ASSEMBLEA COSTITUENTE
CCCXVII.
SEDUTA POMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 3 DICEMBRE 1947
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI
INDICE
Presentazione di relazioni:
Piemonte
Bibolotti
Votazione segreta dei disegni di legge:
Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia ed i Paesi Bassi, il 30 agosto 1946. (30).
Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia e la Danimarca il 2 marzo 1946. (31).
Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia e l’Ungheria, il 9 novembre 1946. (32).
Approvazione dei seguenti Accordi, conclusi ad Ankara, tra l’Italia e la Turchia il 12 aprile 1947: a) Accordo commerciale; b) Accordo di pagamento; c) Scambio di Note. (39).
Approvazione degli Accordi commerciali e di pagamento, conclusi in Roma, tra l’Italia ed il Belgio il 18 aprile 1946. (40).
Approvazione dei seguenti Accordi, conclusi a Roma, fra l’Italia e la Svezia il 19 aprile 1947: a) Accordo italo-svedese relativo all’emigrazione di operai italiani in Svezia; b) Protocollo addizionale all’Accordo italo-svedese relativo all’emigrazione di operai italiani in Svezia. (41).
Approvazione dei seguenti Accordi, conclusi a Roma tra l’Italia ed il Belgio: a) Protocollo italo-belga per il trasferimento di 50.000 minatori italiani in Belgio e scambio di Note 23 giugno 1946; b) Scambio di Note per l’annullamento dell’articolo 7 del Protocollo suddetto 26-29 ottobre 1946; c) Annesso al Protocollo di emigrazione italo-belga 26 aprile 1947; d) Scambio di Note per l’applicazione immediata a titolo provvisorio dell’Annesso suddetto 27-28 aprile 1946. (42).
Presidente
Risultato della votazione segreta:
Presidente
Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):
Presidente
Preti
Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione
Mortati
Perassi
Benvenuti
Rossi Paolo
Russo Perez
Moro
Lussu
Cappugi
Uberti
Damiani
Rodi
Condorelli
Codacci Pisanelli
Benedettini
Nobile
Gronchi
Crispo
Giannini
Giacchero
Sicignano
Covelli
Coppa
Fabbri
Lucifero
Penna Ottavia
Mastrojanni
Mazza
Bencivenga
Fresa
Marinaro
Puoti
Abozzi
Miccolis
Venditti
Tumminelli
Conti
Votazioni segrete:
Presidente
Risultato delle votazioni segrete:
Presidente
Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):
Presidente
Interrogazioni (Annunzio):
Presidente
La seduta comincia alle 16.
DE VITA, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.
(È approvato).
Presentazione di una relazione.
PIEMONTE. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PIEMONTE. Ho l’onore di presentare la relazione sul disegno di legge: «Norme per la istituzione dell’Opera di valorizzazione della Sila».
PRESIDENTE. Questa relazione sarà stampata e distribuita.
Votazione segreta di disegni di legge.
PRESIDENTE. Indico la votazione segreta dei seguenti disegni di legge:
Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia ed i Paesi Bassi, il 30 agosto 1946. (30).
Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia e la Danimarca, il 2 marzo 1946. (31).
Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia e l’Ungheria, il 9 novembre 1946. (32).
Approvazione dei seguenti Accordi, conclusi ad Ankara, tra l’Italia e la Turchia, il 12 aprile 1947: a) Accordo commerciale; b) Accordo di pagamento; c) Scambio di Note. (39).
Approvazione degli Accordi commerciali e di pagamento conclusi in Roma, tra l’Italia ed il Belgio, il 18 aprile 1946. (40).
Approvazione dei seguenti Accordi, conclusi in Roma, fra l’Italia e la Svezia, il 19 aprile 1947: a) Accordo italo-svedese relativo all’emigrazione di operai italiani in Svezia; b) Protocollo addizionale all’Accordo italo-svedese relativo all’emigrazione di operai italiani in Svezia. (41).
Approvazione dei seguenti Accordi, conclusi in Roma, tra l’Italia ed il Belgio: a) Protocollo italo-belga per il trasferimento di 50 mila minatori italiani in Belgio e scambio di Note 23 giugno 1946; b) Scambio di Note per l’annullamento dell’articolo 7 del Protocollo suddetto 26-29 ottobre 1946; c) Annesso al Protocollo di emigrazione italo-belga 26 aprile 1947; d) Scambio di Note per l’applicazione immediata a titolo provvisorio dell’Annesso suddetto 27-28 aprile 1946. (42).
(Segue la votazione).
Avverto che le urne rimarranno aperte, per proseguire nello svolgimento dell’ordine del giorno.
Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di costituzione della Repubblica italiana.
Riprendiamo la votazione degli emendamenti al terzo comma dell’articolo 126, così formulato:
«Giudica il Presidente della Repubblica ed i Ministri accusati a norma della Costituzione».
Vi è anzitutto l’emendamento proposto e ritirato dall’onorevole Ambrosini e ripreso dall’onorevole Preti, così formulato:
«Il Presidente della Repubblica ed i Ministri messi in stato di accusa dalla Camera dei deputati a norma della Costituzione sono giudicati dal Senato costituito in Alta Corte di giustizia».
Questo emendamento propone una soluzione che è in contrasto con una norma già approvata dall’Assemblea Costituente. È già stato rilevato stamane che, in un articolo approvato dall’Assemblea in sede di potere legislativo, è stato stabilito che l’accusa ed il giudizio del Presidente della Repubblica sono deferiti ad una decisione delle due Camere, in seduta comune, mentre nella proposta dell’onorevole Ambrosini, ripresa dall’onorevole Preti, si parla della accusa sollevata dalla Camera dei deputati, e poi del giudizio del Senato costituito in Alta Corte di giustizia. È una norma che è in netto contrasto con una deliberazione già presa dall’Assemblea e crea quindi un caso di preclusione.
Pongo quindi in votazione il testo della Commissione, che rileggo:
«Giudica il Presidente della Repubblica ed i Ministri accusati a norma della Costituzione».
(È approvato).
L’onorevole Preti mi fa pervenire ora una nuova formulazione della sua proposta, di cui do lettura:
«Il Presidente della Repubblica e i Ministri messi in stato di accusa dalle Camere a norma della Costituzione sono giudicati dal Senato costituito in Alta Corte di giustizia».
Io non so se l’Assemblea ritenga che si possa considerare come non avvenuta la votazione di poco fa, allo scopo di poter esprimere un giudizio su questa nuova formulazione, che è diversa dalle altre. Di tale diversità, forse, è un po’ difficile trovare una motivazione sostanziale.
PRETI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PRETI. Onorevole Presidente, lei mi disse che il mio emendamento non poteva essere votato, in quanto affidava l’accusa alla competenza della sola Camera dei deputati, mentre si era già votato in precedenza in altro senso. Ho proposto ora una modifica, uniformandomi per questa parte ai risultati della precedente votazione, di maniera che il mio emendamento possa essere votato.
La pregherei, quindi, di metterlo in votazione.
PRESIDENTE. Onorevole Preti, le ho dato atto che lei avrebbe potuto modificare la formulazione; ma, poiché non è stata proposta alcuna modifica, abbiamo proceduto alla votazione.
Ho dato comunicazione all’Assemblea del testo dell’onorevole Preti facendo semplicemente questa osservazione: che è vero che la formulazione è diversa dalla precedente, ma, nel suo meccanismo interno il testo nuovo è di difficile motivazione perché non vedo ragione per cui, essendo ambedue le Camere a sollevare l’accusa, debba poi essere una sola di queste, e precisamente il Senato, a divenire corte giudicante, col che o si diminuisce in certo senso la Camera che ha mossa l’accusa, o si fa il Senato accusatore e giudice nel contempo.
PRETI. Siamo d’accordo che c’è questa parziale contraddizione: ciò dipende dal fatto che in precedenza abbiamo votato un altro articolo che affidava l’accusa alla competenza di entrambe le Camere.
Ora, l’unica maniera per poter far sì che il giudizio sul Presidente della Repubblica e sui Ministri non sia dato dalla Corte costituzionale, cioè da un organo giudiziario, ma da un organo politico, sta nell’accogliere questo mio emendamento.
Se però qualcuno mi suggerisce una forma migliore, ne sarò ben felice.
PRESIDENTE. Non si tratta di cercare una forma migliore. La questione si è che l’Assemblea, pochi minuti fa, ha già votato, e lei stesso ha potuto constatare come la grande maggioranza dell’Assemblea abbia scelto una soluzione.
Vi è ora l’emendamento presentato dall’onorevole Mortati, che la Commissione ha dichiarato di accettare e che deve considerarsi come emendamento aggiuntivo, del seguente tenore:
«Per i giudizi sull’accusa del Presidente della Repubblica e dei Ministri intervengono, oltre i componenti ordinari della Corte, altri 15 membri eletti dal Parlamento in seduta comune al principio di ogni legislatura fra cittadini aventi i requisiti per l’elezione a membro del Senato».
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Forse occorrerebbe elevare il numero a sedici, perché conviene conservare anche complessivamente un numero dispari.
PRESIDENTE. Onorevole Mortati, aderisce alla proposta di elevare a sedici questo numero?
MORTATI. Vi aderisco.
PRESIDENTE. Sta bene. Pongo in votazione l’emendamento Mortati, testé letto, con questa modificazione.
(È approvato).
L’articolo 126 risulta nel suo complesso così approvato:
«La Corte costituzionale giudica sulle controversie relative alla legittimità costituzionale degli atti aventi forza di legge dello Stato e delle Regioni, sui conflitti di attribuzione fra i poteri dello Stato e su quelli fra Stato e Regioni e fra Regioni.
«Giudica il Presidente della Repubblica e i Ministri accusati a norma della Costituzione.
«Per i giudizi sull’accusa del Presidente della Repubblica e dei Ministri intervengono, oltre i componenti ordinari della Corte, altri 16 membri eletti dal Parlamento in seduta comune al principio di ogni legislatura fra cittadini aventi i requisiti per l’elezione a membro del Senato».
Passiamo ora alla Sezione II del Titolo VI: Revisione della Costituzione. È stato presentato un emendamento dall’onorevole Perassi alla intitolazione stessa di questa Sezione, ma lo esamineremo alla fine, come già abbiamo fatto in casi analoghi.
Passiamo pertanto all’articolo 130. Se ne dia lettura.
DE VITA, Segretario, legge:
«La iniziativa della revisione costituzionale appartiene al Governo ed alle Camere.
«La legge di revisione costituzionale è adottata da ciascuna delle Camere in due letture, con un intervallo non minore di tre mesi. Per il voto finale in seconda lettura è richiesta la maggioranza assoluta dei membri di ciascuna Camera.
«La legge di revisione costituzionale è sottoposta a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla sua pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o sette Consigli regionali.
«Non si fa luogo a referendum, se la legge è stata approvata in seconda lettura da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi membri».
PRESIDENTE. L’onorevole Perassi ha presentato il seguente emendamento sostitutivo dell’intero articolo:
«Sostituirlo col seguente:
Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali devono essere adottate da ciascuna Camera in due letture con un intervallo non minore di tre mesi ed approvate a maggioranza assoluta dei membri di ciascuna Camera nel voto finale in seconda lettura.
«La legge di revisione costituzionale è sottoposta a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla sua pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validamente espressi.
«Non si fa luogo a referendum se la legge di revisione costituzionale è stata approvata in seconda lettura da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi membri».
Ha facoltà di svolgerlo.
PERASSI. È stato detto qui e fuori di qui che vari articoli della Costituzione sono inutili o sovrabbondanti: può darsi. Ma qui invece ci troviamo di fronte ad un articolo che è giuridicamente necessario; si tratta solo di formularne il testo definitivo.
Giuridicamente necessario, ho detto, perché discende da alcuni criteri che hanno costantemente dominato l’elaborazione del progetto costituzionale.
Fino dall’inizio dei nostri lavori, l’Assemblea Costituente, attraverso gli oratori dei vari gruppi, ha unanimemente accolto il principio che la Costituzione italiana dovesse essere una Costituzione rigida e, sulla base di questo principio, è stato elaborato il testo del Progetto.
Il primo riflesso giuridico di questo principio della rigidità della Costituzione è quello che si può chiamare il primato della Costituzione sulle leggi ordinarie, nel senso che la Costituzione si pone come un limite alle leggi ordinarie. Il che significa che la conformità alla Costituzione è un essenziale requisito per la validità di ogni legge.
Ma quando si dice rigidità della Costituzione, non si vuole affermare l’immutabilità assoluta di essa. Se l’espressione frangar non flectar può essere la divisa di un uomo di carattere o può essere il motto di un giornale, non può essere il motto di una Costituzione, perché è contradittoria e ripugnante alla destinazione stessa di ogni ordinamento giuridico, e quindi anche della Costituzione, la sua immutabilità.
Si tratta, dunque, di contemperare questi due concetti: da un lato, la rigidità della Costituzione, e dall’altro, la sua non immutabilità. Questi due criteri determinano il problema legislativo che dobbiamo ora risolvere. Si tratta, cioè, di inserire nella Costituzione una norma che regoli il procedimento di formazione delle leggi costituzionali.
A questo riguardo, con riferimento all’emendamento che ho presentato, rilevo, anzitutto, che non si deve parlare soltanto di revisione della Costituzione, perché nel testo, già approvato, si prevede anche, in un caso, un tipo speciale di legge, la legge costituzionale: tali sono, secondo l’articolo 108, le leggi con le quali si adottano gli ordinamenti speciali per alcune Regioni. Ora, a meno di voler distinguere – il che mi sembra inutile – fra leggi che modificano la Costituzione e le altre leggi costituzionali (il che darebbe luogo poi ad altri inconvenienti), sembra opportuno fare una norma unica che riguardi sia la formazione di leggi che toccano direttamente la Costituzione, rivedendola, sia le leggi che riguardano le altre materie costituzionali.
Quale può essere questa norma? Il mio emendamento non tocca nessuna parte sostanziale del testo elaborato dalla Commissione dei Settantacinque. Questo testo è ispirato ad un criterio di ragionevolezza che risponde a quanto abbiamo detto prima, e cioè che la Costituzione deve essere rigida, ma non immutabile, inflessibile. Non si può concepire la Costituzione come una lastra di vetro; occorre che sia di un metallo duro, ma un metallo plasmabile. Si tratta, dunque, di trovare una formula che contemperi queste due esigenze.
Il concetto a cui si è ispirata la Commissione è quello di rendere il procedimento di formazione delle leggi costituzionali più complicato di quello che è previsto per le leggi ordinarie, ma di non arrivare a stabilire un procedimento che renda estremamente difficile la revisione della Costituzione.
L’idea pratica che è stata di guida nel disciplinare questa materia è questa: di far sì che vi sia una ponderata riflessione quando si procede ad un atto così importante. Da ciò l’adozione del sistema delle due letture a distanza di un certo periodo di tempo: tre mesi, si propone nel testo. L’esperienza dimostra che questo espediente è utile. Ciascuno di noi potrebbe porsi questa domanda: se io fossi chiamato a votare a distanza di tre mesi qualche articolo della Costituzione che ho già votato, darei il medesimo voto? Lasciare un certo margine alla riflessione è utile.
Il secondo punto che nel testo della Commissione distingue la legge costituzionale dalla legge ordinaria è la maggioranza speciale, richiesta affinché essa sia validamente adottata in ciascuna delle due Camere. Nel progetto si dispone che le leggi di revisione della Costituzione – e, secondo il mio emendamento, le altre leggi costituzionali – devono essere adottate da ciascuna Camera in due letture, con intervallo non minore di tre mesi, e approvate a maggioranza assoluta dei membri di ciascuna Camera nel voto finale in seconda lettura. A noi sembra che questo sistema sia un dispositivo di riflessione, sufficiente ad assicurare che l’adozione di una legge costituzionale avvenga in condizioni tali da rispondere a vere esigenze del Paese, e con ciò sia sufficientemente differenziata la legge costituzionale da quella ordinaria.
La differenza fra legge costituzionale e legge ordinaria è poi accentuata dal comma seguente, nel quale si prevede la possibilità del referendum. E su questo punto il mio testo, nella sua prima parte, non differisce sostanzialmente dal testo della Commissione. Infatti dice: «La legge costituzionale è sottoposta a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla sua pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o (ecco una piccola variante) cinque Consigli regionali». Nel testo della Commissione si dice invece: «sette Consigli regionali». A questo riguardo, ricordo che in altra occasione è stato fatto presente che, data la distribuzione delle regioni d’Italia, esigere che la domanda del referendum sia fatta da almeno sette Consigli regionali potrebbe avere qualche inconveniente dal punto divista politico. Quindi sembra conveniente abbassare questo numero a cinque.
L’emendamento che ho proposto continua, portando una semplice integrazione al testo della Commissione per quanto riguarda il referendum. Nel mio emendamento si dice: «La legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validamente espressi».
Con questa formula si risolve il problema di configurare il referendum che si applica in questo caso. Secondo la formula proposta, si adotta un tipo di referendum che è diverso da quello che era stato escogitato nell’articolo 72 del progetto per quel che concerne le leggi ordinarie.
Come l’Assemblea ricorderà, secondo quel testo – che non è stato approvato – una legge ordinaria sarebbe stata promulgata e pubblicata e sarebbe stata poi sottoposta al referendum, se un certo numero di cittadini ne avesse fatta domanda in un determinato termine, restando in tal caso sospesa l’entrata in vigore della legge. Con un tale regolamento, il referendum avrebbe appunto la configurazione giuridica di un veto.
Mi sembra che in materia di leggi costituzionali convenga dare al referendum una altra configurazione, più vicina a quella che ha il referendum in altri paesi, dove questo istituto di democrazia diretta è praticato, specialmente in Svizzera, e cioè disciplinato in modo che il concorso del voto del popolo, quando la domanda di referendum è regolarmente fatta, assume il valore giuridico di un elemento di formazione della legge costituzionale.
In confronto a tale concetto, nel nuovo testo da me proposto si prevede che la legge costituzionale votata dalle due Camere, non è promulgata, ma viene soltanto pubblicata ai fini di essere portata a conoscenza del popolo, sicché i cittadini possano esercitare la facoltà di chiedere il referendum. Soltanto quando, essendo stato richiesto il referendum, la votazione popolare abbia avuto luogo e la maggioranza richiesta si sia pronunciata a favore della legge, questa viene promulgata e pubblicata ai fini della sua entrata in vigore.
Occorre poi determinare qui qual è il numero di voti richiesti perché la legge sottoposta al referendum possa ritenersi approvata. Nel testo da me proposto si precisa che occorre la maggioranza dei voti validamente espressi.
Infine, nell’ultimo comma, che è uguale a quello del testo della Commissione, si stabiliscono i casi in cui su una legge costituzionale non è ammesso il referendum facoltativo. Si dice cioè: «Non si fa luogo a referendum se la legge costituzionale è stata approvata in seconda lettura da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi membri».
Questo comma, che potrebbe eventualmente diventare, dal punto di vista formale, un inciso del precedente, viene a porre un limite ragionevole alla facoltà di chiedere il referendum e quindi alla messa in moto di una macchina notevolmente pesante, quale è quella della votazione popolare.
Anche qui, sotto questa formula, c’è una idea di buon senso. Quando, secondo il procedimento abbastanza complicato che è previsto, una legge costituzionale è stata votata dalle due Camere e ciascuna di queste l’abbia approvata a maggioranza di due terzi dei suoi membri, si può fondatamente presumere che si è di fronte a una legge costituzionale che risponde a esigenze sentite dalla maggioranza del Paese. Quindi sembra inutile condizionare la perfezione di una tale legge all’eventualità del referendum. Ricordo, a questo riguardo, che anche recenti Costituzioni, per esempio quella francese, contengono qualche analoga disposizione.
Sono questi i criteri a cui si ispira il testo dello articolo come è stato rielaborato nella formulazione che ho sottoposto all’Assemblea.
PRESIDENTE. L’onorevole Preti ha presentato il seguente emendamento:
«Tra il secondo ed il terzo comma inserire il seguente:
«Il Presidente della Repubblica non può domandare alle Camere una nuova deliberazione».
Ha facoltà di svolgerlo.
PRETI. Più che presentare un emendamento, intendevo porre un quesito al Presidente della Commissione dei Settantacinque.
Siccome il secondo capoverso dell’articolo 71 dice che «entro un determinato termine il Presidente della Repubblica può con messaggio motivato domandare una nuova deliberazione», io intendevo chiedere se questo vale anche per le leggi costituzionali, oppure no. A me sembra che non debba valere. Ad ogni modo, siccome ci potrebbe essere incertezza, per questo chiedo spiegazioni.
PRESIDENTE. L’onorevole Benvenuti ha presentato il seguente emendamento:
«Dopo il primo comma, aggiungere:
«Il Presidente della Repubblica non promulga le leggi modificatrici della Costituzione o con essa contrastanti, se non quando siano adottate dalle due Camere con la procedura e con la maggioranza di cui al presente articolo».
Ha facoltà di svolgerlo.
BENVENUTI. Onorevoli colleghi, continuo il cortese contradittorio iniziato con i colleghi della Commissione sabato scorso e continuato stamattina col collega Rossi. Ho detto che il problema va al di là del testo letterale dell’emendamento. È un problema che segna una svolta, a mio avviso, della elaborazione costituzionale che stiamo formulando.
Il problema è questo: i diritti fondamentali dell’uomo e del cittadino, che abbiamo riconosciuto come inviolabili all’articolo 2 della nostra Costituzione, sono garantiti dalla Costituzione o sono rimessi all’arbitrio di qualsiasi maggioranza parlamentare?
Questo è il tema che vi propongo e che passerò brevemente ad illustrare, a sostegno del mio emendamento. Premetto che desidero mantenermi su di un terreno generale e ideale, sul terreno dei principî.
Io non mi vergogno di difendere gli immortali principî: potrà essere una posizione romantica, ma tengo fermo e duro su questo terreno. Lascio ad altri i fasti della così detta real politik, perché sono convinto che ogni abbandono di principî si traduce sempre in una debolezza dell’azione.
D’altra parte, il principio della inviolabilità della persona umana fa parte essenziale del programma del partito nel quale ho l’onore di militare. Ai colleghi del Partito repubblicano storico mi permetto di ricordare un passo classico di Mazzini. Nei «Diritti e doveri del l’uomo» Mazzini proclamava: «Vi sono cose che costituiscono il vostro individuo (parla agli italiani) e sono essenziali alla vita umana. Su queste neppure il popolo ha signoria. Nessuna maggioranza può rapirvi ciò che vi fa essere uomini. Nessuna maggioranza può decretare la tirannide e spegnere o alienare la libertà».
Vi dico con tutta franchezza che non mi sento di approvare un testo costituzionale che dà al potere legislativo la facoltà, perfettamente legittima, di decretare la tirannide e di spegnere la libertà. Questo il pubblico non sa ancora: bisogna avere il coraggio di denunciarlo. Gli italiani credono che il Presidente della Repubblica nella nuova Costituzione abbia funzioni di tutore della Costituzione e della pubblica libertà, e credono sul serio che la Costituzione che si sta costruendo sbarri la strada ad ogni tirannia. Al contrario, il Presidente della Repubblica, così come la sua figurai emerge dal sistema costituzionale sostenuto dalla Commissione, deve obbligatoriamente promulgare le leggi, quando anche esse sopprimano le libertà fondamentali dei cittadini.
È contro questa complicità del Presidente della Repubblica che io insorgo. Una legge che mettesse la stampa alla mercé della polizia, che comprimesse la libertà religiosa, che è sacra per gli italiani, che istituisse tribunali speciali, dovrebbe o non dovrebbe essere promulgata dal Presidente della Repubblica? Lo deve essere secondo il sistema architettato dalla Commissione; anzi, se il Presidente della Repubblica non la promulga, egli è passibile di essere deferito all’Alta Corte di giustizia.
E più precisamente: il Presidente che ha giurato fedeltà alla Costituzione è passibile di deferimento all’Alta Corte di giustizia ove si rifiuti di promulgare una legge che violi quella Costituzione alla quale ha giurato fede. Questa è una mostruosità giuridica e morale. E non parliamo più, onorevoli colleghi, di Costituzione rigida! Io non conosco il perfetto toscano dei costituzionalisti ma il semplice comune vernacolo dell’umile gente della Valle Padana, che qui mi ha mandato a difendere le sue libertà. Quando in uno Stato non esiste un organo che abbia il potere è il dovere di impedire l’entrata in vigore di leggi incostituzionali, o comunque violatrici della libertà, ci troviamo di fronte ad una Costituzione non più rigida, ma tipicamente flessibile, in quanto docile ed adattabile ad ogni e qualsiasi arbitrio del potere legislativo.
Ma i colleghi rispondono: «C’è la Corte costituzionale». Questa difesa non può esser tenuta valida. Quando avete votato, onorevoli colleghi della Commissione, l’obbligatorietà della promulgazione, l’istituzione della Corte costituzionale non era ancora votata e, se non fosse stata mai votata, saremmo rimasti senza un qualsiasi barlume di garanzie di fronte al prepotere della maggioranza legiferante.
In secondo luogo, faccio presente una considerazione fondamentale: se la Corte costituzionale non era ancora istituita quando avete votato il principio delle promulgazioni obbligatorie, essa non è entrata in vita neppure oggi. Noi dobbiamo infatti attendere che l’istituto sia regolato, concretamente istituito e messo in azione da parte del potere legislativo ordinario. Quindi, in realtà, la prima maggioranza che uscirà dal suffragio popolare, dopo lo scioglimento della nostra Assemblea, avrà praticamente il potere illimitato di votare qualsiasi legge, di istituire qualsiasi regime anticostituzionale, senza ombra di controllo, neppure quello della Corte costituzionale. Ed infine, se si ricorresse alla Corte costituzionale, quando una legge anticostituzionale e liberticida fosse già entrata in vigore (supponete una legge che sciogliesse i partiti, che sopprimesse la stampa, che imbavagliasse i giornali, che arrestasse i cittadini), una legge cioè che rievocasse i fasti del 3 gennaio mussoliniano e di tutta la legislazione successiva, allora io mi domando: la situazione incostituzionale ed eccezionale che sarebbe venuta a crearsi, quale margine lascerebbe al popolo italiano per adire sul serio la Corte costituzionale? Quale margine di libertà lascerebbe il fatto compiuto al Parlamento ed ai cittadini per insorgere contro la legge incostituzionale? In realtà, il fatto compiuto, svuoterebbe la Corte costituzionale della sua sostanziale funzione di difesa del cittadino.
È contro questo «fatto compiuto», con tutte le sue gravissime conseguenze, che si leva il mio emendamento, il quale non ha nessun contenuto rivoluzionario, che tocchi cioè i sacri principî del diritto parlamentare. Qualche volta, quando si parla di questioni costituzionali, si ha l’impressione di essere gente che, invitata in una buona società, non ne conosce le regole: ma mi sembra che il mio emendamento non turbi nessuna delle norme fondamentali del galateo costituzionale. Noi abbiamo stabilito procedure e maggioranze specifiche per le leggi, che rivedono, modificano o comunque mutano la Costituzione. Conseguentemente il Presidente della Repubblica, all’atto in cui la legge è sottoposta alla sua promulgazione, deve esaminarne il contenuto. Ciò deve essere da lui fatto soltanto al fine di determinare con quale maggioranza, legittimamente e costituzionalmente, la legge debba venire approvata. Se la legge è tale da poter essere votata con maggioranza ordinaria, il Presidente della Repubblica la promulgherà; se è tale invece da richiedere il procedimento speciale con la maggioranza qualificata, di cui all’articolo che stiamo esaminando, ebbene, il Presidente della Repubblica non promulgherà; perché una legge non viene in essere, se non è votata con la maggioranza e con le procedure prescritte dalla Costituzione. Come non sarebbe da considerarsi approvata una legge ordinaria, che non fosse votata dalla maggioranza della Camera e del Senato, così non è da ritenersi approvata una legge, che innovi, modifichi o violi la Costituzione, qualora non venga votata con la particolare procedura e colla maggioranza prescritta per tali eccezionali atti legislativi.
Quindi, nessuna violazione sostanziale dell’obbligo della promulgazione. Il Presidente della Repubblica non promulga, perché la legge non c’è. Questa è la sostanza del mio emendamento.
Il Capo dello Stato, in sostanza, deve limitarsi a controllare se il potere legislativo abbia o meno rispettato le norme stabilite, per la validità delle sue deliberazioni, dalla stessa sovranità popolare, in quella solenne suprema sua manifestazione che è la Carta Costituzionale.
Tale posizione del Presidente della Repubblica non ha nulla a che vedere coll’esercizio della «sanzione».
Il diritto di sanzione rappresentava una partecipazione del Capo dello Stato al potere legislativo come un «terzo ramo del Parlamento». Nel concetto del mio emendamento, invece, il Presidente della Repubblica deve limitarsi ad esaminare se il potere legislativo ha esercitato i suoi poteri nei limiti e colle forme stabilite dalla Carta Costituzionale, la quale costituisce l’espressione suprema della volontà sovrana del popolo italiano sul piano del diritto pubblico. D’altronde, onorevoli colleghi, se non entriamo in questo ordine di idee, a cosa varrebbe la norma di revisione della Costituzione? Quale sarà mai la maggioranza che, volendo adottare una norma anticostituzionale, ricorrerà al procedimento di revisione? Essa metterà sempre il Paese di fronte al fatto compiuto: comincerà col far promulgare la legge dal Presidente, la farà mettere in esecuzione e poi aspetterà il ricorso. Cadrebbe quindi il contenuto sostanziale della revisione costituzionale, la quale è ispirata ad un concetto preventivo, in quanto è intesa a prevenire la possibilità dell’entrata in vigore di una legge incostituzionale.
Onde è la stessa finalità dell’istituto della revisione costituzionale che verrebbe scalfita alla radice.
Dice l’onorevole Paolo Rossi: il Presidente invitato a promulgare una legge incostituzionale può dimettersi. Questa, io dico, è la peggiore delle soluzioni! Perché arriveremo a questo risultato: che l’Assemblea nominerà un secondo Presidente più docile del primo, e si consoliderà questa (chiamiamola così) giurisprudenza, che il Presidente della Repubblica non giura fedeltà al popolo, alla libertà ed alla Costituzione, ma giura fedeltà servile alla maggioranza parlamentare. Questo sarebbe il risultato di una soluzione del genere, che io non mi sento di accettare.
PRESIDENTE. Concluda, onorevole Benvenuti.
BENVENUTI. Non mi sento di accettarla, tanto più che col sistema costituzionale varato dai nostri amici della Commissione si verrebbero in fatto a conferire alle Assemblee legislative, comprese quelle costituenti, poteri che, secondo me, non possono esser loro conferiti, neppure ove si trattasse di Assemblee costituenti. Desidero cioè riaffermare, prima di chiudere, un principio fondamentale: che qualsiasi legge violasse la Costituzione, e soprattutto violasse i principî fondamentali di libertà ed i diritti inalienabili dell’uomo e del cittadino (e qui parlo come cittadino e come deputato, in nome di quella percentuale di volontà popolare che, sia pure indegnamente, ho l’onore di rappresentare), una legge che venisse approvata da qualsivoglia maggioranza, contro i diritti dell’uomo e contro le libertà costituzionali, sarebbe soltanto chiffon de papier, un pezzo di carta! Perché nessun cittadino può essere tenuto all’osservanza di disposizioni legislative alle quali manchi il fondamento essenziale del rispetto delle libertà individuali e della Carta fondamentale della Repubblica. Ho finito. Non so quale sarà la sorte riserbata al mio emendamento, ma ho la coscienza di aver difeso una causa giusta ed ho soprattutto la certezza che per ogni causa giusta e per ogni verità c’è sempre un avvenire. Il tempo riserva la vittoria ad ogni battaglia che trascende gli interessi contingenti dell’ora che volge e difende valori universali. Ma ho fiducia che sarà questa stessa Assemblea ad accogliere il mio emendamento.
PRESIDENTE. L’onorevole Rossi Paolo ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.
ROSSI PAOLO. Voglio applaudire anch’io le cose che ella ha detto, onorevole Benvenuti, anche se giungo in ritardo. La sua esigenza è l’esigenza di tutti coloro che amano sinceramente la libertà. Mi consenta di dirle che quelle stesse parole con cui ella ha concluso il suo discorso dimostrano che è bene che questa suprema esigenza resti inappagabile legislativamente e che ad un certo momento non la si possa appagare altrimenti che con il proprio sacrificio. Come si può pretendere la garanzia delle garanzie della Costituzione? Perché ella, in sostanza, vuole qualche cosa che garantisca i congegni già destinati a garantire la Costituzione. L’onorevole Benvenuti in precedenza aveva proposto un’altra formulazione come articolo 130-bis. «Le disposizioni della presente Costituzione che riconoscono o garantiscono i diritti di libertà, rappresentando l’inderogabile fondamento per l’esercizio della sovranità popolare, non possono essere oggetto di procedimenti di revisione costituzionale, tendenti a misconoscere o a limitare tali diritti, ovvero a diminuirne le guarentigie».
BENVENUTI. Questo è un altro emendamento.
ROSSI PAOLO. Sostanzialmente è lo stesso. Lei vuole con questo ottenere una garanzia ulteriore delle garanzie già stabilite. La finalità dei due emendamenti è comune: ella intende con entrambi ottenere gli stessi effetti.
Perciò io rispondevo all’altro emendamento che mi pareva più consono al discorso dell’onorevole Benvenuti. Se si tratta di leggi che modificano la Costituzione, e così seriamente come lei ha accennato, è evidente che si tratta di leggi costituzionali che non possono essere votate se non con le garanzie dell’articolo 130. Il controllo formale del Presidente nessuno glielo toglie; quindi, se si volesse creare una legge costituzionale, una legge attinente alla libertà, senza il procedimento dell’articolo 130, il Presidente farebbe benissimo a non promulgarla.
BENVENUTI. Allora, la Commissione accetta l’emendamento?
ROSSI PAOLO. No, la Commissione dichiara che la formulazione dell’articolo 130 comprende ed esaurisce, senza ombra di dubbio, l’esigenza di cui al suo emendamento aggiuntivo.
PRESIDENTE. Vi sono poi l’emendamento presentato dall’onorevole Perassi e il quesito dell’onorevole Preti. L’onorevole Rossi ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.
ROSSI PAOLO. Al quesito risponderà l’onorevole Perassi; in quanto all’emendamento Perassi la Commissione lo fa proprio perché mantiene intatta la struttura del progetto e introduce miglioramenti suggeriti dal più accurato esame della materia.
PRESIDENTE. L’onorevole Perassi ha facoltà di esprimere il parere della Commissione sull’emendamento dell’onorevole Preti.
PERASSI. Il comma che l’onorevole Preti ha formulato, e che proporrebbe di aggiungere al testo che stiamo discutendo, solleva un problema interessante e delicato. Anche il Comitato riconosce che quando si tratta di leggi costituzionali la situazione in cui si trova il Presidente della Repubblica è un po’ diversa da quella in cui si trova quando si tratti di una legge ordinaria, ai fini dell’esercizio della facoltà discrezionale attribuitagli dall’articolo 71, che abbiamo già votato, secondo il quale – come si ricorderà – il Presidente della Repubblica può con messaggio motivato domandare alle Camere una nuova deliberazione su una legge da esse adottata.
Quando si tratti di leggi ordinarie, questa facoltà del Presidente di attirare l’attenzione delle Camere su un testo che hanno votato può essere motivata anche da considerazioni attinenti alla costituzionalità del testo votato. È uno dei casi in cui l’uso di tale facoltà potrebbe essere particolarmente conveniente.
Quando si tratti di leggi costituzionali, è evidente che la situazione è un po’ diversa, perché trattandosi di leggi costituzionali non è possibile sollevare una questione di incostituzionalità. Al Presidente spetta solo di accertare che, trattandosi di una legge costituzionale, questa sia stata votata secondo il procedimento stabilito dalla Costituzione.
Ma, ciò posto, conviene arrivare ad inserire espressamente nella Costituzione una disposizione che vieti in maniera assoluta al Presidente di far uso di quella facoltà?
Io ritengo che non sia il caso di fare questa inserzione, né ritengo che sia opportuno – e su questo punto vorrei richiamare particolarmente l’attenzione dell’onorevole Preti – che su questo emendamento intervenga un voto da parte dell’Assemblea.
Mi pare che sia una questione estremamente delicata, da lasciare alla prassi costituzionale. È questa che permetterà di dare al funzionamento della Costituzione quell’indirizzo che meglio corrisponde alla realtà delle cose.
Per conseguenza, a nome del Comitato, pregherei in maniera particolarmente insistente l’onorevole Preti di voler desistere dal sottoporre questo suo emendamento alla votazione e di ritirarlo, dopo le spiegazioni che ho dato.
PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Preti se conserva il suo emendamento.
PRETI. Non insisto sul mio emendamento, in quanto ritengo che la prassi costituzionale si svolgerà nel senso da me auspicato.
L’articolo non menziona il diritto di veto del Presidente ed io ritengo che questa sia una sufficiente garanzia giuridica e politica. Un Presidente che ne volesse fare uso assumerebbe la responsabilità di dare al testo costituzionale un’interpretazione arbitraria.
PRESIDENTE. L’onorevole Benvenuti mantiene il proprio emendamento?
BENVENUTI. Lo mantengo.
PRESIDENTE. Allora, onorevoli colleghi, passiamo alla votazione.
Pongo ai voti innanzitutto il primo comma del testo dell’onorevole Perassi che la Commissione ha dichiarato di far proprio:
«Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali devono essere adottate da ciascuna Camera in due letture, con un intervallo non minore di tre mesi, ed approvate a maggioranza assoluta dei membri di ciascuna Camera nel voto finale in seconda lettura».
(È approvato).
Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo Benvenuti, non accettato dalla Commissione, del seguente tenore:
«Il Presidente della Repubblica non promulga le leggi modificatrici della Costituzione o con essa contrastanti, se non quando siano adottate dalle due Camere con la procedura e con la maggioranza di cui al presente articolo».
(Dopo prova e controprova, non è approvato).
Pongo in votazione il secondo comma del testo Perassi:
«La legge di revisione costituzionale è sottoposta a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla sua pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validamente espressi».
(È approvato).
Pongo in votazione l’ultimo comma:
«Non si fa luogo a referendum se la legge di revisione costituzionale è stata approvata in seconda lettura da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi membri».
(È approvato).
Abbiamo così approvato tutto il testo dell’articolo 130 nella formulazione accettata dalla Commissione.
Presentazione di una relazione.
BIBOLOTTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BIBOLOTTI. Mi onoro di presentare la relazione della terza Commissione permanente per l’esame dei disegni di legge, sul disegno di legge:
«Approvazione degli Accordi di carattere economico conclusi in Roma, tra l’Italia e la Francia, il 22 dicembre 1946».
PRESIDENTE. Questa relazione sarà stampata e distribuita.
Chiusura della votazione segreta.
PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione a scrutinio segreto e invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.
(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).
Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.
PRESIDENTE. Proseguiamo nell’esame del progetto di Costituzione.
L’onorevole Benvenuti ha proposto il seguente articolo 130-bis:
«Le disposizioni della presente Costituzione che riconoscono o garantiscono diritti di libertà, rappresentando l’inderogabile fondamento per l’esercizio della sovranità popolare, non possono essere oggetto di procedimenti di revisione costituzionale, tendenti a misconoscere o a limitare tali diritti, ovvero a diminuirne le guarentigie».
Ha facoltà di svolgerlo.
BENVENUTI. Sarò brevissimo, anche perché mi duole che ad esporre questo concetto non sia presente un collega di alto valore, che avrebbe potuto svolgerlo colla sua particolare competenza di giurista: alludo al collega onorevole Calamandrei, il quale fu il primo a lanciare l’idea sul piano parlamentare. Per parte mia mi si consenta di rammentare che, già fin dall’anno scorso, avevo sostenuto in articoli di quotidiani politici il concetto che i diritti fondamentali di libertà del cittadino non possono andare assoggettati né a revisione costituzionale e neppure rientrare nella sfera di disponibilità di qualsiasi Assemblea Costituente. Successivamente l’onorevole Calamandrei, nel suo discorso in sede di discussione generale sul progetto di Costituzione, aveva manifestato l’intenzione di proporre un emendamento che stabilisse la non revisionabilità costituzionale dei diritti di libertà. Egli allora, se ben ricordo, ebbe a prospettare la questione sotto un profilo nuovo che qui mi permetto di riproporre brevemente all’Assemblea. Va tenuto fermo il concetto tradizionale affermato in tutte le classiche «dichiarazioni di diritti» e cioè che i diritti fondamentali dell’uomo e del cittadino sono anteriori allo Stato, anteriori alla legge positiva, o comunque radicati nel diritto di natura, nella coscienza giuridica creatasi nel consorzio umano prima di ogni intervento dello Stato. Contro tali diritti né lo Stato, né la legge possono in alcun caso intervenire: questo concetto è sempre valido, anzi fondamentale. Ma l’onorevole Calamandrei ha prospettato il problema in termini nuovi, specificando come oggi i diritti di libertà non vadano più concepiti come limite alla sovranità popolare, ma come il presupposto necessario al suo esercizio.
Mi si consenta di aggiungere una considerazione: gli Stati assoluti, gli Stati tradizionali, anche nel loro sviluppo parlamentare, erano sempre legittimi, quale che fosse l’apporto dato dalla volontà popolare alla vita dello Stato. La legittimità c’era sempre; il consenso si presumeva anche in mancanza di un istituto che permettesse a tale consenso di manifestarsi liberamente, coscientemente, volontariamente. Lo Stato era sempre legittimo, avesse un Parlamento o no, ammettesse il suffragio universale o no, partecipasse il popolo o non partecipasse alla attività politica. In regime democratico invece la volontà sovrana dello Stato si manifesta solo per mezzo della partecipazione libera e cosciente dei cittadini. Non c’è volontà di Stato, se non c’è l’immissione della volontà dei cittadini espressa attraverso l’esercizio dei diritti di libertà nelle forme costituzionali.
Onde, ogni revisione costituzionale dei diritti di libertà ossia della libertà personale, della libertà di coscienza, della libertà di riunione, della libertà di espressione, della libertà di voto, colpirebbe alla radice il concetto di libertà democratica e non solo farebbe cadere l’istituto, ma distruggerebbe fondamentalmente i concetti di democrazia e di libertà costituzionale. È chiaro d’altronde che, come vien proposto il principio della non revisionabilità della forma istituzionale, a maggior ragione dovrà venir proclamata l’intangibilità e quindi la non revisionabilità dei diritti fondamentali senza dei quali non vi è né repubblica né libertà.
LACONI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LACONI. Vorrei chiedere all’onorevole Benvenuti se è disposto ad aggiungere, dopo le parole: «riconoscono o garantiscono i diritti di libertà», le parole: «e del lavoro». Il mio Gruppo è favorevole all’emendamento dell’onorevole Benvenuti e lo voterà, con questa aggiunta.
BENVENUTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BENVENUTI. Io mi rendo perfettamente conto dello spirito della proposta dell’onorevole Laconi, e dichiaro di condividerlo in linea di principio. Ma faccio presente la difficoltà pratica di formulare immediatamente un testo che dia soddisfazione all’istanza prospettata dal collega. In questo senso: che io ritengo che quella categoria di diritti che non rientrano strettamente nei diritti di libertà, nel senso tradizionale, ma che per il loro contenuto sociale conferiscono efficacia e concretezza all’esercizio dei diritti di libertà, siano essi pure intangibili. Senonché, data una Costituzione come questa la quale nel capo dedicato ai problemi del lavoro tocca argomenti svariati, dal controllo sul credito, allo sviluppo dell’artigianato, dall’aiuto alle zone montane, alla legge sulle cooperative, ecc., occorrerebbe studiare una formula precisa e non troppo lata in modo da non comprendere nella norma di non revisionabilità disposizioni non essenziali ed evidentemente revisionabili.
Fermo restando quindi, che il riconoscimento dei diritti del lavoro rappresenta un contributo fondamentale ad un concreto esercizio dei diritti di libertà, l’accoglimento della proposta Laconi richiederebbe l’elaborazione di un nuovo testo.
PRESIDENTE. Invito l’onorevole Rossi Paolo ad esprimere il parere della Commissione.
ROSSI PAOLO. I diritti di libertà, fra i quali il diritto del lavoro è compreso come primissimo, sono contenuti in una categoria più vasta: il diritto naturale.
L’onorevole Benvenuti e l’onorevole Laconi rivendicano qui, dopo tante discussioni, il vecchio e maltrattato diritto naturale e hanno ragione. È passato da poco un periodo in cui un interprete relativamente autorizzato del pensiero di Mussolini scriveva una canzonetta così fatta:
«L’italian non ha paura della legge di natura e talora anche corregge la natura della legge!»
La preoccupazione dell’onorevole Benvenuti, dell’onorevole Laconi e di tutti noi, che i diritti della persona umana, i diritti della dignità umana, i diritti del lavoro umano siano validamente tutelati è la preoccupazione essenziale dell’Assemblea, ma non credo che alcun articolo bis possa costituire una difesa intrinseca di questi diritti fondamentali. Per difenderli ci vuole, onorevole Benvenuti, onorevole Laconi, onorevoli colleghi, qualche cosa di più che una disposizione di carattere costituzionale: ci vuole il permanere costante e fino al sacrificio, in tutti noi, della stessa ardente volontà di essere liberi che in questo momento ha manifestato con eloquenza l’onorevole Benvenuti.
Ahimè, dal punto di vista formale, dal punto di vista legalitario, dal punto di vista costituzionalistico, questo povero articolo 130-bis è una ben modesta garanzia. Pensi l’onorevole Benvenuti che basterebbe il procedimento della doppia revisione per porre nel nulla questa garanzia che egli considera un argine insormontabile, una tutela invincibile dei diritti fondamentali della personalità umana; basterebbe che un’Assemblea con un primo procedimento di revisione costituzionale cancellasse dalla Costituzione l’articolo 130-bis e una seconda volta, dopo questa cancellazione, modificasse taluni degli articoli che garantiscono le principali libertà dell’uomo perché accadesse questa cosa enorme: che una violazione fondamentale dei diritti della libertà umana avesse l’apparenza della legalità, ciò che non vogliamo noi della Commissione, ciò che spero l’Assemblea non vorrà.
Se una lesione di questo genere dovesse mai avvenire nel futuro, avvenga col sangue, avvenga con la violenza, avvenga contro la legge, non avvenga almeno col soccorso formale della Costituzione.
PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell’articolo aggiuntivo proposto dall’onorevole Benvenuti.
RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RUSSO PEREZ. Voterò contro la proposta dell’onorevole Benvenuti non per motivi di carattere sostanziale, non per motivi di ordine sociale e politico, perché posso essere d’accordo nella sostanza con le idee espresse dall’onorevole Benvenuti, ma mi meraviglio come, pur essendoci in questa Aula tanti esimi giuristi, tanti professori di diritto, si lasci a me, avvocato, il compito di proclamare assurda una legge la quale dichiari immutabile ed eterna un’altra legge. Per questo motivo voterò contro.
MORO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MORO. Dichiaro, a titolo personale, che non Vedo l’opportunità di questo articolo 130-bis proposto dall’onorevole Benvenuti ed accettato dall’onorevole Laconi. Che i diritti fondamentali di libertà, tra i quali sono anche i diritti del lavoro di cui parla l’onorevole Laconi, debbano essere salvaguardati permanentemente nella prassi legislativa e politica del nostro Paese, non credo vi possa essere dubbio. Mi pare che quello stesso articolo 6 – se non sbaglio – il quale consacra, senza nominarli individualmente, i diritti fondamentali della persona umana sia in questo senso sufficientemente indicativo della nostra volontà di salvaguardare i diritti fondamentali e di sottrarli al vivo flusso della vita storica che deve passare dinanzi a questi diritti senza toccarli. Sono diritti che noi chiamiamo naturali e poniamo al di sopra delle mutevoli esigenze della vita politica. Ma la norma così come è formulata, nel significato che fatalmente assumerebbe, è da un lato inutile per quanto ha detto l’onorevole Rossi e dall’altro pericolosa, perché diventa un ostacolo a quelle riforme di dettaglio che attengono a quel tanto di storico e di mutevole che è in questi diritti assoluti. Quindi la norma proposta finirebbe per essere un impedimento a quel processo di revisione e di adattamento che invece è garanzia di stabilità della Costituzione. Per queste ragioni, pur apprezzando, i motivi della proposta e pur condividendo con i colleghi che hanno prospettato questa esigenza il proposito di difendere questi diritti fondamentali e metterli al di sopra delle mutevoli vicende della vita politica, dichiaro che voterò contro l’articolo 130-bis.
PRESIDENTE. Il seguente emendamento all’emendamento Benvenuti è stato presentato dagli onorevoli Laconi, Gullo Fausto ed altri:
«Dopo le parole: diritti di libertà, aggiungere: e del lavoro».
Si metterà in votazione prima il testo dell’onorevole Benvenuti, e separatamente l’emendamento aggiuntivo.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Vorrei fare una dichiarazione semplicissima. Un dilemma. O noi intendiamo questa modificazione in senso letterale, e allora non potremo più in nessun modo ritoccare la Costituzione. Le libertà che abbiamo messo nella Costituzione sono libertà che hanno un inderogabile fondamento; e cadono tutte nell’espressione dell’onorevole Benvenuti; così che, se non potessimo toccarle, non potremmo mai toccare l’arca santa della Costituzione. O noi vogliamo affermare un’altra cosa; che vi sono diritti di libertà e di democrazia, che sono inviolabili e che neppure la Costituzione può violare; le leggi «superiori a quelle della città» di cui parla Antigone; i diritti naturali; gli «immortali principî»; ed io sono perfettamente d’accordo con l’onorevole Benvenuti, nel sentire la esigenza di queste istanze supreme; ma non si tratta di vere norme giuridiche; non ci muoviamo più nella zona del diritto; siamo in quella zona più alta, dove stanno i principî di natura etico-politica; superiori alla lettera del diritto, e tali che non possono essere tradotti in norme concrete di Costituzione, come quelle che l’onorevole Benvenuti ha proposto. Noi del resto, spingendoci ai limiti del contenuto d’un testo costituzionale, abbiamo già parlato nei primi articoli della nostra Costituzione di diritti «inviolabili» dell’uomo; non possiamo andare più in là e stabilire che tutto quanto riguarda le libertà non può essere oggetto di revisione costituzionale. Ripeto: dobbiamo difendere questi diritti inviolabili, questi principî etico-politici; ma non possiamo dire che la Costituzione non potrà mai essere riveduta.
PRESIDENTE. Onorevole Benvenuti, mantiene il suo emendamento?
BENVENUTI. Rispondo alle dichiarazioni dell’onorevole Ruini; ripeto che per quanto attiene alla formulazione dell’emendamento i vari rilievi meritano di essere presi in considerazione; preciso che il mio concetto è questo: che le norme relative ai diritti di libertà possono essere rivedute nel senso di ampliare o meglio garantire tali diritti, che si possa cioè in questo campo andare avanti e non indietro. Il testo costituzionale può evidentemente essere riveduto: ma la revisione del testo non potrebbe mai limitare i diritti di libertà, né, aggiungo, quei diritti sociali che rappresentano una integrazione concreta ed essenziale dei diritti di libertà. Ritengo peraltro opportuno di ritirare l’emendamento augurandomi che il principio meglio formulato possa venire riproposto successivamente.
LACONI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LACONI. Faccio mio l’emendamento dell’onorevole Benvenuti con la modificazione da me proposta.
PRESIDENTE. Su questo emendamento è stata presentata domanda di votazione per appello nominale dagli onorevoli Laconi, Grieco, Reale Eugenio, Moranino, Farina, Pellegrini, Longo, Rossi Maria Maddalena, Musolino, Gullo Fausto, Platone, Lozza, Cremaschi Olindo, Pucci, Lombardi Carlo. Contemporaneamente è stata presentata anche domanda di votazione a scrutinio segreto dagli onorevoli Uberti, Monticelli, Castelli Avolio, Giacchero, Pecorari, Bertone, Camposarcuno, Del Curto, Ambrosini, Perlingieri, Bosco Lucarelli, Chatrian, Baracco, Colonnetti, Brusasca, Clerici, Riccio, Caronia, Mazza, Bubbio. Avrà la precedenza la votazione a scrutinio segreto.
LUSSU. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUSSU. Precedentemente si era stabilito che si sarebbe votata prima la formula dell’onorevole Benvenuti e poi l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Laconi. Penso che, se si votasse a scrutinio segreto, si ingenererebbe confusione. Desidero che il Presidente chiarisca.
PRESIDENTE. Si era detto di votare per divisione, in quanto ci trovavamo di fronte ad un emendamento aggiuntivo dell’onorevole Laconi all’emendamento dell’onorevole Benvenuti. Poiché questi ha ritirato il proprio emendamento, ci troviamo di fronte soltanto alla formulazione unitaria dell’onorevole Laconi, che ha modificato il testo primitivo dell’onorevole Benvenuti.
La votazione quindi si riferisce al testo completo.
CAPPUGI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CAPPUGI. Accetto l’emendamento Laconi; però chiedo che, per ovviare all’inconveniente segnalato dall’onorevole Ruini, che ha determinato l’onorevole Benvenuti a ritirare il suo emendamento, l’emendamento Laconi sia integrato con la seguente aggiunta: «se non nel senso di un loro ulteriore ampliamento».
LACONI. Accetto la proposta Cappugi.
PRESIDENTE. Onorevole Cappugi, penso che il suo concetto sia implicito nella formulazione proposta.
CAPPUGI. L’osservazione del Presidente è giustificata, e quindi ritiro il mio emendamento.
LACONI. Chiedo che l’onorevole Presidente dia ancora lettura dell’elenco dei firmatari della richiesta di votazione a scrutinio segreto. (Commenti al centro).
PRESIDENTE. Darò lettura dei richiedenti la votazione per appello nominale e dei richiedenti la votazione a scrutinio segreto.
L’appello nominale è stato richiesto dagli onorevoli Laconi, Grieco, Reale Eugenio, Moranino, Farina, Longo, Rossi Maria Maddalena, Pellegrini, Musolino, Gullo Fausto, Platone, Lozza, Cremaschi Olindo, Pucci e Lombardi Carlo.
Lo scrutinio segreto è stato richiesto dagli onorevoli Uberti, Monticelli, Castelli Avolio, Pecorari, Bertone, Clerici, Bosco Lucarelli, Chatrian, Bubbio, Alberti, Baracco, Colonnetti, Brusasca, Giacchero, Caronia, Ambrosini, Mazza, Riccio, Perlingieri e Camposarcuno.
LACONI. Qui si rivelano gli amici della democrazia! (Rumori al centro).
UBERTI. Si rivela la vostra lealtà. Voi siete stati sempre i difensori dello scrutinio segreto! (Proteste a sinistra).
LACONI. Noi avevamo chiesto l’appello nominale!
UBERTI. Voi non avete coraggio, tanto vero che ricorrete allo scrutinio segreto. (Proteste del deputato Laconi).
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, facciano silenzio. Mi pare che in questa gara di richieste di appelli nominali e di scrutini segreti sia assai difficile stabilire a-chi spetti il primato.
UBERTI. Noi abbiamo da tempo proposto una modifica del Regolamento, nel senso di dare la prevalenza all’appello nominale. (Applausi al centro – Rumori all’estrema sinistra).
PRESIDENTE. Rammarico, onorevole Uberti, che temi metta nell’obbligo di dire che attendiamo da tre settimane la relazione dell’onorevole Gronchi a questa decisione della Giunta del Regolamento e che non è certo responsabilità né dell’Assemblea, né dell’Ufficio di Presidenza se il Relatore non ha ancora adempiuto al suo compito.
Votazione segreta.
PRESIDENTE. Indico la votazione segreta sull’emendamento aggiuntivo, fatto proprio e modificato dall’onorevole Laconi:
«Le disposizioni della presente Costituzione che riconoscono o garantiscono i diritti di libertà e del lavoro, rappresentando l’inderogabile fondamento per l’esercizio della sovranità popolare, non possono essere oggetto di procedimenti di revisione costituzionale, tendenti a misconoscere o a limitare tali diritti, ovvero a diminuirne le guarentigie».
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione. Invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.
(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).
Risultato della votazione segreta.
PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione segreta:
Presenti 309
Votanti 307
Astenuti 2
Maggioranza 154
Voti favorevoli 116
Voti contrari 191
(L’Assemblea non approva).
Hanno preso parte alla votazione:
Abozzi – Adonnino – Alberti – Aldisio – Allegato – Ambrosini – Arata – Arcangeli – Azzi.
Bacciconi – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Bartalini – Bastianetto – Bei Adele – Bellato – Bellusci – Belotti – Bencivenga – Benedettini – Benvenuti – Bernamonti – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bocconi – Bonino – Bonomi Paolo – Bordon – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Braschi – Brusasca – Bubbio – Bucci.
Caccuri – Caiati – Cairo – Calosso – Camangi – Camposarcuno – Candela – Canepa – Canevari – Caporali – Cappa Paolo – Cappi Giuseppe – Cappugi – Capua – Carbonari – Carboni Angelo – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cevolotto – Chatrian – Chieffi – Chiostergi – Ciccolungo – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbino – Corsanego – Corsi – Cortese Pasquale – Cosattini – Costa – Costantini – Cotellessa – Covelli – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo – Crispo.
Damiani – D’Amico – De Caro Gerardo – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Mercurio – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Di Giovanni – Di Gloria – Dominedò – D’Onofrio – Dossetti.
Ermini.
Fabbri – Fabriani – Fantoni – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrario Celestino – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fioritto – Firrao – Fornara – Fresa – Fuschini.
Gabrieli – Galati – Gallico Spano Nadia – Gasparotto – Gatta – Gavina – Gervasi – Giacchero – Giannini – Giolitti – Giordani – Giua – Gotelli Angela – Grassi – Grazi Enrico – Grieco – Grilli – Gronchi – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto.
Imperiale – Iotti Leonilde.
Jervolino.
Laconi – Lagravinese Pasquale – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Lizier – Lombardi Carlo – Lombardo Ivan Matteo – Longo – Lopardi – Lozza – Lussu.
Macrelli – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Mancini – Marina Mario – Marinelli – Martinelli – Marzarotto – Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mattarella – Mazza – Mazzoni – Meda Luigi – Mentasti – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molinelli – Momigliano – Montagnana Rita – Montemartini – Monterisi – Monticelli – Morandi – Moranino – Morelli Luigi – Moro – Mortati – Moscatelli – Mùrdaca – Musolino.
Nasi – Negarville – Negro – Nenni – Nicotra Maria – Nitti – Nobili Tito Oro – Notarianni – Numeroso.
Pajetta Gian Carlo – Pallastrelli – Paratore – Paris – Pastore Giulio – Pat – Pecorari – Pella – Pellegrini – Penna Ottavia – Perassi – Perlingieri – Persico – Pesenti – Piccioni – Piemonte – Pistoia – Platone – Ponti – Priolo – Pucci – Puoti.
Quintieri Adolfo – Quintieri Quinto.
Raimondi – Rapelli – Reale Eugenio – Recca – Rescigno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rodinò Ugo – Romita – Roselli – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Roveda – Ruggeri Luigi – Ruini – Rumor – Russo Perez.
Saggin – Salerno – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sansone – Sartor – Scalfaro –Scarpa – Scoccimarro – Sereni – Sforza – Sicignano – Siles – Silipo – Simonini – Spallicci – Spataro – Stampacchia – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.
Tambroni Armaroli – Taviani – Tega – Terranova – Titomanlio Vittoria – Togni – Tomba – Tonello – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi – Tripepi – Tumminelli.
Uberti.
Valenti – Vicentini – Vigo – Villani – Vischioni – Volpe.
Zaccagnini –– Zerbi – Zotta – Zuccarini.
Si sono astenuti:
Conti.
Zanardi.
Sono in congedo:
Angelini.
Carmagnola – Caso – Cavallari.
Dugoni.
Garlato – Ghidini – Gortani.
Jacini.
Preziosi.
Ravagnan.
Vanoni – Varvaro – Viale.
Risultato della votazione segreta sugli Accordi di carattere economico.
PRESIDENTE. Comunico frattanto il risultato delle votazioni a scrutinio segreto sui seguenti disegni di legge:
Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia ed i Paesi Bassi, il 30 agosto 1946.
Presenti e votanti 324
Maggioranza 163
Voti favorevoli 314
Voti contrari 10
(L’Assemblea approva).
Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia e la Danimarca, il 2 marzo 1946.
Presenti e votanti 324
Maggioranza 163
Voti favorevoli 316
Voti contrari 8
(L’Assemblea approva).
Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia e l’Ungheria, il 9 novembre 1946.
Presenti e votanti 324
Maggioranza 163
Voti favorevoli 317
Voti contrari 7
(L’Assemblea approva).
Approvazione dei seguenti Accordi conclusi ad Ankara, tra l’Italia e la Turchia, il 12 aprile 1947: a) Accordo commerciale; b) Accordo di pagamento; c) Scambio di Note.
Presenti e votanti 324
Maggioranza 163
Voti favorevoli 314
Voti contrari 10
(L’Assemblea approva).
Approvazione degli Accordi commerciali e di pagamento conclusi in Roma, tra l’Italia ed il Belgio, il 18 aprile 1946.
Presenti e votanti 324
Maggioranza 163
Voti favorevoli 316
Voti contrari 8
(L’Assemblea approva).
Approvazione dei seguenti Accordi, conclusi in Roma, fra l’Italia e la Svezia, il 19 aprile 1947: a) Accordo italo-svedese relativo all’emigrazione di operai italiani in Svezia; b) Protocollo addizionale all’Accordo italo-svedese relativo all’emigrazione di operai italiani in Svezia.
Presenti e votanti 324
Maggioranza 163
Voti favorevoli 315
Voti contrari 9
(L’Assemblea approva).
Approvazione dei seguenti Accordi, conclusi in Roma, tra l’Italia ed il Belgio: a) Protocollo italo-belga per il trasferimento di 50 mila minatori italiani in Belgio e Scambio di Note 23 giugno 1946; b) Scambio di Note per l’annullamento dell’articolo 7 del Protocollo suddetto 26-29 ottobre 1946; c) Annesso al Protocollo di emigrazione italo-belga 26 aprile 1947; d) Scambio di Note per l’applicazione immediata a titolo provvisorio dell’Annesso suddetto 27-28 aprile 1946.
Presenti e votanti 324
Maggioranza 163
Voti favorevoli 316
Voti contrari 8
(L’Assemblea approva).
Hanno preso parte alla votazione:
Abozzi – Alberti – Ambrosini – Arata – Arcangeli.
Bacciconi– Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Bartalini – Basile – Bastianetto – Bazoli – Bellato – Belotti – Bencivenga – Benedettini – Benvenuti – Bernini Ferdinando – Bertola – Bertone – Bettiol – Bibolotti – Binni – Bocconi – Bonfantini – Bonomelli – Bonomi Ivanoe – Bonomi Paolo – Bordon – Bosco Lucarelli – Bosi – Bovetti – Bozzi – Braschi – Brusasca – Bubbio – Bucci – Burato.
Caccuri – Caiati – Cairo – Camangi – Camposarcuno – Candela – Canepa – Canevari – Caporali – Cappa Paolo – Cappi Giuseppe – Cappugi – Capua – Carbonari – Carboni Angelo – Carpano Maglioli – Carratelli – Cartia – Castelli Avolio – Cerreti – Cevolotto – Chatrian – Chieffi – Chiostergi – Cianca – Ciccolungo – Cimenti – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colombo Emilio – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbino – Corsi – Cortese Pasquale – Cosattini – Costa – Costantini – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo – Crispo.
Damiani – D’Amico – De Caro Gerardo – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Mercurio – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Di Giovanni – Di Gloria – Dominedò – D’Onofrio – Dossetti.
Fabbri – Fabriani – Fantoni – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrario Celestino – Ferreri – Filippini – Fiorentino – Fioritto – Firao – Foa – Fogagnolo – Foresi – Fornara – Franceschini – Fuschini.
Gabrieli – Galati – Gallico Spano Nadia – Gasparotto – Gavina – Germano – Gervasi – Ghidetti – Giacchero – Giannini – Giolitti – Giordani – Giua – Gotelli Angela – Grassi – Grazi Enrico – Grieco – Gronchi – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto – Gullo Rocco.
Iotti Leonilde.
Jervolino.
Laconi – Lagravinese Pasquale – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Leone Francesco – Lizier – Lizzadri – Lombardi Carlo – Longo – Lozza – Lucifero – Lussu.
Macrelli – Magnani – Magrini – Malagugini – Mancini – Marinaro – Marinelli – Martinelli – Martino Gaetano – Marzarotto – Massini – Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mastrojanni – Mattarella – Mazza – Mazzei – Mazzoni – Meda Luigi – Merlin Angelina – Merlin Umberto – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molinelli – Momigliano – Montagnana Rita – Montemartini – Monterisi – Monticelli – Montini – Morandi – Moranino – Morelli Luigi – Moro – Mortati – Moscatelli – Mùrdaca – Musolino – Musotto.
Nasi – Negarville – Negro – Nenni – Nicotra Maria – Nitti – Nobile Umberto – Noce Teresa – Notarianni – Numeroso.
Pajetta Gian Carlo – Pajetta Giuliano – Pallastrelli – Paolucci – Paris – Parri – Pastore Giulio – Pastore Raffaele – Pat – Pecorari – Pellegrini– Penna Ottavia – Pera – Perassi – Perlingieri – Pesenti – Piccioni – Piemonte – Pistoia – Platone – Ponti – Preti – Priolo – Proia.
Quintieri Adolfo – Quintieri Quinto.
Raimondi – Rapelli – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Rescigno – Restagno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Roselli – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Roveda – Ruini – Rumor – Russo Perez.
Saccenti – Saggin – Salerno – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sartor – Scalfaro – Scarpa – Schiavetti – Schiratti – Secchia – Sereni – Sicignano – Siles – Simonini – Spallicci – Spataro –Stampacchia – Stella – Sullo Fiorentino.
Tambroni Armaroli – Targetti – Tega – Terranova – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Tomba – Tonello – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Tremelloni – Treves – Trimarchi – Tripepi – Turco.
Uberti.
Valenti – Vallone – Valmarana – Venditti – Veroni – Vicentini – Vigo – Villani – Vischioni – Volpe.
Zaccagnini – Zanardi – Zannerini – Zappelli – Zerbi – Zuccarini.
Sono in congedo:
Angelini.
Carmagnola – Caso – Cavallari.
Dugoni.
Garlato – Ghidini – Gortani.
Jacini.
Preziosi.
Ravagnan.
Vanoni – Varvaro – Viale.
Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.
PRESIDENTE. Passiamo all’esame dell’articolo 131. Se ne dia lettura.
DE VITA, Segretario, legge:
«La forma repubblicana è definitiva per l’Italia e non può essere oggetto di revisione costituzionale».
PRESIDENTE. Sono stati presentati numerosi emendamenti.
L’onorevole Damiani ha presentato una proposta soppressiva. Ha facoltà di svolgerla.
DAMIANI. L’articolo 131 che in questo momento il signor Presidente ha letto è, per me, pleonastico, in quanto dichiara definitivo ciò che per sua natura già si deve intendere stabile. La costruzione del nuovo Stato italiano, che è frutto del concorso della volontà del popolo e del lavoro di un anno e mezzo dei deputati dell’Assemblea Costituente, deve essere ritenuta una costruzione non effimera. Quindi, volere dire nella Costituzione che noi non la riteniamo provvisoria, significa dimostrare la preoccupazione che essa lo sia. Invece tutti sentiamo che questa costruzione è stabile.
Ma se è pleonastico dire che ciò che è nato, è nato definitivamente, non possiamo noi dichiarare, nello stesso tempo, da un punto di vista logico, che una costruzione umana sia definitiva, cioè eterna, immutabile. Ogni costruzione umana è di per sé destinata a variare nel tempo.
Affermare la definitività della forma di uno Stato sarebbe come se un architetto che ha costruito un tempio pretendesse preservarlo dai terremoti o dai bombardamenti scrivendo sul fregio: «Questo tempio è definitivo». Mi pare sia una stonatura!
RUSSO PEREZ. È ridicolo!
DAMIANI. Quindi, siccome tutto è mutevole, non solo nella terra, non solo in noi, ma anche nell’universo stesso, noi non possiamo affermare quel principio, che, del resto, credo non sia stato mai affermato in nessun testo legislativo o costituzionale.
Se venisse dichiarato sarebbe una presunzione assurda.
Vi è da notare ancora che l’espressione «per l’Italia» contenuta nell’articolo è infelice, in quanto sembrerebbe che la norma fosse emanata da un organo supernazionale, che potesse fissare «per l’Italia» la forma repubblicana, e per altri paesi forme diverse. Inoltre l’articolo 131 è doppiamente pleonastico, perché in esso, dopo la stabilita definitività della forma repubblicana, si ripete ancora che essa non può essere oggetto di revisione. È implicito che tutto quanto è definitivo non può essere revisionato; ed è perciò superfluo ripetere con altre parole lo stesso concetto.
Per i detti motivi l’articolo 131 appare così difettoso da giustificarne la soppressione.
PRESIDENTE. L’onorevole Rodi ha anch’egli proposto di sopprimere l’articolo 131.
Ha facoltà di svolgere l’emendamento.
RODI. Anch’io ho proposto la soppressione dell’articolo 131, e non vi nascondo che sono rimasto perplesso di fronte a questo articolo, nel quale si fa un’affermazione solenne, ma di una solennità priva di sostanza, perché, come giustamente diceva il collega Damiani poc’anzi, il legislatore qui ha mostrato, per lo meno, di essere o di avere una presunzione storica. È certo che nel compilare l’articolo 131 ha dimenticato che la storia non è fatta soltanto dalla volontà di un individuo, ma dal concorso di tanti elementi che spesso servono a modificare radicalmente e profondamente un qualsiasi regime che possa essere stato costituito. D’altra parte, la dichiarazione che si fa nell’articolo 131 è, per lo meno, illiberale, perché implicitamente vieta alla volontà popolare di manifestarsi in un determinato modo, nel caso cioè che questa volontà popolare desiderasse nel futuro modificare la forma dello Stato. E noi non abbiamo il diritto di ipotecare il futuro e di impedire che in questo futuro la volontà popolare si possa manifestare liberamente.
D’altra parte, l’Assemblea Costituente ha già votato una legge che contempla e prevede le punizioni dei movimenti monarchici, che siano esercitati con carattere di violenza. Ma questa legge è diretta contro la violenza e noi, anzi, possiamo aggiungere che la violenza, da qualunque parte essa venga, deve essere punita. E l’Assemblea, votando questa legge, ha commesso un duplice errore: il primo, perché non era il caso di fissare in una legge speciale ciò che è già contemplato dal Codice; in secondo luogo è stato commesso, a mio avviso, un grave errore, perché si è voluto accomunare l’idea monarchica col fascismo e quindi si è voluto in un certo senso compromettere il libero pensiero di tutti quei milioni di individui che hanno una loro determinata idea politica. Di modo che se facciamo riferimento a quella legge, che riguarda l’eventuale o presunta violenza dei monarchici, e poi ci soffermiamo sull’articolo 131, possiamo senz’altro dire che i monarchici in Italia hanno finito di vivere. Perché se il monarchico ha il diritto di nutrire il suo sentimento e si troverà costantemente di fronte all’articolo 131, egli saprà che questo suo sentimento è per lo meno, e soltanto, platonico.
Quindi, mentre da un lato noi sottolineiamo il principio della libertà e diciamo ai monarchici che essi possono liberamente nutrire i propri sentimenti, neghiamo però a questi monarchici di nutrire speranze in eventi futuri. Intendiamoci bene: qui non si tratta di speranze che possano contemplare una restaurazione violenta della monarchia, ma di quelle restaurazioni così frequenti nella storia e che sono il risultato logico di un processo che può verificarsi in un popolo che si trovi nelle nostre condizioni.
Attraverso la legge che prevede la violenza sarà facile domani accusare qualcuno di essere stato violento; e lo si può punire vietando le unioni e le organizzazioni. Ma per l’articolo 131 domani dichiarerete che è assolutamente inutile che in Italia esistano unioni e partiti monarchici, poiché è assurdo che voi dobbiate consentire il mantenimento di queste unioni impedendo ai milioni di individui che ne fanno parte di aspirare ad una modificazione di carattere istituzionale, modificazione che sia suggerita, dettata, voluta dagli avvenimenti storici.
Vi sono milioni di individui, i quali possono legittimamente aspirare alla restaurazione monarchica, e noi non abbiamo il diritto, con un articolo, di spezzare questa aspirazione. D’altra parte la stabilità di un regime non può essere fissata da un articolo di legge. Quando la Repubblica avrà dimostrato di essere forte, serena nella sua forza, e capace di conservare la democrazia e la libertà, allora vi assicuro che questa Repubblica sarà veramente definitiva.
Non possiamo presumere oggi, in un periodo di penoso e profondo esperimento, fissare come definitivo ciò che dalla storia non è stato ancora detto e ciò che dallo stesso stato psicologico del popolo italiano è stato rifiutato. Facciamo in modo, con il concorso di tutti, che questa Repubblica diventi forte e democratica nella sua sostanza; e a poco per volta verremo ad assottigliare quelle aspirazioni che voi con un articolo volete stroncare in un momento in cui gli animi sono ancora protesi verso un determinato sentimento.
Né possiamo noi assumerci questa responsabilità. Quindi, propongo la soppressione dell’articolo 131, anche per un omaggio alla libertà ed alla logica. (Applausi a destra).
PRESIDENTE. L’onorevole Castiglia ha già svolto il seguente emendamento: «sopprimere le parole: e non può essere oggetto di revisione costituzionale».
L’onorevole Azzi ha proposto il seguente emendamento che non rientra nella materia relativa all’articolo in esame:
«Dopo l’articolo 131 aggiungere una Parte terza: La difesa nazionale, trasferendovi gli articoli 6, 49, 75 nella conseguente numerazione».
L’onorevole Condorelli ha proposto la soppressione dell’articolo. Ha facoltà di svolgere l’emendamento.
CONDORELLI. Onorevoli colleghi, quello che l’onorevole Rodi ha detto così bene, chiarisce l’aspetto politico della questione; per lo che io mi intratterrò soltanto sull’aspetto giuridico della medesima.
In realtà, questo articolo contiene due concetti: uno è la definitività della forma repubblicana, l’altro è la esclusione dal procedimento di revisione costituzionale delle norme che stabiliscono questa forma.
La prima disposizione è bizzarra o superflua; la seconda è certamente impolitica ed antidemocratica.
La definitività della forma repubblicana è disposizione bizzarra o superflua, a seconda del modo con cui si interpetra quel «definitivo». Se quel definitivo volesse impegnare la storia futura, sarebbe evidentemente una bizzarria, di cui rideranno i contemporanei ed ancor di più i futuri. Se il legislatore avesse veramente la possibilità di determinare o di formare la realtà degli eventi e dei fatti, io raccomanderei ai costituenti di vietare i terremoti della mia Sicilia, e non avrei nessuna difficoltà ad estendere la richiesta alle altre regioni telluriche d’Italia. Ma evidentemente non potrà essere questo il significato di quel «definitivo».
Avrà il significato della definitività giuridica? Noi abbiamo delle sentenze definitive, quando sono esauriti o esclusi i processi di impugnazione. Abbiamo delle leggi definitive, cioè quelle che non sono temporanee. Quando in una legge non si mette un termine, essa è definitiva. Noi, dunque, non affermiamo in sostanza altro che quello che è implicito in ogni legge, nella quale non vi sia termine, cioè in una legge definitiva. E chi può dire che una legge sia provvisoria, a meno che la legge stessa non lo dica?
Evidentemente, se l’interpretazione di quel «definitivo» è questa, è superfluo aggiungerlo.
La seconda disposizione, quella che vieta il processo di revisione costituzionale delle norme che conformano questa Costituzione repubblicana, è palesemente antidemocratica, perché è antidemocratica nel fine. Il suo fine sarebbe di cristallizzare questa forma, di confiscare alle generazioni future la libertà di darsi la forma di reggimento politico che potranno prescegliersi; e dico antidemocratica soltanto nella finalità; perché nell’effettività non c’è legge che possa confiscare questa possibilità ai futuri. Questa legge che, attraverso una sua espressione, pretende la perennità, mi ricorda quella cara amicizia comune della nostra infanzia, il Barone di Münchausen, che, caduto in una palude col cavallo, appendendosi al codino della sua parrucca, trasse fuori dalla palude sé e il cavallo.
È una legge che, essendo per sua natura umana essenzialmente mutevole, con una sua affermazione pretende di diventare immutevole. È troppo chiaro: è veramente un capolavoro di umorismo questa legge, che afferma la propria immutabilità, a mezzo della legge stessa, che è poi mutevole per sua definizione.
Ora, dicevo, la disposizione che vieta il processo di revisione relativamente alla forma repubblicana, è antidemocratica nella finalità, non riesce ad esserlo nella realtà, perché siccome la legge umana è per sua natura mutevole, mentre solo la legge di Dio è eterna, si cerca sin da ora in che modo gli italiani potranno legalmente mutare questa legge. Voi avete pensato di offrire un mezzo solo agli italiani per modificare questa legge: la rivoluzione. I giuristi invece hanno già trovato le vie per cui questo mutamento può avvenire legalmente.
L’onorevole Calamandrei ha osservato che gli italiani dovranno ricorrere a creare una nuova Costituente. Nego che questa soluzione sia conforme alla nostra Costituzione, perché la Costituente non è un organo perenne della Costituzione, ma è un organo straordinario. La stessa nostra Costituzione crea il potere costituente. Prima il potere costituente ed il potere legislativo erano la stessa cosa. Ora il potere costituente è lo stesso potere legislativo con determinati accorgimenti di votazione e con l’intervento eventuale del popolo: perciò una Costituente come questa – giusta la creazione costituzionale che noi abbiamo fatto – non ci può essere. Viceversa è molto semplice; lo dice la nostra stessa Costituzione: non si può rivedere la forma repubblicana dello Stato, ma si può rivedere l’articolo 131. Si chiederà la revisione dell’articolo 131, cioè questo cambiamento si farà in due tempi: 1°) attraverso la revisione dell’articolo 131; 2°) attraverso il processo di revisione costituzionale della forma repubblicana.
Che cosa sarà rimasto di questo vostro articolo 131? La storpiatura, cioè l’attestazione di questa vostra volontà antipopolare ed antiliberale di confiscare la libertà delle generazioni future e lo smacco di non esserci riusciti, perché non ci potete riuscire. È stato detto, ed è una verità indiscutibile, che i morti governano i vivi, i morti ci governano attraverso le tradizioni, le credenze, le leggi di cui siamo eredi. Però in questo processo di costruzione della civiltà ogni generazione aggiunge il suo contributo. Voi con questo articolo di legge vorreste impedire alle future generazioni del popolo italiano di aggiungere un loro contributo od un certo loro contributo all’edificio che state creando. A questo non riuscirete.
Riuscirete soltanto ad attestare dinanzi alla future generazioni questa vana pretesa di limitare le loro libertà (Applausi a destra).
PRESIDENTE. L’onorevole Codacci Pisanelli ha proposto di sopprimere l’articolo 131.
Ha facoltà di svolgere l’emendamento.
CODACCI PISANELLI. Onorevoli colleghi! L’articolo 131 del progetto di Costituzione non è sostenibile dal punto di vista giuridico e, in quanto pone fuori legge i monarchici, non può neppure essere sostenuto sotto l’aspetto politico.
Dal punto di vista giuridico è stato dimostrato che la norma, sia pure costituzionale, che pretenda di autoproclamare la propria immutabilità, non è ammissibile, anche se non mancano precedenti al riguardo. Vi è infatti un precedente famoso di una perfettissima Costituzione, tanto perfetta che non riuscì ad aver vita: quella di Weimar. Ogni contraria affermazione può sodisfare bramosie demagogiche, ma, giuridicamente, è priva di qualsiasi valore.
Una volta ammessa la possibilità di rivedere la Costituzione, si ammette, inoltre, almeno implicitamente, che perfino la norma, la quale proclami di essere immutabile può, a sua volta, essere mutata. Lo ha, poco fa, riaffermato l’onorevole Perassi, mio maestro di diritto internazionale, allorché ha detto che ripugna alla coscienza giuridica che vi possano essere Costituzioni immutabili. D’altra parte, con la disposizione contenuta nell’articolo 131, si finirebbe per mettere fuori della legge e contro la Costituzione una cospicua minoranza del popolo italiano. Viceversa, le recenti leggi per la difesa delle istituzioni ammettono implicitamente l’attività, a favore della restaurazione della monarchia, purché senza ricorso alla violenza. Respingendo l’articolo in esame, compiremo un gesto di comprensione e un’efficace opera di pacificazione. Ho apprezzato nei giorni scorsi, quando abbiamo discusso le leggi sulla difesa delle istituzioni repubblicane, il gesto di generosità di un nobile rappresentante del Partito repubblicano storico, il quale ha detto che non le approvava, in quanto riteneva che esclusivamente nella coscienza del popolo deve ricercarsi il presidio e la garanzia delle attuali istituzioni. Appunto per lealtà verso le attuali istituzioni, cui una simile affermazione autoritaria non gioverebbe, propongo di eliminare l’articolo. Porre contro la Costituzione una minoranza così cospicua del popolo italiano non sarebbe certo opportuno nel momento attuale. Ho sentito parlare l’altro giorno in quest’Aula di «Vostra repubblica» da una parte, e dall’altra, di «vostro Cavour». Né l’una, né l’altra affermazione possono essere accolte da questa Assemblea, perché disconoscono una realtà che è antistorico negare. L’attuale repubblica e la geniale opera di Cavour sono patrimonio storico di tutti gli italiani e nessuno potrà distruggerlo. Così come nessuno abbatterà il monumento a Vittorio Emanuele II, al re che domina e dominerà, padre della patria, dal Campidoglio, finché il Campidoglio starà!
Mostri la maggioranza della nostra Assemblea di saper vincere, così come gli altri hanno mostrato di saper perdere.
Sopprimiamo la presuntuosa affermazione di perpetuità repubblicana e favoriamo la salutare emulazione, che spingerà repubblicani e monarchici nella nobile gara a chi serva meglio il Paese. Gara in cui i monarchici a nessuno vogliono esser secondi, qualunque sia la forma di Governo!
Qualunque sia la forma di Governo, l’atteggiamento dei fedeli all’idea monarchica e al Paese non muterà, poiché essi, trattandosi di materia opinabile, in cui nessuno può pretendere di possedere la verità assoluta, sanno, per l’unione nazionale, sacrificare anche le loro convinzioni più care sull’altare della Patria.
Convinzioni che sarebbe ingiusto e vano schernire, perché basate su argomentazioni storiche non disprezzabili, perché collegate ai ricordi di tante famiglie italiane, ciascuna delle quali ha per lo meno un congiunto e spesso più d’uno, caduti in una delle cinque guerre d’indipendenza col sacro binomio della patria e del re sulle labbra.
Il 1948 batte alle porte e con esso il centenario dell’epico Risorgimento italiano. Venga un gesto di giustizia e di generosa comprensione a pacificare ed unire l’antico dissidio, così che repubblicani e monarchici si sentano affratellati nella grande famiglia italiana, dal sacrificio degli uni e degli altri resa libera ed una.
Facciamo in modo che tutti gli italiani possano considerare di loro appartenenza la Carta costituzionale qui preparata, e che tutti possano chiamarla «la nostra Costituzione».
Asserire l’assoluta immutabilità della forma di Governo repubblicana equivarrebbe a porre contro la Costituzione numerosi italiani, che tendono a realizzare le loro convinzioni istituzionali in maniera legale, solo mezzo ammissibile fra persone dignitose e civili.
La cospicua minoranza, che nel referendum del 2 giugno si pronunziò in senso diverso dall’opinione che prevalse, non merita simile trattamento.
Non lo merita, ed ha, anzi, diritto alla soppressione da me proposta, ha diritto a questo gesto di generosa comprensione, perché con la pronta e piena adesione ai risultati della scelta popolare ha dimostrato coi fatti che, se il repubblicano Garibaldi seppe dire «obbedisco», quanti fra noi son monarchici, fermi nelle loro convinzioni, hanno saputo, sanno e sapranno mantenere il sacro impegno di assoluta fedeltà verso la Patria con fierezza e lealtà non inferiori a quelle del grande Nizzardo! (Applausi a destra).
PRESIDENTE. L’onorevole Russo Perez ha anch’egli proposto di sopprimere l’articolo 131.
Ha facoltà di svolgere l’emendamento.
RUSSO PEREZ. Le ragioni che militano per la soppressione di questo articolo sono state già svolte dagli onorevoli colleghi che mi hanno preceduto. Mi rimetto a quello che hanno detto gli altri.
PRESIDENTE. L’onorevole Benedettini ha proposto di sostituire il testo dell’articolo 131 con il seguente:
«La forma istituzionale dello Stato è subordinata alla volontà della Nazione liberamente e democraticamente espressa».
L’onorevole Benedettini ha facoltà di svolgere il suo emendamento.
BENEDETTINI. Dopo quanto è stato così brillantemente esposto dagli altri colleghi, dichiaro che il mio emendamento era stato presentato nell’ipotesi che non fosse messa in votazione la soppressione.
Ritengo che la proposta di soppressione sia preferibile all’emendamento da me proposto. Comunque, se un articolo dovesse effettivamente stabilire una definita situazione, io credo opportuno che questo emendamento fosse tale da rispettare la sovranità del popolo. Pertanto, lasciare il testo nella sua formula originaria, mi sembrava una cosa per lo meno ridicola, sicché l’emendamento che riportava la forma istituzionale dello Stato alla subordinazione della volontà della Nazione liberamente e democraticamente espressa, credo che fosse un emendamento che non avrebbe potuto onestamente essere respinto da nessun membro dell’Assemblea Costituente veramente democratico e rispettoso della sovranità popolare.
In ogni modo, se il Presidente mette ai voti la proposta di soppressione, dichiaro di ritirare il mio emendamento e di votare a favore della soppressione.
PRESIDENTE. L’onorevole Nobile ha presentato il seguente emendamento:
«Sopprimere l’articolo 131, e subordinatamente, sostituirlo col seguente:
«La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale».
Ha facoltà di svolgerlo.
NOBILE. Dirò brevemente il mio pensiero.
Non per le ragioni addotte da altri onorevoli colleghi, ma per altre ben differenti, avevo proposto di sopprimere integralmente l’articolo 131. Io spero ed ardentemente auguro, ed anche son convinto, che la forma repubblicana sia definitiva per il nostro Paese. La monarchica, oltre ad essere un anacronismo storico, costituisce anche un ostacolo a quella federazione mondiale dei popoli, che oggi appare come una necessità fatale del genere umano. Ma questa verità, per affermarsi nella coscienza dei popoli, non ha bisogno di riconoscimenti costituzionali. Tuttavia posso comprendere che si sia sentito il bisogno di vietare, come si fa nella seconda parte dell’articolo, che la forma repubblicana possa essere oggetto di revisione costituzionale. Per la nostra Costituzione il reggimento repubblicano, deve essere immutabile.
Ma, nella prima parte dell’articolo, vi è una affermazione che, mi si consenta di dirlo, è o pleonastica o ridicola. In essa si dice: «la forma repubblicana è definitiva per l’Italia»; ora, io posso ben comprendere che, un anno fa, quando questo articolo fu compilato, e la Repubblica era appena nata (per giunta in mezzo a molte discussioni), si sia potuto sentire il bisogno di una affermazione retorica di tal genere. Ma, oggi, essa non può non apparire ingenua. Il cittadino comune, che, domani, leggendo la Costituzione, vi trovasse una siffatta dichiarazione, non potrebbe non sorridere. Che cosa si intende dire affermando che la forma repubblicana è definitiva per l’Italia?
Se con una tal frase si intendesse esprimere la certezza storica che nel futuro nessun cambiamento avrà luogo, si farebbe assumere con ciò al legislatore una parte di profeta, che qualcuno non mancherebbe di trovare ridicola. Se, invece, si volesse semplicemente esprimere che la forma repubblicana è definitiva per la nostra Costituzione, essa sarebbe del tutto superflua, perché tale concetto è espresso chiaramente nella seconda proposizione.
D’altra parte, mi domando, e chi mai può ipotecare l’avvenire? Chi dice che in un lontano futuro la forma repubblicana non possa evolversi in una del tutto diversa? Non si può proprio immaginare nessuna altra forma all’infuori della monarchica e della repubblicana? Per conto mio penso, con qualche nostalgia, a quelle tribù esquimesi che, pur senza alcuna organizzazione statale, vivono in perfetto ordine e felicità. (Commenti).
No, onorevoli colleghi, noi non possiamo ipotecare l’avvenire. Del resto, affermare in un articolo della Costituzione che per l’Italia la forma repubblicana è definitiva, è così ingenuo, come sarebbe ingenuo un articolo nel quale fosse detto che ogni rivoluzione è proibita!
La seconda proposizione, secondo cui la revisione della forma repubblica non è consentita, si può lasciare. Essa servirà ad esprimere più efficacemente la nostra convinzione che la forma repubblicana è necessaria per l’avvenire del popolo italiano, e che soltanto da una reazione armata sopraffattrice potrebbe essere eliminata.
Concludo, pertanto, proponendo che si sopprima la prima parte dell’articolo 131, sicché l’articolo stesso suoni così:
«La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale».
PRESIDENTE. Invito l’onorevole Rossi Paolo a esprimere il parere della Commissione.
ROSSI PAOLO. Che gli onorevoli colleghi di parte monarchica si oppongano alla introduzione dell’articolo 131 nella nostra Costituzione, mi pare spiegabile e giusto; che essi però si scandalizzino o ironizzino, onorevole Condorelli, non mi pare altrettanto spiegabile e giusto. Ella non si è certo scandalizzata, in altri tempi, che lo Statuto albertino cominciasse precisamente con la medesima affermazione con cui la nostra Carta costituzionale finisce, che cioè la monarchia era la forma perpetua e irrevocabile dello Stato italiano. (Commenti a destra – Interruzioni).
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, facciano silenzio!
ROSSI PAOLO. Io posso anche comprendere che questa protesta e questa ironia ci vengano eventualmente da un anarchico, o ci vengano dall’onorevole Nobile, il quale ha delle nostalgie polari per gli esquimesi che vivono anche senza repubblica, senza legge alcuna: ma mi stupisco che questo scandalo venga da lei, onorevole Condorelli.
Ella mi sollecita a trattare il problema dal punto di vista giuridico, ma ella stessa mi ha dimostrato che giuridicamente non sussistono quegli allarmi che lei ha mostrato di temere, giacché ella ha detto che questo articolo 131 non pietrifica la nostra Costituzione, perché, con la revisione, si potrebbe giungere legalmente e senza rivoluzione a forme istituzionali diverse dalla Repubblica. E allora, se questo pericolo giuridico non vi è; e lo dichiarate voi stessi, come lo ha dichiarato l’onorevole Codacci Pisanelli; e se questo ridicolo non vi è, che valore ha l’affermazione dell’articolo 131?
Ha il valore di una solenne affermazione politica, che la prima Costituzione italiana non può in alcun modo omettere. (Vivi applausi a sinistra – Commenti a destra).
Io stesso personalmente ho avuto talune perplessità, nel senso perfettamente opposto di quelle che sembrano muovere gli onorevoli Codacci Pisanelli e Condorelli: mi è parso che fosse addirittura superflua questa dichiarazione e che in qualche modo essa potesse sminuire la grandezza dell’affermazione repubblicana. Mi sono poi convinto dalla lettura di altri testi costituzionali (Interruzioni a destra); e qui vorrei rispondere alle preoccupazioni dell’onorevole Damiani, che non è affatto vero che l’articolo 131 sia un novum, che sia qualche cosa di esclusivo della nostra Costituzione, questa affermazione dell’immutabilità della forma repubblicana. Questa è la frase che conchiude quasi tutte le Costituzioni repubblicane; questa è la frase che conchiude e corona la recente Costituzione francese, che nell’articolo 87 dice precisamente:
«La forma repubblicana del Governo non può essere oggetto di una proposta di revisione».
Onorevoli colleghi, affermando questo principio, noi compiamo non soltanto una solenne dichiarazione di principio, solenne atto politico, ma ci conformiamo alla struttura costituzionale dei testi dei Paesi repubblicani.
Soltanto per la forma potrei aderire – e credo che la Commissione sia d’accordo con me – all’emendamento dell’onorevole Nobile. È forse esatto – e qui si risponde in parte anche a talune obiezioni degli onorevoli Condorelli e Codacci Pisanelli – che è superfluo dichiarare che una legge è definitiva. Tutte le leggi non temporanee sono definitive. Quindi la redazione più perfetta, migliore, secondo noi, sarebbe proprio la riproduzione del testo dell’articolo 87 della Costituzione francese, da cui credo che l’onorevole Nobile abbia tratto il suo emendamento: «La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale».
Questa è la forma che noi proponiamo. (Vivissimi, prolungati applausi a sinistra – Grida a sinistra di: Viva la Repubblica! – Nuovi vivissimi applausi – Grida ostili del deputato Covelli – Rumori vivissimi a sinistra – Scambi di vivacissimi apostrofi fra l’estrema sinistra e l’estrema destra – Agitazione – Tumulto – Il Presidente fa sgombrare le tribune e sospende la seduta).
PRESIDENTE. La seduta è ripresa.
Onorevoli colleghi, era augurabile che, esaminandosi questo articolo che è l’ultimo della Costituzione, esso desse luogo possibilmente a una forma dignitosa, se non solenne, di coronamento dei nostri lavori. Perché è vero che avremo ancora da esaminare le norme transitorie, ma credo che ognuno di noi si renda conto che con la votazione di questa sera avremo concluso il testo fondamentale, quello destinato a tramandarsi. Le norme transitorie sono caduche e non faranno parte integrante della Costituzione della Repubblica italiana. E io comprendo che in questa ultima votazione la esultanza dall’una parte e l’amarezza dall’altra potessero essere maggiori di quanto non siano stati nel corso dei nostri lunghi lavori. Ma, ripeto, che questa esultanza e questa amarezza si esprimessero in forme che dessero prova della profonda consapevolezza dell’importanza del lavoro che abbiamo quasi condotto a termine, sarebbe stata una cosa profondamente desideratile. E non rammaricherò mai abbastanza che ciò non sia avvenuto. (Vivissimi, prolungati applausi).
GRONCHI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GRONCHI. Il momento attuale è purtroppo il meno adatto per fare una lunga dichiarazione. Io la farò a nome del Gruppo, breve ma esplicita. La questione del regime repubblicano è stata decisa da una consultazione diretta del popolo attraverso il referendum. Essa non può essere quindi assomigliata ad alcuna altra questione e norma che durante la discussione in quest’Aula è stata formulata, discussa e decisa dall’Assemblea Costituente. È evidente che, data l’origine attraverso la quale l’attuala forma dello Stato è nata e va consolidandosi, non potrebbe essere modificata che da una consultazione diretta, fatta nella stessa forma attraverso la quale essa è sorta. Perciò noi siamo contrari a ogni formula soppressiva e favorevoli alla formulazione del testo della Commissione. (Vivissimi applausi a sinistra ed al centro – Si grida: Viva la Repubblica! – Il Presidente e i deputati si levano in piedi applaudendo a lungo vivamente).
CONDORELLI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CONDORELLI. È per dichiarazione di voto, ma in sostanza per fatto personale. Comprendo bene che le mie parole non cadono in proposito dopo che questa discussione, che per noi era essenzialmente tecnica e in termini tecnici fu posta, ha scatenato l’incidente che con parole così alte il Presidente, a nome di tutti, ha saputo deplorare. Però, io non posso lasciar passare, tornando proprio alla questione tecnica, senza una risposta, quanto ebbe ad affermare l’onorevole Rossi, allorché si meravigliava che io, monarchico, profondamente rispettoso della sapienza giuridica da tutti riconosciuta dello Statuto, che proprio nel suo centesimo anno di vita troverà la sua morte forse non gloriosa, mi stupisca della proposta dichiarazione di definitività della forma repubblicana, mentre anche lo Statuto conteneva, a suo vantaggio, analoga dichiarazione.
Io rilevo che l’espressione che si legge, non in una norma dispositiva, ma soltanto nel preambolo, che dichiara lo Statuto legge immutabile e irrevocabile della monarchia, non ha affatto (per comune consenso di tutti gli studiosi che si sono occupati di diritto costituzionale; forse non di tutti quelli che si sono occupati della riforma costituzionale) il significato che ella, onorevole Rossi, ha creduto di dare.
Noi ci trovavamo innanzi ad una Costituzione che era nata flessibile, e che rimase flessibile. Dunque non era né immutabile né irrevocabile. Quell’«immutabile e irrevocabile», per comune consenso di tutti i giuristi che si sono occupati della nostra antica gloriosa Costituzione, si riferiva soltanto alla monarchia. Si intendeva che il re non potesse modificarla o revocarla; ma non che il popolo, nella pienezza delle sue istituzioni rappresentative, non la potesse modificare.
Questa è la risposta che do ed alla quale lei difficilmente potrà ribattere. (Vivi applausi a destra).
CRISPO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CRISPO. Ho chiesto di parlare per fare una breve dichiarazione a nome del mio gruppo. Benedetto Croce ebbe a dire che la Repubblica è l’Italia. Noi ripetiamo queste parole: dopo il referendum del 2 giugno nessun più di noi sente il dovere di essere lealmente repubblicani.
Ma qui non si tratta di Repubblica e monarchia: qui si tratta di una istanza di libertà. Si tratta di una istanza di libertà per una ragione molto semplice. Non mi sembra che l’onorevole Rossi si sia bene apposto, quando, raccogliendo una osservazione dell’onorevole Condorelli, riteneva che, essendo ogni legge definitiva, quando non sia temporanea od eccezionale, il concetto espresso dall’articolo 131 rimarrebbe egualmente, anche senza l’articolo stesso. Perché qui non si tratta della legge: la Repubblica è sorta dal referendum. Non è la legge che crea la Repubblica: è, invece, la volontà popolare. Quindi il riferimento alla legge (me lo consenta l’onorevole Rossi) mi sembra del tutto fuori posto; né mi sembra più opportuno il richiamo che or ora faceva l’onorevole Gronchi al referendum popolare, per affermare che, data la solennità dell’atto, ne deriverebbe il carattere definitivo e immutabile della forma repubblicana. È evidente, difatti, che il nuovo regime non potesse essere instaurato che per volontà di popolo o direttamente, o per mezzo dei suoi rappresentanti.
Se un richiamo al referendum può essere fatto, questo richiamo deve essere fatto da noi liberali a proposito dell’articolo 130, dove è consacrato il principio che la legge di revisione costituzionale è sottoposta al referendum popolare, quando entro tre mesi dalla sua pubblicazione ne faccia domanda un quinto dei membri di una Camera o 500.000 elettori o sette Consigli regionali.
Si ponga l’ipotesi che domani, quand’anche si fosse consolidato il potere repubblicano – e noi auspichiamo che il potere repubblicano, col concorso di tutti gli italiani, si consolidi e permanga come il regime definitivo dell’Italia – 500.000 elettori chiedano col referendum la revisione della norma che noi discutiamo. In questo caso, l’articolo 131 sarebbe una sopraffazione della volontà di questi elettori, sarebbe, cioè, una sopraffazione di una istanza di libertà. Ecco perché io non dico: Viva la Repubblica o viva la monarchia, ma viva la libertà della volontà e della coscienza popolare. (Interruzioni a sinistra).
Per queste ragioni noi dichiariamo che voteremo per la soppressione dell’articolo 131. (Vivi applausi a destra – Commenti a sinistra).
GIANNINI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GIANNINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l’«Uomo Qualunque» non può accettare questo articolo 131, perché esso vulnera il suo diritto di essere governato da quella istituzione che vuole scegliersi.
Noi ultimamente a Bari, in un documento politico del nostro partito, che è stato chiamato «i dieci punti di Bari», nel decimo punto abbiamo stabilito ed accettato che il Capo dello Stato è eletto dalla comunità per garantire la legge della comunità.
Ora, nel nostro fronte ci sono monarchici e repubblicani, comunque ci sono soltanto cittadini italiani pensosi del bene della Patria, al di sopra delle istituzioni.
Noi non possiamo accettare l’articolo 131, che vulnererebbe in modo assoluto il diritto all’uomo qualunque italiano di scegliersi un’altra istituzione.
Per questa ragione noi voteremo contro l’articolo 131 e per la sua soppressione. (Applausi a destra).
GIACCHERO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GIACCHERO. Per le ragioni già dette anche da altri colleghi, per cui la forma repubblicana è stata determinata dal referendum popolare, distinto da quella consultazione che ha creato questa Assemblea Costituente, come l’Assemblea Costituente nulla avrebbe potuto togliere alla decisione così voluta dal popolo, così nulla ora può aggiungere: per tali motivi voterò a favore dell’emendamento soppressivo dell’articolo 131. (Applausi a destra).
ROSSI PAOLO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ROSSI PAOLO. Vorrei rispondere una parola all’onorevole Condorelli. Ella dice che col sistema dello Statuto albertino – e la ringrazio della lezione che mi ha dato – sarebbe stato anche possibile l’introduzione della Repubblica, ma non aggiunge che sarebbe stato necessario che il re la promulgasse e la sanzionasse! Lei comprende che è questa una soverchia ingenuità. In realtà la monarchia se n’è andata soltanto dopo la sconfitta. (Vivi rumori a destra).
PRESIDENTE. Gli onorevoli Coppa, Fabbri, Lucifero, Russo Perez, Cicerone, Condorelli, Benedettini, Penna Ottavia, Bencivenga, Mazza, Rodi, Miccolis, Abozzi, Venditti, Tumminelli, De Falco, Mastrojanni, Perugi, Fresa, Puoti, Marinaro, Capua e Trulli, hanno chiesto la votazione a scrutinio segreto. Non sono per tanto ammesse altre dichiarazioni di voto.
SICIGNANO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Per quale ragione?
SICIGNANO. Per una mozione di ordine su questa votazione.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SICIGNANO. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi; non ho mai abusato della vostra pazienza; credo di essere il deputato più silenzioso di quest’Assemblea. (Commenti al centro e a destra).
Voglio fare una breve dichiarazione per la mia dignità non soltanto di deputato, ma soprattutto di italiano e di uomo del 1947. (Commenti a destra). È perfettamente vero che, se noi ci atteniamo strettamente al Regolamento dell’Assemblea si può procedere su questo argomento ad una votazione per scrutinio segreto; ma io mi domando dove andrà a finire la dignità dei rappresentanti costituenti e parlamentari d’Italia, se oggi nasconderanno nel segreto di un voto di urna la loro espressione su un argomento fondamentale per l’avvenire di questa nostra Repubblica italiana! (Vivi applausi a sinistra – Rumori all’estrema destra).
PRESIDENTE. La prego di attenersi alla mozione d’ordine.
SICIGNANO. La Repubblica italiana è nata non già per capriccio di pochi uomini, ma dal dolore e dal sangue degli italiani, dolore e sangue che è stato originato soltanto dalla monarchia dei Savoia. (Rumori a destra).
BENEDETTINI. Questa non è mozione d’ordine! (Interruzioni – Commenti).
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, è la seconda volta, nel corso dei nostri lunghi lavori, che mi permetto di ricordare, e in modo particolare ai colleghi di una parte dell’Assemblea, che non ci si deve dimenticare, fatta pure la debita parte ai loro pensieri e sentimenti, che qui siamo in Repubblica e che se, parlando del passato, uomini che lo hanno dolorosamente vissuto, si esprimono in maniera molto decisa e con molta deplorazione contro istituti e uomini superati e rovesciati, essi esercitano un loro sacrosanto diritto. E pertanto non è il caso, ogni qualvolta un repubblicano bolla la monarchia e qualche cosa che è stato, e che fortunatamente non è più, di sollevare delle proteste. Pertanto vorrei rivolgere ai colleghi una preghiera: scrivano sui giornali, parlino nei loro comizi, difendano la monarchia, ma, quando contro di essa risuonano in quest’Aula parole di rampogna e condanna, non interrompano, non protestino. (Vivissimi prolungati applausi – Commenti all’estrema destra).
BENEDETTINI. Qui siamo in regime di libertà e noi, in questa sede, per primi, abbiamo il diritto di esprimere i nostri sentimenti. (Interruzioni e rumori a sinistra).
PRESIDENTE. Lei, a sua volta non impedisca agli altri di esprimere i propri sentimenti, ed ogni volta che si parla di quella che è stata la monarchia di questo Paese, non si ritenga investito del diritto e del dovere di difenderla.
Onorevole Sicignano, la prego di concludere. Presenti la sua mozione d’ordine.
SICIGNANO. Io propongo che tutti i deputati approvino per acclamazione l’ultimo articolo della Costituzione della Repubblica italiana! (Applausi a sinistra – Rumori a destra).
PRESIDENTE. Onorevole Sicignano, la sua richiesta non è accoglibile. Non è detto, perché siamo alla fine della discussione, che dobbiamo disconoscere il Regolamento che ha retto tutti i nostri lavori. (Applausi a destra – Commenti a sinistra).
COVELLI. Chiedo di parlare per mozione d’ordine.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
COVELLI. Premetto che io non sono tra i firmatari della richiesta di scrutinio segreto; ma pregherei coloro che l’hanno firmata di volerla ritirare. (Commenti).
E qui cade di proposito un chiarimento in relazione agli incidenti di poco fa. L’onorevole Conti e chi vi parla erano in quel momento impegnati in un duello di «evviva» e di «abbasso». Non che io ritiri quello che ho detto: chi come me ha ancora intatto il sentimento per quell’istituto – pur con la lealtà più assoluta alle istituzioni – non potrà non rispondere sempre come stasera al grido non più sedizioso, a termini di legge, dell’onorevole Conti, con questo grido che sarà sedizioso e di cui mi accollo intiera la responsabilità.
Detto questo, e a scanso di equivoci, dichiaro che noi non chiediamo la solidarietà nascosta di nessuno. (Approvazioni). Noi restiamo sulle nostre posizioni intatte e – sia detto a chiara voce, mentre si stanno per concludere i lavori della Costituzione italiana – sentano l’obbrobrio di questo, insieme con noi, coloro che qui dentro dovevano rappresentare il sentimento monarchico: sentano l’obbrobrio di aver parlato a nome della monarchia e di aver chiesto i voti a nome della monarchia. (Approvazioni).
È per questo che io insisto presso gli amici che hanno chiesto lo scrutinio segreto: dobbiamo poter dire domani ai nostri monarchici, ai nostri elettori, chi ha veramente mantenuto l’impegno di lealtà nei loro confronti e chi lo ha tradito. (Approvazioni).
A parte tutto quello che noi possiamo fare nell’ambito della legalità, e di cui ci assumiamo piena la responsabilità, io ritenevo che non ci fosse stato bisogno né di dichiarazioni di voto né comunque di cavilli, per rispettare il buon senso e la logica: ci è stato consentito di esprimere le nostre idealità, ci è stato consentito di svolgere un’azione politica su queste nostre idealità e si richiede da noi più che da altri il più assoluto rispetto alla legge, cui noi non derogheremo se non derogheranno gli altri.
Ebbene, come si può mettere d’accordo quanto è stato sancito nelle leggi cosiddette eccezionali, che sono state approvate da noi, con quello che è detto in questo articolo 131 della Costituzione? A parte il diritto contestabilissimo di voler ipotecare il futuro, noi dobbiamo in quest’ora, per voi di una certa solennità, dichiarare in tutta lealtà, che se il popolo italiano lo vorrà, attraverso le vie democratiche, nell’ambito della legge, malgrado la Costituzione, malgrado l’articolo 131, ripeto, se il popolo italiano lo vorrà, la monarchia la restaureremo. (Commenti). Ed è per questo che insisto presso gli amici di ritirare la richiesta di scrutinio segreto, perché parta da questa manifestazione almeno un inizio di lealtà e di onestà politica. (Approvazioni).
PRESIDENTE. Chiedo ai firmatari della domanda di votazione a scrutinio segreto se la mantengono. (Commenti).
Onorevole Coppa?
COPPA. Sono tra i firmatari. Per quello che ha detto l’onorevole Covelli, ritiro la mia firma.
PRESIDENTE. Onorevole Fabbri?
FABBRI. Se si tratta di sostituire l’appello nominale allo scrutinio segreto, sono felicissimo di ritirare la domanda di scrutinio segreto. (Approvazioni).
PRESIDENTE. Onorevole Lucifero?
LUCIFERO. Dichiaro che per mio conto mantengo la domanda di scrutinio segreto e spiego perché.
PRESIDENTE. No, la prego! (Commenti a destra).
LUCIFERO. Hanno diritto tutti di parlare, credo!
PRESIDENTE. Onorevole Lucifero, lei che è maestro di Regolamento, sa che si ha il diritto di parlare se si rinunzia ad una richiesta presentata, ma si perde il diritto di parlare se la si mantiene.
Io la prego quindi di dirmi se conferma la sua richiesta; e in questo caso, con rammarico, non posso darle la parola.
LUCIFERO. Signor Presidente, visto che l’onorevole Covelli, del quale io condivido i sentimenti e col quale ho condiviso la battaglia, ha impostato su un tema elettoralistico…
GIANNINI. Ecco: e speculativo!
LUCIFERO. …la questione di questo voto – che per me non può essere dubbio, perché tutti sanno come voterò – mantengo la proposta di scrutinio segreto, a tutela delle libertà democratiche del Parlamento italiano. (Approvazioni a destra – Commenti).
PRESIDENTE. Onorevole Russo Perez?
RUSSO PEREZ. Ritiro.
PRESIDENTE. Onorevole Condorelli?
CONDORELLI. Mantengo.
PRESIDENTE. Onorevole Benedettini?
BENEDETTINI. Pur essendo chiaro il mio voto, che naturalmente già si conosce, io insisto, per le stesse ragioni espresse dall’onorevole Lucifero.
PRESIDENTE. Onorevole Penna Ottavia?
PENNA OTTAVIA. Insisto.
PRESIDENTE. Gli onorevoli Cicerone, De Falco, Perugi, Trulli e Capua non sono presenti.
Onorevole Mastrojanni?
MASTROJANNI. Insisto.
PRESIDENTE. Onorevole Mazza?
MAZZA. Ritiro.
PRESIDENTE. Onorevole Bencivenga?
BENCIVENGA. Insisto.
PRESIDENTE. Onorevole Fresa?
FRESA. Insisto.
PRESIDENTE. Onorevole Rodi?
RODI. Insisto. Poi spiegherò il perché. (Commenti a sinistra).
PRESIDENTE. Onorevole Marinaro?
MARINARO. Insisto.
PRESIDENTE. Onorevole Puoti?
PUOTI. Insisto.
PRESIDENTE. Onorevole Abozzi?
ABOZZI. Insisto.
PRESIDENTE. Onorevole Miccolis?
MICCOLIS. Insisto.
PRESIDENTE. Onorevole Venditti?
VENDITTI. Insisto.
PRESIDENTE. Onorevole Tumminelli?
TUMMINELLI. Insisto.
GIANNINI. Aggiungo la mia firma, e faccio presente che avevo chiesto di parlare.
PRESIDENTE. Onorevole Giannini, bisognava prima stabilire se viene mantenuta la proposta di scrutinio segreto; in questo caso, non si dà la parola a nessuno.
GIANNINI. Ma io intendevo parlare sulla mozione d’ordine.
PRESIDENTE. Ma l’onorevole Covelli non ha fatto una mozione d’ordine. Egli ha pregato i presentatori della domanda di scrutinio segreto di ritirarla. Ed io per questa ragione ho interpellato i presentatori.
GIANNINI. Signor Presidente, spero che lei mi farà l’onore di darmi atto che sono uno dei più non irrispettosi deputati di questa Assemblea. Mi permetto di farle notare questo: che l’onorevole Covelli, nel fare – come aveva diritto di fare – la sua proposta, ha innestato su questa proposta una questione elettoralistica che ci riguarda tutti, perché le elezioni in Italia vogliamo farle tutti. Pochi di noi non hanno nessun desiderio di ritornare qui dentro, per quanto male si dica del Parlamento!
Ora, l’onorevole Covelli, con intelligenza, con vivacità meridionale, si è impadronito di questo articolo 131 (di cui praticamente a noi non importa nulla) ed ha impiantato per conto suo una botteguccia monarchica ed ha trovato nella estrema sinistra chi ha impiantato una botteguccia repubblicana. (Commenti a sinistra). È giusto che si chiarisca. (Commenti).
PRESIDENTE. Onorevole Giannini, io sono veramente spiacente.
Siamo stati sempre così cortesi tra noi due, onorevole Giannini! Può essere una cosa spiacevole per chi è direttamente interessato nello svolgimento di un’azione politica che qualcun altro si è impadronito di una carta che gli sarebbe utile, ma lei consentirà con me che non è in sede di Assemblea che si può condursi come in un giuoco.
GIANNINI. Quando ci s’impadronisce della mia carta devo cercarne una migliore.
PRESIDENTE. L’unica carta che qui conta è quella offerta dal Regolamento.
L’onorevole Covelli si è valso di un suo diritto: ha chiesto la parola per fare una proposta. Lei, in questo momento, non ha proposte da fare. Ha soltanto da polemizzare con l’onorevole Covelli.
GIANNINI. Ho da proporre che si mantenga lo scrutinio segreto.
PRESIDENTE. Ho detto poco fa (lei è così attento ai nostri lavori e non se lo sarà fatto sfuggire) a un suo collega che poiché conservava la sua firma alla domanda di scrutinio segreto non aveva diritto di parlare. Poiché lei non aveva posto la sua firma, evidentemente, era in una situazione neutra; ma poiché a voce ha dichiarato di firmare lo scrutinio segreto, posso chiederle: mantiene la sua firma o la ritira? E lei può dire che la ritira e può motivare il ritiro.
GIANNINI. La mantengo.
PRESIDENTE. E allora non ha nulla da aggiungere.
GIANNINI. Ho inteso un collega dell’estrema sinistra parlare dello scrutinio segreto come di una votazione disonorante ed è unicamente per questo, poiché non la ritengo una votazione disonorante, che chiedo lo scrutinio segreto.
PRESIDENTE. Comunico che, oltre all’onorevole Giannini, hanno ora firmato la richiesta di scrutinio segreto gli onorevoli Rodinò Mario, Lagravinese Pasquale, Codacci Pisanelli.
CONTI. Chiedo di parlare, per fatto personale.
PRESIDENTE. La pregherei di voler chiedere la parola per fatto personale sul processo verbale di domani; così ci permetterà di giungere finalmente alla votazione.
CONTI. La terrò per due minuti. Parlerò in modo opportuno, l’assicuro.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CONTI. Se mi lasciate parlare (perché io credo che passata in quest’Aula una burrasca ognuno di noi desideri di riportare un certo grado almeno di serenità per spiegazioni fra le parti politiche della Camera), io desidero fare una dichiarazione molto semplice e la faccio particolarmente all’onorevole Covelli. Fra me e lui vi è stato uno scambio di grida: da parte mia di abbasso la monarchia, da parte sua di abbasso la Repubblica.
Ebbene, devo ricordare, onestamente, che in questa Camera, in quest’Aula, in tempo di monarchia io ho gridato più di una volta: abbasso la monarchia e tutta la Camera, monarchica, mi ha assalito senza nessun riguardo e senza nessuna pietà.
Ammetto, per ciò, pienamente che i monarchici presenti in questa Aula possano anche, in condizioni eccezionali come quelle nelle quali venticinque anni or sono gridai «Abbasso la monarchia!», gridare «Abbasso la Repubblica!».
La situazione in cui eravamo mezz’ora fa possiamo ammettere che sia stata una situazione eccezionale. Monarchici, che direi incartapecoriti come l’onorevole Covelli e compagni, hanno gridato «Abbasso la Repubblica». E sia. Ma, cari colleghi monarchici, mettiamoci tutti su un terreno di serenità e di buonafede. Io nel 1923 e nel 1924 gridavo abbasso alla monarchia che si era associata al fascismo per massacrare l’Italia. Voi della Repubblica godete una libertà illimitata, che non è mai stata, e non lo sarà mai, violata a vostro danno. (Interruzioni a destra – Commenti).
Noi vi riconosciamo pienamente tutta la libertà, ma non vi riconosceremo mai il diritto d’ingannare il Paese con la vostra propaganda non sincera e non veritiera. Questo è quello che volevo dichiararvi. (Applausi a sinistra – Rumori all’estrema destra).
Votazione segreta.
PRESIDENTE. Indìco la votazione segreta sulla seguente formulazione:
«La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale».
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione. Invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.
(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).
Risultato della votazione segreta.
PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione segreta:
Presenti e votanti 351
Maggioranza 176
Voti favorevoli 274
Voti contrari 77
(L’Assemblea approva).
(L’Assemblea sorge in piedi – Vivissimi, prolungati applausi).
Hanno preso parte alla votazione:
Abozzi – Adonnino – Alberti – Aldisio – Allegato – Amadei – Ambrosini – Angelucci – Arata – Azzi.
Bacciconi – Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Bartalini – Bastianetto – Bazoli – Bei Adele – Bellato – Bellavista – Bellusci – Belotti – Bencivenga – Benedettini – Benvenuti – Bernamonti – Bernini Ferdinando – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Binni – Bocconi – Boldrini – Bonfantini – Bonino – Bonomi Paolo – Bordon – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Braschi – Brusasca – Bubbio – Bucci.
Cacciatore – Caccuri – Caiati – Cairo – Camangi – Camposarcuno – Candela – Canepa – Canevari – Caporali – Cappa Paolo – Cappi Giuseppe – Carbonari – Carboni Angelo – Carignani – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavalli – Cevolotto – Chatrian – Chieffi – Chiostergi – Ciccolungo – Cifaldi – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbino – Corsanego – Cortese Guido – Cortese Pasquale – Cosattini – Costa – Costantini – Cotellessa – Covelli – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo – Crispo.
Damiani – D’Amico – De Caro Raffaele – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Mercurio – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Di Giovanni – Di Gloria – Dominedò – D’Onofrio – Dossetti.
Ermini.
Fabbri – Fabriani – Facchinetti – Fantoni – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrario Celestino – Ferreri – Filippini – Fiorentino – Fioritto – Firrao – Fornara – Fresa – Froggio – Fuschini – Fusco.
Gabrieli – Galioto – Gallico Spano Nadia – Gasparotto – Gavina – Germano – Gervasi – Ghidetti – Giacchiero – Giannini – Giolitti – Giua – Gonella – Gotelli Angela – Grazi Enrico – Gronchi – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto.
Imperiale.
Jervolino.
Labriola – Lagravinese Pasquale – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Lazzati – Leone Francesco – Lizier – Lombardi Carlo – Lombardo Ivan Matteo – Longo – Lopardi – Lozza – Lucifero – Lussu.
Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Malvestiti – Mancini – Marazza – Marina Mario – Marinaro – Marinelli – Martinelli – Martino Gaetano – Massini – Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mastrojanni – Mattarella – Mazza – Mazzei – Mazzoni – Meda Luigi – Mentasti – Merlin Angelina – Merlin Umberto – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molinelli – Momigliano – Montagnana Rita – Montemartini – Monterisi – Monticelli – Montini – Morandi – Moranino – Morelli Luigi – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati – Moscatelli – Mùrdaca – Musolino – Musotto.
Nasi – Negarville – Negro – Nenni – Nicotra Maria – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Notarianni – Novella.
Orlando Camillo.
Pacciardi – Pajetta Gian Carlo – Pallastrelli – Paolucci – Paris – Pastore Giulio – Pastore Raffaele – Pat – Pecorari – Pella – Pellegrini – Penna Ottavia – Pera – Perassi – Perlingieri – Perrone Capano – Persico – Pesenti – Piccioni – Piemonte – Pistoia – Platone – Porzio – Preti – Priolo – Proia – Pucci – Puoti.
Quintieri Adolfo – Quintieri Quinto.
Raimondi – Rapelli – Reale Eugenio – Recca – Rescigno – Restagno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Roselli – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Roveda – Ruggeri Luigi – Ruini – Rumor – Russo Perez.
Salerno – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sansone – Sartor – Scalfaro – Scarpa – Scelba – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scotti Francesco – Sicignano – Siles – Silipo – Simonini – Spallicci – Spataro – Stampacchia – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.
Tambroni Armaroli – Targetti – Taviani – Tega – Terranova – Tieri Vincenzo – Titomanlio Vittoria – Tomba – Tonello – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi – Tumminelli – Tupini – Turco.
Uberti.
Valenti – Valmarana – Venditti – Veroni – Vicentini – Vigna – Vigo – Villani – Vischioni – Volpe.
Zaccagnini – Zanardi – Zappelli – Zerbi – Zotta – Zuccarini.
Sono in congedo:
Angelini.
Carmagnola – Caso – Cavallari.
Dugoni.
Garlato – Ghidini – Gortani.
Jacini.
Preziosi.
Ravagnan.
Vanoni – Varvaro – Viale.
Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.
PRESIDENTE. Dobbiamo soltanto votare le proposte di modifica alle intitolazioni, e pertanto non v’è più motivo di sospendere brevemente la seduta e prolungare i lavori sino alle 22.
L’onorevole Martino Gaetano propone di sostituire il titolo: «Garanzie costituzionali» con «Garanzie giurisdizionali e Revisione della Costituzione».
Prego l’onorevole Ruini di voler esprimere il parere della Commissione.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato mantiene l’intitolazione originaria.
PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento proposto dall’onorevole Martino Gaetano, non accettato dalla Commissione.
(Non è approvato).
Pongo in votazione il titolo del progetto:
«Garanzie costituzionali».
(È approvato).
Una seconda proposta di modifica è stata presentata dall’onorevole Perassi:
«Sostituire il titolo della Sezione II: «Revisione della Costituzione», col seguente: «Revisione della Costituzione e leggi costituzionali».
Chiedo all’onorevole Ruini il parere della Commissione.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La Commissione accetta.
PRESIDENTE. Pongo in votazione la seguente intitolazione della seconda Sezione del Titolo VI della Costituzione, accettata dalla Commissione:
«Revisione della Costituzione e leggi costituzionali».
(È approvata).
Il seguito di questa discussione è rinviato a domani alle 11.
Interrogazioni con richiesta d’urgenza.
PRESIDENTE. Comunico che sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta d’urgenza:
«Al Ministro della difesa, per conoscere se non ritenga opportuno esonerare dalla prestazione del servizio militare di leva i giovani perseguitati razziali delle classi dal 1919 al 1924, che la tardiva chiamata alle armi verrebbe nuovamente a distogliere dalle attività che hanno ripreso od appena iniziato dopo un lungo periodo di persecuzione.
«Giua, Fornara».
«Al Ministro delle finanze, per conoscere se è esatto che egli abbia comunicato alla stampa l’acquisto di sigarette estere che verrebbero pagate a 60-70 lire a pacchetto e che, rivendute, darebbero allo Stato un margine netto di lire 200 a pacchetto: complessivamente, il gettito, previsto fino al 30 giugno 1948, su tale operazione, sarebbe di lire 10 miliardi.
«Per conoscere altresì il perché il Monopolio non abbia tempestivamente agito per rendere possibile la produzione del tabacco e dei manufatti su suolo italiano, con operai italiani.
«Il costo della mano d’opera necessaria a tale produzione può calcolarsi intorno ad 1 miliardo e 500 milioni di lire, il che significa, considerato il termine di tempo, che, se il Monopolio avesse agito tempestivamente, ben 7500 disoccupati avrebbero potuto risolvere il problema del lavoro e del pane quotidiano.
«Leone Giovanni, Gabrieli».
«Al Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per conoscere quali provvedimenti intenda attuare a favore dei numerosi pazienti affetti da tubercolosi, assistiti dall’Istituto di previdenza sociale, che non trovano ricovero negli stabilimenti di cura per deficienza di posti; quali provvidenze, inoltre, vuol disporre per quelli che, clinicamente guariti, debbono essere dimessi dai luoghi di cura.
«De Maria».
Ne darò notizia ai Ministri interrogati affinché facciano sapere quando intendano rispondere.
Interrogazioni.
PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.
SCHIRATTI, Segretario, legge:
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere quando intende procedere ad emanare le norme che dovranno stabilire le modalità di cui è cenno all’articolo 7 del decreto ministeriale 24 dicembre 1946, n. 4432, relativo al bando di concorso per esami a 400 posti di notaio, e se – con l’occasione – non reputi opportuno costituire sedi per questo esame-concorso in altre città capoluogo di Regione oltre Roma, allo scopo di evitare che la maggior parte dei concorrenti debba trovarsi nella dolorosa condizione di rinunziare al concorso per la mancanza di mezzi finanziari necessari ad affrontare le ingenti spese di viaggio e soggiorno a Roma. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Zagari».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’industria e del commercio, per conoscere quali provvedimenti intenda adottare affinché le industrie meridionali, ed in particolare i cantieri navali di Taranto, già Tosi, che impiegano oltre tremilacinquecento unità, non siano privati dei benefizi, di cui hanno goduto le industrie del Settentrione con gli aiuti recentemente stanziati dal Governo in loro favore. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Zagari».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per conoscere se, di fronte alle gravi esigenze di bilancio che incontra l’Amministrazione comunale di Chioggia – e, come Chioggia, tutti i Comuni rivieraschi, nei quali la pesca costituisce l’attività prevalente degli abitanti – non ritenga necessario ed urgente autorizzare quell’Amministrazione comunale all’applicazione dell’imposta di cui all’articolo 41 del decreto legislativo luogotenenziale 8 marzo 1945, n. 62 (modificato dall’articolo 10 del decreto legislativo presidenziale 29 marzo 1947, n. 177), essendo evidente che la pesca non può considerarsi come una attività industriale, come pure, sempre agli effetti della citata legge, che il ricavato dell’attività prevalente degli abitanti non può non essere considerato un prodotto locale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Ghidetti».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, se non creda conforme ad equità – come ha riconosciuto l’Alto Commissariato all’alimentazione – restituire ai panificatori della provincia di Udine l’ammontare del prezzo d’integrazione delle loro giacenze di farine al 31 marzo 1944, prezzo riscosso da tutti gli altri panificatori d’Italia, ma non da quelli della provincia di Udine, perché il relativo ordine di accreditamento di lire 505.864 alla Tesoreria provinciale, venne bloccato dall’Amministrazione militare alleata. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Piemonte».
«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se e quali provvedimenti intendano prendere per contribuire a mettere la Società Geografica Italiana in condizione di adempiere ai nobili compiti per i quali fu istituita. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Nobile, Corbino, Bozzi, Costantini».
«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri delle finanze e dell’agricoltura e foreste, per sapere se non ritengano opportuno ed urgente promuovere provvedimenti atti ad alleviare la critica situazione determinata fra gli agricoltori, specialmente meridionali, dall’inasprimento dei contributi unificati in agricoltura, che in molti casi superano l’ammontare di tutte le altre imposte riunite insieme, situazione resa ancora più gravosa dalla coincidenza, nel giro di soli due giorni, del pagamento dei contributi suppletivi 1947 e della prima loro rata trimestrale 1948. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Rescigno».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere se, in considerazione della ristabilita normalità dei trasporti, non ritenga giusto, a favore dei familiari dei dipendenti statali ed assimilati, godenti della tariffa differenziale C, ripristinare integralmente tale concessione, abrogando la disposizione che ancora limita al numero di quattro i viaggi annuali di detti familiari. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Rescigno».
PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno trasmesse ai Ministri competenti per la risposta scritta.
La seduta termina alle 20.50.
Ordine del giorno per le sedute di domani.
Alle ore 11 alle 16:
Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.