Come nasce la Costituzione

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ANTIMERIDIANA DI MARTEDÌ 9 DICEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCXXIII.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI MARTEDÌ 9 DICEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Congedi:

Presidente

Interrogazioni (Svolgimento):

Presidente

Marazza, Sottosegretario di Stato per l’interno

Pastore Raffaele

Stampacchia

Fiorentino

D’Amico

Castiglia

Montalbano

Tumminelli

Treves

Di Fausto

Monterisi

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Marazza, Sottosegretario di Staio per l’interno

Mazza

La seduta comincia alle 11.

AMADEI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati Mastino Pietro e Quintieri Adolfo.

(Sono concessi).

Interrogazioni.

PRESIDENTE; L’ordine del giorno reca: Interrogazioni.

Gli onorevoli Cicerone, Caccuri, De Maria, Stampacchia, Gabrieli, Monterisi, Pastore Raffaele, Perrone Capano, Codacci Pisanelli hanno tutti presentato interrogazioni relative ad incidenti accaduti in Puglia.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Chiedo che si verifichi la presenza dei vari interroganti perché possa regolarmi in proposito.

PRESIDENTE. Non sono presenti gli onorevoli Cicerone, Caccuri, De Maria, Gabrieli, Codacci Pisanelli.

L’onorevole Perrone Capano ha chiesto che la sua interrogazione sia rinviata.

PASTORE RAFFAELE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PASTORE RAFFAELE. Vorrei andare alle fonti delle agitazioni e conoscere il pensiero degli altri interroganti.

Si dovrebbe pertanto rinviare tutte le interrogazioni.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Vorrei far intendere all’onorevole Pastore Raffaele la necessità in cui mi trovo di rinviare lo svolgimento della sua interrogazione a più tardi, perché sono in attesa di alcuni elementi che mi devono essere mandati.

PASTORE RAFFAELE. Io dicevo che, siccome tutti si riallacciano allo stesso problema (pare che siamo in nove a parlare delle violenze in Puglia), occorre che il Sottosegretario risponda a tutte le interrogazioni onde assodare l’origine delle violenze e sentire come il Governo intenda venire incontro ai bisogni di quella Regione.

PRESIDENTE. Onorevole Pastore, la prego di non entrare nel merito, per ora.

STAMPACCHIA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

STAMPACCHIA. Mi pare che il Sottosegretario Marazza abbia detto che vuole rispondere a queste interrogazioni alla fine della seduta antimeridiana.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Questa mia richiesta era limitata soltanto all’interrogazione dell’onorevole Pastore Raffaele, perché attendevo degli elementi informativi, ma poiché si tratta di una catena di interrogazioni tra loro realmente collegate, sono d’accordo nel rimandarle tutte alla fine di questa seduta.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, così rimane stabilito.

(Così rimane stabilito).

Segue l’interrogazione dell’onorevole Condorelli, al Ministro dell’interno, «circa i fatti del 24 novembre, che condussero alla devastazione della sede dell’Unione monarchica italiana di Cosenza, circa i provvedimenti preventivi e repressivi adottati, nonché, in generale, sull’esistenza di progetti riparatori, che impediscano che la violenza politica raggiunga l’effetto di eliminare od attenuare l’azione dei partiti contro la quale si dirige».

L’onorevole interrogante non è presente.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Potrei rispondere alla interrogazione dell’onorevole Condorelli, ma egli non è presente. Penso che questa interrogazione si potrebbe unire, per quanto riguarda la risposta, ad una serie di altre interrogazioni presentate sul medesimo argomento, e che non sono nell’ordine del giorno di oggi.

PRESIDENTE. Sta bene.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Sansone, al Ministro dell’interno, «per conoscere in base a quale ordine e per quali motivi i carabinieri di Giugliano (Napoli) hanno perquisito senza preavviso le abitazioni di numerosi cittadini iscritti ai partiti socialisti e comunisti. Per conoscere, altresì, se tale abusiva operazione di polizia venne portata preventivamente a conoscenza del Ministero dell’interno o del comando dei carabinieri ed infine per conoscere quali energici provvedimenti intende adottare contro i responsabili».

Non essendo presente l’onorevole interrogante, s’intende che vi abbia rinunciato.

Segue l’interrogazione degli onorevoli Bellavista, Villabruna e Crispo, al Ministro dell’interno, «sui recenti fatti di Caltanissetta ed Agrigento, nei quali vennero assaltate e devastate le sedi di partiti politici. Ed in particolare, se siano stati identificati ed arrestati gli autori del tentato omicidio in danno del vicecommissario di pubblica sicurezza Di Natale, che venne derubato dell’orologio e di altri effetti personali in occasione della grave aggressione subita; se sia stato deferito all’autorità giudiziaria, come responsabile del reato d’istigazione a delinquere, il deputato regionale Gino Cortese; se siano stati identificati ed arrestati i lanciatori di bombe contro la sede del Partito liberale di Agrigento, attentato conclusosi col ferimento di cinque carabinieri».

Poiché nessuno degli interroganti è presente, si intende che vi abbiano rinunciato.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà..

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Poiché le tre interrogazioni che seguono, degli onorevoli Fiorentino, D’Amico e Castiglia, concernono argomenti affini, chiedo che siano riunite.

PRESIDENTE. Sta bene. Saranno svolte congiuntamente le seguenti interrogazioni:

Fiorentino e Musotto, al Ministro dell’interno, «sul contegno tenuto dalla polizia durante la recente manifestazione di protesta dei minatori di Aragona, in Agrigento, e sui provvedimenti che reputa indispensabile adottare per garantire la libertà dei lavoratori nella difesa del loro diritto alla vita»;

D’Amico, Montalbano e Fiore, al Ministro dell’interno, «per conoscere il pensiero del Governo sulle gravi violenze poliziesche contro un pacifico corteo di lavoratori svoltosi in Agrigento, e quali provvedimenti intenda prendere contro i responsabili»;

Castiglia, al Ministro dell’interno, «sui fatti di violenza comunista di Caltanissetta e sulle misure adottate per prevenire la minaccia, di «più gravi pericoli» che incomberebbero sulla Sicilia, formulata dall’esponente comunista signor Gino Cortese, consigliere regionale dell’Assemblea siciliana».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere congiuntamente a queste interrogazioni.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. I fatti – e mi riferisco anzitutto a quelli di Caltanissetta – sono i seguenti. Il mattino del 19 novembre il deputato all’Assemblea siciliana, signor Cortese, capeggiando una dimostrazione non autorizzata di alcune centinaia di zolfatari, si presentava alla Prefettura di Caltanissetta. Colà una commissione, composta dallo stesso deputato, dal segretario provinciale di quella federazione del Partito comunista, dall’ispettore dello stesso Partito, dottor Contini, dal segretario della Camera del Lavoro e dal signor Roxas segretario provinciale della Federterra, si presentava al Prefetto e chiedeva, a nome dei dimostranti, l’immissione nel possesso degli ex-feudi di Cicutella e Polizzello, già assegnati da tempo alle cooperative che li avevano domandati, mentre i relativi provvedimenti sarebbero stati sospesi; la chiusura della sede del Movimento sociale italiano, e l’allontanamento del capo dell’Ispettorato dell’Agricoltura locale, accusato di parzialità verso gli agrari. Dopo che la commissione era stata ricevuta e che aveva ottenuto dal Prefetto esplicite assicurazioni di interessamento, i dimostranti si formavano in corteo e si dirigevano con propositi aggressivi verso la sede del Movimento sociale italiano, a protezione della quale, in considerazione degli avvenimenti e di episodi analoghi di violenza, che si erano già verificati in altre parti d’Italia, erano state adottate, nei limiti del possibile, misure di vigilanza. I dimostranti, però, non esitavano ad assalire le forze di pubblica sicurezza, che erano appunto di guardia alla sede del detto Movimento, e riuscivano ben presto ad averne ragione. Nella colluttazione rimasero contusi e feriti un ufficiale, un sottufficiale ed altri carabinieri, giudicati guaribili dai quattro ai dieci giorni. Mentre questa prima aggressione avveniva, un gruppo di dimostranti riusciva a dividere dalle forze che presidiavano la sede del Movimento sociale italiano, il funzionario di polizia che dirigeva le operazioni, dottor Di Natale, e, trascinatolo in una via adiacente, lo percuotevano brutalmente fino a ridurlo in fin di vita, per frattura della base cranica. I militari dell’arma dei carabinieri e gli agenti di pubblica sicurezza, che si trovavano impegnati poco lontano, non potevano aiutare il funzionario, se non più tardi, quando, informati del fatto, caricavano la folla e riuscivano ad aprirsi un varco ed a soccorrerlo.

In questa circostanza, però, la sede del Movimento sociale italiano rimaneva scoperta ed in questo momento i dimostranti riuscivano ad invaderla e a devastarla. Dopo di ciò il deputato Cortese arringava la folla. Durante questo suo discorso vennero minacciati gravi avvenimenti per il caso in cui le richieste avanzate al Prefetto dalla commissione, della quale ho parlato, non fossero state accolte entro la giornata. Invitava quindi la massa a raggiungere la Camera del lavoro, per comunicazioni che avvertiva di non poter fare pubblicamente. Dopo di questo un altro forte gruppo di dimostranti, staccatosi dal grosso, si presentava dinanzi alla sede del Partito monarchico in Via Calafati ed approfittando anche qui del fatto che i carabinieri e gli agenti di pubblica sicurezza avevano dovuto abbandonare il posto per correre in soccorso di quelli che prima si trovavano impegnati nella colluttazione di cui ho parlato, entravano nei locali, li devastavano e ne distruggevano i cartelli. Transitando per la città, diretti verso questi loro obiettivi, i dimostranti si trovavano a passare dinanzi alla sede della Democrazia cristiana e qui si indugiavano tumultuando, e distruggevano un albo esposto, tutti i cartelli, e ne tentavano l’invasione. Però, per l’intervento di alcuni fra gli stessi dimostranti, questo tentativo venne interrotto. Da parte dell’autorità di pubblica sicurezza, attesa anche la gravità del fatto, culminato nella aggressione del Commissario dottor Di Natale, furono compiute diligenti indagini per identificare i responsabili e procedere al loro arresto. Senonché tutti costoro si resero latitanti e tuttora non risulta che alcun arresto abbia potuto essere eseguito. Sono stati tutti denunciati all’autorità giudiziaria. Il deputato Gino Cortese, nonché gli altri che erano con lui, e precisamente il segretario della Federterra e l’ispettore dottor Contini di cui ho già parlato, sono stati denunciati per tentato omicidio, devastazione, saccheggio, resistenza ed oltraggio agli agenti della forza pubblica.

Sono stati parimenti denunziati tali La Rocca, Speziale, La Villa Cirano e Nicosia, per devastazione, saccheggio, nonché per violenza e resistenza agli agenti della forza pubblica.

Il funzionario dottor Di Natale, giudicato con prognosi riservata per commozione cerebrale, con probabile frattura della base cranica e tentativo di strangolamento, non subì però alcun furto, com’è accennato in una delle interrogazioni alle quali rispondo. Durante l’aggressione egli ebbe, infatti, a perdere il cappello, il cappotto e anche la pistola; ma questi indumenti e quest’arma gli furono successivamente restituiti.

Quanto ad Agrigento, gli avvenimenti risalgono al 26 novembre. In quel giorno fu tenuta in Prefettura una infruttuosa riunione tra i concessionari della miniera di zolfo Montana Mintini di Aragona e i rappresentanti sindacali degli zolfatari, allo scopo di risolvere una dibattuta questione circa il pagamento di sei milioni, richiesti parte per fronteggiare il pagamento del 50 per cento delle ferie e gratifiche già maturate e parte per la continuazione della gestione delle miniere, che da tempo erano passive.

Contrariamente all’accordo preliminare, mentre questa riunione si stava svolgendo, venivano fatti affluire dinanzi alla Prefettura circa 300 zolfatari, i quali, appena appreso che la riunione non aveva dato un esito immediato, cominciarono a tumultuare e tentarono di invadere la Prefettura.

L’opera persuasiva, tuttavia, svolta personalmente dal Questore, oltre che dall’Arma dei carabinieri e da funzionari di pubblica sicurezza, riusciva a riportare la calma e i dimostranti ritornarono alla Camera del lavoro.

Più tardi, però, un altro corteo di zolfatari attraversava la città, e, dopo aver distrutto anche qui l’albo murale della sede della Democrazia cristiana, emettendo grida ostili al Governo, al Prefetto e agli organi di polizia, tentava di invadere la Camera di commercio, sede anche dell’Associazione degli industriali. Però questo tentativo poteva essere frustrato dal tempestivo intervento della pubblica sicurezza.

Successivamente i dimostranti tentavano di assalire la sede del partito liberale; ma anche qui si trovarono di fronte ad un reparto efficiente di carabinieri e di agenti di pubblica sicurezza e dovevano desistere dal loro tentativo. Senonché, nel corso di questo episodio partirono da parte dei dimostranti alcuni colpi di rivoltella sparati in aria, sicché fortunatamente gravi conseguenze non si ebbero: che si trattasse di colpi partiti dai dimostranti è dimostrato anche dal fatto che sul posto vennero trovati dei bossoli di cartucce di rivoltella del calibro 6,35, che non è in dotazione ai carabinieri e nemmeno alle guardie di pubblica sicurezza. Vennero pure sul terreno trovate due bombe a mano, tipo Breda, delle quali una senza sicura. Il Commissario che dirigeva le operazioni, tale dottor Cardinale, viste queste bombe a terra, intuito il pericolo della loro esplosione – almeno di quella priva di sicurezza – se ne impossessava e le lanciava in uno spazio vicino che riteneva deserto. Purtroppo invece nelle vicinanze si trovavano alcuni agenti di pubblica sicurezza ed alcuni civili i quali venivano leggermente feriti: e precisamente quattro agenti di pubblica sicurezza e cinque civili.

Si deve giudicare da quanto ho esposto, che l’azione delle forze di polizia è stata adeguata alle esigenze ed è valsa ad evitare più gravi conseguenze. Nessun altro episodio, né il lancio di bombe contro la sede del Partito liberale, né il ferimento di cinque carabinieri di cui è cenno in una delle interrogazioni cui sto rispondendo, hanno un qualche fondamento.

I rappresentanti degli zolfatari presentarono al Prefetto un ordine del giorno di viva protesta contro gli eccessi della polizia, di richiesta immediata di allontanamento del Commissario Cardinale e di indennizzo alle vittime del «piombo poliziesco». Altro ordine del giorno più vivace ancora veniva presentato il giorno successivo, con la proclamazione dello sciopero dei minatori e la minaccia di sciopero generale per la data del primo dicembre.

Pertanto, in seguito a queste proteste, crebbe, come era naturale, da parte della Prefettura, l’impegno ad acclarare i fatti ed a stabilire le eventuali responsabilità. Debbo aggiungere che, a questo punto, mi corre l’obbligo di dichiarare che i fatti acclarati sono quelli che io ho esposto e che sono stati, dal momento in cui le interrogazioni sono state presentate sino ad oggi, esattamente confermati da tre rapporti ricevuti da tre differenti uffici.

A titolo di informazione, debbo aggiungere poi che il problema relativo alla questione economica, che è stato alla base di questi incidenti, ha potuto essere risolto, in quanto quella tale somma di sei milioni, ritenuta necessaria per provvedere ai pagamenti cui ho accennato, è stata in seguito anticipata dal Governo regionale, per effetto di un sovvenzionamento ottenuto dalla Cassa di risparmio del Banco di Sicilia.

I fatti sono evidentemente molto gravi e molto incresciosi. Incresciosi nel loro svolgimento, incresciosi nella causa che li ha provocati; ad ogni modo, non pare – ed è precisamente questo che preme in modo particolare al Governo di far presente – che dallo svolgimento di questi fatti possa alcunché imputarsi agli organi e di polizia e di Governo. Non pare nemmeno che da questi fatti, limitati così come essi furono nei loro elementi determinanti, possa fondatamente temersi il pericolo di imminenti episodi analoghi.

Desidero ad ogni modo rassicurare gli onorevoli interroganti che da parte del Governo si sono prese quelle disposizioni che parevano necessarie; e precisamente venne provveduto al potenziamento degli organi di polizia, ai quali vennero date particolari disposizioni, perché tutto ciò che potesse servire ad un’eventuale prevenzione venisse posto in essere, prima che si sia costretti di nuovo a ricorrere ad operazioni di repressione.

PRESIDENTE. L’onorevole Fiorentino ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

FIORENTINO. La mia interrogazione si riferisce alla manifestazione dei minatori di Aragona in Agrigento, e voleva mettere a fuoco la situazione di miseria e di esasperazione in cui vivono i nostri zolfatari; voleva proiettare questa particolare situazione nell’atmosfera di generale malcontento che agita un po’ tutto il Paese, in questo dopoguerra ancor più travagliato a causa dell’ingordigia delle classi padronali, sorde al dolore dei nostri lavoratori e soprattutto a causa dell’inerzia del Governo nel risolvere i problemi economici.

Il Governo ha risposto, mimetizzando il fatto, per trasformarlo in un semplice episodio, direi in un banale episodio di piazza; ma nello stesso tempo ci ha detto che alla base di quella agitazione era una ragione economica, tanto che la Prefettura è intervenuta, e un concordato, che durerà, come i precedenti, meno di un mattino, è stato stipulato.

Il Governo – anche perché gli interroganti appartengono ad opposti settori – cerca di dare ragione un po’ a tutti. Dice che gli zolfatari pur mossi da fondate ragioni avrebbero fatto meglio tuttavia a non provocare incidenti, e d’altra parte giustifica la polizia, perché, se quel tale Commissario ha lanciato la bomba sulla folla dei lavoratori, lo ha fatto per evitare maggiori conseguenze. Come al solito, tutti hanno ragione.

Mi viene in proposito alla mente l’episodio di quel giudice di pace che, dopo aver ascoltato gli opposti interessati in una vertenza dava ragione a tutti e due, sorprendendo il figliuolo che lo stava a sentire. «Papà – interrogava il fanciullo – ma è possibile che abbiano tutti e due ragione?». E il giudice disinvolto rispondeva: «Sì, anche tu hai ragione».

Su questa via, onorevole Sottosegretario e onorevoli colleghi, seguendo questa politica, si autorizza implicitamente il Commissario di Pubblica sicurezza di Agrigento a lanciare la bomba sugli zolfatari, si autorizza la polizia di Primavalle a sparare sui lavoratori.

Che cosa chiedono questi lavoratori in Sicilia, a Roma e a Milano? Chiedono lavoro e pane. E dappertutto è sangue, invece.

Perché tanta incomprensione? L’episodio di cui all’interrogazione è un particolare aspetto della situazione tragica in cui vivono gli zolfatari e direi quasi della situazione nella quale essi aspettano la morte: lavoro bestiale, inumano, quando c’è; remunerazione inadeguata, spesso corrisposta con ritardo; alimentazione insufficiente. E se è vero che alla vigilia della guerra la classica industria mineraria siciliana dava ancora una produzione di circa cinque settimi del totale della produzione nazionale e di circa un tredicesimo della produzione mondiale; se è vero che questa industria delle nostre zolfare deteneva il primato della produzione mondiale, prima della scoperta dei depositi della Luisiana e del Texas; se è vero tutto questo, soltanto un Governo che non è né democratico né cristiano (Commenti al centro) può rimanere indifferente di fronte alla dispersione di questa fonte di ricchezza, può voler soffocare poliziescamente il grido di miseria e di esasperazione dei nostri zolfatari.

Una voce al centro. Aizzati da voi!

PRESIDENTE. Onorevole Fiorentino, tenga conto dei suoi cinque minuti.

FIORENTINO. Questi zolfatari, onorevoli colleghi, vivono tuttora come ai tempi dell’inchiesta del Sonnino, del Chiesi e del Colajanni. Vivono nelle condizioni che causarono i moti del ’93, repressi ferocemente da Crispi, siciliano, cui mi auguro, non vorrà ispirarsi l’attuale Ministro dell’interno, siciliano anche lui; condizioni che fecero inorridire una delegazione russa che accompagnai a visitare la miniera «Ciavolotta» di Agrigento; e che richiamarono l’attenzione di un repubblicano di sicura fede, l’allora commissario per la Sicilia, Giovanni Selvaggi, il quale, un anno fa, alla vigilia di Natale, volle visitare i più importanti bacini minerari siciliani per rendersi conto dei bisogni dell’industria e dei lavoratori e prospettare al Governo le soluzioni che ancora si attendono, che non sono venute, e che non possono venire certamente da questo Governo.

Voi, colleghi, ricorderete certamente cronache e fotografie che giornalisti al seguito dell’Alto Commissario pubblicarono allora su tutti i giornali. Qui ne ho uno ormai logoro. Riporta una fotografia delle «caverne dove dormono i minatori dopo ore di lavoro senza sole»…

PRESIDENTE. Onorevole Fiorentino, cerchi di concludere. Anche gli altri interroganti hanno diritto allo svolgimento della loro interrogazione.

FIORENTINO. Un’altra fotografia mostra tre «carusi» deformati e precocemente invecchiati, così come precocemente invecchiati sono gli altri mille ragazzi, disfatti dalla fatica inumana della zolfara…

PRESIDENTE. Onorevole Fiorentino, non è questa la sede per dilungarsi tanto su questo argomento. Lei dice cose che hanno importanza grandissima, ma che non possono essere trattate adeguatamente in sede d’interrogazione.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Quanto meno dovevano essere accennate nel testo dell’interrogazione.

FIORENTINO. Onorevole Sottosegretario, voglio proprio riferirmi alla seconda parte della mia interrogazione e precisamente alle condizioni economiche, nella sua risposta indicate come vero movente della manifestazione degli zolfatari di Aragona, la cui miniera conosco perché nel ’45 ne fui nominato Commissario prefettizio. Trovai anche allora la medesima situazione: un passivo di circa 12 milioni, di cui oltre la metà costituito da un credito dei minatori per salari arretrati. Ricordo che anche allora si fecero delle riunioni in Prefettura, che anche allora i proprietari non vollero aderire, che anche allora ci furono delle agitazioni. E soltanto la minaccia di affidare la gestione diretta della miniera ad una cooperativa di zolfatari valse a comporre la vertenza.

PRESIDENTE. Concluda, onorevole Fiorentino, la prego!

FIORENTINO. Concludo, onorevole Presidente ed onorevole Sottosegretario. Non si risolve il problema delle nostre miniere con l’intervento della polizia!

È un problema vitale, onorevole Presidente, che deve stare a cuore di tutti e che è bene far conoscere…

PRESIDENTE. Lo conosco da 40 anni!

FIORENTINO. Ma questo Governo non dà nessun affidamento, non lo dà perché ritiene di poterlo risolvere, come gli altri conflitti sociali, con la repressione (Commenti al centro). Deputati di diversi settori, anche democristiani, da tempo richiamano i Ministeri interessati, pur non di meno la situazione permane qual era. Perciò i lavoratori si agitano. Onorevole. Sottosegretario, dica all’onorevole. Ministro dell’interno che con le armi non si risolve il problema dei minatori di Sicilia!

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Questa che lei ha sollevato è una questione di carattere generale che esorbita dal contenuto dell’interrogazione. Io vorrei che quando si presenta un’interrogazione si dicesse chiaramente quello che si desidera che il Governo risponda. Nella specie, si parla del contegno della polizia durante la recente manifestazione di protesta, ecc.

Onorevole Fiorentino, io le devo dire che se nella sua interrogazione ella avesse semplicemente accennato a quello che poi ha dichiarato qui, il Governo avrebbe potuto dare ben diversa risposta e lei avrebbe potuto dichiararsi ben diversamente sodisfatto.

FIORENTINO. Nella mia interrogazione chiedo dei provvedimenti; che si faccia cioè quello che si deve fare per garantire il diritto alla vita e la libertà dei lavoratori nella difesa di questo diritto.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Ma lei solleva un problema di polizia nell’interrogazione. Ad ogni modo, in linea di fatto, desidero dichiarare che la polizia non ha sparato sulla folla.

PRESIDENTE. L’onorevole D’Amico ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto. Tenga presente, però, che ha solo cinque minuti a disposizione. Tutti gli oratori devono tener presente questa raccomandazione, perché desidero che tutte le interrogazioni all’ordine del giorno siano svolte.

D’AMICO. Signor Presidente, prendo atto della sua raccomandazione e le assicuro che nelle mie dichiarazioni farò di tutto per impiegare il tempo strettamente necessario. Dichiaro di non essere sodisfatto, perché nelle comunicazioni dell’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno in relazione ai gravi fatti avvenuti in Agrigento il giorno 26 del mese di novembre, ho rilevato delle lacune che mi prefiggo di colmare per amore della verità, e per potere giudicare da un punto di vista obiettivo e sereno gli avvenimenti e stabilire quali fattori hanno influito a determinarli.

Il giorno 26, circa 500 minatori di Aragona erano convenuti nel capoluogo per protestare presso le Autorità contro gli affittuari (gabelloti) della miniera Emma – certi Graceffo e Vullo – i quali debbono ancora corrispondere ai lavoratori le cento ore della gratifica natalizia e arretrati salariali di sensibile consistenza.

Il corteo dei lavoratori si fermava dopo avere percorso in perfetto ordine le vie principali della città dinanzi alla Prefettura, mentre i responsabili, i rappresentanti dei minatori venivano ricevuti dal Prefetto ed alla presenza del gabelloto Graceffo.

Nessun risultato concreto poteva essere raggiunto e la riunione si chiudeva, in seguito alla iniziativa del Prefetto di lasciare passare altre 48 ore per tentare, in questo lasso di tempo, la soluzione della questione. È tassativamente stabilito che l’accordo non poté essere raggiunto per la ostilità e caparbietà del Graceffo.

I rappresentanti dei lavoratori accettavano la proposta e quindi ritornavano tra i minatori per annunziare l’esito dell’incontro.

I minatori all’annuncio della nuova dilazione non potevano frenare il proprio disappunto e in preda all’esasperazione formavano un corteo e si dirigevano verso il Corso Ateneo mentre ad essi si aggiungevano altri gruppi di minatori giunti da Favara e operai di Agrigento. Alla vista di un albo murale della democrazia cristiana la collera dei lavoratori esplodeva e lo strappavano dal muro dopo averlo fracassato.

In via Giambertoni i lavoratori notavano un altro albo murale del Partito liberale italiano ed anche quest’ultimo veniva strappato e fracassato al suolo.

Fu a questo punto che certo Macaluso, della Federazione regionale dei minatori e certo Cordaro, della Federazione provinciale dei minatori riuscivano ad improvvisare un comizio per ricondurre alla calma gli operai, invitandoli a ritornare pacificamente alle loro case, in attesa di riprendere la discussione allo scadere delle 24 ore.

L’intervento dei due responsabili delle organizzazioni riusciva a ristabilire la calma fra i minatori, che tranquillamente riformavano il corteo dirigendosi verso gli autocarri che li attendevano per ritornare ad Aragona.

Se non che, all’incrocio tra via Giambertoni e la via Atenea, il passo era stato bloccato dalla polizia celere e reparti mobili in pieno assetto di guerra con l’elmetto in testa e armati di mitra e di moschetti.

Veniva bloccato il corteo per cui praticamente i lavoratori si trovavano improvvisamente rinserrati in una sacca senza alcuna possibilità di uscita, di modo che il corteo si arrestava. La collera dei lavoratori si era già placata ed in essi era subentrata la calma. Immediatamente il Commissario di pubblica sicurezza, Cardinale, dava l’ordine della carica. A colpi di sfollagente e con i calci dei mitra per diversi minuti infierirono i poliziotti mentre scoppiavano degli spari ed esplodevano bombe a mano; alcuni minatori dall’urto violento dei poliziotti, erano stati lanciati a terra e su di essi continuarono a calare selvaggiamente i calci dei moschetti e gli sfollagente. Un moschetto si spaccò sulla spalla di un operaio.

Quattro sono stati feriti da schegge di bombe: Moncada Salvatore, Danisi Salvatore, Cannistraro Carmelo e il sedicenne Terrasini, quest’ultimo tanto gravemente da essere stato immediatamente avviato in paese presso la famiglia. Si lamentano inoltre 15 contusi fra cui il segretario della Federazione provinciale dei minatori, Cordaro Salvatore.

Immediatamente dopo, mentre gli operai si disperdevano, la polizia organizzava un carosello di jeep e di autocarri per la città intimando le mani in alto ai cittadini, ai quali veniva imposto di ritirarsi immediatamente. Ad Agrigento c’era atmosfera di coprifuoco.

Subito dopo, una Commissione composta da rappresentanti del Blocco del Popolo, da deputati socialisti e comunisti e rappresentanti delle organizzazioni sindacali si è recata dal Prefetto per protestare vibratamente contro questa vergognosa, criminale provocazione.

I rappresentanti dei lavoratori hanno chiesto chi avesse dato l’ordine di sparare. Il Prefetto, il Questore, il Maggiore dei carabinieri, che erano presenti, hanno concordemente risposto che nessuno di loro aveva impartito ordini in tal senso. A questa risposta i rappresentanti del Blocco del Popolo, chiedevano allora che una inchiesta fosse aperta ed indicarono come unico responsabile diretto della carica il Commissario Cardinale.

Evidentemente da questi fatti devo trarre le mie conclusioni e dico:

1°) che la causa determinante dello stato di esasperazione dei minatori è stato il mancato accordo non raggiunto a causa della caparbietà del gestore della miniera Emma;

2°) che i danni derivati dalla esplosione della collera dei minatori si limitano alla distruzione di due album murali, uno del Partito democratico cristiano e uno del Partito liberale italiano;

3°) che i dirigenti sindacali che si trovavano nel corteo, intervenuti energicamente a tempo opportuno, riuscirono a calmare gli operai, dimostrando alto senso di responsabilità e di civismo;

4°) che i minatori ormai in uno stato di calma assoluta si disponevano a ritornare pacificamente alle loro case dirigendosi verso gli autocarri che li attendevano;

5°) che nessuna ragione plausibile c’era per indurre il Commissario ad ordinare la carica; egli lo ha fatto con l’evidente scopo della provocazione e con l’evidente brutale volontà d’infierire selvaggiamente sui lavoratori.

In relazione a tutti gli elementi che emergono dai gravi fatti avvenuti in Agrigento è facile pervenire alla illazione: che la situazione politica anche nella provincia di Agrigento è grave a causa della politica del Governo il quale si è dichiarato ostile alle masse lavoratrici, per fare ciecamente gli interessi delle categorie padronali e che pur di raggiungere tale obiettivo ordina di sparare sui lavoratori pacifici ed inermi che reclamano il loro diritto alla vita. (Interruzioni al centro).

La responsabilità di questi fatti è del Governo centrale.

ALDISIO. Non è vero: voi volete tenere il Paese in perenne agitazione; questa è la verità.

D’AMICO. Onorevole Aldisio, in contrasto con le affermazioni fatte da altri interroganti, noi abbiamo sentito stamane illustri rappresentanti del Governo dirci, che non furono affatto gli operai a lanciare la bomba, ma il Commissario di pubblica sicurezza. Nessun ferito c’è stato da parte dei carabinieri. Quindi, il falso proviene da altre fonti. Noi affermiamo la pura e santa verità (Interruzioni al centro).

Onorevole Sottosegretario, le masse dell’agrigentino, operai, contadini e minatori in seguito ad una deliberazione del Consiglio delle Leghe, approvato da tutte le correnti politiche, compresa la vostra, hanno richiesto ed ottenuto la sospensione dall’incarico del Commissario Cardinale. Provvedete ad allontanare definitivamente da Agrigento questo elemento funesto, diretto responsabile della vergognosa e criminale azione compiuta contro lavoratori che hanno il solo torto di vivere in permanente disagio morale e materiale. Sappiate che gli operai dell’agrigentino hanno raggiunto una certa maturità politica e sono in grado di capire gli sviluppi della situazione politica italiana. Da essi ho avuto l’incarico di dirvi che gli incidenti di Agrigento avrebbero potuto essere evitati, se essi non rappresentassero un anello della catena.

Potrebbero essere evitati tutti, con una saggia politica governativa, cambiando metodo, indirizzo; mutando l’atmosfera di odio che avete creato in Italia contro i lavoratori, rei solamente di reclamare il minimo riconoscimento, da parte degli organi responsabili, dei loro sacrosanti diritti. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. L’onorevole Castiglia ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

CASTIGLIA. Ringrazio il Governo della risposta data alla mia interrogazione, relativa ai fatti di Caltanissetta. Il fatto, del quale mi sono occupato nella mia interrogazione, e del quale si sono occupati anche il collega Bellavista ed altri, è un fatto episodico; che come episodio avrei potuto forse trascurare ma che non ho trascurato, perché ho la sensazione che sia una delle tante manifestazioni, le quali tendono a mantenere uno stato di perenne agitazione nel Paese, e particolarmente nella mia Sicilia, la quale si prefigge di raggiungere un solo fine: quello di rimarginare le sue ferite, di vedere ripristinato l’imperio della legge, perché vuole veramente contribuire alla rinascita ed alla ricostruzione del Paese.

Il fatto, del quale ci siamo occupati, è particolarmente grave, perché trae origine da un pretesto: dal pretesto dell’assegnazione di feudi che era già avvenuta, come ha detto l’onorevole Sottosegretario. Ed è tanto più grave, in quanto una persona, munita di un mandato, quale il comunista onorevole Gino Cortese, deputato al Parlamento della Regione siciliana, si mise a capo della manifestazione, non autorizzata e neppure segnalata alla polizia, e fece quello che poteva fare uno degli agitatori, che varino normalmente sotto il nome di elementi irresponsabili; viceversa egli non ha esitato ad assumere una gravissima responsabilità, la quale sicuramente dovrà formare oggetto di giudizio severo da parte delle autorità.

Ed il fatto è grave per la brutalità con cui si è svolto. Gli onorevoli colleghi hanno sentito dalla bocca dell’onorevole Sottosegretario per l’interno come il Commissario Di Natale, il quale era fermo al suo posto e non aveva dato nessun ordine né di caricare, né di fare uso delle armi, né di fare qualsiasi azione che potesse essere ritenuta provocatoria, sia stato da parte dei dimostranti tratto dal posto nel quale si trovava e trascinato a viva forza in un vicolo adiacente, bastonato a sangue, con le conseguenze che abbiamo sentito: a questo sventurato è stata prodotta la frattura della base del cranio ed i sanitari riscontrarono anche tracce di strangolamento; la qual cosa sta a denotare la particolare ferocia, con la quale agirono questi elementi, che sono stati in parte indentificati, ma che purtroppo ancora non sono stati tratti in arresto.

La Sicilia, come ho detto, chiede soltanto il ripristino dell’imperio della legge e vuole che di fatto la libertà di pensiero e di associazione sia rispettata; non vuole che le si imponga questo stato di perenne agitazione, che è sicuramente contro qualsiasi possibilità di ricostruzione; non vuole che si instaurino regimi di violenza, regimi di odio fraterno, che non danno sicuramente pane e prosperità ai lavoratori, ma che servono soltanto a far loro versare altre lacrime ed altro sangue; perché ricordo a tutti i colleghi che il Di Natale, anche se Commissario di pubblica sicurezza, è un lavoratore, è un uomo il quale presta la sua opera al servizio dello Stato, per una funzione di ordine che deve trovare il plauso da parte di tutti i responsabili del Paese. Ed allora noi siamo contro questo odio fraterno, che non contribuisce certo alla prosperità del Paese stesso. Il Governo è invitato ad intervenire con tutta la energia di cui si sentirà capace perché questi episodi, ove si ripetessero, denuncerebbero carenza dei poteri dello Stato. Per ciò invitiamo il Governo ad una energia che sia efficiente, non soltanto per evitare questi incidenti, ma, possibilmente, per prevenirli, perché se l’autorità di pubblica sicurezza avesse sciolto preventivamente questo corteo, il quale non era autorizzato, probabilmente non sarebbero avvenuti i fatti di violenza di cui oggi ci rammarichiamo. Noi desideriamo che il Governo intervenga con tutta la sua forza, perché in quest’opera di restaurazione della legge e della libertà avrà solidali tutti coloro che amano veramente il Paese, che amano la sua pace e che amano la sua prosperità. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. Segue una interrogazione degli onorevoli Fiore, Montalbano e D’Amico, ai Ministri dell’interno e dell’agricoltura e foreste, «per conoscere: 1°) per quali ragioni il Governo ha revocato o sospeso la concessione di terreno, in territorio di Mussomeli (ex feudo Polizzello), fatta regolarmente dalla Commissione per l’assegnazione delle terre incolte o mal coltivate della provincia di Caltanissetta; 2°) quali provvedimenti il Governo intenda adottare per sanare la situazione creatasi col misconoscimento dei diritti dei contadini, per sottrarre la provincia di Caltanissetta al dominio della mafia, cause prime dei recenti incidenti, e per richiamare le autorità locali ad una giusta comprensione delle richieste e delle agitazioni dei contadini».

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Poiché il Ministro dell’agricoltura e foreste ha dovuto assentarsi, risponderò io, dietro suo incarico, alla interrogazione.

PRESIDENTE. L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha. facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Il Ministero dell’agricoltura, unitamente a quello dell’interno, escludono di aver revocata la concessione dell’ex-feudo di Polizzello, in comune di Mussomeli, disposta dal prefetto di Caltanissetta, con decreto del 20 ottobre 1947; escludono del pari di aver disposta la sospensione della esecuzione del predetto decreto prefettizio.

Risulta che il prefetto di Caltanissetta, nell’esercizio dei suoi poteri di esame di legittimità della decisione della Commissione provinciale per la concessione delle terre incolte, che si era pronunciata per la concessione di una parte del feudo Polizzello ad alcune cooperative richiedenti, ebbe corrispondenza con organi tecnici del Ministero dell’agricoltura, per chiarire alcuni dubbi, essendo state rilevate mende e contraditorietà in ordine agli accertamenti tecnici che avevano preceduta la decisione. Il prefetto riferiva in proposito anche al Governo regionale ed al Ministero dell’agricoltura, al fine di chiarire se tali mende potessero dar luogo all’emissione del provvedimento amministrativo, e, in caso affermativo, quale fosse l’organo competente a disporre. Avuta notizia che fino alla data del 12 novembre non era ancora avvenuta l’immissione in possesso delle cooperative concessionarie, per difficoltà locali sorte, il Ministero dell’agricoltura e foreste espresse l’avviso che la questione non potesse dar luogo a suo intervento, ma dovesse esser rimessa alla valutazione dell’assessorato regionale dell’agricoltura e foreste.

PRESIDENTE. L’onorevole Montalbano ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MONTALBANO. Sarò brevissimo.

La cooperativa di Mussomeli, dopo aver avuto assegnato dalla Commissione competente il feudo Polizzello, in ragione di 200 ettari, finalmente nei giorni scorsi ha potuto immettersi nel possesso del feudo. Quindi la risposta del Sottosegretario, quantunque non concluda, è tale, tuttavia, che ci sodisfa, essendo ormai la cooperativa immessa nel possesso del feudo. Certo, però, se non ci fosse stato l’appoggio delle organizzazioni dei contadini di Caltanissetta, forse la cooperativa di Mussomeli non avrebbe oggi il possesso del feudo.

Siccome si è parlato di fatti gravi, deplorati in modo particolare dall’onorevole Castiglia, riguardanti anche il consigliere regionale Cortese ed altri, fatti che sarebbero stati commessi dai contadini e da altre categorie di lavoratori siciliani, io dico che non si possono comprendere bene questi avvenimenti se non vengono inquadrati negli avvenimenti generali della Sicilia, cioè in quel clima di terrore, di violenze, di sopraffazioni, di soprusi, arbitrii, ecc., che sono stati sempre commessi dai grossi agrari della Sicilia contro i contadini e i lavoratori in genere con l’appoggio della mafia locale e con la complicità qualche volta delle stesse autorità governative. In modo particolare – e mi dispiace che non ci sia oggi qui il Ministro dell’agricoltura onorevole Segni – io voglio mettere in evidenza che le disposizioni contenute nei decreti Gullo, nei decreti Segni e nella stessa legge regionale siciliana sulla divisione dei prodotti agricoli e la proroga dei contratti agrari non sono mai state applicate per l’ostilità dei proprietari terrieri. Sono i grossi proprietari che hanno sempre ostacolato e impedito in Sicilia l’osservanza della legge, cosicché non si è potuto mai ottenere una divisione giusta in base alla legge. Non solo, ma quando i contadini hanno protestato, hanno dovuto subire rappresaglie che arrivavano e arrivano ancora oggi, sino all’assassinio, alle rapine, al furto di animali da lavoro, ecc.

Lo stesso è avvenuto, per quanto riguarda le cooperative agricole, allorché hanno chiesto l’assegnazione delle terre incolte o mal coltivate, perché, anche in questi casi, si sono avuti soprusi, violenze ed assassino. In questi ultimi tempi sono stati assassinati, soltanto per avere lottato con i mezzi legali per la concessione di queste terre, ben 19 organizzatori sindacali. Quindi, questi ultimi avvenimenti di cui si è parlato questa mattina debbono essere inquadrati in questo clima. Per dare un esempio alla Costituente di quello che è la Sicilia al riguardo, io voglio citare soltanto il fatto che uno degli esponenti principali della mafia siciliana, certo don Calò Vizzini, imputato di strage, per cui la legge prescrive obbligatoriamente il mandato di cattura, è stato denunziato a piede libero e si trova tuttora a piede libero. Tutto ciò dimostra come i grossi agrari, i grossi gabelloti, riescano ad imporre la loro violenza mediante l’appoggio della mafia e talvolta con la complicità anche delle stesse autorità locali, provinciali, regionali e centrali. Ora, tengo a sottolineare che i lavoratori, i contadini siciliani, non intendono più tollerare queste azioni di violenza e di prepotenza. Quindi, bisogna che il Governo si renda conto di ciò, in particolare di quale sia lo spirito di giustizia che anima i lavoratori siciliani, in modo che possa prendere tutti i provvedimenti necessari affinché venga repressa energicamente ogni azione illegale dei grossi agrari e della mafia contro i contadini, ed affinché la legge venga rispettata anche quando essa è favorevole ai lavoratori.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Marconi e Dossetti, al Ministro dell’interno, «per sapere quali provvedimenti siano stati presi contro i responsabili della spedizione compiuta il 19 novembre a Cola di Vetto (Reggio Emilia) da elementi che, eccitati da un discorso del segretario dell’A.N.P.I., hanno perquisito case e persone, percosso a sangue due esponenti della Democrazia cristiana ed altri giovani, minacciando altri più gravi interventi e spargendo il terrore in quel pacifico paese».

Non essendo presenti gli onorevoli interroganti, si intende che vi abbiano rinunziato.

Seguono due interrogazioni dell’onorevole Tumminelli al Ministro dell’interno:

«per conoscere quali provvedimenti di urgenza abbia preso o intenda prendere, dopo il nuovo assassinio politico, verificatosi qualche giorno fa a Zeme Lomellina, di cui è stato vittima il trentatreenne profugo giuliano Silvestro Zoppini, iscritto al Fronte democratico liberale dell’Uomo Qualunque»;

«per conoscere quali provvedimenti di urgenza abbia preso o intenda prendere di fronte al fatto che il Sindacato venditori ambulanti e giornalai del biellese, riunitosi il 18 novembre 1947, nella sede della Camera del lavoro, col pretesto della minaccia della popolazione democratica di Biella, che considererebbe la vendita dei giornali: L’Uomo Qualunque, La Sferza, Candido, Brancaleone, La Rivolta Ideale, come un «incitamento alla reazione popolare», ha deliberato di non più ritirare e vendere i detti giornali e gli altri che potessero essere invisi alla popolazione democratica del biellese».

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Siccome sono state presentate altre interrogazioni sullo stesso argomento dagli onorevoli Di Fausto, Treves e Preti, desidererei rispondere congiuntamente a tutte.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Capua e Rodi hanno presentato la seguente interrogazione al Ministro dell’interno, «sui tumulti organizzati e sulle violenze che hanno culminato con la devastazione di sedi qualunquiste».

Non essendo presenti, si intende che vi abbiano rinunziato.

Seguono le interrogazioni:

Treves e Preti, al Ministro dell’interno, «per sapere quali misure il Governo abbia preso in seguito ai ripetuti roghi di giornali di vario colore politico avvenuti in varie città d’Italia, onde impedire che si rinnovino simili attentati alla libertà della stampa»;

Di Fausto al Ministro dell’interno, «per sapere se, in correlazione con l’odierna distruzione di giornali avvenuta alla periferia di Roma, il Governo sia al corrente delle recentissime deliberazioni dei Sindacati giornalai di Biella, Sampierdarena e Genova, per cui non si procederà al prelievo ed alla vendita dei giornali non ritenuti graditi alla popolazione, a fine di evitare i danni conseguenti alla distruzione di pubblicazioni e di edicole. Poiché la decisione si risolve in un grave attentato alla libertà di stampa ed in un arbitrio, nel quale sono coinvolti fra l’altro giornali che hanno costantemente combattuto il neofascismo, l’interrogante chiede quali provvidenze vorrà adottare il Governo per il ristabilimento della normalità nel rispetto dei patti liberamente conclusi».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Quanto alla prima interrogazione dell’onorevole Tumminelli, quella che si riferisce all’omicidio del qualunquista Zoppini Silvestro, avvenuto a Zeme il 17 o 18 novembre ultimo scorso, devo dichiarare, anzitutto, che, dall’inchiesta finora diligentemente condotta dalle autorità di pubblica sicurezza, non risulta trattarsi di delitto politico. Quanto meno, nessun elemento sembra rivelare questa particolare specie di reato, piuttosto che quella di un omicidio comune.

I particolari del fatto credo siano noti. Questo Zoppini, il quale prestava la sua opera da alcuni mesi presso un agricoltore, il giorno 17 novembre, essendosi recati nella proprietà dove lavorava alcuni individui a chiedere di un certo Rebaudi, usciva nel cortile e, in quello stesso momento, costoro, quelli appunto cioè che avevano chiesto del Rebaudi, credevano di ravvisare forse in lui la persona ricercata. Fatto è che lo invitavano a seguirli. A questo invito, rivolto in presenza anche del proprietario della tenuta, certo Colli, e di qualche altra persona, lo Zoppini non solo non oppose alcuna resistenza, ma aderì prontamente e apparentemente volentieri. Risulterebbe anzi che egli sarebbe uscito a braccetto con uno di tali individui.

La cosa non destò sorpresa; lo Zoppini si allontanava abbastanza di frequente. Comunque il motivo per il quale il fatto non fu notato in modo particolare fu appunto la assoluta mancanza di ogni reazione da parte di costui. La sera però egli non fece ritorno e la mattina successiva, alle ore 6.40, sulla strada comunale, veniva da alcuni contadini rinvenuto il cadavere di un uomo. Chiamati i carabinieri della vicina tenenza di Mortara, essi constatavano che la morte era avvenuta a seguito di ferita da arma da fuoco, e infatti venivano ritrovati sul posto tre bossoli di cartucce di calibro 9.

In tasca venivano trovati alcuni documenti fra cui un libretto dell’Istituto di previdenza sociale che ne permesso l’identificazione. Da parte dell’Arma vennero condotte tutte le possibili indagini. Venne innanzi tutto accertato come fosse avvenuto il fatto e, in base ai connotati che furono forniti dai testimoni, gli indiziati vennero in ogni modo ricercati.

Vennero eseguiti parecchi fermi, ma nessuno purtroppo si poté mantenere, giacché ognuno dimostrò un proprio alibi. Parve alla pubblica sicurezza ed ai carabinieri di dover indagare anche in ordine alla responsabilità del nominato Rebaudi per vedere se, sotto diverso nome, non si fosse per caso trattato della stessa persona. Certo, ove ciò effettivamente si fosse potuto assodare, il fatto, lungi dal recare un reale contributo di chiarificazione alle indagini, non avrebbe fatto se non complicarle, perché avrebbe recato un che di ancor più misterioso alla faccenda.

Viceversa, comunque, questo Rebaudi è risultato detenuto nel carcere, mi pare, di Alessandria. Rispondendo pertanto all’interrogazione dell’onorevole Tumminelli su questo argomento, io non posso se non dichiarargli che, da parte del Governo, si è anche da questo tristissimo episodio naturalmente ricavato motivo per richiamare sempre più al tempestivo ed assoluto adempimento dei propri doveri le autorità localmente preposte alla tutela dell’ordine pubblico.

Dal modo come le indagini furono svolte, dai provvedimenti localmente presi, si ha ragione di credere che questo richiamo non sia riuscito vano.

Ad ogni modo assicuro l’onorevole interrogante che l’episodio non viene dimenticato e che, qualora dovessero in avvenire emergere degli elementi intesi a dare a questo delitto un colore piuttosto che un altro, ne verrà tenuto indubbiamente conto per indirizzare le indagini per quella nuova via che queste risultanze dovessero indicare.

Per ora, però, torno a ripetere, le indagini che sono state fatte intorno al modo di vivere dell’ucciso, ecc., escludono assolutamente che il delitto sia politico. A meno che l’onorevole Tumminelli non voglia credere che il semplice fatto di essere costui iscritto al partito dell’Uomo Qualunque possa costituire argomento per un delitto politico. Ma io questo voglio escluderlo, non solo, ma voglio augurare all’onorevole Tumminelli, se così è, una più ottimistica visione della vita politica italiana.

PRESIDENTE. L’onorevole Tumminelli ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

TUMMINELLI. Onorevole Sottosegretario, io sarei ben lieto di poter condividere le sue conclusioni, ma purtroppo non lo posso.

Qui non è soltanto il fatto che riguarda questo disgraziato ucciso a Zeme Lomellina, che, per essere un giuliano e un iscritto all’Uomo Qualunque, e per non aver nessun precedente che potesse giustificare un delitto passionale, deve ritenersi assolutamente che sia stato ucciso per motivo politico. Io vorrei proprio ben volentieri escludere questa ipotesi, soprattutto per il bene stesso della Patria; ma tutto fa pensare che ci troviamo di fronte ad un vero e proprio delitto politico.

Ma il fatto più grave, onorevole Sottosegretario, è determinato dalla continuità di questi crimini, che si susseguono un po’ dovunque, e che restano tutti impuniti. Non si trova mai il responsabile; e quando ci siano dei fermati, questi vengono poi rilasciati. E questo accade perché l’autorità di pubblica sicurezza non sa che pesci pigliare, non sa quali orientamenti seguire, fa un po’ il pesce in barile. Evidentemente non sa se prevarrà una parte o l’altra delle due che sono in contesa per la conquista del potere nel nostro Paese.

Le posso citare un episodio esemplificativo avvenuto ad Ancona. Elementi estremisti sono andati a casa del segretario dell’Uomo Qualunque di quella città; l’hanno assalita, hanno frantumato i mobili, i quadri, ecc. fino a quando, per impedire danni maggiori, il segretario del centro qualunquista, che s’era prima nascosto, si presentò. Allora lo condussero non so dove e, dopo avergli dato un sacco di bastonate, lo invitarono a dimettersi dalla carica politica che ricopriva, a non occuparsi più del partito, a non occuparsi più di politica. La stessa intimidazione venne fatta al dott. Franci, un distinto notaio della città, che non ebbe guai maggiori perché abitava in campagna. Così che in quella città non esiste più la voce dell’Uomo Qualunque.

Ora, a che giova tutto questo? Che cosa vogliono questi colleghi dell’estrema sinistra?…

TONELLO. Non vogliono niente! Non sono loro che fanno tutto questo.

TUMMINELLI. Vogliono preparare la guerra civile? Onorevole Sottosegretario, noi siamo in piena guerra civile, ed io la prego di prendere in considerazione che il Governo di cui ella fa parte non si sottrae alla grave responsabilità di esserne indirettamente responsabile.

Io già altra volta pregai lei e pregai il Governo di por mente alla necessità di andare a prendere le armi dove si trovano. Quando la gente è disarmata, non può avere più tanta albagia; quando la gente sa che il delitto è punito, che ogni ferimento, ogni violenza trova la sua punizione, che l’imperio della legge è sovrano, tanta arroganza non si può verificare.

Oggi c’è l’impunità; ed in sostanza io ritengo che noi dobbiamo essere grati ai colleghi dell’estrema sinistra se non ci uccidono e non ci sequestrano. Questa è la situazione. Questa è la situazione, perché l’autorità di pubblica sicurezza garantisce soltanto sé stessa, garantisce soltanto il prefetto, la prefettura, il palazzo della questura, ma il cittadino è alla mercé o della delinquenza conclamata o di quella nascosta che si annida sotto l’usbergo della politica. Quindi io domando: dove andiamo a finire?

Bisogna che voi cerchiate le armi. Dal 2 giugno ad oggi abbiamo visto peggiorare la situazione politica italiana. L’onorevole Scoccimarro ha potuto dichiarare – l’abbiamo letto stamane nei giornali – ha potuto dichiarare al congresso comunista di Torino che nel 1948 deve acuirsi la lotta per giungere alla vittoria comunista, anche con le armi.

Leggete l’Avanti! che è il giornale più fazioso che ci sia (Proteste all’estrema sinistra) e vedrete come esso inciti alla guerra civile. E allora voi del Governo dovrete sparare…

TONELLO. Noi abbiamo tutti i morti che non sono vendicati! Mai è stato scoperto un vostro assassino. (Interruzioni – Commenti).

TUMMINELLI. Onorevole Tonello, qui non siamo per difendere i criminali.

TONELLO. Io sono contro tutti i criminali. Ma vi sono i criminali anche fra voi!

TUMMINELLI. Qui si tratta d’impedire che ci si avvii alla guerra civile, al sangue!

TONELLO. Volete le armi solo per voi!

TUMMINELLI. La lotta politica deve essere fatta secondo le norme della democrazia liberale, mentre la vostra democrazia progressiva vuol giungere all’uso della forza per la guerra civile.

TONELLO. Noi vogliamo giungere alla giustizia sociale.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, basta con le interruzioni!

TUMMINELLI. Se non mi avessero interrotto io avrei già finito.

Io esorto il Governo a non trovarsi domani nella grave responsabilità di dover sparare sulla folla, perché la folla sarà fatta di uomini qualunque, senza distinzione di opinioni. Noi non vogliamo che si sparga sangue. Noi vogliamo il trionfo della ideologia democratica attraverso la democrazia, ma non la democrazia che vuol scendere sul terreno della battaglia politica con la violenza.

E badate, colleghi dell’estrema sinistra, io vi dico una cosa: voi state fomentando la reazione e create nuovamente le premesse del fascismo. (Interruzioni – Proteste all’estrema sinistra). Voi state facendo il gioco di chi arriva più in fretta, di chi fa più presto. Ma il giorno in cui dovesse avvenire un conflitto, quel conflitto che voi state preparando, che cosa fareste voi? Voi scappereste e lascereste nei guai la povera gente. (Interruzioni, rumori all’estrema sinistra – Commenti).

TONELLO. Noi non scappiamo, abbiamo sempre pagato di persona.

TUMMINELLI. Ripeto che voi state preparando la guerra civile, ma quando si viene al cozzo, chi ci rimette è la povera gente.

TONELLO. Andate a dirlo agli agrari in Sicilia, ai ladroni che fanno ammazzare i lavoratori nelle nostre campagne. È ora di finirla! (Interruzioni al centro – Commenti).

MARAZZA, Sottosegretario di Stato agli interni. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Prima di rispondere ad altre interrogazioni dell’onorevole Tumminelli e di altri deputati, riguardanti, tutte, le distruzioni di giornali che si sono verificate negli ultimi tempi, devo necessariamente rilevare una delle affermazioni fatte dall’onorevole Tumminelli nella sua replica, e che non posso lasciare inosservata.

L’onorevole Tumminelli ha accennato alla polizia che difende solamente se stessa! Devo assolutamente protestare contro questa affermazione! E del resto, protestano – prima di me – i morti e i feriti che la polizia quasi quotidianamente, purtroppo, lascia sulle piazze d’Italia!

Quindi, onorevole Tumminelli, occorre nutrire maggior fiducia anche nella polizia, la quale, come non manca di iniziativa, di coraggio e di senso di responsabilità, sa che fra i suoi doveri c’è quello di essere pronta ad affrontare anche compiti più gravi, se disgraziatamente l’avvenire del nostro Paese dovesse richiederlo!

Rispondo ora alle interrogazioni che si riferiscono tutte allo stesso argomento, cioè – come ho detto prima – alle distruzioni di giornali che si sono effettuate in diverse regioni d’Italia, e sui provvedimenti che il Governo ha adottato o intende adottare per garantire anche sotto questo aspetto la libertà di stampa.

Effettivamente queste distruzioni rappresentano un grave attentato alla libertà di stampa. Fortunatamente gli episodi – per quanto frequenti – non sono stati tanto numerosi quanto parrebbe di rilevare dalle interrogazioni che sono state presentate. I più gravi di essi, almeno, si sono verificati nel biellese, nel modenese e a Roma. E i fatti di Roma forse, fra questi, sono i più significativi; sono i più significativi, perché la distruzione è stata effettuata attraverso una azione contemporanea svolta in parecchi punti della città.

I fatti di Biella e quelli di Modena – hanno portato come conseguenza che i rivenditori di giornali hanno, in un primo tempo almeno, deliberato di non porre in vendita i giornali che erano stati oggetto di questi prelievi e che dovevano conseguentemente ritenersi pericolosi.

Devo però a questo proposito dire che, da notizie che abbiamo ragione di credere esatte – anche se non sono ancora ufficiali – non soltanto queste azioni di forza (chiamiamole così), cioè questi prelievi e incendi di giornali sono cessati, ma gli stessi rivenditori hanno rinunziato alla misura di prudenza che avevano adottato e cioè hanno riposto in vendita, quasi dappertutto, i giornali che li avevano esposti prima a questi attentati.

Devo però aggiungere anche che, se il Governo pone in atto tutte le misure a sua disposizione, misure di polizia, e le pone in atto sia presidiando gli scali, là dove i giornali arrivano, alle stazioni, sia cercando di proteggere le edicole, sopra tutto quelle che, per trovarsi alla periferia delle varie città, sono forse le più esposte, e sia anche istituendo un particolare servizio di pattuglia che ha come scopo precipuo proprio quello della protezione delle edicole, anche se il Governo fa questo, certamente non è soltanto attraverso queste misure che si potrebbe ottenere che i giornalai riprendano a vendere i giornali che temono essere per loro oggetto di danno. Quindi parrebbe opportuno che gli stessi giornali si facessero promotori, per conto loro, di una azione solidale, in modo che anche quei giornali, che non vengano abitualmente distrutti, anche questi rifiutassero di consegnare le copie alle edicole, qualora queste edicole usassero discriminare fra un giornale e l’altro.

Ho detto prima che l’episodio è indubbiamente grave. Non posso non metterlo in rapporto anche con l’altro episodio, del quale abbiamo pure parlato in quest’Aula, e cioè di quella imposizione che era stata fatta alla direzione di alcuni giornali di pubblicare un determinato ordine del giorno con la minaccia che, in mancanza, le maestranze si sarebbero rifiutate di stampare il giornale. E ponendolo in rapporto con quest’altro episodio, il Governo non può non riconoscere, ripeto, un grave attentato alla libertà di stampa anche in questo.

Però, al di là, ripeto, dei provvedimenti che il Governo può prendere, al di là delle proteste che il Governo può fare, al di là degli interventi dello stesso Governo, attraverso gli organi da esso dipendenti, presso i vari partiti, per indurli a desistere da una forma di così grave coercizione, deve esservi la buona volontà di tutti quanti gli scrittori di giornali, i quali dovrebbero oggi tentare di sminuire, piuttosto che accrescere, l’esasperazione delle rispettive tesi, sì da agevolare, quanto più possibile, una relativa conciliazione, piuttosto che approfondire continuamente questo abisso, che purtroppo sembra delinearsi fra gli italiani.

Io dico questo con cuore aperto e parlo a tutti quanti.

Non vogliano intenderlo, l’onorevole Tumminelli e gli altri interroganti, come un appello loro particolarmente rivolto.

TUMMINELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TUMMINELLI. Onorevole Sottosegretario, io non avevo intenzione di indugiarmi su questo argomento e mi sarei accontentato delle sue dichiarazioni, che peraltro sono quelle che mi dovevo aspettare. Ma c’è una cosa che ella ha detto e sulla quale è bene soffermarci un attimo: fare appello alla solidarietà degli altri giornali.

Questo è il punto: non esiste più solidarietà. Ci troviamo di fronte a un fenomeno di dissociazione morale dei cittadini di questo nostro Paese, che si chiama Italia, che ha tanta gloria di unità spirituale.

Qui ora ogni individuo non pensa che a se stesso, e ci sono quelli che si sforzano di eccitare l’opinione pubblica. Qui il fatto grave è dato da un ordine del giorno stilato nella Camera del lavoro. E mi rincresce che non ci sia qui l’onorevole Di Vittorio, perché vorrei sentire da lui come giustifica un’azione di intimidazione e di violenza di questa natura… Alla Camera del lavoro si riunisce il sindacato dei venditori di giornali per dichiarare che non vogliono più vendere quattro giornali, i quali sono tutti autorizzati dall’autorità dello Stato. Siamo di fronte ancora al fatto che l’autorità dello Stato è in grave carenza. Bisogna intervenire, fare in modo che questa carenza cessi. Se tolgono la libertà di stampa con questi metodi, a che cosa valgono le leggi? Allora tanto varrebbe che ci fosse il Minculpop!

PRESIDENTE. L’onorevole Treves ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

TREVES. Anche io non vorrei drammatizzare questi incidenti, e non mi facevo soverchie illusioni sulla risposta, del resto gentilissima, dell’onorevole Marazza.

Capisco benissimo che non dipende dal Sottosegretario Marazza e da nessuno del Governo che questi incidenti succedano o non succedano. E quindi, forse il Presidente mi permetterà, invece di dichiararmi sodisfatto o non sodisfatto, come la prassi parlamentare vorrebbe, di domandarmi se in Italia deve ancora sussistere nell’anno di grazia 1947 il fallace sillogismo di Omar, cioè l’aneddoto che racconta che Omar, di fronte a tutti i libri della Biblioteca di Alessandria, si domandò: in questi libri si dice quello che c’è nel Corano o no? Se si dice quello che c’è nel Corano, evidentemente sono inutili, e quindi vanno tutti distrutti e bruciati; e se non si dice quello che c’è nel Corano, e sono contrari al Corano, allora sono pericolosi, falsi e bugiardi e quindi bisogna distruggerli.

Ora, io non vorrei che questo falso sillogismo si applicasse ad esclusivo beneficio dell’Unità e dell’Avanti! Anche il nostro giornale, che certo non può essere considerato un giornale fascista, è stato incluso in queste distruzioni, ma non è soltanto per questo che io protesto. E non sono nemmeno sospetto di avere tenerezza per i giornali elencati nell’interrogazione dell’onorevole Tumminelli, che dovrebbero essermi personalmente i più odiosi, non foss’altro per il fatto che in ogni loro numero mi coprono delle più calunniose e atroci ingiurie. Ma io protesto anche a favore di questi giornali…

TUMMINELLI. Io non ho fatto questione di giornali…

TREVES. Se noi accettiamo questo principio, naturalmente ritorniamo ai periodi peggiori della storia, ai periodi più stupidi della nostra storia, quando si credeva che bruciando un pezzo di carta si potessero bruciare le idee espresse in quel pezzo di carta. E poi, è un inizio pericoloso: si comincia col bruciare i giornali, poi si passa a bastonare quelli che leggono questi giornali e poi si finisce per ammazzare quelli che scrivono questi giornali. E questo, credo, noi non vogliamo più vedere. Sappiamo che l’onorevole Sottosegretario non può mettere uno o due o tre carabinieri di fronte ad ogni edicola d’Italia, e, del resto, non servirebbe a niente; ma, se questi giornali commettono dei reati, voi avete il dovere di perseguirli secondo la legge. Noi abbiamo votato le leggi contro il risorgere del neo-fascismo, leggi che devono essere applicate, e forse non sarebbe un cattivo sistema di applicare queste leggi perché non vengano bruciati certi giornali.

In quanto a noi, anche se si bruciano i nostri giornali, evidentemente continueremo a scrivere il nostro giornale e a propagandare le idee del nostro giornale. (Interruzione del deputato Tonello). Caro Tonello, se lei non fosse così eccitato, noi vorremmo che su questo argomento si facesse veramente della democrazia, perché noi abbiamo sancito qui la libertà di stampa…

TONELLO. È lei che tira addosso a noi, mentre sa benissimo che non siamo responsabili.

Una voce. La libertà di stampa deve essere di tutti o di nessuno.

TREVES. Caro Tonello, vorrei che lei mi dimostrasse che l’Avanti! e l’Unità siano stati bruciati in piazza una sola volta, e allora il mio ragionamento cade. (Applausi al centro e a destra).

LIZZADRI. I nostri giornali furono distrutti. Certo, oggi non faremo bruciare i nostri giornali. (Commenti al centro).

TREVES. Se è vero che hanno bruciato i nostri giornali dal 1919 al 1922 (e li bruciavano i fascisti) non voglio che i giornali si brucino anche oggi.

MAZZONI. Il fascismo ha cambiato appartamento: ecco tutto.

TREVES. Non vogliamo che si bruci nessun giornale, perché quando siamo arrivati al fascismo, siamo arrivati al disastro comune.

Io concludo perché non intendo appassionare l’Assemblea a proposito di un argomento su cui, in una Assemblea democratica come questa, tutti dovrebbero essere d’accordo. Non chiedo niente al Governo: chiedo soltanto che si attui praticamente una maggiore comprensione di quella libertà di stampa, che abbiamo tutti votato e sancito per sempre nella nostra Costituzione.

Perché, se in un Paese cade la libertà di stampa, cade veramente tutta la libertà. (Applausi a sinistra, a destra e al centro).

PASTORE RAFFAELE. Vede chi applaude? (Proteste al centro e a destra).

TREVES. (Accenna all’estrema sinistra). Siete voi che dovreste applaudire.

PRESIDENTE. L’onorevole Di Fausto ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

DI FAUSTO. Nel costume democratico, dovrebbe essere considerato veramente basilare questo problema della libertà di stampa, in quanto è il presupposto della libertà di pensiero. Questa materia è di quelle che non consentono in nessun modo l’intervento della piazza e delle masse. Ecco perché noi, ringraziando il Sottosegretario di Stato all’interno per gli affidamenti e i chiarimenti che ha dato, ci domandiamo, dinanzi agli avvenimenti di questi giorni, dove veramente si vuole arrivare, se, come ho denunciato con altra mia interrogazione, alla quale non è stata data ancora risposta, gli operai del Poligrafico dello Stato arrestano la pubblicazione della Gazzetta Ufficiale in quanto vi appare un decreto, che li riguarda e che a loro non piace; se, come appare dall’interrogazione odierna, squadre di operai procedono con organizzazione e metodo al sequestro ed all’incendio di giornali; e conseguentemente sindacati di giornalai passano a stillare elenchi di pubblicazioni, delle quali si fa divieto di prelievo, di distribuzione e di vendita. Non entro nel merito della questione, ma devo rilevare che nell’atto arbitrario sono coinvolti anche giornali, che hanno costantemente combattuto il risorgere di forme politiche condannate definitivamente, quali «Brancaleone» e «Candido», la cui diffusione massima fra i settimanali attesta appunto del consenso dell’opinione pubblica, se non di quello del sindacato giornalai e venditori ambulanti.

Ed allora a che cosa si mira più precisamente?

Malgrado le ripetute assicurazioni di normalità della situazione, date anche recentemente dal Ministro dell’interno, io sento che si cammina verso un nuovo minculpop, con l’aggravante che dall’arbitrio di giornalisti e letterati, andiamo incontro all’arbitrio di illetterati ed analfabeti faziosi. È vero che, stando alla lettera delle recenti leggi eccezionali per la difesa della Repubblica, l’importante è che l’arbitrio non sia nelle mani di fascisti e di monarchici. Avverso a tutte le illegalità ed a tutti gli arbitri, io ho votato contro quelle leggi, dalle quali traggono un senso anche i recentissimi fasti milanesi della piazza nella sedizione contro Roma e contro lo Stato, la cui sovranità piena e legittima – è bene che anche i milanesi se ne persuadano una volta per tutte – risiede unicamente ed esclusivamente in questa Assemblea. Per il prestigio della quale io mi auguro davvero che il Governo abbia il modo ed i mezzi per stroncare questi attentati alla democrazia, che, tendendo all’oscuramento della fondamentale fra le libertà democratiche, aprono fatalmente il varco alla dittatura ed alla tirannide.

PRESIDENTE. La seguente interrogazione è rinviata su richiesta degli onorevoli interroganti:

Bernardi e Pressinotti, al Ministro dell’interno, «per conoscere quali provvedimenti intenda prendere per stroncare nella provincia di Como il sorgere di raggruppamenti politici, che sono la causa determinante di azioni violente contro i movimenti democratici e antifascisti. I fatti si riassumono in questa triste e dolorosa rassegna: 1°) cippo di Barilani – Ponte del Passo – dedicato ai caduti della liberazione, frantumato; 2°) bruciata una corona d’alloro alla lapide dei partigiani di Moltrasio; 3°) strappati i nastri tricolori, con dedica dei partigiani, dalla corona deposta al monumento dei caduti di Carate Urio; 4°) spaccata la lapide dedicata al partigiano Carlo Brenna in una via cittadina di Como; 5°) frantumate le lapidi dei partigiani e della lega insurrezionale a Como; 6°) posa di una bomba alla Casa del Popolo di San Rocco; 7°) Renzo Pigni, membro dell’esecutivo della Camera del lavoro di Como e vicesegretario della Federazione socialista di Como, appostato da sconosciuti, mentre si recava ad un comizio, e fatto segno ad alcuni colpi di arma da fuoco, fortunatamente andati a vuoto. I fatti di cui sopra, avvenuti saltuariamente da sei mesi ad oggi, denunciano un sistema di lotta politica e sociale contrario ai principî della democrazia e basato sulla violenza e hanno sollevato un grave fermento nella popolazione, scaturito in uno sciopero generale di 24 ore, che non è degenerato per la profonda maturità democratica dei lavoratori e per il senso di responsabilità dei movimenti antifascisti e della locale Camera del lavoro, mentre le autorità provinciali non hanno fatto, né fanno, nulla di concreto per dimostrare la loro effettiva volontà di difendere le libertà democratiche dei cittadini di Como».

Passiamo ora alle interrogazioni riguardanti i fatti delle Puglie. Non essendo presenti gli onorevoli interroganti, si intende che abbiamo. rinunziato allo svolgimento delle seguenti interrogazioni:

Cicerone, al Presidente del Consiglio dei Ministri, «per conoscere se il Governo non creda giunto il momento per adottare in Puglia misure eccezionali in difesa dell’ordine costituito e dell’incolumità personale dei cittadini, in considerazione che: la situazione dell’ordine pubblico sta ivi diventando gravissima, il numero dei morti e dei feriti cresce giornalmente per l’indeciso atteggiamento delle forze di polizia, le quali, intervenendo sempre in ritardo, non riescono a rappresentare più l’autorità dello Stato e a farla rispettare preventivamente; gruppi sovversivi tengono ferma ogni attività produttiva, con incalcolabile danno all’economia del Paese e contro la volontà di lavoro delle popolazioni pugliesi; il perdurare di un atteggiamento di protesta puramente platonico da parte del Governo costringerà i privati a provvedere alla difesa individuale, al di fuori degli ordinamenti costituiti»;

Caccuri, al Ministro dell’interno, «per conoscere quali provvedimenti siano stati adottati contro i responsabili dei luttuosi incidenti di Corato, Gravina e Bitonto e quali misure intende adottare per fronteggiare l’imperversare delle violenze in terra di Bari»;

De Maria, al Ministro dell’interno, «per conoscere i particolari dell’uccisione del sacerdote Di Leo di Bitonto ed i provvedimenti che il Governo intende adottare per fronteggiare la grave situazione di disordine verificatasi in Puglia e che si va estendendo anche alla Basilicata ed alla Calabria»;

Gabrieli, al Ministro dell’interno, «per conoscere i particolari sui fatti di sangue di Campi Salentina e di Trepuzzi (Lecce)»;

Codacci Pisanelli e Recca, al Ministro dell’interno, «per conoscere quale fondamento abbia e quali eventuali misure abbia provocato da parte del Governo la notizia, pubblicata dalla stampa e confermata da persone del luogo, circa la presenza e la diretta partecipazione di stranieri al comando delle squadre d’azione protagoniste delle attuali violazioni delle più fondamentali libertà in Puglia e nel Salento».

La seguente interrogazione è rinviata su richiesta dell’onorevole Perrone Capano:

Perrone Capano, Cortese Guido e Badini Confalonieri, al Ministro dell’interno, «sullo sciopero generale in Puglia e sui provvedimenti che si intendono adottare per restituire la pace a quella laboriosa regione, ove la quasi totalità della popolazione reclama la tranquillità del lavoro ed ove l’attività facinorosa degli agitatori professionali minaccia il completamento delle semine e il maggior raccolto dell’anno».

Segue l’interrogazione degli onorevoli Stampacchia e Cacciatore, al Ministro dell’interno, «sui dolorosi avvenimenti accaduti in Campi Salentina (Lecce) e sui provvedimenti che intende prendere per richiamare le autorità locali ad una più umana comprensione del contenuto delle agitazioni delle classi lavoratrici e per stroncare l’atteggiamento provocatorio delle classi padronali nel resistere alle richieste dei lavoratori».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Ritengo che lo svolgimento dei fatti, cui si riferisce la interrogazione presentata dall’onorevole Stampacchia, sia noto all’Assemblea. Mi limito pertanto ad un brevissimo riassunto.

In Campi Salentina il 20 novembre, in relazione allo sciopero allora in atto dei lavoratori, dei contadini e delle tabacchine, era stato effettuato dagli scioperanti il blocco delle strade. La forza pubblica ebbe così una prima occasione di intervenire; i blocchi furono rimossi senza nessuna conseguenza incresciosa. Nel tardo pomeriggio di quel medesimo i giorno, in Campi Salentina si tenne però un comizio indetto dal Partito della Democrazia cristiana, regolarmente autorizzato. Durante lo svolgimento di questo comizio, che è stato ripetutamente disturbato da elementi avversari, furono lanciati anche sassi ed un carabiniere fu leggermente ferito. Questo episodio indusse naturalmente la pubblica sicurezza ad una più forte vigilanza, e ciò per la preoccupazione che, a comizio finito, allo sciogliersi della folla intervenuta, altri incidenti potessero verificarsi con più gravi conseguenze. Effettivamente tale preoccupazione si mostrò giustificata, perché appena il comizio terminò, ed appena la folla cominciò a sciogliersi, fra gli appartenenti all’una ed all’altra delle parti sorsero immediatamente dei tafferugli e si ebbero anche degli episodi abbastanza gravi, per quanto, fortunatamente, senza conseguenze particolarmente incresciose. Però la pubblica sicurezza dovette intervenire per sciogliere questa manifestazione degenerata nei tafferugli ai quali ho ora accennato. Ma questo intervento determinò la reazione di alcuni facinorosi, i quali facevano esplodere in aria alcuni colpi di pistola; da parte della polizia si rispose con alcune scariche di mitra, parimenti in aria. Senonché, ad un certo punto, contro la pubblica sicurezza fu lanciata una bomba a mano, che feriva, seppure non gravemente, un funzionario e dodici carabinieri. Nello stesso momento, quasi che il lancio di questa bomba avesse rappresentato un segnale, la folla si lanciò contro gli agenti dell’ordine; fu così che alcuni agenti vistisi in procinto di essere travolti e sopraffatti, esplosero nuove scariche di colpi di mitra in aria, – perché si dovrebbe escludere che un ordine preciso sia stato dato da chiunque – mentre qualche colpo fu esploso verso la folla. Fatto sta che si ebbero tra la folla tumultuante due morti e sei feriti. Il tumulto finì soltanto quando intervennero nella manifestazione un altro funzionario ed un altro ufficiale dei carabinieri, al comando di altre forze, dopo di che l’ordine poté essere ristabilito. Il lanciatore della bomba è stato identificato: si trattava di un pregiudicato, tale Minnò, che poco dopo poteva essere assicurato alla giustizia. Commentare questo doloroso episodio, dopo altri commenti che noi abbiamo avuto purtroppo occasione di fare in quest’Aula, in merito ad altrettanti dolorosi episodi, io credo che sia superfluo. Non è però superfluo riaffermare una volta di più il proposito sincero e determinato del Governo di impedire in tutti i modi quelle che sono statele cause di questi morti; questo deve essere assolutamente impedito. Voi sapete con quanta prudenza si è sempre agito e a quanta prudenza siano ispirati gli ordini che il Governo ha sempre dati per ciò che si riferisce all’uso delle armi da parte della forza pubblica. Io stesso ho avuto occasione di ripeterlo più volte qui dentro, e credo che tutti me ne possiate dare atto. Tuttavia è evidente che quando la forza pubblica sta per essere sopraffatta da una folla che prevale grandemente in numero, e che l’uso delle armi non lascia dubbio circa i suoi propositi, io credo che anche una reazione (che nella specie è stata individuale e non dovuta al Corpo degli agenti collettivamente ed organicamente considerato) sia comprensibile e non possa essere in nessun modo da noi condannata. Ad ogni modo anche di questo episodio si tragga argomento per il comportamento avvenire sia dell’una che dell’altra parte riguardo a fatti oscuri che ci possono attendere.

PRESIDENTE. L’onorevole Stampacchia ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

STAMPACCHIA. Io non posso dire di essere sodisfatto di quanto ha dichiarato il Sotto segretario di Stato per l’interno.

La relazione fattaci dall’onorevole Marazza in vero non è diversa da quelle che – evidentemente stilate su una stessa, convenzionale falsariga – sento, sin da giovinetto, da oltre mezzo secolo, ripetere da Ministri e Sottosegretari per l’interno in occasione di avvenimenti luttuosi come quelli per cui ho interrogato. E – nonostante la gentilezza d’animo del mio amico onorevole Marazza – non una parola di pietà ho inteso per i lavoratori caduti.

Ora io, innanzitutto, rivolgo un commosso saluto alle vittime di Campi Salentina e ad ogni altra della mia terra e di fuori della mia terra, che caddero in questi incontri con la forza pubblica; e mando anche un reverente saluto alle vittime della forza pubblica – agenti e carabinieri – che consideriamo vittime del dovere, perché mandati. Noi vediamo e rileviamo addolorati, infatti, in questo momento un mutamento completo nel comportamento degli agenti della forzai pubblica, un mutamento che differisce da quello che era sino agli ultimi mesi del 1946. In vero dall’inizio del 1947 ad oggi questi conflitti e questi incidenti con la forza pubblica, questi fatti dolorosi di piazza, si sono moltiplicati e si vengono moltiplicando. Le cause che riguardano Campi Salentina – e, potrei dire, come precedentemente, Trepuzzi e Copertino – non sono sorte alla vigilia del doloroso incidente di cui mi occupo: le cause esistevano già da tre anni a questa parte, da quando si è determinata un’agitazione tra le classi contadine per avere un miglioramento delle condizioni di lavoro e di divisione dei prodotti.

L’agitazione, dunque, durava da tre anni, ma fu sempre però contenuta, soprattutto per l’opera dei Sindacati e dei partiti, che cercarono di contenere nei limiti della legalità ogni agitazione. Anche le autorità aiutavano: vi era a dir vero una collaborazione continua, e potrei dire cordiale, fra i segretari della Camera del lavoro, i segretari della Federterra e le autorità. Essi trovavano sempre la via di accomodamento, evitando così che incidenti accadessero; e non ne accaddero.

Ora, da un po’ di tempo a questa parte, cioè dopo quasi tre anni da che l’agitazione dura al fine di ottenere contratti collettivi di lavoro, migliori condizioni per le tabacchine (che sono circa 40.600) e perché fosse più equamente ripartito il prodotto della terra nei contratti di mezzadria, questa agitazione ha preso un andamento diverso, e ciò perché le autorità non si sono mostrate più così condiscendenti e piene di umana comprensione come in passato, nel promuovere e procurare l’accordo tra i sindacati dei datori di lavoro e quelli dei lavoratori; e, invece, hanno preso un atteggiamento ostile ai lavoratori: decisamente ostile.

Difatti, recentemente, alla vigilia dei fatti di Campi, il prefetto, in una discussione che ebbe coi rappresentanti della Camera del lavoro e della Federterra, preannunziò, quasi quale oscura minaccia, che la Democrazia cristiana intendeva fare dei comizi contro l’agitazione e contro lo sciopero.

Badate, apro una parentesi…

PRESIDENTE. Più piccola, possibile, onorevole Stampacchia!

STAMPACCHIA. Io parlo assai raramente, signor Presidente; quindi mi consenta. Ora, dicevo, la Democrazia cristiana, sindacalmente parlando, aveva dato la sua adesione all’agitazione ed allo sciopero. Improvvisamente ha ritirato l’adesione, ha preso il segretario della Cartiera del lavoro che rappresentava la corrente democristiana, lo ha allontanato ed ha quindi annunziato che avrebbe tenuto comizi in tutti i Comuni (Interruzione del deputalo Pastore Raffaele). Tale mossa della Democrazia cristiana è evidente potesse costituire incentivo al disordine; e tuttavia il prefetto, dandone notizia, aggiungeva – e questo annunzio così dato non è affatto favorevole alla tesi della neutralità dei prefetti nelle odierne agitazioni: «Io difenderò i comizi dei democristiani». Al che i sindacati risposero: «Lei fa bene a difenderli, ma noi abbiamo anche il diritto di contradittorio in questi comizi». Ecco profilarsi il pericolo del disordine, e nonostante ciò il comizio a Campi fu consentito. Ed un’altra circostanza voglio accennare. Quando, or sono tre mesi, ebbi occasione di conferire col prefetto circa queste agitazioni, per conoscere quali erano le condizioni dell’ordine pubblico nella mia provincia., egli disse: «Ma! sono buone: sono sempre quei quattro o cinque comuni che danno fastidio».

Tra questi quattro o cinque comuni – non voglio mettere olio sul fuoco menzionando gli altri – vi era Campi Salentina in prima linea; mentre gli altri sono tra quelli che costituiscono le roccheforti dei proprietari dalla più dura mentalità feudale, i quali non si arrendono alle richieste dei lavoratori. Sopra i 93 comuni della provincia di Lecce, a dir vero, appena una diecina, sono quelli infeudati da questa gente, la quale, con spirito astioso, resiste e non è proclive ad accogliere le richieste dei lavoratori e ad usare loro un trattamento umano.

In quei pochi comuni, adunque, dove vi sono i proprietari dalla vecchia mentalità, che non si arrendono, sono avvenuti i fattacci, sono avvenuti i luttuosi incidenti. A Campi è andata la Democrazia cristiana, mentre vi era l’agitazione in atto, a tenervi un comizio. Ora questa, a me pare sia stata, a dir poco, un’imprudenza, onde l’autorità locale avrebbe dovuto, a mio modo di vedere, impedire il comizio, perché da questo comizio appunto è nato tutto quello che è nato, e son derivati i lutti che noi deploriamo.

PRESIDENTE. Concluda, onorevole Stampacchia.

STAMPACCHIA. La provincia di Lecce non ha mai dato esempio di faziosità, non ha mai dato esempio di tempestosità nelle agitazioni, ma ha serbato sempre una linea di calma, una linea di civiltà. Io domando pertanto all’onorevole Sottosegretario, io domando al Governo, se non credano che sia finalmente giunto il momento di fare intendere a queste classi padronali, così restie alla ragione, l’importanza dei problemi che formano oggetto delle agitazioni. Onorevole Marazza, oggi la situazione che si verifica è questa, che molti proprietari, i quali in provincia di Lecce resistono al contratto collettivo di lavoro, sono gli stessi che essendo proprietari anche in provincia di Brindisi, quivi hanno accettato quel contratto che invece rifiutano in provincia di Lecce. Vi è dunque una ragione politica evidentissima per la quale essi resistono alle richieste dei lavoratori.

È qui presente l’amico onorevole Pastore, il quale è più competente di me in materia: lascio pertanto a lui il compito di occuparsi del contenuto delle richieste dei lavoratori. Non posso tuttavia esimermi dall’affermare che certe mentalità così arretrate debbono ormai assolutamente essere superate se si vuole davvero la pace sociale. Le destre dovrebbero intendere che noi parliamo con l’anima e col cuore, perché noi non vogliamo la guerra civile (Commenti a destra), ma vogliamo trovare comprensione nelle classi padronali. Quando io leggo le interrogazioni dei miei colleghi, che mi duole non siano presenti, deputati della provincia di Lecce, tutte improntate al criterio di invocare provvedimenti energici, io mi sento veramente demoralizzato e sconfortato.

Così, onorevoli colleghi, si invocavano provvedimenti energici in altri tempi, si invocavano ai lampi dei fatti di Molinella: così si invocavano provvedimenti contro la classe lavoratrice che si svegliava dal secolare torpore. Ho detto che noi vogliamo collaborare per evitare la guerra civile.

PRESIDENTE. Concluda, per favore, onorevole Stampacchia.

STAMPACCHIA. Ho finito, onorevole Presidente. Queste classi padronali modifichino dunque un po’ la loro mentalità: qui v’è una interrogazione in cui si dice che questo movimento è stato anche diretto e sostenuto da stranieri venuti clandestinamente. Tutto ciò – mi si consenta – è grottesco, perché, se così veramente fosse, alla pubblica sicurezza, così vigile, questi stranieri non sarebbero di certo sfuggiti.

Se qualche cosa v’è stato di errato, se qualche errore si è da noi commesso, noi lo correggeremo: siamo in un periodo in cui si possono con facilità commettere errori. Ma correggiamoli reciprocamente. Ad amici ed avversari io ricordo e dico che l’utopia reazionaria è un’utopia irrealizzabile, diversa assai dell’utopia avvenirista. L’utopia reazionaria può soffocare in certi momenti l’ascendere, il progredire delle classi lavoratrici, ch’è ascesa della civiltà; ma il soffocamento di un momento si risolve sempre e soltanto in una bruta reazione, dopo la quale il proletariato riprende il cammino interrotto. Così nel 1894, così nel 1898, così sempre.

In quelle province, nelle quali ciò che accade oggi nella provincia di Lecce e in tutte le provincie meridionali, è accaduto cinquant’anni fa, l’anima del proletariato si è formata salda, ferma, invincibile. A voi, conservatori, se interessa impedire che quest’anima del proletariato abbia nel Mezzogiorno a formarsi attraverso fiumi di sangue, o per lo meno attraverso episodi di sangue, noi diciamo che tutto ciò che è nel programma dei partiti d’avanguardia potrà realizzarsi civilmente, sul piano che oggi la libertà consente. Se invece la borghesia, erroneamente conservatrice nei suoi metodi, si impunta ad invocare i mezzi forti, siate certi, signori conservatori, che il proletariato andrà innanzi ugualmente, ma andrà innanzi con un fardello di odio verso coloro che hanno cercato di impedire il suo fatale andare. (Approvazioni a sinistra).

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione, dell’onorevole Monterisi, al Ministro dell’interno, «per conoscere quali misure siano state adottate e si intendano adottare contro i responsabili dei luttuosi avvenimenti di Puglia»:

L’onorevole Sottosegretario per l’interno ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. L’onorevole Monterisi domanda quali misure siano state adottate e si intendano adottare contro i responsabili dei luttuosi avvenimenti di Puglia.

Debbo rispondere che queste misure sono quelle che il Governo può adottare: deve, cioè, attraverso gli organi preposti all’ordine pubblico, cercare di identificare i responsabili; identificatili, deve cercare di arrestarli; arrestatili, o anche in stato di latitanza, deve denunciarli all’autorità giudiziaria per quei reati per i quali ha ritenuto di doverli ricercare ed arrestare.

Comunque, data la gravità dei fenomeni verificatisi in Puglia, queste istruzioni sono state particolarmente date. Potrei leggere – ma è cosa lunga e superflua – anche una serie di telegrammi mandati dal Ministro a tutte le autorità preposte all’ordine pubblico, perché queste indagini venissero compiute e concluse nella forma più utile. Devo poi aggiungere che di identificazioni ne sono state fatte moltissime. In quasi tutte le località dove i fatti si sono svolti l’autorità di pubblica sicurezza ha identificato i principali responsabili. Li ha identificati, e il fatto che moltissimi di costoro si sono dati alla latitanza, dimostra che non avevano la coscienza tranquilla, e che la pubblica sicurezza aveva esattamente proceduto nei loro confronti.

Per i fatti di Gravina sono stati denunciati 47 responsabili; per quelli di Corato 11; 20 per quelli di Sampaolo Civitate; 7 per quelli di San Severo; 26 per quelli di Ascoli Satriano; 23 per quelli di Lucera; 82 per i fatti di Cerignola e così via.

Ma quand’anche io nominassi tutte le località e vi facessi l’elenco dei denunciati per ciascuna di esse, nulla avrei fatto se non riaffermassi che il proposito del Governo è quello di identificare e di colpire coloro che hanno la responsabilità dei dolorosi fatti accaduti.

Questo per la responsabilità materiale. Quando risponderò all’onorevole Pastore vedrò di scendere a quelle che, secondo lui, sono le responsabilità più profonde di questi movimenti.

PRESIDENTE. L’onorevole Monterisi ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MONTERISI. Ringrazio l’onorevole Sottosegretario delle notizie fornite e dei provvedimenti in corso. Ma bisogna notare che in questi casi noi ci troviamo di fronte a reati comuni, alla delinquenza più volgare, che attacca i cittadini e le libertà personali con crimini comuni, in cui nulla ha da vedere l’ideologia del partito cui appartiene l’aggressore.

Si vorrebbe far credere che noi abbiamo quasi la volontà di reprimere i moti delle classi lavoratrici, di coloro che affermano i loro diritto alla giustizia sociale. Ma non è questo il nostro intento. Noi vogliamo segnalare soprattutto quei reati che hanno tutti i sintomi e le caratteristiche dei reati comuni. La popolazione delle Puglie, del resto, come tutte le popolazioni d’Italia, ha il diritto di vivere nella massima tranquillità.

In questo momento – mi si permetta una piccola osservazione – si è voluto far passare questo sciopero, come se avesse una ragione economica. A me non pare. Che ci possano essere state anche delle ragioni economiche non voglio negare. Forse in talune località tali ragioni avranno avuto anche la prevalenza. Ma in tante altre località le ragioni economiche sono mancate. Tante volte abbiamo chiesto agli scioperanti: perché scioperate? Non lo sappiamo, ci hanno risposto. Abbiamo avuto l’ordine di scioperare! Ma vi è di più: in molte di quelle località dove sono avvenute le violenze, siamo in pieno raccolto delle olive, che quest’anno, grazie a Dio, è molto abbondante, e bisognerebbe poter raccogliere questo prezioso prodotto in piena tranquillità, mentre invece questi moti non portano ad altro risultato se non a quello di far marcire le olive sugli alberi e di lasciare inattivi i frantoi. Quel che dico ha tanto maggiore importanza in quanto, durante il periodo delle agitazioni, abbiamo avuto in campagna un tempo magnifico: cielo azzurro, sole splendente, e chi è pratico sa bene come occorra approfittare del bel tempo per questa tanto delicata ed importante operazione del raccolto delle olive.

Potremmo aggiungere questo: noi assistiamo in questo momento a fenomeni che hanno molte analogie con quanto è avvenuto in passato, e che deprechiamo. Diciamo pure, fingiamo di credere che siano elementi irresponsabili infiltratisi tra le masse che hanno prodotto e che producono questi incidenti. Tutti sappiamo da quale settore provengono questi cosiddetti elementi irresponsabili. Però anche contro questi elementi irresponsabili bisogna agire. Io domando: quale differenza passa tra i fenomeni del fascismo nel 1921, che deprechiamo, e quelli di adesso?

Noi ci troviamo di fronte agli stessi fenomeni, e mentre il fascismo lo deprechiamo in questa Assemblea lo si fa risorgere nelle piazze. Abbiamo visto che in molti posti questi facinorosi si sono addirittura sostituiti alle Autorità, hanno stretto d’assedio città privandole così dei rifornimenti viveri. Hanno agito pure contro le persone, e, ad esempio, al segretario di Cerignola sono pervenute parecchie lettere intimidatorie, con le quali lo si diffidava di non occuparsi più della Democrazia cristiana. Si è arrivati anche al blocco di strade. Sono fenomeni spiacevoli che vorremmo che non si verificassero più. A Bitonto determinati elementi hanno perfino dichiarato la repubblica sovietica! Involontaria confessione del traguardo cui si tende! Si capisce, sono i soliti elementi irresponsabili, i quali tutti sappiamo da quali settori provengano. In tutte le città, però, i facinorosi hanno impedito alle tranquille popolazioni di andare al lavoro.

Noi, non vogliamo negare il diritto di sciopero, ma, come c’è libertà di scioperare, così dovrebbe essere lasciata libertà a chi vuole andare a lavorare, anche per favorire un fenomeno che a noi fa tanto piacere. Vi sono purtroppo plaghe ove le condizioni dei contadini sono tristi e noi dobbiamo studiare il modo di provvedere, ma ci sono anche delle plaghe in cui fortunatamente e con nostro sommo piacere vediamo che il problema sociale si risolve automaticamente: si tratta cioè di quelle plaghe dove la proprietà si sta spezzettando naturalmente, senza nessuna violenza e coercizione.

Noi abbiamo per esempio dei comuni che, su 12 mila ettari di territorio, hanno 14 mila ditte catastali, comuni che su 6 mila ettari hanno 8 mila ditte catastali.

Io, ho assistito talvolta, e con grande piacere, a veri assalti dati dai nostri contadini braccianti alle parcelle di terreno in cui si spezzettavano le grosse proprietà poste in vendita; e gli assalti erano fatti a suon di centinaia di migliaia di lire e qualche volta anche di qualche milione.

Ecco come la giustizia sociale viene automaticamente affermandosi in questi comuni.

PRESIDENTE. Ma questa è una digressione! La prego di concludere.

MONTERISI. Ma è una santa digressione! Magari vi fossero sempre nei discorsi parlamentari digressioni di questo genere, per constatare così interessanti e benedetti fenomeni sociali.

Del resto onorevole Presidente – ed ho pieno diritto di dirvi quello che sento – è proprio a nome di queste classi lavoratrici, piccoli proprietari, che io rivolgo al Governo la preghiera di mantenere e tutelare quest’ordine pubblico, affinché proprio questi piccoli e piccolissimi proprietari possano tranquillamente recarsi al loro lavoro, ad accudire alla loro piccola proprietà acquistata senza impedimenti e senza intralci, e possano contribuire – se veramente dobbiamo crederci – alla ricostruzione e soprattutto al rifornimento alimentare della nostra povera Patria! (Applausi al centro).

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Pastore Raffaele, al Ministro dell’interno, «per sapere quali provvedimenti intenda adottare per rimuovere le cause che hanno determinato ancora una volta lo spargimento di sangue proletario nelle Puglie».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. L’onorevole Pastore Raffaele desidera sapere quali provvedimenti il Governo intenda adottare per rimuovere le cause che hanno determinato spargimento di sangue proletario nelle Puglie.

Io so che l’onorevole Pastore si riferisce alle cause economiche. Noi possiamo dissentire da lui nel senso che non crediamo che si tratti soltanto di cause economiche.

Poiché, per altro, è questo l’argomento che lo interessa, io mi limiterò a dire che il Governo è persuasissimo anche delle esigenze particolari, e particolarmente gravi, di natura economica di queste popolazioni, e perciò intende assolutamente sovvenirle in tutti i modi e come meglio esso potrà.

Credo che l’onorevole Pastore, conoscendo quelle che sono state le recenti provvidenze del Ministero dell’agricoltura, potrà trovare e riconoscere una prova (voglio accontentarmi di un principio di prova) di quello che sto dicendo.

Ad ogni modo, queste provvidenze sono indubbiamente considerevoli.

Già nell’esercizio 1946-47 complessivamente il totale delle opere pubbliche stabilite dal Ministero dell’agricoltura comporta un ammontare di due miliardi 552 milioni 264 mila lire alle quali vanno aggiunte, sempre per lo stesso esercizio, per miglioramenti fondiari, altri 340 milioni di lire. In totale, nell’esercizio 1946-47 sono 2 miliardi. 292 milioni 264 mila lire.

Questo per spese previste del programma, per spese fuori programma, danni bellici previsti e danni bellici non previsti.

Per l’esercizio 1947-48 a tutt’oggi sono stati già stanziati per la Provincia di Bari 75 milioni di opere; per la Provincia di Foggia altri 20 milioni; per quella di Bari per danni alluvionali 10 milioni; per quella di Foggia per riparazioni e danni bellici del Tavoliere altri 10 milioni. Un totale di 210 milioni per opere pubbliche; per opera di irrigazione vennero già devoluti altri 600 milioni. Questo nell’esercizio 1947-48. In totale, nei due esercizi 1946-47 e in conto 1947-48, si hanno 3 miliardi 697 milioni e 264 mila lire di opere pubbliche. Con decreto legislativo del Capo Provvisorio dello Stato 18 marzo di quest’anno, sono stati assegnati inoltre all’Ente per lo sviluppo della irrigazione e la trasformazione fondiaria delle Puglie e Lucania, altri 500 milioni per la costituzione di un fondo di avviamento e 150 milioni di lire da versarsi in tre esercizi per gli studi e le ricerche.

È in corso, inoltre, la costituzione dei relativi capitoli per uno stanziamento di 250 milioni per il primo e 100 milioni per il secondo.

Come principio di prova io spero che l’onorevole Pastore vorrà darmi atto che è sufficiente.

Ma voglio aggiungere quello che ha fallo finora (e sottolineo il finora) il Ministero dei lavori pubblici, il quale ha assegnato a favore del Provveditorato delle opere pubbliche per le Puglie per l’esercizio 1947-48, in base alla legge del bilancio dell’esercizio 1947-48, un complesso di un miliardo e 700 milioni; per concorso statale di cui al decreto dell’8 maggio, un miliardo 25 milioni e 500 mila lire; per la disoccupazione operaia, altri 2 miliardi. In totale 4 miliardi 725 milioni e 500 mila lire, che sommati ai 3 miliardi 697 milioni 264 mila lire, più 500 milioni, più 150 milioni dimostrano, mi pare, che trascuranza non c’è stata. Ad ogni modo, accingendomi a elencare queste assegnazioni di fondi del Ministero dei lavori pubblici, ho tenuto a sottolineare il «finora», perché da parte dello stesso Ministero si stanno continuando gli studi per quanto si riferisce alle opere pubbliche delle Puglie ed è probabile (per non dire sicuro) che quanto prima io potrò annunziare altri stanziamenti di fondi.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

PASTORE RAFFAELE. Nel prendere atto delle dichiarazioni del Sottosegretario devo far notare che gli stanziamenti fatti dal Governo sarebbero insufficienti, se noi stabilissimo che tutta la popolazione lavoratrice pugliese deve stare a carico dello Stato. È necessario chiamare i privati, coloro che hanno l’obbligo di coltivare la terra, a compiere il loro dovere, perché la terra, serve a dare lavoro ai contadini e dare alimenti ai consumatori. Invece questo non si fa.

L’onorevole Stampacchia ha giustamente fatto osservare che nell’anno 1947, e proprio nel secondo semestre, gli agrari pugliesi, e leccesi particolarmente, hanno rialzato la testa, perché hanno la vecchia mentalità: «C’è il nostro Ministro al potere, l’onorevole Grassi (che è il loro presidente) e quindi noi possiamo fare il nostro comodaccio!».

Leggendo le interrogazioni dei colleghi che non sono qui presenti, vedo che in quella dell’onorevole Caccuri si parla di violenza. A danno di chi sono state fatte queste violenze? I morti da quale parte sono stati?

Sono stati i lavoratori quelli uccisi. Quindi le violenze sono state commesse dagli agenti della forza pubblica a danno dei lavoratori.

L’onorevole De Maria interroga sull’uccisione di un sacerdote che non è mai avvenuta, e l’onorevole Sottosegretario me ne può dare atto. Chi sparge queste voci a danno dei lavoratori?

MONTERISI. Ci fu un conflitto…

PASTORE RAFFAELE. No, quel sacerdote si trovava per combinazione a passare, quando scoppiò una bomba… (Commenti).

L’onorevole Monterisi parla di responsabili. Proprio di responsabili io intendo parlare.

Leggendo le interrogazioni degli altri colleghi, io noto subito la loro mentalità. L’onorevole Perrone Capano parla di «agitatori professionali», parla anzi di «facinorosi agitatori professionali». Ebbene, egregi colleghi, io mi onoro di appartenere a questa categoria… (Commenti a destra).

TUMMINELLI. Lo sappiamo!

PASTORE RAFFAELE. …perché in cinquant’anni di vita nell’organizzazione ho trovato sempre negli agricoltori pugliesi quella mentalità medievale che ha costretto molte volte i lavoratori a dover ricorrere alla violenza per far riconoscere i loro giusti diritti.

Non dimenticate che l’organizzatore Silvestro Fiore fu ucciso in piena piazza a Foggia dai sicari degli agrari. Si è sempre ricorso a tutti i mezzi per strozzare l’organizzazione dei lavoratori. Oggi gli agrari credono di poter tornare al passato. Oggi si organizzano per questo e, come ebbi a dire nell’ultima tornata, a Lecce non si vuole accettare per le tabacchine il concordato nazionale. Perché? I signori concessionari di Lecce non si sono arricchiti abbastanza durante il periodo fascista? Tutti i seguaci di Starace non ottennero concessioni? E ora costoro si sono ricoverati nella Democrazia cristiana e credono che con l’appoggio del Governo potranno continuare a fare il loro comodo. (Commenti).

È dal mese di giugno che le organizzazioni sindacali hanno chiesto agli agricoltori di stabilire un patto salariale, e poter addivenire ad una più equa ripartizione dei prodotti di mezzadria impropria. Invece questi signori menano il can per l’aia. Ecco le cause che hanno determinato i luttuosi avvenimenti, di cui vittime sono stati sono i lavoratori.

Passiamo ad un altro argomento. Se in Italia c’è una legge, essa deve essere applicata nello stesso modo sia a Torino che a Palermo.

Ma ciò non avviene nell’Italia meridionale. Da tutti si parla che dobbiamo aiutare l’Italia meridionale, ma bisogna modificare la mentalità dei funzionari che ivi mandate. In Italia non c’è una legge che istituisce gli Uffici del lavoro. Gli Uffici del lavoro sono stati istituiti per una ordinanza dei Comandi alleati, ordinanza che non ha nessun effetto in Puglia. Ora, non so con quale diritto il Governo viene ad istituire un Ufficio del lavoro a Bari.

Quale è la legge che lo autorizza? Quale è la legge che determina i compiti di questi Uffici del lavoro? Perché se l’ordinanza alleata può avere effetto nelle altre province, non lo può avere nelle quattro province che non sono mai state sotto il Governo alleato e che hanno costituito il primo nucleo della Nazione libera. Ebbene, sapete chi ha trovato scampo negli uffici del lavoro di Bari? Tutti i vecchi funzionari asserviti alle classi padronali che erano nelle organizzazioni fasciste, e che adesso vorrebbero continuare a servire i loro padroni tramite gli Uffici del lavoro.

Mentre a Milano l’Ufficio del lavoro ha creato gli Uffici di collocamento presso le organizzazioni sindacali, ciò non è permesso a Bari.

Onorevole Monterisi, se lei è padrone di vendere il suo vino essendone produttore, il lavoratore è libero di vendere il suo lavoro come crede.

Invece per disposizione del Ministero del lavoro il collocamento in Puglia dovrebbe avvenire attraverso i municipi; è la guardia municipale che deve collocare i lavoratori! Queste sono state le cause, onorevole Sottosegretario, che hanno determinato le agitazioni in provincia di Lecce.

Si dice (e lo afferma nella sua interrogazione l’onorevole Codacci Pisanelli) che queste agitazioni sono state preparate da agitatori stranieri al comando di squadre di azione. Casco dalle nuvole, e mi riporto ad un ricordo della mia infanzia, al 1894. Ci furono i moti dei contadini siciliani ed anche allora nelle scuole elementari ci si disse che armi francesi aiutavano i contadini siciliani.

Ogni qualvolta i contadini devono far sentire la loro voce, ieri si disse che erano i francesi, oggi sono i russi, domani i cinesi o gli americani. Forse gli americani non saranno nominati mai!

E ricordo un altro episodio. Rivedo la stampa del 1907. In un articolo del Mattino di Napoli si scriveva che erano arrivate anche allora in Puglia casse di armi e fucili, perché si preparava la rivoluzione. È questa la mentalità delle nostre classi dirigenti. Lo prova l’onorevole Codacci Pisanelli nella sua interrogazione.

Vediamo quale atteggiamento hanno tenuto le autorità. Il prefetto di Taranto, chiamato ad applicare il decreto sull’assorbimento della mano d’opera, dice che in provincia di Taranto non c’è questa necessità, perché a Ginossa, paese tipico di numeroso bracciantato, ci sono appena tre disoccupati.

Mentre l’arma dei carabinieri asserisce che i disoccupati sono 250; in quanto i lavoratori non vogliono andare all’Ufficio del lavoro, imposto dal Governo, e non vogliono ritornare sotto i vecchi tirapiedi di ieri, non ritornano e non ritorneranno. E voi, signori del Governo, commettete un atto illegale, affidando il collocamento agli Uffici del lavoro, perché nessuna legge istituisce in Italia tali uffici. Alle nostre agitazioni, a cui volete dare un carattere politico, hanno aderito i democratici cristiani. Ho qui l’ordine del giorno votato dai rappresentanti della Democrazia cristiana, dirigenti dei sindacati, non dai democratici cristiani che fanno parte dell’associazione degli agricoltori, tant’è vero che il sindaco di Terlizzi, democratico cristiano, ha armato gli agrari per mettersi contro gli scioperanti.

Quale contegno ha tenuto la polizia?

Io ho notato di persona quattro-cinque camionette scorrazzare per le strade, come se arrivassero dei conquistatori: ho visto gli agenti scendere armati di mitra ed inquadrarsi. Fra i curiosi ci poteva essere un forsennato, che scagliava una bomba. Se la polizia fosse rimasta a tutelare l’ordine pubblico, non avremmo deplorato gli incidenti avvenuti.

A Bari son dovuto intervenire di persona presso il prefetto, perché le camionette, che giravano spargendo il terrore per la città, fossero ritirate.

Un altro episodio. Mentre qui alla Costituente si discuteva sulle leggi contro la riorganizzazione del fascismo, gli agenti a Bari sono stati chiamati in un caffè, il cui proprietario era stato invitato dagli scioperanti a chiudere. Questi, appena arrivata la polizia, ha rialzato la saracinesca ed ha detto: «Io sono fascista e tengo aperto il bar». Il funzionario di pubblica sicurezza avrebbe dovuto senz’altro arrestarlo immediatamente; invece sono intervenuti generosamente i dirigenti sindacali ad evitare che il caffè venisse invaso dalla folla.

Questi sono i fatti. Se volete evitare queste agitazioni, non basta fare quello che avete fatto, cioè dare sulla carta dei miliardi. Oggi, con la scusa di quei miliardi dati sulla carta, si stanno regalando nelle province di Bari e Foggia centinaia di milioni agli appaltatori.

FERRARIO. Se sono sulla carta, non si regalano.

PASTORE RAFFAELE. Queste sono verità. Se volete evitare le agitazioni in Puglia dovete eliminare le cause di esse. Non dovete ritenere che i lavoratori siano dei violenti; essi agiscono per legittima difesa, perché la prima cosa per l’individuo è il diritto alla vita; se gli impedite di vivere questi ha diritto di difendersi.

PRESIDENTE. Data l’ora tarda lo svolgimento delle altre interrogazioni, all’ordine del giorno è rinviato.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Comunico che sono pervenute le seguenti interrogazioni con richiesta di risposta urgente:

«Al Ministro degli affari esteri, per conoscere se è esatto che nel recente accordo sullo svincolo dei beni italiani nella Francia e nelle Colonie sia compreso l’annullamento dei diritti dei nostri connazionali viventi nel «Protettorato francese di Tunisia»; mentre la stessa intempestiva «rinuncia» alle Convenzioni del 28 settembre 1896, avvenuta il 28 febbraio 1945, stabiliva che il Governo francese avrebbe negoziato subito dopo col Governo italiano una nuova Convenzione di stabilimento, basata sui principî generali del diritto internazionale.

«Persico».

«Ai Ministri di grazia e giustizia e dell’interno, per sapere quali sono i motivi che hanno indotto le autorità locali a non arrestare gl’individuati responsabili dei delitti commessi in Caltanissetta il 19 novembre 1947 già denunziati per tentato omicidio, devastazione, saccheggi, violenza, resistenza ed oltraggio agli agenti di pubblica sicurezza.

«Aldisio, Volpe».

«Al Ministro dell’interno, per sapere se risponde a verità che sia stato decretato lo scioglimento del Consiglio comunale di Pescara e, se ciò fosse vero, quali ne sarebbero le ragioni.

«Corbi».

Il Governo ha facoltà di dichiarare quando intende rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Alle ultime due interrogazioni risponderò nella prima seduta dedicata alle interrogazioni; informerò il Ministro degli esteri della prima, affinché faccia conoscere quando intende rispondere.

MAZZA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAZZA. Chiedo quando il Governo intende rispondere ad una mia interrogazione sul riconoscimento della qualifica di sinistrati a favore di alcuni comuni del Napoletano.

PRESIDENTE. Informerò il Governo di questa richiesta.

La seduta termina alle 14.