Come nasce la Costituzione

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POMERIDIANA DI VENERDÌ 5 DICEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCXXI.

SEDUTA POMERIDIANA DI VENERDÌ 5 DICEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEL VICEPRESIDENTE BOSCO LUCARELLI

INDICE

Votazione segreta dei seguenti disegni di legge:

Approvazione degli Accordi di carattere economico conclusi in Roma, tra l’Italia e la Francia, il 22 dicembre 1946. (26).

Approvazione dei seguenti atti internazionali: a) Protocollo di emendamento agli Accordi, Convenzioni e Protocolli sugli stupefacenti conclusi all’Aja, il 23 gennaio 1912, a Ginevra l’11 febbraio 1925, il 19 febbraio 1925, il 13 luglio 1931, a Bangkok il 27 novembre 1931 ed a Ginevra il 26 giugno 1936; b) Annesso al Protocollo di emendamento agli Accordi, Convenzioni e Protocolli sugli stupefacenti conclusi all’Aja il 23 gennaio 1912, a Ginevra l’11 febbraio 1925, il 19 febbraio 1925, il 13 luglio 1931, a Bangkok il 27 novembre 1931 ed a Ginevra il 26 giugno 1936. (37).

Approvazione dello scambio di Note relativo ai danni di guerra ed all’articolo 79 del Trattato di Pace, effettuato in Roma fra l’Italia e la Cina il 30 luglio 1947. (38).

Approvazione dei seguenti Atti internazionali conclusi a Neuchâtel, tra l’Italia ed altri Stati, l’8 febbraio 1947: a) Accordo per la conservazione o la reintegrazione dei diritti di proprietà industriale colpiti dalla seconda guerra mondiale; b) Protocollo di chiusura; c) Protocollo di chiusura addizionale. (47).

Presidente

Risultati della votazione segreta:

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Bonomi Ivanoe

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Codacci Pisanelli

Condorelli

Mortati

Clerici

Fabbri

Conti

Coppa

Covelli

Gullo Fausto

Marinaro

Geuna

Moro

De Martino

Chiostergi

Macrelli

Nobile

Giua

Rodi

Uberti

Colitto

Laconi

Corbino

Lussu

Fuschini

Targetti

Perassi

Malagugini

Ambrosini

Grassi

Gasparotto

Votazione segreta:

Presidente

Risultato della votazione segreta:

Presidente

Sull’ordine dei lavori:

Corbino

Minio

Presidente

Uberti

Moscatelli

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Andreotti, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio

Mozione (Annunzio):

Presidente

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

AMADEI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Procediamo alla votazione a scrutinio segreto dei seguenti disegni di legge, discussi ed approvati dall’Assemblea nei singoli articoli nella seduta antimeridiana:

Approvazione degli Accordi di carattere economico conclusi in Roma, tra l’Italia e la Francia, il 22 dicembre 1946 (26);

Approvazione dei seguenti atti internazionali: a) Protocollo di emendamento agli Accordi, Convenzioni e Protocolli sugli stupefacenti conclusi all’Aja, il 23 gennaio 1912, a Ginevra l’11 febbraio 1925, il 19 febbraio 1925, il 13 luglio 1931, a Bangkok il 27 novembre 1931 ed a Ginevra il 26 giugno 1936; b) Annesso al Protocollo di emendamento agli Accordi, Convenzioni e Protocolli sugli stupefacenti conclusi all’Aja il 23 gennaio 1912, a Ginevra l’11 febbraio 1925, il 19 febbraio 1925, il 13 luglio 1931, a Bangkok il 27 novembre 1931 ed a Ginevra il 26 giugno 1936 (27);

Approvazione dello scambio di Note relativo ai danni di guerra ed all’articolo 79 del Trattato di Pace, effettuato in Roma fra l’Italia e la Cina il 30 luglio 1947 (38);

Approvazione dei seguenti Atti internazionali conclusi a Neuchâtel, tra l’Italia ed altri Stati, l’8 febbraio 1947; a) Accordo per la conservazione o la reintegrazione dei diritti di proprietà industriale colpiti dalla seconda guerra mondiale; b) Protocollo di chiusura; c) Protocollo di chiusura addizionale (47).

(Segue la votazione).

Avverto che le urne rimarranno aperte, proseguendosi intanto nello svolgimento dell’ordine del giorno.

Seguito dalla discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Dobbiamo ora esaminare come ultima e conclusiva parte del nostro lavoro costituzionale le disposizioni finali e transitorie. Esse sono state proposte nel testo del progetto di Costituzione in numero di nove.

BONOMI IVANOE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BONOMI IVANOE. Desidero presentare all’Assemblea una disposizione finale aggiuntiva che porta anche le firme degli onorevoli Nitti, Orlando Vittorio Emanuele, Conti, Nenni, Giannini, Corbino, Macrelli, Bencivenga, Targetti, Uberti, Calamandrei, Gullo Fausto, Porzio, Facchinetti, Piccioni, Cevolotto, Camangi, Lami Starnuti, Mazzoni, Chiostergi, Magrini, Persico, Priolo.

La formulazione aggiuntiva è del seguente tenore:

«Con l’entrata in vigore della presente Costituzione il Capo provvisorio dello Stato esercita le attribuzioni del Presidente della Repubblica e ne assume il Titolo».

L’Assemblea certamente ricorda come attualmente l’articolo 5 del decreto-legge 16 maggio 1946 disponga: «Fino a quando non sia entrata in funzione la nuova Costituzione le attribuzioni del Capo dello Stato sono regolate dalle norme finora vigenti in quanto applicabili». È evidente, pertanto, che se non si attribuisce, con apposita disposizione transitoria, al Capo Provvisorio dello Stato l’esercizio dei poteri di Presidente della Repubblica, si avrebbe una grave lacuna nell’ordinamento giuridico, in quanto che, per il periodo che va dall’entrata in vigore della Costituzione alla elezione del nuovo Presidente, il Capo provvisorio dello Stato non solo non avrebbe i poteri presidenziali di cui alla Costituzione, già entrata in vigore, ma non avrebbe più quelli di cui all’articolo citato. È, quindi, necessario stabilire che, per tale periodo, il Capo provvisorio dello Stato esercita i poteri del Presidente della Repubblica assumendone il titolo. E qui credo di interpretare il pensiero ed i sentimenti di tutta l’Assemblea salutando in Enrico De Nicola, che ha così degnamente tenuto il posto di Capo provvisorio dello Stato, il primo Presidente della nostra intangibile Repubblica. (L’Assemblea si leva in piedi ed applaude lungamente).

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. A nome del Comitato di redazione della Costituzione mi associo alle parole che ora ha pronunciato Ivanoe Bonomi. L’articolo che è stato proposto è una necessità, una indispensabile conseguenza, dal punto di vista tecnico giuridico, di quelle che sono le disposizioni vigenti.

L’articolo 2 della legge del 1946 stabilisce che il Capo provvisorio dello Stato dura in carica fino a che non sia eletto, in base alla Costituzione, il Capo definitivo; e poiché ad eleggere questo saranno le nuove Camere, occorrerà attendere le elezioni generali. Da altro lato l’articolo 5, che vi ha letto l’onorevole Bonomi, stabilisce che le attribuzioni del Capo provvisorio dello Stato sono, sino alla promulgazione della Costituzione, regolate dalle norme fin allora vigenti sul Capo dello Stato, in quanto tali norme sono compatibili con l’ordinamento repubblicano. Era un espediente inevitabile, finché non vi fosse la nuova Costituzione; ma ora la nuova Costituzione c’è ed entrerà fra breve in vigore. Sono in essa definite le funzioni del Capo dello Stato come Presidente della Repubblica. Tutto quanto concerneva la figura del Capo dello Stato nel cessato regime non ha più ragione d’essere; non vi sono più norme vigenti a tale riguardo. Ed allora si presenta come esigenza logica la necessità che il Capo provvisorio dello Stato eserciti le attribuzioni del Presidente della Repubblica; e, se è così, ne deve, sempre per coerenza logica, assumerne il titolo. È un ragionamento elementare e serrato, che si svolge come un sillogismo.

Ciò che ora voteremo toglierà, anche nel nome, un’ombra di provvisorietà sulla nuova Repubblica italiana, e gioverà nei rapporti internazionali. Ed avrà anche un altro significato che è nell’animo di noi tutti.

Il nostro pensiero si rivolge all’uomo, che, per la sua altissima personalità e per le sue mirabili doti, ha saputo realizzare il miracolo di raccogliere l’unanime fiducia di tutto il popolo italiano. (Vivissimi applausi).

Io prego il Presidente dell’Assemblea di mettere in votazione l’articolo aggiuntivo e prego l’Assemblea di votarlo senza discussione, perché così possa assumere quel valore di acclamazione che tutti noi rivolgiamo al primo Presidente della Repubblica italiana, nella persona di Enrico De Nicola. (Vivissimi, generali applausi).

PRESIDENTE. Chiedo all’Assemblea se essa intende approvare, senza discussione, come prima norma transitoria della nostra Costituzione il testo proposto dall’onorevole Bonomi e da numerosi altri colleghi dell’Assemblea stessa. (L’Assemblea si leva in piedi – Vivissimi, generali applausi).

Dichiaro approvata all’unanimità la norma transitoria, che diverrà la prima delle norme finali e transitorie.

Passiamo alla disposizione successiva, nel testo originario. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«È proibita la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista.

«La disposizione del n. 2 dell’articolo 56 della Costituzione non è applicabile a chi nel periodo fascista ha rivestito le cariche indicate in tale disposizione.

«Sono stabilite con legge limitazioni temporanee alla eleggibilità e al diritto di voto per responsabilità fasciste».

PRESIDENTE. Ricordo che il terzo comma è stato già approvato il 29 ottobre scorso nei seguenti termini:

«In deroga all’articolo 45, sono stabilite con legge, per non oltre un quinquennio dalla data di entrata in vigore della Costituzione, limitazioni temporanee alla eleggibilità ed al diritto di voto per i capi responsabili del regime fascista».

Il secondo comma è stato annullato da altre votazioni.

Rimane, quindi, il primo.

Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo alla seconda disposizione. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«I discendenti delle Case già regnanti in Italia non sono elettori né eleggibili a cariche pubbliche.

«I membri di Casa Savoia non possono soggiornare nel territorio della Repubblica italiana».

PRESIDENTE. Sono stati proposti vari emendamenti.

L’onorevole Codacci Pisanelli ha proposto di sopprimere questa disposizione.

Ha facoltà di svolgere l’emendamento.

CODACCI PISANELLI. Prendo la parola unicamente per continuare nel proposito, già espresso, di fare in maniera che la Carta costituzionale che stiamo preparando possa essere considerata da tutti gli italiani come la propria Carta, cosicché tutti possano dire: «Questa è la nostra Carta costituzionale».

A tale scopo, per andare incontro alle convinzioni basate sul ragionamento e sul sentimento di una gran parte del popolo italiano, ritengo che sia la seconda, sia la terza disposizione transitoria debbano essere escluse dal nostro testo costituzionale.

Ritengo che i compilatori siano andati contro le stesse loro intenzioni, perché l’esclusione dall’elettorato non soltanto per i viventi, ma anche per i loro discendenti e per i figli dei figli e per quelli che nasceranno da loro, mi sembra una enormità, non voluta dagli stessi compilatori dell’articolo.

Mi rendo conto delle preoccupazioni che li hanno ispirati, e conosco i precedenti offerti da altre Costituzioni. Ritengo, però, che, le norme in parola non siano rispondenti, quanto a senso della misura, alle convinzioni profonde di un popolo equilibrato come quello italiano. D’altra parte, l’altro divieto, quello del soggiorno, si estende a tutti gli appartenenti ad una determinata Casa. Divieto evidentemente eccessivo, in quanto riguarda uomini e donne in maniera indistinta ed esclude non solo i viventi, ma anche coloro che saranno in avvenire.

C’è la terza delle disposizioni, alla quale accenno fin da ora e sulla quale non mi soffermo, quella che dispone l’avocazione di tutti i beni di Casa Savoia; avocazione inconciliabile con i principî da noi stabiliti nella prima parte della Costituzione.

Ripeto, non mi soffermo e dirò poi il perché. Non intendo urtare le convinzioni di alcuno. Voglio che la nostra discussione si mantenga in quel tono elevato che abbiamo sempre cercato d’imprimerle da questi banchi. Voglio che prima di giungere ad una conclusione, la quale dispiacerebbe (non disconosciamo questa realtà) a una gran parte del popolo italiano, e dispiacerebbe non soltanto ai viventi – perché di un popolo non fanno parte soltanto i viventi, ma anche coloro che li hanno preceduti – non dimentichiamo che questo sentimento radicato e dimostrato ha tra le sue ragioni anche quella che non vi è, si può dire, alcuna famiglia italiana che non abbia tra i suoi congiunti qualcuno che nelle cinque guerre d’indipendenza sia caduto col sacro binomio della «Patria e del Re» sulle labbra. (Interruzione a sinistra – Commenti).

Teniamo conto di questi precedenti e rispettiamoli. Rendiamoci conto di una realtà che ogni uomo politico deve tener presente. Siccome si tratta di una disposizione che non corrisponde ai principî sanciti, ma di una disposizione che stabilirebbe in perpetuo una incapacità civile per determinate persone, facendo cadere sui discendenti la colpa dei loro predecessori – concetto che non corrisponde alla moderna concezione della libertà e del diritto – ritengo sia opportuno sopprimere le due disposizioni in esame.

Quanto al soggiorno ed all’esilio, appunto perché le nostre istituzioni attuali possano essere stabili, sarebbe opportuno evitare di sancire in maniera così categorica un esilio, anche perché l’esilio, come la storia del Risorgimento italiano ci dimostra, ottiene l’effetto contrario a quello voluto; gli esiliati prima o poi tornano, trionfatori, perché sono sempre circondati da un’aureola particolare. (Interruzioni a sinistra).

Ho accennato, ma non insisto, all’inopportunità dell’avocazione dei beni. Non insisto perché non ci si accusi di essere difensori di particolari interessi, di particolari situazioni privilegiate; appunto perché non si rivolga questa accusa a quella parte di questa Camera, alla quale si deve, fra l’altro, l’introduzione della prima legge di espropriazione per pubblica utilità e il primo progetto di legge di nazionalizzazione, quella delle ferrovie, sul quale cadde il governo della destra nel marzo 1876. Non insisto sull’inopportunità dell’avocazione, idea profondamente sentita e più volte affermata dal popolo italiano, dimostra come, se vi è una aspirazione verso una particolare distinzione dei rappresentanti del nostro popolo, gli italiani desiderano che tale distinzione si completi nel distacco dalle ricchezze. Così che, se la terza disposizione transitoria venisse approvata, non farebbe che rendere i colpiti ancora più conformi all’alta idealità italiana, che anche i meno abbienti del nostro popolo compendiano nel motto: «poveri, ma signori»!

PRESIDENTE. Anche l’onorevole Condorelli ha proposto di sopprimere questa disposizione.

Ha facoltà di svolgere l’emendamento.

CONDORELLI. Onorevoli colleghi, se vi nascondessi che le mie parole sono in questo momento dominate da un profondo dolore, non sarei sincero; però, con perfetta sincerità posso dirvi che quello che sto per dire, sperando di ottenere da voi un voto conforme, attinge la sua ragione dalla mia coscienza di giurista e di uomo civile, e solo per questo io spero che le mie parole possano trovare risonanza in voi.

La legge che oggi è sottoposta al vostro giudizio ed al vostro voto è certamente incostituzionale: incostituzionale dal punto di vista di una costituzionalità strutturale. È incostituzionale, perché in flagrante contradizione con i principî costituzionali che voi avete voluto alla base della nostra Costituzione.

Si oppone a questa legge, prima di tutto, una costituzionalità che ho chiamata strutturale, giacché, a prescindere dalle norme che possono essere consacrate in questa o quella Costituzione, sta di fatto che il legislatore, il costituente, non può emettere che delle norme, cioè dei comandi generici di classi di azioni, di tipi di azioni, non comandi particolari come potrebbero essere sentenze, o condanne o assoluzioni. Difatti la legge che qui siamo chiamati a votare ha soltanto l’aspetto di legge, ma in realtà decide un caso strettamente individuale. Ora voi, noi potremmo con una disposizione di legge ristabilire la pena di morte, ma non possiamo infliggere ad una persona determinata neanche una multa di cinque lire. Noi non abbiamo questo potere, perché siamo legislatori e non possiamo emettere provvedimenti di carattere particolare od individuale. Non è dunque questa la sede in cui si potrebbe discutere di questa materia ed assumere provvedimenti in merito.

L’incostituzionalità per diretta opposizione a singole norme da noi sancite è troppo evidente, perché sia necessario soffermarci su di essa, specialmente dopo quanto ha detto l’onorevole Codacci Pisanelli.

Vietare a dei cittadini italiani il soggiorno in Italia, è in diretta contradizione con l’articolo 10 della nostra Costituzione, che afferma la libertà di soggiorno per tutti i cittadini. Espropriare i beni ai cittadini italiani od a chiunque, è impossibile sotto l’aspetto di confisca, al cospetto dell’articolo 38 da noi votato, in cui è prevista sì l’espropriazione contro indennizzo per utilità generale, ma non è affatto prevista la confisca per ragioni politiche. L’opposizione a questa norma statutaria che noi abbiamo voluta, non potrebbe essere più stridente.

Ma le ragioni di contrasto con questa legge sono fondate anche su un argomento che noi giuristi chiamiamo di merito: è la legge, nei suoi legamenti interiori, che non si regge. Che carattere ha questa legge? Ha un carattere sanzionatorio, di pena? Evidentemente no. Il legislatore qui, come del resto in tutte le leggi, non pone il fine della norma; la norma bisogna ricavarla dal contenuto della legge stessa. Ma è chiaro che, a luce di secolo XX, questa legge non può avere un significato sanzionatorio, perché essa contravverrebbe al principio universalmente accettato, e peraltro da noi sancito espressamente all’articolo 21 nella nostra Costituzione, che la responsabilità è personale ed individuale. Qui si consacrerebbe invece una responsabilità familiare, che si riverserebbe anche sui futuri e, per altro, vi è anche il principio, del pari affermato nello stesso articolo della Costituzione, che non vi può essere condanna senza giudizio. Lo dicevano anche gli antichi: non è possibile condannare senza un giudizio, sine previo judicio poenali.

Essa ha, quindi, certamente, un altro carattere: carattere di sicurezza, è una legge di sicurezza, perché si ritiene che il soggiorno di determinate e individue persone, nel territorio dello Stato, possa costituire un pericolo verso la forma costituzionale che è stata adottata e che il possesso di beni economici da parte di quelle persone possa costituire un pericolo per la stessa forma repubblicana, per quella preponderanza economica che può dare un vasto patrimonio.

Ora, non vi è chi non si accorga che una legge simile è per lo meno anacronistica ai tempi d’oggi. Sappiamo tutti che nei tempi passati quando si spodestava una dinastia od anche una famiglia che senza essere una dinastia avesse poteri in un paese, si facevano delle leggi di prescrizione, si facevano delle leggi di confisca dei beni. Ma questo avveniva perché allora la forza di un privato, di un principe spodestato, poteva sopraffare la forza dello Stato. Ma oggi che lo Stato ha assunto l’aspetto di quell’immenso Leviatano che noi vediamo funzionare ogni giorno nella pienezza della sua strapotenza, non vi è situazione individuale o familiare che possa costituire un pericolo per lo Stato.

Ma, avviciniamoci al caso concreto. Che pericolo può costituire per lo Stato questa dinastia spodestata? Sono soprattutto i repubblicani che mi diranno che non costituisce nessun pericolo. Peraltro, l’atteggiamento da essa assunto, che deve essere tenuto presente da questa Assemblea, esclude il pericolo. C’è stata subordinazione a quello che è avvenuto, c’è stata una leale esecuzione della decisione risultata dal referendum, per cui nessun riavvicinamento storico è possibile con quello che si è operato in altri paesi a seguito di rivoluzioni o di guerre civili.

La rilevanza dei beni ha anche una notevole importanza. Qui si interdice a tutti i membri di casa Savoia di possedere beni in Italia. Ma, che cosa sono questi beni? Ci sono compresi anche i cadetti. La famiglia dei Duchi di Genova non possiede neanche un palmo di terreno od un muro. (Interruzione a sinistra).

Il Castello di Agliè era l’unico retaggio di quella famiglia, e fu alienato per la impossibilità di dividerlo fra tutti i discendenti. (Interruzioni a sinistra). Il castello di Agliè in questo momento è di Umberto di Savoia. (Commenti a sinistra). I beni del ramo primogenito di casa Savoia non credo che nella più larga delle valutazioni superino il mezzo miliardo; penso che ne siano al di sotto. Ebbene, che pericolo può costituire per lo Stato un patrimonio di questo genere, in mano anche a persone che si presumono avversarie di questa forma repubblicana, ai giorni d’oggi, in cui ci sono patrimoni che superano il centinaio di miliardi? Evidentemente, vi preoccupate di un pericolo che non può esistere, che voi penalisti chiamate impossibile.

Se mi si obiettasse di avere esaminato dal punto di vista giuridico e di avere analizzato giuridicamente una norma o delle norme che hanno un significato politico, io risponderei immediatamente che è tempo che ci liberiamo degli ultimi residui della «ragion di Stato», di quell’assolutismo che è stato il nemico diretto delle libertà individuali, da cui queste si sono emancipate nel penoso travaglio delle rivoluzioni liberali.

Quale pericolo? E se vi fosse un pericolo, voi potete evitare questo pericolo facendo delle leggi tiranniche? Non è escluso che vi possano essere in uno Stato dei singoli o dei partiti che costituiscono dei pericoli, ma, finché i principî della democrazia, della libertà e del diritto non consentono di sopprimere questi partiti o di espellere gli uomini pericolosi, non vi è Stato che si vanti di assidersi sul diritto, che voglia conservare la qualifica di Stato di diritto che, in nome di interessi politici, possa sopprimere le eterne ragioni della giustizia.

Guardate invece questa legge da un punto di vista sanamente politico, guardate questa legge per la significazione che essa potrebbe assumere innanzi alla coscienza della maggior parte degli italiani. Io mi rivolgo particolarmente a voi, colleghi di parte democristiana: all’indomani della partenza del re dall’Italia la radio trasmetteva un messaggio di Alcide De Gasperi al popolo italiano, di Alcide De Gasperi che non era soltanto il Capo dello Stato e del Governo d’Italia, ma anche il vostro autorevole esponente, e questi aveva parole di umana comprensione per il dolore di quella metà del popolo italiano che aveva rivelato la sua volontà monarchica nel referendum, e promise che nulla si sarebbe fatto che avesse potuto significare scherno o mancanza di riguardo per quel dolore. E questa legge che cos’è, se non irrisione estrema?

Questa legge che cosa vuol dire a quegli italiani che hanno creduto nella monarchia, anche se oggi non vi credono? Significa soltanto questo: quel re per cui voi avete votato, quel re che avete acclamato freneticamente nelle piazze (Commenti a sinistra), quel re non è degno di possedere beni in Italia, quel re è colpito dall’interdetto aqua et igni, così come erano una volta perseguitati i ribaldi. Questo direste al cospetto del popolo italiano, il quale potrebbe constatare che quella promessa formulata in un momento di dolore è stata, a distanza di un anno e mezzo, tradita! (Commenti a sinistra).

Una voce a sinistra. Il re dovrebbe essere condannato a ben più grave pena.

CONDORELLI. Ho letto in un libro che riunisce le sublimi preghiere che ci insegna la Chiesa cattolica, una preghiera che supremamente mi ha colpito e mi ha fatto piegare il capo e le ginocchia, una preghiera nella quale è espresso il concetto altissimo della solidarietà spirituale che avvince tutti gli uomini dall’alto al basso, dal basso all’alto: una preghiera in cui l’anima cristiana dice che chiede a Dio venia per i peccati del suo re, perché pensa che alcuni o molti di questi peccati, se ci possono essere stati, possono essere stati causati anche dai sudditi, per la tragica legge della propagazione del male, che anch’essa come la solidarietà e ricalcando queste vie della solidarietà ascende dal basso all’alto e dall’alto scende al basso. (Rumori a sinistra).

Allora l’anima orante si piega su se stessa e si domanda: «Chi sa se il re non ha peccato anche per colpa mia?»

E se il popolo italiano, nel suo complesso e nell’individualità di ciascuno si rivolgesse questa domanda, potrebbe escludere che alcune delle colpe che si attribuirono al re non dipendano dal popolo o da alcune parti del popolo? (Rumori a sinistra – Interruzioni).

E per altro, quali colpe si possono sensatamente attribuire al giovane re?

Anche per ammissione di molti dei vostri, che con me hanno parlato e sono presenti stasera in questa Assemblea, si è universalmente riconosciuto che egli era immagine viva di lealtà e gentilezza. (Rumori a sinistra).

Una voce a sinistra. Non è vero! (Commenti a destra).

CONDORELLI. Io mi rivolgo particolarmente a voi, colleghi democristiani e vi invito a riflettere e a considerare se nell’anima vostra non sentite in questo momento questa solidarietà.

E a tutti i colleghi di questa Assemblea, ai repubblicani di tutti i settori, io dico: cominciai nel primo discorso tenuto in questa Assemblea col dirvi che, se noi abbiamo lottato, abbiamo lottato per un sentimento di amore, per la istituzione e la dinastia che la impersona, che per noi è simbolo vivo dell’unità d’Italia e che poteva essere una garanzia della continuazione di questa unità.

Noi abbiamo lottato mossi da questo sentimento, non voglio discutere se giusto o ingiusto: attendiamo il verdetto della storia e non lo diamo noi, mentre ancora sono vivi gli echi della lotta.

Voi avete agito per risentimento.

Nell’ultimo intervento che faccio in questa Assemblea vi chiedo di smentirmi, di contradirmi e di dimostrare che avete agito per giustizia. Consacrate, quindi, questa giustizia nel voto di oggi, ricordandovi, amici, che la giustizia è il fondamento dello Stato.

Una voce a sinistra. È per giustizia che agiamo in questo modo! (Commenti).

CONDORELLI. E questa Costituzione sarà ancor più rispettabile, per il vantaggio di quella repubblica che voi amate e che noi ci siamo impegnati a rispettare e rispetteremo; ma che più altamente rispetteremo, se ci dirà una parola di giustizia, quella giustizia che attendiamo da voi. (Applausi a destra – Commenti).

PRESIDENTE. L’onorevole Mortati ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il primo comma col seguente: «I membri ed i discendenti della casa già regnante in Italia non possono rivestire cariche pubbliche».

Ha facoltà di svolgerlo.

MORTATI. Il testo da me proposto è più estensivo di quello della Commissione, perché, mentre questo si riferisce soltanto alle cariche elettive, l’altro riferisce l’indegnità a tutte le specie di cariche o uffici pubblici. Altrimenti si potrebbe verificare l’ipotesi che un membro della Casa ex regnante possa essere, ad esempio, nominato ministro o sottosegretario della Repubblica e non, poniamo, consigliere comunale.

Il mio emendamento tende inoltre ad ovviare ad un’altra deficienza della formulazione del progetto, sostituendo il singolare al plurale, e perciò dicendo Casa già regnante invece di Case già regnanti. Sembrerebbe, infatti, se si mantenesse al plurale che si volessero comprendere anche come indegni i membri delle antiche case, che abbiano dominato in passato in qualche parte d’Italia, quali i Malatesta o i Duchi d’Urbino, ecc., il che manifestamente è contrario alle nostre intenzioni. La Costituzione deve proporsi obiettivi concreti, e risolvere problemi politici, non inseguire fantasmi, e il fare riferimento alle antiche case (non mai considerate neppure al momento della formazione dell’unità nazionale, che determinò la fine di alcune di esse) apparterrebbe a quest’ultimo ordine di esercitazioni.

CLERICI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CLERICI. Onorevoli colleghi, io non ho presentato un emendamento, ma aderisco formalmente a quello dell’onorevole Mortati, e, più che una dichiarazione di voto, che avrei diritto di fare, è una domanda di chiarimento che mi permetto di rivolgere a chi, con tanta autorità, rappresenta la Commissione dei Settantacinque: che cosa si vuol dire con l’espressione «discendenti delle case già regnanti in Italia?». Non c’è pericolo di usare un’espressione da una parte equivoca, dall’altra vuota?

O infatti si vuole intendere i membri di Casa Savoia, e ciò allora riveste un significato politico col quale pienamente concordo; o si vuole invece – e questo mi sembra inammissibile – alludere indiscriminatamente ai discendenti di tutte le case che hanno regnato in Italia, e allora…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. È giusto: se no si risalirebbe fino ad Arduino d’Ivrea…

CLERICI. …e allora si potrebbe anche voler alludere ai Conti Sforza di Milano e ne conseguirebbe che anche il nostro collega Conte Sforza potrebbe ricadere nel disposto di questo nostro articolo. (Si ride).

È evidente dunque che si tratta di una espressione equivoca, la quale potrebbe dar luogo a ricerche storiche, esperite nell’intento di recar danno a questo o a quello.

Ma io considero anche equivoca la stessa parola «discendenti», perché – ove non si addivenga ad una migliore precisazione – si potrebbe voler anche intendere di colpire colui o colei, che abbia nella sua famiglia una ava o una bisava di famiglia regnante sia pure di secoli e secoli addietro, una Sforza, una Bentivoglio, un Gonzaga e via dicendo.

È evidente quindi che la frase reclama una precisazione ed io mi auguro che il Presidente della Commissione dei Settantacinque vorrà accedere alla proposta dell’onorevole Mortati, così da conferire a questo articolo un più esatto significato storico, giuridico, politico.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ruini a esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’emendamento presentato dall’onorevole Mortati riguarda in sostanza due punti. Il primo è che, mentre il testo dice «non sono elettori né eleggibili a cariche pubbliche», l’onorevole Mortati vorrebbe dire invece «non possono rivestire cariche pubbliche». Sembra a me che si debba mettere l’una e l’altra cosa: sottolineare l’elemento dell’eleggibilità e parlare degli altri uffici. E cioè: «non possono ricoprire cariche elettive e uffici pubblici».

Anche il secondo punto dell’emendamento Mortati mi sembra giusto, perché, lasciando il testo attuale, si potrebbe anche risalire alle più antiche dinastie italiche, completamente innocue ed in gran parte dimenticate. Quella che bisogna considerare è la dinastia e la casa Savoia.

Vi sono, per quanto riguarda questo articolo, altri punti, ai quali si deve porre attenzione. Nel testo originario si diceva che «i membri di casa Savoia non possono soggiornare nel territorio della Repubblica italiana». A questo riguardo è stato in seguito presentato un disegno di legge, che venne discusso nella Commissione dei Settantacinque, e tutte le correnti politiche furono d’accordo in alcune precisazioni e limitazioni. Ho pregato l’onorevole Fabbri, presidente della Sottocommissione che riferì ai Settantacinque, di rendere conto di tali modifiche. Così avremo tutti gli elementi per decidere.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Per la benevolenza dei colleghi che componevano la Commissione, io fui appunto chiamato alla presidenza della Commissione stessa; e allora avemmo occasione di esaminare i due problemi: quello relativo al soggiorno e quello relativo alle cautele da prendersi in ordine ad un’eventuale confisca dei beni di Casa Savoia.

I lavori si svolsero con la più completa serenità, senza, naturalmente, alcun intralcio e alcuna difficoltà pretestuosa da parte mia, che mi rendevo conto di quelle che erano le esigenze politiche della nuova situazione. E quindi si addivenne a delle formulazioni che per conto mio furono completamente accettate e risultarono pacifiche per quello che concerneva il punto del soggiorno; restammo, invece, in dissidio, e naturalmente anche in minoranza il sottoscritto, relativamente alla parte del disegno di legge relativa all’eventuale confisca dei beni di Casa Savoia, parendo a me che non concorresse nessuna ragione, né di ordine morale, né di ordine giuridico per questa confisca, e quindi cadesse in pieno il provvedimento proposto che si profilava come seria misura di ordine cautelativo; in sostanza, una specie di sequestro.

Siccome poi da allora è passato molto tempo, non per ostruzionismo da parte della Commissione, perché il disegno di legge fu portato davanti all’Assemblea, e soltanto lo svolgimento dei lavori parlamentari non ne ha ancora permesso la discussione, così è accaduto che a quella eventuale misura di carattere cautelativo si sovrappone oggi la discussione in ordine alla norma di merito; e quindi il provvedimento di misure cautelative è superato dagli avvenimenti. Infatti, ove questa Assemblea decidesse la confisca, è chiaro il superamento.

Ove poi – come mi auguro – l’Assemblea decida per la non confisca, è ancor più chiaro che non ha più nessunissima ragione d’essere il provvedimento cautelativo.

Premesso ciò, e senza volere adesso esaurire quella che è la materia dell’articolo successivo delle disposizioni transitorie, mi riferisco all’argomento relativo al soggiorno.

Noi vedemmo che quella genericità dell’espressione che è contenuta nelle disposizioni transitorie, non era corrispondente alla realtà delle cose e alle esigenze politiche che potevano essere prese in considerazione, e quindi redigemmo la norma che risultò approvata, in sostanza, potrei dire, all’unanimità, in questi termini, che io raccomando all’Assemblea, direi così, in qualità di Presidente di quella Commissione, che esaminò il disegno di legge al quale mi riferisco:

«Agli ex-re di Casa Savoia, loro consorti e loro discendenti maschi sono vietati l’ingresso e il soggiorno nel territorio della Repubblica».

Con questa dicitura vi è una notevole precisazione di quello che sono le persone fisiche a cui risulta vietato l’ingresso e il soggiorno. C’è una precisazione in ordine anche alle regine; e si è ritenuto che l’andare oltre e uscire da questa identificazione potesse avere un carattere persecutorio ed esulante da quelle ragioni di natura politica che in un cambiamento di regime possono giustificare il divieto di soggiorno per i sovrani e le loro consorti nel territorio dello Stato.

Questa, quindi, è la formulazione che mi permetto di proporre, perché a questo sono stato invitato dagli stessi componenti del Comitato dei Diciotto, a comunicare cioè che questo è il testo che il Comitato dei Diciotto fa proprio e raccomanda a questa Assemblea.

CONTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONTI. Onorevoli colleghi, io prendo la parola unicamente perché da parte monarchica si è voluto parlare su questo tema delicato. Non l’avrei presa mai per infierire (non infierirò neanche in questo momento) contro il cessato regime e contro la ex casa regnante.

Avrei preferito che l’onorevole Condorelli non avesse parlato, che avesse pensato che fra la generosità e la mancanza del senso della responsabilità c’è una grande differenza. Noi possiamo essere generosi, ma non possiamo dimenticare che abbiamo gravi responsabilità verso il Paese! Generosi sono stati in Italia tutti i partiti repubblicani, fino al punto di non chiedere che i Savoia fossero processati; generosi fino al punto di aver lasciato tranquilli i monarchici italiani nella loro propaganda e nella loro azione piuttosto complessa – dirò così – per la monarchia; generosi sempre saremo verso i nostri avversari monarchici. La Repubblica non teme nulla, è generosa e magnanima, anche perché, se è vero che 10 milioni di italiani votarono per la monarchia, noi abbiamo la certezza che quei 10 milioni sono si oggi ridotti a ben modesta misura. Abbiamo la certezza che il popolo italiano sente la Repubblica, ne intende i benefici, l’ama, l’amerà sempre di più: se si osasse di attaccarla, il popolo italiano la saprebbe difendere in ogni modo!

Ma il problema è pratico, onorevoli colleghi; non è né giuridico, né morale, né procedurale. Lo dico specialmente all’onorevole Fabbri. È un problema politico ed è un problema di carattere essenzialmente pratico.

Esclusione dei Savoia dal territorio nazionale, dei maschi e delle femmine.

È la cosa più naturale di questo mondo, onorevoli colleghi! Volete tenere il nemico in casa? I Savoia non possono essere amici della Repubblica. La Repubblica non può essere amica dei Savoia. Se i Savoia vivessero in Italia, essi sarebbero cospiratori contro la Repubblica. Non sono esistiti re così generosi fino al punto da lasciare tranquilli gli Stati che dovettero abbandonare. Ricordiamo i regimi passati: i re borboni organizzarono il brigantaggio, la regina di Borbone era in rapporti diretti con i capi briganti!

Noi sappiamo bene che cosa sarebbe avvenuto in Italia se uno dei Savoia fosse rimasto qui: avrebbe organizzato molte e dolorose vicende per il popolo italiano. Sappiamo quello di cui furono capaci i Savoia prima del referendum. Noi abbiamo la documentazione dell’ingaggio di giovani per azioni armate da briganti sull’Appennino italiano. Noi abbiamo le prove che erano stati ingaggiati giovani per simulare atti di brigantaggio affinché il popolo italiano si impressionasse per fantastiche difficoltà nel trapasso del regime. Figuriamoci che cosa sarebbe avvenuto se i Savoia maschi e femmine fossero rimasti in Italia dopo la proclamazione della Repubblica!

L’onorevole Fabbri, fortissimo avversario, carissimo amico personale, l’onorevole Fabbri, ignora, ignorano gli italiani che Maria José, la moglie di Umberto, è una donna di grandissimo ardore combattivo, una donna di sentimenti reazionari profondi? Nessuno ignora in Italia che è stata il tramite fra Vittorio Emanuele ed Hitler, che ha cercato di lottare in tutti i modi e con tutte le risorse del genio femminile contro gli italiani che lottavano per la loro liberazione. L’onorevole Fabbri non può ignorare ciò che tutti sanno. (Interruzione a destra).

Ebbene, onorevoli colleghi, non facendo astrazioni, non andando sulle nuvole, dovendosi discutere un problema pratico di carattere strettamente esclusivamente politico, io dico: è proprio l’ingresso di Maria José necessario nel nostro Paese? Io temo che vivendo nella vicina Svizzera essa sia già un grosso pericolo per le istituzioni italiane, perché quella donna è una organizzatrice formidabile di azioni reazionarie. È insomma, una donna che deve essere tenuta lontana dal nostro Paese.

Vedete: io parlo con linguaggio pratico e positivo; non mi perdo nelle nuvole come l’amico Condorelli, che ama le divagazioni e le digressioni filosofiche e giuridiche.

Io dico dunque che non è possibile su questo primo punto consentire con i colleghi dell’altra parte della Camera.

Avocazione dei beni. Onorevoli colleghi, noi non siamo ingenui! Intanto si deve osservare una cosa molto dolorosa. Io sapevo già dal periodo che precedette il referendum come la ex regina Elena sfaccendasse da mattina a sera per mettere in serbo e in salvo tutto il tesoro di Casa Savoia. Questo avvenne fin dal periodo della presenza dei tedeschi in Italia; certe grotte di Villa Savoia erano piene zeppe di valori enormi che sono poi spariti. Si tratta di ricchezze rubate all’Italia: quelle ricchezze dovevano rimanere nel nostro Paese.

Dico, dunque, che siamo già sconfitti su questo punto. Tanti beni, tutti i beni mobili di grande valore sono partiti. Molti italiani hanno notizia della vendita di quadri, della vendita di arazzi, della vendita di argenterie. Io so di argentieri romani che hanno comprato quantità grandi di argenteria dai Savoia: oro, gemme preziose; tante cose sono partite per l’estero.

BENEDETTINI. Sa tutto lei.

CONTI. Lo so io.

CHIOSTERGI. Lo posso testimoniare anch’io, che ero in Svizzera.

CONTI. Ora, rimangono beni immobili. Se dovessimo fare la storia dei beni immobiliari di casa Savoia dovremmo risalire a un gesto di Vittorio Emanuele nel 1919, quando, simulando generosità, cedette allo Stato una grande quantità di beni immobili. Li cedette perché la manutenzione costava troppo. Adesso lo Stato prenderà beni immobili che costeranno allo Stato per la manutenzione notevolissime somme, se lo Stato non provvederà, come provvide quando al demanio passarono i beni dei regimi passati.

Si potrà procedere a vendite le quali saranno utilissime per i bisogni della Nazione, ma sarebbe ingenuo, dicevo, accogliere l’istanza che viene dai difensori di Casa Savoia. Ma siamo ingenui, davvero, e fino al punto di lasciare ai Savoia ricchezze con le quali continueranno ad alimentare molti loro sostenitori! Noi speriamo che finalmente cessi in Italia la fungaia dei giornali e delle stampe numerose destinate a propaganda monarchica accanita. Sappiamo bene che la propaganda monarchica è fatta anche coi denari di banche, e di organizzazioni che vorrebbero riportare l’Italia sul terreno della guerra civile, ma sappiamo anche quanto concorso finanziario danno i Savoia, ad onta della tradizionale ben conosciuta avarizia di quei signori. Sappiamo che denari sono spesi largamente per sovvenzionare la propaganda giornalistica e libraria nel nostro Paese. Parliamo dunque seriamente della questione che è davanti al nostro giudizio: colleghi monarchici, e dateci una prova. Ve la chiedo con tutta l’anima e con tutta franchezza. Dateci la prova che avete veramente disarmato, che vorrete nutrire, che nutrirete nel vostro spirito l’idealità monarchica, se l’aspirazione monarchica può considerarsi idealità, che resterete monarchici fedeli, ma non difendete né i beni né le cose di Casa Savoia, perché voi fate sospettare della vostra lealtà.

FABBRI. È troppo comodo!…

CONTI. Lasciate i Savoia al loro destino. Combattete per le vostre idee e noi vi saremo avversari leali. Se vi trovaste di fronte a chi volesse impedirvi di parlare o di svolgere l’opera vostra, sarei il primo a difendere la vostra causa. Ma non usate con noi argomenti sentimentali.

Amici democristiani, avete ascoltato lo appello sentimentale dell’onorevole Condorelli. Fatemi dire una parola sincera anche a voi. V’è il sospetto in tanti italiani che voi non siate leali si pensa che voi siete repubblicani, ma non così forti fino a resistere se la monarchia tornasse. Si pensa che vi adattereste!… (Proteste al centro).

Non lo penso io, lo pensano molti. Date la prova, onorevoli colleghi democristiani che siete come io credo che siate, leali profondamente verso la Repubblica. Non accettate l’invito dell’onorevole Condorelli: tradireste la vostra causa…

MAZZA. Accettate quello dell’onorevole Conti!…

CONTI. …tradireste la causa della democrazia nel nostro Paese. Pensate, onorevoli colleghi democristiani, quello che sarebbe stato del nostro povero Paese, se invece della Repubblica avesse trionfato la monarchia. Pensate alla situazione greca. Sì, signori, grave e preoccupante è oggi la lotta politica e sociale. Io non mi illudo. Tanti saranno i contrasti e gli scontri. È fatale. Ma non vi saranno conseguenze dolorose. La discussione, la libera discussione, nei contrasti senza violenza, tra i contrasti liberamente affrontati con onestà di intenti, porterà il Paese al superamento di tutte le difficoltà. Fu il De Tocqueville a dire che la libertà nasce in mezzo alle tempeste, che essa si stabilisce penosamente in mezzo alle discordie civili, e non dà frutti se non quando diventa vecchia. I giovani, vivono oggi tra le sventure e la discordia ma tra esse la libertà e la democrazia si consolidano. Nella giovinezza dall’istituzione che abbiamo creata avremo tante delusioni e tanti dolori. Ma voi monarchici non promuovete la guerra civile per le pretese dei regnanti che sono scomparsi. Siate buoni italiani! E voi democratici cristiani, che avete tanta forza, aiutate la Repubblica; aiutatela, fatela forte. Sarà il trionfo della democrazia; sarà il trionfo del lavoro. Una Italia nuova adoreremo domani, con il nostro cuore che palpita pieno di amore per il popolo italiano. (Applausi a sinistra).

COPPA. Chiedo di parlare

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COPPA. Prendo la parola per rettificare una affermazione dell’onorevole Conti circa i rapporti di Maria José con Hitler. (Interruzioni e proteste a sinistra). Devo precisare un dato di fatto che mi risulta personalmente, e precisamente: in occasione della visita fatta da Hitler in Italia, a Napoli Maria José non ha mai rivolto una sola parola ad Hitler. (Interruzioni a sinistra – Commenti).

Maria José non ha mai dimenticato che la Germania aveva martirizzato il Belgio; e quindi non è preciso – direi, non è onesto – affermare quanto l’onorevole Conti ha detto.

Una voce a sinistra. Era testimone?

COPPA. Infatti ero testimone.

In quanto alla lealtà nostra verso la Repubblica, non è in base a questo articolo di legge che voi potete metterla alla prova. Noi vi garantiamo tutta la nostra lealtà ad un solo patto: che voi ci garantiate che questa Repubblica non diventerà mai una Repubblica sovietica. (Interruzioni e rumori alla estrema sinistra).

MERLIN ANGELINA. Speriamo che non diventi una repubblica stellata.

COVELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COVELLI. Neppure io avrei preso la parola, se l’onorevole Conti non avesse voluto, nella sua immensa buonafede, accennare a delle inesattezze così grossolane il cui giudizio rimetto all’Assemblea.

Certo è che altri uomini qui dentro molto più autorevoli di me (e non so se più autorevoli dell’onorevole Conti) a proposito di contatti o di mediazioni, avrebbero dovuto sentire il dovere di comunicare a chi ancora non lo sapesse che se una sola volta la Regina d’Italia Maria José assunse il compito di mostrarsi quella che era – democratica – questi contatti furono presi con il Comitato di Liberazione Nazionale.

Non è qui il luogo per le disposizioni di carattere storico, di carattere morale, di carattere politico, a carico o a favore della monarchia dei Savoia.

Noi monarchici, la cui lealtà non potete, non dovete mettere in dubbio, in virtù dell’azione che noi svolgiamo, e che intendiamo svolgere, avremmo voluto qui, in un momento di certa solennità per noi, ma di maggiore solennità per voi, che aveste prevenuto l’affermazione un po’ imprudente dell’onorevole Conti, in relazione a talune citazioni. È vero che le repubbliche si consolidano nelle sventure, è vero che le libèrtà nascono nelle sventure; ma è altrettanto vero, onorevole Conti, che non si può garantire la vita di una Repubblica, quando questa nascesse dalle sventure e soprattutto dalla animosità consapevole, che larga parte, nel caso specifico, del popolo italiano, non potrebbe non avere oggi in conseguenza dell’atto, che state per compiere; noi volevamo non una lezione di storia, quindi non una lezione politica; volevamo dai repubblicani onesti una lezione di umanità, signori colleghi: volevamo, cioè, che prima di tutto si pensasse che, in virtù di un giudizio politico, non si colpisce Umberto di Savoia e Vittorio Emanuele III, ma si colpiscono quattro bambini. (Interruzioni a sinistra).

SCHIAVETTI. Ve ne sono a milioni in miseria, per colpa dei Savoia.

COVELLI. Noi volevamo che si tenesse presente – è un motivo che ho avuto il piacere di ricordare altra volta, e sul quale passa fugacemente l’onorevole Conti – che, a volere restare ai dati dell’onorevole Romita, 10 milioni e più di italiani hanno votato per la monarchia.

ROMITA. Sono dati esatti.

COVELLI. Il voto che state per dare potrebbe essere una dichiarazione di onestà politica e di pacificazione nei confronti di questi milioni di italiani che hanno votato inscindibilmente per l’istituto della monarchia, ma potrebbe anche essere un’offesa gravissima, che la Repubblica italiana, nel momento in cui conclude i lavori della sua Costituzione, fa a quei milioni di italiani che, creda a me, onorevole Conti, potrebbero essere più di quelli che hanno votato per la monarchia il 2 giugno.

Certo è che il popolo italiano non si affida tanto a noi, rimasti sparuti per circostanze varie, che fanno parte del merito politico, ma guarda a voi, mallevadori e fondatori della Repubblica, perché sappiate dare a loro, agli italiani, con questo gesto, una prova certa, decisa che non si manomette la libertà, che non si manomette il diritto, che, soprattutto, la Repubblica nasce nella generosità e non nella sventura (Interruzione del deputato Pajetta Giancarlo); nasce soprattutto in un senso solo: quello di poter abbracciare, se lo meriteranno, tutti gli italiani in un empito unico di patriottismo, per cui sapranno gridare tutti, insieme a voi: Viva l’Italia! (Applausi a destra).

GULLO FAUSTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO FAUSTO. Consentitemi, onorevoli. colleghi, che io dica che se c’è da fare un’amara constatazione in questo momento è che la Repubblica italiana, la nuova Repubblica italiana indugi tanto ad adottare un provvedimento così giusto e così politicamente opportuno qual è il divieto di soggiorno ai membri di casa Savoia in Italia. (Approvazioni a sinistra). Non indugiò tanto Vittorio Emanuele III ad abbandonare il suolo della Patria (Vivi applausi a sinistra) e ad abbandonare l’Italia e gli italiani all’orrore di una tragedia che egli stesso aveva determinato! Non parole di pietà, che sono fuori di posto, onorevole Covelli: non è degna di pietà una dinastia che conta nelle sue pagine la vergogna di aver fatto morire in esilio Giuseppe Mazzini, il creatore dell’unità d’Italia. (Rumori a destra – Interruzione del deputato Russo Perez).

Una dinastia che si è resa complice del fascismo e che…

CONDORELLI. …ha fatto l’unità d’Italia!

GULLO FAUSTO. …insieme col fascismo ha precipitato in un abisso senza nome la Patria italiana.

Richiedono questo provvedimento, politicamente opportuno prima di tutto, ma anche intrinsecamente giusto, tutte le innumeri vittime del fascismo e della monarchia; richiedono questo tutti i sacrifici ed i dolori, che tanti italiani hanno affrontato durante il fascismo e durante la monarchia. Chiedono questo i sacrifici ed i martiri dei partigiani d’Italia. (Vivissimi applausi a sinistra e al centro).

Voci a sinistra. Viva i partigiani!

GEUNA. Viva anche i partigiani monarchici! (Vivi applausi a destra).

GULLO FAUSTO. Chiedono questo l’eroismo e il sacrificio dei partigiani d’Italia, che di fronte alla monarchia, che aveva umiliato la Patria, salvarono la dignità e l’onore del nostro Paese. (Applausi a sinistra). Noi votiamo, signor Presidente, onorevoli colleghi, questo articolo della Costituzione perché, ripeto, esso è imposto innanzitutto da una chiara ed evidente opportunità politica. Noi siamo qui un’Assemblea politica che giudica politicamente. Dovremmo negare tante e tante esperienze storiche, dovremmo negare, per esempio, e dimenticare ciò che fecero i Borboni qui in Roma nello Stato Pontificio dal 1860 al 1870? Dovremmo dimenticare tutto ciò che accadde in Francia, per aver inopportunamente consentito ai discendenti delle dinastie francesi di soggiornare nel territorio della Nazione? È semplicemente stolto richiamarsi a motivi di pietà, del resto così intrinsecamente fuori posto. Ma se anche questa evidente opportunità politica non esistesse (ed esiste invece e deve indurci senz’altro a votare il divieto di soggiorno) io ripeto che è una esigenza sovrana di giustizia che deve indurci a votare la disposizione ed a gridare alto e forte che nella Repubblica italiana non ci può essere diritto di cittadinanza per i membri di casa Savoia. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Poiché la discussione si è spostata anche sulla terza delle norme finali e transitorie, passiamo allo svolgimento degli emendamenti a questa relativi.

Detta norma, nel testo del progetto, è del seguente tenore:

«La legge dispone l’avocazione allo Stato dei beni di casa Savoia».

L’onorevole Marinaro ha presentato il seguente emendamento sostitutivo:

«Ogni decisione sui beni di casa Savoia è rinviata ad una legge del Parlamento».

Ha facoltà di svolgerlo..

MARINARO. Onorevoli colleghi, non ho proposto la soppressione dell’articolo 2 e dichiaro anzi che voterò per il principio affermato nell’articolo 2. Io penso che l’esilio sia la nemesi di tutte le dinastie. Le dinastie che cadono o che vengono abbattute comunque, sono destinate a battere la via dell’esilio. D’altra parte, mi sembra superfluo quanto è stato stabilito nell’articolo 2 poiché penso che nessuno dei Savoia si sogni di tornare in Italia. (Commenti a sinistra). È una mia opinione personale.

Io invece ho fatto una proposta sostitutiva della disposizione contenuta nell’articolo 3 e questa mia proposta è basata su motivi di carattere giuridico e su considerazioni di ordine politico.

Motivi di carattere giuridico: la norma è qualificata transitoria. Ora, io ho l’onore di parlare ad una Assemblea composta in gran parte di giuristi e di avvocati. Non è possibile, secondo me, concepire una disposizione transitoria, senza un riferimento ad una norma generale di diritto. Ora, non vedo la norma generale di diritto che possa dare luogo ad una disposizione transitoria del genere.

TOGLIATTI. La proclamazione della Repubblica.

MARINARO. Disposizioni transitorie squisitamente tali sono le V, VI, VII, VIII, e IX, ma non la norma di cui ci stiamo occupando. Comunque, transitoria o non transitoria, è indubbio che la materia contemplata dall’articolo 3 è materia di competenza squisitamente, tipicamente legislativa e non costituente. Non solo, ma quando l’Assemblea Costituente affermasse una disposizione di quel genere con cui virtualmente dispone la avocazione allo Stato dei beni dei Savoia, evidentemente, signor Presidente ed onorevoli colleghi, ha già emanato una norma di carattere dispositivo; di guisa che al nuovo Parlamento, alla legge, non resterebbe altro che emanare le norme di attuazione della norma dispositiva. Io credo che questo l’Assemblea non possa fare senza invadere la competenza e la potestà del nuovo Parlamento; ragione per cui io ritengo che questa materia, senza essere affatto pregiudicata, debba essere rinviata, per queste modeste considerazioni di ordine giuridico che ho avuto l’onore di prospettare, al nuovo Parlamento.

Va da sé, signor Presidente e onorevoli colleghi che, ove l’Assemblea accettasse questa mia proposta, verrebbe messa in discussione e passerebbe all’approvazione il noto disegno di legge che contiene tutte le garanzie per evitare la alienazione dei beni degli ex regnanti d’Italia; ma, dicevo, che anche considerazioni di ordine politico mi hanno mosso a formulare questa proposta: io penso che un regime di democrazia, un regime di sana, di vera democrazia, ha il diritto di vedere osservate lealmente dalla minoranza tutte le sue decisioni, e la minoranza ha il dovere di rispettare lealmente le decisioni della maggioranza. Ma ritengo altresì che questo non debba essere il solo ideale di una democrazia; io penso che vi debba essere un altro ideale, ben più alto, quale è quello di ottenere che la maggioranza abbia la collaborazione e la cooperazione volenterosa della minoranza.

Ora, onorevoli colleghi, sono sicuro che nessuno di voi è convinto che in questa questione, che in questa misera questione economica, ci possa essere una intenzione di ottenere la collaborazione della minoranza da parte della maggioranza. Tanto più, onorevole Conti, quando si pensi che questa misera questione economica è in contrasto con un gesto che il sovrano ha fatto recentemente, quale è quello di donare allo Stato la sua famosa collezione di monete antiche, che tutti hanno valutato ad oltre due miliardi, somma indubbiamente assai superiore a quello che può essere il valore degli immobili della ex Casa Savoia. (Si ride all’estrema sinistra – Interruzione del deputato Russo Perez).

Non è cosa da prendere a scherzo, trattandosi di somma veramente cospicua. Quindi, io dicevo che, se una mira deve avere una maggioranza democratica, essa deve essere quella di ottenere la generosa collaborazione della minoranza ed io vi dico che noi abbiamo accettato lealmente le nuove istituzioni dello Stato ed intendiamo cooperare con voi per il bene comune, per il trionfo di queste nuove istituzioni; ma voi non dovete offendere il sentimento di una minoranza, quale che sia, cioè sia essa dì undici milioni, di dieci, di due o di uno, ma dovete dare la sensazione che non intendete ferire i sentimenti di questa minoranza, la quale vuole evitare, con la mia proposta, di consacrare in un atto solenne, quale è la Carta Costituzionale, una struttura a mio giudizio anti-giuridica, vuole sotto l’impero delle nuove istituzioni, collaborare con la maggioranza repubblicana. (Applausi a destra).

Chiusura della votazione segreta.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione segreta dei disegni di legge. Invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’onorevole Geuna ha proposto di sopprimere la terza disposizione transitoria.

Ha facoltà di svolgere l’emendamento.

GEUNA. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, desidero affermare che intendo parlare con tutta la serenità possibile del mio animo e chiedo alla cortesia degli onorevoli colleghi di accettare questa mia testimonianza di abbandono di ogni idea di parte, unicamente in funzione del compito di deputati, affinché la nostra espressione corrisponda alla coscienza e alla volontà del Paese, che qui rappresentiamo.

Per questa ragione ho chiesto la soppressione dell’articolo terzo delle norme transitorie, che riguarda l’avocazione allo Stato dei beni di Casa Savoia.

E rifacendomi ad una espressione dell’onorevole Gullo, vorrei dire che non ritengo di impostare la mia esposizione sulla intenzione di chiedere pietà a nome di Casa Savoia. Io chiedo agli onorevoli colleghi, anche avversari, anzi avversari e dissenzienti dalla mia ideologia, di considerare una questione di giustizia. Altrimenti si stabilirebbe, con questo giudizio, il principio che anche in un domani, qualunque contendente in una valutazione politica quale quella del referendum e nella quale anche la parte avversaria, la parte repubblicana, per il solo fatto che aveva accettato di battersi con armi democratiche e leali, come il referendum, con un avversario, portava questi al piano stesso di contendente, si stabilirebbe dico il principio che qualora un sistema o un’idea soccombano in base ad una votazione, per quella stessa votazione il loro rappresentante debba essere punito. È questo il risultato.

 

Se Casa Savoia – lo metto come ipotesi – avesse vinto, in quanto il concorso dei voti monarchici fosse stato superiore a quello dei vostri voti repubblicani, ecco che giuridicamente e legalmente non si sarebbe posto, in una Costituzione nuova – ove non si fosse mantenuto lo Statuto – un articolo che infliggesse al vincitore l’umiliazione e l’ingiustizia di una confisca dei beni. (Rumori a sinistra – Interruzione del deputato Pastore Raffaele).

Mentre un’ingiustizia costringerebbe quella parte a rendersi passibile di reazione a questa imposizione.

E vi dirò un altro aspetto della questione, più contingente, che non ha alcun rapporto con la difesa di interessi anche giusti e sacrosanti che riflettono il diritto di proprietà privata di una Casa che ha perso in una votazione politica, ma tocca anche i diritti di altri liberi cittadini in quanto nel testo di legge che doveva essere discusso recentemente e che per circostanze materiali inerenti ai nostri lavori non poté ancora vedere questo risultato, è appunto accennato alla possibilità di far sì che anche quei beni che erano stati passati dal 2 giugno 1946 con atto di vendita ad altri privati potessero essere passibili di confisca con azione retroattiva, e quindi in odio a qualunque norma di diritto.

Orbene se passasse questo provvedimento che lascia alla futura norma legislativa la possibilità di decidere se sarà opportuna o meno questa azione nei confronti dei nuovi acquirenti, compiremmo un’azione ingiusta verso gente il cui acquisto (parlo per quanto concerne la tenuta di Racconigi e di Pollenzo) di zone marginali boschive di quelle tenute, ha consentito di poter continuare, mentre il re si allontanava, l’assistenza di asili infantili e di scuole popolari alle quali lo Stato o non aveva potuto, o non era in grado di pensare. Non voglio incolpare nessuno.

In quelle regioni, per la permanenza fisica, per gli anni in cui i nostri regnanti erano stati bambini, si era sviluppato un senso di affetto così profondo che faceva sì che il regnante si svestisse della sua figura di re per provvedere alle necessità dei non abbienti, di modo che, lasciando l’Italia, dopo un referendum popolare, si può dire che non lasciava i tesori che noi oggi vorremmo carpirgli, ma proprietà di cui beneficiavano le popolazioni italiane. (Interruzione a sinistra).

Io mi permetto quindi di obiettare all’onorevole Conti, che, proprio per dimostrare quanto sia spassionato, quanto sia privo di interesse il nostro intendimento, proprio oggi che siamo pochi contro molti, proprio oggi che la nostra ideologia è battuta dal risultato del referendum, proprio oggi, noi restiamo fedeli a noi stessi e alla nostra idea.

Troppo comodo sarebbe infatti essere fedeli ai propri ideali e sostenerli quando questi salgono, per poi coprirli di ingiurie quando essi decadono. Noi sentiamo sempre questo dovere di difendere le nostre ideologie in quanto esse hanno di giusto e di grande. (Commenti a sinistra).

E debbo deplorare che in quest’Aula, da un collega di solito così cavalleresco come l’onorevole Conti, siano state pronunciate parole oltraggiose, calunnie e accuse non suffragate da alcuna prova nei confronti di quella che – se egli non vuole chiamar regina – è pur sempre una donna.

Un altro fiero repubblicano – il Carducci – almeno aveva saputo anche a colei che egli considerava nemica perché regina, rendere omaggio in quanto donna italiana! (Commenti a sinistra).

E io non posso pensare – qualora la formulazione per cui i membri di Casa Savoia non dovrebbero più avere diritto di alloggio nella patria che loro diede i natali dovesse essere da voi votata – che le ossa della principessa Mafalda – martire in un lager tedesco e ancora oggi in terra straniera – non possano un giorno tornare a riposare in Patria nel sonno eterno. (Applausi a destra – Commenti all’estrema sinistra).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, di questa norma transitoria sono state ancora presentate due formulazioni rispettivamente dagli onorevoli Targetti e Macrelli.

L’onorevole Targetti ha proposto il seguente testo:

«I beni degli ex re di casa Savoia, delle loro consorti e dei loro discendenti maschi esistenti nel territorio nazionale sono avocati allo Stato.

«Sono nulli i trasferimenti e le costituzioni di diritti reali sui beni stessi avvenuti dopo il 2 giugno 1946.

L’onorevole Macrelli ha proposto la seguente formulazione:

«I beni degli ex re di casa Savoia, delle loro consorti e dei loro discendenti, esistenti nel territorio della Repubblica, sono avocati allo Stato.

Onorevoli colleghi, dobbiamo ora passare alla votazione della seconda disposizione transitoria.

Chiedo all’onorevole Mortati se mantiene il suo emendamento alla seconda disposizione transitoria o se aderisce al testo accettato dal Comitato di redazione.

MORTATI. Aderisco alla formula del Comitato.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Dichiaro che voterò in favore del testo accettato dal Comitato, trattandosi di misure di sicurezza in relazione all’articolo 131, già votato, tendente ad affermare la definitività della forma repubblicana dello Stato italiano.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione della formulazione accettata dal Comitato di redazione:

«I membri e discendenti della Casa Savoia non possono ricoprire cariche elettive e uffici pubblici.

«Agli ex-re di Casa Savoia, alle loro consorti e loro discendenti maschi sono vietati l’ingresso e il soggiorno nel territorio della Repubblica».

DE MARTINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE MARTINO. Qualche altra volta ho preso la parola per richiamare l’attenzione degli onorevoli colleghi sulle norme che noi di sovente facciamo provvisorie.

Qui si parla di discendenti di Casa Savoia. Sta bene; ma fino a quale generazione? (Commenti a sinistra).

PRESIDENTE. Onorevole De Martino, questa non è una norma provvisoria; è una norma transitoria.

DE MARTINO. Sì, signor Presidente, ho capito; ma io domando agli onorevoli colleghi se essi hanno l’idea che questa nostra Costituzione possa durare dei secoli, cosa che ci auguriamo tutti… (Commenti – Interruzioni a sinistra).

PRESIDENTE. Onorevole De Martino, se lei ha qualche proposta da fare, la formuli.

DE MARTINO. Propongo che l’inibizione a soggiornare nel territorio della Repubblica sia limitata ai soli discendenti maschi dei Savoia e sino alla terza generazione. (Rumori a sinistra).

CHIOSTERGI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CHIOSTERGI. Propongo di sopprimere al secondo comma la parola «maschi».

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Credo di potere interpretare anche il pensiero della Commissione dal momento che ero stato poco fa incaricato di illustrare la dicitura dell’articolo formulato nel disegno di legge. In Commissione si è tenuto presente che vi sono delle discendenti di sesso femminile che sono divenute mogli modestissime, borghesi, di cittadini italiani e non si sa perché, senza che vi sia stata mai la più lontana occasione, né prossima né remota, che abbia determinato una qualsiasi insofferenza in individui avversi alla monarchia circa la loro presenza e la loro vita in Italia, queste signore dovrebbero essere inopinatamente colpite da un provvedimento di esilio insieme alle loro famiglie (se non supponiamo dei divorzi o delle separazioni coniugali di fatto complete) per dei fatti per cui non ricorre nessuna delle considerazioni di ordine politico che mi hanno fatto considerare difendibile e anche opportuno quel testo che io ho modestamente illustrato e difeso.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma della formulazione del Comitato:

«I membri e discendenti della Casa Savoia non possono ricoprire cariche elettive e uffici pubblici».

(È approvato).

Pongo in votazione le parole del secondo comma:

«Agli ex re di casa Savoia, alle loro consorti»;

(Sono approvate).

«e loro discendenti»;

(Sono approvate).

«maschi»;

(Dopo prova e controprova, e votazione per divisione, è approvata).

Pongo in votazione la proposta aggiuntiva De Martino:

«fino alla terza generazione».

(Non è approvata).

Pongo in votazione le parole:

«sono vietati l’ingresso e il soggiorno nel territorio della Repubblica».

(Sono approvate).

La seconda disposizione transitoria risulta nel suo complesso così approvata:

«I membri e discendenti della Casa Savoia non possono ricoprire cariche elettive e uffici pubblici.

«Agli ex-re di casa Savoia, alle loro consorti e loro discendenti maschi sono vietati l’ingresso e il soggiorno nel territorio della Repubblica».

Passiamo alla votazione della terza disposizione transitoria che nel testo della Commissione era del seguente tenore:

«La legge dispone l’avocazione allo Stato dei beni di Casa Savoia».

Sono stati presentati due emendamenti sostitutivi dagli onorevoli Targetti e Macrelli.

MACRELLI. Mi associo a quello dell’onorevole Targetti.

PRESIDENTE. Sta bene.

Allora pongo in votazione il testo dell’onorevole Targetti del seguente tenore:

«I beni degli ex re di casa Savoia, delle loro consorti e dei loro discendenti maschi esistenti nel territorio nazionale sono avocati allo Stato.

«Sono nulli i trasferimenti e la costituzione di diritti reali sui beni stessi avvenuti dopo il 2 giugno 1946».

È stata chiesta la votazione a scrutinio segreto dagli onorevoli Benedettini, Lucifero, Condorelli, Marinaro, Coppa, Russo Perez, Fabbri, Perrone Capano, Castiglia, Bonino, Bencivenga, Miccolis, Rodi, Abozzi, Perugi, Di Fausto, Codacci Pisanelli ed altri.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la votazione segreta.

Presidenza del Vicepresidente BOSCO LUCARELLI

(Seguo la votazione).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione segreta. Invito gli onorevoli segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione segreta sul testo dell’onorevole Targetti:

Presenti e votanti     359

Maggioranza           180

Voti favorevoli        214

Voti contrari                        145

(L’Assemblea approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Alberganti – Alberti – Aldisio – Amadei – Ambrosini – Amendola – Andreotti – Arcaini – Arcangeli – Assennato – Avanzini.

Bacciconi – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Bartalini – Bastianetto – Bei Adele – Bellato – Belotti – Bencivenga – Benedetti – Benedettini – Benvenuti – Bernabei – Bernamonti – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bitossi – Bocconi – Bonino – Bonomi Ivanoe – Bonomi Paolo – Bordon – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Braschi – Bubbio – Bucci – Burato.

Cacciatore – Caccuri – Cairo – Calamandrei – Caldera – Camangi – Camposarcuno – Candela – Canepa – Canevari – Caporali – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Capua – Carbonari – Carboni Enrico – Carignani – Caroleo – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Castiglia – Cavalli – Cavallotti – Cevolotto – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cifaldi – Cimenti – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Codignola – Colitto – Colombo Emilio – Colonna di Paliano – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Corbino – Corsi – Cortese Pasquale – Costa – Covelli – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo.

Damiani – D’Amico – D’Aragona – De Falco – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Mercurio – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Di Giovanni – Di Gloria – Di Vittorio – Dominedò – D’Onofrio.

Ermini.

Fabbri – Faccio – Fantoni – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrario Celestino – Ferreri – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fiorentino – Firrao – Flecchia – Foa – Foresi – Franceschini – Froggio – Fuschini.

Gabrieli – Galati – Gasparotto – Gatta – Gavina – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Giacchero – Giannini – Giolitti – Giordani – Giua – Gorreri – Gotelli Angela – Grassi – Grazi Enrico – Grieco – Grilli – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jacometti – Jervolino.

Laconi – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Lazzati – Leone Francesco – Leone Giovanni – Lizier – Lizzadri – Lombardi Carlo – Longhena – Longo – Lopardi – Lozza – Lucifero – Lussu.

Macrelli – Maffioli – Magnani – Magrassi – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Mannironi – Marchesi – Marconi – Marina Mario – Marinaro – Marinelli – Martinelli – Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mattarella – Mazza – Mazzei – Mazzoni – Meda Luigi – Mentasti – Merighi – Merlin Angelina – Mezzadra – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molè – Molinelli – Momigliano – Montagnana Rita – Montemartini – Monterisi – Monticelli – Morandi – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati – Moscatelli – Musolino – Musotto.

Nasi – Negro – Nenni – Nicotra Maria – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Noce Teresa – Notarianni – Numeroso.

Orlando Vittorio Emanuele.

Pacciardi – Pajetta Gian Carlo – Pallastrelli – Paolucci – Paris – Parri – Pastore Giulio – Pastore Raffaele – Pat – Pecorari – Pellegrini – Penna Ottavia – Pera – Perassi – Perlingieri – Perrone Capano – Persico – Pertini Sandro – Perugi – Pesenti – Piccioni – Piemonte – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Ponti – Porzio – Pressinotti – Priolo – Proia – Pucci – Puoti.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Raimondi – Rapelli – Reale Vito – Recca – Rescigno – Restagno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rodinò Ugo – Rognoni – Romano – Romita – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Roveda – Ruggeri Luigi – Ruggiero Carlo – Ruini – Russo Perez.

Saccenti – Salerno – Salvatore – Sampietro – Sansone – Santi – Sartor – Scarpa – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Segni – Sforza – Sicignano – Siles – Silipo – Spallicci – Spataro – Stampacchia – Storchi.

Targetti – Tega – Terranova – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Tomba – Tonello – Tonetti – Tosato –Tosi – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi – Tripepi – Tumminelli – Turco.

Uberti.

Valenti – Vallone – Venditti – Veroni – Vicentini – Vigna – Vigo – Vilardi – Vinciguerra – Vischioni – Volpe.

Zartardi – Zannerini – Zappelli – Zuccarini.

Sono in congedo:

Angelini.

Carmagnola – Caso – Cavallari.

Dugoni.

Garlato – Ghidini – Gortani.

Jacini.

Pignatari – Preziosi.

Ravagnan.

Sardiello.

Vanoni – Varvaro – Viale – Villabruna.

Risultati della votazione segreta dei disegni di legge.

PRESIDENTE. Comunico i risultati della votazione segreta dei seguenti disegni di legge i cui articoli sono stati approvati nella seduta di stamane:

Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia e la Francia, il 22 dicembre 1946.

Presenti e votanti     344

Maggioranza           173

Voti favorevoli        341

Voti contrari                        3

(L’Assemblea approva).

Approvazione dei seguenti atti internazionali: a) Protocollo di emendamento 11 dicembre 1946 agli Accordi, Convenzioni e Protocolli sugli stupefacenti conclusi all’Aja il 23 gennaio 1912, a Ginevra l’11 febbraio 1925, il 19 febbraio 1925, il 13 luglio 1931, a Bangkok il 27 novembre 1931 ed a Ginevra il 26 giugno 1936; b) Annesso al Protocollo di emendamento agli Accordi, Convenzioni e Protocolli sugli stupefacenti conclusi all’Aja il 23 gennaio 1912, a Ginevra l’11 febbraio 1925, il 19 febbraio 1925, il 13 luglio 1931, a Bangkok il 27 novembre 1931 ed a Ginevra il 26 giugno 1936.

Presenti e votanti     344

Maggioranza           173

Voti favorevoli        337

Voti contrari                        7

(L’Assemblea approva).

Approvazione dello scambio di Note relativo ai danni di guerra ed all’articolo 79 del Trattato di pace, effettuato in Roma, tra l’Italia e la Cina il 30 luglio 1947.

Presenti e votanti     344

Maggioranza           173

Voti favorevoli        336

Voti contrari                        8

(L’Assemblea approva).

Approvazione dei seguenti Atti internazionali conclusi a Neuchâtel, tra l’Italia ed altri Stati, l’8 febbraio 1947: a) Accordo per la conservazione o la reintegrazione dei diritti di proprietà industriale colpiti dalla seconda guerra mondiale; b) Protocollo di chiusura; c) Protocollo di chiusura addizionale.

Presenti e votanti     344

Maggioranza           173

Voti favorevoli        339

Voti contrari                        5

(L’Assemblea approvati).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Alberti – Aldisio – Amadei – Ambrosini – Amendola – Andreotti – Arcangeli – Assennato – Avanzini.

Bacciconi – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Bartalini – Bastianetto – Bazoli – Bei Adele – Bellato – Bellavista – Belotti – Bencivenga – Benedetti – Benedettini – Benvenuti – Bernabei – Bernamonti – Bernini Ferdinando – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bruno – Bitossi – Bocconi – Bonino – Bonomelli – Bonomi Ivanoe – Bordon – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Braschi – Bubbio – Bucci – Burato.

Cacciatore – Caccuri – Cairo – Camangi – Camposarcuno – Candela – Canepa – Canevari – Caporali – Capua – Carbonari – Carboni Angelo – Carboni Enrico – Carignani – Caroleo – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Cartia – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Castiglia – Cavalli – Cavallotti – Cevolotto – Chatrian – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Ciccolungo – Cimenti – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Codignola – Colitto – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Colonna di Paliano – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbino – Corsanego – Cortese Pasquale – Costa – Covelli – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo.

Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Mercurio – De Michelis Paolo – De Palma – Di Fausto – Di Giovanni – Di Gloria – Di Vittorio – Dominedò – D’Onofrio.

Ermini.

Fabbri – Fantoni – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Ferrarese – Ferrario Celestino – Ferreri – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fiorentino – Fioritto – Firrao – Foa – Foresi – Franceschini.

Gasparotto – Gavina – Germano – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Giacchero – Giolitti – Giordani – Giua – Gorreri – Gotelli Angela – Grazi Enrico – Grieco – Grilli – Gronchi – Guariento – Guerrieri Filippo – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jacometti – Jervolino.

Laconi – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Leone Francesco – Leone Giovanni – Lizier – Lizzadri – Lombardi Carlo – Lombardo Ivan Matteo – Longhena – Lopardi – Lozza – Lucifero – Lussu.

Macrelli – Maffioli – Magnani – Magrassi – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Mannironi – Marchesi – Marconi – Marinaro – Marinelli – Martinelli – Marzarotto – Massini – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mattarella – Mazza – Mazzei – Mazzoni – Meda Luigi – Merighi – Merlin Angelina – Mezzadra – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molinelli – Momigliano – Montagnana Rita – Montemartini – Monterisi – Monticelli – Montini – Moranino – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati – Moscatelli – Musolino – Musotto.

Nasi – Negro – Nenni – Nicotra Maria – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Noce Teresa – Notarianni – Numeroso.

Orlando Camillo – Orlando Vittorio Emanuele.

Pajetta Gian Carlo – Pallastrelli – Paolucci – Paris – Parri – Pastore Giulio – Pastore Raffaele – Pat – Pecorari – Pellegrini – Penna Ottavia – Pera – Perassi – Perlingieri – Perrone Capano – Persico – Pertini Sandro – Perugi – Pesenti – Piemonte – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Ponti – Porzio – Pressinotti – Priolo – Proia – Pucci.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Raimondi – Rapelli – Reale Vito – Recca – Rescigno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Romano – Romita – Roselli – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Ruggeri Luigi – Ruggiero Carlo – Ruini – Russo Perez.

Saccenti – Salerno – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sansone – Santi – Scalfaro – Scarpa – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Segni – Sforza – Sicignano – Siles – Silipo – Spallicci – Spataro – Stampacchia – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.

Targetti – Tega – Terranova – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Togni – Tomba – Tonello – Tonetti – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi – Tripepi – Tumminelli – Turco.

Uberti.

Valenti – Venditti – Veroni – Vicentini – Vigna – Vilardi – Villani – Vinciguerra – Vischioni – Volpe.

Zaccagnini – Zanardi – Zannerini – Zappelli – Zotta – Zuccarini.

Sono in congedo:

Angelini.

Carmagnola – Caso – Cavallari.

Dugoni.

Garlato – Ghidini – Gortani.

Jacini.

Pignatari – Preziosi.

Ravagnan.

Sardiello.

Vanoni – Varvaro – Viale – Villabruna.

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Passiamo ora alla quarta disposizione transitoria. Se ne dia lettura:

AMADEI, Segretario, legge:

«Non sono riconosciuti i titoli nobiliari.

«I predicati di quelli esistenti prima del 28 ottobre 1922 valgono come parte del nome.

«La legge regola la soppressione della Consulta araldica.

«L’Ordine mauriziano è mantenuto come ente ospedaliero».

PRESIDENTE. A questa disposizione l’onorevole Nobile ha presentato un emendamento del seguente tenore:

«Sostituirla con la seguente:

«Lo Stato repubblicano non riconosce titoli nobiliari o altre dignità trasmettibili per eredità, fatti salvi gli impegni provenienti da trattati internazionali.

«Tutte le questioni relative ai titoli nobiliari esistenti saranno regolate dalla legge, la quale regolerà anche la soppressione della Consulta araldica.

«Le concessioni ex novo di titoli nobiliari fatte dopo la data del 28 ottobre 1922 sono annullate».

Ha facoltà di svolgerlo.

NOBILE. In sede di Commissione dei Settantacinque io non avrei mai pensato di occuparmi dei titoli nobiliari se non vi fossi stato spinto da talune osservazioni che feci spontaneamente esaminando l’articolo così come era stato formulato dalla prima Sottocommissione. L’articolo della prima Sottocommissione diceva:

«È vietata la concessione di titoli nobiliari. I predicati di quelli attualmente esistenti valgono soltanto come parte del nome».

Implicitamente in questa disposizione vi erano tre decisioni: anzitutto era contemplato il divieto allo Stato repubblicano di concedere titoli nobiliari; in secondo luogo, non venivano riconosciuti i titoli nobiliari esistenti; e per ultimo veniva stabilito che il predicato di essi valesse soltanto come parte del nome.

Se nel testo della Costituzione si fosse taciuto di questo argomento, non mi sarei meravigliato – ne tacciono molte altre Costituzioni repubblicane, coe ad esempio la austriaca, la polacca, la lituana, la spagnola – e per conto mio non avrei trovato nulla da dire. La Commissione per la Costituzione aveva del resto da occuparsi di questioni ben più serie di questa; ma, esaminando bene il testo approvato dalla suddetta Commissione, non si poteva non fare qualche rilievo di importanza: anzitutto era curioso che si fosse sentito il bisogno di vietare esplicitamente che la Repubblica concedesse titoli nobiliari, per una Repubblica, per giunta, nata alla metà del secolo XX. Tutti sanno che l’unica sorgente di siffatti onori è il monarca: in regime monarchico il re è il capo riconosciuto dei nobili, e come tale egli si attribuisce il diritto di creare nuovi nobili, usando talvolta una generosità eccessiva. In Francia, per esempio, in un solo anno, nel 1696, si dettero, per 40 milioni di lire, 500 lettere nobiliari.

Dunque era assurdo che fosse sancito il divieto allo Stato Repubblicano di concedere titoli nobiliari. Farne espresso divieto mi sembrava cosa superflua.

Vi era anche da considerare che se la Costituzione della Repubblica italiana doveva occuparsi di siffatta materia, non poteva in verità non proporre l’abolizione dei molti titoli concessi dal governo fascista. Non facendosi questo, si sarebbe avuto il risultato curioso – non certo previsto dalla seconda Sottocommissione – che la Repubblica avrebbe reso perpetuo il ricordo di quei titoli. I Ciano di Cortellazzo, i De Vecchi di Val Cismon, gli Acerbo dell’Aterno avrebbero preso il loro posto definitivo a lato di nomi di antichissime famiglie italiane legate alla storia del nostro Paese.

L’emendamento da me presentato nell’adunanza plenaria del 25 gennaio al testo della prima Sottocommissione suonava così:

«Tutti i titoli nobiliari concessi dal governo fascista sono abrogati. Una legge sancisce, ecc.».

Fu allora deciso di rinviare la proposta al Comitato di redazione perché esaminasse quali norme avrebbero potuto essere introdotte nelle disposizioni transitorie per regolare la questione dei titoli concessi dal regime fascista, sentito «naturalmente» il proponente. Ma altrettanto «naturalmente» avvenne che il Comitato procedesse alla redazione definitiva senza ascoltarlo.

Il testo del Comitato dice:

«Non sono riconosciuti i titoli nobiliari».

Su ciò non vi è nulla da eccepire, ma bisognerebbe chiarire il significato di questa formula, che è nuova, non usata in altre costituzioni repubblicane.

Quella di Weimar, infatti, dice: «I titoli nobiliari valgono solamente come parte del nome e non dovranno essere conferiti di nuovi».

Quella cecoslovacca precisa: «I titoli non devono essere accordati che per designare l’impiego o la professione». Quella estone aggiunge: «La Repubblica non conferisce ai suoi cittadini alcun titolo onorifico». Quella finlandese: «Nella repubblica non saranno conferiti titoli nobiliari».

Se non che bisogna ricordare gli impegni da noi assunti con i trattati internazionali, e, in particolare, gli impegni assunti con l’articolo 42 del Concordato nel quale è detto:

«L’Italia ammetterà il riconoscimento mediante decreto dei titoli nobiliari conferiti dal Sommo Pontefice anche dopo il 1870 e di quelli che saranno conferiti in avvenire».

Poiché i Patti Lateranensi sono stati riconosciuti dalla Costituzione, ne deriva come conseguenza che, per non cadere in una aperta contraddizione, bisognerebbe far salvi gli obblighi che da quelle clausole derivano allo Stato italiano.

Naturalmente, non sono da nascondersi le difficoltà che possono nascere da questa eccezione: ma l’eccezione non si può evitare. Per evitarla bisogna tacere l’argomento anche nelle disposizioni transitorie e rinviare tutto alla legge.

Questa è una proposta che farei molto volentieri; comunque la presenterò in via subordinata.

Il secondo comma del testo del Comitato dice:

«I predicati di quelli esistenti prima del 28 ottobre 1922 valgono come parte del nome».

A questa disposizione possono muoversi varie critiche. La più importante è che con essa si fa un diverso trattamento ai titoli puri e semplici in confronto a quelli provvisti di predicati. Di questi si lascerebbe traccia nel cognome; i primi, invece, scomparirebbero del tutto. Perché un tale diverso trattamento? Esso, certo, non trova alcuna giustificazione, perché di titoli senza predicato se ne trovano in Italia molti anche di famiglie antichissime. I predicati, come si sa, sono di origine feudale e sarebbe veramente curioso che la Costituzione italiana volesse manifestare una preferenza per i titoli di origine più prettamente feudale.

Si pensi, d’altra parte, al complesso lavoro da fare per accertare i predicati dei titoli esistenti e farne annotazione negli atti dello stato civile. Sarebbe perciò, a mio avviso, più opportuno rinviare tutto alla legge ordinaria, e se questa legge dovesse tardare a venire, poco male, perché i legislatori futuri avranno certamente cose assai più gravi cui pensare.

Qualche cosa vorrei ancora aggiungere circa gli ordini cavallereschi. Alcune Costituzioni moderne, come quella di Weimar, e quella greca, stabiliscono tassativamente che lo Stato non possa concedere onorificenze. Ma nella nostra è stato già approvato un articolo con cui si ammette che il Capo dello Stato abbia tale facoltà; e non vi è nulla da dire, perché lo Stato deve avere la possibilità di premiare i cittadini che si rendano benemeriti. Ma est modus in rebus. Si deve finirla con l’abitudine di concedere decorazioni per meriti elettorali. In verità, v’è troppo spagnolismo ancora nel nostro sangue e nelle abitudini del nostro popolo, e sarebbe opportuno fare uno sforzo per liberarcene. In Italia esiste qualche milione di insigniti di distinzioni cavalleresche…

PRESIDENTE. Onorevole Nobile, la prego di concludere.

NOBILE. Onorevole Presidente, ho terminato. In sostanza io ritengo che sarebbe meglio rinviare tutto alla legge. Se ciò non si vuol fare, si tenga presente che il secondo comma, come ci vien proposto dalla Commissione, non è accettabile in quanto all’ultimo comma, in cui si dice che l’ordine Mauriziano viene mantenuto come ordine ospedaliero, non ho nulla da osservare; soltanto suggerisco che si adoperi il nome giusto, cioè Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, come sempre si è chiamato, fin dal 1572.

Se, dunque, non si ritiene opportuno sopprimere tutto l’intero articolo, propongo in via subordinata gli emendamenti da me presentati, che, se accettati, varranno ad evitare una stridente contraddizione con un altro articolo approvato, e molte intricate e complesse questioni amministrative assai ardue a risolversi.

PRESIDENTE. L’onorevole Giua ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire l’ultimo comma col seguente:

«L’Ordine Mauriziano è mantenuto come ente autonomo nazionale ospedaliero, con statuto e amministrazione soggetti all’approvazione del Presidente della Repubblica italiana».

Ha facoltà di svolgerlo.

GIUA. Il testo proposto dalla Commissione riduce l’istituto mauriziano a un ente ospedaliero; però l’adozione delle parole «ente ospedaliero» ha dato origine ad alcuni inconvenienti dal punto di vista del funzionamento dell’ente, e può darne anche dal punto di vista dello sviluppo ulteriore dell’ente stesso.

Com’è noto, l’istituto mauriziano amministra diversi ospedali nel Piemonte: oltre al grande ospedale di Torino, ha un ospedale, pure efficiente, ad Aosta, e alcuni altri piccoli ospedali a Lanzo, a Valenza, a Luserna e via dicendo.

Ora, subito dopo la liberazione, il Comitato di liberazione nazionale si era preoccupato di nominare commissario di questo ente un rappresentante del popolo. Ma dopo due mesi, questo rappresentante veniva defenestrato dal re, il quale adduceva la ragione che l’ente mauriziano dipendeva esclusivamente da lui; e fu ripristinato l’antico segretario generale nella persona dell’ammiraglio Thaon di Revel. E questo ente funziona oggi con tutti quei rapporti giuridici feudali che erano una caratteristica dell’ente sotto l’amministrazione reale.

Se ora la dizione della Commissione dei Settantacinque prevale, questo ente sarà amministrato con gli stessi criteri giuridici. È quindi necessario stabilire una democratizzazione dell’ente; ed è per questo che col mio emendamento pongo l’istituto mauriziano sotto il controllo del Presidente della Repubblica.

Si tratta, onorevoli colleghi, di una disposizione transitoria; in attesa che una legge generale regoli quegli enti di utilità pubblica e nello stesso tempo regoli anche gli istituti di beneficenza, è necessario che questo ente, che ha delle cospicue attività patrimoniali, sia regolato con misure democratiche.

A me è parso che, nell’attesa della legge del futuro Parlamento italiano, l’istituto mauriziano possa dipendere direttamente dal Presidente della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’onorevole Rodi propone di sopprimere questa disposizione.

Ha facoltà di svolgere l’emendamento.

RODI. Ho proposto la soppressione di questa disposizione, perché, francamente, mi sembra che con essa si voglia stabilire una norma che non risponde al carattere della nostra Nazione. Si vuole forse introdurre un principio ad imitazione di ciò che è stato fatto in altri paesi.

Il che noi non possiamo accettare, perché i nostri titoli nobiliari – mi riferisco, naturalmente, a quelli più antichi – costituiscono per noi e per la nostra tradizione una specie di lustra storica alla quale non possiamo rinunciare. Noi siamo talmente creatori di questa storia di carattere aristocratico, che io non vedo perché illustri nomi italiani debbano essere privati di un titolo che ha accompagnato per secoli la storia patria. (Commenti).

Eh sì, perché quando c’è mancanza di riconoscimento del titolo, è come annullare gli stessi.

Infatti, io non ho capito quale sia lo spirito di questa disposizione. Non sono riuscito a capirlo, perché, se si tratta di una disposizione di carattere – diciamo così – rivoluzionario, secondo cui, come diceva l’onorevole Nobile, essendo in regime repubblicano, bisogna statuire qualcosa che ci divida dall’istituto che prima concedeva questi titoli, francamente non so che cosa c’entri il fatto che la monarchia concedeva i titoli, coi titoli che erano stati acquisiti dalla storia.

Tutt’al più ammetto che si possa discutere sui titoli concessi negli ultimi tempi, titoli che hanno un carattere e un valore politico; ma quei titoli che illustrano ab antiquo alcune famiglie italiane dovrebbero essere conservati.

Per queste ragioni molto semplici e per omaggio alla nostra tradizione ho proposto la soppressione della quarta disposizione.

PRESIDENTE. L’onorevole Mortati ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«I predicati, di qualsiasi natura ed origine, varranno come parte del nome, a meno che i titoli siano stati concessi dopo il 28 ottobre 1922, in riconoscimento di benemerenze fasciste».

Ha facoltà di svolgerlo.

MORTATI. Rinunzio al mio emendamento associandomi all’ultimo comma dell’emendamento Nobile.

PRESIDENTE. Sta bene. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato non può mutare il testo del numero IV delle disposizioni transitorie e finali, completandolo soltanto nel senso desiderato dall’onorevole Giua.

La soppressione di questo articolo è proposta dall’onorevole Nobile, salvo una subordinata, ed è pure proposta dall’onorevole Rodi.

Il Comitato ha adottato la formula del non riconoscimento dei titoli nobiliari, che si trova in altre costituzioni, ed è sembrata – anche per consiglio di un nostro competente collega – l’onorevole Lucifero – tecnicamente esatta. Lo Stato non riconosce, non dà più valore ai titoli nobiliari di qualsiasi genere. Non si dovrà pertanto farne più uso. Stabilirà la legge se si dovrà o no punire chi se ne fregerà ancora come di titolo abusivo.

Il riconoscimento è negato a tutti i titoli nobiliari; e perciò senza dubbio anche a quelli concessi durante il fascismo. Anzi nei loro riguardi la disposizione è più grave: perché non consente, come è consentito pei titoli anteriori al fascismo, di usarne come predicato del nome. Quest’ultima disposizione vuol dire che non vi saranno più principi o conti o baroni; ma qualche indicazione di casato storico sarà incorporata nel nome.

Non nego che – fermissimi questi concetti – si possa trovare qualcosa di più adatto come forma, ma resta inteso che i punti sono questi: nessun riconoscimento di titoli nobiliari di nessun tempo, ammissione – come predicato – per quelli anteriori al fascismo.

Vi è poi l’Ordine mauriziano che è stato mantenuto come ente ospedaliero. L’onorevole Giua ha fatto opportunamente presente che l’istituto dipendeva direttamente e personalmente dal Re e che ora è rimasto indipendente; un piccolo Stato nello Stato. Bisogna riordinarlo. Non possiamo più accettare senz’altro la sua proposta di attribuire l’ordine mauriziano direttamente al Capo dello Stato, al Presidente della Repubblica, che non è più il Re con le sue regalie personali. Io penso che sia possibile una particolare funzione del Presidente della Repubblica, come capo dell’ordine; ma di ciò disporrà la legge alla quale si deve fare riferimento. La suggestione dell’onorevole Giua è in sostanza accolta: l’ordine Mauriziano sarà inserito nell’ordinamento del nuovo Stato; bisogna regolarlo, ma evitare che sia sommerso nel baratro burocratico; ed in questo senso senza cadere nella regalia sovrana, potrà giovare un organismo presieduto dal Presidente della Repubblica. Credo che l’onorevole Giua sarà soddisfatto.

PRESIDENTE. Chiedo ai presentatori di emendamenti se vi insistono.

Onorevole Nobile, insiste nel suo emendamento?

NOBILE. Insisto.

PRESIDENTE. E lei onorevole Giua?

GIUA. Accetto le conclusioni della Commissione e ritiro il mio emendamento.

PRESIDENTE. Onorevole Rodi?

RODI. Mantengo l’emendamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Mortati, ha dichiarato di ritirare il suo e di associarsi all’ultimo comma dell’emendamento dell’onorevole Nobile.

NOBILE. Chiedo che si voti per divisione.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma dell’emendamento dell’onorevole Nobile.

«Lo Stato repubblicano non riconosce titoli nobiliari o altre dignità trasmettibili per eredità, fatti salvi gli impegni provenienti da trattati internazionali».

(Non è approvato).

Pongo in votazione il primo comma del testo della Commissione:

«Non sono riconosciuti i titoli nobiliari».

(È approvato).

Pongo in votazione il secondo comma dell’emendamento Nobile: «Tutte le questioni relative ai titoli nobiliari esistenti saranno regolate dalla legge, la quale regolerà anche la soppressione della Consulta araldica».

(Non è approvato).

Pongo in votazione il comma corrispondente, che è il terzo del testo della Commissione:

«La legge regola la soppressione della Consulta araldica».

(Dopo prova e controprova, è approvato).

Pongo adesso, in votazione l’ultimo comma dell’emendamento dell’onorevole Nobile: «Le concessioni ex novo di titoli nobiliari fatte dopo la data del 28 ottobre 1922 sono annullate».

(Non è approvato).

Pongo in votazione il secondo comma nel testo della Commissione:

«I predicati di quelli esistenti prima del 28 ottobre 1922 valgono come parte del nome».

(È approvato).

Passiamo all’emendamento Giua, accettato dalla Commissione, sostitutivo del quarto comma.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La Commissione lo accoglie nella seguente forma: «L’Ordine mauriziano è mantenuto come ente ospedaliero, nei modi stabiliti dalla legge».

PRESIDENTE. Pongo in votazione questa formula:

(È approvata).

La quarta disposizione transitoria risulta nel suo complesso così approvata:

«Non sono riconosciuti i titoli nobiliari.

«I predicati di quelli esistenti prima del 28 ottobre 1922 valgono come parte del nome.

«La legge regola la soppressione della Consulta araldica.

«L’Ordine mauriziano è mantenuto come ente ospedaliero, nei modi stabiliti dalla legge».

Presidenza del Presidente TERRACINI

Sull’ordine dei lavori.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Vorrei, interpretando forse il pensiero di molti colleghi, fare una proposta sull’ordine dei nostri lavori per rendere possibile a molti di noi di poter avere il pomeriggio di domani libero. Noi dobbiamo ancora discutere alcune norme fra le quali ve ne sono alcune che hanno molti emendamenti. Queste si potrebbero rinviare a domani mattina mentre per le altre norme, rispetto alle quali è prevedibile che non vi siano dissensi molto forti fra i vari settori dell’Assemblea, proporrei di rinviare la continuazione della discussione alla ripresa della seduta che potrebbe aver luogo fra un’ora o un’ora e mezzo. (Commenti).

MINIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MINIO. A nome del mio Gruppo chiedo che sia tenuta seduta notturna allo scopo di terminare la discussione.

PRESIDENTE. Vi è la proposta di sospendere i lavori per un’ora e mezzo e riprenderli in maniera che con una seduta mattutina di domani, secondo la consuetudine del sabato, si possa esaurire questo nostro programma di lavoro, cosicché nel pomeriggio i colleghi possano essere liberi. È evidente che quasi certamente, se non si fa seduta notturna, dovremo domani fare seduta pomeridiana.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Nei termini esposti dall’onorevole Corbino, cioè che si votino gli articoli dal quinto al nono, escluso il sesto ed esclusa la questione dei senatori di diritto, accettiamo eccezionalmente di fare seduta notturna.

MOSCATELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MOSCATELLI. Domani comincerà il Congresso dell’Associazione nazionale partigiani d’Italia. Dato che molti di noi saranno impegnati in questo Congresso, chiedo di fare seduta notturna e vacanza domani.

PRESIDENTE. Onorevole Moscatelli, intanto incominciamo a tenere la seduta notturna; se i lavori procederanno in maniera tale da esonerarci dalla seduta di domani, si potrà fare vacanza.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Noi accettiamo, come già dichiarammo, i limiti fissati dalla proposta dell’onorevole Corbino. Per non tenere seduta domattina bisognerebbe tenere seduta notturna. Mi sembra difficile poter fare un sacrificio di questo genere, se pure sufficiente. Bisogna limitarsi agli argomenti più importanti per terminare nella mattinata di domani.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Corbino di sospendere la seduta per riprenderla alle 21.30.

(È approvata).

(La seduta, sospesa alle 20, è ripresa alle 21.40).

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, rinviamo alla seduta di domattina l’esame delle disposizioni transitorie V e VI.

Passiamo all’esame della VII.

Se ne. dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Entro cinque anni dall’entrata in vigore della Costituzione si procede alla revisione degli organi speciali di giurisdizione attualmente esistenti, salvo le giurisdizioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti. Tale termine è ridotto a tre anni per i tribunali militari.

«Entro sei mesi dall’entrata in vigore della presente Costituzione si provvede con legge alla soppressione del Tribunale supremo militare e alla devoluzione della sua competenza alla Cassazione».

PRESIDENTE. L’onorevole Adonnino ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituirla con la seguente:

«Entro tre anni dall’entrata in vigore della Costituzione si procederà alla revisione degli organi di giurisdizione speciale attualmente esistenti, tranne quelli di cui all’articolo 95.

«Il loro mantenimento può essere stabilito con legge approvata da ciascuna delle due Camere a maggioranza di due terzi, sentito il parere del Consiglio superiore della Magistratura».

Non essendo presente l’onorevole Adonnino s’intende che abbia rinunziato a svolgerlo.

Gli onorevoli Gasparotto e Bozzi hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Entro un anno dall’entrata in vigore della Costituzione si provvederà con legge a rivedere le attribuzioni del Tribunale supremo militare, per coordinarle con il principio sancito nell’articolo 102».

Nessuno dei due presentatori è presente.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Bisognerebbe, in seguito a quanto si è deliberato in merito ai tribunali militari in tempo di pace, considerare se non sia il caso di prendere in esame il contenuto degli emendamenti relativi anche se i proponenti siano assenti. Desidererei conoscere il parere della Commissione in proposito.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Sta bene.

PRESIDENTE. Vi è poi il seguente emendamento degli onorevoli Gabrieli e Perlingieri:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Entro un anno dall’entrata in vigore della Costituzione si provvede con legge a rivedere le attribuzioni del Tribunale supremo militare».

Poiché nessuno dei proponenti è presente, si intende abbiano rinunziato a svolgerlo.

L’onorevole Nobili Tito Oro ha proposto il seguente emendamento:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Entro tre anni dall’entrata in vigore della Costituzione si procede alla revisione degli organi speciali di giurisdizione attualmente esistenti, salvo le giurisdizioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti».

Poiché non è presente, s’intende che abbia rinunciato a svolgerlo.

L’onorevole Colitto ha presentato il seguente emendamento:

«Sopprimere al primo comma le parole:

«tale termine è ridotto a tre anni per i tribunali militari».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Dopo quanto abbiamo deciso non ce n’è più bisogno.

COLITTO. Vi rinunzio.

PRESIDENTE. L’onorevole Colitto ha presentato anche, insieme con gli onorevoli Mastrojanni, Perugi, Perrone Capano, Tripepi, Rodi, Abozzi, Venditti, Tumminelli, Bencivenga, Marinaro e Miccolis, il seguente emendamento sostitutivo del secondo comma:

«Entro sei mesi dall’entrata in vigore della Costituzione si provvede con legge a rivedere le attribuzioni del Tribunale supremo militare per coordinarle col principio sancito dall’articolo 102».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Accettiamo questa proposta.

COLITTO. Dato che l’onorevole Ruini ha dichiarato di accettare la mia proposta, rinunzio a svolgerla.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Leone Giovanni, Scalfaro, Sampietro Umberto, Giacchero, Raimondi, Numeroso, Riccio Stefano hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituirla con la seguente:

«Entro tre anni dall’entrata in vigore della Costituzione le giurisdizioni straordinarie e speciali attualmente esistenti, tranne quelle previste nei comma 3°) e 4°) dell’articolo 95, saranno trasformate in sezioni specializzate della giurisdizione ordinaria.

«Entro un anno dalla predetta data saranno trasferite alla Corte di cassazione le attuali funzioni giurisdizionali del Tribunale supremo militare, al quale saranno attribuite le funzioni di giudice di secondo grado».

Poiché nessuno dei firmatari è presente, s’intende che abbiano rinunciato a svolgerlo.

Prego l’onorevole Ruini di voler esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Tutti gli emendamenti che sono stati presentati a questa disposizione sono una conseguenza logica di ciò che l’Assemblea ha già deliberato prima. E cioè la trasformazione delle giurisdizioni speciali in sezioni specializzate degli organi giudiziari ordinari, salvo la conservazione del Consiglio di Stato e della Corte dei conti come organi di giurisdizione. Ho pure conservati i Tribunali militari cercando di precisarne le funzioni, e deferendo alla Cassazione il ricorso per violazione di legge contro le loro decisioni. Ciò implica, come ho dichiarato durante la discussione, rispondendo all’amico Gasparotto, che si dovrà riordinare il Tribunale supremo, il quale resterà quale giudice di secondo grado, di legittimità come di merito, e dopo di esso si avrà come terzo grado, per le violazioni di legge la Cassazione.

Io pregherei di attenerci al testo della Commissione, salvo a perfezionare la forma in sede di coordinamento.

UBERTI. Io pregherei il Presidente della Commissione di mettere un anno invece di sei mesi, perché sarà impossibile, appena eletto il nuovo Parlamento, emanare una legge entro sei mesi.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Si accoglie.

Il nuovo testo potrebbe essere, salvo miglior formulazione, il seguente:

«Entro cinque anni dall’entrata in vigore della Costituzione, si procede alla revisione degli organi speciali di giurisdizione attualmente esistenti, salvo le giurisdizioni del Consiglio di Stato, della Corte dei conti e dei Tribunali militari.

«Entro un anno dall’entrata in vigore della presente Costituzione, si provvede con legge alla trasformazione del Tribunale supremo militare a termini dell’articolo 102».

PRESIDENTE. Poiché nessuno dei firmatari dagli emendamenti testé letti è presente, gli emendamenti si intendono decaduti.

Pongo in votazione il primo comma della VII norma transitoria nel testo presentato dall’onorevole Ruini:

«Entro cinque anni dalla entrata in vigore della Costituzione si procede alla revisione degli organi speciali di giurisdizione attualmente esistenti, salvo la giurisdizione del Consiglio di Stato, della Corte dei Conti e dei Tribunali militari».

(È approvato).

Pongo in votazione il secondo comma con le modificazioni accettate dalla Commissione:

«Entro un anno dall’entrata in vigore della presente Costituzione si provvede con legge al riordinamento del Tribunale supremo militare ai termini dell’articolo 102».

(È approvato).

Passiamo alla VIII disposizione transitoria. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Leggi della Repubblica regolano per ogni ramo della pubblica amministrazione il trapasso delle funzioni statali attribuite alle Regioni e quello di funzionari e dipendenti dello Stato, anche centrali, che si rende necessario in conseguenza del nuovo ordinamento.

«Alla Regione sono trasferiti, nei modi da stabilire con leggi della Repubblica, il patrimonio, i servizi ed il personale delle Provincie».

PRESIDENTE. L’onorevole Recca ha proposto di sopprimere il secondo comma. Non essendo presente, si intende che abbia rinunziato a svolgerlo. Il Comitato di redazione ha presentato il seguente emendamento:

«Aggiungere il seguente comma:

«Fino a che non sarà provveduto al riordinamento ed alla distribuzione delle funzioni amministrative con gli altri enti locali restano alla Provincia le funzioni amministrative attualmente ad essa attribuite e quelle di cui la Regione le deleghi l’esercizio».

L’onorevole Mortati ha presentato il seguente emendamento:

«Leggi della Repubblica regolano per ogni ramo della pubblica Amministrazione il trapasso delle funzioni da attribuire ai vari enti ed organi di decentramento.

«La legislazione statale, nelle materie di cui agli articoli 109, 110 e 111, sarà abrogata e sostituita da norme direttive ed, in ogni caso, rimarrà priva di efficacia decorsi due anni dall’entrata in vigore della Costituzione.

«Fino a che le leggi statali e regionali non avranno provveduto alla redistribuzione delle funzioni amministrative, la Provincia ed il Comune continueranno ad esercitare quelle attualmente loro attribuite.

«Con leggi della Repubblica, previ accordi con le Amministrazioni regionali interessate, potrà essere disposto il passaggio a queste di funzionari e dipendenti dello Stato, anche centrali, reso necessario in conseguenza del nuovo ordinamento, salvo in ogni caso il rispetto dei diritti da essi acquisiti».

L’onorevole Mortati non è presente.

UBERTI. Lo faccio mio e rinunzio a svolgerlo.

PRESIDENTE. Sta bene. Un altro emendamento è stato presentato dall’onorevole Colitto:

«Sopprimere la parola: amministrative, che si legge dopo la parola: funzioni, ed aggiungere a questa parola le altre: ed i poteri».

Ha facoltà di svolgerlo.

COLITTO. Rinunzio a svolgerlo.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione su questi emendamenti.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io riconosco senz’altro che è da accettare la proposta di soppressione del secondo comma fatta dall’onorevole Recca, posto che si è conservata la provincia.

Per il rimanente, l’emendamento dell’onorevole Mortati non modifica la sostanza del testo della Commissione, che è più semplice e breve. Potrà essere completato come forma, ma senza accettare ora formulazioni meno felici come tecnica di espressione costituzionale. Nel nostro testo sono due concetti assieme: il trapasso delle funzioni ed il trapasso del personale. Potremo separarli nella dizione definitiva; senza aggiungere, come l’onorevole Mortati propone, che saranno rispettati i diritti quesiti degli impiegati. Non v’è bisogno di metterlo nella Costituzione.

Si deve invece far posto ad un emendamento dell’onorevole Nitti, che ci siamo impegnati a considerare in questa sede: «Le Regioni, per la formazione dei loro uffici, trarranno il personale occorrente dalle Amministrazioni dello Stato e da quelle degli enti locali». L’Assemblea approvò il concetto, e rinviò alle norme transitorie. Vi fu anche una proposta di completamento, mi pare dell’onorevole Targetti, che, ammettendo la disposizione, aggiungeva che quando ciò fosse necessario, le Regioni avrebbero potuto assumere nuovo personale. L’eccezione è giusta; vi possono essere esigenze, alle quali non si potrà venir meno. Potremo aggiungere «salvo i casi di necessità»; formula da rivedere nel coordinamento.

L’onorevole Mortati propone poi il tema di ciò che avverrà delle leggi vigenti dello Stato, in relazione ai compiti legislativi dati alle Regioni. È tema che non attiene alla disposizione transitoria di cui ora ci occupiamo; è un emendamento aggiuntivo; ma comunque vediamolo ora.

Abbiamo, dunque, dato alle Regioni una funzione legislativa, nel limiti dei principî che sono stabiliti dalle leggi dello Stato. Dunque, in certe materie, lo Stato non può più legiferare minutamente; ma soltanto stabilire dei principii e delle direttive. Occorre senza dubbio precedere ad una revisione e modificazione delle leggi vigenti. Nel testo del nostro progetto, e precisamente nell’articolo che apre il titolo sulle Regioni, è detto che la Repubblica adegua la sua legislazione alle nuove esigenze dell’autonomia regionale ed alle funzioni legislative di questi nuovi Enti. Può essere opportuno mettere tale concetto qui, nelle disposizioni transitorie; lo vedrà il Comitato nel coordinamento. Occorre certamente considerare cosa sarà delle leggi attuali dello Stato, nelle materie ove interviene ormai legislativamente la Regione.

L’onorevole Mortati indica l’esigenza di rivedere le vigenti leggi; e vi appone un termine; decorso il quale, se non sono rivedute, si intenderanno abrogate. L’onorevole Adonnino non mette alcun termine, e dice che le leggi dello Stato continueranno ad aver vigore fino a che non si sarà realizzata la distribuzione dei compiti legislativi. Mi sembra che sia da adottare una posizione intermedia. Occorre stabilire un termine; ma non prescrivere una meccanica abrogazione delle leggi dello Stato. Si rischia di creare la confusione ed il caos, alla scadenza del termine stesso. Sarà uno dei termini, non infrequenti nella nostra legislazione, che si assume l’impegno di osservare; ma non hanno un valore tassativo; e tale, nel caso nostro, da abrogare le norme vigenti.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. La questione in esame è certamente la più importante per la realizzazione della Regione. Noi ne abbiamo infatti stabilito la competenza legislativa; ma, per la sua pratica realizzazione, bisogna vedere come possono ingranarsi non solo le sue funzioni amministrative, ma anche quello che è il rispetto del campo legislativo alla Regione riservato.

Ora, io riconosco che le osservazioni dell’onorevole Ruini circa l’estrema delicatezza della disposizione che entro un determinato tempo – un biennio – debbano cadere per abrogazione le leggi, anche se la Regione non vi abbia provveduto, sono giuste; poiché però qualche cosa noi dobbiamo pur dire, propongo il seguente testo a modifica di quello presentato dall’onorevole Mortati:

«La legislazione statale, nelle materie di cui agli articoli … dovrà essere adeguata entro 5 anni dalla entrata in vigore della Costituzione in ordine alla competenza legislativa riservata alla regione».

Riconosco infatti che il termine di due anni costituisce un periodo soverchiamente piccolo dato il lavoro veramente imponente che il nuovo Parlamento dovrà svolgere per adeguare la legislazione dello Stato ai suoi limiti di fissazione dei principî, delle norme generali, dei criteri fondamentali entro i quali dovrà contenersi la legislazione regionale.

Propongo quindi di ridurre in questi termini il testo dell’emendamento presentato dal collega Mortati.

PRESIDENTE. Onorevole Ruini, vuole esprimere il parere del Comitato?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Accetto la proposta dell’onorevole Uberti. Se egli vorrà precisare la sua formulazione, io non avrò difficoltà ad accoglierla. Se no, vedrà di formularla il Comitato.

PRESIDENTE. Dobbiamo però aver presente, a questo riguardo, che v’è anche l’emendamento Tosato-Perassi, del seguente tenore:

«Nel termine di cinque anni dall’entrata in vigore della presente Costituzione il Parlamento provvederà alla revisione delle leggi vigenti in relazione alle esigenze dell’articolo 109».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Credo che si possa trovare una formula unica. Lo Stato deve adeguare la sua legislazione; finché ciò non avvenga, la Regione non sa quali siano i limiti nei quali potrà legiferare; è lo Stato che deve porli ed indicare i principî e le direttive. Finché ciò non avvenga, la Regione potrà dettare norme, legislative o regolamentari che siano, considerando come direttiva ciò che è stabilito nelle leggi attuali. Per una chiara determinazione di confini, si deve attendere che le leggi dello Stato siano convenientemente rivedute.

Potremo votare ora, se l’onorevole Uberti consente, l’emendamento Tosato-Perassi, che sostanzialmente coincide col suo, e sarà rimaneggiato nel coordinamento.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Aderisco alla formulazione degli onorevoli Tosato e Perassi.

PRESIDENTE. Mi pare che l’unica difficoltà sia quella del termine stabilito: l’onorevole Mortati parlava di due anni, l’onorevole Uberti di cinque, così come gli onorevoli Tosato e Perassi.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La Commissione accetta il termine di cinque anni.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Mi pare che il termine di cinque anni sia troppo lungo, considerato che questo adeguamento costituisce la premessa perché le Regioni possano a loro volta legiferare e funzionare. Quindi, se non due anni, proporrei per lo meno tre, che è il termine medio fra le varie proposte.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Mettiamo allora tre anni; auguriamoci che il termine non sia troppo breve.

PRESIDENTE. Sta bene. Pongo, pertanto, in votazione il primo comma della disposizione VIII:

«Leggi della Repubblica regolano per ogni ramo della pubblica amministrazione il trapasso delle funzioni statali attribuite alle Regioni e quello di funzionari e dipendenti dello Stato, anche centrali, che si rende necessario in conseguenza del nuovo ordinamento».

(È approvato).

Qui si inserisce l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Nitti, integrato dall’onorevole Ruini:

«Le Regioni, per la formazione dei loro uffici, trarranno il personale occorrente dalle Amministrazioni dello Stato e da quelle degli enti locali, salvo il caso di necessità».

Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Ed ora veniamo alla formulazione degli onorevoli Tosato e Perassi, con l’intesa che la Commissione lo coordinerà nel modo migliore con la formulazione proposta dall’onorevole Uberti:

«Nel termine di tre anni dall’entrata in vigore della presente Costituzione il Parlamento provvederà alla revisione delle leggi vigenti in relazione alle esigenze dell’articolo …».

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Facevo osservare poco fa al Presidente del Comitato che, a mio modo di vedere, questa disposizione, giusta, manchi però di una logica premessa: io penso che essa debba essere integrata con la statuizione del termine di un anno o due per la costituzione delle Regioni.

Subito dopo è naturale si preveda la trasformazione, l’adeguamento della legislazione nazionale alle esigenze derivanti dal nuovo ordinamento.

Mi pare che dobbiamo stabilire prima di tutto questo termine, altrimenti è inutile aver creato l’ordinamento regionale. Noi saremmo favorevoli a stabilire anche un termine minore di un anno, dato che un breve tempo è sufficiente per indire le elezioni e creare i consigli.

Il Presidente del Comitato, al quale facevo questa proposta, mi diceva che, a suo avviso, è necessario, prima che siano costituite le Regioni, che esse stesse presentino allo Stato degli statuti che verrebbero dallo Stato adottati. Questa di fatto è la procedura seguita per la Sicilia e la Sardegna. Ma in quel caso particolare si aveva un punto di partenza perché quelle Regioni, Sicilia e Sardegna, avevano già un Alto Commissariato.

Ma come si può pretendere una procedura del genere dalle altre Regioni? Tanto più che gli statuti delle altre Regioni sono stati concessi come regolamenti interni, e non nella stessa maniera degli statuti delle isole e delle regioni mistilingui. Allo stato attuale la procedura più semplice è questa: che si stabilisca il termine – per esempio di un anno – entro il quale si costituiscono le Regioni, e poi le Regioni stesse provvedano a darsi un regolamento interno.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. La questione sollevata dall’onorevole Laconi è veramente importante e riflette la esecuzione dell’istituzione dell’ente Regione, che è diversa dai quattro statuti speciali, perché sappiamo che, dei quattro statuti speciali, due li hanno con decreto già attuati e due sono in stato di elaborazione, e dovremo discuterli in Assemblea entro questo mese.

Per le altre Regioni, invece, mi sembra che il termine di un anno proposto dall’onorevole Laconi sia eccessivo, perché noi abbiamo già deliberato l’istituzione dell’ente Regione. Non appena votata la Costituzione, l’ente Regione è creato di diritto. Non rimane che la realizzazione. Io ritengo che nella prossima primavera, costituendosi il nuovo Parlamento, la Camera dei deputati e il Senato, dovrà essere nominato anche il Consiglio regionale, se non subito, in epoca più o meno vicina. Dovremo entro il mese di dicembre, oltre che fare la legge elettorale per la Camera dei deputati e la legge elettorale per il Senato, votare anche la legge elettorale per le Regioni. Questa non è una legge complicata, perché non v’è che da applicare il sistema della legge per la Camera dei deputati così come si è fatto per la Sicilia, dove è stato fatto un decreto quanto mai semplice; cioè si dovrà stabilire che i consiglieri regionali siano eletti in base a suffragio universale, con la proporzionale e con collegi provinciali. Quindi la legge non è molto complicata e può essere approvata rapidamente.

Ma è necessario arrivare a costituire entro breve termine il Consiglio regionale, perché è il Consiglio regionale che dovrà predisporre lo Statuto della Regione da proporre al Parlamento per la sua approvazione. Non può essere unicamente il Parlamento. È necessario pertanto che sia costituito il Consiglio regionale, il quale promuova questa formulazione. D’altra parte per organizzare, adeguatamente e in rispondenza ai rispettivi bisogni, la Regione, occorre che le singole Regioni predispongano tutta una serie di studi, in base ai quali formulare le relative proposte. E allora è necessario che sia nominato subito, entro il primo semestre del 1948, il Consiglio regionale, il quale promuova tutto questo lavoro. Praticamente comincerà a funzionare verso la fine del 1948, o anche nel 1949, in quanto occorrerà che una legge approvi lo Statuto. Ma appunto per non rimandare eccessivamente in pratica il funzionamento della Regione è necessario che il termine non lo fissiamo in un anno, ma in sei mesi.

Quindi accetto la proposta Laconi. Solamente la modifico e prego anche lui di accettare che il termine, anziché di un anno, sia di sei mesi.

Un’altra parola relativamente all’emendamento dell’onorevole Nitti. Vorrei che il Comitato di coordinamento intendesse in senso lato l’espressione «salvo casi di necessità», perché può essere che la Regione abbia bisogno di determinati specialisti locali.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il suggerimento dell’onorevole Laconi e ripreso dall’onorevole Uberti, è distinto dal tema che consideravamo del termine per la revisione delle leggi statali. Qui si tratta di un termine per mettere in moto il congegno delle regioni. Bisogna senza dubbio che lo Stato si accinga subito a dar vita alle Regioni. Non so se il mezzo più pratico, o almeno il mezzo unico, sia quello di prescrivere un termine per eleggere i Consigli regionali. Né so se basteranno pochi mesi; il Ministero dell’interno non sarebbe di questo avviso.

Come si potrà promuovere la costituzione delle Regioni? L’onorevole Perassi, che mi è sempre prezioso collaboratore, mi suggerisce che si potrà subito dare ad un Commissario, per ogni regione, il compito di costituire al più presto possibile i Consigli regionali. Quando ero al Governo, ho predisposto i decreti che hanno, con i Commissari e le Consulte siciliana e sarda, gettate le fondamenta delle due autonomie isolane. Qui si tratta più semplicemente di preparare i Consigli regionali. (Commenti a sinistra). Allora quale altro sistema si può seguire? I Consigli regionali come si potranno costituire? In che modo? Vi dovrà essere qualcuno che dovrà convocarli e predisporre quanto occorre ad una elezione. Non saranno Commissari come in Sicilia e Sardegna; ma dovranno esservi, se si vuol promuovere la nascita delle Regioni. Né vi è peraltro da temere che il Commissario regionale sia un amministratore, che debba sostituirsi anticipatamente alla Regione. No; sarà un incaricato di predisporre le elezioni dei Consigli regionali ed il trapasso delle funzioni alla Regione, di cui abbiamo pur ora parlato. Sarà il metodo più semplice e più breve, che naturalmente non metteremo nella Costituzione; è soltanto uno spunto al quale ho creduto di accennare.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Riconosco che l’osservazione del collega Laconi pone un problema che fino a questo momento non ci eravamo posti. Però vorrei pregare l’onorevole Uberti di ritornare nei termini che erano stati prospettati dall’onorevole Laconi, cioè a dire di un anno per la costituzione dei Consigli regionali, unicamente perché in sostanza noi nel primo semestre del 1948 dovremo fare le elezioni della Camera dei deputati e del Senato. Fissare immediatamente dopo le elezioni dei Consigli regionali significa, a mio giudizio, esporre le elezioni stesse ad un largo astensionismo, perché il popolo si stanca. Invece, tenendo presente che v’è un emendamento dell’onorevole Nobili Tito Oro al 4-bis, che vorrebbe la ricostituzione dei Consigli provinciali entro sei mesi dall’entrata in vigore della Costituzione, noi potremmo fissare il termine per i Consigli regionali e per i Consigli provinciali entro un anno e fare le due elezioni contemporaneamente.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Anch’io dissento dall’amico onorevole Uberti e aderisco a quanto ha detto l’onorevole Corbino, anche in considerazione del fatto che la legge elettorale per i Consigli regionali non è fatta né si sa se potrà essere completata nello spazio di questo mese di vita che ci resta. Quindi mi sembra sia prudenziale stabilire il termine di un anno.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Concordo con il Presidente del Comitato, onorevole Ruini, nel vedere distaccati i due problemi: il problema, che si allaccia all’emendamento, di cui è questione ora, è uno; l’altro problema sui Consigli regionali è un altro. È inutile che mi soffermi sul primo, perché mi pare sia sufficientemente chiarito. Sul secondo invece può sorgere qualche dubbio; e il dubbio sorge in me meditando su quanto ha proposto l’onorevole Ruini. Trovo che la preparazione giuridica e politica dell’onorevole Ruini è grande, ma attraverso una sua speciale duttilità a risolvere le difficoltà nel quadro generale delle questioni pratiche che si presentano, è portato anche ad arrivare a delle soluzioni che certamente non è che ci facciano paura, ma destano in noi un certo qual timore sulla situazione della futura Regione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma niente affatto.

LUSSU. Vero è che col reingresso in abiti tutt’altro che modesti della provincia, che avevamo precedentemente licenziato in abiti dimessi, la Regione venne a soffrirne molto. È nella volontà dell’Assemblea che essa funzioni prevalentemente ispirandosi a motivi e ad esigenze locali sottratte il più che sia possibile dall’ambito degli interessi generali e dell’organizzazione dello Stato.

Ora, proporre che sia un commissario particolare quello che mette in movimento il primo ingranaggio dell’Ente regione, contrasta con lo spirito che è scaturito dalle discussioni che si sono fatte nell’Assemblea Costituente. Penso che, se fosse necessario in tutti i modi creare un organismo all’infuori dell’Ente regione come espressione di interessi o di organizzazioni locali esistenti, semmai dovremmo rivolgerci ad una rappresentanza paritetica di partiti oppure rimetterci senz’altro all’elezione del Consiglio regionale. Una volta che il Consiglio regionale è eletto e siede, il Commissario non c’entra. È il Consiglio regionale stesso che crea il suo organismo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. D’accordo che il Consiglio regionale dovrà pensare all’organizzazione dei suoi servizi.

LUSSU. Se è d’accordo con me, onorevole Ruini, la prego di non presentare neppure per ipotesi la intromissione del Commissario, il quale, dicevo, non ha niente a che vedere in questa faccenda.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ho detto che si deve incaricare il Commissario – che può essere anche un elemento regionale – di convocare il Consiglio regionale. Come si può farne a meno? Chi farà le liste, chi sceglierà i locali? Il Consiglio regionale, che non esiste ancora? E se il Commissario avrà l’incarico di preparare fin da ora quanto occorre per il trapasso dei servizi, perché il Consiglio regionale possa funzionare bene appena costituito, non vi sarà ragione di sparare a palle infocate. Sarà un grande vantaggio per la Regione; e non si potrà pensare che questa possa prendersi servizi ed uffici dello Stato, senza che un incaricato dello Stato intervenga nel passaggio.

LUSSU. Chiedo di parlare, perché si tratta di una questione fondamentale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà, ma le faccio osservare che non dobbiamo giungere ora ad alcuna conclusione.

LUSSU. Temo equivoci, che creano altri equivoci. Cioè la Commissione od il Commissario, come lo si voglia chiamare, deve seguire le elezioni del Consiglio regionale e non precederle, perché se le precede non sono d’accordo.

PRESIDENTE. L’unica questione che è stata posta qui, e per cui v’è una formulazione precisa, è quella del termine entro cui debbono essere indette le elezioni per la costituzione dei Consigli regionali; tutto il resto esula per ora dalla nostra competenza.

Per intanto, votiamo l’ultimo comma di questa norma transitoria; poi porrò in votazione l’articolo aggiuntivo proposto dai colleghi Laconi ed Uberti. Sarà infine il Comitato di redazione a dare forma definitiva a queste disposizioni.

Pongo in votazione la formulazione Tosato-Perassi, riservando al coordinanento l’indicazione dell’articolo in cui sono contenute le competenze legislative delle Regioni:

«Nel termine di tre anni dalla entrata in vigore della presente Costituzione il Parlamento provvederà alla revisione delle leggi vigenti in relazione alle esigenze dell’articolo …».

(È approvata).

Vi è ora il testo degli onorevoli Laconi ed Uberti, relativo al problema ora discusso, del seguente tenore:

«Entro sei mesi dall’entrata in vigore della Costituzione sono indette le elezioni per la costituzione dei Consigli regionali».

Gli onorevoli Corbino e Moro propongono di portare i «sei mesi» ad «un anno».

Domando agli onorevoli Moro e Corbino se la mantengono.

MORO. Ritiro la mia adesione alla proposta Corbino.

CORBINO. Mantengo la mia proposta.

LUSSU. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Io voterò per un anno, quantunque sia noto che io sono uno dei maggiori fautori dell’ente Regione; ma credo che sia una saggia disposizione stabilire un termine superiore a sei mesi.

UBERTI. Proprio lei, che per la Sardegna voleva le elezioni entro il 1947.

LUSSU. Gli statuti particolari della Sardegna, della Sicilia, ecc. non c’entrano in questo caso. Qui si parla delle altre Regioni.

Credo che sarebbe saggia misura votare per un anno. Io non so se, perdurando le condizioni politiche attuali, questo Governo sia in grado di fare le elezioni, entro sei mesi. Meglio è stabilire un anno.

FUSCHINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUSCHINI. Voglio far presente agli onorevoli colleghi che in materia elettorale noi non possiamo stabilire che dei termini molto generici, perché indire le elezioni per i Consigli regionali sarà un compito che spetterà a quel Governo che sarà costituito dopo le elezioni politiche. Però, bisogna tener presente che le elezioni dei Consigli regionali devono avvenire al più presto possibile dopo le elezioni politiche, perché il Paese ha bisogno ed ha necessità di essere posto in una tranquillità almeno relativa.

Ora, è indispensabile che le elezioni dei Consigli regionali, una volta che siano avvenute le elezioni politiche, non siano un pretesto, come si è spesso usato per le elezioni amministrative, per alterare indirettamente la posizione che si può essere verificata in materia elettorale politica. Ecco perché io ritengo che il termine di un anno sia più che sufficiente. (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Fuschini, non vi sono proposte superiori ad un anno.

FUSCHINI. Sei mesi, a decorrere dall’approvazione della Costituzione, possono essere insufficienti. Bisogna tener presente che fra l’approvazione della Costituzione e le elezioni politiche intercorreranno almeno sei mesi, sia per elezioni sia per la formazione delle Assemblee legislative. Il termine di sei mesi non potrebbe essere osservato da nessun Governo futuro. Quindi, credo che il termine di un anno sia sufficiente per addivenire alle elezioni.

PRESIDENTE. Pongo in votazione pertanto la seguente formulazione:

«Entro un anno dall’entrata in vigore della Costituzione sono indette le elezioni per la Costituzione dei Consigli Regionali».

(È approvata).

La disposizione VIII risulta nel suo complesso così approvata, salvo coordinamento:

«Leggi della Repubblica regolano per ogni ramo della pubblica amministrazione il trapasso delle funzioni statali attribuite alle Regioni e quello dei funzionari e dipendenti dello Stato, anche centrali, che si rende necessario in conseguenza del nuovo ordinamento.

«Le Regioni, per la formazione dei loro uffici, trarranno il personale occorrente dalle Amministrazioni dello Stato e da quelle degli enti locali, salvo il caso di necessità.

«Nel termine di tre anni dall’entrata in vigore della presente Costituzione il Parlamento provvederà alla revisione delle leggi vigenti in relazione alle esigenze dell’articolo.

«Entro un anno dall’entrata in vigore della Costituzione sono indette le elezioni per la costituzione dei Consigli regionali».

Passiamo ora all’esame del comma aggiuntivo proposto dal Comitato, di cui do ancora lettura:

«Fino a che non sarà provveduto al riordinamento ed alla distribuzione delle funzioni amministrative con gli altri enti locali restano alla Provincia le funzioni amministrative attualmente ad essa attribuite e quelle di cui la Regione le deleghi l’esercizio».

L’onorevole Ruini ha facoltà di illustrarlo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il concetto è questo: abbiamo, nell’istituire le Regioni, stabilito che si deve provvedere ad una distribuzione di servizi non solo fra lo Stato e la Regione, e fra la Regione, la provincia ed il comune. Finché questa distribuzione non abbia luogo, si è detto che la provincia potrà continuare ad esercitare le sue funzioni con le attribuzioni attuali. Aggiungerei, per maggior completezza, anche il comune.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Faccio mio l’emendamento dell’onorevole Nobili Tito Oro del seguente tenore:

«Entro sei mesi dalla entrata in vigore della Costituzione saranno ricostituiti i Consigli provinciali in base alla legge comunale e provinciale 4 febbraio 1915, n. 148».

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non credo che quanto prevede ed autorizza già la legge per la convocazione dei Consigli provinciali debba diventare articolo di Costituzione. Basta un decreto; vogliamo fare d’una facoltà di convocazione un solenne testo costituzionale?

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Sopra i Consigli provinciali non v’è nessuna deliberazione dell’Assemblea. Neppure nei lavori della Commissione dei Settantacinque alcunché si è deliberato per quanto riguarda il Consiglio provinciale; si è solo deciso che la Provincia sarà un ente autarchico. Sarà la nuova legge provinciale e comunale che dovrà stabilire se esisteranno, ed eventualmente in quale forma, i Consigli provinciali.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Onorevoli colleghi, io avevo avuto incarico dal collega Nobili Tito Oro di fare mio il suo emendamento, perché egli sapeva che questa sera sarebbe stato nella impossibilità di partecipare alla seduta. Ma giacché d’onorevole Corbino l’ha già fatto suo, non mi rimane che dire due parole su quanto ha osservato l’onorevole Ruini.

All’inizio del suo dire credevo di avere stasera la sorpresa di trovarmi d’accordo con lui, ma questa speranza mi è passata subito e mi sono accorto di essere in disaccordo. Quando abbiamo riaffermato la esistenza della provincia e ci siamo dati cura di affermare che la Provincia sarebbe risorta, cioè non sarebbe più morta, e sarebbe rimasta quale è sempre stata, cioè ente autonomo, e l’onorevole Uberti mi insegna che ente autarchico, se ha un significato specifico, ha proprio quello di governarsi da sé, si è implicitamente intesa né si poteva non intendere, che la Provincia avrebbe dovuto avere i propri amministratori, nominati come si nominano gli amministratori dei Comuni, come si sono nominati nel passato quelli della Provincia.

Dice l’onorevole Ruini: della formazione dei Consigli comunali non si è parlato nella Costituzione. D’accordo; ma v’è una necessità particolare di parlare della elezione dei Consigli provinciali, trattandosi di una diversa situazione. E la necessità è questa: qui ci siamo dati cura, onorevoli colleghi, ed è stato un pensiero premuroso, di affermare che entro un anno si devono eleggere i Consigli regionali, cioè i Consigli che dovranno amministrare qualche cosa che ancora non esiste. Si possono formulare gli auguri più vivi che la Regione nasca presto e nasca prospera, ed è per quest’augurio che abbiamo detto che entro un anno si devono nominare gli amministratori di questo nuovo ente che, per ora, esiste soltanto sulla carta. La Provincia, invece, si trova in questa particolare situazione. Mentre si è provveduto per legge alla nomina dei Consigli comunali, non s’è mai provveduto alla nomina dei Consigli provinciali, e ciò perché la Provincia si considerava già come estinta, ed allora i consiglieri provinciali sarebbero stati considerati come degli esecutori testamentari. Vi sarebbe stato qualche cosa di funebre nella loro nomina!

Ma oggi che la Provincia è risorta, bisogna correggere questa situazione. Come sono amministrate le provincie? Sono amministrate da quegli stessi cittadini che furono indicati dai Comitati di Liberazione Nazionale; altri amministratori, ove per condizioni locali questa rappresentanza dei partiti non poteva più essere mantenuta in vita, furono nominati attraverso il prefetto. Mi pare che sia questa anormalità di situazione che renda necessario che proprio nella Costituzione si dica che, mentre si è dato un termine massimo di un anno per costituire i Consigli regionali, si dia un termine massimo di sei mesi per la ricostituzione dei Consigli provinciali.

LUSSU. Chiedo di parlare per una pregiudiziale. (Commenti).

PRESIDENTE. Sentiamo la pregiudiziale, onorevole Lussu.

LUSSU. Credo che quando si viene di notte per una seduta di questo genere bisogna anche sopportare degli interventi; altrimenti si rinunzia alla seduta notturna.

PRESIDENTE. È questa la pregiudiziale, onorevole Lussu…? (Si ride).

LUSSU. Mi duole che in questa questione non mi trovi d’accordo, anzi mi trovi in perfetto disaccordo col mio collega Targetti: un dispiacere di famiglia. Ed io devo aggiungere, per rendere ancor più doloroso questo dispiacere, che mi trovo perfettamente d’accordo col collega Uberti.

Quanto egli, infatti, ha affermato sulla questione della provincia è esatto; intendo dire obiettivamente esatto, storicamente esatto.

Se andiamo a rivedere tutto quello che noi abbiamo fatto e, prima di aver fatto, detto, a chiarimento di quello che abbiamo fatto, risulterà evidente che quanto il collega Uberti ha affermato è coerente alla realtà. La provincia, sì, è stata conservata come ente autonomo; ma il collega Targetti mi insegna che ci sono enti autonomi ed enti autonomi, e che noi non abbiamo per niente consacrato che la provincia debba rimanere intatta così come noi l’abbiamo conosciuta.

PRESIDENTE. Onorevole Lussu, sto attendendo la pregiudiziale.

LUSSU. La pregiudiziale è che, se è vero quanto io dichiaro a conferma di quanto prima di me ha affermato l’onorevole Uberti, consegue che questo emendamento non si può neppure porre ai voti, perché altrimenti noi verremmo implicitamente a riconoscere la provincia come ente autonomo, così quale essa era trent’anni fa: il che è ben lungi dalle nostre intenzioni. (Commenti).

FUSCHINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUSCHINI. Dobbiamo ricordare che l’Assemblea Costituente, agli articoli 120 e 121, ha stabilito che le provincie e i comuni sono enti autonomi nell’ambito dei principî fissati da leggi generali della Repubblica, che ne determinano le funzioni. Le provincie e i comuni sono anche, quindi, circoscrizioni di decentramento statale e regionale.

Ora, bisogna tener presente che non è detto, come è stato già giustamente rilevato, che la circoscrizione amministrativa e autonoma della provincia debba avere gli stessi organi che aveva la vecchia provincia, ossia la Deputazione provinciale e il Consiglio provinciale. Noi, per quanto riguarda questa materia, non ci siamo nemmeno fermati, perché abbiamo ritenuto che la provincia potesse essere riformata senza che per questo essa venisse meno come ente autonomo.

Per i comuni dunque c’è una legge da noi approvata, la quale consente ad essi di risorgere con un ordinamento presso a poco analogo a quello che essi avevano prima del fascismo, cioè con un Consiglio e con una Giunta. Per le provincie invece non abbiamo fatto nulla di simile. Ora, bisogna che noi superiamo questa situazione provvisoria, bisogna che noi diamo una legge alla provincia, che regoli il modo come essa debba organizzarsi.

Sarà la Deputazione provinciale, sarà il Consiglio provinciale, sarà l’una cosa e l’altra insieme, o sarà l’una oppure l’altra: è evidente che sono tutti problemi che dovranno in qualunque modo venire risolti da una nuova legge. Non bisogna quindi confondere, egregi colleghi, quelle che sono le disposizioni che sono date per la Regione, con quelle che sono le disposizioni che debbono ancora esser date per la provincia con una legge speciale, dalla quale non si potrà prescindere.

Noi possiamo quindi fare quelle innovazioni che riteniamo più idonee, che riteniamo più adeguate al funzionamento della provincia.

Così io ritengo che per quanto si riferisce alla provincia che ancora esiste, che per volontà dell’Assemblea Costituente si è voluto mantenere, dobbiamo attendere che vi sia la legge integrativa dei suoi organi.

Quindi, nulla dobbiamo pregiudicare in disposizioni transitorie. Naturalmente, bisogna lasciare alle provincie le attribuzioni che esse avevano per l’antica legge, salvo a vedere quali attribuzioni si devono ad esse concedere secondo quella che sarà la volontà del nuovo legislatore.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Sapendo quanto sia poco proprio prendere la parola due volte sullo stesso argomento, mi limito a presentare un ordine del giorno; a trasformare, cioè il mio emendamento in un ordine del giorno del seguente tenore:

«L’Assemblea fa voti che entro un anno dall’entrata in vigore della Costituzione le Provincie abbiano la loro amministrazione elettiva».

Su questo, onorevoli colleghi, mi sembra che si debba essere tutti d’accordo. (Commenti al centro).

MALAGUGINI. La verità è che si vuole uccidere la provincia! (Commenti al centro).

TARGETTI. L’onorevole Malagugini si irrita di un fatto che in realtà rappresenta una bella prova di quello che può una speranza che non si decide a tramontare. Gli egregi colleghi di quella parte dell’Assemblea non si rassegnano al fatto compiuto della risurrezione della provincia, nella quale si ostinano a vedere, a torto, una nemica della Regione. Questa combattività va ammirata e bisogna cercare di imitarla.

Piuttosto vorrei mettere in luce che questo è un tentativo che non può servire a niente. Non posso fare una citazione a memoria, ma sono sicuro che se si riprendono i resoconti delle discussioni che avvennero nell’Assemblea in occasione del ripristino della provincia, si vedrà che furono fatte proprio dalla Commissione dei Diciotto dichiarazioni esplicite – e fui io che ebbi, non dico la malizia, ma l’elementare prudenza di provocarle – dalle quali risulta che si era inteso di mantenere la provincia come ente autonomo, dotato di autogoverno, e quindi amministrata da amministratori nominati dal corpo elettorale. (Commenti al centro).

Ella, onorevole Piccioni, è stato forse uno di quelli che più si è addolorato di questa resurrezione della provincia, e, quindi, si spiega la sua insistenza continua che si manifesta in modo tale che dimostra la costanza dei suoi sentimenti. Ma io credo che in questo ordine del giorno nessuno possa trovare niente da ridire. Qualcuno lo voterà con un pensiero malinconico, considerando che ormai quello che è avvenuto è avvenuto; altri saranno lieti di vedervi la conferma di un fatto che essi auspicavano che avvenisse.

LUSSU. Onorevole Presidente, la mia pregiudiziale vale anche per questo ordine del giorno.

PRESIDENTE. Sta bene. L’onorevole Corbino ha presentato il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente fa voti a che si proceda alla ricostituzione dei Consigli provinciali nel termine di un anno dall’entrata in vigore della Costituzione e non oltre la data di elezione dei relativi Consigli regionali».

Chiedo agli onorevoli Targetti e Corbino se non possono unificare i loro ordini del giorno.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Sull’ordine del giorno Targetti si può raggiungere l’accordo e, quindi, ritiro il mio.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Vorrei far notare che il dire semplicemente che l’Assemblea «fa voti», quando si stabilisce il termine di un anno, mi pare sia troppo poco. Se diciamo «un anno», è opportuno che si usi una formula più impegnativa: per esempio «l’Assemblea stabilisce». Altrimenti mettiamo sei mesi.

PRESIDENTE. Non abbiamo mai votato ordini del giorno su materia non immediatamente costituzionale nei quali si facesse un’affermazione di questo genere. L’Assemblea ha sempre espresso un parere o dato un consiglio.

Pongo in votazione l’ordine del giorno Targetti-Corbino, testé letto.

(È approvato).

L’onorevole Ruini ritiene che si debba votare il comma aggiuntivo proposto dal Comitato di redazione?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Sì.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il comma aggiuntivo proposto dal Comitato alla disposizione transitoria VIII, con raggiunta delle parole: «e al Comune», proposta dall’onorevole Ruini: «Fino a che non sarà provveduto al riordinamento ed alla distribuzione delle funzioni amministrative con gli altri enti locali, restano alla Provincia e al Comune le funzioni amministrative attualmente ad essi attribuite e quelle a cui la Regione deleghi loro l’esercizio».

(È approvato).

Prima di passare all’esame dell’ultima norma transitoria, esaminiamo le ultime proposte aggiuntive pervenute. Gli onorevoli Nobile, Cifaldi, Grieco, Nobili Tito Oro, Costa, Costantini, hanno proposto il seguente articolo aggiuntivo:

«Nessuna variazione al numero e alle circoscrizioni delle Regioni, quali sono definite dall’articolo 123, potrà essere apportata nei primi dieci anni dopo la promulgazione della Costituzione».

Osservo che questa proposta è contradittoria con altra votata dall’Assemblea e pertanto non è accettabile.

Gli onorevoli Fuschini, Moro, Balduzzi, Damiani, De Unterrichter Maria, Jervolino e Uberti hanno proposto il seguente articolo aggiuntivo:

«Per la prima legislatura, anziché applicare la disposizione dell’articolo 57, potrà procedersi alla assegnazione dei seggi della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica in base alla popolazione residente nelle Provincie e Regioni d’Italia calcolate al 31 dicembre 1946 secondo i dati pubblicati nel supplemento straordinario della Gazzetta Ufficiale n. 97 del 28 aprile 1947».

Prego l’onorevole Ruini di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. A parte la dizione che è troppo lunga aderisco alla proposta dell’onorevole Fuschini che corrisponde a quanto stabilì l’Assemblea, nel senso che, votando il principio di far capo ai censimenti, pel numero dei senatori e dei deputati, occorre una norma transitoria per derogare da ciò nelle prime elezioni. Ma si potrebbe anche non mettere il principio, che non ha vero carattere costituzionale, e può essere lasciato alla legge elettorale, con una più opportuna valutazione delle circostanze. In tal caso, se non vi fosse il principio, non vi dovrebbe essere neppure la norma transitoria. Ma si potrà parlarne nel cordinamento. Intanto votiamo la proposta Fuschini.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo aggiuntivo proposto dall’onorevole Fuschini, del quale ho dato testé lettura.

(È approvato).

Gli onorevoli Perassi e Mortati hanno proposto la seguente disposizione transitoria:

«Fino a quando non sia entrata in funzione la Corte costituzionale, la cognizione delle controversie sulle materie indicate nel primo comma dell’articolo 126 della Costituzione è regolata secondo le norme vigenti».

L’onorevole Perassi ha facoltà di illustrare la sua proposta.

PERASSI. Ritengo che questa disposizione sia necessaria dopo le deliberazioni prese dall’Assemblea per quanto concerne la Corte costituzionale. Non era nelle norme transitorie precedentemente formulate, perché nel testo primitivo del progetto le norme relative alla Corte costituzionale, alla sua competenza e alla sua attività andavano notevolmente al di là di quanto risulta dalle deliberazioni prese l’altro giorno. Che cosa si è stabilito? Nell’articolo 126 si è disposto che certe controversie sono attribuite alla Corte costituzionale. Si tratta di una competenza esclusiva. Il valore di questa norma sta precisamente in questo: nel creare un organo avente su quelle controversie una competenza esclusiva. Segue poi l’articolo che stabilisce come è costituita la Corte. Ma poi, nell’articolo 128, a differenza di quanto era previsto nel primitivo progetto, l’Assemblea Costituente si è limitata a dire che la legge stabilirà i modi e i termini per i giudizi sulla incostituzionalità delle leggi: quando la Corte dichiara la incostituzionalità della norma questa cessa di avere efficacia, ecc.

Ora, stando così le cose, quale sarebbe la situazione se non si dicesse nulla? La situazione sarebbe questa: che per certe controversie che sono indicate nell’articolo 126 mancherebbe un giudice o, quanto meno, potrebbero sorgere dei dubbi. Ora, avendo rinviato tutto a leggi successive, si pone un problema di diritto transitorio che si potrebbe risolvere in diversi modi: o creando qualche meccanismo transitorio, come si è fatto in casi analoghi in qualche altra Costituzione, o ponendo quello che è strettamente necessario. Che cos’è strettamente necessario? Evitare che certe garanzie giurisdizionali oggi esistenti restino sospese fino a quando non si sia creata la Corte e si siano adottate le leggi relative al modo di agire davanti alla Corte ed al suo procedimento.

In particolare (e questo è il lato delicato della cosa) secondo il diritto vigente ogni cittadino convenuto in giudizio civile o sottoposto a procedimento penale può eccepire avanti al giudice la illegittimità di una norma anche contenuta in un decreto legislativo. È noto, infatti, che secondo il diritto attuale ogni giudice è competente ad accertare la legittimità delle norme che è chiamato ad applicare, e questa competenza, per quanto riguarda i decreti legislativi, è riconosciuta ed è stata solennemente riaffermata sia in atti parlamentari sia dalla giurisprudenza.

Inoltre, nell’articolo 126 si attribuisce in via esclusiva alla Corte costituzionale, di cui si prevede la creazione, la competenza a giudicare sui conflitti di attribuzione. Anche per questo occorre disporre in via transitoria. Per queste considerazioni proponiamo una disposizione che provveda a queste esigenze di diritto transitorio. Il concetto è questo: lasciare le cose come sono; evitare che in questo periodo transitorio non vengano meno quelle garanzie che attualmente esistono. La norma che proponiamo è formulata così:

«Fino a quando non sia entrata in funzione la Corte costituzionale, la cognizione delle controversie sulle materie indicate nel primo comma dell’articolo 126 della Costituzione è regolata secondo le norme vigenti».

Con questa disposizione resta chiarito che le controversie che possono sorgere in giudizio circa la legittimità di una norma anche se contenuta in un atto avente valore di legge possono essere esaminate e decise dai giudici secondo le norme vigenti e con gli effetti che attualmente possono avere le loro decisioni, cioè limitati al caso concreto. La norma secondo la quale «quando la Corte dichiara l’incostituzionalità di una norma questa cessa di avere efficacia» esce dal diritto attuale e avrà applicazione soltanto quando la Corte sarà creata e sarà regolato tutto il procedimento relativo al sindacato sulla legittimità costituzionale delle leggi.

Per quanto concerne, poi, le controversie relative ai conflitti di attribuzione, che l’articolo 126 deferisce alla competenza della Corte costituzionale, la disposizione transitoria proposta significa che la competenza in tale materia resta per ora deferita alle sezioni unite della Cassazione secondo la legge del 1875.

Sono questi i criteri a cui s’ispira l’articolo proposto, che per le considerazioni esposte riteniamo debba essere inserito nel testo costituzionale.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Aderisco al concetto espresso dall’onorevole Perassi e lo traduco in due parole: creato il nuovo sindacato di legittimità costituzionale, affidato ad un nuovo organo, la Corte costituzionale, è chiaro che quel sindacato non potrà essere esercitato da altri organi, oggi esistenti, prima che sorga la Corte costituzionale. Forse non è necessario, ma, se si crede che vi possa essere un dubbio, votiamo, salvo rivederne la forma, la proposta Perassi-Mortati.

MALAGUGINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MALAGUGINI. A me pare che si tratti di un emendamento di certa importanza, che viene presentato all’ultimo momento. Forse sarebbe opportuno rinviarne a domani la discussione. (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Malagugini, si tratta di un argomento molto semplice e chiaro. Non vedo la ragione di un rinvio.

MALAGUGINI. Non insisto.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la disposizione transitoria proposta dagli onorevoli Perassi e Mortati, di cui ho già dato lettura.

(È approvata).

Gli onorevoli Ambrosini, Cevolotto e Uberti hanno proposto la seguente disposizione transitoria:

«Nella prima formazione della Corte costituzionale i giudici restano in carica per tutto il periodo stabilito nell’articolo 127».

L’onorevole Ambrosini ha facoltà di illustrare la proposta.

AMBROSINI. Questo emendamento aggiuntivo quasi non sarebbe indispensabile; ma, siccome nell’articolo 127 si prevede una legge, che regolerà il funzionamento della Corte, per evitare che questa legge possa portare una innovazione sul problema del quale ci siamo occupati, e data la necessità che la Corte costituzionale abbia un funzionamento continuativo per un certo periodo, in modo da stabilire una giurisprudenza costante, perché le istituzioni possano avere fondamento preciso, noi abbiamo creduto di presentare la proposta in esame.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Forse anche questo emendamento è pleonastico, ma la Commissione lo accetta, con riserva di rivederne la forma in sede di coordinamento.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta Ambrosini, Cevolotto ed Uberti, testé letta.

(È approvata).

L’onorevole Grassi propone la seguente disposizione transitoria:

«Fino a quando non sarà emanata la nuova legge sull’ordinamento giudiziario, in conformità alle disposizioni della presente Costituzione, continueranno ad osservarsi le norme dell’ordinamento ora vigente».

L’onorevole Grassi ha facoltà di svolgerla.

GRASSI. È una disposizione transitoria, la quale tende ad evitare – e forse in questo non è pleonastica – che l’attuale Consiglio superiore della magistratura possa aver esso le funzioni e le attribuzioni che la Costituzione ha attribuito al futuro Consiglio superiore. Siccome, finché l’ordinamento giudiziario non stabilirà il nuovo Consiglio superiore, dovrà funzionare l’attuale, ritengo che la norma non sia pleonastica appunto perché tende ad evitare equivoci. La Commissione potrà poi vedere come coordinarla, ma io sento la necessità, per le responsabilità che assumo ora, di cercare di evitare equivoci in una materia così importante come quella costituita dalla carriera nella Magistratura..

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Certo è che siamo andati incontro con un vero crescendo a tutto un sistema di precauzioni. Non v’è offesa, nell’usare la parola: «pleonastico»; possiamo tuttavia dire «non necessario». Mi sia lecito esprimere qualche dubbio su quanto propone l’onorevole Grassi. Il primo dubbio è se la disposizione sia necessaria; evidentemente, finché il Consiglio superiore della magistratura non avrà assunto la nuova struttura che gli abbiamo data, non potrà esercitare le nuove funzioni, che del resto son poche, e non sarebbe gran male se intanto, pei trasferimenti, si volesse investire il Consiglio attuale. Secondo dubbio: se noi dovessimo per tutti gli organi che abbiamo modificati stabilire una norma di questo genere, la serie degli emendamenti non avrebbe più fine. Malgrado questi dubbi, di fronte alle esigenze che l’onorevole Grassi avanza pel funzionamento del servizio, non mi resta che rimettermi, e non oppormi all’emendamento.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta Grassi, testé letta.

(È approvata).

L’onorevole Mortati ha presentato la seguente proposta:

«È convertito in legge il decreto legislativo luogotenenziale 25 giugno 1944, n. 151».

Ha facoltà di svolgerla.

MORTATI. La mia proposta si riferisce al primo comma dell’articolo 6 del decreto da cui la Costituente ha tratto la sua investitura, nel quale è detto: «Il presente decreto entra in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del regno – serie speciale – e sarà presentato alle Assemblee legislative per la conversione in legge». Con l’adozione del procedimento del decreto-legge per la convocazione della Costituente il Governo di Salerno volle affermare la continuità fra il vecchio e il nuovo ordinamento. Io non entro nel merito di questa concezione, che a me pare infondata, non essendo contestabile che la decisione costituente abbia importato una frattura fra il vecchio e il nuovo ordinamento. Comunque, trovandoci di fronte ad un testo legislativo che ha voluto espressamente sancire la continuità fra i due ordinamenti, si pone questo problema: chi deve operare la conversione in legge? A tenore dell’articolo 6 citato che si richiama alle norme vigenti, regolative dei decreti-legge, l’organo competente dovevano essere le Assemblee legislative.

Può intendersi che con questa dizione ci si sia voluti riferire al Parlamento che sorgerà in virtù della Costituzione da noi approvata? Non mi pare che tale interpretazione possa ritenersi corretta, tenuto conto anzitutto che l’atto di conversione di un decreto, il cui contenuto senza dubbio attiene ad una materia costituzionale, ed anzi alla più tipica, a quella che ha di mira l’instaurazione di un nuovo ordinamento fondamentale dallo Stato, debba essere opera di un organo che abbia competenza nella materia stessa: ciò che non avviene per le ordinarie Assemblee legislative. Si potrebbe pensare a queste Assemblee in funzione di costituenti, cioè agenti con le forme della revisione costituzionale, ma non sembra ragionevole che la legittimazione del decreto da cui il nuovo ordinamento dovrebbe trarre la sua investitura sia attribuita ad un organo derivato dall’Assemblea Costituente, e non direttamente a questa. Si avrebbe, se non si adottasse la soluzione da me proposta, l’assurdo che le future Camere neghino la validità di quanto ha fatto l’organo che ha creato l’ordinamento, di cui farebbero parte. È inoltre da ricordare la ragione politica, relativa all’opportunità di non lasciare ancora aperta una questione circa la legittimità del procedimento costituente.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La formula di convertire in legge, nella Costituzione, un decreto-legge non mi sembra felice e corretta. Ma l’esigenza messa in luce dall’onorevole Mortati è fondata.

Ricordo che il decreto-legge del 1944 fu una piccola Costituzione provvisoria uscita dalla rivoluzione; tutti i decreti legislativi, e tutte le norme che hanno retto il nostro ordinamento provvisorio sono uscite di là. Ne sono derivati il referendum per la Repubblica, la convocazione dei comizi elettorali, la esistenza medesima di questa Assemblea.

Se si voleva riallacciarsi in qualche modo alle forme del passato, ed inserire, per così dire, la rivoluzione nel solco costituzionale, era inevitabile partire da un decreto-legge, e riservarne la conversione. Ma ora che siamo usciti dal provvisorio, ora che il regime intermedio è superato, non ci possiamo lasciare alle spalle come non definito il punto iniziale, la cellula da cui è provenuto l’ordinamento provvisorio. Faremo opera di saggezza decidendo fin da ora che quella che fu l’origine della nostra vita nuova, che poi diventò vita repubblicana, non resti ancora formalmente sospesa e rimessa, sia pure formalmente, al Parlamento futuro.

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Mi sembra che questo decreto dovrebbe essere presentato al Parlamento per essere convertito in legge con il relativo iter delle Commissioni per l’esame e la discussione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non è necessario l’iter che lei dice, e che sarebbe necessario pel futuro Parlamento. Più che una conversione formale in legge, noi dobbiamo stabilire che non occorre più una conversione formale e che una conversione sostanziale di quel decreto, che è insieme il suo superamento, si trova nel fatto stesso di questa Costituzione definitiva.

Votiamo intanto la proposta Mortati.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la formulazione Mortati, testé letta.

(È approvata).

Passiamo alla disposizione IX. Se ne dia lettura.

SCHIRATT1. Segretario, legge:

«La Presente Costituzione sarà promulgata dal Capo provvisorio dello Stato, entro cinque giorni dalla sua approvazione da parte dell’Assemblea Costituente».

GULLO FAUSTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO FAUSTO. Questa norma mi pare che non possa essere votata se non sono stati approvati tutti gli articoli. Comunque, non credo che vi sarà discussione su questa disposizione.

PRESIDENTE. L’Assemblea ha udito la proposta avanzata dall’onorevole Gullo. Se non vi sono osservazioni, rimane così stabilito.

(Così rimane stabilito).

L’onorevole Gasparotto ha presentato il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente riconosce, coerentemente alle tradizioni del Paese, che le calamità nazionali impegnano la solidarietà della Nazione rispetto ai danni e agli oneri che da esse derivano».

Ha facoltà di illustrarlo.

GASPAROTTO. La Costituzione francese, all’articolo 34, dispone che le calamità che colpiscono la Nazione impegnano tutta la Nazione, indipendentemente dalle regioni colpite dagli infortuni di particolare gravità.

Ora, io comprendo le ragioni per cui la Commissione non possa accogliere questa disposizione nel testo della Costituzione, in quanto essa risponde perfettamente alla tradizione italiana. Difatti, in occasione del terremoto calabro siculo del 1911 che provocò la morte di 50 mila persone, in quella del terremoto della Marsica del 1915 e via dicendo, l’Italia, ha affermato costantemente la solidarietà di tutta la Nazione davanti a queste sventure che colpiscono la Patria nelle varie parti del suo territorio.

Quindi, si può ritenere, forse, superflua, la disposizione stessa.

Tuttavia, di fronte all’ordinamento regionale, che distingue la Repubblica in vari nuclei autonomi, è utile, sotto forma di voto espresso in un ordine del giorno, che la Costituente stabilisca ancora una volta l’unità morale e la solidarietà di tutti gli italiani di fronte alle sventure nazionali. (Applausi).

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’ordine del giorno presentato dall’onorevole Gasparotto, testé letto.

(È approvato).

Segue la proposta di una disposizione aggiuntiva VI-bis, fatta dall’onorevole Nobili Tito Oro:

«Entro sei mesi dall’entrata in vigore della Costituzione può essere chiesta la revocazione delle sentenze civili pronunciate sotto il regime fascista, quando risulti o possa essere provato che esse furono la conseguenza della pressione di organi del governo o del partito fascista».

Non essendo presente il proponente, si intende che vi abbia rinunziato.

Il seguito di questa discussione è rinviato a domani alle 10.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Comunico che sono pervenute le seguenti interrogazioni con richiesta di risposta urgente:

«Al Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per conoscere quali provvedimenti intenda emanare per adeguare l’applicazione dei contributi unificati in agricoltura alla capacità contributiva degli agricoltori della Sardegna, ed in specie dei coltivatori diretti e piccoli proprietari e alle speciali condizioni dell’economia agraria dell’Isola.

«Carboni Enrico, Chieffi, Mannironi»

«Al Ministro degli affari esteri, per conoscere se proseguano e a che punto siano gìunte le trattative per una unione doganale italo-francese, auspicata nel Convegno di Parigi nello scorso luglio.

«Persico».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per conoscere quali provvedimenti intendono prendere nei confronti della Confindustria che, rompendo le trattative che duravano da dieci mesi, provoca novecentomila metallurgici a scioperi ed agitazioni per difendere il loro pane ed il lavoro italiano.

«Roveda».

Il Governo ha facoltà di dichiarare quando intende rispondere.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Mi riservo di far conoscere quando i Ministri interrogati intendano rispondere.

Annunzio di una mozione.

PRESIDENTE. È stata presentata la seguente mozione:

«L’Assemblea Costituente invita il Governo a considerare se – dal momento che la legge sull’ammasso per contingente del grano per l’anno 1948 toglie il carattere di reato alle violazioni della legge stessa e commina per tutte le infrazioni esclusivamente penalità di carattere finanziario, e quindi fatti di maggiore gravità di quelli che possano essere stati commessi nel 1947 e negli anni precedenti non portano più a pene restrittive della libertà – non sia giusto ed equo stabilire con un provvedimento di indulto che le condanne a pene restrittive della libertà personale pronunciate e da pronunciare in base alle leggi precedenti siano condonate, ferme restando le pene pecuniarie.

«Persico, Cevolotto, Treves, Corbino, Bonino, Perlingieri, Guerrieri Emanuele, Candela, Gasparotto, Basile».

Sarà sentito il Governo per fissarne la data di discussione. Sarà abbinata a quella presentata dall’onorevole Bonomi Paolo concernente lo stesso argomento.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per sapere se intenda migliorare le tabelle per le pensioni al personale dei depositi stalloni d’Italia.

«Come risulta dalla Gazzetta Ufficiale del 15 dicembre 1945, ai caporali e caporal maggiori viene data una pensione, che va dalle lire 1800 a lire 2700 mensili, per quelli che hanno venti anni di servizio, e, per quelli che ne hanno trentacinque, dalle lire 2400 a lire 2700.

«Se creda, almeno, che allo stato, le pensioni siano uguagliate a quelle degli altri corpi dipendenti dal Ministero della difesa.

«Sapienza».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se, in applicazione del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 24 luglio 1947, n. 800, intende dare disposizioni tendenti a garantire l’ordine di preferenza nelle graduatorie per incarichi e supplenze in ogni ordine di scuola ai mutilati ed invalidi civili per fatti di guerra, ai figli dei caduti civili per fatti di guerra, alle madri ed alla vedove non rimaritate ed alle sorelle vedove o nubili dei caduti civili per fatti di guerra.

«Riccio Stefano».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere come intenda esaltare nelle scuole della Repubblica i martiri del nostro ultimo risorgimento e particolarmente il sacrificio di Lauro De Bosis, che si votò alla morte, la sera del 5 ottobre 1931, per indirizzare dal cielo di Roma un appello di libertà al popolo italiano.

«Bartalini, Lussu, Pertini, Pesenti, Lozza, Cianca, Amadei, Calamandrei, Giua, Lombardi Riccardo».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per sapere se e quali provvidenze dispone lo Stato a favore delle cooperative edilizie per la ricostruzione di case di abitazione sinistrate e distrutte appartenenti ai soci delle cooperative stesse; e in particolare per sapere:

  1. a) quale è l’entità del contributo;
  2. b) in quale forma viene dato;
  3. c) se viene dato su stato di avanzamento dei lavori o in forma di annualità. (L’interrogante chiede la risposta scritta).«Preti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere in base a quali criteri sia stato concesso il ritorno del professore Ottorino Vezzani al posto di direttore dell’Istituto zootecnico e caseario di Torino, trattandosi di persona ex epurata, privata dell’elettorato attivo per 8 anni, denunciata per truffa aggravata e falso in atto pubblico, amnistiata d’ufficio. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Montagnana Mario».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere se sia a conoscenza come presso l’Ospedale civile di Belluno sia insediato da oltre un anno un Consiglio di amministrazione irregolarmente costituito (per il presidente esiste l’incompatibilità prevista dall’articolo 11 della legge fondamentale sulle opere pie e, inoltre, la sua nomina è nulla in quanto adottata da un organo incompetente) e come il prefetto, che della cosa è stato edotto in modo formale, non abbia provveduto a rimuovere l’irregolarità lamentata, tollerando così il formarsi di un complesso di provvedimenti ed atti amministrativi, che potrebbero in qualunque momento essere inficiati di nullità con grave nocumento e pregiudizio per gli interessi dell’Ente ospedaliero. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Pat».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri della difesa e del tesoro, perché dichiarino se intendono provvedere sollecitamente perché i magistrati ordinari, richiamati come ufficiali d’arma ed in servizio presso la giustizia militare non continuino ad essere privati, per una serie di complicate disposizioni, delle competenze loro spettanti ed attribuite ai loro colleghi, sia dalla giustizia ordinaria sia dalla giustizia militare, con evidente sperequazione ed offesa ai criteri di giustizia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Mastino Pietro».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere se non ritenga opportuno ed equo consentire, in via eccezionale, agli agenti di custodia, che abbiano la qualità di reduci dell’ultima guerra, di contrarre matrimonio indipendentemente dall’età e dall’anzianità di servizio. E ciò per eliminare la differenza di trattamento in confronto dei reduci ammogliati testé assunti in servizio. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Mazzei».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 23.30.

Ordine del giorno, per la seduta di domani.

Alle ore 10:

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.