico di garanzia piuttosto che quello di consultazione tecnica che, a mio avviso, dovrebbe avere.

Ora, perché questa seconda parte esista, tanto per quanto concerne la funzione plenaria del Consiglio in tre sezioni riunite, quanto per la funzione del Consiglio nelle singole sezioni, a me pare che bisognerebbe dare maggiore influenza al rappresentante di quelle scuole libere contro le quali si è scagliato l’illustre professore onorevole Marchesi.

Io condivido per il novanta per cento l’opinione dell’onorevole Marchesi, ma pregherei vivamente i colleghi di voler riguardare il problema della scuola libera come è formulato nell’articolo 2, dove è previsto un rappresentante delle scuole non governative. Io proporrei che questi rappresentanti fossero due e pregherei – come dicevo – di guardare il problema della scuola libera sotto l’aspetto non confessionale o speculativo, ma sotto l’aspetto dell’apporto che questa scuola dà in tutti quei rami in cui lo Stato non è in grado di regolare le proprie attività educative, ed anche come anticipatrice di metodi.

Ora, soprattutto per questo secondo lato, a me pare convenga che nel Consiglio superiore sia una certa rappresentanza di queste scuole, tanto del settore propriamente detto confessionale quanto del settore civile; ché, se noi teniamo un solo rappresentante di scuole non governative, noi avremo una sola nota, che sarà evidentemente la nota confessionale. È bene invece che vi sia anche la rappresentanza della voce della scuola civile, in quanto anche questa scuola ha la sua parola da dire soprattutto nel campo metodologico e di orientamento pedagogico, dove abbiamo esperienza da tanto tempo.

Propongo quindi che, all’articolo 2, sia aggiunto un membro di più per i rappresentanti della Scuola non governativa.

TONELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Onorevoli colleghi, nessuno di voi potrà muovermi l’accusa che io sia troppo tenero coi democratici cristiani e col loro programma in fatto di scuole e che io abbia delle soverchie simpatie per l’attuale ministro. Ma vi dichiaro francamente che in seno alla Commissione io dichiarai che, di fronte alla concezione del Consiglio superiore dell’istruzione del mio illustre amico e collega Martino e il progetto presentato dal Ministro, preferivo (guardate che cosa strana!) il progetto del Ministro, perché – lo dissi ai colleghi della Commissione – era il più democratico ed interpretava meglio, secondo me, quella che è l’esigenza dei nostri tempi.

Il collega Martino è un liberale e, come liberale, naturalmente conserva le idee dei suoi antenati.

È naturale che egli non veda tanto volentieri questa immissione di forze nuove nel Consiglio superiore dell’istruzione perché nel passato si concepiva l’appartenente al Consiglio superiore dell’istruzione come un uomo superilluminato che poteva portare nella soluzione dei problemi scolastici una parola più decisiva.

I tempi sono mutati. Oggi anche gli uomini modesti, anche le categorie più umili dei lavoratori quali sono i maestri elementari, possono dare e devono dare una luce per la soluzione dei grandi problemi della scuola italiana, perché se noi disperassimo di questa loro potenza in atto dovremmo disperare anche dell’avvenire della scuola, perché non è un ristretto numero di alti luminari della scienza o dell’arte che possono trasformare il mondo. Io non ho mai creduto alla virtù trasformatrice del mondo da parte dei filosofi. Scusatemi, studiosi della scienza, della filosofia e di cose astratte.

Io credo che il problema della scuola debba essere risolto, debba avere cioè il suo perfezionamento, il suo sviluppo mediante il contributo collettivo di studi di tutti i membri, di tutti quelli che lavorano nella scuola, perché è necessaria la partecipazione diretta degli insegnanti, degli educatori di tutte le categorie: della scuola universitaria, della scuola media e della scuola primaria.

Il progetto presentato dal Ministero apriva taluni spiragli. È un istituto questo Consiglio superiore dell’istruzione che risente delle incertezze del tempo in cui viviamo. Non possiamo nell’ora triste che attraversa il nostro Paese, in una fase di trasformazione di tutti gli istituti, giuridici, sociali e politici, avere una visione perfettamente esatta di quella che possa essere la soluzione del problema della scuola. Ma è certo che questo Consiglio superiore dell’istruzione così come è concepito nel progetto ministeriale, con le opportune modifiche e tenuto conto anche degli appunti giusti, secondo me, che sono stati portati da vari oratori, dal collega Sullo e dal collega Colonnetti, possa attuarsi. Se voi attendete troppo a costituire questo organismo molti problemi della scuola resteranno insoluti e specialmente nel campo universitario resteranno sospesi molti provvedimenti che invece sono urgenti ed esigono una immediata soluzione. Quindi io accetterei il concetto che per la scuola universitaria, prima sezione, potrebbe provvedere subito il Ministro in maniera da mettere le nostre università in una condizione non oscillante, instabile come attualmente sono. Per le altre si potrà provvedere. Vedremo con gli emendamenti le proposte che faremo. Il Consiglio superiore dell’istruzione potrà essere fatto non a tamburo battente, ma con ponderazione perché la scuola italiana è anche formata di materia amorfa.

V’è in questo dopoguerra farraginoso una massa di educatori specialmente nelle scuole primarie (non dico nelle secondarie, benché anche qui vi sia molto da fare) che non ha orientato bene il proprio cervello, e non sarà bene orientato il cervello di quegli insegnanti italiani che hanno la disgrazia di avere per Provveditori agli studi tutti coloro che sono stati liberati e che sono stati rimessi a posto proprio da voi.

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Dalle Commissioni di epurazione.

TONELLO. Io capisco che un funzionario possa andare in un ufficio dove debba sbrigare le pratiche del giorno, ed anche se è stato fascista, pazienza; ma non concepisco che in una provincia vi sia il capo di questi educatori che non ha e non può avere la stima del corpo insegnante quando è passato attraverso una condanna o quando è passato attraverso un processo di epurazione.

Quindi è ancora sconcertata la scuola italiana ed io vedo il pericolo dei vari sindacati che si sono andati formando. È tutto un caos: v’è una categoria che domanda una rivendicazione; v’è né un’altra che ne domanda una opposta. Non v’è unità. Ma io crédo che i veri unificatori della scuola primaria italiana devono essere i maestri italiani che devono essere più uniti, devono studiare i loro problemi con quella autorità che viene da un coscienzioso esame di quelli che sono i bisogni della scuola primaria in questo momento. Perché è bene, onorevoli colleghi, che questo benedetto problema della scuola balzi in prima linea nella vita italiana; Noi bisogna che la riorganizziamo la scuola dalle fondamenta; bisogna che la scuola sia realmente la fattrice di questa Italia nuova, di questa Repubblica che abbiamo creato, altrimenti non so dove si andrà a finire. Non vedete che decadimento spaventoso si nota nella vita infantile italiana? Avete fatto le statistiche della delinquenza minorile? Avete visto come questa delinquenza minorile cresce spaventosamente? Proprio io ho potuto solo superficialmente esaminare qualche cosa della scuola, dopo essere stato più di venti anni assente dall’Italia. E dopo venti anni ho constatato una differenza enorme. V’è un disorientamento che è venuto in noi adulti che siamo passati attraverso le tempeste e gli errori del fascismo, disorientamento che si è ripercosso anche nell’anima infantile. Bisogna rifare tutto quello che serve a formare la coscienza civile del fanciullo. Ed allora i problemi si complicano. Io non so se il Consiglio superiore dell’istruzione sarà quel consesso alto di Soloni che risolverà la questione del problema della scuola. Potrà essere anche questo organismo un efficace aiuto per risolvere il problema della scuola, ma che sia formato dal concorso eguale, con la stessa dignità e con le stesse facoltà, di tutte e tre le categorie: dal rappresentante universitario, dal rappresentante medio e dal rappresentante elementare.

Quindi, riservandomi di prendere la parola sugli emendamenti, io dico che senz’altro accetto la proposta formulata, dal collega Colonnetti che si proceda adesso alla costituzione della sezione superiore per i professori di Università. Dopo, sulla scuola media e sulla scuola elementare potremo procedere alle elezioni dando ai maestri italiani una visione concreta di quello che deve essere il Consiglio superiore dell’istruzione, perché sappiano scegliere gli uomini con discernimento ed abbiano la chiara visione di qual è la funzione di questo organismo che vogliono creare. (Applausi).

PRESIDENTE. Il seguito di questa discussione è rinviato a domani alle 11.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Comunico che sono pervenute le seguenti interrogazioni con richiesta di risposta urgente:

«Al Ministro dell’interno, per sapere se sia vero che abbia proposto al Presidente della Repubblica lo scioglimento dell’Amministrazione comunale di Pescara e, in caso affermativo, quali motivi lo abbiano a ciò indotto.

«Paolucci».

«Al Governo, per conoscere se risultano vere le parole pronunciate a Torino dall’onorevole Mauro Scoccimarro, il quale avrebbe affermato che il «1948 sarà l’anno dell’offensiva comunista», «nella quale l’ultima parola spetterà alle armi», e, in caso affermativo, se non ravvisi nelle parole dell’onorevole Scoccimarro un esplicito incitamento alla guerra civile.

«Rodi».

Informerò i Ministri interrogati perché facciano conoscere quando intendano rispondere.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

AMADEI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri delle finanze e del lavoro e previdenza sociale, per sapere quali provvedimenti intendano prendere per diminuire gli oneri insopportabili che gravano sull’agricoltura sarda, e se non credano opportuno disporre la sospensione dei ruoli dei contributi unificati.

«Abozzi».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dell’agricoltura e foreste, delle finanze, del tesoro e del lavoro e previdenza sociale, per conoscere se non credano che sia arrivato il momento di rivedere i «comprensori di bonifica», rimasti pressoché quelli stabiliti all’epoca fascista. Questo «congelamento» della situazione di allora porta ad una sperequazione gravemente compromettente la produzione, in quanto si seguita ad erogare danaro dello Stato in alcune zone già in passato beneficate e che ebbero perciò modo di provvedere alle opere più urgenti e più redditizie, mentre non si finanziano alcune opere necessarie, urgenti e capaci di incrementare la produzione di altri territori, sol perché esse non ricadono in comprensori di bonifica, tali dichiarati specialmente dal passato regime, talora anche per ragioni di politica di partito e di prevalenze locali.

«La depressione economica della montagna, il disordine nei sistemi irrigatori di molte zone non sono che minimamente contemplati dall’attuale rete di comprensori, sicché i fondi, che sono per essere assegnati alla agricoltura, si riverserebbero esclusivamente nelle zone privilegiate, al punto che ci sarebbe qualche provincia che praticamente non percepirebbe una lira.

«Si domanda che questo sistema di assorbimento di mezzi da parte di vecchi comprensori, sistema né utile, né onesto, né ineluttabile, venga corretto subito, prima di procedere alla distribuzione dei mezzi per i lavori invernali.

«Rivera».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se non ritenga opportuno emettere provvedimenti, che giovino ai proprietari di fabbricati di tutta Italia ed in particolar modo di quelle città, che hanno subito la distruzione del loro patrimonio immobiliare urbano.

«Detti proprietari di fabbricati chiedono almeno:

  1. a) che per i locali adibiti a commercio ed industria o ad uffici si torni alla libera contrattazione sia per la determinazione del canone, sia per la durata della locazione;
  2. b) che per quegli alloggi adibiti ad uso di abitazione, pur differenziando quelli di lusso (per numero di vani e per ubicazione) da quelli prettamente utilitari, il fitto venga aumentato, onestamente ed equamente, tenendo presenti i coefficienti del costo delle manutenzioni, della svalutazione della moneta, delle imposizioni fiscali, del costo dei servizi accessori, evitando qualsiasi proroga delle locazioni stipulate in Sicilia dalla fine del 1943 in poi con contratti a termine fisso.

«Colitto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere se non ritenga conforme ad esigenze di giustizia e di equità disporre che anche ai figli studenti degli impiegati statali si continui a corrispondere l’indennità di caro-vita anche dopo che abbiano raggiunto la maggiore età e fino a quando non abbiano conseguita una laurea od un diploma, che li ponga in condizioni di vivere senza essere più a carico della famiglia, così come con saggio provvedimento è stato disposto dall’Istituto di previdenza sociale per i figli studenti di impiegati parastatali.

«Colitto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere in qual modo intende intervenire in aiuto delle centoventi famiglie di agricoltori del Comune di San Biase di Campobasso, le quali l’8 agosto 1947 ebbero a subire non lievi danni a causa di una violenta grandinata.

«Colitto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, circa i fatti del 24 novembre, che condussero alla devastazione della sede dell’Unione monarchica italiana di Cosenza, circa i provvedimenti preventivi e repressivi adottati, nonché, in generale, sulla esistenza di progetti riparatori, che impediscano che la violenza politica raggiunga l’effetto di eliminare od attenuare l’azione dei partiti contro la quale si dirige.

«Condorelli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere perché i provveditori agli studi in genere e quello di Catania in ispecie, non accontentano i numerosi insegnanti elementari che chiedono il trasferimento da un circolo didattico ad un altro della stessa città. Se è giusto trattare queste domande alla stessa stregua di quelle che da un lontano comune chiedono il trasferimento nel capoluogo. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Sapienza».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per conoscere se non ritenga opportuno, giusto ed urgente abrogare la circolare 12075 RM, dettante norme sul reclutamento ufficiali e restrittive per i giovani che hanno ultimato il corso allievi ufficiali nell’agosto 1943, e che per le note vicende non hanno prestato servizio con il grado di ufficiale per un periodo di tre mesi.

«Per sapere, inoltre, se non ritenga ragionevole ridurre il periodo di prima nomina per coloro che dovrebbero prestare servizio militare, ad un massimo di due mesi, tenendo conto che gli interessati hanno prestato servizio militare per oltre un anno, nelle scuole, e molti anche quattro anni di servizio. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bonino».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici e l’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica, per sapere se e quali provvedimenti urgenti intendano adottare, nei limiti delle rispettive competenze, nell’interesse dei comuni della Valle Castellana (provincia di Teramo), lasciati sempre in istato di completo abbandono, al punto che sino a qualche anno fa i morti venivano seppelliti nelle cosiddette «fosse carnarie» e tuttora vi è diffuso il gozzo e spesso si verificano gravi epidemie di tifo.

«Si impone, per i predetti Comuni, innanzi tutto, la sollecita costruzione di acquedotti, di cimiteri, di scuole, di impianti per l’illuminazione elettrica che in tutta la zona non è mai apparsa, nonché il completamento della strada di congiunzione del capoluogo della Valle con la stazione ferroviaria più vicina (quella di Ascoli Piceno), strada che fu iniziata nell’aprile 1921 e non venne ultimata per un tratto residuale di soli chilometri 4 circa. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Paolucci.».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, perché, con premurosa solidarietà verso la tanto benemerita classe dei pensionati, dia piena applicazione al decreto legislativo 13 agosto 1947 sul trattamento di quiescenza, mettendo ormai fine al pagamento di acconti sui miglioramenti economici. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Musotto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, perché dica con chiarezza e precisione, anche per eliminare il sospetto di eventuali tollerate frodi da parte dei coltivatori di tabacchi o di deficienze di tecnici, per quali motivi i sigari toscani, ad onta dei prezzi elevati, quasi esorbitanti, vadano sempre peggiorando, mentre rappresentavano un prodotto portato quasi alla perfezione ed apprezzato anche all’estero, quando costavano soltanto pochi centesimi. E si tenga presente al riguardo che non si protesta sul prezzo, poiché si riconosce all’Amministrazione dello Stato oggi nelle enormi difficoltà finanziarie che si attraversano la possibilità di imporre gli oneri che meglio crede, ma si contesta solo il diritto di avvelenare il prossimo. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rubilli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere le ragioni per le quali il sindaco di Abbasanta (Cagliari), ineleggibile a consigliere comunale ai sensi dell’articolo 13 del decreto legislativo luogotenenziale 7 gennaio 1946, n. 1, è mantenuto ancora a quell’ufficio, nonostante che il prefetto della provincia abbia già da tempo segnalato il fatto illegale al Ministero. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Lussu».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 20.20.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 11:

  1. – Domanda di autorizzazione a procedere in giudizio contro il deputato Cremaschi Olindo, per il reato di cui all’articolo 336 del Codice penale. (Doc. I, n. 16).
  2. – Domanda di autorizzazione a procedere in giudizio contro il deputato Colombi Arturo, per il reato di cui all’articolo 595, 2° e 3° comma, del Codice penale. (Doc. I, n. 20).
  3. – Domanda di autorizzazione a procedere in giudizio contro il deputato Colombi Arturo, per il reato di cui all’articolo 595, 2° e 3° comma, del Codice penale. (Doc. I, n. 23).
  4. Seguito della discussione del disegno di legge:

Riordinamento dei Corpi consultivi del Ministero della pubblica istruzione. (35).

Alle ore 16:

  1. Votazione a scrutinio segreto del disegno di legge:

Norme per la istituzione dell’Opera di valorizzazione della Sila. (19).

  1. Seguito della discussione del disegno di legge:

Riordinamento dei Corpi consultivi del Ministero della pubblica istruzione. (35).

  1. – Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

ANTIMERIDIANA DI MARTEDÌ 9 DICEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCXXIII.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI MARTEDÌ 9 DICEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Congedi:

Presidente

Interrogazioni (Svolgimento):

Presidente

Marazza, Sottosegretario di Stato per l’interno

Pastore Raffaele

Stampacchia

Fiorentino

D’Amico

Castiglia

Montalbano

Tumminelli

Treves

Di Fausto

Monterisi

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Marazza, Sottosegretario di Staio per l’interno

Mazza

La seduta comincia alle 11.

AMADEI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati Mastino Pietro e Quintieri Adolfo.

(Sono concessi).

Interrogazioni.

PRESIDENTE; L’ordine del giorno reca: Interrogazioni.

Gli onorevoli Cicerone, Caccuri, De Maria, Stampacchia, Gabrieli, Monterisi, Pastore Raffaele, Perrone Capano, Codacci Pisanelli hanno tutti presentato interrogazioni relative ad incidenti accaduti in Puglia.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Chiedo che si verifichi la presenza dei vari interroganti perché possa regolarmi in proposito.

PRESIDENTE. Non sono presenti gli onorevoli Cicerone, Caccuri, De Maria, Gabrieli, Codacci Pisanelli.

L’onorevole Perrone Capano ha chiesto che la sua interrogazione sia rinviata.

PASTORE RAFFAELE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PASTORE RAFFAELE. Vorrei andare alle fonti delle agitazioni e conoscere il pensiero degli altri interroganti.

Si dovrebbe pertanto rinviare tutte le interrogazioni.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Vorrei far intendere all’onorevole Pastore Raffaele la necessità in cui mi trovo di rinviare lo svolgimento della sua interrogazione a più tardi, perché sono in attesa di alcuni elementi che mi devono essere mandati.

PASTORE RAFFAELE. Io dicevo che, siccome tutti si riallacciano allo stesso problema (pare che siamo in nove a parlare delle violenze in Puglia), occorre che il Sottosegretario risponda a tutte le interrogazioni onde assodare l’origine delle violenze e sentire come il Governo intenda venire incontro ai bisogni di quella Regione.

PRESIDENTE. Onorevole Pastore, la prego di non entrare nel merito, per ora.

STAMPACCHIA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

STAMPACCHIA. Mi pare che il Sottosegretario Marazza abbia detto che vuole rispondere a queste interrogazioni alla fine della seduta antimeridiana.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Questa mia richiesta era limitata soltanto all’interrogazione dell’onorevole Pastore Raffaele, perché attendevo degli elementi informativi, ma poiché si tratta di una catena di interrogazioni tra loro realmente collegate, sono d’accordo nel rimandarle tutte alla fine di questa seduta.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, così rimane stabilito.

(Così rimane stabilito).

Segue l’interrogazione dell’onorevole Condorelli, al Ministro dell’interno, «circa i fatti del 24 novembre, che condussero alla devastazione della sede dell’Unione monarchica italiana di Cosenza, circa i provvedimenti preventivi e repressivi adottati, nonché, in generale, sull’esistenza di progetti riparatori, che impediscano che la violenza politica raggiunga l’effetto di eliminare od attenuare l’azione dei partiti contro la quale si dirige».

L’onorevole interrogante non è presente.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Potrei rispondere alla interrogazione dell’onorevole Condorelli, ma egli non è presente. Penso che questa interrogazione si potrebbe unire, per quanto riguarda la risposta, ad una serie di altre interrogazioni presentate sul medesimo argomento, e che non sono nell’ordine del giorno di oggi.

PRESIDENTE. Sta bene.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Sansone, al Ministro dell’interno, «per conoscere in base a quale ordine e per quali motivi i carabinieri di Giugliano (Napoli) hanno perquisito senza preavviso le abitazioni di numerosi cittadini iscritti ai partiti socialisti e comunisti. Per conoscere, altresì, se tale abusiva operazione di polizia venne portata preventivamente a conoscenza del Ministero dell’interno o del comando dei carabinieri ed infine per conoscere quali energici provvedimenti intende adottare contro i responsabili».

Non essendo presente l’onorevole interrogante, s’intende che vi abbia rinunciato.

Segue l’interrogazione degli onorevoli Bellavista, Villabruna e Crispo, al Ministro dell’interno, «sui recenti fatti di Caltanissetta ed Agrigento, nei quali vennero assaltate e devastate le sedi di partiti politici. Ed in particolare, se siano stati identificati ed arrestati gli autori del tentato omicidio in danno del vicecommissario di pubblica sicurezza Di Natale, che venne derubato dell’orologio e di altri effetti personali in occasione della grave aggressione subita; se sia stato deferito all’autorità giudiziaria, come responsabile del reato d’istigazione a delinquere, il deputato regionale Gino Cortese; se siano stati identificati ed arrestati i lanciatori di bombe contro la sede del Partito liberale di Agrigento, attentato conclusosi col ferimento di cinque carabinieri».

Poiché nessuno degli interroganti è presente, si intende che vi abbiano rinunciato.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà..

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Poiché le tre interrogazioni che seguono, degli onorevoli Fiorentino, D’Amico e Castiglia, concernono argomenti affini, chiedo che siano riunite.

PRESIDENTE. Sta bene. Saranno svolte congiuntamente le seguenti interrogazioni:

Fiorentino e Musotto, al Ministro dell’interno, «sul contegno tenuto dalla polizia durante la recente manifestazione di protesta dei minatori di Aragona, in Agrigento, e sui provvedimenti che reputa indispensabile adottare per garantire la libertà dei lavoratori nella difesa del loro diritto alla vita»;

D’Amico, Montalbano e Fiore, al Ministro dell’interno, «per conoscere il pensiero del Governo sulle gravi violenze poliziesche contro un pacifico corteo di lavoratori svoltosi in Agrigento, e quali provvedimenti intenda prendere contro i responsabili»;

Castiglia, al Ministro dell’interno, «sui fatti di violenza comunista di Caltanissetta e sulle misure adottate per prevenire la minaccia, di «più gravi pericoli» che incomberebbero sulla Sicilia, formulata dall’esponente comunista signor Gino Cortese, consigliere regionale dell’Assemblea siciliana».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere congiuntamente a queste interrogazioni.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. I fatti – e mi riferisco anzitutto a quelli di Caltanissetta – sono i seguenti. Il mattino del 19 novembre il deputato all’Assemblea siciliana, signor Cortese, capeggiando una dimostrazione non autorizzata di alcune centinaia di zolfatari, si presentava alla Prefettura di Caltanissetta. Colà una commissione, composta dallo stesso deputato, dal segretario provinciale di quella federazione del Partito comunista, dall’ispettore dello stesso Partito, dottor Contini, dal segretario della Camera del Lavoro e dal signor Roxas segretario provinciale della Federterra, si presentava al Prefetto e chiedeva, a nome dei dimostranti, l’immissione nel possesso degli ex-feudi di Cicutella e Polizzello, già assegnati da tempo alle cooperative che li avevano domandati, mentre i relativi provvedimenti sarebbero stati sospesi; la chiusura della sede del Movimento sociale italiano, e l’allontanamento del capo dell’Ispettorato dell’Agricoltura locale, accusato di parzialità verso gli agrari. Dopo che la commissione era stata ricevuta e che aveva ottenuto dal Prefetto esplicite assicurazioni di interessamento, i dimostranti si formavano in corteo e si dirigevano con propositi aggressivi verso la sede del Movimento sociale italiano, a protezione della quale, in considerazione degli avvenimenti e di episodi analoghi di violenza, che si erano già verificati in altre parti d’Italia, erano state adottate, nei limiti del possibile, misure di vigilanza. I dimostranti, però, non esitavano ad assalire le forze di pubblica sicurezza, che erano appunto di guardia alla sede del detto Movimento, e riuscivano ben presto ad averne ragione. Nella colluttazione rimasero contusi e feriti un ufficiale, un sottufficiale ed altri carabinieri, giudicati guaribili dai quattro ai dieci giorni. Mentre questa prima aggressione avveniva, un gruppo di dimostranti riusciva a dividere dalle forze che presidiavano la sede del Movimento sociale italiano, il funzionario di polizia che dirigeva le operazioni, dottor Di Natale, e, trascinatolo in una via adiacente, lo percuotevano brutalmente fino a ridurlo in fin di vita, per frattura della base cranica. I militari dell’arma dei carabinieri e gli agenti di pubblica sicurezza, che si trovavano impegnati poco lontano, non potevano aiutare il funzionario, se non più tardi, quando, informati del fatto, caricavano la folla e riuscivano ad aprirsi un varco ed a soccorrerlo.

In questa circostanza, però, la sede del Movimento sociale italiano rimaneva scoperta ed in questo momento i dimostranti riuscivano ad invaderla e a devastarla. Dopo di ciò il deputato Cortese arringava la folla. Durante questo suo discorso vennero minacciati gravi avvenimenti per il caso in cui le richieste avanzate al Prefetto dalla commissione, della quale ho parlato, non fossero state accolte entro la giornata. Invitava quindi la massa a raggiungere la Camera del lavoro, per comunicazioni che avvertiva di non poter fare pubblicamente. Dopo di questo un altro forte gruppo di dimostranti, staccatosi dal grosso, si presentava dinanzi alla sede del Partito monarchico in Via Calafati ed approfittando anche qui del fatto che i carabinieri e gli agenti di pubblica sicurezza avevano dovuto abbandonare il posto per correre in soccorso di quelli che prima si trovavano impegnati nella colluttazione di cui ho parlato, entravano nei locali, li devastavano e ne distruggevano i cartelli. Transitando per la città, diretti verso questi loro obiettivi, i dimostranti si trovavano a passare dinanzi alla sede della Democrazia cristiana e qui si indugiavano tumultuando, e distruggevano un albo esposto, tutti i cartelli, e ne tentavano l’invasione. Però, per l’intervento di alcuni fra gli stessi dimostranti, questo tentativo venne interrotto. Da parte dell’autorità di pubblica sicurezza, attesa anche la gravità del fatto, culminato nella aggressione del Commissario dottor Di Natale, furono compiute diligenti indagini per identificare i responsabili e procedere al loro arresto. Senonché tutti costoro si resero latitanti e tuttora non risulta che alcun arresto abbia potuto essere eseguito. Sono stati tutti denunciati all’autorità giudiziaria. Il deputato Gino Cortese, nonché gli altri che erano con lui, e precisamente il segretario della Federterra e l’ispettore dottor Contini di cui ho già parlato, sono stati denunciati per tentato omicidio, devastazione, saccheggio, resistenza ed oltraggio agli agenti della forza pubblica.

Sono stati parimenti denunziati tali La Rocca, Speziale, La Villa Cirano e Nicosia, per devastazione, saccheggio, nonché per violenza e resistenza agli agenti della forza pubblica.

Il funzionario dottor Di Natale, giudicato con prognosi riservata per commozione cerebrale, con probabile frattura della base cranica e tentativo di strangolamento, non subì però alcun furto, com’è accennato in una delle interrogazioni alle quali rispondo. Durante l’aggressione egli ebbe, infatti, a perdere il cappello, il cappotto e anche la pistola; ma questi indumenti e quest’arma gli furono successivamente restituiti.

Quanto ad Agrigento, gli avvenimenti risalgono al 26 novembre. In quel giorno fu tenuta in Prefettura una infruttuosa riunione tra i concessionari della miniera di zolfo Montana Mintini di Aragona e i rappresentanti sindacali degli zolfatari, allo scopo di risolvere una dibattuta questione circa il pagamento di sei milioni, richiesti parte per fronteggiare il pagamento del 50 per cento delle ferie e gratifiche già maturate e parte per la continuazione della gestione delle miniere, che da tempo erano passive.

Contrariamente all’accordo preliminare, mentre questa riunione si stava svolgendo, venivano fatti affluire dinanzi alla Prefettura circa 300 zolfatari, i quali, appena appreso che la riunione non aveva dato un esito immediato, cominciarono a tumultuare e tentarono di invadere la Prefettura.

L’opera persuasiva, tuttavia, svolta personalmente dal Questore, oltre che dall’Arma dei carabinieri e da funzionari di pubblica sicurezza, riusciva a riportare la calma e i dimostranti ritornarono alla Camera del lavoro.

Più tardi, però, un altro corteo di zolfatari attraversava la città, e, dopo aver distrutto anche qui l’albo murale della sede della Democrazia cristiana, emettendo grida ostili al Governo, al Prefetto e agli organi di polizia, tentava di invadere la Camera di commercio, sede anche dell’Associazione degli industriali. Però questo tentativo poteva essere frustrato dal tempestivo intervento della pubblica sicurezza.

Successivamente i dimostranti tentavano di assalire la sede del partito liberale; ma anche qui si trovarono di fronte ad un reparto efficiente di carabinieri e di agenti di pubblica sicurezza e dovevano desistere dal loro tentativo. Senonché, nel corso di questo episodio partirono da parte dei dimostranti alcuni colpi di rivoltella sparati in aria, sicché fortunatamente gravi conseguenze non si ebbero: che si trattasse di colpi partiti dai dimostranti è dimostrato anche dal fatto che sul posto vennero trovati dei bossoli di cartucce di rivoltella del calibro 6,35, che non è in dotazione ai carabinieri e nemmeno alle guardie di pubblica sicurezza. Vennero pure sul terreno trovate due bombe a mano, tipo Breda, delle quali una senza sicura. Il Commissario che dirigeva le operazioni, tale dottor Cardinale, viste queste bombe a terra, intuito il pericolo della loro esplosione – almeno di quella priva di sicurezza – se ne impossessava e le lanciava in uno spazio vicino che riteneva deserto. Purtroppo invece nelle vicinanze si trovavano alcuni agenti di pubblica sicurezza ed alcuni civili i quali venivano leggermente feriti: e precisamente quattro agenti di pubblica sicurezza e cinque civili.

Si deve giudicare da quanto ho esposto, che l’azione delle forze di polizia è stata adeguata alle esigenze ed è valsa ad evitare più gravi conseguenze. Nessun altro episodio, né il lancio di bombe contro la sede del Partito liberale, né il ferimento di cinque carabinieri di cui è cenno in una delle interrogazioni cui sto rispondendo, hanno un qualche fondamento.

I rappresentanti degli zolfatari presentarono al Prefetto un ordine del giorno di viva protesta contro gli eccessi della polizia, di richiesta immediata di allontanamento del Commissario Cardinale e di indennizzo alle vittime del «piombo poliziesco». Altro ordine del giorno più vivace ancora veniva presentato il giorno successivo, con la proclamazione dello sciopero dei minatori e la minaccia di sciopero generale per la data del primo dicembre.

Pertanto, in seguito a queste proteste, crebbe, come era naturale, da parte della Prefettura, l’impegno ad acclarare i fatti ed a stabilire le eventuali responsabilità. Debbo aggiungere che, a questo punto, mi corre l’obbligo di dichiarare che i fatti acclarati sono quelli che io ho esposto e che sono stati, dal momento in cui le interrogazioni sono state presentate sino ad oggi, esattamente confermati da tre rapporti ricevuti da tre differenti uffici.

A titolo di informazione, debbo aggiungere poi che il problema relativo alla questione economica, che è stato alla base di questi incidenti, ha potuto essere risolto, in quanto quella tale somma di sei milioni, ritenuta necessaria per provvedere ai pagamenti cui ho accennato, è stata in seguito anticipata dal Governo regionale, per effetto di un sovvenzionamento ottenuto dalla Cassa di risparmio del Banco di Sicilia.

I fatti sono evidentemente molto gravi e molto incresciosi. Incresciosi nel loro svolgimento, incresciosi nella causa che li ha provocati; ad ogni modo, non pare – ed è precisamente questo che preme in modo particolare al Governo di far presente – che dallo svolgimento di questi fatti possa alcunché imputarsi agli organi e di polizia e di Governo. Non pare nemmeno che da questi fatti, limitati così come essi furono nei loro elementi determinanti, possa fondatamente temersi il pericolo di imminenti episodi analoghi.

Desidero ad ogni modo rassicurare gli onorevoli interroganti che da parte del Governo si sono prese quelle disposizioni che parevano necessarie; e precisamente venne provveduto al potenziamento degli organi di polizia, ai quali vennero date particolari disposizioni, perché tutto ciò che potesse servire ad un’eventuale prevenzione venisse posto in essere, prima che si sia costretti di nuovo a ricorrere ad operazioni di repressione.

PRESIDENTE. L’onorevole Fiorentino ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

FIORENTINO. La mia interrogazione si riferisce alla manifestazione dei minatori di Aragona in Agrigento, e voleva mettere a fuoco la situazione di miseria e di esasperazione in cui vivono i nostri zolfatari; voleva proiettare questa particolare situazione nell’atmosfera di generale malcontento che agita un po’ tutto il Paese, in questo dopoguerra ancor più travagliato a causa dell’ingordigia delle classi padronali, sorde al dolore dei nostri lavoratori e soprattutto a causa dell’inerzia del Governo nel risolvere i problemi economici.

Il Governo ha risposto, mimetizzando il fatto, per trasformarlo in un semplice episodio, direi in un banale episodio di piazza; ma nello stesso tempo ci ha detto che alla base di quella agitazione era una ragione economica, tanto che la Prefettura è intervenuta, e un concordato, che durerà, come i precedenti, meno di un mattino, è stato stipulato.

Il Governo – anche perché gli interroganti appartengono ad opposti settori – cerca di dare ragione un po’ a tutti. Dice che gli zolfatari pur mossi da fondate ragioni avrebbero fatto meglio tuttavia a non provocare incidenti, e d’altra parte giustifica la polizia, perché, se quel tale Commissario ha lanciato la bomba sulla folla dei lavoratori, lo ha fatto per evitare maggiori conseguenze. Come al solito, tutti hanno ragione.

Mi viene in proposito alla mente l’episodio di quel giudice di pace che, dopo aver ascoltato gli opposti interessati in una vertenza dava ragione a tutti e due, sorprendendo il figliuolo che lo stava a sentire. «Papà – interrogava il fanciullo – ma è possibile che abbiano tutti e due ragione?». E il giudice disinvolto rispondeva: «Sì, anche tu hai ragione».

Su questa via, onorevole Sottosegretario e onorevoli colleghi, seguendo questa politica, si autorizza implicitamente il Commissario di Pubblica sicurezza di Agrigento a lanciare la bomba sugli zolfatari, si autorizza la polizia di Primavalle a sparare sui lavoratori.

Che cosa chiedono questi lavoratori in Sicilia, a Roma e a Milano? Chiedono lavoro e pane. E dappertutto è sangue, invece.

Perché tanta incomprensione? L’episodio di cui all’interrogazione è un particolare aspetto della situazione tragica in cui vivono gli zolfatari e direi quasi della situazione nella quale essi aspettano la morte: lavoro bestiale, inumano, quando c’è; remunerazione inadeguata, spesso corrisposta con ritardo; alimentazione insufficiente. E se è vero che alla vigilia della guerra la classica industria mineraria siciliana dava ancora una produzione di circa cinque settimi del totale della produzione nazionale e di circa un tredicesimo della produzione mondiale; se è vero che questa industria delle nostre zolfare deteneva il primato della produzione mondiale, prima della scoperta dei depositi della Luisiana e del Texas; se è vero tutto questo, soltanto un Governo che non è né democratico né cristiano (Commenti al centro) può rimanere indifferente di fronte alla dispersione di questa fonte di ricchezza, può voler soffocare poliziescamente il grido di miseria e di esasperazione dei nostri zolfatari.

Una voce al centro. Aizzati da voi!

PRESIDENTE. Onorevole Fiorentino, tenga conto dei suoi cinque minuti.

FIORENTINO. Questi zolfatari, onorevoli colleghi, vivono tuttora come ai tempi dell’inchiesta del Sonnino, del Chiesi e del Colajanni. Vivono nelle condizioni che causarono i moti del ’93, repressi ferocemente da Crispi, siciliano, cui mi auguro, non vorrà ispirarsi l’attuale Ministro dell’interno, siciliano anche lui; condizioni che fecero inorridire una delegazione russa che accompagnai a visitare la miniera «Ciavolotta» di Agrigento; e che richiamarono l’attenzione di un repubblicano di sicura fede, l’allora commissario per la Sicilia, Giovanni Selvaggi, il quale, un anno fa, alla vigilia di Natale, volle visitare i più importanti bacini minerari siciliani per rendersi conto dei bisogni dell’industria e dei lavoratori e prospettare al Governo le soluzioni che ancora si attendono, che non sono venute, e che non possono venire certamente da questo Governo.

Voi, colleghi, ricorderete certamente cronache e fotografie che giornalisti al seguito dell’Alto Commissario pubblicarono allora su tutti i giornali. Qui ne ho uno ormai logoro. Riporta una fotografia delle «caverne dove dormono i minatori dopo ore di lavoro senza sole»…

PRESIDENTE. Onorevole Fiorentino, cerchi di concludere. Anche gli altri interroganti hanno diritto allo svolgimento della loro interrogazione.

FIORENTINO. Un’altra fotografia mostra tre «carusi» deformati e precocemente invecchiati, così come precocemente invecchiati sono gli altri mille ragazzi, disfatti dalla fatica inumana della zolfara…

PRESIDENTE. Onorevole Fiorentino, non è questa la sede per dilungarsi tanto su questo argomento. Lei dice cose che hanno importanza grandissima, ma che non possono essere trattate adeguatamente in sede d’interrogazione.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Quanto meno dovevano essere accennate nel testo dell’interrogazione.

FIORENTINO. Onorevole Sottosegretario, voglio proprio riferirmi alla seconda parte della mia interrogazione e precisamente alle condizioni economiche, nella sua risposta indicate come vero movente della manifestazione degli zolfatari di Aragona, la cui miniera conosco perché nel ’45 ne fui nominato Commissario prefettizio. Trovai anche allora la medesima situazione: un passivo di circa 12 milioni, di cui oltre la metà costituito da un credito dei minatori per salari arretrati. Ricordo che anche allora si fecero delle riunioni in Prefettura, che anche allora i proprietari non vollero aderire, che anche allora ci furono delle agitazioni. E soltanto la minaccia di affidare la gestione diretta della miniera ad una cooperativa di zolfatari valse a comporre la vertenza.

PRESIDENTE. Concluda, onorevole Fiorentino, la prego!

FIORENTINO. Concludo, onorevole Presidente ed onorevole Sottosegretario. Non si risolve il problema delle nostre miniere con l’intervento della polizia!

È un problema vitale, onorevole Presidente, che deve stare a cuore di tutti e che è bene far conoscere…

PRESIDENTE. Lo conosco da 40 anni!

FIORENTINO. Ma questo Governo non dà nessun affidamento, non lo dà perché ritiene di poterlo risolvere, come gli altri conflitti sociali, con la repressione (Commenti al centro). Deputati di diversi settori, anche democristiani, da tempo richiamano i Ministeri interessati, pur non di meno la situazione permane qual era. Perciò i lavoratori si agitano. Onorevole. Sottosegretario, dica all’onorevole. Ministro dell’interno che con le armi non si risolve il problema dei minatori di Sicilia!

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Questa che lei ha sollevato è una questione di carattere generale che esorbita dal contenuto dell’interrogazione. Io vorrei che quando si presenta un’interrogazione si dicesse chiaramente quello che si desidera che il Governo risponda. Nella specie, si parla del contegno della polizia durante la recente manifestazione di protesta, ecc.

Onorevole Fiorentino, io le devo dire che se nella sua interrogazione ella avesse semplicemente accennato a quello che poi ha dichiarato qui, il Governo avrebbe potuto dare ben diversa risposta e lei avrebbe potuto dichiararsi ben diversamente sodisfatto.

FIORENTINO. Nella mia interrogazione chiedo dei provvedimenti; che si faccia cioè quello che si deve fare per garantire il diritto alla vita e la libertà dei lavoratori nella difesa di questo diritto.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Ma lei solleva un problema di polizia nell’interrogazione. Ad ogni modo, in linea di fatto, desidero dichiarare che la polizia non ha sparato sulla folla.

PRESIDENTE. L’onorevole D’Amico ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto. Tenga presente, però, che ha solo cinque minuti a disposizione. Tutti gli oratori devono tener presente questa raccomandazione, perché desidero che tutte le interrogazioni all’ordine del giorno siano svolte.

D’AMICO. Signor Presidente, prendo atto della sua raccomandazione e le assicuro che nelle mie dichiarazioni farò di tutto per impiegare il tempo strettamente necessario. Dichiaro di non essere sodisfatto, perché nelle comunicazioni dell’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno in relazione ai gravi fatti avvenuti in Agrigento il giorno 26 del mese di novembre, ho rilevato delle lacune che mi prefiggo di colmare per amore della verità, e per potere giudicare da un punto di vista obiettivo e sereno gli avvenimenti e stabilire quali fattori hanno influito a determinarli.

Il giorno 26, circa 500 minatori di Aragona erano convenuti nel capoluogo per protestare presso le Autorità contro gli affittuari (gabelloti) della miniera Emma – certi Graceffo e Vullo – i quali debbono ancora corrispondere ai lavoratori le cento ore della gratifica natalizia e arretrati salariali di sensibile consistenza.

Il corteo dei lavoratori si fermava dopo avere percorso in perfetto ordine le vie principali della città dinanzi alla Prefettura, mentre i responsabili, i rappresentanti dei minatori venivano ricevuti dal Prefetto ed alla presenza del gabelloto Graceffo.

Nessun risultato concreto poteva essere raggiunto e la riunione si chiudeva, in seguito alla iniziativa del Prefetto di lasciare passare altre 48 ore per tentare, in questo lasso di tempo, la soluzione della questione. È tassativamente stabilito che l’accordo non poté essere raggiunto per la ostilità e caparbietà del Graceffo.

I rappresentanti dei lavoratori accettavano la proposta e quindi ritornavano tra i minatori per annunziare l’esito dell’incontro.

I minatori all’annuncio della nuova dilazione non potevano frenare il proprio disappunto e in preda all’esasperazione formavano un corteo e si dirigevano verso il Corso Ateneo mentre ad essi si aggiungevano altri gruppi di minatori giunti da Favara e operai di Agrigento. Alla vista di un albo murale della democrazia cristiana la collera dei lavoratori esplodeva e lo strappavano dal muro dopo averlo fracassato.

In via Giambertoni i lavoratori notavano un altro albo murale del Partito liberale italiano ed anche quest’ultimo veniva strappato e fracassato al suolo.

Fu a questo punto che certo Macaluso, della Federazione regionale dei minatori e certo Cordaro, della Federazione provinciale dei minatori riuscivano ad improvvisare un comizio per ricondurre alla calma gli operai, invitandoli a ritornare pacificamente alle loro case, in attesa di riprendere la discussione allo scadere delle 24 ore.

L’intervento dei due responsabili delle organizzazioni riusciva a ristabilire la calma fra i minatori, che tranquillamente riformavano il corteo dirigendosi verso gli autocarri che li attendevano per ritornare ad Aragona.

Se non che, all’incrocio tra via Giambertoni e la via Atenea, il passo era stato bloccato dalla polizia celere e reparti mobili in pieno assetto di guerra con l’elmetto in testa e armati di mitra e di moschetti.

Veniva bloccato il corteo per cui praticamente i lavoratori si trovavano improvvisamente rinserrati in una sacca senza alcuna possibilità di uscita, di modo che il corteo si arrestava. La collera dei lavoratori si era già placata ed in essi era subentrata la calma. Immediatamente il Commissario di pubblica sicurezza, Cardinale, dava l’ordine della carica. A colpi di sfollagente e con i calci dei mitra per diversi minuti infierirono i poliziotti mentre scoppiavano degli spari ed esplodevano bombe a mano; alcuni minatori dall’urto violento dei poliziotti, erano stati lanciati a terra e su di essi continuarono a calare selvaggiamente i calci dei moschetti e gli sfollagente. Un moschetto si spaccò sulla spalla di un operaio.

Quattro sono stati feriti da schegge di bombe: Moncada Salvatore, Danisi Salvatore, Cannistraro Carmelo e il sedicenne Terrasini, quest’ultimo tanto gravemente da essere stato immediatamente avviato in paese presso la famiglia. Si lamentano inoltre 15 contusi fra cui il segretario della Federazione provinciale dei minatori, Cordaro Salvatore.

Immediatamente dopo, mentre gli operai si disperdevano, la polizia organizzava un carosello di jeep e di autocarri per la città intimando le mani in alto ai cittadini, ai quali veniva imposto di ritirarsi immediatamente. Ad Agrigento c’era atmosfera di coprifuoco.

Subito dopo, una Commissione composta da rappresentanti del Blocco del Popolo, da deputati socialisti e comunisti e rappresentanti delle organizzazioni sindacali si è recata dal Prefetto per protestare vibratamente contro questa vergognosa, criminale provocazione.

I rappresentanti dei lavoratori hanno chiesto chi avesse dato l’ordine di sparare. Il Prefetto, il Questore, il Maggiore dei carabinieri, che erano presenti, hanno concordemente risposto che nessuno di loro aveva impartito ordini in tal senso. A questa risposta i rappresentanti del Blocco del Popolo, chiedevano allora che una inchiesta fosse aperta ed indicarono come unico responsabile diretto della carica il Commissario Cardinale.

Evidentemente da questi fatti devo trarre le mie conclusioni e dico:

1°) che la causa determinante dello stato di esasperazione dei minatori è stato il mancato accordo non raggiunto a causa della caparbietà del gestore della miniera Emma;

2°) che i danni derivati dalla esplosione della collera dei minatori si limitano alla distruzione di due album murali, uno del Partito democratico cristiano e uno del Partito liberale italiano;

3°) che i dirigenti sindacali che si trovavano nel corteo, intervenuti energicamente a tempo opportuno, riuscirono a calmare gli operai, dimostrando alto senso di responsabilità e di civismo;

4°) che i minatori ormai in uno stato di calma assoluta si disponevano a ritornare pacificamente alle loro case dirigendosi verso gli autocarri che li attendevano;

5°) che nessuna ragione plausibile c’era per indurre il Commissario ad ordinare la carica; egli lo ha fatto con l’evidente scopo della provocazione e con l’evidente brutale volontà d’infierire selvaggiamente sui lavoratori.

In relazione a tutti gli elementi che emergono dai gravi fatti avvenuti in Agrigento è facile pervenire alla illazione: che la situazione politica anche nella provincia di Agrigento è grave a causa della politica del Governo il quale si è dichiarato ostile alle masse lavoratrici, per fare ciecamente gli interessi delle categorie padronali e che pur di raggiungere tale obiettivo ordina di sparare sui lavoratori pacifici ed inermi che reclamano il loro diritto alla vita. (Interruzioni al centro).

La responsabilità di questi fatti è del Governo centrale.

ALDISIO. Non è vero: voi volete tenere il Paese in perenne agitazione; questa è la verità.

D’AMICO. Onorevole Aldisio, in contrasto con le affermazioni fatte da altri interroganti, noi abbiamo sentito stamane illustri rappresentanti del Governo dirci, che non furono affatto gli operai a lanciare la bomba, ma il Commissario di pubblica sicurezza. Nessun ferito c’è stato da parte dei carabinieri. Quindi, il falso proviene da altre fonti. Noi affermiamo la pura e santa verità (Interruzioni al centro).

Onorevole Sottosegretario, le masse dell’agrigentino, operai, contadini e minatori in seguito ad una deliberazione del Consiglio delle Leghe, approvato da tutte le correnti politiche, compresa la vostra, hanno richiesto ed ottenuto la sospensione dall’incarico del Commissario Cardinale. Provvedete ad allontanare definitivamente da Agrigento questo elemento funesto, diretto responsabile della vergognosa e criminale azione compiuta contro lavoratori che hanno il solo torto di vivere in permanente disagio morale e materiale. Sappiate che gli operai dell’agrigentino hanno raggiunto una certa maturità politica e sono in grado di capire gli sviluppi della situazione politica italiana. Da essi ho avuto l’incarico di dirvi che gli incidenti di Agrigento avrebbero potuto essere evitati, se essi non rappresentassero un anello della catena.

Potrebbero essere evitati tutti, con una saggia politica governativa, cambiando metodo, indirizzo; mutando l’atmosfera di odio che avete creato in Italia contro i lavoratori, rei solamente di reclamare il minimo riconoscimento, da parte degli organi responsabili, dei loro sacrosanti diritti. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. L’onorevole Castiglia ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

CASTIGLIA. Ringrazio il Governo della risposta data alla mia interrogazione, relativa ai fatti di Caltanissetta. Il fatto, del quale mi sono occupato nella mia interrogazione, e del quale si sono occupati anche il collega Bellavista ed altri, è un fatto episodico; che come episodio avrei potuto forse trascurare ma che non ho trascurato, perché ho la sensazione che sia una delle tante manifestazioni, le quali tendono a mantenere uno stato di perenne agitazione nel Paese, e particolarmente nella mia Sicilia, la quale si prefigge di raggiungere un solo fine: quello di rimarginare le sue ferite, di vedere ripristinato l’imperio della legge, perché vuole veramente contribuire alla rinascita ed alla ricostruzione del Paese.

Il fatto, del quale ci siamo occupati, è particolarmente grave, perché trae origine da un pretesto: dal pretesto dell’assegnazione di feudi che era già avvenuta, come ha detto l’onorevole Sottosegretario. Ed è tanto più grave, in quanto una persona, munita di un mandato, quale il comunista onorevole Gino Cortese, deputato al Parlamento della Regione siciliana, si mise a capo della manifestazione, non autorizzata e neppure segnalata alla polizia, e fece quello che poteva fare uno degli agitatori, che varino normalmente sotto il nome di elementi irresponsabili; viceversa egli non ha esitato ad assumere una gravissima responsabilità, la quale sicuramente dovrà formare oggetto di giudizio severo da parte delle autorità.

Ed il fatto è grave per la brutalità con cui si è svolto. Gli onorevoli colleghi hanno sentito dalla bocca dell’onorevole Sottosegretario per l’interno come il Commissario Di Natale, il quale era fermo al suo posto e non aveva dato nessun ordine né di caricare, né di fare uso delle armi, né di fare qualsiasi azione che potesse essere ritenuta provocatoria, sia stato da parte dei dimostranti tratto dal posto nel quale si trovava e trascinato a viva forza in un vicolo adiacente, bastonato a sangue, con le conseguenze che abbiamo sentito: a questo sventurato è stata prodotta la frattura della base del cranio ed i sanitari riscontrarono anche tracce di strangolamento; la qual cosa sta a denotare la particolare ferocia, con la quale agirono questi elementi, che sono stati in parte indentificati, ma che purtroppo ancora non sono stati tratti in arresto.

La Sicilia, come ho detto, chiede soltanto il ripristino dell’imperio della legge e vuole che di fatto la libertà di pensiero e di associazione sia rispettata; non vuole che le si imponga questo stato di perenne agitazione, che è sicuramente contro qualsiasi possibilità di ricostruzione; non vuole che si instaurino regimi di violenza, regimi di odio fraterno, che non danno sicuramente pane e prosperità ai lavoratori, ma che servono soltanto a far loro versare altre lacrime ed altro sangue; perché ricordo a tutti i colleghi che il Di Natale, anche se Commissario di pubblica sicurezza, è un lavoratore, è un uomo il quale presta la sua opera al servizio dello Stato, per una funzione di ordine che deve trovare il plauso da parte di tutti i responsabili del Paese. Ed allora noi siamo contro questo odio fraterno, che non contribuisce certo alla prosperità del Paese stesso. Il Governo è invitato ad intervenire con tutta la energia di cui si sentirà capace perché questi episodi, ove si ripetessero, denuncerebbero carenza dei poteri dello Stato. Per ciò invitiamo il Governo ad una energia che sia efficiente, non soltanto per evitare questi incidenti, ma, possibilmente, per prevenirli, perché se l’autorità di pubblica sicurezza avesse sciolto preventivamente questo corteo, il quale non era autorizzato, probabilmente non sarebbero avvenuti i fatti di violenza di cui oggi ci rammarichiamo. Noi desideriamo che il Governo intervenga con tutta la sua forza, perché in quest’opera di restaurazione della legge e della libertà avrà solidali tutti coloro che amano veramente il Paese, che amano la sua pace e che amano la sua prosperità. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. Segue una interrogazione degli onorevoli Fiore, Montalbano e D’Amico, ai Ministri dell’interno e dell’agricoltura e foreste, «per conoscere: 1°) per quali ragioni il Governo ha revocato o sospeso la concessione di terreno, in territorio di Mussomeli (ex feudo Polizzello), fatta regolarmente dalla Commissione per l’assegnazione delle terre incolte o mal coltivate della provincia di Caltanissetta; 2°) quali provvedimenti il Governo intenda adottare per sanare la situazione creatasi col misconoscimento dei diritti dei contadini, per sottrarre la provincia di Caltanissetta al dominio della mafia, cause prime dei recenti incidenti, e per richiamare le autorità locali ad una giusta comprensione delle richieste e delle agitazioni dei contadini».

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Poiché il Ministro dell’agricoltura e foreste ha dovuto assentarsi, risponderò io, dietro suo incarico, alla interrogazione.

PRESIDENTE. L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha. facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Il Ministero dell’agricoltura, unitamente a quello dell’interno, escludono di aver revocata la concessione dell’ex-feudo di Polizzello, in comune di Mussomeli, disposta dal prefetto di Caltanissetta, con decreto del 20 ottobre 1947; escludono del pari di aver disposta la sospensione della esecuzione del predetto decreto prefettizio.

Risulta che il prefetto di Caltanissetta, nell’esercizio dei suoi poteri di esame di legittimità della decisione della Commissione provinciale per la concessione delle terre incolte, che si era pronunciata per la concessione di una parte del feudo Polizzello ad alcune cooperative richiedenti, ebbe corrispondenza con organi tecnici del Ministero dell’agricoltura, per chiarire alcuni dubbi, essendo state rilevate mende e contraditorietà in ordine agli accertamenti tecnici che avevano preceduta la decisione. Il prefetto riferiva in proposito anche al Governo regionale ed al Ministero dell’agricoltura, al fine di chiarire se tali mende potessero dar luogo all’emissione del provvedimento amministrativo, e, in caso affermativo, quale fosse l’organo competente a disporre. Avuta notizia che fino alla data del 12 novembre non era ancora avvenuta l’immissione in possesso delle cooperative concessionarie, per difficoltà locali sorte, il Ministero dell’agricoltura e foreste espresse l’avviso che la questione non potesse dar luogo a suo intervento, ma dovesse esser rimessa alla valutazione dell’assessorato regionale dell’agricoltura e foreste.

PRESIDENTE. L’onorevole Montalbano ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MONTALBANO. Sarò brevissimo.

La cooperativa di Mussomeli, dopo aver avuto assegnato dalla Commissione competente il feudo Polizzello, in ragione di 200 ettari, finalmente nei giorni scorsi ha potuto immettersi nel possesso del feudo. Quindi la risposta del Sottosegretario, quantunque non concluda, è tale, tuttavia, che ci sodisfa, essendo ormai la cooperativa immessa nel possesso del feudo. Certo, però, se non ci fosse stato l’appoggio delle organizzazioni dei contadini di Caltanissetta, forse la cooperativa di Mussomeli non avrebbe oggi il possesso del feudo.

Siccome si è parlato di fatti gravi, deplorati in modo particolare dall’onorevole Castiglia, riguardanti anche il consigliere regionale Cortese ed altri, fatti che sarebbero stati commessi dai contadini e da altre categorie di lavoratori siciliani, io dico che non si possono comprendere bene questi avvenimenti se non vengono inquadrati negli avvenimenti generali della Sicilia, cioè in quel clima di terrore, di violenze, di sopraffazioni, di soprusi, arbitrii, ecc., che sono stati sempre commessi dai grossi agrari della Sicilia contro i contadini e i lavoratori in genere con l’appoggio della mafia locale e con la complicità qualche volta delle stesse autorità governative. In modo particolare – e mi dispiace che non ci sia oggi qui il Ministro dell’agricoltura onorevole Segni – io voglio mettere in evidenza che le disposizioni contenute nei decreti Gullo, nei decreti Segni e nella stessa legge regionale siciliana sulla divisione dei prodotti agricoli e la proroga dei contratti agrari non sono mai state applicate per l’ostilità dei proprietari terrieri. Sono i grossi proprietari che hanno sempre ostacolato e impedito in Sicilia l’osservanza della legge, cosicché non si è potuto mai ottenere una divisione giusta in base alla legge. Non solo, ma quando i contadini hanno protestato, hanno dovuto subire rappresaglie che arrivavano e arrivano ancora oggi, sino all’assassinio, alle rapine, al furto di animali da lavoro, ecc.

Lo stesso è avvenuto, per quanto riguarda le cooperative agricole, allorché hanno chiesto l’assegnazione delle terre incolte o mal coltivate, perché, anche in questi casi, si sono avuti soprusi, violenze ed assassino. In questi ultimi tempi sono stati assassinati, soltanto per avere lottato con i mezzi legali per la concessione di queste terre, ben 19 organizzatori sindacali. Quindi, questi ultimi avvenimenti di cui si è parlato questa mattina debbono essere inquadrati in questo clima. Per dare un esempio alla Costituente di quello che è la Sicilia al riguardo, io voglio citare soltanto il fatto che uno degli esponenti principali della mafia siciliana, certo don Calò Vizzini, imputato di strage, per cui la legge prescrive obbligatoriamente il mandato di cattura, è stato denunziato a piede libero e si trova tuttora a piede libero. Tutto ciò dimostra come i grossi agrari, i grossi gabelloti, riescano ad imporre la loro violenza mediante l’appoggio della mafia e talvolta con la complicità anche delle stesse autorità locali, provinciali, regionali e centrali. Ora, tengo a sottolineare che i lavoratori, i contadini siciliani, non intendono più tollerare queste azioni di violenza e di prepotenza. Quindi, bisogna che il Governo si renda conto di ciò, in particolare di quale sia lo spirito di giustizia che anima i lavoratori siciliani, in modo che possa prendere tutti i provvedimenti necessari affinché venga repressa energicamente ogni azione illegale dei grossi agrari e della mafia contro i contadini, ed affinché la legge venga rispettata anche quando essa è favorevole ai lavoratori.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Marconi e Dossetti, al Ministro dell’interno, «per sapere quali provvedimenti siano stati presi contro i responsabili della spedizione compiuta il 19 novembre a Cola di Vetto (Reggio Emilia) da elementi che, eccitati da un discorso del segretario dell’A.N.P.I., hanno perquisito case e persone, percosso a sangue due esponenti della Democrazia cristiana ed altri giovani, minacciando altri più gravi interventi e spargendo il terrore in quel pacifico paese».

Non essendo presenti gli onorevoli interroganti, si intende che vi abbiano rinunziato.

Seguono due interrogazioni dell’onorevole Tumminelli al Ministro dell’interno:

«per conoscere quali provvedimenti di urgenza abbia preso o intenda prendere, dopo il nuovo assassinio politico, verificatosi qualche giorno fa a Zeme Lomellina, di cui è stato vittima il trentatreenne profugo giuliano Silvestro Zoppini, iscritto al Fronte democratico liberale dell’Uomo Qualunque»;

«per conoscere quali provvedimenti di urgenza abbia preso o intenda prendere di fronte al fatto che il Sindacato venditori ambulanti e giornalai del biellese, riunitosi il 18 novembre 1947, nella sede della Camera del lavoro, col pretesto della minaccia della popolazione democratica di Biella, che considererebbe la vendita dei giornali: L’Uomo Qualunque, La Sferza, Candido, Brancaleone, La Rivolta Ideale, come un «incitamento alla reazione popolare», ha deliberato di non più ritirare e vendere i detti giornali e gli altri che potessero essere invisi alla popolazione democratica del biellese».

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Siccome sono state presentate altre interrogazioni sullo stesso argomento dagli onorevoli Di Fausto, Treves e Preti, desidererei rispondere congiuntamente a tutte.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Capua e Rodi hanno presentato la seguente interrogazione al Ministro dell’interno, «sui tumulti organizzati e sulle violenze che hanno culminato con la devastazione di sedi qualunquiste».

Non essendo presenti, si intende che vi abbiano rinunziato.

Seguono le interrogazioni:

Treves e Preti, al Ministro dell’interno, «per sapere quali misure il Governo abbia preso in seguito ai ripetuti roghi di giornali di vario colore politico avvenuti in varie città d’Italia, onde impedire che si rinnovino simili attentati alla libertà della stampa»;

Di Fausto al Ministro dell’interno, «per sapere se, in correlazione con l’odierna distruzione di giornali avvenuta alla periferia di Roma, il Governo sia al corrente delle recentissime deliberazioni dei Sindacati giornalai di Biella, Sampierdarena e Genova, per cui non si procederà al prelievo ed alla vendita dei giornali non ritenuti graditi alla popolazione, a fine di evitare i danni conseguenti alla distruzione di pubblicazioni e di edicole. Poiché la decisione si risolve in un grave attentato alla libertà di stampa ed in un arbitrio, nel quale sono coinvolti fra l’altro giornali che hanno costantemente combattuto il neofascismo, l’interrogante chiede quali provvidenze vorrà adottare il Governo per il ristabilimento della normalità nel rispetto dei patti liberamente conclusi».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Quanto alla prima interrogazione dell’onorevole Tumminelli, quella che si riferisce all’omicidio del qualunquista Zoppini Silvestro, avvenuto a Zeme il 17 o 18 novembre ultimo scorso, devo dichiarare, anzitutto, che, dall’inchiesta finora diligentemente condotta dalle autorità di pubblica sicurezza, non risulta trattarsi di delitto politico. Quanto meno, nessun elemento sembra rivelare questa particolare specie di reato, piuttosto che quella di un omicidio comune.

I particolari del fatto credo siano noti. Questo Zoppini, il quale prestava la sua opera da alcuni mesi presso un agricoltore, il giorno 17 novembre, essendosi recati nella proprietà dove lavorava alcuni individui a chiedere di un certo Rebaudi, usciva nel cortile e, in quello stesso momento, costoro, quelli appunto cioè che avevano chiesto del Rebaudi, credevano di ravvisare forse in lui la persona ricercata. Fatto è che lo invitavano a seguirli. A questo invito, rivolto in presenza anche del proprietario della tenuta, certo Colli, e di qualche altra persona, lo Zoppini non solo non oppose alcuna resistenza, ma aderì prontamente e apparentemente volentieri. Risulterebbe anzi che egli sarebbe uscito a braccetto con uno di tali individui.

La cosa non destò sorpresa; lo Zoppini si allontanava abbastanza di frequente. Comunque il motivo per il quale il fatto non fu notato in modo particolare fu appunto la assoluta mancanza di ogni reazione da parte di costui. La sera però egli non fece ritorno e la mattina successiva, alle ore 6.40, sulla strada comunale, veniva da alcuni contadini rinvenuto il cadavere di un uomo. Chiamati i carabinieri della vicina tenenza di Mortara, essi constatavano che la morte era avvenuta a seguito di ferita da arma da fuoco, e infatti venivano ritrovati sul posto tre bossoli di cartucce di calibro 9.

In tasca venivano trovati alcuni documenti fra cui un libretto dell’Istituto di previdenza sociale che ne permesso l’identificazione. Da parte dell’Arma vennero condotte tutte le possibili indagini. Venne innanzi tutto accertato come fosse avvenuto il fatto e, in base ai connotati che furono forniti dai testimoni, gli indiziati vennero in ogni modo ricercati.

Vennero eseguiti parecchi fermi, ma nessuno purtroppo si poté mantenere, giacché ognuno dimostrò un proprio alibi. Parve alla pubblica sicurezza ed ai carabinieri di dover indagare anche in ordine alla responsabilità del nominato Rebaudi per vedere se, sotto diverso nome, non si fosse per caso trattato della stessa persona. Certo, ove ciò effettivamente si fosse potuto assodare, il fatto, lungi dal recare un reale contributo di chiarificazione alle indagini, non avrebbe fatto se non complicarle, perché avrebbe recato un che di ancor più misterioso alla faccenda.

Viceversa, comunque, questo Rebaudi è risultato detenuto nel carcere, mi pare, di Alessandria. Rispondendo pertanto all’interrogazione dell’onorevole Tumminelli su questo argomento, io non posso se non dichiarargli che, da parte del Governo, si è anche da questo tristissimo episodio naturalmente ricavato motivo per richiamare sempre più al tempestivo ed assoluto adempimento dei propri doveri le autorità localmente preposte alla tutela dell’ordine pubblico.

Dal modo come le indagini furono svolte, dai provvedimenti localmente presi, si ha ragione di credere che questo richiamo non sia riuscito vano.

Ad ogni modo assicuro l’onorevole interrogante che l’episodio non viene dimenticato e che, qualora dovessero in avvenire emergere degli elementi intesi a dare a questo delitto un colore piuttosto che un altro, ne verrà tenuto indubbiamente conto per indirizzare le indagini per quella nuova via che queste risultanze dovessero indicare.

Per ora, però, torno a ripetere, le indagini che sono state fatte intorno al modo di vivere dell’ucciso, ecc., escludono assolutamente che il delitto sia politico. A meno che l’onorevole Tumminelli non voglia credere che il semplice fatto di essere costui iscritto al partito dell’Uomo Qualunque possa costituire argomento per un delitto politico. Ma io questo voglio escluderlo, non solo, ma voglio augurare all’onorevole Tumminelli, se così è, una più ottimistica visione della vita politica italiana.

PRESIDENTE. L’onorevole Tumminelli ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

TUMMINELLI. Onorevole Sottosegretario, io sarei ben lieto di poter condividere le sue conclusioni, ma purtroppo non lo posso.

Qui non è soltanto il fatto che riguarda questo disgraziato ucciso a Zeme Lomellina, che, per essere un giuliano e un iscritto all’Uomo Qualunque, e per non aver nessun precedente che potesse giustificare un delitto passionale, deve ritenersi assolutamente che sia stato ucciso per motivo politico. Io vorrei proprio ben volentieri escludere questa ipotesi, soprattutto per il bene stesso della Patria; ma tutto fa pensare che ci troviamo di fronte ad un vero e proprio delitto politico.

Ma il fatto più grave, onorevole Sottosegretario, è determinato dalla continuità di questi crimini, che si susseguono un po’ dovunque, e che restano tutti impuniti. Non si trova mai il responsabile; e quando ci siano dei fermati, questi vengono poi rilasciati. E questo accade perché l’autorità di pubblica sicurezza non sa che pesci pigliare, non sa quali orientamenti seguire, fa un po’ il pesce in barile. Evidentemente non sa se prevarrà una parte o l’altra delle due che sono in contesa per la conquista del potere nel nostro Paese.

Le posso citare un episodio esemplificativo avvenuto ad Ancona. Elementi estremisti sono andati a casa del segretario dell’Uomo Qualunque di quella città; l’hanno assalita, hanno frantumato i mobili, i quadri, ecc. fino a quando, per impedire danni maggiori, il segretario del centro qualunquista, che s’era prima nascosto, si presentò. Allora lo condussero non so dove e, dopo avergli dato un sacco di bastonate, lo invitarono a dimettersi dalla carica politica che ricopriva, a non occuparsi più del partito, a non occuparsi più di politica. La stessa intimidazione venne fatta al dott. Franci, un distinto notaio della città, che non ebbe guai maggiori perché abitava in campagna. Così che in quella città non esiste più la voce dell’Uomo Qualunque.

Ora, a che giova tutto questo? Che cosa vogliono questi colleghi dell’estrema sinistra?…

TONELLO. Non vogliono niente! Non sono loro che fanno tutto questo.

TUMMINELLI. Vogliono preparare la guerra civile? Onorevole Sottosegretario, noi siamo in piena guerra civile, ed io la prego di prendere in considerazione che il Governo di cui ella fa parte non si sottrae alla grave responsabilità di esserne indirettamente responsabile.

Io già altra volta pregai lei e pregai il Governo di por mente alla necessità di andare a prendere le armi dove si trovano. Quando la gente è disarmata, non può avere più tanta albagia; quando la gente sa che il delitto è punito, che ogni ferimento, ogni violenza trova la sua punizione, che l’imperio della legge è sovrano, tanta arroganza non si può verificare.

Oggi c’è l’impunità; ed in sostanza io ritengo che noi dobbiamo essere grati ai colleghi dell’estrema sinistra se non ci uccidono e non ci sequestrano. Questa è la situazione. Questa è la situazione, perché l’autorità di pubblica sicurezza garantisce soltanto sé stessa, garantisce soltanto il prefetto, la prefettura, il palazzo della questura, ma il cittadino è alla mercé o della delinquenza conclamata o di quella nascosta che si annida sotto l’usbergo della politica. Quindi io domando: dove andiamo a finire?

Bisogna che voi cerchiate le armi. Dal 2 giugno ad oggi abbiamo visto peggiorare la situazione politica italiana. L’onorevole Scoccimarro ha potuto dichiarare – l’abbiamo letto stamane nei giornali – ha potuto dichiarare al congresso comunista di Torino che nel 1948 deve acuirsi la lotta per giungere alla vittoria comunista, anche con le armi.

Leggete l’Avanti! che è il giornale più fazioso che ci sia (Proteste all’estrema sinistra) e vedrete come esso inciti alla guerra civile. E allora voi del Governo dovrete sparare…

TONELLO. Noi abbiamo tutti i morti che non sono vendicati! Mai è stato scoperto un vostro assassino. (Interruzioni – Commenti).

TUMMINELLI. Onorevole Tonello, qui non siamo per difendere i criminali.

TONELLO. Io sono contro tutti i criminali. Ma vi sono i criminali anche fra voi!

TUMMINELLI. Qui si tratta d’impedire che ci si avvii alla guerra civile, al sangue!

TONELLO. Volete le armi solo per voi!

TUMMINELLI. La lotta politica deve essere fatta secondo le norme della democrazia liberale, mentre la vostra democrazia progressiva vuol giungere all’uso della forza per la guerra civile.

TONELLO. Noi vogliamo giungere alla giustizia sociale.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, basta con le interruzioni!

TUMMINELLI. Se non mi avessero interrotto io avrei già finito.

Io esorto il Governo a non trovarsi domani nella grave responsabilità di dover sparare sulla folla, perché la folla sarà fatta di uomini qualunque, senza distinzione di opinioni. Noi non vogliamo che si sparga sangue. Noi vogliamo il trionfo della ideologia democratica attraverso la democrazia, ma non la democrazia che vuol scendere sul terreno della battaglia politica con la violenza.

E badate, colleghi dell’estrema sinistra, io vi dico una cosa: voi state fomentando la reazione e create nuovamente le premesse del fascismo. (Interruzioni – Proteste all’estrema sinistra). Voi state facendo il gioco di chi arriva più in fretta, di chi fa più presto. Ma il giorno in cui dovesse avvenire un conflitto, quel conflitto che voi state preparando, che cosa fareste voi? Voi scappereste e lascereste nei guai la povera gente. (Interruzioni, rumori all’estrema sinistra – Commenti).

TONELLO. Noi non scappiamo, abbiamo sempre pagato di persona.

TUMMINELLI. Ripeto che voi state preparando la guerra civile, ma quando si viene al cozzo, chi ci rimette è la povera gente.

TONELLO. Andate a dirlo agli agrari in Sicilia, ai ladroni che fanno ammazzare i lavoratori nelle nostre campagne. È ora di finirla! (Interruzioni al centro – Commenti).

MARAZZA, Sottosegretario di Stato agli interni. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Prima di rispondere ad altre interrogazioni dell’onorevole Tumminelli e di altri deputati, riguardanti, tutte, le distruzioni di giornali che si sono verificate negli ultimi tempi, devo necessariamente rilevare una delle affermazioni fatte dall’onorevole Tumminelli nella sua replica, e che non posso lasciare inosservata.

L’onorevole Tumminelli ha accennato alla polizia che difende solamente se stessa! Devo assolutamente protestare contro questa affermazione! E del resto, protestano – prima di me – i morti e i feriti che la polizia quasi quotidianamente, purtroppo, lascia sulle piazze d’Italia!

Quindi, onorevole Tumminelli, occorre nutrire maggior fiducia anche nella polizia, la quale, come non manca di iniziativa, di coraggio e di senso di responsabilità, sa che fra i suoi doveri c’è quello di essere pronta ad affrontare anche compiti più gravi, se disgraziatamente l’avvenire del nostro Paese dovesse richiederlo!

Rispondo ora alle interrogazioni che si riferiscono tutte allo stesso argomento, cioè – come ho detto prima – alle distruzioni di giornali che si sono effettuate in diverse regioni d’Italia, e sui provvedimenti che il Governo ha adottato o intende adottare per garantire anche sotto questo aspetto la libertà di stampa.

Effettivamente queste distruzioni rappresentano un grave attentato alla libertà di stampa. Fortunatamente gli episodi – per quanto frequenti – non sono stati tanto numerosi quanto parrebbe di rilevare dalle interrogazioni che sono state presentate. I più gravi di essi, almeno, si sono verificati nel biellese, nel modenese e a Roma. E i fatti di Roma forse, fra questi, sono i più significativi; sono i più significativi, perché la distruzione è stata effettuata attraverso una azione contemporanea svolta in parecchi punti della città.

I fatti di Biella e quelli di Modena – hanno portato come conseguenza che i rivenditori di giornali hanno, in un primo tempo almeno, deliberato di non porre in vendita i giornali che erano stati oggetto di questi prelievi e che dovevano conseguentemente ritenersi pericolosi.

Devo però a questo proposito dire che, da notizie che abbiamo ragione di credere esatte – anche se non sono ancora ufficiali – non soltanto queste azioni di forza (chiamiamole così), cioè questi prelievi e incendi di giornali sono cessati, ma gli stessi rivenditori hanno rinunziato alla misura di prudenza che avevano adottato e cioè hanno riposto in vendita, quasi dappertutto, i giornali che li avevano esposti prima a questi attentati.

Devo però aggiungere anche che, se il Governo pone in atto tutte le misure a sua disposizione, misure di polizia, e le pone in atto sia presidiando gli scali, là dove i giornali arrivano, alle stazioni, sia cercando di proteggere le edicole, sopra tutto quelle che, per trovarsi alla periferia delle varie città, sono forse le più esposte, e sia anche istituendo un particolare servizio di pattuglia che ha come scopo precipuo proprio quello della protezione delle edicole, anche se il Governo fa questo, certamente non è soltanto attraverso queste misure che si potrebbe ottenere che i giornalai riprendano a vendere i giornali che temono essere per loro oggetto di danno. Quindi parrebbe opportuno che gli stessi giornali si facessero promotori, per conto loro, di una azione solidale, in modo che anche quei giornali, che non vengano abitualmente distrutti, anche questi rifiutassero di consegnare le copie alle edicole, qualora queste edicole usassero discriminare fra un giornale e l’altro.

Ho detto prima che l’episodio è indubbiamente grave. Non posso non metterlo in rapporto anche con l’altro episodio, del quale abbiamo pure parlato in quest’Aula, e cioè di quella imposizione che era stata fatta alla direzione di alcuni giornali di pubblicare un determinato ordine del giorno con la minaccia che, in mancanza, le maestranze si sarebbero rifiutate di stampare il giornale. E ponendolo in rapporto con quest’altro episodio, il Governo non può non riconoscere, ripeto, un grave attentato alla libertà di stampa anche in questo.

Però, al di là, ripeto, dei provvedimenti che il Governo può prendere, al di là delle proteste che il Governo può fare, al di là degli interventi dello stesso Governo, attraverso gli organi da esso dipendenti, presso i vari partiti, per indurli a desistere da una forma di così grave coercizione, deve esservi la buona volontà di tutti quanti gli scrittori di giornali, i quali dovrebbero oggi tentare di sminuire, piuttosto che accrescere, l’esasperazione delle rispettive tesi, sì da agevolare, quanto più possibile, una relativa conciliazione, piuttosto che approfondire continuamente questo abisso, che purtroppo sembra delinearsi fra gli italiani.

Io dico questo con cuore aperto e parlo a tutti quanti.

Non vogliano intenderlo, l’onorevole Tumminelli e gli altri interroganti, come un appello loro particolarmente rivolto.

TUMMINELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TUMMINELLI. Onorevole Sottosegretario, io non avevo intenzione di indugiarmi su questo argomento e mi sarei accontentato delle sue dichiarazioni, che peraltro sono quelle che mi dovevo aspettare. Ma c’è una cosa che ella ha detto e sulla quale è bene soffermarci un attimo: fare appello alla solidarietà degli altri giornali.

Questo è il punto: non esiste più solidarietà. Ci troviamo di fronte a un fenomeno di dissociazione morale dei cittadini di questo nostro Paese, che si chiama Italia, che ha tanta gloria di unità spirituale.

Qui ora ogni individuo non pensa che a se stesso, e ci sono quelli che si sforzano di eccitare l’opinione pubblica. Qui il fatto grave è dato da un ordine del giorno stilato nella Camera del lavoro. E mi rincresce che non ci sia qui l’onorevole Di Vittorio, perché vorrei sentire da lui come giustifica un’azione di intimidazione e di violenza di questa natura… Alla Camera del lavoro si riunisce il sindacato dei venditori di giornali per dichiarare che non vogliono più vendere quattro giornali, i quali sono tutti autorizzati dall’autorità dello Stato. Siamo di fronte ancora al fatto che l’autorità dello Stato è in grave carenza. Bisogna intervenire, fare in modo che questa carenza cessi. Se tolgono la libertà di stampa con questi metodi, a che cosa valgono le leggi? Allora tanto varrebbe che ci fosse il Minculpop!

PRESIDENTE. L’onorevole Treves ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

TREVES. Anche io non vorrei drammatizzare questi incidenti, e non mi facevo soverchie illusioni sulla risposta, del resto gentilissima, dell’onorevole Marazza.

Capisco benissimo che non dipende dal Sottosegretario Marazza e da nessuno del Governo che questi incidenti succedano o non succedano. E quindi, forse il Presidente mi permetterà, invece di dichiararmi sodisfatto o non sodisfatto, come la prassi parlamentare vorrebbe, di domandarmi se in Italia deve ancora sussistere nell’anno di grazia 1947 il fallace sillogismo di Omar, cioè l’aneddoto che racconta che Omar, di fronte a tutti i libri della Biblioteca di Alessandria, si domandò: in questi libri si dice quello che c’è nel Corano o no? Se si dice quello che c’è nel Corano, evidentemente sono inutili, e quindi vanno tutti distrutti e bruciati; e se non si dice quello che c’è nel Corano, e sono contrari al Corano, allora sono pericolosi, falsi e bugiardi e quindi bisogna distruggerli.

Ora, io non vorrei che questo falso sillogismo si applicasse ad esclusivo beneficio dell’Unità e dell’Avanti! Anche il nostro giornale, che certo non può essere considerato un giornale fascista, è stato incluso in queste distruzioni, ma non è soltanto per questo che io protesto. E non sono nemmeno sospetto di avere tenerezza per i giornali elencati nell’interrogazione dell’onorevole Tumminelli, che dovrebbero essermi personalmente i più odiosi, non foss’altro per il fatto che in ogni loro numero mi coprono delle più calunniose e atroci ingiurie. Ma io protesto anche a favore di questi giornali…

TUMMINELLI. Io non ho fatto questione di giornali…

TREVES. Se noi accettiamo questo principio, naturalmente ritorniamo ai periodi peggiori della storia, ai periodi più stupidi della nostra storia, quando si credeva che bruciando un pezzo di carta si potessero bruciare le idee espresse in quel pezzo di carta. E poi, è un inizio pericoloso: si comincia col bruciare i giornali, poi si passa a bastonare quelli che leggono questi giornali e poi si finisce per ammazzare quelli che scrivono questi giornali. E questo, credo, noi non vogliamo più vedere. Sappiamo che l’onorevole Sottosegretario non può mettere uno o due o tre carabinieri di fronte ad ogni edicola d’Italia, e, del resto, non servirebbe a niente; ma, se questi giornali commettono dei reati, voi avete il dovere di perseguirli secondo la legge. Noi abbiamo votato le leggi contro il risorgere del neo-fascismo, leggi che devono essere applicate, e forse non sarebbe un cattivo sistema di applicare queste leggi perché non vengano bruciati certi giornali.

In quanto a noi, anche se si bruciano i nostri giornali, evidentemente continueremo a scrivere il nostro giornale e a propagandare le idee del nostro giornale. (Interruzione del deputato Tonello). Caro Tonello, se lei non fosse così eccitato, noi vorremmo che su questo argomento si facesse veramente della democrazia, perché noi abbiamo sancito qui la libertà di stampa…

TONELLO. È lei che tira addosso a noi, mentre sa benissimo che non siamo responsabili.

Una voce. La libertà di stampa deve essere di tutti o di nessuno.

TREVES. Caro Tonello, vorrei che lei mi dimostrasse che l’Avanti! e l’Unità siano stati bruciati in piazza una sola volta, e allora il mio ragionamento cade. (Applausi al centro e a destra).

LIZZADRI. I nostri giornali furono distrutti. Certo, oggi non faremo bruciare i nostri giornali. (Commenti al centro).

TREVES. Se è vero che hanno bruciato i nostri giornali dal 1919 al 1922 (e li bruciavano i fascisti) non voglio che i giornali si brucino anche oggi.

MAZZONI. Il fascismo ha cambiato appartamento: ecco tutto.

TREVES. Non vogliamo che si bruci nessun giornale, perché quando siamo arrivati al fascismo, siamo arrivati al disastro comune.

Io concludo perché non intendo appassionare l’Assemblea a proposito di un argomento su cui, in una Assemblea democratica come questa, tutti dovrebbero essere d’accordo. Non chiedo niente al Governo: chiedo soltanto che si attui praticamente una maggiore comprensione di quella libertà di stampa, che abbiamo tutti votato e sancito per sempre nella nostra Costituzione.

Perché, se in un Paese cade la libertà di stampa, cade veramente tutta la libertà. (Applausi a sinistra, a destra e al centro).

PASTORE RAFFAELE. Vede chi applaude? (Proteste al centro e a destra).

TREVES. (Accenna all’estrema sinistra). Siete voi che dovreste applaudire.

PRESIDENTE. L’onorevole Di Fausto ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

DI FAUSTO. Nel costume democratico, dovrebbe essere considerato veramente basilare questo problema della libertà di stampa, in quanto è il presupposto della libertà di pensiero. Questa materia è di quelle che non consentono in nessun modo l’intervento della piazza e delle masse. Ecco perché noi, ringraziando il Sottosegretario di Stato all’interno per gli affidamenti e i chiarimenti che ha dato, ci domandiamo, dinanzi agli avvenimenti di questi giorni, dove veramente si vuole arrivare, se, come ho denunciato con altra mia interrogazione, alla quale non è stata data ancora risposta, gli operai del Poligrafico dello Stato arrestano la pubblicazione della Gazzetta Ufficiale in quanto vi appare un decreto, che li riguarda e che a loro non piace; se, come appare dall’interrogazione odierna, squadre di operai procedono con organizzazione e metodo al sequestro ed all’incendio di giornali; e conseguentemente sindacati di giornalai passano a stillare elenchi di pubblicazioni, delle quali si fa divieto di prelievo, di distribuzione e di vendita. Non entro nel merito della questione, ma devo rilevare che nell’atto arbitrario sono coinvolti anche giornali, che hanno costantemente combattuto il risorgere di forme politiche condannate definitivamente, quali «Brancaleone» e «Candido», la cui diffusione massima fra i settimanali attesta appunto del consenso dell’opinione pubblica, se non di quello del sindacato giornalai e venditori ambulanti.

Ed allora a che cosa si mira più precisamente?

Malgrado le ripetute assicurazioni di normalità della situazione, date anche recentemente dal Ministro dell’interno, io sento che si cammina verso un nuovo minculpop, con l’aggravante che dall’arbitrio di giornalisti e letterati, andiamo incontro all’arbitrio di illetterati ed analfabeti faziosi. È vero che, stando alla lettera delle recenti leggi eccezionali per la difesa della Repubblica, l’importante è che l’arbitrio non sia nelle mani di fascisti e di monarchici. Avverso a tutte le illegalità ed a tutti gli arbitri, io ho votato contro quelle leggi, dalle quali traggono un senso anche i recentissimi fasti milanesi della piazza nella sedizione contro Roma e contro lo Stato, la cui sovranità piena e legittima – è bene che anche i milanesi se ne persuadano una volta per tutte – risiede unicamente ed esclusivamente in questa Assemblea. Per il prestigio della quale io mi auguro davvero che il Governo abbia il modo ed i mezzi per stroncare questi attentati alla democrazia, che, tendendo all’oscuramento della fondamentale fra le libertà democratiche, aprono fatalmente il varco alla dittatura ed alla tirannide.

PRESIDENTE. La seguente interrogazione è rinviata su richiesta degli onorevoli interroganti:

Bernardi e Pressinotti, al Ministro dell’interno, «per conoscere quali provvedimenti intenda prendere per stroncare nella provincia di Como il sorgere di raggruppamenti politici, che sono la causa determinante di azioni violente contro i movimenti democratici e antifascisti. I fatti si riassumono in questa triste e dolorosa rassegna: 1°) cippo di Barilani – Ponte del Passo – dedicato ai caduti della liberazione, frantumato; 2°) bruciata una corona d’alloro alla lapide dei partigiani di Moltrasio; 3°) strappati i nastri tricolori, con dedica dei partigiani, dalla corona deposta al monumento dei caduti di Carate Urio; 4°) spaccata la lapide dedicata al partigiano Carlo Brenna in una via cittadina di Como; 5°) frantumate le lapidi dei partigiani e della lega insurrezionale a Como; 6°) posa di una bomba alla Casa del Popolo di San Rocco; 7°) Renzo Pigni, membro dell’esecutivo della Camera del lavoro di Como e vicesegretario della Federazione socialista di Como, appostato da sconosciuti, mentre si recava ad un comizio, e fatto segno ad alcuni colpi di arma da fuoco, fortunatamente andati a vuoto. I fatti di cui sopra, avvenuti saltuariamente da sei mesi ad oggi, denunciano un sistema di lotta politica e sociale contrario ai principî della democrazia e basato sulla violenza e hanno sollevato un grave fermento nella popolazione, scaturito in uno sciopero generale di 24 ore, che non è degenerato per la profonda maturità democratica dei lavoratori e per il senso di responsabilità dei movimenti antifascisti e della locale Camera del lavoro, mentre le autorità provinciali non hanno fatto, né fanno, nulla di concreto per dimostrare la loro effettiva volontà di difendere le libertà democratiche dei cittadini di Como».

Passiamo ora alle interrogazioni riguardanti i fatti delle Puglie. Non essendo presenti gli onorevoli interroganti, si intende che abbiamo. rinunziato allo svolgimento delle seguenti interrogazioni:

Cicerone, al Presidente del Consiglio dei Ministri, «per conoscere se il Governo non creda giunto il momento per adottare in Puglia misure eccezionali in difesa dell’ordine costituito e dell’incolumità personale dei cittadini, in considerazione che: la situazione dell’ordine pubblico sta ivi diventando gravissima, il numero dei morti e dei feriti cresce giornalmente per l’indeciso atteggiamento delle forze di polizia, le quali, intervenendo sempre in ritardo, non riescono a rappresentare più l’autorità dello Stato e a farla rispettare preventivamente; gruppi sovversivi tengono ferma ogni attività produttiva, con incalcolabile danno all’economia del Paese e contro la volontà di lavoro delle popolazioni pugliesi; il perdurare di un atteggiamento di protesta puramente platonico da parte del Governo costringerà i privati a provvedere alla difesa individuale, al di fuori degli ordinamenti costituiti»;

Caccuri, al Ministro dell’interno, «per conoscere quali provvedimenti siano stati adottati contro i responsabili dei luttuosi incidenti di Corato, Gravina e Bitonto e quali misure intende adottare per fronteggiare l’imperversare delle violenze in terra di Bari»;

De Maria, al Ministro dell’interno, «per conoscere i particolari dell’uccisione del sacerdote Di Leo di Bitonto ed i provvedimenti che il Governo intende adottare per fronteggiare la grave situazione di disordine verificatasi in Puglia e che si va estendendo anche alla Basilicata ed alla Calabria»;

Gabrieli, al Ministro dell’interno, «per conoscere i particolari sui fatti di sangue di Campi Salentina e di Trepuzzi (Lecce)»;

Codacci Pisanelli e Recca, al Ministro dell’interno, «per conoscere quale fondamento abbia e quali eventuali misure abbia provocato da parte del Governo la notizia, pubblicata dalla stampa e confermata da persone del luogo, circa la presenza e la diretta partecipazione di stranieri al comando delle squadre d’azione protagoniste delle attuali violazioni delle più fondamentali libertà in Puglia e nel Salento».

La seguente interrogazione è rinviata su richiesta dell’onorevole Perrone Capano:

Perrone Capano, Cortese Guido e Badini Confalonieri, al Ministro dell’interno, «sullo sciopero generale in Puglia e sui provvedimenti che si intendono adottare per restituire la pace a quella laboriosa regione, ove la quasi totalità della popolazione reclama la tranquillità del lavoro ed ove l’attività facinorosa degli agitatori professionali minaccia il completamento delle semine e il maggior raccolto dell’anno».

Segue l’interrogazione degli onorevoli Stampacchia e Cacciatore, al Ministro dell’interno, «sui dolorosi avvenimenti accaduti in Campi Salentina (Lecce) e sui provvedimenti che intende prendere per richiamare le autorità locali ad una più umana comprensione del contenuto delle agitazioni delle classi lavoratrici e per stroncare l’atteggiamento provocatorio delle classi padronali nel resistere alle richieste dei lavoratori».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Ritengo che lo svolgimento dei fatti, cui si riferisce la interrogazione presentata dall’onorevole Stampacchia, sia noto all’Assemblea. Mi limito pertanto ad un brevissimo riassunto.

In Campi Salentina il 20 novembre, in relazione allo sciopero allora in atto dei lavoratori, dei contadini e delle tabacchine, era stato effettuato dagli scioperanti il blocco delle strade. La forza pubblica ebbe così una prima occasione di intervenire; i blocchi furono rimossi senza nessuna conseguenza incresciosa. Nel tardo pomeriggio di quel medesimo i giorno, in Campi Salentina si tenne però un comizio indetto dal Partito della Democrazia cristiana, regolarmente autorizzato. Durante lo svolgimento di questo comizio, che è stato ripetutamente disturbato da elementi avversari, furono lanciati anche sassi ed un carabiniere fu leggermente ferito. Questo episodio indusse naturalmente la pubblica sicurezza ad una più forte vigilanza, e ciò per la preoccupazione che, a comizio finito, allo sciogliersi della folla intervenuta, altri incidenti potessero verificarsi con più gravi conseguenze. Effettivamente tale preoccupazione si mostrò giustificata, perché appena il comizio terminò, ed appena la folla cominciò a sciogliersi, fra gli appartenenti all’una ed all’altra delle parti sorsero immediatamente dei tafferugli e si ebbero anche degli episodi abbastanza gravi, per quanto, fortunatamente, senza conseguenze particolarmente incresciose. Però la pubblica sicurezza dovette intervenire per sciogliere questa manifestazione degenerata nei tafferugli ai quali ho ora accennato. Ma questo intervento determinò la reazione di alcuni facinorosi, i quali facevano esplodere in aria alcuni colpi di pistola; da parte della polizia si rispose con alcune scariche di mitra, parimenti in aria. Senonché, ad un certo punto, contro la pubblica sicurezza fu lanciata una bomba a mano, che feriva, seppure non gravemente, un funzionario e dodici carabinieri. Nello stesso momento, quasi che il lancio di questa bomba avesse rappresentato un segnale, la folla si lanciò contro gli agenti dell’ordine; fu così che alcuni agenti vistisi in procinto di essere travolti e sopraffatti, esplosero nuove scariche di colpi di mitra in aria, – perché si dovrebbe escludere che un ordine preciso sia stato dato da chiunque – mentre qualche colpo fu esploso verso la folla. Fatto sta che si ebbero tra la folla tumultuante due morti e sei feriti. Il tumulto finì soltanto quando intervennero nella manifestazione un altro funzionario ed un altro ufficiale dei carabinieri, al comando di altre forze, dopo di che l’ordine poté essere ristabilito. Il lanciatore della bomba è stato identificato: si trattava di un pregiudicato, tale Minnò, che poco dopo poteva essere assicurato alla giustizia. Commentare questo doloroso episodio, dopo altri commenti che noi abbiamo avuto purtroppo occasione di fare in quest’Aula, in merito ad altrettanti dolorosi episodi, io credo che sia superfluo. Non è però superfluo riaffermare una volta di più il proposito sincero e determinato del Governo di impedire in tutti i modi quelle che sono statele cause di questi morti; questo deve essere assolutamente impedito. Voi sapete con quanta prudenza si è sempre agito e a quanta prudenza siano ispirati gli ordini che il Governo ha sempre dati per ciò che si riferisce all’uso delle armi da parte della forza pubblica. Io stesso ho avuto occasione di ripeterlo più volte qui dentro, e credo che tutti me ne possiate dare atto. Tuttavia è evidente che quando la forza pubblica sta per essere sopraffatta da una folla che prevale grandemente in numero, e che l’uso delle armi non lascia dubbio circa i suoi propositi, io credo che anche una reazione (che nella specie è stata individuale e non dovuta al Corpo degli agenti collettivamente ed organicamente considerato) sia comprensibile e non possa essere in nessun modo da noi condannata. Ad ogni modo anche di questo episodio si tragga argomento per il comportamento avvenire sia dell’una che dell’altra parte riguardo a fatti oscuri che ci possono attendere.

PRESIDENTE. L’onorevole Stampacchia ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

STAMPACCHIA. Io non posso dire di essere sodisfatto di quanto ha dichiarato il Sotto segretario di Stato per l’interno.

La relazione fattaci dall’onorevole Marazza in vero non è diversa da quelle che – evidentemente stilate su una stessa, convenzionale falsariga – sento, sin da giovinetto, da oltre mezzo secolo, ripetere da Ministri e Sottosegretari per l’interno in occasione di avvenimenti luttuosi come quelli per cui ho interrogato. E – nonostante la gentilezza d’animo del mio amico onorevole Marazza – non una parola di pietà ho inteso per i lavoratori caduti.

Ora io, innanzitutto, rivolgo un commosso saluto alle vittime di Campi Salentina e ad ogni altra della mia terra e di fuori della mia terra, che caddero in questi incontri con la forza pubblica; e mando anche un reverente saluto alle vittime della forza pubblica – agenti e carabinieri – che consideriamo vittime del dovere, perché mandati. Noi vediamo e rileviamo addolorati, infatti, in questo momento un mutamento completo nel comportamento degli agenti della forzai pubblica, un mutamento che differisce da quello che era sino agli ultimi mesi del 1946. In vero dall’inizio del 1947 ad oggi questi conflitti e questi incidenti con la forza pubblica, questi fatti dolorosi di piazza, si sono moltiplicati e si vengono moltiplicando. Le cause che riguardano Campi Salentina – e, potrei dire, come precedentemente, Trepuzzi e Copertino – non sono sorte alla vigilia del doloroso incidente di cui mi occupo: le cause esistevano già da tre anni a questa parte, da quando si è determinata un’agitazione tra le classi contadine per avere un miglioramento delle condizioni di lavoro e di divisione dei prodotti.

L’agitazione, dunque, durava da tre anni, ma fu sempre però contenuta, soprattutto per l’opera dei Sindacati e dei partiti, che cercarono di contenere nei limiti della legalità ogni agitazione. Anche le autorità aiutavano: vi era a dir vero una collaborazione continua, e potrei dire cordiale, fra i segretari della Camera del lavoro, i segretari della Federterra e le autorità. Essi trovavano sempre la via di accomodamento, evitando così che incidenti accadessero; e non ne accaddero.

Ora, da un po’ di tempo a questa parte, cioè dopo quasi tre anni da che l’agitazione dura al fine di ottenere contratti collettivi di lavoro, migliori condizioni per le tabacchine (che sono circa 40.600) e perché fosse più equamente ripartito il prodotto della terra nei contratti di mezzadria, questa agitazione ha preso un andamento diverso, e ciò perché le autorità non si sono mostrate più così condiscendenti e piene di umana comprensione come in passato, nel promuovere e procurare l’accordo tra i sindacati dei datori di lavoro e quelli dei lavoratori; e, invece, hanno preso un atteggiamento ostile ai lavoratori: decisamente ostile.

Difatti, recentemente, alla vigilia dei fatti di Campi, il prefetto, in una discussione che ebbe coi rappresentanti della Camera del lavoro e della Federterra, preannunziò, quasi quale oscura minaccia, che la Democrazia cristiana intendeva fare dei comizi contro l’agitazione e contro lo sciopero.

Badate, apro una parentesi…

PRESIDENTE. Più piccola, possibile, onorevole Stampacchia!

STAMPACCHIA. Io parlo assai raramente, signor Presidente; quindi mi consenta. Ora, dicevo, la Democrazia cristiana, sindacalmente parlando, aveva dato la sua adesione all’agitazione ed allo sciopero. Improvvisamente ha ritirato l’adesione, ha preso il segretario della Cartiera del lavoro che rappresentava la corrente democristiana, lo ha allontanato ed ha quindi annunziato che avrebbe tenuto comizi in tutti i Comuni (Interruzione del deputalo Pastore Raffaele). Tale mossa della Democrazia cristiana è evidente potesse costituire incentivo al disordine; e tuttavia il prefetto, dandone notizia, aggiungeva – e questo annunzio così dato non è affatto favorevole alla tesi della neutralità dei prefetti nelle odierne agitazioni: «Io difenderò i comizi dei democristiani». Al che i sindacati risposero: «Lei fa bene a difenderli, ma noi abbiamo anche il diritto di contradittorio in questi comizi». Ecco profilarsi il pericolo del disordine, e nonostante ciò il comizio a Campi fu consentito. Ed un’altra circostanza voglio accennare. Quando, or sono tre mesi, ebbi occasione di conferire col prefetto circa queste agitazioni, per conoscere quali erano le condizioni dell’ordine pubblico nella mia provincia., egli disse: «Ma! sono buone: sono sempre quei quattro o cinque comuni che danno fastidio».

Tra questi quattro o cinque comuni – non voglio mettere olio sul fuoco menzionando gli altri – vi era Campi Salentina in prima linea; mentre gli altri sono tra quelli che costituiscono le roccheforti dei proprietari dalla più dura mentalità feudale, i quali non si arrendono alle richieste dei lavoratori. Sopra i 93 comuni della provincia di Lecce, a dir vero, appena una diecina, sono quelli infeudati da questa gente, la quale, con spirito astioso, resiste e non è proclive ad accogliere le richieste dei lavoratori e ad usare loro un trattamento umano.

In quei pochi comuni, adunque, dove vi sono i proprietari dalla vecchia mentalità, che non si arrendono, sono avvenuti i fattacci, sono avvenuti i luttuosi incidenti. A Campi è andata la Democrazia cristiana, mentre vi era l’agitazione in atto, a tenervi un comizio. Ora questa, a me pare sia stata, a dir poco, un’imprudenza, onde l’autorità locale avrebbe dovuto, a mio modo di vedere, impedire il comizio, perché da questo comizio appunto è nato tutto quello che è nato, e son derivati i lutti che noi deploriamo.

PRESIDENTE. Concluda, onorevole Stampacchia.

STAMPACCHIA. La provincia di Lecce non ha mai dato esempio di faziosità, non ha mai dato esempio di tempestosità nelle agitazioni, ma ha serbato sempre una linea di calma, una linea di civiltà. Io domando pertanto all’onorevole Sottosegretario, io domando al Governo, se non credano che sia finalmente giunto il momento di fare intendere a queste classi padronali, così restie alla ragione, l’importanza dei problemi che formano oggetto delle agitazioni. Onorevole Marazza, oggi la situazione che si verifica è questa, che molti proprietari, i quali in provincia di Lecce resistono al contratto collettivo di lavoro, sono gli stessi che essendo proprietari anche in provincia di Brindisi, quivi hanno accettato quel contratto che invece rifiutano in provincia di Lecce. Vi è dunque una ragione politica evidentissima per la quale essi resistono alle richieste dei lavoratori.

È qui presente l’amico onorevole Pastore, il quale è più competente di me in materia: lascio pertanto a lui il compito di occuparsi del contenuto delle richieste dei lavoratori. Non posso tuttavia esimermi dall’affermare che certe mentalità così arretrate debbono ormai assolutamente essere superate se si vuole davvero la pace sociale. Le destre dovrebbero intendere che noi parliamo con l’anima e col cuore, perché noi non vogliamo la guerra civile (Commenti a destra), ma vogliamo trovare comprensione nelle classi padronali. Quando io leggo le interrogazioni dei miei colleghi, che mi duole non siano presenti, deputati della provincia di Lecce, tutte improntate al criterio di invocare provvedimenti energici, io mi sento veramente demoralizzato e sconfortato.

Così, onorevoli colleghi, si invocavano provvedimenti energici in altri tempi, si invocavano ai lampi dei fatti di Molinella: così si invocavano provvedimenti contro la classe lavoratrice che si svegliava dal secolare torpore. Ho detto che noi vogliamo collaborare per evitare la guerra civile.

PRESIDENTE. Concluda, per favore, onorevole Stampacchia.

STAMPACCHIA. Ho finito, onorevole Presidente. Queste classi padronali modifichino dunque un po’ la loro mentalità: qui v’è una interrogazione in cui si dice che questo movimento è stato anche diretto e sostenuto da stranieri venuti clandestinamente. Tutto ciò – mi si consenta – è grottesco, perché, se così veramente fosse, alla pubblica sicurezza, così vigile, questi stranieri non sarebbero di certo sfuggiti.

Se qualche cosa v’è stato di errato, se qualche errore si è da noi commesso, noi lo correggeremo: siamo in un periodo in cui si possono con facilità commettere errori. Ma correggiamoli reciprocamente. Ad amici ed avversari io ricordo e dico che l’utopia reazionaria è un’utopia irrealizzabile, diversa assai dell’utopia avvenirista. L’utopia reazionaria può soffocare in certi momenti l’ascendere, il progredire delle classi lavoratrici, ch’è ascesa della civiltà; ma il soffocamento di un momento si risolve sempre e soltanto in una bruta reazione, dopo la quale il proletariato riprende il cammino interrotto. Così nel 1894, così nel 1898, così sempre.

In quelle province, nelle quali ciò che accade oggi nella provincia di Lecce e in tutte le provincie meridionali, è accaduto cinquant’anni fa, l’anima del proletariato si è formata salda, ferma, invincibile. A voi, conservatori, se interessa impedire che quest’anima del proletariato abbia nel Mezzogiorno a formarsi attraverso fiumi di sangue, o per lo meno attraverso episodi di sangue, noi diciamo che tutto ciò che è nel programma dei partiti d’avanguardia potrà realizzarsi civilmente, sul piano che oggi la libertà consente. Se invece la borghesia, erroneamente conservatrice nei suoi metodi, si impunta ad invocare i mezzi forti, siate certi, signori conservatori, che il proletariato andrà innanzi ugualmente, ma andrà innanzi con un fardello di odio verso coloro che hanno cercato di impedire il suo fatale andare. (Approvazioni a sinistra).

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione, dell’onorevole Monterisi, al Ministro dell’interno, «per conoscere quali misure siano state adottate e si intendano adottare contro i responsabili dei luttuosi avvenimenti di Puglia»:

L’onorevole Sottosegretario per l’interno ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. L’onorevole Monterisi domanda quali misure siano state adottate e si intendano adottare contro i responsabili dei luttuosi avvenimenti di Puglia.

Debbo rispondere che queste misure sono quelle che il Governo può adottare: deve, cioè, attraverso gli organi preposti all’ordine pubblico, cercare di identificare i responsabili; identificatili, deve cercare di arrestarli; arrestatili, o anche in stato di latitanza, deve denunciarli all’autorità giudiziaria per quei reati per i quali ha ritenuto di doverli ricercare ed arrestare.

Comunque, data la gravità dei fenomeni verificatisi in Puglia, queste istruzioni sono state particolarmente date. Potrei leggere – ma è cosa lunga e superflua – anche una serie di telegrammi mandati dal Ministro a tutte le autorità preposte all’ordine pubblico, perché queste indagini venissero compiute e concluse nella forma più utile. Devo poi aggiungere che di identificazioni ne sono state fatte moltissime. In quasi tutte le località dove i fatti si sono svolti l’autorità di pubblica sicurezza ha identificato i principali responsabili. Li ha identificati, e il fatto che moltissimi di costoro si sono dati alla latitanza, dimostra che non avevano la coscienza tranquilla, e che la pubblica sicurezza aveva esattamente proceduto nei loro confronti.

Per i fatti di Gravina sono stati denunciati 47 responsabili; per quelli di Corato 11; 20 per quelli di Sampaolo Civitate; 7 per quelli di San Severo; 26 per quelli di Ascoli Satriano; 23 per quelli di Lucera; 82 per i fatti di Cerignola e così via.

Ma quand’anche io nominassi tutte le località e vi facessi l’elenco dei denunciati per ciascuna di esse, nulla avrei fatto se non riaffermassi che il proposito del Governo è quello di identificare e di colpire coloro che hanno la responsabilità dei dolorosi fatti accaduti.

Questo per la responsabilità materiale. Quando risponderò all’onorevole Pastore vedrò di scendere a quelle che, secondo lui, sono le responsabilità più profonde di questi movimenti.

PRESIDENTE. L’onorevole Monterisi ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MONTERISI. Ringrazio l’onorevole Sottosegretario delle notizie fornite e dei provvedimenti in corso. Ma bisogna notare che in questi casi noi ci troviamo di fronte a reati comuni, alla delinquenza più volgare, che attacca i cittadini e le libertà personali con crimini comuni, in cui nulla ha da vedere l’ideologia del partito cui appartiene l’aggressore.

Si vorrebbe far credere che noi abbiamo quasi la volontà di reprimere i moti delle classi lavoratrici, di coloro che affermano i loro diritto alla giustizia sociale. Ma non è questo il nostro intento. Noi vogliamo segnalare soprattutto quei reati che hanno tutti i sintomi e le caratteristiche dei reati comuni. La popolazione delle Puglie, del resto, come tutte le popolazioni d’Italia, ha il diritto di vivere nella massima tranquillità.

In questo momento – mi si permetta una piccola osservazione – si è voluto far passare questo sciopero, come se avesse una ragione economica. A me non pare. Che ci possano essere state anche delle ragioni economiche non voglio negare. Forse in talune località tali ragioni avranno avuto anche la prevalenza. Ma in tante altre località le ragioni economiche sono mancate. Tante volte abbiamo chiesto agli scioperanti: perché scioperate? Non lo sappiamo, ci hanno risposto. Abbiamo avuto l’ordine di scioperare! Ma vi è di più: in molte di quelle località dove sono avvenute le violenze, siamo in pieno raccolto delle olive, che quest’anno, grazie a Dio, è molto abbondante, e bisognerebbe poter raccogliere questo prezioso prodotto in piena tranquillità, mentre invece questi moti non portano ad altro risultato se non a quello di far marcire le olive sugli alberi e di lasciare inattivi i frantoi. Quel che dico ha tanto maggiore importanza in quanto, durante il periodo delle agitazioni, abbiamo avuto in campagna un tempo magnifico: cielo azzurro, sole splendente, e chi è pratico sa bene come occorra approfittare del bel tempo per questa tanto delicata ed importante operazione del raccolto delle olive.

Potremmo aggiungere questo: noi assistiamo in questo momento a fenomeni che hanno molte analogie con quanto è avvenuto in passato, e che deprechiamo. Diciamo pure, fingiamo di credere che siano elementi irresponsabili infiltratisi tra le masse che hanno prodotto e che producono questi incidenti. Tutti sappiamo da quale settore provengono questi cosiddetti elementi irresponsabili. Però anche contro questi elementi irresponsabili bisogna agire. Io domando: quale differenza passa tra i fenomeni del fascismo nel 1921, che deprechiamo, e quelli di adesso?

Noi ci troviamo di fronte agli stessi fenomeni, e mentre il fascismo lo deprechiamo in questa Assemblea lo si fa risorgere nelle piazze. Abbiamo visto che in molti posti questi facinorosi si sono addirittura sostituiti alle Autorità, hanno stretto d’assedio città privandole così dei rifornimenti viveri. Hanno agito pure contro le persone, e, ad esempio, al segretario di Cerignola sono pervenute parecchie lettere intimidatorie, con le quali lo si diffidava di non occuparsi più della Democrazia cristiana. Si è arrivati anche al blocco di strade. Sono fenomeni spiacevoli che vorremmo che non si verificassero più. A Bitonto determinati elementi hanno perfino dichiarato la repubblica sovietica! Involontaria confessione del traguardo cui si tende! Si capisce, sono i soliti elementi irresponsabili, i quali tutti sappiamo da quali settori provengano. In tutte le città, però, i facinorosi hanno impedito alle tranquille popolazioni di andare al lavoro.

Noi, non vogliamo negare il diritto di sciopero, ma, come c’è libertà di scioperare, così dovrebbe essere lasciata libertà a chi vuole andare a lavorare, anche per favorire un fenomeno che a noi fa tanto piacere. Vi sono purtroppo plaghe ove le condizioni dei contadini sono tristi e noi dobbiamo studiare il modo di provvedere, ma ci sono anche delle plaghe in cui fortunatamente e con nostro sommo piacere vediamo che il problema sociale si risolve automaticamente: si tratta cioè di quelle plaghe dove la proprietà si sta spezzettando naturalmente, senza nessuna violenza e coercizione.

Noi abbiamo per esempio dei comuni che, su 12 mila ettari di territorio, hanno 14 mila ditte catastali, comuni che su 6 mila ettari hanno 8 mila ditte catastali.

Io, ho assistito talvolta, e con grande piacere, a veri assalti dati dai nostri contadini braccianti alle parcelle di terreno in cui si spezzettavano le grosse proprietà poste in vendita; e gli assalti erano fatti a suon di centinaia di migliaia di lire e qualche volta anche di qualche milione.

Ecco come la giustizia sociale viene automaticamente affermandosi in questi comuni.

PRESIDENTE. Ma questa è una digressione! La prego di concludere.

MONTERISI. Ma è una santa digressione! Magari vi fossero sempre nei discorsi parlamentari digressioni di questo genere, per constatare così interessanti e benedetti fenomeni sociali.

Del resto onorevole Presidente – ed ho pieno diritto di dirvi quello che sento – è proprio a nome di queste classi lavoratrici, piccoli proprietari, che io rivolgo al Governo la preghiera di mantenere e tutelare quest’ordine pubblico, affinché proprio questi piccoli e piccolissimi proprietari possano tranquillamente recarsi al loro lavoro, ad accudire alla loro piccola proprietà acquistata senza impedimenti e senza intralci, e possano contribuire – se veramente dobbiamo crederci – alla ricostruzione e soprattutto al rifornimento alimentare della nostra povera Patria! (Applausi al centro).

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Pastore Raffaele, al Ministro dell’interno, «per sapere quali provvedimenti intenda adottare per rimuovere le cause che hanno determinato ancora una volta lo spargimento di sangue proletario nelle Puglie».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. L’onorevole Pastore Raffaele desidera sapere quali provvedimenti il Governo intenda adottare per rimuovere le cause che hanno determinato spargimento di sangue proletario nelle Puglie.

Io so che l’onorevole Pastore si riferisce alle cause economiche. Noi possiamo dissentire da lui nel senso che non crediamo che si tratti soltanto di cause economiche.

Poiché, per altro, è questo l’argomento che lo interessa, io mi limiterò a dire che il Governo è persuasissimo anche delle esigenze particolari, e particolarmente gravi, di natura economica di queste popolazioni, e perciò intende assolutamente sovvenirle in tutti i modi e come meglio esso potrà.

Credo che l’onorevole Pastore, conoscendo quelle che sono state le recenti provvidenze del Ministero dell’agricoltura, potrà trovare e riconoscere una prova (voglio accontentarmi di un principio di prova) di quello che sto dicendo.

Ad ogni modo, queste provvidenze sono indubbiamente considerevoli.

Già nell’esercizio 1946-47 complessivamente il totale delle opere pubbliche stabilite dal Ministero dell’agricoltura comporta un ammontare di due miliardi 552 milioni 264 mila lire alle quali vanno aggiunte, sempre per lo stesso esercizio, per miglioramenti fondiari, altri 340 milioni di lire. In totale, nell’esercizio 1946-47 sono 2 miliardi. 292 milioni 264 mila lire.

Questo per spese previste del programma, per spese fuori programma, danni bellici previsti e danni bellici non previsti.

Per l’esercizio 1947-48 a tutt’oggi sono stati già stanziati per la Provincia di Bari 75 milioni di opere; per la Provincia di Foggia altri 20 milioni; per quella di Bari per danni alluvionali 10 milioni; per quella di Foggia per riparazioni e danni bellici del Tavoliere altri 10 milioni. Un totale di 210 milioni per opere pubbliche; per opera di irrigazione vennero già devoluti altri 600 milioni. Questo nell’esercizio 1947-48. In totale, nei due esercizi 1946-47 e in conto 1947-48, si hanno 3 miliardi 697 milioni e 264 mila lire di opere pubbliche. Con decreto legislativo del Capo Provvisorio dello Stato 18 marzo di quest’anno, sono stati assegnati inoltre all’Ente per lo sviluppo della irrigazione e la trasformazione fondiaria delle Puglie e Lucania, altri 500 milioni per la costituzione di un fondo di avviamento e 150 milioni di lire da versarsi in tre esercizi per gli studi e le ricerche.

È in corso, inoltre, la costituzione dei relativi capitoli per uno stanziamento di 250 milioni per il primo e 100 milioni per il secondo.

Come principio di prova io spero che l’onorevole Pastore vorrà darmi atto che è sufficiente.

Ma voglio aggiungere quello che ha fallo finora (e sottolineo il finora) il Ministero dei lavori pubblici, il quale ha assegnato a favore del Provveditorato delle opere pubbliche per le Puglie per l’esercizio 1947-48, in base alla legge del bilancio dell’esercizio 1947-48, un complesso di un miliardo e 700 milioni; per concorso statale di cui al decreto dell’8 maggio, un miliardo 25 milioni e 500 mila lire; per la disoccupazione operaia, altri 2 miliardi. In totale 4 miliardi 725 milioni e 500 mila lire, che sommati ai 3 miliardi 697 milioni 264 mila lire, più 500 milioni, più 150 milioni dimostrano, mi pare, che trascuranza non c’è stata. Ad ogni modo, accingendomi a elencare queste assegnazioni di fondi del Ministero dei lavori pubblici, ho tenuto a sottolineare il «finora», perché da parte dello stesso Ministero si stanno continuando gli studi per quanto si riferisce alle opere pubbliche delle Puglie ed è probabile (per non dire sicuro) che quanto prima io potrò annunziare altri stanziamenti di fondi.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

PASTORE RAFFAELE. Nel prendere atto delle dichiarazioni del Sottosegretario devo far notare che gli stanziamenti fatti dal Governo sarebbero insufficienti, se noi stabilissimo che tutta la popolazione lavoratrice pugliese deve stare a carico dello Stato. È necessario chiamare i privati, coloro che hanno l’obbligo di coltivare la terra, a compiere il loro dovere, perché la terra, serve a dare lavoro ai contadini e dare alimenti ai consumatori. Invece questo non si fa.

L’onorevole Stampacchia ha giustamente fatto osservare che nell’anno 1947, e proprio nel secondo semestre, gli agrari pugliesi, e leccesi particolarmente, hanno rialzato la testa, perché hanno la vecchia mentalità: «C’è il nostro Ministro al potere, l’onorevole Grassi (che è il loro presidente) e quindi noi possiamo fare il nostro comodaccio!».

Leggendo le interrogazioni dei colleghi che non sono qui presenti, vedo che in quella dell’onorevole Caccuri si parla di violenza. A danno di chi sono state fatte queste violenze? I morti da quale parte sono stati?

Sono stati i lavoratori quelli uccisi. Quindi le violenze sono state commesse dagli agenti della forza pubblica a danno dei lavoratori.

L’onorevole De Maria interroga sull’uccisione di un sacerdote che non è mai avvenuta, e l’onorevole Sottosegretario me ne può dare atto. Chi sparge queste voci a danno dei lavoratori?

MONTERISI. Ci fu un conflitto…

PASTORE RAFFAELE. No, quel sacerdote si trovava per combinazione a passare, quando scoppiò una bomba… (Commenti).

L’onorevole Monterisi parla di responsabili. Proprio di responsabili io intendo parlare.

Leggendo le interrogazioni degli altri colleghi, io noto subito la loro mentalità. L’onorevole Perrone Capano parla di «agitatori professionali», parla anzi di «facinorosi agitatori professionali». Ebbene, egregi colleghi, io mi onoro di appartenere a questa categoria… (Commenti a destra).

TUMMINELLI. Lo sappiamo!

PASTORE RAFFAELE. …perché in cinquant’anni di vita nell’organizzazione ho trovato sempre negli agricoltori pugliesi quella mentalità medievale che ha costretto molte volte i lavoratori a dover ricorrere alla violenza per far riconoscere i loro giusti diritti.

Non dimenticate che l’organizzatore Silvestro Fiore fu ucciso in piena piazza a Foggia dai sicari degli agrari. Si è sempre ricorso a tutti i mezzi per strozzare l’organizzazione dei lavoratori. Oggi gli agrari credono di poter tornare al passato. Oggi si organizzano per questo e, come ebbi a dire nell’ultima tornata, a Lecce non si vuole accettare per le tabacchine il concordato nazionale. Perché? I signori concessionari di Lecce non si sono arricchiti abbastanza durante il periodo fascista? Tutti i seguaci di Starace non ottennero concessioni? E ora costoro si sono ricoverati nella Democrazia cristiana e credono che con l’appoggio del Governo potranno continuare a fare il loro comodo. (Commenti).

È dal mese di giugno che le organizzazioni sindacali hanno chiesto agli agricoltori di stabilire un patto salariale, e poter addivenire ad una più equa ripartizione dei prodotti di mezzadria impropria. Invece questi signori menano il can per l’aia. Ecco le cause che hanno determinato i luttuosi avvenimenti, di cui vittime sono stati sono i lavoratori.

Passiamo ad un altro argomento. Se in Italia c’è una legge, essa deve essere applicata nello stesso modo sia a Torino che a Palermo.

Ma ciò non avviene nell’Italia meridionale. Da tutti si parla che dobbiamo aiutare l’Italia meridionale, ma bisogna modificare la mentalità dei funzionari che ivi mandate. In Italia non c’è una legge che istituisce gli Uffici del lavoro. Gli Uffici del lavoro sono stati istituiti per una ordinanza dei Comandi alleati, ordinanza che non ha nessun effetto in Puglia. Ora, non so con quale diritto il Governo viene ad istituire un Ufficio del lavoro a Bari.

Quale è la legge che lo autorizza? Quale è la legge che determina i compiti di questi Uffici del lavoro? Perché se l’ordinanza alleata può avere effetto nelle altre province, non lo può avere nelle quattro province che non sono mai state sotto il Governo alleato e che hanno costituito il primo nucleo della Nazione libera. Ebbene, sapete chi ha trovato scampo negli uffici del lavoro di Bari? Tutti i vecchi funzionari asserviti alle classi padronali che erano nelle organizzazioni fasciste, e che adesso vorrebbero continuare a servire i loro padroni tramite gli Uffici del lavoro.

Mentre a Milano l’Ufficio del lavoro ha creato gli Uffici di collocamento presso le organizzazioni sindacali, ciò non è permesso a Bari.

Onorevole Monterisi, se lei è padrone di vendere il suo vino essendone produttore, il lavoratore è libero di vendere il suo lavoro come crede.

Invece per disposizione del Ministero del lavoro il collocamento in Puglia dovrebbe avvenire attraverso i municipi; è la guardia municipale che deve collocare i lavoratori! Queste sono state le cause, onorevole Sottosegretario, che hanno determinato le agitazioni in provincia di Lecce.

Si dice (e lo afferma nella sua interrogazione l’onorevole Codacci Pisanelli) che queste agitazioni sono state preparate da agitatori stranieri al comando di squadre di azione. Casco dalle nuvole, e mi riporto ad un ricordo della mia infanzia, al 1894. Ci furono i moti dei contadini siciliani ed anche allora nelle scuole elementari ci si disse che armi francesi aiutavano i contadini siciliani.

Ogni qualvolta i contadini devono far sentire la loro voce, ieri si disse che erano i francesi, oggi sono i russi, domani i cinesi o gli americani. Forse gli americani non saranno nominati mai!

E ricordo un altro episodio. Rivedo la stampa del 1907. In un articolo del Mattino di Napoli si scriveva che erano arrivate anche allora in Puglia casse di armi e fucili, perché si preparava la rivoluzione. È questa la mentalità delle nostre classi dirigenti. Lo prova l’onorevole Codacci Pisanelli nella sua interrogazione.

Vediamo quale atteggiamento hanno tenuto le autorità. Il prefetto di Taranto, chiamato ad applicare il decreto sull’assorbimento della mano d’opera, dice che in provincia di Taranto non c’è questa necessità, perché a Ginossa, paese tipico di numeroso bracciantato, ci sono appena tre disoccupati.

Mentre l’arma dei carabinieri asserisce che i disoccupati sono 250; in quanto i lavoratori non vogliono andare all’Ufficio del lavoro, imposto dal Governo, e non vogliono ritornare sotto i vecchi tirapiedi di ieri, non ritornano e non ritorneranno. E voi, signori del Governo, commettete un atto illegale, affidando il collocamento agli Uffici del lavoro, perché nessuna legge istituisce in Italia tali uffici. Alle nostre agitazioni, a cui volete dare un carattere politico, hanno aderito i democratici cristiani. Ho qui l’ordine del giorno votato dai rappresentanti della Democrazia cristiana, dirigenti dei sindacati, non dai democratici cristiani che fanno parte dell’associazione degli agricoltori, tant’è vero che il sindaco di Terlizzi, democratico cristiano, ha armato gli agrari per mettersi contro gli scioperanti.

Quale contegno ha tenuto la polizia?

Io ho notato di persona quattro-cinque camionette scorrazzare per le strade, come se arrivassero dei conquistatori: ho visto gli agenti scendere armati di mitra ed inquadrarsi. Fra i curiosi ci poteva essere un forsennato, che scagliava una bomba. Se la polizia fosse rimasta a tutelare l’ordine pubblico, non avremmo deplorato gli incidenti avvenuti.

A Bari son dovuto intervenire di persona presso il prefetto, perché le camionette, che giravano spargendo il terrore per la città, fossero ritirate.

Un altro episodio. Mentre qui alla Costituente si discuteva sulle leggi contro la riorganizzazione del fascismo, gli agenti a Bari sono stati chiamati in un caffè, il cui proprietario era stato invitato dagli scioperanti a chiudere. Questi, appena arrivata la polizia, ha rialzato la saracinesca ed ha detto: «Io sono fascista e tengo aperto il bar». Il funzionario di pubblica sicurezza avrebbe dovuto senz’altro arrestarlo immediatamente; invece sono intervenuti generosamente i dirigenti sindacali ad evitare che il caffè venisse invaso dalla folla.

Questi sono i fatti. Se volete evitare queste agitazioni, non basta fare quello che avete fatto, cioè dare sulla carta dei miliardi. Oggi, con la scusa di quei miliardi dati sulla carta, si stanno regalando nelle province di Bari e Foggia centinaia di milioni agli appaltatori.

FERRARIO. Se sono sulla carta, non si regalano.

PASTORE RAFFAELE. Queste sono verità. Se volete evitare le agitazioni in Puglia dovete eliminare le cause di esse. Non dovete ritenere che i lavoratori siano dei violenti; essi agiscono per legittima difesa, perché la prima cosa per l’individuo è il diritto alla vita; se gli impedite di vivere questi ha diritto di difendersi.

PRESIDENTE. Data l’ora tarda lo svolgimento delle altre interrogazioni, all’ordine del giorno è rinviato.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Comunico che sono pervenute le seguenti interrogazioni con richiesta di risposta urgente:

«Al Ministro degli affari esteri, per conoscere se è esatto che nel recente accordo sullo svincolo dei beni italiani nella Francia e nelle Colonie sia compreso l’annullamento dei diritti dei nostri connazionali viventi nel «Protettorato francese di Tunisia»; mentre la stessa intempestiva «rinuncia» alle Convenzioni del 28 settembre 1896, avvenuta il 28 febbraio 1945, stabiliva che il Governo francese avrebbe negoziato subito dopo col Governo italiano una nuova Convenzione di stabilimento, basata sui principî generali del diritto internazionale.

«Persico».

«Ai Ministri di grazia e giustizia e dell’interno, per sapere quali sono i motivi che hanno indotto le autorità locali a non arrestare gl’individuati responsabili dei delitti commessi in Caltanissetta il 19 novembre 1947 già denunziati per tentato omicidio, devastazione, saccheggi, violenza, resistenza ed oltraggio agli agenti di pubblica sicurezza.

«Aldisio, Volpe».

«Al Ministro dell’interno, per sapere se risponde a verità che sia stato decretato lo scioglimento del Consiglio comunale di Pescara e, se ciò fosse vero, quali ne sarebbero le ragioni.

«Corbi».

Il Governo ha facoltà di dichiarare quando intende rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Alle ultime due interrogazioni risponderò nella prima seduta dedicata alle interrogazioni; informerò il Ministro degli esteri della prima, affinché faccia conoscere quando intende rispondere.

MAZZA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAZZA. Chiedo quando il Governo intende rispondere ad una mia interrogazione sul riconoscimento della qualifica di sinistrati a favore di alcuni comuni del Napoletano.

PRESIDENTE. Informerò il Governo di questa richiesta.

La seduta termina alle 14.

SABATO 6 DICEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCXXII.

SEDUTA DI SABATO 6 DICEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE TARGETTI

indi

DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedo:

Presidente

Presentazione di una relazione:

Cevolotto

Presidente

Domande di autorizzazione a procedere in giudizio:

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Colitto

Camposarcuno

Tosato

Morelli Renato

Fuschini

Macrelli

Leone Giovanni

Minio

Nobile

Bellavista

La Rocca

Togliatti

Targetti

Uberti

Mazza

Gronchi

Alberti

Rossi Paolo

Gullo Rocco

Mazzoni

Clerici

Nenni

Giannini

Corbino

Gullo Fausto

Votazione segreta:

Presidente

Risultato della votazione segreta:

Presidente

Mozione con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Cingolani, Ministro della difesa

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Sul lavori dell’Assemblea:

Caronia

Presidente

Turco

Tonello

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 10.

MAZZA, ff. Segretario, legge il processo verbale della seduta precedente.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo il deputato Arata.

(È concesso).

Presentazione di una relazione.

CEVOLOTTO. Chiedo di parlare per la presentazione di una relazione.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO. Mi onoro di presentare la relazione della seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione sul disegno di legge: Disposizioni sulla stampa.

PRESIDENTE. Questa relazione sarà stampata e distribuita.

Domande di autorizzazione a procedere.

PRESIDENTE. Comunico che il Ministro di grazia e giustizia ha trasmesso sei domande di autorizzazione a procedere in giudizio contro il deputato Li Causi per il reato di cui all’articolo 595, secondo capoverso, del Codice penale.

Saranno trasmesse alla Commissione competente.

 

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

 

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Dobbiamo prendere ora in esame la V disposizione finale e transitoria.

Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Se al momento delle prime elezioni della Camera dei senatori non sono costituiti tutti i Consigli regionali, si procede, anche per il terzo che essi dovrebbero eleggere, con il sistema adottato per gli altri due terzi.

«La prima elezione del Presidente della Repubblica, ove non siano già costituiti tutti i Consigli regionali, ha luogo soltanto da parte dei membri dell’Assemblea Nazionale».

PRESIDENTE. Il primo comma di tale disposizione deve intendersi decaduto, in quanto formulato sul presupposto che i Consigli regionali partecipino alla elezione del Senato.

Rimane, quindi, il secondo comma con la sostituzione della parola «Parlamento» alle altre «Assemblea Nazionale».

Prego la Commissione di esprimere il suo parere.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Mi pare che quello che abbia detto il nostro Presidente sia così chiaro, che io non abbia bisogno di aggiungere nulla.

Il secondo comma rimane.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il secondo comma della V disposizione transitoria, con la modificazione suaccennata.

(È approvato).

È stato presentato il seguente emendamento:

«Inserire il seguente comma tra il primo ed il secondo:

«Il Molise e gli Abruzzi eleggeranno i senatori al primo Parlamento della Repubblica come se fossero due distinte Regioni, fermo restando il numero complessivo dei senatori, che loro spetta come Regione unica.

«Il Molise, poi, eleggerà i deputati in numero di cinque come circoscrizione elettorale a sé stante».

«Colitto, Morelli Renato, Ciampitti, Bencivenga, Selvaggi, Marinaro, Proia, Miccolis, Conti, Lagravinese Pasquale, Penna Ottavia, Monterisi, Porzio, De Falco, Lucifero, Puoti, Lussu, Condorelli, Perrone Capano, Bonino, Abozzi, Giua, Corsini, Bordon, Ghidini, Pera, Cevolotto, Caroleo, Dozza, Bellavista, Rodi, Benedettini, Covelli, Tumminelli,

Patricolo, Sansone, Fiorentino, Mancini, Sereni, Stampacchia, Di Fausto, De Vita, Zuccarini, Fuschini, Corbino, Ayroldi, Carissimo, Scoca, Guerrieri Emanuele, Lettieri, Braschi, Capua, Rodinò Mario, Venditti, Perugi, Restagno, Mastrojanni, Bastianetto, Rognoni, De Martino, Fresa, Russo Perez, Cappi, Delli Castelli Filomena, Giannini, Castiglia, Marina, Mazza, Federici Maria, Quintieri Quinto, Patrissi, Damiani, Mortati, Maffioli, Giacchero, La Gravinese Nicola».

L’onorevole Colitto ha facoltà di svolgerlo.

COLITTO. Onorevoli colleghi, il mio emendamento affida la sua difesa ad un argomento, che a me sembra di luminosa evidenza.

L’articolo 55 della Costituzione, tempo fa approvato, stabilisce che il Senato è eletto a base regionale. Essendo stato, quindi, il Molise unito agli Abruzzi, secondo l’articolo 123, contenente l’elenco delle Regioni, nelle quali la Nazione, con deliberazione di questa Assemblea, è stata divisa, il Molise dovrebbe procedere alla elezione dei senatori insieme con gli Abruzzi. Se, poi, dovessero essere mantenute ferme le circoscrizioni elettorali del 2 giugno 1946, il Molise dovrebbe eleggere i suoi deputati insieme con la nobilissima provincia di Benevento. E così per l’elezione dei senatori vi sarebbe un corpo elettorale e per quella dei deputati ve ne sarebbe altro.

È assurdo, ora, pensare che possano corpi elettorali separati e distinti, come innanzi indicati, procedere alla elezione di rappresentanti della stessa Regione.

Per ovviare a questa strana, assurda, inverosimile situazione, ho proposto l’emendamento aggiuntivo, del quale sto parlando. Con esso propongo che l’Assemblea dichiari che, per la prima elezione del Senato, il Molise ha il diritto di procedere alla elezione dei senatori come Regione a sé stante e per la elezione dei deputati pure come circoscrizione elettorale a sé stante.

Naturalmente i senatori da eleggere saranno tanti quanti al Molise spettano in base alla sua popolazione; e così i deputati saranno cinque, quanti appunto ugualmente spettano al Molise, in base alla sua popolazione.

Viva, vivissima è la mia fiducia che l’emendamento da me proposto sia accolto.

Oltre alla mia firma, esso porta le firme di altri settantacinque colleghi di ogni settore della Camera ed è presso che identico all’emendamento proposto dall’amico onorevole Camposarcuno, che porta la firma sua e quella di altri 106 colleghi, pure di ogni settore della Camera.

Forse non a caso, il destino ha voluto che questa norma si discutesse con le ultime disposizioni della Costituzione.

Essa quasi si protende nel futuro e sembra a me che costituisca come un ponte di passaggio, destinato a collegare l’articolo 123 della Costituzione con la legge futura, che sicuramente consacrerà il Molise come Regione a sé stante fra le Regioni d’Italia.

PRESIDENTE. È stato inoltre presentato il seguente emendamento aggiuntivo:

«Aggiungere il seguente comma:

«Per la prima elezione del Senato, il Molise, per le sue particolari condizioni, sarà considerato come Regione a sé stante, con il numero di senatori che al Molise stesso competono esclusivamente in base alla sua popolazione».

«Camposarcuno, Fuschini, Martino Gaetano, Gabrieli, Spataro, Volpe, Bettiol, Tozzi Condivi, Notarianni, Gronchi, Codacci Pisanelli, Aloisio, Bianchini Laura, Chatrian, Restagno, Ferreri, Ambrosini, Guerrieri Filippo, Mattabella, Castelli Avolio, Belotti, Alberti, Terranova, Guerrieri Emanuele, Guidi Cingolani Angela Maria, Bernamonti, Scoca, Sampietro, De Unterrichter Jervolino Maria, Gui, Numeroso, Del Curto, Vicentini, Bellato, Valmarana, Chieffi, Uberti, Saggin, Galati, Cappi, Recca, Castelli Edgardo, Bubbio, Baracco, Firrao, Monterisi, Trimarchi, Gotelli Angela, Damiani, Fantoni, Carratelli, Titomanlio Vittoria, Bertone, Meda, Nicotra Maria, Bertola, Salvatore, Fabriani, Giacchero, De Palma, Lazzati, Quintieri Adolfo, Ponti, Scalfaro, Delli Castelli Filomena, Conci Elisabetta, Micheli, Colombo, Bacciconi, Tambroni Armaroli, Pecorari, Orlando Camillo, Malvestiti, Cimenti, Caiati, Ferrarese, De Maria, Balduzzi, Cotellessa, Zaccagnini, La Pira, Dossetti, Jervolino, Cremaschi Carlo, Monticelli, Siles, Stella, Turco, Montini, Merlin Umberto, De Martino, Giordani, Rodinò Ugo, Raimondi, Franceschini, Lizier, Biagioni, Ferrario Celestino, Tosato, Arcangeli, Carboni Enrico, Salizzoni, Farini Carlo, Schiratti, Tosi, Puoti».

L’onorevole Camposarcuno ha facoltà di svolgerlo.

CAMPOSARCUNO. Onorevoli colleghi, farò brevissime osservazioni in merito al comma aggiuntivo alla quinta norma finale e transitoria, da me proposto con l’adesione di moltissimi colleghi. Mi auguro che esso trovi il consenso e l’approvazione dell’Assemblea.

Come gli onorevoli colleghi sanno, in occasione della discussione del problema regionale, la seconda Sottocommissione per la Costituzione aveva compreso il Molise fra le nuove Regioni.

Ricordo, per amore di verità, che la Commissione dei Settantacinque, in seduta plenaria, sospese al riguardo ogni decisione, in attesa che fossero raccolti i necessari elementi di giudizio, mediante l’inchiesta allora in corso presso gli organi locali delle Regioni di nuova istituzione.

L’inchiesta ebbe per la mia terra il risultato più lusinghiero. Il Molise, infatti, fu l’unica Regione che, alla unanimità, chiese non il riconoscimento del suo carattere regionale, che ha da secoli, ma di essere staccata dagli Abruzzi, quale Regione autonoma.

Avendo il Comitato di coordinamento sottoposto all’esame ed all’approvazione dell’Assemblea Costituente le sole Regioni storiche e tradizionali, ed avendo l’Assemblea deciso di non affrontare, in questo momento, il problema delle nuove Regioni, non è stata possibile la discussione del problema molisano, così come sarebbe stato desiderabile.

Quando, nella seduta notturna del 29 ottobre scorso, fu discusso l’emendamento proposto dall’onorevole Targetti, che precludeva la discussione sulle nuove Regioni, l’Assemblea dimostrò piena comprensione delle esigenze vitali del Molise; ma, essendo venuto in discussione anche il problema di altre nuove Regioni, giunse alla conclusione che tutto il problema andava rinviato all’esame della prossima Assemblea legislativa.

Ora, che cosa è avvenuto in seguito a tale decisione?

È avvenuto che il Molise, Regione unita solo ufficialmente e statisticamente agli Abruzzi, agli inizi del nostro Risorgimento, per incomprensione e ignoranza delle classi dirigenti del tempo, è rimasto nella mortificante situazione, ove tuttora trovasi, che ha sempre denunziato come illogica, inspiegabile, dannosa ai suoi interessi ed alle sue più elementari necessità.

In occasione della discussione dell’emendamento Targetti già ricordato, si fece il tentativo di separare la questione regionale molisana da quella di tutte le altre nuove Regioni, riconoscendosene così la importanza e il carattere eccezionale.

Ma il nobile tentativo non ebbe fortuna perché, essendosi allo scorcio dei lavori parlamentari, l’Assemblea Costituente non ritenne opportuno di affrontare la discussione generale sulle nuove Regioni o di discutere soltanto la questione molisana, escludendosi le altre.

Intanto si è deciso, da parte dell’Assemblea, che le elezioni dei senatori avvengano su base regionale. Il Molise verrebbe pertanto a trovarsi in questa stranissima ed inconcepibile situazione, di dovere, cioè, eleggere i senatori con gli Abruzzi ed i deputati con la provincia di Benevento.

Ora questo è un assurdo che l’Assemblea Costituente non può consentire.

Questo mio rilievo assai grave è stato riconosciuto esatto e fondato dai deputati abruzzesi, i quali, con centinaia di altri colleghi, hanno firmato il mio comma aggiuntivo.

La parte avversa, cioè la deputazione politica abruzzese, che non solo non contesta né contrasta la mia richiesta, ma la riconosce esplicitamente giusta e fondata.

Il Molise, adunque, non può essere unito agli Abruzzi per la elezione dei senatori. Le ragioni sono molte e tutte assai serie. Ricordo quelle già segnalate alla seconda Sottocommissione per la Costituzione, ed illustrate da me e da vari colleghi in diverse circostanze e in pubbliche discussioni all’Assemblea. La formazione anche di un solo collegio comune agli Abruzzi ed al Molise è praticamente impossibile, date le enormi difficoltà di ogni natura che si presenterebbero.

Si intendono, così, agevolmente le ragioni di questo mio intervento.

Perché ho proposto che soltanto per la prima elezione il Molise possa eleggere, come Regione a sé stante, i senatori ai quali ha diritto per la sua popolazione? Perché ho la certezza, specialmente dopo l’approvazione dell’articolo aggiuntivo dell’onorevole Mortati, che nei sei anni che decorreranno dalla prima elezione del Senato alla seconda, il Molise sarà finalmente riconosciuto come Regione autonoma e quindi procederà, come tale, all’elezione dei senatori in conformità di legge.

Io denunziai, lo ripeto, nella seduta del 29 ottobre, la situazione dolorosa nella quale si sarebbe trovato il Molise in caso del suo mancato o ritardato riconoscimento regionale, di essere costretto, cioè, a fare l’elezione dei senatori in una circoscrizione elettorale e quella dei deputati in circoscrizione elettorale diversa. Situazione mortificante, lo ripeto sino alla noia, inconcepibile, che non ha alcuna logica spiegazione e che va corretta nei limiti del possibile.

Questo io vi domando, onorevoli colleghi.

Avanti alla Commissione per l’esame delle leggi elettorali, della quale ho l’onore di far parte, io ho sollevato la stessa questione ed ho fatto le stesse richieste per la elezione dei deputati.

Richieste così oneste e così giuste che hanno trovato adesione anche da parte dell’onorevole Bosco Lucarelli, deputato di Benevento. Io ho fatto, avanti la Commissione, la seguente testuale istanza: «Si fa espressa richiesta che le circoscrizioni dei collegi elettorali siano stabilite con un minimo di cinque deputati.

«In via subordinata si chiede che il Molise per le sue peculiari e particolari condizioni, sia considerato come circoscrizione autonoma per la elezione dei deputati».

La Commissione, all’unanimità, ha accolto questa mia seconda richiesta ed ha deciso di proporre all’Assemblea che il Molise sia considerato quale circoscrizione elettorale autonoma, separandolo dalla provincia di Benevento.

Chiedo che l’Assemblea prenda le stesse decisioni, nei confronti degli Abruzzi per la elezione dei senatori, perché sarebbe assurdo che ci fossero per il Molise due circoscrizioni diverse, una per la elezione dei deputati ed un’altra per la elezione dei senatori.

Che cosa avverrà, accogliendosi la mia proposta?

Il corpo elettorale non sarà disorientato e saprà che non deve votare per la elezione dei senatori con gli Abruzzi e per quella dei deputati con Benevento; ma deve eleggere, da solo, quei deputati e quei senatori che spettano al Molise stesso.

In tal modo si compirà un atto di giustizia verso il Molise, questa terra modesta e fiera, che, mi piace ricordarlo ancora, non conosce disertori in guerra e rivoltosi in pace; questa terra laboriosa e tenace, fedele al focolare ed all’altare, madre di uomini insigni che hanno onorato l’Italia, questo Molise che attende con fede immensa e profonda il giorno in cui potrà essere annoverato con dignità tra le nuove. Regioni della nostra Patria.

Io sono certo, onorevoli colleghi, che con il vostro voto verrete incontro a questa profonda e viva necessità della mia terra natale. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Tosato ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

TOSATO. La Commissione non ha nessuna osservazione da fare in merito agli emendamenti proposti dagli onorevoli Colitto, Camposarcuno ed altri. La Commissione osserva soltanto, da un punto di vista formale che riesce piuttosto difficile giustificare una disposizione di questo genere in sede costituzionale, sia pure in sede di disposizioni transitorie finali. Sembra alla Commissione che questa sia materia propria di leggi elettorali: però, la Commissione non si pronuncia nel merito. Se quindi l’Assemblea ritiene di stralciare da questa proposta l’emendamento e farne oggetto di un ordine del giorno, il quale sarà tenuto presente in sede di legge elettorale, la Commissione ritiene che questa sia la via più opportuna.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Come ha detto l’onorevole Tosato, non si tratta di disposizione d’ordine costituzionale. Il comitato si rimette all’Assemblea perché veda se non sia il caso di farne un voto od un ordine del giorno.

MORELLI RENATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORELLI RENATO. Vorrei sentire su questa proposta il parere dei presentatori degli emendamenti: poi parlerei brevissimamente per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. L’onorevole Colitto ha facoltà di parlare.

COLITTO. Per la verità io guardo alla sostanza e non alla forma. Non troverei, quindi, difficoltà ad accogliere il suggerimento della Commissione di tramutare la norma transitoria da me proposta in ordine del giorno, da votarsi da parte dell’Assemblea e da tenersi, poi, presente in sede di discussione della legge elettorale.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Fuschini, secondo firmatario dell’emendamento Camposarcuno.

FUSCHINI. La proposta dell’onorevole Colitto, specialmente per quel che si riferisce alla elezione dei deputati, è veramente materia della legge elettorale, perché nella Costituzione non vi è nessuna disposizione, che disponga o imponga degli obblighi per la formazione delle circoscrizioni elettorali. Per il Senato, invece, la Costituzione ha stabilito una norma tassativa, dalla quale non si può derogare, se non con una disposizione di carattere transitorio. Infatti, l’articolo 55 della Costituzione stabilisce che il Senato della Repubblica è eletto a base regionale.

Ora, non possiamo venire meno a questa disposizione di carattere generale, se non con una disposizione di carattere transitorio. Fino a tanto che le Regioni non saranno costituite, non si potrà parlare di una possibilità per il Molise di avere una circoscrizione per l’elezione dei senatori, senza cadere in contradizione con la norma stabilita dall’articolo 55. Cioè: il Molise dovrebbe nominare i Senatori per la Regione dell’Abruzzo e del Molise. Ora, per rendere possibile la elezione dei senatori separando Abruzzo e Molise, è necessaria una disposizione di carattere transitorio, perché la legge elettorale sul Senato non potrà derogare al principio generale.

Quindi, si può rinunziare alla parte dell’emendamento Colitto che si riferisce alla Camera dei deputati, ma non a quella che si riferisce al Senato.

PRESIDENTE. Dunque, secondo l’onorevole Fuschini sarebbe necessario mantenere l’emendamento, perché l’ordine del giorno non servirebbe allo scopo.

L’onorevole Tosato ha facoltà di rispondere a nome della Commissione.

TOSATO. La Commissione, ripeto, non ha da fare osservazione in merito alla proposta.

Per quanto riguarda il rilievo fatto dall’onorevole Fuschini, la Commissione risponde questo: vero è che vi è una disposizione costituzionale, già sancita, secondo la quale le elezioni per il Senato si devono fare su base regionale. Ma questo principio ha un contenuto negativo ed esclusivo piuttosto che positivo: che le elezioni del Senato devono avere una base regionale significa che non vi devono essere per queste elezioni elementi di una Regione che concorrano ad eleggere i senatori di altre Regioni; ma nulla vieta che all’interno di una Regione si possano fare circoscrizioni distinte.

FUSCHINI. Non è esatto questo. Il calcolo elettorale si deve fare sul complesso della Regione, non sulle parti.

COLITTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Poiché l’onorevole Fuschini ha sollevato dubbi e fatto rilievi, prego l’Assemblea di votare la norma. Se vi sono dubbi, è opportuno che intervenga una norma ad eliminarli.

Naturalmente insisto sulla prima parte del mio emendamento e non mi oppongo a che ogni discussione sulla seconda sia rinviata alla legge elettorale.

CAMPOSARCUNO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAMPOSARCUNO. La Commissione per l’esame delle leggi elettorali, esaminando il disegno di legge per la elezione della Camera dei deputati, è già stata investita della questione ed ha preso una decisione, che sottoporrà all’Assemblea.

MORELLI RENATO. Chiedo di fare una brevissima dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORELLI RENATO. Voterò a favore di questo emendamento, perché l’Assemblea ha commesso un peccato contro la logica, che oggi sconta sentendo parlare più volte della questione molisana.

L’ordine del giorno Targetti stabiliva infatti che si dovessero costituire in Regioni le «regioni storico-tradizionali», e questa era la premessa maggiore del sillogismo; veniva poi la premessa minore, consacrata dall’Assemblea sulla elencazione delle Regioni; secondo il nuovo ordinamento dello Stato, elencazione che comprende «Abruzzi e Molise» e riconosce in tal modo la esistenza storica e tradizionale di ambedue le regioni, la loro autonomia di fatto. Vi era una conseguenza da trarre logicamente e non è stata tratta: occorre trarla oggi ai fini della elezione dei senatori.

PRESIDENTE. Onorevole Camposarcuno, consente che si metta in votazione l’emendamento dell’onorevole Colitto?

CAMPOSARCUNO. Ho già dichiarato all’Assemblea che non ho difficoltà a consentire che dei nostri due emendamenti se le faccia uno solo. La Commissione per la Costituzione prenda in esame il mio emendamento e quello del collega Colitto e ne rediga uno come meglio può e crede, purché la sostanza sia quella: eliminando, materialmente, come già è stato detto, la seconda parte dell’emendamento dell’onorevole Colitto che riguarda un argomento di natura non costituzionale.

PRESIDENTE. Ella mi insegna, onorevole Camposarcuno, che la Presidenza non ha il potere di modificare, fondere o correggere emendamenti. Bisognerebbe, che i due presentatori si mettessero d’accordo. Mi permetto di fare osservare che è un caso in cui c’è assoluta identità nella sostanza, in quanto mentre l’onorevole Colitto dice che «si deve separare il Molise dagli Abruzzi nella elezione» l’onorevole Camposarcuno afferma che «il Molise deve procedere per conto suo».

CAMPOSARCUNO. Onorevole Presidente, ho richiesto che la eventuale fusione dei due emendamenti sia fatta della Commissione e non dalla Presidenza.

PRESIDENTE. Poiché l’onorevole Colitto è stato il primo presentatore, credo che il collega Camposarcuno non abbia nulla in contrario a che si metta in votazione l’emendamento Colitto.

MORELLI RENATO. Ad evitare perdita di tempo chiedo che si voti sulla sola prima parte dell’ordine del giorno Colitto.

PRESIDENTE. Evidentemente, poiché non si può votare sulla seconda parte che è stata ritirata. Mi sembra che l’onorevole Camposarcuno non debba avere nulla in contrario, se all’ordine del giorno dell’onorevole Colitto si aggiunge il suo nome, in modo che si possa mettere in votazione l’emendamento Colitto-Camposarcuno.

FUSCHINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUSCHINI. Desidero fare una dichiarazione di carattere preliminare in considerazione della situazione tecnica.

L’emendamento dell’onorevole Colitto si presta a delle confusioni in sede di applicazione, perché esso dice nell’ultima frase: «debbono essere considerate come due regioni distinte, fermo restando il numero complessivo dei senatori che loro spetta come regione unica». Cosa accade, se si applica questo emendamento? Che si farebbe il coacervo delle popolazioni fra Abruzzo e Molise, mentre l’onorevole Camposarcuno propone che questo coacervo di popolazioni non si verifichi, ma si tengano le popolazioni distinte, fermi restando per il Molise i senatori che spettano al Molise in rapporto alla sua popolazione ed altrettanto facendo per gli Abruzzi. Pertanto gli Abruzzi avranno il loro numero di senatori in rapporto alla loro popolazione ed altrettanto avverrà per il Molise.

Se si procede alla somma delle popolazioni, può verificarsi questo inconveniente tecnico: che vi sia un senatore in più, che non si sa a chi attribuire. Ecco perché è necessario tener ben ferma questa considerazione, per cui è indispensabile che sia chiarito che i senatori sono attribuiti al Molise in rapporto alla sua popolazione, non al complesso della popolazione degli Abruzzi e Molise. Ecco perché, per conto mio, insisto che l’emendamento abbia la formulazione che è stata proposta dall’amico Camposarcuno.

PRESIDENTE. Onorevole Colitto, ella è d’accordo nel porre la sua firma all’emendamento Camposarcuno?

COLITTO. Avendo io detto nel mio emendamento che devono essere gli Abruzzi ed il Molise considerati come Regioni distinte, mi pare evidente, specie dopo quello che ho detto innanzi illustrandolo, non abbiano ragione di essere i rilievi dell’onorevole Fuschini. Si faccia, ad ogni modo, quello che si vuole dal Presidente.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la seguente formulazione che porta la firma degli onorevoli Camposarcuno e Colitto:

«Per la prima elezione del Senato, il Molise, per le sue particolari condizioni, sarà considerato come Regione a sé stante, con il numero di senatori che al Molise stesso competono esclusivamente in base alla sua popolazione».

(È approvata).

L’onorevole Macrelli ha presentato la seguente disposizione transitoria:

«Finché non avrà deliberato il proprio Regolamento interno, il Senato della Repubblica adotterà, in quanto applicabile, il regolamento della Camera dei deputati in data 10 luglio 1900 e successive modificazioni fino al 1922».

Ha facoltà di svolgerla.

MACRELLI. Credo non ci sia bisogno di dare spiegazione a questa proposta che ho fatto. Il Senato regio, in base allo Statuto albertino, era di nomina e di prerogativa del sovrano. Le elezioni della Presidenza venivano fatte secondo norme che voi conoscete: si indicavano dei nomi e la sanzione veniva sempre dall’alto. Ora, in questo periodo transitorio, prima cioè che il Senato funzioni regolarmente, prima che il Senato della Repubblica possa costituire il suo ufficio di Presidenza, le Commissioni, ecc., è necessario che abbia un Regolamento. Lo farà al momento opportuno, quando sarà regolarmente costituito, ma in questo periodo di transizione che passa fra il momento della nomina dei senatori e la sua regolare costituzione, io penso che il Senato della Repubblica possa e debba adottare il Regolamento che vige per l’Assemblea Costituente.

PRESIDENTE. Prego la Commissione di voler esprimere il suo avviso.

TOSATO. La Commissione non ha avuto il tempo necessario per esaminare la proposta dell’onorevole Macrelli. Personalmente io non sono favorevole, per questa ragione: perché è un principio costituzionale, da noi già riconosciuto, quello dell’autonomia regolamentare interna di ciascuna delle Camere, è un principio generale di tutti gli organi costituzionali i quali, per l’esercizio della loro attività, regolano il procedimento dei loro lavori come credono. Ora, l’onorevole Macrelli pensa ad eventuali difficoltà che possano sorgere in occasione della prima seduta per il fatto che questa Camera si riunisce senza avere nessun Regolamento. Questa difficoltà non esiste, però, perché nulla toglie che nella sua prima deliberazione relativamente a questo oggetto circa il modo di procedere nella sua attività, questo nuovo futuro Senato potrà stabilire provvisoriamente, fino a che non sarà stato deliberato diversamente, di adottare il Regolamento della Camera dei deputati; ma noi non possiamo imporre un Regolamento che non sia stato accolto spontaneamente dalla stessa Assemblea che dovrà poi osservarlo.

PRESIDENTE. L’Assemblea avrà così potuto rendersi conto che la Commissione non si pronuncia essa stessa, ma l’onorevole Tosato, per conto suo, ha espresso la sua personale opinione contraria a questo riguardo.

Pongo pertanto in votazione la proposta dell’onorevole Macrelli.

(Non è approvata).

Passiamo ora all’esame del seguente emendamento:

«Per la prima elezione del Senato, sono nominati senatori di diritto con decreto del Capo provvisorio dello Stato i deputati dell’Assemblea Costituente che abbiano fatto parte del disciolto Senato, o che siano stati Presidenti del Consiglio o di Assemblea, o che abbiano avuto almeno tre elezioni, compresa quella all’Assemblea Costituente.

«A tale diritto si può rinunciare, ma la rinuncia deve essere fatta prima della firma del decreto di nomina.

«Leone Giovanni, Avanzini, Rossi Paolo, Pignatari, Cifaldi, Villabruna, Candela, Alberti, Preziosi, Corbino, Condorelli, Costantini, Martinelli, Castelli Avolio, Adonnino, Aldisio, Andreotti, Angelucci, Arata, Arcaini, Balduzzi, Basile, Bastianetto, Bellato, Bellavista, Bellusci, Belotti, Bencivenga, Benedettini, Bernabei, Bettiol, Bianchini Laura, Binni, Bonfantini, Bonino, Braschi, Burato, Cacciatore, Caccuri, Caiati, Cairo, Calamandrei, Caldera, Camangi, Camposarcuno, Gannizzo, Caporali, Cappelletti, Cappugi, Capua, Carboni Angelo, Carignani, Caristia, Caroleo, Carratelli, Cartia, Caso, Cassiani, Castelli, Cevolotto, Chatrian, Chiaramello, Chieffi, Chiostergi, Ciampitti, Ciccolungo, Cimenti, Clerici, Coccia, Codacci Pisanelli, Colitto, Colombo, Colonna, Colonnetti, Conci Elisabetta, Coppi, Corsanego, Corsi, Corsini, Covelli, Cremaschi Carlo, Crispo, De Caro Gerardo, Della Seta, De Maria, De Martino, De Michelis Paolo, De Palma, Del Curto, Delli Ca stelli Filomena, Di Fausto, Di Gloria, Dominedò, Donati, Fabbri, Fabriani, Faralli, Federici Maria, Ferrarese, Ferrario, Fietta, Fiorentino, Firrao, Fogagnolo, Foresi, Franceschini, Fusco, Gabrieli, Galati, Garlato, Geuna, Ghidini, Giacchero, Giacometti, Giordani, Gotelli Angela, Grilli, Guariento, Guerrieri Filippo, Guidi Cingolani Angela, Gullo, De Unterrichter Jervolino Maria, La Malfa, Lami Starnuti, La Pira, Lettieri, Lizier, Longhena, Luisetti, Marinaro, Marzarotto, Mastino, Mastrojanni, Mazza, Mazzei, Meda, Merighi, Merlin Angelina, Miccolis, Monterisi, Montini, Morelli Luigi, Morelli Renato, Morini, Mortati, Murdaca, Murgia, Musotto, Nasi, Nicotra Maria, Notarianni, Numeroso, Orlando Camillo, Paolucci, Paris, Pastore, Pecorari, Penna Buscemi Ottavia, Pera, Perlingieri, Perrone Capano, Perugi, Pieri, Priolo, Proia, Quarello, Quintieri Adolfo, Quintieri Quinto, Raimondi, Recca, Rescigno, Restagno, Rivera, Rodinò Ugo, Rognoni, Romano, Saggin, Salerno, Santi, Sapienza, Saragat, Scalfaro, Schiratti, Scoca, Scotti, Siles, Silone, Simonini, Spallicci, Spataro, Stampacchia, Sullo, Tega, Tessitori, Titomanlio Vittoria, Tomba, Tosi, Tozzi Condivi, Treves, Trimarchi, Valenti, Valmarana, Vanoni, Varvaro, Venditti, Vigo, Vernocchi, Vicentini, Vigna, Villani, Volpe, Zagari, Zerbi, Zotta».

L’onorevole Leone Giovanni ha facoltà di svolgere l’emendamento di cui ho dato testé lettura.

LEONE GIOVANNI. La ripresa della vita democratica in Italia – dopo la lunga frattura fascista – ci ha ricongiunto ad uomini che, già prima del 1922, avevano, attraverso la consacrazione di più elezioni, assunto un notevole rilievo politico: taluni erano già ai fastigi della politica italiana. Questi uomini politici, che ci riconducono col pensiero alle fortune del nostro Paese prima della dittatura, sono tornati in questa Assemblea con un nuovo crisma elettorale.

Orbene, il vecchio ed il nuovo crisma elettorale – che costituiscono il punto centrale della nostra proposta e vogliono differenziarla da tutte quelle altre che tale requisito non chiedessero – valgono a saldare la nuova classe politica italiana a quella parte della vecchia classe politica italiana che, con la resistenza di fronte al fascismo e con la riconsacrazione elettorale, dimostra di meritare questo nostro riconoscimento: l’ammissione di diritto (salvo rinunzia) nel primo Senato della Repubblica italiana.

La votazione di questo articolo avrà questo alto significato non solo sentimentale, ma anche, e soprattutto, politico: la nuova classe politica italiana, pur senza nostalgie e imitazioni, pur consapevole dei suoi nuovi compiti e delle sue nuove responsabilità, vuol salutare ed onorare le più rappresentative espressioni della vecchia classe politica, che così autorevole contributo hanno dato al nostro lavoro costituente.

MINIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MINIO. Ho chiesto di parlare per esprimere il pensiero del nostro Gruppo su tutta una serie di emendamenti che sono stati presentati a proposito del primo Senato della Repubblica, e per sollevare una pregiudiziale, perché noi riteniamo che tutti questi emendamenti – che non starò a leggere – tutti, in forma più o meno grave, costituiscono una violazione, ed una violazione gravissima, del principio del suffragio universale che noi abbiamo posto a base delle libere istituzioni democratiche del popolo italiano.

Riteniamo che questi emendamenti siano particolarmente in contrasto con l’articolo 55 del progetto di Costituzione, il quale stabilisce che i senatori sono eletti mediante suffragio universale e diretto.

Inoltre pensiamo, onorevoli colleghi, e speriamo che la maggioranza di questa Assemblea condivida il nostro parere, che sarebbe oltremodo scandaloso – mi sia permessa la parola – che un’Assemblea provveda essa a nominare un’altra Assemblea o una parte di un’altra Assemblea. E a questo proposito non avrei che richiamarmi al giudizio autorevole di Don Luigi Sturzo. (Commenti al centro).

Questi emendamenti costituiscono una violazione dell’articolo 55, anche se si riferiscono solo al primo Senato, perché il primo Senato della Repubblica non sarà un organismo transitorio, o lo sarà nella misura in cui tutte le cose sono transitorie. Questo Senato durerà sei anni, a termini della nostra Costituzione, ed è evidente che la nomina di diritto di un numero così grande di senatori (si diceva in una conversazione con l’onorevole Uberti che questo numero si aggira sui 65-70; (Commenti) vedremo quanti saranno, onorevoli colleghi, costituirebbe una falsificazione completa del responso elettorale, dei risultati delle elezioni.

Se non erro il prossimo Senato non comprenderà oltre 230 o 240 senatori. A questo numero si aggiungerebbero 70 senatori circa, che non trarrebbero la loro origine dal suffragio universale…

Una voce al centro. Ma hanno dei meriti acquisiti!

MINIO. E si tenga presente che il Senato ha gli stessi poteri della Camera dei deputati. Io non penso che sia democratico, che corrisponda ai principî basilari delle nostre istituzioni accettare emendamenti di questo genere che suonerebbero offesa ed oltraggio alla sovranità popolare.

Si dice che, così facendo, si vogliono includere degli uomini benemeriti del nostro Paese nel prossimo Senato.

Noi riteniamo che, se vi sono degli uomini benemeriti, sarà interesse dei partiti e delle correnti politiche alle quali appartengono, presentarli al giudizio del corpo elettorale. D’altra parte, onorevoli colleghi, noi abbiamo scelto il collegio uninominale come modo di consultazione del popolo per le elezioni del Senato e questo darà facoltà a questi uomini, sarà una garanzia per questi nomini, di potersi presentare per far valere presso il corpo elettorale i loro meriti e le loro benemerenze.

Appunto per venire incontro a tale esigenza siamo stati favorevoli al collegio uninominale. Faccio appello quindi, alla coscienza di questa Assemblea perché questi emendamenti vengano ritirati.

Fra di essi c’è anche un nostro emendamento, presentato dal nostro Gruppo: ebbene siamo disposti a ritirare anche questo emendamento, con il quale – solo dopo che i colleghi delle altre parti avevano già presentato i loro – avevamo chiesto che fossero nominati senatori del primo Senato della Repubblica i membri dell’Assemblea Costituente che avessero sofferto oltre cinque anni di carcere per la resistenza all’oppressione fascista.

Onorevoli colleghi! Mi sia permesso di dire che aver sofferto anni di carcere per il nostro Paese in un momento in cui pochi credevano nella causa della democrazia, è un merito grande, certamente superiore a quello di essere stati eletti tre o più volte ad un’Assemblea politica.

E vorrei aggiungere – mi sia permesso – una parola rivolta appunto a quegli uomini di valore, a quegli uomini di merito, i quali aspirano ad essere membri del futuro Senato della Repubblica. Vorrei cioè far loro presente in quale situazione penosa essi verrebbero a trovarsi in una Assemblea elettiva, nella quale domani tutti i loro voti potrebbero essere contestati da una parte o dall’altra e, in certi casi, contestali dallo stesso Paese.

Vorrei concludere, onorevoli colleghi, con due considerazioni marginali. La prima è che noi siamo giunti oggi all’approvazione degli ultimi articoli del progetto, ossia al termine del nostro lavoro di Costituenti. Su questa Costituzione, quale esce approvata dall’Assemblea Costituente, vi potranno essere, vi saranno anzi senza dubbio giudizi diversi e contrastanti. Nessuno di noi, nessun Gruppo potrà essere soddisfatto al cento per cento: è probabile che ognuno di noi troverà in questa Costituzione qualche cosa che non avrebbe approvato, che non avrà approvato.

Ma tuttavia, ritengo di potere affermare che, nonostante la vivacità dei nostri contrasti, nessuno di noi possa sentirsi sopraffatto da queste nostre discussioni, da questa nostra Costituzione. E allora io mi domando, egregi colleghi, se non sia ingiusto, se non sia impolitico, se non sia antidemocratico terminare questa Costituzione con una sopraffazione, per lo meno di una parte politica, particolarmente di quella che noi rappresentiamo.

Fino ad ora nessuno esce sopraffatto: nemmeno i monarchici, perché, se noi abbiamo deciso che la forma dello Stato debba essere la repubblicana, questa è stata una decisione sovrana del popolo italiano, che ha preceduto i lavori dell’Assemblea. L’approvazione di questi emendamenti non potrebbe che generare sfiducia verso i nostri lavori, sfiducia verso l’Assemblea e – mi sia permesso di dirlo – verso la stessa morale della nostra Assemblea.

Inoltre, se questi emendamenti dovessero venire approvati, noi verremmo, onorevoli colleghi, ad oltraggiare il suffragio universale e i principî democratici, ed a creare, ed è questa la seconda considerazione, una situazione pericolosa nel nostro Paese: quale sarebbe infatti domani l’atteggiamento di quella parte politica che avesse riportato la maggioranza nella Camera dei deputati, che avendo cioè riportato la maggioranza nelle consultazioni elettorali, si vedesse messa in minoranza nel Senato a causa della presenza di un numero così grande di senatori che traggono la loro origine non dal suffragio universale?

Questa parte non potrebbe assolutamente accettare una tale conclusione.

E a noi ci sembra saggio non gettare in questo momento altri semi di discordia nel nostro Paese. Abbiamo posto il suffragio universale a fondamento delle nostre istituzioni democratiche; lasciamo allora che sia il suffragio universale a decidere, ossia la volontà sovrana della Nazione. (Applausi a sinistra).

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Onorevoli colleghi, sono in grado di dirvi io, con precisione, il numero dei senatori che, ove fosse approvata questa disposizione transitoria, verrebbero ad aggiungersi ai 225 o ai 230, che verranno eletti dal popolo. Essi sono settanta, e vi dirò come si giunge a questo numero. Ve n’è uno che ha nove legislature; due che ne contano sette; quattro che ne contano sei; otto che ne contano cinque; diciannove che ne contano quattro, ed infine trenta che ne contano tre. Questi formano un totale di 64. Dovete aggiungervi 4 senatori-deputati, e arrivate a 68; aggiungetevi ancora un ex-Presidente del Consiglio, e arrivate a sessantanove; e poi ancora un Presidente di Assemblea, e si arriva esattamente al numero di 70. (Commenti a destra).

Ora io domando; questi settanta senatori aggiunti arbitrariamente, senza alcun criterio selettivo, ai 220 o 230 eletti a suffragio universale, non verranno, forse, ad alterare profondamente il significato dell’elezione del Senato, di quel Senato che abbiamo voluto appunto elettivo, e al quale abbiamo dato esattamente tutti i diritti e tutti i doveri della prima Camera? E allora, se questo Senato deve rappresentare l’opinione prevalente nel Paese, al momento delle elezioni, io mi domando se tale rappresentanza non verrà alterata dal fatto di avervi inserito settanta senatori in soprannumero.

Per queste ragioni trovo giusta la tesi svolta dall’onorevole Minio. Io non credo che l’Assemblea Costituente possa approvare, così com’è, questa disposizione transitoria. Ciò costituirebbe un fatto inaudito senza precedenti in nessuna Assemblea del mondo, perché non credo che siasi mai dato il caso di membri di un’Assemblea che si siano da se stessi nominati membri di un’altra Assemblea futura!

Ciò è contro ogni logica, e anche, forse, contro ogni principio giuridico, poiché non mi pare si possa con una disposizione transitoria contraddire, nell’interesse di un certo numero di persone, a disposizioni costituzionali già regolarmente approvate. Tuttavia, poiché riconosco che vi sono in questa Assemblea talune eminenti personalità alle quali sarebbe giusto assicurare, nell’interesse stesso del Paese, che possano sedere nel futuro Senato, anche se non vogliono mescolarsi alle competizioni elettorali, io, in linea subordinata, mi permetterei di sottoporre alla Assemblea la seguente proposta:

«Per la prima elezione del Senato sono nominati senatori di diritto, con decreto del Presidente della Repubblica, i deputati dell’Assemblea Costituente che contano almeno cinque legislature, compresa quella dell’Assemblea stessa, o che abbiano fatto parte del disciolto Senato, (e con ciò verrebbero nominate in soprannumero 19 senatori), o che abbiano sofferto durante il periodo fascista almeno dieci anni di carcere o di confino». (Commenti al centro e a destra).

Questa è la mia proposta subordinata.

BELLAVISTA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BELLAVISTA. Pochi che, come me, si manifestano decisamente contrari a quella degenerazione della stessa rappresentanza proporzionale costituita dalla lista nazionale, avrebbero potuto forse con maggiore coerenza di quanto questo non si apprezzi, sostenere gli argomenti dell’onorevole Minio, al quale sarebbe stolto negare una qualsiasi ragione di seria fondatezza.

Senonché, mi consenta il collega Minio e il Gruppo cui appartiene alcune brevi osservazioni.

Vero è che in siffatta maniera, e specie se le proporzioni denunciate dal collega Nobile in senso numerico sono esatte…

Una voce al centro. Non sono esatte.

BELLAVISTA. …si verrebbe ad attentare in certa qual maniera (non così grave come l’onorevole Minio pensa, e poi lo dirò) a quel principio di elettività che ha il nuovo Senato della Repubblica; però in realtà questo principio già lo avete violato in piccola parte, ma lo avete violato dove? Ai già approvati articoli 55-bis e 55-ter, là dove si dice che vi sono senatori di diritto e a vita, salvo rinuncia, (e ricorderete che, nel primo gruppo di emendamenti che l’esaminano, questa possibilità di rinuncia è prevista, e, per quanto io sappia, c’è ancora in giro una stolta prevenzione di ostilità verso il Senato della Repubblica, che è elettivo e non è più il Senato regio!); e poi si dice che cinque Senatori sono nominati a vita dal Presidente della Repubblica fra coloro che per meriti insigni nei campi sociale, artistico, scientifico, letterario, hanno illustrato la Patria.

Questa violazione, per quanto riguarda il Senato, c’è.

Ma noi l’abbiamo anche, questa violazione, per la Camera, perché – per quanto io sappia – la legge elettorale che sarà portata a questa Assemblea prevede ancora (non so se questa disposizione uscirà salva) la lista nazionale, nella quale sarà inclusa gente che non sarà assolutamente conosciuta dalla base elettorale, e che può essere messa in lista con criteri che possono essere apprezzati solo dalle direzioni dei partiti.

E allora come risolvere equamente il problema?

È inutile ricordare all’onorevole Minio – che onestamente l’ha ammesso in linea subordinata – che qui vengono in conflitto due interessi ugualmente apprezzabili e degni di considerazione. Un primo interesse è quello che la Repubblica dell’antifascismo deve essere riconoscente verso chi combatteva la battaglia dell’antifascismo! (Approvazioni a sinistra). Il secondo interesse – segnalato dall’onorevole Minio – è che non bisogna precostituire una fisionomia asimmetrica determinata al Senato. E questo è giusto, ma se dall’astratto apprezzabile scendete al concreto (credo che in politica non sia meno apprezzabile), se a questa operazione aritmetica svolta dall’onorevole Nobile, che si risolve però soltanto in una addizione, si aggiunge un’altra operazione, la divisione, vedrete che in concreto la fisionomia del Senato non sarà lombrosiana, asimmetrica, ma sarà perfettamente simmetrica. Se si approverà l’emendamento dell’onorevole Laconi che compensa l’esiguità di quella coraggiosa pattuglia comunista, che a sinistra, con Gramsci, combatté qui dentro le battaglie dell’antifascismo e se si dà libero ingresso al Senato a quelli che ebbero condanne dai tribunali speciali, allora noi concilieremo queste irrinunziabili riconoscenze, riconoscenze che non devono essere verbaiole soltanto, con una equa distribuzione di questa rappresentatività che intendiamo fissare.

PRESIDENTE. È stata presentata dall’onorevole La Rocca, dall’onorevole Grieco e dall’onorevole Minio una richiesta affinché l’Assemblea Costituente in linea pregiudiziale si pronunzi su questo principio: se sia possibile che essa autorizzi il Capo dello Stato a nominare membri di diritto del Senato, sia pure temporaneamente.

Prego l’onorevole La Rocca di precisare la forma di questa richiesta.

LA ROCCA. A me pare che noi dobbiamo innanzi tutto metterci d’accordo su questo punto: se l’Assemblea Costituente può arrogarsi la facoltà di autorizzare il Capo dello Stato a nominare membri di diritto del Senato.

PRESIDENTE. Ella mi insegna che c’è una forma sola per provocare una decisione dell’Assemblea in casi simili, cioè la presentazione di un ordine del giorno, sempre che il Regolamento lo consenta.

LA ROCCA. Allora, signor Presidente, se si tratta di questo noi saremmo disposti a mutare questa richiesta in un ordine del giorno. Io desidererei che l’Assemblea si pronunziasse pregiudizialmente su questa questione di principio: se essa può arrogarsi la facoltà di autorizzare il Capo dello Stato a nominare, sia pure in linea transitoria, membri di diritto di un ramo del Parlamento.

PRESIDENTE. Mi permetto osservare all’onorevole La Rocca prima di tutto che egli cade in una inesattezza; se afferma che l’Assemblea Costituente ha ancora da decidere il principio preclusivo che si possa nominare di diritto e a vita dei componenti del Parlamento, perché, come se non erro l’onorevole Bellavista ha ricordato, c’è già l’articolo 55-ter che conferisce questo potere al Capo dello Stato, cioè al Presidente della Repubblica. In secondo luogo, devo osservare che per l’articolo 92 del Regolamento è preclusa la presentazione di ordini del giorno quando si è in sede di esame e discussione di emendamenti.

Infine mi permetto osservare all’onorevole La Rocca che tutti i colleghi che sono contrari ad ammettere questo principio, hanno modo di opporsi votando contro la disposizione contenuta in questo emendamento aggiuntivo proposto all’Assemblea. Non mi sembra che vi sia la necessità assoluta di venire ad una deliberazione in proposito, che, prima di tutto, potrebbe essere in contrasto con quanto si è già stabilito, e in secondo luogo costituirebbe una irregolarità procedurale.

LA ROCCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA ROCCA. A me pare che l’Assemblea abbia già deliberato al riguardo concedendo al Capo dello Stato la facoltà di nominare cinque membri di diritto del Senato e non di più, ed in circostanze particolari, cioè tenendo conto delle attività, dei meriti eccezionali di determinati individui che si intendeva sottrarre alle vicende di una campagna elettorale. Con questa disposizione noi praticamente daremmo al Capo dello Stato la facoltà di nominare per suo conto e col nostro consenso un numero rilevante di membri del Senato, sovvertendo così le norme sulle quali ci siamo messi d’accordo finora.

LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare per aderire all’esatta impostazione che lei, signor Presidente, ha dato sul piano procedurale di questa questione, in quanto a me sembra che, trattandosi non di discussione generale, che è chiusa da un pezzo, non di discussione sugli articoli, ma di discussione su gli emendamenti, non vi sia luogo per la presentazione di ordini del giorno. Quanto al merito, volevo osservare all’onorevole La Rocca che noi abbiamo votato due articoli con i quali si conferisce il diritto al Capo dello Stato di nominare a vita dei senatori. Questa è, invece, una norma transitoria, la quale spiega questa sua essenza transitoria, cioè passeggera, contingente, per il fatto che il suo contenuto si riferisce soltanto al primo Senato. Questo è opportuno osservare, perché, senza vulnerare alcun principio già votato, senza incidere in un principio votato che ha un ambito perfettamente distinto, in quanto si riferisce a nomine a vita, questa norma può essere oggi opportunamente votata in questa sede che è l’unica sede idonea.

Prego quindi il Presidente di mettere ai voti il mio emendamento.

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. Non faccio una dichiarazione di voto, che è stata fatta dall’onorevole Minio, ma mi occupo unicamente della procedura della votazione. Mi pare che, se secondo il parere del Presidente è considerata inammissibile una questione pregiudiziale, potremmo arrivare allo stesso risultato votando per divisione. Si può votare prima il principio. Coloro che non vogliono saperne affatto, votano no; e la questione è risolta. Poi si passa alle categorie.

PRESIDENTE. Mi sembra che la proposta dell’onorevole Togliatti sia perfettamente in linea con le norme regolamentari e con il tenore dell’emendamento.

Passiamo, pertanto, alla votazione della prima parte dell’emendamento aggiuntivo Leone Giovanni e altri:

«Per la prima elezione del Senato sono nominati senatori di diritto con decreto del Presidente della Repubblica».

Avverto che sono state sostituite le parole: «Presidente della Repubblica» alle altre: «Capo provvisorio dello Stato» per coordinare la norma con la prima disposizione finale votata ieri.

È stata chiesta la votazione a scrutinio segreto dagli onorevoli Grieco, Maltagliati, Togliatti, Grazi, Bellusci, Morini, Lozza, Gavina, Gorreri, Roveda, Ricci, Silipo, Cremaschi Olindo, Merlin Lina, Carpano Magnoli, Sansone, Cacciatore, Pellegrini, Bardini, Fedeli Armando.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la votazione a scrutinio segreto.

(Segue la votazione).

Presidenza del Presidente TERRACINI

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione. Invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto:

Presenti                               334

Votanti                                332

Astenuti                               2

Maggioranza           167

Voti favorevoli        186

Voti contrari            146

(L’Assemblea approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Alberganti – Alberti – Aldisio – Ambrosini – Amendola – Andreotti – Angelucci – Arcaini – Arcangeli – Assennato – Avanzini.

Bacciconi – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Bartalini – Basile – Basso – Bei Adele – Bellato – Bellavista – Bellusci – Bencivenga – Benedetti – Benedettini – Benvenuti – Bernabei – Bernamonti – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Binni – Bitossi – Bocconi – Bonino – Bonomelli – Bonomi Ivanoe – Bordon – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Braschi – Bruni – Bubbio – Bucci – Bulloni Pietro – Burato.

Cacciatore – Caccuri – Cairo – Caldera – Camangi – Candela – Canepa – Canevari – Caporali – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Capua – Carbonari – Carboni Angelo – Carboni Enrico – Caroleo – Carpano Maglioli – Carratelli – Cassiani – Castiglia – Cavallotti – Cevolotto – Chatrian – Chieffi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Colitto – Colombo Emilio – Colonna di Paliano – Colonnetti – Condorelli – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsi – Cortese Pasquale – Costa – Cremaschi Carlo.

Damiani – D’Amico – D’Aragona – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Martino – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Di Giovanni – Di Gloria – Dominedò – Donati – D’Onofrio.

Fabbri – Fabriani – Faccio – Fantoni– Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Ferrarese – Ferrario Celestino – Ferreri – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fiorentino – Flecchia – Foa – Fogagnolo – Foresi – Franceschini – Fresa – Fuschini – Fusco.

Gasparotto – Gavina – Germano – Gervasi – Ghidetti – Giacchero – Giannini – Giolitti – Giordani – Giua – Gorreri – Gotelli Angela – Grazi Enrico – Grieco – Grilli – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jacometti.

La Gravinese Nicola – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Leone Giovanni – Lizier – Lizzadri – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo – Longhena – Lopardi – Lozza – Lucifero.

Macrelli – Maffioli – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Malvestiti – Mannironi – Marconi – Marina Mario – Marinaro – Marinelli – Massola – Mastino Gesumino – Mattarella – Mazza – Mazzoni – Meda Luigi – Mentasti – Merighi – Merlin Angelina – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molè – Molinelli – Momigliano – Montagnana Rita – Montalbano – Monticelli – Montini – Morandi – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati – Moscatelli – Musolino – Musotto.

Nasi – Negro – Nenni – Nicotra Maria – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Noce Teresa – Notarianni – Numeroso.

Orlando Camillo – Orlando Vittorio Emanuele.

Pajetta Gian Carlo – Pallastrelli – Paolucci – Paris – Pastore Raffaele – Pat – Patrissi – Pecorari – Pella – Pellegrini – Penna Ottavia – Pera – Persico – Pertini Sandro – Perugi – Pesenti – Piccioni – Piemonte – Pignatari – Platone – Pollastrini Elettra – Ponti – Pressinotti – Preti – Priolo – Proia – Pucci.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Raimondi – Rapelli – Reale Eugenio – Reale Vito – Ricci Giuseppe – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Rognoni – Romano – Romita – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Roveda – Ruggeri Luigi – Ruggiero Carlo – Ruini.

Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Santi – Sapienza – Saragat – Sartor – Scalfaro – Scarpa – Schiratti – Scotti Alessandro – Scotti Francesco – Sforza – Sicignano – Siles – Silipo – Simonini – Spallici – Spataro – Stampacchia – Sullo Fiorentino.

Targetti – Taviani – Tega – Tessitori – Tieri Vincenzo – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Tomba – Tonello – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi – Tripepi – Tumminelli – Turco.

Uberti.

Valenti – Valiani – Venditti – Veroni – Vicentini – Vigna – Vigo – Vigorelli – Vilardi – Villani – Vinciguerra – Vischioni – Volpe.

Zaccagnini – Zagari – Zanardi – Zannerini – Zuccarini.

Si sono astenuti:

Conti.

Porzio.

Sono in congedo:

Angelini – Arata.

Carmagnola – Caso – Cavallari.

Dugoni.

Garlato – Ghidini – Gortani.

Jacini.

Preziosi.

Ravagnan.

Sardiello.

Vanoni – Viale – Villabruna.

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Ora si tratta di vedere quali categorie debbono fruire di questo diritto stabilito con la votazione a scrutinio segreto. Nel testo proposto sono indicate tre categorie diverse, sulle quali occorrerà votare per divisione. Ed allora pongo in votazione la prima categoria:

«I deputati dell’Assemblea Costituente che abbiano fatto parte del disciolto Senato».

(È approvata).

Pongo in votazione la seconda categoria:

«o che siano stati Presidenti del Consiglio o di Assemblea».

(È approvata).

Passiamo ora alla terza categoria:

«o che abbiano avuto almeno tre elezioni, compresa quella all’Assemblea Costituente».

L’onorevole Nobile ha proposto la seguente formula:

«o che contano almeno cinque legislature, compresa quella dell’Assemblea stessa».

TOSATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSATO. Dichiaro che voterò a favore dell’emendamento Nobile.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell’emendamento Nobile.

BELLAVISTA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BELLAVISTA. Sull’ordine della votazione di questa ultima categoria, probabilmente mi sbaglio, ma penso che bisognerebbe votare prima la dizione più larga, quella delle tre legislature compresa l’Assemblea Costituente, e, in caso di non approvazione, passare all’emendamento Nobile.

PRESIDENTE. Onorevole Bellavista, noi ci troviamo permanentemente di fronte ad emendamenti che allargano o che restringono il testo proposto. Tuttavia abbiamo sempre votato prima gli emendamenti e poi il testo.

BELLAVISTA. Chiedo scusa, onorevole Presidente; io conoscevo questa giurisprudenza regolamentare; ma in realtà qui si tratta di due emendamenti: non v’è una proposta della Commissione. Vi sono due emendamenti, il primo a firma Leone ed altri, del quale abbiamo già approvato la prima parte e due categorie, il secondo dell’onorevole Nobile, e perciò, secondo me, il primo dovrebbe avere la precedenza.

MINIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MINIO. Proporrei di sospendere la seduta per alcuni minuti per facilitare il raggiungimento di un accordo.

PRESIDENTE. Senza sospendere la seduta, invito gli interessati ad accordarsi.

Onorevoli colleghi, è stato presentato il seguente testo concordato:

«i deputati con almeno tre elezioni, compresa quella all’Assemblea Costituente, e quelli che abbiano scontato pene della reclusione non inferiore ad anni cinque in seguito a condanna del Tribunale speciale, nella presenza dei requisiti di legge».

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Signor Presidente, mantengo l’emendamento alla proposta testé fatta, cioè a dire che siano nominati senatori in soprannumero i deputati dell’Assemblea che abbiano almeno cinque legislature, insieme con quelli che abbiano sofferto cinque anni di carcere, inflitti dal Tribunale speciale.

Io mi auguro, anzi son certo, che nella votazione di questa proposta i deputati presenti interessati nella questione sentiranno il dovere di astenersi. (Commenti).

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Non ho sentito se risulta con chiarezza che vi è una condizione comune a tutti, cioè quella di far parte dell’Assemblea Costituente.

PRESIDENTE. Sì, onorevole Targetti. Le rileggerò il testo già votato:

«Per la prima elezione del Senato, sono nominati senatori di diritto con decreto del Presidente della Repubblica: i deputati dell’Assemblea Costituente che abbiano fatto parte del disciolto Senato, o che siano stati Presidenti del Consiglio o di Assemblea».

Ed ora si propone di aggiungere questo testo:

«i deputati con almeno tre elezioni, compresa quella dell’Assemblea Costituente, e quelli che abbiano scontato (sono sempre questi deputati, evidentemente) pene della reclusione non inferiore, ecc.».

Si tratta, quindi, dei deputati dell’Assemblea Costituente.

TARGETTI. Mi pare che le parole «e quelli» non indichino con precisione questi deputati.

PRESIDENTE. Il concetto è chiaro; comunque si può specificare dicendo: «e i deputati dell’Assemblea Costituente che abbiano scontato, ecc.». Così è più chiaro.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Io che sono stato eletto tre volte, compresa quella per l’Assemblea Costituente, dichiaro che non mi sento di avere un’investitura per essere, senza essere eletto dal popolo, senatore di diritto. (Applausi a sinistra – Commenti a destra).

Perciò dichiaro che voterò contro questa disposizione, la quale infirma il carattere elettivo, fissato nella Costituzione, del Senato della Repubblica. (Vivi applausi).

PRESIDENTE. Pongo in votazione le parole dell’emendamento Nobile:

«I deputati con almeno cinque elezioni, compresa quella all’Assemblea Costituente»,

(Non è approvata).

Passiamo alla votazione del testo concordato, di cui ho dato testé lettura.

MAZZA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAZZA. Dichiaro di astenermi.

GRONCHI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRONCHI. A nome di alcuni colleghi che si trovano nella mia condizione, per una questione di indirizzo che ci ha indotto a votare contro la questione di principio posta nella prima parte, voteremo contro l’una e l’altra parte di questo emendamento.

PRESIDENTE. Sta bene. Pongo in votazione il testo concordato:

«I deputati con almeno tre elezioni, compresa quella all’Assemblea Costituente, e i deputati dell’Assemblea Costituente che abbiano scontato pene della reclusione non inferiore ad anni cinque in seguito a condanna del Tribunale speciale, nella presenza dei requisiti di legge».

(È approvato).

Vi è ora un emendamento aggiuntivo dell’onorevole Alberti, del seguente tenore:

«Per la prima elezione del Senato saranno altresì nominati senatori con decreto del Presidente della Repubblica i membri del disciolto Senato che fecero parte della Consulta Nazionale». (Commenti).

L’onorevole Alberti ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

ALBERTI. Io mi aspettavo questa sommessa protesta, che è certamente scoraggiante, ma dirò ugualmente poche parole in obbedienza a un senso che mi pare insieme di opportunità e di giustizia.

Circa due mesi fa sono stato tra i primi sottoscrittori dell’ordine del giorno dell’onorevole Leone, alle cui argomentazioni completamente aderisco. Dopo di allora, sotto quella proposta, sotto quell’emendamento ho visto affollarsi le firme di deputati di ogni settore di questa Costituente, e specialmente a essi io rivolgo queste rapide considerazioni pur nella speranza che anche gli altri colleghi non mi neghino per cinque o sei minuti la loro attenzione.

L’Assemblea Costituente aveva sepolto l’antico Senato senza onoranze funebri. Il comportamento dei senatori, nel loro complesso, durante l’ultimo ventennio aveva meritato il severo giudizio dell’Assemblea. Ma il Senato, nella sua storia quasi secolare, veduto e giudicato nel clima storico in cui era sorto e aveva vissuto, ha, si può ben dire, assolto onorevolmente (non è certo il caso di abbandonarsi a lirismi elogiativi) il suo compito. Aggirandomi alcune settimane or sono, per curiosità, nelle sale di Palazzo Madama, mi sono soffermato a guardare busti di soldati, di Ministri, di dotti, verso la cui memoria va certamente il rispetto di tutti, ed in quelle sale, ormai un po’ squallide e quasi deserte di frequentatori, avevo incontrato anche qualche veneranda figura di superstiti uomini insigni. Ora, questa dignità di vita e questa eminenza di funzioni di questo istituto scomparso, il quale aveva pur avuto qualche volta il coraggio di erigersi in atteggiamenti che ancor oggi possono da ogni parte essere ricordati con simpatia, come quando, ad esempio, dopo una grande battaglia parlamentare, aveva votato per l’abolizione della tassa sul macinato, questa dignità di vita – dicevo – e questa eminenza di funzioni del Senato antico, penso che sia riconosciuto da tutti i membri dell’Assemblea. Certamente è condiviso dai firmatari dell’emendamento Leone, dal momento che in quell’emendamento che adesso abbiamo votato gli ex senatori che fanno parte di quest’Assemblea Costituente sono contemplati fra coloro che saranno nominati di diritto per la prima legislazione. Dal momento, ripeto, che questo è stato riconosciuto, ciò significa che i senatori in sé e per sé sono considerati come personaggi, i quali possono essere allineati con gli ex Presidenti del Consiglio e gli ex Presidenti dell’Assemblea.

Il giudizio su questi senatori testé fatto è dovuto alla circostanza che il corpo elettorale, votando il loro nome e mandandoli qui, ha riconosciuto che essi sono mondi di ogni effettiva corresponsabilità col regime scomparso.

Ebbene, onorevoli colleghi, io penso che in posizione per lo meno identica, per quanto ha riflesso alla loro immunità da ogni compromissione o contaminazione col fascismo, si trovano anche i membri dell’ex Senato, i quali sono stati mandati alla Consulta. Il decreto che istituiva la Consulta diceva che i consultori sono nominati dal Governo e assegnati alle singole Commissioni. Si stabiliva poi che i consultori sono nominati con decreto luogotenenziale su proposta del Ministro per la Consulta nazionale, sentito il Consiglio dei Ministri. Successivamente si precisava che gli ex parlamentari antifascisti potranno essere nominati consultori ove abbiano mantenuto il loro atteggiamento antifascista e rientrino in una delle seguenti categorie: senatori antifascisti nominati prima del 28 ottobre 1922 e quelli che, dopo il 3 gennaio 1925, tennero atteggiamento di opposizione anche con l’astensione dalle loro funzioni. Se dunque la dignità degli ex senatori fascisti della Costituente è stata riconosciuta mediante suffragio, questa dignità degli ex senatori nominati consultori per far parte della Consulta è stata riconosciuta con severi criteri e con metodi prudenti dal Governo dell’esarchia, di cui facevano parte i rappresentati più cospicui di tutti i partiti politici antifascisti. Il giudizio di merito (adopero questa frase che mi dispensa da altre circonlocuzioni, frase che è stata ripetuta in questi ultimi giorni spesso, e che per l’ora che incalza, mi dispensa da molti commenti) il giudizio di merito è stato quindi fatto dai rappresentanti più cospicui dei partiti, dei quali vi leggo il rapido elenco: Bonomi, Rodinò, Togliatti, De Gasperi, Tupini, Casati, Gasparotto, Arangio Ruiz, Gullo, Cevolotto, Gronchi, Scoccimarro ed altri.

Sei o sette sarebbero gli ex senatori i quali verrebbero a fruire di questa disposizione. Fra essi Enrico De Nicola, che ieri abbiamo acclamato primo Presidente della Repubblica italiana, Alessandro Casati, nome rispettato da tutti (ed in questo momento penso con riverenza al suo unico figliolo caduto per la nuova Italia nella guerra di liberazione), Mario Abbiate…

PRESIDENTE. Onorevole Alberti, la prego di non fare delle biografie.

ALBERTI. Era per dire che sono uomini di ogni fede politica. Questi vecchi ex senatori, consultori o costituenti, entrando a far parte del nuovo Senato, vi porterebbero, contro le aberrazioni dell’ultimo decennio, le migliori tradizioni del Senato antico, nel quale bisogna pur riconoscere che talvolta liberi spiriti di ogni parte politica, da Badaloni a Luigi Albertini, hanno levato solennemente, qualche volta con storica solennità, la loro libera autorevole voce. La nuova Assemblea non potrà che onorarsene. (Applausi).

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento Alberti, testé letto.

(Dopo prova e controprova, è approvato – Applausi).

Gli onorevoli Martino Gaetano, Villabruna, Morelli Renato, Bonino, Colitto, Perrone Capano, Condorelli, Colonna, Massa, Rodinò Mario, Cifaldi hanno presentato il seguente emendamento:

«Per la prima elezione del Senato, sono nominati senatori con decreto del Capo dello Stato:

  1. a) i deputati al Parlamento dichiarati decaduti nella seduta del 9 novembre 1926 e quelli che non furono dichiarati decaduti, ma esercitarono la funzione di oppositori nell’Aula;
  2. b) i deputati dell’Assemblea Costituente che sono stati Presidenti del Consiglio o di Assemblea;
  3. c) coloro che siano stati membri del disciolto Senato ed abbiano mantenuto atteggiamento di costante opposizione al regime fascista dopo il 3 gennaio 1925».

Mi pare che per questa proposta v’è da sollevare una eccezione: che non vi sono gli elementi sufficienti, almeno per uno dei due gruppi proposti, per la identificazione: mi riferisco alla categoria di cui al comma a) di coloro che, non essendo stati dichiarati decaduti in quella famosa seduta, esercitarono la funzione di oppositori nell’Aula; è una determinazione troppo imprecisa, perché l’Assemblea possa prenderla in considerazione.

Resta, pertanto, la prima parte: «i deputati al Parlamento dichiarati decaduti nella seduta del 9 novembre 1926», alla quale si potrebbe aggiungere un emendamento dell’onorevole Rossi Paolo, del seguente tenore: «che abbiano avuto tre o più legislature e siano stati chiamati a far parte della Consulta nazionale». La diversità in questa proposta rispetto a quelle già votate è che questi antichi deputati non fanno parte dell’Assemblea Costituente.

ROSSI PAOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROSSI PAOLO. Abbiamo testé votato questo principio: che i deputati con due legislature, i quali abbiano fatto parte di questa Assemblea, e quindi abbiano avuto in complesso tre legislature, debbono far parte del futuro Senato. Ora, accade che vi siano 7, non più, ex deputati, i quali hanno tre o più di tre legislature, e furono dichiarati decaduti nella seduta del 9 novembre 1926. Mi pare che un principio di rigorosa proporzione esiga che, come gli ex senatori membri della Consulta, gli ex deputati con tre, quattro o cinque legislature facciano parte del futuro Senato, se ne faranno parte quelli che ne hanno soltanto due, più la Costituente.

V’era un dubbio: quello relativo alla permanenza della fede politica in questi sette rappresentanti del popolo con 3, 4 o 5 legislature. L’emendamento proposto risolve questo dubbio, perché la continuità della condotta politica è attestata da due elementi: 1°) il fatto che questi deputati furono violentemente espulsi dall’Aula nella seduta del 9 novembre 1926 e fecero parte dell’Aventino; momento iniziale della loro condotta politica; 2°) il fatto che essi furono chiamati da un Governo di liberazione nazionale, attraverso il vaglio della loro inalterata condotta politica, a far parte della Consulta nazionale. Hanno dato a fondo, perciò, la dimostrazione d’una rettilinea continuità.

Sarebbe di cattivo gusto affermare il principio per coloro che sono membri di questa Assemblea, e non affermarlo per coloro che non lo sono.

Non faccio nomi: sono sette colleghi, di tutti i partiti, i quali vanno da un grande economista comunista fino al nostro attuale ambasciatore democristiano in Brasile.

Chiedo pertanto che l’emendamento sia approvato, per ragioni di necessità logica ed ontologica. (Approvazioni).

PRESIDENTE. La proposta che si potrebbe mettere in votazione, risultante dalle due formulazioni, sarebbe la seguente: «i deputati al Parlamento dichiarati decaduti nella seduta del 9 novembre 1926, che abbiano avuto tre o più legislature e siano stati chiamati a far parte della Consulta nazionale».

GULLO ROCCO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO ROCCO. Dichiaro che voterò a favore, per gli argomenti già svolti ai quali se ne aggiunge uno, che è stato già accennato: cioè che questa votazione deve avere, secondo. me, l’adesione di quelli che abbiamo votato, nella precedente votazione, a favore dell’emendamento Alberti, in quanto coloro che verranno ad essere nominati senatori sono deputati, i quali già avevano i requisiti per la nomina a senatori secondo le vecchie norme. statutarie…

PRESIDENTE. Ma il vecchio statuto non vige più!

GULLO ROCCO. …e che non potevano essere nominati senatori durante il periodo fascista. (Commenti all’estrema sinistra). Così per la ragione per cui abbiamo accolto l’emendamento Alberti ed abbiamo mandato al Senato coloro i quali erano già senatori prima, dovremmo, a mio avviso, mandare al Senato coloro che già avevano i requisiti per essere senatori e che non furono nominati senatori per la loro condotta antifascista. (Commenti).

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Voterò contro questo emendamento, più che per la sua portata, per la considerazione che l’Assemblea ha già esagerato nell’ammettere il principio di queste nomine di diritto e per ricordare, se non altro a me stesso, che questa Assemblea ebbe ad approvare che i senatori della Repubblica debbono essere eletti a suffragio universale e diretto. (Approvazioni a sinistra).

MAZZONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAZZONI. Dichiaro che voterò a favore, perché i titoli politici di coloro di cui si tratta – e sono pochissimi – sono assolutamente ineccepibili. Dico: «titoli politici» nel senso alto della parola, che voi ben intendete, non nel senso di meschine differenze fra i nostri Gruppi. Lo stesso titolo per il quale voi avete invocato, in nome del sacrificio, l’appartenenza al Senato di gente che è stata cacciata via. In quest’Aula, signori, ci possono essere, forse ci sono, molti fascisti camuffati o restaurati, ma nella Consulta Nazionale non ce n’è stato uno. La Consulta è stato un filtro perfetto.

PAJETTA GIANCARLO. C’era Patrissi!

MAZZONI. Lei mi fraintende. Parlo dei consultori già deputati, non dei consultori indicati dai partiti.

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. Questo Gruppo voterà contro la proposta, perché ci sembra che ora si esageri. La condizione per rendere legittimo il nostro voto precedente è quella che si tratta di membri di quest’Assemblea, cioè di uomini politici che hanno avuto, dopo le traversie del fascismo, un riconoscimento del loro merito politico dato non da se stessi, ma da una massa elettorale. Escludendo questo elemento, noi entriamo nell’arbitrario, il che non possiamo concedere.

PRESIDENTE. Pongo in votazione, come emendamento al testo originario dell’onorevole Martino Gaetano e altri, la seguente formulazione, che comprende anche la proposta dell’onorevole Rossi Paolo:

«I deputati al Parlamento dichiarati decaduti nella seduta del 9 novembre 1926, che abbiano avuto tre o più legislature e siano stati chiamati a far parte della Consulta Nazionale».

(Dopo prova e controprova, non è approvata).

L’altra proposta contenuta nell’emendamento dell’onorevole Martino Gaetano, che riguardava i deputati dell’Assemblea Costituente che sono stati Presidenti del Consiglio o dell’Assemblea, non ha più ora ragione di esistere. Così la proposta relativa ai membri del disciolto Senato, che abbiano mantenuto atteggiamento di costante opposizione al regime fascista dopo il 3 gennaio 1925, è assorbita dalla proposta Alberti.

Pongo in votazione l’ultimo comma del testo Leone Giovanni, accettato dalla Commissione:

«A tale diritto si può rinunciare, ma la rinuncia dev’essere fatta prima della firma del decreto di nomina».

(È approvato).

Pongo in votazione il seguente emendamento aggiuntivo dell’onorevole Cevolotto:

«La accettazione della candidatura alle elezioni politiche implica rinuncia alla nomina a senatori di diritto».

(È approvato).

Gli onorevoli Codacci Pisanelli, Clerici, Bettiol, Tessitori hanno proposta la seguente disposizione transitoria:

«Per la prima elezione del Senato possono essere candidati i deputati all’Assemblea Costituente che abbiano superato il trentacinquesimo anno di età».

Si tratta, come si vede, di una eccezione alla condizione relativa all’età per i membri dell’Assemblea Costituente. (Commenti).

Ritengo che non ci sia bisogno di svolgimento di questa proposta.

CLERICI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CLERICI. Ritiro la mia firma.

GRONCHI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRONCHI. Dichiaro che noi voteremo contro questo emendamento.

NENNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NENNI. Vorrei proporre un emendamento nel senso che questa norma, che ridurrebbe, se fosse approvata, al trentacinquesimo anno il limite minimo di età per porre la candidatura al Senato, sia applicata anche a coloro che, membri di questa Assemblea, hanno sofferto più di cinque anni di carcere.

GIANNINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIANNINI. Desidero un chiarimento sull’emendamento presentato dall’onorevole Martino Gaetano e da altri. Questo emendamento non è stato posto in votazione nel suo complesso mentre è stato posto in votazione un emendamento alla lettera a) dell’emendamento Martino.

La lettera a) è del seguente tenore:

«a) i deputati al Parlamento dichiarati decaduti nella seduta del 9 novembre 1926 e quelli che non furono dichiarati decaduti, ma esercitarono la funzione di oppositori nell’Aula».

Mi sembra che noi abbiamo votato soltanto sull’emendamento a questo comma…

PRESIDENTE. L’emendamento votato era restrittivo. È evidente che coloro che hanno respinto il meno, respingerebbero il più.

GIANNINI. No, signor Presidente, noi ci troviamo in un caso contrario, perché (è il caso del nostro caro amico Bencivenga) abbiamo respinto il criterio di nominare senatori quei deputati con tre legislature che sono stati dichiarati decaduti nella seduta del 9 novembre 1926, appunto perché intendevamo votare per chi ne aveva meno e, comunque, per chi ha preso parte a quella legislatura, e si è battuto, e per essersi battuto in quella legislatura è stato punito con ventidue anni di ostracismo dalla vita pubblica. Quindi l’emendamento che lei chiama restrittivo, io lo chiamerei un emendamento espansivo. (Si ride). Chiedo, pertanto, di porre in votazione almeno questa frase dell’emendamento Martino Gaetano:

«I deputati al Parlamento dichiarati decaduti nella seduta del 9 novembre 1926», con l’aggiunta:

«e che abbiano fatto parte dell’Assemblea Costituente».

PRESIDENTE. Onorevole Giannini, io porrò in votazione la sua proposta, ma essa non è più quella dell’onorevole Martino, perché lei ha aggiunto: «e che abbiano fatto parte dell’Assemblea Costituente».

Desidero, inoltre, rilevare che, dato il modo con cui si è svolta la discussione, credo che molti pensino che l’Assemblea respingendo una proposizione che era condizionata ad un maggior numero di limiti che non le altre ciò ha fatto appunto perché ha ritenuto che quei limiti non fossero ancora sufficienti. Avevo pertanto ritenuto che l’Assemblea ritenesse già implicitamente respinta la proposta dell’onorevole Martino.

GIANNINI. Mi dispiace che lei dica di aver sbagliato. Quale che sia per essere l’esito della votazione, non significa che lei abbia sbagliato. Sono io che reclamo una votazione su questo punto, perché penso di aver ragione.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Giannini, che risulta così formulata:

«I deputati al Parlamento dichiarati decaduti nella seduta del 9 novembre 1926 e che abbiano fatto parte dell’Assemblea Costituente».

(È approvata – Applausi).

Si dovrebbe ora votare la seguente proposta degli onorevoli Codacci Pisanelli, Bettiol e Tessitori:

«Per la prima elezione del Senato possono essere candidati i deputati all’Assemblea Costituente che abbiano superato il 35° anno di età».

Non essendo presente nessuno dei proponenti, si intende che vi abbiano rinunziato.

Do ora lettura del testo approvato (salvo coordinamento) di questa norma transitoria:

«Per la prima elezione del Senato, sono nominati senatori di diritto con decreto del Presidente della Repubblica i deputati dell’Assemblea Costituente che abbiano fatto parte del disciolto Senato o che siano stati Presidenti del Consiglio o di Assemblea; i deputati con almeno tre elezioni compresa quella all’Assemblea. Costituente e i deputati dell’Assemblea Costituente che abbiano scontato la pena della reclusione non inferiore ad anni cinque in seguito a condanna del tribunale speciale, nella presenza dei requisiti di legge.

«Per la prima elezione del Senato saranno altresì nominati senatori, con decreto del Presidente della Repubblica, i membri del disciolto Senato che fecero parte della Consulta Nazionale e i deputati dichiarati decaduti nella seduta del 9 novembre 1926 della Camera dei deputati e che abbiano fatto parte dell’Assemblea Costituente.

«A tale diritto si può rinunciare, ma la rinuncia deve essere fatta prima della firma del decreto di nomina.

«L’accettazione della candidatura alle elezioni politiche implica rinunzia alla nomina a senatore di diritto».

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Ritengo preferibile in luogo di «elezione», dire «composizione» del Senato, in quanto si tratta di nomine. Propongo questa lieve modifica formale al Comitato di coordinamento.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Accetto.

PRESIDENTE. Sta bene. Se non vi sono osservazioni, rimane così stabilito.

(Così rimane stabilito).

Onorevoli colleghi, rimangono ancora da esaminare le norme transitorie VI e IX. Per la VI, rinviamone l’esame ad una prossima seduta, per la IX, invece, ieri sera è stata sollevata un’eccezione dall’onorevole Fausto Gullo. Se pertanto l’onorevole Gullo insisterà si rinvia l’esame anche di questa disposizione.

GULLO FAUSTO. Insisto.

PRESIDENTE. Sta bene. Se non vi sono osservazioni, rimane stabilito che le disposizioni VI e IX saranno esaminate in altra seduta.

(Così rimane stabilito).

Annunzio di una mozione con richiesta di urgenza.

PRESIDENTE. Comunico all’Assemblea che è stata presentata la seguente mozione, con richiesta di urgenza:

«Ritenuta la necessità e l’urgenza d’eliminare gli inconvenienti sorti dalla mancanza di uno stato giuridico preciso della organizzazione delle forze volontarie partigiane che combatterono nella guerra di liberazione, e di provvedere insieme a fornire di base giuridica gli atti compiuti nell’esercizio delle loro funzioni dagli organi politici che legalmente diressero la lotta di liberazione; i proponenti invitano l’Assemblea Costituente ad affermare la sua volontà su tale argomento con il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente riconosce la necessità di una formale definizione dello stato giuridico del Corpo volontari della libertà, organizzazione nazionale delle forze partigiane che hanno combattuto per la liberazione d’Italia, allo scopo di regolare le conseguenze giuridiche di qualsiasi natura derivanti dagli atti da esse compiuti durante il periodo della resistenza, e di dare analogo regolamento per l’attività esercitata nell’esercizio delle loro funzioni dagli organi politici che hanno legalmente diretto la lotta della resistenza.

«Invita il Governo ad elaborare, in accordo con la Commissione competente dell’Assemblea, il conseguente provvedimento legislativo e ad emanarlo quindi nel termine di tempo più breve possibile».

«Parri, Pertini, Longo, Pajetta Gian Carlo, Colombi Arturo, Moscatelli, Barontini Ilio, Pajetta Giuliano, Lussu, Foa, Valiani, Calamandrei, Gasparotto, Romita, Meda Luigi, Morandi, Benedetti, Faralli, Giacchero, Codignola, Cremaschi Carlo».

Porremo all’ordine del giorno, d’accordo col Governo, il più presto possibile l’esame di questa mozione.

CINGOLANI, Ministro della difesa. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CINGOLANI, Ministro della difesa. Mi affretto ad assicurare tutti i firmatari di questa mozione che il Governo la vede con molta simpatia e sarà lieto che sia posta all’ordine del giorno nei primi giorni della prossima settimana, d’intesa, per la parte che lo riguarda, col Ministro della giustizia, naturalmente, perché si tratta di un riconoscimento giuridico…

MICHELI. E col Ministro del tesoro.

CINGOLANI, Ministro della difesa. Prima col Ministro della giustizia, poi con quello del tesoro, naturalmente.

Per quanto mi riguarda, ripeto qui quanto ho detto questa mattina, come Ministro della difesa, al primo Congresso nazionale della resistenza, e cioè che è anche nel desiderio di tutte le Forze armate di vedersi vicini, con riconoscimento giuridico, i fratelli che hanno sostenuto la lotta partigiana. (Applausi).

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Comunico che sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta di risposta urgente:

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri della pubblica istruzione, degli affari esteri e del tesoro, per sapere quale sia lo stato attuale dei rapporti culturali e degli scambi scientifici e bibliografici fra l’Italia e le altre Nazioni. E in particolare per conoscere:

  1. a) quali siano le condizioni delle nostre scuole ed istituzioni di cultura all’estero;
  2. b) quali l’organizzazione, il coordinamento reciproco, il valore funzionale delle direzioni e degli uffici a tale scopo deputati presso i vari Ministeri;
  3. c) quali i mezzi finanziari di cui possono disporre;
  4. d) infine, quale piano organico sia stato formulato, o – se allo studio – quando possa essere reso noto, per la più rapida ripresa e l’adeguato sviluppo di questa branca vitale, nel quadro delle nostre relazioni politiche ed in connessione col problema dell’impiego di adatto personale e con quello dell’assistenza agli italiani emigrati.

«Franceschini, Bertola, Giordani, La Pira, Firrao, Galati, Ermini, Ponti, Titomanlio Vittoria, Bastianetto, Lizier, Mazza, Sartor».

«Al Ministro dell’interno, per conoscere quali provvedimenti si vogliono prendere nei confronti dell’ufficiale comandante le forze di polizia inviate nella borgata di Primavalle, colpevole di avere ordinato il fuoco sulla folla dei disoccupati che manifestavano per il loro diritto al lavoro e alla vita, causando così, con il suo atto inconsulto e criminale, nuovo spargimento di sangue e nuovi lutti nelle famiglie dei lavoratori.

«Massini, D’Onofrio, Nobile, Gallico Nadia, Minio».

«Al Ministro dell’interno, sui recenti fatti di Calabria.

«Cassiani».

«Al Ministro dell’interno, per avere precise informazioni sui luttuosi fatti di Roma (Primavalle) e sulle responsabilità del suo Dicastero nell’ordine dato di sparare su una folla di donne, bambini e disoccupati, colpevoli di protestare contro l’inerzia del Governo e dell’Amministrazione comunale per le necessità più immediate delle popolazioni dei quartieri periferici di Roma. Gli interroganti chiedono, inoltre, di conoscere quali provvedimenti verranno presi nei confronti dei responsabili, e se verranno emanate disposizioni chiare ed energiche, perché non si spari su masse di popolo che chiedono lavoro.

«Lizzadri, Romita».

Interesserò i Ministri interrogati affinché facciano conoscere quando intendano rispondere.

Sui lavori dell’Assemblea.

CARONIA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARONIA. Mi permetto di chiedere se non si ritenga opportuno di porre all’ordine del giorno dell’Assemblea l’elezione dei membri della Corte costituzionale per la Regione siciliana.

PRESIDENTE. Penso che la si possa porre all’ordine del giorno di mercoledì. Ritengo tuttavia che bisogna precisare che la elezione dei membri dell’Alta Corte, prevista dallo statuto siciliano, debba essere subordinata al coordinamento dello statuto siciliano con la Costituzione, coordinamento che non potrà essere portato innanzi all’Assemblea che al termine dei nostri lavori.

Venendo agli ordini del giorno per le prossime sedute, ricordo che lunedì non vi sarà seduta, perché giorno festivo. La prossima seduta si terrà martedì mattina alle 11 per lo svolgimento di interrogazioni.

Nel pomeriggio, alle 16, l’ordine del giorno sarà il seguente:

Discussione dei seguenti disegni vi legge: a) Norme per la istituzione dell’Opera di valorizzazione della Sila; b) Riordinamento dei corpi consultivi del Ministero della pubblica istruzione. E poi: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

TURCO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TURCO. Chiedo se martedì vi saranno all’ordine del giorno le interrogazioni sui fatti di Calabria.

PRESIDENTE. Interpellerò il Ministro dell’interno per sapere quando potrà rispondere.

TONELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Ho presentato una interrogazione al Ministro delle finanze sulla esazione dell’imposta di famiglia ed ho omesso di chiedere la risposta urgente. Siccome sono d’accordo con il Ministro Pella, chiedo che sia posta all’ordine del giorno.

PRESIDENTE. Se il Ministro consente, la sua interrogazione sarà posta senz’altro all’ordine del giorno.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere se è vero quanto è stato scritto sul Corriere Lombardo di Milano, del 26-27 novembre 1947, n. 280, circa gli annullamenti di matrimonio a cittadini italiani in Romania, dichiarati esecutivi in Italia, senza la delibazione di legge della Corte di appello o del Tribunale ecclesiastico, secondo le rispettive competenze.

«Nel caso che la notizia riportata dal citato quotidiano rispondesse a verità, come parrebbe dalla lettura del lungo e circostanziato articolo, quale provvedimento d’urgenza intenda proporre, ai fini della unificazione della procedura in siffatta materia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Tumminelli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e i Ministri delle finanze e del tesoro, per conoscere quale la sorte riservata alle polizze rilasciate 30 anni fa ai combattenti della grande vittoriosa guerra per l’unità della Patria; e che vanno a scadere il 1° gennaio 1948. (L’interrogante chiede la risposta scritta.).

«Ferrarese».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno trasmesse ai Ministri competenti, per la risposta scritta.

La seduta termina alle 13.15.

Ordine del giorno per le sedute di martedì 9 dicembre 1947.

Alle ore 11:

Interrogazioni.

Alle ore 16:

  1. Discussione dei seguenti disegni di legge:

Norme per la istituzione dell’Opera di valorizzazione della Sila.

Riordinamento dei Corpi consultivi del Ministero della pubblica istruzione.

  1. – Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

POMERIDIANA DI VENERDÌ 5 DICEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCXXI.

SEDUTA POMERIDIANA DI VENERDÌ 5 DICEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEL VICEPRESIDENTE BOSCO LUCARELLI

INDICE

Votazione segreta dei seguenti disegni di legge:

Approvazione degli Accordi di carattere economico conclusi in Roma, tra l’Italia e la Francia, il 22 dicembre 1946. (26).

Approvazione dei seguenti atti internazionali: a) Protocollo di emendamento agli Accordi, Convenzioni e Protocolli sugli stupefacenti conclusi all’Aja, il 23 gennaio 1912, a Ginevra l’11 febbraio 1925, il 19 febbraio 1925, il 13 luglio 1931, a Bangkok il 27 novembre 1931 ed a Ginevra il 26 giugno 1936; b) Annesso al Protocollo di emendamento agli Accordi, Convenzioni e Protocolli sugli stupefacenti conclusi all’Aja il 23 gennaio 1912, a Ginevra l’11 febbraio 1925, il 19 febbraio 1925, il 13 luglio 1931, a Bangkok il 27 novembre 1931 ed a Ginevra il 26 giugno 1936. (37).

Approvazione dello scambio di Note relativo ai danni di guerra ed all’articolo 79 del Trattato di Pace, effettuato in Roma fra l’Italia e la Cina il 30 luglio 1947. (38).

Approvazione dei seguenti Atti internazionali conclusi a Neuchâtel, tra l’Italia ed altri Stati, l’8 febbraio 1947: a) Accordo per la conservazione o la reintegrazione dei diritti di proprietà industriale colpiti dalla seconda guerra mondiale; b) Protocollo di chiusura; c) Protocollo di chiusura addizionale. (47).

Presidente

Risultati della votazione segreta:

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Bonomi Ivanoe

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Codacci Pisanelli

Condorelli

Mortati

Clerici

Fabbri

Conti

Coppa

Covelli

Gullo Fausto

Marinaro

Geuna

Moro

De Martino

Chiostergi

Macrelli

Nobile

Giua

Rodi

Uberti

Colitto

Laconi

Corbino

Lussu

Fuschini

Targetti

Perassi

Malagugini

Ambrosini

Grassi

Gasparotto

Votazione segreta:

Presidente

Risultato della votazione segreta:

Presidente

Sull’ordine dei lavori:

Corbino

Minio

Presidente

Uberti

Moscatelli

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Andreotti, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio

Mozione (Annunzio):

Presidente

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

AMADEI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Procediamo alla votazione a scrutinio segreto dei seguenti disegni di legge, discussi ed approvati dall’Assemblea nei singoli articoli nella seduta antimeridiana:

Approvazione degli Accordi di carattere economico conclusi in Roma, tra l’Italia e la Francia, il 22 dicembre 1946 (26);

Approvazione dei seguenti atti internazionali: a) Protocollo di emendamento agli Accordi, Convenzioni e Protocolli sugli stupefacenti conclusi all’Aja, il 23 gennaio 1912, a Ginevra l’11 febbraio 1925, il 19 febbraio 1925, il 13 luglio 1931, a Bangkok il 27 novembre 1931 ed a Ginevra il 26 giugno 1936; b) Annesso al Protocollo di emendamento agli Accordi, Convenzioni e Protocolli sugli stupefacenti conclusi all’Aja il 23 gennaio 1912, a Ginevra l’11 febbraio 1925, il 19 febbraio 1925, il 13 luglio 1931, a Bangkok il 27 novembre 1931 ed a Ginevra il 26 giugno 1936 (27);

Approvazione dello scambio di Note relativo ai danni di guerra ed all’articolo 79 del Trattato di Pace, effettuato in Roma fra l’Italia e la Cina il 30 luglio 1947 (38);

Approvazione dei seguenti Atti internazionali conclusi a Neuchâtel, tra l’Italia ed altri Stati, l’8 febbraio 1947; a) Accordo per la conservazione o la reintegrazione dei diritti di proprietà industriale colpiti dalla seconda guerra mondiale; b) Protocollo di chiusura; c) Protocollo di chiusura addizionale (47).

(Segue la votazione).

Avverto che le urne rimarranno aperte, proseguendosi intanto nello svolgimento dell’ordine del giorno.

Seguito dalla discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Dobbiamo ora esaminare come ultima e conclusiva parte del nostro lavoro costituzionale le disposizioni finali e transitorie. Esse sono state proposte nel testo del progetto di Costituzione in numero di nove.

BONOMI IVANOE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BONOMI IVANOE. Desidero presentare all’Assemblea una disposizione finale aggiuntiva che porta anche le firme degli onorevoli Nitti, Orlando Vittorio Emanuele, Conti, Nenni, Giannini, Corbino, Macrelli, Bencivenga, Targetti, Uberti, Calamandrei, Gullo Fausto, Porzio, Facchinetti, Piccioni, Cevolotto, Camangi, Lami Starnuti, Mazzoni, Chiostergi, Magrini, Persico, Priolo.

La formulazione aggiuntiva è del seguente tenore:

«Con l’entrata in vigore della presente Costituzione il Capo provvisorio dello Stato esercita le attribuzioni del Presidente della Repubblica e ne assume il Titolo».

L’Assemblea certamente ricorda come attualmente l’articolo 5 del decreto-legge 16 maggio 1946 disponga: «Fino a quando non sia entrata in funzione la nuova Costituzione le attribuzioni del Capo dello Stato sono regolate dalle norme finora vigenti in quanto applicabili». È evidente, pertanto, che se non si attribuisce, con apposita disposizione transitoria, al Capo Provvisorio dello Stato l’esercizio dei poteri di Presidente della Repubblica, si avrebbe una grave lacuna nell’ordinamento giuridico, in quanto che, per il periodo che va dall’entrata in vigore della Costituzione alla elezione del nuovo Presidente, il Capo provvisorio dello Stato non solo non avrebbe i poteri presidenziali di cui alla Costituzione, già entrata in vigore, ma non avrebbe più quelli di cui all’articolo citato. È, quindi, necessario stabilire che, per tale periodo, il Capo provvisorio dello Stato esercita i poteri del Presidente della Repubblica assumendone il titolo. E qui credo di interpretare il pensiero ed i sentimenti di tutta l’Assemblea salutando in Enrico De Nicola, che ha così degnamente tenuto il posto di Capo provvisorio dello Stato, il primo Presidente della nostra intangibile Repubblica. (L’Assemblea si leva in piedi ed applaude lungamente).

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. A nome del Comitato di redazione della Costituzione mi associo alle parole che ora ha pronunciato Ivanoe Bonomi. L’articolo che è stato proposto è una necessità, una indispensabile conseguenza, dal punto di vista tecnico giuridico, di quelle che sono le disposizioni vigenti.

L’articolo 2 della legge del 1946 stabilisce che il Capo provvisorio dello Stato dura in carica fino a che non sia eletto, in base alla Costituzione, il Capo definitivo; e poiché ad eleggere questo saranno le nuove Camere, occorrerà attendere le elezioni generali. Da altro lato l’articolo 5, che vi ha letto l’onorevole Bonomi, stabilisce che le attribuzioni del Capo provvisorio dello Stato sono, sino alla promulgazione della Costituzione, regolate dalle norme fin allora vigenti sul Capo dello Stato, in quanto tali norme sono compatibili con l’ordinamento repubblicano. Era un espediente inevitabile, finché non vi fosse la nuova Costituzione; ma ora la nuova Costituzione c’è ed entrerà fra breve in vigore. Sono in essa definite le funzioni del Capo dello Stato come Presidente della Repubblica. Tutto quanto concerneva la figura del Capo dello Stato nel cessato regime non ha più ragione d’essere; non vi sono più norme vigenti a tale riguardo. Ed allora si presenta come esigenza logica la necessità che il Capo provvisorio dello Stato eserciti le attribuzioni del Presidente della Repubblica; e, se è così, ne deve, sempre per coerenza logica, assumerne il titolo. È un ragionamento elementare e serrato, che si svolge come un sillogismo.

Ciò che ora voteremo toglierà, anche nel nome, un’ombra di provvisorietà sulla nuova Repubblica italiana, e gioverà nei rapporti internazionali. Ed avrà anche un altro significato che è nell’animo di noi tutti.

Il nostro pensiero si rivolge all’uomo, che, per la sua altissima personalità e per le sue mirabili doti, ha saputo realizzare il miracolo di raccogliere l’unanime fiducia di tutto il popolo italiano. (Vivissimi applausi).

Io prego il Presidente dell’Assemblea di mettere in votazione l’articolo aggiuntivo e prego l’Assemblea di votarlo senza discussione, perché così possa assumere quel valore di acclamazione che tutti noi rivolgiamo al primo Presidente della Repubblica italiana, nella persona di Enrico De Nicola. (Vivissimi, generali applausi).

PRESIDENTE. Chiedo all’Assemblea se essa intende approvare, senza discussione, come prima norma transitoria della nostra Costituzione il testo proposto dall’onorevole Bonomi e da numerosi altri colleghi dell’Assemblea stessa. (L’Assemblea si leva in piedi – Vivissimi, generali applausi).

Dichiaro approvata all’unanimità la norma transitoria, che diverrà la prima delle norme finali e transitorie.

Passiamo alla disposizione successiva, nel testo originario. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«È proibita la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista.

«La disposizione del n. 2 dell’articolo 56 della Costituzione non è applicabile a chi nel periodo fascista ha rivestito le cariche indicate in tale disposizione.

«Sono stabilite con legge limitazioni temporanee alla eleggibilità e al diritto di voto per responsabilità fasciste».

PRESIDENTE. Ricordo che il terzo comma è stato già approvato il 29 ottobre scorso nei seguenti termini:

«In deroga all’articolo 45, sono stabilite con legge, per non oltre un quinquennio dalla data di entrata in vigore della Costituzione, limitazioni temporanee alla eleggibilità ed al diritto di voto per i capi responsabili del regime fascista».

Il secondo comma è stato annullato da altre votazioni.

Rimane, quindi, il primo.

Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo alla seconda disposizione. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«I discendenti delle Case già regnanti in Italia non sono elettori né eleggibili a cariche pubbliche.

«I membri di Casa Savoia non possono soggiornare nel territorio della Repubblica italiana».

PRESIDENTE. Sono stati proposti vari emendamenti.

L’onorevole Codacci Pisanelli ha proposto di sopprimere questa disposizione.

Ha facoltà di svolgere l’emendamento.

CODACCI PISANELLI. Prendo la parola unicamente per continuare nel proposito, già espresso, di fare in maniera che la Carta costituzionale che stiamo preparando possa essere considerata da tutti gli italiani come la propria Carta, cosicché tutti possano dire: «Questa è la nostra Carta costituzionale».

A tale scopo, per andare incontro alle convinzioni basate sul ragionamento e sul sentimento di una gran parte del popolo italiano, ritengo che sia la seconda, sia la terza disposizione transitoria debbano essere escluse dal nostro testo costituzionale.

Ritengo che i compilatori siano andati contro le stesse loro intenzioni, perché l’esclusione dall’elettorato non soltanto per i viventi, ma anche per i loro discendenti e per i figli dei figli e per quelli che nasceranno da loro, mi sembra una enormità, non voluta dagli stessi compilatori dell’articolo.

Mi rendo conto delle preoccupazioni che li hanno ispirati, e conosco i precedenti offerti da altre Costituzioni. Ritengo, però, che, le norme in parola non siano rispondenti, quanto a senso della misura, alle convinzioni profonde di un popolo equilibrato come quello italiano. D’altra parte, l’altro divieto, quello del soggiorno, si estende a tutti gli appartenenti ad una determinata Casa. Divieto evidentemente eccessivo, in quanto riguarda uomini e donne in maniera indistinta ed esclude non solo i viventi, ma anche coloro che saranno in avvenire.

C’è la terza delle disposizioni, alla quale accenno fin da ora e sulla quale non mi soffermo, quella che dispone l’avocazione di tutti i beni di Casa Savoia; avocazione inconciliabile con i principî da noi stabiliti nella prima parte della Costituzione.

Ripeto, non mi soffermo e dirò poi il perché. Non intendo urtare le convinzioni di alcuno. Voglio che la nostra discussione si mantenga in quel tono elevato che abbiamo sempre cercato d’imprimerle da questi banchi. Voglio che prima di giungere ad una conclusione, la quale dispiacerebbe (non disconosciamo questa realtà) a una gran parte del popolo italiano, e dispiacerebbe non soltanto ai viventi – perché di un popolo non fanno parte soltanto i viventi, ma anche coloro che li hanno preceduti – non dimentichiamo che questo sentimento radicato e dimostrato ha tra le sue ragioni anche quella che non vi è, si può dire, alcuna famiglia italiana che non abbia tra i suoi congiunti qualcuno che nelle cinque guerre d’indipendenza sia caduto col sacro binomio della «Patria e del Re» sulle labbra. (Interruzione a sinistra – Commenti).

Teniamo conto di questi precedenti e rispettiamoli. Rendiamoci conto di una realtà che ogni uomo politico deve tener presente. Siccome si tratta di una disposizione che non corrisponde ai principî sanciti, ma di una disposizione che stabilirebbe in perpetuo una incapacità civile per determinate persone, facendo cadere sui discendenti la colpa dei loro predecessori – concetto che non corrisponde alla moderna concezione della libertà e del diritto – ritengo sia opportuno sopprimere le due disposizioni in esame.

Quanto al soggiorno ed all’esilio, appunto perché le nostre istituzioni attuali possano essere stabili, sarebbe opportuno evitare di sancire in maniera così categorica un esilio, anche perché l’esilio, come la storia del Risorgimento italiano ci dimostra, ottiene l’effetto contrario a quello voluto; gli esiliati prima o poi tornano, trionfatori, perché sono sempre circondati da un’aureola particolare. (Interruzioni a sinistra).

Ho accennato, ma non insisto, all’inopportunità dell’avocazione dei beni. Non insisto perché non ci si accusi di essere difensori di particolari interessi, di particolari situazioni privilegiate; appunto perché non si rivolga questa accusa a quella parte di questa Camera, alla quale si deve, fra l’altro, l’introduzione della prima legge di espropriazione per pubblica utilità e il primo progetto di legge di nazionalizzazione, quella delle ferrovie, sul quale cadde il governo della destra nel marzo 1876. Non insisto sull’inopportunità dell’avocazione, idea profondamente sentita e più volte affermata dal popolo italiano, dimostra come, se vi è una aspirazione verso una particolare distinzione dei rappresentanti del nostro popolo, gli italiani desiderano che tale distinzione si completi nel distacco dalle ricchezze. Così che, se la terza disposizione transitoria venisse approvata, non farebbe che rendere i colpiti ancora più conformi all’alta idealità italiana, che anche i meno abbienti del nostro popolo compendiano nel motto: «poveri, ma signori»!

PRESIDENTE. Anche l’onorevole Condorelli ha proposto di sopprimere questa disposizione.

Ha facoltà di svolgere l’emendamento.

CONDORELLI. Onorevoli colleghi, se vi nascondessi che le mie parole sono in questo momento dominate da un profondo dolore, non sarei sincero; però, con perfetta sincerità posso dirvi che quello che sto per dire, sperando di ottenere da voi un voto conforme, attinge la sua ragione dalla mia coscienza di giurista e di uomo civile, e solo per questo io spero che le mie parole possano trovare risonanza in voi.

La legge che oggi è sottoposta al vostro giudizio ed al vostro voto è certamente incostituzionale: incostituzionale dal punto di vista di una costituzionalità strutturale. È incostituzionale, perché in flagrante contradizione con i principî costituzionali che voi avete voluto alla base della nostra Costituzione.

Si oppone a questa legge, prima di tutto, una costituzionalità che ho chiamata strutturale, giacché, a prescindere dalle norme che possono essere consacrate in questa o quella Costituzione, sta di fatto che il legislatore, il costituente, non può emettere che delle norme, cioè dei comandi generici di classi di azioni, di tipi di azioni, non comandi particolari come potrebbero essere sentenze, o condanne o assoluzioni. Difatti la legge che qui siamo chiamati a votare ha soltanto l’aspetto di legge, ma in realtà decide un caso strettamente individuale. Ora voi, noi potremmo con una disposizione di legge ristabilire la pena di morte, ma non possiamo infliggere ad una persona determinata neanche una multa di cinque lire. Noi non abbiamo questo potere, perché siamo legislatori e non possiamo emettere provvedimenti di carattere particolare od individuale. Non è dunque questa la sede in cui si potrebbe discutere di questa materia ed assumere provvedimenti in merito.

L’incostituzionalità per diretta opposizione a singole norme da noi sancite è troppo evidente, perché sia necessario soffermarci su di essa, specialmente dopo quanto ha detto l’onorevole Codacci Pisanelli.

Vietare a dei cittadini italiani il soggiorno in Italia, è in diretta contradizione con l’articolo 10 della nostra Costituzione, che afferma la libertà di soggiorno per tutti i cittadini. Espropriare i beni ai cittadini italiani od a chiunque, è impossibile sotto l’aspetto di confisca, al cospetto dell’articolo 38 da noi votato, in cui è prevista sì l’espropriazione contro indennizzo per utilità generale, ma non è affatto prevista la confisca per ragioni politiche. L’opposizione a questa norma statutaria che noi abbiamo voluta, non potrebbe essere più stridente.

Ma le ragioni di contrasto con questa legge sono fondate anche su un argomento che noi giuristi chiamiamo di merito: è la legge, nei suoi legamenti interiori, che non si regge. Che carattere ha questa legge? Ha un carattere sanzionatorio, di pena? Evidentemente no. Il legislatore qui, come del resto in tutte le leggi, non pone il fine della norma; la norma bisogna ricavarla dal contenuto della legge stessa. Ma è chiaro che, a luce di secolo XX, questa legge non può avere un significato sanzionatorio, perché essa contravverrebbe al principio universalmente accettato, e peraltro da noi sancito espressamente all’articolo 21 nella nostra Costituzione, che la responsabilità è personale ed individuale. Qui si consacrerebbe invece una responsabilità familiare, che si riverserebbe anche sui futuri e, per altro, vi è anche il principio, del pari affermato nello stesso articolo della Costituzione, che non vi può essere condanna senza giudizio. Lo dicevano anche gli antichi: non è possibile condannare senza un giudizio, sine previo judicio poenali.

Essa ha, quindi, certamente, un altro carattere: carattere di sicurezza, è una legge di sicurezza, perché si ritiene che il soggiorno di determinate e individue persone, nel territorio dello Stato, possa costituire un pericolo verso la forma costituzionale che è stata adottata e che il possesso di beni economici da parte di quelle persone possa costituire un pericolo per la stessa forma repubblicana, per quella preponderanza economica che può dare un vasto patrimonio.

Ora, non vi è chi non si accorga che una legge simile è per lo meno anacronistica ai tempi d’oggi. Sappiamo tutti che nei tempi passati quando si spodestava una dinastia od anche una famiglia che senza essere una dinastia avesse poteri in un paese, si facevano delle leggi di prescrizione, si facevano delle leggi di confisca dei beni. Ma questo avveniva perché allora la forza di un privato, di un principe spodestato, poteva sopraffare la forza dello Stato. Ma oggi che lo Stato ha assunto l’aspetto di quell’immenso Leviatano che noi vediamo funzionare ogni giorno nella pienezza della sua strapotenza, non vi è situazione individuale o familiare che possa costituire un pericolo per lo Stato.

Ma, avviciniamoci al caso concreto. Che pericolo può costituire per lo Stato questa dinastia spodestata? Sono soprattutto i repubblicani che mi diranno che non costituisce nessun pericolo. Peraltro, l’atteggiamento da essa assunto, che deve essere tenuto presente da questa Assemblea, esclude il pericolo. C’è stata subordinazione a quello che è avvenuto, c’è stata una leale esecuzione della decisione risultata dal referendum, per cui nessun riavvicinamento storico è possibile con quello che si è operato in altri paesi a seguito di rivoluzioni o di guerre civili.

La rilevanza dei beni ha anche una notevole importanza. Qui si interdice a tutti i membri di casa Savoia di possedere beni in Italia. Ma, che cosa sono questi beni? Ci sono compresi anche i cadetti. La famiglia dei Duchi di Genova non possiede neanche un palmo di terreno od un muro. (Interruzione a sinistra).

Il Castello di Agliè era l’unico retaggio di quella famiglia, e fu alienato per la impossibilità di dividerlo fra tutti i discendenti. (Interruzioni a sinistra). Il castello di Agliè in questo momento è di Umberto di Savoia. (Commenti a sinistra). I beni del ramo primogenito di casa Savoia non credo che nella più larga delle valutazioni superino il mezzo miliardo; penso che ne siano al di sotto. Ebbene, che pericolo può costituire per lo Stato un patrimonio di questo genere, in mano anche a persone che si presumono avversarie di questa forma repubblicana, ai giorni d’oggi, in cui ci sono patrimoni che superano il centinaio di miliardi? Evidentemente, vi preoccupate di un pericolo che non può esistere, che voi penalisti chiamate impossibile.

Se mi si obiettasse di avere esaminato dal punto di vista giuridico e di avere analizzato giuridicamente una norma o delle norme che hanno un significato politico, io risponderei immediatamente che è tempo che ci liberiamo degli ultimi residui della «ragion di Stato», di quell’assolutismo che è stato il nemico diretto delle libertà individuali, da cui queste si sono emancipate nel penoso travaglio delle rivoluzioni liberali.

Quale pericolo? E se vi fosse un pericolo, voi potete evitare questo pericolo facendo delle leggi tiranniche? Non è escluso che vi possano essere in uno Stato dei singoli o dei partiti che costituiscono dei pericoli, ma, finché i principî della democrazia, della libertà e del diritto non consentono di sopprimere questi partiti o di espellere gli uomini pericolosi, non vi è Stato che si vanti di assidersi sul diritto, che voglia conservare la qualifica di Stato di diritto che, in nome di interessi politici, possa sopprimere le eterne ragioni della giustizia.

Guardate invece questa legge da un punto di vista sanamente politico, guardate questa legge per la significazione che essa potrebbe assumere innanzi alla coscienza della maggior parte degli italiani. Io mi rivolgo particolarmente a voi, colleghi di parte democristiana: all’indomani della partenza del re dall’Italia la radio trasmetteva un messaggio di Alcide De Gasperi al popolo italiano, di Alcide De Gasperi che non era soltanto il Capo dello Stato e del Governo d’Italia, ma anche il vostro autorevole esponente, e questi aveva parole di umana comprensione per il dolore di quella metà del popolo italiano che aveva rivelato la sua volontà monarchica nel referendum, e promise che nulla si sarebbe fatto che avesse potuto significare scherno o mancanza di riguardo per quel dolore. E questa legge che cos’è, se non irrisione estrema?

Questa legge che cosa vuol dire a quegli italiani che hanno creduto nella monarchia, anche se oggi non vi credono? Significa soltanto questo: quel re per cui voi avete votato, quel re che avete acclamato freneticamente nelle piazze (Commenti a sinistra), quel re non è degno di possedere beni in Italia, quel re è colpito dall’interdetto aqua et igni, così come erano una volta perseguitati i ribaldi. Questo direste al cospetto del popolo italiano, il quale potrebbe constatare che quella promessa formulata in un momento di dolore è stata, a distanza di un anno e mezzo, tradita! (Commenti a sinistra).

Una voce a sinistra. Il re dovrebbe essere condannato a ben più grave pena.

CONDORELLI. Ho letto in un libro che riunisce le sublimi preghiere che ci insegna la Chiesa cattolica, una preghiera che supremamente mi ha colpito e mi ha fatto piegare il capo e le ginocchia, una preghiera nella quale è espresso il concetto altissimo della solidarietà spirituale che avvince tutti gli uomini dall’alto al basso, dal basso all’alto: una preghiera in cui l’anima cristiana dice che chiede a Dio venia per i peccati del suo re, perché pensa che alcuni o molti di questi peccati, se ci possono essere stati, possono essere stati causati anche dai sudditi, per la tragica legge della propagazione del male, che anch’essa come la solidarietà e ricalcando queste vie della solidarietà ascende dal basso all’alto e dall’alto scende al basso. (Rumori a sinistra).

Allora l’anima orante si piega su se stessa e si domanda: «Chi sa se il re non ha peccato anche per colpa mia?»

E se il popolo italiano, nel suo complesso e nell’individualità di ciascuno si rivolgesse questa domanda, potrebbe escludere che alcune delle colpe che si attribuirono al re non dipendano dal popolo o da alcune parti del popolo? (Rumori a sinistra – Interruzioni).

E per altro, quali colpe si possono sensatamente attribuire al giovane re?

Anche per ammissione di molti dei vostri, che con me hanno parlato e sono presenti stasera in questa Assemblea, si è universalmente riconosciuto che egli era immagine viva di lealtà e gentilezza. (Rumori a sinistra).

Una voce a sinistra. Non è vero! (Commenti a destra).

CONDORELLI. Io mi rivolgo particolarmente a voi, colleghi democristiani e vi invito a riflettere e a considerare se nell’anima vostra non sentite in questo momento questa solidarietà.

E a tutti i colleghi di questa Assemblea, ai repubblicani di tutti i settori, io dico: cominciai nel primo discorso tenuto in questa Assemblea col dirvi che, se noi abbiamo lottato, abbiamo lottato per un sentimento di amore, per la istituzione e la dinastia che la impersona, che per noi è simbolo vivo dell’unità d’Italia e che poteva essere una garanzia della continuazione di questa unità.

Noi abbiamo lottato mossi da questo sentimento, non voglio discutere se giusto o ingiusto: attendiamo il verdetto della storia e non lo diamo noi, mentre ancora sono vivi gli echi della lotta.

Voi avete agito per risentimento.

Nell’ultimo intervento che faccio in questa Assemblea vi chiedo di smentirmi, di contradirmi e di dimostrare che avete agito per giustizia. Consacrate, quindi, questa giustizia nel voto di oggi, ricordandovi, amici, che la giustizia è il fondamento dello Stato.

Una voce a sinistra. È per giustizia che agiamo in questo modo! (Commenti).

CONDORELLI. E questa Costituzione sarà ancor più rispettabile, per il vantaggio di quella repubblica che voi amate e che noi ci siamo impegnati a rispettare e rispetteremo; ma che più altamente rispetteremo, se ci dirà una parola di giustizia, quella giustizia che attendiamo da voi. (Applausi a destra – Commenti).

PRESIDENTE. L’onorevole Mortati ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il primo comma col seguente: «I membri ed i discendenti della casa già regnante in Italia non possono rivestire cariche pubbliche».

Ha facoltà di svolgerlo.

MORTATI. Il testo da me proposto è più estensivo di quello della Commissione, perché, mentre questo si riferisce soltanto alle cariche elettive, l’altro riferisce l’indegnità a tutte le specie di cariche o uffici pubblici. Altrimenti si potrebbe verificare l’ipotesi che un membro della Casa ex regnante possa essere, ad esempio, nominato ministro o sottosegretario della Repubblica e non, poniamo, consigliere comunale.

Il mio emendamento tende inoltre ad ovviare ad un’altra deficienza della formulazione del progetto, sostituendo il singolare al plurale, e perciò dicendo Casa già regnante invece di Case già regnanti. Sembrerebbe, infatti, se si mantenesse al plurale che si volessero comprendere anche come indegni i membri delle antiche case, che abbiano dominato in passato in qualche parte d’Italia, quali i Malatesta o i Duchi d’Urbino, ecc., il che manifestamente è contrario alle nostre intenzioni. La Costituzione deve proporsi obiettivi concreti, e risolvere problemi politici, non inseguire fantasmi, e il fare riferimento alle antiche case (non mai considerate neppure al momento della formazione dell’unità nazionale, che determinò la fine di alcune di esse) apparterrebbe a quest’ultimo ordine di esercitazioni.

CLERICI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CLERICI. Onorevoli colleghi, io non ho presentato un emendamento, ma aderisco formalmente a quello dell’onorevole Mortati, e, più che una dichiarazione di voto, che avrei diritto di fare, è una domanda di chiarimento che mi permetto di rivolgere a chi, con tanta autorità, rappresenta la Commissione dei Settantacinque: che cosa si vuol dire con l’espressione «discendenti delle case già regnanti in Italia?». Non c’è pericolo di usare un’espressione da una parte equivoca, dall’altra vuota?

O infatti si vuole intendere i membri di Casa Savoia, e ciò allora riveste un significato politico col quale pienamente concordo; o si vuole invece – e questo mi sembra inammissibile – alludere indiscriminatamente ai discendenti di tutte le case che hanno regnato in Italia, e allora…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. È giusto: se no si risalirebbe fino ad Arduino d’Ivrea…

CLERICI. …e allora si potrebbe anche voler alludere ai Conti Sforza di Milano e ne conseguirebbe che anche il nostro collega Conte Sforza potrebbe ricadere nel disposto di questo nostro articolo. (Si ride).

È evidente dunque che si tratta di una espressione equivoca, la quale potrebbe dar luogo a ricerche storiche, esperite nell’intento di recar danno a questo o a quello.

Ma io considero anche equivoca la stessa parola «discendenti», perché – ove non si addivenga ad una migliore precisazione – si potrebbe voler anche intendere di colpire colui o colei, che abbia nella sua famiglia una ava o una bisava di famiglia regnante sia pure di secoli e secoli addietro, una Sforza, una Bentivoglio, un Gonzaga e via dicendo.

È evidente quindi che la frase reclama una precisazione ed io mi auguro che il Presidente della Commissione dei Settantacinque vorrà accedere alla proposta dell’onorevole Mortati, così da conferire a questo articolo un più esatto significato storico, giuridico, politico.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ruini a esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’emendamento presentato dall’onorevole Mortati riguarda in sostanza due punti. Il primo è che, mentre il testo dice «non sono elettori né eleggibili a cariche pubbliche», l’onorevole Mortati vorrebbe dire invece «non possono rivestire cariche pubbliche». Sembra a me che si debba mettere l’una e l’altra cosa: sottolineare l’elemento dell’eleggibilità e parlare degli altri uffici. E cioè: «non possono ricoprire cariche elettive e uffici pubblici».

Anche il secondo punto dell’emendamento Mortati mi sembra giusto, perché, lasciando il testo attuale, si potrebbe anche risalire alle più antiche dinastie italiche, completamente innocue ed in gran parte dimenticate. Quella che bisogna considerare è la dinastia e la casa Savoia.

Vi sono, per quanto riguarda questo articolo, altri punti, ai quali si deve porre attenzione. Nel testo originario si diceva che «i membri di casa Savoia non possono soggiornare nel territorio della Repubblica italiana». A questo riguardo è stato in seguito presentato un disegno di legge, che venne discusso nella Commissione dei Settantacinque, e tutte le correnti politiche furono d’accordo in alcune precisazioni e limitazioni. Ho pregato l’onorevole Fabbri, presidente della Sottocommissione che riferì ai Settantacinque, di rendere conto di tali modifiche. Così avremo tutti gli elementi per decidere.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Per la benevolenza dei colleghi che componevano la Commissione, io fui appunto chiamato alla presidenza della Commissione stessa; e allora avemmo occasione di esaminare i due problemi: quello relativo al soggiorno e quello relativo alle cautele da prendersi in ordine ad un’eventuale confisca dei beni di Casa Savoia.

I lavori si svolsero con la più completa serenità, senza, naturalmente, alcun intralcio e alcuna difficoltà pretestuosa da parte mia, che mi rendevo conto di quelle che erano le esigenze politiche della nuova situazione. E quindi si addivenne a delle formulazioni che per conto mio furono completamente accettate e risultarono pacifiche per quello che concerneva il punto del soggiorno; restammo, invece, in dissidio, e naturalmente anche in minoranza il sottoscritto, relativamente alla parte del disegno di legge relativa all’eventuale confisca dei beni di Casa Savoia, parendo a me che non concorresse nessuna ragione, né di ordine morale, né di ordine giuridico per questa confisca, e quindi cadesse in pieno il provvedimento proposto che si profilava come seria misura di ordine cautelativo; in sostanza, una specie di sequestro.

Siccome poi da allora è passato molto tempo, non per ostruzionismo da parte della Commissione, perché il disegno di legge fu portato davanti all’Assemblea, e soltanto lo svolgimento dei lavori parlamentari non ne ha ancora permesso la discussione, così è accaduto che a quella eventuale misura di carattere cautelativo si sovrappone oggi la discussione in ordine alla norma di merito; e quindi il provvedimento di misure cautelative è superato dagli avvenimenti. Infatti, ove questa Assemblea decidesse la confisca, è chiaro il superamento.

Ove poi – come mi auguro – l’Assemblea decida per la non confisca, è ancor più chiaro che non ha più nessunissima ragione d’essere il provvedimento cautelativo.

Premesso ciò, e senza volere adesso esaurire quella che è la materia dell’articolo successivo delle disposizioni transitorie, mi riferisco all’argomento relativo al soggiorno.

Noi vedemmo che quella genericità dell’espressione che è contenuta nelle disposizioni transitorie, non era corrispondente alla realtà delle cose e alle esigenze politiche che potevano essere prese in considerazione, e quindi redigemmo la norma che risultò approvata, in sostanza, potrei dire, all’unanimità, in questi termini, che io raccomando all’Assemblea, direi così, in qualità di Presidente di quella Commissione, che esaminò il disegno di legge al quale mi riferisco:

«Agli ex-re di Casa Savoia, loro consorti e loro discendenti maschi sono vietati l’ingresso e il soggiorno nel territorio della Repubblica».

Con questa dicitura vi è una notevole precisazione di quello che sono le persone fisiche a cui risulta vietato l’ingresso e il soggiorno. C’è una precisazione in ordine anche alle regine; e si è ritenuto che l’andare oltre e uscire da questa identificazione potesse avere un carattere persecutorio ed esulante da quelle ragioni di natura politica che in un cambiamento di regime possono giustificare il divieto di soggiorno per i sovrani e le loro consorti nel territorio dello Stato.

Questa, quindi, è la formulazione che mi permetto di proporre, perché a questo sono stato invitato dagli stessi componenti del Comitato dei Diciotto, a comunicare cioè che questo è il testo che il Comitato dei Diciotto fa proprio e raccomanda a questa Assemblea.

CONTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONTI. Onorevoli colleghi, io prendo la parola unicamente perché da parte monarchica si è voluto parlare su questo tema delicato. Non l’avrei presa mai per infierire (non infierirò neanche in questo momento) contro il cessato regime e contro la ex casa regnante.

Avrei preferito che l’onorevole Condorelli non avesse parlato, che avesse pensato che fra la generosità e la mancanza del senso della responsabilità c’è una grande differenza. Noi possiamo essere generosi, ma non possiamo dimenticare che abbiamo gravi responsabilità verso il Paese! Generosi sono stati in Italia tutti i partiti repubblicani, fino al punto di non chiedere che i Savoia fossero processati; generosi fino al punto di aver lasciato tranquilli i monarchici italiani nella loro propaganda e nella loro azione piuttosto complessa – dirò così – per la monarchia; generosi sempre saremo verso i nostri avversari monarchici. La Repubblica non teme nulla, è generosa e magnanima, anche perché, se è vero che 10 milioni di italiani votarono per la monarchia, noi abbiamo la certezza che quei 10 milioni sono si oggi ridotti a ben modesta misura. Abbiamo la certezza che il popolo italiano sente la Repubblica, ne intende i benefici, l’ama, l’amerà sempre di più: se si osasse di attaccarla, il popolo italiano la saprebbe difendere in ogni modo!

Ma il problema è pratico, onorevoli colleghi; non è né giuridico, né morale, né procedurale. Lo dico specialmente all’onorevole Fabbri. È un problema politico ed è un problema di carattere essenzialmente pratico.

Esclusione dei Savoia dal territorio nazionale, dei maschi e delle femmine.

È la cosa più naturale di questo mondo, onorevoli colleghi! Volete tenere il nemico in casa? I Savoia non possono essere amici della Repubblica. La Repubblica non può essere amica dei Savoia. Se i Savoia vivessero in Italia, essi sarebbero cospiratori contro la Repubblica. Non sono esistiti re così generosi fino al punto da lasciare tranquilli gli Stati che dovettero abbandonare. Ricordiamo i regimi passati: i re borboni organizzarono il brigantaggio, la regina di Borbone era in rapporti diretti con i capi briganti!

Noi sappiamo bene che cosa sarebbe avvenuto in Italia se uno dei Savoia fosse rimasto qui: avrebbe organizzato molte e dolorose vicende per il popolo italiano. Sappiamo quello di cui furono capaci i Savoia prima del referendum. Noi abbiamo la documentazione dell’ingaggio di giovani per azioni armate da briganti sull’Appennino italiano. Noi abbiamo le prove che erano stati ingaggiati giovani per simulare atti di brigantaggio affinché il popolo italiano si impressionasse per fantastiche difficoltà nel trapasso del regime. Figuriamoci che cosa sarebbe avvenuto se i Savoia maschi e femmine fossero rimasti in Italia dopo la proclamazione della Repubblica!

L’onorevole Fabbri, fortissimo avversario, carissimo amico personale, l’onorevole Fabbri, ignora, ignorano gli italiani che Maria José, la moglie di Umberto, è una donna di grandissimo ardore combattivo, una donna di sentimenti reazionari profondi? Nessuno ignora in Italia che è stata il tramite fra Vittorio Emanuele ed Hitler, che ha cercato di lottare in tutti i modi e con tutte le risorse del genio femminile contro gli italiani che lottavano per la loro liberazione. L’onorevole Fabbri non può ignorare ciò che tutti sanno. (Interruzione a destra).

Ebbene, onorevoli colleghi, non facendo astrazioni, non andando sulle nuvole, dovendosi discutere un problema pratico di carattere strettamente esclusivamente politico, io dico: è proprio l’ingresso di Maria José necessario nel nostro Paese? Io temo che vivendo nella vicina Svizzera essa sia già un grosso pericolo per le istituzioni italiane, perché quella donna è una organizzatrice formidabile di azioni reazionarie. È insomma, una donna che deve essere tenuta lontana dal nostro Paese.

Vedete: io parlo con linguaggio pratico e positivo; non mi perdo nelle nuvole come l’amico Condorelli, che ama le divagazioni e le digressioni filosofiche e giuridiche.

Io dico dunque che non è possibile su questo primo punto consentire con i colleghi dell’altra parte della Camera.

Avocazione dei beni. Onorevoli colleghi, noi non siamo ingenui! Intanto si deve osservare una cosa molto dolorosa. Io sapevo già dal periodo che precedette il referendum come la ex regina Elena sfaccendasse da mattina a sera per mettere in serbo e in salvo tutto il tesoro di Casa Savoia. Questo avvenne fin dal periodo della presenza dei tedeschi in Italia; certe grotte di Villa Savoia erano piene zeppe di valori enormi che sono poi spariti. Si tratta di ricchezze rubate all’Italia: quelle ricchezze dovevano rimanere nel nostro Paese.

Dico, dunque, che siamo già sconfitti su questo punto. Tanti beni, tutti i beni mobili di grande valore sono partiti. Molti italiani hanno notizia della vendita di quadri, della vendita di arazzi, della vendita di argenterie. Io so di argentieri romani che hanno comprato quantità grandi di argenteria dai Savoia: oro, gemme preziose; tante cose sono partite per l’estero.

BENEDETTINI. Sa tutto lei.

CONTI. Lo so io.

CHIOSTERGI. Lo posso testimoniare anch’io, che ero in Svizzera.

CONTI. Ora, rimangono beni immobili. Se dovessimo fare la storia dei beni immobiliari di casa Savoia dovremmo risalire a un gesto di Vittorio Emanuele nel 1919, quando, simulando generosità, cedette allo Stato una grande quantità di beni immobili. Li cedette perché la manutenzione costava troppo. Adesso lo Stato prenderà beni immobili che costeranno allo Stato per la manutenzione notevolissime somme, se lo Stato non provvederà, come provvide quando al demanio passarono i beni dei regimi passati.

Si potrà procedere a vendite le quali saranno utilissime per i bisogni della Nazione, ma sarebbe ingenuo, dicevo, accogliere l’istanza che viene dai difensori di Casa Savoia. Ma siamo ingenui, davvero, e fino al punto di lasciare ai Savoia ricchezze con le quali continueranno ad alimentare molti loro sostenitori! Noi speriamo che finalmente cessi in Italia la fungaia dei giornali e delle stampe numerose destinate a propaganda monarchica accanita. Sappiamo bene che la propaganda monarchica è fatta anche coi denari di banche, e di organizzazioni che vorrebbero riportare l’Italia sul terreno della guerra civile, ma sappiamo anche quanto concorso finanziario danno i Savoia, ad onta della tradizionale ben conosciuta avarizia di quei signori. Sappiamo che denari sono spesi largamente per sovvenzionare la propaganda giornalistica e libraria nel nostro Paese. Parliamo dunque seriamente della questione che è davanti al nostro giudizio: colleghi monarchici, e dateci una prova. Ve la chiedo con tutta l’anima e con tutta franchezza. Dateci la prova che avete veramente disarmato, che vorrete nutrire, che nutrirete nel vostro spirito l’idealità monarchica, se l’aspirazione monarchica può considerarsi idealità, che resterete monarchici fedeli, ma non difendete né i beni né le cose di Casa Savoia, perché voi fate sospettare della vostra lealtà.

FABBRI. È troppo comodo!…

CONTI. Lasciate i Savoia al loro destino. Combattete per le vostre idee e noi vi saremo avversari leali. Se vi trovaste di fronte a chi volesse impedirvi di parlare o di svolgere l’opera vostra, sarei il primo a difendere la vostra causa. Ma non usate con noi argomenti sentimentali.

Amici democristiani, avete ascoltato lo appello sentimentale dell’onorevole Condorelli. Fatemi dire una parola sincera anche a voi. V’è il sospetto in tanti italiani che voi non siate leali si pensa che voi siete repubblicani, ma non così forti fino a resistere se la monarchia tornasse. Si pensa che vi adattereste!… (Proteste al centro).

Non lo penso io, lo pensano molti. Date la prova, onorevoli colleghi democristiani che siete come io credo che siate, leali profondamente verso la Repubblica. Non accettate l’invito dell’onorevole Condorelli: tradireste la vostra causa…

MAZZA. Accettate quello dell’onorevole Conti!…

CONTI. …tradireste la causa della democrazia nel nostro Paese. Pensate, onorevoli colleghi democristiani, quello che sarebbe stato del nostro povero Paese, se invece della Repubblica avesse trionfato la monarchia. Pensate alla situazione greca. Sì, signori, grave e preoccupante è oggi la lotta politica e sociale. Io non mi illudo. Tanti saranno i contrasti e gli scontri. È fatale. Ma non vi saranno conseguenze dolorose. La discussione, la libera discussione, nei contrasti senza violenza, tra i contrasti liberamente affrontati con onestà di intenti, porterà il Paese al superamento di tutte le difficoltà. Fu il De Tocqueville a dire che la libertà nasce in mezzo alle tempeste, che essa si stabilisce penosamente in mezzo alle discordie civili, e non dà frutti se non quando diventa vecchia. I giovani, vivono oggi tra le sventure e la discordia ma tra esse la libertà e la democrazia si consolidano. Nella giovinezza dall’istituzione che abbiamo creata avremo tante delusioni e tanti dolori. Ma voi monarchici non promuovete la guerra civile per le pretese dei regnanti che sono scomparsi. Siate buoni italiani! E voi democratici cristiani, che avete tanta forza, aiutate la Repubblica; aiutatela, fatela forte. Sarà il trionfo della democrazia; sarà il trionfo del lavoro. Una Italia nuova adoreremo domani, con il nostro cuore che palpita pieno di amore per il popolo italiano. (Applausi a sinistra).

COPPA. Chiedo di parlare

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COPPA. Prendo la parola per rettificare una affermazione dell’onorevole Conti circa i rapporti di Maria José con Hitler. (Interruzioni e proteste a sinistra). Devo precisare un dato di fatto che mi risulta personalmente, e precisamente: in occasione della visita fatta da Hitler in Italia, a Napoli Maria José non ha mai rivolto una sola parola ad Hitler. (Interruzioni a sinistra – Commenti).

Maria José non ha mai dimenticato che la Germania aveva martirizzato il Belgio; e quindi non è preciso – direi, non è onesto – affermare quanto l’onorevole Conti ha detto.

Una voce a sinistra. Era testimone?

COPPA. Infatti ero testimone.

In quanto alla lealtà nostra verso la Repubblica, non è in base a questo articolo di legge che voi potete metterla alla prova. Noi vi garantiamo tutta la nostra lealtà ad un solo patto: che voi ci garantiate che questa Repubblica non diventerà mai una Repubblica sovietica. (Interruzioni e rumori alla estrema sinistra).

MERLIN ANGELINA. Speriamo che non diventi una repubblica stellata.

COVELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COVELLI. Neppure io avrei preso la parola, se l’onorevole Conti non avesse voluto, nella sua immensa buonafede, accennare a delle inesattezze così grossolane il cui giudizio rimetto all’Assemblea.

Certo è che altri uomini qui dentro molto più autorevoli di me (e non so se più autorevoli dell’onorevole Conti) a proposito di contatti o di mediazioni, avrebbero dovuto sentire il dovere di comunicare a chi ancora non lo sapesse che se una sola volta la Regina d’Italia Maria José assunse il compito di mostrarsi quella che era – democratica – questi contatti furono presi con il Comitato di Liberazione Nazionale.

Non è qui il luogo per le disposizioni di carattere storico, di carattere morale, di carattere politico, a carico o a favore della monarchia dei Savoia.

Noi monarchici, la cui lealtà non potete, non dovete mettere in dubbio, in virtù dell’azione che noi svolgiamo, e che intendiamo svolgere, avremmo voluto qui, in un momento di certa solennità per noi, ma di maggiore solennità per voi, che aveste prevenuto l’affermazione un po’ imprudente dell’onorevole Conti, in relazione a talune citazioni. È vero che le repubbliche si consolidano nelle sventure, è vero che le libèrtà nascono nelle sventure; ma è altrettanto vero, onorevole Conti, che non si può garantire la vita di una Repubblica, quando questa nascesse dalle sventure e soprattutto dalla animosità consapevole, che larga parte, nel caso specifico, del popolo italiano, non potrebbe non avere oggi in conseguenza dell’atto, che state per compiere; noi volevamo non una lezione di storia, quindi non una lezione politica; volevamo dai repubblicani onesti una lezione di umanità, signori colleghi: volevamo, cioè, che prima di tutto si pensasse che, in virtù di un giudizio politico, non si colpisce Umberto di Savoia e Vittorio Emanuele III, ma si colpiscono quattro bambini. (Interruzioni a sinistra).

SCHIAVETTI. Ve ne sono a milioni in miseria, per colpa dei Savoia.

COVELLI. Noi volevamo che si tenesse presente – è un motivo che ho avuto il piacere di ricordare altra volta, e sul quale passa fugacemente l’onorevole Conti – che, a volere restare ai dati dell’onorevole Romita, 10 milioni e più di italiani hanno votato per la monarchia.

ROMITA. Sono dati esatti.

COVELLI. Il voto che state per dare potrebbe essere una dichiarazione di onestà politica e di pacificazione nei confronti di questi milioni di italiani che hanno votato inscindibilmente per l’istituto della monarchia, ma potrebbe anche essere un’offesa gravissima, che la Repubblica italiana, nel momento in cui conclude i lavori della sua Costituzione, fa a quei milioni di italiani che, creda a me, onorevole Conti, potrebbero essere più di quelli che hanno votato per la monarchia il 2 giugno.

Certo è che il popolo italiano non si affida tanto a noi, rimasti sparuti per circostanze varie, che fanno parte del merito politico, ma guarda a voi, mallevadori e fondatori della Repubblica, perché sappiate dare a loro, agli italiani, con questo gesto, una prova certa, decisa che non si manomette la libertà, che non si manomette il diritto, che, soprattutto, la Repubblica nasce nella generosità e non nella sventura (Interruzione del deputato Pajetta Giancarlo); nasce soprattutto in un senso solo: quello di poter abbracciare, se lo meriteranno, tutti gli italiani in un empito unico di patriottismo, per cui sapranno gridare tutti, insieme a voi: Viva l’Italia! (Applausi a destra).

GULLO FAUSTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO FAUSTO. Consentitemi, onorevoli. colleghi, che io dica che se c’è da fare un’amara constatazione in questo momento è che la Repubblica italiana, la nuova Repubblica italiana indugi tanto ad adottare un provvedimento così giusto e così politicamente opportuno qual è il divieto di soggiorno ai membri di casa Savoia in Italia. (Approvazioni a sinistra). Non indugiò tanto Vittorio Emanuele III ad abbandonare il suolo della Patria (Vivi applausi a sinistra) e ad abbandonare l’Italia e gli italiani all’orrore di una tragedia che egli stesso aveva determinato! Non parole di pietà, che sono fuori di posto, onorevole Covelli: non è degna di pietà una dinastia che conta nelle sue pagine la vergogna di aver fatto morire in esilio Giuseppe Mazzini, il creatore dell’unità d’Italia. (Rumori a destra – Interruzione del deputato Russo Perez).

Una dinastia che si è resa complice del fascismo e che…

CONDORELLI. …ha fatto l’unità d’Italia!

GULLO FAUSTO. …insieme col fascismo ha precipitato in un abisso senza nome la Patria italiana.

Richiedono questo provvedimento, politicamente opportuno prima di tutto, ma anche intrinsecamente giusto, tutte le innumeri vittime del fascismo e della monarchia; richiedono questo tutti i sacrifici ed i dolori, che tanti italiani hanno affrontato durante il fascismo e durante la monarchia. Chiedono questo i sacrifici ed i martiri dei partigiani d’Italia. (Vivissimi applausi a sinistra e al centro).

Voci a sinistra. Viva i partigiani!

GEUNA. Viva anche i partigiani monarchici! (Vivi applausi a destra).

GULLO FAUSTO. Chiedono questo l’eroismo e il sacrificio dei partigiani d’Italia, che di fronte alla monarchia, che aveva umiliato la Patria, salvarono la dignità e l’onore del nostro Paese. (Applausi a sinistra). Noi votiamo, signor Presidente, onorevoli colleghi, questo articolo della Costituzione perché, ripeto, esso è imposto innanzitutto da una chiara ed evidente opportunità politica. Noi siamo qui un’Assemblea politica che giudica politicamente. Dovremmo negare tante e tante esperienze storiche, dovremmo negare, per esempio, e dimenticare ciò che fecero i Borboni qui in Roma nello Stato Pontificio dal 1860 al 1870? Dovremmo dimenticare tutto ciò che accadde in Francia, per aver inopportunamente consentito ai discendenti delle dinastie francesi di soggiornare nel territorio della Nazione? È semplicemente stolto richiamarsi a motivi di pietà, del resto così intrinsecamente fuori posto. Ma se anche questa evidente opportunità politica non esistesse (ed esiste invece e deve indurci senz’altro a votare il divieto di soggiorno) io ripeto che è una esigenza sovrana di giustizia che deve indurci a votare la disposizione ed a gridare alto e forte che nella Repubblica italiana non ci può essere diritto di cittadinanza per i membri di casa Savoia. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Poiché la discussione si è spostata anche sulla terza delle norme finali e transitorie, passiamo allo svolgimento degli emendamenti a questa relativi.

Detta norma, nel testo del progetto, è del seguente tenore:

«La legge dispone l’avocazione allo Stato dei beni di casa Savoia».

L’onorevole Marinaro ha presentato il seguente emendamento sostitutivo:

«Ogni decisione sui beni di casa Savoia è rinviata ad una legge del Parlamento».

Ha facoltà di svolgerlo..

MARINARO. Onorevoli colleghi, non ho proposto la soppressione dell’articolo 2 e dichiaro anzi che voterò per il principio affermato nell’articolo 2. Io penso che l’esilio sia la nemesi di tutte le dinastie. Le dinastie che cadono o che vengono abbattute comunque, sono destinate a battere la via dell’esilio. D’altra parte, mi sembra superfluo quanto è stato stabilito nell’articolo 2 poiché penso che nessuno dei Savoia si sogni di tornare in Italia. (Commenti a sinistra). È una mia opinione personale.

Io invece ho fatto una proposta sostitutiva della disposizione contenuta nell’articolo 3 e questa mia proposta è basata su motivi di carattere giuridico e su considerazioni di ordine politico.

Motivi di carattere giuridico: la norma è qualificata transitoria. Ora, io ho l’onore di parlare ad una Assemblea composta in gran parte di giuristi e di avvocati. Non è possibile, secondo me, concepire una disposizione transitoria, senza un riferimento ad una norma generale di diritto. Ora, non vedo la norma generale di diritto che possa dare luogo ad una disposizione transitoria del genere.

TOGLIATTI. La proclamazione della Repubblica.

MARINARO. Disposizioni transitorie squisitamente tali sono le V, VI, VII, VIII, e IX, ma non la norma di cui ci stiamo occupando. Comunque, transitoria o non transitoria, è indubbio che la materia contemplata dall’articolo 3 è materia di competenza squisitamente, tipicamente legislativa e non costituente. Non solo, ma quando l’Assemblea Costituente affermasse una disposizione di quel genere con cui virtualmente dispone la avocazione allo Stato dei beni dei Savoia, evidentemente, signor Presidente ed onorevoli colleghi, ha già emanato una norma di carattere dispositivo; di guisa che al nuovo Parlamento, alla legge, non resterebbe altro che emanare le norme di attuazione della norma dispositiva. Io credo che questo l’Assemblea non possa fare senza invadere la competenza e la potestà del nuovo Parlamento; ragione per cui io ritengo che questa materia, senza essere affatto pregiudicata, debba essere rinviata, per queste modeste considerazioni di ordine giuridico che ho avuto l’onore di prospettare, al nuovo Parlamento.

Va da sé, signor Presidente e onorevoli colleghi che, ove l’Assemblea accettasse questa mia proposta, verrebbe messa in discussione e passerebbe all’approvazione il noto disegno di legge che contiene tutte le garanzie per evitare la alienazione dei beni degli ex regnanti d’Italia; ma, dicevo, che anche considerazioni di ordine politico mi hanno mosso a formulare questa proposta: io penso che un regime di democrazia, un regime di sana, di vera democrazia, ha il diritto di vedere osservate lealmente dalla minoranza tutte le sue decisioni, e la minoranza ha il dovere di rispettare lealmente le decisioni della maggioranza. Ma ritengo altresì che questo non debba essere il solo ideale di una democrazia; io penso che vi debba essere un altro ideale, ben più alto, quale è quello di ottenere che la maggioranza abbia la collaborazione e la cooperazione volenterosa della minoranza.

Ora, onorevoli colleghi, sono sicuro che nessuno di voi è convinto che in questa questione, che in questa misera questione economica, ci possa essere una intenzione di ottenere la collaborazione della minoranza da parte della maggioranza. Tanto più, onorevole Conti, quando si pensi che questa misera questione economica è in contrasto con un gesto che il sovrano ha fatto recentemente, quale è quello di donare allo Stato la sua famosa collezione di monete antiche, che tutti hanno valutato ad oltre due miliardi, somma indubbiamente assai superiore a quello che può essere il valore degli immobili della ex Casa Savoia. (Si ride all’estrema sinistra – Interruzione del deputato Russo Perez).

Non è cosa da prendere a scherzo, trattandosi di somma veramente cospicua. Quindi, io dicevo che, se una mira deve avere una maggioranza democratica, essa deve essere quella di ottenere la generosa collaborazione della minoranza ed io vi dico che noi abbiamo accettato lealmente le nuove istituzioni dello Stato ed intendiamo cooperare con voi per il bene comune, per il trionfo di queste nuove istituzioni; ma voi non dovete offendere il sentimento di una minoranza, quale che sia, cioè sia essa dì undici milioni, di dieci, di due o di uno, ma dovete dare la sensazione che non intendete ferire i sentimenti di questa minoranza, la quale vuole evitare, con la mia proposta, di consacrare in un atto solenne, quale è la Carta Costituzionale, una struttura a mio giudizio anti-giuridica, vuole sotto l’impero delle nuove istituzioni, collaborare con la maggioranza repubblicana. (Applausi a destra).

Chiusura della votazione segreta.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione segreta dei disegni di legge. Invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’onorevole Geuna ha proposto di sopprimere la terza disposizione transitoria.

Ha facoltà di svolgere l’emendamento.

GEUNA. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, desidero affermare che intendo parlare con tutta la serenità possibile del mio animo e chiedo alla cortesia degli onorevoli colleghi di accettare questa mia testimonianza di abbandono di ogni idea di parte, unicamente in funzione del compito di deputati, affinché la nostra espressione corrisponda alla coscienza e alla volontà del Paese, che qui rappresentiamo.

Per questa ragione ho chiesto la soppressione dell’articolo terzo delle norme transitorie, che riguarda l’avocazione allo Stato dei beni di Casa Savoia.

E rifacendomi ad una espressione dell’onorevole Gullo, vorrei dire che non ritengo di impostare la mia esposizione sulla intenzione di chiedere pietà a nome di Casa Savoia. Io chiedo agli onorevoli colleghi, anche avversari, anzi avversari e dissenzienti dalla mia ideologia, di considerare una questione di giustizia. Altrimenti si stabilirebbe, con questo giudizio, il principio che anche in un domani, qualunque contendente in una valutazione politica quale quella del referendum e nella quale anche la parte avversaria, la parte repubblicana, per il solo fatto che aveva accettato di battersi con armi democratiche e leali, come il referendum, con un avversario, portava questi al piano stesso di contendente, si stabilirebbe dico il principio che qualora un sistema o un’idea soccombano in base ad una votazione, per quella stessa votazione il loro rappresentante debba essere punito. È questo il risultato.

 

Se Casa Savoia – lo metto come ipotesi – avesse vinto, in quanto il concorso dei voti monarchici fosse stato superiore a quello dei vostri voti repubblicani, ecco che giuridicamente e legalmente non si sarebbe posto, in una Costituzione nuova – ove non si fosse mantenuto lo Statuto – un articolo che infliggesse al vincitore l’umiliazione e l’ingiustizia di una confisca dei beni. (Rumori a sinistra – Interruzione del deputato Pastore Raffaele).

Mentre un’ingiustizia costringerebbe quella parte a rendersi passibile di reazione a questa imposizione.

E vi dirò un altro aspetto della questione, più contingente, che non ha alcun rapporto con la difesa di interessi anche giusti e sacrosanti che riflettono il diritto di proprietà privata di una Casa che ha perso in una votazione politica, ma tocca anche i diritti di altri liberi cittadini in quanto nel testo di legge che doveva essere discusso recentemente e che per circostanze materiali inerenti ai nostri lavori non poté ancora vedere questo risultato, è appunto accennato alla possibilità di far sì che anche quei beni che erano stati passati dal 2 giugno 1946 con atto di vendita ad altri privati potessero essere passibili di confisca con azione retroattiva, e quindi in odio a qualunque norma di diritto.

Orbene se passasse questo provvedimento che lascia alla futura norma legislativa la possibilità di decidere se sarà opportuna o meno questa azione nei confronti dei nuovi acquirenti, compiremmo un’azione ingiusta verso gente il cui acquisto (parlo per quanto concerne la tenuta di Racconigi e di Pollenzo) di zone marginali boschive di quelle tenute, ha consentito di poter continuare, mentre il re si allontanava, l’assistenza di asili infantili e di scuole popolari alle quali lo Stato o non aveva potuto, o non era in grado di pensare. Non voglio incolpare nessuno.

In quelle regioni, per la permanenza fisica, per gli anni in cui i nostri regnanti erano stati bambini, si era sviluppato un senso di affetto così profondo che faceva sì che il regnante si svestisse della sua figura di re per provvedere alle necessità dei non abbienti, di modo che, lasciando l’Italia, dopo un referendum popolare, si può dire che non lasciava i tesori che noi oggi vorremmo carpirgli, ma proprietà di cui beneficiavano le popolazioni italiane. (Interruzione a sinistra).

Io mi permetto quindi di obiettare all’onorevole Conti, che, proprio per dimostrare quanto sia spassionato, quanto sia privo di interesse il nostro intendimento, proprio oggi che siamo pochi contro molti, proprio oggi che la nostra ideologia è battuta dal risultato del referendum, proprio oggi, noi restiamo fedeli a noi stessi e alla nostra idea.

Troppo comodo sarebbe infatti essere fedeli ai propri ideali e sostenerli quando questi salgono, per poi coprirli di ingiurie quando essi decadono. Noi sentiamo sempre questo dovere di difendere le nostre ideologie in quanto esse hanno di giusto e di grande. (Commenti a sinistra).

E debbo deplorare che in quest’Aula, da un collega di solito così cavalleresco come l’onorevole Conti, siano state pronunciate parole oltraggiose, calunnie e accuse non suffragate da alcuna prova nei confronti di quella che – se egli non vuole chiamar regina – è pur sempre una donna.

Un altro fiero repubblicano – il Carducci – almeno aveva saputo anche a colei che egli considerava nemica perché regina, rendere omaggio in quanto donna italiana! (Commenti a sinistra).

E io non posso pensare – qualora la formulazione per cui i membri di Casa Savoia non dovrebbero più avere diritto di alloggio nella patria che loro diede i natali dovesse essere da voi votata – che le ossa della principessa Mafalda – martire in un lager tedesco e ancora oggi in terra straniera – non possano un giorno tornare a riposare in Patria nel sonno eterno. (Applausi a destra – Commenti all’estrema sinistra).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, di questa norma transitoria sono state ancora presentate due formulazioni rispettivamente dagli onorevoli Targetti e Macrelli.

L’onorevole Targetti ha proposto il seguente testo:

«I beni degli ex re di casa Savoia, delle loro consorti e dei loro discendenti maschi esistenti nel territorio nazionale sono avocati allo Stato.

«Sono nulli i trasferimenti e le costituzioni di diritti reali sui beni stessi avvenuti dopo il 2 giugno 1946.

L’onorevole Macrelli ha proposto la seguente formulazione:

«I beni degli ex re di casa Savoia, delle loro consorti e dei loro discendenti, esistenti nel territorio della Repubblica, sono avocati allo Stato.

Onorevoli colleghi, dobbiamo ora passare alla votazione della seconda disposizione transitoria.

Chiedo all’onorevole Mortati se mantiene il suo emendamento alla seconda disposizione transitoria o se aderisce al testo accettato dal Comitato di redazione.

MORTATI. Aderisco alla formula del Comitato.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Dichiaro che voterò in favore del testo accettato dal Comitato, trattandosi di misure di sicurezza in relazione all’articolo 131, già votato, tendente ad affermare la definitività della forma repubblicana dello Stato italiano.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione della formulazione accettata dal Comitato di redazione:

«I membri e discendenti della Casa Savoia non possono ricoprire cariche elettive e uffici pubblici.

«Agli ex-re di Casa Savoia, alle loro consorti e loro discendenti maschi sono vietati l’ingresso e il soggiorno nel territorio della Repubblica».

DE MARTINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE MARTINO. Qualche altra volta ho preso la parola per richiamare l’attenzione degli onorevoli colleghi sulle norme che noi di sovente facciamo provvisorie.

Qui si parla di discendenti di Casa Savoia. Sta bene; ma fino a quale generazione? (Commenti a sinistra).

PRESIDENTE. Onorevole De Martino, questa non è una norma provvisoria; è una norma transitoria.

DE MARTINO. Sì, signor Presidente, ho capito; ma io domando agli onorevoli colleghi se essi hanno l’idea che questa nostra Costituzione possa durare dei secoli, cosa che ci auguriamo tutti… (Commenti – Interruzioni a sinistra).

PRESIDENTE. Onorevole De Martino, se lei ha qualche proposta da fare, la formuli.

DE MARTINO. Propongo che l’inibizione a soggiornare nel territorio della Repubblica sia limitata ai soli discendenti maschi dei Savoia e sino alla terza generazione. (Rumori a sinistra).

CHIOSTERGI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CHIOSTERGI. Propongo di sopprimere al secondo comma la parola «maschi».

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Credo di potere interpretare anche il pensiero della Commissione dal momento che ero stato poco fa incaricato di illustrare la dicitura dell’articolo formulato nel disegno di legge. In Commissione si è tenuto presente che vi sono delle discendenti di sesso femminile che sono divenute mogli modestissime, borghesi, di cittadini italiani e non si sa perché, senza che vi sia stata mai la più lontana occasione, né prossima né remota, che abbia determinato una qualsiasi insofferenza in individui avversi alla monarchia circa la loro presenza e la loro vita in Italia, queste signore dovrebbero essere inopinatamente colpite da un provvedimento di esilio insieme alle loro famiglie (se non supponiamo dei divorzi o delle separazioni coniugali di fatto complete) per dei fatti per cui non ricorre nessuna delle considerazioni di ordine politico che mi hanno fatto considerare difendibile e anche opportuno quel testo che io ho modestamente illustrato e difeso.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma della formulazione del Comitato:

«I membri e discendenti della Casa Savoia non possono ricoprire cariche elettive e uffici pubblici».

(È approvato).

Pongo in votazione le parole del secondo comma:

«Agli ex re di casa Savoia, alle loro consorti»;

(Sono approvate).

«e loro discendenti»;

(Sono approvate).

«maschi»;

(Dopo prova e controprova, e votazione per divisione, è approvata).

Pongo in votazione la proposta aggiuntiva De Martino:

«fino alla terza generazione».

(Non è approvata).

Pongo in votazione le parole:

«sono vietati l’ingresso e il soggiorno nel territorio della Repubblica».

(Sono approvate).

La seconda disposizione transitoria risulta nel suo complesso così approvata:

«I membri e discendenti della Casa Savoia non possono ricoprire cariche elettive e uffici pubblici.

«Agli ex-re di casa Savoia, alle loro consorti e loro discendenti maschi sono vietati l’ingresso e il soggiorno nel territorio della Repubblica».

Passiamo alla votazione della terza disposizione transitoria che nel testo della Commissione era del seguente tenore:

«La legge dispone l’avocazione allo Stato dei beni di Casa Savoia».

Sono stati presentati due emendamenti sostitutivi dagli onorevoli Targetti e Macrelli.

MACRELLI. Mi associo a quello dell’onorevole Targetti.

PRESIDENTE. Sta bene.

Allora pongo in votazione il testo dell’onorevole Targetti del seguente tenore:

«I beni degli ex re di casa Savoia, delle loro consorti e dei loro discendenti maschi esistenti nel territorio nazionale sono avocati allo Stato.

«Sono nulli i trasferimenti e la costituzione di diritti reali sui beni stessi avvenuti dopo il 2 giugno 1946».

È stata chiesta la votazione a scrutinio segreto dagli onorevoli Benedettini, Lucifero, Condorelli, Marinaro, Coppa, Russo Perez, Fabbri, Perrone Capano, Castiglia, Bonino, Bencivenga, Miccolis, Rodi, Abozzi, Perugi, Di Fausto, Codacci Pisanelli ed altri.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la votazione segreta.

Presidenza del Vicepresidente BOSCO LUCARELLI

(Seguo la votazione).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione segreta. Invito gli onorevoli segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione segreta sul testo dell’onorevole Targetti:

Presenti e votanti     359

Maggioranza           180

Voti favorevoli        214

Voti contrari                        145

(L’Assemblea approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Alberganti – Alberti – Aldisio – Amadei – Ambrosini – Amendola – Andreotti – Arcaini – Arcangeli – Assennato – Avanzini.

Bacciconi – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Bartalini – Bastianetto – Bei Adele – Bellato – Belotti – Bencivenga – Benedetti – Benedettini – Benvenuti – Bernabei – Bernamonti – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bitossi – Bocconi – Bonino – Bonomi Ivanoe – Bonomi Paolo – Bordon – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Braschi – Bubbio – Bucci – Burato.

Cacciatore – Caccuri – Cairo – Calamandrei – Caldera – Camangi – Camposarcuno – Candela – Canepa – Canevari – Caporali – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Capua – Carbonari – Carboni Enrico – Carignani – Caroleo – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Castiglia – Cavalli – Cavallotti – Cevolotto – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cifaldi – Cimenti – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Codignola – Colitto – Colombo Emilio – Colonna di Paliano – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Corbino – Corsi – Cortese Pasquale – Costa – Covelli – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo.

Damiani – D’Amico – D’Aragona – De Falco – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Mercurio – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Di Giovanni – Di Gloria – Di Vittorio – Dominedò – D’Onofrio.

Ermini.

Fabbri – Faccio – Fantoni – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrario Celestino – Ferreri – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fiorentino – Firrao – Flecchia – Foa – Foresi – Franceschini – Froggio – Fuschini.

Gabrieli – Galati – Gasparotto – Gatta – Gavina – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Giacchero – Giannini – Giolitti – Giordani – Giua – Gorreri – Gotelli Angela – Grassi – Grazi Enrico – Grieco – Grilli – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jacometti – Jervolino.

Laconi – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Lazzati – Leone Francesco – Leone Giovanni – Lizier – Lizzadri – Lombardi Carlo – Longhena – Longo – Lopardi – Lozza – Lucifero – Lussu.

Macrelli – Maffioli – Magnani – Magrassi – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Mannironi – Marchesi – Marconi – Marina Mario – Marinaro – Marinelli – Martinelli – Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mattarella – Mazza – Mazzei – Mazzoni – Meda Luigi – Mentasti – Merighi – Merlin Angelina – Mezzadra – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molè – Molinelli – Momigliano – Montagnana Rita – Montemartini – Monterisi – Monticelli – Morandi – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati – Moscatelli – Musolino – Musotto.

Nasi – Negro – Nenni – Nicotra Maria – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Noce Teresa – Notarianni – Numeroso.

Orlando Vittorio Emanuele.

Pacciardi – Pajetta Gian Carlo – Pallastrelli – Paolucci – Paris – Parri – Pastore Giulio – Pastore Raffaele – Pat – Pecorari – Pellegrini – Penna Ottavia – Pera – Perassi – Perlingieri – Perrone Capano – Persico – Pertini Sandro – Perugi – Pesenti – Piccioni – Piemonte – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Ponti – Porzio – Pressinotti – Priolo – Proia – Pucci – Puoti.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Raimondi – Rapelli – Reale Vito – Recca – Rescigno – Restagno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rodinò Ugo – Rognoni – Romano – Romita – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Roveda – Ruggeri Luigi – Ruggiero Carlo – Ruini – Russo Perez.

Saccenti – Salerno – Salvatore – Sampietro – Sansone – Santi – Sartor – Scarpa – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Segni – Sforza – Sicignano – Siles – Silipo – Spallicci – Spataro – Stampacchia – Storchi.

Targetti – Tega – Terranova – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Tomba – Tonello – Tonetti – Tosato –Tosi – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi – Tripepi – Tumminelli – Turco.

Uberti.

Valenti – Vallone – Venditti – Veroni – Vicentini – Vigna – Vigo – Vilardi – Vinciguerra – Vischioni – Volpe.

Zartardi – Zannerini – Zappelli – Zuccarini.

Sono in congedo:

Angelini.

Carmagnola – Caso – Cavallari.

Dugoni.

Garlato – Ghidini – Gortani.

Jacini.

Pignatari – Preziosi.

Ravagnan.

Sardiello.

Vanoni – Varvaro – Viale – Villabruna.

Risultati della votazione segreta dei disegni di legge.

PRESIDENTE. Comunico i risultati della votazione segreta dei seguenti disegni di legge i cui articoli sono stati approvati nella seduta di stamane:

Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia e la Francia, il 22 dicembre 1946.

Presenti e votanti     344

Maggioranza           173

Voti favorevoli        341

Voti contrari                        3

(L’Assemblea approva).

Approvazione dei seguenti atti internazionali: a) Protocollo di emendamento 11 dicembre 1946 agli Accordi, Convenzioni e Protocolli sugli stupefacenti conclusi all’Aja il 23 gennaio 1912, a Ginevra l’11 febbraio 1925, il 19 febbraio 1925, il 13 luglio 1931, a Bangkok il 27 novembre 1931 ed a Ginevra il 26 giugno 1936; b) Annesso al Protocollo di emendamento agli Accordi, Convenzioni e Protocolli sugli stupefacenti conclusi all’Aja il 23 gennaio 1912, a Ginevra l’11 febbraio 1925, il 19 febbraio 1925, il 13 luglio 1931, a Bangkok il 27 novembre 1931 ed a Ginevra il 26 giugno 1936.

Presenti e votanti     344

Maggioranza           173

Voti favorevoli        337

Voti contrari                        7

(L’Assemblea approva).

Approvazione dello scambio di Note relativo ai danni di guerra ed all’articolo 79 del Trattato di pace, effettuato in Roma, tra l’Italia e la Cina il 30 luglio 1947.

Presenti e votanti     344

Maggioranza           173

Voti favorevoli        336

Voti contrari                        8

(L’Assemblea approva).

Approvazione dei seguenti Atti internazionali conclusi a Neuchâtel, tra l’Italia ed altri Stati, l’8 febbraio 1947: a) Accordo per la conservazione o la reintegrazione dei diritti di proprietà industriale colpiti dalla seconda guerra mondiale; b) Protocollo di chiusura; c) Protocollo di chiusura addizionale.

Presenti e votanti     344

Maggioranza           173

Voti favorevoli        339

Voti contrari                        5

(L’Assemblea approvati).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Alberti – Aldisio – Amadei – Ambrosini – Amendola – Andreotti – Arcangeli – Assennato – Avanzini.

Bacciconi – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Bartalini – Bastianetto – Bazoli – Bei Adele – Bellato – Bellavista – Belotti – Bencivenga – Benedetti – Benedettini – Benvenuti – Bernabei – Bernamonti – Bernini Ferdinando – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bruno – Bitossi – Bocconi – Bonino – Bonomelli – Bonomi Ivanoe – Bordon – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Braschi – Bubbio – Bucci – Burato.

Cacciatore – Caccuri – Cairo – Camangi – Camposarcuno – Candela – Canepa – Canevari – Caporali – Capua – Carbonari – Carboni Angelo – Carboni Enrico – Carignani – Caroleo – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Cartia – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Castiglia – Cavalli – Cavallotti – Cevolotto – Chatrian – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Ciccolungo – Cimenti – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Codignola – Colitto – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Colonna di Paliano – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbino – Corsanego – Cortese Pasquale – Costa – Covelli – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo.

Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Mercurio – De Michelis Paolo – De Palma – Di Fausto – Di Giovanni – Di Gloria – Di Vittorio – Dominedò – D’Onofrio.

Ermini.

Fabbri – Fantoni – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Ferrarese – Ferrario Celestino – Ferreri – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fiorentino – Fioritto – Firrao – Foa – Foresi – Franceschini.

Gasparotto – Gavina – Germano – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Giacchero – Giolitti – Giordani – Giua – Gorreri – Gotelli Angela – Grazi Enrico – Grieco – Grilli – Gronchi – Guariento – Guerrieri Filippo – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jacometti – Jervolino.

Laconi – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Leone Francesco – Leone Giovanni – Lizier – Lizzadri – Lombardi Carlo – Lombardo Ivan Matteo – Longhena – Lopardi – Lozza – Lucifero – Lussu.

Macrelli – Maffioli – Magnani – Magrassi – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Mannironi – Marchesi – Marconi – Marinaro – Marinelli – Martinelli – Marzarotto – Massini – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mattarella – Mazza – Mazzei – Mazzoni – Meda Luigi – Merighi – Merlin Angelina – Mezzadra – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molinelli – Momigliano – Montagnana Rita – Montemartini – Monterisi – Monticelli – Montini – Moranino – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati – Moscatelli – Musolino – Musotto.

Nasi – Negro – Nenni – Nicotra Maria – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Noce Teresa – Notarianni – Numeroso.

Orlando Camillo – Orlando Vittorio Emanuele.

Pajetta Gian Carlo – Pallastrelli – Paolucci – Paris – Parri – Pastore Giulio – Pastore Raffaele – Pat – Pecorari – Pellegrini – Penna Ottavia – Pera – Perassi – Perlingieri – Perrone Capano – Persico – Pertini Sandro – Perugi – Pesenti – Piemonte – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Ponti – Porzio – Pressinotti – Priolo – Proia – Pucci.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Raimondi – Rapelli – Reale Vito – Recca – Rescigno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Romano – Romita – Roselli – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Ruggeri Luigi – Ruggiero Carlo – Ruini – Russo Perez.

Saccenti – Salerno – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sansone – Santi – Scalfaro – Scarpa – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Segni – Sforza – Sicignano – Siles – Silipo – Spallicci – Spataro – Stampacchia – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.

Targetti – Tega – Terranova – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Togni – Tomba – Tonello – Tonetti – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi – Tripepi – Tumminelli – Turco.

Uberti.

Valenti – Venditti – Veroni – Vicentini – Vigna – Vilardi – Villani – Vinciguerra – Vischioni – Volpe.

Zaccagnini – Zanardi – Zannerini – Zappelli – Zotta – Zuccarini.

Sono in congedo:

Angelini.

Carmagnola – Caso – Cavallari.

Dugoni.

Garlato – Ghidini – Gortani.

Jacini.

Pignatari – Preziosi.

Ravagnan.

Sardiello.

Vanoni – Varvaro – Viale – Villabruna.

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Passiamo ora alla quarta disposizione transitoria. Se ne dia lettura:

AMADEI, Segretario, legge:

«Non sono riconosciuti i titoli nobiliari.

«I predicati di quelli esistenti prima del 28 ottobre 1922 valgono come parte del nome.

«La legge regola la soppressione della Consulta araldica.

«L’Ordine mauriziano è mantenuto come ente ospedaliero».

PRESIDENTE. A questa disposizione l’onorevole Nobile ha presentato un emendamento del seguente tenore:

«Sostituirla con la seguente:

«Lo Stato repubblicano non riconosce titoli nobiliari o altre dignità trasmettibili per eredità, fatti salvi gli impegni provenienti da trattati internazionali.

«Tutte le questioni relative ai titoli nobiliari esistenti saranno regolate dalla legge, la quale regolerà anche la soppressione della Consulta araldica.

«Le concessioni ex novo di titoli nobiliari fatte dopo la data del 28 ottobre 1922 sono annullate».

Ha facoltà di svolgerlo.

NOBILE. In sede di Commissione dei Settantacinque io non avrei mai pensato di occuparmi dei titoli nobiliari se non vi fossi stato spinto da talune osservazioni che feci spontaneamente esaminando l’articolo così come era stato formulato dalla prima Sottocommissione. L’articolo della prima Sottocommissione diceva:

«È vietata la concessione di titoli nobiliari. I predicati di quelli attualmente esistenti valgono soltanto come parte del nome».

Implicitamente in questa disposizione vi erano tre decisioni: anzitutto era contemplato il divieto allo Stato repubblicano di concedere titoli nobiliari; in secondo luogo, non venivano riconosciuti i titoli nobiliari esistenti; e per ultimo veniva stabilito che il predicato di essi valesse soltanto come parte del nome.

Se nel testo della Costituzione si fosse taciuto di questo argomento, non mi sarei meravigliato – ne tacciono molte altre Costituzioni repubblicane, coe ad esempio la austriaca, la polacca, la lituana, la spagnola – e per conto mio non avrei trovato nulla da dire. La Commissione per la Costituzione aveva del resto da occuparsi di questioni ben più serie di questa; ma, esaminando bene il testo approvato dalla suddetta Commissione, non si poteva non fare qualche rilievo di importanza: anzitutto era curioso che si fosse sentito il bisogno di vietare esplicitamente che la Repubblica concedesse titoli nobiliari, per una Repubblica, per giunta, nata alla metà del secolo XX. Tutti sanno che l’unica sorgente di siffatti onori è il monarca: in regime monarchico il re è il capo riconosciuto dei nobili, e come tale egli si attribuisce il diritto di creare nuovi nobili, usando talvolta una generosità eccessiva. In Francia, per esempio, in un solo anno, nel 1696, si dettero, per 40 milioni di lire, 500 lettere nobiliari.

Dunque era assurdo che fosse sancito il divieto allo Stato Repubblicano di concedere titoli nobiliari. Farne espresso divieto mi sembrava cosa superflua.

Vi era anche da considerare che se la Costituzione della Repubblica italiana doveva occuparsi di siffatta materia, non poteva in verità non proporre l’abolizione dei molti titoli concessi dal governo fascista. Non facendosi questo, si sarebbe avuto il risultato curioso – non certo previsto dalla seconda Sottocommissione – che la Repubblica avrebbe reso perpetuo il ricordo di quei titoli. I Ciano di Cortellazzo, i De Vecchi di Val Cismon, gli Acerbo dell’Aterno avrebbero preso il loro posto definitivo a lato di nomi di antichissime famiglie italiane legate alla storia del nostro Paese.

L’emendamento da me presentato nell’adunanza plenaria del 25 gennaio al testo della prima Sottocommissione suonava così:

«Tutti i titoli nobiliari concessi dal governo fascista sono abrogati. Una legge sancisce, ecc.».

Fu allora deciso di rinviare la proposta al Comitato di redazione perché esaminasse quali norme avrebbero potuto essere introdotte nelle disposizioni transitorie per regolare la questione dei titoli concessi dal regime fascista, sentito «naturalmente» il proponente. Ma altrettanto «naturalmente» avvenne che il Comitato procedesse alla redazione definitiva senza ascoltarlo.

Il testo del Comitato dice:

«Non sono riconosciuti i titoli nobiliari».

Su ciò non vi è nulla da eccepire, ma bisognerebbe chiarire il significato di questa formula, che è nuova, non usata in altre costituzioni repubblicane.

Quella di Weimar, infatti, dice: «I titoli nobiliari valgono solamente come parte del nome e non dovranno essere conferiti di nuovi».

Quella cecoslovacca precisa: «I titoli non devono essere accordati che per designare l’impiego o la professione». Quella estone aggiunge: «La Repubblica non conferisce ai suoi cittadini alcun titolo onorifico». Quella finlandese: «Nella repubblica non saranno conferiti titoli nobiliari».

Se non che bisogna ricordare gli impegni da noi assunti con i trattati internazionali, e, in particolare, gli impegni assunti con l’articolo 42 del Concordato nel quale è detto:

«L’Italia ammetterà il riconoscimento mediante decreto dei titoli nobiliari conferiti dal Sommo Pontefice anche dopo il 1870 e di quelli che saranno conferiti in avvenire».

Poiché i Patti Lateranensi sono stati riconosciuti dalla Costituzione, ne deriva come conseguenza che, per non cadere in una aperta contraddizione, bisognerebbe far salvi gli obblighi che da quelle clausole derivano allo Stato italiano.

Naturalmente, non sono da nascondersi le difficoltà che possono nascere da questa eccezione: ma l’eccezione non si può evitare. Per evitarla bisogna tacere l’argomento anche nelle disposizioni transitorie e rinviare tutto alla legge.

Questa è una proposta che farei molto volentieri; comunque la presenterò in via subordinata.

Il secondo comma del testo del Comitato dice:

«I predicati di quelli esistenti prima del 28 ottobre 1922 valgono come parte del nome».

A questa disposizione possono muoversi varie critiche. La più importante è che con essa si fa un diverso trattamento ai titoli puri e semplici in confronto a quelli provvisti di predicati. Di questi si lascerebbe traccia nel cognome; i primi, invece, scomparirebbero del tutto. Perché un tale diverso trattamento? Esso, certo, non trova alcuna giustificazione, perché di titoli senza predicato se ne trovano in Italia molti anche di famiglie antichissime. I predicati, come si sa, sono di origine feudale e sarebbe veramente curioso che la Costituzione italiana volesse manifestare una preferenza per i titoli di origine più prettamente feudale.

Si pensi, d’altra parte, al complesso lavoro da fare per accertare i predicati dei titoli esistenti e farne annotazione negli atti dello stato civile. Sarebbe perciò, a mio avviso, più opportuno rinviare tutto alla legge ordinaria, e se questa legge dovesse tardare a venire, poco male, perché i legislatori futuri avranno certamente cose assai più gravi cui pensare.

Qualche cosa vorrei ancora aggiungere circa gli ordini cavallereschi. Alcune Costituzioni moderne, come quella di Weimar, e quella greca, stabiliscono tassativamente che lo Stato non possa concedere onorificenze. Ma nella nostra è stato già approvato un articolo con cui si ammette che il Capo dello Stato abbia tale facoltà; e non vi è nulla da dire, perché lo Stato deve avere la possibilità di premiare i cittadini che si rendano benemeriti. Ma est modus in rebus. Si deve finirla con l’abitudine di concedere decorazioni per meriti elettorali. In verità, v’è troppo spagnolismo ancora nel nostro sangue e nelle abitudini del nostro popolo, e sarebbe opportuno fare uno sforzo per liberarcene. In Italia esiste qualche milione di insigniti di distinzioni cavalleresche…

PRESIDENTE. Onorevole Nobile, la prego di concludere.

NOBILE. Onorevole Presidente, ho terminato. In sostanza io ritengo che sarebbe meglio rinviare tutto alla legge. Se ciò non si vuol fare, si tenga presente che il secondo comma, come ci vien proposto dalla Commissione, non è accettabile in quanto all’ultimo comma, in cui si dice che l’ordine Mauriziano viene mantenuto come ordine ospedaliero, non ho nulla da osservare; soltanto suggerisco che si adoperi il nome giusto, cioè Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, come sempre si è chiamato, fin dal 1572.

Se, dunque, non si ritiene opportuno sopprimere tutto l’intero articolo, propongo in via subordinata gli emendamenti da me presentati, che, se accettati, varranno ad evitare una stridente contraddizione con un altro articolo approvato, e molte intricate e complesse questioni amministrative assai ardue a risolversi.

PRESIDENTE. L’onorevole Giua ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire l’ultimo comma col seguente:

«L’Ordine Mauriziano è mantenuto come ente autonomo nazionale ospedaliero, con statuto e amministrazione soggetti all’approvazione del Presidente della Repubblica italiana».

Ha facoltà di svolgerlo.

GIUA. Il testo proposto dalla Commissione riduce l’istituto mauriziano a un ente ospedaliero; però l’adozione delle parole «ente ospedaliero» ha dato origine ad alcuni inconvenienti dal punto di vista del funzionamento dell’ente, e può darne anche dal punto di vista dello sviluppo ulteriore dell’ente stesso.

Com’è noto, l’istituto mauriziano amministra diversi ospedali nel Piemonte: oltre al grande ospedale di Torino, ha un ospedale, pure efficiente, ad Aosta, e alcuni altri piccoli ospedali a Lanzo, a Valenza, a Luserna e via dicendo.

Ora, subito dopo la liberazione, il Comitato di liberazione nazionale si era preoccupato di nominare commissario di questo ente un rappresentante del popolo. Ma dopo due mesi, questo rappresentante veniva defenestrato dal re, il quale adduceva la ragione che l’ente mauriziano dipendeva esclusivamente da lui; e fu ripristinato l’antico segretario generale nella persona dell’ammiraglio Thaon di Revel. E questo ente funziona oggi con tutti quei rapporti giuridici feudali che erano una caratteristica dell’ente sotto l’amministrazione reale.

Se ora la dizione della Commissione dei Settantacinque prevale, questo ente sarà amministrato con gli stessi criteri giuridici. È quindi necessario stabilire una democratizzazione dell’ente; ed è per questo che col mio emendamento pongo l’istituto mauriziano sotto il controllo del Presidente della Repubblica.

Si tratta, onorevoli colleghi, di una disposizione transitoria; in attesa che una legge generale regoli quegli enti di utilità pubblica e nello stesso tempo regoli anche gli istituti di beneficenza, è necessario che questo ente, che ha delle cospicue attività patrimoniali, sia regolato con misure democratiche.

A me è parso che, nell’attesa della legge del futuro Parlamento italiano, l’istituto mauriziano possa dipendere direttamente dal Presidente della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’onorevole Rodi propone di sopprimere questa disposizione.

Ha facoltà di svolgere l’emendamento.

RODI. Ho proposto la soppressione di questa disposizione, perché, francamente, mi sembra che con essa si voglia stabilire una norma che non risponde al carattere della nostra Nazione. Si vuole forse introdurre un principio ad imitazione di ciò che è stato fatto in altri paesi.

Il che noi non possiamo accettare, perché i nostri titoli nobiliari – mi riferisco, naturalmente, a quelli più antichi – costituiscono per noi e per la nostra tradizione una specie di lustra storica alla quale non possiamo rinunciare. Noi siamo talmente creatori di questa storia di carattere aristocratico, che io non vedo perché illustri nomi italiani debbano essere privati di un titolo che ha accompagnato per secoli la storia patria. (Commenti).

Eh sì, perché quando c’è mancanza di riconoscimento del titolo, è come annullare gli stessi.

Infatti, io non ho capito quale sia lo spirito di questa disposizione. Non sono riuscito a capirlo, perché, se si tratta di una disposizione di carattere – diciamo così – rivoluzionario, secondo cui, come diceva l’onorevole Nobile, essendo in regime repubblicano, bisogna statuire qualcosa che ci divida dall’istituto che prima concedeva questi titoli, francamente non so che cosa c’entri il fatto che la monarchia concedeva i titoli, coi titoli che erano stati acquisiti dalla storia.

Tutt’al più ammetto che si possa discutere sui titoli concessi negli ultimi tempi, titoli che hanno un carattere e un valore politico; ma quei titoli che illustrano ab antiquo alcune famiglie italiane dovrebbero essere conservati.

Per queste ragioni molto semplici e per omaggio alla nostra tradizione ho proposto la soppressione della quarta disposizione.

PRESIDENTE. L’onorevole Mortati ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«I predicati, di qualsiasi natura ed origine, varranno come parte del nome, a meno che i titoli siano stati concessi dopo il 28 ottobre 1922, in riconoscimento di benemerenze fasciste».

Ha facoltà di svolgerlo.

MORTATI. Rinunzio al mio emendamento associandomi all’ultimo comma dell’emendamento Nobile.

PRESIDENTE. Sta bene. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato non può mutare il testo del numero IV delle disposizioni transitorie e finali, completandolo soltanto nel senso desiderato dall’onorevole Giua.

La soppressione di questo articolo è proposta dall’onorevole Nobile, salvo una subordinata, ed è pure proposta dall’onorevole Rodi.

Il Comitato ha adottato la formula del non riconoscimento dei titoli nobiliari, che si trova in altre costituzioni, ed è sembrata – anche per consiglio di un nostro competente collega – l’onorevole Lucifero – tecnicamente esatta. Lo Stato non riconosce, non dà più valore ai titoli nobiliari di qualsiasi genere. Non si dovrà pertanto farne più uso. Stabilirà la legge se si dovrà o no punire chi se ne fregerà ancora come di titolo abusivo.

Il riconoscimento è negato a tutti i titoli nobiliari; e perciò senza dubbio anche a quelli concessi durante il fascismo. Anzi nei loro riguardi la disposizione è più grave: perché non consente, come è consentito pei titoli anteriori al fascismo, di usarne come predicato del nome. Quest’ultima disposizione vuol dire che non vi saranno più principi o conti o baroni; ma qualche indicazione di casato storico sarà incorporata nel nome.

Non nego che – fermissimi questi concetti – si possa trovare qualcosa di più adatto come forma, ma resta inteso che i punti sono questi: nessun riconoscimento di titoli nobiliari di nessun tempo, ammissione – come predicato – per quelli anteriori al fascismo.

Vi è poi l’Ordine mauriziano che è stato mantenuto come ente ospedaliero. L’onorevole Giua ha fatto opportunamente presente che l’istituto dipendeva direttamente e personalmente dal Re e che ora è rimasto indipendente; un piccolo Stato nello Stato. Bisogna riordinarlo. Non possiamo più accettare senz’altro la sua proposta di attribuire l’ordine mauriziano direttamente al Capo dello Stato, al Presidente della Repubblica, che non è più il Re con le sue regalie personali. Io penso che sia possibile una particolare funzione del Presidente della Repubblica, come capo dell’ordine; ma di ciò disporrà la legge alla quale si deve fare riferimento. La suggestione dell’onorevole Giua è in sostanza accolta: l’ordine Mauriziano sarà inserito nell’ordinamento del nuovo Stato; bisogna regolarlo, ma evitare che sia sommerso nel baratro burocratico; ed in questo senso senza cadere nella regalia sovrana, potrà giovare un organismo presieduto dal Presidente della Repubblica. Credo che l’onorevole Giua sarà soddisfatto.

PRESIDENTE. Chiedo ai presentatori di emendamenti se vi insistono.

Onorevole Nobile, insiste nel suo emendamento?

NOBILE. Insisto.

PRESIDENTE. E lei onorevole Giua?

GIUA. Accetto le conclusioni della Commissione e ritiro il mio emendamento.

PRESIDENTE. Onorevole Rodi?

RODI. Mantengo l’emendamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Mortati, ha dichiarato di ritirare il suo e di associarsi all’ultimo comma dell’emendamento dell’onorevole Nobile.

NOBILE. Chiedo che si voti per divisione.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma dell’emendamento dell’onorevole Nobile.

«Lo Stato repubblicano non riconosce titoli nobiliari o altre dignità trasmettibili per eredità, fatti salvi gli impegni provenienti da trattati internazionali».

(Non è approvato).

Pongo in votazione il primo comma del testo della Commissione:

«Non sono riconosciuti i titoli nobiliari».

(È approvato).

Pongo in votazione il secondo comma dell’emendamento Nobile: «Tutte le questioni relative ai titoli nobiliari esistenti saranno regolate dalla legge, la quale regolerà anche la soppressione della Consulta araldica».

(Non è approvato).

Pongo in votazione il comma corrispondente, che è il terzo del testo della Commissione:

«La legge regola la soppressione della Consulta araldica».

(Dopo prova e controprova, è approvato).

Pongo adesso, in votazione l’ultimo comma dell’emendamento dell’onorevole Nobile: «Le concessioni ex novo di titoli nobiliari fatte dopo la data del 28 ottobre 1922 sono annullate».

(Non è approvato).

Pongo in votazione il secondo comma nel testo della Commissione:

«I predicati di quelli esistenti prima del 28 ottobre 1922 valgono come parte del nome».

(È approvato).

Passiamo all’emendamento Giua, accettato dalla Commissione, sostitutivo del quarto comma.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La Commissione lo accoglie nella seguente forma: «L’Ordine mauriziano è mantenuto come ente ospedaliero, nei modi stabiliti dalla legge».

PRESIDENTE. Pongo in votazione questa formula:

(È approvata).

La quarta disposizione transitoria risulta nel suo complesso così approvata:

«Non sono riconosciuti i titoli nobiliari.

«I predicati di quelli esistenti prima del 28 ottobre 1922 valgono come parte del nome.

«La legge regola la soppressione della Consulta araldica.

«L’Ordine mauriziano è mantenuto come ente ospedaliero, nei modi stabiliti dalla legge».

Presidenza del Presidente TERRACINI

Sull’ordine dei lavori.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Vorrei, interpretando forse il pensiero di molti colleghi, fare una proposta sull’ordine dei nostri lavori per rendere possibile a molti di noi di poter avere il pomeriggio di domani libero. Noi dobbiamo ancora discutere alcune norme fra le quali ve ne sono alcune che hanno molti emendamenti. Queste si potrebbero rinviare a domani mattina mentre per le altre norme, rispetto alle quali è prevedibile che non vi siano dissensi molto forti fra i vari settori dell’Assemblea, proporrei di rinviare la continuazione della discussione alla ripresa della seduta che potrebbe aver luogo fra un’ora o un’ora e mezzo. (Commenti).

MINIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MINIO. A nome del mio Gruppo chiedo che sia tenuta seduta notturna allo scopo di terminare la discussione.

PRESIDENTE. Vi è la proposta di sospendere i lavori per un’ora e mezzo e riprenderli in maniera che con una seduta mattutina di domani, secondo la consuetudine del sabato, si possa esaurire questo nostro programma di lavoro, cosicché nel pomeriggio i colleghi possano essere liberi. È evidente che quasi certamente, se non si fa seduta notturna, dovremo domani fare seduta pomeridiana.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Nei termini esposti dall’onorevole Corbino, cioè che si votino gli articoli dal quinto al nono, escluso il sesto ed esclusa la questione dei senatori di diritto, accettiamo eccezionalmente di fare seduta notturna.

MOSCATELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MOSCATELLI. Domani comincerà il Congresso dell’Associazione nazionale partigiani d’Italia. Dato che molti di noi saranno impegnati in questo Congresso, chiedo di fare seduta notturna e vacanza domani.

PRESIDENTE. Onorevole Moscatelli, intanto incominciamo a tenere la seduta notturna; se i lavori procederanno in maniera tale da esonerarci dalla seduta di domani, si potrà fare vacanza.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Noi accettiamo, come già dichiarammo, i limiti fissati dalla proposta dell’onorevole Corbino. Per non tenere seduta domattina bisognerebbe tenere seduta notturna. Mi sembra difficile poter fare un sacrificio di questo genere, se pure sufficiente. Bisogna limitarsi agli argomenti più importanti per terminare nella mattinata di domani.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Corbino di sospendere la seduta per riprenderla alle 21.30.

(È approvata).

(La seduta, sospesa alle 20, è ripresa alle 21.40).

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, rinviamo alla seduta di domattina l’esame delle disposizioni transitorie V e VI.

Passiamo all’esame della VII.

Se ne. dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Entro cinque anni dall’entrata in vigore della Costituzione si procede alla revisione degli organi speciali di giurisdizione attualmente esistenti, salvo le giurisdizioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti. Tale termine è ridotto a tre anni per i tribunali militari.

«Entro sei mesi dall’entrata in vigore della presente Costituzione si provvede con legge alla soppressione del Tribunale supremo militare e alla devoluzione della sua competenza alla Cassazione».

PRESIDENTE. L’onorevole Adonnino ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituirla con la seguente:

«Entro tre anni dall’entrata in vigore della Costituzione si procederà alla revisione degli organi di giurisdizione speciale attualmente esistenti, tranne quelli di cui all’articolo 95.

«Il loro mantenimento può essere stabilito con legge approvata da ciascuna delle due Camere a maggioranza di due terzi, sentito il parere del Consiglio superiore della Magistratura».

Non essendo presente l’onorevole Adonnino s’intende che abbia rinunziato a svolgerlo.

Gli onorevoli Gasparotto e Bozzi hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Entro un anno dall’entrata in vigore della Costituzione si provvederà con legge a rivedere le attribuzioni del Tribunale supremo militare, per coordinarle con il principio sancito nell’articolo 102».

Nessuno dei due presentatori è presente.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Bisognerebbe, in seguito a quanto si è deliberato in merito ai tribunali militari in tempo di pace, considerare se non sia il caso di prendere in esame il contenuto degli emendamenti relativi anche se i proponenti siano assenti. Desidererei conoscere il parere della Commissione in proposito.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Sta bene.

PRESIDENTE. Vi è poi il seguente emendamento degli onorevoli Gabrieli e Perlingieri:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Entro un anno dall’entrata in vigore della Costituzione si provvede con legge a rivedere le attribuzioni del Tribunale supremo militare».

Poiché nessuno dei proponenti è presente, si intende abbiano rinunziato a svolgerlo.

L’onorevole Nobili Tito Oro ha proposto il seguente emendamento:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Entro tre anni dall’entrata in vigore della Costituzione si procede alla revisione degli organi speciali di giurisdizione attualmente esistenti, salvo le giurisdizioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti».

Poiché non è presente, s’intende che abbia rinunciato a svolgerlo.

L’onorevole Colitto ha presentato il seguente emendamento:

«Sopprimere al primo comma le parole:

«tale termine è ridotto a tre anni per i tribunali militari».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Dopo quanto abbiamo deciso non ce n’è più bisogno.

COLITTO. Vi rinunzio.

PRESIDENTE. L’onorevole Colitto ha presentato anche, insieme con gli onorevoli Mastrojanni, Perugi, Perrone Capano, Tripepi, Rodi, Abozzi, Venditti, Tumminelli, Bencivenga, Marinaro e Miccolis, il seguente emendamento sostitutivo del secondo comma:

«Entro sei mesi dall’entrata in vigore della Costituzione si provvede con legge a rivedere le attribuzioni del Tribunale supremo militare per coordinarle col principio sancito dall’articolo 102».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Accettiamo questa proposta.

COLITTO. Dato che l’onorevole Ruini ha dichiarato di accettare la mia proposta, rinunzio a svolgerla.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Leone Giovanni, Scalfaro, Sampietro Umberto, Giacchero, Raimondi, Numeroso, Riccio Stefano hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituirla con la seguente:

«Entro tre anni dall’entrata in vigore della Costituzione le giurisdizioni straordinarie e speciali attualmente esistenti, tranne quelle previste nei comma 3°) e 4°) dell’articolo 95, saranno trasformate in sezioni specializzate della giurisdizione ordinaria.

«Entro un anno dalla predetta data saranno trasferite alla Corte di cassazione le attuali funzioni giurisdizionali del Tribunale supremo militare, al quale saranno attribuite le funzioni di giudice di secondo grado».

Poiché nessuno dei firmatari è presente, s’intende che abbiano rinunciato a svolgerlo.

Prego l’onorevole Ruini di voler esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Tutti gli emendamenti che sono stati presentati a questa disposizione sono una conseguenza logica di ciò che l’Assemblea ha già deliberato prima. E cioè la trasformazione delle giurisdizioni speciali in sezioni specializzate degli organi giudiziari ordinari, salvo la conservazione del Consiglio di Stato e della Corte dei conti come organi di giurisdizione. Ho pure conservati i Tribunali militari cercando di precisarne le funzioni, e deferendo alla Cassazione il ricorso per violazione di legge contro le loro decisioni. Ciò implica, come ho dichiarato durante la discussione, rispondendo all’amico Gasparotto, che si dovrà riordinare il Tribunale supremo, il quale resterà quale giudice di secondo grado, di legittimità come di merito, e dopo di esso si avrà come terzo grado, per le violazioni di legge la Cassazione.

Io pregherei di attenerci al testo della Commissione, salvo a perfezionare la forma in sede di coordinamento.

UBERTI. Io pregherei il Presidente della Commissione di mettere un anno invece di sei mesi, perché sarà impossibile, appena eletto il nuovo Parlamento, emanare una legge entro sei mesi.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Si accoglie.

Il nuovo testo potrebbe essere, salvo miglior formulazione, il seguente:

«Entro cinque anni dall’entrata in vigore della Costituzione, si procede alla revisione degli organi speciali di giurisdizione attualmente esistenti, salvo le giurisdizioni del Consiglio di Stato, della Corte dei conti e dei Tribunali militari.

«Entro un anno dall’entrata in vigore della presente Costituzione, si provvede con legge alla trasformazione del Tribunale supremo militare a termini dell’articolo 102».

PRESIDENTE. Poiché nessuno dei firmatari dagli emendamenti testé letti è presente, gli emendamenti si intendono decaduti.

Pongo in votazione il primo comma della VII norma transitoria nel testo presentato dall’onorevole Ruini:

«Entro cinque anni dalla entrata in vigore della Costituzione si procede alla revisione degli organi speciali di giurisdizione attualmente esistenti, salvo la giurisdizione del Consiglio di Stato, della Corte dei Conti e dei Tribunali militari».

(È approvato).

Pongo in votazione il secondo comma con le modificazioni accettate dalla Commissione:

«Entro un anno dall’entrata in vigore della presente Costituzione si provvede con legge al riordinamento del Tribunale supremo militare ai termini dell’articolo 102».

(È approvato).

Passiamo alla VIII disposizione transitoria. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Leggi della Repubblica regolano per ogni ramo della pubblica amministrazione il trapasso delle funzioni statali attribuite alle Regioni e quello di funzionari e dipendenti dello Stato, anche centrali, che si rende necessario in conseguenza del nuovo ordinamento.

«Alla Regione sono trasferiti, nei modi da stabilire con leggi della Repubblica, il patrimonio, i servizi ed il personale delle Provincie».

PRESIDENTE. L’onorevole Recca ha proposto di sopprimere il secondo comma. Non essendo presente, si intende che abbia rinunziato a svolgerlo. Il Comitato di redazione ha presentato il seguente emendamento:

«Aggiungere il seguente comma:

«Fino a che non sarà provveduto al riordinamento ed alla distribuzione delle funzioni amministrative con gli altri enti locali restano alla Provincia le funzioni amministrative attualmente ad essa attribuite e quelle di cui la Regione le deleghi l’esercizio».

L’onorevole Mortati ha presentato il seguente emendamento:

«Leggi della Repubblica regolano per ogni ramo della pubblica Amministrazione il trapasso delle funzioni da attribuire ai vari enti ed organi di decentramento.

«La legislazione statale, nelle materie di cui agli articoli 109, 110 e 111, sarà abrogata e sostituita da norme direttive ed, in ogni caso, rimarrà priva di efficacia decorsi due anni dall’entrata in vigore della Costituzione.

«Fino a che le leggi statali e regionali non avranno provveduto alla redistribuzione delle funzioni amministrative, la Provincia ed il Comune continueranno ad esercitare quelle attualmente loro attribuite.

«Con leggi della Repubblica, previ accordi con le Amministrazioni regionali interessate, potrà essere disposto il passaggio a queste di funzionari e dipendenti dello Stato, anche centrali, reso necessario in conseguenza del nuovo ordinamento, salvo in ogni caso il rispetto dei diritti da essi acquisiti».

L’onorevole Mortati non è presente.

UBERTI. Lo faccio mio e rinunzio a svolgerlo.

PRESIDENTE. Sta bene. Un altro emendamento è stato presentato dall’onorevole Colitto:

«Sopprimere la parola: amministrative, che si legge dopo la parola: funzioni, ed aggiungere a questa parola le altre: ed i poteri».

Ha facoltà di svolgerlo.

COLITTO. Rinunzio a svolgerlo.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione su questi emendamenti.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io riconosco senz’altro che è da accettare la proposta di soppressione del secondo comma fatta dall’onorevole Recca, posto che si è conservata la provincia.

Per il rimanente, l’emendamento dell’onorevole Mortati non modifica la sostanza del testo della Commissione, che è più semplice e breve. Potrà essere completato come forma, ma senza accettare ora formulazioni meno felici come tecnica di espressione costituzionale. Nel nostro testo sono due concetti assieme: il trapasso delle funzioni ed il trapasso del personale. Potremo separarli nella dizione definitiva; senza aggiungere, come l’onorevole Mortati propone, che saranno rispettati i diritti quesiti degli impiegati. Non v’è bisogno di metterlo nella Costituzione.

Si deve invece far posto ad un emendamento dell’onorevole Nitti, che ci siamo impegnati a considerare in questa sede: «Le Regioni, per la formazione dei loro uffici, trarranno il personale occorrente dalle Amministrazioni dello Stato e da quelle degli enti locali». L’Assemblea approvò il concetto, e rinviò alle norme transitorie. Vi fu anche una proposta di completamento, mi pare dell’onorevole Targetti, che, ammettendo la disposizione, aggiungeva che quando ciò fosse necessario, le Regioni avrebbero potuto assumere nuovo personale. L’eccezione è giusta; vi possono essere esigenze, alle quali non si potrà venir meno. Potremo aggiungere «salvo i casi di necessità»; formula da rivedere nel coordinamento.

L’onorevole Mortati propone poi il tema di ciò che avverrà delle leggi vigenti dello Stato, in relazione ai compiti legislativi dati alle Regioni. È tema che non attiene alla disposizione transitoria di cui ora ci occupiamo; è un emendamento aggiuntivo; ma comunque vediamolo ora.

Abbiamo, dunque, dato alle Regioni una funzione legislativa, nel limiti dei principî che sono stabiliti dalle leggi dello Stato. Dunque, in certe materie, lo Stato non può più legiferare minutamente; ma soltanto stabilire dei principii e delle direttive. Occorre senza dubbio precedere ad una revisione e modificazione delle leggi vigenti. Nel testo del nostro progetto, e precisamente nell’articolo che apre il titolo sulle Regioni, è detto che la Repubblica adegua la sua legislazione alle nuove esigenze dell’autonomia regionale ed alle funzioni legislative di questi nuovi Enti. Può essere opportuno mettere tale concetto qui, nelle disposizioni transitorie; lo vedrà il Comitato nel coordinamento. Occorre certamente considerare cosa sarà delle leggi attuali dello Stato, nelle materie ove interviene ormai legislativamente la Regione.

L’onorevole Mortati indica l’esigenza di rivedere le vigenti leggi; e vi appone un termine; decorso il quale, se non sono rivedute, si intenderanno abrogate. L’onorevole Adonnino non mette alcun termine, e dice che le leggi dello Stato continueranno ad aver vigore fino a che non si sarà realizzata la distribuzione dei compiti legislativi. Mi sembra che sia da adottare una posizione intermedia. Occorre stabilire un termine; ma non prescrivere una meccanica abrogazione delle leggi dello Stato. Si rischia di creare la confusione ed il caos, alla scadenza del termine stesso. Sarà uno dei termini, non infrequenti nella nostra legislazione, che si assume l’impegno di osservare; ma non hanno un valore tassativo; e tale, nel caso nostro, da abrogare le norme vigenti.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. La questione in esame è certamente la più importante per la realizzazione della Regione. Noi ne abbiamo infatti stabilito la competenza legislativa; ma, per la sua pratica realizzazione, bisogna vedere come possono ingranarsi non solo le sue funzioni amministrative, ma anche quello che è il rispetto del campo legislativo alla Regione riservato.

Ora, io riconosco che le osservazioni dell’onorevole Ruini circa l’estrema delicatezza della disposizione che entro un determinato tempo – un biennio – debbano cadere per abrogazione le leggi, anche se la Regione non vi abbia provveduto, sono giuste; poiché però qualche cosa noi dobbiamo pur dire, propongo il seguente testo a modifica di quello presentato dall’onorevole Mortati:

«La legislazione statale, nelle materie di cui agli articoli … dovrà essere adeguata entro 5 anni dalla entrata in vigore della Costituzione in ordine alla competenza legislativa riservata alla regione».

Riconosco infatti che il termine di due anni costituisce un periodo soverchiamente piccolo dato il lavoro veramente imponente che il nuovo Parlamento dovrà svolgere per adeguare la legislazione dello Stato ai suoi limiti di fissazione dei principî, delle norme generali, dei criteri fondamentali entro i quali dovrà contenersi la legislazione regionale.

Propongo quindi di ridurre in questi termini il testo dell’emendamento presentato dal collega Mortati.

PRESIDENTE. Onorevole Ruini, vuole esprimere il parere del Comitato?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Accetto la proposta dell’onorevole Uberti. Se egli vorrà precisare la sua formulazione, io non avrò difficoltà ad accoglierla. Se no, vedrà di formularla il Comitato.

PRESIDENTE. Dobbiamo però aver presente, a questo riguardo, che v’è anche l’emendamento Tosato-Perassi, del seguente tenore:

«Nel termine di cinque anni dall’entrata in vigore della presente Costituzione il Parlamento provvederà alla revisione delle leggi vigenti in relazione alle esigenze dell’articolo 109».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Credo che si possa trovare una formula unica. Lo Stato deve adeguare la sua legislazione; finché ciò non avvenga, la Regione non sa quali siano i limiti nei quali potrà legiferare; è lo Stato che deve porli ed indicare i principî e le direttive. Finché ciò non avvenga, la Regione potrà dettare norme, legislative o regolamentari che siano, considerando come direttiva ciò che è stabilito nelle leggi attuali. Per una chiara determinazione di confini, si deve attendere che le leggi dello Stato siano convenientemente rivedute.

Potremo votare ora, se l’onorevole Uberti consente, l’emendamento Tosato-Perassi, che sostanzialmente coincide col suo, e sarà rimaneggiato nel coordinamento.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Aderisco alla formulazione degli onorevoli Tosato e Perassi.

PRESIDENTE. Mi pare che l’unica difficoltà sia quella del termine stabilito: l’onorevole Mortati parlava di due anni, l’onorevole Uberti di cinque, così come gli onorevoli Tosato e Perassi.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La Commissione accetta il termine di cinque anni.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Mi pare che il termine di cinque anni sia troppo lungo, considerato che questo adeguamento costituisce la premessa perché le Regioni possano a loro volta legiferare e funzionare. Quindi, se non due anni, proporrei per lo meno tre, che è il termine medio fra le varie proposte.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Mettiamo allora tre anni; auguriamoci che il termine non sia troppo breve.

PRESIDENTE. Sta bene. Pongo, pertanto, in votazione il primo comma della disposizione VIII:

«Leggi della Repubblica regolano per ogni ramo della pubblica amministrazione il trapasso delle funzioni statali attribuite alle Regioni e quello di funzionari e dipendenti dello Stato, anche centrali, che si rende necessario in conseguenza del nuovo ordinamento».

(È approvato).

Qui si inserisce l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Nitti, integrato dall’onorevole Ruini:

«Le Regioni, per la formazione dei loro uffici, trarranno il personale occorrente dalle Amministrazioni dello Stato e da quelle degli enti locali, salvo il caso di necessità».

Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Ed ora veniamo alla formulazione degli onorevoli Tosato e Perassi, con l’intesa che la Commissione lo coordinerà nel modo migliore con la formulazione proposta dall’onorevole Uberti:

«Nel termine di tre anni dall’entrata in vigore della presente Costituzione il Parlamento provvederà alla revisione delle leggi vigenti in relazione alle esigenze dell’articolo …».

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Facevo osservare poco fa al Presidente del Comitato che, a mio modo di vedere, questa disposizione, giusta, manchi però di una logica premessa: io penso che essa debba essere integrata con la statuizione del termine di un anno o due per la costituzione delle Regioni.

Subito dopo è naturale si preveda la trasformazione, l’adeguamento della legislazione nazionale alle esigenze derivanti dal nuovo ordinamento.

Mi pare che dobbiamo stabilire prima di tutto questo termine, altrimenti è inutile aver creato l’ordinamento regionale. Noi saremmo favorevoli a stabilire anche un termine minore di un anno, dato che un breve tempo è sufficiente per indire le elezioni e creare i consigli.

Il Presidente del Comitato, al quale facevo questa proposta, mi diceva che, a suo avviso, è necessario, prima che siano costituite le Regioni, che esse stesse presentino allo Stato degli statuti che verrebbero dallo Stato adottati. Questa di fatto è la procedura seguita per la Sicilia e la Sardegna. Ma in quel caso particolare si aveva un punto di partenza perché quelle Regioni, Sicilia e Sardegna, avevano già un Alto Commissariato.

Ma come si può pretendere una procedura del genere dalle altre Regioni? Tanto più che gli statuti delle altre Regioni sono stati concessi come regolamenti interni, e non nella stessa maniera degli statuti delle isole e delle regioni mistilingui. Allo stato attuale la procedura più semplice è questa: che si stabilisca il termine – per esempio di un anno – entro il quale si costituiscono le Regioni, e poi le Regioni stesse provvedano a darsi un regolamento interno.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. La questione sollevata dall’onorevole Laconi è veramente importante e riflette la esecuzione dell’istituzione dell’ente Regione, che è diversa dai quattro statuti speciali, perché sappiamo che, dei quattro statuti speciali, due li hanno con decreto già attuati e due sono in stato di elaborazione, e dovremo discuterli in Assemblea entro questo mese.

Per le altre Regioni, invece, mi sembra che il termine di un anno proposto dall’onorevole Laconi sia eccessivo, perché noi abbiamo già deliberato l’istituzione dell’ente Regione. Non appena votata la Costituzione, l’ente Regione è creato di diritto. Non rimane che la realizzazione. Io ritengo che nella prossima primavera, costituendosi il nuovo Parlamento, la Camera dei deputati e il Senato, dovrà essere nominato anche il Consiglio regionale, se non subito, in epoca più o meno vicina. Dovremo entro il mese di dicembre, oltre che fare la legge elettorale per la Camera dei deputati e la legge elettorale per il Senato, votare anche la legge elettorale per le Regioni. Questa non è una legge complicata, perché non v’è che da applicare il sistema della legge per la Camera dei deputati così come si è fatto per la Sicilia, dove è stato fatto un decreto quanto mai semplice; cioè si dovrà stabilire che i consiglieri regionali siano eletti in base a suffragio universale, con la proporzionale e con collegi provinciali. Quindi la legge non è molto complicata e può essere approvata rapidamente.

Ma è necessario arrivare a costituire entro breve termine il Consiglio regionale, perché è il Consiglio regionale che dovrà predisporre lo Statuto della Regione da proporre al Parlamento per la sua approvazione. Non può essere unicamente il Parlamento. È necessario pertanto che sia costituito il Consiglio regionale, il quale promuova questa formulazione. D’altra parte per organizzare, adeguatamente e in rispondenza ai rispettivi bisogni, la Regione, occorre che le singole Regioni predispongano tutta una serie di studi, in base ai quali formulare le relative proposte. E allora è necessario che sia nominato subito, entro il primo semestre del 1948, il Consiglio regionale, il quale promuova tutto questo lavoro. Praticamente comincerà a funzionare verso la fine del 1948, o anche nel 1949, in quanto occorrerà che una legge approvi lo Statuto. Ma appunto per non rimandare eccessivamente in pratica il funzionamento della Regione è necessario che il termine non lo fissiamo in un anno, ma in sei mesi.

Quindi accetto la proposta Laconi. Solamente la modifico e prego anche lui di accettare che il termine, anziché di un anno, sia di sei mesi.

Un’altra parola relativamente all’emendamento dell’onorevole Nitti. Vorrei che il Comitato di coordinamento intendesse in senso lato l’espressione «salvo casi di necessità», perché può essere che la Regione abbia bisogno di determinati specialisti locali.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il suggerimento dell’onorevole Laconi e ripreso dall’onorevole Uberti, è distinto dal tema che consideravamo del termine per la revisione delle leggi statali. Qui si tratta di un termine per mettere in moto il congegno delle regioni. Bisogna senza dubbio che lo Stato si accinga subito a dar vita alle Regioni. Non so se il mezzo più pratico, o almeno il mezzo unico, sia quello di prescrivere un termine per eleggere i Consigli regionali. Né so se basteranno pochi mesi; il Ministero dell’interno non sarebbe di questo avviso.

Come si potrà promuovere la costituzione delle Regioni? L’onorevole Perassi, che mi è sempre prezioso collaboratore, mi suggerisce che si potrà subito dare ad un Commissario, per ogni regione, il compito di costituire al più presto possibile i Consigli regionali. Quando ero al Governo, ho predisposto i decreti che hanno, con i Commissari e le Consulte siciliana e sarda, gettate le fondamenta delle due autonomie isolane. Qui si tratta più semplicemente di preparare i Consigli regionali. (Commenti a sinistra). Allora quale altro sistema si può seguire? I Consigli regionali come si potranno costituire? In che modo? Vi dovrà essere qualcuno che dovrà convocarli e predisporre quanto occorre ad una elezione. Non saranno Commissari come in Sicilia e Sardegna; ma dovranno esservi, se si vuol promuovere la nascita delle Regioni. Né vi è peraltro da temere che il Commissario regionale sia un amministratore, che debba sostituirsi anticipatamente alla Regione. No; sarà un incaricato di predisporre le elezioni dei Consigli regionali ed il trapasso delle funzioni alla Regione, di cui abbiamo pur ora parlato. Sarà il metodo più semplice e più breve, che naturalmente non metteremo nella Costituzione; è soltanto uno spunto al quale ho creduto di accennare.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Riconosco che l’osservazione del collega Laconi pone un problema che fino a questo momento non ci eravamo posti. Però vorrei pregare l’onorevole Uberti di ritornare nei termini che erano stati prospettati dall’onorevole Laconi, cioè a dire di un anno per la costituzione dei Consigli regionali, unicamente perché in sostanza noi nel primo semestre del 1948 dovremo fare le elezioni della Camera dei deputati e del Senato. Fissare immediatamente dopo le elezioni dei Consigli regionali significa, a mio giudizio, esporre le elezioni stesse ad un largo astensionismo, perché il popolo si stanca. Invece, tenendo presente che v’è un emendamento dell’onorevole Nobili Tito Oro al 4-bis, che vorrebbe la ricostituzione dei Consigli provinciali entro sei mesi dall’entrata in vigore della Costituzione, noi potremmo fissare il termine per i Consigli regionali e per i Consigli provinciali entro un anno e fare le due elezioni contemporaneamente.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Anch’io dissento dall’amico onorevole Uberti e aderisco a quanto ha detto l’onorevole Corbino, anche in considerazione del fatto che la legge elettorale per i Consigli regionali non è fatta né si sa se potrà essere completata nello spazio di questo mese di vita che ci resta. Quindi mi sembra sia prudenziale stabilire il termine di un anno.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Concordo con il Presidente del Comitato, onorevole Ruini, nel vedere distaccati i due problemi: il problema, che si allaccia all’emendamento, di cui è questione ora, è uno; l’altro problema sui Consigli regionali è un altro. È inutile che mi soffermi sul primo, perché mi pare sia sufficientemente chiarito. Sul secondo invece può sorgere qualche dubbio; e il dubbio sorge in me meditando su quanto ha proposto l’onorevole Ruini. Trovo che la preparazione giuridica e politica dell’onorevole Ruini è grande, ma attraverso una sua speciale duttilità a risolvere le difficoltà nel quadro generale delle questioni pratiche che si presentano, è portato anche ad arrivare a delle soluzioni che certamente non è che ci facciano paura, ma destano in noi un certo qual timore sulla situazione della futura Regione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma niente affatto.

LUSSU. Vero è che col reingresso in abiti tutt’altro che modesti della provincia, che avevamo precedentemente licenziato in abiti dimessi, la Regione venne a soffrirne molto. È nella volontà dell’Assemblea che essa funzioni prevalentemente ispirandosi a motivi e ad esigenze locali sottratte il più che sia possibile dall’ambito degli interessi generali e dell’organizzazione dello Stato.

Ora, proporre che sia un commissario particolare quello che mette in movimento il primo ingranaggio dell’Ente regione, contrasta con lo spirito che è scaturito dalle discussioni che si sono fatte nell’Assemblea Costituente. Penso che, se fosse necessario in tutti i modi creare un organismo all’infuori dell’Ente regione come espressione di interessi o di organizzazioni locali esistenti, semmai dovremmo rivolgerci ad una rappresentanza paritetica di partiti oppure rimetterci senz’altro all’elezione del Consiglio regionale. Una volta che il Consiglio regionale è eletto e siede, il Commissario non c’entra. È il Consiglio regionale stesso che crea il suo organismo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. D’accordo che il Consiglio regionale dovrà pensare all’organizzazione dei suoi servizi.

LUSSU. Se è d’accordo con me, onorevole Ruini, la prego di non presentare neppure per ipotesi la intromissione del Commissario, il quale, dicevo, non ha niente a che vedere in questa faccenda.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ho detto che si deve incaricare il Commissario – che può essere anche un elemento regionale – di convocare il Consiglio regionale. Come si può farne a meno? Chi farà le liste, chi sceglierà i locali? Il Consiglio regionale, che non esiste ancora? E se il Commissario avrà l’incarico di preparare fin da ora quanto occorre per il trapasso dei servizi, perché il Consiglio regionale possa funzionare bene appena costituito, non vi sarà ragione di sparare a palle infocate. Sarà un grande vantaggio per la Regione; e non si potrà pensare che questa possa prendersi servizi ed uffici dello Stato, senza che un incaricato dello Stato intervenga nel passaggio.

LUSSU. Chiedo di parlare, perché si tratta di una questione fondamentale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà, ma le faccio osservare che non dobbiamo giungere ora ad alcuna conclusione.

LUSSU. Temo equivoci, che creano altri equivoci. Cioè la Commissione od il Commissario, come lo si voglia chiamare, deve seguire le elezioni del Consiglio regionale e non precederle, perché se le precede non sono d’accordo.

PRESIDENTE. L’unica questione che è stata posta qui, e per cui v’è una formulazione precisa, è quella del termine entro cui debbono essere indette le elezioni per la costituzione dei Consigli regionali; tutto il resto esula per ora dalla nostra competenza.

Per intanto, votiamo l’ultimo comma di questa norma transitoria; poi porrò in votazione l’articolo aggiuntivo proposto dai colleghi Laconi ed Uberti. Sarà infine il Comitato di redazione a dare forma definitiva a queste disposizioni.

Pongo in votazione la formulazione Tosato-Perassi, riservando al coordinanento l’indicazione dell’articolo in cui sono contenute le competenze legislative delle Regioni:

«Nel termine di tre anni dalla entrata in vigore della presente Costituzione il Parlamento provvederà alla revisione delle leggi vigenti in relazione alle esigenze dell’articolo …».

(È approvata).

Vi è ora il testo degli onorevoli Laconi ed Uberti, relativo al problema ora discusso, del seguente tenore:

«Entro sei mesi dall’entrata in vigore della Costituzione sono indette le elezioni per la costituzione dei Consigli regionali».

Gli onorevoli Corbino e Moro propongono di portare i «sei mesi» ad «un anno».

Domando agli onorevoli Moro e Corbino se la mantengono.

MORO. Ritiro la mia adesione alla proposta Corbino.

CORBINO. Mantengo la mia proposta.

LUSSU. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Io voterò per un anno, quantunque sia noto che io sono uno dei maggiori fautori dell’ente Regione; ma credo che sia una saggia disposizione stabilire un termine superiore a sei mesi.

UBERTI. Proprio lei, che per la Sardegna voleva le elezioni entro il 1947.

LUSSU. Gli statuti particolari della Sardegna, della Sicilia, ecc. non c’entrano in questo caso. Qui si parla delle altre Regioni.

Credo che sarebbe saggia misura votare per un anno. Io non so se, perdurando le condizioni politiche attuali, questo Governo sia in grado di fare le elezioni, entro sei mesi. Meglio è stabilire un anno.

FUSCHINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUSCHINI. Voglio far presente agli onorevoli colleghi che in materia elettorale noi non possiamo stabilire che dei termini molto generici, perché indire le elezioni per i Consigli regionali sarà un compito che spetterà a quel Governo che sarà costituito dopo le elezioni politiche. Però, bisogna tener presente che le elezioni dei Consigli regionali devono avvenire al più presto possibile dopo le elezioni politiche, perché il Paese ha bisogno ed ha necessità di essere posto in una tranquillità almeno relativa.

Ora, è indispensabile che le elezioni dei Consigli regionali, una volta che siano avvenute le elezioni politiche, non siano un pretesto, come si è spesso usato per le elezioni amministrative, per alterare indirettamente la posizione che si può essere verificata in materia elettorale politica. Ecco perché io ritengo che il termine di un anno sia più che sufficiente. (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Fuschini, non vi sono proposte superiori ad un anno.

FUSCHINI. Sei mesi, a decorrere dall’approvazione della Costituzione, possono essere insufficienti. Bisogna tener presente che fra l’approvazione della Costituzione e le elezioni politiche intercorreranno almeno sei mesi, sia per elezioni sia per la formazione delle Assemblee legislative. Il termine di sei mesi non potrebbe essere osservato da nessun Governo futuro. Quindi, credo che il termine di un anno sia sufficiente per addivenire alle elezioni.

PRESIDENTE. Pongo in votazione pertanto la seguente formulazione:

«Entro un anno dall’entrata in vigore della Costituzione sono indette le elezioni per la Costituzione dei Consigli Regionali».

(È approvata).

La disposizione VIII risulta nel suo complesso così approvata, salvo coordinamento:

«Leggi della Repubblica regolano per ogni ramo della pubblica amministrazione il trapasso delle funzioni statali attribuite alle Regioni e quello dei funzionari e dipendenti dello Stato, anche centrali, che si rende necessario in conseguenza del nuovo ordinamento.

«Le Regioni, per la formazione dei loro uffici, trarranno il personale occorrente dalle Amministrazioni dello Stato e da quelle degli enti locali, salvo il caso di necessità.

«Nel termine di tre anni dall’entrata in vigore della presente Costituzione il Parlamento provvederà alla revisione delle leggi vigenti in relazione alle esigenze dell’articolo.

«Entro un anno dall’entrata in vigore della Costituzione sono indette le elezioni per la costituzione dei Consigli regionali».

Passiamo ora all’esame del comma aggiuntivo proposto dal Comitato, di cui do ancora lettura:

«Fino a che non sarà provveduto al riordinamento ed alla distribuzione delle funzioni amministrative con gli altri enti locali restano alla Provincia le funzioni amministrative attualmente ad essa attribuite e quelle di cui la Regione le deleghi l’esercizio».

L’onorevole Ruini ha facoltà di illustrarlo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il concetto è questo: abbiamo, nell’istituire le Regioni, stabilito che si deve provvedere ad una distribuzione di servizi non solo fra lo Stato e la Regione, e fra la Regione, la provincia ed il comune. Finché questa distribuzione non abbia luogo, si è detto che la provincia potrà continuare ad esercitare le sue funzioni con le attribuzioni attuali. Aggiungerei, per maggior completezza, anche il comune.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Faccio mio l’emendamento dell’onorevole Nobili Tito Oro del seguente tenore:

«Entro sei mesi dalla entrata in vigore della Costituzione saranno ricostituiti i Consigli provinciali in base alla legge comunale e provinciale 4 febbraio 1915, n. 148».

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non credo che quanto prevede ed autorizza già la legge per la convocazione dei Consigli provinciali debba diventare articolo di Costituzione. Basta un decreto; vogliamo fare d’una facoltà di convocazione un solenne testo costituzionale?

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Sopra i Consigli provinciali non v’è nessuna deliberazione dell’Assemblea. Neppure nei lavori della Commissione dei Settantacinque alcunché si è deliberato per quanto riguarda il Consiglio provinciale; si è solo deciso che la Provincia sarà un ente autarchico. Sarà la nuova legge provinciale e comunale che dovrà stabilire se esisteranno, ed eventualmente in quale forma, i Consigli provinciali.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Onorevoli colleghi, io avevo avuto incarico dal collega Nobili Tito Oro di fare mio il suo emendamento, perché egli sapeva che questa sera sarebbe stato nella impossibilità di partecipare alla seduta. Ma giacché d’onorevole Corbino l’ha già fatto suo, non mi rimane che dire due parole su quanto ha osservato l’onorevole Ruini.

All’inizio del suo dire credevo di avere stasera la sorpresa di trovarmi d’accordo con lui, ma questa speranza mi è passata subito e mi sono accorto di essere in disaccordo. Quando abbiamo riaffermato la esistenza della provincia e ci siamo dati cura di affermare che la Provincia sarebbe risorta, cioè non sarebbe più morta, e sarebbe rimasta quale è sempre stata, cioè ente autonomo, e l’onorevole Uberti mi insegna che ente autarchico, se ha un significato specifico, ha proprio quello di governarsi da sé, si è implicitamente intesa né si poteva non intendere, che la Provincia avrebbe dovuto avere i propri amministratori, nominati come si nominano gli amministratori dei Comuni, come si sono nominati nel passato quelli della Provincia.

Dice l’onorevole Ruini: della formazione dei Consigli comunali non si è parlato nella Costituzione. D’accordo; ma v’è una necessità particolare di parlare della elezione dei Consigli provinciali, trattandosi di una diversa situazione. E la necessità è questa: qui ci siamo dati cura, onorevoli colleghi, ed è stato un pensiero premuroso, di affermare che entro un anno si devono eleggere i Consigli regionali, cioè i Consigli che dovranno amministrare qualche cosa che ancora non esiste. Si possono formulare gli auguri più vivi che la Regione nasca presto e nasca prospera, ed è per quest’augurio che abbiamo detto che entro un anno si devono nominare gli amministratori di questo nuovo ente che, per ora, esiste soltanto sulla carta. La Provincia, invece, si trova in questa particolare situazione. Mentre si è provveduto per legge alla nomina dei Consigli comunali, non s’è mai provveduto alla nomina dei Consigli provinciali, e ciò perché la Provincia si considerava già come estinta, ed allora i consiglieri provinciali sarebbero stati considerati come degli esecutori testamentari. Vi sarebbe stato qualche cosa di funebre nella loro nomina!

Ma oggi che la Provincia è risorta, bisogna correggere questa situazione. Come sono amministrate le provincie? Sono amministrate da quegli stessi cittadini che furono indicati dai Comitati di Liberazione Nazionale; altri amministratori, ove per condizioni locali questa rappresentanza dei partiti non poteva più essere mantenuta in vita, furono nominati attraverso il prefetto. Mi pare che sia questa anormalità di situazione che renda necessario che proprio nella Costituzione si dica che, mentre si è dato un termine massimo di un anno per costituire i Consigli regionali, si dia un termine massimo di sei mesi per la ricostituzione dei Consigli provinciali.

LUSSU. Chiedo di parlare per una pregiudiziale. (Commenti).

PRESIDENTE. Sentiamo la pregiudiziale, onorevole Lussu.

LUSSU. Credo che quando si viene di notte per una seduta di questo genere bisogna anche sopportare degli interventi; altrimenti si rinunzia alla seduta notturna.

PRESIDENTE. È questa la pregiudiziale, onorevole Lussu…? (Si ride).

LUSSU. Mi duole che in questa questione non mi trovi d’accordo, anzi mi trovi in perfetto disaccordo col mio collega Targetti: un dispiacere di famiglia. Ed io devo aggiungere, per rendere ancor più doloroso questo dispiacere, che mi trovo perfettamente d’accordo col collega Uberti.

Quanto egli, infatti, ha affermato sulla questione della provincia è esatto; intendo dire obiettivamente esatto, storicamente esatto.

Se andiamo a rivedere tutto quello che noi abbiamo fatto e, prima di aver fatto, detto, a chiarimento di quello che abbiamo fatto, risulterà evidente che quanto il collega Uberti ha affermato è coerente alla realtà. La provincia, sì, è stata conservata come ente autonomo; ma il collega Targetti mi insegna che ci sono enti autonomi ed enti autonomi, e che noi non abbiamo per niente consacrato che la provincia debba rimanere intatta così come noi l’abbiamo conosciuta.

PRESIDENTE. Onorevole Lussu, sto attendendo la pregiudiziale.

LUSSU. La pregiudiziale è che, se è vero quanto io dichiaro a conferma di quanto prima di me ha affermato l’onorevole Uberti, consegue che questo emendamento non si può neppure porre ai voti, perché altrimenti noi verremmo implicitamente a riconoscere la provincia come ente autonomo, così quale essa era trent’anni fa: il che è ben lungi dalle nostre intenzioni. (Commenti).

FUSCHINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUSCHINI. Dobbiamo ricordare che l’Assemblea Costituente, agli articoli 120 e 121, ha stabilito che le provincie e i comuni sono enti autonomi nell’ambito dei principî fissati da leggi generali della Repubblica, che ne determinano le funzioni. Le provincie e i comuni sono anche, quindi, circoscrizioni di decentramento statale e regionale.

Ora, bisogna tener presente che non è detto, come è stato già giustamente rilevato, che la circoscrizione amministrativa e autonoma della provincia debba avere gli stessi organi che aveva la vecchia provincia, ossia la Deputazione provinciale e il Consiglio provinciale. Noi, per quanto riguarda questa materia, non ci siamo nemmeno fermati, perché abbiamo ritenuto che la provincia potesse essere riformata senza che per questo essa venisse meno come ente autonomo.

Per i comuni dunque c’è una legge da noi approvata, la quale consente ad essi di risorgere con un ordinamento presso a poco analogo a quello che essi avevano prima del fascismo, cioè con un Consiglio e con una Giunta. Per le provincie invece non abbiamo fatto nulla di simile. Ora, bisogna che noi superiamo questa situazione provvisoria, bisogna che noi diamo una legge alla provincia, che regoli il modo come essa debba organizzarsi.

Sarà la Deputazione provinciale, sarà il Consiglio provinciale, sarà l’una cosa e l’altra insieme, o sarà l’una oppure l’altra: è evidente che sono tutti problemi che dovranno in qualunque modo venire risolti da una nuova legge. Non bisogna quindi confondere, egregi colleghi, quelle che sono le disposizioni che sono date per la Regione, con quelle che sono le disposizioni che debbono ancora esser date per la provincia con una legge speciale, dalla quale non si potrà prescindere.

Noi possiamo quindi fare quelle innovazioni che riteniamo più idonee, che riteniamo più adeguate al funzionamento della provincia.

Così io ritengo che per quanto si riferisce alla provincia che ancora esiste, che per volontà dell’Assemblea Costituente si è voluto mantenere, dobbiamo attendere che vi sia la legge integrativa dei suoi organi.

Quindi, nulla dobbiamo pregiudicare in disposizioni transitorie. Naturalmente, bisogna lasciare alle provincie le attribuzioni che esse avevano per l’antica legge, salvo a vedere quali attribuzioni si devono ad esse concedere secondo quella che sarà la volontà del nuovo legislatore.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Sapendo quanto sia poco proprio prendere la parola due volte sullo stesso argomento, mi limito a presentare un ordine del giorno; a trasformare, cioè il mio emendamento in un ordine del giorno del seguente tenore:

«L’Assemblea fa voti che entro un anno dall’entrata in vigore della Costituzione le Provincie abbiano la loro amministrazione elettiva».

Su questo, onorevoli colleghi, mi sembra che si debba essere tutti d’accordo. (Commenti al centro).

MALAGUGINI. La verità è che si vuole uccidere la provincia! (Commenti al centro).

TARGETTI. L’onorevole Malagugini si irrita di un fatto che in realtà rappresenta una bella prova di quello che può una speranza che non si decide a tramontare. Gli egregi colleghi di quella parte dell’Assemblea non si rassegnano al fatto compiuto della risurrezione della provincia, nella quale si ostinano a vedere, a torto, una nemica della Regione. Questa combattività va ammirata e bisogna cercare di imitarla.

Piuttosto vorrei mettere in luce che questo è un tentativo che non può servire a niente. Non posso fare una citazione a memoria, ma sono sicuro che se si riprendono i resoconti delle discussioni che avvennero nell’Assemblea in occasione del ripristino della provincia, si vedrà che furono fatte proprio dalla Commissione dei Diciotto dichiarazioni esplicite – e fui io che ebbi, non dico la malizia, ma l’elementare prudenza di provocarle – dalle quali risulta che si era inteso di mantenere la provincia come ente autonomo, dotato di autogoverno, e quindi amministrata da amministratori nominati dal corpo elettorale. (Commenti al centro).

Ella, onorevole Piccioni, è stato forse uno di quelli che più si è addolorato di questa resurrezione della provincia, e, quindi, si spiega la sua insistenza continua che si manifesta in modo tale che dimostra la costanza dei suoi sentimenti. Ma io credo che in questo ordine del giorno nessuno possa trovare niente da ridire. Qualcuno lo voterà con un pensiero malinconico, considerando che ormai quello che è avvenuto è avvenuto; altri saranno lieti di vedervi la conferma di un fatto che essi auspicavano che avvenisse.

LUSSU. Onorevole Presidente, la mia pregiudiziale vale anche per questo ordine del giorno.

PRESIDENTE. Sta bene. L’onorevole Corbino ha presentato il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente fa voti a che si proceda alla ricostituzione dei Consigli provinciali nel termine di un anno dall’entrata in vigore della Costituzione e non oltre la data di elezione dei relativi Consigli regionali».

Chiedo agli onorevoli Targetti e Corbino se non possono unificare i loro ordini del giorno.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Sull’ordine del giorno Targetti si può raggiungere l’accordo e, quindi, ritiro il mio.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Vorrei far notare che il dire semplicemente che l’Assemblea «fa voti», quando si stabilisce il termine di un anno, mi pare sia troppo poco. Se diciamo «un anno», è opportuno che si usi una formula più impegnativa: per esempio «l’Assemblea stabilisce». Altrimenti mettiamo sei mesi.

PRESIDENTE. Non abbiamo mai votato ordini del giorno su materia non immediatamente costituzionale nei quali si facesse un’affermazione di questo genere. L’Assemblea ha sempre espresso un parere o dato un consiglio.

Pongo in votazione l’ordine del giorno Targetti-Corbino, testé letto.

(È approvato).

L’onorevole Ruini ritiene che si debba votare il comma aggiuntivo proposto dal Comitato di redazione?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Sì.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il comma aggiuntivo proposto dal Comitato alla disposizione transitoria VIII, con raggiunta delle parole: «e al Comune», proposta dall’onorevole Ruini: «Fino a che non sarà provveduto al riordinamento ed alla distribuzione delle funzioni amministrative con gli altri enti locali, restano alla Provincia e al Comune le funzioni amministrative attualmente ad essi attribuite e quelle a cui la Regione deleghi loro l’esercizio».

(È approvato).

Prima di passare all’esame dell’ultima norma transitoria, esaminiamo le ultime proposte aggiuntive pervenute. Gli onorevoli Nobile, Cifaldi, Grieco, Nobili Tito Oro, Costa, Costantini, hanno proposto il seguente articolo aggiuntivo:

«Nessuna variazione al numero e alle circoscrizioni delle Regioni, quali sono definite dall’articolo 123, potrà essere apportata nei primi dieci anni dopo la promulgazione della Costituzione».

Osservo che questa proposta è contradittoria con altra votata dall’Assemblea e pertanto non è accettabile.

Gli onorevoli Fuschini, Moro, Balduzzi, Damiani, De Unterrichter Maria, Jervolino e Uberti hanno proposto il seguente articolo aggiuntivo:

«Per la prima legislatura, anziché applicare la disposizione dell’articolo 57, potrà procedersi alla assegnazione dei seggi della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica in base alla popolazione residente nelle Provincie e Regioni d’Italia calcolate al 31 dicembre 1946 secondo i dati pubblicati nel supplemento straordinario della Gazzetta Ufficiale n. 97 del 28 aprile 1947».

Prego l’onorevole Ruini di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. A parte la dizione che è troppo lunga aderisco alla proposta dell’onorevole Fuschini che corrisponde a quanto stabilì l’Assemblea, nel senso che, votando il principio di far capo ai censimenti, pel numero dei senatori e dei deputati, occorre una norma transitoria per derogare da ciò nelle prime elezioni. Ma si potrebbe anche non mettere il principio, che non ha vero carattere costituzionale, e può essere lasciato alla legge elettorale, con una più opportuna valutazione delle circostanze. In tal caso, se non vi fosse il principio, non vi dovrebbe essere neppure la norma transitoria. Ma si potrà parlarne nel cordinamento. Intanto votiamo la proposta Fuschini.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo aggiuntivo proposto dall’onorevole Fuschini, del quale ho dato testé lettura.

(È approvato).

Gli onorevoli Perassi e Mortati hanno proposto la seguente disposizione transitoria:

«Fino a quando non sia entrata in funzione la Corte costituzionale, la cognizione delle controversie sulle materie indicate nel primo comma dell’articolo 126 della Costituzione è regolata secondo le norme vigenti».

L’onorevole Perassi ha facoltà di illustrare la sua proposta.

PERASSI. Ritengo che questa disposizione sia necessaria dopo le deliberazioni prese dall’Assemblea per quanto concerne la Corte costituzionale. Non era nelle norme transitorie precedentemente formulate, perché nel testo primitivo del progetto le norme relative alla Corte costituzionale, alla sua competenza e alla sua attività andavano notevolmente al di là di quanto risulta dalle deliberazioni prese l’altro giorno. Che cosa si è stabilito? Nell’articolo 126 si è disposto che certe controversie sono attribuite alla Corte costituzionale. Si tratta di una competenza esclusiva. Il valore di questa norma sta precisamente in questo: nel creare un organo avente su quelle controversie una competenza esclusiva. Segue poi l’articolo che stabilisce come è costituita la Corte. Ma poi, nell’articolo 128, a differenza di quanto era previsto nel primitivo progetto, l’Assemblea Costituente si è limitata a dire che la legge stabilirà i modi e i termini per i giudizi sulla incostituzionalità delle leggi: quando la Corte dichiara la incostituzionalità della norma questa cessa di avere efficacia, ecc.

Ora, stando così le cose, quale sarebbe la situazione se non si dicesse nulla? La situazione sarebbe questa: che per certe controversie che sono indicate nell’articolo 126 mancherebbe un giudice o, quanto meno, potrebbero sorgere dei dubbi. Ora, avendo rinviato tutto a leggi successive, si pone un problema di diritto transitorio che si potrebbe risolvere in diversi modi: o creando qualche meccanismo transitorio, come si è fatto in casi analoghi in qualche altra Costituzione, o ponendo quello che è strettamente necessario. Che cos’è strettamente necessario? Evitare che certe garanzie giurisdizionali oggi esistenti restino sospese fino a quando non si sia creata la Corte e si siano adottate le leggi relative al modo di agire davanti alla Corte ed al suo procedimento.

In particolare (e questo è il lato delicato della cosa) secondo il diritto vigente ogni cittadino convenuto in giudizio civile o sottoposto a procedimento penale può eccepire avanti al giudice la illegittimità di una norma anche contenuta in un decreto legislativo. È noto, infatti, che secondo il diritto attuale ogni giudice è competente ad accertare la legittimità delle norme che è chiamato ad applicare, e questa competenza, per quanto riguarda i decreti legislativi, è riconosciuta ed è stata solennemente riaffermata sia in atti parlamentari sia dalla giurisprudenza.

Inoltre, nell’articolo 126 si attribuisce in via esclusiva alla Corte costituzionale, di cui si prevede la creazione, la competenza a giudicare sui conflitti di attribuzione. Anche per questo occorre disporre in via transitoria. Per queste considerazioni proponiamo una disposizione che provveda a queste esigenze di diritto transitorio. Il concetto è questo: lasciare le cose come sono; evitare che in questo periodo transitorio non vengano meno quelle garanzie che attualmente esistono. La norma che proponiamo è formulata così:

«Fino a quando non sia entrata in funzione la Corte costituzionale, la cognizione delle controversie sulle materie indicate nel primo comma dell’articolo 126 della Costituzione è regolata secondo le norme vigenti».

Con questa disposizione resta chiarito che le controversie che possono sorgere in giudizio circa la legittimità di una norma anche se contenuta in un atto avente valore di legge possono essere esaminate e decise dai giudici secondo le norme vigenti e con gli effetti che attualmente possono avere le loro decisioni, cioè limitati al caso concreto. La norma secondo la quale «quando la Corte dichiara l’incostituzionalità di una norma questa cessa di avere efficacia» esce dal diritto attuale e avrà applicazione soltanto quando la Corte sarà creata e sarà regolato tutto il procedimento relativo al sindacato sulla legittimità costituzionale delle leggi.

Per quanto concerne, poi, le controversie relative ai conflitti di attribuzione, che l’articolo 126 deferisce alla competenza della Corte costituzionale, la disposizione transitoria proposta significa che la competenza in tale materia resta per ora deferita alle sezioni unite della Cassazione secondo la legge del 1875.

Sono questi i criteri a cui s’ispira l’articolo proposto, che per le considerazioni esposte riteniamo debba essere inserito nel testo costituzionale.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Aderisco al concetto espresso dall’onorevole Perassi e lo traduco in due parole: creato il nuovo sindacato di legittimità costituzionale, affidato ad un nuovo organo, la Corte costituzionale, è chiaro che quel sindacato non potrà essere esercitato da altri organi, oggi esistenti, prima che sorga la Corte costituzionale. Forse non è necessario, ma, se si crede che vi possa essere un dubbio, votiamo, salvo rivederne la forma, la proposta Perassi-Mortati.

MALAGUGINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MALAGUGINI. A me pare che si tratti di un emendamento di certa importanza, che viene presentato all’ultimo momento. Forse sarebbe opportuno rinviarne a domani la discussione. (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Malagugini, si tratta di un argomento molto semplice e chiaro. Non vedo la ragione di un rinvio.

MALAGUGINI. Non insisto.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la disposizione transitoria proposta dagli onorevoli Perassi e Mortati, di cui ho già dato lettura.

(È approvata).

Gli onorevoli Ambrosini, Cevolotto e Uberti hanno proposto la seguente disposizione transitoria:

«Nella prima formazione della Corte costituzionale i giudici restano in carica per tutto il periodo stabilito nell’articolo 127».

L’onorevole Ambrosini ha facoltà di illustrare la proposta.

AMBROSINI. Questo emendamento aggiuntivo quasi non sarebbe indispensabile; ma, siccome nell’articolo 127 si prevede una legge, che regolerà il funzionamento della Corte, per evitare che questa legge possa portare una innovazione sul problema del quale ci siamo occupati, e data la necessità che la Corte costituzionale abbia un funzionamento continuativo per un certo periodo, in modo da stabilire una giurisprudenza costante, perché le istituzioni possano avere fondamento preciso, noi abbiamo creduto di presentare la proposta in esame.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Forse anche questo emendamento è pleonastico, ma la Commissione lo accetta, con riserva di rivederne la forma in sede di coordinamento.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta Ambrosini, Cevolotto ed Uberti, testé letta.

(È approvata).

L’onorevole Grassi propone la seguente disposizione transitoria:

«Fino a quando non sarà emanata la nuova legge sull’ordinamento giudiziario, in conformità alle disposizioni della presente Costituzione, continueranno ad osservarsi le norme dell’ordinamento ora vigente».

L’onorevole Grassi ha facoltà di svolgerla.

GRASSI. È una disposizione transitoria, la quale tende ad evitare – e forse in questo non è pleonastica – che l’attuale Consiglio superiore della magistratura possa aver esso le funzioni e le attribuzioni che la Costituzione ha attribuito al futuro Consiglio superiore. Siccome, finché l’ordinamento giudiziario non stabilirà il nuovo Consiglio superiore, dovrà funzionare l’attuale, ritengo che la norma non sia pleonastica appunto perché tende ad evitare equivoci. La Commissione potrà poi vedere come coordinarla, ma io sento la necessità, per le responsabilità che assumo ora, di cercare di evitare equivoci in una materia così importante come quella costituita dalla carriera nella Magistratura..

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Certo è che siamo andati incontro con un vero crescendo a tutto un sistema di precauzioni. Non v’è offesa, nell’usare la parola: «pleonastico»; possiamo tuttavia dire «non necessario». Mi sia lecito esprimere qualche dubbio su quanto propone l’onorevole Grassi. Il primo dubbio è se la disposizione sia necessaria; evidentemente, finché il Consiglio superiore della magistratura non avrà assunto la nuova struttura che gli abbiamo data, non potrà esercitare le nuove funzioni, che del resto son poche, e non sarebbe gran male se intanto, pei trasferimenti, si volesse investire il Consiglio attuale. Secondo dubbio: se noi dovessimo per tutti gli organi che abbiamo modificati stabilire una norma di questo genere, la serie degli emendamenti non avrebbe più fine. Malgrado questi dubbi, di fronte alle esigenze che l’onorevole Grassi avanza pel funzionamento del servizio, non mi resta che rimettermi, e non oppormi all’emendamento.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta Grassi, testé letta.

(È approvata).

L’onorevole Mortati ha presentato la seguente proposta:

«È convertito in legge il decreto legislativo luogotenenziale 25 giugno 1944, n. 151».

Ha facoltà di svolgerla.

MORTATI. La mia proposta si riferisce al primo comma dell’articolo 6 del decreto da cui la Costituente ha tratto la sua investitura, nel quale è detto: «Il presente decreto entra in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del regno – serie speciale – e sarà presentato alle Assemblee legislative per la conversione in legge». Con l’adozione del procedimento del decreto-legge per la convocazione della Costituente il Governo di Salerno volle affermare la continuità fra il vecchio e il nuovo ordinamento. Io non entro nel merito di questa concezione, che a me pare infondata, non essendo contestabile che la decisione costituente abbia importato una frattura fra il vecchio e il nuovo ordinamento. Comunque, trovandoci di fronte ad un testo legislativo che ha voluto espressamente sancire la continuità fra i due ordinamenti, si pone questo problema: chi deve operare la conversione in legge? A tenore dell’articolo 6 citato che si richiama alle norme vigenti, regolative dei decreti-legge, l’organo competente dovevano essere le Assemblee legislative.

Può intendersi che con questa dizione ci si sia voluti riferire al Parlamento che sorgerà in virtù della Costituzione da noi approvata? Non mi pare che tale interpretazione possa ritenersi corretta, tenuto conto anzitutto che l’atto di conversione di un decreto, il cui contenuto senza dubbio attiene ad una materia costituzionale, ed anzi alla più tipica, a quella che ha di mira l’instaurazione di un nuovo ordinamento fondamentale dallo Stato, debba essere opera di un organo che abbia competenza nella materia stessa: ciò che non avviene per le ordinarie Assemblee legislative. Si potrebbe pensare a queste Assemblee in funzione di costituenti, cioè agenti con le forme della revisione costituzionale, ma non sembra ragionevole che la legittimazione del decreto da cui il nuovo ordinamento dovrebbe trarre la sua investitura sia attribuita ad un organo derivato dall’Assemblea Costituente, e non direttamente a questa. Si avrebbe, se non si adottasse la soluzione da me proposta, l’assurdo che le future Camere neghino la validità di quanto ha fatto l’organo che ha creato l’ordinamento, di cui farebbero parte. È inoltre da ricordare la ragione politica, relativa all’opportunità di non lasciare ancora aperta una questione circa la legittimità del procedimento costituente.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La formula di convertire in legge, nella Costituzione, un decreto-legge non mi sembra felice e corretta. Ma l’esigenza messa in luce dall’onorevole Mortati è fondata.

Ricordo che il decreto-legge del 1944 fu una piccola Costituzione provvisoria uscita dalla rivoluzione; tutti i decreti legislativi, e tutte le norme che hanno retto il nostro ordinamento provvisorio sono uscite di là. Ne sono derivati il referendum per la Repubblica, la convocazione dei comizi elettorali, la esistenza medesima di questa Assemblea.

Se si voleva riallacciarsi in qualche modo alle forme del passato, ed inserire, per così dire, la rivoluzione nel solco costituzionale, era inevitabile partire da un decreto-legge, e riservarne la conversione. Ma ora che siamo usciti dal provvisorio, ora che il regime intermedio è superato, non ci possiamo lasciare alle spalle come non definito il punto iniziale, la cellula da cui è provenuto l’ordinamento provvisorio. Faremo opera di saggezza decidendo fin da ora che quella che fu l’origine della nostra vita nuova, che poi diventò vita repubblicana, non resti ancora formalmente sospesa e rimessa, sia pure formalmente, al Parlamento futuro.

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Mi sembra che questo decreto dovrebbe essere presentato al Parlamento per essere convertito in legge con il relativo iter delle Commissioni per l’esame e la discussione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non è necessario l’iter che lei dice, e che sarebbe necessario pel futuro Parlamento. Più che una conversione formale in legge, noi dobbiamo stabilire che non occorre più una conversione formale e che una conversione sostanziale di quel decreto, che è insieme il suo superamento, si trova nel fatto stesso di questa Costituzione definitiva.

Votiamo intanto la proposta Mortati.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la formulazione Mortati, testé letta.

(È approvata).

Passiamo alla disposizione IX. Se ne dia lettura.

SCHIRATT1. Segretario, legge:

«La Presente Costituzione sarà promulgata dal Capo provvisorio dello Stato, entro cinque giorni dalla sua approvazione da parte dell’Assemblea Costituente».

GULLO FAUSTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO FAUSTO. Questa norma mi pare che non possa essere votata se non sono stati approvati tutti gli articoli. Comunque, non credo che vi sarà discussione su questa disposizione.

PRESIDENTE. L’Assemblea ha udito la proposta avanzata dall’onorevole Gullo. Se non vi sono osservazioni, rimane così stabilito.

(Così rimane stabilito).

L’onorevole Gasparotto ha presentato il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente riconosce, coerentemente alle tradizioni del Paese, che le calamità nazionali impegnano la solidarietà della Nazione rispetto ai danni e agli oneri che da esse derivano».

Ha facoltà di illustrarlo.

GASPAROTTO. La Costituzione francese, all’articolo 34, dispone che le calamità che colpiscono la Nazione impegnano tutta la Nazione, indipendentemente dalle regioni colpite dagli infortuni di particolare gravità.

Ora, io comprendo le ragioni per cui la Commissione non possa accogliere questa disposizione nel testo della Costituzione, in quanto essa risponde perfettamente alla tradizione italiana. Difatti, in occasione del terremoto calabro siculo del 1911 che provocò la morte di 50 mila persone, in quella del terremoto della Marsica del 1915 e via dicendo, l’Italia, ha affermato costantemente la solidarietà di tutta la Nazione davanti a queste sventure che colpiscono la Patria nelle varie parti del suo territorio.

Quindi, si può ritenere, forse, superflua, la disposizione stessa.

Tuttavia, di fronte all’ordinamento regionale, che distingue la Repubblica in vari nuclei autonomi, è utile, sotto forma di voto espresso in un ordine del giorno, che la Costituente stabilisca ancora una volta l’unità morale e la solidarietà di tutti gli italiani di fronte alle sventure nazionali. (Applausi).

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’ordine del giorno presentato dall’onorevole Gasparotto, testé letto.

(È approvato).

Segue la proposta di una disposizione aggiuntiva VI-bis, fatta dall’onorevole Nobili Tito Oro:

«Entro sei mesi dall’entrata in vigore della Costituzione può essere chiesta la revocazione delle sentenze civili pronunciate sotto il regime fascista, quando risulti o possa essere provato che esse furono la conseguenza della pressione di organi del governo o del partito fascista».

Non essendo presente il proponente, si intende che vi abbia rinunziato.

Il seguito di questa discussione è rinviato a domani alle 10.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Comunico che sono pervenute le seguenti interrogazioni con richiesta di risposta urgente:

«Al Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per conoscere quali provvedimenti intenda emanare per adeguare l’applicazione dei contributi unificati in agricoltura alla capacità contributiva degli agricoltori della Sardegna, ed in specie dei coltivatori diretti e piccoli proprietari e alle speciali condizioni dell’economia agraria dell’Isola.

«Carboni Enrico, Chieffi, Mannironi»

«Al Ministro degli affari esteri, per conoscere se proseguano e a che punto siano gìunte le trattative per una unione doganale italo-francese, auspicata nel Convegno di Parigi nello scorso luglio.

«Persico».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per conoscere quali provvedimenti intendono prendere nei confronti della Confindustria che, rompendo le trattative che duravano da dieci mesi, provoca novecentomila metallurgici a scioperi ed agitazioni per difendere il loro pane ed il lavoro italiano.

«Roveda».

Il Governo ha facoltà di dichiarare quando intende rispondere.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Mi riservo di far conoscere quando i Ministri interrogati intendano rispondere.

Annunzio di una mozione.

PRESIDENTE. È stata presentata la seguente mozione:

«L’Assemblea Costituente invita il Governo a considerare se – dal momento che la legge sull’ammasso per contingente del grano per l’anno 1948 toglie il carattere di reato alle violazioni della legge stessa e commina per tutte le infrazioni esclusivamente penalità di carattere finanziario, e quindi fatti di maggiore gravità di quelli che possano essere stati commessi nel 1947 e negli anni precedenti non portano più a pene restrittive della libertà – non sia giusto ed equo stabilire con un provvedimento di indulto che le condanne a pene restrittive della libertà personale pronunciate e da pronunciare in base alle leggi precedenti siano condonate, ferme restando le pene pecuniarie.

«Persico, Cevolotto, Treves, Corbino, Bonino, Perlingieri, Guerrieri Emanuele, Candela, Gasparotto, Basile».

Sarà sentito il Governo per fissarne la data di discussione. Sarà abbinata a quella presentata dall’onorevole Bonomi Paolo concernente lo stesso argomento.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per sapere se intenda migliorare le tabelle per le pensioni al personale dei depositi stalloni d’Italia.

«Come risulta dalla Gazzetta Ufficiale del 15 dicembre 1945, ai caporali e caporal maggiori viene data una pensione, che va dalle lire 1800 a lire 2700 mensili, per quelli che hanno venti anni di servizio, e, per quelli che ne hanno trentacinque, dalle lire 2400 a lire 2700.

«Se creda, almeno, che allo stato, le pensioni siano uguagliate a quelle degli altri corpi dipendenti dal Ministero della difesa.

«Sapienza».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se, in applicazione del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 24 luglio 1947, n. 800, intende dare disposizioni tendenti a garantire l’ordine di preferenza nelle graduatorie per incarichi e supplenze in ogni ordine di scuola ai mutilati ed invalidi civili per fatti di guerra, ai figli dei caduti civili per fatti di guerra, alle madri ed alla vedove non rimaritate ed alle sorelle vedove o nubili dei caduti civili per fatti di guerra.

«Riccio Stefano».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere come intenda esaltare nelle scuole della Repubblica i martiri del nostro ultimo risorgimento e particolarmente il sacrificio di Lauro De Bosis, che si votò alla morte, la sera del 5 ottobre 1931, per indirizzare dal cielo di Roma un appello di libertà al popolo italiano.

«Bartalini, Lussu, Pertini, Pesenti, Lozza, Cianca, Amadei, Calamandrei, Giua, Lombardi Riccardo».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per sapere se e quali provvidenze dispone lo Stato a favore delle cooperative edilizie per la ricostruzione di case di abitazione sinistrate e distrutte appartenenti ai soci delle cooperative stesse; e in particolare per sapere:

  1. a) quale è l’entità del contributo;
  2. b) in quale forma viene dato;
  3. c) se viene dato su stato di avanzamento dei lavori o in forma di annualità. (L’interrogante chiede la risposta scritta).«Preti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere in base a quali criteri sia stato concesso il ritorno del professore Ottorino Vezzani al posto di direttore dell’Istituto zootecnico e caseario di Torino, trattandosi di persona ex epurata, privata dell’elettorato attivo per 8 anni, denunciata per truffa aggravata e falso in atto pubblico, amnistiata d’ufficio. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Montagnana Mario».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere se sia a conoscenza come presso l’Ospedale civile di Belluno sia insediato da oltre un anno un Consiglio di amministrazione irregolarmente costituito (per il presidente esiste l’incompatibilità prevista dall’articolo 11 della legge fondamentale sulle opere pie e, inoltre, la sua nomina è nulla in quanto adottata da un organo incompetente) e come il prefetto, che della cosa è stato edotto in modo formale, non abbia provveduto a rimuovere l’irregolarità lamentata, tollerando così il formarsi di un complesso di provvedimenti ed atti amministrativi, che potrebbero in qualunque momento essere inficiati di nullità con grave nocumento e pregiudizio per gli interessi dell’Ente ospedaliero. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Pat».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri della difesa e del tesoro, perché dichiarino se intendono provvedere sollecitamente perché i magistrati ordinari, richiamati come ufficiali d’arma ed in servizio presso la giustizia militare non continuino ad essere privati, per una serie di complicate disposizioni, delle competenze loro spettanti ed attribuite ai loro colleghi, sia dalla giustizia ordinaria sia dalla giustizia militare, con evidente sperequazione ed offesa ai criteri di giustizia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Mastino Pietro».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere se non ritenga opportuno ed equo consentire, in via eccezionale, agli agenti di custodia, che abbiano la qualità di reduci dell’ultima guerra, di contrarre matrimonio indipendentemente dall’età e dall’anzianità di servizio. E ciò per eliminare la differenza di trattamento in confronto dei reduci ammogliati testé assunti in servizio. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Mazzei».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 23.30.

Ordine del giorno, per la seduta di domani.

Alle ore 10:

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 5 DICEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

cccxx.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 5 DICEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

indi

DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Disegni di legge (Discussione e approvazione):

Approvazione degli Accordi di carattere economico conclusi in Roma, tra l’Italia e la Francia, il 22 dicembre 1946. (26).

Presidente

Approvazione dei seguenti atti internazionali: a) Protocollo di emendamento agli Accordi, Convenzioni e Protocolli sugli stupefacenti conclusi all’Aja il 23 gennaio 1912, a Ginevra l’11 febbraio 1925, il 19 febbraio 1925, il 13 luglio 1931, a Bangkok il 27 novembre 1931 ed a Ginevra il 26 giugno 1936; b) Annesso al Protocollo di emendamento agli Accordi, Convenzioni e Protocolli sugli stupefacenti conclusi all’Aja il 23 gennaio 1912, a Ginevra l’11 febbraio 1925, il 19 febbraio 1925, il 13 luglio 1931, a Bangkok il 27 novembre 1931 ed a Ginevra il 26 giugno 1936. (37).

Presidente

Uberti

Brusasca, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri

Perassi

Approvazione dello scambio di Note relativo ai danni di guerra ed all’articolo 79 del Trattato di Pace, effettuato in Roma fra l’Italia e la Cina il 30 luglio 1947. (38).

Presidente

Approvazione dei seguenti Atti internazionali conclusi a Neuchâtel, tra l’Italia ed altri Stati, l’8 febbraio 1947: a) Accordo per la conservazione o la reintegrazione dei diritti di proprietà industriale colpiti dalla seconda guerra mondiale; b) Protocollo di chiusura; c) Protocollo di chiusura addizionale. (47).

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Mastino Pietro

Musolino

Nobile

Rossi Paolo

Nobili Tito Oro

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Bettiol

Gullo Fausto

Mortati

Tonello

Cifaldi

Candela

Presidente

Colitto

Russo Perez

Targetti

Clerici

Giacchero

Lussu

Ruggiero

Fabbri

Abozzi

Corbino

Uberti

La seduta comincia alle 11.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Discussione del disegno di legge: Approvazione degli Accordi di carattere economico conclusi in Roma, tra l’Italia e la Francia, il 22 dicembre 1946. (26).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Discussione del disegno di legge: Approvazione degli accordi di carattere economico conclusi in Roma, tra l’Italia e la Francia, il 22 dicembre 1946. (26).

Dichiaro aperta la discussione generale. Non essendovi oratori iscritti e nessuno chiedendo di parlare, la dichiaro chiusa.

Passiamo all’esame dei singoli articoli. Si dia lettura dell’articolo 1.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Piena ed intera esecuzione è data ai seguenti Accordi conclusi in Roma, fra l’Italia e la Francia, il 22 dicembre 1946:

  1. a) Accordo commerciale.
  2. b) Accordo di pagamento.
  3. c) Protocollo annesso.
  4. d) Scambio di Note».

PRESIDENTE. Lo pongo in votazione. (È approvato).

Passiamo all’articolo 2. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«La presente legge entra in vigore il giorno della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale ed ha effetto dal 22 dicembre 1946».

PRESIDENTE. Lo pongo ai voti.

(È approvato).

Questo disegno di legge sarà poi votato a scrutinio segreto.

Discussione del disegno di legge: Approvazione dei seguenti atti internazionali: a) Protocollo di emendamento agli Accordi, Convenzioni e Protocolli sugli stupefacenti conclusi all’Aja il 23 gennaio 1912, a Ginevra l’11 febbraio 1925, il 19 febbraio 1925, il 13 luglio 1931, a Bangkok il 27 novembre 1931 ed a Ginevra il 26 giugno 1936; (b) Annesso al Protocollo di emendamento agli Accordi, Convenzioni e Protocolli sugli stupefacenti conclusi all’Aja il 23 gennaio 1912, a Ginevra l’11 febbraio 1925, il 19 febbraio 1925, il 13 luglio 1931, a Bangkok il 27 novembre 1931 ed a Ginevra il 26 giugno 1936. (37).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Discussione del disegno di legge: Approvazione dei seguenti atti internazionali: a) Protocollo di emendamento agli Accordi, Convenzioni e Protocolli sugli stupefacenti conclusi all’Aja il 23 gennaio 191,2, a Ginevra l’11 febbraio 1925, il 19 febbraio 1925, il 13 luglio 1931, a Bangkok il 27 novembre 1931 ed a Ginevra il 26 giugno 1936; b) Annesso al Protocollo di emendamento agli Accordi, Convenzioni e Protocolli sugli stupefacenti conclusi all’Aja il 23 gennaio 1912, a Ginevra l’11 febbraio 1925, il 19 febbraio 1925, il 13 luglio 1931, a Bangkok il 27 novembre 1931 ed a Ginevra il 26 giugno 1936. (37).

Dichiaro aperta la discussione generale.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Vorrei sapere dal rappresentante del Governo perché questi provvedimenti, che si riferiscono ad epoca lontana, vengono sottoposti appena oggi all’approvazione della Costituente.

BRUSASCA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BRUSASCA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Unicamente per delle circostanze di carattere formale. Il tempo che occorre perché queste carte attraversino tutti gli uffici porta a questa conseguenza: che molti di questi accordi vengono approvati quando sono già passati nella fase di esecuzione.

PERASSI. Ma sono accordi recenti.

BRUSASCA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Ma l’onorevole Uberti si riferisce alla data.

PRESIDENTE. Nessun altro chiedendo di parlare, dichiaro chiusa la discussione generale. Passiamo all’esame degli articoli. Si dia lettura dell’articolo 1.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Piena ed intera esecuzione è data ai seguenti strumenti internazionali:

  1. a) Protocollo di emendamento agli Accordi, Convenzioni e Protocolli sugli stupefacenti conclusi all’Aja il 23 gennaio 1912, a Ginevra l’11 febbraio 1925, il 19 febbraio 1925, il 13 luglio 1931, a Bangkok il 27 novembre 1931 ed a Ginevra il 26 giugno 1936.
  2. b) Annesso al Protocollo di emendamento agli Accordi, Convenzioni e Protocolli sugli stupefacenti conclusi all’Aja il 23 gennaio 1912, a Ginevra l’11 febbraio 1925, il 19 febbraio 1925, il 13 luglio 1931, a Bangkok il 27 novembre 1931 ed a Ginevra il 26 giugno 1936».

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Mi permetto di fare un rilievo puramente formale.

Nel titolo del disegno di legge si dice: «Approvazione dei seguenti atti internazionali»; nell’articolo primo del disegno di legge si dice invece: «Piena ed intera esecuzione è data ai seguenti strumenti internazionali». La parola «strumenti», nell’accezione in cui è qui usata, non è molto abituale nella nostra terminologia legislativa; è un po’ un francesismo. Propongo, perciò, di sostituirla con «atti», come si dice nel titolo.

Per tener conto, poi, dell’osservazione fatta dall’onorevole Uberti, converrebbe indicare la data dei Protocolli, che formano oggetto del disegno di legge. Gli atti internazionali che attualmente sono sottoposti alla approvazione dell’Assemblea riguardano bensì vari accordi e convenzioni di data non recente, ma l’oggetto del disegno di legge attuale è l’approvazione di un protocollo di emendamento di quegli accordi. Ora, questo protocollo di emendamento è recentissimo, è stato fatto a New York, l’11 dicembre 1946. E il secondo atto, che è un annesso del primo, è della stessa data.

Propongo dunque che negli articoli 1 e 2 la parola «strumenti» sia sostituita con la parola «atti» e che nel titolo, come nell’articolo 1, si inserisca l’indicazione della data degli atti, di cui si tratta.

BRUSASCA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BRUSASCA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Basta includere la data: 11 dicembre 1946, che non c’è nel titolo.

Il Governo accetta la proposta dell’onorevole Perassi.

PRESIDENTE. Sta bene. Pongo allora in votazione il titolo del disegno di legge con la specificazione:

«a) Protocollo di emendamento 11 dicembre 1946, ecc.».

(È approvato).

Pongo ai voti l’articolo 1 con le seguenti modifiche:

«Alla parola: strumenti, sostituire: atti; alla lettera a), dopo le parole: Protocollo di emendamento, aggiungere: il dicembre 1946».

(È approvato).

Si dia lettura dell’articolo 2.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Gli strumenti internazionali di cui alle lettere a) e b) dell’articolo precedente entrano in vigore conformemente all’articolo VII n. 1 e 2 del Protocollo di emendamento».

PRESIDENTE. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Il disegno di legge sarà poi votato a scrutinio segreto.

Discussione del disegno di legge: Approvazione dello scambio di Note relativo ai danni di guerra ed all’articolo 79 del Trattato di Pace, effettuato in Roma, tra l’Italia e la Cina il 30 luglio 1947. (38).

PRESIDENTE; L’ordine del giorno reca: Discussione del disegno di legge: Approvazione dello scambio di Note relativo ai danni di guerra e all’articolo 79 del Trattato di pace, effettuato in Roma, tra l’Italia e la Cina, il 30 luglio 1947. (38).

Dichiaro aperta la discussione generale.

Non essendovi oratori iscritti e nessuno chiedendo di parlare, la dichiaro chiusa. Passiamo all’esame dei singoli articoli. Si dia lettura dell’articolo 1.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Piena ed intera esecuzione è data allo scambio di Note fra l’Italia e la Cina, effettuato in Roma il 30 luglio 1947, relativo ai danni di guerra ed all’articolo 79 del Trattato di pace tra le Potenze alleate e associate e l’Italia, firmato a Parigi il 10 febbraio 1947».

PRESIDENTE. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Si dia lettura dell’articolo 2:

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il Ministro del tesoro è autorizzato a provvedere con propri decreti alle variazioni di bilancio occorrenti per l’esecuzione dell’Accordo».

PRESIDENTE. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Si dia lettura dell’articolo 3.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«La presente legge entra in vigore il giorno della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale».

PRESIDENTE. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Questo disegno di legge sarà poi votato a scrutinio segreto.

Discussione del disegno di legge: Approvazione dei seguenti Atti internazionali conclusi a Neuchâtel, tra l’Italia ed altri Stati, l’8 febbraio 1947: a) Accordo per la conservazione o la reintegrazione dei diritti di proprietà industriale colpiti dalla seconda guerra mondiale; b) Protocollo di chiusura; c) Protocollo di chiusura addizionale. (47).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Approvazione dei seguenti atti internazionali conclusi a Neuchâtel tra l’Italia ed altri Stati, l’8 febbraio 1947: a) Accordo per la conservazione o la reintegrazione dei diritti di proprietà industriale colpiti dalla seconda guerra mondiale; b) Protocollo di chiusura; c) Protocollo di chiusura addizionale. (47).

Dichiaro aperta la discussione generale.

Non essendovi oratori iscritti e nessuno chiedendo di parlare, la dichiaro chiusa. Passiamo all’esame dei singoli articoli. Si dia lettura dell’articolo 1.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Piena ed intera esecuzione è data ai seguenti Atti internazionali conclusi a Neuchâtel, tra l’Italia ed altri Stati, l’8 febbraio 1947:

  1. a) Accordo per la conservazione o la reintegrazione dei diritti di proprietà industriale colpiti dalla seconda guerra mondiale;
  2. b) Protocollo di chiusura;
  3. c) Protocollo di chiusura addizionale».

PRESIDENTE. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Si dia lettura dell’articolo 2.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«La presente legge entra in vigore nei modi e nei termini stabiliti dall’articolo 9 dell’Accordo di cui alla lettera a) dell’articolo precedente».

PRESIDENTE. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Anche questo disegno di legge sarà poi votato a scrutinio segreto.

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Ricordo che si deve proseguire la discussione sul secondo comma dell’articolo 50, che dice:

«Quando i poteri pubblici violino le libertà fondamentali ed i diritti garantiti dalla Costituzione, la resistenza all’oppressione è diritto e dovere del cittadino».

L’onorevole Mastino Pietro ha così definitivamente formulato il suo emendamento sostitutivo:

«Il cittadino ha il diritto e il dovere di difendere le libertà fondamentali, i diritti garantiti dalla Costituzione e l’ordinamento dello Stato».

L’onorevole Mastino ha illustrato ieri sera l’emendamento, ma può chiarire i suoi concetti ai colleghi che ieri sera erano assenti.

Ha pertanto facoltà di parlare.

MASTINO PIETRO. Ieri sera illustrai l’emendamento da me proposto. Non posso quindi oggi che aggiungere poche parole. Dicevo ieri, appunto, che non vi può essere difficoltà a riconoscere, in certi casi, il diritto alla resistenza individuale. Lo stesso Codice – il codice di Zanardelli – prevedeva che non fosse punibile chi reagiva al pubblico ufficiale che eccedeva con atti arbitrari il limite delle proprie attribuzioni. Il Codice attualmente in vigore (mi si consenta questo accenno) stabilisce lo stesso concetto; lo stabilisce anzi in termini più lati, in quanto all’articolo 51 riconosce e fissa un concetto di legittima difesa che non si riferisce soltanto ai diritti della persona o – in certi casi – alla difesa della proprietà, sibbene ai diritti in genere. Dice infatti l’articolo che non è punibile chi abbia commesso il fatto per esservi costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui.

Si tratta ora di portare questo concetto, ammesso e codificato, nel campo del diritto costituzionale. Rilevo che sarebbe veramente strano riconoscere il diritto a difendersi dalla violazione di un diritto proprio o di un diritto altrui (ma diritto di indole comune), sarebbe strano – dicevo – riconoscere questo diritto di difesa nel diritto comune e negare d’altra parte il diritto e l’obbligo nel cittadino di difendere le libertà fondamentali, i diritti garantiti dalla Costituzione e l’ordinamento dello Stato. È, a mio parere, evidente come la maggiore importanza dei diritti stabiliti a fondamento dello Stato e della vita dei cittadini, imponga che concetti di diritto alla difesa e dell’obbligo della difesa di tali diritti, debbano essere riconosciuti anche nel campo del diritto pubblico.

D’altra parte, vi è anche l’articolo 51 del Codice penale, che stabilisce che l’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto dalla norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità esclude la punibilità.

Mi pare quindi che l’emendamento da me proposto rientri nella sostanza e, starei per dire, rientri nell’ambito dei concetti e delle idee e delle norme riconosciute e fissate nel Codice penale comune. Quindi, non capisco perché la formulazione di quest’emendamento e la sua inclusione nella Carta Statutaria possano sollevare difficoltà.

Non lo intendo, a meno che si confonda quello che può essere un diritto del cittadino alla difesa delle libertà fondamentali, dei diritti garantiti dalla Costituzione e dell’ordinamento dello Stato con quello che può essere proposito sedizioso o condannevole di insorgere, non per violazione di norme fondamentali ma col proposito, invece, di sovvertirle. Ma noi capovolgeremmo il contenuto ed il significato del mio emendamento ove, per questa ipotetica paura, non lo includessimo nella Carta costituzionale.

Rilevo come l’articolo 51 del Codice penale, del quale ho dato lettura, stabilisca che l’esercizio di un diritto e lo adempimento di un dovere escludono la punibilità, ma ciò non di meno nello stesso Codice sono previste sanzioni per l’insurrezione, senza che le disposizioni siano in contrasto fra di loro.

Per queste ragioni, unite a quelle che ho detto ieri e che rappresentano la giustificazione del mio emendamento anche sotto il punto di vista o sotto il profilo giuridico, insisto perché l’emendamento sia posto in votazione e lo raccomando all’Assemblea.

Oltre a questo profilo giuridico vi è però una ragione morale, per cui lo Statuto acquisterà di importanza quando si sarà stabilito l’obbligo del cittadino di difendere i diritti fondamentali, non nel suo personale interesse, ma nell’interesse dello Stato e della collettività tutta.

Non ho altro da aggiungere.

PRESIDENTE. L’onorevole Musolino ha presentato il seguente emendamento:

«Alle parole: del cittadino, sostituire le altre: dei cittadini».

Ha facoltà di svolgerlo.

MUSOLINO. Il mio emendamento risponde al dubbio espresso ieri sera dall’onorevole Nobile.

Il singolo cittadino potrebbe commettere l’errore nel valutare una violazione della Costituzione, mentre quando noi diciamo «dei cittadini» il giudizio collettivo è più certo del giudizio individuale.

Per questo ho presentato l’emendamento che raccomando all’Assemblea.

PRESIDENTE. L’onorevole Nobile ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il comma col seguente: Egli ha il diritto di esigere che le libertà fondamentali garantite dalla Costituzione siano rispettate dai poteri pubblici».

Ha facoltà di svolgerlo.

NOBILE. Ho poco da dire per illustrare il mio emendamento.

Il testo della Commissione, a mio avviso, è assolutamente inaccettabile; quello proposto dall’onorevole Mastino certamente è di gran lunga preferibile. In sostanza si tratta di un’affermazione puramente platonica, retorica. Quando si parla di resistenza vien fatto – è cosa naturale – di pensare che ci si voglia riferire a una resistenza materiale, e quindi armata. Ora, in uno Stato moderno i cittadini non possono resistere a mano armata ai poteri pubblici, se i poteri pubblici sono bene organizzati e vogliono veramente difendere la loro autorità. Non ci si difende contro i carri armati e contro le bombe. Affermare, perciò, nella Costituzione il diritto ed il dovere del cittadino di resistere ai poteri pubblici, e di resistervi a mano armata, come è implicito nel testo della Commissione, è cosa assurda. Il testo Mastino è certamente migliore, e si potrebbe anche accettare; ma a me pare che converrebbe dare la preferenza al comma, così come è stato da me proposto. In fondo, mentre nella prima parte dell’articolo 50 si afferma che il cittadino ha il dovere di essere fedele alla Repubblica e di osservarne la Costituzione, nella seconda parte, secondo il mio testo, si affermerebbe che di fronte a tale dovere egli ha il diritto di esigere che i pubblici poteri rispettino le libertà fondamentali garantite dalla Costituzione. In che modo, poi, il cittadino possa esigere questo, è meglio lasciar imprecisato, perché certamente nulla si può dire in proposito. In sostanza, anche nella formulazione data da me l’articolo rimarrebbe puramente retorico e platonico, e sarebbe, perciò, preferibile che venisse soppresso.

ROSSI PAOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROSSI PAOLO. Io vorrei esprimere un parere personale decisamente contrario così all’articolo 50 come all’emendamento proposto dal caro collega onorevole Mastino.

In questa disposizione c’è una grossa ingenuità che minaccia di sminuire la serietà che abbiamo cercato di conferire alla Carta costituzionale. Io non credo all’equazione istituita da certa scienza giuridica moderna, e non solo fascista, fra lo Stato ed il diritto. Non voglio riconoscere nello Stato la fonte unica del diritto. Ma sono obbligato a credere all’equazione fra lo Stato e la legge positiva: non si concepisce né lo Stato senza una legge positiva, né una legge positiva senza lo Stato.

Ora, basta questa premessa per vedere la intollerabile antinomia di una disposizione legislativa, e quindi di carattere positivo, che preveda la conseguenza giuridica di una contrapposizione non fra lo Stato ed il diritto naturale, ma fra lo Stato e la legge positiva, cioè l’ipotesi di una crisi assoluta della giuridicità, e mentre la prevede, come situazione antigiuridica, pretende anche di regolarla giuridicamente. Questa contrapposizione si è verificata tante volte e si può, purtroppo, verificare anche nell’avvenire. Nessuno è in grado di escluderlo. Ma allora si apre una fase metagiuridica, una fase potenzialmente rivoluzionaria nella quale, non la legge ma altri valori ed altri elementi in contrasto fra loro, come la forza o la moralità o la fortuna determinano in definitiva la condotta degli uomini ed il corso della storia.

La pretesa di disciplinare legalmente l’insurrezione, come si vorrebbe, è infantile. La rivolta contro i pubblici poteri è giudicata, giustificata o condannata volta a volta dal successo o dall’insuccesso.

Nella filosofia del diritto, nella filosofia morale e perfino nella teologia – mi pare di ricordare un passo di San Tommaso, si è giustificato il tirannicidio. Ed io vorrei apportare un ramoscello di mirto a quella grande fronda che il poeta greco offriva ai tirannicidi Armodio e Aristogitone: «Carissimi Armodio e Aristogitone, vi donerò una spada cinta di mirto…».

Ma, o signori, nessuno ha mai pensato di dover scrivere nelle leggi positive il diritto al tirannicidio.

Una voce a sinistra. Questo non è scritto negli emendamenti.

ROSSI PAOLO. È scritto; perché quando si proclama il diritto e il dovere di insorgere contro gli atti contrari alla Costituzione naturalmente si applica il principio generale della proporzione: secondo il progetto, contro un atto che limiti la libertà di stampa si potrà protestare in un certo ambito, contro un atto che violi il diritto di esistenza dei cittadini si potrà, e dovrà, protestare ricorrendo alle armi ed anche massacrando i capi di un governo liberticida. (Interruzione del deputato Mastino Pietro).

Vogliamo ragionare per un momento in termini concreti? Dal Governo, dal Presidente della Repubblica, sono violate le libertà fondamentali. I cittadini insorgono e fanno molto bene. Il successo corona il loro movimento ed essi rovesciano il Governo dittatoriale per crearne un altro sostanzialmente legittimo. Credete che abbiano bisogno dell’emendamento Mastino per non andare in galera, quando proprio essi saranno ministri e quando il Presidente della Repubblica sarà tratto dal loro numero?

Accade sciaguratamente il contrario: la libertà è conculcata, e l’insurrezione soffocata nel sangue. Coloro che generosamente sono insorti contro la tirannia sono tradotti davanti alle Corti marziali. Credete che basti l’emendamento Mastino per salvarli dalla fucilazione?

Onorevole Mastino, queste sono cose che trascendono il diritto e la legge. Non si può trattenere il Tevere con una rete; non si può contenere la storia nei limiti di un emendamento.

E dico una parola anche sulla formulazione: «dovere della difesa». Qui è la mia mentalità di avvocato che mi fa ribellare. Supponiamo che io veda i miei diritti limitati. Cosa devo fare? Non è che abbia il diritto di insorgere: devo insorgere. E chi mi dà i mezzi? E poi sarebbe bello che io fossi oppresso nei miei diritti con la violazione delle norme costituzionali mediante un arresto arbitrario ed in un secondo momento anche processato per non aver difeso i miei diritti conculcati. Mi si potrebbe dire dal pubblico ministero: «l’ho fatto per saggiare la tua sensibilità costituzionale; ho visto che non hai protestato, vieni nuovamente in prigione».

GULLO FAUSTO. È simpaticamente assurdo.

ROSSI PAOLO. Non sono assurdo. Allora anche l’onorevole Musolino lo sarebbe; e non lo è affatto. Dice anzi una cosa ragionevolissima, quando osserva che il singolo cittadino può non essere giudice competente della costituzionalità o meno di una disposizione. Diventa assurdo quando propone di trasferire l’emendamento al plurale, sostituendo cittadini a cittadino.

Ma, onorevole Musolino, crede davvero che due o tre cittadini siano buoni e sicuri giudici in materia costituzionale solo perché tres faciunt collegium?

Non inseriamo disposizioni ingenue; salviamo la serietà del nostro testo statutario. O rimarremo nella intrinseca legalità costituzionale, e la Corte delle garanzie funzionerà contro errori ed abusi, oppure la Costituzione, da un lato o dall’altro, sarà fatta a brani con la violenza; e purtroppo allora la parola della legge non sarà più efficace! (Applausi – Congratulazioni).

PRESIDENTE. L’onorevole Nobili Tito Oro ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il comma col seguente:

«È legittima la resistenza dei singoli cittadini e delle collettività alla violazione, per parte dei pubblici poteri, dei principî di giustizia e di libertà e dei diritti garantiti dalla Costituzione».

Ha facoltà di svolgerlo.

NOBILI TITO ORO. Sono spiacente, onorevoli colleghi, di trovarmi in così profondo disaccordo con l’onorevole Rossi. La legittimazione della resistenza opposta alla violazione dei diritti garantiti dalle Costituzioni non è una novità creata dalla ingegnosità capricciosa della Commissione e sostenuta dalle correnti estremista dell’Assemblea per spirito fazioso o magari soltanto demagogico. Che a sostenere, nel momento in cui si trova investita dalle correnti antiliberali o pseudo liberali, la disposizione del secondo comma dell’articolo 50, non si ritrovino oggi nemmeno coloro che ne furono gli autori e che la patrocinarono e la fecero approvare in sede di Commissione, può essere prova delle considerazioni di opportunità e di convenienza che orientano mutevolmente, in relazione ai mutevoli momenti della vita politica le altre parti dell’Assemblea; ma non è certamente prova della insostenibilità giuridica del principio che la disposizione afferma.

Il Romagnosi nella Scienza delle Costituzioni e il Carrara nella Parte speciale del suo Programma, sostengono già, col dominante pensiero dei filosofi del diritto e dei giuspubblicisti di ogni paese, che, se la volontà statale deve presumersi sempre giusta, è altrettanto vero che essa non è se non un’idea, che di volta in volta va tradotta in fatto da organi che possono sostituire ad essa la propria volontà individuale, defettibile come quella di ogni uomo.

La questione consiste dunque nel risolvere se anche di fronte ad essi il cittadino che vede violati i propri diritti debba piegarsi in omaggio alla qualità pubblica di chi li viola o se possa difenderli e difendersi: se cioè, opponendosi all’attività in eccesso del pubblico potere, il cittadino perpetri un delitto o se non piuttosto eserciti un diritto, detto di resistenza.

Il diritto di resistenza all’arbitrio fu rigorosamente consacrato nel diritto pubblico inglese fin da quando l’Inghilterra, dopo la memorabile sua rivoluzione, conquistò le libertà politiche (Loch, Algermon, Sydney, Milton ecc.). E la costante tradizione inglese osservò il principio della limitata obbedienza, della quale era corollario il diritto di resistenza, anche collettiva, all’arbitrio degli organi del potere.

Anche nel Belgio le discussioni avvenute nel 1830, per la nuova Costituzione, assodarono in modo non dubbio il diritto dei cittadini di rifiutare obbedienza e, occorrendo, di opporre la forza ai provvedimenti illegali dell’Autorità e a qualunque atto illegalmente esercitato. E in Francia prevalse fin dal 1826, malgrado le incertezze determinate dal Codice penale del 1810, la tesi propugnata con grande vigore da Dupin nel celebre processo Isambert, tesi cui fecero adesione tutti i luminari del foro francese, e per la quale «si deve obbedire senza riserva a tutto ciò che è legale, e si deve resistere senza preoccupazione a tutto ciò che è arbitrario». Da allora parecchi codici penali hanno consacrata questa massima, quale più quale meno esplicitamente. L’ora tarda, la mia discrezione e la chiara esposizione che ne ha fatta il collega onorevole Mastino mi vietano di soffermarmi ancora sul richiamo alla legislazione nostra al riguardo, dal Codice Zanardelli a quello Rocco, dall’articolo 199 di quello agli articoli 51 e 52 e 336-343 di questo, all’articolo 4 del decreto legislativo Tupini 4 settembre 1944, n. 184, portante modificazioni al Codice penale, dove viene richiamato il principio solennemente consacrato nel Codice Zanardelli, pel quale non si applicano le disposizioni degli articoli 336-343 del Codice penale «quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio ovvero il pubblico impiegato abbia dato causa al fatto preveduto negli stessi articoli, eccedendo con atti arbitrari i limiti delle sue attribuzioni».

Dati questi precedenti appaiono davvero strane le preoccupazioni che hanno fatto vedere nel secondo comma dell’articolo 50 qualche cosa di nuovo e di pauroso e che hanno portato l’onorevole Rossi a parlare d’ingenuità di una pretesa nostra di far legittimare preventivamente la rivoluzione, forse – secondo il suo concetto della nostra ingenuità – proprio la rivoluzione sociale; strane soprattutto in quanto provengono da un collega di alto intelletto e di elevata coltura giuridica, che ha attivamente partecipato alla elaborazione della Costituzione in tutti i suoi elementi, a cominciare dalla riconsacrazione di tutte le rivendicate libertà e di tutti i diritti politici. Ma non è evidente che codeste libertà e codesti diritti resterebbero «nomi vani senza soggetto», qualora non si appoggiassero a una azione protettiva, a quella azione che accompagna ogni diritto e senza la quale il diritto non si concepisce? Il comma che stranamente spaventa non è se non il corollario, logico prima che giuridico, di tutti i diritti di libertà e di tutti i diritti politici garantiti dalla Costituzione. In che consisterebbe tale garanzia, se i singoli cittadini e le collettività dovessero considerarsi obbligati alla obbedienza passiva anche di fronte ad atti e ad ordini della pubblica Amministrazione che manomettessero quei principî e quei diritti?

La resistenza non è un’aggressione e tanto meno una rivoluzione; essa è una difesa. Perché astenersi dall’insegnare al popolo che questa difesa, in situazioni eccezionali, sarebbe non soltanto legittima ma doverosa?

Io sono convinto che esso, se fosse stato posto a tempo avanti a questo insegnamento, se lo avesse inteso e assorbito, avrebbe saputo impedire, pur senza fare la rivoluzione, i primi successi del fascismo.

La resistenza è un fatto episodico, non può confondersi né con una rivoluzione né con una insurrezione; per lo più è anzi un episodio locale, del quale l’importanza non può tuttavia essere disconosciuta per la ripercussione inevitabile che è destinata ad avere sui pubblici poteri; i quali dal vigile senso di difesa dei propri diritti da parte del popolo, dovranno trarre la persuasione che la sedizione dei poteri contro la legge non sarà più tollerata e che male si attenerebbe da chicchessia ai diritti che il popolo ha rivendicati coi sacrifici e col sangue.

È da concludere che gli avversari non rilevano nemmeno il fatto che l’enunciazione di un principio, ormai così universalmente riconosciuto, nella Costituzione che stiamo elaborando, oltre che conferire ad essa pregio di completezza, costituirebbe insegnamento e monito pel popolo, pei governanti, per tutti i rivestiti di pubbliche funzioni; eserciterebbe azione educativa per tutti, contribuirebbe alla formazione della coscienza dei diritti e dei doveri in tutti i cittadini e presso i pubblici poteri, e finirebbe per spiegare una efficace azione di prevenzione generale di eccessi e di abusi da una parte e dall’altra.

Le libertà sistematicamente governate dalla polizia costituiscono un’offesa permanente alla dignità del popolo; affidiamole al buon senso del popolo, alla sua responsabilità, ed esso se ne costituirà geloso custode senza incorrere né in eccessi né in abusi: non umiliamoci di fronte al fascismo, che coll’articolo 52 del Codice Rocco riconobbe la non punibilità del fatto commesso per la difesa di un diritto proprio o di altri. Di questi criteri e di questi convincimenti si fa eco, onorevoli colleghi, l’emendamento del quale l’onorevole Presidente ha dato lettura nella formula da me proposta: «È legittima la resistenza dei singoli cittadini e delle collettività alla violazione, da parte dei pubblici poteri, dei principî di libertà e di giustizia e dei diritti garantiti dalla Costituzione». Io ho consacrato il principio che, ormai acquisito al diritto pubblico e a quello penale in specie, si trova sintetizzato nell’articolo 4 del già richiamato decreto legislativo luogotenenziale Tupini del 4 settembre 1944, n. 184. Non ho fatto che estenderlo esplicitamente a un corollario che già automaticamente operava perché implicito, dichiarando legittima la resistenza delle collettività al pari di quella dei singoli cittadini, essendo logico che, quando la violazione non leda soltanto i diritti dei singoli, siano le collettività danneggiate abilitate a difenderli e a resistere alla loro violazione.

C’è qualcuno che possa supporre che l’onorevole Tupini abbia voluto assumere, col ripristino di una norma positiva che risale al lontano 1889, un atteggiamento barricadiero?

Si pensi, a questo riguardo, quanto efficace sarà per risultare l’avvertimento dato in sede di Costituzione ai pubblici poteri che, in caso di debordamene, di transvalicazioni, di soprusi, essi potrebbero trovarsi di fronte alla resistenza già legittimata non soltanto passiva o difensiva ma anche repressiva delle moltitudini esasperate; e si avrà una esatta nozione della funzione di contenzione e di inibizione che la norma potrà esercitare. Restava l’ultima questione: questa resistenza, che è indiscutibilmente un diritto, è anche un dovere?

Dal punto di vista sociale non può esser dubbio che correggere e respingere l’abuso e il sopruso dei pubblici poteri, difendere un diritto di libertà o un diritto politico, sia anche un dovere. Ma non volendo illudermi sulle disposizioni dell’Assemblea e non volendo spendere opera inutile, ho fatto una volta tanto un compromesso con me stesso, rinunziando all’affermazione del dovere: quello che preme è che non si pregiudichi e non si renda impossibile l’affermazione del diritto, e a questa mi sono fermato con un senso di misura che, voglio augurarmi, sarà apprezzato.

Non ho avuta la possibilità di conoscere l’emendamento Mastino; mi pare di aver capito che esso prevede la punizione, quando si sia spiegata resistenza, senza che esistessero i presupposti atti a legittimarla, cioè l’abuso da parte dei pubblici poteri.

Mi pare che questa aggiunta, per quanto sostanzialmente giusta, sia superflua: quando si è affermato che è legittima la resistenza alla violazione dei principî di libertà e di giustizia e dei diritti garantiti dalla Costituzione, s’intende che la legittimazione della resistenza trova la condizione limite nella perpetrazione da parte dei pubblici poteri di un eccesso, di un abuso, di un sopruso.

Ma, se nell’atto al quale siasi opposta resistenza non si ravvisino tali caratteristiche, è di evidenza assiomatica e non ha bisogno di essere proclamato in sede di Costituzione, perché discende dalla esegesi della norma già discussa, che, non essendo suscettibile di legittimazione la resistenza opposta fuor dei casi che la legittimazione consentono, essa debba essere punita a norma della legge penale.

L’aggiunta di questo concetto è dunque, come dicevo, superflua: affermata la legittimità di una ipotesi, viene ad essere automaticamente affermata la illegittimità della ipotesi contraria.

Con questa precisazione io voglio concludere che mi premeva di raccomandare l’affermazione di un principio; ho proposta una formula che mi pare la più suscettibile di un allargamento dei consensi; se mi fossi ingannato, dichiaro di esser pronto sia ad associare il mio emendamento a quello Mastino, sia a votare il testo della Commissione. L’essenziale è che le proclamazioni dei principî di libertà e di giustizia e dei diritti politici non restino una lustra beffarda e che nella Costituzione si stabilisca almeno la più elementare delle sanzioni per il caso che i pubblici poteri abbiano a manometterli e a farne scempio. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Candela ha proposto di sopprimere il secondo comma.

Prego l’onorevole Ruini di esprimere il parere della Commissione sui nuovi emendamenti.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Come ho dichiarato ieri, i commissari sono divisi d’opinione. Il testo primitivo rimane soltanto pel criterio formale dell’ordine di votazione. Ogni commissario, poi, voterà come crede.

BETTIOL. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BETTIOL. A nome mio e di un gruppo di amici dichiaro che, pur riconoscendo che da un punto di vista speculativo, filosofico e morale, ed anche da un punto di vista storico, l’affermazione di cui al capoverso dell’articolo 50 è fondata, sul piano concreto e sul piano della opportunità, nell’ambito del diritto positivo questa disposizione rappresenta in concreto una disposizione inutile, perché cerca di sancire i rapporti fra diritto positivo da un lato e rivoluzione dall’altro, rapporti che non si possono mai risolvere in termini di diritto positivo.

Per questi motivi dichiaro che voterò a favore della soppressione del capoverso.

Presidenza del Presidente TERRACINI

GULLO FAUSTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO FAUSTO. Noi siamo per il mantenimento dell’articolo 50 nel testo proposto dalla Commissione.

L’onorevole Paolo Rossi, che porta in ogni discussione di casi pratici tanto sussidio di risorse teoriche, è caduto, secondo me, nell’errore di chiudere il suo ragionamento fra due estremi: un popolo che supinamente si genuflette alla tirannia, ed un popolo che senz’altro passa alla rivoluzione. Evidentemente vi è un lungo cammino tra questi due estremi, ed egli passava dall’uno all’altro senza fermarsi nelle fasi intermedie. Vi è la maniera di resistere all’atto arbitrario del potere, anche senza arrivare allo scoppio rivoluzionario. Quel che egli diceva circa la equazione: Stato – legge positiva, è vero; ma egli non si avvedeva che col suo ragionamento stabiliva una diversa e strana equazione: Stato – potere esecutivo, che non è la stessa cosa. Noi possiamo avere una legge, ossia uno dei termini dell’equazione che egli stabiliva (Stato – legge positiva), ma possiamo avere un organo esecutivo che non applichi o che applichi arbitrariamente la legge, ossia si ponga esso in stridente contrasto con lo Staio e con la legge.

UBERTI. Ed il potere legislativo?

GULLO FAUSTO. Vorrei richiamarmi anche ad un motivo non teorico, ma sostanzialmente e squisitamente pratico, che mi è suggerito dal ricordo del codice zanardelliano, il quale conteneva il famoso articolo 199 con cui affermava un alto principio di libertà. L’articolo 199, infatti abilitava il cittadino a resistere all’atto arbitrario del pubblico funzionario: questa disposizione non fu riprodotta nel codice fascista; il fascismo, anzi, giustificò la cancellazione di questa norma, affermando di non riconoscere al cittadino il diritto di ribellarsi all’arbitrio del pubblico potere. In realtà, il principio è così radicato in noi che, nonostante il silenzio della legge, anche sotto il fascismo si trovò il modo di attuarlo, facendo ricorso ad altre norme.

A me pare che nella nuova Costituzione noi dobbiamo affermare il diritto del cittadino di ribellarsi all’arbitrio e alla tirannia. Noi non legalizziamo, così, la rivoluzione, perché, onorevole Rossi, se noi muoviamo da questa premessa, si deve andare anche più in là del suo ragionamento. Ma quale Costituzione ha fermato mai un popolo dal conquistare i suoi diritti o un tiranno dal calpestare i diritti stessi? Nessuna Costituzione è riuscita a ciò. Quindi, se noi partiamo da questa premessa, noi dobbiamo dire che non questo solo articolo, ma anche tutti gli altri in cui si consacrano i diritti dell’uomo e del cittadino sono anche essi inutili, perché lei, amico Rossi, può benissimo immaginare un tiranno che nonostante tutte le Costituzioni di questo mondo vada avanti nel suo cammino, così come può immaginare un popolo che riconquisti i suoi diritti nonostante le leggi liberticide che possono esserci in un determinato momento storico.

Se noi partiamo da questa premessa, c’è da andare senz’altro all’anarchia. Non dico che questa non sia una nobile idealità; ma in questo momento noi non ci muoviamo su questo piano; in questo momento noi cerchiamo di dare forma giuridica a principî che dureranno fino a che dureranno. Niente di eterno, siamo d’accordo, ma non è questa la premessa da cui bisogna partire dal momento in cui si giustifica, e si deve giustificare, lo articolo 50 della Costituzione, il quale afferma, ripeto, questo diritto del cittadino a ribellarsi all’atto arbitrario dell’autorità. Io non mi soffermo nemmeno sul valore di prevenzione che ha questa norma, ed a cui ha fatto opportuno richiamo l’onorevole Nobili Tito Oro. È un monito che si dà all’autorità: se essa decampa dai limiti legittimi, avrà di fronte il cittadino col suo diritto di ribellarsi.

Non è detto che quest’atto del cittadino debba assumere la forma estrema dell’atto rivoluzionario. Ci sono tante maniere di ribellarsi. Affermare questo principio non significa altro che dare concreta attuazione a quegli altri diritti che noi abbiamo affermato nella parte generale della Costituzione, i diritti del cittadino, i diritti dell’uomo. Se questi diritti sono violati o offesi dall’autorità costituita, i cittadini offesi, e come collettività e come singoli, hanno il diritto di ribellarsi. Non solo, ma giustamente l’onorevole Mastino diceva anche che viene meglio giuridicamente giustificata la norma del Codice penale se noi affermiamo questo principio nella Costituzione.

Per questo, anche a nome del mio Gruppo, dichiaro che noi voteremo per il mantenimento dell’articolo 50. (Applausi a sinistra).

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Mi pare che in questa discussione si sia manifestata una certa confusione di idee in ordine al significato da dare alla disposizione in esame, in quanto da una parte si è interpretata questa nel senso di comprendere in essa la resistenza contro atti particolari dell’autorità esecutiva ed in questo senso si è espresso or ora l’onorevole Gullo. Ma a me sembra che, intesa in questo senso la portata dell’articolo, non ci sia bisogno di effettuarne il riconoscimento nella Costituzione.

I precedenti già ricordati dall’onorevole Gullo hanno dimostrato come in passato sia stato possibile al diritto positivo sancire in determinati casi la legittimità del diritto di resistenza del cittadino contro gli atti dell’Autorità. Naturalmente l’ammissione di siffatto principio non può non essere coordinata con tutti gli altri principî, che regolano l’ordinamento dello Stato e anzitutto con quello della esecutorietà degli atti della pubblica autorità, principio al quale nessuno Stato potrebbe mai rinunciare.

Nell’ambito delle esigenze accennate è possibile alla legge ammettere in singoli casi il diritto di resistenza individuale; sicché una statuizione costituzionale in questo senso non ha ragion d’essere. Ma vi è un altro significato, con cui può intendersi il diritto di resistenza, ed è quello con cui è stato inteso dal progetto, che parla di resistenza contro l’oppressione. Con questo articolo si vuole individuare un caso particolare: quello, cioè, in cui i supremi poteri dello Stato opprimono la libertà, quando cioè siano eliminate, o non funzionino tutte le garanzie di carattere giuridico costituzionale. Noi abbiamo creato un insieme di garanzie atte a preservare dalla violazione dei diritti anche di fronte ai supremi organi dello Stato.

Ora quando si verifichi l’ipotesi che tutte queste garanzie siano esaurite e quando la stessa Corte costituzionale abbia convalidato con la sua sentenza l’atto arbitrario della pubblica autorità, in questo caso il cittadino – secondo il significato della disposizione proposta – non deve acquietarsi alla violazione dei diritti supremi, garantiti dalla Costituzione come inviolabili, ma deve ribellarsi. Intesa in questo senso la disposizione, ci si deve chiedere: è opportuno che essa sia inserita nella Costituzione? Circa la sostanziale esattezza e, vorrei dire, la santità di questo principio, nessuno potrebbe sollevare delle obiezioni, e tanto meno noi cattolici, poiché è tradizionale nel pensiero cattolico l’ammissione del diritto naturale alla ribellione contro il tiranno. Ci sono scrittori cattolici che riconoscono la legittimità perfino della soppressione del tiranno. Quindi non è al principio che noi ci opponiamo, ma alla inserzione nella Costituzione di esso, e ciò perché a nostro avviso il principio stesso riveste carattere metagiuridico, e mancano, nel congegno costituzionale, i mezzi e le possibilità di accertare quando il cittadino eserciti una legittima ribellione al diritto e quando invece questa sia da ritenere illegittima.

Siamo condotti con questa disposizione sul terreno del fatto, e pertanto su un campo estraneo alla regolamentazione giuridica.

Si è detto che questo articolo potrebbe avere un valore educativo, e questo è vero. Ma bisogna allora stabilire se la Costituzione debba essere un testo di legge positiva, oppure un trattato pedagogico.

In riferimento al carattere di testo legislativo che a nostro avviso la Costituzione deve rivestire, io ed i miei colleghi di Gruppo riteniamo che non sia opportuno sancire un tale principio nella Costituzione, ed è per questi motivi e con questo significato che dichiariamo di votare per la soppressione dell’articolo 50. (Applausi al centro e a destra).

PRESIDENTE. Chiedo ai presentatori di emendamenti se vi insistono.

Onorevole Mastino Pietro, mantiene il suo emendamento sostitutivo?

MASTINO PIETRO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. E lei, onorevole Musolino?

MUSOLINO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Nobile?

NOBILE. Lo ritiro per associarmi a quello dell’onorevole Mastino.

PRESIDENTE. E lei, onorevole Nobili Tito Oro?

NOBILI TITO ORO. Lo ritiro e mi associo a quello dell’onorevole Mastino.

PRESIDENTE. Voteremo dapprima la soppressione del comma per dare ai colleghi che la respingessero la possibilità di pronunziarsi su una delle due formulazioni presentate.

Ricordo che le proposte di soppressione sono state fatte dagli onorevoli Colitto, Bozzi, Bosco Lucarelli, Rodi, Caroleo, Della Seta, Azzi, Terranova e Candela.

Pongo in votazione la soppressione del secondo comma dell’articolo 50:

«Il cittadino ha il diritto e il dovere di difendere, contro ogni violazione, le libertà fondamentali, i diritti garantiti dalla Costituzione e l’ordinamento dello Stato».

(Dopo prova e controprova, è approvata).

Onorevoli colleghi, è rimasto ancora da esaminare l’ultimo comma dell’articolo 94, del seguente tenore:

«I magistrati non possono essere iscritti a partiti politici o ad associazioni segrete».

Ricordo che l’onorevole Clerici ha già svolto il seguente emendamento:

«Sostituire il comma col seguente:

«La legge potrà stabilire limitazioni al diritto di iscrizione ai partiti politici per i magistrati; per i militari in servizio attivo; per i funzionari e gli agenti di polizia; per i rappresentanti consolari e diplomatici all’estero».

Prego l’onorevole Ruini di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Poiché i membri della Commissione sono divisi in questa materia, la Commissione, come tale, non può esprimere un parere. Una corrente nella Commissione sostiene che debba essere ammessa un’esclusione, sostenuta anche dalle associazioni dei magistrati, come necessaria ad assicurare la indipendenza e l’imparzialità dell’ordine giudiziario e di alcune categorie di funzionari che presentano caratteristiche speciali. Un’altra corrente osserva che la determinazione delle categorie, che si fa in questo articolo, non è a contorni netti (ad esempio i prefetti potranno iscriversi ai partiti), e che non si eviterà che coloro che non possono essere formalmente iscritti in un partito prendano egualmente parte alla sua vita ed alla sua azione.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Io non mi occupo di questo articolo, in quanto concerne i magistrati e i diplomatici: non ho alcuna opinione al riguardo e non posso quindi pronunciarmi. Credo però di poter esprimere il mio avviso per quanto riguarda la carriera di militare e di agente di polizia. La mia opinione è questa: sia ai cittadini in generale, come ai partiti politici (tranne quello che, trovandosi al potere, intenda mantenervisi indefinitamente, anche contro la volontà popolare) non può convenire che militari di professione – vale a dire: ufficiali e sottufficiali di carriera e ufficiali e agenti di polizia – siano iscritti ad un partito politico, e quindi siano tenuti ad una disciplina di partito. Questa è cosa, ripeto, che ai cittadini in genere non può convenire, e non può convenire nemmeno ai partiti che non si trovino al potere.

Per conseguenza sono del parere che l’emendamento Clerici sia mantenuto, almeno per quanto riguarda i militari di carriera e gli agenti di polizia.

Una voce. L’esercito, insomma!

NOBILE. Sì, ad ogni modo sia mantenuto per l’esercito.

È vero che non è escluso che ci si possa iscrivere in modo, dirò così, clandestino; ma, naturalmente, esponendosi alle conseguenze legali che ne derivano.

Ripeto che non conviene a nessuno che i quadri delle Forze armate si mescolino alla politica. Esse devono servire a presidiare lo Stato, e pertanto debbono essere mantenute fuori e al di sopra dei partiti politici.

Questa è la mia opinione.

TONELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Onorevoli colleghi, io dichiaro subito che sono fautore della piena libertà di tutti i cittadini, di tutte le categorie, di appartenere a qualsiasi fede e a qualsiasi partito, e di militare per questa o quella fede, questo o quel partito, e di farne propaganda. Perché, se noi facciamo delle distinzioni fra categorie e categorie di cittadini, non so dove si vada a finire.

Per esempio, voi, colleghi democratici cristiani, vorreste voi votare una legge che, in fondo in fondo, proibisca ad un sacerdote che ha cura d’anime, e che come tale compie una pubblica funzione riconosciuta dallo Stato, di appartenere al vostro partito? (Commenti al centro). È perfettamente libero un sacerdote di militare nelle vostre file e di fare propaganda a favore del vostro partito. Ed è naturale che sia così, onorevoli colleghi. (Commenti al centro).

Una voce al centro. I sacerdoti, per diritto canonico, non possono appartenere a partiti politici.

TONELLO. Io sono vissuto tanti anni al servizio dello Stato, e prima dei Comuni, ed ho sempre professato le mie idee. Nell’esercizio della mia professione non ho mai avuto appunti, nemmeno dagli avversari più decisi, perché la mia coscienza di uomo mi suggeriva e mi imponeva che, quando compivo quella data funzione pubblica, dovessi essere al di sopra di quelle che erano le mie particolari convinzioni religiose e politiche. E così è per gli altri funzionari. Ma lasciate alla discrezione degli uomini, che hanno un incarico e hanno una missione nello Stato, di regolarsi secondo la propria coscienza. E poi, quand’anche voi faceste questa proibizione, a che cosa essa gioverebbe? A niente.

Credete voi che quelli che fanno parte della massoneria – e ce ne sono tanti qui dentro, anche in mezzo a voi… (Ilarità – Commenti al centro)credete voi che, se ci fosse questa proibizione di appartenere alla massoneria, non ci sarebbero poi i gesuiti cattivi, che fingono di non essere iscritti e lo sono lo stesso? (Commenti al centro).

E così, egregi colleghi, lasciamo la libertà all’individuo; e soprattutto non facciamo eccezioni per quelli della pubblica sicurezza, per la polizia. Amico Nobile, io mi augurerei che, quando v’è il popolo in piazza che protesta per la fame e per la miseria, invece di avere dei poliziotti apolitici che sparano, vi fossero dei compagni. (Commenti a destra e al centro). Quello che importa, onorevoli colleghi, è che i cittadini abbiano la coscienza di difendere la loro dignità personale; ma non obbligate nessuno a firmare dei giuramenti che poi di fatto non si possono mantenere!

È perciò io vi domando che non imponiate queste violazioni di coscienza. Si può militare nei partiti anche più rivoluzionari ed essere cittadini nel più vero e nobile senso della parola! (Applausi a sinistra).

CIFALDI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIFALDI. Se fosse possibile, chiederei addirittura che tutti i magistrati dovessero essere iscritti nei partiti, i quali sono in vita in un Paese come l’Italia; perché, onorevoli colleghi, il mio punto di vista è questo: in punto di fatto, è indiscutibile e credo che non possa essere negato che ciascun magistrato abbia e debba avere le sue idee politiche. È impossibile che il magistrato, il quale ha quotidiani contatti con tutte le esigenze e le vicende umane, non abbia dei concetti decisi e non abbia una tendenza politica.

Ora, qual è, onorevoli colleghi, la preoccupazione? Che il magistrato, essendo palesemente iscritto ad un partito, possa vedere vincolata la sua libertà di coscienza da obblighi di partito.

Questa può essere una preoccupazione, ma, onorevoli colleghi, guardiamo il lato inverso; esaminiamo cioè se non sia preoccupante impedire ufficialmente che un magistrato possa liberamente partecipare ad un partito e propagandare le proprie idee e vivere attivamente nei movimenti ideologici, sociali, politici di un Paese, nascondendole così praticamente agli altri. Quando in un processo politico si sa da tutta l’opinione pubblica a quale partito appartengono il magistrato inquirente, i membri del collegio giudicante e il rappresentante dell’accusa, mi sembra che il controllo da parte della pubblica opinione sia più facile ed evidente, e mi sembra che si possa impedire, con maggiore agevolezza, che colui, il quale rappresenta una tendenza, possa essere schiavo o soggetto a seguire la tendenza stessa nell’emettere la sua decisione. Si può da parte di un magistrato non appartenere ufficialmente ad un partito, ma tuttavia essere da tutti conosciuto appartenere egli ad una tendenza; e allora quella legittima suspicione, a cui da qualche collega è stato accennato, può essere sollevata, poiché è impossibile pretendere che un magistrato non abbia una idea e non la debba mai manifestare. Insomma, anziché costringere il magistrato a mimetizzare il proprio pensiero, è più vantaggioso che si sappia chiaramente in che campo egli milita. In questo modo, il magistrato verrà ad essere, oltre che dalla pubblica opinione, controllato da se stesso, in quanto il magistrato di cui si conoscono le idee politiche o le tendenze non potrà giustificare una decisione eventualmente ingiusta che egli possa prendere. Il magistrato saprà in tal caso di dover rendere conto, non solo alla critica del magistrato d’appello, ma anche alla pubblica opinione.

Per questa ragione io penso che non si debba statuire nessun divieto in ordine a questo punto. E ciò anche per un riguardo, per un rispetto a questa Magistratura, che noi vogliamo assisa ad un posto di prestigio e di riguardo. Sarebbe veramente strano che oggi noi negassimo ai membri di una classe, che ha il compito più delicato nella vita civile, di appartenere ad un partito. Si verrebbe così a creare quasi un’oasi avulsa dalla società, e questo sarebbe assurdo. Un consesso politico come il nostro non può sanzionare – a meno, a mio avviso, di sanzionare una ingiustizia – l’ultima parte dell’articolo 94. Ecco perché io voterò contro l’inclusione dell’ultimo comma dell’articolo 94 nella Costituzione.

CANDELA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CANDELA. Soltanto due parole. Apprezzo quanto ha detto l’onorevole Cifaldi e ciò che ha detto va bene per una Repubblica ideale, per la Repubblica di Platone (Approvazioni), perché non penso che si possa andare al di là di quello che i magistrati hanno sentito ed espresso in un ordine del giorno votato non dalla maggioranza, ma dalla totalità. (Approvazioni). La totalità della classe ha chiesto e chiede all’Assemblea Costituente che ponga nella Costituzione una norma inibitiva dell’appartenenza ai partiti politici. E la ragione c’è. C’è la ragione, perché noi abbiamo distinto in questa Costituzione fra le varie carriere ed abbiamo posto come elemento fondamentale di ogni principio la giustizia e la garanzia che questa giustizia sia resa, perché è la base vera di ogni democrazia.

Ora, se gli amministratori di questa giustizia dovranno essere i partigiani di un’idea che dovranno servire, non vi sarà più garanzia; sono essi liberi nelle loro simpatie politiche ma non dovranno partecipare alla vita dei partiti, perché nel calore della lotta le passioni trascendono e anche le coscienze intemerate e più nobili sono trasportate dalla passione di parte. E penso che il mio collega, che è un valoroso avvocato penalista, tutto questo deve conoscere quanto me e meglio di me. Non dico che i dissensi di un piccolo gruppo trasformino le amicizie dall’oggi al domani, come spesso accade, ma è opportuno che magistrati che della vita della società soffrono e vivono le passioni restino fuori della mischia. È bene che questi magistrati siano al di sopra di ogni sospetto e non si asservano alla partitocrazia in atto. Avrei potuto comprendere nei tempi lontani questa partecipazione che pur non vi era, quando con il collegio uninominale non vi era rapporto di subordinazione fra l’uomo politico e la direzione del partito. Oggi gli uomini politici dipendono dai partiti; sono le direzioni del partito che ne indicano i nomi; sono le direzioni del partito che ne stabiliscono la linea di condotta; e le direzioni del partito non possono preoccuparsi della coscienza del giudice, ma si preoccupano della obbedienza dell’appartenente al partito. Tutto questo teoricamente non è bello; lo so, caro Cifaldi, ma teoricamente niente è necessario, anche la legge e tanto più i carabinieri potrebbero essere superflui per gl’individui che vivono in piena libertà se hanno l’educazione di sentire il limite dei loro doveri e dei loro diritti. Ed allora penso che accogliendo il voto unanimemente espresso da questa nobile classe che dà un’altra prova del suo disinteresse, del suo amore ed attaccamento al dovere, l’Assemblea oggi approvi la disposizione costituzionale così come è stata proposta dalla Commissione. (Applausi al centro e a destra).

COLITTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Anche il mio Gruppo pensa che il voto dei magistrati debba essere accolto. Il magistrato, per le altissime funzioni che esercita, è al di sopra dei partiti politici. Non può, perciò, essere iscritto ad un partito. Non poche altre ragioni, del resto, inducenti a questa esclusione sono state indicate con esattezza proprio da quella classe veramente benemerita della Patria. Sì, il magistrato può avere, ha indubbiamente, come diceva l’onorevole Cifaldi, le sue idee e le sue opinioni politiche; ma l’avere idee ed opinioni politiche è qualche cosa di molto diverso dall’appartenenza ad un determinato partito. L’appartenenza al partito importa diritti, ma importa anche oneri e doveri e legami, che sono incompatibili con l’esercizio delle funzioni di magistrato. (Approvazioni).

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Anche a nome del Gruppo dell’Unione nazionale, mi associo a quanto hanno detto gli onorevoli Candela e Colitto. Il magistrato può benissimo avere delle idee ma, secondo noi, è bene che non abbia dei legami.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Ho chiesto la parola per domandare un chiarimento al buon amico onorevole Clerici. In questa sua proposta non si parla dell’eleggibilità. Vorrei sapere se nel suo concetto vi è anche quello dell’ineleggibilità del magistrato, perché altrimenti vedrei ancora meno ragionata questa sua proposta. Se da una parte si ammette che il magistrato possa diventare deputato o senatore, è strano che dall’altra una legge gli possa vietare l’unica strada che può battere per essere portato candidato. La strada maestra.

Ed un’altra osservazione mi permetto fare, in linea di fatto. Si è detto qui che questo divieto – che veramente, per la portata della proposta del collega Clerici non è un divieto che si mette nella Costituzione, ma è una possibilità di divieto che si attribuisce alla legge futura ed io con molti altri colleghi mi auguro che il legislatore futuro non ponga questa limitazione – sia conforme alla volontà della stessa magistratura.

Bisogna essere precisi. Come tutti voi avete letto in questi giorni, la stampa ha dato pubblicità dei risultati di un referendum, un referendum che in cifre tonde ha portato a questi risultati: circa 1250 magistrati contro l’esercizio di questo diritto elementare, cioè di partecipare alla vita politica, soltanto 250 o 300 favorevoli alla piena libertà di iscrizione nei partiti. Però i magistrati sono circa 4000, quindi è un referendum che ha un valore molto limitato.

CLERICI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CLERICI. Io devo una risposta all’amico onorevole Targetti, e approfitto dell’occasione, se l’onorevole Presidente me ne dà il permesso, per chiarire questo mio emendamento in brevissimi minuti. Esso è diverso da quello presentato a suo tempo da me.

Evidentemente, dalla lettura dell’emendamento da me proposto, risulta chiaro che le preoccupazioni dell’onorevole Targetti non hanno ragione; e che cioè in questa disposizione, da me proposta, nessun divieto di eleggibilità è posto a qualsiasi ufficio o carica pubblica da parte dei magistrati. L’emendamento che avevo proposto alcuni mesi fa, allorché si parlò dell’argomento, aveva uno scopo: quello di estendere il divieto oltre alla classe dei magistrati, per i quali già vi era una disposizione nel testo del progetto di Costituzione, ad altre classi, le quali a mio avviso devono essere considerate in modo particolare non solamente rispetto alla generalità dei cittadini, ma anche rispetto alla categoria così vasta degli impiegati, funzionari e dipendenti statali; e cioè entro questa vasta classe degli impiegati, dei funzionari e dei dipendenti statali mi pare che si debba considerare a sé quella limitata categoria di essi, i quali, esercitando un’autorità dello Stato praticamente sui cittadini, sono o appaiono (il che è politicamente la stessa cosa), rispetto a costoro, lo Stato stesso. Il magistrato che ci giudica, il magistrato che ci può condannare a pene anche gravissime e che può decidere su oggetti che importano non soltanto questioni patrimoniali, ma anche questioni famigliari e di stato personale, il magistrato che ha questo terribile potere affidato allo Stato (il potere più alto che si può dare ad uomini); e del pari il funzionario e l’agente di pubblica sicurezza, che eseguono codeste sentenze e possono arrestare il cittadino, il militare in servizio attivo permanente ed anche, credo, il rappresentante ordinario dello Stato verso Stati esteri, o semplicemente all’estero, sia esso ministro od ambasciatore o console, deve non solo essere ma apparire assolutamente insospettabile.

Non deve sorgere nel povero diavolo, il quale vede giudici con distintivi di appartenenza a partiti diversi dal suo, il sospetto che costoro possano giudicarlo sfavorevolmente per ragioni di carattere politico. E non deve sorgere il sospetto, che l’agente di pubblica sicurezza, il carabiniere, il militare in servizio attivo permanente possono essere non i rappresentanti dello Stato ma di un partito, sia pure (sarebbe anche peggio) del partito che ha la maggioranza delle Camere e quindi detiene il Governo.

Lo Stato è superiore a tutte le maggioranze ed a tutti i Governi. Ecco perché io desidero che l’Assemblea consideri questa mia proposta come quella che salvaguarderebbe maggiormente la dignità dello Stato e la libertà dei cittadini. Ho però attenuato il primitivo concetto, e invece che porre un divieto nella Costituzione mi rimetto alla legge. E ciò perché troppi e complicati potevano essere i casi possibili, e non può darsi luogo a tale casistica nella Costituzione.

Che cosa sarà stabilito, se voteremo l’emendamento da me proposto? Questo principio: che contro il principio generale che nessun limite alla libertà di iscrizione a qualsiasi partito può essere posto al cittadino, e neanche al funzionario dello Stato, invece un limite alla libera iscrizione ai partiti, per questi particolari funzionari, che sono investiti del «jus imperii», questa limitazione è possibile nell’ambito e nelle forme che il legislatore futuro crederà del caso, adattandole alle condizioni ambientali e storiche.

La nostra Costituzione è fatta – speriamo – per un periodo di molti decenni: in tutto questo tempo si andranno trasformando le condizioni che suggeriranno limitazioni più o meno ampie col variare del tempo.

Queste limitazioni noi rimetteremo perciò alla legge futura. Noi per ora affermiamo il principio; e ritengo sia necessario affermarlo, perché se dicessimo nulla in proposito e ferma restando la norma generale della libertà del cittadino, per cui ciascuno può iscriversi a qualsiasi partito, domani potrebbe ritenersi illegittima ed anticostituzionale qualsiasi legge che stabilisse questo divieto per i carabinieri e le guardie di questura.

GIACCHERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIACCHERO. In sede di discussione del Titolo quarto ebbi a presentare un emendamento relativamente al divieto d’iscrizione ai partiti politici per i militari. Per le ragioni così chiaramente esposte dall’onorevole Clerici, che nel suo emendamento fa rientrare anche la parte che riguardava il mio, mi associo alle sue dichiarazioni.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Mi permetto di presentare un emendamento soppressivo, e, per una procedura più rapida, propongo che lo si voti per primo.

PRESIDENTE. Dato che v’è un solo testo, lo porrò in votazione. Chi non lo accetta, non lo vota.

RUGGIERO. Onorevole Presidente, anch’io ho presentato a suo tempo un emendamento soppressivo su questo argomento.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Se si porrà in votazione l’emendamento soppressivo, io voterò favorevolmente; se si porrà in votazione il testo proposto dalla Commissione, io voterò contro; per due ragioni. Prima di tutto, perché mi pare indispensabile riconoscere anche a pochi magistrati il diritto di iscrizione; questo diritto di iscrizione contrasterebbe con la grande maggioranza della Magistratura; ne viene come conseguenza logica che i pochi magistrati iscritti a partiti politici si porrebbero da se stessi un limite alla loro attività politica; il giorno in cui uscissero da questa autolimitazione, uscirebbero dalla Magistratura. Quindi, mi pare eccessivo negare questo diritto in modo assoluto.

Ma voterò contro per altra ragione, più importante.

Non possiamo limitare il nostro punto di vista ai magistrati, come d’altronde la Commissione stessa ha fatto, parlando anche di ambasciatori e di altri funzionari dello Stato.

Chi di noi potrebbe votare oggi favorevolmente alla disposizione costituzionale, per cui un ambasciatore non può essere tratto da un partito politico? Due grandi Paesi, come la Francia e gli Stati Uniti d’America, nei momenti più difficili hanno tratto i loro rappresentanti diplomatici presso Stati esteri, anche grandi potenze, da uomini politici che non facevano parte della carriera diplomatica. Sarebbe strano che noi considerassimo soltanto i magistrati e non le altre categorie.

È meglio rimandare al legislatore futuro. Credo che sia nell’interesse di tutti accantonare questa questione.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Credo largamente augurabile che, sia per i magistrati come per altre particolari categorie indicate negli emendamenti, possa accadere che, in aderenza anche al costume della prassi, lo spirito innegabilmente corporativo della professione debba preservare i partecipanti dalla passionalità politica.

Ma io voterò nel modo più assoluto contro il divieto posto nel progetto, perché mi pare una limitazione dei diritti del cittadino, inammissibile specialmente quando tutta la vita politica si svolge secondo una organizzazione di partiti e quando – senza fare adesso delle inutili manifestazioni di nostalgia del passato – è venuta meno, attraverso la caduta, speriamo soltanto temporanea, della monarchia, la possibilità di nomina dei più degni servitori dello Stato, dopo molti anni di acquisita consapevolezza di quelle che sono le esigenze dell’Amministrazione, a componenti di un ramo del Parlamento. Quando tutte le cariche sono divenute elettive, quando le elezioni nei due rami del Parlamento si svolgono sulla base della organizzazione dei partiti, ritengo assolutamente inammissibile che nella Costituzione possa essere posto il divieto, inevitabilmente di carattere generale, di appartenenza ai partiti, indistintamente, per tutte le categorie alle quali mi sono riferito.

PRESIDENTE. Desidero rammentare, in relazione al richiamo fatto giustamente dall’onorevole Ruggiero, che mentre si discuteva l’articolo della Costituzione, in cui era inserito il divieto per i magistrati di appartenere a partiti o ad associazioni segrete, erano stati presentati emendamenti soppressivi dell’intero comma, come anche formulazioni che lo emendavano in parte.

Gli onorevoli Damiani, Sardiello, Rossi Paolo e Varvaro avevano presentato in quel momento emendamenti aggiuntivi. L’onorevole Damiani il seguente:

«I magistrati non possono far parte di organi estranei alla Magistratura».

L’onorevole Sardiello aveva proposto la seguente formula:

«I magistrati non possono accettare cariche od uffici pubblici elettivi».

L’onorevole Rossi Paolo:

«I magistrati non possono esser chiamati a far parte di commissioni ed organi di carattere politico».

L’onorevole Varvaro: «i magistrati non possono essere destinati ad uffici estranei all’ordine giudiziario».

Chiedo ai quattro colleghi, se essi intendono in questa sede riprendere le proposte allora avanzate.

Gli onorevoli Damiani, Sardiello e Varvaro non sono presenti e quindi i loro emendamenti si intendono decaduti.

Onorevole Rossi Paolo, mantiene la sua proposta?

ROSSI PAOLO. Vi rinunzio, e aderisco alla proposta di rinvio all’ordinamento giudiziario.

PRESIDENTE. Possiamo mettere in votazione il testo proposto dall’onorevole Clerici, tenendo presente che alcuni colleghi avevano proposto la soppressione di qualsiasi testo contenente questo concetto nella Costituzione, e precisamente gli onorevoli Nobili Oro, Costa, Ruggiero e De Palma.

Do lettura del testo proposto dall’onorevole Clerici, sul quale voteremo:

«La legge potrà stabilire limitazioni al diritto di iscrizione ai partiti politici per i magistrati, per i militari in servizio attivo, per i funzionari e gli agenti di polizia, per i rappresentanti consolari e diplomatici all’estero».

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Vorrei pregare l’onorevole Clerici di aggiungere per maggior chiarezza dopo la parola «militari», le parole: «di carriera».

CLERICI. Accetto la proposta dell’onorevole Nobile.

CIFALDI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIFALDI. Desidero chiederle, onorevole Presidente, se non sia più utile votare prima sull’ultima parte dell’articolo, perché se fosse soppresso l’ultimo comma, sarebbe chiusa ogni discussione.

PRESIDENTE. Onorevole Cifaldi, la formulazione del progetto dell’ultimo comma dell’articolo 94 è abbandonata, perché la Commissione non l’ha mantenuta; è, quindi, evidente che non possiamo porla in votazione a meno che lei non la riprenda come suo emendamento.

CIFALDI. Faccio mio il testo del progetto.

ABOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ABOZZI. Anch’io propongo, come emendamento, l’ultimo comma dell’articolo 94 nel testo del progetto.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi: oltre al testo dell’onorevole Clerici, abbiamo adesso un emendamento costituito dall’ultimo comma originario dell’articolo, 94, del seguente tenore:

«I magistrati non possono essere iscritti a partiti politici o ad associazioni segrete».

Bisognerebbe però precisare se questa formulazione è sostitutiva dell’intero testo dell’onorevole Clerici, oppure se di questo rimane salva la disposizione che si riferisce ai militari, ai funzionari di polizia, ai rappresentanti consolari e così via.

CORBINO. Si potrebbe votare per divisione.

PRESIDENTE. Onorevole Corbino, la differenza non è costituita soltanto dalla inclusione nel testo Clerici di altre categorie alle quali sarebbe contestato il diritto di appartenenza a partiti politici. L’onorevole Clerici rimette la questione alla legge come una facoltà, mentre il testo dell’articolo 94 sancisce senz’altro una norma obbligatoria. Questa è la differenza sostanziale.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Credo che si farebbe cosa molto più comprensibile (esprimo quello che sento nel mio imbarazzo, che credo sia l’imbarazzo di molti colleghi) se arrivassimo ad un’altra soluzione. In fondo, che cosa propone l’onorevole Cifaldi? Facendo suo il testo della Commissione egli si propone di votare contro; quindi, vuole un rinvio alla legge. Il fatto che la Costituzione non ne parli non obbliga il futuro legislatore ad esaminare domani la materia. Quindi, in altre parole, significa rinvio al legislatore.

CIFALDI. Per i magistrati no, per le altre categorie sì.

LUSSU. Per tutti.

Che cosa si propone il collega Clerici? Si propone la stessa cosa, perché rinvia alla legge. Allora, tanto vale che ci mettiamo tutti d’accordo su un argomento così importante e non creiamo dissidi. Il futuro legislatore, per gli uni e per gli altri, esaminerà la questione.

PRESIDENTE. Ritengo che l’onorevole Lussu si sia fermato solo sulla proposta Cifaldi, senza considerare quella Abozzi. Ora, se non erro, l’onorevole Abozzi, riprendendo il terzo comma dell’articolo 94, non intende affatto votar contro; mentre l’onorevole Cifaldi lo ripropone al solo scopo di farlo cadere. Pertanto, resta sempre valida la proposta Abozzi.

LUSSU. Vuol dire che noi voteremo in maggioranza e Abozzi in minoranza.

PRESIDENTE. Onorevole Lussu, la prego, ho già risposto alle sue argomentazioni.

RUGGIERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUGGIERO. Desidero far notare che, avendo l’onorevole Cifaldi fatto suo il testo della Commissione relativamente all’ultimo comma dell’articolo 94, automaticamente sorge la necessità di porre in votazione la mia proposta tendente a sopprimere il comma, già presentata e svolta in sede di discussione di articolo 94.

PRESIDENTE. Sta bene. Procediamo ora alle votazioni.

Riapplicando la procedura adottata per la votazione di altro articolo, poiché vi sono due formulazioni diverse, per dare ai colleghi che chiedono la soppressione (qualora questa non fosse accettata) la possibilità di optare per l’una o per l’altra delle due formulazioni, porrò in votazione prima la proposta soppressiva; ove questa non passasse, porrò in votazione prima la formulazione Cifaldi-Abozzi e successivamente quella dell’onorevole Clerici.

CLERICI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CLERICI. Il mio emendamento sussisterebbe sempre, per la parte relativa ai non magistrati.

PRESIDENTE. Evidentemente, onorevole Clerici.

Pongo in votazione la proposta di sopprimere l’ultimo comma dell’articolo 94, testo del progetto, fatto proprio dagli onorevoli Abozzi e Cifaldi.

(Dopo prova e controprova, non è approvata).

Dobbiamo ora votare il testo proposto dagli onorevoli Abozzi e Cifaldi:

«I magistrati non possono essere iscritti a partiti politici o ad associazioni segrete».

UBERTI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Noi votiamo contro perché intendiamo votare a favore della proposta Clerici.

PRESIDENTE. Pongo ai voti la formulazione Abozzi-Cifaldi, testé letta.

(Non è approvata).

Dobbiamo ora votare il testo dell’onorevole Clerici.

NOBILE. Chiedo la votazione per divisione.

PRESIDENTE. Sta bene.

Pongo in votazione la prima parte della formulazione Clerici:

«La legge potrà stabilire limitazioni al diritto di iscrizione ai partiti politici per i magistrati».

(È approvata).

Pongo in votazione le altre categorie per divisione:

«per i militari di carriera in servizio attivo».

(È approvata).

«per i funzionari ed agenti di polizia».

 (È approvata).

«e per i rappresentanti diplomatici e consolari all’estero».

(È approvata).

L’emendamento dell’onorevole Clerici, salvo coordinamento, è stato dunque approvato nel suo complesso. Rimane salva anche la collocazione.

Il seguito di questa discussione è rinviato alla seduta pomeridiana.

Avverto che, in principio di seduta, si procederà alla votazione a scrutinio segreto dei disegni di legge approvati questa mattina.

La seduta termina alle 13.5.

POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 4 DICEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCXIX.

SEDUTA POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 4 DICEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEL VICEPRESIDENTE TARGETTI

INDICE

Sul processo verbale:

Rodi

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Ambrosini

Bubbio

Rescigno

Lami Starnuti

Musolino

Camposarcuno

Mortati

Uberti

Tosato

Moro

Grazi

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Persico

Gullo Fausto

Lussu

Conti

Dozza

Codacci Pisanelli

Perassi

Corbino

Nobile

Perlingieri

Recca

Fabbri

Colitto

Morelli Renato

Mastino Pietro

Laconi

Tozzi Condivi

Zuccarini

Benvenuti

Coppi

Votazione segreta:

Presidente

Risultato della votazione segreta:

Presidente

Mozione (Annunzio):

Presidente

Interrogazione con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

DE VITA, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

Sul processo verbale.

RODI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RODI. Ieri io ed altri colleghi abbiamo esposto le ragioni per le quali, a nostro avviso, doveva essere soppresso l’articolo 131 della Costituzione.

Queste nostre considerazioni furono accolte con calma, se non che ad un certo momento la calma è finita e si è dovuto deplorare un episodio pugilistico. Comunque, era forse fatale che avvenisse questo pugilato, perché abbiamo aperto i lavori della Costituente con un pugilato, ed era logico che li chiudessimo con un pugilato. (Commenti).

Ma quello che mi preme mettere in evidenza, la cosa per la quale ho chiesto di parlare sul processo verbale, è la faccenda dello scrutinio segreto, che noi abbiamo chiesto ieri e sulla quale richiesta si è fatta una speculazione, per lo meno ingiusta.

Noi abbiamo chiesto lo scrutinio segreto ed abbiamo insistito su di esso, prima di tutto perché il regolamento della Camera ci dà facoltà di chiedere lo scrutinio segreto e poi perché, con lo scrutinio segreto, il voto è molte volte la più esatta espressione della coscienza dell’Assemblea e quindi si può anche chiedere lo scrutinio segreto per avere la temperatura dell’Assemblea in un determinato momento.

E v’è ancora un fatto: siccome abitualmente nei banchi di sinistra si abbina la qualifica di monarchico a quella di fascista, è chiaro che qualcuno potrebbe rimanere anche indeciso di fronte alla eventualità quasi certa di una accusa diventata ormai metodica, di una accusa che certamente viene come reazione ad una qualunque di queste manifestazioni. E, ad ogni modo, mi sono stupito che si sia chiesto il ritiro della richiesta riguardante lo scrutinio segreto, facendo financo appello alla lealtà dei votanti. Qui non si tratta di lealtà.

PRESIDENTE. Onorevole Rodi, la prego, noi siamo in sede di processo verbale. Sul processo verbale, o si rettifica o si chiarisce; io suppongo che ella intenda chiarire. Ma chiarisca qualche punto preciso, la prego.

RODI. Sto appunto chiarendo, onorevole Presidente, i motivi della nostra richiesta di procedere a scrutinio segreto e dell’insistenza con cui noi abbiamo tenuto ferma tale richiesta.

PRESIDENTE. Sta bene, ma resti almeno a questo argomento, onorevole Rodi: ella ha già fatto un lungo preambolo non precisamente aderente al tema.

RODI. Io desidero appunto lamentarmi di questo. Si sapeva, del resto, benissimo quale sarebbe stato il nostro voto. Mi lamento di questo appello alla lealtà, specialmente poi ove si consideri che noi sappiamo benissimo come si sono condotti i lavori di questa nostra Costituente, quante volte cioè sia stato richiesto lo scrutinio segreto, quante volte ci si sia adattati a dei compromessi, ad accordi forse non del tutto felici; e tutto questo per condurre in porto la nostra nave.

Nessun appello alla lealtà dunque. E poiché mi trovo a parlare agli amici della estrema sinistra, sono io che rivolgo ora un appello: che essi siano cioè nei nostri confronti almeno un po’ più calmi e un po’ più riguardosi.

PRESIDENTE. Se non vi sono altre osservazioni, il processo verbale s’intende approvato.

(È approvato).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Onorevoli colleghi, essendo, nella seduta di questa mattina, stati svolti tutti gli emendamenti relativi all’articolo 122, invito l’onorevole Ambrosini a esprimere su di essi il parere della Commissione.

AMBROSINI. Come è stato rilevato nello scorcio della seduta antimeridiana, la Commissione è divisa su questo, che è uno dei punti fondamentali dell’ordinamento regionale. Mentre alcuni egregi colleghi vorrebbero arrivare alle precisazioni, altri ritengono invece più opportuno, in considerazione specialmente della brevità del tempo che ci resta per i nostri lavori, di fare l’affermazione di principio e di rimandare il resto a quanto vorranno stabilire le future Assemblea legislative quando si occuperanno di tutta la materia riguardante le amministrazioni locali.

Sono state sollevate, con gli appassionati interventi dell’onorevole Lami Starnuti e dell’onorevole Mortati, delle considerazioni di interesse veramente grande. Bisogna tuttavia ricordare che tutte queste considerazioni furono già fatte, per molte sedute consecutive, in seno al Comitato di redazione, su questo Titolo della Costituzione, che furono poi ripetute con maggior passione nella seconda Sottocommissione e ancora una volta davanti alla Commissione dei settantacinque. Ciò dimostra la complessità e la delicatezza della materia, e ciò spiega la perplessità ad arrivare ad una determinazione particolareggiata, avulsa dalla soluzione dei problemi pregiudiziali e correlativi, propri dell’ordinamento amministrativo; problemi che dovranno essere assieme trattati e risolti, specialmente quando sarà elaborata la legge comunale e provinciale.

È per questa ragione che il Presidente della Commissione, onorevole Ruini, io e altri colleghi riteniamo, data l’urgenza di finire i nostri lavori, di aderire all’emendamento proposto dagli onorevoli Uberti e Moro. Crediamo nel contempo che si possa andare incontro ai desideri e alle esigenze espresse in diversi emendamenti con talune aggiunte come le seguenti. Nella proposta Uberti, là dove si dice: «il controllo sugli atti dell’ente regionale è esercitato dagli organi» ecc., aggiungeremmo: «è esercitato in forma decentrata»; in modo da affermare il principio che gli organi che il futuro legislatore istituirà debbano esercitare il loro compito «in loco», cioè nella Regione.

Ed inoltre cambieremmo una delle parole adoperate nel primo comma dell’emendamento dell’onorevole Uberti. Dove si dice: «è esercitato dagli organi nelle forme e nei modi indicati dalla legge della Repubblica», diremmo: «nelle forme e nei limiti indicati dalla legge della Repubblica», in modo da affermare esplicitamente il principio dei «limiti»; con la quale precisazione riteniamo di dare in certo modo soddisfazione alle esigenze fatte presenti specialmente dall’onorevole Lami Starnuti.

Credo poi che l’Assemblea potrebbe inoltre fare un accenno specifico alla Corte dei conti. Data l’impossibilità di consultare i colleghi della Commissione, valutando l’estrema delicatezza del problema, non mi permetterei di fare una proposta tassativa; mi limiterò soltanto a sottoporre una suggestione all’Assemblea in riguardo al primo comma dell’emendamento Uberti. Dove si dice: «il controllo è esercitato in forma decentrata», si potrebbe aggiungere: «coordinatamente al servizio della Corte dei conti».

Riguardo alle Provincie, ai Comuni e agli altri enti ed istituzioni locali, sembra alla Commissione che il secondo comma dell’emendamento proposto dall’onorevole Uberti sia sufficiente ad acquietare in gran parte le apprensioni da varie parti manifestate, giacché in esso si stabilisce in modo tassativo che gli organi di controllo devono essere organi regionali, e che il controllo sarà sottoposto ai limiti stabiliti dalla legge.

Noi ci rendiamo perfettamente conto delle obiezioni sollevate dall’onorevole Lami Starnuti; senonché, per la verità, non vediamo la ragione perché debba nutrirsi verso le future Assemblee legislative una diffidenza pregiudiziale, quasi che tali Assemblee non nascano dalle elezioni, alle quali partecipa tutto il corpo elettorale, e quasi che dette Assemblee possano, nel nuovo clima del diritto pubblico italiano e nel sistema della Costituzione rigida, non uniformarsi ai principî fondamentali stabiliti nella Costituzione. Nel campo specifico del quale ci occupiamo, questi principî sono segnati, dal punto di vista generale, da tutto lo spirito della Costituzione e in modo specifico dall’articolo 106, e precisamente dal terzo comma là dove si dice: «Adegua i principî ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento». Aggiungo che, oltre a questa norma fondamentale, che il futuro legislatore non potrà violare, senza violare la Costituzione e quindi senza rendere annullabile la legge da parte della Corte costituzionale, c’è quella del primo comma dell’articolo 120, già approvato, nel quale si fa espressa dichiarazione del carattere autonomo degli enti comunali e provinciali.

A parte l’opportunità di non nutrire pregiudiziale sfiducia verso le future Assemblee legislative, riteniamo che il sistema del limite, che esse incontrano nelle disposizioni della Costituzione e che rende sindacabili le leggi ordinarie, rappresenti un fattore in questo momento sufficiente per rassicurarci ed indurci ad approvare l’emendamento proposto dall’onorevole Uberti, con le aggiunte suindicate.

Riguardo all’emendamento dell’onorevole Sardiello, fatto proprio dall’onorevole Musolino, osservo che la loro richiesta si trova già consacrata – per quanto non con le stesse parole, ma sicuramente in modo intero nella sostanza – nell’ultima parte del terzo comma dell’articolo 122 del progetto.

Infatti, dopo essersi detto che «nella Regione sono costituiti organi di giustizia amministrativa di primo grado secondo l’ordinamento da stabilire con legge della Repubblica», si aggiunge che «possono istituirsi sezioni con sede diversa dal capoluogo della Regione».

Indubbiamente questa affermazione espressa fu fatta perché queste sezioni vengano istituite nei capoluoghi di provincia. Quindi, approvando questo terzo comma, credo che gli onorevoli Sardiello e Musolino possano vedere sodisfatta l’esigenza da essi presentata.

BUBBIO. Onorevole Presidente, chiedo di parlare contro l’emendamento dell’onorevole Lami Starnuti.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà, per quanto già l’onorevole Ambrosini abbia assolto a questo compito.

BUBBIO. L’onorevole Ambrosini ha assolto benissimo questo compito, ma mi si consenta che anch’io mi dichiari contro l’emendamento del collega onorevole Lami Starnuti. Il suo emendamento invero tende a trasformare l’attuale controllo degli enti locali nell’esplicazione di un semplice parere, il che in sostanza è larvatamente derisorio. Si dichiara insomma che rimane una specie di controllo, ma lo si risolve soltanto in un parere, che gli enti sono padronissimi di accettare o di non accettare, senza sanzione alcuna se essi non vorranno seguire il consiglio; e ciò non è un controllo, ma solo la esplicazione di un’opera consultiva ad effetto ritardato, che del controllo ha il colore, ma non la sostanza.

Ora, se tutti siamo autonomisti in teoria, tuttavia dobbiamo onestamente riconoscere che l’abolizione radicale dei controlli non sia ancora matura, specialmente in questo periodo di ricostruzione, in cui tanti enti locali si dibattono in difficoltà funzionali e finanziarie gravissime. Né si dimentichi che se non mancano saggi e competenti amministratori, è generale la lagnanza sulla deficienza dei quadri, giacché si è perduto un po’ lo stampo degli antichi amministratori, più o meno togati, ma muniti di lesina e di occhiali, che per preparazione e serietà davano pieno affidamento. Penso quindi che al momento attuale non sia matura questa specie di riforma rivoluzionaria, come l’ha chiamata, l’onorevole proponente; ed in base alla modesta esperienza che ho potuto acquisire quale funzionario prima ed amministratore poi, posso dire che, malgrado i controlli attuali di legittimità e di merito sugli enti locali a mezzo della Prefettura e della G.P.A., infiniti errori ancora si commettono da parte degli enti stessi; donde una ragione maggiore per mantenere ancora in vita, almeno in questo periodo, tali controlli. Conseguentemente sono d’accordo con l’onorevole Ambrosini, che in fondo è dello stesso parere dell’onorevole Uberti, di rimandare a leggi speciali questa materia.

PRESIDENTE. Chiederò ora ai presentatori degli emendamenti se intendono mantenerli.

I seguenti emendamenti si intendono decaduti, per assenza dei proponenti:

«Sostituirlo col seguente:

«In ogni Regione è costituita una sezione distaccata della Corte dei conti, cui compete il controllo preventivo di legittimità sugli atti dell’Amministrazione regionale, e quello successivo sulla gestione del bilancio della Regione.

«Sono inoltre istituiti organi elettivi di giustizia amministrativa di primo grado, i cui membri possono essere scelti soltanto fra cittadini in possesso di determinati requisiti tecnici, secondo le disposizioni che saranno dettate per legge.

«Il controllo di legittimità sugli atti dei Comuni è esercitato dalle medesime sezioni regionali della Corte dei conti.

«Codignola».

«Sostituire il secondo e il terzo comma col seguente:

«Il controllo di legittimità sugli atti dei Comuni e delle Provincie è esercitato nei modi e nei termini che la legge stabilirà.

«Romano».

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Il controllo di legittimità sugli atti dei Comuni e degli altri enti pubblici locali è esercitato da un organo dello Stato con sede nel capoluogo di Provincia. Il controllo di merito è esercitato dalla Giunta provinciale.

«Zotta, Dominedò».

Segue l’emendamento dell’onorevole Rescigno:

«Al secondo comma, dopo le parole: Il controllo di legittimità sugli atti, aggiungere le altre: delle Provincie e».

Onorevole Rescigno, lo mantiene?

RESCIGNO. Lo mantengo perché mi sembra una conseguenza del fatto che la Provincia è rimasta come ente autonomo.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Lami Starnuti, così modificato su proposta dell’onorevole Persico:

«Sostituire il secondo periodo del secondo comma col seguente comma:

«Per le deliberazioni amministrative degli enti locali sottoposte dalla legge a controllo di merito, l’organo di tutela ha soltanto facoltà di chiedere al Consiglio dell’ente deliberante, con provvedimento motivato, il riesame della deliberazione».

Onorevole Lami Starnuti, lo mantiene?

LAMI STARNUTI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Segue un altro emendamento dell’onorevole Rescigno:

«Al terzo comma, sostituire l’ultimo periodo col seguente:

«Possono istituirsi sezioni nei capoluoghi delle Provincie».

Onorevole Rescigno, lo mantiene?

RESCIGNO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Sardiello:

«Al terzo comma, sostituire il secondo periodo col seguente:

«Sezioni degli organi di giustizia predetti devono sorgere nel capoluogo di ciascuna Provincia con giurisdizione sulla Provincia stessa».

Questo emendamento è stato fatto proprio dall’onorevole Musolino, al quale chiedo se lo mantiene.

MUSOLINO. Lo trasformo in raccomandazione.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Camposarcuno:

«Aggiungere il seguente comma:

«Il controllo di merito avrà luogo quando è impegnato il bilancio della Regione per oltre cinque anni, a meno che la relativa deliberazione non sia sottoposta a referendum popolare su richiesta di un ventesimo degli elettori entro un mese dalla pubblicazione della deliberazione».

Onorevole Camposarcuno, lo mantiene?

CAMPOSARCUNO. Siccome questo grave problema dei controlli, in definitiva la Commissione ha proposto che sia rinviato alla legge ordinaria ed ha dichiarato di accettare la proposta dell’onorevole Uberti, aderisco a tale proposta e non insisto sul mio emendamento.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Mortati:

«Sugli atti amministrativi della Regione il controllo di legittimità è esercitato in forma decentrata da organi costituzionali in ogni Regione, coordinati con la Corte dei conti. Il controllo di merito sulla gestione finanziaria della Regione, limitato ai casi in cui questa richieda contributi straordinari, sarà regolato dalle leggi».

Onorevole Mortati, lo mantiene?

MORTATI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Vi è poi l’emendamento dell’onorevole Uberti:

«Sostituire i primi due commi coi seguenti:

«Il controllo sugli atti dell’Ente regionale è esercitato dagli organi e nelle forme e modi indicati dalle leggi della Repubblica.

«Sono istituiti, nei modi stabiliti dalla legge, organi regionali di controllo sugli atti delle Provincie, dei Comuni e degli altri enti locali».

Onorevole Uberti, lo mantiene?

UBERTI. Per venire incontro alle preoccupazioni dell’onorevole Mortati sostituisco alla dizione «Il controllo» l’altra «controllo di legittimità», in modo che viene escluso per le Regioni il controllo di merito.

PRESIDENTE. Onorevole Ambrosini, la Commissione è d’accordo con la proposta dell’onorevole Uberti?

AMBROSINI. Accettiamo.

TOSATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSATO. Nel testo dell’onorevole Uberti, modificato e accettato dalla Commissione, alla espressione: «è esercitato in forma decentrata» sostituirei l’altra: «è esercitato da organi decentrati dello Stato».

PRESIDENTE. È necessario che si raggiunga un accordo su questi emendamenti.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Se al signor Presidente non dispiacesse, pregherei di sospendere brevemente la seduta, per tentare di trovare un punto d’incontro fra gli emendamenti che sono in discussione, o quanto meno apportare quelle variazioni di forma che appaiono necessarie dopo le varie osservazioni che sono state fatte.

Credo che questo breve periodo sarebbe facilmente riguadagnato.

PRESIDENTE. Non credo sia il caso di sospendere formalmente la seduta. Invito i colleghi che hanno nuove proposte da fare, ad accordarsi in Aula, su di una formula unica.

(Così rimane stabilito).

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ambrosini ad informare l’Assemblea del risultato dello scambio di idee.

AMBROSINI. L’onorevole Mortati pare che sia disposto a ritirare il suo emendamento, in considerazione della difficoltà di trovare una nuova formula di accordo. Comunque penso che l’onorevole Mortati voglia chiarire la sua determinazione.

PRESIDENTE. L’onorevole Mortati ha facoltà di parlare.

MORTATI. Tenuto conto delle difficoltà incontrate per giungere ad un accordo più sostanziale, penso che ci si potrebbe limitare ad affermare il principio che le due forme di controllo sugli atti delle Regioni e degli enti minori si effettuino in modo decentrato, rinviando alla legge le ulteriori determinazioni.

PRESIDENTE. Quindi l’onorevole Mortati accetta il testo originario dell’emendamento Uberti, senza l’aggiunta al primo comma delle parole: «di legittimità» e con le modificazioni apportate dalla Commissione.

Comunico che l’onorevole Lami Starnuti ha sostituito il suo precedente emendamento con il seguente, che porta le firme anche degli onorevoli Dozza e Fedeli:

«Il controllo di merito è limitato alle deliberazioni indicate dalla legge e si esplica soltanto promuovendo con richiesta motivata il riesame da parte dell’Ente deliberante».

Passiamo allora alla votazione.

Il testo base accettato dalla Commissione è il seguente:

«Il controllo sugli atti dell’Ente regione è esercitato, in forma decentrata e coordinatamente ai servizi della Corte dei conti, dagli organi, nelle forme e nei limiti indicati dalle leggi della Repubblica.

«Sono istituiti nei modi stabiliti dalla legge organi regionali di controllo sugli atti delle provincie, dei comuni e degli altri Enti locali.

«Nella Regione sono costituiti organi di giustizia amministrativa di primo grado secondo l’ordinamento da stabilire con legge della Repubblica. Possono istituirsi sezioni con sede diversa dal capoluogo della Regione».

Al primo comma l’onorevole Rescigno ha proposto che dopo le parole: «atti dell’Ente regione» siano aggiunte le parole: «e delle Provincie».

La Commissione accetta questo emendamento?

AMBROSINI. Accettiamo l’emendamento Uberti, in cui si parla solo di Regione.

PRESIDENTE. Procediamo alla votazione per divisione del testo Uberti modificato e accettato dalla Commissione.

Pongo in votazione le parole del primo comma:

«Il controllo sugli atti della Regione».

(Sono approvate).

Pongo in votazione la proposta aggiuntiva dell’onorevole Rescigno:

«e delle Provincie».

(Non è approvata).

Passiamo alla votazione della seconda parte del primo comma:

«è esercitato in forma decentrata e coordinatamente ai servizi della Corte dei conti dagli organi, nelle forme e nei limiti indicati dalle leggi della Repubblica».

GRAZI. Chiedo di parlare per una dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRAZI. Tutto questo articolo non ha nessun senso. (Vivi rumori al centro). Pertanto voterò contro. Oggi stiamo prendendo decisioni gravissime su problemi molto seri con estrema leggerezza. (Rumori al centro). Stiamo prendendo decisioni non applicabili…

Voci al centro. Non è vero!

GRAZI. È così! Bisogna non aver alcuna pratica amministrativa per accettare le proposte fatte in questo momento. (Vivi rumori al centro).

TOSATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSATO. Mi pare che si sia caduti in un equivoco, onorevole Presidente, perché l’emendamento dell’onorevole Uberti, accettato in definitiva dall’onorevole Mortati, non faceva nessun accenno all’obbligo del coordinamento degli organi locali con l’organo centrale della Corte dei conti, ma si limitava soltanto ad indicare il principio del controllo in forma decentrata degli organi regionali, coordinandolo con la Corte dei conti.

PRESIDENTE. Non si tratta di equivoco, onorevole Tosato. L’onorevole Ambrosini, a nome della Commissione, ha dichiarato di includere questa formula, allo scopo di venire incontro all’idea manifestata dall’onorevole Mortati e l’onorevole Uberti aveva acceduto. Quindi io ero nel dovere di redigere in questa forma il testo da sottoporre alla votazione.

RUINI. Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Desidero precisare questo: in un primo tempo l’onorevole Ambrosini si riferì agli emendamenti. Poi vi fu quel breve intervallo in cui ci siamo riuniti e, vista la complessità delle questioni, l’onorevole Mortati acconsentì ad adottare il testo proposto dall’onorevole Uberti, senza altra aggiunta, che quella: «in forme decentrate».

PERSICO. Chiedo che si dia di nuovo lettura del testo posto in votazione.

PRESIDENTE. Il testo è il seguente: Il primo comma dice:

«Il controllo sugli atti della Regione è esercitato in forma decentrata e coordinatamente ai servizi della Corte dei conti dagli organi, nelle forme e nei limiti indicati dalle leggi della Repubblica».

Il secondo comma è del seguente tenore:

«Sono istituiti, nei modi stabiliti dalla legge, organi regionali di controllo sugli atti delle provincie, dei comuni e degli altri enti locali».

Il terzo comma è quello del vecchio testo:

«Nella Regione sono costituiti organi di giustizia amministrativa di primo grado secondo l’ordinamento da stabilire con legge della Repubblica. Possono istituirsi sezioni con sede diversa dal capoluogo della Regione».

LAMI STARNUTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LAMI STARNUTI. Non vorrei che sulla votazione avvenisse un equivoco. Sulla materia che abbiamo ora trattato vi era, nel progetto, un preciso e dettagliato articolo. Il Comitato dei Diciotto, all’ultim’ora, propone di abbandonare quel testo per intiero. Ma il nostro emendamento riguarda soltanto l’ultima parte dell’articolo 122 del progetto, perché noi accettiamo la prima parte dell’articolo stesso. Di conseguenza di fronte all’abbandono, da parte del Comitato dei Diciotto, del testo del progetto, dichiariamo di far nostre le prime parti dell’articolo 122 del progetto e di votare contro l’emendamento Uberti, perché questo emendamento Uberti elude il problema dell’autonomia delle Regioni e degli enti locali che noi abbiamo posto.

Quando l’Assemblea Costituente discusse le modificazioni alla legge comunale e provinciale e noi sollevammo allora il problema del controllo di merito, chiedendo, come aveva già chiesto il Congresso Nazionale dei Sindaci d’Italia, l’abolizione di quel controllo, si rispose da altri banchi che la tenuità delle proposte di legge allora in discussione non consentiva di affrontare questo problema essenziale alla vita dei comuni. Si disse allora che, essendovi nel progetto di Costituzione un articolo 122, che risolveva nelle linee generali il problema, lasciando intatta come deve essere, la tutela di legittimità, ma sopprimendo il controllo di merito, il quale è sempre ingiusto e qualche volta iniquo, noi ritirammo le nostre proposte, abbandonammo la discussione in quella sede ed in quel giorno, per riportare il problema della autonomia della Regione e degli enti locali in sede di discussione della Costituzione. Stamani, l’onorevole Uberti, forse per dare unità negativa alla discordia dei suoi amici politici su questo problema, (Commenti al centro) vuole rinviare alla legge il controllo amministrativo sugli enti locali. Dobbiamo opporci a questo tentativo dilatorio. Chiedendo la soppressione del controllo di merito, noi siamo nella tradizione democratica e socialista d’Italia. Per trent’anni, prima del fascismo, si era combattuto perché i controlli di merito sparissero dalla vita degli enti locali. Ritornati ora ad un regime di democrazia e di libertà, noi riprendiamo quella battaglia per la libertà e l’autonomia degli enti locali. (Interruzioni – Commenti). Forse voi che gridate non sentite l’importanza politica e morale di questa battaglia. Peggio per voi. Noi continuiamo, ripeto, la tradizione democratica e socialista di questa parte della Camera e chiediamo all’Assemblea Costituente di volere oggi sancire in modo definitivo la libertà e l’autonomia degli enti locali.

Quando il relatore onorevole Ambrosini dice che nel progetto di Costituzione c’è già, a garanzia, l’articolo 121, fa un’affermazione che non è del tutto esatta. L’articolo 121 dichiara l’autonomia dei Comuni nell’ambito dei principî fissati dalle leggi generali della Repubblica, il che significa tutto e significa niente, essendo l’articolo 121 un semplice rinvio alla legge ordinaria. Quando l’onorevole Ambrosini ci dice che non dobbiamo essere diffidenti verso le Assemblee legislative future, io rispondo che la questione non si pone in questi termini: non si tratta di essere diffidenti verso le Assemblee legislative; si tratta di chiedere per i Comuni, per le Provincie, per le Regioni, la garanzia costituzionale di libertà e di autonomia, che anche le persone fisiche ricevono dalla Carta costituzionale repubblicana. Ecco perché noi manteniamo il nostro emendamento; ecco perché noi chiediamo all’Assemblea Costituente di respingere le proposte dell’onorevole Uberti. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. La questione della procedura mi pare, quindi, che sia stata abbastanza chiarita; c’è il testo dell’onorevole Uberti, che è divenuto testo base della Commissione e c’è il vecchio testo della Commissione che è stato riassunto dall’onorevole Lami Starnuti, come proprio emendamento, salvo la sostituzione del secondo comma con la formula della quale ho dato lettura poco fa. Così si pone la questione attualmente. Possiamo quindi procedere alla votazione.

LAMI STARNUTI. Noi chiediamo l’appello nominale su questo articolo 122.

GULLO FAUSTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO FAUSTO. A nome del Gruppo comunista mi associo alle parole dell’onorevole Lami Starnuti. Che cosa significa rinviare alla legge la modalità cui deve informarsi il controllo dell’attività amministrativa della Regione, dei Comuni e delle Provincie?

Rinviare alla legge il dettaglio può capirsi e si capisce. Ma qui è necessario che la Costituente affermi il principio direttivo. Perciò io ritengo che non si possa né si debba prescindere da questa necessità.

Ho parlato qui contro l’ordinamento regionale dello Stato; ma ora penso che se l’Assemblea ha approvato questo ordinamento, nulla sarebbe di più dannoso per il Paese che non cercare con tutti i mezzi di ricavare dall’ordinamento stesso quanto di vantaggioso e di utile esso può dare. Non ci potrebbe essere nulla di più dannoso che dar luogo, invece, a qualcosa di ibrido e di non ben definito. Aver creato le Regioni, affermare di voler dare ai comuni ed alle Provincie la loro piena autonomia e, nello stesso tempo, assoggettarli al continuo controllo di merito dell’autorità centrale significa una sola cosa: avere dei due sistemi tutti i danni, senza conseguire nessun vantaggio.

Ma io intendo parlare di ciò anche come meridionale. Sentivo dire poco fa dall’illustre Presidente della Commissione dei Settantacinque: «Ma come si fa a prescindere da un controllo di merito ogni qualvolta lo Stato sovvenzioni una regione, una provincia, un comune?». Lo Stato, così, acquista il diritto – secondo il Presidente della Commissione dei Settantacinque – di esaminare anche nel merito l’attività della Regione…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No, no.

GULLO FAUSTO. Come meridionale, rispondo: quando avete creato la Regione e avete ad essa demandato un’attività legislativa attraverso la quale la Regione deve provvedere da sola ai propri interessi, sodisfare i propri bisogni, voi sapevate che vi sono regioni dell’Italia meridionale che non possono avere risorse bastevoli a tale bisogna. Una volta che voi le scindevate, sia pure soltanto amministrativamente, dall’unità dello Stato, voi sapevate bene che creavate un ente che non poteva bastare a se stesso. Questo significa senz’altro condannare fin da questo momento tutte le regioni del Mezzogiorno d’Italia a sottostare ad un controllo ancor più penoso, ancor più dannoso di quello finora avuto, perché non vi sarà Regione del Mezzogiorno d’Italia che, avendo assoluto bisogno dell’aiuto dell’autorità centrale, non venga sottoposta in tal guisa al pesante controllo di merito dell’autorità centrale stessa.

Abbiamo creato le Regioni, affermiamo di volere l’autonomia dei comuni e delle provincie, ebbene diamo a queste regioni, a queste provincie, a questi comuni la possibilità di esplicare la loro attività in un regime di piena libertà, senza vedersi continuamente ostacolati e controllati da un’invadente autorità centrale. Con ciò non si otterrebbe che questo scopo solo: che noi, nonché risvegliare le attività locali e dare ad esse un impulso maggiore, le aduggeremmo e le mortificheremmo.

Non vi è motivo perché si rinvii alla legge speciale la affermazione del principio generale. Noi siamo qui adunati come Costituente; abbiamo come tale approvato l’ordinamento regionale dello Stato; abbiamo come tale affermato il diritto all’autonomia degli enti locali. Noi dobbiamo oggi affermare che un solo controllo è lecito da parte dell’autorità centrale, ed è il controllo di legittimità.

Ha detto, e ben detto, l’onorevole Lami Starnuti che il diritto alla libertà, così come agli individui deve essere riconosciuto agli enti locali. Solo così noi possiamo fare degli enti locali forze operose ed attive nell’ambito della Patria comune. (Applausi a sinistra).

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Gli onorevoli colleghi Lami Starnuti e Fausto Gullo, nei loro accesi interventi hanno tentato di far apparire che quelli come noi che hanno maggiormente difeso e nelle Commissioni e qui in Assemblea le autonomie regionali e locali, ripieghino oggi. L’onorevole Lami Starnuti, certo conoscendo il mio preciso pensiero, pur usando parole forti, ha detto espressamente che non poteva trattarsi di manovra.

Coloro che sono stati presenti questa mattina quando l’ho illustrato, hanno certo compreso che ben altro è il valore del mio emendamento, cioè come vi siano nel problema dei controlli così vasti e complesse questioni, che non è possibile risolvere in una discussione tanto affrettata come quella che stiamo ora, per forza di cose, conducendo. Si rischierebbe veramente di non risolvere nulla. Una volta deliberata una soluzione, con una norma costituzionale, non potrebbe essere modificata senza una revisione della Costituzione.

Non solo – dissi – vi è distinzione fra controllo di merito e controllo di legittimità, ma anche fra controllo interno e controllo esterno alla Regione; e l’onorevole Lami Starnuti non può non ricordare che, durante i lavori della seconda Sottocommissione, noi abbiamo sostenuto che il controllo debba essere interno, nella Regione.

Consegue da ciò evidentemente che una interpretazione come quella dell’onorevole Gullo è completamente illegittima e arbitraria. Consegue che egli ha falsato completamente tutti i precedenti del mio emendamento, che vuole semplicemente dire che, di fronte alla difficoltà odierna di stabilire i controlli nei confronti dei vari enti, come, per esempio, per quello che riguarda la provincia, che noi abbiamo deciso sia un ente autarchico, ma per la quale non abbiamo stabilito come questo ente autarchico dovrà essere organizzato, se cioè vi dovrà essere ancora il Consiglio provinciale e così via; di fronte, dicevo, a questa estrema difficoltà, a questa assoluta carenza di necessaria determinazione e precisazione, appare assolutamente impossibile pretendere di definire oggi i controlli.

Sarebbe dunque, a mio vedere, fare opera per lo meno pericolosa, se noi persistessimo nell’idea di voler legare le mani al futuro Parlamento su quello che dovrebbe essere domani il controllo degli enti locali.

Perché ho presentato questo emendamento? Perché noi non sappiamo come dovrà funzionare l’ente che dovrebbe esercitarlo. Ho sentito, infatti, formulare la proposta di affidare questo controllo alla Corte dei conti. Ora – io ho detto – potrà anche darsi che la Corte dei conti sia idonea ad assolvere a questo compito, ma è evidente che, prima di decidere intorno a questa questione, dovremo vedere se il nuovo Parlamento manterrà la Corte dei conti così come oggi essa è costituita, o se vorrà invece modificarla.

Non è quindi legandoci le mani attraverso norme improvvisate che noi possiamo pretendere di risolvere questa questione. Noi abbiamo discusso, onorevole Lami Starnuti, in moltissime sedute questo problema dei controlli, ed una cosa sola è certa: che ad una soluzione veramente perfetta, che dia a tutti piena tranquillità, siamo ben lungi dall’essere pervenuti. Non è infatti, come ho già detto, soltanto questione di distinzione o di misura, ma è anche e soprattutto dell’organo adatto ad esercitare il controllo.

Non basta che noi semplicemente indichiamo quest’organo, ma occorrerà che precisiamo come esso debba funzionare.

È dunque per queste ragioni che io mi ribello a che si dia un’interpretazione antiautonomistica, antiregionalistica al mio emendamento. Voi volete negare ogni controllo o limitarlo al massimo. Non è qui che sta la vera autonomia. Anche lo Stato – che realizza il massimo di autonomia – organizza nel suo interno i controlli con la Corte dei conti e tutta la giurisdizione amministrativa. Forse che un comunello, che può essere amministrato faziosamente, ha meno necessità di controlli che l’ente massimo, lo Stato? Il mio emendamento sta nello spirito della riforma autonomistica che abbiamo votato. Rimandiamo al Parlamento nuovo, dove, con più calma, con più largo esame, invece del poco tempo di cui possiamo ancora disporre in questa Assemblea, si potrà arrivare ad una soluzione concreta, positiva, conforme a quello che è il tenore, lo spirito, l’anima della nuova Costituzione. (Applausi al centro – Commenti a sinistra).

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Impostata la questione così come è stata presentata, e attraverso le proposte del collega Uberti e quelle del collega Lami Starnuti, io, in coscienza, a questo punto non potrei fare altro che votare l’emendamento Lami Starnuti.

Però è indispensabile che io faccia qui alcune dichiarazioni per chiarire, se è possibile, questo punto, che è fondamentale nella vita amministrativa del nostro Paese. Credo che se questo emendamento Lami Starnuti fosse approvato dalla maggioranza di questa Assemblea, farebbe apparire gran parte dei colleghi della Democrazia cristiana oppositori di questo principio, mentre in realtà così non è stato. E che così non sia stato ce lo dice la nostra esperienza nelle discussioni della seconda Sottocommissione. Noi dobbiamo dichiarare, invece, che il collega Uberti principalmente, e non solo il collega Uberti, ma altri colleghi della Democrazia cristiana hanno come noi affermato il principio dell’autonomia, la necessità di sopprimere il controllo di merito, attraverso il quale arbitrariamente poteva esercitarsi il potere esecutivo. Su questo noi eravamo d’accordo. E io credo che il collega Uberti e gli altri colleghi hanno presentato l’ultimo emendamento esclusivamente come un onesto espediente per evitare una lunga discussione e rimandare alla legge; rimandare alla legge non già con uno scopo equivoco e fazioso, ma per non perdere tempo.

Poiché questo effetto non è stato raggiunto – e, infatti, noi in questo momento perdiamo del tempo – io credo che tanto il collega Uberti quanto i suoi colleghi possono rivedere la questione e che possiamo accordarci insieme su questo punto, sul quale tutti ci siamo già trovati d’accordo. Su questo principio fra noi non c’è stata nessuna opposizione. E allora, perché reclamiamo un voto, dal quale non potrebbe nascere che un equivoco?

CONTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONTI. Mi associo alle considerazioni dell’onorevole Lussu.

DOZZA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOZZA. Tutti o quasi tutti i partiti del nostro Paese, dopo la liberazione, si sono affermati fautori dell’autonomia comunale e dell’autonomia degli enti locali. Questa autonomia si esprimeva in modo fondamentale attraverso l’abolizione del controllo di merito e il mantenimento del solo controllo di legittimità.

Se vi è ora qualcuno che abbia cambiato opinione, è bene che questo sia affermato chiaramente e apertamente, in modo che si voti in piena chiarezza. Noi siamo rimasti della stessa opinione. Noi pensiamo che gli organi di controllo debbono esercitare il controllo di legittimità e non il controllo di merito. (Commenti al centro).

Oggi ci si viene a dire che si tratta di stabilire quali sono gli organi che devono esercitare questo controllo. Non mi pare che questo sia il problema in discussione, perché anche attraverso l’emendamento che è stato presentato dall’onorevole Lami Starnuti, e al quale io ho aderito, il problema in dettaglio di quali siano gli organi, di quali siano i modi attraverso i quali questo controllo deve essere esercitato, non è risolto e rimane impregiudicato.

Noi però restiamo fermi sul punto che il controllo deve essere di legittimità è non di merito.

Su questo punto noi restiamo fermi, perché, pensiamo che la difesa del solo controllo di legittimità sia la difesa di uno dei postulati della democrazia; di uno dei postulati ai quali l’onorevole Lami Starnuti si è giustamente richiamato e che è stato oggetto di lotte per le conquiste democratiche, non solo prima della liberazione, ma anche per molti decenni prima che il fascismo abolisse completamente ogni forma di funzionamento autonomo degli enti locali nel nostro Paese. Io credo che queste siano delle resistenze che riproducono o vogliono mantenere qualcosa di quel controllo centralizzato che fu realizzato dal fascismo e che oggi non è ancora completamente abolito.

CODACCI PISANELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODACCI PISANELLI. Se a questa discussione, che va assumendo carattere politico, si fosse premessa una precisazione di concetti, penso che non avrebbe potuto accalorarsi tanto.

Tutta la questione è se ammettere o non ammettere il controllo di merito, inquantoché è stato detto che il controllo di merito è stato uno strumento della tirannia, e che quindi esso va escluso a garanzia della libertà.

Faccio presente ai colleghi che si trattava soprattutto degli uomini che si servivano di quel tipo di controllo, non del controllo in se stesso. (Commenti a sinistra).

E adesso spiego. Se i colleghi hanno tanto timore per il controllo di merito, mentre ammettono il controllo di legittimità, sarà bene considerino che chi abbia veramente intenzione di giungere alla tirannia, potrà farlo ugualmente in base al solo controllo di legittimità. Tale controllo, infatti, consentendo anche di sindacare l’eventuale sviamento di potere, cioè l’eventuale uso di un potere per fini diversi da quello per cui è stato attribuito dalla legge, permette di giungere ad un sindacato che quasi equivale a un controllo di merito.

Noi con la nostra formula abbiamo voluto lasciare impregiudicata la questione. Abbiamo parlato di controllo, non perché vogliamo ammettere sempre il controllo d merito, ma perché, in casi particolari, non sia escluso dalla legislazione futura anche questo controllo, che ha pure la sua importanza.

E infine mi permetto di ricordare che, contrariamente a quanto è stato affermato, non c’è un movimento degli esperti contro il controllo di merito, contro questa possibilità di rilevare la invalidità degli atti per vizio di merito, ma anzi si è affermato che le norme in base a cui si procede al controllo di merito devono avere anch’esse una esistenza reale ed oggettiva, cosicché sia consentito agli organi superiori di giustizia amministrativa di intervenire, nel caso in cui si faccia abuso della potestà di controllo.

Per tale ragione abbiamo proposto di porre semplicemente la formula «controllo», lasciando impregiudicata la questione per quanto riguarda la legge futura.

Ma non si tenti di dare significato politico a questa nostra proposta, perché si tratta soltanto di correttezza amministrativa. Non vogliamo assolutamente consentire abusi che, del resto, sarebbero ugualmente possibili – come ho detto – anche attraverso il controllo di legittimità (Interruzione del deputato Gullo Fausto) estensibile fino al sindacato per sviamento di potere.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Mi pare che la discussione si sia eccessivamente allargata. Intanto richiamo l’attenzione dell’Assemblea sul fatto che il primo oggetto su cui si deve deliberare concerne il controllo sugli atti amministrativi della Regione. Ora, su questo punto abbiamo due formule; una è quella del testo del progetto iniziale che dice: «Sugli atti della Regione è esercitato il controllo di legittimità da un organo centrale composto in maggioranza di elementi elettivi secondo l’ordinamento stabilito dalle leggi della Repubblica».

Nel testo dell’emendamento Uberti, per quanto concerne questa parte, vi è questa differenza: da un lato non si parla più di controllo di legittimità, ma di controllo in genere, dall’altro però si dice: «il controllo sarà esercitato da organi decentrati dello Stato (o qualcosa di simile) nei modi e forme stabiliti dalla legge».

Ora, a me pare che vi siano due problemi distinti che bisogna tener presenti: da un lato l’estensione del controllo, e dall’altro l’organo che esercita il controllo. Sul primo punto ritengo, personalmente, che per quanto concerne le Regioni (non c’è dubbio per me) il controllo debba limitarsi alla legittimità. Quindi sarei d’avviso di mantenere nel testo quella che era la formula del progetto iniziale, cioè a dire: «Sugli atti della Regione è esercitato il controllo di legittimità». Viceversa, per quanto concerne l’organo che è chiamato ad esercitare questo controllo, mi pare che sia più aderente a un concetto di autonomia e di decentramento la formula che è inserita nell’emendamento dell’onorevole Uberti. Ed era del resto inserita soprattutto nell’emendamento Mortati.

Perciò, in conclusione, per trovare una formula conciliativa, proporrei di dire così, per il primo comma: «Sugli atti della Regione è esercitato il controllo di legittimità da organi decentrati dello Stato nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge della Repubblica».

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Vorrei, se fosse possibile, pregare i colleghi di estraniare la nostra discussione da ogni presupposto politico desumibile dalle dichiarazioni dell’onorevole Lami Starnuti.

Vorrei richiamare, soprattutto, l’attenzione dei colleghi su un fatto fondamentale: che quando noi parliamo di controllo sugli enti locali, dal Comune alla Provincia, dalla Provincia alla Regione, questo controllo lo vogliamo per una ragione di ordine elementare: per mantenere allo Stato la possibilità di coordinare l’azione di questi enti locali in un quadro armonico che tenga conto di tutte le possibilità economiche. (Commenti a sinistra).

Noi stiamo allargando il concetto dell’autonomia degli enti locali fino al punto che a un certo momento allo Stato resteranno degli obblighi da adempiere senza nessuna possibilità di trovare i mezzi corrispondenti perché lo Stato non ha un patrimonio proprio. Di tutti gli enti locali, di tutte le persone fisiche e giuridiche (scusate se io parlo un momento da finanziere) lo Stato è il più pezzente che esiste perché non ha nulla. Ora, se lasciamo che gli enti locali attingano ad libitum nella materia tributaria e spendano come a loro piaccia i proventi e tributi riscossi, evidentemente togliamo allo Stato la possibilità perfino di compiere quell’azione perequatrice alla quale l’onorevole Gullo molto opportunamente si riferiva (ed io condivido perfettamente il suo punto di vista, perché la spesa media delle provincie e dei comuni nell’Italia meridionale era di un quarto e talvolta anche al di sotto della spesa media dei comuni e delle provincie dell’Italia centrale e settentrionale prima della guerra). Ed allora cerchiamo di coordinare un po’ gli obiettivi comuni, che sono quelli di accentuare il senso di autonomia degli enti locali, perché si affini negli uomini che li amministrano il senso di responsabilità, ma non facciamo in maniera che lo Stato resti privo della possibilità di adempiere alle sue funzioni. E badate che di funzioni allo Stato nella Costituzione ne abbiamo date tante che se dovesse assolverle tutte, i mezzi di cui dispone non basterebbero. Quindi accedo alla proposta fatta di trovare una formula che possa conciliare le varie tendenze, in maniera da arrivare ad una votazione nella quale tutti si possa essere concordi.

PRESIDENTE. Ritengo che attraverso le discussioni, le posizioni si siano chiarite. Il problema è questo: deve nell’articolo, così come aveva deciso la Commissione dei Settantacinque, parlarsi specificatamente di controllo di merito e di legittimità? Da una parte vi è chi sostiene che non occorra dire nulla a questo proposito, lasciando alla legge futura qualunque determinazione. Secondo altri occorre, invece, che l’Assemblea dica se sussiste il solo controllo di merito o se sussiste anche il controllo di legittimità.

Seconda questione: quale organo deve eventualmente esercitare questi controlli qualora l’Assemblea dichiari che questi controlli debbano sussistere. Vi è una proposta la quale vuole che si affermi che l’organo che dovrà esercitare il controllo di legittimità sia un organo centrale.

Vi è un’altra proposta, quella dell’onorevole Uberti, che sostiene la tesi di un organo decentrato. In questa proposta si parla veramente di «un controllo esercitato in forma decentrata», il che potrebbe lasciare supporre che l’organo potrebbe essere centrale, ma funzionante in forma decentrata.

Vi è poi un terzo punto sul quale l’onorevole Perassi non ha richiamato l’attenzione. Mentre nel testo della Commissione dei Settantacinque si stabilisce che l’organo chiamato ad esercitare funzioni di controllo e di legittimità debba essere in maggioranza formato da elementi elettivi, negli altri testi non c’è alcun accenno in questo senso. Il che potrebbe far supporre che gli organi di controllo potrebbero anche essere di carattere burocratico.

Comunico una nuova formulazione proposta dagli onorevoli Piccioni e Moro:

«Il controllo di legittimità sugli atti amministrativi delle Regioni, delle Province, dei Comuni e degli altri enti locali è esercitato in forma decentrata da un organo dello Stato per le Regioni e da un organo regionale per gli altri enti con le forme e con i limiti stabiliti dalle leggi della Repubblica.

«La legge potrà, in determinati casi, consentire un controllo di merito al solo effetto di richiedere all’ente locale deliberante con istanza motivata il riesame della deliberazione».

Desidererei conoscere il parere dei presentatori di emendamenti su questa formulazione.

Onorevole Lami Starnuti, vi aderisce o insiste nella sua?

LAMI STARNUTI. Il nuovo emendamento che l’onorevole Presidente ha testé letto ripete in sostanza l’emendamento che noi avevamo presentato. La difformità mi pare sia data da quella parte del primo comma, nella quale il controllo di legittimità sulle Regioni è affidato ad un organo dello Stato.

Nel nostro emendamento, questo concetto di un controllo esterno, proveniente dai centro, era nettamente affermato. Infatti noi dicevamo: «Sugli atti delle Regioni è esercitato il controllo di legittimità da un organo centrale»; e per centrale s’intendeva un organo di Stato. Aggiungevamo soltanto: «composto in maggioranza di elementi elettivi». L’emendamento Piccioni diversifica dal nostro soltanto su questo punto.

Ci parrebbe eccessivo da parte nostra insistere e rendere impossibile una probabile unanimità dei voti dell’Assemblea per questa parte del problema.

Senza dubbio l’onorevole Piccioni nella sua formulazione non intende dire che l’organo dello Stato sia un organo necessariamente composto di elementi non elettivi e penso che egli aderirà al concetto che questa parte della questione sia rimandata alla legge.

Quando la legge comune preciserà nel dettaglio, nelle forme, nelle modalità il controllo di legittimità sulla Regione, stabilirà anche il modo di composizione dell’organo centrale, che questa tutela di legittimità dovrà compiere.

In questo senso e per queste ragioni noi aderiamo all’emendamento presentato dall’onorevole Piccioni e confidiamo che l’Assemblea vorrà unanimemente accoglierlo.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Ringrazio l’onorevole Lami Starnuti della sua adesione al nostro articolo sostitutivo e confermo che per parte nostra la interpretazione da dare alla formulazione in discussione è esattamente quella data dall’onorevole Lami Starnuti.

PRESIDENTE. L’onorevole Conti ha presentato il seguente emendamento sostitutivo:

«Sugli atti della Regione è esercitato il controllo di legittimità da organi decentrati dello Stato nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi della Repubblica.

«Il controllo di legittimità sugli atti delle Provincie, dei Comuni e degli altri enti locali, è esercitato da organi della Regione nei modi e limiti stabiliti dalle leggi della Repubblica.

«Per il merito delle deliberazioni dei Comuni e delle Provincie e degli altri enti può farsi luogo soltanto a richiesta motivata all’ente deliberante di riesaminare la deliberazione».

Sottolineo che la differenza fra la proposta dell’onorevole Conti e quella dell’onorevole Piccioni consiste in questo: l’onorevole Conti sostiene che sugli atti della Regione non è mai ammesso il controllo di merito.

L’onorevole Conti ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

CONTI. Questo rilievo del Presidente è molto importante e mi toglie l’obbligo di ripetere ciò che egli ha detto all’Assemblea: quindi nessun controllo di merito sugli atti delle Regioni.

Ma c’è un’altra differenza; io ho tenuto a distinguere i controlli di legittimità, che si possono ammettere per le Regioni, da quelli per i comuni e per le provincie. La Regione non si deve confondere con le provincie ed i comuni. Tengo molto a questa distinzione e credo che i colleghi regionalisti saranno d’accordo con me. Infatti la Regione non è un ente amministrativo, come lo sono i comuni e le provincie; la Regione è l’ente che abbiamo creato con la sua competenza anche legislativa. La differenza è evidente. Chiedo agli onorevoli Piccioni e Moro di consentire che la prima parte del loro emendamento sia formulata così come io l’ho redatta, e cioè si chiuda con un punto fermo. Seguirà la proposizione concernente i comuni e le provincie. Per il resto insisto perché sia stabilito che il controllo di merito sulle deliberazioni dei comuni, delle provincie e degli altri enti non può andare al di là del limite proposto e cioè oltre la richiesta motivata di un riesame della deliberazione, perché se si va al di là si viola il principio della autonomia e della libertà comunale. Per queste ragioni ho presentato una formulazione diversa da quella dell’onorevole Piccioni, più precisa e più incisiva, per stabilire i principî che hanno dominato questa Assemblea, quando ha deliberato la istituzione della Regione ed ha affermato la inviolabilità dell’autonomia regionale, provinciale e comunale.

PRESIDENTE. L’onorevole Nobile ha presentato il seguente emendamento:

«Per le funzioni amministrative delegate alle Regioni dallo Stato, questo potrà, a mezzo dei suoi organi, esercitare anche un controllo di merito».

Ha facoltà di svolgerlo.

NOBILE. A me pare evidente, onorevoli colleghi, la necessità di questo emendamento. Con l’articolo 12, ultimo comma, noi abbiamo dato la facoltà allo Stato di delegare alcune sue funzioni amministrative alle Regioni. Ora, lo Stato, delegando alle Regioni alcune sue funzioni amministrative, non può rinunciare a quel controllo di merito che egli eserciterebbe su quelle stesse funzioni se le adempisse in proprio. Questo è chiaro. Se, per esempio, lo Stato delegasse l’amministrazione delle scuole elementari, come potrebbe rinunciare anche ad un controllo di merito? Potrebbe darsi, come mi ha fatto osservare l’onorevole Tosato, che la facoltà dello Stato di istituire in siffatti casi un controllo di merito sia implicita; in ogni modo, chiarire questo punto a me sembra necessario.

PRESIDENTE. L’onorevole Ambrosini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

AMBROSINI. Non mi sento autorizzato a parlare a nome della Commissione, che non c’è tempo di consultare. Io personalmente posso dire che aderisco all’emendamento Piccioni.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. L’emendamento che avevo presentato è stato sostanzialmente accolto in quello dell’onorevole Piccioni. Vi è però un’osservazione, che è già stata svolta dall’onorevole Conti, il quale ha pure ripreso il mio emendamento come primo comma del suo. Noi riteniamo opportuno – ed a questo riguardo faccio un appello particolare a tutti coloro che hanno sostenuto il principio dell’autonomia regionale – che le disposizioni concernenti il controllo degli atti delle Regioni siano distinte, anche formalmente, da quelle relative agli altri enti locali, che vanno dalla Provincia fino alle Opere pie. Quindi, il primo comma del testo iniziale della Commissione dovrebbe restare con la formulazione Conti, la quale formulazione implica, come già è stato osservato, che sugli atti amministrativi della Regione non si fa luogo se non al controllo di legittimità.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Mi pareva che intorno al nostro articolo si fosse andata determinando una certa unità di vedute, molto desiderata nel corso di questa agitata discussione. Ora non so, se questa unità di vedute che si era costituita possa essere messa in forse dall’accettazione di alcuni dei punti prospettati dagli onorevoli Conti e Perassi.

Per quanto riguarda la struttura dell’articolo si può rimettere al Comitato di coordinamento la formulazione nel senso richiesto dall’onorevole Conti, una volta fissato il concetto.

Per quanto riguarda poi l’estensione alla Regione del controllo di merito, così come è stato formulato col nostro articolo, poiché non si tratta altro che di un invito ad un riesame per una più matura decisione, io non vedo come questo possa comunque vulnerare l’autonomia regionale.

Quindi pregherei, proprio in vista di questa unità o quasi unità che l’Assemblea potrebbe raggiungere intorno al nostro articolo, di non insistere su questa richiesta, salvo il coordinamento formale dell’articolo in sede di Comitato.

PRESIDENTE. Onorevole Nobile, la pregherei di dire se non ritiene che il suo emendamento sia assorbito nella formulazione ultima degli onorevoli Piccioni e Moro. Lei propone che per certe determinate funzioni vi sia il controllo di merito. Nella tesi dell’onorevole Piccioni si prevede un controllo di merito in certi determinati casi. Nulla esclude che quando la legge stabilirà questi casi la tesi da lei proposta possa essere eventualmente compresa. Ora, se lei ritiene, che, essendo stata posta la questione in Assemblea Costituente, questo richiamo è sufficiente, la prego di dichiararlo.

NOBILE. Sono d’accordo con quanto dice l’onorevole Presidente; però vorrei che il Comitato dicesse la sua parola in merito alla proposta che ho fatto.

PRESIDENTE. L’onorevole Tosato ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

TOSATO. Il Presidente ha già fatto una osservazione pertinente all’emendamento dell’onorevole Nobile. Per quanto riguarda la sostanza di questo emendamento dirò che la questione del controllo di merito è stata accettata relativamente alle funzioni proprie della Provincia, dei Comuni e della Regione. Qui si tratta però di funzioni delegate, cioè tali che restano allo Stato e che lo Stato trasferisce per quanto riguarda l’esercizio (non la titolarità) alla Regione, alla Provincia e ai Comuni.

È evidente che in questo caso lo Stato ha anche tutti i poteri di subordinare l’esercizio di queste funzioni trasferite alla Regione ad ogni possibile specie di controllo, sia preventivo, sia successivo, sia di legittimità, o di merito ecc. In questo senso ritengo che sia superfluo l’emendamento presentato dall’onorevole Nobile, perché l’esigenza che lo motiva è sodisfatta implicitamente dal fatto che si tratta di funzioni delegate.

PRESIDENTE. L’onorevole Nobile ha facoltà di dichiarare se insiste sul suo emendamento.

NOBILE. Dopo le dichiarazioni fatte dall’onorevole Tosato a nome della Commissione mi ritengo sodisfatto e ritiro l’emendamento.

DOZZA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOZZA. Dichiaro che voterò l’emendamento Piccioni-Moro unicamente per il fatto che l’onorevole Moro ha dichiarato di accettare l’interpretazione che dell’emendamento stesso ha dato l’onorevole Lami Starnuti.

PRESIDENTE. Onorevole Conti, lei mantiene la sua formulazione?

CONTI. Sì, la mantengo.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Pregherei l’onorevole Conti di non insistere sul suo emendamento al primo comma. La Commissione, in sede di coordinamento, potrà mettere a posto le cose ed accedere alle richieste di distinguere i controlli concernenti le Regioni da quelli concernenti gli altri enti.

CONTI. Mi rimetto alla Commissione per l’emendamento al primo comma e mantengo quello al secondo comma.

PRESIDENTE. Domando ai presentatori della richiesta di votazione per appello nominale, se vi insistano.

LAMI STARNUTI. Non insistiamo.

PRESIDENTE. Sta bene. Il testo base della votazione è quello degli onorevoli Piccioni e Moro.

Pongo in votazione il primo comma:

«Il controllo di legittimità sugli atti amministrativi delle Regioni, delle Provincie, dei Comuni e degli altri enti locali è esercitato in forma decentrata da un organo dello Stato per le Regioni e da un organo regionale per gli altri enti, con le forme e i limiti stabiliti per le leggi della Repubblica».

(È approvato).

Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Conti, sostitutivo del secondo comma:

«Per il merito delle deliberazioni dei Comuni, delle Provincie e degli altri enti può farsi luogo soltanto a richiesta motivata all’ente deliberante di riesaminare la deliberazione».

(Non è approvato).

Pongo ora in votazione il secondo comma nel testo Piccioni-Moro:

«La legge potrà in determinati casi consentire un controllo di merito, al solo effetto di richiedere all’ente locale deliberante, con richiesta motivata, il riesame della deliberazione».

(È approvato).

Pongo in votazione il primo periodo dell’ultimo comma:

«Nella Regione sono costituiti organi di giustizia amministrativa di primo grado secondo l’ordinamento da stabilire con legge della Repubblica».

(È approvato).

Pongo ora in votazione l’emendamento sostitutivo del secondo periodo dell’onorevole Rescigno:

«Possono istituirsi sezioni nei capoluoghi delle provincie».

(Non è approvato).

Pongo in votazione la formulazione della Commissione:

«Possono istituirsi sezioni con sede diversa dal capoluogo della Regione».

(È approvata)

L’articolo 122 è stato così approvato nella formulazione degli onorevoli Piccioni e Moro accettata dalla Commissione.

L’onorevole Romano ha presentato il seguente articolo 122-bis:

«I Consigli comunali e le Giunte provinciali possono essere sciolti quando compiono gravi violazioni di legge, con decreto motivato del Presidente della Repubblica, su proposta della Deputazione regionale e conforme deliberazione del Consiglio regionale».

Non essendo egli presente, l’articolo si intende decaduto.

Dobbiamo ora passare all’esame dell’articolo 125.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Prima di passare all’esame dell’articolo 125, mi permetto di fare una breve osservazione.

L’onorevole Presidente ricorderà che nella seduta successiva a quella nella quale venne adottato dall’Assemblea l’articolo 124, io ed il collega Mortati abbiamo fatto una riserva per quanto riguarda l’ultima frase di quell’articolo 124, secondo il quale lo statuto di ogni Regione, nel quale sono regolati certi aspetti del funzionamento interno della Regione, è adottato con legge deliberata dal Consiglio regionale a maggioranza assoluta dei suoi membri ed è approvato con legge della Repubblica. La riserva riguardava quest’ultima condizione, quella cioè di esigere che quella particolare legge regionale che è lo statuto, preveduto dall’articolo 124, debba essere sottoposta ad un regime di controllo diverso e più severo di quello che è previsto per le altre leggi regionali, prescrivendo che per lo statuto sia richiesta l’approvazione dello Stato mediante una legge formale. E la riserva che avevamo fatto era di riproporre il problema in sede di coordinamento. Ora, è sopravvenuto un fatto nuovo che autorizza, sotto un certo aspetto, a dar seguito a quella riserva.

Il fatto nuovo è che questa mattina, modificando il testo proposto dalla Commissione per quanto concerne lo scioglimento dei Consigli regionali, abbiamo sostituito alla deliberazione del Senato, che era prevista nel progetto, il parere di una Commissione parlamentare. È evidente che nessuno, il quale non si voglia nascondere la portata di questa modificazione, potrà disconoscere come con essa si sono, in qualche misura, diminuite le garanzie della Regione, in quanto il provvedimento del Presidente della Repubblica, che scioglie un Consiglio regionale, può essere preso sentito il parere di una Commissione parlamentare, anziché essere vincolato ad una previa deliberazione conforme del Senato.

Ora, per compensare, in certo senso, quanto si è tolto all’autonomia della Regione, mi pare che in sede di coordinamento il Comitato potrebbe ritenersi autorizzato a ristabilire un po’ di equilibrio, nel senso cioè di ritoccare la disposizione dell’articolo 124, sostituendo all’espressione «approvato con legge della Repubblica» una formula diversa e più tenue che potrebbe essere precisamente suggerita dalla modificazione adottata questa mattina. Quella Commissione permanente parlamentare, alla quale si è attribuita la delicatissima funzione di esprimere un parere, sulla necessità o meno di procedere allo scioglimento di un Consiglio regionale, mi sembra possa essere anche un organo perfettamente adatto per esaminare lo Statuto di una Regione, il quale contiene le norme relative a quelle particolari materie che sono indicate nell’articolo 124.

In questa maniera, il procedimento di formazione degli Statuti e di modificazione dei medesimi sarebbe notevolmente alleggerito, mentre le garanzie sarebbero pur sempre sufficienti. Faccio presente che, se invece la norma del progetto restasse, la conseguenza sarebbe che domani una qualsiasi modificazione di un qualsiasi comma dello statuto di una Regione non potrebbe essere fatta senza il procedimento macchinoso di una legge di approvazione adottata dalle due Camere. Mi pare che la sproporzione sarebbe tale che non vi sia bisogno di spendere altre parole per persuadere dell’opportunità di coordinare l’ultima frase dell’articolo 124 con lo spirito dell’ordinamento regionale.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Quale Presidente del Comitato di redazione dichiaro di acconsentire alla proposta dell’onorevole Perassi. Si cercherà, in sede di Comitato, la più adatta formulazione.

PRESIDENTE. Sta bene. Vuol dire allora che il Comitato riproporrà all’Assemblea la formulazione nuova.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Precisamente.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni rimane così stabilito.

(Così rimane stabilito).

Passiamo allora all’esame dell’articolo 125, il cui testo originario della Commissione non è stato da essa modificato. Se ne dia lettura.

DE VITA, Segretario, legge:

«Si può con legge costituzionale, sentiti i Consigli regionali interessati, disporre la fusione di Regioni esistenti e la creazione di nuove Regioni con un minimo di 500 mila abitanti, quando ne facciano richiesta tanti Consigli comunali che rappresentino almeno un terzo delle popolazioni interessate, e la proposta sia approvata per referendum dalla maggioranza delle popolazioni stesse.

«Si può, con referendum e legge della Repubblica, sentiti i Consigli regionali, consentire che Comuni, i quali ne facciano richiesta, siano staccati da una Regione ed aggregati a un’altra».

PRESIDENTE. A questo articolo, l’onorevole Codignola ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«La determinazione delle Regioni e dei rispettivi confini e capoluoghi è stabilita con legge costituzionale. La creazione di nuove Regioni con un minimo di 500.000 abitanti o la fusione di Regioni esistenti può essere disposta, con legge costituzionale, quando ne facciano richiesta il Senato della Repubblica, a maggioranza di due terzi dei membri, ovvero tanti Consigli comunali che rappresentino non meno della metà delle popolazioni interessate, e la proposta sia approvata dalle popolazioni stesse mediante referendum. Il passaggio di Comuni da una ad altra Regione, previo referendum delle popolazioni interessate, può essere disposto per legge, sentiti i relativi Consigli regionali».

Non essendo presente, si intende che abbia rinunciato a svolgerlo.

L’onorevole Persico ha presentato il seguente emendamento:

«Sopprimere il primo comma».

Ha facoltà di svolgerlo.

PERSICO. Onorevoli colleghi, brevissime parole per illustrare la finalità che mi sono proposto coll’emendamento soppressivo del primo comma dell’articolo 125.

Noi abbiamo stabilita l’esistenza delle Regioni, e, attraverso una discussione piuttosto difficile, abbiamo anche stabilito il loro numero. Se nella stessa Carta costituzionale fissiamo ora il principio che con legge costituzionale – anzi, c’è chi vuol sopprimere anche la parola «costituzionale», e quindi con legge semplice – sentiti i Consigli regionali interessati, si possano o fondere Ragioni esistenti (ipotesi, per la verità, che assai difficilmente si potrà verificare) o creare nuove Regioni con un minimo di 500 mila abitanti, data l’enorme quantità di Regioni che si volevano formare e dato che l’Italia ha 46 milioni di abitanti, noi arriveremmo a 92 Regioni, perché ogni zona di 500 mila abitanti si agiterà per diventare Regione e per avere nel suo seno il capoluogo della nuova Regione.

Mi pare che questo sia uno stimolo a creare sempre nuove Regioni; tanto più che la richiesta si può fare dai Consigli comunali che rappresentino almeno un terzo della popolazione, cioè 166 mila abitanti, e basta che ci sia in via di referendum l’approvazione della maggioranza della popolazione, cioè di 251 mila abitami. Di modo che sorgerebbe probabilmente il pericolo di avere una quantità di nuove Regioni che immediatamente chiederebbero di essere costituite.

Io non dico che in avvenire non si potranno, eventualmente, o fondere delle Regioni, o sodisfare ai bisogni di popolazioni che dimostrino la maturità necessaria e le possibilità economiche per formare una Regione; che non ci possano essere ragioni storiche, geografiche, etnografiche, per cui una nuova Regione possa sorgere; anche per lo sviluppo improvviso che può avere una certa zona, per esempio, per la scoperta di giacimenti minerari, per cui vi affluisca una nuova massa di popolazione, per la formazione di un nuovo centro industriale, ecc. Ma mettere nella Costituzione stessa un articolo nel senso proposto, significherebbe mettere un potente veleno nel nostro ordinamento regionale; perché immediatamente sorgerebbero queste nuove richieste, le quali avrebbero un duplice effetto: non solo di creare delle aspettative per lo più infondate a favore delle nuove Regioni che vorrebbero istituirsi, ma anche quello di disintegrare quelle esistenti, perché, quando in una Regione si formano dei movimenti centrifughi per spartirla in tre o quattro Regioni minori, la Regione finisce col perdere il suo carattere autonomo, di ente amministrativo che deve decentrare i poteri dello Stato, ma diventa un campo di lotta, in cui ognuno cerca di far prevalere la sua tesi o il suo interesse.

E allora avremmo la possibilità, che in certe zone d’Italia sorgano delle lotte intestine per far diventare capoluoghi di Regione gli antichi capoluoghi di Provincia, e, a poco a poco, come ho detto, il numero delle Regioni supererà anche quello delle antiche Provincie.

Ecco perché nella Costituzione non metterei questa norma. Certo, bisognerà stabilire un meccanismo, attraverso il quale, eventualmente, possa essere sodisfatta la necessità che sorga legittimamente, di creare una nuova Regione; ma se noi mettiamo questo articolo nella Costituzione, noi creiamo una ragione per la dissoluzione delle Regioni e per la discordia intestina fra le stesse parti di una unica Regione.

Ad evitare questi gravissimi inconvenienti, io propongo la soppressione del primo comma dell’articolo 125.

PRESIDENTE. L’onorevole Recca ha già svolto il seguente emendamento:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Si può con legge della Repubblica, senza che occorra il preventivo parere dei rispettivi Consigli regionali, disporre la fusione di Regioni esistenti e la creazione di muove Regioni, con un minimo di 500 mila abitanti, quando ne facciano richiesta tanti Consigli comunali che rappresentino almeno i due terzi delle popolazioni interessate, e la proposta sia approvata per referendum dalla maggioranza delle popolazioni stesse».

L’onorevole Mortati ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Con legge costituzionale, sentiti i Consigli regionali interessati, può essere disposta la creazione di nuove Regioni, mediante fusioni o scissioni di quelle esistenti, su proposta dei Consigli comunali che rappresentino almeno un terzo dell’intera popolazione della Regione o delle Regioni interessate, e con l’approvazione, in via di referendum, della maggioranza della popolazione stessa, sempreché la nuova Regione raggiunga un minimo di un milione e mezzo di abitanti».

Ha facoltà di svolgerlo.

MORTATI. Il mio emendamento riproduce sostanzialmente il testo originario della Commissione, con qualche modifica di forma che vorrebbe avere lo scopo di introdurre perfezionamenti tecnici nella prima parte, nella quale propongo di dire: «creazione di nuove Regioni mediante fusioni o scissioni di quelle esistenti», mentre il testo della Commissione, non sembra molto esattamente, tratta distintamente di creazione di nuove Regioni, o di fusione. Evidentemente, entrambi questi casi danno luogo alla creazione di nuove Regioni. Ma, a parte questo dettaglio tecnico, l’emendamento differisce dal testo originario soprattutto per la fissazione del requisito del minimo di popolazione richiesto per creare una nuova Regione. Mentre il testo esige, per la creazione di nuove Regioni, un minimo di 500 mila abitanti, io propongo di elevare questo minimo ad un milione e mezzo di abitanti.

Le ragioni sono ovvie. Una l’ha enunciata poco fa l’onorevole Persico, facendo il computo di quante Regioni potrebbero sorgere col minimo di 500 mila abitanti. Evidentemente questo pericolo non è molto probabile. C’è piuttosto da invocare a favore della proposta una considerazione di carattere generale inerente ai fini che hanno presieduto all’ordinamento regionale. Sembra infatti che, perché una Regione possa aspirare all’autonomia, debba rappresentare un nucleo abbastanza rilevante d’interessi. Non si potrebbero raggiungere gli effetti utili che la riforma regionale si ripromette, se la Regione si presentasse con carattere di esigua consistenza demografica. Se così fosse, mancherebbe la possibilità sia di risolvere problemi di equilibrio interno di forze ed interessi sodali, necessario a dare solidità alla struttura della Regione, sia di conferire alla azione di questa nei consessi nazionali, quel rilievo politico che è condizione per la sua proficuità.

Ritengo che per raggiungere i risultati indicati non sia possibile scendere al di sotto di un milione e mezzo di abitanti, ed è perciò che raccomando all’Assemblea l’accoglimento della mia proposta.

PRESIDENTE. L’onorevole Codacci Pisanelli ha proposto di aggiungere all’emendamento dell’onorevole Mortati le seguenti parole: «specialmente per quanto riguarda il Salento».

Non essendo presente si intende che abbia rinunziato a svolgere l’emendamento.

Ho l’impressione che le votazioni avvenute in precedenza in questa Assemblea debbano avere un carattere preclusivo alla votazione di un tale emendamento.

L’onorevole Lami Starnuti ha presentato il seguente emendamento:

«Nella prima linea dell’articolo, sopprimere la parola: costituzionale».

Ha facoltà di svolgerlo.

LAMI STARNUTI. Il mio emendamento, col quale si richiede la soppressione della parola «legge costituzionale», ha lo scopo principale, se non esclusivo, di richiamare l’attenzione del Comitato di coordinamento su questa questione.

Il progetto e gli emendamenti danno due sistemi per creare nuove Regioni e per modificare le Regioni esistenti: un sistema che dirò permanente e un sistema transitorio, a cui si rivolgono un emendamento e un articolo aggiuntivo dell’onorevole Mortati.

Io non so se per le modificazioni immediatamente successive alla creazione delle Regioni, per il periodo intermedio – dirò così – fra la formazione delle nuove Regioni e lo stato normale della nuova formazione amministrativa italiana, non so se sia opportuno che tutte le modificazioni avvengano con legge costituzionale o se non sia invece più opportuno che, almeno per il periodo transitorio a cui si rivolgono le proposte dell’onorevole Mortati, si provveda, anziché con legge costituzionale, con legge ordinaria della Repubblica.

Per questo emendamento io mi rimetto completamente al giudizio del Comitato di coordinamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Preti ha presentato il seguente emendamento: «Al primo comma, alle parole: 500 mila, sostituire le parole: 2 milioni di».

Non essendo presente, si intende che abbia rinunziato a svolgerlo.

L’onorevole Lussu ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma, alle parole: 500 mila, sostituire: 400 mila».

Ha facoltà di svolgerlo.

LUSSU. L’Assemblea che ha seguito la discussione sulle Regioni mi dispenserà dall’indicare le ragioni per le quali io ho presentato l’emendamento. Ma siccome vedo successivamente negli emendamenti pubblicati per la seduta del 3 dicembre un articolo aggiuntivo dell’onorevole Mortati che comincia così: «Fino a cinque anni dopo l’entrata in vigore della presente Costituzione ecc.» e finisce con riferimento «all’articolo 125», io nutro fiducia che l’Assemblea aderisca a questo emendamento del collega Mortati e perciò ritiro il mio emendamento associandomi a quello dell’onorevole Mortati.

PRESIDENTE. L’onorevole Camposarcuno ha presentato il seguente emendamento:

«Aggiungere, in fine, il seguente comma: «Il parere della Regione deve esser richiesto dal Governo e dal Parlamento quando si tratti di provvedimenti o disegni di legge riflettenti le modificazioni delle circoscrizioni regionali, la creazione di Provincie o la modificazione delle circoscrizioni di Provincie».

Ha facoltà di svolgerlo.

CAMPOSARCUNO. Onorevoli colleghi, l’articolo 125 del testo della Commissione contempla i casi di fusione di Regioni esistenti e di creazione di nuove Regioni e contempla poi un terzo caso, quello cioè che i Comuni, i quali ne facciano richiesta, possono essere staccati da una Regione ed essere «aggregati a un’altra».

Non sono contemplati i casi che riguardano «le modificazioni delle circoscrizioni regionali, la creazione di Provincie o la modificazione delle circoscrizioni di Provincie».

Penso che queste altre modificazioni debbano essere considerate in questo articolo, perché in tal modo è certamente completato l’articolo stesso. Ed in questo senso ho presentato il mio emendamento ed insisto in esso.

PRESIDENTE. L’onorevole Nobile ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il secondo comma dell’articolo 125 col seguente:

«Modificazioni alle circoscrizioni delle Regioni quali sono stabilite dall’articolo 123 possono apportarsi soltanto mediante legge costituzionale, sentiti i Consigli regionali interessati».

Ha facoltà di svolgerlo.

NOBILE. Onorevoli colleghi, l’emendamento che ho presentato tende a rendere più difficile qualsiasi modificazione all’ordinamento regionale quale è stato sancito dall’articolo 123, a rendere difficile qualsiasi variazione sia al numero che alle circoscrizioni regionali già definite.

Io penso che in un periodo di tempo così difficile come è questo, lo Stato ha bisogno soprattutto di riassestare la sua compagine sconvolta dalla guerra. Noi abbiamo già fatto cosa assai rischiosa introducendo tutte queste novità di ordinamento regionale. Cerchiamo di non peggiorare ora, perché, per le ragioni che così bene ha riferito l’onorevole Persico, se diamo con questo articolo, come è stato concepito nel testo che ci viene presentato, la possibilità, la tentazione a qualsiasi Regione o a qualunque gruppo di popolazione di chiedere l’istituzione di una nuova Regione o la modificazione di una circoscrizione esistente, creeremo il caos della vita politica italiana. Sono per questo motivo recisamente contrario all’articolo 123 proposto dalla Commissione, a meno che nelle disposizioni transitorie non si stabilisca che per 10 o 20 anni quell’articolo non potrà essere applicato.

Per queste ragioni mi associo all’emendamento dell’onorevole Persico col quale si tende a sopprimere il primo comma. In quanto al secondo comma, intendo che sia sostituito dall’emendamento che ho presentato.

In linea subordinata, se l’articolo venisse approvato così come è stato concepito nel testo della Commissione, mi riservo di presentare una disposizione transitoria con la quale si vieti qualunque modificazione per un certo periodo di tempo dopo la promulgazione della Costituzione.

PRESIDENTE. L’onorevole Perlingieri ha presentato il seguente emendamento: «Alle parole: 500 mila, sostituire le parole: un milione».

Ha facoltà di svolgerlo.

PERLINGIERI. Lo mantengo rinunziando a svolgerlo.

PRESIDENTE. Sono stati così svolti tutti gli emendamenti all’articolo 125.

L’onorevole Ambrosini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

AMBROSINI. Tutto sommato, la Commissione ritiene di stare al testo del progetto.

Quanto all’emendamento presentato dall’onorevole Camposarcuno, osservo che la norma relativa alla creazione di nuove Province o alla modificazione delle circoscrizioni esistenti è stata in precedenza approvata dall’Assemblea. Riguardo agli altri emendamenti: per quello presentato dall’onorevole Mobile, la Commissione ritiene che sia necessario mantenere ferme le condizioni stabilite perché possa procedersi alla creazione di nuove Regioni o alla modificazione della circoscrizione delle Regioni esistenti. Riguardo alla proposta dell’onorevole Lami Starnuti, la Commissione ritiene che debba essere mantenuto il sistema della legge costituzionale, di cui all’articolo 125, per addivenire alla creazione di nuove Regioni. Ritiene però che, per le piccole modificazioni circoscrizionali, ritenute opportune, possa procedersi alla loro attuazione semplicemente con legge ordinaria, senza bisogno cioè di ricorrere alla legge costituzionale.

Resta la questione del numero degli abitanti, che nell’articolo 125 è determinato in 500.000 e che nell’emendamento dell’onorevole Mortati è elevato a un milione e mezzo e in quello dell’onorevole Perlingieri ad un milione. La Commissione mantiene la cifra del testo del progetto, senza però insistervi decisamente.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Desideravo un chiarimento dall’onorevole Ambrosini. Nel fare riferimento all’articolo aggiuntivo dell’onorevole Mortati, l’onorevole Ambrosini ha fatto cenno alla forma con cui una Regione può essere riconosciuta ma, per il resto, non si è pronunziato.

AMBROSINI. L’articolo aggiuntivo va nelle norme transitorie e non è stato ancora posto in discussione. Io ho fatto riferimento ad esso semplicemente per fare presente all’Assemblea che la disposizione dell’articolo 125 avrà un seguito nelle disposizioni transitorie; ed anche l’onorevole Lami Starnuti credo sia d’accordo.

LUSSU. La Commissione è favorevole all’articolo aggiuntivo dell’onorevole. Mortati?

AMBROSINI. Già la Commissione si pronunziò in senso favorevole quando si trattò del rinvio della discussione dell’articolo 125.

PRESIDENTE. Chiedo ai presentatori di emendamenti se li mantengono.

Non essendo presenti gli onorevoli Codignola e Preti, i loro emendamenti si intendono decaduti.

Anche l’onorevole Persico non è presente, ma, essendo il suo un emendamento soppressivo, anche senza la sua presenza sarà tenuto in considerazione.

Onorevole Recca, mantiene il suo emendamento?

RECCA. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Mortati?

MORTATI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Lami Starnuti?

LAMI STARNUTI. Mi rimetto al giudizio del Comitato di redazione.

PRESIDENTE. Onorevole Lussu?

LUSSU. Ritiro il mio emendamento, poiché la Commissione ha dichiarato di accogliere l’articolo aggiuntivo dell’onorevole Mortati, al quale aderisco.

PRESIDENTE. Onorevole Camposarcuno?

CAMPOSARCUNO. Mi rimetto alle decisioni del Comitato di coordinamento per quanto riguarda i casi da me segnalati e non compresi nell’articolo 125.

PRESIDENTE. Onorevole Nobile?

NOBILE. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Perlingieri?

PERLINGIERI. Insisto.

PRESIDENTE. Quanto all’emendamento dell’onorevole Codacci Pisanelli, ho già detto che lo ritenevo improponibile, in quanto riguarda una questione sulla quale l’Assemblea si è già pronunziata.

CODACCI PISANELLI. Intendevo esprimere un voto per il Salento e lo mantengo come tale.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione del primo comma. Ricordo che vi è la proposta dell’onorevole Persico di soppressione del primo comma.

Ugualmente la proposta dell’onorevole Nobile porta alla soppressione del primo comma.

Vi è poi la proposta dell’onorevole Recca di sostituire il primo comma col seguente:

«Si può con legge della Repubblica, senza che occorra il preventivo parere dei rispettivi Consigli regionali, disporre la fusione di Regioni esistenti e la creazione di nuove Regioni, con un minimo di cinquecentomila abitanti, quando ne facciano richiesta tanti Consigli comunali che rappresentino almeno i due terzi delle popolazioni interessate, e la proposta sia approvata per referendum dalla maggioranza delle popolazioni stesse».

La pongo in votazione.

(Non è approvata).

Pongo in votazione la prima parte del testo della Commissione:.

«Si può con legge costituzionale, sentiti i Consigli regionali interessati, disporre la fusione di Regioni esistenti e la creazione di nuove Regioni con un minimo».

(È approvata).

Pongo prima in votazione l’emendamento Mortati:

«di un milione e cinquecentomila abitanti».

(Non è approvato).

Pongo in votazione l’emendamento Perlingieri:

«di un milione di abitanti».

(È approvato).

Pongo in votazione l’ultima parte nel testo della Commissione:

«quando ne facciano richiesta tanti Consigli comunali che rappresentino almeno un terzo delle popolazioni interessate, e la proposta sia approvata per referendum dalla maggioranza delle popolazioni stesse».

(È approvata).

Pongo in votazione il secondo comma dello stesso testo:

«Si può, con referendum e legge della Repubblica, sentiti i Consigli regionali, consentire che Comuni, i quali ne facciano richiesta, siano staccati da una Regione ed aggregati a un’altra».

(È approvato).

Passiamo agli articoli aggiuntivi.

L’onorevole Camposarcuno ha proposto il seguente articolo 125-bis:

«Il passaggio delle funzioni statali attribuite alle Regioni avverrà mediante decreti del Presidente della Repubblica per ogni ramo della pubblica Amministrazione».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La VIII disposizione transitoria dice al primo comma:

«Leggi della Repubblica regolano per ogni ramo della pubblica amministrazione il trapasso delle funzioni statali attribuite alle Regioni e quella di funzionari e dipendenti dello Stato, anche centrali, che si rende necessario in conseguenza del nuovo ordinamento».

Pertanto ritengo che in questa sede si dovrà esaminare l’articolo aggiuntivo dell’onorevole Camposarcuno.

PRESIDENTE. Onorevole Camposarcuno, in sede di discussione dell’VIII disposizione transitoria potrà svolgere il suo emendamento.

CAMPOSARCUNO. Va bene.

PRESIDENTE. L’onorevole Mortati, ha presentato il seguente articolo aggiuntivo:

«Fino a cinque anni dopo l’entrata in vigore della presente Costituzione si potrà procedere, con legge costituzionale, alla modificazione delle circoscrizioni regionali stabilite dall’articolo 123, anche senza il concorso delle condizioni di cui all’articolo 125».

Ha facoltà di svolgerlo.

MORTATI. Non spenderò molte parole per illustrare questo articolo, perché mi pare si sia ormai determinato un consenso diffuso intorno alla necessità di adottare la proposta da me presentata, che nasce dalla consapevolezza generalmente avvertita della necessità di dare alla ripartizione delle circoscrizioni regionali un fondamento più razionale di quello che non sia stato possibile finora per la mancanza degli elementi informativi, che sarebbero stati necessari. Fin dall’inizio dei lavori della Sottocommissione, che doveva elaborare il progetto regionale, si è sentito questo bisogno di possedere un complesso di elementi di varia natura (geografica, linguistica, economica e finanziaria), che avrebbero dovuto servire di base per una razionale delimitazione delle Regioni. Fu proposto, fin dal principio dei nostri lavori, nel 1946, che si creasse un organo apposito e si pensò, più specificamente, ad una inchiesta parlamentare, che raccogliesse i dati di cui ho parlato e li sottoponesse all’Assemblea, che avrebbe dovuto servirsene come elementi di giudizio per la ripartizione delle Regioni nel territorio nazionale. Per molte ragioni, che non starò ad elencare e senza colpa di nessuno, questa iniziativa non ebbe quel successo che forse si poteva conseguire e dovemmo decidere sulla delimitazione delle Regioni senza essere in possesso delle necessarie conoscenze, onde l’approvazione avvenuta dell’articolo 123, con riferimento alle regioni cosiddette tradizionali, alcune delle quali non hanno altra tradizione se non negli annuari statistici, mentre altre, insieme ad una tradizione storica consolidata, presentano quei caratteri di unità, di armonicità, di complementarietà degli elementi interni costitutivi necessari a renderle vitali.

Si è sentito pertanto il bisogno di dare all’articolo 123 un carattere di provvisorietà: è stato questo un espediente al quale si è dovuto ricorrere, in conseguenza delle deficienze di informazioni di cui ho fatto parola. Era sottinteso, nell’approvare l’articolo 123, che si fosse riservata la possibilità di una revisione straordinaria della ripartizione provvisoria, anche all’infuori delle condizioni poste in via ordinaria dall’articolo 125, onde potere sodisfare sia all’esigenza di particolari gruppi di popolazione, sia a quella degli interessi generali dello Stato. Il mio articolo tende a svolgere e realizzare tale intenzione, proponendo che «fino a cinque anni dopo l’entrata in vigore della presente Costituzione, si possa procedere alla modifica delle circoscrizioni stabilite dall’articolo 123», per i primi 5 anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione, prescindendo dalle condizioni previste in via generale dagli articoli che precedono. Nell’intento che ha ispirato il mio emendamento le condizioni di cui si può fare a meno sono tutte quelle considerate dell’articolo 125 sia relative al numero della popolazione, sia relative al procedimento da seguire per la creazione di nuove regioni. Né mi pare conveniente limitare in qualche modo la libertà del futuro costituente di determinazione dell’assetto regionale, ed insisto per l’accoglimento della mia proposta, nella fiducia che attraverso tale procedura eccezionale si possa giungere a una razionale delimitazione delle circoscrizioni regionali.

Non mi fermo sull’esigenza che, anche pel periodo transitorio dei cinque anni, non si prescinda dalla legge costituzionale (nonostante qualche accenno in contrario sia affiorato nella discussione), parendomi ovvio che non possa la legge semplice disporre di una struttura che si ripercuote sulla formazione e sul funzionamento degli organi costituzionali dello Stato (Senato e Presidente della Repubblica).

PRESIDENTE. L’onorevole Ambrosini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

AMBROSINI. In linea di massima, la Commissione già dichiarò, a proposito dell’articolo 123, di accettare l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Mortati.

PRESIDENTE. Sta bene.

Gli onorevoli Nobile, Cifaldi ed altri hanno presentato il seguente emendamento:

«Nessuna variazione al numero e alle circoscrizioni delle Regioni quali sono definite nell’articolo 123 potrà essere apportata nei primi dieci anni dopo la promulgazione della Costituzione».

L’onorevole Nobile ha facoltà di svolgerlo.

NOBILE. Lo mantengo rinunziando a svolgerlo.

PRESIDENTE. L’onorevole Codacci Pisanelli desidera che io precisi all’Assemblea che il suo emendamento, del quale ho dato lettura poco fa e sul quale si è brevemente discusso, doveva intendersi riferito all’articolo aggiuntivo dell’onorevole Mortati, il quale prevede appunto che fino a cinque anni dall’entrata in vigore della Costituzione si possa procedere alla modificazione delle circoscrizioni regionali, senza il concorso delle condizioni stabilite dell’articolo 125, e, aggiunge l’onorevole Codacci Pisanelli, «specialmente per quanto riguarda il Salento».

L’onorevole Ambrosini, ha facoltà di esprimere il parere della Commissione sulla proposta Nobile.

AMBROSINI. Debbo dichiarare che l’approvazione dell’articolo aggiuntivo proposto dall’onorevole Mortati, non è conciliabile con l’adesione all’emendamento proposto dall’onorevole Nobile. La Commissione non può quindi aderire all’emendamento proposto dall’onorevole Nobile.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Perlingieri, De Caro Raffaele, Carignani, Bosco Lucarelli, Angelini, Bozzi, Covelli, Mazza, Bonino e Finocchiaro Aprile hanno presentato il seguente emendamento all’articolo aggiuntivo proposto dall’onorevole Mortati:

«Alle parole: anche senza il concorso delle condizioni di cui all’articolo 125, sostituire le seguenti: senza il procedimento di cui all’articolo 125, fermi restando i requisiti in esso stabiliti».

L’onorevole Perlingieri ha facoltà di svolgerlo.

PERLINGIERI. Il mio emendamento, onorevole Presidente, non credo che abbia bisogno di un lungo commento. L’onorevole Mortati ha posto una disposizione transitoria ai fini di agevolare la revisione delle circoscrizioni regionali, così come sono state fissate in una precedente seduta. Ora, io non riesco a comprendere l’opportunità e la necessità di questa disposizione transitoria. Infatti, una disposizione transitoria diretta a consentire la revisione delle circoscrizioni territoriali sarebbe stata comprensibile, se noi avessimo fissato in maniera definitiva e irrevocabile le Regioni storiche. Ma, già la Costituzione prevede all’articolo 125 un procedimento di revisione, e non comprendo perché si debba creare in aggiunta, con una disposizione transitoria, un altro procedimento a questo medesimo scopo.

D’altra parte, se si vuole concedere una agevolazione, se si vuole, cioè, in linea transitoria, agevolare il procedimento di revisione, io potrei anche aderire, ma in limiti precisi e determinati; cioè nel senso di rendere più sciolta, dare una maggiore facilità alla procedura, non già nel senso di annullare completamente quelli che sono i presupposti essenziali per l’esistenza di un ente regionale. In altri termini: se è vero che si deve prestare ossequio alla volontà popolare, democraticamente espressa, non è men vero che questo ossequio non può essere prestato ad una volontà arbitraria e tirannica, diretta a sovvertire le stesse basi, e le condizioni obbiettive dell’istituto regionale, come accadrebbe se noi annullassimo ogni e qualsiasi condizione all’esercizio del diritto di revisione delle circoscrizioni territoriali.

Noi potremmo così cadere addirittura nell’assurdo: renderemmo ammissibile e potremmo veder proporre una istanza di erezione a Regione persino del quartiere Trastevere o del paese di Rocca di Papa, perché nulla lo impedirebbe. È necessario, quindi, che vi sia un minimum territoriale, un minimum di popolazione, una pluralità di associazioni volontarie e involontarie, etniche e territoriali, senza di che non è possibile neppure concepire un ente regionale. Ed è necessario che questo sia stabilito nella Carta costituzionale, altrimenti noi correremo il rischio di porre in pericolo lo stesso istituto regionale e di pregiudicare l’intera collettività nazionale, correndo verso la polverizzazione delle Regioni. Io non dico che si debbano stabilire condizioni con criteri di rigore o di indulgenza: l’Assemblea deciderà in proposito nella sua sovranità. Potrà, ad esempio, stabilire un minimo di popolazione di centomila abitanti, o di un milione, ma un limite dovrà pure porlo, altrimenti il legislatore futuro si troverà di fronte alle domande più impensate. Il mio emendamento ha questo preciso scopo: se si vuole accedere al concetto della opportunità di una disposizione transitoria per la revisione delle circoscrizioni regionali, se si vuole concedere questa agevolazione transitoria, che questa sia mantenuta sul terreno del procedimento, ma non intacchi la sostanza, i presupposti essenziali dell’esistenza di un ente regionale, così come fissati nell’articolo 123 della Costituzione, ponendo praticamente nel nulla, sia pure a titolo provvisorio, quanto già deciso in precedenza.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Io penso che l’onorevole Mortati, che è sempre molto logico nelle sue proposte, debba ammettere che è diminuito l’interesse del suo emendamento transitorio facilitativo, perché egli ha visto diminuire da un milione e mezzo ad un milione l’elemento demografico e territoriale indispensabile per costituire la Regione. E, quindi, mi pare che la eventuale eliminazione dell’emendamento Mortati tolga anche di mezzo la necessità della medicina, che è venuta dalla parte opposta alle intenzioni dell’onorevole Mortati, con la proposta di introdurre con l’emendamento contrario una remora forse eccessiva, di fronte all’ordinamento regolare che noi abbiamo stabilito con la norma di carattere definitivo già votata; e quindi mi pare che i due emendamenti di carattere transitorio, ispirati a criteri nettamente eccessivi e opposti dall’una e dall’altra parte, potrebbero essere eliminati. Dichiaro pertanto che voterò contro i due emendamenti.

COLITTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Dichiaro che voterò a favore dell’emendamento Mortati e, naturalmente, contro l’emendamento che è stato testé illustrato dall’onorevole Perlingieri. A me pare che l’emendamento Mortati costituisca l’unico mezzo, rebus sic stantibus, perché l’Assemblea possa rivedere qualche deliberazione presa nei giorni scorsi e correggere l’errore che, secondo me, dall’Assemblea una certa sera, in danno del Molise, è stato commesso. Io ho avuto il piacere di veder controllata da rappresentanti autorevoli di questa Assemblea – che nel mio Paese si sono recati – la situazione particolarmente grave, in cui esso, a seguito di quella deliberazione si è venuto a trovare. Occorre assolutamente correggerla. Con l’emendamento Mortati resta almeno nel nostro cuore la speranza che, non con accertamenti superficiali, ma con accertamenti precisi e concreti, si arriverà alla costituzione della nostra Regione.

MORELLI RENATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORELLI RENATO. Mi associo alle dichiarazioni dell’onorevole Colitto e dichiaro a mia volta che voterò a favore dell’emendamento Mortati, perché una ingiustizia è stata commessa ai danni del Molise, come risulta dalla stessa indicazione delle Regioni. Nell’articolo relativo è consacrata, infatti, l’esistenza degli Abruzzi e del Molise ed è legittimo sperare che queste due Regioni, aggiunte, possano essere riconosciute autonome.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Dichiaro che il nostro Gruppo voterà in favore dell’emendamento Mortati, in quanto esso consente, mediante una deroga alle normali procedure e condizioni, di attuare il riassetto nei primi anni di applicazione della Costituzione dell’ordinamento regionale dello Stato italiano.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Sono favorevole ad una norma transitoria, che vada incontro all’esigenza che per un certo periodo di tempo sia disciplinata una specie di assestamento della configurazione e della distribuzione delle Regioni. Ora, questo assestamento può concretarsi sotto due aspetti: in primo luogo con qualche variazione della circoscrizione territoriale di talune Regioni. Io ho presente un esempio che interessa la regione alla quale appartengo, il Piemonte, e che già ha dato luogo ad un movimento; è il caso della zona del lago Maggiore, che fa ora parte della provincia di Novara, mentre sotto tutti i riguardi fa capo più a Milano che a Novara e Torino. Casi analoghi si hanno per altre Regioni. La costituzione dell’ordinamento li rende di più vivo interesse pratico. Un eventuale ritocco delle delimitazioni territoriali, dovrebbe potersi fare, in questo periodo di assestamento con legge ordinaria.

L’altro aspetto, più delicato, è quello della creazione, durante questo periodo di assestamento, di eventuali nuove Regioni.

Mi sembra opportuno, quindi, distinguere i due casi: per le semplici variazioni di innovazione, ritengo che sia sufficiente la legge ordinaria, mentre per la creazione di nuove Regioni, è giustificato esigere una legge costituzionale, sia pure con qualche deviazione dalla revisione permanente contenuta nell’articolo 125.

Se l’onorevole Mortati intende in questo senso il suo emendamento, la formulazione definitiva potrebbe essere rimessa al Comitato di coordinamento.

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. L’onorevole Perassi ha sollevato una questione circa l’interpretazione dell’articolo 125 da me proposto.

A me pare che il dubbio da lui prospettato non abbia una vera ragion d’essere, perché evidentemente il riferimento alla legge costituzionale, contenuto nel mio emendamento, offre l’indubbia riprova, che esso riguarda solo i casi di fusione o di creazione di nuove Regioni, considerate nel primo comma dell’articolo 125.

L’altra revisione delle circoscrizioni regionali, accennata dall’onorevole Perassi, consistenti nel riassestamento, nella delimitazione dei confini delle singole Regioni, mi pare non abbia bisogno di legge costituzionale, come risulta dall’ultimo comma dell’articolo 125, secondo cui basta una legge semplice della Repubblica per trasferire un comune o un gruppo di comuni da una Regione ad un’altra.

Evidentemente il mio articolo aggiuntivo si riferisce solo ai casi del primo comma dell’articolo 125. Ad ogni modo, se si vuole eliminare l’equivoco, possibile a sorgere, non ho nessuna difficoltà ad aggiungere al testo da me proposto la espressa menzione al primo comma dell’articolo 125.

Insomma, precisare che queste modificazioni da apportare con legge costituzionale si riferiscono a quei casi di variazione che sono contemplati nel primo comma dell’articolo 125 e non toccano invece il secondo comma dell’articolo stesso, come del resto è previsto dalla legge comunale e provinciale.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Secondo la proposta Mortati si potrebbe procedere all’unificazione delle circoscrizioni regionali contemplate nel primo comma dell’articolo 125, senza il concorso delle condizioni previste dall’articolo 125 stesso. Non è giusto che ciò possa avvenire senza che sia sentito il parere delle Regioni interessate.

Desidero, pertanto, sapere se ho bene interpretato la proposta Mortati, perché, in questo caso, voterò contro, in quanto ritengo che le Regioni interessate debbono essere sempre sentite.

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Per quanto mi sembri più opportuno non mettere limiti di alcun genere alla revisione in via transitoria delle circoscrizioni regionali, tuttavia non avrei difficoltà ad aggiungere l’inciso che faccia salvo il parere delle Regioni interessate, se questo potrà servire a raggiungere un accordo più ampio.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Sono lieto del chiarimento che ha dato l’onorevole Mortati al collega Pietro Mastino, perché penso che, dopo questi chiarimenti, molti dei colleghi che avrebbero votato contro, voteranno invece a favore. Io voterò contro l’emendamento presentato dal collega onorevole Nobile, e firmato, se non erro, da molti altri colleghi dei Gruppi comunista e socialista.

Mi permetto di ricordare in modo particolare ai colleghi comunisti e socialisti che, ove essi si risolvessero a votare a favore dell’emendamento Nobile, verrebbero con ciò a trovarsi in contrasto con le dichiarazioni fatte in quest’Aula a proposito delle Regioni. È, infatti, indubitabile che verrebbe in tal modo esclusa la possibilità che potessero in prosieguo di tempo costituirsi in Regioni alcune zone che oggi ancora non lo sono.

Io penso, quindi, che sia un dovere, ad evitare il pericolo di nuovi errori, non votare l’emendamento presentato dall’onorevole Nobile; io voterò pertanto contro di esso, aderendo all’emendamento dell’onorevole Mortati.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Dichiaro che il mio Gruppo, coerentemente agli impegni assunti, voterà a favore dell’emendamento Mortati e contro l’emendamento Perlingieri.

PRESIDENTE. Sta bene. Passiamo dunque alla votazione. Abbiamo in primo luogo una proposta presentata dall’onorevole Nobile, poi abbiamo quella dell’onorevole Mortati e quella dell’onorevole Perlingieri, che è un emendamento all’emendamento Mortati.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Dichiaro che per il momento ritiro il mio emendamento, riservandomi di ripresentarlo in sede di disposizioni transitorie.

PRESIDENTE. Sta bene. Passiamo allora alla votazione del testo proposto dall’onorevole Mortati. Esso risulta del seguente tenore:

«Fino a cinque anni dopo l’entrata in vigore della presente Costituzione si potrà procedere con legge costituzionale a modificazioni delle circoscrizioni regionali stabilite dall’articolo 123, anche senza il concorso delle condizioni di cui al primo comma dell’articolo 125, fatto salvo il disposto circa il consenso delle popolazioni interessate».

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Per quanto riguarda l’aggiunta proposta dall’onorevole Mastino Pietro, credo sia opportuno darle quest’altra formulazione:

«fatto salvo il parere delle popolazioni interessate».

Mi sembra che il dire così corrisponda meglio al carattere che il testo originario dell’articolo 125 ha voluto dare alla consultazione popolare.

PRESIDENTE. Sta bene. Pongo in votazione la prima parte dell’articolo aggiuntivo Mortati:

«Fino a cinque anni dopo l’entrata in vigore della presente Costituzione si potrà procedere con legge costituzionale a modificazioni delle circoscrizioni regionali stabilite dall’articolo 123».

(È approvata).

Passiamo alla votazione dell’emendamento Perlingieri:

«senza il procedimento di cui all’articolo 125, fermi restando i requisiti in esso stabiliti».

Su questo emendamento hanno chiesto la votazione a scrutinio segreto gli onorevoli Perlingieri, Bosco Lucarelli, Sicignano, Veroni, Notarianni, Caporali, Bocconi, Musolino, De Caro Raffaele, Piemonte, Stampacchia, Nobile, Costa, Crispo, Gullo Fausto, Pastore Raffaele, Costantini, Cifaldi e Lopardi.

Faccio presente che dopo la votazione, con una breve sospensione, la seduta proseguirà. Se non vi sono osservazioni rimane così stabilito.

(Così rimane stabilito).

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Indico la votazione a scrutinio segreto sull’emendamento dell’onorevole Perlingieri testé letto.

Presidenza del Vicepresidente TARGETTI

(Segue la votazione).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione ed invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Presidenza del Presidente TERRACINI.

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto:

Presenti e votanti     303

Maggioranza           152

Voti favorevoli        78

Voti contrari                        225

(L’Assemblea non approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Adonnino – Aldisio – Allegato – Amadei – Ambrosini – Angelucci – Arata – Arcangeli – Avanzini.

Bacciconi – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Bartalini – Bastianetto – Bazoli – Bei Adele – Bellato – Belotti – Benedetti – Benvenuti – Bernamonti – Bertola – Bertone – Bettiol – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Bitossi – Bocconi – Bonomelli – Bordon – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bubbio.

Caiati – Cairo – Calamandrei – Calosso – Camangi – Camposarcuno – Candela – Canepa – Canevari – Caporali – Cappa Paolo – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carbonari – Carboni Angelo – Carboni Enrico – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Cartia – Cassiani – Castelli Avolio – Castiglia – Cevolotto – Chieffi – Chiostergi – Cianca – Ciccolungo – Cifaldi – Cimenti – Clerici.– Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Colonna di Paliano – Colonnetti – Conci Elisabetta – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbino – Corsi – Cortese Pasquale – Costa – Costantini – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo – Crispo.

Damiani – D’Amico – De Caro Gerardo – De Caro Raffaele – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Mercurio – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Di Gloria – Di Vittorio – D’Onofrio – Dossetti – Dozza.

Fabbri – Fantoni – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrario Celestino – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fiorentino – Firrao – Foresi – Fornara – Froggio – Fuschini.

Gabrieli – Gallico Spano Nadia – Gavina – Germano – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Giacchero – Giolitti – Giua – Gorreri – Gotelli Angela – Grassi – Grazi Enrico – Grieco – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jervolino.

Laconi – Lagravinese Pasquale – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Lazzati – Leone Francesco – Lettieri – Lizier – Lizzadri – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo – Longhena – Longo – Lopardi – Lozza – Lussu.

Macrelli – Magnani – Magrassi – Maltagliati – Marinaro – Martinelli – Marzarotto – Massini – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mattarella – Mazza – Mazzei – Mazzoni – Meda Luigi – Merighi – Merlin Angelina – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molinelli – Momigliano – Montagnana Rita – Montemartini – Monterisi – Monticelli – Moranino – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati – Musolino – Musotto.

Nasi – Negro – Nicotra Maria – Nobile Umberto – Noce Teresa – Notarianni – Numeroso.

Pacciardi– Pallastrelli – Paolucci – Paris – Parri – Pastore Raffaele – Pat – Pecorari – Pellegrini – Penna Ottavia – Pera – Perassi – Perlingieri – Persico – Pertini Sandro – Pesenti – Piccioni – Piemonte – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Ponti – Porzio – Preti – Priolo – Pucci – Puoti.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Raimondi – Rapelli – Reale Eugenio – Recca – Rescigno – Restagno – Ricci Giuseppe – Rodinò Ugo – Romita – Roselli – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Ruggeri Luigi – Ruini – Rumor – Russo Perez.

Saccenti – Saggin – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Santi – Scalfaro – Scarpa – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Sicignano – Siles – Silipo – Simonini – Spataro – Stampacchia – Stella – Sullo Fiorentino.

Taviani – Tega – Terranova – Titomanlio Vittoria – Tomba – Tonello – Tosato – Tozzi Condivi –Treves – Trimarchi – Tripepi – Turco.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Veroni – Vicentini – Vigna – Vigo – Villani – Vinciguerra – Vischioni – Volpe.

Zaccagnini – Zanardi – Zappelli – Zuccarini.

Sono in congedo:

Angelini.

Carmagnola – Caso – Cavallari.

Dugoni.

Garlato – Ghidini – Gortani.

Jacini.

Pignatari – Preziosi.

Ravagnan.

Sardiello.

Vanoni – Varvaro – Viale – Villabruna.

(La seduta, sospesa alle 20, è ripresa alle 20.55).

Presidenza del Vicepresidente TARGETTI

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Poiché l’Assemblea ha respinto l’emendamento dell’onorevole Perlingieri, pongo in votazione l’ultima parte dell’emendamento Mortati così modificata:

«anche senza il concorso delle condizioni di cui ai primo comma dell’articolo 125, fatto salvo il parere delle popolazioni interessate».

(È approvata).

Segue la proposta di un articolo aggiuntivo fatta dall’onorevole Mortati:

«Lo Stato, nel difetto di iniziativa degli enti interessati, promuove gli accordi necessari fra le Regioni per la coordinazione delle attività di interesse comune.

«La costituzione di enti interregionali per la gestione in comune di servizi affidati alle Regioni deve ottenere la preventiva approvazione dello Stato.

«Analoghi poteri di coordinamento dell’attività degli enti autonomi regionali sono attribuiti alla Regione».

L’onorevole Mortati non è presente.

TOZZI CONDIVI. Faccio mia la proposta e rinuncio a svolgerla.

PRESIDENTE. Sta bene. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Prego di non insistere su questo emendamento, perché spezzerebbe la linea da noi data alla trattazione della Regione. È evidente che lo Stato può promuovere gli accordi necessari fra le Regioni per la coordinazione delle attività di interesse comune. È perfettamente possibile e perfettamente desiderabile che siano presi accordi e costituiti a determinati scopi formazioni interregionali. Si potrà cercare, nel coordinamento, di inserire qualche espressione al riguardo, ma non è il caso di farne una norma vera e propria nella Costituzione.

PRESIDENTE. Onorevole Tozzi Condivi, dopo le dichiarazioni dell’onorevole Ruini insiste ancora sull’articolo aggiuntivo dell’onorevole Mortati?

TOZZI CONDIVI. Dopo le dichiarazioni dell’onorevole Ruini lo ritiro, purché se ne tenga conto nel coordinamento.

PRESIDENTE. Segue un articolo aggiuntivo proposto dall’onorevole Codignola, del seguente tenore:

«Le norme relative all’ordinamento autonomistico dello Stato andranno in vigore non oltre due anni dall’approvazione della Costituzione».

È presente l’onorevole Codignola?

LUSSU. Faccio mia la proposta.

PRESIDENTE. Sta bene. Ha facoltà di svolgerla.

LUSSU. Questo emendamento vuole evitare il pericolo, che non è certo, ma probabile, che, volontariamente o non, si possa sabotare l’attuazione della riforma autonomistica regionale. In questo emendamento è stabilito un termine massimo di due anni. È ragionevole il lasso di tempo richiesto. Se si prolungasse, evidentemente, il rischio di non avere la riforma sarebbe chiaro. Ecco perché io prego la Commissione di accettare questo articolo aggiuntivo.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Mi pare che l’effetto di questo articolo aggiuntivo sarebbe perfettamente il contrario di quello espresso dall’onorevole Lussu, perché permetterebbe per due anni di non applicare le norme che riguardano l’ordinamento regionale.

PRESIDENTE. Onorevole Lussu, ritira il suo articolo aggiuntivo?

LUSSU. No, piuttosto lo chiarisco, nel senso che la riforma debba essere attuata prima dei due anni.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo aggiuntivo Codignola fatto proprio dall’onorevole Lussu.

(Non è approvato).

Passiamo all’articolo aggiuntivo proposto dall’onorevole Basile:

«Per eliminare la disuguaglianza di sviluppo delle Regioni, lo Stato costruirà le opere di pubblica utilità occorrenti nelle Regioni centro-meridionali, Sicilia e Sardegna, costituendo un Comitato di erogazione in seno al Ministero del tesoro con rappresentanze regionali paritetiche.

«Lo stanziamento dei fondi necessari nel bilancio annuale dello Stato si farà nei modi e coi limiti che saranno stabiliti da apposita legge, che disciplinerà le provvidenze per realizzare le perequazioni fra le Regioni italiane».

Non essendo presente il proponente, si intende che vi abbia rinunciato.

Segue l’articolo aggiuntivo proposto dall’onorevole Persico:

«In ogni Regione è costituito un Consiglio regionale dell’economia e del lavoro, composto, nei modi stabiliti dalla legge, da esperti e da rappresentanti delle categorie produttive in misura che tenga conto della loro importanza numerica e qualitativa.

Il Consiglio regionale dell’economia e del lavoro è organo di consulenza dei pubblici poteri nelle materie interessanti l’economia regionale, ed esercita tutte le altre funzioni che gli sono dalla legge attribuite».

Ha facoltà di svolgerlo.

PERSICO. Onorevoli colleghi, il mio emendamento non ha bisogno di dimostrazioni, perché è il corollario logico dell’articolo 92 che abbiamo approvato. L’articolo 92, con una innovazione molto importante, una delle più importanti della nostra Costituzione, ha stabilito che vi sarà un Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro composto da esperti e da rappresentanti delle categorie produttive, ecc., come organo di consulenza del Parlamento e del Governo, e con iniziativa legislativa nella elaborazione della legislazione sociale, ecc.

Ora io ho proposto logicamente, come necessario corollario della esistenza di un Consiglio economico nazionale, la istituzione in ogni Regione di un Consiglio regionale dell’economia e del lavoro, composto analogamente a quello che è il Consiglio nazionale economico, con funzioni però diverse, perché dovrebbe essere un organo di consulenza dei pubblici poteri nella materie interessanti l’economia regionale e capace di esercitare tutte le altre funzioni attribuitegli dalla legge. La mia proposta non è che il coronamento della istituzione del Consiglio economico del lavoro, il quale se rimanesse unico in tutta Italia, non avrebbe modo di esplicare tutte le sue funzioni. È logico quindi che ogni Regione abbia il suo Consiglio economico del lavoro; anzi, dirò che in pratica avrà maggiore importanza il Consiglio economico regionale di quella che non possa avere quello centrale, perché, mentre quest’ultimo è un organo di consulenza del Governo – che ha mille modi di sopperire ai suoi bisogni di ordine nazionale – nella Regione mancherebbe un organo che possa dare precise e consapevoli direttive circa i problemi del lavoro. Quindi mi pare che la Commissione possa accettare questi concetti e conseguentemente il mio articolo aggiuntivo.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’esigenza che l’onorevole Persico espone è chiarissima, ma anche qui non v’è bisogno di una disposizione della Costituzione, perché la Regione possa costituire un organo economico di questo genere. Si potrà esaminare in sede di coordinamento se sia possibile accennare nell’articolo sul Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro anche ad organi regionali. Non mi impegno; ma si potrà cercare. Ma non è necessaria una apposita norma come l’onorevole Persico desidera.

PRESIDENTE. Onorevole Persico, insiste dopo le dichiarazioni del Presidente della Commissione per la Costituzione?

PERSICO. Accetto la spiegazione data ora dal Presidente della Commissione, rinnovando la preghiera, se sarà possibile, di aggiungere all’articolo 93 un cenno agli organi periferici del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. In assenza dell’onorevole Basile desidero fare mio il suo articolo aggiuntivo. Non perché io credo che questa sera l’emendamento possa essere votato ed approvato, ma, se non altro, per provocare una dichiarazione del Presidente della Commissione per la Costituzione; una dichiarazione che assicuri che si verrà incontro al Mezzogiorno d’Italia. Quindi io ripropongo l’emendamento Basile facendolo mio.

PRESIDENTE. Ritengo che l’esigenza prospettata dall’onorevole Nobile sia sodisfatta dal seguente ordine del giorno proposto dagli onorevoli Conti, Zuccarini ed altri:

«L’Assemblea Costituente, ritenendo che per assicurare lo sviluppo delle Regioni del Mezzogiorno e delle Isole e per ridurre la loro attuale inferiorità in confronto delle condizioni delle Regioni più progredite debba essere assicurata l’esecuzione sollecita delle opere pubbliche già previste da leggi speciali come di altre ritenute necessarie; afferma il dovere dello Stato di provvedervi con stanziamenti di carattere straordinario nei bilanci annuali e con precedenza su tutte le opere con carattere nazionale da deliberare con il concorso di un comitato di rappresentanti delle Regioni».

L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Noi abbiamo già votato un articolo della nostra Costituzione che dice che lo Stato deve, per particolari scopi e soprattutto per valorizzare il Mezzogiorno, dare contributi alle Regioni.

Il principio dunque è già stato stabilito. Ora si tratta di votare un ordine del giorno, che possiamo accettare come espressione di un voto e di una volontà generale, ma non nell’espressione proposta, e senza una portata concreta di mozione al Governo, che dovrebbe caso mai pronunciarsi al riguardo.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Nobile se insiste nel far proprio l’emendamento Basile.

NOBILE. Insisto, perché desidero sentire su di esso il parere del Presidente della Commissione.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Ruini di voler esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Devo esprimere lo stesso parere che ho espresso poco fa.

Se si tratta di esprimere un voto generico, sia pure chiaro, limpido, forte, ma generico, io potrei accettarlo. Ma come facciamo a stabilire improvvisamente delle norme particolari di questo genere?

Pregherei, quindi, l’onorevole Nobile di voler tener presente che in un articolo della Costituzione è già detto che lo Stato concederà contributi speciali per le Regioni del Mezzogiorno. Non possiamo entrare ora in dettagli e fare quasi un programma.

L’Assemblea, se crede, può fare un’affermazione ed una domanda di attuazione di quel principio che è già stato stabilito.

NOBILE. Dopo le dichiarazioni dell’onorevole Ruini, non insisto sull’emendamento.

PRESIDENTE. Invito ora l’onorevole Conti a svolgere il suo ordine del giorno.

CONTI. Cedo la parola all’onorevole Zuccarini.

PRESIDENTE. L’onorevole Zuccarini ha facoltà di parlare.

ZUCCARINI. Mi sembra che l’onorevole Presidente della Commissione, con il suo rifiuto di accettare…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma non respingo il concetto, onorevole Zuccarini: non accetto la formula.

ZUCCARINI. …di accettarne allora la formula, mi sembra, dico, che egli non abbia bene interpretato lo spirito del nostro ordine del giorno. L’ordine del giorno del Gruppo repubblicano, infatti, non è già un articolo della Costituzione; è invece un invito rivolto alle Assemblee legislative che verranno. Esso è soprattutto – ha voluto essere da parte nostra – una specie di ordine del giorno conclusivo, che desse all’ordinamento regionale il suo specifico significato, che per noi autonomisti era appunto questo, di mettere cioè le Regioni meno ben trattate ed in condizioni di inferiorità di fronte alle altre nella possibilità di sviluppare meglio tutte le loro energie.

Se, infatti, gli ordinamenti regionali sono stati chiesti dalla Sicilia, dalla Sardegna e da altre Regioni d’Italia, ciò è avvenuto appunto per questo motivo; perché tali Regioni, attraverso l’ordinamento che l’Italia ha sin qui avuto, si son viste diminuite e dimenticate. Noi invece, nel porre tutte le Regioni sullo stesso piano per quanto si riferisce alla possibilità di sviluppare le loro attività, le loro energie e le loro risorse, non possiamo dimenticare che molte di queste Regioni si trovano oggi veramente in condizione di patente inferiorità di fronte alle altre.

Una delle obiezioni, infatti, che sono state mosse all’ordinamento regionale, è stata appunto che per alcune Regioni, le più disgraziate, difetta l’autosufficienza. Noi vogliamo eliminare tale insufficienza: e, se vogliamo eliminarla, dobbiamo chiedere allo Stato italiano, come un dovere di solidarietà, come un dovere di utilità nazionale, di contribuire a mettere queste Regioni alla pari con le altre.

E come può farlo lo Stato italiano? Può farlo ponendo intanto in applicazione molte leggi speciali che sono rimaste sulla Carta o che non hanno avuto una integrale applicazione. L’onorevole Ruini non deve dimenticare che, in sede di Sottocommissione, quando si discusse dell’ordinamento regionale, noi avevamo contemplato la costituzione di un fondo di solidarietà appunto a questo scopo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma è stato poi soppresso: non era una cosa possibile.

ZUCCARINI. Sì, è stato soppresso, ma v’era, e a questo fondo erano anche state impegnate a contribuire le Regioni più prospere. Ora è appunto tale concetto che noi vogliamo affermare; vogliamo dire soprattutto questo: che se l’Italia vuole veramente mettersi in condizioni di sviluppo progressivo, cioè di civiltà, bisogna che lo Stato italiano contribuisca esso a rimettere le Regioni più disgraziate alla pari delle altre, perché possano camminare insieme sulle vie di tale sviluppo progressivo. È un’opera di solidarietà che deve precedere ogni altra opera. Questo è il concetto. Noi repubblicani vogliamo, cioè, con questo ordine del giorno attestare alle Regioni meridionali, alle Regioni del Centro-Italia e alle Isole, questo sentimento di solidarietà nazionale verso di loro; è un impegno che prendiamo, un impegno di carattere generico…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Lo abbiamo già.

ZUCCARINI. …che le Assemblee legislative di domani dovranno sentire e cercare di applicare nel miglior modo. Come si fa questo? Con le leggi ordinarie? No, si potrà farlo solo con disposizioni straordinarie; non col bilancio ordinario delle ordinarie spese dello Stato. È bene che questo concetto sia affermato. Dipenderà poi dalle Assemblee legislative di domani stabilire il come e il quando dell’applicazione pratica. Così facendo, non impegniamo niente; non fissiamo cifre; affermiamo solamente un concetto. E crediamo, affermandolo, di dare a questa parte della Costituzione di carattere regionale un alto valore nazionale, che sarà certamente bene inteso dalle Regioni del Mezzogiorno d’Italia, e contribuirà a far accettare il nuovo ordinamento regionale come una forma di elevazione e di progresso nella vita nazionale. Questo è il nostro scopo; questa è la ragione del nostro ordine del giorno, e per questo noi lo raccomandiamo alla votazione dell’Assemblea. (Applausi).

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Vorrei chiarire all’onorevole Zuccarini due punti, prima di ritornare sopra questa materia.

Noi abbiamo votato, con un articolo esplicito, che lo Stato ha il dovere di dare dei contributi speciali per valorizzare le Regioni del Mezzogiorno e delle Isole. Quindi, il contributo è già votato.

In quanto al fondo di solidarietà nazionale, al quale ha alluso l’onorevole Zuccarini, vi era in una formula iniziale, che poi venne modificata nel progetto portato all’Assemblea, e ciò con il consenso di tutte le correnti, giacché un fondo di solidarietà alla cui gestione avessero partecipato anche le Regioni del nord, avrebbe dato occasione ad attriti ed a forme poco simpatiche. Abbiamo stabilito che è obbligo dello Stato dare questi contributi di solidarietà, senza la formalità e la complicazione di un fondo generale; darli attingendo direttamente al bilancio dello Stato con necessari stanziamenti. Questo è un progresso a vantaggio delle Regioni.

Tenga poi ben fermo, onorevole Zuccarini, che io non ho mai dichiarato di essere contrario ad un’affermazione per i lavori pubblici nel Mezzogiorno e nelle Isole. Ma, mi scusi, la formulazione proposta non è in nessun modo accettabile. Prescindiamo pure dal fatto che il concetto di poter togliere l’inferiorità di alcune Regioni con lavori pubblici non è possibile; ma illusorio. Occorrono i lavori pubblici, ma occorre anche altro. Andiamo avanti: l’ordine del giorno parla di stanziamenti straordinari, parla di bilanci annui. Chi ha la più elementare esperienza in queste materie sa che gli stanziamenti per i lavori pubblici sono tutti per opere straordinarie, salvo le manutenzioni. E quali bilanci vi possono essere se non annuali? L’ordine del giorno stabilisce poi che il programma dei lavori, diciamo così, di perequazione nel Sud e nelle Isole, debba avere la precedenza su ogni altro lavoro pubblico; ma vi sono lavori indispensabili, che non possono essere messi in seconda linea per la ricostruzione e la riparazione dei danni di guerra, anche altrove che nel Mezzogiorno.

Creda, onorevole Zuccarini, a me che sono vissuto tanti anni nell’amministrazione dei lavori pubblici ed ascrivo a mio vanto di aver promesso leggi e lavori concreti pel Mezzogiorno; creda a me, il suo ordine del giorno non regge. Era mio dovere dirlo; del resto faccia l’Assemblea come crede.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini si rimette all’Assemblea. Del resto, non trattandosi di materia costituzionale, la Commissione non avrebbe neppure la veste per accettare o non accettare la proposta stessa.

Pongo in votazione l’ordine del giorno Conti-Zuccarini di cui ho già dato lettura.

(Non è approvato).

Segue l’ordine del giorno presentato dall’onorevole Sardiello, del seguente tenore:

«L’Assemblea Costituente,

convinta che è condizione essenziale perché l’ente Regione risponda pienamente ai suoi compiti che esso promuova ed alimenti una effettiva diretta ed armonica partecipazione di tutti i centri e gli enti del territorio alla esplicazione ed allo sviluppo delle attività regionali, nonché alla difesa degli interessi generali della Regione;

ritenuto che a tal fine conviene evitare che il capoluogo divenga un centro assorbente della vita regionale;

afferma la necessità che le emanande leggi della Repubblica nell’ambito delle previsioni di cui al Titolo V, Parte II della Costituzione, gli Statuti regionali destinati a stabilire le norme per l’organizzazione interna della Regione e l’attività dei Consigli e delle Giunte regionali siano sempre ispirati alle suddette finalità».

Non essendo presente il proponente, si intende che vi abbia rinunziato.

Passiamo al secondo comma dell’articolo 50. Se ne dia lettura.

DE VITA, Segretario, legge:

«Quando i poteri pubblici violino le libertà fondamentali ed i diritti garantiti dalla Costituzione, la resistenza all’oppressione è diritto e dovere del cittadino».

PRESIDENTE. Come l’Assemblea ricorda, questo secondo comma dell’articolo 50 fu a suo tempo rinviato.

Sono stati presentati vari emendamenti soppressivi, che sono stati tutti svolti, dagli onorevoli Colitto, Bozzi, Crispo, Bosco Lucarelli, Rodi, Caroleo, Della Seta, Azzi e Terranova.

L’onorevole Caroleo ha presentato pure il seguente emendamento:

«Subordinatamente, sostituirlo col seguente:

«Non è punibile la resistenza ai poteri pubblici, nei casi di violazione delle libertà fondamentali garantite dalla Costituzione».

L’onorevole Caroleo non essendo presente, s’intende abbia rinunziato a svolgerlo.

L’onorevole Mortati ha già svolto il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«È diritto e dovere dei cittadini, singoli o associati, la resistenza che si renda necessaria a reprimere la violazione dei diritti individuali e delle libertà democratiche da parte delle pubbliche autorità.

MORTATI. Non vi insisto.

PRESIDENTE. Sta bene. È stato pure svolto il seguente emendamento:

«Sopprimere le parole: all’oppressione.

«Carboni Angelo, Preti».

Segue un emendamento dell’onorevole Benvenuti del seguente tenore:

«Sostituirlo col seguente:

«Non è punibile la resistenza opposta dal cittadino ad atti compiuti dai pubblici poteri in forza di atti legislativi incostituzionali».

Ha facoltà di svolgerlo.

BENVENUTI. Io condivido il concetto della Commissione e del collega Mortati, di introdurre nella Costituzione il diritto di resistenza. L’istituto mi sembra necessario sotto un particolare profilo: ossia sotto il profilo dell’intervallo di tempo che può intervenire fra una legge incostituzionale e la dichiarazione di incostituzionalità che venga pronunciata dalla Corte costituzionale. Durante questo periodo di tempo, cioè fra la promulgazione della legge e la dichiarazione di incostituzionalità, l’unica garanzia costituzionale che resta al cittadino è il diritto di resistenza. Ecco perché tale diritto va fissato nel testo della Costituzione. Ma penso che la norma debba andare inquadrata nell’ambito del nostro sistema legislativo.

Come abbiamo già ristabilito, attraverso un decreto luogotenenziale – se non erro – del 19 settembre 1944, il diritto dei cittadini di non essere perseguiti per atti di resistenza contro gli arbitri del potere esecutivo, così ritengo che si debba addivenire ad una innovazione estensiva nel senso di statuire la non punibilità per atti che il cittadino compia nella resistenza ad atti del potere esecutivo i quali non siano arbitrari, non siano illegittimi, ma siano compiuti in forza di una legge incostituzionale. Sostanzialmente si tratta di fornire con una disposizione espressa al cittadino, che sia incriminato del delitto di resistenza, la possibilità di opporre l’eccezione di incostituzionalità delle leggi in forza delle quali il pubblico funzionario ha, legittimamente in quel momento, agito nei suoi confronti.

Sull’incostituzionalità della legge si fonda l’eccezione difensiva che tutela il diritto di resistenza.

LACONI. È un dovere.

BENVENUTI. È un diritto e una facoltà. Quando la legge, in forza della quale il pubblico funzionario addetto al pubblico servizio ha agito, sia dichiarata incostituzionale, la resistenza del cittadino cessa di esser punibile. Con questa formulazione mi pare che il diritto di resistenza si inquadri legalitariamente nella nostra tradizione giuridica. In quanto alla collocazione, mi permetto di suggerire alla Commissione che la norma venga collocata fra le garanzie costituzionali.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato non può che mantenere il suo testo, ma lo mantiene a un titolo puramente formale, a base alla votazione, perché nel Comitato vi sono opinioni diverse, e ciascuno dei suoi membri voterà come crede.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Voglio chiedere qualche chiarimento sulla portata e sul significato preciso di questo testo della Commissione. Si parla di poteri pubblici i quali violino le libertà fondamentali. Allora, per esempio, fra le libertà fondamentali v’è anche quella, io penso, che stabilisce l’inviolabilità del proprio domicilio. Ora, se a casa mia si presentasse un commissario di polizia il quale, non dimostrando di esservi autorizzato, volesse perquisirla, sarei autorizzato, in virtù di questo comma, a resistere a mano armata alla polizia? E in tal caso non mi si potrebbe applicare quel certo articolo del Codice penale il quale dice che nessuno può esercitare arbitrariamente le proprie ragioni?

È un dubbio. Voglio sapere quale sia la portata pratica dell’articolo proposto. Si dovrà, se venisse approvato, modificare il nostro Codice penale? Io non capisco. Prego di spiegarmelo.

Una voce a destra. V’è il Codice penale.

PRESIDENTE. La Commissione ha facoltà di esprimere il suo parere.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non ho altro da aggiungere; è questione di Codice penale.

PRESIDENTE. Onorevole Benvenuti insiste nel suo emendamento?

BENVENUTI. Insisto.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Ho chiesto la parola per un chiarimento. Io presentai un emendamento che ebbi anche a discutere…

PRESIDENTE. Non lo vedo.

MASTINO PIETRO. …quando venne in discussione l’articolo 50, mesi or sono.

L’emendamento rimane. Se non c’è io lo ripropongo adesso.

PRESIDENTE. Lo riproponga. Se ci fosse stato ne avrei dato lettura.

MASTINO PIETRO. Io fondevo allora il primo comma col secondo dell’articolo 50. Il primo comma è stato già votato, però separatamente dal secondo e quindi, adesso, dell’emendamento proposto allora leggo solo la seconda parte, che è conforme a quanto risulta dal resoconto stenografico che ho dinanzi: «Il cittadino (questa è la seconda parte che risponderebbe a quella che intendevo fosse la formulazione della parte seconda dell’articolo 50 di allora) ha l’obbligo di difendere contro ogni violazione le libertà fondamentali, i diritti garantiti dalla Costituzione e l’ordinamento dello Stato».

In definitiva io riconoscevo al cittadino il diritto che è affermato nel capoverso dell’articolo 50, ma invece di parlare di diritto del cittadino, parlavo di dovere, di modo che il cittadino aveva, oltreché il diritto, anche l’obbligo d’intervenire a difesa dei diritti garantiti dalla Costituzione, e a difesa dell’ordinamento dello Stato.

In questo modo si evitava e si evita l’audacia di un’affermazione in base alla quale nel campo del diritto costituzionale viene riconosciuto il diritto dell’insurrezione. Si è quasi, poc’anzi, posto in dubbio il diritto di resistenza dell’individuo, ma questo è già ammesso nel Codice penale. Lo stesso Codice penale fascista lo ammetteva ripetendo un concetto già affermato nell’articolo 199 del Codice Zanardelli. Non è, quindi, in discussione il diritto di resistenza dell’individuo verso i soprusi esercitati a suo danno. Si tratta di un diritto da trasportare dall’individuo alla collettività. Ad evitare difficoltà teoriche e pratiche e soprattutto ad evitare che questo principio riconosciuto dalla legge possa domani servire per scopi che siano violatori delle leggi fondamentali dello Stato, io proponevo e ripropongo l’emendamento che ho testé letto.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione anche su questo emendamento.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ho già dichiarato che la Commissione su un emendamento presentato all’ultima ora non si può pronunciare.

La Commissione rimane fedele al suo testo. Ho l’impressione personale che il testo Mastino, mentre mantiene il concetto della difesa, sia tale da poter avere un consenso più largo anche da parte di quelli che non avrebbero acceduto al testo originario della Commissione. Ma il Comitato come tale non si pronuncia; ed il suo testo, lo ripeto, è mantenuto soltanto per l’ordine formale della discussione.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Domando che, data la stanchezza dell’Assemblea… (Proteste a sinistra). Siamo qui dalle nove di stamattina e poi dalle sedici quasi ininterrottamente. Non è possibile continuare la discussione in questa situazione di pesantezza per chi segue assiduamente l’elaborazione degli articoli della Costituzione. Avevamo chiesto di non fare sedute notturne. Le facciamo invece con la sola interruzione di mezz’ora. Chiedo al signor Presidente che si rinvii la discussione a domani mattina.

PRESIDENTE. Si tratta di una proposta d’ordine: si deve dare facoltà di parlare ad un oratore che la sostenga ed a uno che sia contrario.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Vorrei far notare che noi abbiamo già un programma fissato che contempla l’esame di questi articoli residui e poi delle Disposizioni finali e transitorie. Ora nessuno di noi ignora che fra le norme transitorie ve ne sono alcune che daranno luogo a un dibattito di grande importanza.

Io sarei favorevole alla proposta dell’onorevole Uberti se non avessi la preoccupazione che, perdendo ora del tempo, l’esame di questi articoli si debba poi fare nella serata di sabato. Le norme transitorie daranno luogo a una discussione politica, probabilmente di maggiore rilievo, e noi sappiamo per comune esperienza che il sabato vi è un minor numero di presenti. Quindi, vorrei soltanto che l’Assemblea esaminasse il suo programma nel complesso e che stabilisse la successione degli argomenti che deve discutere affinché non si corra questo pericolo.

Sono pertanto contrario alla proposta dell’onorevole Uberti. Anzi, non solo mi dichiaro contrario, ma sarei del parere che converrebbe possibilmente cominciare almeno a svolgere gli emendamenti alle Disposizioni transitorie questa sera stessa, in modo da guadagnare tempo per potere esaurire almeno entro sabato mattina la discussione.

COPPI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COPPI. Vorrei fare questa proposta: che questa sera non si proceda alla votazione sull’articolo 50 e si inizi invece la discussione sugli emendamenti alle Disposizioni transitorie.

PRESIDENTE. Io non posso entrare in merito alla proposta dell’onorevole Uberti: mi permetto di rilevare che, almeno per quanto mi riguarda, non ho avuto mai la sensazione, né in questi giorni né oggi, di essere sottoposto ad una fatica insopportabile.

Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Uberti.

(Dopo prova e controprova, è approvata).

Il seguito di questa discussione è pertanto rinviato alla seduta antimeridiana di domani.

Annunzio di mozione.

PRESIDENTE. Comunico che è stata presentata la seguente mozione:

«L’Assemblea Costituente, considerando che i conferimenti dei cereali (e particolarmente del grano) agli ammassi hanno raggiunto nel complesso i quantitativi previsti, ed è, conseguentemente, venuta meno la indispensabilità di perseguire anche singole piccole evasioni dovute, non a intenti di speculazione, ma a comprensibili preoccupazioni di alimentazione familiare e di fabbisogno aziendale, ravvisa la necessità di adottare un provvedimento di amnistia a favore dei produttori agricoli, imputati o condannati per mancato conferimento di modeste quantità di cereali.

«L’atto di clemenza, oltre a costituire un elemento di pacificazione sociale, sarebbe altresì di incitamento all’incremento della produzione cerealicola e all’adempimento dei doveri inerenti al prossimo ammasso per contingente.

«Bonomi Paolo, Micheli, Bertone, Cotellessa, Baracco, Castelli Avolio, Bovetti, Bubbio, Coppa, Giacchero, Stella, Ferreri, Valenti, Monticelli, Perrone Capano, Ferrario Celestino, Camangi, Rapelli, Simonini, Pera, Coppi, Carbonari, Zerbi, Belotti, Sampietro, Villani, Froggio, Camposarcuno, Burato, Valmarana, Schiratti, Restagno, Vicentini, Ferrarese, Raimondi, Cappi, Benedettini, Meda Luigi, Conti, Rodinò Mario, Fabriani, Uberti, Morini, Bosco Lucarelli».

Ne darò notizia ai Governo affinché comunichi il giorno in cui ritiene possa essere discussa.

Interrogazione con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Comunico che è stata presentata la seguente interrogazione con richiesta di risposta urgente:

«Al Ministro della difesa, sulle ragioni tecniche o politiche della recente sostituzione del Segretario generale dell’Esercito, che ha allarmato l’opinione repubblicana del Paese.

«Lussu».

Interpellerò il Governo affinché comunichi quando intenda rispondere.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere se e come intenda provvedere perché siano migliorati e resi più efficienti i servizi ferroviari sul tratto Bologna-Ancona. Si chiede in particolare la sostituzione dei carri bestiame, o merci in uso per passeggeri anche in questo periodo invernale e un migliore, più celere e diretto collegamento coi treni rapidi che, attraverso Bologna e Ancona, portano a Roma e a Milano. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Braschi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro degli affari esteri, per sapere quali provvedimenti intenda prendere per favorire il desiderio di quei cittadini che desiderano ritornare in America e che per effetto di servizio militare o per aver preso parte alle elezioni politiche, hanno perduto la cittadinanza americana. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Scotti Alessandro».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere se non ritenga giusto e moralmente doveroso concedere una generale amnistia a favore degli agricoltori sottoposti a procedimenti penali per inosservanza alle disposizioni annonarie da cui esulava lo scopo speculativo. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Scotti Alessandro».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per sapere quali provvedimenti intenda urgentemente prendere per fare rientrare il fiume Orco (Torino) nel suo antico letto onde provvedere al ricupero di una grande quantità di terreno soggetto alla distruzione ed evitare la minaccia di invasione di altri terreni fertilissimi, di casolari e l’interruzione della strada provinciale e ferroviaria tra Ozegna e Rivarolo. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Scotti Alessandro».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, perché voglia sollecitare, da parte del suo Dicastero, il pagamento dei mandati, che il comando francese, di stanza a Roma, va giornalmente emettendo, a favore degli abitanti della zona dove ha infuriato la battaglia di Cassino, per il risarcimento dei danni causati dal passaggio delle truppe marocchine.

«Si tratta di accelerare, a favore di una quantità di povera gente, per ragioni ben note tra le vittime più disgraziate della guerra, il pagamento di un modesto contributo che, specialmente con l’avvicinarsi dell’inverno, renderebbe meno tristi le loro miserrime condizioni: opera quindi di giustizia riparatrice e di doverosa umanità. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Persico».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri di grazia e giustizia e dell’agricoltura e foreste, circa l’organizzazione e l’applicazione della giustizia agraria, per la quale con i decreti-legge 5 aprile 1945, n. 157; 1° aprile 1947, n. 273 e 1° aprile 1947, n. 577, vennero istituite commissioni agrarie presso ogni Tribunale per la concessione di proroghe di contratti agrari, per la determinazione dell’equo affitto, commissioni che funzionano con lentezza, perché presiedute da un giudice di Tribunale già aggravato per le sue funzioni di magistrato ordinario e perché costituite nei grandi Tribunali da una sola sessione e normalmente senza supplenti.

«La grave situazione si è complicata per la dichiarazione di incostituzionalità deliberata dalla Corte di appello di Torino e dal Tribunale di Venezia relativamente al decreto per l’equo affitto 1° aprile 1947, n. 277, con pericolo che altrettanta declaratoria avvenga anche per il decreto 1° aprile 1947, n. 273, per il motivo che tali decreti non sono stati sottoposti all’Assemblea Costituente a sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo 16 marzo 1946, n. 98. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bastianetto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere se non ritenga opportuno aumentare le «congrue» dei parroci e dei canonici delle cattedrali.

«Premesso che lo Stato, in virtù dei Patti Lateranensi, s’impegnava a corrispondere loro un contributo integrativo di lire 3500 annue e che, con l’articolo 30, secondo capoverso del Concordato, s’impegnava a supplire alle deficienze dei redditi dei beneficiari ecclesiastici con assegni da corrispondere in misura non inferiore al valore reale di quella stabilita dalle leggi «attualmente» in vigore (anno 1929), sembra all’interrogante che sia giusto affrontare e risolvere la questione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Russo Perez».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno trasmesse ai Ministri competenti per la risposta scritta.

La seduta termina alle 21.50.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 11:

  1. Discussione dei seguenti disegni di legge:

Approvazione degli Accordi di carattere economico conclusi in Roma, tra l’Italia e la Francia, il 22 dicembre 1946.

Approvazione dei seguenti atti internazionali: a) Protocollo di emendamento agli Accordi, Convenzioni e Protocolli sugli stupefacenti conclusi all’Aja il 23 gennaio 1912, a Ginevra 1’11 febbraio 1925, il 19 febbraio 1925, il 13 luglio 1931, a Bangkok il 27 novembre 1931 ed a Ginevra il 26 giugno 1936; b) Annesso al Protocollo di emendamento agli Accordi, Convenzioni e Protocolli sugli stupefacenti conclusi all’Aja il 23 gennaio 1912, a Ginevra 1’11 febbraio 1925, il 19 febbraio 1925, il 13 luglio 1931, a Bangkok il 27 novembre 1931 ed a Ginevra il 26 giugno 1936.

Approvazione dello scambio di Note relativo ai danni di guerra ed all’articolo 79 del Trattato di Pace, effettuato in Roma fra l’Italia e la Cina il 30 luglio 1947.

Approvazione dei seguenti Atti internazionali conclusi a Neuchâtel, tra l’Italia ed altri Stati, l’8 febbraio 1947: a) Accordo per la conservazione o la reintegrazione dei diritti di proprietà industriale colpiti dalla seconda guerra mondiale; b) Protocollo di chiusura; c) Protocollo di chiusura addizionale.

  1. – Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Alle ore 16:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 4 DICEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCXVIII.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 4 DICEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

 

INDICE

Sul processo verbale:

Moro

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Lussu

Stampacchia

Camposarcuno

Lami Starnuti

Perassi

Ambrosini

Nobile

Mastino Pietro

Tosato

Adonnino

Bertone

Fabbri

Persico

Musolino

Mortati

Uberti

La seduta comincia alle 11.

CODACCI PISANELLI, ff. Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

Sul processo verbale.

MORO. Chiedo di parlare sul processo verbale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Una breve precisazione sul mio intervento nella seduta mattutina di ieri. Vorrei precisare che ho sollevato la questione della contradizione fra le due votazioni come una premessa, perché poi della questione si occupasse il Comitato di coordinamento, che ha il compito di eliminare le contradizioni tra le norme costituzionali. E in ciò mi pare di aver avuto il consenso, sia pure implicito, del Presidente, nelle dichiarazioni successive al mio intervento.

Ne prendo atto e ripeto che, secondo il mio parere, la questione deve essere portata dinanzi al Comitato di redazione.

PRESIDENTE. Se non vi sono altre osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati Pignatari, Sardiello e Villabruna.

(Sono concessi).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Dobbiamo ora riprendere l’esame di quegli articoli che erano stati rinviati in sede di discussione sul Titolo V relativo alle Regioni.

Il primo è l’articolo 117, che nel progetto era così formulato:

«Il Consiglio regionale può essere sciolto quando compie atti contrari all’unità nazionale o altre gravi violazioni di legge; e quando, non ostante la segnalazione fatta dal Governo, non procede alla sostituzione della Deputazione o del Presidente della Deputazione, che hanno compiuto analoghi atti e violazioni.

«Lo scioglimento è disposto con decreto motivato del Presidente della Repubblica su proposta del Consiglio dei Ministri e deliberazione conforme della Camera dei senatori, presa a maggioranza assoluta dei suoi membri, con l’astensione dal voto dei rappresentanti della Regione interessata.

«Con lo stesso decreto di scioglimento è nominata una Commissione di tre membri, scelti fra i cittadini eleggibili al Consiglio regionale. La Commissione indice le elezioni del Consiglio entro due mesi dalla pubblicazione del decreto di scioglimento ed intanto provvede all’ordinaria amministrazione di competenza della Deputazione ed alle misure improrogabili, da sottoporre poi alla ratifica del Consiglio».

Il Comitato di redazione ha presentato un nuovo testo. Se ne dia lettura.

DE VITA, Segretario, legge:

«Il Consiglio regionale può essere sciolto quando compie atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge o non sostituisce la Giunta od il suo Presidente che abbiano compiuto analoghi atti e violazioni.

«Il Consiglio può altresì essere sciolto quando per dimissioni o impossibilità di formare una maggioranza non sia in grado di funzionare.

«Lo scioglimento è disposto con decreto motivato dal Presidente della Repubblica previa deliberazione del Senato della Repubblica.

«Una Commissione, nominata con lo stesso decreto e composta di tre cittadini eleggibili al Consiglio regionale, indice le elezioni entro due mesi e provvede all’ordinaria amministrazione di competenza della Giunta ed agli atti improrogabili da sottoporre poi alla ratifica del Consiglio».

PRESIDENTE. Al nuovo testo sono stati presentati numerosi emendamenti.

Il primo è quello dell’onorevole Codignola così formulato:

«Sostituire i primi tre commi con i seguenti:

«Il Consiglio regionale può essere sciolto quando compie atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge.

«Lo scioglimento è disposto dalla Corte delle garanzie costituzionali, su denuncia del Governo centrale o di un numero di cittadini non inferiore a cinquemila, entro il termine di un mese dalla denuncia, ove questa appaia fondata.

«Qualora gli atti contrari alla Costituzione o le gravi violazioni di legge siano compiuti dalla Giunta o dal Presidente regionale, il Governo centrale invita il Consiglio regionale a procedere alla loro sostituzione. Ove esso non proceda, si applicano le norme del precedente comma.

«In caso di assoluta urgenza, lo scioglimento può essere disposto con decreto del Presidente della Repubblica, su richiesta del Governo e previa deliberazione conforme del Senato, salvo ratifica della Corte delle garanzie costituzionali entro il termine massimo di quindici giorni».

Poiché l’onorevole Codignola non è presente s’intende che abbia rinunziato a svolgere l’emendamento.

LUSSU. Lo faccio mio.

PRESIDENTE. Ha facoltà di svolgerlo.

LUSSU. La preoccupazione costante che ha ispirato il collega Codignola in una serie di considerazioni che ha fatto a questo proposito, e per cui ha presentato l’emendamento, è una diffidenza costante nell’intervento, che può essere violatore dei principî essenziali di garanzia e di libertà, del potere esecutivo. Questo è il principio base del concetto svolto dal collega onorevole Codignola nell’emendamento. È evidente che, portando un provvedimento dalla competenza del potere esecutivo a quella della Corte costituzionale, si ha la speranza d’una maggiore garanzia. Vero è che la Corte costituzionale è risultata composta così come abbiamo visto in questi giorni, e in coscienza non so se il collega onorevole Codignola, se avesse avuto possibilità di prendere la parola oggi, avrebbe mantenuto l’emendamento. Io lo mantengo, a titolo formale, ma devo dichiarare che anch’io ho dei dubbi, e pertanto desidero sentire la discussione che si svolgerà e quello che risponderà il Presidente della Commissione. Mi riservo perciò di mantenere oppur no l’emendamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Nobile ha presentato il seguente emendamento, assieme agli onorevoli Stampacchia, Mancini, Costa, Zappelli, Pieri, Tonello, Musolino, Maffi, Sicignano:

«Al terzo comma, alle parole: del Senato della Repubblica, sostituire le seguenti: di una delle due Camere».

STAMPACCHIA. Quale secondo firmatario dell’emendamento chiedo di svolgerlo.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

STAMPACCHIA. Come è detto nel testo, il provvedimento dovrebbe essere emanato dal Presidente della Repubblica, su richiesta del Senato. Ma non si capisce perché la Camera dei deputati debba essere esclusa da questa deliberazione. Egli è perciò che proponiamo si debba aggiungere, anzi sostituire, alle parole del testo le altre, e cioè che può essere richiesto da una delle due Camere, in modo che il Senato non resterà escluso, ma non resterà esclusa neanche la Camera dei deputati.

A proposito poi di questo articolo, non sono affatto d’accordo con l’emendamento dell’onorevole Codignola, il quale vorrebbe demandare (e già l’onorevole Lussu ha fatto in proposito le sue riserve) il provvedimento di scioglimento del Consiglio regionale alla Corte delle garanzie costituzionali. La Corte costituzionale – osservo – è chiamata a giudicare della costituzionalità o meno delle leggi, e intanto, coll’emendamento Codignola, noi la metteremmo nelle condizioni di doversi pronunciare senza che poi nessuno possa rivedere il provvedimento della stessa Corte costituzionale. Ora, siccome questa costituisce l’ultimo grado, diciamo così, di esame delle leggi e dei provvedimenti, per quanto concerne la loro costituzionalità, è chiaro che bisogna mettere la Corte che rivede le leggi fuori di ogni discussione, conservandole rigorosamente e strettamente la funzione regolatrice di suprema Magistratura.

PRESIDENTE. L’onorevole Camposarcuno aveva presentato al vecchio testo i seguenti tre emendamenti:

«Al primo comma, dopo le parole: contrari all’unità, aggiungere: e all’interesse».

«Al secondo comma, dopo le parole: su proposta del Consiglio dei Ministri, aggiungere: e su papere conforme del Consiglio di Stato in adunanza generale».

«Al terzo comma, alla dizione: entro due mesi, sostituire: entro tre mesi».

Mi pare però che nei confronti del nuovo testo, il terzo dei suoi emendamenti resti ancora valido, mentre i primi due non sarebbero più immediatamente pertinenti.

Comunque l’onorevole Camposarcuno ha facoltà di svolgere i suoi emendamenti.

CAMPOSARCUNO. Al primo comma, dopo le parole «contrari all’unità» io avevo proposto che fosse aggiunto anche «e all’interesse nazionale», perché penso che non debba sciogliersi il Consiglio regionale soltanto quando giunga ad atti che siano considerati contrari all’unità nazionale. Vi possono essere atti che, pur non raggiungendo tale gravità, nuocciono allo Stato, ed allora penso che, anche in questo caso, sia incompatibile la permanenza del Consiglio regionale.

Per quanto riguarda l’emendamento al secondo comma, dopo la frase «su proposta del Consiglio dei Ministri», io ho proposto che si aggiunga «e su parere conforme del Consiglio di Stato in adunanza generale».

Il secondo comma stabilisce che lo scioglimento dei Consigli regionali è disposto con decreto motivato del Presidente della Repubblica, su proposta del Consiglio dei Ministri e deliberazione conforme della Camera dei senatori, presa a maggioranza assoluta dei suoi membri, con l’astensione dal voto dei rappresentanti della Regione interessata. Sono due organi squisitamente politici. Per un fatto di tale gravità, quale è indubbiamente quello dello scioglimento del Consiglio regionale, penso che non sia inopportuno richiedere il parere del Consiglio di Stato in adunanza generale, appunto perché, con questo parere, oltre all’elemento politico ne subentra un altro, che a quello politico è alquanto estraneo. Il Consiglio di Stato può esaminare la proposta di scioglimento sotto aspetti che non siano preminentemente quelli politici.

Per quanto riguarda il terzo comma, ho proposto una modifica, nel termine fissato dalla Commissione, di tre mesi dopo lo scioglimento del Consiglio regionale, per l’ordinaria amministrazione della Regione e perché siano indette le nuove elezioni.

Mi sembra che il termine di due mesi sia insufficiente perché si compiano tutti gli atti necessari per indire le nuove elezioni. Quindi penso sia utile sostituire al termine di due mesi quello di tre mesi.

PRESIDENTE. L’onorevole Lami Starnuti ha presentato il seguente emendamento al vecchio testo dell’articolo 117.

«Sostituirlo col seguente:

«Per nessun motivo è ammesso lo scioglimento anticipato delle Amministrazioni locali, salvo il caso di dimissioni o di perdita della maggioranza dei membri che compongono il Consiglio e salvo i casi di gravi e reiterate violazioni della legge o di atti contrari alla unità nazionale, previo parere conforme, in queste ipotesi, della Corte delle garanzie costituzionali.

«Inoltre, le Amministrazioni locali possono essere sciolte, sempre su parere conforme della Corte, quando i Consigli non provvedessero, su richiesta del Governo, a sostituire i sindaci o le Giunte, i presidenti delle Deputazioni o le Deputazioni che avessero compiuto analoghi atti o violazioni.

«La rimozione o la sospensione dei sindaci e dei presidenti delle Deputazioni non è ammessa, a opera del Governo, se non in caso di rinvio a giudizio penale per delitto che porti seco la perdita della capacità elettorale».

Ha facoltà di svolgerlo.

LAMI STARNUTI. Mi limito a mantenerlo.

PRESIDENTE. L’onorevole Perassi ha presentato il seguente emendamento:

«Al terzo comma, sostituire le parole: Senato della Repubblica, con: Consiglio dei Ministri e sentita una Commissione di deputati e senatori composta nei modi stabiliti dalla legge».

L’onorevole Perassi ha facoltà di svolgerlo.

PERASSI. Tutti i componenti il Comitato siamo, credo, d’accordo nel ritenere che lo scioglimento per i motivi indicati nei commi precedenti è provvedimento così grave, che esige di essere preso con tutte le cautele necessarie.

Si tratta di sapere quali cautele occorre mettere e fino a che punto occorra spingerci a questo riguardo, per evitare che il procedimento diventi eccessivamente macchinoso.

Si era pensato che il provvedimento non soltanto esigesse una deliberazione del Consiglio dei Ministri, il che è naturale, ma anche una deliberazione del Senato, ossia di una Assemblea di 300 persone. Però considerando le cose da un punto di vista realistico, ci sembra che questa disposizione sia eccessiva. D’altra parte, lo spirito che aveva informato questo schema, può essere salvo, nel senso che il provvedimento di scioglimento non possa essere preso dal Governo, se non dopo aver sentito un organo parlamentare. Ora, per attuare questa idea e tenendo conto di altri precedenti, si può pensare alla istituzione di una Commissione parlamentare permanente, composta di deputati e di senatori, prescrivendo che tale Commissione debba essere sentita dal Governo prima che esso adotti il provvedimento di scioglimento. È in questo senso che abbiamo proposto un emendamento, il quale suona in questi termini: «Lo scioglimento è disposto con decreto motivato del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri e sentita una Commissione di deputati e di senatori costituita nei modi stabiliti dalla legge». La legge determinerà il numero dei membri della Commissione, la durata e tutti i dettagli necessari su questo argomento. L’idea essenziale a cui è ispirato l’emendamento proposto è, dunque, quella di sostituire alla deliberazione collegiale di una delle due Camere, il parere di un organo che rappresenti l’una e l’altra Camera.

PRESIDENTE. L’onorevole Ambrosini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione sugli emendamenti.

AMBROSINI. Con l’emendamento proposto dall’onorevole Perassi crediamo che si vada incontro a quanto era richiesto con l’emendamento dell’onorevole Nobile, svolto dall’onorevole Stampacchia: quindi la Commissione accetta l’emendamento Perassi al terzo comma dell’articolo 117 del nuovo testo.

Riguardo ai primi due emendamenti proposti dall’onorevole Camposarcuno, la Commissione crede di non poterli accettare, perché questi emendamenti si riferivano al testo primitivo, che è stato sostituito; accetta invece l’emendamento al terzo comma, tendente a sostituire alla dizione: «entro due mesi», l’altra: «entro tre mesi».

Riguardo agli emendamenti dell’onorevole Codignola, fatti propri dall’onorevole Lussu, ed agli emendamenti dell’onorevole Lami Starnuti, la Commissione crede di osservare brevemente, quanto al primo, che lo stesso onorevole Lussu ha avuto qualche perplessità. Comunque, nella sostanza, riteniamo che non possa deferirsi questa decisione alla Corte delle garanzie costituzionali secondo l’emendamento dell’onorevole Codignola, né chiedersi il parere della stessa Corte secondo l’emendamento Lami Starnuti. Infatti noi abbiamo già determinato quella che è la natura ed il carattere della funzione della Corte costituzionale, vale a dire un carattere giurisdizionale; ora, secondo l’emendamento Codignola, essa assumerebbe una funzione deliberativa propria del potere esecutivo, mentre secondo l’emendamento dell’onorevole Lami Starnuti assumerebbe un carattere consultivo. Nell’uno e nell’altro caso ci allontaneremmo dal carattere fondamentale che questa Assemblea ha già attribuito alla Corte costituzionale. Peraltro, se l’Assemblea viene nell’ordine di idee di approvare l’emendamento dell’onorevole Perassi, in virtù del quale le due Camere, per mezzo di elementi da esse direttamente eletti e che costituirebbero una Commissione speciale, manifestano il loro giudizio sulla proposta di scioglimento, ogni pericolo di sopraffazione dell’esecutivo verrebbe a cessare, e si avrebbe una garanzia sufficiente della retta applicazione della Costituzione nel caso eccezionale del quale noi ci occupiamo.

Con queste spiegazioni, la Commissione crede che l’Assemblea possa approvare il testo dell’articolo 117, con la modifica suaccennata.

PRESIDENTE. Chiedo ai presentatori di emendamenti se li mantengono.

Onorevole Lussu, mantiene l’emendamento Codignola che ha fatto suo?

LUSSU. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Onorevole Lami Starnuti, mantiene il suo emendamento?

LAMI STARNUTI. Non ho nessuna difficoltà ad aderire al nuovo testo del Comitato di redazione. Il mio emendamento era stato presentato in relazione al vecchio testo ma, modificata la formula primitiva, aderisco alla nuova.

Avrei desiderato però che l’onorevole Ambrosini avesse detto qualche cosa sull’ultima parte del mio emendamento, la quale riguarda una ulteriore ipotesi, oltre quelle contenute nella formula del Comitato, riguarda cioè la eventuale rimozione o sospensione dei sindaci e dei presidenti delle Deputazioni (ho chiamato Deputazioni anche quelle regionali, seguendo la nomenclatura originaria del progetto). Mi pare che la Corte costituzionale dovrebbe contenere una garanzia a favore dei capi delle Regioni e degli enti locali, circa la possibilità di rimozione da parte del Governo centrale. Io vorrei limitata la rimozione a determinati casi, e precisamente ai casi di rinvio a giudizio per uno di quei delitti che comportano la perdita del diritto elettorale; vorrei, insomma, che scomparisse dalla nostra legislazione ordinaria il potere del Governo centrale di rimuovere o destituire il sindaco ed il presidente della Giunta regionale, per quelle ragioni che si dicono ragioni di ordine pubblico, ma che, qualche volta, rappresentano soltanto un’autentica sopraffazione del Governo centrale sull’autonomia e sulla volontà degli enti locali.

Per quest’ultima parte dell’emendamento, io desidererei dunque, che l’onorevole Ambrosini esprimesse l’opinione ed il parere del Comitato di redazione.

AMBROSINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

AMBROSINI. Risponderò brevemente. Noi riteniamo, dal punto di vista pregiudiziale, che non è questo il momento di discutere di tale grave materia, giacché nell’articolo 117 noi ci occupiamo soltanto delle Regioni. Quindi, l’argomento del quale con tanta passione e competenza si occupa l’onorevole Lami Starnuti, potrà essere trattato in altra sede e precisamente in tema di discussione della legge comunale e provinciale. L’attuale non ci sembra la sede adatta per occuparci di questo problema specifico.

PRESIDENTE. Onorevole Nobile, mantiene l’emendamento?

NOBILE. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Camposarcuno, mantiene gli emendamenti?

CAMPOSARCUNO. Mantengo l’emendamento al terzo comma, accettato dalla Commissione, e ritiro gli altri due.

PRESIDENTE. L’onorevole Mastino Pietro ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma, dopo le parole: Costituzione, aggiungere le altre: o grave violazione di leggi costituzionali».

Ha facoltà di svolgerlo.

MASTINO PIETRO. Darò brevemente qualche indicazione sul significato del mio emendamento: è evidente che, poiché l’Assemblea Costituente stabilì un ordinamento regionale, deve contemporaneamente anche preoccuparsi di regolare i rapporti tra il potere centrale e i poteri attribuiti alla Regione. È quindi necessario prevedere i casi in cui si possa procedere allo scioglimento dei Consigli regionali. Mi pare però che sia anche di immediata evidenza la necessità di limitare i casi di scioglimento. Nella formula già proposta nel progetto di Costituzione era detto che lo scioglimento sarebbe stato possibile quando il Consiglio regionale compisse atti contrari all’unità nazionale. Questa formula non è stata ripetuta; però è stato riconfermato il concetto, ed è stata anche aggiunta la possibilità di sciogliere i Consigli regionali per altre gravi violazioni di legge. Ritengo però necessario precisare la violazione di quali leggi possa determinare lo scioglimento dei Consigli regionali e credo si debba parlare solo della legge costituzionale, perché altrimenti ogni violazione di legge potrebbe dar luogo agli scioglimenti. Vero è che è solo stabilita la possibilità e non l’obbligo dello scioglimento ma noi dobbiamo considerare anche l’eventualità che ragioni politiche trovino apparente motivazione in supposte violazioni di legge e determinino atti d’ingiustizia. Se noi attribuissimo la possibilità dello scioglimento per violazione anche di altre leggi, il criterio diventerebbe troppo lato e quindi pericoloso. Aggiungo che l’articolo 118 della Costituzione stabilisce che il Consiglio regionale deve comunicare al Governo i disegni di legge. Il Governo ha il diritto di rimetterli al Consiglio regionale perché li riesamini, e, se il Consiglio regionale vi insisterà, il Governo potrà impugnarli per incostituzionalità.

Vi è quindi, indipendentemente dal più grave rimedio, rappresentato dall’eventuale scioglimento del Consiglio regionale, la possibilità da parte del Governo centrale di intervenire.

Quindi, la formula da me proposta, secondo la quale il primo comma dovrebbe suonare in questi termini: «Il Consiglio regionale può essere sciolto quando compie atti contrari alla Costituzione o altre gravi violazioni della legge costituzionale», mi sembra da accogliere.

PRESIDENTE. L’onorevole Ambrosini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

AMBROSINI. L’emendamento dell’onorevole Mastino Pietro è determinato da una preoccupazione che ci sembra infondata.

Anzitutto, quando dice che ogni e qualunque violazione di legge può dare al Presidente della Repubblica la facoltà di scioglimento, afferma una cosa non rispondente al testo proposto che parla di «gravi violazioni di legge». Quindi non si tratta di una qualsiasi violazione di legge, ma di grave ed anzi di gravi violazioni di legge. Il progetto adopera il plurale, e ciò è più che significativo per indicare che è necessario che il Consiglio regionale abbia assunto tale un atteggiamento contrario alle leggi da destare veramente una fondata preoccupazione nel Governo dello Stato.

L’onorevole Mastino assume inoltre che l’esecutivo potrebbe esercitare questo diritto impugnando la libera esplicazione del potere regionale. Ma su questo punto mi permetto osservare che non solo è impegnata tutta la responsabilità dell’esecutivo – in quanto occorre un decreto motivato del Presidente della Repubblica, preso in seguito a deliberazione del Consiglio dei Ministri – ma che lo strapotere dell’esecutivo è preventivamente infrenato in quanto occorre che sia sentita una Commissione eletta dalle due Camere.

L’accenno all’articolo 118 fatto dall’egregio collega appare non rilevante per la questione che ci occupa.

In conclusione, la Commissione ritiene che, quando si stabilisca la condizione ed il presupposto delle «gravi violazioni di legge», e quando si aggiunga la garanzia dell’intervento preventivo di una Commissione delle due Camere, tutte le esigenze per prevenire abusi siano sodisfatte, e che l’Assemblea possa con tranquillità approvare il testo proposto dalla Commissione.

PRESIDENTE. L’onorevole Tosato ha presentato il seguente emendamento:

«Al secondo comma aggiungere:

«o per ragioni di sicurezza nazionale».

Ha facoltà di svolgerlo.

TOSATO. Non ho bisogno di svolgere questo emendamento, perché il concetto è chiaro: mira a colmare una lacuna del testo della Commissione.

PRESIDENTE. L’onorevole Ambrosini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

AMBROSINI. Non ho consultato la Commissione, ma ritengo che accetti questa aggiunta che ha ragione evidente di essere.

PRESIDENTE. Onorevole Mastino, mantiene il suo emendamento?

MASTINO PIETRO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. E lei, onorevole Lami Starnuti?

LAMI STARNUTI. Mi riservo di presentare oggi un ordine del giorno in sostituzione dell’ultima parte dell’emendamento.

PRESIDENTE. Sta bene. Passiamo allora alla votazione dell’articolo 117.

Pongo in votazione la prima parte del primo comma:

«Il Consiglio regionale può essere sciolto quando compia atti contrari alla Costituzione».

(È approvata).

Pongo in votazione le parole: «o gravi violazioni di legge».

(Sono approvate).

Pongo in votazione la parola «costituzionali».

(Non è approvata).

Pongo in votazione l’ultima parte del primo comma: «o non sostituisce la Giunta od il suo Presidente che abbiano compiuto analoghi atti e violazioni».

(È approvata).

Pongo in votazione il secondo comma:

«Il Consiglio può altresì essere sciolto quando per dimissioni o impossibilità di formare una maggioranza non sia in grado di funzionare».

(È approvato).

Pongo ora in votazione l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Tosato: «o per ragioni di sicurezza nazionale».

(Dopo prova e controprova, è approvato).

Passiamo al terzo comma:

«Lo scioglimento è disposto con decreto motivato del Presidente della Repubblica previa deliberazione del Senato della Repubblica».

A questo comma sono stati presentati emendamenti dagli onorevoli Nobile e Perassi.

In base all’emendamento Nobile la formulazione sarebbe la seguente:

«Lo scioglimento è disposto con decreto motivato del Presidente della Repubblica previa deliberazione di una delle due Camere»

La pongo in votazione.

(Non è approvata).

Pongo in votazione la formulazione dell’onorevole Perassi, accettata dalla Commissione:

«Lo scioglimento è disposto con decreto motivato del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, sentita una Commissione di deputati e senatori composta nei modi stabiliti dalla legge».

(È approvata).

Pongo in votazione l’ultimo comma, con la modifica proposta dall’onorevole Camposarcuno e accettata dalla Commissione:

«Una Commissione, nominata con lo stesso decreto e composta di tre cittadini eleggibili al Consiglio regionale, indice le elezioni entro tre mesi e provvede all’ordinaria amministrazione di competenza della Giunta ed agli atti improrogabili da sottoporre poi alla ratifica del Consiglio».

(È approvato).

L’articolo 117 risulta nel suo complesso così approvato:

«Il Consiglio regionale può essere sciolto quando compie atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge o non sostituisce la Giunta od il suo Presidente che abbiano compiuto analoghi atti e violazioni.

«Il Consiglio può altresì essere sciolto quando per dimissioni o impossibilità di formare una maggioranza non sia in grado di funzionare, o per ragioni di sicurezza nazionale.

«Lo scioglimento è disposto con decreto motivato del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, sentita una Commissione di deputati e di senatori composta nei modi stabiliti dalla legge.

«Una Commissione, nominata con lo stesso decreto e composta di tre cittadini eleggibili al Consiglio regionale, indice le elezioni entro tre mesi e provvede all’ordinaria amministrazione di competenza della Giunta ed agli atti improrogabili da sottoporre poi alla ratifica del Consiglio».

Passiamo all’articolo 118 che la Commissione ha conservato nel vecchio testo. Se ne dia lettura.

DE VITA, Segretario, legge:

«I disegni di legge approvati dal Consiglio regionale sono comunicati al Governo centrale, e promulgati trenta giorni dopo la comunicazione, salvo che il Governo non li rinvii al Consiglio regionale col rilievo che eccedono la competenza della Regione o contrastano con gli interessi nazionali o di altre Regioni.

«Ove il Consiglio regionale li approvi nuovamente a maggioranza assoluta dei suoi membri sono promulgati, ma non entrano ancora in vigore, se entro quindici giorni dalla comunicazione il Governo li impugna per incostituzionalità davanti alla Corte costituzionale o nel merito, per contrasto di interessi, davanti all’Assemblea Nazionale. In caso di dubbio la Corte decide se competente a pronunciarsi sia essa stessa o l’Assemblea.

«Se una legge è dichiarata urgente dal Consiglio regionale ed il Governo consente, la promulgazione e l’entrata in vigore non sono subordinate ai termini indicati.

«Le leggi regionali sono vistate dal Commissario del Governo nella Regione e promulgate dal Presidente della Deputazione regionale».

PRESIDENTE. L’onorevole Codignola ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«I disegni di legge approvati dal Consiglio regionale sono comunicati alla Corte costituzionale, alle due Camere, al Governo centrale ed agli altri Governi regionali.

«La Corte costituzionale, di propria iniziativa o su iniziativa del Governo o di una delle due Camere a maggioranza dei propri membri, può respingere il disegno di legge per incompetenza, violazione di legge od eccesso di potere.

«Inoltre, previa deliberazione del Senato, a maggioranza assoluta dei suoi membri eccetto i rappresentanti delle Regioni interessate, la Corte costituzionale può respingere il disegno di legge, perché lesivo degli interessi della Nazione o di altre Regioni.

«Qualora la Corte costituzionale non abbia fatto uso di tale facoltà entro il termine di 45 giorni dalla comunicazione, la legge regionale viene promulgata dal Presidente della Regione.

«Se una legge è dichiarata urgente dal Consiglio regionale e il Governo consente, la promulgazione e l’entrata in vigore possono seguire immediatamente, fermo restando l’obbligo della ratifica da parte della Corte costituzionale nel termine suindicato».

Non essendo presente, si intende che abbia rinunziato a svolgerlo.

L’onorevole Lami Starnuti ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«Le norme regionali non acquistano efficacia se non ricevono approvazione, anche tacita, da parte del Governo centrale nel termine di giorni trenta.

«In caso di dissenso, il Governo centrale può o rinviare le norme con le sue osservazioni al Consiglio regionale per un nuovo esame o denunciare le norme alla Corte delle garanzie costituzionali.

«Se il Consiglio regionale respinge le osservazioni, il termine per la denuncia alla Corte è di quindici giorni.

«Le norme regionali, vistate dal Commissario del Governo, sono promulgate dal Presidente della Deputazione regionale ed entrano in vigore, salvo disposizione contraria, dopo dieci giorni dalla loro pubblicazione nel foglio ufficiale della Regione».

Ha facoltà di svolgerlo.

LAMI STARNUTI. Ho presentato un emendamento sostitutivo all’articolo 118, ma in verità il mio emendamento sostituisce per la sostanza solo una parte del testo originario del progetto; per l’altra parte l’emendamento ha un carattere puramente formale. E per questa parte io mi rimetto al Comitato di coordinamento. Il dissenso sostanziale riguarda quella disposizione dell’articolo 118 per la quale, nel caso in cui il Consiglio regionale abbia approvato per la seconda volta, nonostante il contrario avviso del Governo centrale, suoi progetti di legge, i disegni di legge «sono promulgati, ma non entrano ancora in vigore se entro quindici giorni dalla comunicazione il Governo li impugna per incostituzionalità davanti alla Corte Costituzionale o nel merito».

Con tale disposizione noi verremmo a trovarci in questa situazione che mi pare un po’ singolare, di una legge promulgata ed eventualmente pubblicata in quello che sarà l’organo ufficiale della Regione senza che la legge andasse in vigore, la qual cosa potrebbe creare errori e pregiudizi in coloro che conoscessero l’esistenza della legge e della promulgazione ma non fossero edotti dell’impugnativa da parte del Governo centrale.

Per evitare siffatti pericoli io proporrei di consentire la promulgazione e la pubblicazione della legge soltanto quando i termini per l’impugnativa fossero inutilmente scaduti e la legge fosse divenuta definitiva.

Il mio emendamento riconosce al Governo centrale la facoltà di ricorrere immediatamente alla Corte delle garanzie costituzionali senza essere obbligato, prima, a rinviare la legge al Consiglio regionale per un nuovo esame. Questo rinvio è, nel mio testo, facoltativo. Ma su questo punto io non insisto, e aderisco volentieri al concetto che il Governo centrale debba, in ogni caso, prima dell’impugnativa, inviare la legge alla Regione per un nuovo esame.

L’articolo 118 del progetto fa poi la ipotesi di una legge dichiarata urgente dal Consiglio regionale e consente la immediata entrata in vigore della legge qualora il Governo centrale non si opponga. Ma a me pare superflua questa disposizione. Tutte le volte che il Governo consente in un provvedimento di questo genere, cadono tutte le limitazioni dell’articolo 118. Non vedrei quindi la necessità di mantenere la ipotesi di cui ho fatto cenno. Ad ogni modo, questa mia osservazione ha carattere piuttosto estrinseco che intrinseco ed io mi rimetto per essa al giudizio del Comitato di coordinamento.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Camposarcuno, del seguente tenore:

«Al primo comma, sostituire le parole: e promulgati trenta giorni dopo la comunicazione, con le seguenti: Essi acquistano valore di legge trascorso un mese da tale pubblicazione».

Ha facoltà di svolgerlo.

CAMPOSARCUNO. L’emendamento da me proposto tende a sostituire alle parole: «promulgati trenta giorni dopo la comunicazione», le altre: «acquistano valore di legge trascorso un mese da tale pubblicazione». Sostanzialmente il concetto è identico ma la mia formulazione mi sembra preferibile. Per questo motivo io l’ho proposta alla Commissione, al cui giudizio, per altro, mi rimetto completamente.

PRESIDENTE. Sono stati poi presentati i seguenti emendamenti:

«Al primo comma, alle parole: e promulgati 30 giorni dopo, sostituire le parole: e promulgati 60 giorni dopo».

«Al secondo comma, alle parole: se entro 15 giorni, sostituire: se entro trenta giorni».

«Adonnino, Micheli, Rescigno, Siles, Angelucci, Chatrian, Cimenti, Cremaschi Carlo, Jacini, Lizier, Borsellino».

«Al secondo comma, dopo le parole: il Governo li impugna, sostituire: L’impugnativa è portata alla Corte costituzionale, la quale decide, tranne che si tratti di conflitto di interessi, nel qual caso rimette l’impugnativa, per la decisione, all’Assemblea Nazionale».

«Adonnino, Coccia, Borsellino, De Maria, Angelucci, Carbonari, Cimenti, Tozzi Condivi, Lizier, Cremaschi Carlo, Rescigno».

«Dopo il terzo comma, aggiungere i seguenti:

«Ogni Regione, ove ritenga di impugnare un progetto di legge di altra Regione, per contrasto con i propri interessi, nel caso in cui il Governo abbia lasciato decorrere il suddetto termine senza il rinvio al Consiglio regionale, può proporre – nei successivi 10 giorni – l’impugnativa dinanzi la Corte costituzionale, la quale, accertato che si tratti di contrasto di interessi, rimette la questione all’Assemblea Nazionale.

«Se si inizia la procedura di referendum, la procedura di comunicazione del disegno di legge al Governo e dell’eventuale rinvio o impugnativa da parte del Governo rimane sospesa. I termini relativi ricominciano a decorrere dal giorno della proclamazione del risultato definitivo del referendum.

«L’Assemblea Nazionale dovrà decidere sulle questioni di contrasto d’interessi nel termine di 3 mesi dal giorno in cui gli atti le sono stati rimessi dalla Corte costituzionale».

«Adonnino, Coccia, Carbonari, Angelucci, Cremaschi Carlo, Tozzi Condivi, Borsellino, De Maria, Cimenti, Rescigno, Micheli, Lizier».

«All’ultimo comma, sopprimere le parole: sono vistate dal Commissario del Governo nella Regione».

«Adonnino, Carbonari, Angelucci, Cimenti, Tozzi Condivi, Micheli, Cremaschi Carlo, Borsellino, Rescigno, Chatrian».

L’onorevole Adonnino ha facoltà di svolgerli.

ADONNINO. Spiegherò i miei emendamenti in poche parole.

Il Governo in qualche momento si potrà vedere sopraffatto da molte leggi regionali che gli arrivino da tutte le parti d’Italia. È bene per ciò che si abbia il tempo di studiare queste leggi e rispondere. Rispetto a queste leggi possono sorgere gravissime questioni sia di costituzionalità sia di conflitti d’interesse.

Per i conflitti d’interesse ci vuole parecchio tempo per avere gli elementi necessari a risolverli. In 30 giorni, come fa il Governo a vedere se una legge regionale deve essere impugnata o no? Si dovrebbe informare sul luogo. Dunque, proporrei che il Governo avesse, invece di 30, 60 giorni di tempo per rinviarla di nuovo all’Assemblea regionale perché la riveda. Anche il termine successivo, dopo che l’Assemblea ha riveduto la legge e vi ha insistito, lo porterei da 15 a 30 giorni. Questo che in apparenza può apparire un prolungamento è invece un accorciamento, perché dà al Governo il tempo per approfondire la questione.

Quando la legge è stata approvata la seconda volta dal Consiglio regionale, nel progetto si dice che se il Governo la impugna per incostituzionalità la manda all’Alta Corte costituzionale; se la impugna per il merito, la manda all’Assemblea.

Ora, mi sembra che con questo sistema si creerebbero complicazioni nel senso che se il primo indirizzo dato dal Governo dello Stato a questa impugnativa è sbagliato può cominciare il palleggiamento fra la Corte costituzionale e l’Assemblea. Io proporrei che tutte le impugnative venissero mandate direttamente alla Corte costituzionale. Sarà essa a fare lo smistamento.

Se essa le ritiene impugnative di incostituzionalità le trattiene e decide. Se ritiene che si tratta di impugnative di merito, le manda all’Assemblea Nazionale, alla quale mi pare che debbano andare soltanto le impugnative per conflitti di interesse.

Restringerei un po’ quello che è il concetto del progetto che parla di impugnative del merito. L’Assemblea Nazionale per la sua valutazione e per l’apprezzamento politico è bene che intervenga quando c’è conflitto d’interessi. Ma ove non si tratti di conflitti d’interessi, trattandosi invece, anche nel merito, di questioni strettamente giuridiche, l’organo giudiziario per eccellenza è l’Alta Corte costituzionale.

Con l’altro mio emendamento mi sono preoccupato del caso in cui il conflitto avvenga non fra il Governo e le singole Regioni, ma fra Regione e Regione. A mio avviso questo caso non è contemplato dal progetto.

Ora, credo che si debba mettere qualche cosa. Direi perciò che, ove il Governo dello Stato lasci passare i termini conferitigli per rilevare i difetti e fare le impugnative, nei successivi dieci giorni, le Regioni che si sentono lese dalla legge di un’altra Regione possono sollevare queste impugnative.

Sollevando queste impugnative si verrebbe allo stesso meccanismo che prima abbiamo delineato, cioè tutto è demandato alla Corte costituzionale, la quale farebbe lo smistamento.

Altro punto è quello che riguarda il referendum.

Bisogna pure regolare questo caso, in cui la legge regionale sia rimessa al popolo per la decisione suprema. Ma allora è giusto che i termini dati al Governo dello Stato ed alle altre Regioni per la impugnativa, mentre si va svolgendo i referendum, restino sospesi, perché, se il popolo manifesta la sua intenzione diretta proprio nel referendum stesso, evidentemente le eventuali impugnative di tutti gli altri organi devono dichiararsi decadute.

Un ultimo punto riguarda il visto del Commissario del Governo presso la Regione. Quando noi abbiamo stabilito un sistema con tutte queste garanzie ed impugnative, con tutti questi esami, che valore può avere ancora un ultimo visto del Commissario regionale, a nome del Governo centrale, nella legge di ciascuna Regione? È cosa perfettamente inutile, anche perché la legge è stata esaminata dal Governo centrale e perciò è inutile l’intervento del Commissario.

Per queste ragioni mi permetta di raccomandare i miei emendamenti.

PRESIDENTE. L’onorevole Ambrosini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

AMBROSINI. Indubbiamente le osservazioni fatte dagli onorevoli Lami Starnuti ed Adonnino devono essere prese in considerazione; anche stamani il Comitato di coordinamento se n’è occupato. Si tratta di un insieme di norme, che hanno una membratura complessa, ma in sostanza, precisa. Lo ha riconosciuto anche l’onorevole Lami Starnuti.

Al punto in cui siamo arrivati, e data la necessità di affrettare la conclusione del nostro lavoro, il Comitato crede che non si debba andare a discutere di tutti i particolari. L’Assemblea può approvare l’articolo così com’è proposto, lasciando al Comitato di procedere a quella semplificazione che può essere utile per la maggiore chiarezza del testo.

Per quanto riguarda le giuste osservazioni fatte dall’onorevole Adonnino, il Comitato, consultato rapidamente, ritiene che vi si possa andare incontro. Ad esempio, riguardo al primo comma, là dove si dice: «I disegni di legge approvati dal Consiglio regionale sono comunicati al Governo centrale», si può sostituire alle parole: «al Governo centrale», queste: «al Commissario del Governo presso la Regione».

Il Commissario del Governo nel capoluogo della Regione, che può seguire lo svolgimento dei lavori dell’Assemblea regionale, ha immediatamente contezza del disegno di legge votato, è può, sotto la sua responsabilità mettendone naturalmente al corrente il Governo centrale e ricevendone eventuali istruzioni, prendere le determinazioni opportune. Pare al Comitato che a questo modo si soddisfi la esigenza giustamente prospettata dall’onorevole Adonnino.

Riguardo alle osservazioni ugualmente sensate dell’onorevole Lami Starnuti, il Comitato si è reso conto della loro portata, ma ritiene di non potervi completamente accedere; e ciò perché la Corte costituzionale deve sindacare le leggi e non i disegni di legge. L’accettazione pura e semplice dell’emendamento dell’onorevole Lami Starnuti inficerebbe questo principio fondamentale. Per questa ragione il Comitato ritiene che si debba stare al testo proposto, salvo quella semplificazione che, in definitiva, potrà esservi apportata al momento del coordinamento del testo definitivo di tutte le norme votate.

PRESIDENTE. Chiedo ai presentatori di emendamenti se vi insistono.

L’onorevole Codignola non è presente e il suo emendamento s’intende decaduto.

L’onorevole Camposarcuno mantiene il suo emendamento?

CAMPOSARCUNO. L’onorevole Ambrosini non ha dato nessun chiarimento in merito alle mie proposte.

PRESIDENTE. L’onorevole Ambrosini ha facoltà di parlare.

AMBROSINI. Chiedo scusa al collega Camposarcuno. Sostanzialmente le sue proposte si riconnettono a quelle dell’onorevole Adonnino, e come queste, a giudizio del Comitato, possono ritenersi prese in considerazione, quando si sostituisca nel primo comma all’«obbligo di comunicare al Governo centrale», «l’obbligo di comunicare al Commissario del Governo nel capoluogo di Regione». Quindi, anche per considerazioni di indole più generale, relative alla necessità di affrettare la conclusione dei nostri lavori, preghiamo l’onorevole Camposarcuno di ritirare il suo emendamento, rimettendosi a quelle chiarificazioni che nel testo definitivo potrà, dal punto di vista formale, portare il Comitato di coordinamento.

CAMPOSARCUNO. Ritiro, dopo questi chiarimenti, il mio emendamento.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Vorrei rivolgere una preghiera alla Commissione. Nell’articolo 118 è detto che l’impugnativa per incostituzionalità da parte del Governo centrale avverrebbe soltanto in un secondo tempo, quando già si è rinviato il provvedimento al Consiglio regionale, affinché lo riveda. Questo provvedimento non entrerebbe in vigore neppure la seconda volta, se il Governo centrale lo impugnasse per incostituzionalità. Ora a me sembra che l’impugnativa per incostituzionalità deve precedere tutti gli altri atti del Governo centrale. Se il Governo centrale si trovi di fronte a provvedimenti del Consiglio regionale che ledano gli interessi delle altre Regioni, che violino norme statutarie e siano prima di tutto incostituzionali, parmi che la prima cosa da fare è impugnarli per incostituzionalità e non rimandare ad un secondo tempo questa impugnativa.

Chiedo alla Commissione se essa non ritiene di modificare così il primo punto dell’articolo: «I disegni di legge, approvati dal Consiglio regionale, sono comunicati al Governo centrale e promulgati trenta giorni dopo la pubblicazione, salvo che il Governo non li impugni per incostituzionalità, o non li rinvii ecc.» lo sono del parere di dare la precedenza – o quanto meno non posporla – alla impugnativa per incostituzionalità, perché fare tutta una istruttoria, per accertare se il provvedimento del Consiglio regionale vìola gli interessi di altre Regioni o non è conforme al proprio statuto e mandare a correggere il provvedimento, è inutile, quando poi questo provvedimento torna e, facendo l’indagine, si trova che non è costituzionale. Mi pare che questa indagine debba precedere ogni altra, e pertanto credo che sia meglio modificare così l’ordine delle impugnative da parte del Governo centrale.

PRESIDENTE. L’onorevole Ambrosini ha facoltà di parlare a nome della Commissione.

AMBROSINI. Indubbiamente la proposta dell’onorevole Bertone ha un suo senso, ma la Commissione dei Settantacinque, che già esaminò la questione, ritenne di attenersi a questo doppio grado di giudizio, appunto per evitare quel conflitto tra Governo centrale ed Assemblea regionale, che si verificherebbe immediatamente nel caso che il Governo impugnasse senz’altro il disegno di legge approvato dall’Assemblea regionale. Le osservazioni fatte dal Governo centrale all’Assemblea regionale possono metterla sulla via di modificare il precedente deliberato. Con questa fiducia la Commissione dei Settantacinque si attenne al sistema proposto. È da osservare, d’altra parte, che l’inconveniente, cui l’onorevole Bertone accenna, non è affatto grave. Sarebbe da prendere in seria considerazione, nel caso che il disegno di legge approvato dall’Assemblea regionale entrasse senz’altro in attuazione. Ma questa ipotesi è esclusa in modo tassativo non solo nel primo, ma anche nel secondo caso previsto dall’articolo 118, e precisamente nel suo secondo comma. Noi partiamo dal principio, e dobbiamo aver fede, che le Assemblee regionali non vogliano per prevenzione contrastare col Governo centrale, che abbiano la volontà e lo scrupolo di uniformarsi sempre alla Costituzione, alle leggi e agli interessi generali del Paese e delle altre Regioni; e ci auguriamo perciò che i Consigli regionali prendano in seria considerazione, e con la disposizione d’animo più propensa all’accordo, le osservazioni motivate che vengano ad essi eventualmente fatte dal Governo centrale in base al primo comma dell’articolo 118. Con questa fiducia credo che possiamo attenerci al progetto, superando le preoccupazioni avanzate dall’onorevole Bertone.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Prendo atto dei chiarimenti che ha fornito l’onorevole Ambrosini, ma, ad evitare ogni equivoco, io sono in obbligo di rilevare che le buone parole da lui pronunziate per avvertire che, anziché ricorrere all’impugnativa, conviene suggerire al Consiglio regionale di correggere quei difetti in cui possa essere incorso, sarebbe bene che fossero tradotte nella prima parte dell’articolo, perché nel primo comma dell’articolo si dice soltanto: «salvo che il Governo non li rinvii al Consiglio regionale col rilievo che eccedono la competenza della Regione o contrastano con gli interessi nazionali o di altre Regioni». Pregherei di aggiungere: «o non siano viziati di incostituzionalità». (Interruzione del deputato Fabbri).

AMBROSINI. Quando si dice: «eccedono la competenza» la frase è così generica, che comprende proprio i casi che lei ha accennato.

BERTONE. «Eccedere la competenza» non significa comprendere tutti i vizi di incostituzionalità. La competenza è appena una parte dei poteri, ma c’è anche il merito. Se inseriamo direttamente una disposizione di ordine generale, essa comprende la competenza ed ogni altra eventuale questione di incostituzionalità.

Credo che non vi sia niente di male se il Governo centrale avverte che c’è un vizio di incostituzionalità e dice di correggerlo.

AMBROSINI. La Commissione è d’accordo ed anche il Presidente Ruini. Questa parte, dal punto di vista formale, va, come poc’anzi ho avuto l’onore di dire, chiarita, in modo da eliminare qualsiasi dubbio, giacché nell’intendimento della Commissione tutte le osservazioni dell’onorevole Bertone sono completamente comprese e si ritiene che debba darsi soddisfazione usando magari una formula più ampia e più comprensiva.

BERTONE. Ringrazio la Commissione e non insisto nell’emendamento.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Vorrei sottolineare quanto ha detto l’onorevole Ambrosini con l’appoggio del Presidente del Comitato, cioè l’opportunità che, per quanto concerne questo articolo, il Comitato abbia una certa latitudine nella sua formulazione definitiva, in quanto forse esige qualche precisazione tecnica. Le osservazioni che da diverse parti sono state fatte saranno tenute presenti dal Comitato ai fini di questa ultima stesura.

Ora, mettendomi anche io nella posizione di critico, vorrei raccomandare al Comitato di tener conto anche di qualche altro punto. Per esempio, mi domando se è proprio necessario che nell’ultimo comma si dica: «Le leggi regionali sono vistate dal Commissario del Governo». Se il visto è una pura formalità, è inutile, se è qualcosa di più di una formalità, diventa pericoloso.

Poi forse è opportuno che nell’ultimo comma dell’articolo sia inserita, qualche precisazione circa la pubblicazione delle leggi regionali. Il Comitato vedrà se è il caso di stabilire che oltre la pubblicazione in un foglio ufficiale della Regione, che sarebbe quella determinante ai fini dell’entrata in vigore della legge, sia disposta per le leggi regionali, o alcune di esse da indicarsi, la inserzione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, ai fini della conoscenza da parte del pubblico. Vi sono altri casi di una duplice pubblicazione con effetti diversi. Ricordo che per i bandi militari era frequentemente disposto che essi, oltre ad essere pubblicati, ai fini dell’entrata in vigore, nelle forme proprie dei bandi militari, venissero anche inseriti nella Gazzetta Ufficiale, quando avevano una certa portata giuridica.

Sono questi dei problemi che aggiungo a quelli sollevati da altri oratori, e che il Comitato riesaminerà in modo da arrivare ad una formulazione definitiva di quest’articolo, che ha una certa importanza e riguarda questioni delicate.

ADONNINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ADONNINO. Non so se mi sia consentito fare un’osservazione su quest’ultima formulazione del Comitato, cioè che le leggi debbano essere comunicate non al Governo centrale ma al Commissario regionale. Se mi è consentito, io vorrei far rilevare che è una cosa che mi lascia parecchio perplesso, perché, siccome in sostanza nella maggior parte dei casi si dovrà trattare di conflitti di interessi fra una Regione e lo Stato, oppure fra varie Regioni, non so come questi conflitti possano essere appieno valutati dal Commissario regionale, che può, per necessità di cose, avere dinanzi agli occhi solo il panorama della Regione in cui si trova. Non ho ben capito se il Commissario regionale deve lui stesso fare le eventuali impugnative o deve rivolgersi al Governo centrale, prospettando ad esso le sue proposte e lasciando che sia il Governo centrale stesso a fare l’impugnativa. Se dovesse essere il Governo centrale a fare le impugnative, allora la comunicazione al Commissario regionale potrebbe essere una complicazione; se deve fare tutto il Commissario regionale, anche le impugnative, sottometto alla Commissione ed all’Assemblea tutte le mie ragioni di perplessità, perché non so vedere come il Commissario di una singola Regione possa valutare gli interessi di tutte le Regioni. Noi abbiamo avuto un esempio di ciò nella Regione siciliana, con l’abolizione della nominatività dei titoli. Questa disposizione, se e in che cosa interferisca sugli interessi di tutto lo Stato, non so come possa indagarlo il Commissario regionale siciliano, che sa soltanto la vita della Sicilia.

Come può fare il Commissario regionale ad apprezzare il nocumento o il beneficio che da una legge può derivare agli interessi delle altre Regioni e dello Stato?

Mi permetto di notare inoltre che i punti relativi ai conflitti fra Regione e Regione e al referendum, sono due punti non considerati nella risposta del Comitato. Se adesso non li consideriamo, non so come potrebbe fare il Comitato di coordinamento a introdurli. Noi possiamo dare le direttive, ma bisogna che il Comitato abbia autorizzazione da noi ad introdurre nel testo una norma specifica. Per questo, insisterei su questi due ultimi casi.

PRESIDENTE. Onorevole Ambrosini, ha ancora qualche cosa da rispondere all’onorevole Adonnino?

AMBROSINI. Non vorremmo impegnare ancora il tempo che resta all’Assemblea. Abbiamo già detto che tutte le osservazioni dell’onorevole Adonnino e degli altri egregi colleghi saranno tenute presenti dal Comitato nella revisione finale.

PRESIDENTE. Onorevole Adonnino, mantiene i suoi emendamenti?

ADONNINO. Li mantengo.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Io intendo proporre l’abolizione del penultimo comma di questo articolo 118, il quale è così concepito:

«Se una legge è dichiarata urgente dal Consiglio regionale ed il Governo consente, la promulgazione e l’entrata in vigore non sono subordinate ai termini indicati».

PRESIDENTE. Sta bene. L’onorevole Ambrosini ha facoltà di dichiarare il pensiero della Commissione.

AMBROSINI. Questo, l’onorevole Lami Starnuti lo aveva già rilevato; comunque, se è una disposizione superflua, il Comitato la eliminerà.

PRESIDENTE. Onorevole Lami Starnuti, mantiene il suo emendamento?

LAMI STARNUTI. Vorrei conservare solo il secondo comma con una modificazione che ho preparata, e cioè:

«In caso di dissenso, il Governo rinvia la legge, con le sue osservazioni, al Consiglio regionale per un nuovo esame. Se il Consiglio regionale respinge le osservazioni, il Governo può denunciare la legge alla Corte delle garanzie costituzionali nel termine di quindici giorni».

PRESIDENTE. L’onorevole Ambrosini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

AMBROSINI. È questione di forma. Riguardo all’ultima formula proposta dall’onorevole Lami Starnuti, mi sembra che non ci sia nessuna diversità dal punto di vista sostanziale.

LAMI STARNUTI. E sulla promulgazione?

AMBROSINI. Riguardo alla promulgazione ho già detto che, per il carattere della Corte costituzionale, che deve investire del suo sindacato la legge, non si può sopprimere la formalità della promulgazione. D’altra parte ritengo che quanto ha già suggerito l’onorevole Perassi, riguardo alla eventuale pubblicazione delle norme legislative regionali anche nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, possa offrire il mezzo sufficiente per ovviare all’inconveniente accennato dall’onorevole Lami Starnuti.

PRESIDENTE. Dopo le dichiarazioni dell’onorevole Ambrosini, chiedo all’onorevole Lami Starnuti se insiste nel suo emendamento.

LAMI STARNUTI. Non insisto: lo trasformo in raccomandazione al Comitato di coordinamento.

PRESIDENTE. L’approvazione di questo articolo rimane quindi condizionata alla decisione del Comitato, il quale terrà conto delle varie proposte fatte e potrà prendere di esse tutto ciò che sembrerà più utile.

Il primo comma dell’articolo 118 con la modificazione apportatavi dalla Commissione è pertanto il seguente:

«I disegni di legge approvati dal Consiglio regionale sono comunicati al Commissario del Governo nella Regione, e promulgati trenta giorni dopo la comunicazione, salvo che il Governo non li rinvii al Consiglio regionale col rilievo che eccedono la competenza della Regione o contrastano con gli interessi nazionali o di altre Regioni».

Tenga presente l’onorevole Adonnino che la modificazione è stata apportata proprio per venire incontro a una delle sue proposte.

L’onorevole Adonnino conserva la sua proposta di elevare da 30 a 60 giorni il termine?

ADONNINO. La ritiro.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la formulazione testé letta.

(È approvata).

Passiamo al secondo comma, al quale l’onorevole Adonnino ha presentato un emendamento nel senso di elevare da 15 a 30 giorni il termine.

Onorevole Adonnino, mantiene questo emendamento?

ADONNINO. Lo ritiro.

NOBILE. Faccio mio questo emendamento.

PRESIDENTE. Allora, pongo in votazione la proposta di portare il termine di cui al secondo comma dell’articolo 118 da 15 a 30 giorni.

(Non è approvata).

Pongo pertanto in votazione il testo proposto dalla Commissione con la sostituzione delle parole: «Assemblea Nazionale» con la parola: «Parlamento»:

«Ove il Consiglio regionale li approvi nuovamente a maggioranza assoluta dei suoi membri sono promulgati, ma non entrano ancora in vigore, se entro quindici giorni dalla comunicazione il Governo li impugna per incostituzionalità davanti alla Corte costituzionale o nel merito, per contrasto di interessi, davanti al Parlamento. In caso di dubbio la Corte decide se competente a pronunciarsi sia essa stessa o il Parlamento.

(È approvato).

Passiamo al terzo comma:

«Se una legge è dichiarata urgente dal Consiglio regionale ed il Governo consente, la promulgazione e l’entrata in vigore non sono subordinate ai termini indicati».

Faccio presente che alcuni colleghi hanno proposto di sopprimerlo.

Lo pongo in votazione.

(Dopo prova e controprova, è approvato).

Per maggior sicurezza, e precisione di questo comma approvato, è forse opportuno, là dove si dice: «il Governo consente», dire invece: «il Governo centrale consente», come è stato sempre aggiunto negli altri commi, perché non sorga equivoco con il Governo regionale.

(Così rimane stabilito).

Onorevole Adonnino, mantiene il suo emendamento aggiuntivo?

ADONNINO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il seguente emendamento dell’onorevole Adonnino e altri:

«Dopo il terzo comma, aggiungere i seguenti:

«Ogni Regione, ove ritenga di impugnare un progetto di legge di altra Regione, per contrasto con i propri interessi, nel caso in cui il Governo abbia lasciato decorrere il suddetto termine senza rinvio al Consiglio regionale, può proporre – nei successivi 10 giorni – l’impugnativa dinanzi la Corte costituzionale, la quale, accertato che si tratti di contrasto di interessi, rimette la questione all’Assemblea Nazionale.

«Se si inizia la procedura di referendum, la procedura di comunicazione del disegno di legge al Governo e dell’eventuale rinvio o impugnativa da parte del Governo rimane sospesa. I termini relativi ricominciano a decorrere dal giorno della proclamazione del risultato definitivo del referendum.

«L’Assemblea Nazionale dovrà decidere sulle questioni di contrasto d’interessi nel termine di 3 mesi dal giorno in cui gli atti le sono stati rimessi dalla Corte costituzionale».

(Non è approvato).

Ed ora passiamo all’ultimo comma nel testo della Commissione:

«Le leggi regionali sono vistate dal Commissario del Governo nella Regione e promulgate dal Presidente della Deputazione regionale».

Lo pongo in votazione.

(È approvato).

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Non vorrei che rimanessimo nel campo del generico, per quanto riguarda le questioni rimesse al Comitato di coordinamento.

PRESIDENTE. Onorevole Fabbri, è chiaro che, nonostante quella latitudine di poteri che l’Assemblea ha creduto di lasciare al Comitato per questo articolo, per tutto ciò che è stato oggetto di specifiche votazioni, si intende che esso è impegnato a rispettarne il risultato; mentre per tutte le altre parti, sulle quali non si è votato, il Comitato può fare sue le varie proposte.

L’articolo 118 nel suo complesso risulta così approvato:

«I disegni di legge approvati dal Consiglio regionale sono comunicati al Commissario del Governo nella Regione, e promulgati trenta giorni dopo la comunicazione, salvo che il Governo non li rinvii al Consiglio regionale col rilievo che eccedono la competenza della Regione o contrastano con gli interessi nazionali o di altre Regioni.

«Ove il Consiglio regionale li approvi nuovamente a maggioranza assoluta dei suoi membri sono promulgati, ma non entrano ancora in vigore, se entro quindici giorni dalla comunicazione il Governo li impugna per incostituzionalità davanti alla Corte costituzionale o nel merito, per contrasto di interessi, davanti al Parlamento. In caso di dubbio la Corte decide se competente a pronunciarsi sia essa stessa o il Parlamento.

«Se una legge è dichiarata urgente dal Consiglio regionale ed il Governo centrale consente, la promulgazione e l’entrata in vigore non sono subordinate ai termini indicati.

«Le leggi regionali sono vistate dai Commissario del Governo nella Regione e promulgate dal Presidente della Deputazione regionale».

Passiamo all’articolo 122. Se ne dia lettura.

DE VITA, Segretario, legge:

«Sugli atti della Regione è esercitato il controllo di legittimità da un organo centrale composto in maggioranza di elementi elettivi secondo l’ordinamento stabilito dalle leggi della Repubblica.

«Il controllo di legittimità sugli atti dei Comuni e degli altri enti locali è esercitato dalle Regioni per mezzo di organi in maggioranza elettivi nei modi e limiti stabiliti con leggi della Repubblica. Per le deliberazioni amministrative indicate dalla legge, l’autorità deliberante può essere invitata a riesaminare il merito della deliberazione.

«Nella Regione sono costituiti organi di giustizia amministrativa di primo grado secondo l’ordinamento da stabilire con legge della Repubblica. Possono istituirsi sezioni con sede diversa dal capoluogo della Regione».

PRESIDENTE. Per questo articolo la Commissione non ha proposto un nuovo testo, ma sono stati presentati numerosi emendamenti.

L’onorevole Codignola ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«In ogni Regione è costituita una sezione distaccata della Corte dei conti, cui compete il controllo preventivo di legittimità sugli atti dell’Amministrazione regionale, e quello successivo sulla gestione del bilancio della Regione.

Sono inoltre istituiti organi elettivi di giustizia amministrativa di primo grado, i cui membri possono essere scelti soltanto fra cittadini in possesso di determinati requisiti tecnici, secondo le disposizioni che saranno dettate per legge.

«Il controllo di legittimità sugli atti dei Comuni è esercitato dalle medesime sezioni regionali della Corte dei conti».

Non essendo presente, s’intende che abbia rinunziato a svolgerlo.

Segue l’emendamento dell’onorevole Romano:

«Sostituire il secondo e il terzo comma col seguente:

«Il controllo di legittimità sugli atti dei Comuni e delle Provincie è esercitato nei modi e nei termini che la legge stabilirà».

Non essendo presente, s’intende che abbia rinunziato a svolgerlo.

I seguenti emendamenti sono stati svolti:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Il controllo di legittimità sugli atti dei Comuni e degli altri enti pubblici locali è esercitato da un organo dello Stato con sede nel capoluogo di provincia. Il controllo di merito è esercitato dalla Giunta provinciale.

«Zotta, Dominedò».

«Al secondo comma, dopo le parole: Il controllo di legittimità sugli atti, aggiungere le altre: delle Province e.

«Rescigno».

«Al terzo comma, sostituire l’ultimo periodo col seguente: Possono istituirsi sezioni nei capoluoghi delle Province.

«Rescigno».

Segue il seguente emendamento proposto dall’onorevole Lami Starnuti:

«Sostituire il secondo periodo del secondo comma col seguente comma:

«Per le deliberazioni amministrative degli enti locali sottoposte dalla legge a controllo di merito, l’organo di tutela ha soltanto facoltà di chiedere al Consiglio dell’ente deliberante, con istanza motivata, il riesame della deliberazione».

Ha facoltà di svolgerlo.

LAMI STARNUTI. L’articolo 122 del progetto è fondamentale nello stato giuridico degli enti locali. Esso innova profondamente la situazione di diritto fatta ai comuni e alla provincie dalla vecchia legge comunale e provinciale, secondo la quale tali enti erano e sono soggetti ad una tutela duplice: una tutela di legittimità e una tutela o controllo di merito.

Se la tutela di legittimità è legittima, necessaria, doverosa, perché anche gli enti locali devono sottostare, come in altro campo sottostanno le persone fisiche, alla legge e devono rispettarla, il controllo di merito ha sempre sollevato le più forti obiezioni, non soltanto nel campo politico, e specie da parte della democrazia, ma anche nel campo scientifico e dottrinario.

Il controllo di merito, sia pure limitato alle maggiori, più gravi deliberazioni dell’ente locale, pone in certo modo l’ente in una condizione di minorità, pari, in un certo senso, alla condizione dell’incapace, che per determinati atti ha bisogno dell’assistenza e del consenso del curatore. Non si spiega in alcun modo questa condizione di inferiorità fatta agli enti locali. Non si può dire che il comune possa sbagliare nella valutazione e nella risoluzione dei suoi problemi, perché, se è vero che un’amministrazione comunale può esser tratta in errore, non è men vero che può esser tratto in errore anche l’organo di controllo. È in un certo senso assurdo presumere che la possibilità di errore vi sia soltanto da parte del comune soggetto e che, invece, i membri elettivi o no della Giunta provinciale amministrativa non sbaglino mai.

In verità, nel vecchio sistema della legge comunale e provinciale, il controllo di merito era riguardato e mantenuto come una invadenza del potere centrale nelle amministrazioni locali. Contro questa invadenza coloro che sentono viva la necessità delle autonomie locali devono insorgere e protestare e chiedere che il controllo di merito sia per intiero abolito.

A questo effetto tende l’emendamento che io ho presentato all’articolo 122 del progetto di Costituzione, non già perché l’articolo 122 mantiene il controllo di merito, quanto perché la sua formulazione ha già dato luogo, come ho visto, ad un equivoco di interpretazione.

Gli amici e colleghi della seconda Sottocommissione ricorderanno che la formula dell’articolo 122 fu proposta da me; ma di fronte al pericolo di equivoci e di errori derivanti da una interpretazione puramente letteraria della disposizione, mi è parso utile, anzi necessario, proporre un testo che non consentisse interpretazioni errate.

L’articolo 122 del progetto in sostanza dice questo: gli enti locali sono soggetti ad una tutela di legittimità. Per il controllo di merito, l’organo di tutela può rinviare la deliberazione, soggetta al controllo, all’amministrazione che l’ha adottata, per un nuovo esame.

Ma questi concetti, che sono i miei, debbono intendersi nel senso che l’ente locale debba, nel nuovo esame della propria deliberazione, essere assolutamente libero di mantenerla o di modificarla, e deve esser chiaro ed esplicito il concetto che non sia possibile alla legge comune istituire, per il merito, un altro controllo, diverso da quello indicato e previsto dalla Costituzione. Questa forma di controllo non viola nessuno dei diritti dell’ente locale, e costituisce anzi una utile collaborazione fra l’amministrazione locale e l’organo di tutela. Di solito, per sostenere e difendere il vecchio controllo di merito, si è detto che i piccoli comuni non sono in grado di amministrare bene da sé le loro cose. A questa obiezione si risponde in genere che se l’amministrazione sbaglia, se l’amministrazione commette errori, se l’amministrazione compie spropositi, provvederanno gli elettori e i cittadini, sia con il peso dell’opinione pubblica, sia con il referendum, sia nella rinnovazione del mandato, e provvederanno meglio che non sappia l’organo di tutela, un organo cioè estraneo alla vita locale e che non conosce i bisogni e le necessità del luogo. Tuttavia se qualche volta l’amministrazione locale, per difetto di cognizioni, venisse tratta in errori o in equivoci sarà bene che l’organo di tutela, collaborando con essa, facendo in un certo senso l’ufficio e la funzione del consulente legale, dell’amico che sa e che dà buoni consigli, possa rinviare la deliberazione all’amministrazione deliberante con le osservazioni del caso. Vedrà allora l’amministrazione locale se le osservazioni dell’organo di tutela sono osservazioni pertinenti e giuste, ma le vedrà nella completa autonomia e padronanza della sue decisioni, senza possibilità di ulteriori interventi da parte dell’organo superiore.

In questi limiti soltanto noi riconosciamo la utilità di superiore esame delle decisioni degli enti locali, e siamo sicuri che l’Assemblea Costituente vorrà, come noi, favorirne l’autonomia e liberare gli enti locali dal vecchio controllo di merito, il quale consentiva che alla volontà dell’amministrazione locale si sostituisse la volontà dell’organo governativo e in molti casi finiva per diventare un mezzo di autentica sopraffazione.

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Se consente, vorrei pregare l’amico Lami Starnuti, di sostituire nel suo emendamento all’espressione: «con istanza motivata» l’altra: «con provvedimento motivato».

PRESIDENTE. L’onorevole Lami Starnuti ha facoltà di rispondere.

LAMI STARNUTI. Sono d’accordo.

PRESIDENTE. Sta bene. Segue l’emendamento dell’onorevole Sardiello:

«Al terzo comma, sostituire il secondo periodo col seguente:

«Sezioni degli organi di giustizia predetti devono sorgere nel capoluogo di ciascuna provincia con giurisdizione sulla provincia stessa».

L’onorevole Sardiello è assente.

MUSOLINO. Lo faccio mio e chiedo di svolgerlo.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MUSOLINO. Il concetto ispiratore di questa proposta è il decentramento della giustizia amministrativa, in relazione al nuovo ordinamento regionale dello Stato. L’emendamento risponde a un criterio di economia, perché i cittadini possano avere la giustizia amministrativa nella propria sede e non essere costretti a spese inutili.

Inoltre si tratta di una maggiore aderenza alla realtà: noi crediamo infatti che la giustizia amministrativa quanto più è periferica tanto più risponde alle esigenze popolare. I criteri esposti qui recentemente dal maestro onorevole Orlando sul decentramento delle Cassazioni, e poi dall’onorevole Togliatti, possono valere anche per questo emendamento. Penso che l’Assemblea possa accogliere l’emendamento Sardiello.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Camposarcuno:

«Aggiungere il seguente comma:

«Il controllo di merito avrà luogo quando è impegnato il bilancio della Regione per oltre cinque anni, a meno che la relativa deliberazione non sia sottoposta a referendum popolare su richiesta di un ventesimo degli elettori, entro un mese dalla pubblicazione della deliberazione».

Ha facoltà di svolgerlo.

CAMPOSARCUNO. Lo mantengo, salvo a rivedere la mia posizione quando la Commissione avrà espresso il suo parere.

PRESIDENTE. Sta bene. Segue l’emendamento degli onorevoli Mortati e Perassi del seguente tenore:

«Sugli atti amministrativi della Regione il controllo di legittimità è esercitato in forma decentrata da organi costituzionali in ogni Regione, coordinati con la Corte dei conti. Il controllo di merito sulla gestione finanziaria della Regione, limitato ai casi in cui questa richieda contributi straordinari, sarà regolato dalle leggi».

L’onorevole Mortati ha facoltà di svolgerlo.

MORTATI. I fini che sono proposti dall’emendamento sono i seguenti: anzitutto, determinare con esattezza la natura, il contenuto del controllo, distinguendo il controllo di legittimità dal controllo di merito.

In via normale, data l’autonomia della Regione, non può essere consentito se non un controllo di legittimità; ed è necessario che di questo si precisi nella Costituzione sia l’organo destinato ad esercitarlo, sia il criterio direttivo sulle modalità del suo esercizio. Nel testo originario del progetto si parla di un organo centrale formato in maggioranza di elementi elettivi. Ora, trovo che entrambi questi requisiti non possono essere accolti. Anzitutto, un organo centrale cosa significa? Che gli atti della Regione devono giungere al centro per essere controllati? Se così fosse creeremmo un inconveniente assai grave, perché accentreremmo una funzione, che invece abbisogna di essere esercitata localmente, sia per rendere più spedita l’attività della Regione, sia per evitare gli altri inconvenienti, che sono propri di ogni forma di accentramento.

Per quanto riguarda il carattere elettivo dell’organo, a me pare che il suo accoglimento si porrebbe in contrasto con tutto il sistema del nostro ordinamento, che per gli organi di controllo esclude la origine e la forma elettiva.

Se non si accetta, per tali ragioni, il testo proposto originariamente dalla Commissione, mi sembra che del pari debba respingersi la proposta presentata dall’onorevole Uberti, il quale vorrebbe rinviare alla legge in modo puro e semplice ogni determinazione dei modi e delle forme di controllo.

Sembra ovvio che il rinvio alla legge del regolamento dell’attività di controllo presenti questo grave pericolo: che la legge, disciplinando il controllo in forme che adesso non possiamo prevedere, finisca con l’invadere ed attentare all’autonomia funzionale dell’ente regionale, cui noi abbiamo voluto dare una solenne garanzia, dandole carattere costituzionale.

A me pare che vi sia contradizione fra l’ammissione della autonomia costituzionale della Regione e l’attribuzione o il deferimento alla legge, in modo indiscriminato, della disciplina dell’attività di controllo.

È evidente che se la legge semplice disciplinasse questa funzione di controllo in modo troppo penetrante, intervenendo anche nel merito dell’attività della Regione, si verrebbe ad eliminare completamente l’autonomia regionale, solennemente consacrata nella Costituzione.

Abbiamo or ora udito l’onorevole Lami Starnuti battersi per riaffermare la necessità della sottrazione dal sindacato di merito degli atti dei Comuni. Mi pare che a più forte ragione questa indipendenza si debba affermare per gli atti della Regione che, nella struttura del nostro progetto di Costituzione, rappresenta qualcosa di più rilevante che non il semplice Comune.

Pertanto, il rinvio alla legge puro e semplice, potendo aprire la via a questi pericoli, è da scartare senz’altro.

Ed allora, se si rinunzia ad eludere il problema con il rinvio alla legge, e se, d’altra parte, non si accetta il testo della Commissione, mi pare che la giusta soluzione si debba raggiungere precisando nel testo costituzionale almeno due punti, e cioè: anzitutto, che il controllo sia limitato in via normale alla sola legittimità; che esso sia esercitato in forma decentrata, se pure per opera di un organo dello Stato, ma operante con uffici staccati in ogni Regione.

Il mio emendamento precisa le due modalità ora dette, aggiungendo un’ulteriore caratterizzazione con il riferimento alla coordinazione di questi uffici locali di controllo con la Corte dei conti. Stabilirà la legge le forme e i modi di questa coordinazione, ma per intanto è bene affermare, che essa vi deve essere. Per quali ragioni? Innanzitutto la Corte dei conti, così come l’abbiamo voluta nel nostro progetto, è un organo dotato di autonomia costituzionale, indipendente dal potere legislativo e dal potere esecutivo, un organo che pertanto si presenta nelle condizioni migliori per esercitare il controllo con la necessaria indipendenza, ai fini di assicurare l’autonomia delle Regioni, che costituisce uno dei capisaldi della struttura costituzionale che noi abbiamo creato. La Corte dei conti, inoltre, è già un organo specializzato in questo compito, perché ha, istituzionalmente, il compito del controllo di legittimità sugli atti statali ed in quanto organo già specializzato può adempiere tale funzione anche nei riguardi delle Regioni, assai meglio che non un organo che sorga ex novo.

Si può inoltre ricordare, a sostegno della mia proposta, che già esiste in Sicilia ed in Sardegna un controllo decentrato ad opera di uffici staccati della Corte dei conti, e la esperienza ne dimostra i vantaggiosi risultati. Mi pare che non si possano trascurare gli insegnamenti di questa esperienza nel predisporre il sistema generale dei controlli sugli atti amministrativi regionali e che pertanto si renda opportuno sancire il coordinamento dell’ufficio di controllo regionale con la Corte dei conti.

Posso aggiungere, a suffragio di questa mia proposta, che in un articolo già approvato noi abbiamo stabilito la partecipazione della Corte dei conti al controllo sulla gestione di tutti gli enti che in qualche modo ricevono sussidi o contributi dallo Stato. Anche questa norma può essere invocata a giustificazione della mia proposta, perché se la Corte dei conti partecipa al sindacato sull’attività degli enti indicati sembra derivarne che non si possa prescindere da essa neanche nell’esercizio delle attività regionali, così strettamente coordinato, per la parte finanziaria, con quello dello Stato.

Il mio emendamento ha poi per scopo di definire i confini del controllo di merito. Mi pare che per le ragioni già accennate, e che per gli altri enti locali ricordava l’onorevole Lami Starnuti, il controllo di merito non possa avere estensione generale, ma si debba limitare a casi eccezionali, che io cerco di determinare con il riferimento al solo caso in cui la Regione chieda contributi straordinari dallo Stato. Mi pare, in questo, caso, logico e necessario oltre che opportuno, che lo Stato, prima di elargire i contributi straordinari, intervenga con l’esame del merito della gestione, per accertare se la richiesta di contributi sia determinata da esigenze sopravvenute o da negligente amministrazione da parte della Regione.

Concludendo, propongo che sia nella Costituzione circoscritto l’ambito dell’accertamento del merito e che per l’esercizio del controllo di legittimità sia stabilito il criterio del decentramento. Lo stesso criterio è poi da porre anche nei confronti del riscontro sugli atti degli enti locali minori, perché ciò corrisponde al principio generale già affermato in ordine alla struttura interna della Regione, in ordine alla quale abbiamo voluto in ogni modo evitare che la formazione del nuovo ente segni per gli enti minori un peggioramento della situazione attuale conducendo ad un intralcio della loro attività.

PRESIDENTE. L’onorevole Uberti ha proposto, con gli onorevoli Avanzini, Bertone, Perlingieri, Bovetti, Balduzzi, Meda Luigi, Proia, Camposarcuno e Bosco Lucarelli, il seguente emendamento:

«Il controllo sugli atti dell’Ente regionale è esercitato dagli organi e nelle forme e modi indicati dalle leggi della Repubblica.

«Sono istituiti, nei modi stabiliti dalla legge, organi regionali di controllo sugli atti delle Provincie, dei Comuni e degli altri enti locali».

Ha facoltà di svolgerlo.

UBERTI. Quest’articolo è così fondamentale e riguarda una questione così complessa, in quanto concerne non solo il controllo di legittimità, ma eventualmente di merito degli atti della Regione e degli enti locali, che meriterebbe la più ampia discussione, e non si sa se, al punto in cui noi siamo arrivati, sia possibile dedicare alcune sedute a questo gravissimo problema.

Nella seconda Sottocommissione e nella Commissione dei Settantacinque vennero affermate diverse tesi che non sono rispecchiate nell’articolo 122, così come è presentato nel testo del progetto di Costituzione. Ad esempio, nella seconda Sottocommissione, relativamente al controllo di merito e di legittimità sopra le Regioni, si era deliberato di sostenere che il controllo dovesse essere interno e non esterno, mentre invece nell’articolo 122 si viene a proporre che un organo centrale composto in maggioranza di elementi elettivi eserciti questo controllo, controllo quindi esercitato da un organo esterno alla Regione.

L’onorevole Mortati propone che tale organo centrale sia la Corte dei conti particolarmente attrezzata in merito. Però, a me sembra che sia estremamente pericoloso dare alla Corte dei conti questo compito, non solo per il carattere particolare della Corte dei conti, ma anche perché minaccerebbe di diventare estremamente ridondante, poiché vi sarebbero non solo un suo organo centrale, ma sezioni in tutte le diciannove Regioni.

MORTATI. Ma non è questo il mio emendamento. Il mio emendamento è stato mutato e ne ha già dato lettura il Presidente.

UBERTI. Va bene. D’altra parte come potrebbe la Corte dei conti, organo formale di legittimità, funzionare se per ipotesi si ammettesse anche un controllo di merito sopra determinati punti?

Per quanto riguarda invece il controllo degli enti locali, abbiamo in questa Assemblea, in occasione dei ritocchi apportati alla legge comunale e provinciale, ridotto notevolmente i controlli di merito. Ora, è opportuno andare senz’altro a stabilire nell’articolo 122 la soppressione di ogni controllo di merito sull’attività di tutti i comuni? Evidentemente è una questione ponderosa, che va esaminata attentamente. Decidere così come si vorrebbe fare, a tamburo battente, tutto il grave problema dell’organizzazione dei controlli sui comuni e sulle province, non mi sembra opportuno.

Di fronte a questa situazione ho proposto il mio emendamento che è un rinvio alla legge per un più ponderato esame.

Per quello che riguarda i comuni, le province egli altri enti locali, io ritengo poi che il problema non sia così intimamente costituzionale per cui sia necessario metterne qui, nella Carta costituzionale, tutta la regolamentazione. Ritengo più prudente rinviare alla legge, in modo che il Parlamento possa studiare a fondo e fare una cosa maggiormente ponderata, più aderente alla realtà. È preliminare decidere prima in merito all’organizzazione della Regione, che non è ancora completamente definitiva nella sua struttura, e rifare la legge comunale e provinciale. Non sappiamo ancora come sarà regolata l’organizzazione strutturale e funzionale della nuova provincia nel quadro della Regione, sappiamo solo che deve essere un ente autarchico. Fissare il regime dei controlli prima di fissare definitivamente come saranno organizzati gli enti relativi è, sembrami, mettere un carro davanti ai buoi.

PRESIDENTE. Sono stati così svolti tutti gli emendamenti. Il seguito di questa discussione è rinviato alla seduta pomeridiana.

La seduta termina alle 13.30.

POMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 3 DICEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCXVII.

SEDUTA POMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 3 DICEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

 

INDICE

Presentazione di relazioni:

Piemonte

Bibolotti

 

Votazione segreta dei disegni di legge:

Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia ed i Paesi Bassi, il 30 agosto 1946. (30).

Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia e la Danimarca il 2 marzo 1946. (31).

Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia e l’Ungheria, il 9 novembre 1946. (32).

Approvazione dei seguenti Accordi, conclusi ad Ankara, tra l’Italia e la Turchia il 12 aprile 1947: a) Accordo commerciale; b) Accordo di pagamento; c) Scambio di Note. (39).

Approvazione degli Accordi commerciali e di pagamento, conclusi in Roma, tra l’Italia ed il Belgio il 18 aprile 1946. (40).

Approvazione dei seguenti Accordi, conclusi a Roma, fra l’Italia e la Svezia il 19 aprile 1947: a) Accordo italo-svedese relativo all’emigrazione di operai italiani in Svezia; b) Protocollo addizionale all’Accordo italo-svedese relativo all’emigrazione di operai italiani in Svezia. (41).

Approvazione dei seguenti Accordi, conclusi a Roma tra l’Italia ed il Belgio: a) Protocollo italo-belga per il trasferimento di 50.000 minatori italiani in Belgio e scambio di Note 23 giugno 1946; b) Scambio di Note per l’annullamento dell’articolo 7 del Protocollo suddetto 26-29 ottobre 1946; c) Annesso al Protocollo di emigrazione italo-belga 26 aprile 1947; d) Scambio di Note per l’applicazione immediata a titolo provvisorio dell’Annesso suddetto 27-28 aprile 1946. (42).

Presidente

Risultato della votazione segreta:

Presidente

 

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Preti

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Mortati

Perassi

Benvenuti

Rossi Paolo

Russo Perez

Moro

Lussu

Cappugi

Uberti

Damiani

Rodi

Condorelli

Codacci Pisanelli

Benedettini

Nobile

Gronchi

Crispo

Giannini

Giacchero

Sicignano

Covelli

Coppa

Fabbri

Lucifero

Penna Ottavia

Mastrojanni

Mazza

Bencivenga

Fresa

Marinaro

Puoti

Abozzi

Miccolis

Venditti

Tumminelli

Conti

Votazioni segrete:

Presidente

Risultato delle votazioni segrete:

Presidente

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

DE VITA, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Presentazione di una relazione.

PIEMONTE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIEMONTE. Ho l’onore di presentare la relazione sul disegno di legge: «Norme per la istituzione dell’Opera di valorizzazione della Sila».

PRESIDENTE. Questa relazione sarà stampata e distribuita.

Votazione segreta di disegni di legge.

PRESIDENTE. Indico la votazione segreta dei seguenti disegni di legge:

Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia ed i Paesi Bassi, il 30 agosto 1946. (30).

Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia e la Danimarca, il 2 marzo 1946. (31).

Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia e l’Ungheria, il 9 novembre 1946. (32).

Approvazione dei seguenti Accordi, conclusi ad Ankara, tra l’Italia e la Turchia, il 12 aprile 1947: a) Accordo commerciale; b) Accordo di pagamento; c) Scambio di Note. (39).

Approvazione degli Accordi commerciali e di pagamento conclusi in Roma, tra l’Italia ed il Belgio, il 18 aprile 1946. (40).

Approvazione dei seguenti Accordi, conclusi in Roma, fra l’Italia e la Svezia, il 19 aprile 1947: a) Accordo italo-svedese relativo all’emigrazione di operai italiani in Svezia; b) Protocollo addizionale all’Accordo italo-svedese relativo all’emigrazione di operai italiani in Svezia. (41).

Approvazione dei seguenti Accordi, conclusi in Roma, tra l’Italia ed il Belgio: a) Protocollo italo-belga per il trasferimento di 50 mila minatori italiani in Belgio e scambio di Note 23 giugno 1946; b) Scambio di Note per l’annullamento dell’articolo 7 del Protocollo suddetto 26-29 ottobre 1946; c) Annesso al Protocollo di emigrazione italo-belga 26 aprile 1947; d) Scambio di Note per l’applicazione immediata a titolo provvisorio dell’Annesso suddetto 27-28 aprile 1946. (42).

(Segue la votazione).

Avverto che le urne rimarranno aperte, per proseguire nello svolgimento dell’ordine del giorno.

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di costituzione della Repubblica italiana.

Riprendiamo la votazione degli emendamenti al terzo comma dell’articolo 126, così formulato:

«Giudica il Presidente della Repubblica ed i Ministri accusati a norma della Costituzione».

Vi è anzitutto l’emendamento proposto e ritirato dall’onorevole Ambrosini e ripreso dall’onorevole Preti, così formulato:

«Il Presidente della Repubblica ed i Ministri messi in stato di accusa dalla Camera dei deputati a norma della Costituzione sono giudicati dal Senato costituito in Alta Corte di giustizia».

Questo emendamento propone una soluzione che è in contrasto con una norma già approvata dall’Assemblea Costituente. È già stato rilevato stamane che, in un articolo approvato dall’Assemblea in sede di potere legislativo, è stato stabilito che l’accusa ed il giudizio del Presidente della Repubblica sono deferiti ad una decisione delle due Camere, in seduta comune, mentre nella proposta dell’onorevole Ambrosini, ripresa dall’onorevole Preti, si parla della accusa sollevata dalla Camera dei deputati, e poi del giudizio del Senato costituito in Alta Corte di giustizia. È una norma che è in netto contrasto con una deliberazione già presa dall’Assemblea e crea quindi un caso di preclusione.

Pongo quindi in votazione il testo della Commissione, che rileggo:

«Giudica il Presidente della Repubblica ed i Ministri accusati a norma della Costituzione».

(È approvato).

L’onorevole Preti mi fa pervenire ora una nuova formulazione della sua proposta, di cui do lettura:

«Il Presidente della Repubblica e i Ministri messi in stato di accusa dalle Camere a norma della Costituzione sono giudicati dal Senato costituito in Alta Corte di giustizia».

Io non so se l’Assemblea ritenga che si possa considerare come non avvenuta la votazione di poco fa, allo scopo di poter esprimere un giudizio su questa nuova formulazione, che è diversa dalle altre. Di tale diversità, forse, è un po’ difficile trovare una motivazione sostanziale.

PRETI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PRETI. Onorevole Presidente, lei mi disse che il mio emendamento non poteva essere votato, in quanto affidava l’accusa alla competenza della sola Camera dei deputati, mentre si era già votato in precedenza in altro senso. Ho proposto ora una modifica, uniformandomi per questa parte ai risultati della precedente votazione, di maniera che il mio emendamento possa essere votato.

La pregherei, quindi, di metterlo in votazione.

PRESIDENTE. Onorevole Preti, le ho dato atto che lei avrebbe potuto modificare la formulazione; ma, poiché non è stata proposta alcuna modifica, abbiamo proceduto alla votazione.

Ho dato comunicazione all’Assemblea del testo dell’onorevole Preti facendo semplicemente questa osservazione: che è vero che la formulazione è diversa dalla precedente, ma, nel suo meccanismo interno il testo nuovo è di difficile motivazione perché non vedo ragione per cui, essendo ambedue le Camere a sollevare l’accusa, debba poi essere una sola di queste, e precisamente il Senato, a divenire corte giudicante, col che o si diminuisce in certo senso la Camera che ha mossa l’accusa, o si fa il Senato accusatore e giudice nel contempo.

PRETI. Siamo d’accordo che c’è questa parziale contraddizione: ciò dipende dal fatto che in precedenza abbiamo votato un altro articolo che affidava l’accusa alla competenza di entrambe le Camere.

Ora, l’unica maniera per poter far sì che il giudizio sul Presidente della Repubblica e sui Ministri non sia dato dalla Corte costituzionale, cioè da un organo giudiziario, ma da un organo politico, sta nell’accogliere questo mio emendamento.

Se però qualcuno mi suggerisce una forma migliore, ne sarò ben felice.

PRESIDENTE. Non si tratta di cercare una forma migliore. La questione si è che l’Assemblea, pochi minuti fa, ha già votato, e lei stesso ha potuto constatare come la grande maggioranza dell’Assemblea abbia scelto una soluzione.

Vi è ora l’emendamento presentato dall’onorevole Mortati, che la Commissione ha dichiarato di accettare e che deve considerarsi come emendamento aggiuntivo, del seguente tenore:

«Per i giudizi sull’accusa del Presidente della Repubblica e dei Ministri intervengono, oltre i componenti ordinari della Corte, altri 15 membri eletti dal Parlamento in seduta comune al principio di ogni legislatura fra cittadini aventi i requisiti per l’elezione a membro del Senato».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Forse occorrerebbe elevare il numero a sedici, perché conviene conservare anche complessivamente un numero dispari.

PRESIDENTE. Onorevole Mortati, aderisce alla proposta di elevare a sedici questo numero?

MORTATI. Vi aderisco.

PRESIDENTE. Sta bene. Pongo in votazione l’emendamento Mortati, testé letto, con questa modificazione.

(È approvato).

L’articolo 126 risulta nel suo complesso così approvato:

«La Corte costituzionale giudica sulle controversie relative alla legittimità costituzionale degli atti aventi forza di legge dello Stato e delle Regioni, sui conflitti di attribuzione fra i poteri dello Stato e su quelli fra Stato e Regioni e fra Regioni.

«Giudica il Presidente della Repubblica e i Ministri accusati a norma della Costituzione.

«Per i giudizi sull’accusa del Presidente della Repubblica e dei Ministri intervengono, oltre i componenti ordinari della Corte, altri 16 membri eletti dal Parlamento in seduta comune al principio di ogni legislatura fra cittadini aventi i requisiti per l’elezione a membro del Senato».

Passiamo ora alla Sezione II del Titolo VI: Revisione della Costituzione. È stato presentato un emendamento dall’onorevole Perassi alla intitolazione stessa di questa Sezione, ma lo esamineremo alla fine, come già abbiamo fatto in casi analoghi.

Passiamo pertanto all’articolo 130. Se ne dia lettura.

DE VITA, Segretario, legge:

«La iniziativa della revisione costituzionale appartiene al Governo ed alle Camere.

«La legge di revisione costituzionale è adottata da ciascuna delle Camere in due letture, con un intervallo non minore di tre mesi. Per il voto finale in seconda lettura è richiesta la maggioranza assoluta dei membri di ciascuna Camera.

«La legge di revisione costituzionale è sottoposta a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla sua pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o sette Consigli regionali.

«Non si fa luogo a referendum, se la legge è stata approvata in seconda lettura da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi membri».

PRESIDENTE. L’onorevole Perassi ha presentato il seguente emendamento sostitutivo dell’intero articolo:

«Sostituirlo col seguente:

Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali devono essere adottate da ciascuna Camera in due letture con un intervallo non minore di tre mesi ed approvate a maggioranza assoluta dei membri di ciascuna Camera nel voto finale in seconda lettura.

«La legge di revisione costituzionale è sottoposta a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla sua pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validamente espressi.

«Non si fa luogo a referendum se la legge di revisione costituzionale è stata approvata in seconda lettura da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi membri».

Ha facoltà di svolgerlo.

PERASSI. È stato detto qui e fuori di qui che vari articoli della Costituzione sono inutili o sovrabbondanti: può darsi. Ma qui invece ci troviamo di fronte ad un articolo che è giuridicamente necessario; si tratta solo di formularne il testo definitivo.

Giuridicamente necessario, ho detto, perché discende da alcuni criteri che hanno costantemente dominato l’elaborazione del progetto costituzionale.

Fino dall’inizio dei nostri lavori, l’Assemblea Costituente, attraverso gli oratori dei vari gruppi, ha unanimemente accolto il principio che la Costituzione italiana dovesse essere una Costituzione rigida e, sulla base di questo principio, è stato elaborato il testo del Progetto.

Il primo riflesso giuridico di questo principio della rigidità della Costituzione è quello che si può chiamare il primato della Costituzione sulle leggi ordinarie, nel senso che la Costituzione si pone come un limite alle leggi ordinarie. Il che significa che la conformità alla Costituzione è un essenziale requisito per la validità di ogni legge.

Ma quando si dice rigidità della Costituzione, non si vuole affermare l’immutabilità assoluta di essa. Se l’espressione frangar non flectar può essere la divisa di un uomo di carattere o può essere il motto di un giornale, non può essere il motto di una Costituzione, perché è contradittoria e ripugnante alla destinazione stessa di ogni ordinamento giuridico, e quindi anche della Costituzione, la sua immutabilità.

Si tratta, dunque, di contemperare questi due concetti: da un lato, la rigidità della Costituzione, e dall’altro, la sua non immutabilità. Questi due criteri determinano il problema legislativo che dobbiamo ora risolvere. Si tratta, cioè, di inserire nella Costituzione una norma che regoli il procedimento di formazione delle leggi costituzionali.

A questo riguardo, con riferimento all’emendamento che ho presentato, rilevo, anzitutto, che non si deve parlare soltanto di revisione della Costituzione, perché nel testo, già approvato, si prevede anche, in un caso, un tipo speciale di legge, la legge costituzionale: tali sono, secondo l’articolo 108, le leggi con le quali si adottano gli ordinamenti speciali per alcune Regioni. Ora, a meno di voler distinguere – il che mi sembra inutile – fra leggi che modificano la Costituzione e le altre leggi costituzionali (il che darebbe luogo poi ad altri inconvenienti), sembra opportuno fare una norma unica che riguardi sia la formazione di leggi che toccano direttamente la Costituzione, rivedendola, sia le leggi che riguardano le altre materie costituzionali.

Quale può essere questa norma? Il mio emendamento non tocca nessuna parte sostanziale del testo elaborato dalla Commissione dei Settantacinque. Questo testo è ispirato ad un criterio di ragionevolezza che risponde a quanto abbiamo detto prima, e cioè che la Costituzione deve essere rigida, ma non immutabile, inflessibile. Non si può concepire la Costituzione come una lastra di vetro; occorre che sia di un metallo duro, ma un metallo plasmabile. Si tratta, dunque, di trovare una formula che contemperi queste due esigenze.

Il concetto a cui si è ispirata la Commissione è quello di rendere il procedimento di formazione delle leggi costituzionali più complicato di quello che è previsto per le leggi ordinarie, ma di non arrivare a stabilire un procedimento che renda estremamente difficile la revisione della Costituzione.

L’idea pratica che è stata di guida nel disciplinare questa materia è questa: di far sì che vi sia una ponderata riflessione quando si procede ad un atto così importante. Da ciò l’adozione del sistema delle due letture a distanza di un certo periodo di tempo: tre mesi, si propone nel testo. L’esperienza dimostra che questo espediente è utile. Ciascuno di noi potrebbe porsi questa domanda: se io fossi chiamato a votare a distanza di tre mesi qualche articolo della Costituzione che ho già votato, darei il medesimo voto? Lasciare un certo margine alla riflessione è utile.

Il secondo punto che nel testo della Commissione distingue la legge costituzionale dalla legge ordinaria è la maggioranza speciale, richiesta affinché essa sia validamente adottata in ciascuna delle due Camere. Nel progetto si dispone che le leggi di revisione della Costituzione – e, secondo il mio emendamento, le altre leggi costituzionali – devono essere adottate da ciascuna Camera in due letture, con intervallo non minore di tre mesi, e approvate a maggioranza assoluta dei membri di ciascuna Camera nel voto finale in seconda lettura. A noi sembra che questo sistema sia un dispositivo di riflessione, sufficiente ad assicurare che l’adozione di una legge costituzionale avvenga in condizioni tali da rispondere a vere esigenze del Paese, e con ciò sia sufficientemente differenziata la legge costituzionale da quella ordinaria.

La differenza fra legge costituzionale e legge ordinaria è poi accentuata dal comma seguente, nel quale si prevede la possibilità del referendum. E su questo punto il mio testo, nella sua prima parte, non differisce sostanzialmente dal testo della Commissione. Infatti dice: «La legge costituzionale è sottoposta a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla sua pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o (ecco una piccola variante) cinque Consigli regionali». Nel testo della Commissione si dice invece: «sette Consigli regionali». A questo riguardo, ricordo che in altra occasione è stato fatto presente che, data la distribuzione delle regioni d’Italia, esigere che la domanda del referendum sia fatta da almeno sette Consigli regionali potrebbe avere qualche inconveniente dal punto divista politico. Quindi sembra conveniente abbassare questo numero a cinque.

L’emendamento che ho proposto continua, portando una semplice integrazione al testo della Commissione per quanto riguarda il referendum. Nel mio emendamento si dice: «La legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validamente espressi».

Con questa formula si risolve il problema di configurare il referendum che si applica in questo caso. Secondo la formula proposta, si adotta un tipo di referendum che è diverso da quello che era stato escogitato nell’articolo 72 del progetto per quel che concerne le leggi ordinarie.

Come l’Assemblea ricorderà, secondo quel testo – che non è stato approvato – una legge ordinaria sarebbe stata promulgata e pubblicata e sarebbe stata poi sottoposta al referendum, se un certo numero di cittadini ne avesse fatta domanda in un determinato termine, restando in tal caso sospesa l’entrata in vigore della legge. Con un tale regolamento, il referendum avrebbe appunto la configurazione giuridica di un veto.

Mi sembra che in materia di leggi costituzionali convenga dare al referendum una altra configurazione, più vicina a quella che ha il referendum in altri paesi, dove questo istituto di democrazia diretta è praticato, specialmente in Svizzera, e cioè disciplinato in modo che il concorso del voto del popolo, quando la domanda di referendum è regolarmente fatta, assume il valore giuridico di un elemento di formazione della legge costituzionale.

In confronto a tale concetto, nel nuovo testo da me proposto si prevede che la legge costituzionale votata dalle due Camere, non è promulgata, ma viene soltanto pubblicata ai fini di essere portata a conoscenza del popolo, sicché i cittadini possano esercitare la facoltà di chiedere il referendum. Soltanto quando, essendo stato richiesto il referendum, la votazione popolare abbia avuto luogo e la maggioranza richiesta si sia pronunciata a favore della legge, questa viene promulgata e pubblicata ai fini della sua entrata in vigore.

Occorre poi determinare qui qual è il numero di voti richiesti perché la legge sottoposta al referendum possa ritenersi approvata. Nel testo da me proposto si precisa che occorre la maggioranza dei voti validamente espressi.

Infine, nell’ultimo comma, che è uguale a quello del testo della Commissione, si stabiliscono i casi in cui su una legge costituzionale non è ammesso il referendum facoltativo. Si dice cioè: «Non si fa luogo a referendum se la legge costituzionale è stata approvata in seconda lettura da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi membri».

Questo comma, che potrebbe eventualmente diventare, dal punto di vista formale, un inciso del precedente, viene a porre un limite ragionevole alla facoltà di chiedere il referendum e quindi alla messa in moto di una macchina notevolmente pesante, quale è quella della votazione popolare.

Anche qui, sotto questa formula, c’è una idea di buon senso. Quando, secondo il procedimento abbastanza complicato che è previsto, una legge costituzionale è stata votata dalle due Camere e ciascuna di queste l’abbia approvata a maggioranza di due terzi dei suoi membri, si può fondatamente presumere che si è di fronte a una legge costituzionale che risponde a esigenze sentite dalla maggioranza del Paese. Quindi sembra inutile condizionare la perfezione di una tale legge all’eventualità del referendum. Ricordo, a questo riguardo, che anche recenti Costituzioni, per esempio quella francese, contengono qualche analoga disposizione.

Sono questi i criteri a cui si ispira il testo dello articolo come è stato rielaborato nella formulazione che ho sottoposto all’Assemblea.

PRESIDENTE. L’onorevole Preti ha presentato il seguente emendamento:

«Tra il secondo ed il terzo comma inserire il seguente:

«Il Presidente della Repubblica non può domandare alle Camere una nuova deliberazione».

Ha facoltà di svolgerlo.

PRETI. Più che presentare un emendamento, intendevo porre un quesito al Presidente della Commissione dei Settantacinque.

Siccome il secondo capoverso dell’articolo 71 dice che «entro un determinato termine il Presidente della Repubblica può con messaggio motivato domandare una nuova deliberazione», io intendevo chiedere se questo vale anche per le leggi costituzionali, oppure no. A me sembra che non debba valere. Ad ogni modo, siccome ci potrebbe essere incertezza, per questo chiedo spiegazioni.

PRESIDENTE. L’onorevole Benvenuti ha presentato il seguente emendamento:

«Dopo il primo comma, aggiungere:

«Il Presidente della Repubblica non promulga le leggi modificatrici della Costituzione o con essa contrastanti, se non quando siano adottate dalle due Camere con la procedura e con la maggioranza di cui al presente articolo».

Ha facoltà di svolgerlo.

BENVENUTI. Onorevoli colleghi, continuo il cortese contradittorio iniziato con i colleghi della Commissione sabato scorso e continuato stamattina col collega Rossi. Ho detto che il problema va al di là del testo letterale dell’emendamento. È un problema che segna una svolta, a mio avviso, della elaborazione costituzionale che stiamo formulando.

Il problema è questo: i diritti fondamentali dell’uomo e del cittadino, che abbiamo riconosciuto come inviolabili all’articolo 2 della nostra Costituzione, sono garantiti dalla Costituzione o sono rimessi all’arbitrio di qualsiasi maggioranza parlamentare?

Questo è il tema che vi propongo e che passerò brevemente ad illustrare, a sostegno del mio emendamento. Premetto che desidero mantenermi su di un terreno generale e ideale, sul terreno dei principî.

Io non mi vergogno di difendere gli immortali principî: potrà essere una posizione romantica, ma tengo fermo e duro su questo terreno. Lascio ad altri i fasti della così detta real politik, perché sono convinto che ogni abbandono di principî si traduce sempre in una debolezza dell’azione.

D’altra parte, il principio della inviolabilità della persona umana fa parte essenziale del programma del partito nel quale ho l’onore di militare. Ai colleghi del Partito repubblicano storico mi permetto di ricordare un passo classico di Mazzini. Nei «Diritti e doveri del l’uomo» Mazzini proclamava: «Vi sono cose che costituiscono il vostro individuo (parla agli italiani) e sono essenziali alla vita umana. Su queste neppure il popolo ha signoria. Nessuna maggioranza può rapirvi ciò che vi fa essere uomini. Nessuna maggioranza può decretare la tirannide e spegnere o alienare la libertà».

Vi dico con tutta franchezza che non mi sento di approvare un testo costituzionale che dà al potere legislativo la facoltà, perfettamente legittima, di decretare la tirannide e di spegnere la libertà. Questo il pubblico non sa ancora: bisogna avere il coraggio di denunciarlo. Gli italiani credono che il Presidente della Repubblica nella nuova Costituzione abbia funzioni di tutore della Costituzione e della pubblica libertà, e credono sul serio che la Costituzione che si sta costruendo sbarri la strada ad ogni tirannia. Al contrario, il Presidente della Repubblica, così come la sua figurai emerge dal sistema costituzionale sostenuto dalla Commissione, deve obbligatoriamente promulgare le leggi, quando anche esse sopprimano le libertà fondamentali dei cittadini.

È contro questa complicità del Presidente della Repubblica che io insorgo. Una legge che mettesse la stampa alla mercé della polizia, che comprimesse la libertà religiosa, che è sacra per gli italiani, che istituisse tribunali speciali, dovrebbe o non dovrebbe essere promulgata dal Presidente della Repubblica? Lo deve essere secondo il sistema architettato dalla Commissione; anzi, se il Presidente della Repubblica non la promulga, egli è passibile di essere deferito all’Alta Corte di giustizia.

E più precisamente: il Presidente che ha giurato fedeltà alla Costituzione è passibile di deferimento all’Alta Corte di giustizia ove si rifiuti di promulgare una legge che violi quella Costituzione alla quale ha giurato fede. Questa è una mostruosità giuridica e morale. E non parliamo più, onorevoli colleghi, di Costituzione rigida! Io non conosco il perfetto toscano dei costituzionalisti ma il semplice comune vernacolo dell’umile gente della Valle Padana, che qui mi ha mandato a difendere le sue libertà. Quando in uno Stato non esiste un organo che abbia il potere è il dovere di impedire l’entrata in vigore di leggi incostituzionali, o comunque violatrici della libertà, ci troviamo di fronte ad una Costituzione non più rigida, ma tipicamente flessibile, in quanto docile ed adattabile ad ogni e qualsiasi arbitrio del potere legislativo.

Ma i colleghi rispondono: «C’è la Corte costituzionale». Questa difesa non può esser tenuta valida. Quando avete votato, onorevoli colleghi della Commissione, l’obbligatorietà della promulgazione, l’istituzione della Corte costituzionale non era ancora votata e, se non fosse stata mai votata, saremmo rimasti senza un qualsiasi barlume di garanzie di fronte al prepotere della maggioranza legiferante.

In secondo luogo, faccio presente una considerazione fondamentale: se la Corte costituzionale non era ancora istituita quando avete votato il principio delle promulgazioni obbligatorie, essa non è entrata in vita neppure oggi. Noi dobbiamo infatti attendere che l’istituto sia regolato, concretamente istituito e messo in azione da parte del potere legislativo ordinario. Quindi, in realtà, la prima maggioranza che uscirà dal suffragio popolare, dopo lo scioglimento della nostra Assemblea, avrà praticamente il potere illimitato di votare qualsiasi legge, di istituire qualsiasi regime anticostituzionale, senza ombra di controllo, neppure quello della Corte costituzionale. Ed infine, se si ricorresse alla Corte costituzionale, quando una legge anticostituzionale e liberticida fosse già entrata in vigore (supponete una legge che sciogliesse i partiti, che sopprimesse la stampa, che imbavagliasse i giornali, che arrestasse i cittadini), una legge cioè che rievocasse i fasti del 3 gennaio mussoliniano e di tutta la legislazione successiva, allora io mi domando: la situazione incostituzionale ed eccezionale che sarebbe venuta a crearsi, quale margine lascerebbe al popolo italiano per adire sul serio la Corte costituzionale? Quale margine di libertà lascerebbe il fatto compiuto al Parlamento ed ai cittadini per insorgere contro la legge incostituzionale? In realtà, il fatto compiuto, svuoterebbe la Corte costituzionale della sua sostanziale funzione di difesa del cittadino.

È contro questo «fatto compiuto», con tutte le sue gravissime conseguenze, che si leva il mio emendamento, il quale non ha nessun contenuto rivoluzionario, che tocchi cioè i sacri principî del diritto parlamentare. Qualche volta, quando si parla di questioni costituzionali, si ha l’impressione di essere gente che, invitata in una buona società, non ne conosce le regole: ma mi sembra che il mio emendamento non turbi nessuna delle norme fondamentali del galateo costituzionale. Noi abbiamo stabilito procedure e maggioranze specifiche per le leggi, che rivedono, modificano o comunque mutano la Costituzione. Conseguentemente il Presidente della Repubblica, all’atto in cui la legge è sottoposta alla sua promulgazione, deve esaminarne il contenuto. Ciò deve essere da lui fatto soltanto al fine di determinare con quale maggioranza, legittimamente e costituzionalmente, la legge debba venire approvata. Se la legge è tale da poter essere votata con maggioranza ordinaria, il Presidente della Repubblica la promulgherà; se è tale invece da richiedere il procedimento speciale con la maggioranza qualificata, di cui all’articolo che stiamo esaminando, ebbene, il Presidente della Repubblica non promulgherà; perché una legge non viene in essere, se non è votata con la maggioranza e con le procedure prescritte dalla Costituzione. Come non sarebbe da considerarsi approvata una legge ordinaria, che non fosse votata dalla maggioranza della Camera e del Senato, così non è da ritenersi approvata una legge, che innovi, modifichi o violi la Costituzione, qualora non venga votata con la particolare procedura e colla maggioranza prescritta per tali eccezionali atti legislativi.

Quindi, nessuna violazione sostanziale dell’obbligo della promulgazione. Il Presidente della Repubblica non promulga, perché la legge non c’è. Questa è la sostanza del mio emendamento.

Il Capo dello Stato, in sostanza, deve limitarsi a controllare se il potere legislativo abbia o meno rispettato le norme stabilite, per la validità delle sue deliberazioni, dalla stessa sovranità popolare, in quella solenne suprema sua manifestazione che è la Carta Costituzionale.

Tale posizione del Presidente della Repubblica non ha nulla a che vedere coll’esercizio della «sanzione».

Il diritto di sanzione rappresentava una partecipazione del Capo dello Stato al potere legislativo come un «terzo ramo del Parlamento». Nel concetto del mio emendamento, invece, il Presidente della Repubblica deve limitarsi ad esaminare se il potere legislativo ha esercitato i suoi poteri nei limiti e colle forme stabilite dalla Carta Costituzionale, la quale costituisce l’espressione suprema della volontà sovrana del popolo italiano sul piano del diritto pubblico. D’altronde, onorevoli colleghi, se non entriamo in questo ordine di idee, a cosa varrebbe la norma di revisione della Costituzione? Quale sarà mai la maggioranza che, volendo adottare una norma anticostituzionale, ricorrerà al procedimento di revisione? Essa metterà sempre il Paese di fronte al fatto compiuto: comincerà col far promulgare la legge dal Presidente, la farà mettere in esecuzione e poi aspetterà il ricorso. Cadrebbe quindi il contenuto sostanziale della revisione costituzionale, la quale è ispirata ad un concetto preventivo, in quanto è intesa a prevenire la possibilità dell’entrata in vigore di una legge incostituzionale.

Onde è la stessa finalità dell’istituto della revisione costituzionale che verrebbe scalfita alla radice.

Dice l’onorevole Paolo Rossi: il Presidente invitato a promulgare una legge incostituzionale può dimettersi. Questa, io dico, è la peggiore delle soluzioni! Perché arriveremo a questo risultato: che l’Assemblea nominerà un secondo Presidente più docile del primo, e si consoliderà questa (chiamiamola così) giurisprudenza, che il Presidente della Repubblica non giura fedeltà al popolo, alla libertà ed alla Costituzione, ma giura fedeltà servile alla maggioranza parlamentare. Questo sarebbe il risultato di una soluzione del genere, che io non mi sento di accettare.

PRESIDENTE. Concluda, onorevole Benvenuti.

BENVENUTI. Non mi sento di accettarla, tanto più che col sistema costituzionale varato dai nostri amici della Commissione si verrebbero in fatto a conferire alle Assemblee legislative, comprese quelle costituenti, poteri che, secondo me, non possono esser loro conferiti, neppure ove si trattasse di Assemblee costituenti. Desidero cioè riaffermare, prima di chiudere, un principio fondamentale: che qualsiasi legge violasse la Costituzione, e soprattutto violasse i principî fondamentali di libertà ed i diritti inalienabili dell’uomo e del cittadino (e qui parlo come cittadino e come deputato, in nome di quella percentuale di volontà popolare che, sia pure indegnamente, ho l’onore di rappresentare), una legge che venisse approvata da qualsivoglia maggioranza, contro i diritti dell’uomo e contro le libertà costituzionali, sarebbe soltanto chiffon de papier, un pezzo di carta! Perché nessun cittadino può essere tenuto all’osservanza di disposizioni legislative alle quali manchi il fondamento essenziale del rispetto delle libertà individuali e della Carta fondamentale della Repubblica. Ho finito. Non so quale sarà la sorte riserbata al mio emendamento, ma ho la coscienza di aver difeso una causa giusta ed ho soprattutto la certezza che per ogni causa giusta e per ogni verità c’è sempre un avvenire. Il tempo riserva la vittoria ad ogni battaglia che trascende gli interessi contingenti dell’ora che volge e difende valori universali. Ma ho fiducia che sarà questa stessa Assemblea ad accogliere il mio emendamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Rossi Paolo ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

ROSSI PAOLO. Voglio applaudire anch’io le cose che ella ha detto, onorevole Benvenuti, anche se giungo in ritardo. La sua esigenza è l’esigenza di tutti coloro che amano sinceramente la libertà. Mi consenta di dirle che quelle stesse parole con cui ella ha concluso il suo discorso dimostrano che è bene che questa suprema esigenza resti inappagabile legislativamente e che ad un certo momento non la si possa appagare altrimenti che con il proprio sacrificio. Come si può pretendere la garanzia delle garanzie della Costituzione? Perché ella, in sostanza, vuole qualche cosa che garantisca i congegni già destinati a garantire la Costituzione. L’onorevole Benvenuti in precedenza aveva proposto un’altra formulazione come articolo 130-bis. «Le disposizioni della presente Costituzione che riconoscono o garantiscono i diritti di libertà, rappresentando l’inderogabile fondamento per l’esercizio della sovranità popolare, non possono essere oggetto di procedimenti di revisione costituzionale, tendenti a misconoscere o a limitare tali diritti, ovvero a diminuirne le guarentigie».

BENVENUTI. Questo è un altro emendamento.

ROSSI PAOLO. Sostanzialmente è lo stesso. Lei vuole con questo ottenere una garanzia ulteriore delle garanzie già stabilite. La finalità dei due emendamenti è comune: ella intende con entrambi ottenere gli stessi effetti.

Perciò io rispondevo all’altro emendamento che mi pareva più consono al discorso dell’onorevole Benvenuti. Se si tratta di leggi che modificano la Costituzione, e così seriamente come lei ha accennato, è evidente che si tratta di leggi costituzionali che non possono essere votate se non con le garanzie dell’articolo 130. Il controllo formale del Presidente nessuno glielo toglie; quindi, se si volesse creare una legge costituzionale, una legge attinente alla libertà, senza il procedimento dell’articolo 130, il Presidente farebbe benissimo a non promulgarla.

BENVENUTI. Allora, la Commissione accetta l’emendamento?

ROSSI PAOLO. No, la Commissione dichiara che la formulazione dell’articolo 130 comprende ed esaurisce, senza ombra di dubbio, l’esigenza di cui al suo emendamento aggiuntivo.

PRESIDENTE. Vi sono poi l’emendamento presentato dall’onorevole Perassi e il quesito dell’onorevole Preti. L’onorevole Rossi ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

ROSSI PAOLO. Al quesito risponderà l’onorevole Perassi; in quanto all’emendamento Perassi la Commissione lo fa proprio perché mantiene intatta la struttura del progetto e introduce miglioramenti suggeriti dal più accurato esame della materia.

PRESIDENTE. L’onorevole Perassi ha facoltà di esprimere il parere della Commissione sull’emendamento dell’onorevole Preti.

PERASSI. Il comma che l’onorevole Preti ha formulato, e che proporrebbe di aggiungere al testo che stiamo discutendo, solleva un problema interessante e delicato. Anche il Comitato riconosce che quando si tratta di leggi costituzionali la situazione in cui si trova il Presidente della Repubblica è un po’ diversa da quella in cui si trova quando si tratti di una legge ordinaria, ai fini dell’esercizio della facoltà discrezionale attribuitagli dall’articolo 71, che abbiamo già votato, secondo il quale – come si ricorderà – il Presidente della Repubblica può con messaggio motivato domandare alle Camere una nuova deliberazione su una legge da esse adottata.

Quando si tratti di leggi ordinarie, questa facoltà del Presidente di attirare l’attenzione delle Camere su un testo che hanno votato può essere motivata anche da considerazioni attinenti alla costituzionalità del testo votato. È uno dei casi in cui l’uso di tale facoltà potrebbe essere particolarmente conveniente.

Quando si tratti di leggi costituzionali, è evidente che la situazione è un po’ diversa, perché trattandosi di leggi costituzionali non è possibile sollevare una questione di incostituzionalità. Al Presidente spetta solo di accertare che, trattandosi di una legge costituzionale, questa sia stata votata secondo il procedimento stabilito dalla Costituzione.

Ma, ciò posto, conviene arrivare ad inserire espressamente nella Costituzione una disposizione che vieti in maniera assoluta al Presidente di far uso di quella facoltà?

Io ritengo che non sia il caso di fare questa inserzione, né ritengo che sia opportuno – e su questo punto vorrei richiamare particolarmente l’attenzione dell’onorevole Preti – che su questo emendamento intervenga un voto da parte dell’Assemblea.

Mi pare che sia una questione estremamente delicata, da lasciare alla prassi costituzionale. È questa che permetterà di dare al funzionamento della Costituzione quell’indirizzo che meglio corrisponde alla realtà delle cose.

Per conseguenza, a nome del Comitato, pregherei in maniera particolarmente insistente l’onorevole Preti di voler desistere dal sottoporre questo suo emendamento alla votazione e di ritirarlo, dopo le spiegazioni che ho dato.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Preti se conserva il suo emendamento.

PRETI. Non insisto sul mio emendamento, in quanto ritengo che la prassi costituzionale si svolgerà nel senso da me auspicato.

L’articolo non menziona il diritto di veto del Presidente ed io ritengo che questa sia una sufficiente garanzia giuridica e politica. Un Presidente che ne volesse fare uso assumerebbe la responsabilità di dare al testo costituzionale un’interpretazione arbitraria.

PRESIDENTE. L’onorevole Benvenuti mantiene il proprio emendamento?

BENVENUTI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Allora, onorevoli colleghi, passiamo alla votazione.

Pongo ai voti innanzitutto il primo comma del testo dell’onorevole Perassi che la Commissione ha dichiarato di far proprio:

«Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali devono essere adottate da ciascuna Camera in due letture, con un intervallo non minore di tre mesi, ed approvate a maggioranza assoluta dei membri di ciascuna Camera nel voto finale in seconda lettura».

(È approvato).

Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo Benvenuti, non accettato dalla Commissione, del seguente tenore:

«Il Presidente della Repubblica non promulga le leggi modificatrici della Costituzione o con essa contrastanti, se non quando siano adottate dalle due Camere con la procedura e con la maggioranza di cui al presente articolo».

(Dopo prova e controprova, non è approvato).

Pongo in votazione il secondo comma del testo Perassi:

«La legge di revisione costituzionale è sottoposta a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla sua pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validamente espressi».

(È approvato).

Pongo in votazione l’ultimo comma:

«Non si fa luogo a referendum se la legge di revisione costituzionale è stata approvata in seconda lettura da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi membri».

(È approvato).

Abbiamo così approvato tutto il testo dell’articolo 130 nella formulazione accettata dalla Commissione.

Presentazione di una relazione.

BIBOLOTTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BIBOLOTTI. Mi onoro di presentare la relazione della terza Commissione permanente per l’esame dei disegni di legge, sul disegno di legge:

«Approvazione degli Accordi di carattere economico conclusi in Roma, tra l’Italia e la Francia, il 22 dicembre 1946».

PRESIDENTE. Questa relazione sarà stampata e distribuita.

Chiusura della votazione segreta.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione a scrutinio segreto e invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Proseguiamo nell’esame del progetto di Costituzione.

L’onorevole Benvenuti ha proposto il seguente articolo 130-bis:

«Le disposizioni della presente Costituzione che riconoscono o garantiscono diritti di libertà, rappresentando l’inderogabile fondamento per l’esercizio della sovranità popolare, non possono essere oggetto di procedimenti di revisione costituzionale, tendenti a misconoscere o a limitare tali diritti, ovvero a diminuirne le guarentigie».

Ha facoltà di svolgerlo.

BENVENUTI. Sarò brevissimo, anche perché mi duole che ad esporre questo concetto non sia presente un collega di alto valore, che avrebbe potuto svolgerlo colla sua particolare competenza di giurista: alludo al collega onorevole Calamandrei, il quale fu il primo a lanciare l’idea sul piano parlamentare. Per parte mia mi si consenta di rammentare che, già fin dall’anno scorso, avevo sostenuto in articoli di quotidiani politici il concetto che i diritti fondamentali di libertà del cittadino non possono andare assoggettati né a revisione costituzionale e neppure rientrare nella sfera di disponibilità di qualsiasi Assemblea Costituente. Successivamente l’onorevole Calamandrei, nel suo discorso in sede di discussione generale sul progetto di Costituzione, aveva manifestato l’intenzione di proporre un emendamento che stabilisse la non revisionabilità costituzionale dei diritti di libertà. Egli allora, se ben ricordo, ebbe a prospettare la questione sotto un profilo nuovo che qui mi permetto di riproporre brevemente all’Assemblea. Va tenuto fermo il concetto tradizionale affermato in tutte le classiche «dichiarazioni di diritti» e cioè che i diritti fondamentali dell’uomo e del cittadino sono anteriori allo Stato, anteriori alla legge positiva, o comunque radicati nel diritto di natura, nella coscienza giuridica creatasi nel consorzio umano prima di ogni intervento dello Stato. Contro tali diritti né lo Stato, né la legge possono in alcun caso intervenire: questo concetto è sempre valido, anzi fondamentale. Ma l’onorevole Calamandrei ha prospettato il problema in termini nuovi, specificando come oggi i diritti di libertà non vadano più concepiti come limite alla sovranità popolare, ma come il presupposto necessario al suo esercizio.

Mi si consenta di aggiungere una considerazione: gli Stati assoluti, gli Stati tradizionali, anche nel loro sviluppo parlamentare, erano sempre legittimi, quale che fosse l’apporto dato dalla volontà popolare alla vita dello Stato. La legittimità c’era sempre; il consenso si presumeva anche in mancanza di un istituto che permettesse a tale consenso di manifestarsi liberamente, coscientemente, volontariamente. Lo Stato era sempre legittimo, avesse un Parlamento o no, ammettesse il suffragio universale o no, partecipasse il popolo o non partecipasse alla attività politica. In regime democratico invece la volontà sovrana dello Stato si manifesta solo per mezzo della partecipazione libera e cosciente dei cittadini. Non c’è volontà di Stato, se non c’è l’immissione della volontà dei cittadini espressa attraverso l’esercizio dei diritti di libertà nelle forme costituzionali.

Onde, ogni revisione costituzionale dei diritti di libertà ossia della libertà personale, della libertà di coscienza, della libertà di riunione, della libertà di espressione, della libertà di voto, colpirebbe alla radice il concetto di libertà democratica e non solo farebbe cadere l’istituto, ma distruggerebbe fondamentalmente i concetti di democrazia e di libertà costituzionale. È chiaro d’altronde che, come vien proposto il principio della non revisionabilità della forma istituzionale, a maggior ragione dovrà venir proclamata l’intangibilità e quindi la non revisionabilità dei diritti fondamentali senza dei quali non vi è né repubblica né libertà.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Vorrei chiedere all’onorevole Benvenuti se è disposto ad aggiungere, dopo le parole: «riconoscono o garantiscono i diritti di libertà», le parole: «e del lavoro». Il mio Gruppo è favorevole all’emendamento dell’onorevole Benvenuti e lo voterà, con questa aggiunta.

BENVENUTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BENVENUTI. Io mi rendo perfettamente conto dello spirito della proposta dell’onorevole Laconi, e dichiaro di condividerlo in linea di principio. Ma faccio presente la difficoltà pratica di formulare immediatamente un testo che dia soddisfazione all’istanza prospettata dal collega. In questo senso: che io ritengo che quella categoria di diritti che non rientrano strettamente nei diritti di libertà, nel senso tradizionale, ma che per il loro contenuto sociale conferiscono efficacia e concretezza all’esercizio dei diritti di libertà, siano essi pure intangibili. Senonché, data una Costituzione come questa la quale nel capo dedicato ai problemi del lavoro tocca argomenti svariati, dal controllo sul credito, allo sviluppo dell’artigianato, dall’aiuto alle zone montane, alla legge sulle cooperative, ecc., occorrerebbe studiare una formula precisa e non troppo lata in modo da non comprendere nella norma di non revisionabilità disposizioni non essenziali ed evidentemente revisionabili.

Fermo restando quindi, che il riconoscimento dei diritti del lavoro rappresenta un contributo fondamentale ad un concreto esercizio dei diritti di libertà, l’accoglimento della proposta Laconi richiederebbe l’elaborazione di un nuovo testo.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Rossi Paolo ad esprimere il parere della Commissione.

ROSSI PAOLO. I diritti di libertà, fra i quali il diritto del lavoro è compreso come primissimo, sono contenuti in una categoria più vasta: il diritto naturale.

L’onorevole Benvenuti e l’onorevole Laconi rivendicano qui, dopo tante discussioni, il vecchio e maltrattato diritto naturale e hanno ragione. È passato da poco un periodo in cui un interprete relativamente autorizzato del pensiero di Mussolini scriveva una canzonetta così fatta:

«L’italian non ha paura della legge di natura e talora anche corregge la natura della legge!»

La preoccupazione dell’onorevole Benvenuti, dell’onorevole Laconi e di tutti noi, che i diritti della persona umana, i diritti della dignità umana, i diritti del lavoro umano siano validamente tutelati è la preoccupazione essenziale dell’Assemblea, ma non credo che alcun articolo bis possa costituire una difesa intrinseca di questi diritti fondamentali. Per difenderli ci vuole, onorevole Benvenuti, onorevole Laconi, onorevoli colleghi, qualche cosa di più che una disposizione di carattere costituzionale: ci vuole il permanere costante e fino al sacrificio, in tutti noi, della stessa ardente volontà di essere liberi che in questo momento ha manifestato con eloquenza l’onorevole Benvenuti.

Ahimè, dal punto di vista formale, dal punto di vista legalitario, dal punto di vista costituzionalistico, questo povero articolo 130-bis è una ben modesta garanzia. Pensi l’onorevole Benvenuti che basterebbe il procedimento della doppia revisione per porre nel nulla questa garanzia che egli considera un argine insormontabile, una tutela invincibile dei diritti fondamentali della personalità umana; basterebbe che un’Assemblea con un primo procedimento di revisione costituzionale cancellasse dalla Costituzione l’articolo 130-bis e una seconda volta, dopo questa cancellazione, modificasse taluni degli articoli che garantiscono le principali libertà dell’uomo perché accadesse questa cosa enorme: che una violazione fondamentale dei diritti della libertà umana avesse l’apparenza della legalità, ciò che non vogliamo noi della Commissione, ciò che spero l’Assemblea non vorrà.

Se una lesione di questo genere dovesse mai avvenire nel futuro, avvenga col sangue, avvenga con la violenza, avvenga contro la legge, non avvenga almeno col soccorso formale della Costituzione.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell’articolo aggiuntivo proposto dall’onorevole Benvenuti.

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Voterò contro la proposta dell’onorevole Benvenuti non per motivi di carattere sostanziale, non per motivi di ordine sociale e politico, perché posso essere d’accordo nella sostanza con le idee espresse dall’onorevole Benvenuti, ma mi meraviglio come, pur essendoci in questa Aula tanti esimi giuristi, tanti professori di diritto, si lasci a me, avvocato, il compito di proclamare assurda una legge la quale dichiari immutabile ed eterna un’altra legge. Per questo motivo voterò contro.

MORO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Dichiaro, a titolo personale, che non Vedo l’opportunità di questo articolo 130-bis proposto dall’onorevole Benvenuti ed accettato dall’onorevole Laconi. Che i diritti fondamentali di libertà, tra i quali sono anche i diritti del lavoro di cui parla l’onorevole Laconi, debbano essere salvaguardati permanentemente nella prassi legislativa e politica del nostro Paese, non credo vi possa essere dubbio. Mi pare che quello stesso articolo 6 – se non sbaglio – il quale consacra, senza nominarli individualmente, i diritti fondamentali della persona umana sia in questo senso sufficientemente indicativo della nostra volontà di salvaguardare i diritti fondamentali e di sottrarli al vivo flusso della vita storica che deve passare dinanzi a questi diritti senza toccarli. Sono diritti che noi chiamiamo naturali e poniamo al di sopra delle mutevoli esigenze della vita politica. Ma la norma così come è formulata, nel significato che fatalmente assumerebbe, è da un lato inutile per quanto ha detto l’onorevole Rossi e dall’altro pericolosa, perché diventa un ostacolo a quelle riforme di dettaglio che attengono a quel tanto di storico e di mutevole che è in questi diritti assoluti. Quindi la norma proposta finirebbe per essere un impedimento a quel processo di revisione e di adattamento che invece è garanzia di stabilità della Costituzione. Per queste ragioni, pur apprezzando, i motivi della proposta e pur condividendo con i colleghi che hanno prospettato questa esigenza il proposito di difendere questi diritti fondamentali e metterli al di sopra delle mutevoli vicende della vita politica, dichiaro che voterò contro l’articolo 130-bis.

PRESIDENTE. Il seguente emendamento all’emendamento Benvenuti è stato presentato dagli onorevoli Laconi, Gullo Fausto ed altri:

«Dopo le parole: diritti di libertà, aggiungere: e del lavoro».

Si metterà in votazione prima il testo dell’onorevole Benvenuti, e separatamente l’emendamento aggiuntivo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Vorrei fare una dichiarazione semplicissima. Un dilemma. O noi intendiamo questa modificazione in senso letterale, e allora non potremo più in nessun modo ritoccare la Costituzione. Le libertà che abbiamo messo nella Costituzione sono libertà che hanno un inderogabile fondamento; e cadono tutte nell’espressione dell’onorevole Benvenuti; così che, se non potessimo toccarle, non potremmo mai toccare l’arca santa della Costituzione. O noi vogliamo affermare un’altra cosa; che vi sono diritti di libertà e di democrazia, che sono inviolabili e che neppure la Costituzione può violare; le leggi «superiori a quelle della città» di cui parla Antigone; i diritti naturali; gli «immortali principî»; ed io sono perfettamente d’accordo con l’onorevole Benvenuti, nel sentire la esigenza di queste istanze supreme; ma non si tratta di vere norme giuridiche; non ci muoviamo più nella zona del diritto; siamo in quella zona più alta, dove stanno i principî di natura etico-politica; superiori alla lettera del diritto, e tali che non possono essere tradotti in norme concrete di Costituzione, come quelle che l’onorevole Benvenuti ha proposto. Noi del resto, spingendoci ai limiti del contenuto d’un testo costituzionale, abbiamo già parlato nei primi articoli della nostra Costituzione di diritti «inviolabili» dell’uomo; non possiamo andare più in là e stabilire che tutto quanto riguarda le libertà non può essere oggetto di revisione costituzionale. Ripeto: dobbiamo difendere questi diritti inviolabili, questi principî etico-politici; ma non possiamo dire che la Costituzione non potrà mai essere riveduta.

PRESIDENTE. Onorevole Benvenuti, mantiene il suo emendamento?

BENVENUTI. Rispondo alle dichiarazioni dell’onorevole Ruini; ripeto che per quanto attiene alla formulazione dell’emendamento i vari rilievi meritano di essere presi in considerazione; preciso che il mio concetto è questo: che le norme relative ai diritti di libertà possono essere rivedute nel senso di ampliare o meglio garantire tali diritti, che si possa cioè in questo campo andare avanti e non indietro. Il testo costituzionale può evidentemente essere riveduto: ma la revisione del testo non potrebbe mai limitare i diritti di libertà, né, aggiungo, quei diritti sociali che rappresentano una integrazione concreta ed essenziale dei diritti di libertà. Ritengo peraltro opportuno di ritirare l’emendamento augurandomi che il principio meglio formulato possa venire riproposto successivamente.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Faccio mio l’emendamento dell’onorevole Benvenuti con la modificazione da me proposta.

PRESIDENTE. Su questo emendamento è stata presentata domanda di votazione per appello nominale dagli onorevoli Laconi, Grieco, Reale Eugenio, Moranino, Farina, Pellegrini, Longo, Rossi Maria Maddalena, Musolino, Gullo Fausto, Platone, Lozza, Cremaschi Olindo, Pucci, Lombardi Carlo. Contemporaneamente è stata presentata anche domanda di votazione a scrutinio segreto dagli onorevoli Uberti, Monticelli, Castelli Avolio, Giacchero, Pecorari, Bertone, Camposarcuno, Del Curto, Ambrosini, Perlingieri, Bosco Lucarelli, Chatrian, Baracco, Colonnetti, Brusasca, Clerici, Riccio, Caronia, Mazza, Bubbio. Avrà la precedenza la votazione a scrutinio segreto.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Precedentemente si era stabilito che si sarebbe votata prima la formula dell’onorevole Benvenuti e poi l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Laconi. Penso che, se si votasse a scrutinio segreto, si ingenererebbe confusione. Desidero che il Presidente chiarisca.

PRESIDENTE. Si era detto di votare per divisione, in quanto ci trovavamo di fronte ad un emendamento aggiuntivo dell’onorevole Laconi all’emendamento dell’onorevole Benvenuti. Poiché questi ha ritirato il proprio emendamento, ci troviamo di fronte soltanto alla formulazione unitaria dell’onorevole Laconi, che ha modificato il testo primitivo dell’onorevole Benvenuti.

La votazione quindi si riferisce al testo completo.

CAPPUGI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAPPUGI. Accetto l’emendamento Laconi; però chiedo che, per ovviare all’inconveniente segnalato dall’onorevole Ruini, che ha determinato l’onorevole Benvenuti a ritirare il suo emendamento, l’emendamento Laconi sia integrato con la seguente aggiunta: «se non nel senso di un loro ulteriore ampliamento».

LACONI. Accetto la proposta Cappugi.

PRESIDENTE. Onorevole Cappugi, penso che il suo concetto sia implicito nella formulazione proposta.

CAPPUGI. L’osservazione del Presidente è giustificata, e quindi ritiro il mio emendamento.

LACONI. Chiedo che l’onorevole Presidente dia ancora lettura dell’elenco dei firmatari della richiesta di votazione a scrutinio segreto. (Commenti al centro).

PRESIDENTE. Darò lettura dei richiedenti la votazione per appello nominale e dei richiedenti la votazione a scrutinio segreto.

L’appello nominale è stato richiesto dagli onorevoli Laconi, Grieco, Reale Eugenio, Moranino, Farina, Longo, Rossi Maria Maddalena, Pellegrini, Musolino, Gullo Fausto, Platone, Lozza, Cremaschi Olindo, Pucci e Lombardi Carlo.

Lo scrutinio segreto è stato richiesto dagli onorevoli Uberti, Monticelli, Castelli Avolio, Pecorari, Bertone, Clerici, Bosco Lucarelli, Chatrian, Bubbio, Alberti, Baracco, Colonnetti, Brusasca, Giacchero, Caronia, Ambrosini, Mazza, Riccio, Perlingieri e Camposarcuno.

LACONI. Qui si rivelano gli amici della democrazia! (Rumori al centro).

UBERTI. Si rivela la vostra lealtà. Voi siete stati sempre i difensori dello scrutinio segreto! (Proteste a sinistra).

LACONI. Noi avevamo chiesto l’appello nominale!

UBERTI. Voi non avete coraggio, tanto vero che ricorrete allo scrutinio segreto. (Proteste del deputato Laconi).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, facciano silenzio. Mi pare che in questa gara di richieste di appelli nominali e di scrutini segreti sia assai difficile stabilire a-chi spetti il primato.

UBERTI. Noi abbiamo da tempo proposto una modifica del Regolamento, nel senso di dare la prevalenza all’appello nominale. (Applausi al centro – Rumori all’estrema sinistra).

PRESIDENTE. Rammarico, onorevole Uberti, che temi metta nell’obbligo di dire che attendiamo da tre settimane la relazione dell’onorevole Gronchi a questa decisione della Giunta del Regolamento e che non è certo responsabilità né dell’Assemblea, né dell’Ufficio di Presidenza se il Relatore non ha ancora adempiuto al suo compito.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Indico la votazione segreta sull’emendamento aggiuntivo, fatto proprio e modificato dall’onorevole Laconi:

«Le disposizioni della presente Costituzione che riconoscono o garantiscono i diritti di libertà e del lavoro, rappresentando l’inderogabile fondamento per l’esercizio della sovranità popolare, non possono essere oggetto di procedimenti di revisione costituzionale, tendenti a misconoscere o a limitare tali diritti, ovvero a diminuirne le guarentigie».

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione. Invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione segreta:

Presenti                               309

Votanti                                307

Astenuti                               2

Maggioranza           154

Voti favorevoli        116

Voti contrari                        191

(L’Assemblea non approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Adonnino – Alberti – Aldisio – Allegato – Ambrosini – Arata – Arcangeli – Azzi.

Bacciconi – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Bartalini – Bastianetto – Bei Adele – Bellato – Bellusci – Belotti – Bencivenga – Benedettini – Benvenuti – Bernamonti – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bocconi – Bonino – Bonomi Paolo – Bordon – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Braschi – Brusasca – Bubbio – Bucci.

Caccuri – Caiati – Cairo – Calosso – Camangi – Camposarcuno – Candela – Canepa – Canevari – Caporali – Cappa Paolo – Cappi Giuseppe – Cappugi – Capua – Carbonari – Carboni Angelo – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cevolotto – Chatrian – Chieffi – Chiostergi – Ciccolungo – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbino – Corsanego – Corsi – Cortese Pasquale – Cosattini – Costa – Costantini – Cotellessa – Covelli – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo – Crispo.

Damiani – D’Amico – De Caro Gerardo – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Mercurio – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Di Giovanni – Di Gloria – Dominedò – D’Onofrio – Dossetti.

Ermini.

Fabbri – Fabriani – Fantoni – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrario Celestino – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fioritto – Firrao – Fornara – Fresa – Fuschini.

Gabrieli – Galati – Gallico Spano Nadia – Gasparotto – Gatta – Gavina – Gervasi – Giacchero – Giannini – Giolitti – Giordani – Giua – Gotelli Angela – Grassi – Grazi Enrico – Grieco – Grilli – Gronchi – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jervolino.

Laconi – Lagravinese Pasquale – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Lizier – Lombardi Carlo – Lombardo Ivan Matteo – Longo – Lopardi – Lozza – Lussu.

Macrelli – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Mancini – Marina Mario – Marinelli – Martinelli – Marzarotto – Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mattarella – Mazza – Mazzoni – Meda Luigi – Mentasti – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molinelli – Momigliano – Montagnana Rita – Montemartini – Monterisi – Monticelli – Morandi – Moranino – Morelli Luigi – Moro – Mortati – Moscatelli – Mùrdaca – Musolino.

Nasi – Negarville – Negro – Nenni – Nicotra Maria – Nitti – Nobili Tito Oro – Notarianni – Numeroso.

Pajetta Gian Carlo – Pallastrelli – Paratore – Paris – Pastore Giulio – Pat – Pecorari – Pella – Pellegrini – Penna Ottavia – Perassi – Perlingieri – Persico – Pesenti – Piccioni – Piemonte – Pistoia – Platone – Ponti – Priolo – Pucci – Puoti.

Quintieri Adolfo – Quintieri Quinto.

Raimondi – Rapelli – Reale Eugenio – Recca – Rescigno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rodinò Ugo – Romita – Roselli – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Roveda – Ruggeri Luigi – Ruini – Rumor – Russo Perez.

Saggin – Salerno – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sansone – Sartor – Scalfaro –Scarpa – Scoccimarro – Sereni – Sforza – Sicignano – Siles – Silipo – Simonini – Spallicci – Spataro – Stampacchia – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Taviani – Tega – Terranova – Titomanlio Vittoria – Togni – Tomba – Tonello – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi – Tripepi – Tumminelli.

Uberti.

Valenti – Vicentini – Vigo – Villani – Vischioni – Volpe.

Zaccagnini –– Zerbi – Zotta – Zuccarini.

Si sono astenuti:

Conti.

Zanardi.

Sono in congedo:

Angelini.

Carmagnola – Caso – Cavallari.

Dugoni.

Garlato – Ghidini – Gortani.

Jacini.

Preziosi.

Ravagnan.

Vanoni – Varvaro – Viale.

Risultato della votazione segreta sugli Accordi di carattere economico.

PRESIDENTE. Comunico frattanto il risultato delle votazioni a scrutinio segreto sui seguenti disegni di legge:

Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia ed i Paesi Bassi, il 30 agosto 1946.

Presenti e votanti     324

Maggioranza           163

Voti favorevoli        314

Voti contrari                          10

(L’Assemblea approva).

Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia e la Danimarca, il 2 marzo 1946.

Presenti e votanti     324

Maggioranza           163

Voti favorevoli        316

Voti contrari                            8

(L’Assemblea approva).

Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia e l’Ungheria, il 9 novembre 1946.

Presenti e votanti     324

Maggioranza           163

Voti favorevoli        317

Voti contrari                            7

(L’Assemblea approva).

Approvazione dei seguenti Accordi conclusi ad Ankara, tra l’Italia e la Turchia, il 12 aprile 1947: a) Accordo commerciale; b) Accordo di pagamento; c) Scambio di Note.

Presenti e votanti     324

Maggioranza           163

Voti favorevoli        314

Voti contrari                          10

(L’Assemblea approva).

Approvazione degli Accordi commerciali e di pagamento conclusi in Roma, tra l’Italia ed il Belgio, il 18 aprile 1946.

Presenti e votanti     324

Maggioranza           163

Voti favorevoli        316

Voti contrari                            8

(L’Assemblea approva).

Approvazione dei seguenti Accordi, conclusi in Roma, fra l’Italia e la Svezia, il 19 aprile 1947: a) Accordo italo-svedese relativo all’emigrazione di operai italiani in Svezia; b) Protocollo addizionale all’Accordo italo-svedese relativo all’emigrazione di operai italiani in Svezia.

Presenti e votanti     324

Maggioranza           163

Voti favorevoli        315

Voti contrari                            9

(L’Assemblea approva).

Approvazione dei seguenti Accordi, conclusi in Roma, tra l’Italia ed il Belgio: a) Protocollo italo-belga per il trasferimento di 50 mila minatori italiani in Belgio e Scambio di Note 23 giugno 1946; b) Scambio di Note per l’annullamento dell’articolo 7 del Protocollo suddetto 26-29 ottobre 1946; c) Annesso al Protocollo di emigrazione italo-belga 26 aprile 1947; d) Scambio di Note per l’applicazione immediata a titolo provvisorio dell’Annesso suddetto 27-28 aprile 1946.

Presenti e votanti     324

Maggioranza           163

Voti favorevoli        316

Voti contrari                  8

(L’Assemblea approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Alberti – Ambrosini – Arata – Arcangeli.

Bacciconi– Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Bartalini – Basile – Bastianetto – Bazoli – Bellato – Belotti – Bencivenga – Benedettini – Benvenuti – Bernini Ferdinando – Bertola – Bertone – Bettiol – Bibolotti – Binni – Bocconi – Bonfantini – Bonomelli – Bonomi Ivanoe – Bonomi Paolo – Bordon – Bosco Lucarelli – Bosi – Bovetti – Bozzi – Braschi – Brusasca – Bubbio – Bucci – Burato.

Caccuri – Caiati – Cairo – Camangi – Camposarcuno – Candela – Canepa – Canevari – Caporali – Cappa Paolo – Cappi Giuseppe – Cappugi – Capua – Carbonari – Carboni Angelo – Carpano Maglioli – Carratelli – Cartia – Castelli Avolio – Cerreti – Cevolotto – Chatrian – Chieffi – Chiostergi – Cianca – Ciccolungo – Cimenti – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colombo Emilio – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbino – Corsi – Cortese Pasquale – Cosattini – Costa – Costantini – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo – Crispo.

Damiani – D’Amico – De Caro Gerardo – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Mercurio – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Di Giovanni – Di Gloria – Dominedò – D’Onofrio – Dossetti.

Fabbri – Fabriani – Fantoni – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrario Celestino – Ferreri – Filippini – Fiorentino – Fioritto – Firao – Foa – Fogagnolo – Foresi – Fornara – Franceschini – Fuschini.

Gabrieli – Galati – Gallico Spano Nadia – Gasparotto – Gavina – Germano – Gervasi – Ghidetti – Giacchero – Giannini – Giolitti – Giordani – Giua – Gotelli Angela – Grassi – Grazi Enrico – Grieco – Gronchi – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Iotti Leonilde.

Jervolino.

Laconi – Lagravinese Pasquale – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Leone Francesco – Lizier – Lizzadri – Lombardi Carlo – Longo – Lozza – Lucifero – Lussu.

Macrelli – Magnani – Magrini – Malagugini – Mancini – Marinaro – Marinelli – Martinelli – Martino Gaetano – Marzarotto – Massini – Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mastrojanni – Mattarella – Mazza – Mazzei – Mazzoni – Meda Luigi – Merlin Angelina – Merlin Umberto – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molinelli – Momigliano – Montagnana Rita – Montemartini – Monterisi – Monticelli – Montini – Morandi – Moranino – Morelli Luigi – Moro – Mortati – Moscatelli – Mùrdaca – Musolino – Musotto.

Nasi – Negarville – Negro – Nenni – Nicotra Maria – Nitti – Nobile Umberto – Noce Teresa – Notarianni – Numeroso.

Pajetta Gian Carlo – Pajetta Giuliano – Pallastrelli – Paolucci – Paris – Parri – Pastore Giulio – Pastore Raffaele – Pat – Pecorari – Pellegrini– Penna Ottavia – Pera – Perassi – Perlingieri – Pesenti – Piccioni – Piemonte – Pistoia – Platone – Ponti – Preti – Priolo – Proia.

Quintieri Adolfo – Quintieri Quinto.

Raimondi – Rapelli – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Rescigno – Restagno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Roselli – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Roveda – Ruini – Rumor – Russo Perez.

Saccenti – Saggin – Salerno – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sartor – Scalfaro – Scarpa – Schiavetti – Schiratti – Secchia – Sereni – Sicignano – Siles – Simonini – Spallicci – Spataro –Stampacchia – Stella – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Targetti – Tega – Terranova – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Tomba – Tonello – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Tremelloni – Treves – Trimarchi – Tripepi – Turco.

Uberti.

Valenti – Vallone – Valmarana – Venditti – Veroni – Vicentini – Vigo – Villani – Vischioni – Volpe.

Zaccagnini – Zanardi – Zannerini – Zappelli – Zerbi – Zuccarini.

Sono in congedo:

Angelini.

Carmagnola – Caso – Cavallari.

Dugoni.

Garlato – Ghidini – Gortani.

Jacini.

Preziosi.

Ravagnan.

Vanoni – Varvaro – Viale.

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Passiamo all’esame dell’articolo 131. Se ne dia lettura.

DE VITA, Segretario, legge:

«La forma repubblicana è definitiva per l’Italia e non può essere oggetto di revisione costituzionale».

PRESIDENTE. Sono stati presentati numerosi emendamenti.

L’onorevole Damiani ha presentato una proposta soppressiva. Ha facoltà di svolgerla.

DAMIANI. L’articolo 131 che in questo momento il signor Presidente ha letto è, per me, pleonastico, in quanto dichiara definitivo ciò che per sua natura già si deve intendere stabile. La costruzione del nuovo Stato italiano, che è frutto del concorso della volontà del popolo e del lavoro di un anno e mezzo dei deputati dell’Assemblea Costituente, deve essere ritenuta una costruzione non effimera. Quindi, volere dire nella Costituzione che noi non la riteniamo provvisoria, significa dimostrare la preoccupazione che essa lo sia. Invece tutti sentiamo che questa costruzione è stabile.

Ma se è pleonastico dire che ciò che è nato, è nato definitivamente, non possiamo noi dichiarare, nello stesso tempo, da un punto di vista logico, che una costruzione umana sia definitiva, cioè eterna, immutabile. Ogni costruzione umana è di per sé destinata a variare nel tempo.

Affermare la definitività della forma di uno Stato sarebbe come se un architetto che ha costruito un tempio pretendesse preservarlo dai terremoti o dai bombardamenti scrivendo sul fregio: «Questo tempio è definitivo». Mi pare sia una stonatura!

RUSSO PEREZ. È ridicolo!

DAMIANI. Quindi, siccome tutto è mutevole, non solo nella terra, non solo in noi, ma anche nell’universo stesso, noi non possiamo affermare quel principio, che, del resto, credo non sia stato mai affermato in nessun testo legislativo o costituzionale.

Se venisse dichiarato sarebbe una presunzione assurda.

Vi è da notare ancora che l’espressione «per l’Italia» contenuta nell’articolo è infelice, in quanto sembrerebbe che la norma fosse emanata da un organo supernazionale, che potesse fissare «per l’Italia» la forma repubblicana, e per altri paesi forme diverse. Inoltre l’articolo 131 è doppiamente pleonastico, perché in esso, dopo la stabilita definitività della forma repubblicana, si ripete ancora che essa non può essere oggetto di revisione. È implicito che tutto quanto è definitivo non può essere revisionato; ed è perciò superfluo ripetere con altre parole lo stesso concetto.

Per i detti motivi l’articolo 131 appare così difettoso da giustificarne la soppressione.

PRESIDENTE. L’onorevole Rodi ha anch’egli proposto di sopprimere l’articolo 131.

Ha facoltà di svolgere l’emendamento.

RODI. Anch’io ho proposto la soppressione dell’articolo 131, e non vi nascondo che sono rimasto perplesso di fronte a questo articolo, nel quale si fa un’affermazione solenne, ma di una solennità priva di sostanza, perché, come giustamente diceva il collega Damiani poc’anzi, il legislatore qui ha mostrato, per lo meno, di essere o di avere una presunzione storica. È certo che nel compilare l’articolo 131 ha dimenticato che la storia non è fatta soltanto dalla volontà di un individuo, ma dal concorso di tanti elementi che spesso servono a modificare radicalmente e profondamente un qualsiasi regime che possa essere stato costituito. D’altra parte, la dichiarazione che si fa nell’articolo 131 è, per lo meno, illiberale, perché implicitamente vieta alla volontà popolare di manifestarsi in un determinato modo, nel caso cioè che questa volontà popolare desiderasse nel futuro modificare la forma dello Stato. E noi non abbiamo il diritto di ipotecare il futuro e di impedire che in questo futuro la volontà popolare si possa manifestare liberamente.

D’altra parte, l’Assemblea Costituente ha già votato una legge che contempla e prevede le punizioni dei movimenti monarchici, che siano esercitati con carattere di violenza. Ma questa legge è diretta contro la violenza e noi, anzi, possiamo aggiungere che la violenza, da qualunque parte essa venga, deve essere punita. E l’Assemblea, votando questa legge, ha commesso un duplice errore: il primo, perché non era il caso di fissare in una legge speciale ciò che è già contemplato dal Codice; in secondo luogo è stato commesso, a mio avviso, un grave errore, perché si è voluto accomunare l’idea monarchica col fascismo e quindi si è voluto in un certo senso compromettere il libero pensiero di tutti quei milioni di individui che hanno una loro determinata idea politica. Di modo che se facciamo riferimento a quella legge, che riguarda l’eventuale o presunta violenza dei monarchici, e poi ci soffermiamo sull’articolo 131, possiamo senz’altro dire che i monarchici in Italia hanno finito di vivere. Perché se il monarchico ha il diritto di nutrire il suo sentimento e si troverà costantemente di fronte all’articolo 131, egli saprà che questo suo sentimento è per lo meno, e soltanto, platonico.

Quindi, mentre da un lato noi sottolineiamo il principio della libertà e diciamo ai monarchici che essi possono liberamente nutrire i propri sentimenti, neghiamo però a questi monarchici di nutrire speranze in eventi futuri. Intendiamoci bene: qui non si tratta di speranze che possano contemplare una restaurazione violenta della monarchia, ma di quelle restaurazioni così frequenti nella storia e che sono il risultato logico di un processo che può verificarsi in un popolo che si trovi nelle nostre condizioni.

Attraverso la legge che prevede la violenza sarà facile domani accusare qualcuno di essere stato violento; e lo si può punire vietando le unioni e le organizzazioni. Ma per l’articolo 131 domani dichiarerete che è assolutamente inutile che in Italia esistano unioni e partiti monarchici, poiché è assurdo che voi dobbiate consentire il mantenimento di queste unioni impedendo ai milioni di individui che ne fanno parte di aspirare ad una modificazione di carattere istituzionale, modificazione che sia suggerita, dettata, voluta dagli avvenimenti storici.

Vi sono milioni di individui, i quali possono legittimamente aspirare alla restaurazione monarchica, e noi non abbiamo il diritto, con un articolo, di spezzare questa aspirazione. D’altra parte la stabilità di un regime non può essere fissata da un articolo di legge. Quando la Repubblica avrà dimostrato di essere forte, serena nella sua forza, e capace di conservare la democrazia e la libertà, allora vi assicuro che questa Repubblica sarà veramente definitiva.

Non possiamo presumere oggi, in un periodo di penoso e profondo esperimento, fissare come definitivo ciò che dalla storia non è stato ancora detto e ciò che dallo stesso stato psicologico del popolo italiano è stato rifiutato. Facciamo in modo, con il concorso di tutti, che questa Repubblica diventi forte e democratica nella sua sostanza; e a poco per volta verremo ad assottigliare quelle aspirazioni che voi con un articolo volete stroncare in un momento in cui gli animi sono ancora protesi verso un determinato sentimento.

Né possiamo noi assumerci questa responsabilità. Quindi, propongo la soppressione dell’articolo 131, anche per un omaggio alla libertà ed alla logica. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. L’onorevole Castiglia ha già svolto il seguente emendamento: «sopprimere le parole: e non può essere oggetto di revisione costituzionale».

L’onorevole Azzi ha proposto il seguente emendamento che non rientra nella materia relativa all’articolo in esame:

«Dopo l’articolo 131 aggiungere una Parte terza: La difesa nazionale, trasferendovi gli articoli 6, 49, 75 nella conseguente numerazione».

L’onorevole Condorelli ha proposto la soppressione dell’articolo. Ha facoltà di svolgere l’emendamento.

CONDORELLI. Onorevoli colleghi, quello che l’onorevole Rodi ha detto così bene, chiarisce l’aspetto politico della questione; per lo che io mi intratterrò soltanto sull’aspetto giuridico della medesima.

In realtà, questo articolo contiene due concetti: uno è la definitività della forma repubblicana, l’altro è la esclusione dal procedimento di revisione costituzionale delle norme che stabiliscono questa forma.

La prima disposizione è bizzarra o superflua; la seconda è certamente impolitica ed antidemocratica.

La definitività della forma repubblicana è disposizione bizzarra o superflua, a seconda del modo con cui si interpetra quel «definitivo». Se quel definitivo volesse impegnare la storia futura, sarebbe evidentemente una bizzarria, di cui rideranno i contemporanei ed ancor di più i futuri. Se il legislatore avesse veramente la possibilità di determinare o di formare la realtà degli eventi e dei fatti, io raccomanderei ai costituenti di vietare i terremoti della mia Sicilia, e non avrei nessuna difficoltà ad estendere la richiesta alle altre regioni telluriche d’Italia. Ma evidentemente non potrà essere questo il significato di quel «definitivo».

Avrà il significato della definitività giuridica? Noi abbiamo delle sentenze definitive, quando sono esauriti o esclusi i processi di impugnazione. Abbiamo delle leggi definitive, cioè quelle che non sono temporanee. Quando in una legge non si mette un termine, essa è definitiva. Noi, dunque, non affermiamo in sostanza altro che quello che è implicito in ogni legge, nella quale non vi sia termine, cioè in una legge definitiva. E chi può dire che una legge sia provvisoria, a meno che la legge stessa non lo dica?

Evidentemente, se l’interpretazione di quel «definitivo» è questa, è superfluo aggiungerlo.

La seconda disposizione, quella che vieta il processo di revisione costituzionale delle norme che conformano questa Costituzione repubblicana, è palesemente antidemocratica, perché è antidemocratica nel fine. Il suo fine sarebbe di cristallizzare questa forma, di confiscare alle generazioni future la libertà di darsi la forma di reggimento politico che potranno prescegliersi; e dico antidemocratica soltanto nella finalità; perché nell’effettività non c’è legge che possa confiscare questa possibilità ai futuri. Questa legge che, attraverso una sua espressione, pretende la perennità, mi ricorda quella cara amicizia comune della nostra infanzia, il Barone di Münchausen, che, caduto in una palude col cavallo, appendendosi al codino della sua parrucca, trasse fuori dalla palude sé e il cavallo.

È una legge che, essendo per sua natura umana essenzialmente mutevole, con una sua affermazione pretende di diventare immutevole. È troppo chiaro: è veramente un capolavoro di umorismo questa legge, che afferma la propria immutabilità, a mezzo della legge stessa, che è poi mutevole per sua definizione.

Ora, dicevo, la disposizione che vieta il processo di revisione relativamente alla forma repubblicana, è antidemocratica nella finalità, non riesce ad esserlo nella realtà, perché siccome la legge umana è per sua natura mutevole, mentre solo la legge di Dio è eterna, si cerca sin da ora in che modo gli italiani potranno legalmente mutare questa legge. Voi avete pensato di offrire un mezzo solo agli italiani per modificare questa legge: la rivoluzione. I giuristi invece hanno già trovato le vie per cui questo mutamento può avvenire legalmente.

L’onorevole Calamandrei ha osservato che gli italiani dovranno ricorrere a creare una nuova Costituente. Nego che questa soluzione sia conforme alla nostra Costituzione, perché la Costituente non è un organo perenne della Costituzione, ma è un organo straordinario. La stessa nostra Costituzione crea il potere costituente. Prima il potere costituente ed il potere legislativo erano la stessa cosa. Ora il potere costituente è lo stesso potere legislativo con determinati accorgimenti di votazione e con l’intervento eventuale del popolo: perciò una Costituente come questa – giusta la creazione costituzionale che noi abbiamo fatto – non ci può essere. Viceversa è molto semplice; lo dice la nostra stessa Costituzione: non si può rivedere la forma repubblicana dello Stato, ma si può rivedere l’articolo 131. Si chiederà la revisione dell’articolo 131, cioè questo cambiamento si farà in due tempi: 1°) attraverso la revisione dell’articolo 131; 2°) attraverso il processo di revisione costituzionale della forma repubblicana.

Che cosa sarà rimasto di questo vostro articolo 131? La storpiatura, cioè l’attestazione di questa vostra volontà antipopolare ed antiliberale di confiscare la libertà delle generazioni future e lo smacco di non esserci riusciti, perché non ci potete riuscire. È stato detto, ed è una verità indiscutibile, che i morti governano i vivi, i morti ci governano attraverso le tradizioni, le credenze, le leggi di cui siamo eredi. Però in questo processo di costruzione della civiltà ogni generazione aggiunge il suo contributo. Voi con questo articolo di legge vorreste impedire alle future generazioni del popolo italiano di aggiungere un loro contributo od un certo loro contributo all’edificio che state creando. A questo non riuscirete.

Riuscirete soltanto ad attestare dinanzi alla future generazioni questa vana pretesa di limitare le loro libertà (Applausi a destra).

PRESIDENTE. L’onorevole Codacci Pisanelli ha proposto di sopprimere l’articolo 131.

Ha facoltà di svolgere l’emendamento.

CODACCI PISANELLI. Onorevoli colleghi! L’articolo 131 del progetto di Costituzione non è sostenibile dal punto di vista giuridico e, in quanto pone fuori legge i monarchici, non può neppure essere sostenuto sotto l’aspetto politico.

Dal punto di vista giuridico è stato dimostrato che la norma, sia pure costituzionale, che pretenda di autoproclamare la propria immutabilità, non è ammissibile, anche se non mancano precedenti al riguardo. Vi è infatti un precedente famoso di una perfettissima Costituzione, tanto perfetta che non riuscì ad aver vita: quella di Weimar. Ogni contraria affermazione può sodisfare bramosie demagogiche, ma, giuridicamente, è priva di qualsiasi valore.

Una volta ammessa la possibilità di rivedere la Costituzione, si ammette, inoltre, almeno implicitamente, che perfino la norma, la quale proclami di essere immutabile può, a sua volta, essere mutata. Lo ha, poco fa, riaffermato l’onorevole Perassi, mio maestro di diritto internazionale, allorché ha detto che ripugna alla coscienza giuridica che vi possano essere Costituzioni immutabili. D’altra parte, con la disposizione contenuta nell’articolo 131, si finirebbe per mettere fuori della legge e contro la Costituzione una cospicua minoranza del popolo italiano. Viceversa, le recenti leggi per la difesa delle istituzioni ammettono implicitamente l’attività, a favore della restaurazione della monarchia, purché senza ricorso alla violenza. Respingendo l’articolo in esame, compiremo un gesto di comprensione e un’efficace opera di pacificazione. Ho apprezzato nei giorni scorsi, quando abbiamo discusso le leggi sulla difesa delle istituzioni repubblicane, il gesto di generosità di un nobile rappresentante del Partito repubblicano storico, il quale ha detto che non le approvava, in quanto riteneva che esclusivamente nella coscienza del popolo deve ricercarsi il presidio e la garanzia delle attuali istituzioni. Appunto per lealtà verso le attuali istituzioni, cui una simile affermazione autoritaria non gioverebbe, propongo di eliminare l’articolo. Porre contro la Costituzione una minoranza così cospicua del popolo italiano non sarebbe certo opportuno nel momento attuale. Ho sentito parlare l’altro giorno in quest’Aula di «Vostra repubblica» da una parte, e dall’altra, di «vostro Cavour». Né l’una, né l’altra affermazione possono essere accolte da questa Assemblea, perché disconoscono una realtà che è antistorico negare. L’attuale repubblica e la geniale opera di Cavour sono patrimonio storico di tutti gli italiani e nessuno potrà distruggerlo. Così come nessuno abbatterà il monumento a Vittorio Emanuele II, al re che domina e dominerà, padre della patria, dal Campidoglio, finché il Campidoglio starà!

Mostri la maggioranza della nostra Assemblea di saper vincere, così come gli altri hanno mostrato di saper perdere.

Sopprimiamo la presuntuosa affermazione di perpetuità repubblicana e favoriamo la salutare emulazione, che spingerà repubblicani e monarchici nella nobile gara a chi serva meglio il Paese. Gara in cui i monarchici a nessuno vogliono esser secondi, qualunque sia la forma di Governo!

Qualunque sia la forma di Governo, l’atteggiamento dei fedeli all’idea monarchica e al Paese non muterà, poiché essi, trattandosi di materia opinabile, in cui nessuno può pretendere di possedere la verità assoluta, sanno, per l’unione nazionale, sacrificare anche le loro convinzioni più care sull’altare della Patria.

Convinzioni che sarebbe ingiusto e vano schernire, perché basate su argomentazioni storiche non disprezzabili, perché collegate ai ricordi di tante famiglie italiane, ciascuna delle quali ha per lo meno un congiunto e spesso più d’uno, caduti in una delle cinque guerre d’indipendenza col sacro binomio della patria e del re sulle labbra.

Il 1948 batte alle porte e con esso il centenario dell’epico Risorgimento italiano. Venga un gesto di giustizia e di generosa comprensione a pacificare ed unire l’antico dissidio, così che repubblicani e monarchici si sentano affratellati nella grande famiglia italiana, dal sacrificio degli uni e degli altri resa libera ed una.

Facciamo in modo che tutti gli italiani possano considerare di loro appartenenza la Carta costituzionale qui preparata, e che tutti possano chiamarla «la nostra Costituzione».

Asserire l’assoluta immutabilità della forma di Governo repubblicana equivarrebbe a porre contro la Costituzione numerosi italiani, che tendono a realizzare le loro convinzioni istituzionali in maniera legale, solo mezzo ammissibile fra persone dignitose e civili.

La cospicua minoranza, che nel referendum del 2 giugno si pronunziò in senso diverso dall’opinione che prevalse, non merita simile trattamento.

Non lo merita, ed ha, anzi, diritto alla soppressione da me proposta, ha diritto a questo gesto di generosa comprensione, perché con la pronta e piena adesione ai risultati della scelta popolare ha dimostrato coi fatti che, se il repubblicano Garibaldi seppe dire «obbedisco», quanti fra noi son monarchici, fermi nelle loro convinzioni, hanno saputo, sanno e sapranno mantenere il sacro impegno di assoluta fedeltà verso la Patria con fierezza e lealtà non inferiori a quelle del grande Nizzardo! (Applausi a destra).

PRESIDENTE. L’onorevole Russo Perez ha anch’egli proposto di sopprimere l’articolo 131.

Ha facoltà di svolgere l’emendamento.

RUSSO PEREZ. Le ragioni che militano per la soppressione di questo articolo sono state già svolte dagli onorevoli colleghi che mi hanno preceduto. Mi rimetto a quello che hanno detto gli altri.

PRESIDENTE. L’onorevole Benedettini ha proposto di sostituire il testo dell’articolo 131 con il seguente:

«La forma istituzionale dello Stato è subordinata alla volontà della Nazione liberamente e democraticamente espressa».

L’onorevole Benedettini ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

BENEDETTINI. Dopo quanto è stato così brillantemente esposto dagli altri colleghi, dichiaro che il mio emendamento era stato presentato nell’ipotesi che non fosse messa in votazione la soppressione.

Ritengo che la proposta di soppressione sia preferibile all’emendamento da me proposto. Comunque, se un articolo dovesse effettivamente stabilire una definita situazione, io credo opportuno che questo emendamento fosse tale da rispettare la sovranità del popolo. Pertanto, lasciare il testo nella sua formula originaria, mi sembrava una cosa per lo meno ridicola, sicché l’emendamento che riportava la forma istituzionale dello Stato alla subordinazione della volontà della Nazione liberamente e democraticamente espressa, credo che fosse un emendamento che non avrebbe potuto onestamente essere respinto da nessun membro dell’Assemblea Costituente veramente democratico e rispettoso della sovranità popolare.

In ogni modo, se il Presidente mette ai voti la proposta di soppressione, dichiaro di ritirare il mio emendamento e di votare a favore della soppressione.

PRESIDENTE. L’onorevole Nobile ha presentato il seguente emendamento:

«Sopprimere l’articolo 131, e subordinatamente, sostituirlo col seguente:

«La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale».

Ha facoltà di svolgerlo.

NOBILE. Dirò brevemente il mio pensiero.

Non per le ragioni addotte da altri onorevoli colleghi, ma per altre ben differenti, avevo proposto di sopprimere integralmente l’articolo 131. Io spero ed ardentemente auguro, ed anche son convinto, che la forma repubblicana sia definitiva per il nostro Paese. La monarchica, oltre ad essere un anacronismo storico, costituisce anche un ostacolo a quella federazione mondiale dei popoli, che oggi appare come una necessità fatale del genere umano. Ma questa verità, per affermarsi nella coscienza dei popoli, non ha bisogno di riconoscimenti costituzionali. Tuttavia posso comprendere che si sia sentito il bisogno di vietare, come si fa nella seconda parte dell’articolo, che la forma repubblicana possa essere oggetto di revisione costituzionale. Per la nostra Costituzione il reggimento repubblicano, deve essere immutabile.

Ma, nella prima parte dell’articolo, vi è una affermazione che, mi si consenta di dirlo, è o pleonastica o ridicola. In essa si dice: «la forma repubblicana è definitiva per l’Italia»; ora, io posso ben comprendere che, un anno fa, quando questo articolo fu compilato, e la Repubblica era appena nata (per giunta in mezzo a molte discussioni), si sia potuto sentire il bisogno di una affermazione retorica di tal genere. Ma, oggi, essa non può non apparire ingenua. Il cittadino comune, che, domani, leggendo la Costituzione, vi trovasse una siffatta dichiarazione, non potrebbe non sorridere. Che cosa si intende dire affermando che la forma repubblicana è definitiva per l’Italia?

Se con una tal frase si intendesse esprimere la certezza storica che nel futuro nessun cambiamento avrà luogo, si farebbe assumere con ciò al legislatore una parte di profeta, che qualcuno non mancherebbe di trovare ridicola. Se, invece, si volesse semplicemente esprimere che la forma repubblicana è definitiva per la nostra Costituzione, essa sarebbe del tutto superflua, perché tale concetto è espresso chiaramente nella seconda proposizione.

D’altra parte, mi domando, e chi mai può ipotecare l’avvenire? Chi dice che in un lontano futuro la forma repubblicana non possa evolversi in una del tutto diversa? Non si può proprio immaginare nessuna altra forma all’infuori della monarchica e della repubblicana? Per conto mio penso, con qualche nostalgia, a quelle tribù esquimesi che, pur senza alcuna organizzazione statale, vivono in perfetto ordine e felicità. (Commenti).

No, onorevoli colleghi, noi non possiamo ipotecare l’avvenire. Del resto, affermare in un articolo della Costituzione che per l’Italia la forma repubblicana è definitiva, è così ingenuo, come sarebbe ingenuo un articolo nel quale fosse detto che ogni rivoluzione è proibita!

La seconda proposizione, secondo cui la revisione della forma repubblica non è consentita, si può lasciare. Essa servirà ad esprimere più efficacemente la nostra convinzione che la forma repubblicana è necessaria per l’avvenire del popolo italiano, e che soltanto da una reazione armata sopraffattrice potrebbe essere eliminata.

Concludo, pertanto, proponendo che si sopprima la prima parte dell’articolo 131, sicché l’articolo stesso suoni così:

«La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale».

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Rossi Paolo a esprimere il parere della Commissione.

ROSSI PAOLO. Che gli onorevoli colleghi di parte monarchica si oppongano alla introduzione dell’articolo 131 nella nostra Costituzione, mi pare spiegabile e giusto; che essi però si scandalizzino o ironizzino, onorevole Condorelli, non mi pare altrettanto spiegabile e giusto. Ella non si è certo scandalizzata, in altri tempi, che lo Statuto albertino cominciasse precisamente con la medesima affermazione con cui la nostra Carta costituzionale finisce, che cioè la monarchia era la forma perpetua e irrevocabile dello Stato italiano. (Commenti a destra – Interruzioni).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, facciano silenzio!

ROSSI PAOLO. Io posso anche comprendere che questa protesta e questa ironia ci vengano eventualmente da un anarchico, o ci vengano dall’onorevole Nobile, il quale ha delle nostalgie polari per gli esquimesi che vivono anche senza repubblica, senza legge alcuna: ma mi stupisco che questo scandalo venga da lei, onorevole Condorelli.

Ella mi sollecita a trattare il problema dal punto di vista giuridico, ma ella stessa mi ha dimostrato che giuridicamente non sussistono quegli allarmi che lei ha mostrato di temere, giacché ella ha detto che questo articolo 131 non pietrifica la nostra Costituzione, perché, con la revisione, si potrebbe giungere legalmente e senza rivoluzione a forme istituzionali diverse dalla Repubblica. E allora, se questo pericolo giuridico non vi è; e lo dichiarate voi stessi, come lo ha dichiarato l’onorevole Codacci Pisanelli; e se questo ridicolo non vi è, che valore ha l’affermazione dell’articolo 131?

Ha il valore di una solenne affermazione politica, che la prima Costituzione italiana non può in alcun modo omettere. (Vivi applausi a sinistra – Commenti a destra).

Io stesso personalmente ho avuto talune perplessità, nel senso perfettamente opposto di quelle che sembrano muovere gli onorevoli Codacci Pisanelli e Condorelli: mi è parso che fosse addirittura superflua questa dichiarazione e che in qualche modo essa potesse sminuire la grandezza dell’affermazione repubblicana. Mi sono poi convinto dalla lettura di altri testi costituzionali (Interruzioni a destra); e qui vorrei rispondere alle preoccupazioni dell’onorevole Damiani, che non è affatto vero che l’articolo 131 sia un novum, che sia qualche cosa di esclusivo della nostra Costituzione, questa affermazione dell’immutabilità della forma repubblicana. Questa è la frase che conchiude quasi tutte le Costituzioni repubblicane; questa è la frase che conchiude e corona la recente Costituzione francese, che nell’articolo 87 dice precisamente:

«La forma repubblicana del Governo non può essere oggetto di una proposta di revisione».

Onorevoli colleghi, affermando questo principio, noi compiamo non soltanto una solenne dichiarazione di principio, solenne atto politico, ma ci conformiamo alla struttura costituzionale dei testi dei Paesi repubblicani.

Soltanto per la forma potrei aderire – e credo che la Commissione sia d’accordo con me – all’emendamento dell’onorevole Nobile. È forse esatto – e qui si risponde in parte anche a talune obiezioni degli onorevoli Condorelli e Codacci Pisanelli – che è superfluo dichiarare che una legge è definitiva. Tutte le leggi non temporanee sono definitive. Quindi la redazione più perfetta, migliore, secondo noi, sarebbe proprio la riproduzione del testo dell’articolo 87 della Costituzione francese, da cui credo che l’onorevole Nobile abbia tratto il suo emendamento: «La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale».

Questa è la forma che noi proponiamo. (Vivissimi, prolungati applausi a sinistra – Grida a sinistra di: Viva la Repubblica! – Nuovi vivissimi applausi – Grida ostili del deputato Covelli – Rumori vivissimi a sinistraScambi di vivacissimi apostrofi fra l’estrema sinistra e l’estrema destra – Agitazione – Tumulto – Il Presidente fa sgombrare le tribune e sospende la seduta).

PRESIDENTE. La seduta è ripresa.

Onorevoli colleghi, era augurabile che, esaminandosi questo articolo che è l’ultimo della Costituzione, esso desse luogo possibilmente a una forma dignitosa, se non solenne, di coronamento dei nostri lavori. Perché è vero che avremo ancora da esaminare le norme transitorie, ma credo che ognuno di noi si renda conto che con la votazione di questa sera avremo concluso il testo fondamentale, quello destinato a tramandarsi. Le norme transitorie sono caduche e non faranno parte integrante della Costituzione della Repubblica italiana. E io comprendo che in questa ultima votazione la esultanza dall’una parte e l’amarezza dall’altra potessero essere maggiori di quanto non siano stati nel corso dei nostri lunghi lavori. Ma, ripeto, che questa esultanza e questa amarezza si esprimessero in forme che dessero prova della profonda consapevolezza dell’importanza del lavoro che abbiamo quasi condotto a termine, sarebbe stata una cosa profondamente desideratile. E non rammaricherò mai abbastanza che ciò non sia avvenuto. (Vivissimi, prolungati applausi).

GRONCHI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRONCHI. Il momento attuale è purtroppo il meno adatto per fare una lunga dichiarazione. Io la farò a nome del Gruppo, breve ma esplicita. La questione del regime repubblicano è stata decisa da una consultazione diretta del popolo attraverso il referendum. Essa non può essere quindi assomigliata ad alcuna altra questione e norma che durante la discussione in quest’Aula è stata formulata, discussa e decisa dall’Assemblea Costituente. È evidente che, data l’origine attraverso la quale l’attuala forma dello Stato è nata e va consolidandosi, non potrebbe essere modificata che da una consultazione diretta, fatta nella stessa forma attraverso la quale essa è sorta. Perciò noi siamo contrari a ogni formula soppressiva e favorevoli alla formulazione del testo della Commissione. (Vivissimi applausi a sinistra ed al centro – Si grida: Viva la Repubblica! – Il Presidente e i deputati si levano in piedi applaudendo a lungo vivamente).

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. È per dichiarazione di voto, ma in sostanza per fatto personale. Comprendo bene che le mie parole non cadono in proposito dopo che questa discussione, che per noi era essenzialmente tecnica e in termini tecnici fu posta, ha scatenato l’incidente che con parole così alte il Presidente, a nome di tutti, ha saputo deplorare. Però, io non posso lasciar passare, tornando proprio alla questione tecnica, senza una risposta, quanto ebbe ad affermare l’onorevole Rossi, allorché si meravigliava che io, monarchico, profondamente rispettoso della sapienza giuridica da tutti riconosciuta dello Statuto, che proprio nel suo centesimo anno di vita troverà la sua morte forse non gloriosa, mi stupisca della proposta dichiarazione di definitività della forma repubblicana, mentre anche lo Statuto conteneva, a suo vantaggio, analoga dichiarazione.

Io rilevo che l’espressione che si legge, non in una norma dispositiva, ma soltanto nel preambolo, che dichiara lo Statuto legge immutabile e irrevocabile della monarchia, non ha affatto (per comune consenso di tutti gli studiosi che si sono occupati di diritto costituzionale; forse non di tutti quelli che si sono occupati della riforma costituzionale) il significato che ella, onorevole Rossi, ha creduto di dare.

Noi ci trovavamo innanzi ad una Costituzione che era nata flessibile, e che rimase flessibile. Dunque non era né immutabile né irrevocabile. Quell’«immutabile e irrevocabile», per comune consenso di tutti i giuristi che si sono occupati della nostra antica gloriosa Costituzione, si riferiva soltanto alla monarchia. Si intendeva che il re non potesse modificarla o revocarla; ma non che il popolo, nella pienezza delle sue istituzioni rappresentative, non la potesse modificare.

Questa è la risposta che do ed alla quale lei difficilmente potrà ribattere. (Vivi applausi a destra).

CRISPO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. Ho chiesto di parlare per fare una breve dichiarazione a nome del mio gruppo. Benedetto Croce ebbe a dire che la Repubblica è l’Italia. Noi ripetiamo queste parole: dopo il referendum del 2 giugno nessun più di noi sente il dovere di essere lealmente repubblicani.

Ma qui non si tratta di Repubblica e monarchia: qui si tratta di una istanza di libertà. Si tratta di una istanza di libertà per una ragione molto semplice. Non mi sembra che l’onorevole Rossi si sia bene apposto, quando, raccogliendo una osservazione dell’onorevole Condorelli, riteneva che, essendo ogni legge definitiva, quando non sia temporanea od eccezionale, il concetto espresso dall’articolo 131 rimarrebbe egualmente, anche senza l’articolo stesso. Perché qui non si tratta della legge: la Repubblica è sorta dal referendum. Non è la legge che crea la Repubblica: è, invece, la volontà popolare. Quindi il riferimento alla legge (me lo consenta l’onorevole Rossi) mi sembra del tutto fuori posto; né mi sembra più opportuno il richiamo che or ora faceva l’onorevole Gronchi al referendum popolare, per affermare che, data la solennità dell’atto, ne deriverebbe il carattere definitivo e immutabile della forma repubblicana. È evidente, difatti, che il nuovo regime non potesse essere instaurato che per volontà di popolo o direttamente, o per mezzo dei suoi rappresentanti.

Se un richiamo al referendum può essere fatto, questo richiamo deve essere fatto da noi liberali a proposito dell’articolo 130, dove è consacrato il principio che la legge di revisione costituzionale è sottoposta al referendum popolare, quando entro tre mesi dalla sua pubblicazione ne faccia domanda un quinto dei membri di una Camera o 500.000 elettori o sette Consigli regionali.

Si ponga l’ipotesi che domani, quand’anche si fosse consolidato il potere repubblicano – e noi auspichiamo che il potere repubblicano, col concorso di tutti gli italiani, si consolidi e permanga come il regime definitivo dell’Italia – 500.000 elettori chiedano col referendum la revisione della norma che noi discutiamo. In questo caso, l’articolo 131 sarebbe una sopraffazione della volontà di questi elettori, sarebbe, cioè, una sopraffazione di una istanza di libertà. Ecco perché io non dico: Viva la Repubblica o viva la monarchia, ma viva la libertà della volontà e della coscienza popolare. (Interruzioni a sinistra).

Per queste ragioni noi dichiariamo che voteremo per la soppressione dell’articolo 131. (Vivi applausi a destra – Commenti a sinistra).

GIANNINI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIANNINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l’«Uomo Qualunque» non può accettare questo articolo 131, perché esso vulnera il suo diritto di essere governato da quella istituzione che vuole scegliersi.

Noi ultimamente a Bari, in un documento politico del nostro partito, che è stato chiamato «i dieci punti di Bari», nel decimo punto abbiamo stabilito ed accettato che il Capo dello Stato è eletto dalla comunità per garantire la legge della comunità.

Ora, nel nostro fronte ci sono monarchici e repubblicani, comunque ci sono soltanto cittadini italiani pensosi del bene della Patria, al di sopra delle istituzioni.

Noi non possiamo accettare l’articolo 131, che vulnererebbe in modo assoluto il diritto all’uomo qualunque italiano di scegliersi un’altra istituzione.

Per questa ragione noi voteremo contro l’articolo 131 e per la sua soppressione. (Applausi a destra).

GIACCHERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIACCHERO. Per le ragioni già dette anche da altri colleghi, per cui la forma repubblicana è stata determinata dal referendum popolare, distinto da quella consultazione che ha creato questa Assemblea Costituente, come l’Assemblea Costituente nulla avrebbe potuto togliere alla decisione così voluta dal popolo, così nulla ora può aggiungere: per tali motivi voterò a favore dell’emendamento soppressivo dell’articolo 131. (Applausi a destra).

ROSSI PAOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROSSI PAOLO. Vorrei rispondere una parola all’onorevole Condorelli. Ella dice che col sistema dello Statuto albertino – e la ringrazio della lezione che mi ha dato – sarebbe stato anche possibile l’introduzione della Repubblica, ma non aggiunge che sarebbe stato necessario che il re la promulgasse e la sanzionasse! Lei comprende che è questa una soverchia ingenuità. In realtà la monarchia se n’è andata soltanto dopo la sconfitta. (Vivi rumori a destra).

PRESIDENTE. Gli onorevoli Coppa, Fabbri, Lucifero, Russo Perez, Cicerone, Condorelli, Benedettini, Penna Ottavia, Bencivenga, Mazza, Rodi, Miccolis, Abozzi, Venditti, Tumminelli, De Falco, Mastrojanni, Perugi, Fresa, Puoti, Marinaro, Capua e Trulli, hanno chiesto la votazione a scrutinio segreto. Non sono per tanto ammesse altre dichiarazioni di voto.

SICIGNANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Per quale ragione?

SICIGNANO. Per una mozione di ordine su questa votazione.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SICIGNANO. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi; non ho mai abusato della vostra pazienza; credo di essere il deputato più silenzioso di quest’Assemblea. (Commenti al centro e a destra).

Voglio fare una breve dichiarazione per la mia dignità non soltanto di deputato, ma soprattutto di italiano e di uomo del 1947. (Commenti a destra). È perfettamente vero che, se noi ci atteniamo strettamente al Regolamento dell’Assemblea si può procedere su questo argomento ad una votazione per scrutinio segreto; ma io mi domando dove andrà a finire la dignità dei rappresentanti costituenti e parlamentari d’Italia, se oggi nasconderanno nel segreto di un voto di urna la loro espressione su un argomento fondamentale per l’avvenire di questa nostra Repubblica italiana! (Vivi applausi a sinistra – Rumori all’estrema destra).

PRESIDENTE. La prego di attenersi alla mozione d’ordine.

SICIGNANO. La Repubblica italiana è nata non già per capriccio di pochi uomini, ma dal dolore e dal sangue degli italiani, dolore e sangue che è stato originato soltanto dalla monarchia dei Savoia. (Rumori a destra).

BENEDETTINI. Questa non è mozione d’ordine! (Interruzioni – Commenti).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, è la seconda volta, nel corso dei nostri lunghi lavori, che mi permetto di ricordare, e in modo particolare ai colleghi di una parte dell’Assemblea, che non ci si deve dimenticare, fatta pure la debita parte ai loro pensieri e sentimenti, che qui siamo in Repubblica e che se, parlando del passato, uomini che lo hanno dolorosamente vissuto, si esprimono in maniera molto decisa e con molta deplorazione contro istituti e uomini superati e rovesciati, essi esercitano un loro sacrosanto diritto. E pertanto non è il caso, ogni qualvolta un repubblicano bolla la monarchia e qualche cosa che è stato, e che fortunatamente non è più, di sollevare delle proteste. Pertanto vorrei rivolgere ai colleghi una preghiera: scrivano sui giornali, parlino nei loro comizi, difendano la monarchia, ma, quando contro di essa risuonano in quest’Aula parole di rampogna e condanna, non interrompano, non protestino. (Vivissimi prolungati applausi – Commenti all’estrema destra).

BENEDETTINI. Qui siamo in regime di libertà e noi, in questa sede, per primi, abbiamo il diritto di esprimere i nostri sentimenti. (Interruzioni e rumori a sinistra).

PRESIDENTE. Lei, a sua volta non impedisca agli altri di esprimere i propri sentimenti, ed ogni volta che si parla di quella che è stata la monarchia di questo Paese, non si ritenga investito del diritto e del dovere di difenderla.

Onorevole Sicignano, la prego di concludere. Presenti la sua mozione d’ordine.

SICIGNANO. Io propongo che tutti i deputati approvino per acclamazione l’ultimo articolo della Costituzione della Repubblica italiana! (Applausi a sinistra – Rumori a destra).

PRESIDENTE. Onorevole Sicignano, la sua richiesta non è accoglibile. Non è detto, perché siamo alla fine della discussione, che dobbiamo disconoscere il Regolamento che ha retto tutti i nostri lavori. (Applausi a destra – Commenti a sinistra).

COVELLI. Chiedo di parlare per mozione d’ordine.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COVELLI. Premetto che io non sono tra i firmatari della richiesta di scrutinio segreto; ma pregherei coloro che l’hanno firmata di volerla ritirare. (Commenti).

E qui cade di proposito un chiarimento in relazione agli incidenti di poco fa. L’onorevole Conti e chi vi parla erano in quel momento impegnati in un duello di «evviva» e di «abbasso». Non che io ritiri quello che ho detto: chi come me ha ancora intatto il sentimento per quell’istituto – pur con la lealtà più assoluta alle istituzioni – non potrà non rispondere sempre come stasera al grido non più sedizioso, a termini di legge, dell’onorevole Conti, con questo grido che sarà sedizioso e di cui mi accollo intiera la responsabilità.

Detto questo, e a scanso di equivoci, dichiaro che noi non chiediamo la solidarietà nascosta di nessuno. (Approvazioni). Noi restiamo sulle nostre posizioni intatte e – sia detto a chiara voce, mentre si stanno per concludere i lavori della Costituzione italiana – sentano l’obbrobrio di questo, insieme con noi, coloro che qui dentro dovevano rappresentare il sentimento monarchico: sentano l’obbrobrio di aver parlato a nome della monarchia e di aver chiesto i voti a nome della monarchia. (Approvazioni).

È per questo che io insisto presso gli amici che hanno chiesto lo scrutinio segreto: dobbiamo poter dire domani ai nostri monarchici, ai nostri elettori, chi ha veramente mantenuto l’impegno di lealtà nei loro confronti e chi lo ha tradito. (Approvazioni).

A parte tutto quello che noi possiamo fare nell’ambito della legalità, e di cui ci assumiamo piena la responsabilità, io ritenevo che non ci fosse stato bisogno né di dichiarazioni di voto né comunque di cavilli, per rispettare il buon senso e la logica: ci è stato consentito di esprimere le nostre idealità, ci è stato consentito di svolgere un’azione politica su queste nostre idealità e si richiede da noi più che da altri il più assoluto rispetto alla legge, cui noi non derogheremo se non derogheranno gli altri.

Ebbene, come si può mettere d’accordo quanto è stato sancito nelle leggi cosiddette eccezionali, che sono state approvate da noi, con quello che è detto in questo articolo 131 della Costituzione? A parte il diritto contestabilissimo di voler ipotecare il futuro, noi dobbiamo in quest’ora, per voi di una certa solennità, dichiarare in tutta lealtà, che se il popolo italiano lo vorrà, attraverso le vie democratiche, nell’ambito della legge, malgrado la Costituzione, malgrado l’articolo 131, ripeto, se il popolo italiano lo vorrà, la monarchia la restaureremo. (Commenti). Ed è per questo che insisto presso gli amici di ritirare la richiesta di scrutinio segreto, perché parta da questa manifestazione almeno un inizio di lealtà e di onestà politica. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Chiedo ai firmatari della domanda di votazione a scrutinio segreto se la mantengono. (Commenti).

Onorevole Coppa?

COPPA. Sono tra i firmatari. Per quello che ha detto l’onorevole Covelli, ritiro la mia firma.

PRESIDENTE. Onorevole Fabbri?

FABBRI. Se si tratta di sostituire l’appello nominale allo scrutinio segreto, sono felicissimo di ritirare la domanda di scrutinio segreto. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Onorevole Lucifero?

LUCIFERO. Dichiaro che per mio conto mantengo la domanda di scrutinio segreto e spiego perché.

PRESIDENTE. No, la prego! (Commenti a destra).

LUCIFERO. Hanno diritto tutti di parlare, credo!

PRESIDENTE. Onorevole Lucifero, lei che è maestro di Regolamento, sa che si ha il diritto di parlare se si rinunzia ad una richiesta presentata, ma si perde il diritto di parlare se la si mantiene.

Io la prego quindi di dirmi se conferma la sua richiesta; e in questo caso, con rammarico, non posso darle la parola.

LUCIFERO. Signor Presidente, visto che l’onorevole Covelli, del quale io condivido i sentimenti e col quale ho condiviso la battaglia, ha impostato su un tema elettoralistico…

GIANNINI. Ecco: e speculativo!

LUCIFERO. …la questione di questo voto – che per me non può essere dubbio, perché tutti sanno come voterò – mantengo la proposta di scrutinio segreto, a tutela delle libertà democratiche del Parlamento italiano. (Approvazioni a destra – Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Russo Perez?

RUSSO PEREZ. Ritiro.

PRESIDENTE. Onorevole Condorelli?

CONDORELLI. Mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Benedettini?

BENEDETTINI. Pur essendo chiaro il mio voto, che naturalmente già si conosce, io insisto, per le stesse ragioni espresse dall’onorevole Lucifero.

PRESIDENTE. Onorevole Penna Ottavia?

PENNA OTTAVIA. Insisto.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Cicerone, De Falco, Perugi, Trulli e Capua non sono presenti.

Onorevole Mastrojanni?

MASTROJANNI. Insisto.

PRESIDENTE. Onorevole Mazza?

MAZZA. Ritiro.

PRESIDENTE. Onorevole Bencivenga?

BENCIVENGA. Insisto.

PRESIDENTE. Onorevole Fresa?

FRESA. Insisto.

PRESIDENTE. Onorevole Rodi?

RODI. Insisto. Poi spiegherò il perché. (Commenti a sinistra).

PRESIDENTE. Onorevole Marinaro?

MARINARO. Insisto.

PRESIDENTE. Onorevole Puoti?

PUOTI. Insisto.

PRESIDENTE. Onorevole Abozzi?

ABOZZI. Insisto.

PRESIDENTE. Onorevole Miccolis?

MICCOLIS. Insisto.

PRESIDENTE. Onorevole Venditti?

VENDITTI. Insisto.

PRESIDENTE. Onorevole Tumminelli?

TUMMINELLI. Insisto.

GIANNINI. Aggiungo la mia firma, e faccio presente che avevo chiesto di parlare.

PRESIDENTE. Onorevole Giannini, bisognava prima stabilire se viene mantenuta la proposta di scrutinio segreto; in questo caso, non si dà la parola a nessuno.

GIANNINI. Ma io intendevo parlare sulla mozione d’ordine.

PRESIDENTE. Ma l’onorevole Covelli non ha fatto una mozione d’ordine. Egli ha pregato i presentatori della domanda di scrutinio segreto di ritirarla. Ed io per questa ragione ho interpellato i presentatori.

GIANNINI. Signor Presidente, spero che lei mi farà l’onore di darmi atto che sono uno dei più non irrispettosi deputati di questa Assemblea. Mi permetto di farle notare questo: che l’onorevole Covelli, nel fare – come aveva diritto di fare – la sua proposta, ha innestato su questa proposta una questione elettoralistica che ci riguarda tutti, perché le elezioni in Italia vogliamo farle tutti. Pochi di noi non hanno nessun desiderio di ritornare qui dentro, per quanto male si dica del Parlamento!

Ora, l’onorevole Covelli, con intelligenza, con vivacità meridionale, si è impadronito di questo articolo 131 (di cui praticamente a noi non importa nulla) ed ha impiantato per conto suo una botteguccia monarchica ed ha trovato nella estrema sinistra chi ha impiantato una botteguccia repubblicana. (Commenti a sinistra). È giusto che si chiarisca. (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Giannini, io sono veramente spiacente.

Siamo stati sempre così cortesi tra noi due, onorevole Giannini! Può essere una cosa spiacevole per chi è direttamente interessato nello svolgimento di un’azione politica che qualcun altro si è impadronito di una carta che gli sarebbe utile, ma lei consentirà con me che non è in sede di Assemblea che si può condursi come in un giuoco.

GIANNINI. Quando ci s’impadronisce della mia carta devo cercarne una migliore.

PRESIDENTE. L’unica carta che qui conta è quella offerta dal Regolamento.

L’onorevole Covelli si è valso di un suo diritto: ha chiesto la parola per fare una proposta. Lei, in questo momento, non ha proposte da fare. Ha soltanto da polemizzare con l’onorevole Covelli.

GIANNINI. Ho da proporre che si mantenga lo scrutinio segreto.

PRESIDENTE. Ho detto poco fa (lei è così attento ai nostri lavori e non se lo sarà fatto sfuggire) a un suo collega che poiché conservava la sua firma alla domanda di scrutinio segreto non aveva diritto di parlare. Poiché lei non aveva posto la sua firma, evidentemente, era in una situazione neutra; ma poiché a voce ha dichiarato di firmare lo scrutinio segreto, posso chiederle: mantiene la sua firma o la ritira? E lei può dire che la ritira e può motivare il ritiro.

GIANNINI. La mantengo.

PRESIDENTE. E allora non ha nulla da aggiungere.

GIANNINI. Ho inteso un collega dell’estrema sinistra parlare dello scrutinio segreto come di una votazione disonorante ed è unicamente per questo, poiché non la ritengo una votazione disonorante, che chiedo lo scrutinio segreto.

PRESIDENTE. Comunico che, oltre all’onorevole Giannini, hanno ora firmato la richiesta di scrutinio segreto gli onorevoli Rodinò Mario, Lagravinese Pasquale, Codacci Pisanelli.

CONTI. Chiedo di parlare, per fatto personale.

PRESIDENTE. La pregherei di voler chiedere la parola per fatto personale sul processo verbale di domani; così ci permetterà di giungere finalmente alla votazione.

CONTI. La terrò per due minuti. Parlerò in modo opportuno, l’assicuro.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONTI. Se mi lasciate parlare (perché io credo che passata in quest’Aula una burrasca ognuno di noi desideri di riportare un certo grado almeno di serenità per spiegazioni fra le parti politiche della Camera), io desidero fare una dichiarazione molto semplice e la faccio particolarmente all’onorevole Covelli. Fra me e lui vi è stato uno scambio di grida: da parte mia di abbasso la monarchia, da parte sua di abbasso la Repubblica.

Ebbene, devo ricordare, onestamente, che in questa Camera, in quest’Aula, in tempo di monarchia io ho gridato più di una volta: abbasso la monarchia e tutta la Camera, monarchica, mi ha assalito senza nessun riguardo e senza nessuna pietà.

Ammetto, per ciò, pienamente che i monarchici presenti in questa Aula possano anche, in condizioni eccezionali come quelle nelle quali venticinque anni or sono gridai «Abbasso la monarchia!», gridare «Abbasso la Repubblica!».

La situazione in cui eravamo mezz’ora fa possiamo ammettere che sia stata una situazione eccezionale. Monarchici, che direi incartapecoriti come l’onorevole Covelli e compagni, hanno gridato «Abbasso la Repubblica». E sia. Ma, cari colleghi monarchici, mettiamoci tutti su un terreno di serenità e di buonafede. Io nel 1923 e nel 1924 gridavo abbasso alla monarchia che si era associata al fascismo per massacrare l’Italia. Voi della Repubblica godete una libertà illimitata, che non è mai stata, e non lo sarà mai, violata a vostro danno. (Interruzioni a destra – Commenti).

Noi vi riconosciamo pienamente tutta la libertà, ma non vi riconosceremo mai il diritto d’ingannare il Paese con la vostra propaganda non sincera e non veritiera. Questo è quello che volevo dichiararvi. (Applausi a sinistra – Rumori all’estrema destra).

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Indìco la votazione segreta sulla seguente formulazione:

«La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale».

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione. Invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione segreta:

Presenti e votanti     351

Maggioranza           176

Voti favorevoli        274

Voti contrari                        77

(L’Assemblea approva).

(L’Assemblea sorge in piedi – Vivissimi, prolungati applausi).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Adonnino – Alberti – Aldisio – Allegato – Amadei – Ambrosini – Angelucci – Arata – Azzi.

Bacciconi – Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Bartalini – Bastianetto – Bazoli – Bei Adele – Bellato – Bellavista – Bellusci – Belotti – Bencivenga – Benedettini – Benvenuti – Bernamonti – Bernini Ferdinando – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Binni – Bocconi – Boldrini – Bonfantini – Bonino – Bonomi Paolo – Bordon – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Braschi – Brusasca – Bubbio – Bucci.

Cacciatore – Caccuri – Caiati – Cairo – Camangi – Camposarcuno – Candela – Canepa – Canevari – Caporali – Cappa Paolo – Cappi Giuseppe – Carbonari – Carboni Angelo – Carignani – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavalli – Cevolotto – Chatrian – Chieffi – Chiostergi – Ciccolungo – Cifaldi – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbino – Corsanego – Cortese Guido – Cortese Pasquale – Cosattini – Costa – Costantini – Cotellessa – Covelli – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo – Crispo.

Damiani – D’Amico – De Caro Raffaele – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Mercurio – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Di Giovanni – Di Gloria – Dominedò – D’Onofrio – Dossetti.

Ermini.

Fabbri – Fabriani – Facchinetti – Fantoni – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrario Celestino – Ferreri – Filippini – Fiorentino – Fioritto – Firrao – Fornara – Fresa – Froggio – Fuschini – Fusco.

Gabrieli – Galioto – Gallico Spano Nadia – Gasparotto – Gavina – Germano – Gervasi – Ghidetti – Giacchiero – Giannini – Giolitti – Giua – Gonella – Gotelli Angela – Grazi Enrico – Gronchi – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto.

Imperiale.

Jervolino.

Labriola – Lagravinese Pasquale – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Lazzati – Leone Francesco – Lizier – Lombardi Carlo – Lombardo Ivan Matteo – Longo – Lopardi – Lozza – Lucifero – Lussu.

Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Malvestiti – Mancini – Marazza – Marina Mario – Marinaro – Marinelli – Martinelli – Martino Gaetano – Massini – Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mastrojanni – Mattarella – Mazza – Mazzei – Mazzoni – Meda Luigi – Mentasti – Merlin Angelina – Merlin Umberto – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molinelli – Momigliano – Montagnana Rita – Montemartini – Monterisi – Monticelli – Montini – Morandi – Moranino – Morelli Luigi – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati – Moscatelli – Mùrdaca – Musolino – Musotto.

Nasi – Negarville – Negro – Nenni – Nicotra Maria – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Notarianni – Novella.

Orlando Camillo.

Pacciardi – Pajetta Gian Carlo – Pallastrelli – Paolucci – Paris – Pastore Giulio – Pastore Raffaele – Pat – Pecorari – Pella – Pellegrini – Penna Ottavia – Pera – Perassi – Perlingieri – Perrone Capano – Persico – Pesenti – Piccioni – Piemonte – Pistoia – Platone – Porzio – Preti – Priolo – Proia – Pucci – Puoti.

Quintieri Adolfo – Quintieri Quinto.

Raimondi – Rapelli – Reale Eugenio – Recca – Rescigno – Restagno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Roselli – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Roveda – Ruggeri Luigi – Ruini – Rumor – Russo Perez.

Salerno – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sansone – Sartor – Scalfaro – Scarpa – Scelba – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scotti Francesco – Sicignano – Siles – Silipo – Simonini – Spallicci – Spataro – Stampacchia – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Targetti – Taviani – Tega – Terranova – Tieri Vincenzo – Titomanlio Vittoria – Tomba – Tonello – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi – Tumminelli – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Venditti – Veroni – Vicentini – Vigna – Vigo – Villani – Vischioni – Volpe.

Zaccagnini – Zanardi – Zappelli – Zerbi – Zotta – Zuccarini.

Sono in congedo:

Angelini.

Carmagnola – Caso – Cavallari.

Dugoni.

Garlato – Ghidini – Gortani.

Jacini.

Preziosi.

Ravagnan.

Vanoni – Varvaro – Viale.

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Dobbiamo soltanto votare le proposte di modifica alle intitolazioni, e pertanto non v’è più motivo di sospendere brevemente la seduta e prolungare i lavori sino alle 22.

L’onorevole Martino Gaetano propone di sostituire il titolo: «Garanzie costituzionali» con «Garanzie giurisdizionali e Revisione della Costituzione».

Prego l’onorevole Ruini di voler esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato mantiene l’intitolazione originaria.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento proposto dall’onorevole Martino Gaetano, non accettato dalla Commissione.

(Non è approvato).

Pongo in votazione il titolo del progetto:

«Garanzie costituzionali».

(È approvato).

Una seconda proposta di modifica è stata presentata dall’onorevole Perassi:

«Sostituire il titolo della Sezione II: «Revisione della Costituzione», col seguente: «Revisione della Costituzione e leggi costituzionali».

Chiedo all’onorevole Ruini il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La Commissione accetta.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la seguente intitolazione della seconda Sezione del Titolo VI della Costituzione, accettata dalla Commissione:

«Revisione della Costituzione e leggi costituzionali».

(È approvata).

Il seguito di questa discussione è rinviato a domani alle 11.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Comunico che sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta d’urgenza:

«Al Ministro della difesa, per conoscere se non ritenga opportuno esonerare dalla prestazione del servizio militare di leva i giovani perseguitati razziali delle classi dal 1919 al 1924, che la tardiva chiamata alle armi verrebbe nuovamente a distogliere dalle attività che hanno ripreso od appena iniziato dopo un lungo periodo di persecuzione.

«Giua, Fornara».

«Al Ministro delle finanze, per conoscere se è esatto che egli abbia comunicato alla stampa l’acquisto di sigarette estere che verrebbero pagate a 60-70 lire a pacchetto e che, rivendute, darebbero allo Stato un margine netto di lire 200 a pacchetto: complessivamente, il gettito, previsto fino al 30 giugno 1948, su tale operazione, sarebbe di lire 10 miliardi.

«Per conoscere altresì il perché il Monopolio non abbia tempestivamente agito per rendere possibile la produzione del tabacco e dei manufatti su suolo italiano, con operai italiani.

«Il costo della mano d’opera necessaria a tale produzione può calcolarsi intorno ad 1 miliardo e 500 milioni di lire, il che significa, considerato il termine di tempo, che, se il Monopolio avesse agito tempestivamente, ben 7500 disoccupati avrebbero potuto risolvere il problema del lavoro e del pane quotidiano.

«Leone Giovanni, Gabrieli».

«Al Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per conoscere quali provvedimenti intenda attuare a favore dei numerosi pazienti affetti da tubercolosi, assistiti dall’Istituto di previdenza sociale, che non trovano ricovero negli stabilimenti di cura per deficienza di posti; quali provvidenze, inoltre, vuol disporre per quelli che, clinicamente guariti, debbono essere dimessi dai luoghi di cura.

«De Maria».

Ne darò notizia ai Ministri interrogati affinché facciano sapere quando intendano rispondere.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere quando intende procedere ad emanare le norme che dovranno stabilire le modalità di cui è cenno all’articolo 7 del decreto ministeriale 24 dicembre 1946, n. 4432, relativo al bando di concorso per esami a 400 posti di notaio, e se – con l’occasione – non reputi opportuno costituire sedi per questo esame-concorso in altre città capoluogo di Regione oltre Roma, allo scopo di evitare che la maggior parte dei concorrenti debba trovarsi nella dolorosa condizione di rinunziare al concorso per la mancanza di mezzi finanziari necessari ad affrontare le ingenti spese di viaggio e soggiorno a Roma. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Zagari».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’industria e del commercio, per conoscere quali provvedimenti intenda adottare affinché le industrie meridionali, ed in particolare i cantieri navali di Taranto, già Tosi, che impiegano oltre tremilacinquecento unità, non siano privati dei benefizi, di cui hanno goduto le industrie del Settentrione con gli aiuti recentemente stanziati dal Governo in loro favore. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Zagari».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per conoscere se, di fronte alle gravi esigenze di bilancio che incontra l’Amministrazione comunale di Chioggia – e, come Chioggia, tutti i Comuni rivieraschi, nei quali la pesca costituisce l’attività prevalente degli abitanti – non ritenga necessario ed urgente autorizzare quell’Amministrazione comunale all’applicazione dell’imposta di cui all’articolo 41 del decreto legislativo luogotenenziale 8 marzo 1945, n. 62 (modificato dall’articolo 10 del decreto legislativo presidenziale 29 marzo 1947, n. 177), essendo evidente che la pesca non può considerarsi come una attività industriale, come pure, sempre agli effetti della citata legge, che il ricavato dell’attività prevalente degli abitanti non può non essere considerato un prodotto locale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Ghidetti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, se non creda conforme ad equità – come ha riconosciuto l’Alto Commissariato all’alimentazione – restituire ai panificatori della provincia di Udine l’ammontare del prezzo d’integrazione delle loro giacenze di farine al 31 marzo 1944, prezzo riscosso da tutti gli altri panificatori d’Italia, ma non da quelli della provincia di Udine, perché il relativo ordine di accreditamento di lire 505.864 alla Tesoreria provinciale, venne bloccato dall’Amministrazione militare alleata. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Piemonte».

 

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se e quali provvedimenti intendano prendere per contribuire a mettere la Società Geografica Italiana in condizione di adempiere ai nobili compiti per i quali fu istituita. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Nobile, Corbino, Bozzi, Costantini».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri delle finanze e dell’agricoltura e foreste, per sapere se non ritengano opportuno ed urgente promuovere provvedimenti atti ad alleviare la critica situazione determinata fra gli agricoltori, specialmente meridionali, dall’inasprimento dei contributi unificati in agricoltura, che in molti casi superano l’ammontare di tutte le altre imposte riunite insieme, situazione resa ancora più gravosa dalla coincidenza, nel giro di soli due giorni, del pagamento dei contributi suppletivi 1947 e della prima loro rata trimestrale 1948. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rescigno».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere se, in considerazione della ristabilita normalità dei trasporti, non ritenga giusto, a favore dei familiari dei dipendenti statali ed assimilati, godenti della tariffa differenziale C, ripristinare integralmente tale concessione, abrogando la disposizione che ancora limita al numero di quattro i viaggi annuali di detti familiari. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rescigno».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno trasmesse ai Ministri competenti per la risposta scritta.

La seduta termina alle 20.50.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 11 alle 16:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

ANTIMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 3 DICEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCXVI.

SEDUTA ANTIMERIDIANA Di MERCOLEDÌ 3 DICEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

 

INDICE

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Moro

Targetti

Arata

Presidente

Dominedò

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Benvenuti

Perassi

Rossi Paolo

Laconi

Condorelli

Codacci Pisanelli

Mortati

Ambrosini

Preti

Musolino

 

Votazione segreta:

Presidente

 

Risultato della votazione segreta:

Presidente

La seduta comincia alle 11.

SCHIRATTI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto, di Costituzione della Repubblica italiana.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Signor Presidente, vorrei proporre alla Presidenza un quesito relativo al valore della votazione fatta ieri sera sull’emendamento di rinvio alla legge, proposto dall’onorevole Arata. Non considero adesso il valore morale della frettolosa votazione fatta in presenza di pochissimi colleghi, così come trascuro altre considerazioni di carattere giuridico e politico, relative all’assurdo che si crea omettendo di indicare, dopo aver delimitato nella Costituzione la Corte di garanzia costituzionale, le forme e i modi attraverso i quali può essere promossa azione dinanzi alla Corte stessa per la dichiarazione della incostituzionalità della legge.

Vorrei soffermarmi invece un momento sulla contradizione, che a me appare evidente, fra la votazione che fu fatta sull’emendamento dell’onorevole Arata e la votazione che era stata fatta precedentemente sull’emendamento soppressivo dell’onorevole Gullo. A mio parere, e a parere dei miei amici, fra le due votazioni vi è una radicale incompatibilità, un’assoluta contradizione. La quale contradizione sarebbe risultata certamente più evidente, se ieri sera la votazione sull’emendamento soppressivo dell’onorevole Gullo fosse stata fatta nel modo ormai consueto della nostra prassi parlamentare, cioè se si fosse votato per la soppressione del comma proposto dall’onorevole Gullo, votando negativamente sulla formulazione positiva del comma stesso. Se così fosse avvenuto e se ieri sera per ragioni di opportunità non fosse stata mutata questa procedura, noi ci saremmo trovati dinnanzi ad un comma approvato dell’articolo 128, comma il quale avrebbe significato, non soltanto che a parere dell’Assemblea Costituente anche il singolo, leso nel proprio diritto da una legge incostituzionale, ha il potere di promuovere una dichiarazione di incostituzionalità, ma anche implicitamente, che all’Assemblea Costituente, come del resto è logico, spetta di decidere, intorno ai casi, le forme, i modi attraverso i quali si può proporre la questione di incostituzionalità della legge.

Se, quindi, avessimo seguito la via normale, trovandoci di fronte ad un comma significativo esplicitamente e implicitamente e per quello che esso logicamente fa attendere come seguito dell’articolo, noi non avremmo avuto alcun dubbio circa l’improponibilità dell’emendamento proposto dall’onorevole Arata. Mi pare che il senso di tale votazione, alla quale siamo addivenuti ieri sera per appello nominale, non sia assolutamente dubbio. L’Assemblea non soltanto ha respinto la proposta dell’onorevole Gullo, tendente a togliere al singolo la possibilità di proporre azione per incostituzionalità della legge, ma ha inteso rivendicare a sé la decisione su questo punto importantissimo, che, qualora non fosse deciso, determinerebbe una lacuna nella Costituzione, tanto che la Corte costituzionale sarebbe per lungo tempo incapace di assolvere la sua funzione di garanzia della Costituzione. Questo rinvio alla legge, pertanto, è, a nostro avviso, assurdo ed improponibile. Io domando alla Presidenza quale sia la sua opinione sul valore di questa votazione e subordinatamente chiedo che essa voglia rimettere al Comitato di coordinamento lo studio dei rapporti fra le due votazioni e la ricerca di una formula che elimini questa contradizione. Il Comitato di coordinamento è certamente competente ad eliminare le contradizioni che esplicitamente, visibilmente si riscontrano nel testo della Costituzione, ma qui, se pure una delle due votazioni non si è espressa positivamente nel testo costituzionale, vi è certo egualmente una contradizione, sia pure implicita, che, a mio parere, l’Assemblea deve eliminare attraverso l’attività del Comitato di redazione.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Devo anzitutto osservare che, se vi fosse una contradizione fra una norma e l’altra, l’Assemblea non avrebbe in questo momento veste per intervenire in merito. Sarebbe la Commissione che ha l’incarico del coordinamento delle norme, a prospettare questa eventuale contradizione, in sede di discussione del coordinamento stesso.

A me sembra, però, che l’onorevole Moro non abbia ragione di lamentare questa contradizione. Basta tener presenti la portata della proposta soppressiva dell’onorevole Gullo e il tenore della portata dell’emendamento dell’onorevole Arata.

L’onorevole Gullo aveva proposto la soppressione del primo comma, ritenendo che non si dovesse ammettere l’eccezione d’incostituzionalità in via incidentale. L’Assemblea ricorda gli argomenti che egli addusse a sostegno di questa sua tesi. Era un unico punto che egli aveva considerato, cioè l’azione d’incostituzionalità promossa in via incidentale. Fra le altre ragioni ricordo che egli addusse anche questa: che, ammesso che una parte in un giudizio potesse eccepire l’incostituzionalità di una norma, si avrebbe avuto come conseguenza di appesantire l’opera della giustizia ed in alcuni casi arrivare anche a sabotarla con queste eccezioni dilatorie. Quindi, chiara era la tesi dell’onorevole Gullo, come più chiare le conseguenze dell’approvazione del suo emendamento.

L’onorevole Gullo non sostenne, né avrebbe potuto nella sua proposta soppressiva sviluppare un concetto simile, che si dovessero demandare alla legge le modalità e la regola dell’esercizio dell’azione di incostituzionalità: anzi dimostrò implicitamente di ritenere che la Costituzione avrebbe potuto regolare l’esercizio dell’azione d’incostituzionalità in via generale, escludendo, lo ripeto, l’eccezione in via incidentale. Era una proposta ben precisa e limitata ad escludere l’azione incidentale di incostituzionalità. L’Assemblea non ha condiviso il pensiero dell’onorevole Gullo ed ha votato contro la soppressione. Quale è invece la portata dell’emendamento Arata?

L’onorevole Arata non fa nessuna distinzione fra eccezione in via incidentale ed eccezione in via principale: prescinde completamente da quelle che possono essere le ragioni addette dall’onorevole Gullo contro l’eccezione in via incidentale, e propone, lasciando impregiudicata la questione, se l’eccezione debba proporsi sia in via incidentale che in via principale, di demandare alla legge il Regolamento delle modalità e dell’azione. In questo senso l’Assemblea si è pronunziata. E dov’è la contradizione? Forse che l’emendamento Arata negava il diritto ad agire che avrebbe voluto negare l’onorevole Gullo: e l’Assemblea non negò? Una parola, se il Presidente me lo concede, vorrei aggiungere; la determinazione delle funzioni di un organo e la sua composizione sono evidentemente collegate. Non so se qualora la Corte delle garanzie avesse ricevuto dall’Assemblea una composizione, secondo noi l’unica corrispondente alla sua funzione, una composizione che la ricollegasse molto più alla sovranità popolare, alcuni di noi, che hanno votato l’emendamento Arata non potessero essere dell’opinione che fosse utile stabilire fin d’ora le modalità e i limiti di quell’azione, per impedire che la legge ponesse a questa troppe limitazioni. A volte non bisogna dolersi delle conseguenze di deliberazioni che forse si sono prese eccedendo nelle nostre pretese.

ARATA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ARATA. Desidero dare alcuni chiarimenti intorno a quello che vorrei chiamare il processo logico della discussione che ha portato al voto di ieri.

Nella seduta di sabato io avevo proposto un emendamento all’articolo 128 ed uno contemporaneo all’articolo 129.

Col primo emendamento chiedevo la soppressione dei primi due commi dell’articolo 128. Se non che mi rendevo anche conto che questo non era sufficiente, ma che bisognava dare all’Assemblea il mezzo di poter esprimere anche un pensiero positivo. E pertanto proponevo che nell’articolo 129, là dove è detto: «la legge stabilisce le norme che regolano i conflitti di attribuzione e la composizione, ecc.» si modificasse così: «la legge stabilisce le norme che regolano le azioni di incostituzionalità, i conflitti, ecc…».

Mi sembrava in tal modo di dare all’Assemblea la possibilità di esprimere un pensiero positivo, nel senso che, mentre sopprimeva i primi due commi dell’articolo 128, in quanto vertenti in materia procedurale, anche se riverberata da aspetti sostanziali, poteva nel contempo decidere che questa materia venisse rimandata alla legge. Ed io penso che non ero, in fondo, nel torto, perché la faticosa e laboriosa casistica, in cui stavamo annegando ieri, dimostrava e dimostra, secondo me, la opportunità di rimandare alla legge tutta questa materia.

Nella seduta di ieri l’onorevole Gullo ha confermato il mio pensiero. E ricordo incidentalmente che il Relatore onorevole Rossi aveva dichiarato, sabato, che la Commissione, sul piano concettuale, non trovava, niente in contrario a che la mia proposta potesse essere accettata, ove l’Assemblea lo avesse creduto, pur mettendo in rilievo che si trattava di materia molto delicata. Nella seduta di ieri l’onorevole Gullo ha proposto la soppressione pura e semplice del primo comma; il che comportava soltanto la possibilità di un giudizio negativo sul contenuto e sulla rilevanza costituzionale del comma stesso.

Ed allora, io, rinunziando implicitamente al mio emendamento all’articolo 129, ho proposto il mio emendamento, di carattere positivo, diretto ad ottenere non solo che venissero soppressi i primi due commi dell’articolo 128, ma che si dichiarasse anche, esplicitamente, che questa materia veniva rinviata alla legge.

L’onorevole Gullo ha insistito nella proposta di soppressione pura e semplice, e su questo punto è avvenuta la votazione col noto risultato; ma con ciò è stato escluso che l’Assemblea potesse successivamente sopprimere il comma sotto un diverso profilo, cioè nel senso che alla soppressione pura e semplice venisse sostituito il rinvio del problema alla legge. Questo è il significato del voto dato sul mio emendamento. Son lieto che anche l’onorevole Targetti abbia espresso questa tesi, che mi sembra fondatissima. Io penso di aver così esaurientemente illustrato all’Assemblea il significato di quella mia proposta e della votazione che n’è seguita, e penso che l’Assemblea non abbia nessuna ragione per tornare sul suo voto e, tanto meno, per trovare contradizione tra questa decisione e quella intervenuta sull’emendamento dell’onorevole Gullo.

PRESIDENTE. Al quesito posto dall’onorevole Moro debbo dare una risposta. Dirò subito che non comprendo per quali ragioni l’onorevole Moro lo abbia posto in questa sede. Abbiamo un Comitato di redazione ed eventualmente – è stato detto e ripetuto – quando tale Comitato constatasse che fra due deliberazioni dell’Assemblea nel testo costituzionale vi fosse contradizione, dovrebbe segnalarle, studiando e suggerendo delle modifiche. E dove si trattasse di problemi importanti, su cui sarebbe opportuno chiedere ancora il parere dell’Assemblea, ciò verrebbe fatto, quando il testo completo della Costituzione, già riveduto dal Comitato, fosse portato per la votazione definitiva dinanzi all’Assemblea.

Mi pare, che la questione debba risolversi non andando a ricercare le intenzioni di coloro i quali hanno presentato certi emendamenti, o l’interpretazione che di questi testi od emendamenti occorre dare; ma richiamandosi all’elementare sviluppo della procedura, così come è avvenuto. Io ricordo che ieri sera, prima della votazione sull’emendamento soppressivo dell’onorevole Gullo Fausto, di fronte ad un’Assemblea numerosa, la questione della procedibilità alla votazione dell’emendamento soppressivo è stata espressamente posta, discussa e conclusa. Ricordo che da parte dell’onorevole Lussu è stato ad un certo momento proposta la questione se si potesse procedere alla votazione dell’emendamento soppressivo dell’onorevole Gullo.

Ed io gli ho risposto che in primo luogo, già in precedenza alcune volte, tuttavia non molto frequentemente, si era proceduto alla votazione di un emendamento soppressivo, a seconda del momento della discussione e delle conseguenze che la soppressione avrebbe portato con sé; in secondo luogo, che la mia decisione di procedere alla votazione di quell’emendamento soppressivo era stata preceduta da un intervento esplicito del Presidente della Commissione, che soltanto dopo il suo assenso avevo deciso in conseguenza. Lo stesso onorevole Lussu, dopo queste spiegazioni, ha compreso la logica e la giustezza del procedimento e non ha più sollevato obiezioni.

Debbo soltanto dire che eccezioni, a questo proposito, avrebbero dovuto essere avanzate ed accolte prima della votazione; oggi è evidente che il richiamo può avere solo più carattere di rammarico, ma non può inficiare la validità del voto di ieri Per la votazione avvenuta successivamente, sull’emendamento dell’onorevole Arata, non voglio pregiudicare le decisioni del Comitato di redazione e poi quelle della Assemblea, ma osservo che non mi pare vi sia contradizione. L’Assemblea, quando le è stato sottoposto il problema di non introdurre nella Costituzione nessuna casistica di impugnabilità, nella sua maggioranza, ha deliberato onorevolmente.

D’altra parte, onorevole Moro, non si pone a priori una questione di preclusione. Si potrebbero sollevare queste questioni, prima che la votazione avvenga e non dopo, perché se si permettesse di sollevare la eccezione di preclusione a votazione avvenuta, non vi sarebbe nessuna votazione che potesse ritenersi definitivamente valida.

Vi potranno essere talvolta contradizioni, tra i risultati di due votazioni. Il deputato che lo ritenga, può porre la questione al Comitato di redazione, oppure all’Assemblea nel momento in cui avrà di fronte tutto il testo della Costituzione per l’approvazione definitiva. Allo stato della discussione, non ci resta, quindi, che proseguire l’esame dell’articolo 128 e degli articoli successivi.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Ho chiesto di parlare anzitutto per giustificare la sede che ho scelto per proporre questa questione. Io ho l’impressione che la questione sia più vasta che non quelle spettanti al Comitato di coordinamento. Pur avendola posta però in questa sede ed in questi termini, come una riserva doverosa da parte mia, per non attardare i lavori dell’Assemblea, accetto che sia rimessa al Comitato di coordinamento per le decisioni.

Circa il secondo rilievo del Presidente, vorrei poi dire che non ho già inteso di affermare che il Presidente abbia violato delle norme regolamentari ponendo in votazione l’emendamento soppressivo così come esso era stato proposto; ho soltanto rilevato che si era seguita una procedura non consueta nei nostri lavori. Ricordo benissimo che la procedura era stata accettata dal Presidente della Commissione. Fu solo per deferenza verso la sua persona e per non prolungare i lavori che io non credetti di sollevare eccezioni sulla procedura nella seduta di ieri sera. Quindi, solo mi son permesso di ricordare che, se la questione fosse stata posta in modo positivo anziché negativo, quella contradizione sarebbe apparsa più chiara.

Per quanto poi riguarda la sostanza della contradizione, cedo, se l’onorevole Presidente me lo consente, la parola all’onorevole Dominedò.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Desidero rilevare che, qualora si dimostri che sussista un’autentica contradizione, come a noi fermamente sembra, fra la seconda votazione relativa all’emendamento Arata e la prima relativa all’emendamento Gullo, a noi pare che sia proprio questa la sede per affrontare il problema (Commenti), poiché allora non si tratterebbe di nuova opera di coordinamento, bensì del venir meno di una decisione contrastante, con altra validamente presa in precedenza.

Io ho seguito, signor Presidente, con attenzione la sua risposta. Ma mi permetto di farle osservare che l’emendamento dell’onorevole Gullo tendeva alla soppressione del comma approvato dall’Assemblea, proprio in quanto esso contempla l’azione del singolo attraverso l’incidente di incostituzionalità nel corso del giudizio. Appare, quindi, chiaro che la reiezione di un emendamento così specificamente motivato porti, come diretta conseguenza, alla volontà di conservare questo istituto a garanzia del singolo. Ed allora, se così è, il successivo emendamento che pretenderebbe di rinviare alla legge la garanzia voluta dall’Assemblea, si pone in evidente contradizione con la precedente votazione.

Ma v’è qualcosa di più. Quando l’onorevole Gullo ci dice: io desidero, io reputo opportuno che l’istituto della Corte costituzionale funzioni esclusivamente attraverso una specie di azione popolare, mediante cioè quella messa in moto prevista dal secondo comma dell’articolo 128, in forza del quale la dichiarazione di incostituzionalità può essere promossa solamente dal Governo e da determinate percentuali di deputati o elettori, quando ciò si dice, si viene necessariamente ad escludere ogni altra forma di azione o d’iniziativa. Viceversa l’Assemblea ha già riconosciuto il diritto del singolo di sollevare eccezione di incostituzionalità nel caso concreto, istituendo così nell’ambito della giustizia legislativa qualcosa di parallelo a quanto già opera nel settore della giustizia amministrativa, in cui appunto è data facoltà al singolo di sollevare eccezione nei confronti di un suo presunto diritto leso. È pertanto evidente che se ci ritenessimo vincolati ai risultati della seconda votazione, verremmo per ciò stesso a contradire quanto già avevamo deliberato, riaprendo la questione se debba o non debba essere riconosciuta nella Costituzione l’azione del singolo, anzi dando risposta negativa al quesito già risolto affermativamente col voto dell’Assemblea.

Poiché dunque noi siamo dinanzi a una regolare e valida pronuncia dell’Assemblea Costituente, io faccio appello a tale pronuncia, acciocché in questa sede, o in quella di coordinamento, si deliberi di eliminare quanto con essa logicamente contrasti.

PRESIDENTE. Mi permetto di far osservare all’onorevole Dominedò che la votazione di cui si tratta ha espresso semplicemente il concetto che il diritto del singolo circa l’eccezione di incostituzionalità non deve essere definito costituzionalmente; ma nessuno afferma ora, che non debba esistere in generale.

Ho sott’occhio l’articolo 98, che è stato votato dall’Assemblea e che si riferisce ad un altro organismo nuovo nella struttura dello Stato, così come è nuova la Corte costituzionale, ed è il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro. E proprio nei confronti di questo nuovo istituto l’Assemblea ha ritenuto che fosse sufficiente affermarne la creazione, rimettendo poi alla legge sia l’indicazione delle materie per le quali sarà competente sia le sue funzioni.

È evidente che, poiché i materiali relativi alla discussione, all’elaborazione della Costituzione rappresenteranno non soltanto termini di interpretazione, ma anche fonti di diritto per l’avvenire, la votazione avvenuta, in quanto esprime la volontà della maggioranza dell’Assemblea, che nella Corte costituzionale il singolo abbia diritto di procedibilità, non potrà restare ignorata ai futuri legislatori quando assolveranno il loro compito. Bisognerebbe sapere già fin d’ora che quei legislatori misconosceranno questa volontà manifestata dall’Assemblea per poter affermare che la votazione successiva è stata, in contradizione con l’intenzione prima manifestata dall’Assemblea.

Comunque, non entriamo nel merito, onorevoli colleghi; è sufficiente, mi pare, stabilire questo a garanzia della validità dei nostri lavori: che le varie votazioni sono avvenute in forma regolare; che l’Assemblea stessa ha, fin dall’inizio dei suoi lavori, attraverso il Comitato di redazione, precostituito un organismo, il quale è indicato all’identificazione di casi del genere di quelli prospettati dall’onorevole Moro, e che, se non della loro soluzione, è investito dell’incarico di segnalarli all’Assemblea, perché una soluzione venga ad essi data.

Ciò dichiarato e constatato, penso che possiamo proseguire nei nostri lavori.

Abbiamo da esaminare l’ultimo comma dell’articolo 128 del seguente tenore:

«Se la Corte dichiara l’incostituzionalità della norma, questa cessa di avere efficacia. La decisione della Corte è comunicata alle Camere, perché, ove lo ritengano necessario, provvedano nelle forme costituzionali».

Nel testo, come i colleghi hanno constatato dalla lettura che ne ho fatto, è stato soppresso l’inciso «nell’uno o nell’altro caso», per adeguare questo comma ai precedenti, e al posto della parola «Parlamento», secondo il suggerimento dell’onorevole Perassi, è stato sostituito il termine «Camere».

ARATA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ARATA. Desidero ricordare che io avevo chiesto di sostituire alla parola «se» la parola «quando».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La Commissione accetta la sostituzione.

PRESIDENTE. Allora pongo in votazione il terzo comma con la modifica testé accolta:

«Quando la Corte dichiara l’incostituzionalità della norma, questa cessa di avere efficacia. La decisione della Corte è comunicata alle Camere, perché, ove lo ritengano necessario, provvedano nelle forme costituzionali».

(È approvato).

L’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Mastino Pietro decade in conseguenza delle votazioni fatte nella seduta pomeridiana di ieri.

L’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Mastino Pietro è del seguente tenore:

«Aggiungere, in fine, il seguente comma:

«Il magistrato dovrà rimettere gli atti alla Corte costituzionale quando ritenga che le leggi che dovrebbe applicare siano contrarie alla Costituzione dello Stato».

Vi è poi l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Martino Gaetano del seguente tenore:

«Nell’ipotesi di cui al primo comma di questo articolo, la legge dichiarata incostituzionale dalla Corte non si applica alle controversie».

Anche quest’emendamento – come l’onorevole Martino Gaetano potrà egli stesso confermare – presupponeva la votazione dei primi due commi e quindi anch’esso decade. Vi è poi un articolo 128-bis proposto dall’onorevole Benvenuti, del seguente tenore, già svolto. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«La dichiarazione di incostituzionalità può essere altresì promossa in via principale dal Presidente della Repubblica ogni qualvolta egli ravvisi nei provvedimenti legislativi, che gli vengono proposti per la promulgazione, disposizioni inconciliabili con gli ordinamenti costituzionali della Repubblica ovvero con le libertà e coi diritti garantiti ai cittadini dalla Costituzione.

«Il Presidente della Repubblica non può promuovere azione di incostituzionalità oltre i termini di promulgazione della legge di cui all’articolo 71.

«È facoltà del Presidente della Repubblica di sospendere la promulgazione degli atti per i quali abbia promosso dichiarazione di incostituzionalità sino a quando non sia intervenuta la decisione della Corte costituzionale.

«Gli atti del Presidente della Repubblica di cui al precedente articolo non richiedono la controfirma ministeriale».

«Subordinatamente, fermi restando i primi due commi dell’emendamento, sostituire i successivi due commi come segue:

«Ove intervenga, entro i termini di cui all’articolo 71, dichiarazione di incostituzionalità, il Presidente della Repubblica non dà corso alla promulgazione.

«Qualora il Presidente della Repubblica non possa promuovere azione di incostituzionalità per mancanza della controfirma ministeriale di cui all’articolo 95, è riconosciuta al Presidente stesso la facoltà di promuovere tale azione a titolo personale negli stessi modi e cogli stessi effetti previsti dalla legge per gli altri cittadini, organi ed enti a ciò autorizzati».

BENVENUTI. Chiedo di parlare per dar ragione del ritiro dell’emendamento.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BENVENUTI. Nello svolgimento del mio emendamento avevo posto il problema generale dell’atteggiamento del Presidente della Repubblica di fronte a leggi incostituzionali. Avevo prospettato la necessità giuridica e morale che il Presidente della Repubblica rifiutasse la promulgazione a leggi incostituzionali.

E, in considerazione del conflitto che si verrebbe a creare fra potere legislativo e Capo dello Stato, io avevo proposto come rimedio il deferimento della questione al giudizio della Corte costituzionale, giudizio a cui il Presidente della Repubblica avrebbe dovuto attenersi.

Il parere della Commissione su questo mio emendamento è stato negativo. Dico francamente che vi sarebbe da nutrire profonda preoccupazione e accorata tristezza per le sorti della libertà nel nostro Paese se questa dovesse essere l’ultima parola, specialmente data la motivazione della onorevole Commissione. La quale ha motivato la sua reiezione anzitutto affermando che vi sarebbe a favore del Presidente il rimedio del rinvio alla nuova deliberazione delle Camere: rimedio questo ripetutamente denunciato come inefficiente, in quanto in nessun caso il Presidente della Repubblica potrebbe rinviare il provvedimento alle Camere senza la controfirma ministeriale, e nessun Governo – espressione della maggioranza che abbia votato quella legge incostituzionale – sarebbe in condizione di apporre la propria firma ad un atto con cui il Presidente della Repubblica denunciasse al Parlamento l’incostituzionalità della legge.

In secondo luogo, onorevoli colleghi, la Commissione ha motivato così: Dobbiamo evitare al Presidente della Repubblica il disdoro, la perdita di prestigio che potrebbe derivargli dal fatto che il suo parere in materia costituzionale risulti diverso da quello della Corte costituzionale emesso nella sua sentenza.

Ora io sono commosso, profondamente commosso di questa delicatezza usata verso la figura del Presidente; però, onorevoli colleghi, io mi preoccupo di usare ben altro riguardo al Presidente della Repubblica e di evitargli cioè la situazione intollerabile, non dico per il primo cittadino della Repubblica, ma per qualsiasi cittadino che abbia coscienza delle libertà costituzionali, la situazione intollerabile cioè di dover con la sua firma, con la sua promulgazione, apporre l’exequatur a norme incostituzionali, che potrebbero essere violatrici dei diritti elementari di tutti i cittadini e delle libertà garantite dalla Costituzione della Repubblica.

E di questo mi sono preoccupato: di usare questo riguardo al Presidente della Repubblica, di evitargli tale assurda situazione. E su questo punto la Commissione è rimasta completamente negativa. Permetta la Commissione che di questo argomento mi occupi io.

E ritiro questo emendamento in questa sede per riaprire lo stesso problema in sede di discussione all’articolo 130.

PRESIDENTE. Prego la Commissione di esprimere il suo parere.

ROSSI PAOLO. L’onorevole Benvenuti riapre la grave questione del potere personale del Presidente, che abbiamo larghissimamente discusso con l’intervento dei maggiori costituzionalisti che partecipano a questa Assemblea.

Vorrei concorrere a tranquillizzare i suoi scrupoli in qualche modo.

È vero che il Presidente della Repubblica non può giovarsi del disposto dell’articolo 72, se non con atto di Governo, controfirmato dal Ministro responsabile. Ma vediamo che cosa avverrà in pratica, onorevole Benvenuti.

I due poteri, le due persone, il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Presidente della Repubblica, hanno pure dei contatti, dei rapporti. Supponiamo che il Governo sottoponga una legge non costituzionale alla firma del Presidente della Repubblica. Il Presidente della Repubblica farà le sue personali rimostranze, le sue personali insistenze perché si ricorra al procedimento dell’articolo 72 e la legge sia eventualmente riproposta, per nuovo esame, al Parlamento. O si troveranno d’accordo i due uomini eminenti, entrambi sensibili ai problemi costituzionali, entrambi sensibili ai problemi della libertà e del decoro del Paese, ed allora l’articolo 72 funzionerà; o non si troveranno d’accordo e la extrema ratio del Presidente della Repubblica che ricusa di partecipare con la sua autorità, sia pure formale, alla formazione di leggi anticostituzionali, si manifesterà con le dimissioni.

Il Presidente della Repubblica aprirà la crisi costituzionale ed il Paese finirà per decidere attraverso le elezioni.

Ella accenna al prestigio del Capo dello Stato, e dice che la Commissione tutelerebbe meno il prestigio sostanziale del Capo dello Stato avendo riguardo a un prestigio meramente formale.

È peggio (mi pare di interpretare l’opinione dell’onorevole Benvenuti), un Presidente della Repubblica che firma una legge incostituzionale, violatrice della libertà dei cittadini, che non un Presidente che si veda eventualmente sconfessato dalla Corte costituzionale.

Nell’un caso si tratta di un prestigio di sostanza, storico, e nell’altro caso si tratta di un prestigio di forma che rimane nella cronaca.

Aderisco al concetto dell’onorevole Benvenuti, ma ricordo che quella suprema via di salvare la propria coscienza, a cui facevo accenno poc’anzi a proposito dell’articolo 72, rimane sempre aperta. Meglio, assai meglio un Presidente della Repubblica che si dimetta prima, denunciando Governo e maggioranza per la incostituzionalità di una legge, che non un Presidente costretto a dimettersi dopo, quando la Corte costituzionale abbia respinto il suo ricorso.

Mi pare con questo di esser riuscito a diminuire le preoccupazioni dell’onorevole Benvenuti, al quale faccio infine osservare che dopo la votazione dell’emendamento Arata, anche la materia della sua proposta resta sottoposta al legislatore dell’avvenire.

PRESIDENTE. Passiamo all’articolo 129. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«La legge stabilisce le norme che regolano i conflitti di attribuzione e la composizione e il funzionamento della Corte costituzionale».

PRESIDENTE. Il seguente emendamento dell’onorevole Martino Gaetano è stato già svolto:

«Sopprimere le parole: e la composizione».

Ricordo, a questo proposito, che l’Assemblea ha approvato il modo con cui la Corte deve essere composta, e pertanto, queste parole andrebbero soppresse anche per una ragione di coordinamento.

L’onorevole Arata ha presentato il seguente emendamento:

«Dopo le parole: che regolano, aggiungere le seguenti: le azioni d’incostituzionalità».

Ha facoltà di svolgerlo.

ARATA. Lo ritiro.

PRESIDENTE. L’onorevole Perassi ha presentato il seguente emendamento:

«Alle parole: della Corte costituzionale, aggiungere le parole: e le garanzie di indipendenza dei suoi componenti».

Ha facoltà di svolgerlo.

PERASSI. Nel mio emendamento si propone un’aggiunta che non ha bisogno di essere illustrata. La legge che regolerà la Corte costituzionale dovrà fra l’altro, evidentemente, determinare anche le condizioni che assicurino l’indipendenza dei componenti la Corte, così come esistono delle norme che assicurano l’indipendenza degli altri giudici. Si tratta, dunque, di un’aggiunta che va da sé. Il Comitato di redazione credo avrà la cura di vedere in che modo questo articolo 129 potrà coordinarsi con il testo dell’articolo 128, quale è risultato in conseguenza dell’approvazione dell’emendamento Arata.

PRESIDENTE. Chiedo alla Commissione di esprimere il suo parere.

ROSSI PAOLO. Con l’espressa riserva di ritoccare l’articolo in sede di coordinamento, la Commissione accetta l’emendamento Perassi.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. La parola «composizione» ha qui un particolare significato e cioè che i modi, la procedura per l’elezione dei membri della Corte devono essere determinati per legge. Credo quindi che in questo senso non ci sia nessuna ragione di sopprimere quella parola, e chiedo al Presidente di metterla in votazione.

PRESIDENTE. L’onorevole Martino Gaetano non è presente.

CONDORELLI. Faccio mio l’emendamento dell’onorevole Martino.

PRESIDENTE. Allora votiamo per divisione. Pongo in votazione la prima parte dell’articolo:

«La legge stabilisce le norme che regolano i conflitti di attribuzione».

(È approvata).

Pongo in votazione le parole: «la composizione».

Ricordo che v’è la proposta soppressiva fatta propria dall’onorevole Condorelli.

(Dopo prova e controprova, sono approvate).

Pongo in votazione l’ultima parte dell’articolo con l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Perassi, accettato dalla Commissione:

«e il funzionamento della Corte costituzionale e le garanzie di indipendenza dei suoi componenti».

(È approvata).

L’articolo 129 risulta approvato nel suo complesso così;

«La legge stabilisce le norme che regolano i conflitti di attribuzione, la composizione e il funzionamento della Corte costituzionale e le garanzie d’indipendenza, dei suoi componenti».

Vi è ora un articolo aggiuntivo 129-bis dell’onorevole Martino Gaetano, già svolto:

«Non sono sindacabili da parte della Corte costituzionale le leggi approvate mediante referendum popolare».

Esso non ha ragione di essere, perché la Costituente ha conservato nell’articolo 72 soltanto il referendum abrogativo.

L’onorevole Codacci Pisanelli ha anche egli presentato un articolo 129-bis: se he dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«La Corte costituzionale è competente a conoscere delle violazioni del diritto umano e dei diritti internazionali.

«Essa potrà, inoltre, sospendere l’efficacia delle leggi costituzionali impugnate dagli interessati perché ledano diritti della personalità, rinviandole al Parlamento per il decisivo riesame».

PRESIDENTE. L’onorevole Codacci Pisanelli mi deve dare atto che, per ciò che si riferisce alla competenza della Corte costituzionale, l’Assemblea ha già lungamente discusso e replicatamente votato in sede di articolo 126. È da supporre che in quell’ambito siano state incluse tutte le competenze che ad essa s’intendono dare. Per ciò che si riferisce al secondo comma, è una riassunzione, sotto diversi aspetti, del contenuto dei primi due commi dell’articolo 128. Pertanto, mi pare che l’emendamento non possa essere posto in votazione.

CODACCI PISANELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODACCI PISANELLI. Ritenevo che si trattasse di una competenza diversa di quella di cui ci siamo occupati finora; poiché abbiamo esaminato soltanto la competenza in relazione alle leggi ordinarie. Pensavo invece ad una particolare competenza relativa alle leggi costituzionali; ed avevo proposto questo emendamento per il caso in cui si fosse voluto prevedere nel nostro sistema un organo competente a giudicare dei delitti internazionali.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Rossi Paolo di esprimere il parere della Commissione, se ritiene cioè che l’emendamento abbia possibilità di essere accolto.

ROSSI PAOLO. Prego l’onorevole Codacci Pisanelli di non insistere; la Commissione dovrebbe esprimere parere contrario, per ragioni tecniche, che esporrò, se l’onorevole Codacci insisterà.

CODACCI PISANELLI. Se si ritiene che vi sia una preclusione, non ho nessuna difficoltà a ritirare l’emendamento. Se invece, come penso, non vi è preclusione al riguardo, perché si tratta di competenza completamente diversa da quella esaminata finora, ritengo opportuno di svolgere il mio emendamento, perché l’Assemblea possa esaminare tutti i problemi che si riconnettono a questo argomento.

PRESIDENTE. Poiché la Commissione ha espresso lo stesso mio avviso, mi riconfermo nella convinzione che vi sia preclusione nella presentazione del suo emendamento, che pertanto non può essere accolto.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Prima di passare all’esame della sezione II, riguardante la revisione della Costituzione, propongo che l’Assemblea si occupi di un argomento, che è stato rimandato, ma che si riferisce direttamente alla competenza della Corte costituzionale, cioè il giudizio sopra il Presidente della Repubblica ed i Ministri accusati nelle forme di legge, previsto nel terzo comma dell’articolo 126.

Siccome dobbiamo ritornare sopra questa norma, e siccome sono stati presentati emendamenti, ritengo sia opportuno esaurire questa materia.

PRESIDENTE. Sta bene. Il terzo comma dell’articolo 126 dice:

«Giudica il Presidente della Repubblica ed i Ministri accusati a norma della Costituzione».

L’onorevole Gullo Fausto ha già svolto il seguente emendamento:

«Sopprimerlo».

Così pure l’onorevole Musolino ha svolto il suo:

«Rinviarlo al Titolo I della II parte del progetto, nel testo seguente: Le due Camere, costituite in Alta Corte di giustizia, giudicano il Presidente della Repubblica ed i Ministri accusati di reati di alto tradimento».

L’onorevole Mortati aveva proposto il seguente emendamento:

«Aggiungere il seguente comma:

«Per i giudizi relativi alle accuse contro il Capo dello Stato ed i Ministri, si aggiungono ai membri ordinari 16 altri cittadini eleggibili ad ufficio politico, scelti dal popolo con elezioni indirette, secondo le modalità che saranno stabilite dalla legge».

Ha facoltà di svolgerlo.

MORTATI. L’articolo 126 affidava il giudizio sull’accusa del Presidente della Repubblica e dei Ministri alla Corte costituzionale. Mentre la Corte costituzionale, nella sua attività ordinaria di sindacato delle leggi, esplica un’attività strettamente giurisdizionale e, quindi, deve essere composta in armonia col contenuto di questa funzione, viceversa nel giudizio sull’accusa, essa viene a rivestire un carattere più spiccatamente politico; ciò perché, a tenore della disposizione a suo tempo approvata, l’accusa a questi organi supremi dello Stato non si inquadra necessariamente nell’ambito della comune azione penale. Le formule adottate: «violazione della Costituzione» in generale, o «delitto di tradimento», sono espressioni lasciate volutamente in una sfera un po’ generica, tale da consentire che l’accusa sia sollevata anche per fatti che non rivestono la figura di veri e propri reati ai sensi del Codice penale. Appare di conseguenza necessario, che il giudice sia formato in modo da potere formulare valutazioni di accuse tali, da esigere una preparazione e sensibilità non esclusivamente giuridiche. Questa è la ragione della mia proposta, secondo la quale la composizione della Corte nei giudizi in parola viene integrata con l’aggiunta di un numero, equivalente agli ordinari, di membri scelti dalle Camere riunite al principio di ogni legislatura. Quest’ultima modalità ha lo scopo di impedire che i giudici siano nominati al momento dell’accusa e che, quindi, l’accusatore orienti la sua scelta in modo da pregiudicare l’imparzialità dei giudici.

PRESIDENTE. Vi è poi una proposta di emendamento sostitutivo degli onorevoli Ambrosini, Tosato, Moro, Uberti, Codacci Pisanelli, Bellato, Cappi, Giacchero, Rescigno, Cimenti e Corbino:

«Il Presidente della Repubblica ed i Ministri messi in stato di accusa dalla Camera dei deputati a norma della Costituzione sono giudicati dal Senato costituito in Alta Corte di giustizia».

AMBROSINI. Ritiro l’emendamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Rossi Paolo ha facoltà di esprimere il parere della Commissione sugli emendamenti.

ROSSI PAOLO. La Commissione accetta l’emendamento dell’onorevole Mortati. Fra la competenza della Corte costituzionale, la quale verrebbe ad acquistare con un piccolo numero di giudici una suprema autorità, e la competenza del Parlamento, (mi pare che in ciò si concreti la proposta dell’onorevole Musolino), a nostro avviso la proposta dell’onorevole Mortati raggiunge un giusto mezzo assai sodisfacente. Infatti, secondo l’emendamento Musolino, i giudici verrebbero ad essere praticamente 850 o 900, giudici di una imputazione di carattere non solo politico, ma di carattere criminale o politico-criminale. Siffatto imponente numero di giudici renderebbe difficilissima la procedura e molto ardua una decisione ragionata; basta pensare al mutarsi continuo di questi 900 magistrati, i quali dovrebbero sedere «pro tribunali» per giudicare il Presidente della Repubblica ed i Ministri accusati.

Ho un ricordo storico, a questo proposito, quello del processo di Napoleone III, allora solo principe Luigi Bonaparte, imputato per lo sbarco di Boulogne, dopo il suo primo tentativo. Di questo processo, celebratosi dinanzi alla Corte dei Pari, ho letto i verbali: fu un processo caotico, difficile, slegato. I membri che erano presenti ad una seduta non lo erano all’altra ed alla fine del giudizio non si capiva più nulla. Stando alla proposta Musolino, il Collegio che alla fine dovrebbe giudicare, non sarebbe più lo stesso Collegio che avrebbe assistito alle sedute del processo.

La Commissione non crede, dunque, di accettare l’emendamento. L’importanza era quella di avere dei giudici precostituiti, per impedire che la stessa maggioranza che ha posto in stato di accusa il Presidente e i Ministri, stabilisca anche quali giudici debbano giudicarli. Con l’emendamento Mortati il giudice rimane appunto precostituito, perché i giudici della Corte costituzionale sono tali di diritto, e perché gli altri quindici membri di nomina parlamentare debbono essere nominati in principio di legislatura.

La nostra Commissione crede di poter aderire con tranquilla coscienza all’emendamento dell’onorevole Mortati.

PRETI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PRETI. Subordinatamente all’approvazione dell’emendamento soppressivo, faccio mio l’emendamento presentato dall’onorevole Ambrosini, testé ritirato.

PRESIDENTE. L’onorevole Rossi Paolo ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

ROSSI PAOLO. Vorrei rispondere all’onorevole Preti che, secondo il testo che già abbiamo votato, non occorre che l’accusa sia fatta dal Parlamento in entrambi i suoi rami, perché può essere fatta anche da un solo ramo del Parlamento. Potrebbe, infatti, avvenire che il solo Senato ponesse il Governo in istato di accusa e che il solo Senato giudicasse quindi il Governo, che si avesse cioè la riunione nel Senato delle due qualità di accusatore e giudice, il che sarebbe nuovo e non conveniente.

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Io osservo che c’è una preclusione: noi abbiamo già votato un articolo secondo il quale l’accusa del Presidente della Repubblica e dei Ministri è fatta dal Parlamento a Camere riunite. Pertanto il Parlamento non può essere anche giudice.

PRESIDENTE. Noi abbiamo già votato l’articolo 90 che dice: «Il Presidente del Consiglio dei Ministri ed i Ministri sono messi in istato di accusa dal Parlamento in seduta comune per reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni».

Comunque io porrò prima in votazione il testo del terzo comma; gli emendamenti che sono stati proposti a questo riguardo debbono essere considerati come emendamenti aggiuntivi.

Vi è l’emendamento Ambrosini, fatto proprio dall’onorevole Preti, il quale propone una formula diversa di giudizio a proposito della Corte costituzionale, e parimenti la proposta dell’onorevole Musolino. Porremo, pertanto, in votazione dapprima la proposta dell’onorevole Musolino, quindi quella dell’onorevole Preti.

PRETI. Vi è un emendamento soppressivo.

PRESIDENTE. Onorevole Preti, poiché ciascuno di questi emendamenti propone una costruzione in sé completa, non si può porre in votazione l’emendamento soppressivo, e tutti i membri dell’Assemblea, i quali ritengano che non debba parlarsi dell’argomento nella Costituzione, potranno esprimere tale loro atteggiamento votando contro tutti gli emendamenti proposti.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Vorrei domandare alla Commissione quale giudizio essa dà intorno alla questione della preclusione.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Mi pare vi sia una certa confusione in tutto questo. È evidente che la Camera mette in istato d’accusa il Presidente della Repubblica e i Ministri attraverso una sua maggioranza; si tratta, quindi, di una deliberazione che avviene attraverso la solita procedura. Per il giudizio invece, può essere richiesta una maggioranza qualificata; tutto questo si potrà decidere in sede di regolamento delle due Camere.

PRESIDENTE. Onorevole Rossi, ha qualche cosa da aggiungere al quesito formulato dall’onorevole Moro?

ROSSI PAOLO. Osserverò semplicemente all’onorevole Moro che una preclusione vera e propria qui in sostanza non c’è: io non la vedo. C’è però qualche cosa di peggio che una preclusione: c’è una incongruenza, perché in realtà, quando la maggioranza abbia messo in istato d’accusa il Presidente della Repubblica o i Ministri, essa avrebbe con ciò già emesso la sentenza.

Non vediamo una preclusione in senso tecnico, ma vediamo un’assurdità così stridente da indurci a pregare l’onorevole presentatore di voler ritirare l’emendamento.

MUSOLINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MUSOLINO. Vorrei rilevare che la Corte costituzionale, dopo che è stato respinto l’emendamento Laconi e dopo quanto l’Assemblea ha deliberato ieri, viene nominata, in ragione di un terzo dei suoi membri, dal Presidente della Repubblica. Mi pare quindi che, in tal modo, si venga a creare una incompatibilità, perché, in sostanza, chi giudica sarebbe colui stesso che è nominato da chi viene messo in istato d’accusa.

Reputo, quindi, che l’emendamento Mortati non possa per questa ragione essere accettato.

ROSSI PAOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROSSI PAOLO. Vorrei osservare all’onorevole Musolino che, secondo l’emendamento dell’onorevole Mortati, l’inconveniente che egli rileva non può preoccupare. Infatti la maggioranza dei giudici, secondo il sistema che abbiamo creato, sarebbe sempre nominata dal Parlamento: credo che l’onorevole Musolino avrà presenti gli articoli approvati cui alludo.

Alcuni membri della Corte costituzionale saranno, sì, di origine presidenziale, ma una grande maggioranza, 21 su 30, resta di origine parlamentare.

PRESIDENTE. Mi pare che le due argomentazioni dell’onorevole Moro e dell’onorevole Musolino reciprocamente si elidano.

Vi sarebbe preclusione – salva la validità che riconosco di ciò che ha detto l’onorevole Rossi – tanto nei confronti della proposta dell’onorevole Musolino (preclusione sollevata dall’onorevole Moro), quanto della proposta dell’onorevole Mortati (preclusione sollevata dall’onorevole Musolino).

Ritengo che in questa sede i due emendamenti non abbiano carattere preclusivo, appunto perché si deve vedere poi in quale modo si dovranno organizzare nel loro interno gli organi destinati ad adempiere queste funzioni.

Faccio presente che ad esempio, a proposito della costituzione del Senato in Alta Corte di giustizia, l’ultimo Regolamento del Senato disponeva la nomina di un’apposita Commissione per il giudizio all’inizio di ogni legislatura; per cui, non si poneva più la questione della incompatibilità fra le funzioni sommate di accusatori e di giudici, dato che la Commissione per il giudizio non si identificava più con tutto il Senato, ma rappresentava un organo da questo distinto.

MUSOLINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MUSOLINO. Alla fine del mio emendamento, propongo di fare la seguente aggiunta:

«La legge regola il funzionamento dell’Alta Corte».

Così sono eliminati i dubbi ora sollevati.

PRESIDENTE. Sta bene. Passiamo alle votazioni. Dovrò porre dapprima in votazione l’emendamento dell’onorevole Musolino con l’aggiunta testé proposta. Il testo definitivo è pertanto del seguente tenore:

«Le due Camere, costituite in Alta Corte di giustizia, giudicano il Presidente della Repubblica e i Ministri accusati di reati di alto tradimento.

«La legge regola il funzionamento dell’Alta Corte».

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Dichiaro che votiamo contro l’emendamento Musolino per le ragioni già esposte, e chiediamo l’appello nominale.

PRETI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PRETI. Chiediamo la votazione a scrutinio segreto.

PRESIDENTE. Nel concorso fra le due domande, prevale quella dello scrutinio. La richiesta di votazione a scrutinio segreto è firmata dagli onorevoli Preti, Cairo, Nasi, Tonello, Laconi, Stampacchia, Nobile, Bordon, Gullo Fausto, Binni, Momigliano, Villani, Lombardi Carlo, Tega, Costantini, Musolino, Fornara, Lami Starnuti, Filippini, Grassi.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Indico la votazione segreta sulla formulazione proposta dall’onorevole Musolino in sostituzione dell’ultimo comma dell’articolo 126.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione. Invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione segreta:

Presenti e votanti     279

Maggioranza           140

Voti favorevoli        114

Voti contrari            165

(L’Assemblea non approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Adonnino – Alberti – Aldisio – Allegato – Amadei – Ambrosini – Arata – Arcangeli.

Bacciconi – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barontini Anelito – Bartalini – Bastianetto – Bazoli – Bei Adele – Bellato – Bellusci – Belotti – Benedettini – Benvenuti – Bernabei – Bernamonti – Bernini Ferdinando – Bertola – Bertone – Bettiol – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Binni – Bitossi – Bocconi – Bonomelli – Bonomi Ivanoe – Bordon – Bosco Lucarelli – Bosi – Braschi – Bubbio – Bucci.

Cacciatore – Caccuri – Cairo – Camangi – Camposarcuno – Candela – Canepa – Canevari – Caporali – Cappi Giuseppe – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Cartia – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cevolotto – Chatrian – Chieffi – Chiostergi – Cimenti – Clerici – Codacci Pisanelli – Colombo Emilio – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Corbino – Corsi – Cortese Guido – Cortese Pasquale – Costa – Costantini – Covelli – Cremaschi Carlo – Crispo.

Damiani – D’Amico – D’Aragona – Del Corto – Delli Castelli Filomena – De Martino – De Mercurio – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Di Giovanni – Dominedò – D’Onofrio.

Fabbri – Fabriani – Fantoni – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Ferrarese – Ferrario Celestino – Ferreri – Filippini – Fiorentino – Fioritto – Firrao – Fogagnolo – Foresi – Fornara – Franceschini – Fresa – Froggio – Fuschini.     

Gabrieli – Galati – Gallico Spano Nadia – Gasparotto – Gavina – Gervasi – Ghidetti – Giacchero – Giolitti – Giordani – Gotelli Angela – Grazi Enrico – Grieco – Grilli – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Laconi – Lagravinese Pasquale – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Lazzati – Leone Francesco – Lettieri – Lizier – Lizzadri – Lombardi Carlo – Longo – Lozza – Lussu.

Macrelli – Magnani – Malagugini – Maltagliati – Mancini – Marinaro – Marinelli – Martinelli – Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mastrojanni – Mattarella – Mazza – Meda Luigi – Mentasti – Merlin Angelina – Merlin Umberto – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molinelli – Momigliano – Montagnana Rita – Monterisi – Morandi – Moranino – Moro – Mortati – Moscatelli – Murdaca – Musolino – Musotto.

Nasi – Negarville – Negro – Nenni – Nicotra Maria – Nobile Umberto – Notarianni – Novella – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pacciardi – Pajetta Gian Carlo – Pajetta Giuliano – Paolucci – Paratore – Paris – Parri – Pastore Raffaele – Pat – Pecorari – Pellegrini – Penna Ottavia – Pera – Perassi – Perlingieri – Pesenti – Pistoia – Platone – Ponti – Preti – Priolo – Proia – Pucci.

Quintieri Adolfo.

Reale Eugenio – Recca – Rescigno – Ricci Giuseppe – Rodi – Romita – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Roveda – Ruggeri Luigi – Ruini – Rumor –Russo Perez.

Saccenti – Saggin – Salerno – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sansone – Sardiello – Scalfaro – Scarpa – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Sicignano – Silipo – Simonini – Spallicci – Spataro – Stampacchia – Stella.

Targetti – Tega – Terranova – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Tomba – Tonello – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi – Turco.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Venditti – Veroni – Vicentini – Villani – Vischioni – Volpe.

Zaccagnini – Zanardi – Zappelli – Zuccarini.

Sono in congedo:

Angelini.

Carmagnola – Caso – Cavallari.

Dugoni.

Garlato – Ghidini – Gortani.

Jacini.

Preziosi.

Ravagnan.

Vanoni – Varvaro – Viale.

PRESIDENTE. Il seguito di questa discussione è rinviato al pomeriggio.

Avverto che i lavori, nella seduta pomeridiana, saranno protratti fino alle ore 22, con una brevissima interruzione di mezz’ora verso le ore 19.

La seduta termina alle 13.