Come nasce la Costituzione

ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 5 DICEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

cccxx.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 5 DICEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

indi

DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Disegni di legge (Discussione e approvazione):

Approvazione degli Accordi di carattere economico conclusi in Roma, tra l’Italia e la Francia, il 22 dicembre 1946. (26).

Presidente

Approvazione dei seguenti atti internazionali: a) Protocollo di emendamento agli Accordi, Convenzioni e Protocolli sugli stupefacenti conclusi all’Aja il 23 gennaio 1912, a Ginevra l’11 febbraio 1925, il 19 febbraio 1925, il 13 luglio 1931, a Bangkok il 27 novembre 1931 ed a Ginevra il 26 giugno 1936; b) Annesso al Protocollo di emendamento agli Accordi, Convenzioni e Protocolli sugli stupefacenti conclusi all’Aja il 23 gennaio 1912, a Ginevra l’11 febbraio 1925, il 19 febbraio 1925, il 13 luglio 1931, a Bangkok il 27 novembre 1931 ed a Ginevra il 26 giugno 1936. (37).

Presidente

Uberti

Brusasca, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri

Perassi

Approvazione dello scambio di Note relativo ai danni di guerra ed all’articolo 79 del Trattato di Pace, effettuato in Roma fra l’Italia e la Cina il 30 luglio 1947. (38).

Presidente

Approvazione dei seguenti Atti internazionali conclusi a Neuchâtel, tra l’Italia ed altri Stati, l’8 febbraio 1947: a) Accordo per la conservazione o la reintegrazione dei diritti di proprietà industriale colpiti dalla seconda guerra mondiale; b) Protocollo di chiusura; c) Protocollo di chiusura addizionale. (47).

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Mastino Pietro

Musolino

Nobile

Rossi Paolo

Nobili Tito Oro

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Bettiol

Gullo Fausto

Mortati

Tonello

Cifaldi

Candela

Presidente

Colitto

Russo Perez

Targetti

Clerici

Giacchero

Lussu

Ruggiero

Fabbri

Abozzi

Corbino

Uberti

La seduta comincia alle 11.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Discussione del disegno di legge: Approvazione degli Accordi di carattere economico conclusi in Roma, tra l’Italia e la Francia, il 22 dicembre 1946. (26).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Discussione del disegno di legge: Approvazione degli accordi di carattere economico conclusi in Roma, tra l’Italia e la Francia, il 22 dicembre 1946. (26).

Dichiaro aperta la discussione generale. Non essendovi oratori iscritti e nessuno chiedendo di parlare, la dichiaro chiusa.

Passiamo all’esame dei singoli articoli. Si dia lettura dell’articolo 1.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Piena ed intera esecuzione è data ai seguenti Accordi conclusi in Roma, fra l’Italia e la Francia, il 22 dicembre 1946:

  1. a) Accordo commerciale.
  2. b) Accordo di pagamento.
  3. c) Protocollo annesso.
  4. d) Scambio di Note».

PRESIDENTE. Lo pongo in votazione. (È approvato).

Passiamo all’articolo 2. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«La presente legge entra in vigore il giorno della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale ed ha effetto dal 22 dicembre 1946».

PRESIDENTE. Lo pongo ai voti.

(È approvato).

Questo disegno di legge sarà poi votato a scrutinio segreto.

Discussione del disegno di legge: Approvazione dei seguenti atti internazionali: a) Protocollo di emendamento agli Accordi, Convenzioni e Protocolli sugli stupefacenti conclusi all’Aja il 23 gennaio 1912, a Ginevra l’11 febbraio 1925, il 19 febbraio 1925, il 13 luglio 1931, a Bangkok il 27 novembre 1931 ed a Ginevra il 26 giugno 1936; (b) Annesso al Protocollo di emendamento agli Accordi, Convenzioni e Protocolli sugli stupefacenti conclusi all’Aja il 23 gennaio 1912, a Ginevra l’11 febbraio 1925, il 19 febbraio 1925, il 13 luglio 1931, a Bangkok il 27 novembre 1931 ed a Ginevra il 26 giugno 1936. (37).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Discussione del disegno di legge: Approvazione dei seguenti atti internazionali: a) Protocollo di emendamento agli Accordi, Convenzioni e Protocolli sugli stupefacenti conclusi all’Aja il 23 gennaio 191,2, a Ginevra l’11 febbraio 1925, il 19 febbraio 1925, il 13 luglio 1931, a Bangkok il 27 novembre 1931 ed a Ginevra il 26 giugno 1936; b) Annesso al Protocollo di emendamento agli Accordi, Convenzioni e Protocolli sugli stupefacenti conclusi all’Aja il 23 gennaio 1912, a Ginevra l’11 febbraio 1925, il 19 febbraio 1925, il 13 luglio 1931, a Bangkok il 27 novembre 1931 ed a Ginevra il 26 giugno 1936. (37).

Dichiaro aperta la discussione generale.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Vorrei sapere dal rappresentante del Governo perché questi provvedimenti, che si riferiscono ad epoca lontana, vengono sottoposti appena oggi all’approvazione della Costituente.

BRUSASCA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BRUSASCA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Unicamente per delle circostanze di carattere formale. Il tempo che occorre perché queste carte attraversino tutti gli uffici porta a questa conseguenza: che molti di questi accordi vengono approvati quando sono già passati nella fase di esecuzione.

PERASSI. Ma sono accordi recenti.

BRUSASCA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Ma l’onorevole Uberti si riferisce alla data.

PRESIDENTE. Nessun altro chiedendo di parlare, dichiaro chiusa la discussione generale. Passiamo all’esame degli articoli. Si dia lettura dell’articolo 1.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Piena ed intera esecuzione è data ai seguenti strumenti internazionali:

  1. a) Protocollo di emendamento agli Accordi, Convenzioni e Protocolli sugli stupefacenti conclusi all’Aja il 23 gennaio 1912, a Ginevra l’11 febbraio 1925, il 19 febbraio 1925, il 13 luglio 1931, a Bangkok il 27 novembre 1931 ed a Ginevra il 26 giugno 1936.
  2. b) Annesso al Protocollo di emendamento agli Accordi, Convenzioni e Protocolli sugli stupefacenti conclusi all’Aja il 23 gennaio 1912, a Ginevra l’11 febbraio 1925, il 19 febbraio 1925, il 13 luglio 1931, a Bangkok il 27 novembre 1931 ed a Ginevra il 26 giugno 1936».

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Mi permetto di fare un rilievo puramente formale.

Nel titolo del disegno di legge si dice: «Approvazione dei seguenti atti internazionali»; nell’articolo primo del disegno di legge si dice invece: «Piena ed intera esecuzione è data ai seguenti strumenti internazionali». La parola «strumenti», nell’accezione in cui è qui usata, non è molto abituale nella nostra terminologia legislativa; è un po’ un francesismo. Propongo, perciò, di sostituirla con «atti», come si dice nel titolo.

Per tener conto, poi, dell’osservazione fatta dall’onorevole Uberti, converrebbe indicare la data dei Protocolli, che formano oggetto del disegno di legge. Gli atti internazionali che attualmente sono sottoposti alla approvazione dell’Assemblea riguardano bensì vari accordi e convenzioni di data non recente, ma l’oggetto del disegno di legge attuale è l’approvazione di un protocollo di emendamento di quegli accordi. Ora, questo protocollo di emendamento è recentissimo, è stato fatto a New York, l’11 dicembre 1946. E il secondo atto, che è un annesso del primo, è della stessa data.

Propongo dunque che negli articoli 1 e 2 la parola «strumenti» sia sostituita con la parola «atti» e che nel titolo, come nell’articolo 1, si inserisca l’indicazione della data degli atti, di cui si tratta.

BRUSASCA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BRUSASCA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Basta includere la data: 11 dicembre 1946, che non c’è nel titolo.

Il Governo accetta la proposta dell’onorevole Perassi.

PRESIDENTE. Sta bene. Pongo allora in votazione il titolo del disegno di legge con la specificazione:

«a) Protocollo di emendamento 11 dicembre 1946, ecc.».

(È approvato).

Pongo ai voti l’articolo 1 con le seguenti modifiche:

«Alla parola: strumenti, sostituire: atti; alla lettera a), dopo le parole: Protocollo di emendamento, aggiungere: il dicembre 1946».

(È approvato).

Si dia lettura dell’articolo 2.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Gli strumenti internazionali di cui alle lettere a) e b) dell’articolo precedente entrano in vigore conformemente all’articolo VII n. 1 e 2 del Protocollo di emendamento».

PRESIDENTE. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Il disegno di legge sarà poi votato a scrutinio segreto.

Discussione del disegno di legge: Approvazione dello scambio di Note relativo ai danni di guerra ed all’articolo 79 del Trattato di Pace, effettuato in Roma, tra l’Italia e la Cina il 30 luglio 1947. (38).

PRESIDENTE; L’ordine del giorno reca: Discussione del disegno di legge: Approvazione dello scambio di Note relativo ai danni di guerra e all’articolo 79 del Trattato di pace, effettuato in Roma, tra l’Italia e la Cina, il 30 luglio 1947. (38).

Dichiaro aperta la discussione generale.

Non essendovi oratori iscritti e nessuno chiedendo di parlare, la dichiaro chiusa. Passiamo all’esame dei singoli articoli. Si dia lettura dell’articolo 1.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Piena ed intera esecuzione è data allo scambio di Note fra l’Italia e la Cina, effettuato in Roma il 30 luglio 1947, relativo ai danni di guerra ed all’articolo 79 del Trattato di pace tra le Potenze alleate e associate e l’Italia, firmato a Parigi il 10 febbraio 1947».

PRESIDENTE. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Si dia lettura dell’articolo 2:

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il Ministro del tesoro è autorizzato a provvedere con propri decreti alle variazioni di bilancio occorrenti per l’esecuzione dell’Accordo».

PRESIDENTE. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Si dia lettura dell’articolo 3.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«La presente legge entra in vigore il giorno della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale».

PRESIDENTE. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Questo disegno di legge sarà poi votato a scrutinio segreto.

Discussione del disegno di legge: Approvazione dei seguenti Atti internazionali conclusi a Neuchâtel, tra l’Italia ed altri Stati, l’8 febbraio 1947: a) Accordo per la conservazione o la reintegrazione dei diritti di proprietà industriale colpiti dalla seconda guerra mondiale; b) Protocollo di chiusura; c) Protocollo di chiusura addizionale. (47).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Approvazione dei seguenti atti internazionali conclusi a Neuchâtel tra l’Italia ed altri Stati, l’8 febbraio 1947: a) Accordo per la conservazione o la reintegrazione dei diritti di proprietà industriale colpiti dalla seconda guerra mondiale; b) Protocollo di chiusura; c) Protocollo di chiusura addizionale. (47).

Dichiaro aperta la discussione generale.

Non essendovi oratori iscritti e nessuno chiedendo di parlare, la dichiaro chiusa. Passiamo all’esame dei singoli articoli. Si dia lettura dell’articolo 1.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Piena ed intera esecuzione è data ai seguenti Atti internazionali conclusi a Neuchâtel, tra l’Italia ed altri Stati, l’8 febbraio 1947:

  1. a) Accordo per la conservazione o la reintegrazione dei diritti di proprietà industriale colpiti dalla seconda guerra mondiale;
  2. b) Protocollo di chiusura;
  3. c) Protocollo di chiusura addizionale».

PRESIDENTE. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Si dia lettura dell’articolo 2.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«La presente legge entra in vigore nei modi e nei termini stabiliti dall’articolo 9 dell’Accordo di cui alla lettera a) dell’articolo precedente».

PRESIDENTE. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Anche questo disegno di legge sarà poi votato a scrutinio segreto.

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Ricordo che si deve proseguire la discussione sul secondo comma dell’articolo 50, che dice:

«Quando i poteri pubblici violino le libertà fondamentali ed i diritti garantiti dalla Costituzione, la resistenza all’oppressione è diritto e dovere del cittadino».

L’onorevole Mastino Pietro ha così definitivamente formulato il suo emendamento sostitutivo:

«Il cittadino ha il diritto e il dovere di difendere le libertà fondamentali, i diritti garantiti dalla Costituzione e l’ordinamento dello Stato».

L’onorevole Mastino ha illustrato ieri sera l’emendamento, ma può chiarire i suoi concetti ai colleghi che ieri sera erano assenti.

Ha pertanto facoltà di parlare.

MASTINO PIETRO. Ieri sera illustrai l’emendamento da me proposto. Non posso quindi oggi che aggiungere poche parole. Dicevo ieri, appunto, che non vi può essere difficoltà a riconoscere, in certi casi, il diritto alla resistenza individuale. Lo stesso Codice – il codice di Zanardelli – prevedeva che non fosse punibile chi reagiva al pubblico ufficiale che eccedeva con atti arbitrari il limite delle proprie attribuzioni. Il Codice attualmente in vigore (mi si consenta questo accenno) stabilisce lo stesso concetto; lo stabilisce anzi in termini più lati, in quanto all’articolo 51 riconosce e fissa un concetto di legittima difesa che non si riferisce soltanto ai diritti della persona o – in certi casi – alla difesa della proprietà, sibbene ai diritti in genere. Dice infatti l’articolo che non è punibile chi abbia commesso il fatto per esservi costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui.

Si tratta ora di portare questo concetto, ammesso e codificato, nel campo del diritto costituzionale. Rilevo che sarebbe veramente strano riconoscere il diritto a difendersi dalla violazione di un diritto proprio o di un diritto altrui (ma diritto di indole comune), sarebbe strano – dicevo – riconoscere questo diritto di difesa nel diritto comune e negare d’altra parte il diritto e l’obbligo nel cittadino di difendere le libertà fondamentali, i diritti garantiti dalla Costituzione e l’ordinamento dello Stato. È, a mio parere, evidente come la maggiore importanza dei diritti stabiliti a fondamento dello Stato e della vita dei cittadini, imponga che concetti di diritto alla difesa e dell’obbligo della difesa di tali diritti, debbano essere riconosciuti anche nel campo del diritto pubblico.

D’altra parte, vi è anche l’articolo 51 del Codice penale, che stabilisce che l’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto dalla norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità esclude la punibilità.

Mi pare quindi che l’emendamento da me proposto rientri nella sostanza e, starei per dire, rientri nell’ambito dei concetti e delle idee e delle norme riconosciute e fissate nel Codice penale comune. Quindi, non capisco perché la formulazione di quest’emendamento e la sua inclusione nella Carta Statutaria possano sollevare difficoltà.

Non lo intendo, a meno che si confonda quello che può essere un diritto del cittadino alla difesa delle libertà fondamentali, dei diritti garantiti dalla Costituzione e dell’ordinamento dello Stato con quello che può essere proposito sedizioso o condannevole di insorgere, non per violazione di norme fondamentali ma col proposito, invece, di sovvertirle. Ma noi capovolgeremmo il contenuto ed il significato del mio emendamento ove, per questa ipotetica paura, non lo includessimo nella Carta costituzionale.

Rilevo come l’articolo 51 del Codice penale, del quale ho dato lettura, stabilisca che l’esercizio di un diritto e lo adempimento di un dovere escludono la punibilità, ma ciò non di meno nello stesso Codice sono previste sanzioni per l’insurrezione, senza che le disposizioni siano in contrasto fra di loro.

Per queste ragioni, unite a quelle che ho detto ieri e che rappresentano la giustificazione del mio emendamento anche sotto il punto di vista o sotto il profilo giuridico, insisto perché l’emendamento sia posto in votazione e lo raccomando all’Assemblea.

Oltre a questo profilo giuridico vi è però una ragione morale, per cui lo Statuto acquisterà di importanza quando si sarà stabilito l’obbligo del cittadino di difendere i diritti fondamentali, non nel suo personale interesse, ma nell’interesse dello Stato e della collettività tutta.

Non ho altro da aggiungere.

PRESIDENTE. L’onorevole Musolino ha presentato il seguente emendamento:

«Alle parole: del cittadino, sostituire le altre: dei cittadini».

Ha facoltà di svolgerlo.

MUSOLINO. Il mio emendamento risponde al dubbio espresso ieri sera dall’onorevole Nobile.

Il singolo cittadino potrebbe commettere l’errore nel valutare una violazione della Costituzione, mentre quando noi diciamo «dei cittadini» il giudizio collettivo è più certo del giudizio individuale.

Per questo ho presentato l’emendamento che raccomando all’Assemblea.

PRESIDENTE. L’onorevole Nobile ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il comma col seguente: Egli ha il diritto di esigere che le libertà fondamentali garantite dalla Costituzione siano rispettate dai poteri pubblici».

Ha facoltà di svolgerlo.

NOBILE. Ho poco da dire per illustrare il mio emendamento.

Il testo della Commissione, a mio avviso, è assolutamente inaccettabile; quello proposto dall’onorevole Mastino certamente è di gran lunga preferibile. In sostanza si tratta di un’affermazione puramente platonica, retorica. Quando si parla di resistenza vien fatto – è cosa naturale – di pensare che ci si voglia riferire a una resistenza materiale, e quindi armata. Ora, in uno Stato moderno i cittadini non possono resistere a mano armata ai poteri pubblici, se i poteri pubblici sono bene organizzati e vogliono veramente difendere la loro autorità. Non ci si difende contro i carri armati e contro le bombe. Affermare, perciò, nella Costituzione il diritto ed il dovere del cittadino di resistere ai poteri pubblici, e di resistervi a mano armata, come è implicito nel testo della Commissione, è cosa assurda. Il testo Mastino è certamente migliore, e si potrebbe anche accettare; ma a me pare che converrebbe dare la preferenza al comma, così come è stato da me proposto. In fondo, mentre nella prima parte dell’articolo 50 si afferma che il cittadino ha il dovere di essere fedele alla Repubblica e di osservarne la Costituzione, nella seconda parte, secondo il mio testo, si affermerebbe che di fronte a tale dovere egli ha il diritto di esigere che i pubblici poteri rispettino le libertà fondamentali garantite dalla Costituzione. In che modo, poi, il cittadino possa esigere questo, è meglio lasciar imprecisato, perché certamente nulla si può dire in proposito. In sostanza, anche nella formulazione data da me l’articolo rimarrebbe puramente retorico e platonico, e sarebbe, perciò, preferibile che venisse soppresso.

ROSSI PAOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROSSI PAOLO. Io vorrei esprimere un parere personale decisamente contrario così all’articolo 50 come all’emendamento proposto dal caro collega onorevole Mastino.

In questa disposizione c’è una grossa ingenuità che minaccia di sminuire la serietà che abbiamo cercato di conferire alla Carta costituzionale. Io non credo all’equazione istituita da certa scienza giuridica moderna, e non solo fascista, fra lo Stato ed il diritto. Non voglio riconoscere nello Stato la fonte unica del diritto. Ma sono obbligato a credere all’equazione fra lo Stato e la legge positiva: non si concepisce né lo Stato senza una legge positiva, né una legge positiva senza lo Stato.

Ora, basta questa premessa per vedere la intollerabile antinomia di una disposizione legislativa, e quindi di carattere positivo, che preveda la conseguenza giuridica di una contrapposizione non fra lo Stato ed il diritto naturale, ma fra lo Stato e la legge positiva, cioè l’ipotesi di una crisi assoluta della giuridicità, e mentre la prevede, come situazione antigiuridica, pretende anche di regolarla giuridicamente. Questa contrapposizione si è verificata tante volte e si può, purtroppo, verificare anche nell’avvenire. Nessuno è in grado di escluderlo. Ma allora si apre una fase metagiuridica, una fase potenzialmente rivoluzionaria nella quale, non la legge ma altri valori ed altri elementi in contrasto fra loro, come la forza o la moralità o la fortuna determinano in definitiva la condotta degli uomini ed il corso della storia.

La pretesa di disciplinare legalmente l’insurrezione, come si vorrebbe, è infantile. La rivolta contro i pubblici poteri è giudicata, giustificata o condannata volta a volta dal successo o dall’insuccesso.

Nella filosofia del diritto, nella filosofia morale e perfino nella teologia – mi pare di ricordare un passo di San Tommaso, si è giustificato il tirannicidio. Ed io vorrei apportare un ramoscello di mirto a quella grande fronda che il poeta greco offriva ai tirannicidi Armodio e Aristogitone: «Carissimi Armodio e Aristogitone, vi donerò una spada cinta di mirto…».

Ma, o signori, nessuno ha mai pensato di dover scrivere nelle leggi positive il diritto al tirannicidio.

Una voce a sinistra. Questo non è scritto negli emendamenti.

ROSSI PAOLO. È scritto; perché quando si proclama il diritto e il dovere di insorgere contro gli atti contrari alla Costituzione naturalmente si applica il principio generale della proporzione: secondo il progetto, contro un atto che limiti la libertà di stampa si potrà protestare in un certo ambito, contro un atto che violi il diritto di esistenza dei cittadini si potrà, e dovrà, protestare ricorrendo alle armi ed anche massacrando i capi di un governo liberticida. (Interruzione del deputato Mastino Pietro).

Vogliamo ragionare per un momento in termini concreti? Dal Governo, dal Presidente della Repubblica, sono violate le libertà fondamentali. I cittadini insorgono e fanno molto bene. Il successo corona il loro movimento ed essi rovesciano il Governo dittatoriale per crearne un altro sostanzialmente legittimo. Credete che abbiano bisogno dell’emendamento Mastino per non andare in galera, quando proprio essi saranno ministri e quando il Presidente della Repubblica sarà tratto dal loro numero?

Accade sciaguratamente il contrario: la libertà è conculcata, e l’insurrezione soffocata nel sangue. Coloro che generosamente sono insorti contro la tirannia sono tradotti davanti alle Corti marziali. Credete che basti l’emendamento Mastino per salvarli dalla fucilazione?

Onorevole Mastino, queste sono cose che trascendono il diritto e la legge. Non si può trattenere il Tevere con una rete; non si può contenere la storia nei limiti di un emendamento.

E dico una parola anche sulla formulazione: «dovere della difesa». Qui è la mia mentalità di avvocato che mi fa ribellare. Supponiamo che io veda i miei diritti limitati. Cosa devo fare? Non è che abbia il diritto di insorgere: devo insorgere. E chi mi dà i mezzi? E poi sarebbe bello che io fossi oppresso nei miei diritti con la violazione delle norme costituzionali mediante un arresto arbitrario ed in un secondo momento anche processato per non aver difeso i miei diritti conculcati. Mi si potrebbe dire dal pubblico ministero: «l’ho fatto per saggiare la tua sensibilità costituzionale; ho visto che non hai protestato, vieni nuovamente in prigione».

GULLO FAUSTO. È simpaticamente assurdo.

ROSSI PAOLO. Non sono assurdo. Allora anche l’onorevole Musolino lo sarebbe; e non lo è affatto. Dice anzi una cosa ragionevolissima, quando osserva che il singolo cittadino può non essere giudice competente della costituzionalità o meno di una disposizione. Diventa assurdo quando propone di trasferire l’emendamento al plurale, sostituendo cittadini a cittadino.

Ma, onorevole Musolino, crede davvero che due o tre cittadini siano buoni e sicuri giudici in materia costituzionale solo perché tres faciunt collegium?

Non inseriamo disposizioni ingenue; salviamo la serietà del nostro testo statutario. O rimarremo nella intrinseca legalità costituzionale, e la Corte delle garanzie funzionerà contro errori ed abusi, oppure la Costituzione, da un lato o dall’altro, sarà fatta a brani con la violenza; e purtroppo allora la parola della legge non sarà più efficace! (Applausi – Congratulazioni).

PRESIDENTE. L’onorevole Nobili Tito Oro ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il comma col seguente:

«È legittima la resistenza dei singoli cittadini e delle collettività alla violazione, per parte dei pubblici poteri, dei principî di giustizia e di libertà e dei diritti garantiti dalla Costituzione».

Ha facoltà di svolgerlo.

NOBILI TITO ORO. Sono spiacente, onorevoli colleghi, di trovarmi in così profondo disaccordo con l’onorevole Rossi. La legittimazione della resistenza opposta alla violazione dei diritti garantiti dalle Costituzioni non è una novità creata dalla ingegnosità capricciosa della Commissione e sostenuta dalle correnti estremista dell’Assemblea per spirito fazioso o magari soltanto demagogico. Che a sostenere, nel momento in cui si trova investita dalle correnti antiliberali o pseudo liberali, la disposizione del secondo comma dell’articolo 50, non si ritrovino oggi nemmeno coloro che ne furono gli autori e che la patrocinarono e la fecero approvare in sede di Commissione, può essere prova delle considerazioni di opportunità e di convenienza che orientano mutevolmente, in relazione ai mutevoli momenti della vita politica le altre parti dell’Assemblea; ma non è certamente prova della insostenibilità giuridica del principio che la disposizione afferma.

Il Romagnosi nella Scienza delle Costituzioni e il Carrara nella Parte speciale del suo Programma, sostengono già, col dominante pensiero dei filosofi del diritto e dei giuspubblicisti di ogni paese, che, se la volontà statale deve presumersi sempre giusta, è altrettanto vero che essa non è se non un’idea, che di volta in volta va tradotta in fatto da organi che possono sostituire ad essa la propria volontà individuale, defettibile come quella di ogni uomo.

La questione consiste dunque nel risolvere se anche di fronte ad essi il cittadino che vede violati i propri diritti debba piegarsi in omaggio alla qualità pubblica di chi li viola o se possa difenderli e difendersi: se cioè, opponendosi all’attività in eccesso del pubblico potere, il cittadino perpetri un delitto o se non piuttosto eserciti un diritto, detto di resistenza.

Il diritto di resistenza all’arbitrio fu rigorosamente consacrato nel diritto pubblico inglese fin da quando l’Inghilterra, dopo la memorabile sua rivoluzione, conquistò le libertà politiche (Loch, Algermon, Sydney, Milton ecc.). E la costante tradizione inglese osservò il principio della limitata obbedienza, della quale era corollario il diritto di resistenza, anche collettiva, all’arbitrio degli organi del potere.

Anche nel Belgio le discussioni avvenute nel 1830, per la nuova Costituzione, assodarono in modo non dubbio il diritto dei cittadini di rifiutare obbedienza e, occorrendo, di opporre la forza ai provvedimenti illegali dell’Autorità e a qualunque atto illegalmente esercitato. E in Francia prevalse fin dal 1826, malgrado le incertezze determinate dal Codice penale del 1810, la tesi propugnata con grande vigore da Dupin nel celebre processo Isambert, tesi cui fecero adesione tutti i luminari del foro francese, e per la quale «si deve obbedire senza riserva a tutto ciò che è legale, e si deve resistere senza preoccupazione a tutto ciò che è arbitrario». Da allora parecchi codici penali hanno consacrata questa massima, quale più quale meno esplicitamente. L’ora tarda, la mia discrezione e la chiara esposizione che ne ha fatta il collega onorevole Mastino mi vietano di soffermarmi ancora sul richiamo alla legislazione nostra al riguardo, dal Codice Zanardelli a quello Rocco, dall’articolo 199 di quello agli articoli 51 e 52 e 336-343 di questo, all’articolo 4 del decreto legislativo Tupini 4 settembre 1944, n. 184, portante modificazioni al Codice penale, dove viene richiamato il principio solennemente consacrato nel Codice Zanardelli, pel quale non si applicano le disposizioni degli articoli 336-343 del Codice penale «quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio ovvero il pubblico impiegato abbia dato causa al fatto preveduto negli stessi articoli, eccedendo con atti arbitrari i limiti delle sue attribuzioni».

Dati questi precedenti appaiono davvero strane le preoccupazioni che hanno fatto vedere nel secondo comma dell’articolo 50 qualche cosa di nuovo e di pauroso e che hanno portato l’onorevole Rossi a parlare d’ingenuità di una pretesa nostra di far legittimare preventivamente la rivoluzione, forse – secondo il suo concetto della nostra ingenuità – proprio la rivoluzione sociale; strane soprattutto in quanto provengono da un collega di alto intelletto e di elevata coltura giuridica, che ha attivamente partecipato alla elaborazione della Costituzione in tutti i suoi elementi, a cominciare dalla riconsacrazione di tutte le rivendicate libertà e di tutti i diritti politici. Ma non è evidente che codeste libertà e codesti diritti resterebbero «nomi vani senza soggetto», qualora non si appoggiassero a una azione protettiva, a quella azione che accompagna ogni diritto e senza la quale il diritto non si concepisce? Il comma che stranamente spaventa non è se non il corollario, logico prima che giuridico, di tutti i diritti di libertà e di tutti i diritti politici garantiti dalla Costituzione. In che consisterebbe tale garanzia, se i singoli cittadini e le collettività dovessero considerarsi obbligati alla obbedienza passiva anche di fronte ad atti e ad ordini della pubblica Amministrazione che manomettessero quei principî e quei diritti?

La resistenza non è un’aggressione e tanto meno una rivoluzione; essa è una difesa. Perché astenersi dall’insegnare al popolo che questa difesa, in situazioni eccezionali, sarebbe non soltanto legittima ma doverosa?

Io sono convinto che esso, se fosse stato posto a tempo avanti a questo insegnamento, se lo avesse inteso e assorbito, avrebbe saputo impedire, pur senza fare la rivoluzione, i primi successi del fascismo.

La resistenza è un fatto episodico, non può confondersi né con una rivoluzione né con una insurrezione; per lo più è anzi un episodio locale, del quale l’importanza non può tuttavia essere disconosciuta per la ripercussione inevitabile che è destinata ad avere sui pubblici poteri; i quali dal vigile senso di difesa dei propri diritti da parte del popolo, dovranno trarre la persuasione che la sedizione dei poteri contro la legge non sarà più tollerata e che male si attenerebbe da chicchessia ai diritti che il popolo ha rivendicati coi sacrifici e col sangue.

È da concludere che gli avversari non rilevano nemmeno il fatto che l’enunciazione di un principio, ormai così universalmente riconosciuto, nella Costituzione che stiamo elaborando, oltre che conferire ad essa pregio di completezza, costituirebbe insegnamento e monito pel popolo, pei governanti, per tutti i rivestiti di pubbliche funzioni; eserciterebbe azione educativa per tutti, contribuirebbe alla formazione della coscienza dei diritti e dei doveri in tutti i cittadini e presso i pubblici poteri, e finirebbe per spiegare una efficace azione di prevenzione generale di eccessi e di abusi da una parte e dall’altra.

Le libertà sistematicamente governate dalla polizia costituiscono un’offesa permanente alla dignità del popolo; affidiamole al buon senso del popolo, alla sua responsabilità, ed esso se ne costituirà geloso custode senza incorrere né in eccessi né in abusi: non umiliamoci di fronte al fascismo, che coll’articolo 52 del Codice Rocco riconobbe la non punibilità del fatto commesso per la difesa di un diritto proprio o di altri. Di questi criteri e di questi convincimenti si fa eco, onorevoli colleghi, l’emendamento del quale l’onorevole Presidente ha dato lettura nella formula da me proposta: «È legittima la resistenza dei singoli cittadini e delle collettività alla violazione, da parte dei pubblici poteri, dei principî di libertà e di giustizia e dei diritti garantiti dalla Costituzione». Io ho consacrato il principio che, ormai acquisito al diritto pubblico e a quello penale in specie, si trova sintetizzato nell’articolo 4 del già richiamato decreto legislativo luogotenenziale Tupini del 4 settembre 1944, n. 184. Non ho fatto che estenderlo esplicitamente a un corollario che già automaticamente operava perché implicito, dichiarando legittima la resistenza delle collettività al pari di quella dei singoli cittadini, essendo logico che, quando la violazione non leda soltanto i diritti dei singoli, siano le collettività danneggiate abilitate a difenderli e a resistere alla loro violazione.

C’è qualcuno che possa supporre che l’onorevole Tupini abbia voluto assumere, col ripristino di una norma positiva che risale al lontano 1889, un atteggiamento barricadiero?

Si pensi, a questo riguardo, quanto efficace sarà per risultare l’avvertimento dato in sede di Costituzione ai pubblici poteri che, in caso di debordamene, di transvalicazioni, di soprusi, essi potrebbero trovarsi di fronte alla resistenza già legittimata non soltanto passiva o difensiva ma anche repressiva delle moltitudini esasperate; e si avrà una esatta nozione della funzione di contenzione e di inibizione che la norma potrà esercitare. Restava l’ultima questione: questa resistenza, che è indiscutibilmente un diritto, è anche un dovere?

Dal punto di vista sociale non può esser dubbio che correggere e respingere l’abuso e il sopruso dei pubblici poteri, difendere un diritto di libertà o un diritto politico, sia anche un dovere. Ma non volendo illudermi sulle disposizioni dell’Assemblea e non volendo spendere opera inutile, ho fatto una volta tanto un compromesso con me stesso, rinunziando all’affermazione del dovere: quello che preme è che non si pregiudichi e non si renda impossibile l’affermazione del diritto, e a questa mi sono fermato con un senso di misura che, voglio augurarmi, sarà apprezzato.

Non ho avuta la possibilità di conoscere l’emendamento Mastino; mi pare di aver capito che esso prevede la punizione, quando si sia spiegata resistenza, senza che esistessero i presupposti atti a legittimarla, cioè l’abuso da parte dei pubblici poteri.

Mi pare che questa aggiunta, per quanto sostanzialmente giusta, sia superflua: quando si è affermato che è legittima la resistenza alla violazione dei principî di libertà e di giustizia e dei diritti garantiti dalla Costituzione, s’intende che la legittimazione della resistenza trova la condizione limite nella perpetrazione da parte dei pubblici poteri di un eccesso, di un abuso, di un sopruso.

Ma, se nell’atto al quale siasi opposta resistenza non si ravvisino tali caratteristiche, è di evidenza assiomatica e non ha bisogno di essere proclamato in sede di Costituzione, perché discende dalla esegesi della norma già discussa, che, non essendo suscettibile di legittimazione la resistenza opposta fuor dei casi che la legittimazione consentono, essa debba essere punita a norma della legge penale.

L’aggiunta di questo concetto è dunque, come dicevo, superflua: affermata la legittimità di una ipotesi, viene ad essere automaticamente affermata la illegittimità della ipotesi contraria.

Con questa precisazione io voglio concludere che mi premeva di raccomandare l’affermazione di un principio; ho proposta una formula che mi pare la più suscettibile di un allargamento dei consensi; se mi fossi ingannato, dichiaro di esser pronto sia ad associare il mio emendamento a quello Mastino, sia a votare il testo della Commissione. L’essenziale è che le proclamazioni dei principî di libertà e di giustizia e dei diritti politici non restino una lustra beffarda e che nella Costituzione si stabilisca almeno la più elementare delle sanzioni per il caso che i pubblici poteri abbiano a manometterli e a farne scempio. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Candela ha proposto di sopprimere il secondo comma.

Prego l’onorevole Ruini di esprimere il parere della Commissione sui nuovi emendamenti.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Come ho dichiarato ieri, i commissari sono divisi d’opinione. Il testo primitivo rimane soltanto pel criterio formale dell’ordine di votazione. Ogni commissario, poi, voterà come crede.

BETTIOL. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BETTIOL. A nome mio e di un gruppo di amici dichiaro che, pur riconoscendo che da un punto di vista speculativo, filosofico e morale, ed anche da un punto di vista storico, l’affermazione di cui al capoverso dell’articolo 50 è fondata, sul piano concreto e sul piano della opportunità, nell’ambito del diritto positivo questa disposizione rappresenta in concreto una disposizione inutile, perché cerca di sancire i rapporti fra diritto positivo da un lato e rivoluzione dall’altro, rapporti che non si possono mai risolvere in termini di diritto positivo.

Per questi motivi dichiaro che voterò a favore della soppressione del capoverso.

Presidenza del Presidente TERRACINI

GULLO FAUSTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO FAUSTO. Noi siamo per il mantenimento dell’articolo 50 nel testo proposto dalla Commissione.

L’onorevole Paolo Rossi, che porta in ogni discussione di casi pratici tanto sussidio di risorse teoriche, è caduto, secondo me, nell’errore di chiudere il suo ragionamento fra due estremi: un popolo che supinamente si genuflette alla tirannia, ed un popolo che senz’altro passa alla rivoluzione. Evidentemente vi è un lungo cammino tra questi due estremi, ed egli passava dall’uno all’altro senza fermarsi nelle fasi intermedie. Vi è la maniera di resistere all’atto arbitrario del potere, anche senza arrivare allo scoppio rivoluzionario. Quel che egli diceva circa la equazione: Stato – legge positiva, è vero; ma egli non si avvedeva che col suo ragionamento stabiliva una diversa e strana equazione: Stato – potere esecutivo, che non è la stessa cosa. Noi possiamo avere una legge, ossia uno dei termini dell’equazione che egli stabiliva (Stato – legge positiva), ma possiamo avere un organo esecutivo che non applichi o che applichi arbitrariamente la legge, ossia si ponga esso in stridente contrasto con lo Staio e con la legge.

UBERTI. Ed il potere legislativo?

GULLO FAUSTO. Vorrei richiamarmi anche ad un motivo non teorico, ma sostanzialmente e squisitamente pratico, che mi è suggerito dal ricordo del codice zanardelliano, il quale conteneva il famoso articolo 199 con cui affermava un alto principio di libertà. L’articolo 199, infatti abilitava il cittadino a resistere all’atto arbitrario del pubblico funzionario: questa disposizione non fu riprodotta nel codice fascista; il fascismo, anzi, giustificò la cancellazione di questa norma, affermando di non riconoscere al cittadino il diritto di ribellarsi all’arbitrio del pubblico potere. In realtà, il principio è così radicato in noi che, nonostante il silenzio della legge, anche sotto il fascismo si trovò il modo di attuarlo, facendo ricorso ad altre norme.

A me pare che nella nuova Costituzione noi dobbiamo affermare il diritto del cittadino di ribellarsi all’arbitrio e alla tirannia. Noi non legalizziamo, così, la rivoluzione, perché, onorevole Rossi, se noi muoviamo da questa premessa, si deve andare anche più in là del suo ragionamento. Ma quale Costituzione ha fermato mai un popolo dal conquistare i suoi diritti o un tiranno dal calpestare i diritti stessi? Nessuna Costituzione è riuscita a ciò. Quindi, se noi partiamo da questa premessa, noi dobbiamo dire che non questo solo articolo, ma anche tutti gli altri in cui si consacrano i diritti dell’uomo e del cittadino sono anche essi inutili, perché lei, amico Rossi, può benissimo immaginare un tiranno che nonostante tutte le Costituzioni di questo mondo vada avanti nel suo cammino, così come può immaginare un popolo che riconquisti i suoi diritti nonostante le leggi liberticide che possono esserci in un determinato momento storico.

Se noi partiamo da questa premessa, c’è da andare senz’altro all’anarchia. Non dico che questa non sia una nobile idealità; ma in questo momento noi non ci muoviamo su questo piano; in questo momento noi cerchiamo di dare forma giuridica a principî che dureranno fino a che dureranno. Niente di eterno, siamo d’accordo, ma non è questa la premessa da cui bisogna partire dal momento in cui si giustifica, e si deve giustificare, lo articolo 50 della Costituzione, il quale afferma, ripeto, questo diritto del cittadino a ribellarsi all’atto arbitrario dell’autorità. Io non mi soffermo nemmeno sul valore di prevenzione che ha questa norma, ed a cui ha fatto opportuno richiamo l’onorevole Nobili Tito Oro. È un monito che si dà all’autorità: se essa decampa dai limiti legittimi, avrà di fronte il cittadino col suo diritto di ribellarsi.

Non è detto che quest’atto del cittadino debba assumere la forma estrema dell’atto rivoluzionario. Ci sono tante maniere di ribellarsi. Affermare questo principio non significa altro che dare concreta attuazione a quegli altri diritti che noi abbiamo affermato nella parte generale della Costituzione, i diritti del cittadino, i diritti dell’uomo. Se questi diritti sono violati o offesi dall’autorità costituita, i cittadini offesi, e come collettività e come singoli, hanno il diritto di ribellarsi. Non solo, ma giustamente l’onorevole Mastino diceva anche che viene meglio giuridicamente giustificata la norma del Codice penale se noi affermiamo questo principio nella Costituzione.

Per questo, anche a nome del mio Gruppo, dichiaro che noi voteremo per il mantenimento dell’articolo 50. (Applausi a sinistra).

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Mi pare che in questa discussione si sia manifestata una certa confusione di idee in ordine al significato da dare alla disposizione in esame, in quanto da una parte si è interpretata questa nel senso di comprendere in essa la resistenza contro atti particolari dell’autorità esecutiva ed in questo senso si è espresso or ora l’onorevole Gullo. Ma a me sembra che, intesa in questo senso la portata dell’articolo, non ci sia bisogno di effettuarne il riconoscimento nella Costituzione.

I precedenti già ricordati dall’onorevole Gullo hanno dimostrato come in passato sia stato possibile al diritto positivo sancire in determinati casi la legittimità del diritto di resistenza del cittadino contro gli atti dell’Autorità. Naturalmente l’ammissione di siffatto principio non può non essere coordinata con tutti gli altri principî, che regolano l’ordinamento dello Stato e anzitutto con quello della esecutorietà degli atti della pubblica autorità, principio al quale nessuno Stato potrebbe mai rinunciare.

Nell’ambito delle esigenze accennate è possibile alla legge ammettere in singoli casi il diritto di resistenza individuale; sicché una statuizione costituzionale in questo senso non ha ragion d’essere. Ma vi è un altro significato, con cui può intendersi il diritto di resistenza, ed è quello con cui è stato inteso dal progetto, che parla di resistenza contro l’oppressione. Con questo articolo si vuole individuare un caso particolare: quello, cioè, in cui i supremi poteri dello Stato opprimono la libertà, quando cioè siano eliminate, o non funzionino tutte le garanzie di carattere giuridico costituzionale. Noi abbiamo creato un insieme di garanzie atte a preservare dalla violazione dei diritti anche di fronte ai supremi organi dello Stato.

Ora quando si verifichi l’ipotesi che tutte queste garanzie siano esaurite e quando la stessa Corte costituzionale abbia convalidato con la sua sentenza l’atto arbitrario della pubblica autorità, in questo caso il cittadino – secondo il significato della disposizione proposta – non deve acquietarsi alla violazione dei diritti supremi, garantiti dalla Costituzione come inviolabili, ma deve ribellarsi. Intesa in questo senso la disposizione, ci si deve chiedere: è opportuno che essa sia inserita nella Costituzione? Circa la sostanziale esattezza e, vorrei dire, la santità di questo principio, nessuno potrebbe sollevare delle obiezioni, e tanto meno noi cattolici, poiché è tradizionale nel pensiero cattolico l’ammissione del diritto naturale alla ribellione contro il tiranno. Ci sono scrittori cattolici che riconoscono la legittimità perfino della soppressione del tiranno. Quindi non è al principio che noi ci opponiamo, ma alla inserzione nella Costituzione di esso, e ciò perché a nostro avviso il principio stesso riveste carattere metagiuridico, e mancano, nel congegno costituzionale, i mezzi e le possibilità di accertare quando il cittadino eserciti una legittima ribellione al diritto e quando invece questa sia da ritenere illegittima.

Siamo condotti con questa disposizione sul terreno del fatto, e pertanto su un campo estraneo alla regolamentazione giuridica.

Si è detto che questo articolo potrebbe avere un valore educativo, e questo è vero. Ma bisogna allora stabilire se la Costituzione debba essere un testo di legge positiva, oppure un trattato pedagogico.

In riferimento al carattere di testo legislativo che a nostro avviso la Costituzione deve rivestire, io ed i miei colleghi di Gruppo riteniamo che non sia opportuno sancire un tale principio nella Costituzione, ed è per questi motivi e con questo significato che dichiariamo di votare per la soppressione dell’articolo 50. (Applausi al centro e a destra).

PRESIDENTE. Chiedo ai presentatori di emendamenti se vi insistono.

Onorevole Mastino Pietro, mantiene il suo emendamento sostitutivo?

MASTINO PIETRO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. E lei, onorevole Musolino?

MUSOLINO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Nobile?

NOBILE. Lo ritiro per associarmi a quello dell’onorevole Mastino.

PRESIDENTE. E lei, onorevole Nobili Tito Oro?

NOBILI TITO ORO. Lo ritiro e mi associo a quello dell’onorevole Mastino.

PRESIDENTE. Voteremo dapprima la soppressione del comma per dare ai colleghi che la respingessero la possibilità di pronunziarsi su una delle due formulazioni presentate.

Ricordo che le proposte di soppressione sono state fatte dagli onorevoli Colitto, Bozzi, Bosco Lucarelli, Rodi, Caroleo, Della Seta, Azzi, Terranova e Candela.

Pongo in votazione la soppressione del secondo comma dell’articolo 50:

«Il cittadino ha il diritto e il dovere di difendere, contro ogni violazione, le libertà fondamentali, i diritti garantiti dalla Costituzione e l’ordinamento dello Stato».

(Dopo prova e controprova, è approvata).

Onorevoli colleghi, è rimasto ancora da esaminare l’ultimo comma dell’articolo 94, del seguente tenore:

«I magistrati non possono essere iscritti a partiti politici o ad associazioni segrete».

Ricordo che l’onorevole Clerici ha già svolto il seguente emendamento:

«Sostituire il comma col seguente:

«La legge potrà stabilire limitazioni al diritto di iscrizione ai partiti politici per i magistrati; per i militari in servizio attivo; per i funzionari e gli agenti di polizia; per i rappresentanti consolari e diplomatici all’estero».

Prego l’onorevole Ruini di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Poiché i membri della Commissione sono divisi in questa materia, la Commissione, come tale, non può esprimere un parere. Una corrente nella Commissione sostiene che debba essere ammessa un’esclusione, sostenuta anche dalle associazioni dei magistrati, come necessaria ad assicurare la indipendenza e l’imparzialità dell’ordine giudiziario e di alcune categorie di funzionari che presentano caratteristiche speciali. Un’altra corrente osserva che la determinazione delle categorie, che si fa in questo articolo, non è a contorni netti (ad esempio i prefetti potranno iscriversi ai partiti), e che non si eviterà che coloro che non possono essere formalmente iscritti in un partito prendano egualmente parte alla sua vita ed alla sua azione.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Io non mi occupo di questo articolo, in quanto concerne i magistrati e i diplomatici: non ho alcuna opinione al riguardo e non posso quindi pronunciarmi. Credo però di poter esprimere il mio avviso per quanto riguarda la carriera di militare e di agente di polizia. La mia opinione è questa: sia ai cittadini in generale, come ai partiti politici (tranne quello che, trovandosi al potere, intenda mantenervisi indefinitamente, anche contro la volontà popolare) non può convenire che militari di professione – vale a dire: ufficiali e sottufficiali di carriera e ufficiali e agenti di polizia – siano iscritti ad un partito politico, e quindi siano tenuti ad una disciplina di partito. Questa è cosa, ripeto, che ai cittadini in genere non può convenire, e non può convenire nemmeno ai partiti che non si trovino al potere.

Per conseguenza sono del parere che l’emendamento Clerici sia mantenuto, almeno per quanto riguarda i militari di carriera e gli agenti di polizia.

Una voce. L’esercito, insomma!

NOBILE. Sì, ad ogni modo sia mantenuto per l’esercito.

È vero che non è escluso che ci si possa iscrivere in modo, dirò così, clandestino; ma, naturalmente, esponendosi alle conseguenze legali che ne derivano.

Ripeto che non conviene a nessuno che i quadri delle Forze armate si mescolino alla politica. Esse devono servire a presidiare lo Stato, e pertanto debbono essere mantenute fuori e al di sopra dei partiti politici.

Questa è la mia opinione.

TONELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Onorevoli colleghi, io dichiaro subito che sono fautore della piena libertà di tutti i cittadini, di tutte le categorie, di appartenere a qualsiasi fede e a qualsiasi partito, e di militare per questa o quella fede, questo o quel partito, e di farne propaganda. Perché, se noi facciamo delle distinzioni fra categorie e categorie di cittadini, non so dove si vada a finire.

Per esempio, voi, colleghi democratici cristiani, vorreste voi votare una legge che, in fondo in fondo, proibisca ad un sacerdote che ha cura d’anime, e che come tale compie una pubblica funzione riconosciuta dallo Stato, di appartenere al vostro partito? (Commenti al centro). È perfettamente libero un sacerdote di militare nelle vostre file e di fare propaganda a favore del vostro partito. Ed è naturale che sia così, onorevoli colleghi. (Commenti al centro).

Una voce al centro. I sacerdoti, per diritto canonico, non possono appartenere a partiti politici.

TONELLO. Io sono vissuto tanti anni al servizio dello Stato, e prima dei Comuni, ed ho sempre professato le mie idee. Nell’esercizio della mia professione non ho mai avuto appunti, nemmeno dagli avversari più decisi, perché la mia coscienza di uomo mi suggeriva e mi imponeva che, quando compivo quella data funzione pubblica, dovessi essere al di sopra di quelle che erano le mie particolari convinzioni religiose e politiche. E così è per gli altri funzionari. Ma lasciate alla discrezione degli uomini, che hanno un incarico e hanno una missione nello Stato, di regolarsi secondo la propria coscienza. E poi, quand’anche voi faceste questa proibizione, a che cosa essa gioverebbe? A niente.

Credete voi che quelli che fanno parte della massoneria – e ce ne sono tanti qui dentro, anche in mezzo a voi… (Ilarità – Commenti al centro)credete voi che, se ci fosse questa proibizione di appartenere alla massoneria, non ci sarebbero poi i gesuiti cattivi, che fingono di non essere iscritti e lo sono lo stesso? (Commenti al centro).

E così, egregi colleghi, lasciamo la libertà all’individuo; e soprattutto non facciamo eccezioni per quelli della pubblica sicurezza, per la polizia. Amico Nobile, io mi augurerei che, quando v’è il popolo in piazza che protesta per la fame e per la miseria, invece di avere dei poliziotti apolitici che sparano, vi fossero dei compagni. (Commenti a destra e al centro). Quello che importa, onorevoli colleghi, è che i cittadini abbiano la coscienza di difendere la loro dignità personale; ma non obbligate nessuno a firmare dei giuramenti che poi di fatto non si possono mantenere!

È perciò io vi domando che non imponiate queste violazioni di coscienza. Si può militare nei partiti anche più rivoluzionari ed essere cittadini nel più vero e nobile senso della parola! (Applausi a sinistra).

CIFALDI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIFALDI. Se fosse possibile, chiederei addirittura che tutti i magistrati dovessero essere iscritti nei partiti, i quali sono in vita in un Paese come l’Italia; perché, onorevoli colleghi, il mio punto di vista è questo: in punto di fatto, è indiscutibile e credo che non possa essere negato che ciascun magistrato abbia e debba avere le sue idee politiche. È impossibile che il magistrato, il quale ha quotidiani contatti con tutte le esigenze e le vicende umane, non abbia dei concetti decisi e non abbia una tendenza politica.

Ora, qual è, onorevoli colleghi, la preoccupazione? Che il magistrato, essendo palesemente iscritto ad un partito, possa vedere vincolata la sua libertà di coscienza da obblighi di partito.

Questa può essere una preoccupazione, ma, onorevoli colleghi, guardiamo il lato inverso; esaminiamo cioè se non sia preoccupante impedire ufficialmente che un magistrato possa liberamente partecipare ad un partito e propagandare le proprie idee e vivere attivamente nei movimenti ideologici, sociali, politici di un Paese, nascondendole così praticamente agli altri. Quando in un processo politico si sa da tutta l’opinione pubblica a quale partito appartengono il magistrato inquirente, i membri del collegio giudicante e il rappresentante dell’accusa, mi sembra che il controllo da parte della pubblica opinione sia più facile ed evidente, e mi sembra che si possa impedire, con maggiore agevolezza, che colui, il quale rappresenta una tendenza, possa essere schiavo o soggetto a seguire la tendenza stessa nell’emettere la sua decisione. Si può da parte di un magistrato non appartenere ufficialmente ad un partito, ma tuttavia essere da tutti conosciuto appartenere egli ad una tendenza; e allora quella legittima suspicione, a cui da qualche collega è stato accennato, può essere sollevata, poiché è impossibile pretendere che un magistrato non abbia una idea e non la debba mai manifestare. Insomma, anziché costringere il magistrato a mimetizzare il proprio pensiero, è più vantaggioso che si sappia chiaramente in che campo egli milita. In questo modo, il magistrato verrà ad essere, oltre che dalla pubblica opinione, controllato da se stesso, in quanto il magistrato di cui si conoscono le idee politiche o le tendenze non potrà giustificare una decisione eventualmente ingiusta che egli possa prendere. Il magistrato saprà in tal caso di dover rendere conto, non solo alla critica del magistrato d’appello, ma anche alla pubblica opinione.

Per questa ragione io penso che non si debba statuire nessun divieto in ordine a questo punto. E ciò anche per un riguardo, per un rispetto a questa Magistratura, che noi vogliamo assisa ad un posto di prestigio e di riguardo. Sarebbe veramente strano che oggi noi negassimo ai membri di una classe, che ha il compito più delicato nella vita civile, di appartenere ad un partito. Si verrebbe così a creare quasi un’oasi avulsa dalla società, e questo sarebbe assurdo. Un consesso politico come il nostro non può sanzionare – a meno, a mio avviso, di sanzionare una ingiustizia – l’ultima parte dell’articolo 94. Ecco perché io voterò contro l’inclusione dell’ultimo comma dell’articolo 94 nella Costituzione.

CANDELA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CANDELA. Soltanto due parole. Apprezzo quanto ha detto l’onorevole Cifaldi e ciò che ha detto va bene per una Repubblica ideale, per la Repubblica di Platone (Approvazioni), perché non penso che si possa andare al di là di quello che i magistrati hanno sentito ed espresso in un ordine del giorno votato non dalla maggioranza, ma dalla totalità. (Approvazioni). La totalità della classe ha chiesto e chiede all’Assemblea Costituente che ponga nella Costituzione una norma inibitiva dell’appartenenza ai partiti politici. E la ragione c’è. C’è la ragione, perché noi abbiamo distinto in questa Costituzione fra le varie carriere ed abbiamo posto come elemento fondamentale di ogni principio la giustizia e la garanzia che questa giustizia sia resa, perché è la base vera di ogni democrazia.

Ora, se gli amministratori di questa giustizia dovranno essere i partigiani di un’idea che dovranno servire, non vi sarà più garanzia; sono essi liberi nelle loro simpatie politiche ma non dovranno partecipare alla vita dei partiti, perché nel calore della lotta le passioni trascendono e anche le coscienze intemerate e più nobili sono trasportate dalla passione di parte. E penso che il mio collega, che è un valoroso avvocato penalista, tutto questo deve conoscere quanto me e meglio di me. Non dico che i dissensi di un piccolo gruppo trasformino le amicizie dall’oggi al domani, come spesso accade, ma è opportuno che magistrati che della vita della società soffrono e vivono le passioni restino fuori della mischia. È bene che questi magistrati siano al di sopra di ogni sospetto e non si asservano alla partitocrazia in atto. Avrei potuto comprendere nei tempi lontani questa partecipazione che pur non vi era, quando con il collegio uninominale non vi era rapporto di subordinazione fra l’uomo politico e la direzione del partito. Oggi gli uomini politici dipendono dai partiti; sono le direzioni del partito che ne indicano i nomi; sono le direzioni del partito che ne stabiliscono la linea di condotta; e le direzioni del partito non possono preoccuparsi della coscienza del giudice, ma si preoccupano della obbedienza dell’appartenente al partito. Tutto questo teoricamente non è bello; lo so, caro Cifaldi, ma teoricamente niente è necessario, anche la legge e tanto più i carabinieri potrebbero essere superflui per gl’individui che vivono in piena libertà se hanno l’educazione di sentire il limite dei loro doveri e dei loro diritti. Ed allora penso che accogliendo il voto unanimemente espresso da questa nobile classe che dà un’altra prova del suo disinteresse, del suo amore ed attaccamento al dovere, l’Assemblea oggi approvi la disposizione costituzionale così come è stata proposta dalla Commissione. (Applausi al centro e a destra).

COLITTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Anche il mio Gruppo pensa che il voto dei magistrati debba essere accolto. Il magistrato, per le altissime funzioni che esercita, è al di sopra dei partiti politici. Non può, perciò, essere iscritto ad un partito. Non poche altre ragioni, del resto, inducenti a questa esclusione sono state indicate con esattezza proprio da quella classe veramente benemerita della Patria. Sì, il magistrato può avere, ha indubbiamente, come diceva l’onorevole Cifaldi, le sue idee e le sue opinioni politiche; ma l’avere idee ed opinioni politiche è qualche cosa di molto diverso dall’appartenenza ad un determinato partito. L’appartenenza al partito importa diritti, ma importa anche oneri e doveri e legami, che sono incompatibili con l’esercizio delle funzioni di magistrato. (Approvazioni).

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Anche a nome del Gruppo dell’Unione nazionale, mi associo a quanto hanno detto gli onorevoli Candela e Colitto. Il magistrato può benissimo avere delle idee ma, secondo noi, è bene che non abbia dei legami.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Ho chiesto la parola per domandare un chiarimento al buon amico onorevole Clerici. In questa sua proposta non si parla dell’eleggibilità. Vorrei sapere se nel suo concetto vi è anche quello dell’ineleggibilità del magistrato, perché altrimenti vedrei ancora meno ragionata questa sua proposta. Se da una parte si ammette che il magistrato possa diventare deputato o senatore, è strano che dall’altra una legge gli possa vietare l’unica strada che può battere per essere portato candidato. La strada maestra.

Ed un’altra osservazione mi permetto fare, in linea di fatto. Si è detto qui che questo divieto – che veramente, per la portata della proposta del collega Clerici non è un divieto che si mette nella Costituzione, ma è una possibilità di divieto che si attribuisce alla legge futura ed io con molti altri colleghi mi auguro che il legislatore futuro non ponga questa limitazione – sia conforme alla volontà della stessa magistratura.

Bisogna essere precisi. Come tutti voi avete letto in questi giorni, la stampa ha dato pubblicità dei risultati di un referendum, un referendum che in cifre tonde ha portato a questi risultati: circa 1250 magistrati contro l’esercizio di questo diritto elementare, cioè di partecipare alla vita politica, soltanto 250 o 300 favorevoli alla piena libertà di iscrizione nei partiti. Però i magistrati sono circa 4000, quindi è un referendum che ha un valore molto limitato.

CLERICI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CLERICI. Io devo una risposta all’amico onorevole Targetti, e approfitto dell’occasione, se l’onorevole Presidente me ne dà il permesso, per chiarire questo mio emendamento in brevissimi minuti. Esso è diverso da quello presentato a suo tempo da me.

Evidentemente, dalla lettura dell’emendamento da me proposto, risulta chiaro che le preoccupazioni dell’onorevole Targetti non hanno ragione; e che cioè in questa disposizione, da me proposta, nessun divieto di eleggibilità è posto a qualsiasi ufficio o carica pubblica da parte dei magistrati. L’emendamento che avevo proposto alcuni mesi fa, allorché si parlò dell’argomento, aveva uno scopo: quello di estendere il divieto oltre alla classe dei magistrati, per i quali già vi era una disposizione nel testo del progetto di Costituzione, ad altre classi, le quali a mio avviso devono essere considerate in modo particolare non solamente rispetto alla generalità dei cittadini, ma anche rispetto alla categoria così vasta degli impiegati, funzionari e dipendenti statali; e cioè entro questa vasta classe degli impiegati, dei funzionari e dei dipendenti statali mi pare che si debba considerare a sé quella limitata categoria di essi, i quali, esercitando un’autorità dello Stato praticamente sui cittadini, sono o appaiono (il che è politicamente la stessa cosa), rispetto a costoro, lo Stato stesso. Il magistrato che ci giudica, il magistrato che ci può condannare a pene anche gravissime e che può decidere su oggetti che importano non soltanto questioni patrimoniali, ma anche questioni famigliari e di stato personale, il magistrato che ha questo terribile potere affidato allo Stato (il potere più alto che si può dare ad uomini); e del pari il funzionario e l’agente di pubblica sicurezza, che eseguono codeste sentenze e possono arrestare il cittadino, il militare in servizio attivo permanente ed anche, credo, il rappresentante ordinario dello Stato verso Stati esteri, o semplicemente all’estero, sia esso ministro od ambasciatore o console, deve non solo essere ma apparire assolutamente insospettabile.

Non deve sorgere nel povero diavolo, il quale vede giudici con distintivi di appartenenza a partiti diversi dal suo, il sospetto che costoro possano giudicarlo sfavorevolmente per ragioni di carattere politico. E non deve sorgere il sospetto, che l’agente di pubblica sicurezza, il carabiniere, il militare in servizio attivo permanente possono essere non i rappresentanti dello Stato ma di un partito, sia pure (sarebbe anche peggio) del partito che ha la maggioranza delle Camere e quindi detiene il Governo.

Lo Stato è superiore a tutte le maggioranze ed a tutti i Governi. Ecco perché io desidero che l’Assemblea consideri questa mia proposta come quella che salvaguarderebbe maggiormente la dignità dello Stato e la libertà dei cittadini. Ho però attenuato il primitivo concetto, e invece che porre un divieto nella Costituzione mi rimetto alla legge. E ciò perché troppi e complicati potevano essere i casi possibili, e non può darsi luogo a tale casistica nella Costituzione.

Che cosa sarà stabilito, se voteremo l’emendamento da me proposto? Questo principio: che contro il principio generale che nessun limite alla libertà di iscrizione a qualsiasi partito può essere posto al cittadino, e neanche al funzionario dello Stato, invece un limite alla libera iscrizione ai partiti, per questi particolari funzionari, che sono investiti del «jus imperii», questa limitazione è possibile nell’ambito e nelle forme che il legislatore futuro crederà del caso, adattandole alle condizioni ambientali e storiche.

La nostra Costituzione è fatta – speriamo – per un periodo di molti decenni: in tutto questo tempo si andranno trasformando le condizioni che suggeriranno limitazioni più o meno ampie col variare del tempo.

Queste limitazioni noi rimetteremo perciò alla legge futura. Noi per ora affermiamo il principio; e ritengo sia necessario affermarlo, perché se dicessimo nulla in proposito e ferma restando la norma generale della libertà del cittadino, per cui ciascuno può iscriversi a qualsiasi partito, domani potrebbe ritenersi illegittima ed anticostituzionale qualsiasi legge che stabilisse questo divieto per i carabinieri e le guardie di questura.

GIACCHERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIACCHERO. In sede di discussione del Titolo quarto ebbi a presentare un emendamento relativamente al divieto d’iscrizione ai partiti politici per i militari. Per le ragioni così chiaramente esposte dall’onorevole Clerici, che nel suo emendamento fa rientrare anche la parte che riguardava il mio, mi associo alle sue dichiarazioni.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Mi permetto di presentare un emendamento soppressivo, e, per una procedura più rapida, propongo che lo si voti per primo.

PRESIDENTE. Dato che v’è un solo testo, lo porrò in votazione. Chi non lo accetta, non lo vota.

RUGGIERO. Onorevole Presidente, anch’io ho presentato a suo tempo un emendamento soppressivo su questo argomento.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Se si porrà in votazione l’emendamento soppressivo, io voterò favorevolmente; se si porrà in votazione il testo proposto dalla Commissione, io voterò contro; per due ragioni. Prima di tutto, perché mi pare indispensabile riconoscere anche a pochi magistrati il diritto di iscrizione; questo diritto di iscrizione contrasterebbe con la grande maggioranza della Magistratura; ne viene come conseguenza logica che i pochi magistrati iscritti a partiti politici si porrebbero da se stessi un limite alla loro attività politica; il giorno in cui uscissero da questa autolimitazione, uscirebbero dalla Magistratura. Quindi, mi pare eccessivo negare questo diritto in modo assoluto.

Ma voterò contro per altra ragione, più importante.

Non possiamo limitare il nostro punto di vista ai magistrati, come d’altronde la Commissione stessa ha fatto, parlando anche di ambasciatori e di altri funzionari dello Stato.

Chi di noi potrebbe votare oggi favorevolmente alla disposizione costituzionale, per cui un ambasciatore non può essere tratto da un partito politico? Due grandi Paesi, come la Francia e gli Stati Uniti d’America, nei momenti più difficili hanno tratto i loro rappresentanti diplomatici presso Stati esteri, anche grandi potenze, da uomini politici che non facevano parte della carriera diplomatica. Sarebbe strano che noi considerassimo soltanto i magistrati e non le altre categorie.

È meglio rimandare al legislatore futuro. Credo che sia nell’interesse di tutti accantonare questa questione.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Credo largamente augurabile che, sia per i magistrati come per altre particolari categorie indicate negli emendamenti, possa accadere che, in aderenza anche al costume della prassi, lo spirito innegabilmente corporativo della professione debba preservare i partecipanti dalla passionalità politica.

Ma io voterò nel modo più assoluto contro il divieto posto nel progetto, perché mi pare una limitazione dei diritti del cittadino, inammissibile specialmente quando tutta la vita politica si svolge secondo una organizzazione di partiti e quando – senza fare adesso delle inutili manifestazioni di nostalgia del passato – è venuta meno, attraverso la caduta, speriamo soltanto temporanea, della monarchia, la possibilità di nomina dei più degni servitori dello Stato, dopo molti anni di acquisita consapevolezza di quelle che sono le esigenze dell’Amministrazione, a componenti di un ramo del Parlamento. Quando tutte le cariche sono divenute elettive, quando le elezioni nei due rami del Parlamento si svolgono sulla base della organizzazione dei partiti, ritengo assolutamente inammissibile che nella Costituzione possa essere posto il divieto, inevitabilmente di carattere generale, di appartenenza ai partiti, indistintamente, per tutte le categorie alle quali mi sono riferito.

PRESIDENTE. Desidero rammentare, in relazione al richiamo fatto giustamente dall’onorevole Ruggiero, che mentre si discuteva l’articolo della Costituzione, in cui era inserito il divieto per i magistrati di appartenere a partiti o ad associazioni segrete, erano stati presentati emendamenti soppressivi dell’intero comma, come anche formulazioni che lo emendavano in parte.

Gli onorevoli Damiani, Sardiello, Rossi Paolo e Varvaro avevano presentato in quel momento emendamenti aggiuntivi. L’onorevole Damiani il seguente:

«I magistrati non possono far parte di organi estranei alla Magistratura».

L’onorevole Sardiello aveva proposto la seguente formula:

«I magistrati non possono accettare cariche od uffici pubblici elettivi».

L’onorevole Rossi Paolo:

«I magistrati non possono esser chiamati a far parte di commissioni ed organi di carattere politico».

L’onorevole Varvaro: «i magistrati non possono essere destinati ad uffici estranei all’ordine giudiziario».

Chiedo ai quattro colleghi, se essi intendono in questa sede riprendere le proposte allora avanzate.

Gli onorevoli Damiani, Sardiello e Varvaro non sono presenti e quindi i loro emendamenti si intendono decaduti.

Onorevole Rossi Paolo, mantiene la sua proposta?

ROSSI PAOLO. Vi rinunzio, e aderisco alla proposta di rinvio all’ordinamento giudiziario.

PRESIDENTE. Possiamo mettere in votazione il testo proposto dall’onorevole Clerici, tenendo presente che alcuni colleghi avevano proposto la soppressione di qualsiasi testo contenente questo concetto nella Costituzione, e precisamente gli onorevoli Nobili Oro, Costa, Ruggiero e De Palma.

Do lettura del testo proposto dall’onorevole Clerici, sul quale voteremo:

«La legge potrà stabilire limitazioni al diritto di iscrizione ai partiti politici per i magistrati, per i militari in servizio attivo, per i funzionari e gli agenti di polizia, per i rappresentanti consolari e diplomatici all’estero».

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Vorrei pregare l’onorevole Clerici di aggiungere per maggior chiarezza dopo la parola «militari», le parole: «di carriera».

CLERICI. Accetto la proposta dell’onorevole Nobile.

CIFALDI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIFALDI. Desidero chiederle, onorevole Presidente, se non sia più utile votare prima sull’ultima parte dell’articolo, perché se fosse soppresso l’ultimo comma, sarebbe chiusa ogni discussione.

PRESIDENTE. Onorevole Cifaldi, la formulazione del progetto dell’ultimo comma dell’articolo 94 è abbandonata, perché la Commissione non l’ha mantenuta; è, quindi, evidente che non possiamo porla in votazione a meno che lei non la riprenda come suo emendamento.

CIFALDI. Faccio mio il testo del progetto.

ABOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ABOZZI. Anch’io propongo, come emendamento, l’ultimo comma dell’articolo 94 nel testo del progetto.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi: oltre al testo dell’onorevole Clerici, abbiamo adesso un emendamento costituito dall’ultimo comma originario dell’articolo, 94, del seguente tenore:

«I magistrati non possono essere iscritti a partiti politici o ad associazioni segrete».

Bisognerebbe però precisare se questa formulazione è sostitutiva dell’intero testo dell’onorevole Clerici, oppure se di questo rimane salva la disposizione che si riferisce ai militari, ai funzionari di polizia, ai rappresentanti consolari e così via.

CORBINO. Si potrebbe votare per divisione.

PRESIDENTE. Onorevole Corbino, la differenza non è costituita soltanto dalla inclusione nel testo Clerici di altre categorie alle quali sarebbe contestato il diritto di appartenenza a partiti politici. L’onorevole Clerici rimette la questione alla legge come una facoltà, mentre il testo dell’articolo 94 sancisce senz’altro una norma obbligatoria. Questa è la differenza sostanziale.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Credo che si farebbe cosa molto più comprensibile (esprimo quello che sento nel mio imbarazzo, che credo sia l’imbarazzo di molti colleghi) se arrivassimo ad un’altra soluzione. In fondo, che cosa propone l’onorevole Cifaldi? Facendo suo il testo della Commissione egli si propone di votare contro; quindi, vuole un rinvio alla legge. Il fatto che la Costituzione non ne parli non obbliga il futuro legislatore ad esaminare domani la materia. Quindi, in altre parole, significa rinvio al legislatore.

CIFALDI. Per i magistrati no, per le altre categorie sì.

LUSSU. Per tutti.

Che cosa si propone il collega Clerici? Si propone la stessa cosa, perché rinvia alla legge. Allora, tanto vale che ci mettiamo tutti d’accordo su un argomento così importante e non creiamo dissidi. Il futuro legislatore, per gli uni e per gli altri, esaminerà la questione.

PRESIDENTE. Ritengo che l’onorevole Lussu si sia fermato solo sulla proposta Cifaldi, senza considerare quella Abozzi. Ora, se non erro, l’onorevole Abozzi, riprendendo il terzo comma dell’articolo 94, non intende affatto votar contro; mentre l’onorevole Cifaldi lo ripropone al solo scopo di farlo cadere. Pertanto, resta sempre valida la proposta Abozzi.

LUSSU. Vuol dire che noi voteremo in maggioranza e Abozzi in minoranza.

PRESIDENTE. Onorevole Lussu, la prego, ho già risposto alle sue argomentazioni.

RUGGIERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUGGIERO. Desidero far notare che, avendo l’onorevole Cifaldi fatto suo il testo della Commissione relativamente all’ultimo comma dell’articolo 94, automaticamente sorge la necessità di porre in votazione la mia proposta tendente a sopprimere il comma, già presentata e svolta in sede di discussione di articolo 94.

PRESIDENTE. Sta bene. Procediamo ora alle votazioni.

Riapplicando la procedura adottata per la votazione di altro articolo, poiché vi sono due formulazioni diverse, per dare ai colleghi che chiedono la soppressione (qualora questa non fosse accettata) la possibilità di optare per l’una o per l’altra delle due formulazioni, porrò in votazione prima la proposta soppressiva; ove questa non passasse, porrò in votazione prima la formulazione Cifaldi-Abozzi e successivamente quella dell’onorevole Clerici.

CLERICI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CLERICI. Il mio emendamento sussisterebbe sempre, per la parte relativa ai non magistrati.

PRESIDENTE. Evidentemente, onorevole Clerici.

Pongo in votazione la proposta di sopprimere l’ultimo comma dell’articolo 94, testo del progetto, fatto proprio dagli onorevoli Abozzi e Cifaldi.

(Dopo prova e controprova, non è approvata).

Dobbiamo ora votare il testo proposto dagli onorevoli Abozzi e Cifaldi:

«I magistrati non possono essere iscritti a partiti politici o ad associazioni segrete».

UBERTI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Noi votiamo contro perché intendiamo votare a favore della proposta Clerici.

PRESIDENTE. Pongo ai voti la formulazione Abozzi-Cifaldi, testé letta.

(Non è approvata).

Dobbiamo ora votare il testo dell’onorevole Clerici.

NOBILE. Chiedo la votazione per divisione.

PRESIDENTE. Sta bene.

Pongo in votazione la prima parte della formulazione Clerici:

«La legge potrà stabilire limitazioni al diritto di iscrizione ai partiti politici per i magistrati».

(È approvata).

Pongo in votazione le altre categorie per divisione:

«per i militari di carriera in servizio attivo».

(È approvata).

«per i funzionari ed agenti di polizia».

 (È approvata).

«e per i rappresentanti diplomatici e consolari all’estero».

(È approvata).

L’emendamento dell’onorevole Clerici, salvo coordinamento, è stato dunque approvato nel suo complesso. Rimane salva anche la collocazione.

Il seguito di questa discussione è rinviato alla seduta pomeridiana.

Avverto che, in principio di seduta, si procederà alla votazione a scrutinio segreto dei disegni di legge approvati questa mattina.

La seduta termina alle 13.5.