Come nasce la Costituzione

GIOVEDÌ 26 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

XXIV.

SEDUTA DI GIOVEDÌ 26 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SARAGAT

INDICE

Sul processo verbale:

Gullo Rocco                                                                                                    

Marinaro                                                                                                         

Mattarella                                                                                                     

Congedi:

Presidente                                                                                                        

Costituzione della quarta Commissione permanente:

Presidente                                                                                                        

Sostituzione di un Deputato dimissionario:

Presidente                                                                                                        

Verifica di poteri:

Presidente                                                                                                        

Comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri (Seguito e fine della discussione):

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri,

Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri                                            

Presidente                                                                                                        

Damiani                                                                                                            

Marinaro                                                                                                         

Finocchiaro Aprile                                                                                         

Benedetti                                                                                                         

Sforza                                                                                                              

Cianca                                                                                                              

Meda                                                                                                                 

Nitti                                                                                                                  

Preziosi                                                                                                            

Lucifero                                                                                                           

Pertini                                                                                                              

Sull’ordine del giorno:

Bellavista                                                                                                       

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri          

Interrogazione (Svolgimento):

Assennato                                                                                                        

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri          

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 16.

Molinelli, Segretario, legge il processo verbale della seduta precedente.

Sul processo verbale.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare sul processo verbale l’onorevole Gullo Rocco. Ne ha facoltà.

GULLO ROCCO. Se la discussione generale non fosse stata chiusa, avrei sentito il dovere di iscrivermi a parlare ieri dopo le dichiarazioni fatte dall’onorevole Finocchiaro Aprile. Ma poiché la discussione generale era già chiusa, colgo l’occasione di parlare sul processo verbale per chiarire il pensiero che non è soltanto mio, ma di quella grande massa di siciliani che non condivide le idee del movimento indipendentista – e lo ha dimostrato dando a questo movimento meno di un decimo dei suoi voti – di quella grande massa di siciliani che, pur essendo tenacemente attaccati alla loro terra, non condividono il pensiero dell’onorevole Finocchiaro Aprile.

Dico subito che se l’onorevole Finocchiaro Aprile avesse parlato solo in difesa degli interessi siciliani ed avesse affrontato il problema della Sicilia nei suoi vari aspetti politici, tecnici, economici, egli avrebbe potuto aprire utilmente una discussione, alla quale avremmo potuto portare anche noi il nostro contributo, ed avrebbe potuto trovarci d’accordo con lui in una parte delle sue affermazioni, sul terreno delle rivendicazioni siciliane.

Ma, purtroppo, neanche questa volta siamo usciti dal campo delle affermazioni vaghe e generiche, di quelle affermazioni le quali, anziché giovare al Mezzogiorno e alla Sicilia, finiscono col nuocere, perché fanno credere che il problema del Mezzogiorno, il problema siciliano, non siano altro che espedienti elettorali o, peggio ancora, espedienti demagogici, mentre sono problemi veramente gravi e palpitanti, che richiedono interventi e soluzioni immediate ed urgenti.

Il difetto che noi meridionali abbiamo portato, a volte, nella discussione di questi problemi è proprio quello di non uscire dal campo del generico e di non affrontarne la soluzione con proposte concrete.

È quello che avremmo dovuto fare; è quello che faremo un’altra volta, in altra occasione e che non possiamo certamente fare in questa sede, in un momento in cui si discute solo sul processo verbale.

PREZIOSI. Ma noi lo abbiamo detto spesso al Governo e il Governo non è mai intervenuto!

GULLO ROCCO. Io voglio parlare in questo momento non certo per impostare in pochi minuti il problema del Mezzogiorno, perché rischierei di attirarmi lo stesso rimprovero che ho fatto ad altri; ma per dire all’onorevole Finocchiaro Aprile che il nostro dissenso dal suo ordine del giorno, dissenso su cui non si deve speculare, non è sulle giuste lagnanze e rivendicazioni del popolo siciliano, ma è sul mezzo che l’onorevole Finocchiaro crede di indicare per risolvere questi problemi.

Il mezzo che egli ha indicato è la separazione, o meglio l’indipendenza, parola nuova coniata per attenuare la prima, ma che non ha avuto fortuna in Sicilia, dove tutti si ostinano a chiamare separatisti gli indipendentisti. Noi diciamo che il mezzo non può esser questo, e che esso ha già nociuto all’Italia ed alla Sicilia, perché oltre tutte le complicazioni che ha portato anche sul terreno internazionale – dico, di sfuggita, che l’indipendenza siciliana è parola vuota di senso, e che noi l’indipendenza possiamo conservarla solo rimanendo uniti all’Italia (Vivi applausi), giacché la separazione comporterebbe fatalmente la dipendenza da uno Stato straniero – ne ha portato pure nel campo politico e in quello dell’ordine pubblico. Esso è, oltre tutto, un mezzo che ha crealo la disunione non soltanto fra Italia e Sicilia, ma soprattutto fra noi siciliani in un momento in cui avevamo un doppio motivo di essere uniti, come siciliani e come italiani. Questa propaganda ha creato ancora una volta un motivo di dissenso di cui non avevamo certo bisogno. Noi affermiamo che in questo momento non è la separazione, non è l’indipendenza il mezzo che noi dobbiamo accettare, la soluzione che noi dobbiamo scegliere, ora che abbiamo la possibilità di portare innanzi le giuste rivendicazioni e le giuste esigenze del popolo siciliano, di portarle alla ribalta dell’opinione pubblica, nella stampa, nei comizi, al Parlamento; ora che, vivaddio, si può parlare liberamente e che, forse per rifarci del tempo in cui abbiamo troppo taciuto, si può magari accusare di tradimento e di inganno il Presidente del Consiglio senza correre il rischio di andare in galera (Ilarità Applausi).

Voi avete indicato, onorevole Finocchiaro Aprile, una sola soluzione – questo risulta dal processo verbale – del problema siciliano: l’indipendenza. Io potrei rispondere alla vostra affermazione semplicistica con una affermazione semplice: la soluzione del problema siciliano, come di tanti altri problemi, potremmo trovarla nella soluzione del problema sociale. Ma io non voglio contrapporre alla vostra semplicistica formula indipendentistica la mia formula socialista. Io vi invito, così come ho invitato gli altri deputati siciliani in una riunione del gruppo parlamentare siciliano tenutasi a Palermo, ad affrontare lo studio di questi problemi siciliani d’accordo fra di noi; a vedere con lealtà e con sincerità quali sono i torti degli altri e quali eventualmente possono essere anche i torti nostri, della nostra classe dirigente. Così facendo, noi potremmo trovare, indipendentemente dalle nostre ideologie, un terreno comune, giacché vi sono dei problemi che investono il campo sociale e politico in cui le ideologie possono dividerci; ma vi sono altri problemi, vi sono soprattutto aspetti di emergenza di questi problemi, che possono trovarci tutti uniti e concordi.

È questo l’invito che vi faccio, e non dovete temere, onorevole Finocchiaro Aprile, che noi deputati socialisti possiamo essere legati alla disciplina di partito in tal modo da non potere venir incontro a queste giuste esigenze, perché il problema siciliano è problema di giustizia e come tale non può che trovare unanime e solidale il partito socialista. Voi avete fatto un appello alla separazione, noi facciamo un appello alla solidarietà ed alla comprensione nazionale; voi avete parlato dei miliardi delle esportazioni siciliane, noi aggiungiamo anche le diecine di migliaia di siciliani caduti per l’unità e l’indipendenza d’Italia, assieme agli altri italiani (Vivissimi applausi); voi avete parlato di rancore è di odio, noi vi diciamo che non c’è nessun sentimento di rancore o di odio nell’animo dei siciliani. È vero che voi quest’odio avete attribuito solo in linea di ipotesi all’Italia verso la Sicilia, ma non occorre che alcun settentrionale prenda la parola per smentire questo sentimento di odio e di rancore, perché noi siciliani consideriamo superflua la smentita. (Applausi).

Per quel che riguarda i sentimenti dei siciliani, io posso dirvi che non si tratta né di rancore, né tanto meno di odio. Può trattarsi invece di quello stato d’animo che un figlio può avere verso i genitori che egli crede possano preferire altri figli; è, se mai, una esasperazione dell’amore filiale, ma non è né rancore, né odio.

Noi affermiamo che nessun siciliano, nel profondo del suo spirito, rinnega la Patria italiana. Non potete rinnegarla nemmeno voi, onorevole Finocchiaro Aprile, che vi siete onorato di servire anche dal banco del Governo questa Patria; non l’ha rinnegata il vostro illustre genitore, che ha servito, nel Governo e nel campo della scienza giuridica, la Patria italiana. Noi siciliani non la rinneghiamo. Affermiamo invece che, così come l’Italia ha bisogno di riunire tutte le sue forze di fronte all’estero, noi siciliani abbiamo pure bisogno di riunire le nostre energie non per contrapporle ad un nemico o ad un avversario, ma perché sappiamo che, difendendo gli interessi della nostra regione, facciamo opera patriottica e nazionale; perché l’elevazione morale, politica, economica della Sicilia, cioè l’elevazione di una delle più grandi, delle più belle e generose regioni d’Italia, è elevazione della Nazione e della Patria. (Vivi generali applausi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare sul processo verbale l’onorevole Marinaro. Ne ha facoltà.

MARINARO. Ritengo necessario un breve chiarimento. La mia affermazione di ieri circa l’ammontare delle entrate e l’ammontare degli stipendi degli impiegati statali si riferiva, come era logico ed evidente, alle previsioni che erano state fatte per l’esercizio in corso, quali risultano dal bilancio preventivo dello Stato e quali sono state confermate, nella stessa seduta di ieri, dal Ministro del tesoro. Il Ministro delle finanze, invece, ha creduto di basare la sua smentita – che respingo – su quelli che potranno essere i definitivi risultati di questo stesso esercizio, che manifesta un aumento di entrate tali, non già da supplire tutte le spese, che anzi sono cresciute in misura maggiore (oltre il doppio di quelle preventivate), ma da coprire e superare le spese per gli impiegati. Ma ciò che io ho dimostrato, con cifre che non si possono smentire è che, per inerzia del Governo, la situazione è peggiorata durante la gestione del Ministro Corbino. Ma anche in queste condizioni, pur denunciando le responsabilità del passato, io sono convinto che se un sano, concreto, organico programma finanziario sarà subito predisposto e attuato, sarà ancora possibile difendere la lira e risanare la finanza italiana.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare sul processo verbale l’onorevole Mattarella. Ne ha facoltà.

MATTÀRELLA. Io intendo associarmi alle precisazioni del collega Rocco Gullo e mettere in rilievo come noi deputati siciliani non possiamo rimanere indifferenti alle parole che ieri sono state pronunciate in quest’aula e che costituiscono un turbamento della nostra sensibilità di italiani e di siciliani.

Molte di quelle parole hanno infatti gettato un’ombra sul sentimento patrio del popolo siciliano, il quale, anche nelle ore oscure del distacco e del disorientamento, non ha perduto la Patria italiana e si è sentito ad essa avvinto, nella comune speranza della rinascita del Paese, del quale il popolo siciliano sente di esser parte viva ed integrante. Quelle parole non rispecchiano la voce dell’anima siciliana. E, come ha ricordato il collega Gullo, il popolo siciliano ha dimostrato nelle elezioni del 2 giugno di non seguire quegli indirizzi politici che lo vorrebbero strappare all’integrità del Paese, al quale l’anima del popolo siciliano rimane decisamente legata.

Noi siamo perfettamente consapevoli e convinti della necessità e dell’esigenza che i problemi del Mezzogiorno, e con essi quelli della Sicilia, vengano affrontati e risolti con maggiore decisione e con maggiore comprensione di quanto non abbiano fatto i Governi del passato, ma non possiamo non protestare di fronte a parole e ad atteggiamenti che intendono presentare la Sicilia come una figliastra crudele ed implacabile, assetata di vendetta.

La Sicilia si sente figlia affettuosa, indissolubilmente legata alla Patria italiana. E alla resurrezione ed alla rinascita di questa Patria essa intende dare, come darà, interi, il suo sforzo e la sua opera. (Vivi applausi).

PRESIDENTE. Non essendovi altre osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i Deputati: Sardiello, Pera, Gui, Pignatari, Sartor, Franceschini, Costantini, De Mercurio, Grassi.

(Sono concessi).

Costituzione della quarta Commissione permanente.

PRESIDENTE. Comunico che la quarta Commissione permanente per l’esame dei disegni di legge si è così costituita: Presidente, Longo; Vicepresidente, Stampacchia; Segretario, Schiavetti.

Sostituzione di un Deputato dimissionario.

PRESIDENTE. Comunico che la Giunta delle elezioni, nella sua riunione odierna, ha preso atto delle dimissioni dell’onorevole Antonio Greppi da Deputato per la Circoscrizione di Milano (IV), ed ha proposto la sua sostituzione col candidato Tremelloni Roberto, primo dei non eletti nella stessa lista del Partito Socialista Italiano per la Circoscrizione medesima.

Pongo ai voti questa proposta della Giunta.

(È approvata).

S’intende che da oggi decorre il termine di 20 giorni per la presentazione di eventuali reclami.

Verifica di poteri.

PRESIDENTE. Comunico che la Giunta delle elezioni, nella riunione odierna, ha verificato non essere contestabili le elezioni dei seguenti Deputati, e, concorrendo in essi i requisiti previsti dalla legge, ha deliberato di proporne la convalida: Salizzoni Angelo, per la Circoscrizione di Bologna (XIII); Bozzi Aldo, per la Circoscrizione di Roma (XX); Bassano Carlo e Fabriani Amaido, per la Circoscrizione dell’Aquila (XXI).

Do atto alla Giunta di queste sue comunicazioni, e, salvi i casi di incompatibilità preesistenti e non conosciuti fino a questo momento, dichiaro convalidate queste elezioni.

Seguito e fine della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.

L’ordine del giorno reca il seguito della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.

Ha chiesto di parlare l’onorevole Presidente del Consiglio dei Ministri. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri. Onorevoli colleghi, quando mi sono accinto a risolvere la crisi Corbino, scoppiata assai male a proposito, allorché per pochi giorni ero trattenuto a Parigi per il negoziato italo-austriaco, la voce che saliva più frequente dalla stampa e dai voti dei gruppi parlamentari, era:

«Ci vuole un piano organico, bisogna proporre ed attuare provvedimenti concreti, ci vuole una direttiva economico-finanziaria concordata fra tutti i partiti di Governo».

Allora convocai i Ministri delle finanze e dei dicasteri economici, che, vedi caso, erano un comunista, un socialista e un democratico cristiano; misi loro accanto un puro tecnico, il Direttore della Banca d’Italia, e li pregai di indicare, nella forma più concreta possibile, i provvedimenti che bisognava prendere o integrare per assestare la nostra finanza, consolidare la lira ed assicurare la ripresa economica. In queste riunioni furono concordati all’unanimità, nelle loro linee direttive, i provvedimenti nel campo fiscale, nell’ambito della tesoreria, nel campo produttivo e in quello del lavoro, e vennero indicati l’ordine di attuazione dei provvedimenti stessi e le condizioni ed il momento tecnico nel quale possono e devono venir presi. Accanto alla immediata emissione del prestito interno, e prima dell’imposta patrimoniale personale, sono previste grosse tassazioni dei beni reali, cioè decurtazioni in maniera sensibile dei maggiori redditi dei possessori di azioni industriali, di terre, di case (quest’ultime verso lo sblocco di affitti condizionati a compenso per i meno abbienti) e sopra ogni altra cosa nella conclusione si insisteva per un più severo accertamento e quindi per una più adeguata riscossione di tributi ordinari.

Tale documento, che è un impegno, venne sottoposto al Consiglio dei Ministri, che lo fece anche suo. Tutti gli altri problemi di carattere politico-economico – carovita, scioperi, agitazioni, partigiani, ordine pubblico, occupazione delle terre, provvedimenti per i comuni e per la difesa della Repubblica, – reclamavano assicurazioni e precisazioni del Governo. Perciò, dopo aver chiesto al Vice Presidente del Comitato per la ricostruzione, ai Ministri dell’agricoltura e dell’industria, all’Alto Commissario per l’alimentazione, il loro contributo di informazioni e di direttive, completai le dichiarazioni finanziarie ed economiche con un riassunto di quello che il presente Ministero aveva fatto e della direttiva che intendeva seguire negli altri settori. Le dichiarazioni vennero poi sottoposte al parere del Consiglio dei Ministri, che, salvo alcune minori modifiche, le approvò.

Affermo questo non per sfuggire alla mia responsabilità personale, che assumo intera, né per addebitare ad altri la mia mentalità politica o il mio stile di Governo, in quanto contengano una nota personale, ma per dimostrare che ho proceduto in tutte le forme che possa esigere la solidarietà ministeriale di un Gabinetto di coalizione. Quindi, quando parlo da questo posto, mi sforzo di tenere una linea che sia una risultante, e se i miei amici politici devono consentire che io contenga entro tali limiti il mio particolare pensiero e l’ansia fervida del mio programma, i miei amici dei partiti di Governo hanno il diritto, ma anche il dovere, di ricordare l’esistenza di una solidarietà ministeriale, che porta come conseguenza una solidarietà di partiti al Governo. (Applausi al centro).

Posso ben comprendere che un giornale sistematicamente oppositore come il Risorgimento Liberale classifichi questo nostro sforzo di sintesi come il tentativo «di soffocare le lotte politiche nel compromesso», ma mi è più difficile comprendere come la nostra direttiva di assicurare l’evoluzione democratica nell’ambito delle leggi della Repubblica possa venire attribuita a mancanza di fede nelle classi lavoratrici.

Dateci la fede nella vostra collaborazione, nella stampa, nelle organizzazioni, nelle agitazioni e noi, il Governo – lo dico a nome di tutti – saremo con voi, per aiutare con tutte le forze la marcia del popolo verso il suo più pieno, più largo, più immediato governo della cosa pubblica. (Applausi al centro).

Il collega Negarville, rivendicando la responsabilità della crisi Corbino, ha qui dichiarato: «Abbiamo ritenuto necessario, doveroso, iniziare quella critica pubblica, che, doveva non soltanto interpretare il malessere del Paese, ma anche portare a una soluzione… Pensiamo, in sostanza di avere reso un servizio al Paese».

Non discuto il merito, limitandomi a dire, a proposito di questo, che in verità la campagna fu fatta anche contro di me, dipinto in certi manifesti come De Gasperi l’affamatore.

Ritengo, però, a parte tutto questo, mio obbligo di lealtà di affermare che una campagna sistematica – non parlo naturalmente di una critica occasionale concreta – che si vorrebbe far passare per critica costruttiva non può essere il metodo di un partito al Governo, per provocare modificazioni nel Gabinetto. Ogni partito della coalizione ha possibilità di agire dall’interno e, a meno che non si proponga, come suo diritto, di disdire il patto di coalizione, non può cercare una crisi dall’esterno.

Richiamandomi alle mie dichiarazioni programmatiche all’inizio di questo dibattito, riaffermo questo, in tesi generale. Non dunque, difesa di questo o di quel Governo, ma come problema del sistema democratico. Ciò vale, naturalmente, in questa misura, solo per i partiti politici direttamente implicati nella responsabilità governativa. Ma, se dobbiamo veramente costruire una democrazia popolare, dobbiamo trovare anche una via di collaborazione con altri organismi, specie con le organizzazioni sindacali. Sono lieto di ammettere che tale collaborazione ci è stata data in molte occasioni; e, mentre parliamo, facciamo vivi voti perché le rappresentanze sindacali organizzino tra di loro, in liberi accordi, quella tregua nel campo del lavoro che è una delle premesse indispensabili per consolidare la nostra situazione economico-finanziaria, come ha sostenuto anche il mio collega Ministro del tesoro ieri sera.

In alcuni casi, però, la collaborazione venne ottenuta a gran fatica o affatto. Porto l’esempio – se permettete – della occupazione delle terre di Catanzaro. E lo porto tanto più, in quanto devo dire che oggi, come oggi, una sufficiente collaborazione con la Federterra è stata raggiunta anche colà e gli allarmi, che erano stati lanciati a proposito della occupazione delle terre, si può dire che siano superati almeno per ora.

Dall’ultimo rapporto, finora, entro cinque giorni della decorsa settimana, sono state esaminate complessivamente 67 domande e concesse complessive 13.541 tumolate di terreno, di cui 590 per decreto ed il rimanente per bonario accordo, frutto dell’opera di persuasione, che il prefetto aveva precedentemente svolta presso l’organizzazione degli agricoltori e presso la Federterra, e del cauto, intelligente, energico intervento dei presidenti delle Commissioni.

I terreni occupati sono stati prevalentemente sgomberati o per opera persuasiva, o per intervento della forza pubblica, senza dar luogo ad incidenti.

Dice il prefetto di esser certo che il suo intervento conciliativo presso la Federterra e presso i partiti di massa ha scongiurato il pericolo che le decisioni delle commissioni possano essere sfruttate da altri atti inconsulti.

Stando così le cose e ritenendo con ciò di aver risposto all’interpellanza Caroleo, al quale naturalmente resta il diritto di svolgere questa sua interpellanza al momento opportuno, vorrei aggiungere come esempio e come argomento di metodologia politica e sindacale, che io non posso condividere i metodi seguiti all’inizio dalla Federterra.

Ho qui un manifesto, un curioso tentativo di conciliare il legale con l’illegale, l’occupazione con l’accettazione parziale di un giudizio, ecc. Direi che è una prova di buona volontà che non voglio negare, ma che mostra come sia ancora imperfetta l’accettazione del metodo legale e del metodo della responsabilità governativa.

Ecco come la Federterra in provincia di Catanzaro scriveva in un suo appello ai contadini:

«Il primo Governo della Repubblica, venendo incontro al vostro secolare sogno di poter lavorare in proprio un pezzo di terra, e per eliminare la grave disoccupazione dei reduci e dei contadini poveri, emanava un decreto-legge preparato dal Ministro Segni, che, allargando le precedenti disposizioni del Ministro Gullo, vi concedeva la terra, chiamandovi a fecondarla col vostro sudore».

E sin qui siamo in completa ortodossia. Ma ecco il secondo periodo:

«L’imminente inizio dei lavori per la preparazione delle semine vi ha spinto…» (e questa è una circostanza che viene contestata nettamente dal Ministero dell’agricoltura e dagli ispettori agrari inviati sul luogo, in un lungo rapporto) «… vi ha spinto ad occupare» (l’occupazione è fatta in 25 comuni contemporaneamente) «ad occupare tempestivamente i terreni, in attesa che le commissioni a ciò istituite regolarizzino il legale possesso delle terre occupate» (Commenti).

E fin qui è una constatazione di fatto. Poi si continua:

«La Federterra è al vostro fianco. Mantenetevi calmi, sereni, evitando qualsiasi incidente»; (anche questo è meritorio) «iniziate subito il lavoro delle semine, il grano che voi produrrete sfamerà tutto il popolo». (Commenti).

Ecco dove c’è evidente contraddizione, e dove direi che la propedeutica non ha avuto il risultato voluto. Non credo di esagerare se definisco questo documento un documento di buona volontà. Ma bisogna essere chiari e precisi sopra quello che è legge e sopra quello che è esigenza, la quale, attraverso la legge, deve essere soddisfatta. E quando si ha da fare un decreto che ha precisamente lo scopo di dare terre ai contadini poveri e bisogna premere sopra gli attuali proprietari perché accettino questa soluzione, sia in via conciliativa, sia in via di aggiudicazione legale, allora, per dar man forte al Governo, non bisogna occupare arbitrariamente le terre, ma bisogna premere sulle commissioni, rivolgersi ai prefetti, rivolgersi qui, se non basta ai prefetti, perché la legge sia il più rapidamente possibile attuata.

Questa è la strada della collaborazione, che non riguarda soltanto la riforma agraria, ma anche tutte le altre riforme che dovranno seguire. Questa è la strada della collaborazione delle forze popolari organizzate con gli organi del Governo.

Ho già risposto, passando ad altra materia, al mio egregio ex collaboratore Negarville, che il Governo sta già preparando la conferenza economica che egli desiderava. Il C.I.R. (Comitato Interministeriale per la Ricostruzione) ha avuto l’incarico di prepararne tutto il piano e se qualcuno desidera dare suggerimenti circa il programma e circa la partecipazione a questa conferenza, siamo a sua disposizione. Sarà una buona occasione per sentire le persone competenti in economia e gli interessati e credo che ciò darà anche modo ai membri del Governo dei vari settori economici di dimostrare, più che non si sia riusciti lungo questa discussione politica, che non è vero che il Governo sia stato abulico e che non provvedeva e non ha previsto.

Tutti i provvedimenti concreti che abbiamo o lanciato o iniziato per essere attuati, oppure abbiamo preparato, hanno avuto qui scarso rilievo e scarsissimo rilievo è toccato all’opera dei Ministri tecnici che in seno al Comitato di Ricostruzione svolgono, sotto la presidenza dell’amico Campilli, attività fecondissima.

Per opera del Ministro dell’industria, e questo l’ho accennato nelle mie dichiarazioni, ma nessuno vi si è soffermato, per quanto sia un fatto nuovo nell’economia italiana e di una incidenza notevole soprattutto come esempio, per opera del Ministro dell’industria è stato provveduta alla filatura di un certo blocco di cotone messo a disposizione dall’U.N.R.R.A. Secondo il programma di lavorazione concordato dal Ministero con gli industriali, dovranno essere forniti nel mese di ottobre 500.000 chilogrammi di prodotti finiti, un milione e mezzo in novembre, due milioni in dicembre, 3 milioni in gennaio 1947. Ora il Ministero dell’industria si occupa attivamente di organizzare la distribuzione dei prodotti col concorso della Confederazione del commercio, dei consorzi di distribuzione e con tutti gli organismi che posseggono una attrezzatura atta ai compiti che verranno loro affidati. Impresa questa di grande mole, di cui siamo appena all’inizio. Al cotone si aggiungeranno la lana e dopo le pelli in quantitativi rilevanti. Vi sono stati in questi giorni vivi negoziati con gli industriali lanieri per la lavorazione di un notevole contingente di lana, per la quale il Ministero insiste allo scopo di poterne iniziare la distribuzione dei manufatti entro il prossimo mese di dicembre. Gli industriali lanieri adducono la piena occupazione degli impianti per le lavorazioni in corso destinate all’esportazione, e hanno proposto di iniziare le prime consegne nella primavera del 1947, condizione questa che non possiamo accettare, cosicché siamo costretti ad esercitare attualmente una forte pressione onde ottenere che si proceda senza ulteriore ritardo alle lavorazioni destinate al mercato interno per il consumo dei ceti meno abbienti.

Da questo banco, e a nome di tutto il Governo, faccio appello agli industriali tessili perché, nel momento in cui molti di essi traggono larghi profitti da una congiuntura eccezionale, sappiano sacrificare una parte dei loro guadagni per corrispondere, secondo un superiore dovere civico, al fabbisogno delle popolazioni (Applausi generali) e dichiaro che, ove mancasse l’accordo, il Governo saprà esigere, con interventi necessari e di suprema energia, l’adempimento di questo dovere. (Vivi, generali applausi).

Ciò naturalmente deve ottenersi senza intaccare troppo il lavoro in corso per l’estero, perché riconosciamo l’importanza che ha per tutta l’economia l’esportazione. Il mio richiamo si rivolge a tutte le categorie produttive e commerciali, perché taluni non si illudano di potere impunemente abbandonarsi alla speculazione che si è sfrenata in quest’ultimo periodo contando sull’impotenza del Governò. Il Governo è deciso a mantenere il pieno controllo della situazione e ad agire con tutti i mezzi per imporre l’osservanza di quei regolamenti sui quali una ordinata ripresa della nostra economia deve fondarsi. II Governo comprende l’interesse delle diverse categorie; saluta lo spirito di iniziativa che esse possono manifestare; desidera vivamente la loro collaborazione; ma è deciso a non transigere con chiunque intende sottrarsi al dovere di contribuire disciplinatamente all’opera comune, sostenendo quelle rinunce, quei sacrifici che gli interessi della collettività richiedono. Un progetto di legge contro gli accaparratori e gli incettatori è in preparazione.

E, parlando di altre attività, promosse, iniziate, organizzate dal Comitato di ricostruzione, mi rivolgo all’onorevole Carmagnola, il quale nel suo concreto, sostanziale discorso, ha sottolineato, fra l’altro, l’opportunità di incrementare in tutti i modi possibili l’attività edilizia. Questo problema è stato sentito dal Governo come una necessità inderogabile, e per questo era già inserito nel programma dei nostri inizi. Avviare la ricostruzione edilizia significa non soltanto venire incontro al bisogno di abitazioni, ma anche rianimare un settore che promette di assorbire notevole capacità di lavoro, sia per domanda diretta, sia per quella indiretta nelle industrie connesse all’attività ricostruttiva. Per decisione del Comitato di ricostruzione i Ministeri competenti si sono dedicati allo studio del problema e hanno preparato ed elaborato schemi di disposizioni tendenti a rendere operante l’aiuto che all’attività edilizia può essere offerto dallo Stato, a facilitare gli Istituti di credito edilizio, a creare nei proprietari, nei costruttori lo stimolo anche economico della ripresa delle costruzioni dopo tanti anni di stasi. Una prossima seduta del Comitato sarà destinata al definitivo esame del coordinamento di questo piano, in modo che sia possibile al Consiglio dei Ministri deliberare al più presto sui progetti di legge già completi nei loro dettagli.

È lecito attendersi che con la ripresa dell’attività edilizia, unitamente ai lavori pubblici che proseguiranno col maggiore ritmo consentito dalle materie prime disponibili e dai crediti, il grave problema della disoccupazione potrà avere un rapido sollievo.

Collegato al problema della disoccupazione e del migliore ordinamento della produzione è la questione del blocco dei licenziamenti. Sapete che sono state costituite sette Commissioni per esaminare in concreto, in ciascun settore, le condizioni di lavoro e le possibilità di sblocco e di impiego. Queste sette Commissioni hanno ora terminato il lavoro e, come mi pare sia stato già accennato da qualcuno, il risultato è stato confortevole, in questo senso che, scendendo dalle alture delle troppo generiche affermazioni, si è trovato che in fondo il numero delle maestranze eccedenti in questi settori non supera i centosettanta-centottantamila lavoratori.

Non dovrebbe essere impossibile alla Commissione centrale, che nei prossimi giorni dovrà prendere le sue decisioni, di conciliare gli interessi delle classi lavoratrici con quelli della produzione, tanto più che tali interessi, se rettamente intesi, non possono non coincidere nel riconoscimento della comune esigenza del massimo impulso da dare alla produzione industriale italiana.

In tutte le decisioni della Commissione e nell’appoggio del Governo e delle categorie interessate, che sarà esplicato per dare l’applicazione ad esse, saranno sempre presenti le necessità di provvedere ai bisogni industriali e della ricostruzione, di sollecitare l’opportunità di lavoro per le maestranze in soprannumero. La necessità di aumentare le possibilità di lavoro, di incrementare il reddito e con questo le condizioni di vita del popolo che lavora, ha portato ad avviare lo studio di un piano generale di produzione nazionale. Un tale piano è in effetti indispensabile, anche solo per il controllo della importazione e della distribuzione interna delle principali materie prime, tutte rigidamente controllate su base internazionale ed anche come base per le trattative e per i finanziamenti esteri avviati o da avviare al fine di coprire il deficit della nostra bilancia dei pagamenti e di affrettare la ricostruzione economica del Paese.

In proposito, com’è apparso sui giornali, si è tenuto, in presenza del capo della nostra delegazione commerciale economica a Washington, una seduta del Comitato che si è occupato in dettaglio di questo piano.

Questi prestiti esteri ci verranno evidentemente concessi solo in quanto sapremo e potremo dimostrare agli eventuali finanziatori l’accorto uso delle somme che ci verranno date, secondo concreti programmi intesi a ricostruire i singoli settori della nostra economia: trasporti, telecomunicazioni, viabilità, edilizia, riconversione e riordinamento delle industrie, ecc., nonché ad aumentare il reddito nazionale; perché solo nella documentata sicurezza di tale aumento trova fondamento la garanzia che il capitale prestato potrà essere gradualmente da noi restituito.

Il piano di produzione industriale ed il programma delle opere pubbliche devono essere appoggiati e sostenuti da una accorta politica creditizia interna, e di ciò ha fatto largo accenno il Ministro del tesoro nella sua relazione.

Vorrei aggiungere un elemento di tranquillità e di ottimismo a quelli già detti dal collega Bertone, ed è questo: che gli indici della produzione industriale per il mese di agosto dicono che si è arrivati al 65 fino al 70 per cento del livello toccato nel 1938, mentre sei mesi or sono eravamo al 45 per cento, e nella seconda metà del 1945 si era scesi fino al 10-15 per cento di quel livello. È chiaro che la ripresa industriale non dipende soltanto dalla nostra volontà, ma anche da un complesso di fattori internazionali sui quali non è sempre possibile agire nella misura che può apparire desiderabile alla nostra impaziente volontà ed esigenza ricostruttiva.

Non deve essere nemmeno sottaciuto che il livello di produttività attuale non dà ancora garanzia di realizzare rapidamente un livello di vita tollerabile per il popolo italiano, le cui condizioni non si potevano dire soddisfacenti neppure prima della guerra; ma il valore del dato che ho richiamato è soprattutto di natura morale, perché testimonia la volontà del popolo italiano di ricostruire sulle rovine, ed è un fatto che l’opera del Governo, pur attraverso tante difficoltà, tante incertezze e tante critiche, non è stata inefficace.

Un particolare accenno ha fatto l’onorevole Carmagnola agli ostacoli che trova nella fiscalità lo sviluppo delle cooperative. Devo informarlo, se già non gli è noto, che un progetto al riguardo è stato presentato dal Ministero delle finanze per un trattamento migliore alle cooperative, progetto che ora si deve cercare di concretare. La difficoltà sta nel distinguere le cooperative vere da quelle false ed a questa opera si dedica ora il Ministro del lavoro.

Ora qualche cenno di risposta agli oratori, domandando scusa se la trattazione fatta da alcuni di essi, è stata presa in considerazione in termini generici senza che gli oratori stessi siano stati nominati.

Il primo (voglio dargli questa soddisfazione, poiché l’altra volta l’ho completamente dimenticato) l’onorevole Giannini ha affermato dalla «specula del buon senso» di avere scoperto che chi risolve la crisi, qualunque cosa si faccia, sono sempre i tre capi partito. I soli, ha detto, che in realtà governano il Paese. Onorevole Giannini, devo purtroppo contestare questa verità che lei ha affermato. Disgraziatamente non è così. Governare in un Governo di coalizione è molto più difficile che raggiungere un semplice accordo fra i tre. E non è detto che l’accordo fra i tre sia pronto e rapido. Comunque, mi pare di dover accettare come un buon augurio che da quei banchi sia venuto l’invito ai gruppi della maggioranza di mettersi d’accordo per fare un Governo veramente efficace. Se da voi è venuto questo invito, vuol dire che il sentimento è generale, che non c’è differenza tra un Governo o un altro, che tutti invocano che esso possa salvare il Paese in questo momento. (Applausi a destra).

GIANNINI. È il nostro solo desiderio.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri. All’onorevole Cortese devo dichiarare che il sequestro delle armi non è sospeso, continua. Abbiamo dei sequestri caratteristici fatti nel Varesotto e in Emilia.

All’onorevole Bencivenga vorrei dare l’assicurazione che il vecchio decreto di sfollamento dell’esercito – che è una fatalità in relazione al trattato di pace e alle nostre condizioni finanziarie, perché sarebbe ridicolo supporre che possiamo avere un grande esercito con un numero straordinario di ufficiali superiori – questo vecchio decreto, che non è stato inventato dall’attuale Ministro della guerra, che l’ha trovato già deliberato dal Consiglio dei Ministri, per la riduzione dei ruoli, viene fatalmente a scadenza nel prossimo ottobre. Devo dire però che a questa azione non è di per sé connesso alcun carattere politico che svaluti in complesso coloro che ne vengono colpiti o che tocchi comunque l’onore dell’esercito italiano o il sentimento nazionale. (Applausi al centro e a destra).

All’amico onorevole Conti devo rispondere circa l’autonomia comunale. Non è vero che non siamo sulla strada giusta; è vero che, come Governo, possiamo fare poco nel periodo costituente per riformare la legislazione comunale. È vero che se esiste una legge dello Stato, secondo la quale i segretari comunali sono funzionari dello Stato, non possiamo da oggi a domani liberarci da questo sistema che è, naturalmente, anche un impegno verso il personale.

Se la Costituente reintrodurrà la completa autonomia a questo riguardo, non avrei personalmente nulla da opporre, ma intanto il Governo ha già fatto qualche cosa per anticipare una maggiore libertà dei comuni con un progetto di prossima emanazione, che riguarda il diminuito controllo previsto dalla legge comunale e provinciale in vigore. Non entro in dettagli.

Secondo: la questione finanziaria. È questa la questione più grossa. Noi facciamo qualche cosa in pratica per l’autonomia, perché preventiviamo ormai per il prossimo bilancio da 20 a 21 miliardi per l’integrazione dei bilanci comunali. È un’offerta che fa lo Stato proprio all’autonomia comunale; ma riconosciamo che non basta e che questo sistema, invece che provocare l’autonomia, può produrre anche il rovescio.

Quindi, bisogna tornare all’autosufficienza fiscale ed introdurre riforme che permettano ai comuni di approvvigionarsi da sé anche nel campo fiscale.

Il Ministro delle finanze mi dice che entro la settimana il progetto della finanza locale sarà pronto per essere presentato. (Approvazioni).

L’amico onorevole Conti ha accennato alle sue preoccupazioni repubblicane e mi piace dire che le sue conclusioni posso farle completamente mie, quando ha detto che «la Repubblica è un fatto organico», il che vuol dire che è un fatto semi-biologico che va crescendo, aumentando, una trasformazione di istituti e di coscienze e che è l’opera interiore di un popolo. È su per giù quello che ho affermato nelle mie dichiarazioni, che egli ha ripetuto con più competenza, con più impeto, con più entusiasmo, ma che diventa anche, per qualunque politica pratica democratica dell’Italia, una esigenza assoluta.

Io penso che ciascuno in tale materia può avere teoricamente le idee che crede, però il Governo è assolutamente contrario alla creazione di un legittimismo attivo, poiché deve riconoscere che esso, indipendentemente dalla forma, e cioè se monarchico o repubblicano, è diretto contro la democrazia ed i metodi della democrazia. Con il referendum si è deciso una buona volta, il popolo si è sottomesso all’autorità del responso, abbiamo una decisione, basta in Italia con questioni di regime: uniamoci! (Vivi, generali applausi).

È quindi la repubblica, la quale dovrà essere regime di libertà, che potrà raccogliere tutte le mentalità e tutte le tendenze di destra, di centro e di sinistra ed albergare anche coloro che non siano contenti dell’attuale sistema di Governo, che possono invocare una maggiore autorità del Governo stesso. Tutto questo può avvenire in repubblica, purché liberamente discusso e lealmente praticato. (Approvazioni).

Ho detto nelle ultime dichiarazioni che le leggi della solidarietà e della fraternità sono leggi eminentemente repubblicane, perché non sono solo nella tradizione, ma sono una esigenza assoluta perché la Repubblica viva e prosperi e si rafforzi. Ora noi dobbiamo augurarci che queste leggi penetrino soprattutto nel costume, prima ancora che nello statuto; perché lo statuto non è sufficiente se nel costume, nel rispetto vicendevole dei partiti, nel senso di responsabilità e di libertà noi non creiamo l’atmosfera in cui lo statuto possa essere onestamente applicato. (Applausi).

È stato fatto un accenno in un ordine del giorno, e qualcuno ne ha parlato anche durante la discussione, alla politica estera. È vero, il Governo si è impegnato di fare dinanzi alla Camera, nel momento opportuno, un’ampia discussione. È vero che la Camera, prima attraverso la Commissione dei trattati e poi in Assemblea plenaria o comunque sia, ha diritto di accettare o respingere un trattato; quindi niente verrà pregiudicato in questo senso; però non ritengo che questo momento, quando le trattative non sono ancora finite, sia il più opportuno per fare una grande discussione pubblica. Il discorso dell’onorevole Benedetti conteneva parecchi rimproveri contro la mia politica e contro la mia attività personale. Non reagisco in questo momento, ma non s’illuda che io con ciò gli dia ragione. Non accetto le sue conclusioni nei riguardi dei rapporti con la Francia, sulla mia attività generale e su quella della delegazione italiana a Parigi. Oggi è arrivato l’onorevole Bonomi; ciò darà occasione ad un’imminente convocazione della Commissione dei trattati; si entrerà nel dettaglio per fare il punto a proposito di queste trattative.

Permettetemi però che io dica che qualcosa si è ottenuto.

1°) Si è ottenuta l’affermazione morale della belligeranza e dei diritti di belligeranza, e ciò ha avuto delle conseguenze pratiche nell’articolazione che ne è seguita.

2°) Si è ottenuto un diritto, per quanto generico, delle minoranze. Non vuol dire per questo che siamo tranquilli, perché disgraziatamente un telegramma giunto ieri, che anche i giornali hanno pubblicato e che mi augurerei non fosse esatto, telegramma del Comitato di liberazione dell’Istria, dice che anche oggi si prendono provvedimenti che non potremmo accettare né riconoscere come contributo alla pacificazione internazionale: alla pacificazione, soprattutto, con gli slavi, la quale resta ancora una delle esigenze della nostra vita internazionale.

3°) Possiamo dire che esiste, dopo le trattative, dopo le discussioni, dopo i contatti avuti, una fondata speranza che le riparazioni non vadano al di là della cifra di 200 o 300 milioni di dollari complessivamente.

4°) Possiamo dire che abbiamo ottenuto diversi miglioramenti agli articoli 65, 68 e 69 e che, in via pratica, parecchie nazioni, che da principio hanno affermato i loro diritti in sede di trattato, stanno negoziando con noi per avere una soluzione bilaterale.

Forse qui non ha fatto tanta impressione; ma il trattato italo-austriaco ha avuto uri grande significato, un significato che a Parigi non è sfuggito, come non è sfuggito alla opinione pubblica internazionale. Questa povera Italia, accusata di essere l’erede delle oppressioni e di mantenerle ancora, questa povera Italia, che in tante sue parti ha ancora le membra sanguinanti, nei rapporti con gli altri popoli ha avuto però la forza, l’antiveggenza, la modernità, la fede nell’avvenire di passar sopra alle antiche considerazioni.

Io mi ricordo dei tempi delle lotte per l’Università di Innsbruck, quando abbiamo pagato il nostro contributo a questa italianità con la prigionia. Dopo cinquanta giorni venivamo liberati. Ma nessuno mai, né in Italia né in Austria, poté dire con sicurezza, con nozione certa, che la liberazione era dovuta all’intervento del Governo italiano, perché allora vigeva uno spirito ermetico di sovranità assoluta, per cui l’ammettere che una nazione, anche per vincoli di sangue, potesse intervenire, sia pure benevolmente, presso un alleato per attenuarne le condizioni etniche era un incrinare la sovranità assoluta dello Stato.

Ebbene, oggi, noi, Italia moderna, non abbiamo avuto paura di constatare pubblicamente ciò che già in parte è formulato nelle nostre leggi e in parte nei nostri progetti in corso di attuazione. Volevamo così dare innanzi ad un foro internazionale l’esempio del come devono essere garantite tutte le minoranze di tutti i paesi. Per tutto quello che ha attinenza alle opzioni, ai rapporti economici, ai rapporti di convivenza, noi siamo disposti – e non dubito che voi approverete, quando questa convenzione sarà portata alla Camera – a discorrere col Governo austriaco, al quale non riconosciamo sovranità su quei territori, ma riconosciamo l’esistenza di un comune amichevole interessamento. (Vivi generali applausi).

Lasciamo quindi le discussioni, lasciamo da parte la polemica in questo momento. Ricordiamoci che le decisioni non sono state ancora adottate.

Non ho obiezioni formali contro l’ordine del giorno del collega onorevole Benedetti, ma credo che esso possa essere riassunto in un’ultima parola che vorrei mi permetteste di dire anche a vostro nome, parola rivolta a Parigi, rivolta soprattutto ai rappresentanti di grandi Stati che sono responsabili dei termini della pace:

Strappandoci territori italiani, ferite profondamente l’anima nazionale, indebolite lo slancio del popolo italiano verso la elevazione democratica internazionale; addossandoci pesi insopportabili, ripetereste l’errore di Versaglia. Se tali fossero le vostre decisioni definitive, la corresponsabilità non potrebbe ricadere sul popolo italiano e i suoi rappresentanti, che da due anni hanno levato la loro invocazione di giustizia e la loro voce di protesta. (Vivi prolungati applausi).

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Presidente del Consiglio di voler esprimere il suo parere sui vari ordini del giorno.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri. Non ho nulla da obiettare sull’ordine del giorno Damiani: ne riconosco l’importanza.

Mi pare che l’ordine del giorno Marinaro, dopo le spiegazioni da lui stesso date e quelle del Ministro del tesoro, sia superato.

Non posso naturalmente accettare l’ordine del giorno di sfiducia dell’onorevole Perrone-Capano. Molto meno posso accettare l’ordine del giorno di sfiducia verso qualunque Governo italiano dell’onorevole Finocchiaro Aprile.

Credo di aver assorbito, nella mia dichiarazione, l’ordine del giorno Benedetti.

Accetto l’ordine del giorno Meda.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Damiani se intende mantenere il suo ordine del giorno.

DAMIANI. Intendo mantenerlo.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Marinaro se intende mantenere il suo ordine del giorno.

MARINARO. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Finocchiaro Aprile se intende mantenere il suo ordine del giorno.

FINOCCHIARO APRILE. Il Capo del Governo ha dichiarato di non potere accettare il mio ordine del giorno in quanto esso è diretto contro tutti i Governi. Non è vero. È stato un modo inelegante per sfuggire alla questione. Lasciamo stare quelli che saranno i Governi di domani. Badiamo, invece, al Governo di oggi. (Commenti Rumori).

Con questo ordine del giorno si invita il Governo ad emanare di urgenza i provvedimenti necessari a mettere la Sicilia a quel livello politico, morale, economico e sociale che la Sicilia e la civiltà esigono.

L’onorevole Presidente del Consiglio, a mio avviso, aveva il dovere di dire la sua opinione su questo ordine del giorno e non poteva sfuggire all’obbligo preciso di discolparsi dalle accuse precise e categoriche da me mossegli. Il suo silenzio non ha altro significato che egli non ha nulla da opporre alle mie accuse.

Ora, poiché il Capo del Governo non ha voluto esprimere il suo pensiero sul mio ordine del giorno, io ed i miei amici abbiamo il diritto di ritenere che il Governo si rifiuta ancora di provvedere secondo le nostre legittime richieste e che non voglia fare nulla, come mai nulla ha fatto, per la Sicilia. (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Benedetti, lei mantiene il suo ordine del giorno?

BENEDETTI. Prendo atto con piacere delle oneste e patriottiche dichiarazioni finali del Presidente del Consiglio e perciò ritiro il mio ordine del giorno. (Applausi).

PRESIDENTE. Si procederà ora alla votazione del seguente ordine del giorno accettato dal Governo:

«L’Assemblea Costituente, udite le dichiarazioni del Governo che lo impegnano al consolidamento delle nuove istituzioni democratiche repubblicane e ad una sollecita organica azione di politica economica,

le approva e passa all’ordine del giorno».

«Meda, Terracini, Taviani, Pertini, Lombardo Ivan Matteo, Natoli, Mazzei».

Ha chiesto di parlare, per dichiarazione di voto, l’onorevole Sforza. Ne ha facoltà.

SFORZA. Onorevoli colleghi, a costo di prendere un minuto di più del vostro tempo, desidero, prima di sottoporvi le brevi parole che la coscienza mi detta, confessarvi la ragione per cui mi limito ad una laconica dichiarazione di voto invece di essermi iscritto nella discussione generale. Con ciò esorbiterò forse dall’argomento delle dichiarazioni di voto, ma non prenderò che pochi secondi. E bensì vero che io ho udito in quest’aula discorsi notevolissimi per dottrina politica e per altezza morale, ma è anche vero, e permettetemi di comunicarvi nudo e crudo il mio pensiero, che sono profondamente convinto che il popolo italiano finirà per staccarsi poco a poco dall’Assemblea Costituente se gli verrà, anche a torto, il dubbio che noi parliamo troppo e che dimentichiamo il supremo dovere per il quale siamo qui, che è di dare al Paese, al più presto, una costituzione repubblicana. Di essa abbiamo bisogno urgente per creare quella stabilità repubblicana senza la quale è impossibile garantire la laboriosità ordinata, così indispensabile al popolo italiano per la propria risurrezione. È per questo che, per parlare, ho scelto la forma della dichiarazione di voto, misurandone ogni parola per essere brevissimo.

Noi agiamo contro il nostro interesse quando, da parte nostra, si accentua esclusivamente il lato italiano di certi problemi, e questo rimprovero non va certo al Presidente del Consiglio, che ogni volta che ha parlato a Parigi di fronte agli Alleati, ha costantemente espresso un suo sentimento di solidarietà fra l’Italia, l’Europa ed il mondo.

È per parlare efficacemente per l’Italia che noi dobbiamo fare sentire che parliamo europeo ancor più che italiano.

I nostri diplomatici dovrebbero ricordare almeno l’esempio del più grande diplomatico italiano dell’ottocento, Cavour. Nei suoi discorsi al Congresso di Parigi si cercherebbe invano una sola parola sua in favore del Piemonte e neppure dell’Italia. Egli parlò solo di due cose: pace, progresso; ma pensava sempre: Italia! Italia! E per questo vinse per l’Italia.

Malgrado le rovine, fra cui il fascismo ci precipitò, noi varremo ben un po’ più del piccolo Piemonte; ed anche noi vinceremo, se lo vorremo. Vinceremo perché siamo una delle nazioni più laboriose del mondo, perché per la prima volta da Cristoforo Colombo, il Mediterraneo è ridivenuto uno dei gangli vitali del nostro globo, perché noi italiani ci siamo in mezzo, e perché non si può fare una politica europea e una politica mediterranea senza gli italiani.

Se la pace ora non sembra sicura, non è per colpa né degli Stati Uniti, né della Gran Bretagna, né della Russia. È perché un invisibile protagonista turba ovunque gli spiriti e li rende malati. Questo protagonista si chiama Terrore, Paura, Sospetto. L’ho scontrato ovunque nell’America Latina, dove, per ciò che ci concerne, tutti i popoli e tutti i governi ci amano di amore fraterno. L’ho incontrato a Washington, a Londra, a Parigi.

Ma è bastato che ieri, in una intervista a un giornalista inglese, Stalin abbia dichiarato solennemente che la Russia non vuole la guerra, perché tutti gli spiriti si siano rasserenati negli Stati Uniti e che perfino Wall Street abbia esultato.

Tutti gli errori commessi finora da ogni parte non sono effetto né di perfidia conservatrice, né di perfidia sovietica; sono effetto della paura e del sospetto.

Si errò in Russia, quando si spinsero i comunisti francesi ad opporsi ad una intesa italo-francese. Si temeva fosse l’inizio del blocco occidentale. Era il contrario che era vero. I due blocchi ostili non potrebbero essere che opera dei tre giganti e dei loro vassalli. Ma due grandi valori morali, come l’Italia e la Francia, non possono divenire vassalli. Uniti, i due popoli formerebbero un quarto gigante, che cambierebbe felicemente il carattere delle conversazioni fra i tre organismi, i quali non hanno altro difetto che questo: che sono troppo pochi e sono troppo grossi.

Ma noi italiani tutti commettemmo forse a nostra volta un errore: e fu di non rompere, già molti mesi fa, il ghiaccio con la Russia e farle sapere in modo solenne che, amici lealissimi come vogliamo essere degli Stati Uniti e dell’Inghilterra, non diverremo mai strumento di blocchi ostili gli uni contro gli altri. E con questo non attribuisco colpa ad alcuno, perché la colpa sarebbe anche mia, che non insistei su questo concetto, quando ero membro del Governo. Ma tutti sanno, il Presidente del Consiglio per primo, quanto sia difficile decidere su problemi essenziali ma a torto non stimati urgenti, quando è una coalizione che governa.

Noi non dobbiamo mai dimenticare – anche quelli che delirano di bombe atomiche – che una guerra significherebbe automaticamente l’Italia del nord ridivenuta campo di battaglia dell’Europa, e noi, come al tempo dei Franchi e dei Longobardi, ridivenuti «un volgo disperso che nome non ha».

Dal canto suo la Francia dovrebbe sapere che ridiverrebbe la testa di ponte di eserciti stranieri, ciò che la porrebbe in una situazione ancor più umiliante della nostra, perché più ambigua.

A pace raggiunta (pace che per l’Europa e per noi mi auguro meno illogica e meno insensata di quella che oggi ci si propone, insensata perché senza scopo, giacché comprenderei una pace che ci voglia distruggere, una pace che ci voglia proteggere, una pace che ci voglia eliminare, una pace che voglia servirsi della nostra collaborazione, ma non questa specie di pace didascalica, moralistica, per cui ci si mette in un angolo con le orecchie di cartone – come si usava nelle antiche scuole – perché siamo stati cattivi, perché abbiamo subito un regime infame che la maggior parte degli Stati europei hanno applaudito ed approvato) (Applausi) a pace raggiunta – dico – pace che noi speriamo con tutto il cuore sia migliorata, perché non si può sentire senza profonda commozione la sincerità dell’accento delle parole testé qui pronunziate dall’onorevole De Gasperi; a pace raggiunta l’Italia avrà comunque una sua forza se, invece di indulgere in morbosità nazionalistiche, difenderà gli interessi nostri, mostrando che li tutela come elementi essenziali di interessi e problemi molto più vasti.

Il compito, in fondo, è men difficile di quello che sembri. Si veda ne Il Tempo di ieri la felice contemporanea pubblicazione di un articolo di Eden e dell’intervista di Stalin. In fondo, se si guarda all’essenza di quanto dicono il conservatore britannico e il Capo dello Stato sovietico, c’è fra essi molta più similitudine che a prima vista non paia, per ciò che concerne la pace.

Non cristallizziamoci troppo su noi soli. Pensiamo al mondo che cambia costantemente intorno a noi. Chi avrebbe pensato venti mesi fa che si sarebbe cominciato ad occhieggiare amorosamente coi tedeschi, come si è fatto qua e là in due o tre discorsi solenni, coi tedeschi che, contrariamente a noi italiani che siamo profondamente mutati, non hanno minimamente cambiato la loro psiche?

Dappertutto si auspica una riconciliazione molto più generale e sincera di quella un po’ machiavellica che taluni contemplano con i tedeschi. Sì, dappertutto si è stanchi di vivere coi nervi tesi, ma non si trova la strada. È nostro onore italiano – e mi permetta l’onorevole De Gasperi di riprendere le sue parole che egli forse ha il torto di aver pronunciato con tono troppo modesto – è nostro onore italiano che, nella cecità opaca dei negoziati di Parigi, noi demmo, prima e finora soli, un esempio luminoso con l’accordo italo-austriaco. Desidero sappiate con quali eccezionali accenti esso fu ufficialmente presentato a Parigi alla Commissione politico-territoriale dal suo presidente Eagleland. Leggo, traducendo letteralmente: «È per me causa di profonda gioia di presentare alla Commissione un accordo che è un alto raggio di luce e che fa grandissimo onore ai due Paesi che l’hanno concluso». (Applausi).

Sia nostra speranza suprema che nuovi raggi di luce rischiarino il cielo, presto o tardi, fra noi e tutti i nostri vicini. Le febbri nazionalistiche non sono mai eterne. Io rinvio gli jugoslavi ad una frase del Tommaseo che fu metà slavo e metà italiano: «Se non per amore è per forza che italiani e slavi dovranno intendersi». Che significa per me questa frase, oggi, quasi cento anni dopo che fu pronunziata? Questo: che mentre non credo a un pericolo di guerra fra due blocchi che mi auguro non si formeranno mai, intravedo invece un altro, sia pur lontano, pericolo di guerra. Vi fu qualcuno in Italia che nel 1920 disse alla Jugoslavia: fate la pace con noi perché fra venti anni la Germania verrà di nuovo verso l’Adriatico e, se non siamo d’accordo, schiaccerà voi e noi. Questo pericolo di guerra nel lontano avvenire è ancora lo stesso pericolo di ieri, è il pericolo germanico, e guai agli jugoslavi se non capiranno che potranno essere soltanto salvati dall’amicizia con l’Italia. (Applausi). Se gli jugoslavi capiranno, la pace nostra e la pace loro saranno sicure. Se ciò accadrà e se vi sarà una laboriosa concordia italiana all’interno il nostro avvenire è sicuro. Da soggetti di storia quali noi eravamo, il fascismo ci ridusse a meri oggetti di storia; ma noi ridiventeremo soggetti di storia, cioè liberi arbitri del nostro destino. Quel giorno, sol che lo vogliamo, l’Italia sarà rispettata nel mondo quale mai fu, quale Mazzini la sognò. (Applausi a sinistra e al centro).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l’onorevole Cianca. Ne ha facoltà.

CIANCA. Nella precedente votazione politica che concluse il dibattito di questa Assemblea, il gruppo autonomista decise di astenersi. Esso annunciò allora che questa sua astensione si sarebbe risolta in un atteggiamento di opposizione animato da uno spirito di critica costruttiva se il Governo si fosse rivelato incapace, come la sua stessa composizione lasciava intravedere, di tradurre in atto, con organicità ed energia, il programma di emergenza imposto dalla crisi del tempo.

La discussione che si è svolta sulle dichiarazioni dell’onorevole De Gasperi dimostra come le preoccupazioni e i timori che erano e sono in noi, appartengono anche a zone più o meno larghe delle stesse forze politiche rappresentate nel Ministero. Ieri l’altro un collega, parlando a nome di un partito che nel Governo ha e mantiene i suoi uomini, rimproverò al Governo di non aver fatto nulla.

Noi ci limitiamo a dire che esso ha fatto poco, ma aggiungiamo le ragioni per le quali la sua opera si è manifestata inferiore alle esigenze e alle aspettative del Paese, ragioni indicate dal nostro Lombardi e che permangono immutate. Pensiamo cioè che non sia valsa e che non possa apparire sufficiente la sostituzione dell’onorevole Corbino con l’onorevole Bertone, le cui nobili e oneste intenzioni annunciate nell’ottimistico discorso di ieri non ci appaiono la via sufficiente per dissipare le nostre apprensioni circa la mancanza di un piano concreto di risanamento economico.

Pensiamo che per l’insopprimibile giuoco dei dissensi interni e per la mancanza di uno slancio unitario di decisione e di azione il Governo si trova oggi di fronte ad una situazione obiettivamente aggravata, nelle stesse condizioni di scarsa efficienza nelle quali si è dibattuto finora. Da questa premessa deriva che noi mancheremmo di lealtà verso noi stessi e mancheremmo di coerenza se, in contrasto con lo sviluppo logico della posizione da noi assunta tre mesi fa, confondessimo oggi il nostro voto con quello dei partiti governativi. Noi abbiamo comune con questi partiti il proposito di difendere e consolidare le istituzioni democratiche repubblicane. Ma è appunto per questo che ci assegniamo il compito di agire nel campo dell’opposizione democratica, perché tra il fine che ci proponiamo e l’organo governativo destinato ad attuarlo, il rapporto diventi sempre più stretto e sempre più efficiente.

È chiaro, dunque, che la nostra opposizione si ispira a motivi e risponde a scopi che non hanno nulla di comune con quelli che determinano e animano l’opposizione di partiti e di interessi che sul piano politico e sul piano sociale noi combattiamo. È precisamente in contrasto coi fini cui tende quella opposizione che noi oggi assumiamo la incresciosa ma doverosa responsabilità di negare al Governo la nostra fiducia.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l’onorevole Meda. Ne ha facoltà.

MEDA. Onorevoli colleghi, il voto favorevole che noi daremo al Governo non è un atto di formale disciplina di gruppo, ma ci è dettato da quel senso di responsabilità che tutti i cittadini, ed in modo particolare gli uomini ai quali il popolo ha affidato il compito della sua rappresentanza alla Assemblea Costituente, devono tenere a norma di vita in questo drammatico momento dell’esistenza nazionale.

Riconfermeremo la fiducia al Governo che è l’espressione delle forze più fattive del Paese, al Governo nel quale il popolo deve poter credere, perché crede nella libertà e nella democrazia. Altri ha affermato e potrà affermare che in questi ultimi tempi l’azione governativa è stata fiacca; che non si è fatto tutto ciò che si poteva, che si doveva fare, che le promesse per l’azione futura non dànno sufficiente garanzia di realizzazione del programma enunciato.

Onorevoli colleghi, la ricerca del meglio, se è nobile intento, spesse volte è remora ad un’opera ricostruttiva che non può non tenere conto delle possibilità e dell’ambiente nel quale deve svolgersi. Sarebbe pertanto deprecabile che noi mirassimo a raggiungere la meta più alta senza volere sobbarcarci alla fatica e alla pazienza del superamento degli ostacoli che si frappongono al nostro cammino; ostacoli duri e che talvolta si fanno più resistenti per la incoscienza e la caparbietà di talune categorie o gruppi di cittadini, i quali evidentemente non si sono ancora convinti che democrazia non significa anarchia; che la democrazia è una realtà, non una parola, e che la giustizia in regime democratico non si riduce ad una espressione formale, ma è precetto di azione, il venir meno al quale significa tradire l’idea che ha animato il sacrificio dei nostri morti.

Se all’indomani della realizzata unità nazionale, Massimo d’Azeglio poteva affermare che, fatta l’Italia, si dovevano fare gli italiani, noi dopo il 2 giugno di quest’anno, potevamo con certezza e con fierezza proclamare che, rinate la coscienza e la dignità degli italiani, si doveva fare l’Italia, ricostruire cioè lo Stato nei suoi ordinamenti costituzionali, nella sua struttura economica, nella sua armonia sociale.

Compito questo arduo e delicato, a1 quale tutti ci accingemmo con lo stesso entusiasmo col quale avevamo nel periodo della vergogna fascista tenuta viva la fede nella riscossa. Questa fede non ci viene meno oggi, ma si fa anzi più tenace, più profonda dinanzi al dovere di difendere il sacro patrimonio conquistato attraverso il calvario di tanti dolori, di tanti sacrifici.

Onorevoli colleghi, io ho il massimo rispetto per gli economisti, né discuto la fondatezza delle leggi economiche che, a criterio dei competenti, hanno dei corsi e dei ricorsi ai quali non ci si può sottrarre. Però lasciate pur che aggiunga che nel manifestarsi e nello svolgersi di ogni evento, che sia legato alla volontà ed alla umana attività, grande importanza ha il fattore psicologico: in bene ed in male. Spesse volte accadono nella vita dei popoli fatti che hanno del miracoloso. Non fu miracolo nel novembre 1917, dopo la bufera di Caporetto, la resistenza del Piave? I tecnici unanimi affermavano allora che non si sarebbe potuto arrestare l’avanzata austro-tedesca. Ma il Popolo e l’Esercito italiano, sconvolgendo ogni previsione dei competenti, seppero frenare l’impeto del nemico e vincere la guerra; la guerra nostra, la cui fine creava la possibilità di rapidissima definizione vittoriosa per gli Alleati della guerra che si combatteva su gli altri fronti europei. Ciò non dovrebbero dimenticare i grandi ed i piccoli del Lussemburgo. La storia dei popoli, quando è grondante di sangue e di lacrime e onusta di fato, non si cancella. Né, onorevoli colleghi, si può mortificare un popolo per l’ignominia del tiranno che lo ha perseguitato e torturato.

Non si può condannare l’Italia, che nell’altra guerra ed in questa offrì così valida resistenza contro l’Antieuropa rappresentata dalla prepotenza tedesca per il martirio di venti anni di fascismo. La democrazia rifugge da tali mostruosità che offendono la giustizia e la stessa civiltà.

A Parigi la nostra delegazione ha onestamente, umanamente esposte le ragioni per le quali l’Italia non può essere trattata alla stregua di una nazione nemica. Trieste nel piano della nuova sistemazione europea è un elemento di pace o di guerra. Noi lottiamo per una soluzione giusta, non per ragioni di vacuo nazionalismo. Difendiamo l’italianità di Trieste, perché in tal modo difendiamo la pace, difendiamo gli insopprimibili diritti della storia.

L’Italia vuole la pace. Nessun altro popolo ha forse dimostrato fino ad oggi tanta decisione e sincerità di propositi. L’accordo con l’Austria è prova eloquente di come il nostro Paese intenda collaborare con tutti i popoli in spirito di leale amicizia. (Interruzioni Vivi rumori Si grida: Basta! Basta!).

PRESIDENTE. Onorevole Meda, la invito a concludere.

MEDA. Onorevoli colleghi, noi crediamo nella onestà di tutte le nazioni, ma principalmente crediamo e fidiamo nel popolo nostro, il popolo che deve credere e confidare in noi. E questa fiducia faccia sì che al di sopra di ogni considerazione di carattere tecnico e politico, Popolo, Governo e Costituente si stringano in una fraterna solidarietà e mirino con fede al futuro.

NITTI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Vorrei fare una breve dichiara zionea nome dei miei amici del gruppo e mio.

L’impazienza con cui l’Assemblea ha accolto le dichiarazioni del presentatore dell’ordine del giorno firmato da tutti i partiti al Governo è un fatto nuovo e dimostra l’imbarazzo in cui tutti ci troviamo. Dimostra che quando un atto è deciso dai capi dei partiti al Governo non si vuole nemmeno discuterlo dai componenti dei partiti. Cos’è questo ordine del giorno e come viene? È evidente che ognuno di noi si domandi il perché di questa discussione e perché siamo riuniti e dobbiamo oggi, poi che così è deciso, chiudere la discussione… (Rumori). Questo ordine del giorno ci mette in un certo imbarazzo. Da che è venuta questa situazione? Le cose procedevano regolarmente, come possono procedere in questi tempi, quando sono intervenute le dimissioni del Ministro del tesoro Corbino. Perché si è dimesso? Il Presidente del Consiglio ha voluto sostenere l’opera dell’onorevole Corbino e non ha creduto fino all’ultimo accettare le dimissioni; poi ha esitato e l’onorevole Corbino si è dovuto dimettere: a ragione di che? E per l’opera di chi? Poi è venuta la lunga serie delle candidature o autocandidature, e son venuti fuori nomi di tecnici e di politici, nomi abbandonati il giorno stesso che erano pronunziati. Infine è venuto fuori inatteso il nome dell’onorevole Bertone. Si è presentato: ha parlato in forma tale da calmare le ansie e ha voluto dare assicurazione, pur non avendo sicurezza, che le cose sarebbero andate più o meno come si voleva andassero.

Perché allora, perché dunque ora tutta questa discussione, che è per lo meno superflua dal momento che tutto è deciso dai capi dei quattro partiti al Governo? L’onorevole Corbino non era troppo lontano da quello che si propone l’onorevole Bertone. E allora quale è la ragione della contesa?

Vi è forse minaccia di crisi nella composizione ministeriale? Questo nemmeno è vero, perché gli autori del dramma sono sempre gli stessi; nulla è mutato. (Commenti Rumori).

Una voce. Ma questa non è una dichiarazione di voto!

PRESIDENTE. Non siano così intolleranti; lascino parlare!

NITTI. La discussione generale, quindi, è superflua, in quanto, vedendo l’ordine del giorno, si trova che esso è sottoscritto in tutta regola da rappresentanti dei partiti essenziali che sono al Governo e che formano 426 voti sui 555 che sono in questa Aula. Dunque, nulla può essere mutato da questa discussione. Il Ministero rimarrà lo stesso, dal momento che gli stessi uomini che lo componevano, gli stessi partiti con la stessa maggioranza rimangono al Governo.

Che cosa dunque si discute adesso? Non un fatto politico che può dare luogo ad un voto, perché nulla è mutato. Si possono esprimere idee, tendenze, aspirazioni; non altro. Ma ciò che si deve fare è stato deciso in precedenza dai tre rappresentanti dei partiti.

Così ogni grande discussione è resa inutile prima ancora di nascere.

Noi aspettiamo, dunque. Non è il Governo e non è quest’Assemblea che regolano gli avvenimenti. Si finisce, anche senza volere, con fissare prima ciò che si deve discutere e ciò che non si deve. Quello che ora non si vuole discutere, e si evita anche di dire, saremo però costretti di vedere e di discutere quando fra poco i fatti l’imporranno. Il facile ottimismo o piuttosto l’abitudine presente di non voler vedere la verità, per non averne il dolore, non modificano la realtà.

Io non sono, come mi attribuiscono, pessimista sulla situazione.

La situazione è certamente molto grave, soprattutto la situazione finanziaria, ma è salvabile se noi seguiremo le vie che ci sono indicate dalla realtà. Le difficoltà non sono nel programma, ma nei mezzi di eseguire il programma. Attendiamo all’opera il Governo prima di giudicare.

Non mi abbandono a considerazioni di politica estera perché non devo parlarne ora. Ma il Presidente del Consiglio mi ha messo in un grave imbarazzo dicendo di non doverne parlare e poi parlandone. Come ho già detto, la pace a noi imposta è la peggiore possibile e non sarà modificata in nulla d’essenziale. Coloro che trattano della pace non devono dare illusioni.

Io sono nettamente contrario ad ammettere che la situazione di politica estera possa comunque essere modificata; lasciamo le visioni avveniristiche, i discorsi rosei. Non facciamo sogni, non parliamo di società future; queste cose io le conosco ancora meglio di quelli che ne parlano e so che non dobbiamo vaneggiare. Noi dobbiamo vivere nella realtà quale essa è; noi avremo la peggiore pace, ed è inutile illuderci circa mutamenti sostanziali; nulla sarà mutato di ciò che essenzialmente conosciamo.

Io leggo i giornali italiani che parlano dell’opera dei nostri rappresentanti a Parigi e spargono ogni giorno nuove illusioni. Vedo che seminano equivoci e fan credere a cose che non possono realizzarsi. Lettore assiduo di giornali stranieri, vedo il contrasto tra ciò che si dice, in merito a quello che avviene a Parigi, sulla stampa italiana e ciò che si dice sulla stampa straniera, soprattutto inglese. Mi pare che ancora una volta non si dica in Italia la verità. Non è bene lasciare il pubblico nell’illusione che le orrende cose che ci sono imposte possano essere sostanzialmente mutate; ciò non avverrà ed è meglio non discuterne, specie quando vi sono ancora trattative in corso. Noi abbiamo dato all’onorevole De Gasperi, quando è partito, un bill di indennità.

Abbiamo tutti votato all’unanimità la fiducia nell’azione di Governo nelle trattative di pace. Il Governo compia la sua opera; ne renderà conto alla fine e non ora.

Èchiaro che ci è stata fatale l’illusione che avevamo nei vincitori, non solo amici. Dichiarare sempre nostri alleati quelli che erano solo alleati fra loro, ci ha danneggiato più che ogni altra cosa. Ma lasciamo stare queste cose, ne parleremo dopo. (Commenti).

Una sola cosa non posso tacere. Devo chiedere formalmente all’onorevole De Gasperi (e lo devo fare perché altri non ne ha parlato e ne ha parlato invece solo egli stesso): vi è stato un accordo con l’Austria che rappresenta una diminuzione dell’Italia o qualcosa come una visione avvenirista singolarmente pericolosa. È stato a Parigi firmato il 6 settembre un accordo tra il Presidente De Gasperi ed il Ministro degli esteri austriaco Grueber. L’Osservatore Romano (il giornale italiano in cui leggo notizie precise in materia di politica estera nei riguardi dell’Italia), ha pubblicato l’annuncio di questo accordo ed ha dichiarato di essere certo che notevoli vantaggi sono riservati alle minoranze austriache; ha aggiunto però – e qui è la domanda che rivolgo all’onorevole De Gasperi – che il nostro Presidente del Consiglio avrebbe assicurato al primo Ministro austriaco l’adozione di garanzie internazionali a favore di minoranze austriache. Questo punto mi ha profondamente colpito. Il Presidente del Consiglio avrebbe dunque dato assicurazioni che vi saranno garanzie internazionali per le minoranze austriache (per pubblicarla l’Osservatore Romano, la notizia non può essere infondata). È la prima volta che ciò avviene nel nostro diritto. Nessuno Stato europeo ha fino ad ora accettato una simile condizione. Si è discusso ai tempi della lotta fra la Chiesa e lo Stato se qualcuna delle leggi ecclesiastiche, e particolarmente le guarentigie, dovessero o potessero avere garanzie internazionali, e lo Stato italiano ha sempre fieramente rifiutato. Ora noi daremmo una garanzia internazionale ad ogni reclamo del Governo austriaco o di cittadini austriaci. Ciò non potremmo mai accettare. Questa è una diminuzione della sovranità e della dignità dello Stato, e se la cosa fosse vera, come la presenta l’Osservatore Romano, noi non la accetteremmo mai.

SFORZA. Si può accettarla se significa la salvezza degli italiani in Jugoslavia.

NITTI. Che cosa significa ciò? Ed è vera questa garanzia? E non è più grave ancora, con un pretesto inesistente, la diminuzione più intollerabile della sovranità dello Stato italiano? (Commenti).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare, per dichiarazione di voto, l’onorevole Preziosi. Ne ha facoltà.

PREZIOSI. Devo fare una dichiarazione di voto non a nome del mio gruppo, ma a titolo personale e a nome di alcuni colleghi del Mezzogiorno, per affermare che noi voteremo la sfiducia, in segno di protesta contro il Governo che non ha sentito il dovere di dire, per bocca del suo Presidente, una parola di assicurazione per le popolazioni del Mezzogiorno (Interruzioni Rumori), circa la soluzione dei loro problemi immediati, per queste popolazioni che hanno subito le peggiori distruzioni della guerra, che hanno un titolo nobilissimo di priorità nella lotta contro i tedeschi, che hanno conosciuto l’ignavia di tanti Governi, che sono state neglette in tutti i tempi, che quindi hanno diritto di vedere riconosciuta dal primo Governo repubblicano la necessità della risoluzione in maniera concreta dei loro problemi.

Il fatto che il Governo abbia dimenticato questo suo dovere offende il Mezzogiorno e non porta certo un contributo alla ricostruzione della Patria ed alla unità, tanto necessaria, del Paese. (Interruzioni Rumori).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l’onorevole Lucifero. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Una volta tanto io sono d’accordo con il Conte Sforza (Si ride) e quindi la mia dichiarazione di voto sarà brevissima.

Io non penso che in sede di dichiarazione di voto si possa proseguire la discussione generale. La dichiarazione di voto ad un Governo che ha fatto le sue dichiarazioni non vale per il suo passato, ma vale per il suo avvenire; ed infatti l’ordine del giorno che noi siamo chiamati a votare riguarda l’avvenire e parla specificatamente di due questioni: primo, consolidamento delle nuove istituzioni repubblicane democratiche: dichiaro, io monarchico, che sono d’accordo su questo consolidamento, perché ormai la Repubblica c’è ed è bene che sia consolidata. Solo se la Repubblica sarà veramente, come tutti desideriamo, una buona Repubblica, la questione istituzionale sarà stata risolta. (Applausi).

In secondo luogo, l’ordine del giorno che siamo chiamati a votare vuole una sollecita, organica azione di politica economica. È interesse comune di tutti noi, come italiani, come uomini di parte, come privati cittadini, che questa azione organica economica finalmente abbia la sua realizzazione. Quindi l’ordine del giorno dovrebbe trovarci pienamente consenzienti. Ma appunto perché vogliamo questo consolidamento, appunto perché vogliamo la risoluzione organica dei problemi economici, noi non possiamo dare la fiducia ad un Governo che manchi di solidità e dì organicità. E gli incidenti avvenuti in questa aula mentre parlava l’onorevole Meda ne sono stati la prova per chi poteva avere dei dubbi. (Rumori).

Il nostro voto è quindi questo: auguriamo all’onorevole De Gasperi, con tutto il cuore, che quanto è detto in questo ordine del giorno si possa verificare; promettiamo all’onorevole De Gasperi che lo aiuteremo in ogni modo nel suo sforzo perché quanto è contenuto in quest’ordine del giorno possa diventare realtà; ma non crediamo che questo Governo possa farlo, e quindi voteremo contro.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l’onorevole Pertini. Ne ha facoltà.

PERTINI. La mia non è una dichiarazione di voto. È una breve precisazione per eliminare ogni equivoco. La dichiarazione di voto fatta dall’onorevole Meda e l’accenno dell’onorevole Presidente del Consiglio nella sua risposta all’ordine del giorno in cui ha parlato esclusivamente come presentatore dell’onorevole Meda, potrebbero indurre qualcuno a pensare che l’ordine del giorno di fiducia sia presentato dalla Democrazia cristiana. L’ordine del giorno di fiducia è stato concordato dai quattro partiti. Se gli altri tre partiti non hanno preso la parola, in sede di dichiarazione di voto, è perché lealmente e onestamente hanno voluto mantenere l’impegno preso. (Applausi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Presidente del Consiglio. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri. Una brevissima osservazione.

Se mai in questa Assemblea e nella condotta del Governo potesse nascere un sentimento di avversione verso i postulati siciliani, lo sarebbe perché se ne è fatto interprete chi nello stesso momento all’Italia chiede e l’Italia rifiuta.

Ma poiché l’onorevole Gullo e l’onorevole Mattarella hanno già distinto la responsabilità della grande maggioranza del popolo siciliano dalle affermazioni separatiste, io colgo l’occasione per confermare che alla Sicilia il Governo rivolgerà tutto il suo particolare interessamento.

FINOCCHIARO APRILE. E non darà mai niente!

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri. Circa la dichiarazione dell’onorevole Nitti, avrei preferito che egli avesse rimesso alla Commissione dei trattati la precisazione che egli mi chiede.

Tuttavia avrò occasione di dimostrare che la convenzione italo-austriaca è composta di due parti nettamente distinte: una, in cui il Governo italiano, con le sue leggi, nella sua sovranità, riconferma impegni espressi già meno formalmente, anche in sede internazionale; la seconda, che riguarda veramente rapporti internazionali, perché quando si parla di consultare – badate bene – solo consultare, anche il Governo austriaco circa la questione delle opzioni, si parla di consultarlo sopra un rapporto internazionale creato da un malaugurato accordo Mussolini-Hitler. E poiché più di 50.000 di questi optanti, scacciati in parte dalla Cecoslovacchia, risiedono in Austria, e sono in questo momento senza cittadinanza, era naturale, era logico, era un elemento costitutivo di collaborazione e di fede in questa collaborazione che si dicesse: consulteremo anche il Governo austriaco.

Oltre questa questione, altre di carattere internazionale sono accennate nei rapporti fra l’Austria e l’Italia. Ulteriori precisazioni, mi permetta l’onorevole Nitti di dargliele nella Commissione dei trattati.

Devo aggiungere che è vero, come ha accennato l’onorevole Sforza, che la Conferenza ha preso atto con piacere di questo accordo intervenuto. Con ciò ha dato una registrazione, diciamo così, che può avere un certo aspetto internazionale. Ebbene, io dico, che questa è la via nuova, su cui bisogna marciare, perché è il cammino verso le forme della nuova democrazia internazionale. (Applausi generali).

Colgo l’occasione per dire all’onorevole Sforza una parola di ringraziamento per avere egli elevato il nostro sguardo verso i problemi maggiori ed internazionali e per ringraziarlo anche per la dignità, per la forza, per l’efficacia con cui egli ha svolto la sua missione presso i fratelli dell’America latina, interprete dei nostri sentimenti, che oggi voglio confermare come un vincolo presente, come una speranza dell’avvenire. (Applausi).

PRESIDENTE. Comunico che sull’ordine del giorno Meda ed altri accettato dal Governo è stata chiesta la votazione per appello nominale, dai seguenti deputati: Taviani, Meda, Bubbio, Galati, Castelli Edgardo, Ferrario Celestino, De Unterrichter Jervolino Maria, Zaccagnini, Federici Maria, Fantoni, Coccia, Balduzzi, Roselli, Montini, Ambrosini, Avanzini, Cavalli.

Procediamo alla votazione per appello nominale. Chi approva l’ordine del giorno risponderà ; chi non l’approva risponderà no.

Estraggo a sorte il nome del Deputato dal quale comincerà la chiama.

La chiama comincerà dall’onorevole Ayroldi.

Si faccia la chiama.

MOLINELLI, Segretario, fa la chiama.

Rispondono sì:

Adonnino – Alberti – Aldisio – Amadei – Ambrosini – Andreotti – Angelini – Angelucci – Arcaini – Arcangeli – Assennato – Avanzini – Azzi.

Bacciconi – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bardini – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basso – Battisti – Bei Adele – Bellato – Bellusci – Belotti – Bennani – Benvenuti – Bernini Ferdinando – Bertini Giovanni – Bertola – Bertone – Biagioni – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Binni – Bitossi – Bocconi – Bolognesi – Bonfantini – Bonomelli – Bonomi Paolo – Bordon – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bosi – Bovetti – Braschi – Brusasca – Bubbio – Bucci – Bulloni Pietro – Burato.

Caccuri – Caiati – Cairo – Caldera – Camangi – Camposarcuno – Canepa – Canevari – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Caprani – Carbonari – Carboni – Carignani – Caristia – Carmagnola – Carpano Maglioli – Carratelli – Cartia – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Cavallari – Cavalli – Cerreti – Chatrian – Chiaramello – Chieffi – Chiostergi – Ciccolungo – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colombo Emilio – Conci Elisabetta – Conti – Coppi Alessandro – Corazzin – Corbi – Corsanego – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo.

D’Agata – Damiani – D’Amico Diego – D’Aragona – De Caro Gerardo – De Filpo – De Gasperi – Del Curto – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – D’Onofrio – Dossetti.

Ermini.

Fabriani – Facchinetti – Falchi – Fanfani – Fantoni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Filippini – Fioritto – Flecchia – Fogagnolo – Foresi – Fornara – Froggio – Fuschini.

Gabrieli – Galati – Garlato – Gavina – Germano – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Ghidini – Giolitti – Giordani – Giua – Gonella – Gorreri – Gortani – Gotelli Angela – Grazi Enrico – Grazia Verenin – Grilli – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Imperiale.

Jacini – Jacometti – Jervolino.

Laconi – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Leone Francesco – Leone Giovanni – Lettieri – Li Causi – Lizier – Lombardi Giovanni – Lombardo Matteo Ivan – Longo – Lopardi – Lozza – Lupis.

Macrelli – Magnani – Malagugini – Maltagliati – Mancini – Mannironi – Marazza – Marconi – Mariani Enrico – Martinelli – Martino Enrico – Marzarotto – Massini – Massola – Mastino Gesumino – Mattarella – Mattei Teresa – Matteotti Carlo – Meda Luigi – Medi Enrico – Mentasti – Merighi – Micheli – Minio – Molinelli – Momigliano – Montagnana Rita – Montalbano – Monterisi – Monticelli – Montini – Moranino – Morelli Luigi – Morini – Moro – Mortati – Moscatelli – Murgia – Musolino – Musotto.

Nasi – Natoli Lamantea – Nenni – Nicotra Maria – Nobile Umberto – Nobili Oro – Notarianni – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pajetta Gian Carlo – Pallastrelli – Paolucci – Paratore – Parri – Pastore Giulio – Pecorari – Pella – Pellizzari – Perassi – Perlingieri – Persico – Pertini Sandro – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pignedoli – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Ponti – Pressinotti – Preti – Priolo – Proia – Pucci.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Raimondi – Rapelli – Ravagnan – Recca – Rescigno – Restagno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodinò Ugo – Romano – Romita – Roselli – Rossi Paolo – Ruggeri Luigi – Ruini – Rumor.

Saccenti – Saggin – Salerno – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Santi – Scalfaro – Scelba – Scoca – Scoccimarro – Segala– Segni – Sereni – Sforza – Siles – Silipo – Silone – Simonini – Spataro – Stampacchia – Storchi – Sullo Fiorentino.

Tambroni – Targetti – Taviani – Terracini – Terranova – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Togni – Tomba – Tonello – Tosato – Tosi – Treves – Trimarchi – Tupini – Turco.

Uberti.

Vanoni – Vernocchi – Viale – Vicentini – Vigo – Villani – Vischioni – Volpe.

Zaccagnini – Zanardi – Zannerini.

Rispondono no:

Abozzi.

Bellavista – Bencivenga – Benedetti – Bergamini – Bonino – Bozzi – Bruni.

Calamandrei – Candela – Capua – Caroleo – Castiglia – Cianca – Cicerone – Cifaldi – Codignola – Colonna di Paliano – Condorelli – Coppa Ezio – Corsini – Cortese – Crispo.

De Caro Raffaele – De Falco.

Fabbri – Finocchiaro Aprile – Foa – Fresa – Fusco.

Giannini.

Lombardi Riccardo – Lucifero – Lussu.

Marinaro – Martino Gaetano – Mastino Pietro – Mastrojanni – Mazza – Miccolis.

Nitti.

Patricolo – Patrissi – Perrone Capano – Perugi – Preziosi – Puoti.

Quintieri Quinto.

Reale Vito – Rodi – Rodinò Mario – Russo Perez.

Schiavetti.

Tieri Vincenzo.

Valiani – Venditti – Vilardi – Villabruna.

 

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione per appello nominale:

Presenti e votanti     389

Maggioranza           195

Rispondono sì         331

Rispondono no.       58

(L’ordine del giorno è approvato).

PRESIDENTE. Si dovrebbe procedere ora alla votazione sull’ordine del giorno Finocchiaro Aprile; ma, non essendo presente il proponente, s’intende che abbia rinunciato a farlo porre in votazione.

L’onorevole Damiani, che aveva mantenuto il suo ordine del giorno, ha annunziato di convertirlo in raccomandazione.

Sull’ordine del giorno.

PRESIDENTE. Sull’ordine del giorno ha chiesto di parlare l’onorevole Bellavista. Ne ha facoltà.

BELLAVISTA. Nella tornata del 21 settembre ho presentata un’interpellanza, così concepita:

«Al Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere se rientrano nella disciplina del recente decreto sull’attribuzione delle terre incolte quei terreni nei quali i mezzadri, sulla istigazione della Federterra, abbiano, senza giustificato motivo, interrotte o non iniziate le colture autunnali al solo scopo fazioso di creare artificiosamente una situazione di fatto che, cogliendo di sorpresa i proprietari, possa determinare i presupposti per la spoliazione e l’annullamento del diritto di proprietà».

Avevo chiesto che ne fosse dichiarata l’urgenza e l’onorevole Presidente aveva domandato al Governo rappresentato, nella contumacia generale, dal Ministro delle finanze, onorevole Scoccimarro, in quale data il Governo avrebbe risposto all’interpellanza stessa. L’onorevole Ministro delle finanze dichiarò che il Governo si riservava di fissare la data nella prossima seduta, la quale si sarebbe avuta di martedì. Ho atteso martedì e mercoledì e speravo che, almeno nelle sue dichiarazioni, il Presidente del Consiglio, come ha fatto per l’onorevole Caroleo, avrebbe risposto anche alla mia interpellanza: ciò che non è avvenuto.

Chiedo quindi che dal Governo sia fissata la data della discussione per l’interpellanza stessa, tenendo presenti i motivi di urgenza che ho segnalati.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Presidente del Consiglio.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri. Confesso che l’interpellanza mi è sfuggita. Sulla questione ho già risposto in termini generali, ma il caso specifico non l’avevo presente. Ora non posso improvvisare sull’argomento. La competenza specifica è del Ministro dell’agricoltura. Comunque mi riservo di rispondere nella prossima riunione, dopo raccolti gli opportuni elementi.

Svolgimento di interrogazione.

ASSENNATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ASSENNATO. Ieri ho presentata insieme con i colleghi Vernocchi, Pacciardi, Lussu e Pellizzari la seguente interrogazione per la quale avevo chiesto la risposta di urgenza:

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, Ministro degli affari esteri, per sapere se è consentito al Console di uno Stato straniero di sollecitare ed ottenere l’arresto di suoi compatrioti rifugiatisi in territorio italiano in cerca di asilo, essendo perseguitati politici, con riferimento all’arresto di patrioti greci, praticato in Bari, in ispregio al più tradizionale principio democratico, del quale la nuova democrazia repubblicana deve essere gelosa custode».

L’onorevole Presidente del Consiglio ha promesso di assumere informazioni e di comunicarle nella seduta di oggi.

PRESIDENTE. L’onorevole Presidente del Consiglio ha facoltà di rispondere.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri. Da informazioni telefoniche assunte ieri sera e questa mattina risulta che si tratta di 25 greci internati nel campo di Fossoli perché mancanti del permesso di soggiorno. È questo uno dei tanti episodi degli stranieri che soggiornano in Italia. In seguito ad atti di indisciplina da essi commessi ed anche perché alcuni di essi avevano fatte insistenze per rimpatriare, questi greci vennero tradotti a Bari per l’imbarco. Qui 11 si imbarcarono e gli altri rifiutarono.

Il Console greco non intervenne per il loro rimpatrio; ma dichiarò di non poterli assistere. Non c’è nessuna documentazione ch’egli sia intervenuto in un senso o nell’altro; egli ha detto semplicemente: «Non è affar mio; se vogliono rimanere qui, non sono in grado di dar loro assistenza». Allora, provvisoriamente, sono stati ricoverati in un campo dell’UNRRA. Di essi due si sono ammalati e sono stati ricoverati all’ospedale; sei sono fuggiti e sono ancora irreperibili, e sei sono stati trattenuti nel campo, in attesa di ordini: così dice il prefetto.

Che cosa dobbiamo fare? Se dichiarano di voler rimpatriare, sono liberi di farlo; se dichiarano di non voler rimpatriare, in base ad una direttiva che ci è imposta dall’autorità tutelare di armistizio, non possiamo intervenire con la forza negando l’ospitalità a questi stranieri. Questo vale per tutti in generale. Disgraziatamente ne abbiamo parecchie diecine di migliaia in Italia in questa situazione. Dobbiamo attendere la cessazione di questi rapporti di armistizio per poter intervenire liberamente.

Riguardo, dunque, a questi sei greci, la questura esaminerà se vi sono le premesse per concedere loro libero soggiorno: se lo potrà concedere, lo farà; altrimenti non resta che rinviarli al campo di Fossoli, perché questa è l’unica maniera in cui possiamo intervenire assumendosi le spese per il loro mantenimento. Circa il campo di Fossoli non ho nessuna notizia diretta, ma chi l’ha visto mi assicura che fra i campi – tutti i campi sono deplorevoli – questo sia tollerabile.

In ogni caso, il fatto è limitato a queste circostanze fondamentali: nessuno sforzo né da parte nostra, né da parte del Console per farli rimpatriare; ma d’altro canto la necessità di prendere dei provvedimenti: o noi riteniamo che sono degni di soggiorno, il che vuol dire che hanno i mezzi per vivere e che non vanno ad aumentare il numero già grande di quelli che devono ricorrere al mercato nero per poter campare, e allora si dà loro il permesso di soggiorno; altrimenti bisognerà pensare per questo periodo provvisorio – che speriamo non sarà lunghissimo – a provvedere al loro mantenimento; e noi non abbiamo la possibilità di farlo in altra forma se non coi campi, che sono forniti di cucine economiche che possono far fronte a questi bisogni.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

ASSENNATO. Mi duole di intrattenere l’Assemblea che è in attesa di sciogliersi, ma l’argomento è importante, specialmente per la città di Bari. Un nugolo di fuorusciti fascisti di ogni contrada vive, vegeta ed opera e insidia la lira che dovete difendere; proprio nella piazza principale di Bari i rigurgiti di tutti i fascismi internazionali, liberi e rispettati, lavorano sotto gli occhi della questura, di tutte le autorità e nessuno si occupa di dar loro disturbo.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri. Questo è un problema generale.

ASSENNATO. Si hanno questi scrupoli solo per un ristretto numero di cittadini greci che, avendo accettato di rientrare in patria, provenienti dai posti di confino o di concentramento tedeschi, essendo stati combattenti per la libertà e braccati dai tedeschi, sono stati incanalati attraverso Bari per tornare al loro Paese. Dopo il referendum e dopo le vicende tristi che si svolgono in Grecia e che hanno reso indegno quel Paese di poter partecipare anche alla conferenza dei sindacati (Commenti – Interruzioni) soltanto nei confronti di questi cittadini, difensori e combattenti per la libertà, la questura ha ritenuto di procedere ad indagini, previa carcerazione; mentre tutti gli altri operano vendendo valute, comprando oro, giocando sulla lira, speculando sui traffici più svariati, tutti di carattere illecito. Questa preoccupazione si verifica soltanto per i cittadini greci.

Onorevole Presidente del Consiglio, a noi, specialmente come pugliesi, i cittadini greci sono molto cari. Nella Puglia c’è una consuetudine di rapporti con la Grecia per cui ogni anno partivano dei contadini di Bitonto, esperti potatori di olivi, per recarsi in Grecia e intrattenersi coi lavoratori greci per insegnar loro quel sistema di operare la potatura. Sotto l’auspicio simbolico di quella fronda di olivo, noi vogliamo che il popolo italiano, dopo che è stato trascinato in una guerra di invasione e di distruzione, in Grecia, dove i combattenti per la libertà hanno fatto onore a se stessi, opponendo la serena fermezza di fronte al piombo e pronunciando una parola che rievoca quelle care al cuore degli italiani «tiremm’innanz», il popolo italiano riprenda i rapporti col popolo greco.

Se nel preambolo della progettata Costituzione francese c’è l’assicurazione che ogni cittadino di ogni contrada, che sia perseguitato per ragioni di libertà, deve trovare ospitalità nel suolo francese, noi abbiamo il dovere verso la Grecia, prima ancora di stipulare ogni forma scritta di Costituzione, di praticare questa ospitalità. Il minimo che l’Italia può fare dopo tanta devastazione è di proteggere quei poveri che sentono il pericolo al quale devono essere trascinati con un viaggio che non desiderano. L’indesiderabilità è segnalata da altre autorità e la nostra questura segue solerte queste indicazioni di indesiderabilità nei confronti dei greci, mentre esistono tuttora fascisti che piovono da varie parti a Bari o in altre città. (Rumori Interruzioni).

Noi vogliamo che dai banchi dell’Assemblea repubblicana italiana, dai banchi, della Costituente parta un fervido, amoroso, fraterno saluto perché la Grecia riabbia un giorno la sua libertà. (Applausi a sinistra). Vorrei pregare, a titolo di raccomandazione, che questi cittadini arrestati siano posti in libertà, non parendomi che, a rigore di legge, durante le indagini o le istruzioni essi debbano restare detenuti.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri. Mi associo a queste parole nella loro tendenza umanitaria e anche libertaria; aggiungo però il vivo desiderio che le autorità greche, di qualunque colore esse siano, si ricordino anche dei molti trattenuti italiani che ancora in Grecia aspettano la liberazione. (Applausi).

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere se non ritenga opportuno, dinanzi all’imperioso problema della valorizzazione delle terre, di procedere ad una sistemazione delle famiglie coloniche, rimpatriate in seguito alla occupazione della Libia in condizioni miserevoli e non più sostenute dalla speranza di poter tornare nei poderi e nelle case che hanno dovuto abbandonare.

«Si segnala anche l’opportunità, da parte del Ministero dell’agricoltura e delle foreste, di avvalersi dell’opera dell’Ente per la colonizzazione della Libia, allo scopo di provvedere alla trasformazione fondiario-agraria dei terreni incolti da assegnare. L’Ente, che dispone di una sede centrale in Roma, di attrezzatura tecnica adatta, e di personale specializzato, può dare ogni affidamento per il sicuro raggiungimento dei fini sociali e politici che il Governo si propone.

«Si aggiunge infine che fra le famiglie coloniche rimpatriate, molte appartengono alle terre di Puglia, dove il problema si presenta, nel momento attuale, con caratteri di particolare gravità ed urgenza.

«Di Fausto».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere per quali motivi l’Amministrazione delle ferrovie dello Stato non concede a tutti i propri dipendenti che prestano servizio nella città di Napoli la speciale indennità di «località sinistrata».

«Pare che per una particolare interpretazione data all’articolo 4 del decreto legislativo luogotenenziale 11 gennaio 1946, n. 18, detta indennità viene negata a quei ferrovieri che, pur prestando servizio a Napoli, son costretti ad abitare nei comuni circostanti la città per la ben nota mancanza degli alloggi.

«Questi lavoratori, oltre a subire il disagio fisico e finanziario di portarsi quotidianamente sul posto di lavoro dai comuni di attuale residenza, coprendo una distanza maggiore di quella dei loro colleghi residenti in città, debbono subire anche il non lieve danno di vedersi privati della indennità di «località sinistrata».

«Puoti».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro del tesoro, per conoscere se non ritenga doveroso estendere anche ai pensionati il premio della Repubblica testé concesso agli statali, riconoscendo che anche i pensionati fanno parte delle forze del lavoro e quindi degli aventi diritto al premio stesso.

«Perrone Capano».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno, per sapere se – nell’interesse ed a salvaguardia della dignità dello sport nazionale – non ritenga necessario far cessare lo scandalo della monopolizzazione del totalizzatore del giuoco del calcio da parte ed a favore d’una società privata – la S.I.S.A.L. – la quale si è in tal modo assicurato – senza alea e rischio alcuno – il lucro ingiustificato di parecchi milioni alla settimana, mentre elementari ragioni di opportunità e di giustizia richiedono che gl’ingenti guadagni siano interamente devoluti alle società calcistiche, benemerite organizzatrici in perdita di quegli spettacoli, che il totalizzatore sfrutta; e ciò allo scopo di rendere meno pesanti i bilanci di dette società; possibile, nel contempo, la diminuzione dei prezzi d’ingresso agli stadi e, conseguentemente, più agevole alle classi meno abbienti l’assistere alle manifestazioni del popolarissimo giuoco.

«Morini, Cairo, Amadei».

«I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri di grazia e giustizia, del tesoro e delle finanze, per sapere:

1°) se non si intendano dare precise disposizioni per una immediata liquidazione degli assegni di congrua ai parroci. Risulta per vero che molte pratiche di congrua da tempo e da anni trasmesse ai competenti uffici centrali sono tuttora inevase e che scarso esito hanno avuto i ripetuti solleciti all’uopo presentati;

2°) se non intendano procedere alla riforma ed al miglioramento degli assegni di congrua. Tali assegni sono per vero oggi irrisori e tali da non consentire la benché minima possibilità di vita.

«Si impone quindi un immediato intervento che altro non costituirebbe che opera di doverosa giustizia riparatrice sovrattutto avendo riguardo al fatto che qualunque aumento economico non conguaglierebbe che parte degli interessi delle somme e dei beni a suo tempo incamerati al clero.

«Né può essere dimenticata la disagiata posizione del clero di montagna che nella lotta di liberazione ebbe a subire gravi rappresaglie e danni ingentissimi.

«Bovetti, Cremaschi, Arcaini, Raimondi, Belotti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere:

1°) quali provvedimenti intenda prendere per mettere i Provveditorati regionali in condizioni di corrispondere alle esigenze richieste dal piano nazionale della ricostruzione;

2°) in particolare, se non creda necessario evitare, anzitutto, cambiamenti di programma, finora avvenuti con eccessiva frequenza, ed anche non giustificati mutamenti nel personale direttivo dei Provveditorati stessi;

3°) se non ravvisi la necessità urgente di aumentare il personale tecnico di ruolo dei Provveditorati regionali delle opere pubbliche, oggi assolutamente insufficiente di numero, migliorandone altresì il trattamento economico, in considerazione anche che esso si trova in contatto quotidiano con imprenditori di lavoro avidi di guadagni smodati, e spesso di pochi scrupoli morali;

4°) quali provvedimenti intenda prendere per assicurare che i fondi stanziati in bilancio siano impiegati solo in lavori che tornino veramente utili al Paese, per la sua rinascita economica o per la pubblica igiene;

5°) se non creda debba porsi termine al sistema di concedere, per fronteggiare la disoccupazione, anziché lavori di importanza immediata, altri non necessari, e talvolta perfino dannosi perché eseguiti intempestivamente, come ad esempio i lavori di sgombero e di demolizione su aree private, indipendentemente dalla ricostruzione degli edifici distrutti, e fuori dei casi di muri pericolanti compromettenti la pubblica incolumità; o anche lavori per movimento di terra relativi a strade di nessuna utilità presente;

6°) se non ritenga che debba abbandonarsi il sistema di pagamento delle imprese a rimborso di spese, che si risolve in un indebito arricchimento delle imprese stesse, che non hanno alcun interesse al compimento dei lavori loro affidati, e perciò incoraggiano gli operai a lavorare svogliatamente, cosa che questi fanno anche perché consapevoli della poca utilità dei lavori stessi;

7°) se è esatto che col sistema anzidetto, seguito in 50 cantieri nell’ambito del comune di Roma, si sperpera senza alcun beneficio, tranne che per gli appaltatori, un miliardo e un terzo al mese, che potrebbe essere utilmente speso per ricostruzione di case o per lavori di irrigazione o bonifica;

8°) se non ritenga opportuno che almeno i più giovani degli operai non qualificati attualmente impiegati nei cantieri di Roma, spesso in condizioni demoralizzanti, pur continuando a corrispondere loro la paga, frequentino una scuola professionale, che li metta in condizione di venire utilmente impiegati nei lavori di ricostruzione del Paese;

9°) se, infine, non ravvisi l’opportunità di selezionare, mediante concorsi, il numeroso personale avventizio tecnico del Genio civile, migliorandone anche il trattamento economico.

«Nobile».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se non ritenga opportuno e conveniente istituire, almeno nelle università più importanti, cattedre di ruolo per l’insegnamento del diritto processuale penale.

«Riconosciuta nel 1938 l’autonomia didattica, necessario completamento dell’autonomia legislativa e scientifica, della procedura penale, vennero sdoppiate le cattedre, e tutti i titolari del già cumulato insegnamento del diritto e della procedura penale mantennero la cattedra di diritto penale. In atto un solo posto di ruolo nella Università di Roma è destinato all’insegnamento della procedura penale, né si sono banditi concorsi a cattedre di procedura penale. Trattandosi di insegnamento eminentemente professionale ed al fine di non arrestarne il progresso scientifico, così favorevolmente iniziatosi nell’ultimo trentennio, si invoca l’intervento del Ministro, nel senso desiderato dagli interroganti.

«Riccio Stefano, Martino Gaetano, La Malfa, Tosato, Gullo Rocco, Castiglia, Natoli, Bellavista, Candela, Leone Giovanni, Condorelli, Bonino, Moro, Perrone Capano, Vigo, Pignedoli, Salvatore, Borsellino, Villabruna, Bozzi».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere se non crede di venire incontro ai bisogni della popolazione di Barcis (Udine), in gran parte disoccupata e alla quale, in seguito agli eventi di guerra, furono distrutte o gravemente danneggiate ben 155 case sulle 219 esistenti nel comune, ordinando l’immediata esecuzione dei lavori di sistemazione montana del Rio Galtea, preventivati con una spesa di 5 milioni di lire e quelli del Rio Pentina per un importo di 3 milioni di lire, lavori pei quali sono pronti i progetti esecutivi presso il Corpo forestale di Udine. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Piemonte».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere per quali motivi non è stato fino ad ora, dopo due anni, provveduto al pagamento della quota integrativa di lire 150 per quintale stabilita per il grano consegnato agli ammassi nell’annata agraria 1943-44. Il Banco di Napoli, sede di Foggia e filiali, risponde che il pagamento non viene effettuato perché a suo tempo venne ad anticipare una somma superiore a quella messa a disposizione del Governo, il quale non ha provveduto a coprire lo scoperto e rimettere altri fondi necessari. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Miccolis».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro del tesoro, per conoscere se non ritenga opportuno che sia disposta la corresponsione anche ai pensionati del premio della Repubblica già concesso agli impiegati statali.

«Richiesta in tal senso è stata già avanzata dal Sindacato dei pensionati delle Puglie. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Monterisi, De Maria, Caccuri».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro del tesoro, per conoscere quali provvedimenti intenda adottare per sollecitare la procedura per la concessione delle pensioni di guerra; procedura lunga, laboriosa, snervante che dura, talvolta, per anni ed anni, mentre, nel frattempo, gli aventi diritto muoiono di fame. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«D’Amico Diego».

«Il sottoscritto  chiede di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro di grazia e giustizia, per sapere se il Governo intenda prorogare ulteriormente il blocco delle locazioni degli immobili urbani ed in particolare:

  1. a) se intenda mantenere la proroga delle locazioni degli appartamenti destinati ad abitazione apportando un aumento superiore a quello stabilito con il decreto legislativo luogotenenziale 12 ottobre 1945 e più proporzionato agli aumenti subiti da tutti i beni economici, compresi quelli razionati;
  2. b) se intenda lasciare liberi i canoni degli immobili non destinati ad abitazione eliminando così l’immorale sfruttamento del blocco da parte degli esercenti e commercianti che, mentre eserciscono liberamente i loro negozi praticando prezzi di mercato attuali, pagano fitti sperequati con danno del privato locatore di immobili e dello Stato che con l’aumento dei fitti potrebbe realizzare i più forti proventi di imposte. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Trimarchi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere se non ritenga necessario, a parziale rimedio della fortissima disoccupazione esistente nel comune di Prato Carnico (Udine), la cui popolazione, in tempi normali, emigra nella proporzione di più del 25 per cento, dar corso subito ai lavori di sistemazione previsti in quel comune dal Corpo forestale di Udine, per un ammontare di lire 1.635.000, ed i cui progetti esecutivi sono pronti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Piemonte».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere se non intenda contribuire a dar lavoro ai numerosissimi disoccupati del comune di Arta (Udine), la cui popolazione valida in gran parte emigrava prima della guerra, col dare subito mano ai lavori di sistemazione montana del Rio Squasse; lavori per i quali il Corpo forestale di Udine ha apprestato i progetti esecutivi e che ammontano a 700.000 lire di spesa. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Piemonte».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere se creda di dar immediato corso ai lavori di sistemazione montana del Rio Sgolvais per un importo di 5.375.000 lire e della Frana Pradalle per un importo di 1.000.000 di lire, lutti in comune di Paluzza (Udine) ove i disoccupati sono numerosissimi non essendo ancora possibile la ripresa della consueta corrente d’emigrazione temporanea. Il provvedimento richiesto appare tanto più consigliabile in quanto detti lavori corrispondono ad un’alta e vera utilità generale e che i relativi progetti sono pronti presso il Corpo forestale di Udine. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Piemonte».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

L’ordine del giorno è così esaurito. L’Assemblea sarà convocata a domicilio.

La sedata termina alle 19.25.

MERCOLEDÌ 25 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

XXIII.

SEDUTA DI MERCOLEDÌ 25 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SARAGAT

indi

DEL VICEPRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Sul processo verbale:

Lucifero                                                                                                           

Cappa, Sottosegretario di Stato per la Presidenza

del Consiglio dei Ministri                                                                                    

Presidente                                                                                                        

Congedo:

Presidente                                                                                                        

Comunicazioni del Presidente:

Presidente                                                                                                        

Comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri (Seguito della discussione):

Presidente                                                                                                        

Marinaro                                                                                                         

Scoccimarro, Ministro delle finanze                                                                  

Perrone Capano                                                                                              

Finocchiaro Aprile                                                                                         

Benedetti                                                                                                         

Bertone, Ministro del tesoro                                                                              

Interrogazioni e interpellanze (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri,

Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri                                            

La seduta comincia alle 16.

MATTEI TERESA, Segretaria, legge il processo verbale della seduta precedente.

Sul processo verbale.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare sul processo verbale l’onorevole Lucifero. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Signor Presidente, mi rivolgo a lei, ancora prima che agli onorevoli colleghi, perché la questione che io sollevo sul verbale della seduta di ieri e su una frase dell’onorevole Presidente del Consiglio è una questione che investe la dignità e la potestà di tutta la nostra Assemblea, di ciascuno di noi e di tutti noi come maggior corpo rappresentativo del Paese.

M’era già venuto un sospetto, uno strano sospetto – tra le tante strane cose alle quali assisto da qualche tempo in Italia – durante le ultime dichiarazioni del Presidente del Consiglio, che hanno dato luogo alla discussione che si va svolgendo; e ciò allorquando l’onorevole Presidente disse: «Credo con questo di aver risposto alle varie interpellanze che mi sono state rivolte». Ma pensai di aver capito male; se non che ieri sera, in occasione di una interpellanza di urgenza, per gravissime cose, rivolta dall’onorevole Caroleo al Presidente del Consiglio, questi rispose: «Risponderò domani nelle mie dichiarazioni». Allora io non avevo capito male; ma, se io non avevo capito male, mi perdoni l’onorevole Presidente del Consiglio che è assente, e mi rivolgo al suo Sottosegretario, mio carissimo amico, allora male ha inteso la funzione della interpellanza l’onorevole Presidente del Consiglio.

L’interpellanza è una facoltà data ai rappresentanti del popolo di aprire una discussione su di un determinato argomento: il che significa di poter anche provocare un voto trasformandola in mozione. La disinvolta manovra dell’onorevole Presidente del Consiglio di eludere questa specifica funzione della interpellanza, rispondendo elegantemente nelle sue dichiarazioni di Governo agli interpellanti, evitando così una discussione specifica che un rappresentante del Paese ha richiesto, nell’interesse del Paese, ed in secondo luogo evitando la possibilità di un voto che potrebbe essere richiesto non da colui che ha presentato l’interpellanza, ma da qualunque membro di questa Assemblea che la facesse sua, questa disinvolta manovra non può essere accettata dai rappresentanti alla Costituente; perché quando noi rivolgiamo una interpellanza al Presidente del Consiglio, noi la rivolgiamo perché intendiamo che l’attenzione dell’Assemblea e del Governo sia richiamata su determinati problemi, e perché desideriamo che qualunque rappresentante dell’Assemblea possa partecipare a questa discussione.

Si vogliono evitare discussioni che spesso sono gravissime, forse per non sentirsi dire cose che già si sanno; e questo valga per l’interpellanza dell’onorevole Caroleo di ieri, perché gravi sono le responsabilità di un membro del Governo nei falli che questa interpellanza denuncia e valga, anche per l’interpellanza presentata dall’onorevole Cortese e da me, forse perché non si voleva sentir dire, per esempio, che la scoperta di un deposito di armi in casa di un Tizio in provincia di Parma, a Soragna, fu oggetto di deplorazione da parte del prefetto di Parma, il quale prefetto si oppose a che si reperissero le armi in casa di un privato cittadino.

Una voce. Non è vero!

LUCIFERO. Il prefetto è tuttora al suo posto; e questa è una gravissima responsabilità dell’onorevole Presidente del Consiglio e Ministro dell’interno, il quale, per non sentirsi dire queste cose, evita le discussioni.

Io chiedo formalmente che si ripristini la sana e giusta tradizione parlamentare, che le interpellanze presentate dagli onorevoli deputati, di qualunque parte, vengano regolarmente discusse. La interpellanza è una facoltà che dà alla minoranza il diritto di richiamare l’attenzione su determinati problemi.

Qui sono state presentate interpellanze di grandissima importanza da parte di altri colleghi, anche di altra parte, come quella dell’onorevole Di Vittorio, che domandava chiarimenti sulle questioni dei prezzi e della alimentazione, che tanto interessano l’intero Paese; e perciò noi non vogliamo che si evitino le discussioni con queste eleganti manovre.

Noi preferiamo essere cafoni, ma poter dire chiaramente il nostro pensiero e poter discutere in sede competente i problemi che interessano il Paese. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Ne ha facoltà.

CAPPA, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Mi sembra che il collega Lucifero sia partito in guerra contro i mulini a vento. Ritengo che se il Presidente del Consiglio ha avvertito che potrebbe rispondere oggi sul contenuto della interpellanza Caroleo, in sede di dichiarazione di Governo, deve averlo fatto per venire incontro al desiderio dell’interpellante che la questione sia chiarita.

LUCIFERO. Ma che sia anche discussa!

CAPPA, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Se l’onorevole Caroleo e gli altri che hanno presentato una interpellanza intendono riservarsi il diritto di replica ed intendono che l’interpellanza sia oggetto di discussione da parte di coloro che vogliono parteciparvi, non avranno che da chiedere la discussione dell’interpellanza e il Governo si riserva di aderirvi.

LUCIFERO. Non è una concessione!

CAPPA, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. È un vostro diritto, siamo d’accordo.

PRESIDENTE. Vorrei dare lettura dell’articolo 123 del Regolamento della Camera:

«Dopo le spiegazioni date dal Governo, l’interpellante può dichiarare le ragioni per le quali egli sia o no soddisfatto.

«Qualora non sia soddisfatto e intenda promuovere una discussione sulle spiegazioni date dal Governo, deve presentare una mozione.

«Il Presidente ne darà lettura alla Camera.

«Se l’interpellante dichiara di non presentare alcuna mozione, qualsiasi Deputato può presentare una mozione sull’argomento, che ha fatto oggetto dell’interpellanza.

«Tra più mozioni si tien conto di quella sola che fu presentata prima di ogni altra».

In sostanza, dopo le dichiarazioni che farà il Presidente del Consiglio, qualora l’interpellante non sia soddisfatto, la procedura può svolgersi ugualmente.

LUCIFERO. Era proprio per la perfetta conoscenza che ho dell’articolo 123 che avevo sollevato la questione. La prassi nuova consiste nell’aver trasportato la discussione dell’interpellanza dal suo campo in un campo diverso, il che consente di strozzare ed abbreviare la discussione.

CAPPA, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Ma non è stato trasportato niente!

PRESIDENTE. Se non vi sono altre osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE comunica che ha chiesto congedo il Deputato Montagnana Mario.

concesso).

Comunicazioni del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che le Commissioni permanenti prima, seconda e terza per l’esame dei disegni di legge si sono riunite stamani ed hanno proceduto nel modo seguente alla loro costituzione:

prima Commissione: presidente Gronchi, vicepresidente D’Onofrio, segretario Carboni;

seconda Commissione: presidente La Malfa, vicepresidente Persico, segretario Pella;

terza Commissione: presidente Simonini, vicepresidente Corazzin, segretario Bei Adele.

La quarta Commissione si riunirà questa sera dopo la seduta dell’Assemblea.

Comunico che l’onorevole Longo, già assegnato alla prima Commissione permanente per l’esame dei disegni di legge, è stato assegnato alla quarta Commissione. Lo sostituisce nella prima l’onorevole Pucci, già assegnato alla quarta.

Così pure l’onorevole Bibolotti è passato dalla quarta alla terza Commissione e l’onorevole Massini dalla terza alla quarta.

L’onorevole Cifaldi si è dimesso da componente della Commissione per l’esame delle domande di autorizzazione a procedere in giudizio. È stato sostituito dall’onorevole Fusco.

Comunico infine che l’onorevole Benedetti si è dimesso da componente della Giunta per il Regolamento interno. Ho chiamato a sostituirlo l’onorevole Damiani.

Seguito della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.

PRESIDENTE. Ricordo che nella discussione di ieri è stata chiusa la discussione generale, riservando la parola ai presentatori di ordini del giorno e al Governo.

Ha facoltà di parlare l’onorevole Marinaro, il quale ha presentato il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea invita il Governo a dichiarare esattamente quale è la situazione del Tesoro, della circolazione ed in generale la situazione finanziaria».

MARINARO. Onorevoli colleghi, il mio intervento in questa discussione è stato suggerito da due motivi: primo: la mancata risposta da parte dell’onorevole Corbino a specifiche domande fattegli dall’onorevole Nitti; secondo: un accenno fatto dall’onorevole Negarville a proposito del mancato cambio della moneta. Ond’io ho tenuto conto degli elementi a mia conoscenza circa la situazione del tesoro e della finanza in genere, e son voluto intervenire in questa discussione per chiarire, secondo i dati in mio possesso, quale è la situazione che l’onorevole Corbino ha lasciato nell’abbandonare il Ministero del tesoro. E comincerò con l’accennare alla situazione della cassa. Corbino ha detto: «nel momento in cui io presi possesso del Ministero del tesoro trovai in cassa 15 miliardi».

Credo che tale cifra non sia esatta (sarò lieto se il Ministro del tesoro potrà precisarla). Secondo dati da me desunti dall’ultimo bollettino del tesoro (bollettino che l’onorevole Einaudi elogia spesso, ma che in verità non adempie in pieno alla sua funzione perché esce con molti mesi di ritardo; e difatti questi dati sono stati tratti dal bollettino del maggio che porta la situazione al 31 marzo) risulta che al 30 novembre, epoca in cui press’a poco l’onorevole Corbino s’insediò al Ministero del tesoro, in cassa erano 35 miliardi. Questa cifra ebbe degli alti e bassi, passò a 20 miliardi, poi a 24, poi ritornò a 35 fino a risultare, ai primi di agosto, di appena 2 miliardi e 800 milioni. In questi giorni pare che le disponibilità di cassa non superino i 7 o 8 miliardi. A questa situazione della cassa è connessa la situazione dei residui passivi, ai quali fece un fugace accenno, giorni addietro, l’onorevole La Malfa. Al 30 giugno 1945 i residui passivi ascendevano a circa 50 miliardi; pare che al 30 giugno 1946 essi siano saliti ad oltre 200 miliardi. Io non ho bisogno di dirvi quale preoccupazione desti il pagamento di questi residui passivi. Si tratta, come voi tutti ben sapete, di impegni a brevissima scadenza, di impegni cioè che si riferiscono a forniture, a lavori già eseguiti o ad altre cose del genere e che debbono tradursi in pagamenti da un momento all’altro. Ora io mi domando in quale situazione si trova oggi il Governo (avendo soltanto 7 o 8 miliardi in cassa) per far fronte al pagamento di questa ingente massa di residui passivi.

Sulla circolazione abbiamo avuto ieri qualche notizia dall’onorevole Einaudi. Sta di fatto che l’onorevole Corbino aveva ripetutamente affermato che la circolazione non era aumentata di una sola lira, e anche l’onorevole Pella aveva giorni addietro accennato a questa circostanza, traendone motivo di compiacimento con l’ex Ministro del tesoro.

Intanto io vedo che la circolazione, che al 30 novembre 1945, epoca in cui Corbino assunse la direzione del Ministero del tesoro, ascendeva a 390 miliardi, al 5 agosto ultimo scorso ascendeva a ben 474 miliardi.

L’onorevole Einaudi ha accennato alla cifra di 412 o 415 miliardi, ma evidentemente non ha tenuto conto dei debiti a vista, degli assegni e dei vaglia cambiari che la stessa situazione del Tesoro e anche quella della Banca d’Italia fanno ascendere a oltre 57 miliardi. Di guisa che complessivamente al 5 agosto la circolazione ascendeva a 474 miliardi. Vi era stato un impegno preciso, un impegno, direi quasi, d’onore da parte del Governo, di non aumentare la circolazione.

Questo impegno non è stato mantenuto, malgrado le spiegazioni, sulle quali non possiamo essere d’accordo, fornite ieri dall’onorevole Einaudi.

Io parto da dati ufficiali. Nel suo ultimo discorso alla Consulta il Ministro Ricci, prima di lasciare il Ministero del tesoro, disse che le am-lire in circolazione ascendevano a 81 miliardi. Trovo invece che, nella situazione al 5 agosto, esse ascendono a 96 miliardi e 700 milioni. Lo stesso Ministro Ricci, nella stessa occasione, comunicò che la circolazione cartacea ascendeva a 390 miliardi, mentre al 5 agosto è salita a 416 miliardi. L’onorevole Einaudi ha giustificato questo aumento della circolazione, che non è stato mai ammesso, anzi, implicitamente sempre smentito dall’onorevole Corbino, dicendo che 18 miliardi sono serviti per pagamenti agli alleati, 13 miliardi per gli ammassi e 17 miliardi per gli esportatori.

Signori, non possiamo convenire su queste giustificazioni. In questa maniera si può giustificare qualsiasi aumento di circolazione e io non vorrei che le dichiarazioni dell’onorevole Einaudi fossero un’anticipata giustificazione di futuri aumenti della circolazione, sulla qual cosa richiamo l’attenzione del Governo.

Vi è stata emissione di nuovi biglietti? Non c’è dubbio. Quanto alle am-lire, esse probabilmente sono state prelevate da altro fondo giacente presso la Banca d’Italia, e che non era compreso negli 81 maliardi denunciati dal Ministro Ricci. Ma la differenza fra 20 e 45, cifra alla quale siamo giunti oggi, indubbiamente costituisce effettivo aumento di biglietti che il Governo ha messo in circolazione, malgrado i suoi impegni in contrario e le sue molteplici rassicuranti dichiarazioni in proposito. Aumento, quindi, della circolazione di circa 45 miliardi, residui passivi da sistemare di oltre 200 miliardi.

Situazione dei depositi:

Una cifra precisa non è stata indicata dall’onorevole Einaudi. I depositi delle banche al 31 maggio 1946 ascendevano a 530 miliardi. A questa cifra è da aggiungere quella dei depositi e dei buoni postali per un ammontare complessivo di 103 miliardi.

Abbiamo così una cifra totale di depositi, fra bancari e postali, di 634 miliardi.

Vi indico queste cifre, onorevoli colleghi, perché penso che esse siano assai più eloquenti di qualsiasi commento sulla grave, anzi gravissima, situazione attuale della nostra tesoreria.

E quali furono i vari impieghi?

Intendo parlare degli impieghi verso lo Stato di aziende che raccolgono i risparmi.

Su questo punto le mie notizie non sono aggiornate; esse si fermano al 31 dicembre 1945. A tale data i titoli pubblici di proprietà delle Banche ascendevano a 133 miliardi; a questa cifra vanno sommati i conti correnti del Tesoro ed i conti correnti liberi e vincolati con la Banca d’Italia. Abbiamo così una somma complessiva di circa 294 miliardi, pari al 72 per cento dei depositi dei clienti. È, inoltre, da tener presente che tutti i depositi delle Casse postali sono affluiti allo Stato (circa 82 miliardi). Il totale, quindi, degli impieghi verso lo Stato delle aziende di credito e delle Casse postali ascendeva, alla detta data, a 376 miliardi, pari al 77 per cento di tutti i depositi; cosi come prevedeva l’onorevole Nitti, quando, l’altro giorno, accennava ai quattro quinti dei depositi bancari e postali utilizzati dallo Stato.

Complessivamente, con questi impieghi, il deposito fluttuante è salito a circa 680 miliardi. L’onorevole Pella mi pare abbia accennato alla cifra di 800 miliardi. La cifra esatta deve essere proprio quest’ultima, poiché io noto che nel conto del Tesoro non è scritturata la partita di 114 miliardi di am-lire, che, invece, figura nella situazione della Banca d’Italia. E difatti, 680 più 114 danno circa 800 miliardi che attualmente costituiscono il debito fluttuante dello Stato.

Credo opportuno farvi conoscere che al 31 dicembre 1943 il debito fluttuante ascendeva a 166 miliardi.

Il debito pubblico generale è salito a 1017 miliardi, secondo l’ultima situazione del Tesoro. Ma ad essi vanno aggiunti quei 114 miliardi cui ho or ora accennato e che costituiscono un debito dello Stato. Complessivamente, pertanto, il debito pubblico generale oggi ascende ad oltre 1130 miliardi.

In sostanza, signori, durante la gestione Corbino, la situazione del Tesoro ha subito queste variazioni: la circolazione monetaria è aumentata di circa 45 miliardi; i buoni del Tesoro ordinari da 173 miliardi sono saliti a 225 miliardi; il fondo di cassa da 35 miliardi è sceso, ai primi di agosto, a 2 miliardi e 800 milioni, per risalire poi a circa 7 miliardi, qual è oggi; i conti correnti delle banche, presso il Tesoro, sono saliti da 30 a 36 miliardi; i conti correnti delle banche presso la Banca d’Italia, e da questi passati al Tesoro, da 117 miliardi sono saliti a 130 miliardi.

E cosi, con i titoli di Stato di proprietà delle banche, abbiamo che lo Stato ha assorbito il 77 per cento dei depositi bancari e dei depositi postali.

Io domando a voi se questa situazione non debba essere giudicata estremamente pericolosa. Uno Stato che in cassa ha soltanto 6-7 miliardi, uno Stato che ha assorbito i depositi bancari e postali nella misura del 77 per cento e non ha un programma finanziario preciso, anzi, non ha alcun programma, indubbiamente, a mio avviso, va volontariamente verso l’abisso.

Voci: Esagerato!

MARINARO. L’onorevole Corbino è andato avanti servendosi della famosa ricetta del famoso dottor Couè. Egli ha fatto una politica di pura fiducia, di pura psicologia; non ha attuato un programma concreto; non ha attuato le misure indispensabili al risanamento della finanza. È andato avanti alla giornata; non ha fatto che una politica di cassa, di entrata e di uscita; e s’è trovato in una situazione che, effettivamente, non gli ha più consentito di resistere.

È inutile, in queste occasioni, spostare i termini della discussione; e cioè, da una discussione puramente tecnica passare a una discussione politica.

Io domando a voi se questa situazione, una volta a conoscenza del Paese, non sia una situazione tale, da destare estrema preoccupazione in tutti i cittadini.

Quando l’onorevole Einaudi dice che occorre incrementare il risparmio per salvare la situazione, mi vien fatto di osservare che nel popolo nasce la sfiducia, quando constata che i suoi risparmi vanno a finire tutti allo Stato, il quale, peraltro, li amministra e li utilizza malamente. (Interruzioni Commenti).

Una voce: Non è vero.

MARINARO. Che cosa succederebbe, se la emissione dei buoni del Tesoro ordinari, sui quali maggiormente confidava l’ex Ministro del tesoro, dovesse rallentarsi, in guisa che essa dovesse essere inferiore al rimborso che quotidianamente i possessori dei buoni stessi richiedono? Cosa succederebbe se un panico, determinato da cause impreviste, costringesse i depositanti a ritirare i loro depositi? (Commenti Interruzioni).

Una voce. Speriamo di no! Queste sono lamentazioni inutili.

MARINARO. Potrebbe accadere. Signori, è inutile farsi illusioni. Il bilancio di previsione presenta una voce passiva (Commenti): pagamento di stipendi agli impiegati, che assorbe e supera di oltre 10 miliardi tutte le entrate dello Stato.

SCOCCIMARRO, Ministro delle finanze. Non è vero!

MARINARO. I pagamenti degli stipendi ascendono ad oltre 150 miliardi, mentre le entrate previste ammontano a 148 miliardi (Interruzioni). Io domando al Ministro delle finanze…

Una voce. Venga ai rimedi; è inutile fare recriminazioni.

MARINARO. Io domando formalmente al Ministro delle finanze a quanto ascende l’importo complessivo degli stipendi degli statali, e se è vero che questa cifra supera tutte le entrate previste del bilancio preventivo relativo all’esercizio in corso.

SCOCCIMARRO. Ministro delle finanze. Rispondo subito.

PRESIDENTE. Potrà risponderà dopo, onorevole Ministro delle finanze, non adesso, Onorevole Marinaro, cerchi di concludere.

MARINARO. Si è accennato ai rimedi per fronteggiare questa situazione. A me pare che i rimedi ci siano.

Voci. Meno male! (Commenti).

MARINARO. È stata la vostra inazione che ha portato a questa situazione; è stata l’inattività del Ministro del tesoro e di quello delle finanze che ha portato a questa situazione; è stata la mancanza di un programma finanziario concreto che ha portato a questa situazione.

Non è possibile smentire che si è fatta fin qui una semplice politica di cassa che ha portato all’assorbimento di tutti i risparmi.

I rimedi, a mio avviso, ci sono. Bisogna innanzitutto adeguare le imposte ordinarie ai redditi attuali.

Una voce. Che scoperta!

MARINARO. E perché non lo avete fatto? Bisogna farlo subito.

Adeguate le imposte ai redditi, occorrerà compilare il bilancio ordinario, in modo che vi sia una perfetta rigorosa corrispondenza fra entrate ed uscite. (Commenti). Bisognerà, quindi, consolidare un tale bilancio, in modo che per un certo periodo di tempo (4-5 anni) non sia possibile effettuare alcuna spesa all’infuori o al di là del previsto.

PRESIDENTE. Onorevole Marinaro, la prego di concludere.

MARINARO. Il bilancio straordinario dovrà essere alimentato dalle entrate straordinarie, dalle entrate cioè provenienti dai soprafitti di guerra, dai profitti di regime e di congiuntura e servirà per la ricostruzione del Paese. Una volta sistemati i due bilanci in questa maniera, sarà possibile respirare. Ma è necessario, per. giungere a questo risultato, che si stabilisca una leale effettiva tregua politica e salariale. È necessario che il Governo abbia la possibilità di attuare, nell’ordine e nella calma, un sano, concreto, organico programma di risanamento finanziario. Messa così in ordine la nostra casa, potremo ottenere dall’estero quei crediti che potranno sistemare, in modo definitivo, la nostra finanza. (Commenti).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Ministro delle finanze. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO, Ministro delle finanze. Desidero dare una informazione all’onorevole Marinaro: il bilancio dello Stato prevede spese ordinarie per 209 miliardi ed entrate ordinarie per 270-280 miliardi. Non ho nulla di più da aggiungere.

MARINARO. Questi sono soltanto i dati di oggi.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Perrone-Capano, il quale ha presentato il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente, rilevato:

1°) che con la sostituzione del Ministro del tesoro la crisi che travaglia la odierna formazione governativa non è stata risolta;

2°) che le dichiarazioni del Presidente del Consiglio non tranquillizzano il Paese in ordine ai maggiori e più assillanti problemi di politica interna e trascurano le critiche più acute che sono state sollevate in merito alla politica finanziaria ed agricola del Governo stesso;

che, infine, la linea di condotta del Governo nei confronti dell’Assemblea tende a menomare e circoscrivere i poteri politici di quest’ultima;

esprime la sua sfiducia nel Governo e passa all’ordine del giorno».

PERRONE CAPANO. Onorevoli colleghi, non mi creo molte illusioni in merito alla possibilità di accoglimento del mio ordine del giorno, che ho presentato per due ragioni: la prima perché, avendo presentato prima dell’inizio di questa discussione numerose interpellanze e non avendo ricevuto le relative risposte, intendevo esprimere la mia insoddisfazione per questo fatto e protestare per il modo di procedere delle nostre discussioni. La seconda ragione è quella indicata nei vari capoversi del mio ordine del giorno. Noi siamo tutti d’accordo che l’Assemblea Costituente debba provvedere alla nuova Costituzione dello Stato; siamo tutti d’accordo, ormai, poiché la maggioranza lo ha deciso, che l’Assemblea Costituente debba avere anche delle potestà legislative. Non possiamo indubbiamente non essere tutti d’accordo del pari nel riconoscere che l’Assemblea Costituente è soprattutto un’Assemblea politica di fronte alla quale il Governo è responsabile di ogni suo atto, oltre che della sua politica generale. Ora, sta di fatto che, dall’apertura dei lavori dell’Assemblea Costituente sino ad oggi, sono state presentate numerosissime interpellanze, numerosissime dico, le quali hanno investito l’azione del Governo sotto molteplici e particolari aspetti.

Salvo qualche risposta di indole generale – e molto generale – intorno al contenuto di qualcuna di esse, non abbiamo avuto sino ad oggi l’onore di veder segnata all’ordine del giorno la discussione di una sola interpellanza e stiamo per veder chiusi i lavori di questa serie di tornate senza che si sappia se un giorno verrà in cui si darà risposta alla richieste rivolte al Governo per sapere, da esempio, che cosa intende fare del Codice di procedura civile, che cosa intende fare in merito alla riforma della giustizia penale; quali provvedimenti intende prendere al riguardo della epurazione nella pubblica sicurezza; quali provvedimenti intende prendere al riguardo delle invasioni di slavi che si verificano in Italia e in modo particolare in Puglia; quali provvedimenti intende prendere in merito ai continui diuturni sbarchi di armi, di dinamite e di esplosivi che avvengono lungo tutte le coste adriatiche e in modo particolare sulle coste pugliesi. Siamo, dicevo, alla chiusura della discussione e non ancora sappiamo se il giorno verrà in cui questi problemi saranno esaminati e queste richieste saranno soddisfatte e se il Governo affronterà la discussione delle relative interpellanze all’Assemblea Costituente.

È questa appunto la finalità precipua che mi sono proposta con l’ordine del giorno da me presentato e a questo riguardo desidererei subito una risposta precisa.

Ritornare poi a mettere in discussione tutto il contenuto dal dibattito che, in questi giorni si è svolto, assolutamente no; ma ancora qualche altra osservazione. Ora quando, onorevoli colleghi, noi vediamo che all’indomani della ripetuta dichiarazione di lealismo, della ripetuta dichiarazione di compattezza del Governo da parte dei partiti che lo compongono, L’Unità viene fuori con un articolo intitolato: «De Gasperi contro i contadini che occupano le terre incolte», noi abbiamo il diritto, onorevoli signori, di dire che ancora una volta il compromesso è fondato sull’equivoco e sulla slealtà, e che la politica di Filippo Argenti, «che in se medesimo si volgea coi denti», continua all’interno del Governo (Interruzioni Rumori) per travagliare la struttura parlamentare della triarchia, per travagliare la struttura dell’intero nostro Paese. (Applausi a destra Rumori a sinistra).

L’Unità, alla quale mi sono riferito, è del 22 settembre, dunque posteriore al giorno in cui l’onorevole Presidente del Consiglio ha parlato in questa aula per darci ad intendere che con la sostituzione del Ministro del tesoro la crisi è stata composta. La crisi non è stata composta, ed è ben lungi dall’esserlo, se è vero che si è sostituito un Ministro, ma non si è sradicato il male alle radici, e se è vero che quello stesso partito, il quale poteva prima a Parigi per bocca di Togliatti, e poi a Roma a mezzo di Reale, criticare nel profondo la politica estera del Governo, all’indomani del rinnovato patto col Partito Democratico Cristiano e col Partito Socialista può scrivere e scrive che De Gasperi, cioè il Presidente del Consiglio, cioè il Capo del Governo, di quello stesso Governo il quale dettava la circolare ai prefetti che dava le disposizioni in merito al modo concreto, serio e univoco col quale deve essere interpretata e messa in esecuzione la legge sulle terre incolte, era ed è contro i contadini; può, in altri termini, additare il Presidente del Consiglio come il nemico dell’opera che deve invece essere svolta per dare soddisfazione ai contadini.

Ora noi richiamiamo l’attenzione della Assemblea su questi fatti e diciamo che essi sono manifestazioni di una crisi perpetua niente affatto risolta.

E quando noi ci volgiamo a considerare l’azione che si sta svolgendo in tutti i settori dell’economia, noi constatiamo che il sistema è sempre lo stesso, si rinnova e si perpetua ogni giorno. Con una interpellanza specifica ho mosso, ad esempio, una concreta critica al Ministro dell’agricoltura per il decreto che ha convalidato i famosi decreti Gullo, e ho detto, non già che non si dovesse emettere un provvedimento il quale sanasse per avventura una situazione che s’era protratta per troppo tempo e che aveva determinata una frattura nell’interno delle categorie della agricoltura, ma un’altra cosa, la quale non cessa di essere oggi viva e vitale e di costituire essenzialmente un bisogno, un vivo bisogno della realtà politica nazionale.

Io affermo, signori, che nel campo della economia, prima di ricorrere ad una politica interventistica, la quale consacri dei colpi di testa o di mano, come più piaccia al Governo, in un senso o nell’altro, conviene che le categorie interessate alla risoluzione dei singoli problemi siano invitate a trattarli e a risolverli amichevolmente. E il Governò dovrà entrare in campo al momento opportuno con un suo provvedimento per consacrare gli accordi, o per dire la sua parola quando gli accordi non siano possibili. Nella specie che cosa è avvenuto? Esattamente questo: che un decreto, con una formula nuova, che mina alle basi principî fondamentali del diritto romano, validi anche nei nostri giorni… (Commenti).

Una voce. È troppo vecchio!

PERRONE CAPANO…. per i quali quello che è nullo, resta nullo, e non può essere convalidato, con una formula, dicevo, di tal genere, è intervenuto ad incidere di sua iniziativa nei rapporti tra due notevoli categorie di agricoltori che si erano messe d’accordo e avevano trovato per conto loro un punto di incontro – agricoltori e affittuari – e vi ha inciso peraltro in maniera affatto arbitraria e diversa da quella che era invece il contenuto degli accordi tra quelle due categorie raggiunti.

Per quanto riguarda, onorevoli colleghi, la questione della epurazione della pubblica sicurezza, leggiamo ogni giorno sui nostri giornali di tutti i colori, che vi sono ex partigiani entrati nella pubblica sicurezza, i quali si sono resi responsabili di rapine, come ad esempio abbiamo letto pochi giorni or sono di un tale Libertario Toccato, partigiano, arrestato a Milano quale rapinatore; abbiamo letto di un tale Dottor Rubino, capo della squadra mobile di Milano, trovato con le mani nel sacco perché complice degli incettatori di grano (Rumori Commenti); abbiamo letto di un commissario di pubblica sicurezza colto in flagrante a compiere atti di prevaricazione.

Il Governo non ha detto niente di fronte a tutto ciò che evidentemente esige provvedimenti repressivi non solo, ma preventivi (Interruzioni Rumori); di talché noi giustamente esigiamo che su tutti questi argomenti il Governo dica la sua parola e che sia al più presto convocata la Costituente, appunto perché le singole interpellanze presentate dai richiedenti sui problemi della vita economica e sociale della Nazione abbiano il necessario sfogo. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Finocchiaro Aprile, il quale ha presentato il seguente ordine del giorno, firmato anche dagli onorevoli Castrogiovanni e Varvaro.

«L’Assemblea Costituente;

constatato che il popolo siciliano lamenta da molti anni di essere oggetto del più completo abbandono e dell’offensivo disinteresse del Governo italiano e che tutte le promesse fatte sin dal tempo del Risorgimento non sono state mantenute, determinando un grave stato di disagio e di malessere in Sicilia;

constatato che è andato sempre accentuandosi lo sfruttamento dell’Isola, specie da parte di gruppi capitalistici del Nord;

constatato che questa penosa condizione di cose non è cessata dopo la guerra e dopo l’avvento della Repubblica, con profonda delusione delle genti siciliane;

invita il Governo, nell’attesa che l’Isola si dia, com’è suo diritto, propri ordinamenti costituzionali, ad emanare d’urgenza i provvedimenti necessari a mettere la Sicilia a quel livello politico, morale, economico e sociale che la civiltà esige».

FINOCCHIARO APRILE. Onorevoli Deputati, se la discussione generale sulle comunicazioni del Governo non fosse stata chiusa ieri sera, io sarei oggi qui a rivolgervi un lungo discorso (Commenti Rumori); vi parlerei della politica economica e finanziaria, della politica interna e soprattutto della politica estera; di cose, cioè, che tutti qui dentro, amici ed avversari del Ministero, hanno riconosciuto non andare affatto bene, con grave danno e con pregiudizio dei supremi interessi del Paese.

Ma, poiché la discussione generale fu chiusa appunto quando era giunto il mio turno alla parola (Rumori Commenti), io devo limitarmi ora a dire nel modo più breve le ragioni che hanno indotto me ed i colleghi Castrogiovanni e Varvaro a presentare l’ordine del giorno, che del resto è chiarissimo.

L’ordine del giorno riguarda essenzialmente la Sicilia, ed io vi dissi altra volta che, in quest’Aula, non mi sarei occupato di altro che di problemi siciliani o, comunque, di argomenti attinenti alla Sicilia. Certo, se avessi potuto partecipare alla discussione generale, io vi avrei detto apertamente, senza ambagi e specificatamente le ragioni del nostro profondo, insanabile dissenso con la politica del Ministero, e vi avrei detto che noi manteniamo la nostra posizione di ferma e decisa opposizione a questo Governo, come a tutti gli altri Governi che gli succederanno. (Rumori Commenti).

Ma, evidentemente, non è questa l’ora più propizia ad ampie discussioni. Voi attendete le dichiarazioni del Ministro del tesoro e le dichiarazioni del Presidente del Consiglio; siete impazienti e la posizione di chi parla fra gli ultimi in un dibattito politico, nell’imminenza di una votazione, non è mai la migliore. Consentitemi, dunque, solo pochi momenti di ascolto.

Parlando della situazione economica, che è divenuta ormai assai intricata e difficile per forza di eventi e per incapacità di uomini, io mi sarei particolarmente riferito, come vi ho detto, alla Sicilia, la quale è oggi handicappata – perdonatemi la parola ostrogota – nei suoi sviluppi per la carenza delle necessarie cure e provvidenze, sempre rimaste allo stato di promessa.

Per la Sicilia questo Governo, come tutti gli altri Governi che lo hanno preceduto, non ha fatto nulla o ha fatto pochissimo. Continua il sistema quasi centenario dell’abbandono e dello sfruttamento; nessuna iniziativa trova incoraggiamento in Italia, anzi qualunque tentativo di ripresa economica ed industriale è immediatamente stroncato con la manifesta connivenza del Governo italiano.

La lotta è sorda ed incessante: il capitalismo del Nord non vuole che la Sicilia rinasca e che viva (Commenti), vuole che rimanga sua succube (Interruzioni Rumori), vuole che sia soltanto un territorio dove collocare i prodotti più scadenti delle sue industrie. (Interruzioni Commenti).

È questo, signori Deputati, un atteggiamento antico e ben definito, talvolta anche confessato, a combattere e a vincere il quale i governi, troppo spesso mancipi del suddetto capitalismo, non riescono ad opporre veruna resistenza, cosicché i siciliani, di fronte a tale colpevole inerzia, sono costretti a difendersi da loro stessi, e da loro stessi si difenderanno: lo ricordi il Governo!

Per noi, la politica economica dello Stato deve essere libero-scambista; solo eccezionalmente potranno essere accordate delle protezioni per breve durata e per motivi fondati e riconosciuti.

La Sicilia è stanca di pagare essa, a danno della propria agricoltura, la protezione delle industrie continentali. La Sicilia, nell’agognare la sua indipendenza economica, vuole prima di tutto libertà di produrre senza aggravi di costo. Ciò significa che la Sicilia vuole poter acquistare tutti i molti beni dei suoi consumi a prezzi di concorrenza mondiale; vuole poter acquistare i beni capitali che occorrono allo sviluppo delle sue industrie e della sua agricoltura a prezzi di concorrenza mondiale; vuole poter disporre di molte opere pubbliche utili alla sua attrezzatura produttiva, acquistandoli a prezzi di concorrenza mondiale, e quindi pagando prezzi pubblici e imposte di gran lunga inferiori a quelli che si pagano, vigendo il regime di protezione industriale.

Raggiunto questo primo obiettivo, allora verrà, naturalmente, tutto il resto; verranno i lavori pubblici, verrà la tranquillità, verrà l’istruzione, verrà il benessere generale.

Ma intanto la situazione economica della Sicilia, per effetto della assoluta e colpevole inerzia governativa, va sempre più aggravandosi. Numerose lettere di questi giorni pervenutemi da Catania, da Messina, da Siracusa, da Palermo, da Trapani, invocano con insistenza un interessamento per la concessione di vagoni che dovrebbero trasportare nell’Isola merci indispensabili ai consumi e necessarie all’avviamento delle modeste attività industriali siciliane. Si dice che di vagoni in Sicilia ve ne sono troppi e che, pertanto, non è opportuno mandare giù altri carri prima che si verifichi un certo esodo di quelli che sono in atto nell’Isola. Ma, signori Deputati, è questo un motivo sufficiente per paralizzare l’economia siciliana che in questo momento è veramente in condizioni quasi di arresto? Non dovrebbero le Ferrovie dello Stato contemperare le esigenze delle varie regioni, tenendo tuttavia presente che la Sicilia è quella che esporta molto più delle altre? Si dirà che questo è un dettaglio; ed è vero; ma è un sintomo della disparità di trattamento che viene fatto alla Sicilia, in confronto delle altre regioni. La Sicilia ha bene i suoi diritti che pretende siano rispettati; e non è essere ingeneroso, se io rammento all’Assemblea il magnifico contributo dato all’Italia dalla economia esportatrice siciliana. Giova infatti ricordare che la Sicilia aveva sempre in passato una cospicua eccedenza attiva della propria bilancia commerciale e che tale eccedenza si mantiene tuttavia in misura ben rilevante. Dal bollettino dell’Osservatorio Economico del Banco di Sicilia del mese di luglio ultimo scorso – pubblicazione redatta con scrupolo e diligenza encomiabili – si rileva che nell’anno 1945 (vi prego di una particolare attenzione) le importazioni furono di lire 4 miliardi 621.469.000 e le esportazioni di lire 14.556.709.000, con una eccedenza di lire 9 miliardi 935.240.000. Così nel primo trimestre del corrente anno, mentre le importazioni furono di lire 2.843.122.000, le esportazioni furono di lire 7.437.866.000, con una eccedenza di lire 4.594.744.000.

DE MARTINO. Non è possibile. I miliardi non esistono.

FINOCCHIARO APRILE. Evidentemente l’onorevole interruttore equivoca. Siamo in presenza di una rilevazione statistica abbastanza precisa. I dati sarebbero anzi maggiori, se si fossero potuti prendere in esame il movimento ferroviario delle merci a collettame e quello dei pacchi postali (che, trattandosi in generale di merci ricche, ascende a valori non trascurabili), nonché il movimento, attualmente importantissimo, delle merci che arrivano in Sicilia o ne escono in autocarro o come bagaglio.

Se si pensa che il primo trimestre di ogni anno è, per ininterrotto ricorso, il più magro degli altri trimestri, anche a volere considerare costanti le cifre del primo trimestre, si avrà la previsione di una eccedenza, nel valore delle esportazioni, al minimo, di ben lire 18.378.976.000 per l’anno 1946.

DE MARTINO. Milioni, non miliardi.

FINOCCHIARO APRILE. Ma non insista nell’errore; si tratta di miliardi!

Nessuna regione italiana è in grado di avere una bilancia commerciale che possa appena avvicinarsi a quella della Sicilia. Le bilance commerciali delle altre regioni sono invece in gran parte deficitarie. È giusto, pertanto, che, nel piano della ricostruzione generale, debba essere al primo posto la preoccupazione del Governo per le condizioni dell’Isola.

Ma stiano tranquilli gli onorevoli colleghi siciliani, perché così non sarà. La Sicilia resterà, come sempre, agli ultimi ranghi; sempre dimenticata, sempre trascurata, sempre avvilita. (Commenti). Fino a quando, onorevole De Gasperi? Fino a quando dovremo contentarci delle promesse a rotazione continua fatte non solo con celato proposito di irrisione e di dileggio, ma con ferma determinazione di non mantenerle mai? (Commenti Interruzioni).

Ha mantenuto il Governo la promessa dell’autonomia alla Sicilia? In questo campo è stata fatta a noi siciliani una vera e grossa beffa. Alla vigilia delle elezioni, e precisamente il 15 maggio scorso, il Gabinetto emise un decreto di approvazione del cosiddetto statuto della regione siciliana; e l’onorevole Presidente del Consiglio ne recò personalmente l’annunzio a Palermo. Ora, se ciò avveniva nella imminenza della convocazione dei comizi, e con manifesta violazione delle prerogative dell’Assemblea Costituente, segno era che si volesse dare immediata attuazione allo statuto medesimo. Ma non fu così. L’importante era stato di servirsi della pretesa concessione dell’autonomia a scopo di speculazione elettoralistica da parte della Democrazia Cristiana. (Interruzioni al centro).

Ma, «passata la festa, gabbato lo santo!». Ottenuto il risultato sperato non c’era più bisogno di tanta fretta, non è vero, onorevole De Gasperi? Diamine! I siciliani possono bene aspettare che la cosa sia meglio maturata, tanto più che la Corte dei conti ha registrato il decreto con riserva, in quanto incostituzionale, ed il Consiglio di Stato ha espresso tali e tante riserve da rendere indispensabili profonde e radicali modificazioni. Bella figura ha fatto il Governo!

E così, nonostante che lo statuto della Regione siciliana, sia una legge dello Stato, dopo circa quattro mesi dalla promulgazione, non si è data ancora esecuzione alla legge stessa. Ciò ha costituito e costituisce un vero eccesso di potere, che ha profondamente offeso il popolo siciliano e che non ha certo accresciuto il già molto scarso prestigio del Governo italiano nell’Isola. Io ho il dovere di protestare energicamente qui dentro contro il nuovo danno arrecato alla Sicilia, danno da attribuirsi a tutto il Gabinetto e non soltanto all’abulia dell’onorevole De Gasperi, all’avversione dell’onorevole Nenni e all’inutilità dei Ministri siciliani. (Ilarità).

Ho avuto altra occasione di dichiarare che, per noi indipendentisti, lo statuto della Regione siciliana, così com’è stato emanato – ed è proprio un mostriciattolo – è assolutamente insufficiente, ma che noi lo consideriamo «come un primo avviamento verso le maggiori ed ineluttabili realizzazioni auspicate dal popolo siciliano»: parole queste che sono contenute in un’interrogazione che ho avuto l’onore di rivolgere all’onorevole Presidente del Consiglio. E voi sapete che noi tendiamo, con tutti i nostri sforzi, alla creazione dello Stato libero di Sicilia, da confederare con lo Stato italiano o con nuovi Stati che dovessero nascere in Italia (Interruzioni Rumori) e con altri Stati mediterranei ed europei. Noi abbiamo così anticipata, in certo modo, la recente manifestazione di Winston Churchill nei riguardi della costituzione degli Stati Uniti d’Europa, concezione che è di origine eminentemente italiana e siciliana.

Abbiamo, quindi, anche noi indipendentisti, interesse alla immediata attuazione dell’autonomia, e pertanto invitiamo il Governo alla formazione della Commissione paritetica per l’attuazione dello statuto, così come prescrive la legge, ed a convocare, senz’altro, i comizi per le elezioni dell’Assemblea regionale a circoscrizione provinciale, non essendo necessaria all’uopo una nuova legge che stabilisca questo modo di votazione; per aversi la quale legge, occorrerebbe ancora perdere altro tempo con nuove delusioni delle pubbliche aspettative.

Ieri, l’onorevole Presidente del Consiglio, presentò all’Assemblea lo statuto siciliano ai fini della coordinazione con la costituzione dello Stato italiano. E sta bene. Ciò è preveduto nella legge; ma, intanto, è necessario dare a questa esecuzione fin da ora, come lei, onorevole De Gasperi, ha promesso formalmente e ripetutamente, anche in questi giorni.

Così pure invito il Governo a procedere con la maggiore sollecitudine alla nomina del nuovo Alto Commissario per la Sicilia, scegliendo persona al di fuori dei partiti ed al di fuori anche dell’Assemblea Costituente, perché l’ufficio di deputato è incompatibile con quello di Alto Commissario, così come l’Alto Commissario era ineleggibile a membro dell’Assemblea Costituente; scegliendo, possibilmente, un alto magistrato siciliano che dia garanzia di assoluta imparzialità, che conosca i bisogni e le aspirazioni dell’isola, che sappia indefessamente adoperarsi per il bene della nostra terra. (Commenti).

Io non voglio, signori Deputati, tacervi tuttavia un certo mio pessimismo. Io veggo nella questione dell’autonomia siciliana resistenze ed ostruzionismi che non sono di buon auspicio e che rivelano propositi di dilazione alle calende greche, perché si finisca col non farne più niente. Spero di ingannarmi e spero che i Deputati siciliani sappiano fare il loro dovere. Ma è veramente doloroso, che ogni qualvolta si tratta di un certo interesse siciliano, questo debba trovare sorda ed ipocrita opposizione che ne impedisca la soddisfazione: è doloroso che mai l’azione del Governo, nei riguardi della Sicilia, riesca a svolgersi, senza riserve, chiaramente, liberamente, efficacemente col sentimento di compiere null’altro che un dovere verso il nobile e generoso popolo siciliano, che diede nei secoli un potente contributo alla civiltà mediterranea.

Tutto è indifferenza! Tutto è apatia! Tutto è ostilità verso di noi siciliani, da parte della classe dirigente italiana.

Non vi è occasione nella quale noi non dobbiamo fare nuova constatazione e nuova esperienza di ciò.

Sono appena pochi giorni che io dovetti insorgere in quest’Aula, con molta veemenza – di cui chiedo venia – contro l’onorevole Presidente del Consiglio, per avere egli inopinatamente rinunziato agli statuti tunisini del 1896 a favore dei miei conterranei di laggiù. L’onorevole De Gasperi non si rese, evidentemente, conto del sanguinoso oltraggio, che, con quella rinunzia, faceva a tutto il popolo siciliano, gelosissimo di quegli statuti. E l’onorevole De Gasperi ignorava che essi erano stati il frutto della lunga e accorta preparazione diplomatica di Crispi e di Blanc, prima, di Di Rudini e di Visconti Venosta, poi, e dell’attività politica e parlamentare di Gallo, Nasi, Pantano, Colaianni, De Felice e, se permettete, anche di mio padre, tutti deputati siciliani, i quali avevano sentito il bisogno di difendere l’opera magnifica dei nostri emigrati, che con la loro dura e improba fatica erano riusciti a trasformare, lande desertiche e sabbiose nei più pingui oliveti e nei più fecondi vigneti dell’Africa settentrionale.

Una voce. La colpa è di Mussolini.

FINOCCHIARO APRILE. Mussolini ebbe grandissime colpe, ma qui proprio non c’entra. Negli accordi Mussolini-Laval non v’è un solo accenno agli statuti tunisini che rimasero intatti.

PRESIDENTE. Onorevole Finocchiaro Aprile, cerchi di concludere.

FINOCCHIARO APRILE. Allora la Francia, riconoscente di dovere la prosperità e la ricchezza della sua bella colonia mediterranea al tenace lavoro compiuto, come dicevo, in vari decenni dai nostri conterranei, consentiva che essi avessero in Tunisia una posizione di favore per loro e per i loro discendenti, e quasi li equiparava ai cittadini francesi.

Questa condizione di cose durò sempre, ininterrottamente, con piena soddisfazione dei siciliani di Tunisia, che raggiunsero nei primi anni del secolo la ragguardevole cifra di quasi 250 mila.

Orbene, finita la guerra, il generale De Gaulle si fece a chiedere al Governo italiano, di cui avvertì subito e facilmente la estrema debolezza, la rinunzia agli statuti del 1896. Era un colpo mancino che spettava al nostro Ministro degli affari esteri di parare con abilità diplomatica. Forse l’onorevole De Gasperi pensò di intavolare un negoziato al riguardo? Forse l’onorevole De Gasperi pensò di dissuadere la Francia o di darle qualche cosa di diverso degli statuti di Tunisia? Niente affatto. L’onorevole De Gasperi si arrese subito e abbandonò i siciliani della Tunisia al loro destino, lusingandosi di poter mantenere Briga, Tenda e il Moncenisio.

Ma l’onorevole De Gasperi non ha ottenuto nemmeno questo, e la rinunzia non è servita a conservare quei lembi di territorio italiano contesi soltanto dopo la guerra dalla Francia, che mai aveva avanzato pretese su di essi. L’onorevole De Gasperi è divenuto così il maggiore rinunziatario nella storia della nostra politica estera. (Interruzioni Rumori). Non rinunziò forse anche al Dodecanneso, quando la Grecia non lo chiedeva nemmeno? (Commenti). E a quante altre cose egli non ha rinunziato?

L’onorevole De Gasperi non è, dunque, riuscito a fare nulla che potesse essere gradito ai siciliani, in nessun modo.

Onorevole De Gasperi, ella avrà oggi un grande voto favorevole, ma ella non ha la fiducia di alcuno: non dei suoi stessi amici democratici cristiani, non dei socialisti, non dei comunisti, non dei repubblicani storici che pur partecipano al Governo; non se lo dissimuli: nessuno ha fiducia in lei, né qui, né fuori di qui. (Interruzioni Commenti).

Oggi il Gabinetto presieduto dall’onorevole De Gasperi rimarrà al potere, ma ancora per poco tempo. Noi fra un mese, fra due, ritorneremo nuovamente a discutere della crisi che oggi non si chiude, perché è crisi che investe tutta la responsabilità del Governo. (Commenti).

Quante colpe io dovrei, nei riguardi della Sicilia, rimproverare all’attuale Ministero! (Rumori). Quante, quante cose io dovrei ancora dire. (Rumori Interruzioni).

 PRESIDENTE. Onorevole Finocchiaro Aprile, lei parla già da trentacinque minuti. La invito a concludere.

FINOCCHIARO APRILE. Molte cose dovrei ancora dire sulla Sicilia e sulla oppressione di cui è stata sempre oggetto negli anni dell’unità italiana. Ciò che ho detto non è che una piccola eco della noncuranza, del rancore, forse dell’odio che si nutre in Italia contro la Sicilia. (Interruzioni Rumori).

Voci: Basta, basta!

FINOCCHIARO APRILE. I limiti stabiliti dal regolamento, i richiami del Presidente e la vostra impazienza non mi permettono di illustrare convenientemente il mio ordine del giorno. Ma voi non potete non avvertire l’importanza somma, eccezionale dei miei argomenti. Il vostro nervosismo mi dice che ho colpito nel segno. La mia parola è stata aspra e sarà sempre più dura, finché io non vedrò resa giustizia alla mia Sicilia, terra di bellezza e di poesia, che vuole vivere e progredire. Meditate, signori Deputati, il mio ordine del giorno.

Si è fatta la voce grossa in Italia contro l’indipendentismo siciliano, sorto in difesa della nostra terra (Commenti); noi non siamo che le avanguardie di un popolo che ormai muove alla riscossa e che nulla più fermerà. (Commenti). Non vi opponete alle sue giuste rivendicazioni. Voi avete il dovere di evitare una catastrofe. (Rumori). L’indipendenza della Sicilia è la sola soluzione del conflitto tra la Sicilia e l’Italia, e la Sicilia la conquisterà. (Rumori).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Benedetti, il quale ha presentato il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente

constata che la Conferenza di Parigi, anziché riconoscere il contributo italiano alla causa della democrazia, prepara, sotto forma di trattato di pace, una sentenza di condanna la cui esecuzione respingerebbe il popolo italiano verso paurose solitudini politiche e gli imporrebbe, con pesi insopportabili, una prolungata schiavitù economica;

afferma la necessità che Governo e Nazione confidino sopra tutto nelle proprie capacità di resistenza, di unione e di lavoro, per riconquistare all’Italia, in una più ampia e pacifica convivenza di popoli veramente democratici, il rango di potenza libera e indipendente».

Presidenza del Vicepresidente TERRACINI

BENEDETTI. Onorevoli colleghi, in questa discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio mi ero iscritto a parlare principalmente per richiamare l’attenzione dell’Assemblea su vari fatti, ignorati o quasi, i quali sono di natura e di portata tali da determinare un giudizio sfavorevole sull’azione di Governo, tanto in tema di politica economica e finanziaria, quanto in tema di politica estera.

La fretta imprevedibile con cui il Presidente dell’Assemblea dichiarò ieri sera approvata la chiusura della discussione – fretta della quale io mi dolgo, come mi dolgo di tutte le manifestazioni autoritarie menomatrici dei diritti delle minoranze e delle buone regole democratiche – la chiusura della discussione, dunque, non mi consente di poter parlare che brevissimamente. E perciò rinuncio al compito che mi ero prefisso e rinuncio altresì a svolgere compiutamente il mio ordine del giorno, pur ripromettendomi di riparlarne alla prima occasione propizia. Oggi mi limiterò, onorevoli colleghi, a rilevare la carenza di questa Assemblea. Noi fummo eletti il 2 giugno e la nostra vita normale è di otto mesi. Ormai è trascorsa la metà del tempo assegnatoci e ci dicono che saremo riconvocati a novembre, cioè a tre mesi di distanza dal termine normale della nostra esistenza.

Consentitemi pertanto di stabilire, poiché nessuno lo ha fatto, ciò che d’abitudine stabilisce ogni buon amministratore: il bilancio di metà esercizio, ossia un esame di coscienza.

Lo farò in pochissime parole.

I compiti principali assegnati a questa Assemblea dalla legge sono tre: 1°) deliberare la nuova Costituzione dello Stato: 2°) approvare i trattati internazionali; 3°) vigilare, per quanto è possibile, sull’azione del governo che è responsabile verso L’Assemblea Costituente, la quale, con un diritto di mozione di sfiducia quanto mai cautelativo dell’incolumità governativa, ha teoricamente il potere di dargli il «mal servito».

Come sono stati assolti questi tre compiti?

Primo compito: la nuova Costituzione. La nuova Costituzione sta prendendo corpo e forma nelle elaborazioni di Commissioni interne, sia pure autorevolissime, ma chiuse. Sarà presentata a noi per essere varata col crisma di questa Assemblea. Ora io mi domando quale efficacia avrà il nostro intervento, se ogni formula sarà decisa in precedenza. Ma, mi domando soprattutto, quale influenza avrà il parere e la volontà del popolo italiano che si formano e si manifestano se e in quanto spronati da discussioni pubbliche. L’intervento nostro come Assemblea servirà a dare apparenza e lustro di svolgimento democratico ad una procedura nella quale i più fra noi sono soltanto delle comparse. Ma questo poco conta. Conta invece molto di più che il popolo non sia trattato come gregge, che sia informato, che possa manifestare la propria opinione. Da questo punto di vista il bilancio è dunque nettamente negativo; ed io rilevo incidentalmente la necessità che si tenga maggior conto dei diritti del popolo, demandando a lui l’approvazione della nuova Costituzione mediante il referendum che d’altronde voi, onorevole De Gasperi, avete promesso.

Secondo compito: approvare i trattati internazionali.

Il trattato di pace in preparazione è una sentenza di condanna. Ed io ho la ferma convinzione che l’azione del Governo per renderlo meno duro ed odioso, sia stata, sì, difficilissima – e ne do volentieri atto – ma tardiva e, più che inutile, dannosa.

I risultati sono evidenti: diffidenza da tutti i punti cardinali, volontà generale di ridurci nella condizione di terra bruciata nella prossima guerra, spoliazione di territori nazionali, di colonie, di navi, di tutto, riparazioni che obbligheranno per molti anni il popolo italiano a lavorare in condizione di schiavitù e, per sopramercato, l’oltraggio che la nostra presenza ha occasionato senza che voi abbiate reagito a ciò che, soltanto per eufemismo, definirò come sconvenienze ingiuste e ingenerose.

Voi direte che la situazione supera le vostre possibilità, ed è obbligo di onestà riconoscerlo. Ma è stato gran male, onorevole De Gasperi, che voi abbiate fatto abortire una trattativa di pace diretta con la Francia, possibile nella primavera scorsa: con conseguenze che in un paese meno giocondo del nostro potrebbero costituire contro di voi un gravissimo capo di accusa.

Ed avete fatto malissimo voi, onorevole Saragat, ad iniziare il vostro discorso al Lussemburgo con queste parole, da voi pronunciate in perfetto francese: «Signor Presidente, signori Delegati, mi sia permesso ringraziarvi per aver voluto, prima di prendere le vostre decisioni, ascoltare il Delegato d’Italia. Io ho pregiudizialmente due dichiarazioni da fare. La prima è che il popolo italiano si sente storicamente responsabile dei crimini del fascismo…».

Avrei preferito che l’onorevole Saragat avesse parlato in peggior francese e da migliore italiano. No, onorevole Saragat, né ringraziamenti, né riconoscimenti. Voi forse avete creduto di propiziarvi l’avversario e di renderlo attento ad ascoltare la lettura della vostra comparsa. Ma la stampa estera ha preso atto soltanto del ringraziamento e del riconoscimento, ed ha ignorato il restante, come lo ha ignorato il vostro compagno Moutet, Ministro francese delle colonie, il quale vi ha risposto con molta cortesia, ma con nessun accoglimento di merito. Tutto, tutto è caduto nel vuoto, e quelli che voi definite vostri successi sono soltanto gli insuccessi degli altri nei tentativi di mettersi d’accordo fra loro.

E poi: ringraziare di che? Di introdurvi in una sala, accompagnato da uscieri, dì lasciarvi leggere una comparsa orale davanti ad ascoltatori che hanno le orecchie ermeticamente chiuse, e poi di farvi ricondurre, dagli uscieri, alla porta?

  1. riconoscimento della responsabilità storica italiana è più grave e certamente non è condiviso dalla stragrande maggioranza degli italiani.

Le nostre responsabilità si sono create anche a causa della benevolenza che gli stranieri dimostrarono verso il fascismo.

E se responsabilità vi furono, sono state largamente riscattate durante il periodo della cobelligeranza. Nessuno di coloro che in quel periodo ha lottato, dato e sofferto, può dimenticare le promesse fatte agli italiani, i quali oggi pensano che sono chiamati a pagare per la seconda volta.

Questo dovevate dire a Parigi, dappoiché avete ritenuto opportuno di andarvi. E dovevate presentarvi non nel saio del penitente, ma come rappresentanti dell’Italia nuova che non ha più niente da espiare, niente da chiedere e che vuole essere reintrodotta nel circuito delle potenze democratiche per compiervi la sua missione di civiltà e di mediazione pacificatrice fra gli antagonismi mondiali.

Io penso, onorevole De Gasperi, che voi sentirete il bisogno di fare al Paese una esauriente esposizione della vostra politica estera, ma, se la farete, è in quest’aula che dovete farla, non nel chiuso della Commissione dei trattati che voi avete voluto, nella quale si celebrano i misteri eleusini.

E penso altresì che voi avrete la prudenza di non inoltrarvi troppo sul terreno cedevolissimo delle accettazioni e delle rinunzie, ricordandovi i limiti dei vostri poteri, e ricordandovi altresì che quando la posta del giuoco è l’avvenire del popolo per decenni e decenni, è il popolo che deve dire l’ultima parola. Io rimango contrario alla firma del diktat e voglio dirvi che sarà prudente se ne demanderete l’approvazione o il rigetto a un referendum popolare.

Dopo aver constatato che, in politica estera, il bilancio dell’attività di questa Assemblea è zero, debbo purtroppo fare quasi identico rilievo sul terzo compito che ci è affidato dalla legge: quello della vigilanza sull’azione del Governo.

È avvenuta una crisi, provocata dai ministeriali, i quali, essendo nel e per il Governo, lo hanno attaccato come se fossero all’opposizione. Poi tutto si è ricomposto: i ministeriali – oppositori sono rimasti tali, il programma di Governo non è stato modificato e la crisi si è risolta al di fuori dell’Assemblea, tanto al di fuori che i leaders dei partiti al Governo non si sono nemmeno incomodati a spiegare chiaramente le ragioni dello inutile trambusto.

Ciò è segno di estremo disagio della maggioranza. Ma è anche dimostrazione della perfetta inutilità della nostra presenza qui e della impossibilità di assolvere i compiti che la legge e il suffragio popolare ci hanno assegnati.

È la fine del parlamentarismo, come fu voluta e realizzata dal regime fascista.

Onorevoli colleghi, consentitemi di concludere il sommario bilancio espostovi, rilevando quello che è nell’animo di tutti. Noi siamo oggi in regime democratico e corriamo incontro, ad occhi bendati, ad un enorme insuccesso.

Io ben ricordo che negli ultimi tempi del fascismo fu posto il quesito se la crisi che travagliava il Paese era crisi del sistema o era crisi nel sistema. La risposta fu data dai tragici avvenimenti che portarono al disastro nazionale.

Oggi tutti gli uomini di coscienza debbono porsi uguale quesito: se la crisi che sempre più si aggrava, è crisi nel sistema o è crisi del sistema. Io non ho fiducia che voi possiate risolverla. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. Gli onorevoli Meda, Terracini, Taviani, Pertini, Lombardo Ivan Matteo, Natoli, Mazzei, hanno presentato il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente, udite le dichiarazioni del Governo che lo impegnano al consolidamento delle nuove istituzioni democratiche repubblicane e ad una sollecita organica azione di politica economica, le approva e passa all’ordine del giorno».

MEDA. Rinunzio a svolgerlo.

PRESIDENTE, Ha chiesto di parlare l’onorevole Ministro del tesoro. Ne ha facoltà.

BERTONE. Ministro del tesoro. (Segni di attenzione). Ho ascoltato con vivo interesse e con la più grande attenzione i discorsi degli oratori che si sono occupati specialmente del problema economico e finanziario. A tutti, ed in special modo al collega Einaudi, sono grato del contributo di segnalazioni, di proposte, di preziosi consigli, che essi hanno dato.

Le loro parole intanto convergono in una constatazione ed in un severo ammonimento. La bilancia dello Stato è in disordine: bisogna assestarla. Desidero a mia volta – e questo considero mio dovere – dirvi con semplicità e franchezza quale visione io abbia del compito cui mi accingo e quali, in larga sintesi, le linee di azione che vorrei seguire.

Disordine finanziario significa disordine generale che dal campo finanziario travalica nel campo dell’economia: a lungo andare significa corsa sempre più precipitosa verso l’abisso. Dovere dunque primordiale, imperativo: riordinare il bilancio. Quali le condizioni attuali? Non starò a ripetere in dettaglio ciò che fu enunciato dai diversi oratori. Dirò le cifre riassuntive.

Il preventivo dell’esercizio 1946-47 fu impostato sulle seguenti cifre:

Spese effettive                  Miliardi  341

Entrate effettive                              148

Sbilancio                          Miliardi  193

Ma già i primi quattro mesi di esercizio hanno scavalcato le previsioni, imponendo variazioni in passivo per oltre 50 miliardi, di cui 40 per opere pubbliche: ed i relativi stanziamenti già sono stati deliberati.

Senonché altre partite passive stanno maturando, inevitabili per non meno di 250-300 miliardi: cosicché la spesa totale a fine esercizio non si discosterà dai 700 miliardi accennati dal collega Professore Einaudi.

Avrò occasione più avanti di dare qualche maggior ragguaglio.

Di fronte sta una entrata, indicata, in previsione di bilancio, in miliardi 148. Anche l’entrata ha una netta tendenza all’aumento. Continuando il ritmo attuale e tenuto conto di alcuni provvedimenti già concretati e concernenti le entrate ordinarie, si può prevedere il gettito in 270-280 miliardi.

Esso sarebbe largamente sufficiente a coprire tutte le spese ordinarie, preminente quella degli stipendi al personale, anche tenuto conto degli aumenti in corso. Ma pesano sul bilancio gli oneri straordinari, eccezionali.

La situazione, nella sua cruda realtà, è in vista di tutti: oltre 400 miliardi di disavanzo. Non è a dire che un tale disavanzo debba essere permanente; ma certo è che le spese straordinarie che concorrono a formarlo, nella maggior parte sono di tal natura che si protrarranno in cifre più o meno eguali nei prossimi esercizi; onde la necessità di provvedere risolutamente e senza ulteriori indugi a fronteggiarlo. Prima constatazione: il gettito normale dei tributi è evidentemente assai al disotto di ciò che dovrebbe essere. Ritengo che esso deve ascendere almeno a 400-450 miliardi, lasciando alla Tesoreria un carico di 250 miliardi, non più, da realizzare con mezzi straordinari.

Questa ardua, ma meritoria fatica è affidata al collega delle finanze, ed al senso di civismo e di responsabilità delle classi abbienti. La cifra deve essere raggiunta e lo sarà. Le entrate normali di bilancio dopo l’altra guerra, con una circolazione sestuplicata, si aggiravano sui 25 miliardi. Oggi, con una massa circolante ventuplicata in confronto a quella del 1920 e anni seguenti, e pagandosi in una moneta che vale almeno venti volte meno di quella di allora, si dovrebbero introitare 550 miliardi: chiedendone 400-450 non si va al di là del ragionevole. La Gran Bretagna ci dà in questo campo un grande esempio. Il 90 per cento di tutte lo spese ordinarie e straordinarie, e anch’essa ne ha di straordinarie, eccezionali, ingentissime, è coperto dalle entrate ordinarie. La pressione fiscale sugli abbienti è pur essa altissima. Ed è accettata dalla massa dei contribuenti con ammirevole abnegazione. Intanto, grazie a questo riordinamento del bilancio, la sterlina resta una delle monete più salde nel mercato internazionale, pure di fronte al dollaro che, nel paese più ricco del mondo, proprio di questo periodo, ha subito una flessione. E potrei dare analoghi ragguagli sulla pressione fiscale in altri paesi d’Europa e d’oltre Oceano.

Né si creda che occorra inventare dottrine e programmi nuovi, perché i tempi sono cambiati. Serve perfettamente l’attrezzatura amministrativa e tecnica che abbiamo sempre usata. Bisogna solo rimettere in moto il macchinario un po’ irrugginito dalla lunga tempesta sopportata, ed accelerarne il rendimento. So che il Ministro della finanze attende intensamente a questo lavoro e i risultati non tarderanno a manifestarsi.

Trattasi, in fondo, di richiamare in onore alcuni principî semplici, che hanno sempre costituito il cardine della nostra finanza.

Nella seduta della Costituente del 25 luglio ultimo scorso mi ero permesso di indicare tali direttive in un ordine del giorno accettato dal Presidente come utile apporto ai provvedimenti da adottarsi dal Comitato di ricostruzione industriale e al quale non ho da mutare parola:

«La Camera confida che nell’opera di risanamento del bilancio e della ricostruzione economica e finanziaria saranno adottati provvedimenti concreti per ottenere:

  1. a) che tutti i cespiti della ricchezza nazionale siano chiamati a contributo per l’imposta straordinaria sul patrimonio;
  2. b) che il risparmio privato possa tornare alla sua normale destinazione e funzione di investimento nella libera economia, della cui espansione e del cui sviluppo esso è condizione;
  3. c) che sia ripristinata e rinvigorita la preminente funzione degli organi centrali e periferici di accertamento delle imposte normali, da ridursi ad aliquote ragionevoli».

Ciò detto di passaggio, viene spontanea la domanda:

A chi chiederemo lo sforzo tributario?

Si tenga presente che l’intervento dello Stato a coprire esigenze finanziarie o economiche avviene sempre nell’ordine di grandezza di diecine e diecine di miliardi.

Per mantenere il prezzo del pane ad un livello accessibile, il Governo spenderà nel corrente esercizio una novantina di miliardi: il premio della Repubblica è costato oltre 20 miliardi; 80 miliardi sono stati stanziati per ricostruzione ferrovie; oltre 140 per altre opere pubbliche, e siamo appena agli inizi; oltre 20 miliardi saranno necessari per il pareggio dei bilanci dei comuni e delle provincie. L’adeguamento in corso del trattamento economico dei pubblici impiegati importerà altre diecine di miliardi. Dove il Governo attinge i mezzi così imponenti?

Non dal continuo appello alla pubblica fiducia, la quale finora non è mancata ed ha approvvigionato generosamente la cassa dello Stato con le sottoscrizioni ai prestiti pubblici, ai buoni ordinari, coi conti correnti.

Questo afflusso non è, e non può essere, illimitato nel tempo e nella misura. La sua flessione è in atto; il risparmio privato tende lentamente a tornare alla sua funzione normale di sovventore delle attività economiche, nel momento in cui queste stanno ridestandosi. Bisogna aver dinanzi le cifre per conoscere ed ammirare lo sforzo eroico che il risparmio privato ha compiuto a favore della finanza e della tesoreria dello Stato. I buoni ordinari ascendono a 271 miliardi; la Banca d’Italia, giovandosi anche degli afflussi di conto corrente degli Istituti bancari, ha potuto mettere a disposizione del Tesoro 344 miliardi; il Banco di Napoli ed altri Istituti 50; le Casse postali, attraverso la Cassa depositi e prestiti, altri 108.

Come l’Assemblea vede, il debito fluttuante, assommante a 773 miliardi, è giunto ad una altezza tale che non potrebbe superare di troppo senza pericolo di perdere l’equilibrio.

Ed allora se la richiesta al Tesoro da ogni parte continuasse col ritmo di ieri e di oggi, saremmo alle soglie del dilemma: o negare ogni spesa eccedente le riscossioni o stampare biglietti.

Io allontano da me l’amaro calice dell’una e dell’altra alternativa: vorrei che tutti, in alto e in basso, a cominciare dai singoli Ministeri, fossero compresi essi della necessità di non mettere il Tesoro in questa difficile situazione: perché il primo partito significa o può significare convulsioni sociali; stampare biglietti vuol dire spingere l’Italia nell’abisso dell’inflazione da cui è difficile uscire e le cui conseguenze terribili sarebbero scontate principalmente dalle classi lavoratrici, ridotte ad una moneta incapace di assicurare loro il minimo di pane. Nessuno, io penso, vorrà che si arrivi a questa svolta. Ed io, per quanto a me spetta, sono risoluto a non varcarla. Confermo che la circolazione per conto del Tesoro non è aumentata nel decorso esercizio, dato che dal marzo 1945 non vi sono state ulteriori anticipazioni della Banca d’Italia al Tesoro stesso. Io difenderò l’argine che ora sta a limite e a difesa della circolazione. (Applausi).

Come colmeremo il disavanzo? Praticando anzitutto le più severe economie in tutti i servizi, rivedendo nella preparazione del prossimo bilancio gli stanziamenti dei vari Dicasteri, ordinari e straordinari, spingendo gli Enti locali e le Amministrazioni autonome dello Stato a formare pure essi i loro bilanci in modo da non essere più obbligati a ricorrere al contributo dello Stato.

II collega Einaudi ha fatto un interessante accenno alla possibilità di attenuare il gravissimo onere del prezzo politico del pane, senza nocumento delle classi meno abbienti. Ne sarà tenuto conto.

Ma sulle economie purtroppo non è per ora da fare grande assegnamento. Ed allora…

Ed allora torna insistente ed imperiosa la domanda: a chi chiederemo lo sforzo tributario atto a fornire al bilancio quanto gli abbisogna? La risposta è naturale ed ovvia. Alle classi abbienti. (Vivi applausi).

Le classi lavoratrici, gli impiegati dello Stato e degli Enti pubblici, tutti i viventi a reddito fisso, pagano già, parte con la trattenuta delle imposte sugli stipendi, tutti e largamente con le imposte indirette sui consumi: bisognerà anzi andar loro incontro con provvidenze atte ad alleviare il carico che già sopportano (Vivi applausi): ad esse una sola cosa possiamo chiedere e chiederemo: che comprendano le difficoltà in cui deve svolgersi la nostra azione; che siano persuasi del nostro fermo proposito di essere loro vicini con sentimenti di umana fraternità; che non ci neghino un poco di fiducia e, quando ne sia il caso, il sacrificio di un altro poco di pazienza per il realizzo di desideri giustificati, non turbando con agitazioni il lavoro di ricostruzione a cui il Governo è intento. (Applausi). Alle classi abbienti rivolgo un accorato, ma austero appello. Esse, che ne hanno il mezzo e la possibilità, devono accettare con senso di civile comprensione il sacrificio che a loro verrà chiesto. Da tutti ed a ogni momento si sente a dire: questo è il periodo in cui nessuno deve negare il proprio contributo per salvare la Patria. Ma non sempre al discorso seguono i fatti. Né si tratta di fenomeno di oggi. Direi che è la canzone consueta dei momenti difficili. Tutti si dicono disposti a pagare; ma capita talvolta che per un semplice inasprimento di tasse si proclama senz’altro lo sciopero fiscale.

Ho qualche ricordo personale in proposito. Mi sono trovato venticinque anni fa – precisamente dopo la guerra del 1915 – a lavorare per la sistemazione della finanza, anche allora sconquassata dal tremendo ciclone. Il Tesoro aveva dovuto provvedere in brevi anni per le spese di guerra, circa 200 miliardi, ed erano miliardi di allora, corrispondenti a quattromila miliardi di adesso. Anche allora la Tesoreria doveva vivere con la emissione continua di buoni del Tesoro in ragione di oltre mezzo miliardo al mese. Il solco della ricostruzione era stato aperto da tre uomini che io, in questi momenti penosi di ricorso storico, addito alla ammirazione degli italiani: gli onorevoli Nitti e Meda, Ministri del tesoro e delle finanze negli anni cruciali dal 1917 al 1919; l’onorevole Giolitti, Capo del Governo nei due anni successivi, e con lui ancora l’onorevole Meda al Tesoro. A chi esamini l’opera silenziosa e tenace da essi compiuta, i provvedimenti escogitati e tradotti in atto per le imposte ordinarie e straordinarie, viene spontaneo un senso di gratitudine, non fosse altro per l’insegnamento che essi hanno lasciato ai venturi dirigenti della finanza italiana, ed ai quali noi anche oggi possiamo attingere con sicuro profitto.

 

Io mi sono trovato allora nella via da essi aperta e per essa cercai di camminare. Eppure quanti ostacoli improvvisi, inopinati e quante e quali resistenze laddove la resistenza non aveva nessuna giustificazione! Per un semplice aggravamento degli estimi catastali nell’Emilia, gli agrari proclamarono lo sciopero fiscale. E squadre armate furono poste a guardia delle Esattorie per bastonare i contribuenti che avessero osato compiere il loro dovere. Per mesi la macchina tributaria in quella regione fu ferma. Erano i prodromi del fascismo che proprio là ebbe poco dopo la più violenta espressione. (Applausi). E si era in un momento delicato: il Presidente del Consiglio, il Ministro del tesoro e delle finanze tutti impegnati nella Conferenza di Genova. Perfino nella Magistratura locale vi era disorientamento. Dovetti chiamare il procuratore generale di Bologna per conoscere se non trovava materia di procedimento contro questi attentati allo Stato ed alla libertà dei contribuenti desiderosi di fare il proprio dovere. Dichiarai allora in Senato – e credo di poter ripetere oggi le medesime parole – che di tutti gli scioperi il meno giustificabile è lo sciopero fiscale, come quello che attenta alla vita stessa dello Stato, ed è compiuto da classi che possiedono, e che hanno nella legge tutti i mezzi di difesa contro errori o ingiustizie. (Vivissimi applausi).

Altro episodio. Avevo dato disposizioni agli uffici fiscali di addivenire a concordati amichevoli coi contribuenti ricercati per profitti di guerra: onde evitare procedure complicate, lunghe, fastidiose, non meno per il contribuente che per l’Erario, cui necessitava il più rapido gettito possibile. Orbene, il Presidente di una delle più grandi confederazioni nazionali diramò una circolare da comunicarsi a tutti i debitori di imposta per profitti di guerra dove era scritto testualmente: «Sarete invitati dagli uffici delle imposte a concordare: è questo che bisogna assolutamente evitare. Non si deve cedere, ma resistere».

Oggi il clima è profondamente diverso, ed io sono certo che questi e consimili deplorevoli episodi non si rinnoveranno e che i cittadini, pensosi del momento, faranno il loro dovere. Ma essi siano, d’altra parte, sicuri che lo Stato adempirà a sua volta, con la più ferma volontà e con ogni mezzo, al suo dovere di assicurare la sua protezione e la sua assidua vigilanza contro ogni tentativo diretto a turbare il pacifico svolgimento delle attività economiche. (Applausi).

Così avremo impiantato il pilastro finanziario del ponte della ricostruzione.

Ma occorre alzarne un altro, contemporaneamente: il pilastro economico. Perché l’economia languente non può fornire gettito tributario adeguato ai bisogni. Il lavoro in ogni ramo dell’attività economica deve riprendere il suo ritmo. Ve ne sono sintomi oltremodo confortanti. Le attrezzature industriali sono a posto. Le materie prime arrivano in quantità sempre maggiori. La volontà dei dirigenti e delle maestranze è all’ordine del giorno. La Mostra meccanica di Torino del maggio scorso, e la Fiera di Milano ci infondono un senso di orgoglio. Il sindaco di Milano, onorevole Greppi, col quale ho conferito in questi giorni, mi diceva che i visitatori stranieri da ogni parte d’Europa, dalla Russia alla Cina, sono rimasti stupefatti ed ammirati di fronte a questa superba manifestazione d’ingegno, di iniziative, di lavori, che indicano a quale alto grado sia giunta e siasi mantenuta, pur nel tremendo periodo trascorso, la forza produttiva italiana (Vivi applausi); e le ordinazioni sono giunte numerose ed importanti, e rapporti economici con paesi di ogni parte del mondo si sono affacciati come di possibile e prossima attuazione.

È dunque alle viste una larga ripresa industriale, della quale è indice sicuro il volume delle esportazioni, che ha raggiunto proporzioni notevolissime, direi quasi inaspettate, procurando introiti rispettabili di divisa. Ma essa ha bisogno di due cose: tranquillità monetaria e tranquillità sociale. Spetta, in parte notevole, al Ministro del tesoro, procurare la tranquillità monetaria. Assicuro formalmente che questo compito mi è dinanzi come un imperativo categorico. Esso si compendia nella dichiarazione fatta dal Presidente del Consiglio: dare stabilità alla lira, punto centrale di tutta la politica economica, al quale debbono convergere propositi ed opere. Il popolo italiano abbia fiducia: la lira italiana non si disperderà; dovrà essere stabilizzata, e, per quanto è umanamente prevedibile, lo sarà. Gli speculatori sui cambi e sui valori stiano attenti. (Applausi).

Con vivo senso di opportunità è stato costituito il Comitato interministeriale di ricostruzione, presieduto dal Ministro del commercio estero, e del quale fanno parte, insieme ad altre competenze tecniche, i Ministri del tesoro, delle finanze, dei lavori pubblici, dei trasporti, della marina mercantile, dell’industria, dell’agricoltura. Tutti i problemi riguardanti la finanza e l’economia sono attentamente vigilati e discussi; la materia delicata dei cambi e delle valute, del movimento di importazione ed esportazione, il controllo sul movimento valutario è in permanenza all’ordine del giorno. Siamo alla vigilia dell’ingresso dell’Italia nel piano di Bretton Woods e nella Banca internazionale della ricostruzione industriale, il che costituirà un passo di grandissima importanza nel piano di difesa e poi, a poco a poco, di rivalutazione della lira. Con esso l’Italia, vicina anche a riacquistare la sua libertà di lavoro, di produzione ed espansione, alla firma del trattato di pace, ancorché duro, rientrerà nella grande corrente del movimento economico internazionale, e vedrà dissiparsi man mano le diffidenze che ora la circondano, e riacquisterà il suo posto onorato nel mondo.

Le esigenze della Tesoreria saranno fra breve soddisfatte col prestito in preparazione, e che sarà, io non ne dubito, l’indice eloquente della volontà del Paese di risorgere, mentre ad opera di istituti specializzati, quali 1’I.R.I., 1’I.M.I., l’Istituto di credito di pubblica utilità, il Consorzio di credito per le opere pubbliche, saranno studiate particolari operazioni finanziarie, onde raccogliere sul mercato fondi specificamente destinati a programmi ricostruttivi, da elaborarsi ed attuarsi nei settori più importanti (ferrovie, elettricità, bonifiche, irrigazioni, ecc.). È di ieri una seduta conclusiva del C.I.R. per l’inizio di tali programmi. La imposta straordinaria sul patrimonio, alla cui ultimazione sta attendendo il collega delle finanze, costituirà insieme alle imposte sui profitti di guerra e di congiuntura e alla confisca dei profitti di regime, una preziosa riserva di integrazione nel bilancio, di fronte ai nuovi oneri che il trattato di pace ci addosserà a titolo riparazioni, e al risarcimento dei danni di guerra per i quali sono in cantiere provvidenze definitive. Sul concorso e sull’apporto di capitale estero possiamo contare. Esso presume appunto un piano concreto e preciso di organizzazione della produzione dei principali settori economici: ed è compito del C.I.R. attuare detto piano.

Della tranquillità sociale è presupposto la buona volontà delle classi produttrici, rappresentanti il capitale ed il lavoro. Consentite che io vi legga le parole conclusive di una recente riunione del C.I.R.: «Nel campo sociale, una tregua salariale è assolutamente indispensabile, per dare al Paese la sensazione che si rompe il circolo vizioso rappresentato dall’aumento dei salari e dal conseguente aumento dei prezzi. Solo con questa tregua potranno determinarsi condizioni favorevoli per una ripresa dell’economia, la quale deve consentire il riassorbimento di una parte dei disoccupati, cui non può essere provveduto integralmente col piano di lavori pubblici in corso di elaborazione. Bisogna tener presente che questo piano potrà essere realizzato solo gradualmente, nei limiti, cioè, che saranno consentiti dalla disponibilità delle materie prime occorrenti. I Ministri sono d’accordo che il modo migliore, per dare coi fatti la prova alla Costituente che il Governo e i Partiti che lo compongono sono concordi nella politica economica finanziaria, e che così si costituiscono le basi per una valida difesa del valore della moneta, e si prepara il terreno per la buona riuscita del prestito, è quello di raggiungere un accordo per eliminare per un periodo sufficiente ogni controversia fra imprenditori e lavoratori».

Se questo voto verrà raccolto e difeso dai dirigenti dei grandi organismi sindacali, ed accolto con animo sereno dai lavoratori tutti, dell’officina, dei campi e dell’impiego, noi saluteremo lieto il primo raggio di un’alba nuova, ricca di speranze e di promesse.

A voi tutti, onorevoli colleghi, che qui rappresentate tutte le correnti del Paese, e ne raccogliete tutte le voci, io chiedo di volere assecondare la mia modesta opera di difesa dell’Erario, e quella ben più imponente del Governo per la restaurazione dell’Italia.

Il programma enunciato dal Capo del Governo ha indicato con parola chiara e ferma la meta che ci proponiamo di raggiungere. Sia in noi tutti il proposito di essere uniti, solidali in una impresa di tanta mole e di tanta gloria. La Provvidenza vorrà illuminare il nostro cammino, e concedere alla nostra fatica il premio desiderato: attraverso alla restaurazione dell’economia aver rimesso in piedi la Patria. (Vivissimi prolungati applausi Congratulazioni).

PRESIDENTE. Avverto che il Presidente del Consiglio dei Ministri risponderà nella seduta di domani agli oratori che hanno partecipato alla discussione.

Interrogazioni e interpellanze.

PRESIDENTE. Comunico che gli onorevoli Assennato, Vernocchi, Pacciardi, Lussu e Pellizzari hanno presentato la seguente interrogazione, per la quale hanno chiesto la risposta di urgenza:

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, Ministro degli affari esteri, per sapere se è consentito al Console di uno Stato straniero di sollecitare ed ottenere l’arresto di suoi compatrioti rifugiatisi in territorio italiano in cerca di asilo, essendo perseguitati politici, con riferimento all’arresto di patrioti greci, praticato in Bari, in ispregio al più tradizionale principio democratico, del quale la nuova democrazia repubblicana deve essere gelosa custode».

Domando al Governo quando intende rispondere a questa interrogazione.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri. I fatti denunciati nella interrogazione non mi sono noti ufficialmente. La situazione giuridica è questa: trattandosi di stranieri rifugiati, se qualche Governo delle Nazioni Unite vuole intervenire può farlo solo attraverso il Comando alleato, che – a sua volta – si rivolge al Ministro degli esteri. Finora nessuna domanda è a questo pervenuta.

Se la notizia è esatta, non può corrispondere alla regolamentazione giuridica. Comunque, mi riservo di assumere ulteriori informazioni e di comunicarle, nella seduta di domani, agli onorevoli interroganti.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle altre interrogazioni e delle interpellanze pervenute alla Presidenza.

MATTEI TERESA, Segretaria, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno, per sapere, in seguito alla risposta scritta all’interrogazione sul tema «Alberghi e Turismo», tenuto conto della scarsa efficienza dei due decreti legislativi 29 maggio 1946, quali siano in Italia le reali condizioni del turismo e che cosa si faccia per imprimere a questa industria lo sviluppo necessario all’economia nazionale.

«Canepa».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’industria e del commercio, per sapere se è vero che il Ministero competente ha in animo di procedere all’applicazione anche in Sicilia del decreto 21 settembre 1944, n. 315, recante norme per la soppressione dei Consigli e degli Uffici provinciali dell’economia e sulla istituzione delle Camere di commercio, industria ed agricoltura nonché degli Uffici provinciali del commercio e dell’industria.

«Si osserva che in Sicilia, subito dopo la occupazione alleata, vennero anticipati quei provvedimenti di soppressione che formano oggetto della legge di cui trattasi, ma, più e meglio che non la legge in oggetto, vennero disciplinati gli enti rappresentativi dell’economia locale, con la creazione delle Camere di commercio provinciali nello spirito e con le funzioni della vecchia legge prefascista del 1910, opportunamente aggiornata, prevedendosi fra l’altro una rappresentanza autonoma dei settori marittimo ed artigiano.

«Tale stato di fatto e di diritto esistente in Sicilia perfettamente si inquadra con le aspirazioni di autonomia così vive nell’Isola, ed ormai tradotte in legge dello Stato dal decreto legislativo 15 maggio 1946, approvante lo Statuto della Regione siciliana. Detto Statuto, infatti, attribuisce alla competenza esclusiva regionale ogni statuizione organizzativa in siffatta materia e non può essere contraddetto, né per ragioni di merito né per ragioni di opportunità, da una ritardata applicazione che oramai determinerebbe conflitto tra due potestà legislative: la statuale e la regionale.

«Nel merito del provvedimento si osserva inoltre che esso non farebbe che perpetuare un doppione burocratico tipicamente fascista ed antidemocratico rivelatosi inidoneo alla tutela degli interessi delle categorie rappresentate e causa frequente di intralcio e di disorganizzazione. Il che del resto è comprovato dal vasto movimento oramai affermatosi in Italia tendente alla soppressione degli Uffici provinciali dell’industria e commercio ed alla costituzione, se mai, in loro vece, degli Uffici regionali con compiti ispettivi, uffici regionali che per essere organi periferici del Ministero dell’industria e commercio non vanno in Sicilia nemmeno costituiti essendo il loro compito di specifica pertinenza del Governo della Regione.

«Comunque, anche a prescindere dal conflitto di competenze, appare strano che l’applicazione del decreto 21 settembre 1944 anche in Sicilia venga imposta, dopo che per ben due anni se ne è consentita l’inosservanza, proprio alla vigilia della emanazione della legge che dovrà in via definitiva regolare la costituzione e le funzioni delle Camere di commercio statuendo fra l’altro la soppressione degli Uffici provinciali dell’industria e del commercio.

«Bellavista».

«I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri dell’interno e dei trasporti, per sapere se, quando e con quali formalità preventive, intendano accogliere le legittime richieste dei famigliari non provvisti di mezzi finanziari adeguati, predisponendo il trasporto (a spese dello Stato) alle località di origine delle salme dei patrioti trucidati dalla ferocia nazifascista, salme che tuttora giacciono in piccoli cimiteri improvvisati, disseminati in molte regioni d’Italia.

«Belotti, Clerici, Roselli, Bovetti, Cremaschi, Rumor, Ferrario Celestino».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere se non intenda di intervenire energicamente ad impedire l’illecito e vergognoso abuso della libertà di stampa, che, attraverso articoli ed illustrazioni immorali e dettagliate relazioni dei peggiori delitti che si consumano, non solo fa opera deleteria sulle coscienze, specie quelle dei giovani, ma rappresenta una evidente violazione di disposizioni di legge.

«SCALFARO».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per sapere se non ritenga opportuno predisporre un provvedimento legislativo, che dia modo di definire la sistemazione in ruolo degli avventizi del personale del Ministero dei lavori pubblici e dei dipendenti uffici del Genio civile ed in particolar modo di coloro che, avendo prestato per moltissimi anni lodevole servizio, sono stati altresì investiti di mansioni di gravi responsabilità.

«Proia, Angelini, Fuschini».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per sapere come intenda provvedere al funzionamento di molti uffici periferici del Genio civile che, oberati da un lavoro eccessivo, non hanno possibilità di assumere nuovo personale avventizio per la progettazione, direzione e sorveglianza dei lavori e per il sollecito disbrigo delle pratiche in corso.

«Proia, Angelini, Fuschini».

«I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri della marina mercantile e dei trasporti, per sapere se non intendano sostituire, nella maggiore linea marittima che unisce il continente italiano con la Sardegna, la nave Mocenigo con altra adeguata al movimento dei passeggeri, ora costretti ad attendere, per varie settimane, di poter partire, e se non intendano intervenire perché la partenza del treno, da Olbia per l’interno dell’Isola, avvenga subito dopo l’arrivo del piroscafo.

«Mastino Pietro, Lussu».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro delle finanze, sul licenziamento degli operai reduci alla Manifattura dei tabacchi di Cagliari. Precedentemente assunti in servizio provvisoriamente, col pretesto della provvisorietà dell’assunzione sono stati alla fine di agosto 1946 licenziati, per quanto quasi tutti con numerosa famiglia a carico, e al loro posto sono stati assunti altri reduci, mettendosi cosi in conflitto, con inspiegabile inopportunità politica, reduci contro reduci. Non ostante che gli operai licenziati abbiano a proprio favore la Commissione interna, la Camera del lavoro, la Federazione provinciale dei combattenti e reduci e la stessa autorità prefettizia, non sono stati ancora riassunti, neppure in soprannumero, così come consentirebbero le esigenze dei lavori.

«L’interrogante chiede di sapere quali provvedimenti l’onorevole Ministro intenda prendere per riparare a tale ingiustizia, intollerabile se si pensa che si tratta di pochi operai che non raggiungano la decina. Tale rigore fiscale, giustificato con arbitrarie interpretazioni dei regolamenti, può avvenire solo verso nuclei operai del Sud e delle isole, perché non sostenuti localmente da rilevanti forze sindacali.

«Lussu».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’industria e del commercio, per conoscere i motivi per i quali non sono state ancora rese note agli interessati nonché alla pubblica opinione le risultanze di una inchiesta eseguita nei confronti della Camera di commercio di Palermo su espressa richiesta del Commissario della Camera stessa. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bellavista».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, sulla grave esplosione avvenuta nelle Acciaierie ferriere del Caleotto (Lecco) e sulle responsabilità relative.

«Osserva l’interrogante che non è la prima volta che infortuni del genere di quello gravissimo avvenuto il 19 settembre 1946, si sono verificati in detto stabilimento e che già l’opinione pubblica aveva avvertito il grave pericolo di continuare a consentire lo scarico di esplosivi di alta potenzialità in uno stabilimento nel centro cittadino di Lecco ove lavorano centinaia di operai.

«Oltre all’accertamento delle responsabilità invoca l’interrogante l’erogazione di adeguati sussidi a favore delle famiglie delle vittime e dei feriti, ed un sollecito aiuto alle numerose famiglie operaie (circa una quarantina) rimaste improvvisamente senza tetto, né suppellettili, né vestiario in seguito all’incendio propagatosi per effetto dell’esplosione alle abitazioni operaie. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Momigliano».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro del tesoro, per sapere se, col provvedimento annunciato di accordare ai maestri pensionati i miglioramenti concessi al personale statale di quiescenza dall’8 settembre ad oggi, s’intendano accordare gli stessi miglioramenti a tutti i pensionati dipendenti da Istituti amministrati dalla Cassa depositi e prestiti, e cioè: Cassa di previdenza sanitaria, Cassa di previdenza impiegati enti locali, Cassa di previdenza salariati enti locali, Cassa di previdenza ufficiali giudiziari, interessanti una vasta categoria di pensionati, ai quali è necessario ed urgente sia provveduto almeno in maniera analoga ai maestri pensionati. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Zaccagnini».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se – premesso che con l’articolo 3, ultimo comma, del Regio decreto-legge 19 agosto 1943, n. 737 (Gazzetta Ufficiale n. 203 del 1° settembre 1943), veniva concessa la registrazione con le agevolazioni per le cooperative disponendosi: «l’imposta fissa di registro e l’imposta ipotecaria ridotta si applicano tuttavia alle assegnazioni di case da parte di cooperative edilizie regolarmente costituite ed in possesso dei prescritti requisiti di capitale e di mutualità che siano effettuate entro il 31 dicembre 1943, a favore dei soci i quali risultino prenotati all’8 maggio 1942, indipendentemente dal tempo in cui è sorta la società e dal valore dell’assegnazione»: – e che, per le note circostanze eccezionali dello stato di guerra e della occupazione nazifascista, il termine del 31 dicembre 1943 è trascorso senza che vi sia stata la possibilità per le cooperative, soggette alle amministrazioni straordinarie del periodo fascista, di provvedere agli atti di assegnazione degli immobili; – non creda equo ed urgente promuovere un decreto legislativo che disponga la riammissione in termine, fino al 31 dicembre 1947, delle cooperative edilizie regolarmente costituite ed in possesso dei prescritti requisiti di capitale e di mutualità, per la registrazione con imposta fissa di registro e imposta ipotecaria ridotta degli atti di prima assegnazione ai soci i quali risultavano prenotati all’8 maggio 1942, indipendentemente dal tempo in cui è sorta la società e dal valore della assegnazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bruni»

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’interno, per sapere se vi sono motivi che ostacolino l’accoglimento della domanda presentata dalla benemerita Associazione volontari italiani del sangue (Avis) per il suo riconoscimento in ente morale, e se non sia a conoscenza che, malgrado il mancato o ritardato riconoscimento, il comune di Milano, per troncare gli indugi, abbia già messo la associazione in possesso dell’area di cui le ha fatto donazione per la costruzione della sede della istituzione che onora il Paese. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Gasparotto».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere perché non si istituisce presso la sottoprefettura di Domodossola un ufficio di pubblica sicurezza che potrebbe essere anche retto da un commissario capo, oppure affidato anche al commissario che attualmente occupa degnamente il posto al confine di capo della pubblica sicurezza.

«L’ufficio è indispensabile per il rilascio dei passaporti, per i permessi di caccia e tutti i servizi inerenti alla pubblica sicurezza, servizi da distaccare dalla questura di Novara.

«Bisogna instaurare detto ufficio, data l’enorme distanza delle lunghe valli assolane dal capoluogo della provincia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Zappelli».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere quale criterio seguirà nel finanziamento delle perizie, non ancora espletate, dei fabbricati distrutti o lesionati dal terremoto del 6-7 settembre 1920 (Garfagnana e Lunigiana). I finanziamenti furono sospesi, con decreto-legge 14 novembre 1941, n. 1231, a causa dello stato di guerra. Essendo oggi venuta a cessare la limitazione del citato decreto-legge, i lavori di ricostruzione o riparazione non potranno essere ripresi se i prezzi delle perizie non saranno aggiornati. Sarebbe desiderabile che il Ministero dei lavori pubblici procedesse speditamente ad una soluzione del problema, in vista dell’esiguo numero di coloro che aspettano, da 26 anni, un finanziamento che la burocrazia fascista ha fatto loro, così a lungo, attendere. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Biagioni».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere per quale ragione saranno banditi prossimamente concorsi a cattedre nelle scuole medie, riservati ai reduci, da effettuarsi per esami, e non si è ritenuto più opportuno, volendo andare incontro agli ex combattenti, fare dei concorsi per titoli. Per ragioni di giustizia si sarebbe potuto distinguere:

1°) reduci idonei ed abilitati: concorso per titoli;

2°) reduci non abilitati: concorso per esami.

«I primi infatti hanno già dimostrato la loro sufficienza di fronte ad una commissione esaminatrice e possono dare garanzia per l’insegnamento.

«Il Ministero dell’educazione nazionale, nel bandire i concorsi del 1941, garantì che sarebbe stato accantonato per i reduci un numero di cattedre eguale a quello messo a concorso durante il periodo della guerra. È giusto che oggi si chieda di assegnare per titoli almeno il 50 per cento delle cattedre, in quanto gli idonei e gli abilitati di oggi si sono laureati anteriormente al 1941 ed è quindi logico facilitare loro una stabile sistemazione, in quanto più anziani e in quanto più a lungo si sono sacrificati per la Patria, donando gli anni migliori della loro giovinezza. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Biagioni».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se intenda, in occasione degli annunziati concorsi per le scuoce medie riservati ai reduci, ultimare anche il concorso-esame di Stato per l’insegnamento di filosofia e storia negli istituti dell’ordine superiore classico espletato nel 1943.

«Infatti coloro i quali, pur avendo sostenuto la prova scritta il 20 luglio 1943, non poterono sostenere le prove orali per gli eventi bellici intercorsi, attendono di essere, a norma della, legge 6 gennaio 1942, n. 27, ammessi a sostenere esclusivamente le prove orali a completamento del concorso, perché ciò risponde ad una esigenza dell’equità e del diritto. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Sullo Fiorentino, Monterisi».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri della marina, della guerra e dell’aeronautica, per conoscere perché benefici consimili a quelli dell’amnistia promulgata dalla nuova Repubblica italiana non siano stati ancora estesi alle forze armate dello Stato.

«Nel 1919, dopo la guerra 1915-18, vennero condonate tutte le punizioni di carattere disciplinare riportate da ufficiali, sottufficiali e militari di truppa durante tutto il periodo della guerra con l’ordine non di coprire le mancanze stesse, ma di farne sparire qualsiasi traccia dai libretti personali, strappando dai libretti medesimi i moduli relativi.

«Tale decreto aggiungeva peraltro che in sede di esame di avanzamenti non si sarebbe dovuto tenere alcun calcolo degli effetti che erano conseguiti nel giudizio in sede di note caratteristiche dell’ufficiale o sottufficiale punito, in conseguenza delle punizioni di cui trattasi.

«Poiché con la recente amnistia sono stati condonati gravi reati e cancellati anni di carcere, non si vede perché simili benefici non possano essere estesi – in questi momenti in cui ha inizio la nuova vita dello Stato italiano – a quegli ufficiali, sottufficiali e militari, i quali sono stati puniti, p. e., con 20 o 30 giorni di fortezza, in clima fascista, da superiori che avevano forse una mentalità fascista e molto spesso per motivi a sfondo politico. Tali punizioni costituiscono ancora un peso morto e ritardano le giuste promozioni per molti militari che pure hanno al loro attivo azioni di valore e a volte di eroismo, per tanti altri che sono passati attraverso il vaglio della durissima prigionia mantenendo inalterata la fiamma dell’italianità nei propri petti e l’amore per la Patria lontana, straziata dalla furia nazista e fascista. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Gui».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’agricoltura e foreste, per sapere se non ritenga incompatibile con il prestigio di una pubblica amministrazione, e con gli obblighi contrattuali nel campo del lavoro, la metodica morosità dell’UPSEA nel pagamento degli stipendi ai propri dipendenti; e se, in considerazione anche del fatto che la stessa UPSEA non ha ancora versato agli aventi diritto il premio della Repubblica, non ritenga di dovere seriamente richiamare i preposti a tale Ente ad una più stretta e responsabile osservanza dei propri compiti dirigenti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Terracini».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere se intenda, considerata la precaria situazione in cui vengono a trovarsi molti funzionanti ufficiali giudiziari o commessi giudiziari autorizzati che possono da un momento all’altro, nonostante l’anzianità di servizio, essere privati dell’impiego, predisporre un provvedimento che contempli la possibilità che, dopo un certo numero di anni di effettivo e lodevole servizio, divengano titolari dell’ufficio o che almeno sia data loro una qualsiasi garanzia di stabilità. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Sullo Fiorentino, Monterisi, Codacci Pisanelli».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere per quale ragione il Provveditorato alle opere pubbliche per la Toscana trattenne nei suoi uffici il piano di ricostruzione del centro cittadino di Livorno, dal 19 gennaio 1946, giorno dell’invio da parte dell’Amministrazione municipale, al 14 agosto 1946, giorno in cui il Comitato di quel Provveditorato prese in esame il piano, compiendo un sopraluogo a Livorno.

«Si sa che, per l’energica iniziativa del Ministro Romita, il Provveditorato si decise ad esaminare la questione; ma l’esame, fatto di mala voglia e con spirito ipercritico, si concluse con un voto sfavorevole, decisione presa il giorno lunedì 2 settembre, dopo cioè più di otto mesi che il piano era a disposizione del Provveditorato per gli esami e per gli eventuali suggerimenti da darsi all’Amministrazione comunale, in vista di superare le possibili divergenze senza eccessiva perdita di tempo.

«L’interrogante, mentre plaude all’energia del Ministro Romita, che ha ora affidato la relazione definitiva del piano ad un suo incaricato, allo scopo di accelerare la messa in opera, chiede quali provvedimenti il Ministero intende prendere contro i funzionari responsabili della lunga mora, risultata dannosissima alla devastata città di Livorno. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Barontini Ilio».

«I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri dell’agricoltura e foreste e del tesoro, perché dicano se, finalmente, non credano d’intervenire, perché il decreto legislativo 13 settembre 1945, n. 593, che stabilisce speciali provvedimenti a favore degli agricoltori, danneggiati dalla siccità e dalle cavallette, abbia esecuzione. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Mastino Pietro, Lussu».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’interno, per sapere se non creda urgente realizzare la ricostituzione dei comuni soppressi dal regime fascista in tutti i casi in cui esista relativo parere favorevole da parte della prefettura, e ciò prima delle prossime elezioni amministrative. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Carbonari».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere come intenda proteggere quelle aziende agricole di piccoli proprietari, il cui reddito non dà il minimo d’esistenza. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Carbonari, Buratto».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per sapere se non ritenga doveroso e necessario, aderendo al senso di vera giustizia ed imparzialità, resistere alla richiesta di svuotamento e di quasi annullamento degli uffici del lavoro, che dovrebbero cedere la funzione principale del collocamento della mano d’opera alle Camere del lavoro. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Carbonari».

«I sottoscritti chiedono d’interpellare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere quali provvedimenti il Governo ha adottato o ritiene di dovere adottare per venire incontro alle precise richieste delle classi lavoratrici siciliane espresse nell’ordine del giorno del 19 settembre 1946, delle rappresentanze di tutte le Camere del lavoro della Sicilia e colle quali si reclama urgente intervento del Governo nei problemi di emergenza dell’Isola: nel campo dell’agricoltura, dell’alimentazione, della disoccupazione, della sicurezza pubblica e dell’energia elettrica. Ciò anche in relazione ad una agitazione preannunziata pel 28 settembre, che può prevenirsi con tempestivo interessamento del Governo diretto a tranquillizzare le classi lavoratrici con una sollecita azione tendente a sollevare il disagio in cui esse vivono.

«Lombardo Matteo Ivan, Musotto, Gullo Rocco, Cartia, Di Giovanni».

«Il sottoscritto chiede di interpellare il Governo, sulla necessità di impostare – senza ulteriori indugi – il piano di una politica dell’arte; e per conoscere quale posto si intenda assegnare ad essa nel quadro generale della ricostruzione, dato che all’arte l’Italia deve il suo primato spirituale e la sua incomparabile gloria.

«Il ritorno alla tradizione ed alla nostra consapevole missione contribuirà validamente a costruire il suo nuovo avvenire.

«Nel potenziamento delle arti pure, e nella organizzazione a carattere nazionale dell’artigianato e delle piccole industrie – in connessione anche ad una più adeguata politica del turismo – il Governo troverà la naturale base della nuova economia.

«Di Fausto».

«I sottoscritti chiedono di interpellare il Governo, sulle condizioni della sicurezza pubblica in Sicilia e per sapere come intenda fronteggiare la situazione.

«Natoli, De Vita, La Malfa, Li Causi».

«I sottoscritti chiedono di interpellare il Governo, per sapere: qual è il criterio adottato per fronteggiare la situazione siciliana, promovendo opere pubbliche che riguardano l’irrigazione, la costruzione di centrali idroelettriche, opere portuali, stradali e scuole: quali provvedimenti immediati ha adottato per far fronte alla disoccupazione; e quali assegnazioni di materie prime sono state disposte per la Sicilia.

«Natoli, Li Causi, La Malfa, De Vita, Candela, Guerrieri Emanuele, Volpe, Martino Gaetano, Dominedò, Bellavista, Vigo».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

Così pure le interpellanze saranno iscritte all’ordine del giorno, qualora i Ministri interessati non si oppongano nel termine regolamentare.

La seduta termina alle 18.30.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 16:

  1. – Verifica di poteri.
  2. – Seguito della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.

MARTEDÌ 24 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

XXII.

SEDUTA DI MARTEDÌ 24 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SARAGAT

indi

DEL VICEPRESIDENTE PECORARI

INDICE

Sul processo verbale:

Lizzadri                                                                                                            

Geuna                                                                                                               

Moscatelli                                                                                                      

Congedi:

Presidente                                                                                                        

Comunicazioni del Presidente:

Presidente                                                                                                        

Domande di autorizzazione a procedere in giudizio contro il deputato Gallo:

Presidente                                                                                                        

Comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri (Seguito della discussione):

Einaudi                                                                                                             

Bencivenga                                                                                                      

Conti                                                                                                                

Cortese                                                                                                            

Presidente                                                                                                        

Benedetti                                                                                                         

Interpellanza e interrogazioni (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 16.

BATTISTI, Segretario, legge il processo verbale della seduta precedente.

Sul processo verbale.                        

PRESIDENTE. Sul processo verbale ha chiesto di parlare l’onorevole Lizzadri. Ne ha facoltà.

LIZZADRI. Onorevoli colleghi, chiedo scusa, se nel giro di pochi giorni sono costretto a prendere la parola per la seconda volta sul processo verbale; ma nell’ultima seduta di questa Assemblea sono stati mossi dei rilievi all’opera della Confederazione del lavoro sul problema dell’emigrazione da parte di un onorevole Deputato, ed io reputo opportuno fornire alcuni chiarimenti in merito a questo problema, che credo interessi tutti gli onorevoli colleghi e il Paese.

Possiamo in un certo senso tener conto di questi rilievi, giustificati dal fatto che probabilmente non si conoscono i limiti ai quali può arrivare l’opera e l’azione della Confederazione del lavoro. La Confederazione del lavoro non è il Governo; è una organizzazione sindacale che agisce nei limiti delle organizzazioni sindacali italiane e internazionali. In un certo senso ringrazio l’onorevole collega che mi dà l’occasione di poter fornire alcuni chiarimenti a questa Assemblea.

Naturalmente, in sede di processo verbale, entro i limiti stabiliti dal Regolamento, non mi è consentito dilungarmi troppo, ma mi auguro, in una prossima discussione su questo importante problema che assilla tutti i lavoratori italiani, di poter fare delle dichiarazioni a nome della Confederazione del lavoro, affrontando il problema nella sua interezza.

Non posso perciò qui illustrare l’opera che la nostra Confederazione ha già svolto in seno alla Federazione mondiale dei sindacati e dell’Ufficio internazionale del lavoro. Posso solo accennare al fatto che se nello statuto della Federazione mondiale dei sindacati esiste una clausola che riflette le condizioni da fare agli emigranti, questo si deve proprio all’intervento dei nostri delegati nell’ultima Assemblea.

In fondo, se foste a conoscenza degli articoli di questo regolamento, vedreste che noi italiani ci siamo preoccupati proprio di premunire i nostri lavoratori dal cadere vittime di quei negrieri, ai quali l’onorevole Patrissi ha accennato nel discorso dell’ultima seduta.

Mi limiterò a dare alcune illustrazioni su quello che abbiamo fatto nei riguardi della Francia: noi, Confederazione italiana del lavoro, abbiamo preso contatto con la Confederazione del lavoro francese fin dall’aprile 1945, e nel settembre-ottobre successivo, una delegazione della Confederazione italiana del lavoro si incontrò con i colleghi della organizzazione francese per concludere le trattative durate circa tre mesi. Furono stabilite alcune clausole a parte, di carattere secondario, che però la Confederazione italiana del lavoro crede pregiudiziali per i nostri lavoratori all’estero e per quanto riguarda specialmente la Francia.

Abbiamo chiesto ed ottenuto:

1°) che i lavoratori italiani fossero sottoposti allo stesso trattamento dei lavoratori francesi a tutti gli effetti, cioè salari, mense, ferie, ecc.;

2°) che fosse estesa ai lavoratori italiani la legge degli assegni familiari.

Voi sapete che la Francia corrisponde questi assegni familiari solo ai lavoratori francesi, ed era perciò molto difficile che la Francia accedesse alla nostra richiesta, a meno che la stessa Confederazione del lavoro francese non facesse sua questa domanda. Ciò avvenne, e noi oggi possiamo dichiarare che i nostri lavoratori in Francia – ed è un’eccezione fra tutti i lavoratori di tutti gli altri Paesi emigrati in Francia – percepiscono gli assegni familiari come i lavoratori francesi. Tenete conto che gli assegni familiari in Francia per un lavoratore che ha 4 persone a carico significano il raddoppio del salario;

3°) chiedemmo che i nostri lavoratori usufruissero di tutte le assicurazioni e di tutte le provvidenze sociali dei lavoratori francesi; ma c’è qualche cosa di più: quando un lavoratore italiano o straniero in genere, dopo un certo numero di anni, ritornava al suo Paese di origine, perdeva i contributi pagati in Francia, non solo quelli pagati dal datore di lavoro, ma anche quelli trattenuti sullo stesso salario. Abbiamo proposto, e la Confederazione del lavoro francese ha accettato, che qualora, dopo un minimo di due anni, il lavoratore italiano rientrasse in Italia, a lui devono essere restituiti i contributi trattenuti sul suo salano.

4°) La questione dello stato giuridico, come voi sapete, è una grave questione fra noi e la Francia, specialmente per i lavoratori italiani che vanno in Francia.

Io non sono qui per entrare nel merito di questa grave questione. Noi abbiamo impostato il problema per i lavoratori che emigravano in Francia e per quelli che si trovavano già in Francia.

Avveniva che i lavoratori che non prendessero la cittadinanza francese erano soggetti ad una speciale legge di polizia, per cui, anche per vendetta personale, un lavoratore accusato di qualche cosa potesse in 48 ore, con un ordine di polizia, essere accompagnato alla frontiera.

Io vi chiedo scusa di dilungarmi, ma è un problema molto importante.

PRESIDENTE. Lo so; ma d’altra parte lei deve rispettare il Regolamento. Mi sono occupato anch’io in Francia di questi problemi.

LIZZADRI. Comunque, noi abbiamo chiesto alla Confederazione del lavoro francese che i lavoratori italiani in Francia fossero soggetti alle stesse leggi alle quali obbediscono i lavoratori francesi. Per tal modo il lavoratore italiano, accusato di qualche cosa, non dovrebbe essere sottoposto ad un qualsiasi provvedimento di polizia, ma dovrebbe essere giudicato da un tribunale, con pieno diritto alla difesa.

Queste clausole noi abbiamo poste come pregiudiziali alla Confederazione del lavoro francese, che le ha accettate. Abbiamo pertanto pregato la Confederazione del lavoro francese di far sue presso il Governo francese queste richieste e in un ricevimento che il Capo dello Stato francese organizzò in onore delle delegazioni che erano a Parigi, soffermandosi presso la delegazione italiana ebbe a dire: «Noi dobbiamo andare d’accordo; abbiamo bisogno della vostra emigrazione e sappiamo che avete avanzato richieste a mezzo della Confederazione; posso assicurarvi che il Governo le ha prese nella debita considerazione».

Per il resto vi dirò, in relazione alle accuse che sono state fatte a proposito dei nostri minatori nel Belgio, che la Confederazione non arruola essa i lavoratori che vanno nel Belgio: questi sono stati arruolati dagli Uffici del lavoro, spesso senza neanche sentire il parere della Confederazione.

È avvenuto che molti di questi lavoratori andati nel Belgio non erano minatori; con l’aiuto degli italiani residenti in quelle zone, con l’aiuto delle agenzie consolari e dell’Ambasciata è stato possibile sistemare alcuni di questi lavoratori. Comunque, la Confederazione del lavoro ha mandato nel Belgio gli onorevoli Bitossi e Morelli, i quali hanno preso contatto con le organizzazioni locali e con l’Alto commissario del carbone del Belgio, che è lo stesso Presidente del Consiglio e, d’accordo con quel Governo, si è stabilito che la Confederazione invierà – già due sono partiti – cinque ispettori minerari, che saranno a contatto diretto sia con la Confederazione, che con il Governo belga, in modo da accertare tutti gli inconvenienti e le difficoltà che possono verificarsi nel lavoro di questi nostri operai all’estero.

Concludo, e a malincuore, perché avrei ancora qualcos’altro da dire, affermando che la sorte dei lavoratori italiani, di questi nostri fratelli che sono costretti a lasciare la Patria e spesso anche la propria famiglia ed i figli, sta a cuore a noi organizzatori sindacali come a tutti gli italiani e non trascureremo nulla perché i loro interessi siano salvaguardati all’estero nel miglior modo possibile. (Applausi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare sul processo verbale l’onorevole Geuna. Ne ha facoltà.

GEUNA. Parlo come partigiano e come membro del Comitato militare regionale piemontese.

Intendo contestare fermamente le asserzioni dell’onorevole collega Negarville, pronunciate in quest’Aula sabato scorso 21 corrente circa le agitazioni dei partigiani del Nord.

È necessario che la nazione sappia con esattezza di chi è la responsabilità di uno spirito e di un metodo che hanno sorpreso e allarmato l’opinione pubblica (anche perché tutti i partiti avevano proclamato che i partigiani avevano versato le armi) e che non ha certo servito all’estero la causa del nostro Paese, nello sforzo che esso sta compiendo per la propria rinascita.

Non è vero, onorevoli colleghi, che tutti i partigiani abbiano approvato e, tanto peggio, appoggiato il ricatto armato imposto da una parte di essi al Governo italiano.

PAJETTA GIAN CARLO. A Firenze però parlavate un altro linguaggio! Ai partigiani queste cose non le raccontavate. (Interruzioni).

GEUNA. Si sappia che i partigiani delle formazioni democristiane, in un fermo e preciso ordine del giorno – diramato a tutti i quotidiani di Torino – pur rivendicando ai partigiani tutti i diritti e i riconoscimenti sacrosanti ad essi spettanti – e dal Governo troppo trascurati – hanno condannato il metodo inammissibile della violenza e dell’imposizione sorretta dalle armi, usato da loro compagni di altro colore politico, e hanno fatto plauso all’atteggiamento di disciplina e di ordine perfetto dato da tutte le forze inquadrate nei loro ranghi.

Parimenti il Comando delle formazioni autonome del Piemonte ha sconfessato l’atteggiamento di un comandante che, solo, aveva appoggiato il movimento di insurrezione con le proprie personali dichiarazioni.

Il Congresso stesso dell’Associazione nazionale partigiani d’Italia a Firenze, radunatosi proprio per tutelare e rivendicare, nella legalità, i nostri diritti, ha deplorato e condannato l’atteggiamento dei reparti che si erano sollevati.

PAJETTA GIAN CARLO. Dovevate deplorare l’atteggiamento del Governo. (Interruzioni Commenti).

GEUNA. Perché, sebbene l’onorevole Nenni – dal banco del Governo – abbia voluto enfaticamente giustificare l’atto di debolezza del Governo stesso nei confronti del capitano Lavagnino, richiamando il fenomeno politico che, dietro l’insubordinazione ingiustificabile di un dipendente dello Stato si agitava, non si deve confondere, in un tutto, due episodi nettamente distinti e di ben diversa natura.

E mi spiego: il quadro esatto è questo. Ad un certo momento un funzionario dello Stato – un ufficiale di polizia e quindi un tutore dell’ordine pubblico, rappresentante dell’autorità e della forza dello Stato e che dovrebbe essere perciò di esempio al paese per senso del dovere – riceve un primo ordine (di lasciare l’incarico ricevuto) ed egli lo discute.

Riceve un secondo ordine e si ribella: prende le armi e passa alla montagna. Ma non basta, accetta e porta con sé i suoi uomini, dando prova di aver capovolto il concetto del dovere e della disciplina.

Non entro in merito alla giustezza o meno dell’ordine ricevuto; ma se si ammette il principio che ogni funzionario, quando non gli garba, possa ridersi del Governo – che è la volontà legale del popolo – e possa ribellarsi ad esso, con quale diritto potrebbe questo funzionario invocare l’autorità di cui dallo Stato è investito per espletare il proprio mandato?

In quel momento il capitano Lavagnino non aveva alcuna veste di rappresentare i diritti misconosciuti del partigiano: era semplicemente un dipendente ribelle, e il Governo doveva intervenire energicamente. (Applausi al centro e a destra Interruzioni del deputato Pajetta Gian Carlo).

Pochi giorni prima, il Presidente del Consiglio, a nome di tutto il Governo, aveva fortemente dichiarato che avrebbe preteso la «difesa dell’autorità, del prestigio, del decoro del nuovo Stato, e in particolare da parte delle forze adibite all’ordine». (Interruzioni a sinistra).

PRESIDENTE. Concluda, onorevole Geuna.

GEUNA. L’Assemblea Costituente unanime aveva approvato. Nell’assenza del Presidente del Consiglio, un rappresentante del Governo patteggia con un tutore dell’ordine che passa alla montagna. E stupisce che proprio da uomini di quei banchi della sinistra, di cui tutti noi – anche se avversari politici – dobbiamo lealmente ammirare la fedeltà e la ferrea disciplina al proprio movimento, si levi un inno in difesa della indisciplina più sfrontata. (Applausi a destra e al centro). Ed io, commilitone di lotta, sia pure sotto altri colori, del partigiano onorevole Moscatelli, deploro vivacemente che egli, deputato al Parlamento italiano di un partito che ha i suoi uomini al Governo, si sia recato ad Asti ad accogliere festosamente il ritorno del funzionario ribelle al proprio Governo. (Applausi al centro e a destra).

E veniamo all’agitazione partigiana. Noi siamo solidali con tutti i nostri compagni di lotta. (Interruzioni a sinistra).

Abbiamo combattuto e sofferto vicini, fianco a fianco, e chiediamo e vogliamo per tutti i combattenti della resistenza il riconoscimento tangibile e reale del sacrificio e del sangue loro e della vittoria delle nostre armi, perché partigiani anche noi, ma nella legalità e nell’ordine.

MOSCATELLI. Ma lo dica ai partigiani, questo! (Interruzioni Rumori).

GEUNA. È il metodo della violenza, che è metodo fascista che noi condanniamo: e non potevamo approvarlo.

Onorevoli colleghi, venti anni fa, da questi stessi banchi, si legittimava la violenza, la forza, il dispregio della legge, lo squadrismo, la marcia su Roma: e abbiamo avuto il fascismo!

Per abbattere questo metodo, abbiamo lottato, sofferto, siamo stati in galera, abbiamo perduti i fratelli più puri e più cari sui monti, al confino, sulle forche e non permetteremo mai più che nessun’altra marcia su Roma, né nera, né bianca, né rossa, ci umili nuovamente e uccida la libertà conquistata, che gronda sangue e tanto sangue italiano.

Perciò noi rivendichiamo alla grande maggioranza dei partigiani, dinanzi alla Nazione, il merito e l’onore di aver dimostrato che come hanno saputo combattere e morire in guerra per il Paese, sanno, in pace, servirlo con fedeltà e disciplina, primi fra tutti.

Perché per noi, essere partigiani, veri partigiani, non vuol dire soltanto essere andati sui monti per combattere tedeschi e fascisti in lotta fratricida; no, onorevoli colleghi, partigiani per noi vuol dire e ha voluto dire allora donare qualcosa di più che gli altri, per salvare il Paese, per abbattere la tirannide, perché la Patria risorgesse.

Ha voluto dire lottare, patire il freddo e la fame e le catene della prigione, dare tutte le nostre energie spirituali e morali e materiali, il sangue e la vita, se era il caso, per un vero ordine nuovo, per una maggiore giustizia, per una umanità migliore.

Partigiani voleva dire difendere la nostra terra, fedeltà a un giuramento, amore dei nostri fratelli più grandi (e voi ne avete avuti tanti e mirabili nella loro fermezza) che primi, per venti anni, avevano patito sotto la tirannia fascista.

Perciò partigiano non ha voluto dire neppure chi è salito ai monti con le scarpe rotte o scalzo e ne è disceso in «Aprilia» (ché oggi troppi si sono accodati e fregiati di un titolo rubato), ma chi forse lasciò a casa e beni di fortuna e l’«Aprilia» e ritornò il 25 aprile con le scarpe rotte o scalzo e lacero, o più non ritornò.

Partigiani ha voluto dire per noi donazione e sacrificio – in spirito cristiano – e solo questo ci ha meritato la vittoria.

E noi che, senza merito, siamo tornati alla famiglia, alle cose nostre, mentre tanti nostri fratelli sono caduti lungo la strada, per rispetto ad essi e per non tradire la loro consegna, ci sentiamo partigiani ancora nella volontà e nel bisogno di donare ancora qualcosa al nostro Paese, primi fra tutti a fare tutto il nostro dovere.

PRESIDENTE. Onorevole Geuna, la prego di rispettare il Regolamento e di concludere.

GEUNA. Amici di sinistra, mi rivolgo alla vostra lealtà. Mi si consenta, onorevoli colleghi, che proprio io – che nella lotta clandestina militai come partigiano monarchico – chieda e esiga la difesa, il rispetto, il prestigio del nostro Governo repubblicano, perché dietro il Governo, per me, c’è l’Italia. (Applausi Rumori).

MOSCATELLI. Chiedo la parola per fatto personale.

PRESIDENTE. Voglia indicare in che cosa consiste il fatto personale.

MOSCATELLI. Mi dispiace che non sia presente l’onorevole Nenni… (Interruzioni Rumori) il quale sarebbe d’accordo con me (Interruzioni) nell’affermare che quanto ha detto poc’anzi l’onorevole Geuna risponde al falso (Rumori); e lo dimostro.

PRESIDENTE. Onorevole Moscatelli, si limiti al fatto personale!

MOSCATELLI. Il fatto personale è questo: l’onorevole Geuna ha affermato di non essere vero che i rappresentanti di tutte le formazioni indifferenziate avevano solidarizzato col movimento di Asti. (Interruzioni a destra). Siccome io ho affermato che tutti i rappresentanti delle formazioni indifferenziate si erano invece dichiarati solidali col movimento di Asti, è evidente che ci troviamo di fronte ad un falso e lo dimostro. (Interruzioni).

Quando giunse a Roma la delegazione dei partigiani di Asti, essa venne accompagnata all’onorevole Nenni, il quale in quel momento sostituiva l’onorevole De Gasperi. Presso l’onorevole Nenni si trovavano i delegati di Asti, i rappresentanti delle formazioni garibaldine, i rappresentanti delle formazioni autonome nelle persone di Salivetto e Poli, due autentici partigiani, i rappresentanti delle brigate del popolo nella persona del vicesegretario delI’ANPI, dottore Sertori, e il rappresentante delle formazioni Matteotti nella persona di Graceva… (Interruzioni Rumori).

PRESIDENTE. Venga al fatto personale.

MOSCATELLI. Signor Presidente, il fatto personale consiste in questo: che qui si è dichiarata falsa l’affermazione di coloro che hanno sostenuto che tutti i rappresentanti delle formazioni partigiane hanno solidarizzato con Asti. Ora è falso o non è falso? L’accusa è falsa. Siccome io, colle formazioni Garibaldi ho solidarizzato e sostenuto la solidarietà di tutto il consiglio delI’ANPI…

PRESIDENTE. Non è fatto personale questo; si iscriva a parlare.

MOSCATELLI. È fatto personale, perché è stato fatto il mio nome, deplorandosi che io, come partigiano, sia andato ad Asti a fare opera di chiarificazione e pacificazione. (Interruzioni).

Vi ho citato i nomi dei rappresentanti di tutte le formazioni indifferenziate che davanti a me hanno dichiarato di solidarizzare in pieno con i partigiani di Asti. Perché sono andato ad Asti? Perché ero stato richiesto dagli stessi partigiani di Asti, perché mandato dal Consiglio nazionale delI’ANPI, perché mandato dall’onorevole Nenni. Il fatto che migliaia e migliaia di cittadini di Asti hanno salutato entusiasticamente i partigiani che rientravano dalle montagne, (Commenti) indica che non solo i partigiani hanno solidarizzato con coloro i quali, con il loro gesto di protesta, hanno voluto dimostrare al Governo che con la pazienza dei partigiani non si scherza. (Applausi a sinistra Rumori).

PRESIDENTE. Non essendovi altre osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Hanno chiesto congedo gli onorevoli Deputati: Di Giovanni, Ferrarese, Costa, Lazzati, Dossetti, Rubilli.

(Sono concessi).

Comunicazioni del Presidente.

PRESIDENTE. In relazione alla istituzione di quattro Commissioni permanenti per l’esame dei disegni di legge, deliberata dall’Assemblea nella seduta del 17 corrente, comunico che le Commissioni stesse risultano così composte:

Prima Commissione: Andreotti, Arcangeli, Bencivenga, Bergamini, Camposarcuno, Carboni, Condorelli, Del Curto, Della Seta, D’Onofrio, Foresi, Fornara, Galati, Gronchi, Lombardi Riccardo, Longo, Martino Gaetano, Molè, Moscatelli, Nobile, Tonello, Turco, Vernocchi.

Seconda Commissione: Amendola, Arcaini, Assennato, Cartia, Castelli Edgardo, Cicerone, Cuomo, Dugoni, Fioritto, Giacometti, La Malfa, Lombardi Carlo, Marinaro, Martinelli, Patrissi, Pella, Persico, Pesenti, Tosi, Valiani, Valmarana, Vanoni, Vicentini.

Terza Commissione: Alberganti, Bassano, Bei Adele, Bianchi Costantino, Bitossi, Bonomi Paolo, Braschi, Bruni, Cappugi, Capua, Cavalli, Corazzin, De Maria, Foa, Lucifero, Massini, Mastino Gesumino, Perrone Capano, Piemonte, Santi, Simonini, Villani, Zerbi.

Quarta Commissione: Angelini, Barontini Ilio, Bibolotti, Buonocore, Camangi, Cevolotto, Covelli, Colombo Emilio, De Palma, Di Fausto, Firrao, Malagugini, Monticelli, Orlando Camillo, Pera, Pucci, Reale Vito, Rodinò Mario, Ruggeri Luigi, Salerno, Schiavetti, Stampacchia, Tambroni Armaroli.

Avverto che le Commissioni si riuniranno domani, per procedere alla propria costituzione: la prima e la seconda alle ore 9,30, la terza e la quarta alle 11,30.

Il Governo ha già fatto pervenire tre provvedimenti, due dei quali saranno, domani stesso, sottoposti alla prima Commissione e uno alla terza.

Comunico che, in sostituzione degli onorevoli Di Vittorio e Pesenti, dimissionari, ho chiamato a far parte della Commissione per la Costituzione gli onorevoli Assennato e Corbi.

Domande di autorizzazione a procedere in giudizio contro il deputato Gallo.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca le domande di autorizzazione a procedere contro il Deputato Gallo.

Di queste domande, due riguardano i reati di insurrezione armata contro i poteri dello Stato, omicidio, tentato omicidio, invasione di terreni ed edifici privati, sequestro di persone, estorsione, associazione a delinquere, correità in rapine e in tentate estorsioni, falsità materiale, detenzione di armi da guerra. (Commenti).

Per esse, la competente Commissione propone, ad unanimità, che sia concessa la richiesta autorizzazione a procedere in giudizio, ma non quella per la emissione del mandato di cattura contro l’onorevole Gallo.

La terza riguarda i reati di radunata sediziosa, istigazione di militari a disobbedire alle leggi e denigrazione della guerra, reati coperti tutti dalla recente amnistia. La Commissione, unanime, propone che l’autorizzazione a procedere sia concessa, affinché l’amnistia possa essere applicata.

Pongo a partito queste proposte della Commissione.

(Sono approvate).

Seguito della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.

Ha chiesto di parlare l’onorevole Einaudi. Ne ha facoltà.

EINAUDI. Onorevoli colleghi, chiedo venia a voi, se in questa appassionata discussione politica oso introdurre una parentesi di scarna tecnica economica.

Ascoltando, l’altro giorno, il discorso dell’amico onorevole La Malfa, la mia attenzione si è fermata su un punto, in cui egli osservava che elemento essenziale obiettivo di una politica del tesoro era la conoscenza dei fatti, la conoscenza dei dati che costituiscono la base di ogni ragionamento.

Sarebbe mio desiderio che alla fine di queste poche parole voi riconosceste che nessun’altra mira mi ha mosso all’infuori di quella di offrire a voi e a me stesso alcuni elementi di meditazione che servano per rispondere ad una domanda che credo tutti gli italiani si siano fatta ed è questa: se la lira potrà essere stabilizzata.

Dicendo «se la lira potrà essere stabilizzata» io pongo il problema nella sua forma ipotetica, che è la forma abituale a noi cultori di scienze economiche. Noi infatti non possiamo profetizzare nulla: se profetizzassimo qualche cosa, mancheremmo ad un nostro stretto dovere. Noi possiamo soltanto dire quali sono le condizioni, date le quali, la lira può essere stabilizzata.

Non pongo fra le condizioni essenziali l’esigenza di cui ho sentito parlare, cioè la riunione dei due Ministeri del tesoro e delle finanze.

Se si vuol risalire alle sue origini storiche, questa separazione non fu nient’altro se non uno strumento di governo di uno dei più grandi uomini che siano vissuti nella storia, e precisamente di quel tiranno di genio che si chiamava Napoleone. Napoleone, allo scopo di meglio dominare, di meglio poter usare la pratica del divide et impera, divise il Ministero delle finanze in due Ministeri, quello del tesoro e quello delle finanze. In tal modo egli poteva controllare l’opera dell’uno con l’opera dell’altro Ministro. E quei due suoi Ministri egli conservò per tutta la durata del suo dominio, uno il conte di Mollien, Ministro del tesoro, l’altro Gaudin, Duca di Gaeta, Ministro delle finanze. Le memorie, gli scritti che essi lasciarono, sono tra i documenti più importanti e più interessanti per lo studio di quel grande uomo di Stato, che in verità nulla sapeva di economia, ma intuiva i fatti e faceva incessanti progetti, i quali normalmente – come accade a tutti coloro che non conoscono un dato ramo dello scibile – non potevano essere attuati. Ascoltando quei due suoi fedeli Ministri, Napoleone riconosceva però che le sue idee erano sbagliate e dando testimonianza di quel che è il vero genio, finiva di applicare quelle dei suoi fedeli servitori.

La separazione dei due Ministeri delle finanze e del tesoro che, dunque, aveva servito come arma di governo a quest’uomo, che peraltro, usando sistemi di tirannia, condusse la Francia alla rovina, risorse in Italia dopo tanto tempo nel 1878, rapida meteora che durò soltanto pochi mesi. Riprese poi nel 1888, per ragioni semplicemente parlamentari, e precisamente allo scopo di offrire una maggiore quantità di posti ministeriali ai membri del Parlamento.

Credo che una delle pochissime cose fatte bene dal regime fascista, sia stata la riunione dei due Ministeri. Ma non considero che quella separazione, nuovamente operata in appresso, sia un fattore essenziale per la risoluzione del problema della stabilizzazione della lira. Non lo credo. Da tutti i Ministri del tesoro che si sono succeduti, a partire dal compianto Soleri, ad andare a Ricci e poi a Corbino, ho sempre sentito ripetere lo stesso giudizio che Corbino espresse l’altro giorno, e cioè che i suoi rapporti con i colleghi Ministri delle finanze Pesenti e Scoccimarro erano stati sempre rapporti più che cordiali, rapporti attraverso i quali si potevano e si possono discutere e risolvere le questioni finanziarie da sottoporre ai Consigli di gabinetto. Il problema, sebbene non attuale, dovrà in avvenire tuttavia essere esaminato e risoluto; non certo nel senso della permanenza della separazione dei due Ministeri.

Ma forse non potrà neanche essere risoluto nel senso di una semplice unione. Noi nei paesi latini siamo troppo affezionati alla logica, troppo affezionati alle cose chiare e diciamo perciò: uno o due Ministeri. In altri paesi ciò non avviene. Nel paese che è stata la culla del Governo parlamentare, in Inghilterra, non si fanno distinzioni nette fra separazione o riunione. Nell’organizzazione finanziaria di quel paese non ci sono né uno né due Ministeri che si occupano delle cose finanziarie; ce ne sono parecchi i quali fanno parte di quella cosa colossale che è il Governo in Inghilterra, che comprende ora una cinquantina ed ora una ottantina e forse più tra Ministri, Vice-ministri e altre persone appartenenti al Governo. Dentro a questo grande gruppo di persone che fanno parte del Governo c’è un gruppo che si occupa delle cose finanziarie: c’è il primo Lord della Tesoreria che di solito è il primo Ministro; dipendono da lui il Cancelliere dello Scacchiere ed altri Ministri e Sottoministri, la cui opera è tutta unificata dal comando di uno solo. Io credo che per le complicazioni crescenti del sistema finanziario e del sistema economico italiano, verrà un giorno in cui si riconoscerà la necessità di costituire un Sotto-gabinetto dentro al Gabinetto, un Sotto-ministero entro il Ministero. In questo Ministero ci sarà un Ministro principale, il quale darà l’indirizzo agli altri Ministri e sarà responsabile dell’opera loro, rivolta principalmente alle cose dell’amministrazione.

Non è questo un problema essenziale oggi per la stabilità della lira. Non credo nemmeno che sia essenziale per la sistemazione del problema della lira lo scarto che potrà esistere durante l’esercizio in corso fra le entrate e le spese. L’amico e compagno di università onorevole Bertone, Ministro del tesoro, dirà oggi o domani quali sono le condizioni delle finanze e le condizioni del tesoro. Io mi limito a costruire argomentazioni sui dati che sono di dominio pubblico, sebbene forse non sempre siano noti a tutti. In primo luogo, le spese, le quali durante l’esercizio scorso 1945-46 avevano finito per essere previste, giunsero alla cifra di 510 miliardi di lire. Lo stato di previsione originario non arrivava in verità a questa somma, ma, come si sa, e come sempre è accaduto, le note di variazioni successive hanno aumentato l’anno scorso, come aumenteranno anche in questo esercizio, le previsioni originarie ed alla fine, tenuto conto di tutte le variazioni, la spesa complessiva prevista era arrivata a 510 miliardi di lire. Non credo che in questo esercizio la previsione finale, non quella che si potrà fare oggi, ma quella riassuntiva che avremo alla fine dell’esercizio, si fermerà su questa cifra di 510 miliardi di lire di spesa.

Vi sono certamente alcuni capitoli di spesa che non esistevano l’anno scorso. Ricordo il capitolo, che appena appena si iniziava con i premi di consegna addizionale, del prezzo politico del pane. Tutti sapete che il prezzo politico del pane era stato abolito una seconda volta dal Ministro Soleri all’inizio del 1945; così come da lui medesimo, Commissario all’alimentazione sotto il Governo Giolitti, era stato abolito nel 1920. E come allora la finanza italiana era stata salvata dal pericolo maggiore che su di essa incombeva – ed era un pericolo che oggi sembrerebbe piccolissimo: 500 milioni di lire al mese, ma allora era un pericolo grande – così una seconda volta, al principio del 1945, la finanza italiana fu assestata con l’abolizione del prezzo politico del pane. Le vicende dei prezzi e le esigenze dell’agricoltura hanno fatto sì che questo problema si ripresenti oggi. Non credo che una somma minore di 80 miliardi di lire potrà bastare nell’esercizio in corso 1946-47 a coprire l’onere del prezzo politico del pane. Il costo per lo Stato assomma invero alla cifra di 3732 lire per quintale di frumento trasformato in farina dal mugnaio, mentre il prezzo di realizzo da parte dello Stato del medesimo quintale è soltanto di 1322 lire, con una perdita di 2410 lire, che moltiplicata per il numero dei quintali forniti dal Governo alla popolazione urbana, ammonta per l’appunto a 80 miliardi di lire.

È una spesa sulla quale il Governo dovrà decidere, e dovrà decidere questa Camera. La decisione sta nel vedere se convenga accollare ai contribuenti l’intera spesa di 80 miliardi di lire, o se invece convenga attribuirla a coloro i quali devono, secondo le diverse classi sociali, far fronte alla spesa medesima. Se lo Stato, se il legislatore ritenesse, come per ben due volte già ritenne, che si debba abolire il prezzo politico del pane, non tutto l’onere per lo Stato sarebbe risparmiato: l’onere si ridurrebbe probabilmente da 80 miliardi di lire a forse 27 miliardi, a causa dell’aumento dei salari che dovrebbe esser concesso ai dipendenti e agli impiegati dello Stato, perché essi sovvengano al maggior prezzo del grano. Per gli altri lavoratori, posti alla dipendenza altrui, sarebbero i datori di lavoro i quali dovrebbero, con adeguati aumenti di salari, provvedere essi a sopperire alla maggior spesa del pane. Non si tratta di abolire la spesa: questa esiste e dipende dall’onere della produzione del grano e della fabbricazione della farina e del pane; si tratta soltanto dei modi di distribuzione di questa spesa: o tutta sul bilancio dello Stato, o ripartita in parte sul bilancio dello Stato, in parte su coloro i quali hanno lavoratori alle loro dipendenze e finalmente su coloro che possono qualificarsi economicamente indipendenti.

Così pure non credo che sia stato compreso nelle previsioni dell’esercizio scorso il maggior onere che dai giornali si sa essere in corso di discussione per l’aumento della remunerazione degli statali. Da una richiesta di circa una settantina di miliardi da parte dei dipendenti statali ad una offerta iniziale da parte del Governo di 28 miliardi, si verrà forse ad una transazione; e forse saranno 40 miliardi circa, i quali dovranno essere iscritti per questa ragione nello stato di previsione.

Dalle dichiarazioni dell’onorevole Presidente del Consiglio ho tratto la somma di circa 180-190 miliardi di lire di opere pubbliche, le quali sarebbero già state deliberate. Ma parte di queste costituiscono probabilmente un doppio delle spese che erano già state deliberate l’anno scorso; una parte invece è una spesa aggiuntiva e nuova.

Così pure non credo che si sia potuto, se non in piccola parte, inscrivere nel bilancio preventivo dell’esercizio scorso la somma che oggi si deve somministrare in biglietti della Banca d’Italia agli alleati. Siccome gli alleati hanno cessato di emettere le loro lire militari, in luogo di esse oggi si consegnano biglietti della Banca d’Italia. Sinora, nei mesi che sono decorsi dall’inizio di questa nuova procedura, sono circa 3 miliardi e mezzo di lire al mese che sono stati forniti agli alleati.

È una somma di quasi una quarantina di miliardi di lire. Io non oserei affermare se la spesa finale, la quale con il preventivo iniziale e con le variazioni successive potrà essere determinata, possa essere inferiore ai 700 miliardi di lire.

Non credo tuttavia che questa somma potrà essere mai effettivamente spesa. La esperienza passata ci indica che c’è molta strada fra ciò che si preventiva e ciò che si può effettivamente spendere.

L’anno scorso si erano preventivati 510 miliardi di lire e se ne sono spesi 339 miliardi; e così credo che anche questo anno un notevole scarto vi sarà fra il preventivato e la spesa.

Lo scarto deriva soprattutto da una circostanza, che si chiama il «tempo tecnico». Io ammiro lo zelo con cui il Ministro Romita prepara piani di lavori pubblici: zelo necessario per il nostro Paese, perché è giusto che i piani siano preparati, che se non sono preparati per tempo, il lavoro non potrebbe poi essere compiuto, perché mancherebbero al momento utile i fattori produttori necessari per l’attuazione dei piani stessi.

Noi tutti ci auguriamo si possano compiere tutte le opere previste, ma non bisogna dimenticare che per costruire un ponte occorrono cemento, mattoni e carbone. Per quanto riguarda il carbone, ne arriva in Italia appena mezzo milione di quintali al mese ed entro quella quantità si deve svolgere tutta l’attività economica del Paese, e quindi soltanto una parte può essere destinata ai lavori pubblici. C’è, come si vede, un limite infrangibile che si oppone. Bisogna preordinare le idee e predisporre i piani in tempo utile; ma si può affermare non sapersi quanta parte di quella somma di 700 miliardi, che io ho calcolata, possa poi essere tradotta nella realtà.

Accanto al «tempo tecnico» c’è un altro fattore che fa sì che non tutte le somme possono essere spese, e questo fattore si incarna nel nome di una persona che molti di noi consideriamo come una specie di «orco», che impedisce al Ministro del tesoro di fare quanto egli desidererebbe; e questo personaggio si chiama il ragioniere generale dello Stato.

Io ne ho conosciuto uno prima della guerra, il De Bellis, il quale, anche se quasi sempre sorridente nell’aspetto, seppe tenere in pugno per tanti anni le redini del bilancio della spesa dello Stato, impedendo che si facessero troppe spese tumultuariamente anziché fare lo stretto necessario, e quindi impedendo che si sprecassero i denari dello Stato.

Suo erede è oggi il ragioniere generale Balducci, sorridente anch’egli, il quale ha ereditato le qualità migliori del De Bellis. Rendo omaggio a lui, che paragono a un Fabius cunctator, occupato a trattenere le spese pubbliche dall’andare al di là di quanto può essere vantaggioso ed utile spendere. Se si deve fare un ponte e questo ponte costa, a costruirlo bene, un milione di lire, è perfettamente inutile e dannoso spendere per quel ponte 2 o 3 milioni per farlo in fretta e male. Tutto quello che si spende in più del necessario è sprecato e serve unicamente a fare aumentare i prezzi e a produrre il danno dell’inflazione che tutti noi paventiamo.

In virtù dei due numi tutelari del tesoro, che si chiamano il tempo tecnico e il tempo finanziario, impersonato quest’ultimo nel ragioniere generale dello Stato, le spese non giungeranno quindi di fatto alla cifra, che può sembrare spaventevole, dei 700 miliardi di lire.

Contro questa cifra di spesa quale è la cifra di entrata? I giornali hanno anche pubblicato qualche dato; ma non è tanto la somma assoluta delle entrate la quale sia importante, quanto la sua variazione nel tempo.

Erano, nel primo trimestre 1945-46, sei miliardi e 200 milioni al mese che si introitavano per quelle che si dicono entrate effettive, cioè entrate derivanti da imposte e tasse, entrate per cui lo Stato non ha più niente da restituire, entrate che diventano proprietà definitiva dello Stato.

Nel secondo trimestre la cifra sale a 10 miliardi e 800 milioni; nel terzo trimestre dell’esercizio 1945-46 le entrate salivano, sempre mensilmente, a 11 miliardi 700 milioni; nel quarto trimestre a 16 miliardi ed abbiamo letto nei giornali di questa mattina che nel mese di luglio le entrate sono state di 16 miliardi e mezzo e nel mese di agosto hanno superato 18 miliardi di lire. Credo, perciò, che le stime delle entrate effettive nell’esercizio in corso, di cui si è parlato, siano moderate. Nell’esercizio passato lo scarto, tra il primo e l’ultimo trimestre, fu all’incirca del 160 per cento; limitandoci a calcolare questo anno uno scarto fra l’ultimo trimestre dell’esercizio 1945-46 e l’ultimo trimestre dell’esercizio 1946-47 soltanto del 50 per cento, noi possiamo calcolare su una entrata la quale si aggirerà sui 240 miliardi di lire, molto di più dei 130 circa che furono le entrate tributarie dell’esercizio precedente.

Una voce. Sono stati 180 miliardi.

EINAUDI. Siamo lontani dal totale delle spese; ma siamo sulla via del ricupero. La macchina finanziaria non agisce ancora perfettamente: è ancora una macchina che va avanti a furia di rattoppi e di pezzi di spago con cui si mettono insieme le diverse parti dei congegni. Tuttavia è una macchina che ha dato risultati non scarsi. Molto migliori risultati darà questa macchina nell’esercizio in corso, nel quale potremo anche sperare di superare i 240 miliardi, se a questa macchina sarà dato un po’ di olio, se la macchina potrà svilupparsi con maggiore agilità di quanto non abbia fatto nell’esercizio scorso.

Per quanto riguarda la stima dei terreni io so, per aver partecipato a qualche seduta del Consiglio superiore del catasto, che la macchina va svolgendosi con la rapidità richiesta. Ritengo che alla fine di quest’anno solare saranno riveduti gli estimi catastali, così che il reddito su cui potranno basarsi le tassazioni nel 1947 sarà un reddito più vicino alla realtà di quanto non sia oggi. E così come accade per il catasto mi auguro possa avvenire anche per altri rami della pubblica amministrazione.

A questo riguardo, io devo manifestare il mio scetticismo inveterato, che non data da oggi, ma da tempo, quando in situazioni consimili, verificatesi nell’altro dopoguerra, si presentavano gli stessi problemi, il mio inveterato scetticismo di fronte alle invocazioni di «nuovi sistemi tributari». Mi sia consentito di dire che in materia finanziaria non c’è assolutamente più nulla da inventare; tutti gli immaginabili sistemi di imposte sono stati discussi, provati e riprovati, cosicché nulla di nuovo vi è in materia finanziaria che possa realmente portare contributi apprezzabili alla finanza dello Stato.

Quello che occorre fare soprattutto è semplicemente far funzionare la macchina fiscale; è la macchina fiscale cha deve procedere agli accertamenti con quella maggiore esattezza che sia possibile nelle cose di questo mondo, ché esattezza e precisione assolute non le avremo mai. Dal funzionamento di questa macchina ordinaria noi dobbiamo attendere le maggiori speranze per il rifiorimento delle entrate.

È inutile, dal punto di vista del rendimento, fare differenze fra imposte ordinarie ed imposte straordinarie. In questa materia della differenza tra i due tipi di imposizione due soli uomini hanno detto qualcosa degna di essere meditata da quando si è acceso il dibattito (circa 130 anni or sono) fra imposta straordinaria e imposta ordinaria, od in altri termini fra imposta straordinaria e debito pubblico. Di questi due uomini, l’uno era inglese ed è il maggiore economista che sia mai vissuto, Davide Ricardo, l’altro era un professore italiano, che sedette anche su questi banchi, Antonio De Viti De Marco. Tutti coloro che si sono illusi – forse anch’io mi sono illuso – studiando e scrivendo di aver detto qualcosa di nuovo, dobbiamo persuaderci di non aver fatto altro se non portare alcuni granellini invisibili in aggiunta a ciò che avevano detto questi due grandi, il Ricardo ed il De Viti De Marco. Riassumerei la conclusione alla quale erano arrivati quei due dicendo che la differenza tra i due metodi è puramente tecnica; che si possono ottenere i medesimi risultati, quanto a gettito per lo Stato ed a distribuzione fra le diverse classi sociali, sia con l’un sistema che con l’altro. Trattasi di avvedimenti puramente tecnici, intorno ai quali si può discutere, non dal punto di vista della sostanza politica e sociale, perché il risultato è sempre lo stesso; ma solo dal punto di vista del costo della applicazione dei due sistemi.

Quindi, dato che lo strumento dell’imposta straordinaria è ancora da costruire e pur non escludendo che lo strumento possa essere nel frattempo apparecchiato, ritengo sia meglio far sì che nell’esercizio in corso il rendimento delle imposte salga al disopra della previsione di 240 miliardi, e nell’esercizio successivo si possa arrivare ancora più in là. Il metodo migliore è quello tradizionale, di basarsi sulle imposte vigenti. Noi abbiamo già imposte che, secondo la lettera della legge, salgono ad altezze che sono uguali a quelle di qualche altro paese che ci si addita ogni giorno ad esempio. Troppo spesso si sente dire che noi dobbiamo imitare questa o quella imposta straniera. È bene a questo proposito ricordare che da noi le imposte dirette sul reddito (imposta reale, imposta complementare e imposta ordinaria sul patrimonio) sono già così alte nelle loro aliquote da assorbire proporzioni del reddito che vanno da un minimo del 20 per cento sino al 70-80 per cento e qualche volta anche al 96 per cento. Le imposte ci sono, «ma chi pon mano ad elle»? Questo è il punto essenziale: il sistema tributario esistente deve essere bene applicato. Solo abbassando le aliquote vigenti e diminuendo la spinta alla frode si potrà ottenere un gettito migliore per lo Stato, con risultati più cospicui di quelli prevedibili da qualunque ulteriore inasprimento formale delle aliquote, sicché il contribuente possa essere assoggettato ad un carico percentuale minore ed assoluto maggiore. Il gettito di 240 miliardi di lire non rappresenta molto sul reddito nazionale. Occorre che i 240 miliardi aumentino in modo che il sacrificio dei contribuenti giunga all’altezza richiesta dalle esigenze della pubblica finanza, pur lasciando ai contribuenti medesimi incentivo sufficiente a lavorare ed a risparmiare.

Quale è la percentuale del peso tributario sul reddito nazionale? Qui non siamo più nel campo delle cifre verosimili che si possono ricostruire leggendo i documenti pubblici. Siamo nel campo delle valutazioni ipotetiche. Gli statistici, i quali sono i professionisti della materia, non sono tra di loro sempre d’accordo. Ciò che si sa, ciò che si sente che possa essere considerato come sicuro è che, dopo essere giunti sino ad un livello assai basso di reddito nazionale, ossia di somma totale dei redditi di tutti i cittadini italiani, dopo aver toccato l’infimo abisso, noi stiamo risalendo. All’incirca si può dire che, se partiamo da un reddito nazionale calcolato avendo per base il 100 del 1938, noi eravamo discesi nel 1944 a un livello che poteva essere uguale a 70. Dico questa percentuale con molta esitazione e senza giurare affatto su di essa, perché si tratta di calcoli che, pur essendo compiuti da persone peritissime, restano sempre calcoli ipotetici più o meno fondati. Nel 1945 eravamo discesi ancor più in basso. Il livello del reddito nazionale oscillava, a seconda degli apprezzamenti, fra 50 e 60 per cento del reddito quale era nel 1938. Si può ritenere che nel 1946 si stia risalendo.

Apprezzamenti, valutazioni approssimative, fatti diversi, ci fanno presumere che il reddito nazionale tenda di nuovo ad essere, nel 1946, quello che era nel 1944, ossia si trovi all’incirca nuovamente al livello 70. Siamo ancora lontani dal livello 100 del 1938, ma abbiamo già superato il punto più basso, che era quello 50-60 del 1945. Se il reddito nazionale potrà ritornare a quello che era nel 1938, le entrate potranno essere molto superiori a 240 miliardi, potrebbero arrivare anche a 500-600 miliardi.

Nel 1945, al livello percentuale fra 50 e 60 per cento del reddito del 1938, corrispondeva un reddito che era variamente calcolato in circa 1550-1600 miliardi di lire. Oggi, se è vero, come io credo, che il reddito sta crescendo, e possa essere arrivato al livello del 70 per cento, quel reddito nazionale che era l’anno scorso di 1.600 miliardi di lire, potrebbe giungere anche 1.800-2000 miliardi di lire; e se noi ritornassimo al livello 100 del 1938, il reddito nazionale potrebbe essere calcolato 3000 miliardi di lire. Ed allora molte cose che oggi è difficile fare (certamente meno difficile di quanto non fosse nell’esercizio precedente, ma indubbiamente ancora molto difficile), potrebbero invece essere fatte.

In questo quadro, di spese, di entrate e di reddito nazionale, che cosa è avvenuto, in passato nella circolazione cartacea?

In altra sede mi è già accaduto di esporre alcune cifre illuminanti che erano state calcolate dall’ufficio studi dell’Istituto di emissione.

Dal principio della guerra fino al 1945 la responsabilità dell’aumento della circolazione va attribuita per il 61,2 per cento ai tedeschi ed ai neo-fascisti, vale a dire: se la quantità dei biglietti in circolazione dall’inizio della guerra fino alla fine del 1945 era aumentata, così come aumentò, la responsabilità cadeva per il 61,2 per cento sui tedeschi e sui neo-fascisti, e per il 37,8 per cento sugli alleati. Soltanto per l’1 per cento quella responsabilità spettava al Governo legittimo. Il fatto verificatosi durante gli anni recenti, ci dà una speranza, la speranza che se in Italia si governerà bene, se in Italia si farà tutto ciò che occorre per promuovere la formazione del reddito, la circolazione per colpa del Governo non aumenterà in avvenire, così come in passato non è aumentata se non nella misura minima dell’l per cento.

Che il Ministro del tesoro non abbia chiesto nulla alla Banca d’Italia è verità indiscutibile. L’ultima lettera che è stata ricevuta dall’Istituto di emissione per ottenere una anticipazione straordinaria dei biglietti, risale al 12 marzo 1945. Questo è stato l’ultimo giorno nel quale il tesoro ha chiesto anticipazioni alla Banca d’Italia! Ne aveva ben donde il compianto Soleri in quel giorno di chiedere anticipazioni alla Banca d’Italia! Ricordiamo tutti che in quei giorni, prima della liberazione, il Governo del Sud aveva redditi che non giungevano certo ai 18 miliardi, a cui si giunse nel mese di agosto ultimo! Le entrate di allora oscillavano fra 1 miliardo e un miliardo e mezzo al mese ed il Governo del Sud non doveva soltanto sopportare le spese sue, ma aveva da far fronte alle spese di tutta Italia, alle spese di liberazione, doveva sovvenzionare i partigiani del Nord.

Era necessario ed era umano che il Ministro del tesoro di quel tempo ricorresse all’arma straordinaria della richiesta di anticipazioni da parte dell’Istituto di emissione. Ma quella fu l’ultima volta. Dopo di allora non una lettera in quel senso è stata ricevuta. Non vorrei che da questa dichiarazione si deducesse una conseguenza non logica, ossia che la quantità dei biglietti in circolazione non abbia per altro subito variazioni. È evidente che la vita del paese non può rimanere fissa, non può rimanere congelata in quella che era in un determinato momento. È evidente che la quantità di biglietti in circolazione può aumentare e diminuire. La cosa essenziale è che non aumenti per via di quelle tali lettere inviate dal tesoro all’Istituto di emissione per richiedere anticipazioni straordinarie.

Siccome di questo si è già parlato e qualche altro oratore ne ha fatto cenno, dirò anch’io che la circolazione negli ultimi tempi è aumentata. Dal 31 dicembre 1945, quando essa era di 380,1 miliardi di lire, comprese le lire militari alleate, la circolazione è aumentata al 31 luglio 1946 a 407,5 miliardi di lire e al 20 agosto, secondo l’ultima situazione decadale, essa è aumentata a 412,6 miliardi di lire. Dalla fine del 1945 ad oggi, quindi, si può ritenere che la circolazione sia aumentata di 32,5 miliardi di lire. Le spiegazioni di questo fatto sarebbero molteplici e per dare delle spiegazioni complete sarebbe necessario sviluppare e spiegare quei grandi fogli nei quali sono scritte le partite attive e passive dell’Istituto di emissione: ché non esiste nessuna cifra scritta da una parte la quale non determini una variazione corrispondente nell’altra parte di quei fogli. Una sola cosa deve certamente esistere in un qualunque bilancio ed è che i totali debbono pareggiare; e quindi se muta una cifra da una parte, mutano una o più cifre dall’altra parte del bilancio. Bilancio è parola che deriva appunto da bilanciare.

Ricorderò soltanto alcuni dei fatti dai quali sembra si possa dedurre una spiegazione in parte confortante dell’aumento.

Una ragione è stata quella dei prelievi degli alleati. Gli alleati dal 12 marzo al 20 agosto di questo anno hanno chiesto all’Istituto di emissione (ne avevano diritto in virtù delle clausole di armistizio e delle convenzioni addizionali che avevano posto fine alla emissione delle am-lire) somministrazioni di biglietti per 18 miliardi e 822 milioni di lire. Non tutta questa somma è a fondo perduto, perché sapete che contro quella parte di queste somministrazioni, che corrisponde alle paghe dei soldati americani, si hanno accreditamenti in dollari negli Stati Uniti a favore del tesoro italiano. Questa spesa, questo aumento della circolazione a cui pure non ci possiamo sottrarre, ha per effetto di costituire dei crediti, non in tutto, ma in parte (sarà del 40 o del 30 per cento a seconda della proporzione che le paghe degli alleati hanno sul totale della spesa), di costituire dei crediti in dollari negli Stati Uniti a favore del tesoro italiano. Il che vuol dire che il popolo italiano, pagando qualche cosa di più per il prezzo cresciuto delle merci che gli alleati comprano con quei biglietti che noi loro forniamo – e gli alleati comprando merci, influiscono, se anche in una proporzione piccola, all’aumento dei prezzi – e soggiacendo all’onere così cresciuto, si procura una parte dei mezzi che potranno servire l’anno venturo per poter provvedere a comprare quel carbone e quel grano che non ci saranno più forniti per altra via. Non esisterà più invero l’U.N.R.R.A. e questa non ci fornirà più gratuitamente quei tanti beni che in quest’anno ancora ci fornisce. Trattasi di un sacrificio e di una rinunzia attuale, compiuta allo scopo di ottenere un vantaggio futuro, dandoci la possibilità di acquistare merci negli Stati Uniti.

La seconda causa di aumento di circolazione è data dagli ammassi del grano. Dal 20 giugno al 20 agosto vi fu un aumento negli sconti dell’Istituto di emissione per risconto di ammassi di grano di 13 miliardi e 691 milioni di lire. Se ciò ha dato luogo ad aumento di circolazione, trattasi di una variazione stagionale. Si comincia a comprare il grano; questo si trasforma in farina ed in pane; ma coloro che compreranno il pane o che ne dovranno rimborsare il costo ai consorzi agrari faranno col tempo risalire indietro i biglietti alle casse dell’Istituto di emissione.

Finalmente, c’è un’altra partita grossa, la quale può spiegare l’aumento della circolazione: una partita di 16 miliardi e 988 milioni, la quale consiste in somministrazioni agli esportatori italiani di merci. Le esportazioni italiane in quest’anno, e principalmente negli ultimi tempi, sono cresciute. Non so quale sia il contributo, perché è impossibile determinare la influenza di ogni singolo fatto in ogni data conseguenza. Moltissimi fattori influiscono sempre sul verificarsi di ogni singolo fatto. Uno dei fattori dell’incremento delle esportazioni è stato l’avere concesso agli esportatori il 50 per cento di valuta libera, cosicché essi possono realizzarla a un prezzo migliore del cambio ufficiale pagato dall’Ufficio cambi. Limitandoci a quella parte, che è pagata dallo Stato in varie maniere agli esportatori in lire prima del realizzo delle divise cedute dagli esportatori medesimi, noi constatiamo che gli esportatori hanno chiesto all’Istituto di emissione, attraverso l’Ufficio cambi, una somma di circa 17 miliardi di lire. Questo è stato uno dei fattori che hanno contribuito all’aumento totale della circolazione, aumento tuttavia minore della somma dei fattori sopra indicati. Cosa vuol dire il fatto, che si sono anticipati 17 miliardi di lire, per pagare gli esportatori italiani, i quali esportano arance, limoni, tessuti, prodotti ortofrutticoli all’estero? Vuol dire che lo Stato, attraverso i suoi organi, che si chiamano Ufficio cambi od Istituto di emissione, ha acquistato, pagandone il controvalore in lire, dollari, sterline, franchi svizzeri, belgi e francesi, per un ammontare di 17 miliardi di lire. Noi abbiamo aumentato – eventualmente soltanto in parte, perché la somma delle cifre ora ricordate – (18,8 + 13,7 + 17) fa 49,5 e non 32,5, – la circolazione. Abbiamo però acquistato, emettendo biglietti, crediti all’estero. Abbiamo ripetuto in altro modo l’operazione, che in scala più vasta, in parte si compie nel dare biglietti agli alleati. Come dare biglietti agli alleati significa passaggio a credito del tesoro d’una somma in dollari negli Stati Uniti, così pagare lire agli esportatori vuol dire che questi cedono all’Ufficio cambi, ed in definitiva, al tesoro, le corrispondenti divise in dollari, sterline, franchi belgi e francesi.

MARINARO. Ed hanno avuto la possibilità di aumentare la borsa nera delle valute.

EINAUDI. Questo non c’entra; la borsa nera si alimenta per altra via, non con i dollari che sono ceduti allo Stato.

Lo Stato che ha acquistato il controvalore dei 17 miliardi, con essi potrà, l’anno venturo comprare parte del carbone e del grano, che sarà necessario comprare e che noi non saremo più in grado di ottenere attraverso i canali dell’U.N.R.R.A. Sappiamo che con la fine dell’esercizio in corso queste forniture dell’U.N.R.R.A. verranno a cessare. La operazione deve perciò essere considerata non solo prudenziale, ma doverosa; è consistita nel costituire una riserva, allo scopo di impedire che l’anno venturo non ci sia più alcun mezzo per importare carbone e grano. Aggiungerò che le anticipazioni in lire agli esportatori sono state il mezzo per cui gli esportatori di prodotti ortofrutticoli e di altri prodotti hanno potuto procurarsi il denaro per pagare gli operai, per rifornirsi di materie prime e per rimettere in moto la macchina della produzione, che è la sola fonte da cui possono venire le imposte, destinate a loro volta a riportare in equilibrio il bilancio.

Mentre tutto questo accadeva, ossia mentre coi sacrifici attuali si preordinavano le vie per ottenere risultati che altrimenti non si otterrebbero a brevissima scadenza (non bisogna dimenticare che il 1947 batte alle porte ed è necessario aver preordinato qualcosa per non trovarci sprovvisti di mezzi di acquisto all’estero) qualche altro fatto si verificava, o meglio si verificava il primo inizio di un fatto che può sembrare di scarsa importanza, ma che invece ha già grande importanza ora, ed una ancora più grande ne potrà avere in avvenire.

L’onorevole Pella ha ricordato l’enorme scarto fra l’ammontare della circolazione in biglietti e l’ammontare di quella che si chiama nel linguaggio bancario massa fiduciaria, ed è costituita dalla somma di tutti i depositi sia presso le banche, sia presso le casse di risparmio ordinarie come presso le casse di risparmio postali, depositi a risparmio, depositi in conto corrente, depositi per corrispondenza. Egli ha osservato – e mi ha fatto l’onore di dire che aveva ripreso l’osservazione dalla relazione annua dell’Istituto di emissione – che durante il tempo di guerra era sorto uno scarto pauroso fra l’ammontare della circolazione e l’ammontare dei depositi a risparmio. L’ammontare del medio circolante è aumentato 18 volte, mentre quello dei depositi è aumentato – ricordo la cifra più recente del maggio di quest’anno – solo di 7,2 volte.

Che cosa vuol dire ciò?

Il significato della sconcordanza tra l’aumento nella quantità dei biglietti circolanti in paese e l’aumento del risparmio depositato presso tutte le specie di banche e casse di risparmio è chiaro. I prezzi in media sono aumentati in una certa proporzione, notevolmente più alta della quantità dei biglietti in circolazione. Infatti i biglietti sono aumentati dal 1938 in qua 18 volte in quantità, mentre i prezzi che si poteva ritenere fossero aumentati da 22 a 25 volte alla fine del 1945, ora si calcola da taluno che siano aumentati fino 30 volte. La cifra si riferisce soprattutto alla alimentazione e la media dell’aumento forse è più bassa; certo però superiore a 18. Alcuni prezzi sono aumentati di più, altri di meno; ma nell’insieme possiamo ammettere siano aumentati di 30 volte. Ed era inevitabile che accadesse questo. È un fatto perfettamente conforme alla logica, in quanto le variazioni dei prezzi sono il risultato di tanti fattori. Per lo meno sono il risultato da una parte della quantità dei biglietti che gli italiani offrono per avere le merci, e dall’altra della quantità delle merci c dei servizi che si offrono in corrispondenza di questi biglietti.

Ora abbiamo visto che, mentre la circolazione era aumentata 18 volte, il reddito nazionale dal 1938 ad oggi era diminuito almeno di circa il 30 per cento. Essere il reddito nazionale diminuito del 30 per cento vuol dire che la quantità dei beni e dei servizi prodotti correntemente di giorno in giorno, dei beni e dei servizi cioè che si offrono contro i biglietti, è minore di prima; da una parte vediamo che i biglietti crescono e dall’altra parte vediamo che la quantità dei beni corrispondenti diminuisce. Cresce cioè 18 volte l’una quantità e diminuisce del 30 per cento l’altra. Quale meraviglia che i prezzi crescano tanto di più? Che cosa ci si poteva aspettare al di fuori di un aumento dei prezzi maggiore di quello che non sia stato l’aumento della circolazione? Sarà di 10, di 20 volte, di 25 volte, sarà di 30 volte a seconda della natura dei beni, ma è evidente che in media il livello dei prezzi doveva fatalmente aumentare più di quanto non aumentasse la circolazione. Non c’è altro rimedio, all’infuori delle parole, all’infuori dei discorsi che non servono a niente, non c’è altro rimedio per far sì che l’aumento dei prezzi sia in corrispondenza con l’aumento della circolazione all’infuori di un aumento nella produzione dei beni e dei servizi. Se si potesse far sì che la circolazione restasse quale è e che il reddito nazionale tornasse ad essere quello che era nel 1938, potrebbe darsi che il livello dei prezzi ridiscendesse al disotto del livello attuale, ma allora soltanto. Invece di 30 volte si avrebbe un aumento di 16 volte, di 20 volte o qualche cosa di simile.

Mentre ciò accadeva, accadeva anche che, inevitabilmente, il capitale circolante del paese, di cui abbisognano tutti i produttori, agricoltori, industriali, commercianti, tutti coloro cioè che producono qualche cosa, il capitale circolante si volatilizzava in pari tempo. L’indice della consistenza del capitale circolante, indice abbastanza fedele, è dato dalla massa fiduciaria, dalla massa dei depositi esistenti nelle banche, nelle Casse di risparmio e nelle Casse postali. Esso non è tutto, ma è una parte significativa del capitale circolante del paese, parte che possiamo appurare variabile in corrispondenza delle variazioni del tutto. Orbene gli industriali di quanto capitale circolante hanno bisogno se i prezzi in media crescono 30 volte? Se essi devono comperare le loro materie prime aumentate di prezzo 30 volte, se devono comperare il carbon fossile a prezzi cresciuti, se devono pagare i salari aumentati, essi hanno bisogno corrispondentemente di un capitate circolante maggiore. Se noi supponiamo un aumento generale dei prezzi di 25 o di 30 volte, il capitale circolante teoricamente avrebbe dovuto aumentare anch’esso nella medesima proporzione di 25 o di 30 volte. Invece noi sappiamo che è aumentato soltanto di sette volte. Ecco una delle spiegazioni di quel paradosso che si verifica sempre in tutti i paesi e in tutte le epoche di inflazione monetaria, di aumento della circolazione. In quei momenti tutti gli industriali, tutti gli agricoltori, tutti i commercianti si lamentano della scarsità dei mezzi di pagamento. La lagnanza c’è sempre stata, non solo, in Italia, ma in qualunque paese nel quale si è verificato il fenomeno inflatorio. Più aumenta la quantità dei biglietti in circolazione e più aumenta la lagnanza da parte degli industriali e dei produttori di essere scarsi di mezzi, di non avere danaro per fare andare avanti le loro macchine produttive. Ciò accade inquantoché il risparmio lentamente, molto lentamente tiene dietro all’aumento della circolazione e invece di aumentare, come avrebbe dovuto per almeno 18 volte, il risparmio è aumentato soltanto di 7 volte.

Il risparmio nazionale, come noi lo vediamo scritto sui libri delle banche, delle Casse di risparmio e delle Casse postali, oggi è all’incirca di 618 miliardi di lire. Ciò non vuol dire che ci siano da qualche parte riposti danari in quella misura.

Nessuno di noi partecipa all’ingenuità di quel contadino del mio paese il quale, dopo aver depositato 100 mila lire in una Cassa di risparmio, un bel giorno andò e chiese la restituzione delle 100 mila lire; e quando le ebbe avute, ed ebbe contati uno ad uno i suoi biglietti da mille, tornò a restituirli nello stesso momento allo stesso sportello. Era soddisfatto, in quanto aveva visto che i suoi danari c’erano. (Ilarità). C’era la solita riserva che le banche debbono tenere in cassa. Sarebbe un guaio, un disastro enorme se in realtà i danari depositati presso le banche, le Casse di risparmio, ecc., esistessero materialmente ancora. Esiste una piccolissima quantità, quella minima frazione, che l’esperienza ha indicato ad ogni singolo direttore di banca o di Cassa di risparmio, essere necessaria per far fronte alle domande di rimborso che si verificano di giorno in giorno; non di più. La quasi totalità è impiegata. I 618 miliardi di lire di depositi bancari non rappresentano altro che i beni circolanti, non rappresentano altro se non quel fondo di magazzino, il quale è necessario che ci sia ogni momento affinché la macchina produttiva possa funzionare: materie prime, combustibili, fondi di salario devono essere anticipati dalle banche ai produttori, affinché la macchina produttiva funzioni. I produttori debbono certamente disporre anche di mezzi proprî; ma non possono fare a meno di ricorrere all’uopo anche al credito.

Il male di cui noi soffriamo non è che ci sia troppo risparmio impiegato; il male è che oggi i risparmi sono cresciuti di meno di quanto non sia cresciuto il fabbisogno del risparmio, determinato dal moltiplicarsi dei biglietti e dal crescere dei prezzi, e dal crescere quindi del fabbisogno di capitale circolante da parte dei datori di lavoro, industriali, commercianti e agricoltori. Noi abbiamo bisogno che il risparmio cresca, e cresca con una velocità notevole, se vogliamo che la produzione torni a svilupparsi. Condizione necessaria affinché il reddito nazionale torni ad essere quello che era nel 1938 e che le condizioni quindi non solo dei datori di lavoro, ma anche dei lavoratori – e massimamente dei lavoratori – tornino ad essere per lo meno quelle che erano nel 1938 e si avviino ad essere sempre migliori in avvenire, è che cresca il risparmio, che i 600 miliardi, permanendo invariati gli altri fattori di equilibrio, diventino almeno 1600 miliardi. Finché non saremo giunti a questo livello, non potremo dire che ci sia troppo capitale circolante, troppo capitale impiegato: dovremo sempre dire che ce n’è troppo poco.

Su questa via ci siamo già incamminati; un piccolo avviamento, ma tuttavia incoraggiante. Nel 1938 il rapporto esistente tra la massa totale dei depositi e la quantità della circolazione era da 3.83 a uno: contro un biglietto da una lira esistevano depositi per 3.83 lire. Alla fine del 1944 eravamo arrivati al punto più basso e preoccupante: contro una lira di biglietti, la massa dei depositi giungeva soltanto a 0.98; non arrivava cioè neppure alla lira: eravamo paurosamente al disotto di quello che era necessario esistesse come capitale circolante. Nel maggio 1946 – sono l’ultime cifre di cui dispongo – contro una lira di biglietti siamo già risaliti a 1.55. È ancora poco in confronto al 3.83. del 1938; ma è già qualche cosa di più di fronte all’infimo livello del 0.98 contro una lira, cui eravamo arrivati alla fine del 1946.

Mi avvicino così alla fine di queste considerazioni, che avevano lo scopo di porre alcune condizioni oggettive necessarie affinché la situazione economica presente si conservi, specialmente per quanto riguarda il potere di acquisto della moneta, e migliori anzi ulteriormente.

Noi abbiamo necessità che la quantità del capitale circolante e del risparmio aumenti. Ma si tratta di vedere che cosa s’intende per risparmio.

L’onorevole La Malfa ha ricordato, nel suo discorso, che nell’intervallo fra le due guerre mondiali la scienza economica e monetaria ha fatto grandissimi progressi, ed è vero: la scienza economica e monetaria ha fatto progressi che possono essere paragonati per la loro importanza soltanto ai progressi che si erano compiuti dopo le guerre napoleoniche. Le guerre sono sempre il tempo nel quale l’attenzione degli economisti si rivolge ai fatti spettacolosi che sono le conseguenze della guerra. Essi sono tratti a meditare a fondo sui fatti che accadono loro dintorno. Nascono così quelle che si chiamano teorie. Dopo le guerre napoleoniche si sono avute infatti le più grandi scoperte nel campo economico; ed oggi nuovamente la scienza economica ha compiuto dei notevolissimi progressi. Il nome più noto nel mondo è quello dell’economista inglese Lord Keynes.

Sulle varie scoperte gli economisti hanno scritto in proposito molti libri difficili, complicati, che non molti hanno letto e di cui il sugo non è sempre facile a trarsi.

Una fra queste scoperte non è tanto una scoperta, quanto una riscoperta di qualcosa che era stata già detta nel periodo successivo alla guerra napoleonica. Un modesto amico di Davide Ricardo, un uomo che aveva familiarità con tutti i cultori della scienza (credo fosse un semplice impiegato di banca, ma era certo un osservatore acuto delle cifre che gli capitavano sotto gli occhi), un uomo che non lasciò un grande patrimonio scientifico, ma solo pochissime lettere, tre o quattro, che egli indirizzò ai suoi amici, ai quali evidentemente nelle conversazioni aveva esposto i risultati delle sue osservazioni. Quelle poche lettere erano andate disperse. Per poterle raccogliere ho dovuto durare una fatica di anni. Adesso sono state rimesse in valore, quando nessuno se ne ricordava più. Queste lettere del Pennington, rilette e riscoperte dagli economisti fra le due grandi guerre, hanno costituito la base di trattazioni importanti. Si trattava di una cosa molto semplice, di ciò che comunemente si suol dire «un uovo di Colombo».

Quando pensiamo al risparmiatore, istintivamente a che cosa pensiamo? Io stesso, quando ero ragazzo e prendevo qualche buon voto a scuola, ricevevo da papà e mamma cinque lire, e siccome l’abitudine di casa era di non comprare cioccolatini, noi le depositavamo sul libretto della cassa di risparmio postale, così da potere un po’ per volta lentamente giungere alla cifra di 100 lire, la cifra del biglietto rosso, che allora aveva in ogni famiglia un significato notevole.’

Molti di noi, quando pensiamo al risparmio, pensiamo ad un risparmio che nasce in questa forma. C’è un risparmiatore che guadagna una certa somma, 100, e non la spende tutta; spende 95 e le altre 5 lire le porta alla banca o alla cassa di risparmio.

Così si ritiene per lo più si formino quei 618 miliardi di lire che costituiscono la massa fiduciaria o fondo di risparmio nazionale, tutto impiegato come capitale circolante del paese.

Le cose stanno ancora così, in gran parte, nel nostro paese; ma non stanno nemmeno del tutto così. Esiste un’altra origine di quello che si chiama risparmio; un’origine un po’ paradossale.

Pennington, dai libri di banca di 100 anni fa, aveva osservato che il risparmio nasce da un altro atto. Non è un risparmiatore, una brava persona, che parte da casa e va alla banca a depositare i suoi risparmi. Questo è il modo comune, corrente, e per oggi ancora dominante, del risparmio in Italia; ma non più dominante in altri paesi. Se in Italia costituirà ancora i due terzi e forse più di quei 618 miliardi, in altri paesi, che sono considerati più progrediti, Inghilterra e Stati Uniti, la proporzione è per lo meno inversa. Il risparmio che si forma nella maniera tradizionale è la parte minore della massa dei depositi bancari e dei depositi a risparmio. L’altra parte, la parte maggiore – quella che tende a divenire maggiore anche da noi – si forma in tutt’altra maniera.

C’è un dirigente di una banca il quale ha fiducia in un imprenditore, in un industriale, in un commerciante, lo conosce come persona proba, come persona che in passato ha sempre fatto onore ai suoi impegni: questa è la circostanza essenziale che si cerca in coloro in cui i dirigenti della banca hanno fiducia. Il cliente che ha dimostrato di godere questa fiducia chiede, per esempio, una apertura di credito per una cifra di un milione di lire. Il banchiere gli dà una lettera di affidamento; gli scrive una lettera in cui semplicemente gli dice: voi avete presso la mia banca aperto un credito di un milione di lire. Il fatto primo nella formazione dei depositi è quello del banchiere che ha fiducia nel suo cliente e gli scrive una lettera. In conseguenza di questo fatto primo, accadono dei fatti di scritturazione. Può darsi che in alcuni paesi, quello stesso banchiere che ha scritto la lettera di affidamento, nel tempo stesso scriva sui suoi libri a debito del cliente un milione di lire e a credito un milione di lire: che egli abbia aperto un credito di un milione di lire può essere tradotto così nelle scritture della banca. Ecco nato senz’altro un deposito di un milione. Il deposito non è nato da un fatto precedente: dal fatto di colui il quale abbia portato il denaro alla banca. È nato dal fatto primo di un banchiere che ha dato affidamento ad un cliente: da quell’atto nasce un deposito presso la banca.

E se anche da noi non si usa sempre effettuare subito queste scritturazioni immediatamente; le scritture nascono necessariamente in un secondo momento, in quanto il cliente che ha avuto l’affidamento trae assegni sulla banca per 100 mila lire, prima, poi per 50 mila, finché esaurisce tutto il milione, il cui credito è stato aperto a suo nome. Coloro che ricevono gli assegni a proprio favore, cosa ne fanno? Li portano o li inviano alla propria banca perché l’ammontare ne sia scritto a loro credito. Nasce così il deposito. La banca scrive a credito di colui che ha ricevuto l’assegno la corrispondente cifra a deposito. Questa seconda specie di deposito – che in Italia, come ho detto, ritengo non superi un terzo della massa totale dei risparmi – origina da un atto di fiducia. È un atto dello spirito umano che dà origine a queste cifre che noi chiamiamo risparmio, deposito. In realtà non si tratta di entità materiali, di somme che effettivamente una determinata persona abbia portato in deposito ad una banca; si tratta di affidamenti, di atti di fede che una determinata persona ha compiuto verso un’altra persona e che dànno modo a quest’ultima di potere effettuare determinate operazioni.

Certamente l’atto di fede non può essere compiuto da tutti e verso tutti, ma soltanto in favore di quelle persone che meritano la fiducia e che hanno dimostrato con la loro condotta, in maniera inoppugnabile, di aver sempre adempiuto ai propri impegni. L’atto di fede implica anche delle condizioni in chi lo presta; deve cioè essere una persona la quale deve scegliere, e saper scegliere, fra tutti coloro che a lui si rivolgono per avere un affidamento.

Questo meccanismo economico si sviluppa da noi per ora in una proporzione che può essere considerata ancora non rilevante in confronto a quella di altri paesi più progrediti.

In questi ultimi paesi il deposito nato nella maniera normale tradizionale, rappresenta la minima parte dei depositi. In questi paesi, detti capitalistici, che si trovano al sommo di questa erta della creazione del reddito, l’elemento fondamentale del credito, elemento essenziale della produzione, non è più qualcosa di materiale; è un atto di fede di una certa persona verso un’altra.

Certamente si possono commettere errori nel compiere atti di fede, e gli errori debbono avere una sanzione, se si vuole che il meccanismo funzioni. Esistono differenze tra un paese e l’altro circa il modo di colpire con una sanzione coloro che ripongono malamente la loro fiducia in coloro che non la meritano. In alcuni paesi – che non qualificherò con aggettivi, perché mi voglio astenere da qualsiasi argomentazione che abbia carattere politico e sociale – la sanzione si chiama fallimento: è il modo più mite di agire contro coloro che compiono malamente atti di fede. In altri paesi la sanzione può giungere anche al carcere o alla fucilazione. Sono metodi diversi di esercitare una sanzione punitiva contro coloro che sbagliano. Gli atti di fede non si compiono infatti soltanto nei paesi capitalistici; in qualsiasi regime sociale ed economico la massa maggiore delle operazioni economiche finisce per svolgersi attraverso tipi di atti che hanno carattere immateriale. Sia in regime di mercato libero, come collettivistico ci deve pur esser sempre qualcuno, posto alla testa delle organizzazioni che concedono il credito, che compia atti di fede. Negli uni la sanzione sarà il fallimento, negli altri la fucilazione, ma in ogni caso la sanzione contro l’errore deve esistere. Gli atti di fede si debbono compiere, perché, se aspettassimo la rinascita nazionale soltanto dagli atti di risparmio faticosamente accumulato – sono meritevoli anche questi, anzi sono meritevolissimi, ma non sono sufficienti – se la aspettassimo soltanto dagli atti di risparmio di una quota parte dei redditi recati alle banche, il rifiorimento, la ricostruzione, sarebbero troppo lenti.

Se la ricostruzione deve avvenire con un moto abbastanza rapido, è necessario che gli atti di fede da parte dei dirigenti il credito si moltiplichino. Ma perché gli atti di fede, di credito, si moltiplichino, è necessario porre le condizioni affinché essi possano compiersi. Non nascono gli atti di credito se non esiste la fiducia nell’avvenire. Coloro i quali devono mettere le condizioni siamo noi che sediamo su questi banchi, sono gli uomini che siedono al banco del Governo, affinché nel mondo economico si possano compiere quelli atti di fede, senza di cui è impossibile che l’economia di un paese possa risollevarsi.

A questo punto è chiusa la mia esposizione puramente tecnica; e, come le mie ultime parole hanno indicato, si dovrebbe passare al campo politico. Ubbidendo al mio proposito iniziale, mi fermo e mi limito a concludere.

Le conclusioni possono essere le seguenti. Innanzi tutto noi abbiamo un reddito nazionale il quale è ancora tenue, ma ha già superato i limiti minimi che potevano essere valutati in 1500-1600 miliardi annui e sta avvicinandosi ai 2000 miliardi di lire. È necessario che l’incremento continui, affinché lo Stato possa prelevare su una massa crescente di reddito una proporzione crescente di imposte per sovvenire ai bisogni pubblici. Se il reddito nazionale è basso, è inutile immaginare che lo Stato possa prelevare forti percentuali.

Occorre che vi sia un minimo di vita per i cittadini. Soltanto al di sopra di questo minimo può cominciare il prelievo da parte dello Stato. L’incremento del reddito nazionale è condizione e nel tempo stesso accompagnamento dell’incremento delle spese pubbliche. L’incremento del reddito nazionale deve essere destinato sia dallo Stato, sia dai privati non soltanto alla produzione di beni di consumo, ma, in una proporzione oggi più notevole dei tempi normali, alla produzione di quelli che si ha l’abitudine di chiamare beni strumentali, dei beni della ricostruzione. In un periodo come quello nel quale viviamo, è necessario che gli uomini consumino il meno che possono, non allo scopo di produrre di meno, ma allo scopo di produrre quei beni-capitali i quali sono la condizione necessaria affinché il reddito nazionale possa poi crescere. In sostanza, il significato economico di quelli che si chiamano piani quinquennali o settennali, in Russia o in altri paesi, consiste semplicemente nel chiamare gli uomini a fare delle rinunzie, a spendere una parte relativamente minore di ciò che si produce per soddisfare i bisogni presenti, affinché si possa ricostituire il capitale del paese. E quando parlo del capitale del paese, intendo dare una importanza uguale al capitale materiale ed a quello che si chiama nel nostro linguaggio economico capitale personale. Non è soltanto necessario ricostruire quel 20 per cento dei beni materiali che sono stati distrutti dalla guerra. Non è necessario soltanto ricostruire strade, porti, ferrovie e case. È forse più necessario ricostituire la salute fisica, intellettuale c morale degli uomini che vivono nel nostro paese. È necessaria la ricostruzione di ospedali, la ricostruzione di scuole. L’attrezzatura degli ospedali e delle scuole è un’impresa altrettanto necessaria per l’incremento del reddito nazionale come la ricostruzione delle ferrovie, dei ponti e delle strade.

Io ho ascoltalo con commozione le parole di alcuni giorni or sono dell’onorevole collega Carmagnola. Ben a ragione egli ha insistito sulla necessità di ricostituire il capitale che gli economisti chiamano capitale personale, capitale costituito dagli uomini viventi. Noi abbiamo bisogno che gli uomini viventi siano più sani, siano più istruiti, possano frequentare scuole luminose e sane. Noi vogliamo che la scuola sia accessibile a tutti. Le somme impiegate nella ricostituzione del capitale personale saranno altrettanto produttive di quelle che vengono impiegate nella ricostituzione del capitale materiale, di quel capitale che può tradursi in lire, soldi e denari.

Gli uomini, oggi, abolita la schiavitù, non si valutano più in lire e centesimi. Ma, sebbene non si tenga conto degli uomini nella valutazione della fortuna nazionale, sempre gli uomini hanno costituito la parte principale della fortuna di ogni paese.

Un’ultima avvertenza. Qualunque siano le nostre aspirazioni al bene, giova riconoscere che il nostro reddito, chiuso entro quelle cifre che ho indicato, e che hanno una significazione soltanto di indici dei beni che si producono, e dei servizi che si scambiano, è tuttavia troppo basso per poter rapidamente, in un termine di anni non troppo lungo, riuscire a quella esaltazione della ricchezza nazionale, a quella esaltazione del reddito che è condizione indispensabile affinché il tenore di vita di tutti gli uomini possa innalzarsi. Noi non possiamo far ciò con le nostre sole forze. È necessario anche l’aiuto straniero. In questi anni terribili che stanno dinanzi a noi, del 1946, 1947 e anche del 1948, è necessario che venga a noi l’aiuto straniero, che ci siano concessi non più in dono, com’è stato fatto nell’anno in corso, ma a prestito, i beni necessari allo scopo di poter integrare l’opera nostra di ricostruzione del paese.

Oggi lo straniero guarda a noi con una certa diffidenza. Ma io sono sicuro che se sapremo dar prova di volere sul serio attuare questo piano di sacrifici e di lavoro, l’attuale condizione di cose nella quale noi chiediamo e gli altri sono riluttanti a dare, si capovolgerà. Sono sicuro che se sapremo dimostrare di produrre e risparmiare, non saremo più noi a chiedere, ma bensì gli altri verranno a noi. Allora saremo noi a mettere le condizioni per l’accettazione delle offerte che ci saranno fatte. (Vivi applausi Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Bencivenga. Ne ha facoltà.

BENCIVENGA. Come al solito, sarò breve. Avrei anche rinunziato alla parola se la mia coscienza non mi avesse spinto a prospettare il problema dell’ora in un campo alquanto trascurato dai precedenti oratori.

Ho ascoltato discorsi di alto interesse sui problemi della ricostruzione materiale, ma non ho inteso parlare del problema che, a mio parere, è alla base del nostro risorgimento nazionale: quello psicologico e morale.

Come sempre avviene dopo una guerra che richiede il massimo sforzo e il massimo dei sacrifizi a tutti i cittadini, nella quale per ovvie cause le manifestazioni più pure, più alte del sacrifizio e dell’eroismo si intrecciano alle più volgari passioni di lucro e di egoismo, si determina un disordine morale, uno stato di rilassamento che trova spiegazione nello sforzo compiuto. Ciò avviene sempre dopo una guerra, anche quando si concluda con la vittoria delle armi. È facile comprendere cosa debba avvenire quando la sorte delle armi sia avversa.

È in questo clima, in fatti, che trovano terreno favorevole al loro sviluppo i movimenti rivoluzionari. Dobbiamo ascrivere alla saggezza ed al buon senso del nostro popolo l’aver superato la crisi paurosa dalla quale sarebbero scaturiti nuovi lutti e nuovi dolori.

Perché non devo insegnare a voi, onorevoli colleghi, che non è su un organismo debole, logoro per lo sforzo comune che possono essere realizzate radicali trasformazioni sociali.

Ho detto della crisi profonda che si è determinata nel nostro paese in conseguenza degli eventi di guerra. Essa avrebbe dovuto essere fronteggiata nel campo politico e morale; nel campo politico instaurando un vero regime di libertà e di democrazia: nel campo morale, risollevando gli spiriti depressi, facendo appello ai più nobili sentimenti sempre latenti nel nostro popolo, sentimenti di orgoglio nazionale, di fratellanza, di fede nei nostri destini.

Fu proprio battendo una tale via che la Francia risorse rapidamente dopo la guerra franco-prussiana del ’70-71 e la Germania dopo la grande guerra.

Purtroppo ciò non è stato fatto dai Governi che si sono succeduti dopo la liberazione di Roma.

L’onorevole Nitti, con l’alta autorità che gli deriva dal suo passato politico e dalla sua alta cultura, l’amico Giannini, con la sua sferzante ma signorile ironia, vi hanno già detto e dimostrato che non siamo ancora riusciti a gettare le basi di una vera e sana democrazia! Donde una profonda delusione nel paese, in quella parte del paese, che è poi la maggioranza, che anela al ritorno alla normalità, per riprendere il lavoro, per ricostruire le fortune della patria. Essa avverte essere il nostro paese come nave senza nocchiero in gran tempesta. Convengo che non era facile stabilire un regime democratico sulle rovine del crollo del regime dittatoriale e dopo la dissuetudine del popolo italiano all’esercizio della propria sovranità, ma queste difficoltà potevano essere c dovevano essere superate col ripristino delle vecchie istituzioni politiche e col ripristino di quelle leggi che avevano avuto, prima dell’avvento del fascismo al potere, il suffragio del popolo.

Questa instaurazione e questo ritorno al passato dovrebbero costituire la base di partenza per quella radicale trasformazione, che si fosse ritenuta necessaria.

L’aver battuto diversa via è causa di quel malessere del popolo italiano, di quella opposizione, che è andata sempre crescendo e di cui si è resa interprete la stampa.

Orbene, è avvenuto questo: che i Governi che si sono succeduti nel tempo, invece di tenerlo nel debito conto, hanno preferito fronteggiare questo malcontento, decretando disposizioni, che hanno offeso ed offendono ancora il senso di equanimità e di giustizia del popolo italiano.

Il maggiore accanimento è stato contro la stampa. Ed è strano che ancora oggi si chiedano leggi repressive, per limitare anche quella libertà, già insidiata, più o meno subdolamente, da disposizioni amministrative, agitando lo spettro di una riviviscenza nel fascismo.

Vi sono tra voi coloro, i quali si preoccupano della stampa di opposizione e vogliono vedere in essa l’eco di nostalgie fasciste. Non intendo convincere coloro che lanciano l’accusa, allo scopo di fare tacere voci moleste. Dirò soltanto che questa stampa, almeno nei suoi organi maggiori, combatte per gli stessi ideali di libertà e di democrazia, che costarono la vita a Giovanni Amendola ed a Giacomo Matteotti, che valsero a molti di noi galera, confino ed esilio.

Ma quand’anche fosse accettabile l’accusa, essere questa stampa intonata, ispirata da mentalità fascista, la sua popolarità dovrebbe aprirvi gli occhi e farvi considerare i motivi di questa nostalgia di un passato, già morto e sepolto, per virtù degli stessi fascisti.

I giornali non sono quelli che fanno la pubblica opinione, ma semplicemente ne rispecchiano il pensiero e le aspirazioni. E l’opinione pubblica – come dice un illustre storico francese, l’Hanotaux – «è quella potente, indefinibile ed imponderabile, costituita dalla circolazione di idee attraverso il corpo sociale, senza che sia possibile dire donde viene l’impulso. Dalla periferia al centro, dal centro alla periferia è un movimento perpetuo, uno scambio politico».

Ed a coloro, che vedono insidiato il regime attuale dalla stampa di opposizione e chiedono misure repressive, voglio ricordare le parole pronunziate all’Assemblea francese dal Capo del Governo De Broglie nell’aprile del 1871, quando taluni, allarmati dalla campagna dei legittimisti, da una parte, e dei buonapartisti, dall’altra, temevano per le sorti della repubblica e chiedevano misure antiliberali per la stampa.

«Tutti i regimi di repressione, egli diceva, sono falliti, quando l’opinione pubblica si è schierata con lo scrittore, per supplire al suo silenzio, alle sue reticenze, per comprendere le sue allusioni. L’Assemblea non vuol più veleno soporifero, che spiana la via alla dittatura; essa vuole i rimedi dolorosi, ma vigorosi e virili della libertà».

Ho detto della crisi morale che attraversa il nostro Paese. Il nostro popolo non comprende una politica di odio e di rancori. Tutti commettemmo errori; tutti abbiamo responsabilità di ciò che è accaduto dal 1919 in poi.

Nel suo innato senso di giustizia il popolo italiano, se vuole la condanna e l’ostracismo di coloro che, al coperto della dittatura, commisero arbìtri e violenze ed offesero le leggi morali e penali, non accetta la discriminazione tra puri ed impuri; non tollera il bando dalla vita civile di uomini retti che credettero in buona fede, o, per disciplina, alla autorità costituita, servirono gotto il regime fascista; bando che priva lo Stato del consiglio e dell’opera di uomini capaci di concorrere all’immane opera di ricostruzione che ci attende in tutti i campi, da quello politico ed amministrativo, a quello delle attività private.

Se era comprensibile che in un primo momento si desse una qualche soddisfazione all’opinione pubblica, il persistere su questa via è un errore che non può non accentuare la frattura tra Governo e Paese.

Ma la depressione morale del nostro popolo trae origine preponderante dalla trascuratezza dei Governi nel risveglio dello spirito nazionale, nel trattamento fatto ai reduci della guerra, nell’insano proposito di fare dell’esercito il capro espiatorio del disastro nazionale. L’ingenuo tentativo di ammettere la responsabilità del popolo italiano nello scatenamento della guerra per mendicare condizioni di pace meno gravose, ha nociuto allo spirito nazionale ed ha offeso la verità storica.

La guerra, come molti avvertirono e come l’attuale Conferenza di Parigi ha rivelato, non era affatto una lotta per la libertà e la democrazia, ma una lotta di imperialismi, che fatalmente doveva coinvolgere il nostro Paese.

La situazione dell’Italia nel 1939 può paragonarsi a quella in cui già si era trovata nel 1914. Purtroppo la mancanza di libertà, e la mancanza di istituzioni democratiche, impedirono al popolo italiano di scegliere tempestivamente la propria via. Questa è la responsabilità del fascismo, questa è la conseguenza dei regimi dittatoriali, come aveva già dimostrato l’esperienza della Francia di Napoleone III.

Sta di fatto che allorché nel luglio del 1939 Hitler fece conoscere la sua ferma decisione di invadere la Polonia e di scatenare la guerra, furono dati ordini per la fortificazione della nostra frontiera orientale, per riservare al nostro Paese libertà di azione. Purtroppo il crollo militare della Francia, crollo che non ha precedenti nella storia, offrendo all’esercito tedesco la possibilità di agire contro di noi dalla frontiera occidentale, precluse ogni indipendenza alle nostro decisioni.

È pertanto ingiusto attribuire alla nostra guerra il carattere di una guerra di aggressione per libidine di potere e di conquista. Se la Francia, invece di crollare come un castello di carta, avesse tenuto, è molto probabile che, come già nel 1914, ben altre sarebbero state le nostre decisioni.

Comunque il popolo italiano, privato dei suoi diritti politici, come poteva opporsi alla dichiarazione di guerra?

Poteva l’esercito, potevano le forze armate rifiutarsi di combattere? Non credo che si possa ammettere questo principio. Le forze armate sono al servizio dello Stato e devono ubbidire all’ordine che ricevono da chi è investito dall’autorità per darlo.

Dall’affermazione essere stata la nostra guerra una guerra di aggressione a pro del regime, è derivato per logica conseguenza uno stato d’animo dei reduci e del Paese, per il quale gli uni hanno il pudore delle gesta compiute e gli altri si astengono dal rendere loro onore.

Le madri che hanno perduto i loro figli, le vedove, gli orfani devono rinunziare all’orgoglio di aver dato alla Patria ciò che avevano di più caro!

Occorro riparare a queste offese al sentimento nazionale; occorre dimostrare che la Patria non dimentica chi per lei ha dato il proprio sangue, ha affrontato pericoli e sopportato fatiche; onorare i morti; dare ai vivi una prova di sollecitudine per ricostruire la propria vita, dopo la lunga parentesi della guerra: escogitare, promuovere, incoraggiare forme associative di lavoro, fare in sostanza quello che venne fatto per i combattenti della guerra vittoriosa.

Ed ora lasciate che io mi soffermi sulla opera, che non esito a dichiarare disfattista, che è tuttora in atto contro l’esercito. Opera pericolosa per la fatale reazione che essa può provocare e dannosa per la ricostruzione di quelle forze armate che sono il presidio della libertà e dell’indipendenza nazionale.

Si è voluto fare dell’esercito, come ho già detto, il capro espiatorio dei tragici avvenimenti del nostro Paese, quasi che l’esercito avesse contribuito alla instaurazione della dittatura, che esso ne fosse stato il principale sostegno, che esso avesse voluto la guerra. Alle tre accuse io debbo opporre la più energica smentita. È documentato che tutte le misure erano state prese per arrestare la cosiddetta marcia su Roma e gli uomini che avevano il comando delle forze militari a protezione della Capitale avevano energia e volontà di metterle in atto. Il generale Pugliese, che aveva il comando delle truppe, valoroso ufficiale della grande guerra, ha documentato ciò in una pubblicazione che a torto è stata fatta passare sotto silenzio, mentre si è data tanta pubblicità a pubblicazioni che riflettono risentimenti, gelosie e rivelano da parte degli autori più attitudine al pettegolezzo che alla serietà delle indagini storiche.

L’esercito italiano non fu mai fascista (Commenti); per le sue basi schiettamente democratiche, per i suoi quadri reclutati fra quella borghesia che negli ordinamenti democratici vede una garanzia contro arbìtri e favoritismi e, non fosse altro, per il risentimento dovuto alla capitolazione impostagli di fronte al movimento rivoluzionario, che condusse il fascismo al potere e per la comprensibile rivalità nei riguardi della milizia.

Che sull’esercito, sui suoi capi, sullo Stato Maggiore, si debba far ricadere la responsabilità della guerra, è un grossolano errore. L’esercito aveva coscienza della sua impreparazione, perché le riviste militari del tempo rivelavano gli armamenti poderosi degli eserciti con i quali vi era possibilità di conflitto. Sta poi di fatto che quando il Ministro delle forze armate, nell’aprile del 1939, fece presente la fatalità di una guerra per il 1943 (dico 1943) lo Stato Maggiore fu preso da vero sgomento, nonostante gli fosse stato assicurato che nessuna limitazione di mezzi finanziari sarebbe stata posta alla preparazione dell’esercito. E la cosa è ovvia. Quale capo poteva rischiare a cuor leggiero la propria reputazione e diremo altresì il proprio benessere, del quale il fascismo era stato prodigo? È semplicemente ridicolo fare oggi processi per dimostrare la fascistizzazione dell’esercito denunciando alcuni provvedimenti amministrativi, o l’introduzione del passo dell’oca, o più ancora per aver coltivato quei sentimenti di disciplina e di onore militare che sono le basi sulle quali poggiano gli eserciti; questi ultimi solo perché erano – ed aggiungo – una delle cose buone del credo fascista.

Ma se il nostro esercito ha scritto pagine meravigliose in questa guerra sulle nevi e sulle sabbie infuocate e sulle insidiose montagne della Balcania, è proprio per virtù dei capi che queste idee di disciplina e di onor militare inculcarono.

Sono gli stessi avversari che cavallerescamente lo riconoscono; sono stati gli stessi germanici, quando combattevano fianco a fianco con noi, a rendere il dovuto omaggio ai nostri combattenti provvisti di armi che, rispetto a quelle degli avversari, potevano considerarsi frecce e coltelli di fronte ad armi da fuoco!

Se un organismo aveva il diritto di essere non già travolto dalla reazione antifascista, ma considerato esso stesso vittima del fascismo, era proprio l’esercito, che ha cosparso di morti i campi di battaglia, fra cui ben 56 generali! Questi morti non hanno neppure il riposo in quei cimiteri di guerra, che la pietà umana circonda di rispetto e di amore. I nostri morti sono un po’ dovunque, senza una croce che li ricordi alle madri, alle vedove, ai figli, e senza che vi possano portare un fiore e innalzare una preghiera!

L’indifferenza dei Governi per le prove di valore date dall’esercito è veramente la pagina più dolorosa che la storia dovrà scrivere su quanto avviene oggidì. Nell’ultima seduta abbiamo visto il Sottosegretario alla guerra affrettarsi a stringere la mano al Vicepresidente Nenni per l’esaltazione dell’opera dei partigiani nella seconda fase della guerra. (Interruzioni Commenti).

Una voce. Hanno fatto onore all’Italia! (Rumori).

BENCIVENGA. Non mi interrompa! (Rumori).

Noi ci associamo a questo omaggio; non certo però alla giustificazione del movimento sedizioso! Ma io mi domando se questa squisita sensibilità del Sottosegretario alla guerra non sarebbe stata doverosa anche nei riguardi dell’esercito ignobilmente offeso a Parigi, quando io gliene avevo offerto il destro con una interrogazione alla quale, per ovvie ragioni, avevo dato il carattere di urgenza! (Applausi a destra).

Sull’esercito e sulle forze armate in genere, nelle dichiarazioni del Capo del Governo, non vi è stato che un accenno sui criteri che sono allo studio per la riduzione dei quadri, in conseguenza delle imposizioni del trattato di pace. Non una parola di più. Al riguardo mi si permetta di esprimere il mio pensiero che è quello di un vecchio soldato, ricco di esperienza, tratta dall’altro dopo-guerra. E mi permetto di dare un consiglio: e cioè che non si precipiti nelle decisioni. Io non credo che il nostro Paese andrà al fallimento ritardando la riorganizzazione delle forze armate. Non è nel clima del dopo guerra e specie nel clima attuale, che si può sperare di trattenere in servizio gli ufficiali migliori. Fu un errore favorire l’esodo nel 1920; oggi sarebbe un errore ancora maggiore. Del resto mi parrebbe ovvio attendere l’elezione del nuovo Parlamento, perché leggi sull’ordinamento delle forze armate sono assai complesse e delicate. Nella fretta si corre il rischio di costruire su fragili fondamenta con le relative conseguenze.

E chiudo il mio dire. Chiudo facendo appello alla collaborazione di tutti per il risveglio delle forze morali, che sono la forza vera dei popoli.

Voi potrete emanare le leggi più geniali per la ricostruzione della nostra economia, per una maggiore giustizia sociale; ma queste leggi non daranno quello che se ne attende, fino a quando incomberà sulla nostra Patria un’atmosfera di odii e di rancori ed aleggerà lo spettro della vendetta.

Voi, onorevole De Gasperi, che siete a capo di un grande partito che ispira la sua azione morale alle alte idealità della nostra religione, dovete provocare la pacificazione nazionale. Noi dovremo salire tutti sull’altare della Patria e deporre qui i nostri rancori, affratellarci nella sventura. L’Italia è guardata con concupiscenza dalle grandi Potenze che hanno interessi sul nostro mare. Non abbiamo amici, almeno nel nostro continente. Ci si vuol disarmare materialmente. E sia! Un giorno, forse non lontano, vi saranno Nazioni che riconosceranno l’errore!

Ma gli spiriti non debbono lasciarsi disarmare! E noi dobbiamo dare un esempio al mondo come la nostra Nazione sappia risorgere dopo una guerra perduta, e risorgere più grande di prima! (Applausi a destra).

Una voce a destra. Viva l’Italia!

Presidenza del Vice-presidente PECORARI

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Conti. Ne ha facoltà.

CONTI. Onorevoli colleghi, vi prego di essere indulgenti con me, perché io non farò un discorso che possa inquadrarsi tra quelli che sono stati pronunciati qui dentro. Io mi sento un po’ un irregolare, non ho confidenza con la prassi parlamentare, e mi sento un po’ fuori da questa atmosfera nella quale si respira sempre un’aria parlamentaristica, che non è quella che io desidero di respirare.

Perciò non mi sentirete parlare di gruppi parlamentari e di manovre. Siamo in una discussione che è stata provocata dal tentativo di crisi. Dal giorno in cui io ho sentito parlare della possibilità di una crisi, ho pensato che non avrei potuto convivere con i colleghi e partecipare a qualunque movimento crisaiolo. Eppure di una crisi siamo stati spettatori. Per una via o per un’altra, l’esercitazione si è voluta! Qui non si sa rinunziare a questa esercitazione.

Si dice che è necessario, ormai, di adattarsi al regime dei partiti, che noi dobbiamo comprendere questo nuovo mondo nel quale i partiti sono destinati a dominare la vita del Paese. Sarà così: io non voglio essere un uomo dell’altro mondo, e posso anche ammettere che debba essere così. Ma se è vero che la situazione nella quale si trova il Paese è quella che è, se è vero che in Italia e qui dentro ci sono programmi di rinnovamento e di risurrezione, se è vero che vogliamo una rivoluzione, risanatrice della rovinata e anche corrotta vita del nostro Paese, a me pare che sia una necessità che noi forziamo queste concezioni o convenzioni nuove, e che le allontaniamo, rendendoci conto della realtà in cui ci troviamo, per trovare una via che ci porti ad un risultato utile al Paese.

Noi continuiamo a vivere, onorevoli colleghi, – credo ne possiate essere convinti tutti, appena l’argomento sia toccato – noi continuiamo a vivere con la mentalità, con le tendenze, con le virtù e con i vizi con i quali abbiamo vissuto nel passato. Eccoci, così, di fronte al Governo, e quasi alla crisi.

Su quel banco è un Governo. Si dice: non va, bisogna cambiarlo. Io mi sono domandato subito, quando ho ascoltato le prime voci annunziatrici della piccola tempesta parlamentare: mandiamo via quelli: quali uomini andranno?

Di qua (indica la sinistra) si diceva: non va. E io pensavo: se non va; chi va?

Di là (indica la destra) c’era vento di fronda: chi va?

In sostanza, onorevoli colleghi, dobbiamo riconoscere che di tanto in tanto perdiamo quella calma, quella serenità, quella obiettività e quella decisione a non recitare sempre commedie qua dentro, che è necessaria e che non deve essere perduta e deve essere il nostro monito, se vogliamo far fronte ai nostri impegni, verso il Paese.

Non si può vivere questa vita dondolante. Si parla tutti i giorni di fare, di rifare, di modificare, di riformare e non si fa niente, non si modifica niente, mentre si promuove la lotta dell’uomo contro l’uomo: «e levati tu che ci voglio star io».

Affrontiamo questo problema, onorevoli colleghi; per me il problema è questo: la funzione e il modo di Governo. È l’organo che non funziona. Il Governo di De Gasperi, in questa fase della vita politica italiana, è un Governo che somiglia ai Governi che abbiamo avuti dal 1943 a questa parte. Nessuna differenza. È un Governo fatto per combinazioni di uomini, per accordi, per intese. Esso dal Viminale vuole governare tutta l’Italia con i metodi del passato. Gli stessi metodi, gli stessi risultati, la stessa impossibilità di governare c la stessa impossibilità di raccogliere risultati: questa è la realtà.

Non si è fatto nulla, perché si potesse avviare la vita italiana su un’altra strada. Non si è fatto nulla durante il periodo precedente al referendum del 2 giugno, non si è fatto nulla a Repubblica proclamata. Noi, repubblicani specialmente, dobbiamo difenderci dalla giusta domanda del Paese: è questa la Repubblica? Dobbiamo continuare a rispondere – e lo dissi in una delle nostre prime sedute, quando mi sembrò che l’onorevole Nitti volesse attribuire alla Repubblica il «nullismo» governativo – la Repubblica non c’è, non esiste ancora. È innegabile, onorevoli colleghi, che noi continuiamo a vivere come nel periodo pre-repubblicano, come nel periodo monarchico. Perché la Repubblica, signori, non è un nome, la Repubblica è un fatto organico, una trasformazione di istituti, è una trasformazione di costumi, è una vita diversa da quella che noi viviamo. Ed allora? Ci domanderà qualcuno (credo che questo pettegolezzo parlamentare sia inevitabile): perché, dunque, siete al Governo? Perché non ve ne andate? Dopo aver fatto un poco di chiasso, dopo aver messo un po’ il campo a rumore, perché siete al Governo? Perché partecipate?

La spiegazione è semplice e tutti la dovrebbero intendere: siamo al Governo, perché ci sta a cuore la Repubblica, questa fanciulla che sta crescendo, che si sta formando, questa Repubblica che è un fatto del nostro sentimento prima ancora che della nostra ragione; lavoriamo, perché questo organismo repubblicano sorga nel nostro Paese, si affermi e divenga una grande cosa, il giorno in cui l’Assemblea Costituente avrà dato alla Italia, con la Costituzione, le istituzioni che trasformeranno il nostro Paese.

Noi siamo, dunque, al Governo non per effetto ed in conseguenza di combinazioni, di calcoli, o di ordini del giorno: noi siamo al Governo perché vogliamo lavorare, affinché questa repubblica prenda vita, si affermi, si consolidi e sia amata.

La composizione del Governo non ci interessa. Non ci interessa affatto. Che ci importano gli uomini? De Gasperi, Cingolani, Nenni, uno per uno li potremmo valutare tutti quanti, confessare le nostre simpatie, le nostre preferenze, i nostri giudizi. Ma i giudizi sugli uomini, a che servono? Perché dovremmo combattere De Gasperi, se soprattutto non abbiamo un altro De Gasperi da mettere al posto suo? Perché ci dobbiamo occupare dell’ammiraglio Micheli (Si ride), perché dobbiamo far gran caso che il nostro amico Micheli così versato in studi giuridici, così geniale amatore di folklorismo, di letteratura, sia oggi Ministro della marina? Perché dovremmo deplorare che altri posti siano coperti da uomini di maggiore o minore competenza? Oggi, in questo periodo di transizione, non sono questi i problemi che dobbiamo risolvere. Non facciamo, dunque, questione di uomini, ma questione di idee. Per questo noi collaboriamo con il Governo, sperando di far valere alcune nostro idee le quali valgano – se si apriranno la via – a dare un indirizzo diverso all’andamento del Governo. Fin dal momento nel quale noi entrammo a farne parte, affermammo idee che ci sembravano fondamentali. Non furono ricordate in tre mesi di vita di questo Ministero.

Quando avvengono gli incontri per stabilire lo basi di un Governo, quando si fissano i termini, i desiderata dei singoli partiti, le esigenze, le istanze per l’azione comune, in quel momento si scrive tutto quel che si vuole. Noi avemmo una piccola illusione. Credemmo che alcune nostre richieste avessero avuto buona accoglienza. E le nostre richieste erano fondamentali in questo momento della vita italiana. Pensavamo che, se il Ministero avesse accolto l’indirizzo che noi suggerivamo, il Governo, avrebbe determinato risultati che purtroppo sono mancati quasi totalmente. Alle altre disgrazie si è aggiunta quella della Conferenza di Parigi. A un certo momento, il Governo si è trasferito a Parigi. L’Italia non ha avuto più un Governo, perché l’onorevole De Gasperi, che riassumeva in sé una buona parte dei poteri ministeriali, era a Parigi.

Voci. C’era Nenni.

CONTI. Poiché le preoccupazioni erano tutte lassù, qui non si pensava più alle cose italiane. Ma questa, Conferenza a parte, è la tragedia di tutti i giorni, onorevoli colleghi, e deriva da questo errore fondamentale, sul quale non si insisterà mai abbastanza: dall’errore che da Roma si possa governare la penisola, il popolo italiano, 45 milioni di abitanti sparsi in 16 regioni, popoli diversi, interessi diversi.

Che cosa dicemmo noi nei primi momenti nei quali aderimmo al Governo? Cominciamo, dicemmo, a dare all’Italia la possibilità di vivere, se non indipendentemente dalla direzione del Governo centrale, che in questo momento deve essere quello che abbiamo trovato e che deve operare, in questo periodo transitorio, in attesa che la Costituzione organizzi la vita italiana in un altro modo, cominciamo a dare all’Italia la possibilità di vivere almeno nei suoi comuni, nelle provincie, nelle regioni. Bisogna far vivere il comune. Anche in questo periodo transitorio, prima che sorga l’ente regione, i comuni e le regioni assumano una parte della direzione del Paese. Il Governo deve finalmente sentire che l’Italia non vive a Roma, non è qui dentro, anche se qui sono i rappresentanti di tutta Italia. L’Italia vive nelle sue province, nei suoi comuni, nelle sue regioni, là dove si lavora, si produce, dove sono interessi vivi che il Governo in Roma non può neppur considerare. Movetevi da Roma, visitate le nostre città, le nostre campagne, i nostri paesi, indagate sulla vita degli italiani fuori di Roma, e voi conoscerete e ammirerete lo sforzo magnifico di una grande quantità di comuni i quali, indipendentemente e a malgrado dell’opera del Governo, a malgrado degli ostacoli che da Roma si oppongono, fanno ottima amministrazione e superano le difficoltà più gravi di questo momento. (Commenti).

Vi posso portare molti esempi. Comuni quasi abbandonati dal Governo cominciano a risorgere per iniziativa locale, per l’attivazione della capacità di amministratori, per buona volontà di cittadini.

Abbiamo inutilmente parlato di questa esigenza fondamentale.

Che cosa dicevamo? Pretendevamo che il Governo proclamasse, oggi, l’autonomia comunale che sarà riconosciuta dalla Costituzione? Nessuno di noi ha pensato a questa estensione del provvedimento. Noi pensavamo che ai comuni, in questo momento, potessero essere attribuite alcune funzioni e i mezzi finanziari per poter risolvere i propri problemi, che ai comuni fosse soprattutto attribuita quella grande facoltà di dirigere secondo i propri interessi, a seconda delle aspirazioni delle popolazioni, le opere di ricostruzione, quando si tratta di comuni distrutti dalla guerra. Non siamo stati intesi. Si è continuato a vivere come prima, non solo, ma per alcuni aspetti abbiamo avuto dal Governo manifestazioni che vogliamo credere involontarie o non considerate, di violazione dell’autonomia comunale. Cito, ad esempio, il servizio dei segretari comunali. Il Ministero dell’interno ha continuato a riservare a sé di decidere intorno alla scelta dei segretari comunali. Sul fatto della nomina, della conferma o dell’esclusione di un segretario, è il Ministero degli interni che vuole dire e dice l’ultima parola. Ebbene, il Ministero dell’interno menoma l’autorità delle amministrazioni comunali, le quali hanno il diritto di scegliersi il proprio segretario. Il Ministero dell’interno potrà provvedere a sistemare e a rimediare alle conseguenze che derivano da trasferimenti o da assunzioni; il Ministero dell’interno dovrà fare sforzi per superare le difficoltà che derivano dalla legge fascista che ha imposto i segretari comunali ai comuni, ma è principio assoluto che i comuni debbono avere la possibilità di scegliersi il proprio segretario comunale e devono avere la possibilità di amministrare con impiegati che abbiano la loro fiducia. Il Ministero dell’interno non deve quindi assolutamente intromettersi nella scelta che i comuni fanno. La libertà comunale è una esigenza sulla quale l’occhio del Governo non si è soffermato un solo istante.

Noi lavoriamo per la nuova organizzazione del Paese. Siamo a buon punto, perché io credo che ormai siano pochi coloro che restano chiusi nella vecchia mentalità e coloro che osteggiano ancora questa grande conquista della libertà, verso l’organizzazione autonomistica delle nostre regioni. Noi dicevamo: cominciamo a fare qualche cosa; sarà anche un avviamento alla costituzione dell’Ente-regione; saranno buone prove in questo periodo transitorio nelle singole regioni; date la possibilità ai capoluoghi di regione di costituire dei centri di attività. Noi precisando, dicevamo: attribuite a centri regionali, a consigli regionali provvisori eletti dai consigli comunali, eletti in via transitoria da altri organi ed enti della regione, attribuite a questi centri regionali alcune facoltà ed alcuni incarichi. I lavori pubblici potranno essere diretti da queste forze, le quali potranno provvedere agli interessi della regione con competenza. Attribuite alle regioni la cura di questi interessi e la soluzione dei problemi connessi.

Nulla invece è stato fatto. Il Governo ha continuato a camminare come prima e ha provveduto come sempre. La burocrazia mette le mani dappertutto. Si rovescia tutto, si impasticcia, si imbroglia, si stanca questo popolo italiano e si fa perdere la fiducia. Crisi di pessimismo possono trascinare il popolo italiano alla disperazione. Ci sono forze che si provano e, direi, si dilettano a sobillare ed a sommuovere. Ci sono forze residue della monarchia che non sono state eliminate, le quali cospirano contro la Repubblica e contro l’Italia. Noi siamo di fronte a fenomeni gravissimi. Ho letto sui giornali – taluno ha sorriso, altri ha deplorato come se si violasse non so quali arche sante – ho letto nei giornali e ho udito: perché la rimozione degli emblemi, dei simboli, di iscrizioni, l’accantonamento di elementi che possiamo chiamare pericolosi nella amministrazione dello Stato? Che cosa sono queste cose? Si è detto: questa è una nuova epurazione, si è gridato.

Onorevoli colleghi dell’altra parte, ai quali cavallerescamente io rivolgo il mio saluto, a che giuoco giochiamo? Ci vogliamo dire una parola schietta, senza convenzionalismo parlamentaristico? Parliamoci francamente. Ammettete voi che vi sia un certo agente delle imposte, il quale, chiamato il contribuente per un fiero giro di vite fiscale, di fronte alle proteste della vittima, dice ferocemente: avete voluto la Repubblica? Ecco qui il risultato. Ammettete che vi siano marescialli dei carabinieri, e questi sono un numero rilevante; (naturalmente vi sono anche i marescialli ormai repubblicani; sono, naturalmente, i più intelligenti) (Applausi a sinistra) i quali sentono ormai che la Repubblica è la loro casa, dirò meglio, anche la loro casa come è la casa di tutti gli italiani, senza quelle tali intromissioni e senza quel girare di topi e di «blatte» che insozzavano la casa in altri periodi della vita italiana; capiscono che la casa si va ripulendo, che vanno cadendo le mura vecchie e gli ambienti non puliti; dunque ammettete che vi siano marescialli, tenenti, sottotenenti, capitani, colonnelli, i quali al cittadino che protesta dicono: perché protesti? Questa è la Repubblica! L’hai voluta? Eccola! Si fa, ad esempio, una perquisizione ad un carro sospetto (cito questi episodi che ho dinnanzi agli occhi; ne potrei citare centinaia) perché il guidatore è un noto repubblicano? Costui protesta per la lunga attesa del non gradito controllo feroce. Eh! Figlio mio, si risponde: questa è la Repubblica! E via di questo passo. Ammettete queste cose, colleghi dell’altra sponda? E le ammettete, pur professandovi ormai leali osservatori della legge repubblicana? Dunque è proprio uno sproposito, un delitto o qualche cosa di orribile, che da questa parte della Camera, da vecchi cultori dell’idea repubblicana, da coloro che hanno voluto questa Repubblica, non per sé, ma per il nostro Paese si reclami la fine di tale scandalo? Pensate voi, col vostro lealismo repubblicano, di tollerare questi atti, di ammetterli?

Io vi dirò la mia opinione, chiarissima sulle repressioni. Per esempio, su quelle riguardanti la stampa. Non interpretate male l’espressione, che può essere scritta anche sui giornali o che può essere pronunziata nelle discussioni: repressione della stampa. Io sono di questo avviso: i giornali monarchici scrivano quello che vogliono. Ritengo che noi non dobbiamo commettere l’errore di repressioni. La Repubblica non ammette repressioni, spalanca la bocca a tutti. Parlate. Noi vogliamo essere in condizione di opporre all’errore quello che ci sembra verità, di opporre ai detrattori della libertà, la libertà, di opporre a coloro che hanno infranto la libertà in Italia una libertà vera, in atto; ma bisogna che questi signori oppositori sentano di avere contro di sé il disprezzo della Repubblica. Questi signori devono sentirsi abbassati al livello di sobillatori, di uomini che in questo momento sabotano la povera Italia nostra, la uccidono, o tentano di ucciderla.

Tornando al Governo ripeto: dal Governo non abbiamo avuto la più piccola soddisfazione. Io so benissimo che l’onorevole De Gasperi è autonomista convinto, un amante sincero delle autonomie comunali, dell’Ente Regione. Ma, cominciamo, onorevole De Gasperi, a fare per le autonomie qualche cosa. Non mi dica di sì soltanto con la fronte. Io la guardo sempre con molta ammirazione, perché è la fronte di un galantuomo, il quale, se dice di sì, non pensa al no. Insomma, mettiamoci d’accordo sul serio.

Vedete che razza di oppositori siamo noi. A me ripugna questa parola «opposizione». Noi non facciamo opposizione. Noi diciamo il fatto nostro; vogliamo dire il nostro parere: se si è d’accordo, tanto meglio; se non si è d’accordo, chiamate pure opposizione questo nostro atteggiamento, ma questo non è opposizione dispettosa, maligna; è uno stato d’animo, che si manifesta francamente per il bene del Paese. La nostra permanenza nel Governo significa che abbiamo della gran buona volontà. Siamo disposti a far dire tanto male per questo atteggiamento, da coloro che ci osservano. Si dice: «Sono rimasti nel Governo; sono corresponsabili della sua azione». Siamo corresponsabili? Non lo siamo? Non ci importa niente di sapere se lo siamo o no. Siamo uomini che vogliamo agire, che vogliamo conseguire risultati. Quali sono questi risultati? Non vogliamo oggi grande cose: esse seguiranno le piccole cose.

Quando il nostro gruppo repubblicano si è radunato la prima volta ha ragionato sui nostri doveri e sui nostri diritti di rappresentanti del Paese. Ha detto: «facciamo un programma».

Tutti concordemente, ci siamo incontrati su questo punto. Non diamo fondo all’universo. Non strombazziamo parole. Il popolo ci conosce e sa che non vogliamo illudere.

Facciamo un programmino per sei mesi: in sei mesi si sarà concluso qualche cosa.

Dicevamo: smobilitazione dell’organismo e si aggiungeva «fascista». È ormai abitudine dire: monarchia-fascista. Ma è un errore. Basta dire organismo monarchico. Il fascismo non c’entra proprio per nulla: abbiamo perduto tempo a buttare sulle spalle del fascismo la responsabilità della monarchia. Tutto ciò che ci opprime è un residuo della monarchia. La monarchia prese al suo servizio il fascismo per schiacciare l’Italia.

Diciamo, oggi, smobilitazione dell’organismo monarchico. Da dove si comincia?

Non vedo l’onorevole Bencivenga, che poco fa ha difeso l’esercito, i generali, e ha detto cose alte, sentite, da vecchio soldato valoroso come egli è. Ma vorrei che fosse presente e vorrei dirgli subito che uno dei primi nodi da sciogliere, da tagliare, è quello del militarismo. Distinguete, signori, esercito da militarismo, soldati valorosi da soldati codardi, generali consapevoli da generali ribaldi. Non facciamo di ogni erba un fascio. Non facciamo sobillazione. L’onorevole Bencivenga si è assunto una grossa responsabilità ammonendo il Governo di andar cauto. Perché, signori, cautela? Preparate un’insurrezione di generali? Speriamo di no. Io credo al vostro patriottismo. Volete la guerra civile, la Spagna? Intendiamoci con chiarezza su questo punto, o signori. Noi dobbiamo riconoscere una verità sacrosanta. L’Italia è stata rovinata dalla monarchia militaresca: il militarismo ha rovinato l’Italia. Rispetto assoluto per gli uomini, considerazione religiosa per il nostro esercito di popolo, ma giustizia inesorabile nei confronti di coloro che hanno mancato. Non si possono riabilitare e rimettere sugli altari coloro che sono caduti. Non possiamo essere falsi e bugiardi. Occorre giustizia. Grande serenità, ma si deve togliere questo nodo dalla vita italiana.

Bisogna evitare le conseguenze tragiche che può generare questa forza che vive in Italia in atto di permanente cospirazione. Io so di molti generali che hanno sentito il dovere di proporsi il problema dell’accettare o rigettare la Repubblica; e so che molti generali hanno risolto il problema nella loro coscienza. Giorni fa parlavo con un generale degnissimo il quale mi diceva che, fin da ragazzo, da quando era all’Accademia militare coi compagni di corso, meditando sulla formula del giuramento, domandava: se si rompesse il nesso tra il bene inseparabile del re e della Patria, per chi saremmo noi, per il re o per la Patria? Fin da allora, da quando cioè era nel collegio militare, egli aveva risolto il problema: se il rapporto si dovesse rompere io sarei per la Patria. Oggi la Patria è repubblicana e il re è quello che è stato. (Applausi a sinistra).

Ora si comincia a chiarire questa situazione. Non saranno fatte persecuzioni di sorta. Per l’esercito si farà quello che si potrà in conseguenza del trattato di pace. In questo momento si dovranno allontanare ufficiali dall’esercito. Queste esclusioni sono volute da noi o sono imposte dagli alleati? Se entro pochi giorni andranno fuori di servizio gli ufficiali di cui parlava giorni or sono l’onorevole De Gasperi nel suo discorso, essi andranno perché espulsi dalla inesorabile ferocia di quel terribile uomo che è Cipriano Facchinetti, o da un obbligo impostoci dagli alleati? Indipendentemente da obblighi è necessario, onorevoli colleghi, che si cominci a sfrondare il grosso albero e a tagliare i rami. Poi si dovrà fare di più, si dovrà andare avanti. La fisonomia dell’esercito italiano, se un esercito dovrà vivere nel nostro Paese, dovrà essere la fisonomia di un esercito repubblicano, democratico, non più un residuo medioevale del militarismo: non essere più un esercito che ricordi i servizi resi a tutti i guerrieri della casa regnante, che se ne è finalmente andata per la salvezza e la fortuna d’Italia.

Ieri ponevamo un altro interrogativo e parlavamo dei problemi economici. Noi non siamo dei romantici, degli idealisti ostinati, siamo un partito di uomini pratici che vogliono lavorare sul sodo terreno dei fatti. Ci sono naturalmente tra noi i retori, rappresentanti di quella trista malattia che produsse la rovina d’Italia, ma ci sono anche uomini nemici di quella genìa. Io, per esempio, sono il peggior nemico della retorica.

Oggi, non è presente l’onorevole Nitti, ma avrei voluto rivolgergli un omaggio dopo tante punzecchiature che ho a lui diretto durante i suoi discorsi. Come dicevo stamattina nella Commissione costituzionale, Nitti è un uomo il quale, se fosse rimasto professore per tutta la sua vita, sarebbe stato un grande promotore della cultura e dell’educazione dei giovani, autore di una seria e soda formazione di tutta la nostra gioventù. Quando il capriccio politico sui suoi 42-43 anni – ed io ricordo quel tempo – lo sorprese, i giovani perdettero un maestro. Io devo a Nitti una grande, una immensa gratitudine per avermi acciuffato ai miei 18 anni e avermi trasferito dalle fantasticherie ideologiche su un terreno nuovo, reale. Io ero allora alle prese con le dottrine mazziniane e con quelle socialiste. I miei compagni di scuola socialisti costruivano con la fantasia il collettivismo, io costruivo sognando e difendevo l’associazionismo mazziniano, e il litigio era permanente, quanto inutile. Ebbene, allora io fui strappato dalla mia posizione mitologica proprio da Nitti, il quale coi suoi libri mi trasportò sul terreno dei fatti; e da allora ho odiato la retorica, che è una delle produzioni più maligne della nostra vita politica e sociale. (Commenti a destra).

Dunque noi abbiamo detto: problemi economici, signori! Due problemi nell’Italia d’oggi bisogna affrontare e non risolvere radicalmente con le riforme di struttura e organiche, che faremo e che verranno: il problema della terra e il problema della scuola. Il problema della distribuzione delle terre ai contadini è un grande problema. Bisogna distribuire tempestivamente terre ai contadini; terre per il pane. Si tratta di dare ai contadini la terra perché essi possano, oggi, seminare affinché in luglio possano raccogliere grano, e altri cereali. L’onorevole De Gasperi e il collega Segni diranno: «Sì, sì, abbiamo fatto; abbiamo fatto molto». Sì, qualche cosa è stata fatta, ma poco bene, confusamente; si è perduta di vista una necessità fondamentale. Sia pure questo attuale un provvedimento transitorio, bisogna portarlo sul terreno realistico. Da Roma non si fanno i decreti.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri. Almeno per il Lazio, si potrà farli da Roma. (ilarità).

CONTI. No, onorevole De Gasperi. Lei è imprudente in questo momento. Nemmeno per il Lazio può il Governo legiferare. Quando si parla del Lazio, onorevole De Gasperi, si parla proprio di una regione il cui trattamento dal punto di vista agricolo è uno dei più difficili. Quindi proprio il Lazio non è un esempio che possa calzare.

Il decreto che è stato promulgato è un decreto sbagliato. (Commenti).

FUSCHINI. Qual è lo sbaglio?

CONTI. Se avete pazienza, ve lo dico subito: bisognava lasciare alle regioni l’applicazione del principio generale di dare la terra ai contadini. Bisognava costituire degli organismi regionali che avrebbero dovuto procedere ad una razionale distribuzione.

Bisognava affidare a centri regionali la applicazione del principio generale: «terre ai contadini», la terra per le semine o per più ampio uso, e ciò per evitare il disordine che si sta verificando.

A parte queste osservazioni e tornando alla questione, io dico che noi abbiamo dai contadini una prova mirabile della loro volontà di lavorare; mentre abbiamo resistenze fierissime da parte di molti proprietari, i quali non vogliono ancora persuadersi che bisogna dare la terra ai contadini per farla lavorare e per produrre quello che è necessario al Paese. Che cosa è mancato in tutta questa applicazione del principio che il Governo ha voluto affermare? È mancato soprattutto un piano regolatore delle distribuzioni. Questo piano regolatore non poteva essere previsto dal Governo di Roma, che non conosce le singole regioni, l’aspetto agrario di ogni singola regione. Questo provvedimento poteva esser dato da elementi competenti dei singoli luoghi. Se fosso stato reso possibile, si sarebbero avute distribuzioni veramente utili, efficaci e provvidenziali in tutte le regioni.

Non è stato fatto. Credo clic su questo punto si potrà fare pochissimo per rimediare; ma almeno il Governo provveda a far accelerare la distribuzione, perché è necessario che i contadini preparino i lavori ed è necessario che le semine siano fatte; è necessario che l’agricoltura possa procedere con una certa regolarità.

Ma si poteva fare di più: non si dà la terra ai contadini senza mezzi, e senza aiuti.

Una voce a destra. Bisogna far piovere!

CONTI. Evidentemente non ci siamo intesi, signori dell’altra sponda. Io ho parlato di concessioni provvisorie; le trasformazioni strutturali verranno poi e, con le trasformazioni strutturali, si dovrà risolvere il problema delle abitazioni per i contadini, si dovrà risolvere il problema delle acque, il problema delle strade, si dovranno risolvere tutti gli altri problemi relativi alla vera riforma agraria, indipendentemente dalle soluzioni ispirate alle varie ideologie.

Dunque, dicevo, il Governo doveva provvedere almeno a questa altra necessità: dare al contadino i mezzi per coltivare la terra con una certa razionalità. Data la terra, bisognava provvedere alla distribuzione attivissima di macchine agrarie, bisognava provvedere a tutto quello che era necessario, perché la coltivazione fosse veramente utile. (Commenti). Quando al contadino si dà poca terra, bisogna insegnargli che la poca terra può diventare molta con intensa coltura. Non solo alla distribuzione di mezzi meccanici non si è provveduto, ma nemmeno a vasta e regolare distribuzione di concimi chimici.

C’è un altro problema che abbiamo segnato tra le nostre esigenze. Non vedo il Ministro della pubblica istruzione; vedo soltanto il mio amico Sottosegretario di Stato onorevole Bellusci. Noi abbiamo detto – e qui faccio eco alla parola autorevole del nostro venerando collega onorevole Einaudi – abbiamo detto: ci sono problemi economici, ma per quanto i problemi economici abbiano un valore grandissimo, essi l’hanno in senso non assoluto. C’è un altro problema: quello della istruzione, dell’educazione e della salvezza dei nostri ragazzi, della nostra gioventù. Il problema più importante è quello della scuola e noi abbiamo detto al Governo: bisogna non pensare, oggi, alla grande riforma scolastica che verrà a suo tempo, non bisogna pensare alle grandi cose, che si dovranno fare nel prossimo avvenire. Anche su, questo terreno, mettiamoci su un piano di modestia: bisogna istituire in Italia, nel giro di pochi mesi, 20 mila scuole, bisogna dare alle regioni più massacrate dalla guerra, più tormentate dall’analfabetismo il grande aiuto della scuola. Non so quello che si è fatto; mi si è parlato di progetti che si stanno elaborando e che saranno messi in attuazione. Lo spero. Ma dico all’onorevole De Gasperi: questa nostra presenza vi deve ricordare l’impegno di tre mesi or sono. Vi deve ricordare che al Consiglio dei Ministri dovete deliberare l’istituzione di tante migliaia di scuole per i nostri fanciulli.

Ci siamo battuti per affermare il programma e per ottenere l’attuazione. Ad un certo punto il malcontento ci ha spinto ad alzare un po’ la testa, ed abbiamo fatto quella modesta levata di scudi che voi conoscete. Abbiamo suscitato qualche preoccupazione, ma la preoccupazione è servita, perché ha dato luogo ad un agitarsi di tanti nostalgici di quel banco (Indica il banco del Governo) per creare una crisi più grande. Si è subito detto che bisognava fare una bella crisi, della quale ci sarebbe stato modo di approfittare.

Noi vi diciamo, onorevole De Gasperi, che siamo con voi, e volenterosamente; però stiamo nel Governo per tormentarvi (Si ride); lo faremo in tutte le maniere. Noi abbiamo considerato il nostro atteggiamento dei giorni passati come una spinta necessaria, consideriamo il nostro atteggiamento di oggi come un dovere, perché intendiamo che il Paese senta che qui si lavora per dare alla Repubblica una fisionomia, per dare all’Italia un avvenire. Noi abbiamo una grandissima speranza: che cessino le male lingue di sparlare, che azioni di sobillazione non derivino da quella parte. (Accenna a destra Interruzioni Commenti).

PATRISSI. Questa è la più grossa!

CONTI. Onorevole Patrissi, lei ha detto nel suo discorso, che ho ascoltato dal principio alla fine, delle parole simpatiche…

PATRISSI. Grazie.

CONTI. …ma potete, voi di quella parte, (Accenna a destra) credere che noi repubblicani qui, in questa Camera, dominante la monarchia avremmo detto le stesse vostre parole? Espressioni di lealismo verso la monarchia? No. Voi, invece, le avete dette: voi dite di accettare la Repubblica.

PATRISSI. Nell’interesse supremo del Paese noi accettiamo anche questa.

CONTI. Vi voglio anche credere. Ma permettetemi di dire che io spero che alle parole corrispondano i fatti.

PATRISSI. Nessuno ha il diritto di dubitarne.

CONTI. In questo momento si sta cospirando contro la Repubblica. (Rumori a destra).

Una voce. Non è vero.

PATRISSI. La monarchia è caduta, ma vi fa campare di rendita e sognate di congiure! Con la istituzione della Repubblica la vostra funzione è finita.

CONTI. Questo mi mette in sospetto ancora di più, perché…

PATRISSI. Allora faccia l’investigatore e non il parlamentare. (Rumori Commenti a sinistra).

CONTI., Quanto lei dice mi mette in sospetto, le ripeto. Si vede che lei ha in mano le fila (Interruzioni Rumori), se ci garantisce che queste fila per ora non si muoveranno. (Applausi a sinistra Interruzioni e commenti a destra).

PATRISSI. Non possiamo tollerare ciò.

CONTI. Noi preferiremmo avere di fronte avversari ostili apertamente alla Repubblica…

MAZZA. Oggi la Repubblica è l’Italia. (Approvazioni a destra).

CONTI. Noi preferiamo gli atteggiamenti espliciti. (Commenti Interruzioni).

CAPUA. Lei legge la notte i romanzi gialli! In questo momento lei ci offende come italiani. (Approvazioni a destra).

PRESIDENTE. Onorevole Conti, non raccolga le interruzioni.

MICCOLIS. La Repubblica oggi è l’Italia, e basta. (Applausi a destra).

CONTI. Io spero che, ad onta di opposizioni sincere e di opposizioni dissimulate, qui si lavori per consolidare la Repubblica italiana.

MICCOLIS. Per salvare l’Italia!

CONTI. E la Repubblica salverà l’Italia, perché la Repubblica sarà davvero una espressione della civiltà nuova del popolo italiano. (Applausi a sinistra).

Presidenza del Presidente SARAGAT

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Cortese. Ne ha facoltà.

CORTESE. Onorevoli colleghi. Vi è un addebito che l’opposizione muove al Governo, ed è l’addebito di fondarsi su di un costante compromesso. Mi sia consentito di dichiarare subito che io ritengo questo addebito del tutto infondato. Siamo in crisi di alloggi ed in conseguente coabitazione forzata. Il Governo non può non essere formato da forze politiche diverse: è evidente che il Governo deve avere alla sua base un compromesso. D’altra parte siamo in attesa della Costituzione, e non è possibile attuare programmi di riforme sostanziali; anche perciò è indispensabile fondare l’azione di governo su di un compromesso.

Ma, onorevoli colleghi, la domanda dell’opposizione è un’altra, ed è questa: c’è il compromesso? C’è questo compromesso sul quale deve poggiare la sua base il Governo?

Si è parlato di crisi. Oggi si dice che tutto è finito. La crisi era soltanto un uomo. La crisi era Corbino: rimosso Corbino la crisi è finita. Noi ci abbandoniamo a dei semplicismi in omaggio a verità formali. La crisi era ed è la crisi del compromesso. Credete che ci sia un compromesso? Chi ci crede? Non la Democrazia Cristiana che nella mozione conclusiva dei suoi lavori ha dimostrato una così viva preoccupazione, una così grande sfiducia da formulare addirittura un ultimatum. Non ci crede il Partito Repubblicano il quale ritiene – come ora ha detto l’onorevole Conti – che per far funzionare questo Governo occorra un tormentatore di turno, ci sia cioè bisogno di un tormentatore che stia lì a richiamare il Governo all’attuazione di un programma, che non può essere altro che l’attuazione di un compromesso: il che rivela il sospetto dei repubblicani che al compromesso non si tenga fede. Chi crede dunque al compromesso? Chi ha fiducia nel compromesso? Il Partito Comunista?

Onorevoli colleghi, al centro della questione, – è inutile dissimularlo – c’è il Partito Comunista, perché se il Partito Comunista avesse davvero accettato un compromesso, il che significa rinuncia al proprio programma totale ed ai propri metodi, il che significa accettazione di un programma comune, frutto delle rinunzie particolari, onorevoli colleghi, la crisi non ci sarebbe stata, e non ci sarebbe nemmeno la preoccupazione che è nell’ultimatum col quale si conclude la mozione della Democrazia Cristiana, e non ci sarebbe nemmeno, onorevoli colleghi, questo stato di timore, di sfiducia, di allarme nel quale vive il popolo italiano. Tutto ciò perché il Partito Comunista il compromesso non l’ha accettato; non l’ha accettato né come programma né come metodo.

Una voce. Ma chi glielo ha detto?

PATRISSI. I fatti!

CORTESE. Se oggi si vuole parlare di crisi, identificando la crisi in Corbino, noi possiamo dire che quest’aria di crisi si è fatta minacciosa per avvenimenti che hanno scosso la pubblica opinione: e cioè l’atteggiamento dell’onorevole Togliatti a Parigi, l’atteggiamento dell’onorevole Di Vittorio a Milano che si è posto contro il Governo appellandosi alla piazza. (Commenti a sinistra).

È questo, Signori, il punto. Il Governo dà troppo spesso l’impressione che abbia bisogno proprio di quel tormentatore, e non di quel tormentatore dall’interno, ma abbia bisogno di sentire dal di fuori il fragore per risvegliarsi.

Io ho ascoltato le calde parole dell’onorevole Nenni, e mi sono domandato: ma l’onorevole Nenni sta qui a criticare un precedente Governo le cui responsabilità risalgano ad altri, o sta qui a dirci in modo stupefacente che se si è creato uno Stato psicologico e politico tale da destare allarmi, tale da poter far sì che i Partigiani, per tutelare i loro misconosciuti diritti abbiano dovuto ricorrere ad un’azione di forza, tutto ciò è avvenuto per l’inerzia del Governo, per il ritardo del Governo, per l’insensibilità del Governo del quale egli fa parie? Stupefacente dichiarazione di inettitudine di un governo che ha bisogno che qualcuno prenda il fucile per concedere quei provvedimenti, che poi si verrà qui a dire che erano dei provvedimenti giusti, che dovevano emettersi, ed il cui ritardo e diniego costituivano una offesa al buon diritto dei Partigiani ed un pericolo per la tranquillità del Paese.

Onorevoli colleghi, lo stesso avviene, per esempio, per le terre così dette incolte. Si dice che il decreto Segni è «provvido». E c’era bisogno per emetterlo questo decreto «provvido» che si verificassero delle manifestazioni di aperta illegalità e di rivoluzionaria violenza le quali non hanno certo incontrato l’aperta deplorazione vostra, onorevoli colleghi comunisti, che pure avete la responsabilità del Governo, né, tanto meno, quella dell’onorevole sottosegretario all’agricoltura. È questo il punto; non tutti siamo solidali nel deplorare certi metodi, talune manifestazioni: non tutti desideriamo che il Governo emetta tempestivamente gli opportuni provvedimenti. I comunisti, pur partecipando al Governo, perseguono il fine di fare delle manifestazioni agitatorie, le quali servono soltanto a tenere il Paese in una costante vigilia rivoluzionaria, in uno stato di incertezza e di sfiducia, che fatalmente travolge il prestigio del Governo di coalizione.

Del pari in sede di politica estera. L’onorevole De Gasperi potrà essere ben sicuro che se, per avventura, la linea della sua politica estera dovesse di un millimetro spostarsi dalla linea della politica estera russa, egli avrebbe contro gli uomini del Partito Comunista, siano o non siano al Governo. (Applausi a destra). Ed allora io mi domando: si dice che la crisi è superata, che si è arrivati ad un nuovo compromesso: gli altri partiti che siedono al Governo hanno accettato il compromesso sulle uniche basi realmente accettabili dai comunisti: una politica nel solco della Russia? Si dice che noi non dobbiamo essere in nessun blocco, in nessuno dei due mondi contrastanti ideologicamente. Ma è certo che se la stampa di destra, è una stampa che spesse volte assume atteggiamenti anche vivaci e violenti nei rapporti degli anglosassoni, è pur certo che la stampa del partito comunista è una stampa che non assume mai atteggiamenti di critica nei confronti di una determinata potenza straniera. Sappia il Governo che coi comunisti in politica estera non può esservi compromesso perché per i comunisti la linea italiana è destinata a coincidere costantemente al millimetro con l’interesse di un’altra nazione.

DE GASPERI, Presidente del Consigli o dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri. Il Governo è sulla linea italiana, non su quella russa o anglosassone.

CORTESE. Per l’appunto. Ma se questa linea italiana dovesse, in un certo momento – come può accadere – in linea di ipotesi, non coincidere, appunto perché italiana, con la linea seguita da altra nazione, allora, ripeto, si può essere certi, fin da questo momento, che un partito, che siede al Governo, non condividerebbe, onorevole De Gasperi, quella sua politica estera, dettata dall’interesse superiore del Paese, e quella forza politica sarebbe contro di lei, pure essendo nel patto di coalizione.

Una voce. L’ambasciatore Reale insegna. (Commenti).

CORTESE. Signori, si è parlato molto di una svalutazione della lira. Mi sia consentito – concludendo queste brevi battute, al termine di questo dibattito ed in ora cosi tarda – di dirvi che vi è un’altra svalutazione: vi è la svalutazione della vita umana. Perché? Perché si uccide con una straordinaria semplicità. Si ritiene che la lotta politica possa giungere fino alla violazione dell’integrità fisica dell’avversario.

Onorevole Presidente del Consiglio, noi avevamo presentato un’interpellanza sul disarmo. Ella ha creduto di risponderci nel suo discorso. Ma noi dobbiamo dirle che il problema del disarmo è un problema fondamentale. Se le armi sono nelle mani di cittadini o di organizzazioni, e non soltanto nelle mani dei tutori della legge, onorevole Presidente del Consiglio, noi non potremo parlare di democrazia. Ella ha dato delle cifre. Guardi! Si fa della demagogia di destra e di sinistra sui partigiani. E questa demagogia, che è spesso speculazione politica, offende la grandezza di quel sacrificio, la purità di quell’eroismo. Noi non vogliamo farlo. Noi vogliamo dire: «Riconoscete tutti i diritti a questi combattenti per la nostra liberazione». Ma non si dolga nessuno se in quest’Aula un deputato ponga questo piccolo quesito. Quindici giorni or sono abbiamo visto – non possiamo più negarlo – che ci sono delle armi in giro; delle armi, onorevole De Gasperi, perché abbiamo visto degli armati. Noi domandiamo: «In questi ultimi quindici giorni, quante armi sono state rastrellate?» Perché non si tratta qui di benemerenze. Il più eroico degli artiglieri, che ha tenuto ferma la sua volontà inchiodata al suo pezzo nella battaglia, non ho mai sentito dire che abbia il diritto di portarsi il cannone a casa. Non è mancanza di riguardo a nessuno. Non è svalutare dei sacrifici o partito preso. È una domanda che sgorga dal nostro senso di democratici convinti. Noi diciamo: «Se ci sono dei partigiani armati, depongano queste armi, perché nella Repubblica italiana, armate devono essere soltanto le forze regolari dell’esercito e della polizia».

Dunque, dicevo, è questa la crisi; è una crisi del compromesso, soprattutto perché un partito politico il quale costituzionalmente ha in sé taluni caratteri che gli rendono difficile la collaborazione sul terreno democratico, crea una atmosfera di equivoco, crea la possibilità di ritornanti agitazioni e di ritornanti aggressioni al Governo.

Noi lo diciamo con un senso di profonda amarezza, perché noi sappiamo che non è questione di crisi di rimaneggiamento. Non c’è nessuna ragione di sostituire un membro del Governo all’altro o di sceglierlo aprendo la gara tra gli esponenti più in vista dei partiti di massa.

Il problema vero è il problema del compromesso operante, perché senza questo compromesso operante vi è sempre più intensa questa sensazione di sfiducia. Onorevole De Gasperi, Lei non è certo in ansia per il voto di fiducia: lo avrà nel modo più sicuro domani, ma non si tratta di avere un voto di fiducia in quest’aula, si tratta di dare la fiducia al Paese. Non fate risorgere il fascismo. Lei, onorevole De Gasperi, forse in un momento di amarezza, sentendosi colpito dall’ombra del ’22 che incombe sulla Nazione, ha avvertito il bisogno di dire: «Io non sono un Facta». Non lo fate risorgere voi del partito comunista, creando questa atmosfera di sfiducia, di stanchezza, di eccitazione, di intolleranza…

Una voce a sinistra. Sono le masse che si agitano! (Commenti Rumori).

Una voce a destra. Ma che masse! Siete voi. (Rumori).

CORTESE. Voi che tenete il comando delle organizzazioni, che siete in grado di dominare le agitazioni, voi che sapete regolarle, graduarle, impedite queste agitazioni (Rumori a sinistra) sottoponendo tempestivamente al Governo le vostre richieste. Voi fate parte del Governo, e avete tutte le sedi opportune per far valere le vostre richieste.

Non fate risorgere il fascismo, perché il popolo non lo vuole. Il popolo chiede tranquillità e ricostruzione: il Paese vuole lavorare e risorgere. (Vivi applausi a destra e al centro Rumori a sinistra).

Voci. Chiusura! Chiusura!

PRESIDENTE. È stata chiesta la chiusura della discussione. Domando se sia appoggiata.

(È appoggiata).

Essendo appoggiata, la pongo ai voti.

(È approvata).

BENEDETTI. Domando la verifica del numero legale!

PRESIDENTE. La chiusura è già stata approvata e la sua richiesta di verifica del numero legale è tardiva.

Dichiaro chiusa la discussione generale, riservando la parola ai presentatori di ordini del giorno e al Governo.

Comunicazioni del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che l’onorevole Presidente del Consiglio dei Ministri ha trasmesso il decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, che approva lo Statuto della Regione siciliana.

In base al disposto del decreto stesso, egli ha chiesto che il provvedimento sia sottoposto alla Costituente per essere coordinato con la nuova Costituzione.

Poiché vi è una Commissione incaricata di redigere il progetto di Costituzione e una delle sue Sottocommissioni si occupa particolarmente del problema delle autonomie regionali, con particolare riguardo alle situazioni locali esistenti (Sicilia, Sardegna, Val d’Aosta, Trentino-Alto Adige), l’Assemblea deve decidere se il predetto Statuto debba essere inviato, appunto, alla Commissione per la Costituzione.

Se non vi sono osservazioni in contrario, così rimarrà stabilito.

(Così rimane stabilito).

Interpellanza e interrogazioni.

PRESIDENTE. Comunico che l’onorevole Caroleo ha presentato la seguente interpellanza, per la quale ha chiesto l’urgenza:

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno, e ai Ministri di grazia e giustizia e dell’agricoltura e foreste, per conoscere se il Governo abbia avuto piena notizia della preoccupante situazione determinatasi da qualche settimana in Calabria, e particolarmente nella provincia di Catanzaro, dove si sono invase e si vanno alla giornata invadendo estese zone di terre coltivate e avviatissime aziende, ad opera di numerosi gruppi di contadini, con minacce e violenze contro persone e cose, tra l’indifferenza o la impotenza delle autorità costituite.

«Si chiede altresì di sapere quali misure siano state adottate od intenda di attuare il Governo per il più rapido ristabilimento dell’ordine, non tanto in ossequio alla legge e al diritto privato, quanto in difesa del tranquillo lavoro e della pacifica convivenza di quelle pazienti e generose popolazioni, abbandonate a se stesse, e in difesa anche della continuità della produzione agricola, a cui è interessata, oggi più che mai, l’intera Nazione.

«Dovrebbe darsi preferenza a provvedimenti rivolti a superare o almeno ad attenuare i disagi e le sperequazioni nel campo economico, altra volta dall’interpellante segnalati in questa Assemblea e manifestatisi ora come la principale causa dei sopravvenuti disordini e dell’instaurato deprecabile sistema di «ragion fattasi».

Chiedo al Governo quando intende rispondere a questa interpellanza.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, Ministro degli affari esteri. Risponderò domani, nelle mie dichiarazioni, a questa interpellanza.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

BATTISTI, Segretario legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dell’interno e del tesoro, per sapere se non ritengano necessario venire incontro alle disastrose condizioni dei pensionati delle Opere pie non iscritti alla Cassa nazionale di previdenza sociale, che ancora percepiscono gli emolumenti dell’ante-guerra, con un provvedimento legislativo che estenda alle Opere pie l’obbligo di concedere ai propri pensionati gli aumenti concessi dallo Stato, o con l’assumere lo Stato stesso l’onere dell’adeguamento delle pensioni.

«D’Amico».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dell’agricoltura e foreste, dell’interno, delle finanze e del tesoro, per conoscere se non ritengano opportuno provvedere con urgenza ad emanare una legge che preveda il finanziamento delle spese per il ripristino della funzionalità dei borghi rurali costruiti nel latifondo siciliano, considerato che la situazione venutasi a determinare è grave, essendo in atto in stato di abbandono senza nemmeno i più elementari servizi igienico-sanitari. Tale stato di fatto pregiudica la consistenza patrimoniale immobiliare e mobiliare di beni che sono beni dello Stato, ed essenzialmente la salute delle laboriose famiglie di contadini che vi dimorano, prive delle elementari condizioni di vita civile. Infine se non ravvisino la necessità di ricostituire la Commissione interministeriale, a suo tempo istituita, per lo studio dell’organizzazione dei borghi, integrandola molto opportunamente con qualche elemento politico, il quale possa portare la viva voce dei contadini siciliani.

«D’Amico».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se non stimi giusto e degno emanare un provvedimento legislativo che, correggendo irregolarità ed ingiustizie, immetta nei ruoli, riconoscendone il diritto alla pensione, quei maestri delle scuole elementari i quali, regolarmente diplomati, insegnano da molti anni – alcuni anche da venti – come provvisori; e se non stimi parimenti giusto ed onesto che a questa categoria di insegnanti, nelle assegnazioni delle sedi per l’anno scolastico 1946-47, siano valutati tutti gli anni di effettivo servizio prestato e non solo dieci, come si fa attualmente.

«D’Amico».

«II sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della guerra, per conoscere se non ritenga opportuno emettere i provvedimenti necessari perché, in analogia a quanto praticato per gli ufficiali di armi diverse da quelle cui sono comandati, gli ufficiali dei bersaglieri e carristi, in ossequio alle pagine di gloria e di eroismo scritte in tutti i tempi, in omaggio alla memoria dei fratelli d’arme immolatisi in ogni epoca per la grandezza della Patria, siano autorizzati, durante il periodo di vita dell’Esercito di transizione, a portare, unitamente alle mostrine dei reggimenti, i loro gloriosi fregi e distintivi.

«Castiglia».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’industria e del commercio, per conoscere a qual punto si trovino gli studi relativi alla riforma organica delle Camere di commercio, industria ed agricoltura, e se non ritenga opportuna – nelle more delle attese disposizioni definitive – l’emanazione immediata di un provvedimento transitorio, modificativo ed integrativo del decreto-legge luogotenenziale 21 settembre 1944, n. 315, per il quale Camere ed Uffici hanno avanzato specifiche proposte e schemi completi di norme, e dal quale in ispecie le categorie di dipendenti dalle Camere e dagli Uffici attendono maggiore sicurezza di lavoro e possibilità di rendimento.

«Recca».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere se ritenga opportuno disporre con apposita circolare la esatta interpretazione dell’articolo del decreto legislativo luogotenenziale 11 gennaio 1946, n. 18, nel senso che la indennità debba essere corrisposta al personale in servizio nei centri sinistrati anche se dimorante fuori sede. L’interpretazione contraria data dall’Amministrazione delle ferrovie è in contrasto con lo spirito e la lettera del decreto e con l’interpretazione data da altre Amministrazioni statali, che giustamente hanno ritenuto che maggiore sia il disagio fisico ed economico di quegli statali che prestano servizio in città sinistrate e dimorano in località ad esse vicine. Particolarmente assurda è l’applicazione del decreto nel compartimento di Napoli, dove è stato escluso dalle indennità perfino il personale sinistrato costretto a stabilire la propria dimora nei centri viciniori.

«Cortese».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere se non ritenga indispensabile dare immediatamente inizio ai primi lavori per grande bonifica delle Valli di Comacchio, tenuto presente che fino ad oggi, a causa delle inesplicabili lentezze burocratiche, non è ancora stato pubblicato l’annunciato decreto di nomina del Commissario e tanto meno stanziati i primi fondi da lungo tempo promessi, mentre le popolazioni di Comacchio continuano a vivere in condizioni di estremo disagio, che non hanno alcun riscontro nell’Alta Italia, e riesce sempre più difficile mantenere l’ordine pubblico, dato lo stato di miseria e di disoccupazione endemica, aggravato e reso irreparabile dalla distruzione delle valli da pesca, avvenuta nel periodo della occupazione tedesca.

«Preti».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere se non possa dare istruzioni al prefetto di Messina, perché valuti in rapporto alla situazione locale ed all’esito delle elezioni politiche la opportunità di procedere alla rinnovazione dell’amministrazione comunale, onde assecondare la legittima aspirazione della popolazione locale così come ha disposto per le città di Brindisi, Taranto, Lecce.

«Candela, Martino Gaetano, Bonino».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri (Alto Commissariato per l’igiene e la sanità), per sapere:

1°) se non ritenga opportuno disporre una severa inchiesta sul funzionamento del Sanatorio Chiaravalle (Catanzaro), dove i ricoverati sono maltrattati per deficienza di vitto e d’igiene;

2°) nell’esito positivo dell’inchiesta, se non ritenga necessario provvedere, con intervento risolutivo, ad eliminare le deficienze lamentate in modo da dare agli ammalati di tubercolosi una seria assistenza sanitaria.

«Musolino».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro degli affari esteri, per sapere perché è ancora in vita l’Ente bonifiche albanesi con relativi uffici, personale, ecc. e, nel caso in cui esso non abbia più ragione di essere, perché non si provvede alla sua soppressione, destinando i fondi di sua pertinenza ad utili iniziative nel territorio nazionale.

«Camangi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere se intende modificare l’articolo 20 del decreto legislativo luogotenenziale 21 agosto 1945, n. 508, con il quale viene fissata l’età di anni 30 per gli agenti di custodia e di 28 per i sottufficiali per l’autorizzazione al matrimonio, in considerazione che tale disposizione è eccessivamente limitatrice della libertà matrimoniale e non è richiesta dall’interesse collettivo.

«Il limite per l’autorizzazione dovrebbe essere di 25 anni, mentre dovrebbero essere ammessi al concorso anche gli ammogliati di età maggiore, inferiore ai 25 anni.

«Riccio Stefano».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e i Ministri di grazia e giustizia, della marina e dell’agricoltura e foreste, per conoscere se intendono, per reprimere la pesca di frodo con bombe – la quale va distruggendo il patrimonio ittico con la conseguente disoccupazione dei lavoratori del mare nei centri marinari e la elevazione del prezzo del pesce – emettere un provvedimento legislativo con pene severissime o quanto meno modificare le sanzioni contenute nel testo unico per la pesca. È opportuno tener presente che fatti gravissimi si vanno verificando nei centri marinari del Napoletano, mentre occorre ricordare che la sanzione prevista dal testo unico è di una ammenda massima di lire 2000.

«Riccio Stefano».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se corrisponda a verità quanto è stato annunciato dalla stampa circa la prossima concessione agli insegnanti elementari dei ruoli aperti dal grado XII al IX, essendosi diffuso il dubbio fra interessati e in ambienti sindacali che la concessione progettata non garantisca, in armonia con lo sviluppo della carriera dei maestri, il loro inquadramento secondo l’ordinamento statale per gli impiegati provvisti di titolo di studio equivalente. L’interrogante chiede al Ministro se non creda opportuno assicurare gli interessati che il provvedimento in corso di approvazione rispetterà, a tutti gli effetti, le linee generali dell’inquadramento statale, sia nei gradi che nello sviluppo della carriera.

«Galati».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’industria e del commercio, per conoscere a qual punto si trovino gli studi relativi alla riforma organica delle Camere di commercio, industria ed agricoltura, e se non ritenga opportuna – nelle more delle attese disposizioni definitive – l’emanazione immediata di un provvedimento transitorio modificativo ed integrativo del decreto legislativo luogotenenziale 21 settembre 1944, n. 315, per il quale Camere ed uffici hanno avanzato specifiche proposte e schemi completi di norme, e dal quale in ispecie le categorie di dipendenti dalle Camere e dagli Uffici attendono maggiore sicurezza di lavoro e possibilità di rendimenti.

«Recca».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere quali provvedimenti intenda adottare per l’assistenza del gran numero di tubercolotici che vi sono in provincia di Agrigento, espressione questa delle condizioni di estrema miseria di quelle popolazioni e per la mancanza assoluta di sanatori antitubercolari, per cui non possono effettuarsi ricoveri in provincia; e per sapere inoltre se non intenda provvedere con la costruzione d’urgenza di qualche sanatorio o coll’adottare altri edifici, in condizioni di contingenza.

«Borsellino».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno, e i Ministri del tesoro e di grazia e giustizia, per conoscere se non ritengano doveroso apportare adeguati miglioramenti economici al clero congruato, soprattutto per le spese straordinarie di culto e di disagiata residenza, onde attuare la giustizia nei riguardi di una benemerita categoria di cittadini cui spetta il compito più importante nella ripresa morale della Patria.

«Caso».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per sapere se non ritenga urgentissimo disporre che l’Ente acquedotti siciliani prontamente dia inizio ai lavori di derivazione di acqua delle sorgenti Mele – conforme concessione del Ministero dei lavori pubblici con decreto n. 7337 del 9 novembre 1938, al comune di Milazzo, e disciplinare del 29 maggio 1939, in conformità del progetto esecutivo del nuovo acquedotto presentato il 24 maggio 1941 – provvedendo alle opere di presa e dell’edificio di Misura che rappresentano la prima parte di esecuzione dei lavori, indispensabili per tranquillizzare quelle laboriose popolazioni costrette, d’inverno, a bere acque soggette alla costante clorurazione perché risultate permanentemente inquinate; e di estate razionate con due ore di erogazione di acqua salvo le interruzioni di energia elettrica, trattandosi di acque sollevate da pozzi con elettropompe, poiché la captazione dall’attuale galleria filtrante, di estate si riduce da 15 litri al secondo a zero.

«L’esecuzione di queste opere, utili, indispensabili ed improrogabili, servirà a ridurre anche l’attuale disoccupazione foriera di miserie e di disordini.

«Bonino».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’interno, per sapere se non ritenga giusto consentire ai funzionari che esplicarono le funzioni di segretario comunale in base al disposto della legge 1° settembre 1940, n. 1488, e che si resero benemeriti per il servizio prestato durante il periodo bellico, di sostenere gli esami per il conseguimento dell’abilitazione a tali funzioni, anche se sforniti del titolo richiesto dall’articolo 175 della legge 27 giugno 1942, n. 851. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Quintieri Adolfo».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere le ragioni che ritardano la promessa attuazione di un servizio di automotrici sulla linea ferroviaria Cosenza-Paola. Trattasi di una linea con pendenza superiore al 75 per mille, su cui la trazione a vapore si è rivelata inefficiente e pericolosissima, tanto è vero che, in pochi anni di esercizio, si sono avuti parecchi disastri e quotidianamente si verificano incidenti. Senza contare che occorrono tre ore e mezzo per coprire un percorso di appena quaranta chilometri. Si impone perciò la immediata attuazione del servizio delle automotrici. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Quintieri Adolfo».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per essere informato se non ritenga necessario fronteggiare la fortissima disoccupazione a Cimolais (Udine) con lavori eminentemente utili, quali sono quelli di sistemazione montana del torrente Cimolaiana, preventivati in lire 8 milioni. Il torrente Cimolaiana è uno dei più sregolati del Friuli e i progetti della sua sistemazione sono stati apprestati dal Corpo forestale di Udine. (L’interrogante chiede la. risposta scritta).

«Piemonte».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno, per sapere se non ritenga necessario ed urgente accogliere il voto unanime del Consiglio comunale di Milano che venga senz’altro prorogato il blocco degli affitti stabilito dal decreto legislativo 12 ottobre 1945, n. 669, affinché, in attesa di un provvedimento organico in materia, siano evitate incertezze sui rispettivi diritti dei locatori e dei conduttori, che dànno già luogo ad innumerevoli liti giudiziarie ed a gravi preoccupazioni nella parte meno abbiente della popolazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Targetti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se non ritenga di affrettare la revoca del regio decreto 17 marzo 1930, n. 394, e del successivo regio decreto-legge 13 febbraio 1939, n. 310, concernenti l’attività e il patrimonio dei Patronati scolastici, e la sua effettiva applicazione. Sciolte l’O.N.B. e la G.I.L. e costituitosi, a scopo puramente liquidatorio, il Commissario generale per la Gioventù italiana, i Patronati chiesero istantemente la restituzione dei loro patrimoni. Ma dalla data della liberazione essi ancora attendono l’invocato provvedimento di legge, che fu solo vagamente annunziato. Frattanto i Patronati stessi versano in stato di grave paralisi, mentre urgono le necessità dell’assistenza scolastica infantile. Si fa presente a tale riguardo che l’8 giugno 1946 i rappresentanti dei Patronati scolastici dell’Alta Italia, riunitisi a Milano, hanno espresso unanimemente i seguenti desiderata:

i°) l’immediata pubblicazione del decreto che disciplini la complessa materia dell’assistenza scolastica investendone il Patronato scolastico e la costituzione dei consorzi provinciali dei Patronati scolastici;

2°) l’improrogabile liquidazione della disciolta G.I.L. e conseguente scioglimento del Commissariato Gioventù italiana e di altri enti similari che inopportunamente interferiscono, intralciandoli, nei compiti dei Patronati scolastici;

3°) il trasferimento dei beni delle attività della disciolta G.I.L. ai Patronati stessi ed alle scuole. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Franceschini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere se non intenda andar incontro ai bisogni della popolazione disoccupata di una delle zone più diseredate e povere d’Italia colla pronta esecuzione dei lavori di sistemazione dei torrenti Chiablina, Chiudola e Settimana, in territorio di Claut (Udine), di un previsto importo complessivo di spesa di 17 milioni ed i cui progetti esecutivi sono già stati apprestati dal Corpo forestale di Udine. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Piemonte».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro degli affari esteri, per conoscere le ragioni per le quali, malgrado che una disposizione del trattato di commercio, stipulato fra la Francia e l’Italia il 9 febbraio 1946, stabilisca doversi applicare il cambio di lire 189 per ogni 100 franchi nei pagamenti dell’indennità di risarcimento di danni per infortunio sul lavoro e delle pensioni di invalidità e vecchiaia, ai lavoratori già residenti in Francia e rimpatriati, in molti casi si applichi ancora la precedente misura di cambio, con gravissimo nocumento per gli interessati; e per avere, inoltre, comunicazione delle misure prese per togliere tale inconveniente e per ottenere il pagamento delle differenze arretrate a partire dal settembre 1944. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Piemonte».

Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere se non ritenga indispensabile annullare il provvedimento di collocamento in pensione del ferroviere Beorchia Luigi, conduttore capo del deposito personale viaggiante di Udine, ed accogliere invece le sue domande di reintegrazione in servizio presentate il 22 maggio 1945 o il 31 agosto 1945 alla Direzione generale del compartimento di Trieste, posto che il Beorchia si era dimesso dal suo posto il 5 settembre 1944, per seguire i consigli impartiti dalla Radio Londra ai ferrovieri di abbandonare, con qualsiasi pretesto, il loro posto, per non collaborare coi nazi-fascisti, in seguito agli avvenimenti del settembre 1943. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Piemonte».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere – premesso che dodici importanti dipinti dell’ex Collezione Gualino, trasportati dall’Inghilterra in Italia nel 1940, allo scoppiare della guerra, sono ora trattenuti a Roma in deposito provvisorio alla Galleria Borghese perché degni di figurare in una pubblica raccolta italiana – quali motivi si frappongono ad una pronta restituzione dei medesimi alla Galleria di Torino, dove sono raccolte ed esposte le rimanenti opere della stessa Collezione e dove essi figurarono fino al 1933, quando a richiesta dell’ambasciatore Grandi furono spediti arbitrariamente a Londra per arredamento di quella Ambasciata. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Chiaramello, Roveda, Villabruna, Colonnetti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dei trasporti e dei lavori pubblici, per sapere se è loro intendimento inserire nel programma dei lavori per il 1946-47 il completamento della ferrovia Lucca-Aulla. La Garfagnana, priva completamente di industrie e ricca di manovalanza (aumentata enormemente oggi dalla crisi quasi totale del commercio del marmo, per il quale la Garfagnana occupava il terzo posto dopo Massa Carrara e la Versilia) ha oggi circa duemila disoccupati, il cui numero sarà sicuramente raddoppiato durante l’inverno. Nell’Alta Garfagnana l’unico lavoro in atto è la riparazione del tronco ferroviario Camporgiano-Piazza al Serchio, con un appalto di 23 milioni di lire. È indispensabile, per venire incontro ai bisogni di una delle zone più sinistrate d’Italia, provvedere a finanziare, almeno un altro lotto, sulla costruenda Piazza al Serchio-Monzone, onde non condannare alla fame un numero notevole di operai. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Biagioni».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della guerra, se non ritenga opportuno che a mano a mano che le numerose caserme esistenti nella città di Caserta si vanno derequisendo, siano messe a disposizione del comune per essere adibite a scopi civili ed industriali. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Buonocore».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’istruzione, per sapere se non ritenga necessario che i posti di ispettore centrale per le scuole medie ed elementari siano coperti per pubblico concorso, perché la delicata funzione sia esercitata col dovuto prestigio e se, quindi, non debbano essere restituiti alle loro sedi di origine coloro che furono assunti senza concorso e senza alti meriti scientifici o didattici. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Buonocore».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere i motivi che hanno impedito a tutt’oggi le bitumazioni delle strade nazionali in Sicilia, ridotte in condizioni di impraticabilità, mentre si è già provveduto lodevolmente in confronto delle strade similari di altre regioni d’Italia, e per conoscere quali provvedimenti intenda emanare in merito alle bitumazioni reclamate e sempre più necessarie. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Volpe, D’Amico Diego, Salvatore, Trimarchi».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 20.5.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 16:

Seguito della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

SABATO 21 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

XXI.

SEDUTA DI SABATO 21 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SARAGAT

indi

DEL VICEPRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedi:

Presidente                                                                                                        

Comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri (Seguito della discussione):

Marina                                                                                                             

Negarville                                                                                                       

Nenni, Ministro senza portafoglio, Vicepresidente del Consiglio                           

Giannini                                                                                                            

Damiani                                                                                                            

Patrissi                                                                                                             

Interrogazioni e interpellanze (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

Scoccimarro, Ministro delle finanze                                                                  

La seduta comincia alle 16.

SCHIRATTI, Segretario, legge il processo verbale della seduta precedente.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Hanno chiesto congedo i Deputati: Arata, Rossi Giuseppe, Bacciconi, Bordon, Merlin Umberto, Zotta.

(Sono concessi).

Seguito della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri. Ha chiesto di parlare l’onorevole Marina. Ne ha facoltà.

MARINA. Onorevoli colleghi. Questa mattina ho letto una notizia su un giornale che mi ha dato molto a pensare, e che è in relazione a quanto il Governo si propone di fare per sistemare la grave questione dei salari e il conseguente tamponamento dei prezzi.

Sul giornale Il Tempo infatti ho letto questa notizia: la questione salariale all’esame delle Camere del lavoro del nord.

Ho avuto poi un’altra successiva notizia, che per questo fatto si sono interrotte e rimandate a martedì quelle trattative che dovevano svolgersi tra la Confederazione generale del lavoro e la Confederazione generale dell’industria. Perché questa interruzione? È una cosa estremamente grave. Nell’Italia settentrionale si stanno chiedendo forti aumenti di salari e questi forti aumenti non è chi non veda come non possano pregiudicare gravemente la situazione dei prezzi e lo stabilizzarsi di quella lira che tutti vorrebbero difendere.

Per poter fare un esame obiettivo e sereno della questione e per poter comprendere se realmente si può dominare questa situazione franante, è bene che si dia uno sguardo panoramico alla situazione industriale e agricola d’Italia. L’Italia, per nostra fortuna, sotto un certo aspetto, trae i suoi mezzi di sostentamento per circa due terzi della popolazione dalle colture agricole: si può quindi asserire che 30 milioni d’italiani vivano, come hanno sempre vissuto, sull’agricoltura e gli altri 15 milioni sull’industria. Questo fatto ha un’importanza notevole, perché l’agricoltura italiana non subisce carenza alimentare, essendo il prodotto aumentato quest’anno per effetto della buona annata, cosicché questa popolazione di 30 milioni di abitanti, per nostra tranquillità, ha i mezzi di sostentamento necessari, come li ha sempre avuti per il passato, e anzi in maggior copia in confronto alla popolazione che chiameremo industriale.

Viceversa gli altri 15 milioni, che traggono la loro ragione di vita dalle industrie, hanno una situazione deficitaria, dovuta al fatto che l’industria risente della mancanza parziale dei combustibili e in parte di materie prime, e non ha quindi la possibilità di funzionare al cento per cento. Pensare perciò che gli operai addetti alle industrie possano trovare quell’impiego che avevano nel 1938 e nel 1939 è errato e di conseguenza noi non dobbiamo poter pensare di occupare tutta questa mano d’opera in quelle industrie che non avranno per lungo tempo la possibilità di riprendere quel ritmo produttivo, che avevano negli anni decorsi dell’ante-guerra. È necessario esaminare quindi come si può risolvere questo problema, non solo attraverso i lavori pubblici, che hanno bisogno di un largo studio e di mezzi ingenti di tesoreria, che, come abbiamo visto, il Governo in questo momento non ha né può avere; ma anche esaminando se non sia opportuno che questa mano d’opera eccedente abbia a ritornare all’agricoltura per incrementarla e specializzarla in prodotti pregiati richiesti dai mercati esteri. Occorre inoltre esaminare la situazione dei salari che sono squilibrati in tutta l’Italia. Infatti, nell’Italia meridionale vi sono ancora dei salari diversi da quelli dell’Italia settentrionale; non solo, ma noi abbiamo una carenza di produzione, perché gli operai specializzati che sono impiegati nelle aziende industriali hanno una paga che è press’a poco uguale a quella del manovale. Voi sapete che ciò deprime la volontà di questi operai e di conseguenza il ritmo della produzione. E allora necessita, a mio avviso, di non sistemare comunque le paghe attuali, come si sta facendo, ma bensì rivederle sulla base di quelle esistenti nel 1938 e nel 1939, per cui l’operaio specializzato era differenziato in giusta misura dal manovale e dagli altri operai comuni.

In questo ordine di idee era anche lo stesso onorevole Grandi nel decorso mese di luglio. Ecco perché ebbi a suggerire, da circa un anno a questa parte, la moltiplicazione per un coefficiente giusto di quelle che erano le basi salariali di allora, per far ritrovare quella distanza perequativa tra operaio e operaio, che in questo momento non esiste più.

Questo fatto però non può essere accolto in questo momento, mi si dice per ragioni politiche, perché è meglio parificare, anziché differenziare le paghe, perché ciascun operaio deve avere la possibilità di vivere, avendo ciascuno gli stessi diritti. Ora, questa possibilità di vita è, diremo così, commisurata alla possibilità della nostra produzione sia agricola che industriale. Il salario è quel mezzo che permette al lavoratore di compartecipare alla distribuzione dei beni di consumo; cosicché, se noi diamo dei salari perfettamente esatti a ciascun lavoratore, questi potrà avere la sua giusta parte di viveri e di generi di abbigliamento di cui necessita, mentre se da operaio ad operaio, a parità di lavoro, noi squilibriamo la paga, come è in questo momento in tantissime categorie, noi avremo quello squilibrio di lavoro e quel turbamento continuo di carattere sociale che noi vediamo attualmente dilagare in tutta Italia.

Ecco perché attualmente alla Camera del lavoro di Genova si chiedono aumenti del 100 per cento; ecco perché già in qualche settore di industria sono stati concessi, in via di anticipo, aumenti del 30 e del 55 per cento.

Voi capite, onorevoli colleghi, che questi fatti sono gravi e dànno preoccupazioni molto serie, perché non è da pensare che un prodotto che ieri costava lire 100 di mano d’opera e domani costerà 150 o 200, possa agli effetti della vendita costare ancora lo stesso prezzo. Di conseguenza, qualunque azienda bene amministrata non potrà non alterare i prezzi di vendita del prodotto e aumentarli di quel tanto che sia sufficiente per coprirsi di queste maggiori spese di mano d’opera. Perché, oggi come oggi, sappiamo che larghi profitti non sono più permessi. Se vi è una sola industria nella quale effettivamente il margine si sta sviluppando, è l’industria tessile. E difatti questa industria ha riveduto le sue posizioni per compensare le sue maestranze di quella famosa categoria T che aveva i salari più bassi in confronto a tutte le altre. Attualmente gli operai tessili hanno ottenuto degli aumenti straordinari ed è giusto, perché questa industria, che oggi guadagna, abbia a dare un compenso maggiore alle proprie maestranze. Però, così come avviene in questa industria, che è in condizioni fortunate di ripresa, bisogna riesaminare la situazione delle industrie metalmeccaniche, che, pur lavorando a scartamento ridotto, devono subire il peso della mano d’opera esuberante, il che dà luogo a dei tragici inconvenienti di carattere economico.

Purtroppo, queste industrie, se grosse, sono industrie per la maggior parte foraggiate dallo Stato o di proprietà dell’I.R.I., ed è per questo che la preoccupazione è meno grave da parte dei loro dirigenti, mentre per le industrie piccole e medie – industrie che formano ben i due terzi dell’industria metalmeccanica – questa pressione di mano d’opera esuberante crea un grave disagio, che porterà molto presto al fallimento varie delle industrie stesse, se non si provvederà ad alleggerirle di questo peso antieconomico.

A nostro avviso, per poter arrivare ad una sistemazione generale, per normalizzare quella che per i lavoratori è una necessità assoluta, cioè avere quel minimo biologico di vita che si riferisca ai prezzi attuali, occorre arrivare gradualmente a quello sblocco dei licenziamenti che è già oggetto di trattative. Occorre, inoltre, sistemare, possibilmente, le entrate dello Stato mercé quella sollecitazione delle imposte che in modo molto generico ha espresso il Presidente del Consiglio, ma che però non ha trovato immediata attuazione da parte delle stesse agenzie delle imposte, che hanno moltiplicato per coefficienti troppo bassi i vecchi imponibili.

Se la vita attualmente è cresciuta, come ha detto l’onorevole Pella, da 1 a 20 circa, in relazione alla circolazione, e il risparmio, viceversa, è cresciuto solo di 7 volte, noi abbiamo in questo fatto la dimostrazione della carenza del capitale necessario per l’industria, donde la sua faticosità nel far fronte ai bisogni finanziari.

Il bilancio dello Stato ha bisogno di una industria fiorente e produttiva. La produzione, purtroppo, non trova il suo giusto ritmo, anche perché – lo ha accennato un onorevole di cui non ricordo il nome, ma mi pare sia Pella – il rendimento degli operai è ridotto. È stato detto che gli operai devono ritornare al lavoro a cottimo, se si vuol produrre di più. Effettivamente questo lavoro è assolutamente indispensabile. Noi sappiamo che l’operaio che lavora a cottimo rende molto di più dell’operaio che lavora a giornata e, di conseguenza, questa resa maggiore fa sì che il prodotto venga a costar meno. Questo minor costo del prodotto necessariamente si ripercuote in modo benefico sui lavoratori stessi che ne sono i consumatori e, con questo fatto, avremo indubbiamente quella discesa dei prezzi che è necessaria, perché il lavoratore abbia modo di migliorare il suo tenore di vita.

Per poter arrivare a sollecitare la ripresa delle costruzioni edilizie, un mezzo rapido potrebbe anche essere adottato in questo momento, approfittando del fatto che si stanno adeguando i salari al costo della vita.

Nel costo della vita del lavoratore vi è un elemento che attualmente è compresso ed è l’affitto dell’immobile che egli occupa. Se voi esaminate con me la possibilità di aumentare in misura adeguata questo affitto, voi vedrete che in questo fattore vi è la possibilità effettiva di rimettere in moto quella macchina grandiosa che è l’industria edilizia, la quale rappresenta la più grande industria italiana, perché nell’anteguerra assorbiva circa 1 milione di lavoratori, mentre oggi non arriva ad occuparne 100 mila.

Voi direte che vi è anche un fattore politico che non permette di esaminare oggi la questione con serenità. Io dico di no. Il lavoratore anteguerra (mi riferisco al lavoratore dell’Italia dei nord) spendeva circa il 10 per cento del suo salario per pagare l’affitto; nell’Italia centro-meridionale tale voce incideva con percentuale oscillante dal 10 al 20 per cento. Ora voi dovete ammettere con me che se si aumentasse di almeno 10 volte l’affitto attuale e si desse al lavoratore una paga di 330 o 440 lire giornaliere invece delle 300 o 400 attuali, l’operaio potrebbe pagare un affitto giusto o per lo meno molto vicino al prezzo reale. È un dato molto importante che è stato esaminato dai costruttori e che può essere ostico a digerirsi in sede politica, ma in sede economica è facilmente superabile proprio in questo momento, che è il vero momento, perché, dovendosi rivedere le paghe, il fatto di rivederle anche sotto questo punto di vista mi sembra cosa possibile. Si verrebbe così, fra l’altro, ad eliminare l’inconveniente che si verifica attualmente, per cui molta gente occupa un numero di locali superiori al necessario, perché paga un affitto basso. Avremo così una parte dei locali che sarebbero disponibili, ma quel che è più importante è che tutte le imprese edilizie riprenderebbero quasi immediatamente a lavorare. Ora voi non dovete dimenticare che nell’industria edilizia solo una piccola parte è mano d’opera specializzata; il resto è quasi tutta manovalanza, quella specie di mano di opera cioè, che normalmente passa dall’agricoltura all’industria e viceversa, a seconda delle possibilità stagionali. Dico questo perché, potendosi impiegare circa 1 milione di lavoratori, vuol dire risolvere per almeno il 50 per cento il problema gravissimo della disoccupazione. Ecco perché il Governo, o meglio le due Confederazioni, che stanno discutendo in questo momento tale grave problema, dovrebbero rivolgere il pensiero a questo con profondo interesse, per risolverlo nel modo come vi ho spiegato.

Passando ad altro argomento, voi dovete darmi atto di un fatto sostanziale, che è questo: al 1° settembre 1945 i generi alimentari in borsa nera, i generi di vestiario, gli stessi cambi, le stesse quotazioni di borsa, il valore dell’oro erano press’a poco identici a quelli che abbiamo oggi, settembre 1946. Come va allora che, mentre il primo settembre 1945 gli operai percepivano una paga (mi riferisco sempre all’Italia del nord) inferiore di circa il 40 per cento a quella attuale ed i generi alimentari costavano come costano adesso, non hanno sentito il bisogno di fare queste numerose e pericolose agitazioni, quali si verificano attualmente nel nostro Paese, mentre la situazione è press’a poco uguale a quella di allora? Non è quindi sul terreno economico che possiamo trovare la spiegazione di questo fenomeno, ma sul terreno squisitamente politico.

Una voce. È la fame!

MARINA. La questione della fame si risolve attraverso la distribuzione dei generi alimentari che noi abbiamo disponibili nel Paese, perché se anche dessimo mille o diecimila lire di paga al giorno ai nostri operai, più di quei generi alimentari di cui possiamo disporre o che possiamo importare dall’estero non possiamo distribuire e voi mi insegnate che così è. Non è la misura delle paghe, ma la uniformità delle paghe in tutto il territorio italiano che permette una giusta ed equa distribuzione dei prodotti alimentari ai lavoratori. Questo è il punto sul quale bisogna fissare la nostra mente. Ha perciò una grande importanza, anche agli effetti monetari, poter fissare le paghe ad un livello stabile, non ha importanza che si tratti di 300 o 400 o 500 lire al giorno (Commenti Interruzioni a sinistra); l’importante è non creare degli squilibri, perché sono gli squilibri che turbano il mercato. Giustamente i lavoratori di una determinata azienda, che vedono i lavoratori di un’altra azienda percepire di più, si agitano per avere lo stesso compenso. Ecco perché è assolutamente necessario trovare il modo di parificare in tutta Italia le paghe e gli stipendi.

Vi è un altro problema che sempre in questa sede potrebbe trovare la sua risoluzione. Lo Stato spende ben 40 miliardi all’anno per mantenere il cosiddetto prezzo politico del pane. Abbiamo sentito per bocca dell’onorevole Corbino quali e quante acrobazie deve fare il tesoro per potere avere i mezzi per far fronte a tutte le spese dello Stato. Mi pare che sarebbe quanto mai opportuno sollevare lo Stato dalla spesa che sostiene per conservare il prezzo politico del pane. Abolendo il prezzo politico, si avrà un raddoppio del costo del pane, ma nel contempo verrà eliminato tutto il disordine connesso al conferimento obbligatorio del grano. Al contadino che lavora la terra noi daremo un prezzo giusto per il grano che egli produce, cosicché non alimenterà più la borsa nera. Vi è poi un altro fatto che non deve essere trascurato, ed è che del prezzo politico del pane noi facciamo beneficiare una quantità di persone che di tale beneficio potrebbero fare a meno.

Ecco perché, a mio avviso, è necessario, in sede di revisione delle paghe, esaminare anche il problema del prezzo politico del pane. La maggiore spesa che incontrerà il lavoratore, per questo fatto, calcolato sulla razione di 500 grammi di pane, potrà essere di undici o dodici lire al giorno, potrebbe venire facilmente compensata con l’aumento corrispondente delle paghe, data la modicità della somma. Così facendo si eliminerebbero due gravi inconvenienti: si darebbe il prezzo giusto al contadino per il grano che produce e si toglierebbe allo Stato l’onere gravissimo di cercare 40 miliardi all’anno, per far fronte a quella inutile spesa politica.

Anche di un altro importante settore dell’economia vorrei parlarvi, perché questo possa servire per sollecitare la ripresa edilizia; i danni di guerra sugli immobili sinistrati.

Una statistica dei danni di guerra sugli immobili dà come distrutto, o come gravemente danneggiato, circa il 7-8 per cento della proprietà edilizia totale d’Italia. Voi potete vedere come questa sia una ragione, diremo così, per imporre subito, all’altra proprietà immobiliare non danneggiata, l’imposta del 10 per cento a favore degli stabili danneggiati.

Col ricavato di questa imposta noi potremo procurare i mezzi sufficienti perché i danneggiati abbiano il compenso al danno subito dalla guerra senza farlo gravare sullo Stato, perché è giusto che coloro i quali sono stati danneggiati siano indennizzati ed è altrettanto giusto che coloro che tali danni non hanno avuto paghino una tassa che permetta di riparare il danno di coloro che hanno avuto la casa distrutta o danneggiata. Con questo criterio, diremo così, di equità noi troveremo i fondi, specialmente se questa tassa verrà ripartita in un giusto lasso di tempo, che vorrei precisare in circa dieci anni, perché, per esempio, l’uno per cento all’anno può essere benissimo ben sopportato dall’immobile non sinistrato, tanto più se si renderà operante l’aumento degli affitti, come ho sopra accennato.

Viceversa colui che ha avuto l’immobile sinistrato dovrebbe avere l’obbligo della sua ricostruzione, anche in luogo diverso, in un determinato numero di anni. Anche questo contribuirebbe notevolmente a far riprendere il lavoro all’industria edilizia ed alle industrie ad essa connesse.

Io avrei voluto poi chiedere al Governo se ha portato sul terreno di pratica applicazione la richiesta dell’Austria di togliere la dogana fra i nostri due Paesi. Questo è un fatto molto importante, perché, a mio avviso, permette di incominciare ad avere, almeno sul terreno economico, l’inizio di quegli Stati Uniti d’Europa che dovrebbero essere il primo fattore per eliminare in questo vecchio continente le ragioni fondamentali della guerra.

Come l’Austria ha offerto a noi di unire le nostre due dogane, a me parrebbe molto importante che altrettanto si facesse noi nei confronti della Jugoslavia, perché i nostri due Paesi hanno due economie compensative. Il proporre alla Jugoslavia la possibilità di una unione doganale, permetterebbe di smussare molti dolorosi angoli nei rapporti con questo Paese, e le due economie compensative, come dicevo prima, permetterebbero un flusso e un deflusso in libertà di merci che oggi non ci sono.

Passando ad altro argomento, sul quale altri oratori hanno espresso il loro giudizio, ritengo che il calmiere sia cosa dannosa. Infatti, il calmiere fa scomparire la merce dal mercato, mentre invece utilissimi sono i magazzini di raffronto che il Governo intende incoraggiare o istituire, ma di cui purtroppo la pratica attuazione è ritardata nel tempo, perché l’industria tessile, che dovrebbe fornire il prodotto a questi magazzini, è impegnatissima e quindi non può fornire che quantitativi minimi che non possono influenzare, almeno in un primo tempo, l’andamento del mercato dei prodotti di abbigliamento. Quello che è necessario in questo momento è che al tavolo comune delle discussioni tra la C.G.I.L. e quella dell’industria si trovi quel punto di saldatura necessario e di buona volontà affinché gli operai, soddisfatti nei loro giusti diritti, abbiano a ritornare alle industrie animati di buona volontà, perché il lavoro sia costante, ben fatto e si acceleri il ritmo produttivo in tutte le industrie della Nazione, in modo che attraverso il lavoro nostro, sola e vera ricchezza, si possa trovare la soluzione di tutti i nostri problemi e la possibilità di far risorgere il Paese ad una vita felice e tranquilla. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Negarville. Ne ha facoltà.

NEGARVILLE. Il mio intervento sarà limitato a quei punti delle dichiarazioni del Presidente del Consiglio che concernono i problemi di politica interna connessi alle condizioni economiche delle masse popolari ed ai compiti della ricostruzione. Mi sia tuttavia consentito di soffermarmi brevemente sulle dimissioni dell’onorevole Corbino per alcune considerazioni che, d’altronde, specialmente dopo il discorso che l’Assemblea ha sentito ieri dall’onorevole Corbino, mi paiono ovvie. Queste dimissioni vanno considerate come un episodio della vita del Governo, sul quale mi pare che sia assolutamente fuori luogo voler drammatizzare. La così detta crisetta non è diventata la grande crisi che molti organi di stampa ed alcuni membri di questa Assemblea hanno invano desiderato.

La domanda che si poneva l’altro giorno l’onorevole Nitti e alla quale diceva di attendere una risposta, rimane drammatica soltanto nel tono della voce. L’onorevole Nitti può essere soddisfatto o non soddisfatto delle spiegazioni che ci ha dato ieri l’onorevole Corbino sulle ragioni che hanno provocato le sue dimissioni; è cosa che lo riguarda. Ma ciò che rimane accertato è che l’onorevole Corbino è uscito dal Governo per un dissidio sulla politica del tesoro tra la sua persona e quella della maggioranza del Governo. Questo dissidio ha avuto inizio per le critiche che i comunisti hanno rivolto alla politica che noi continuiamo a considerare personale dell’onorevole Corbino in materia di tesoro. A un certo punto, la questione, venuta a maturarsi, è passata dal dibattito polemico dei giornali, o dei discorsi, al Consiglio dei Ministri ed ha trovato, secondo le stesse dichiarazioni dell’onorevole Corbino, contro il Ministro del tesoro la maggioranza del Governo, che comprendeva, oltre il Partito comunista, il Partito socialista, il Partito repubblicano e probabilmente una parte dei Ministri democristiani.

Su che cosa verteva il dissidio? Ho già annunziato che voglio soffermarmi su altri problemi e non intendo esaminare a fondo questa questione. Sostanzialmente il dissidio verteva su una posizione personale dell’onorevole Corbino riguardo al programma di Governo.

L’accordo raggiunto dai partiti di maggioranza per la costituzione del Governo di coalizione si fondava su un programma, che era il frutto di un compromesso. Alla realizzazione di questo programma erano impegnati tutti i Ministri, tutti i partiti, che avevano realizzato l’accordo.

Ebbene, è nella realizzazione del programma e nel corso dell’applicazione degli intendimenti che il Governo aveva in tema di economia e di finanza che è maturata la politica personale dell’onorevole Corbino, la quale non poteva non destare serie preoccupazioni.

Per questo noi comunisti abbiamo ritenuto necessario, doveroso, iniziare quella critica pubblica, che doveva non soltanto interpretare il malessere del Paese, ma anche portare a una soluzione. E la soluzione è stata data dalle dimissioni dell’onorevole Corbino. Pensiamo che questa critica non sia stata soltanto negativa. Nel corso della polemica abbiamo potuto portare avanti degli elementi costruttivi contro le mancate realizzazioni della politica economica dell’onorevole Corbino.

Pensiamo, in sostanza, di aver reso un servizio al Paese e che questo servizio si è concluso proprio con l’uscita dell’onorevole Corbino dal Governo, uscita che ha sgombrato il terreno da un impedimento che non abbiamo sentito soltanto noi, anche se siamo stati i primi ad avvertirlo, ma la maggioranza del Governo, secondo le stesse dichiarazioni dell’onorevole Corbino.

Mi sia permesso di aggiungere a queste considerazioni, che confermano la nostra posizione sull’episodio Corbino, alcune preoccupazioni maturate in noi proprio ieri, di fronte alle dichiarazioni che l’ex Ministro del tesoro ha fatto in questa Assemblea. Io non intendo seguire il ragionamento dell’onorevole Corbino in tutti i suoi aspetti, ma cogliere soltanto quello che mi pare il momento, nel quale l’onorevole Corbino ha rinunziato ad essere lo spiritoso parlatore per dire delle cose serie.

Ieri l’onorevole Corbino ci ha regalato la rivelazione di una clausola del trattato di pace, che concerne l’imposta patrimoniale. E ci ha fatto sapere che coloro i quali possono essere colpiti da questa imposta (il relativo provvedimento è già preparato dal Governo e su di esso si fondano molte speranze del tesoro), in virtù di questa clausola, possono evadere con estrema facilità. Io penso che molta gente in Italia studia con la massima diligenza tutti i possibili accorgimenti per non pagare, e che questa gente avesse già pensato come doveva fare. Ma aggiungo che chi non ci aveva ancora pensato ha avuto dall’onorevole Corbino un autorevole suggerimento. (Commenti – Rumori).

Un altro punto che ha destato in noi preoccupazioni concerne la sottoscrizione al prestito.

L’onorevole Corbino, che fu chiamato da un membro della nostra Assemblea – mi pare dall’onorevole Nitti – un ottimista, mi è sembrato invece essere un pessimista, quando ha detto che gli italiani non avrebbero sottoscritto al prestito, perché non sono interessati a quello che il Governo farà tra nove anni, essendo costretti a vivere alla giornata. E questo è evidentemente il modo di svalutare in partenza il prestito che il Governo si accinge a lanciare.

L’onorevole Corbino, quale Ministro del tesoro, ha opposto delle serie resistenze alla realizzazione del programma concordato dai partiti della maggioranza. Ora. come non avere il dubbio che l’onorevole Corbino, dai banchi dell’opposizione, non intenda dare direttive, suggerimenti e consigli a coloro che vogliono opporsi al tentativo che il suo successore farà per realizzare questo stesso programma?

Sulla questione del cambio della moneta, sui dissidi e le polemiche a cui ha dato luogo questa misura, e sulla notizia che ci ha dato l’onorevole Corbino del cambio preparato alla vigilia delle elezioni, ma rimandato perché avrebbe turbato l’ordine pubblico, io non voglio soffermarmi. È un problema che può essere aperto o chiuso. Vorrei richiamare soltanto l’attenzione del Governo su di un fatto che non può non avere impressionato il pubblico. È noto che questa operazione, prima di essere decisa dal punto di vista politico, esigeva una determinata preparazione tecnica, ed è noto che questa preparazione tecnica aveva raggiunto un certo stadio. Si sa che già erano stati preparati dei clichés per la stampa dei nuovi biglietti. Gli italiani sanno che questi clichés sono stati rubati. Pare che siano stati arrestati gli autori. Non si sono però trovati i clichés: la refurtiva non è stata trovata e non si sa dove sia. Questo fatto va meditato. Non costituisce più un segreto di Stato, dal momento che i giornali ne hanno parlato. Ma il fatto impegna questa Assemblea in una esigenza, in un dovere. Ed io esprimo questo dovere nella richiesta formale di una inchiesta parlamentare, o governativa che renda pubblici i suoi lavori, le sue conclusioni, i suoi risultati sulla sorte dei clichés dei biglietti che si sarebbero dovuti stampare.

E passo ai problemi che sorgono dalla situazione di disagio economico delle masse popolari e che incidono profondamente su tutti gli aspetti della vita nazionale.

Il disagio economico delle masse, il malessere delle classi lavoratrici, non si esprime nella rinunzia a determinate spese voluttuarie, ma nella rinunzia a quei prodotti di prima necessità indispensabili alla salute fisica, specialmente dell’infanzia. Su questo problema è naturale che si concentrino gli sforzi principali del Governo per far uscire il Paese da una situazione di disagio, che comincia sul piano economico e si allarga al piano morale e fisico. Di qui sorge il problema dei salari, dei prezzi e della speculazione. Nessuno può contestare che il rapporto tra prezzi e salari è assai stretto. Tuttavia noi rivendichiamo la posizione che abbiamo assunta nel corso delle trattative per la costituzione di questo Governo, che si esprimeva nella richiesta di un adeguamento dei salari al costo della vita.

Siamo stati i soli ad avanzare tale richiesta, anche se nel corso della campagna elettorale promesse in questo senso erano state fatte da tutti i partiti alle masse lavoratrici. I salari non sono stati aumentati, ma i prezzi sono andati egualmente su, noncuranti delle assicurazioni che aveva dato il Governo di impedire la loro salita. Perché? Perché dal 1° luglio in poi ha operato in Italia, su vasta scala, l’azione della speculazione per l’aumento dei prezzi, per la rarefazione delle merci e per tutto un gioco di profitti illegittimi, di fronte al quale il Governo e le autorità sono stati impotenti. Qui non si parla di questo o di quell’altro Ministro, qui c’è tutto un problema che sorge da un fenomeno funesto alla nostra ripresa economica: il fenomeno che fa dell’Italia il paradiso degli speculatori. La rarefazione delle merci, e il conseguente aumento dei prezzi, è scandalosa soprattutto perché manovrata dalla speculazione, la quale può svolgere tutto il suo gioco senza scrupoli e, quel che è peggio, senza ostacoli. Come stupirsi se in tale situazione siano scoppiati dei movimenti di massa?

Questi movimenti sono stati contenuti entro certi limiti per il senso di responsabilità dei partiti di sinistra e delle organizzazioni sindacali; ma non possiamo ignorare che essi potevano facilmente straripare e determinare nel paese una situazione estremamente grave, di fronte alla quale non so quali avrebbero potuto essere i provvedimenti del Governo. Io ero nel Nord quando sono incominciati i movimenti contro il carovita a Novara. Novara è provincia produttiva, non tributaria. Un bel mattino sul mercato di Novara i prodotti di prima necessità, soprattutto i grassi e le uova, non vennero portati. I grossisti di Novara non negarono alle Commissioni inviate sul luogo dal Comune e dalle organizzazioni sindacali, che i prodotti esistevano nei magazzini; ma apertamente, sfacciatamente, bestialmente dichiararono che questi prodotti non sarebbero stati portati, perché essi intendevano far aumentare i prezzi. Si ebbe come conseguenza la sospensione del lavoro per due ore da parte delle maestranze di Novara, con una manifestazione davanti alla Prefettura, che ebbe qualche punta di eccesso che noi abbiamo riprovata. Questo sciopero ha deciso le autorità ad intervenire, ha deciso il prefetto a fissare quel calmiere che tutti sappiamo essere un palliativo, ma che, nel caso concreto, ha determinato l’afflusso delle merci al mercato a prezzi accessibili alle masse popolari. L’aspetto politico di questo episodio, il quale poi si riprodusse con caratteristiche diverse nelle provincie di Milano, di Torino, di Vercelli e altrove, è dato dal fatto che le masse intervengono direttamente ed escogitano, nel loro intervento, delle misure e delle iniziative di fronte alle quali le autorità locali restano interdette, ma che finiscono per accettare.

Il calmiere nelle regioni dell’Italia settentrionale, la cui iniziativa è partita, se non erro, dal prefetto di Milano in una riunione alla quale vennero invitati tutti i prefetti dell’Alta Italia, non è stata una misura appoggiata dal Governo, e perciò limitata nella sua efficacia. C’è stato assenteismo del centro nel momento in cui la periferia tentava con mezzi inadeguati di salvare la situazione. C’è stato assenteismo da parte dell’Alto Commissario all’alimentazione, al quale da Torino un gruppo di Deputati, sollecitati dal prefetto, telegrafava per ottenere l’autorizzazione di acquistare merci fuori dei limiti territoriali, senza ottenere nessuna risposta.

Io so che l’onorevole De Gasperi, il quale si trovava a Milano il giorno stesso in cui avvenne in Prefettura la riunione dei prefetti e alla Camera del lavoro la riunione di tutti i segretari delle Camere del lavoro dell’Italia settentrionale, assicurò una delegazione delle Camere del lavoro di aver convocato telefonicamente il Comitato centrale dei prezzi a Roma. L’onorevole De Gasperi non poteva tornare a Roma, perché era chiamato ad altra missione, non meno grave e non meno importante: stava per partire per Parigi. Il Comitato centrale dei prezzi si è forse riunito…

DE GASPERI, Presidente, del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri. Sì!

NEGARVILLE. … ha preso probabilmente delle decisioni; ma è certo che il Comitato centrale dei prezzi non è riuscito a svolgere un’azione che venisse incontro a quella che era l’azione delle Prefetture dell’Italia settentrionale che avevano stabilito il calmiere e che, proprio per aver stabilito il calmiere, vedevano, dopo otto giorni, la merce sfuggire dai mercati, senza che il Comitato centrale dei prezzi facesse in altre provincie e in altre regioni un’azione corrispondente per evitare il defluire della merce.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri. Sono i prefetti che hanno bloccato le merci nella maggior parte delle provincie. Questo è il disordine che è avvenuto. Io ho dovuto richiamarli. (Interruzioni Commenti).

NEGARVILLE. Abbiamo avuto 15 o 20 prefetti, i quali hanno deciso di stabilire il calmiere nelle loro provincie e questi prefetti sapevano e sanno, come lo sanno le organizzazioni sindacali che hanno appoggiato il calmiere – il quale si presentava soprattutto come una misura di ordine pubblico – che questo non avrebbe avuto efficacia alla lunga e che, al contrario, dopo alcuni giorni non poteva che determinare una rarefazione delle merci; tutti sapevano questo. E penso che la delegazione che è venuta da Lei, onorevole Presidente del Consiglio, il giorno in cui il prefetto di Milano ebbe l’iniziativa del calmiere interprovinciale, anzi interregionale, è venuta per dirle: fate applicare il calmiere in altre parti d’Italia, oppure fate qualche altra cosa la quale eviti a noi, che abbiamo avuto l’iniziativa, dei risultati negativi, o addirittura catastrofici. La sua assicurazione di convocare il Comitato centrale dei prezzi – riunione che, apprendo, è avvenuta – era un’assicurazione abbastanza incoraggiante, perché le delegazioni che sono andate a vederla si sono dette: non agiamo più da soli, non ci siamo più soltanto noi, c’è anche il Governo. Comprendo che il Presidente del Consiglio era in quel giorno preoccupato di cose più gravi; condivido e riesco a comprendere il suo stato d’animo. Ma è un fatto che la sua partenza ha determinato una stasi. L’unica cosa che abbiamo conosciuto è che il Governo non era orientato, e non è orientato, a stabilire il calmiere nazionale.

Noi non chiediamo il calmiere nazionale. Se il calmiere nazionale ci portasse alla soluzione del problema, soprattutto in vista dell’inverno, il quale si presenta con aspetti ancor più angosciosi di quelli che stiamo attraversando, se vedessimo nel calmiere nazionale la possibilità di uscire da una situazione difficile e penosa, lo richiederemmo. Ma sappiamo che questa misura, nell’attuale situazione, non è atta a risolvere i problemi che bisogna risolvere. Ciò che è indispensabile è un’azione che colpisca almeno le punte più avanzate della speculazione, con le conseguenze che ho cercato di indicare.

Noi siamo d’accordo con i provvedimenti annunziati dal Presidente del Consiglio: Consorzi comunali e provinciali per l’acquisto diretto, magazzini di vendita come organismi calmieratori, ecc. Nella provincia di Torino agisce una grande cooperativa, l’Alleanza cooperativa torinese, patrimonio della classe lavoratrice, che esercita in larga misura questa azione; ma l’A.C.T. ha bisogno di essere aiutata dagli organi di Governo, non può risanare da sola l’ambiente che è dominato dagli speculatori. Bisogna uscire dall’inerzia, prendere rapidamente delle iniziative, tenendo conto che le misure che si impongono saranno tanto più efficaci se sapranno utilizzare quegli organi di controllo popolare che sono sorti nel Nord e che possono portare un grande contributo alla lotta contro il caro vita.

In sostanza si tratta di battere la speculazione nei suoi aspetti più scandalosi, che non sono soltanto dati dalla abbondanza nelle vetrine di ogni ben di Dio, a disposizione dei pochi privilegiati, mentre i lavoratori sono quasi ridotti alla fame, o dai ristoranti di lusso, o dalle automobili che costano 2 milioni; si tratta di batterla anche sul suo terreno più clandestino, di scoprirla nella sua attività losca e nelle sue organizzazioni ben congegnate e ben coperte; si tratta di riuscire a raggiungere una stabilizzazione nei prezzi che dia respiro alla gente, la quale guarda con angoscia ai prossimi mesi invernali.

Lo sforzo comune delle organizzazioni sindacali, dei prefetti, dei sindaci e dei partiti di massa può portare un contributo efficace (sempre che tutto sia fatto sul serio) alla stabilizzazione dei prezzi dei generi di prima necessità. Altre misure sarebbero da suggerire, altre misure sono forse per essere prese; ma mi pare che l’essenziale sia di vedere il problema nel suo aspetto essenziale: bloccare la corsa all’aumento dei prezzi.

Se riusciremo in questo, si porrà il problema della tregua sulle questioni salariali, dopo però che i salari saranno stati adeguati a quel livello dei prezzi che vogliamo raggiungere e sul quale vogliamo fermarci. Io non credo che la frase del Presidente del Consiglio a proposito della tregua salariale debba essere interpretata nel senso immediato. Il Presidente del Consiglio sa che vi sono industriali i quali proprio in questo momento concedono aumenti salariali, ad esempio i tessili, che hanno concordato un aumento del 30 per cento. Gli stessi chimici credo stiano trattando. A Torino gli industriali metalmeccanici sono tendenzialmente favorevoli ad una concessione di aumenti. Si tratta quindi di una tregua da realizzarsi dopo che questi aumenti saranno stati fatti. L’adeguamento dei salari e degli stipendi al costo della vita, tenuto conto della necessità di una scala mobile che deve essere perfezionata nella sua tecnica e resa più efficace, va incontro ad un bisogno non soltanto del futuro e del presente, quanto del passato. A Torino tutte le famiglie operaie si sono indebitate o presso qualcuno che aveva maggiori possibilità, oppure portando masserizie al Monte di pietà. I dati sull’afflusso delle merci ai Monti di pietà sono sconcertanti. Vi si portano perfino lenzuola e materassi. L’altro giorno l’onorevole Carmagnola parlava di malati visitati da medici e trovati su giacigli privi di lenzuola. Badate che si tratta di gente non appartenente agli strati sociali più bassi, non si tratta di mendicanti; sono operai qualificati, i quali hanno quasi sempre avuto un tenore di vita civile, decente, che tengono ad avere un vestito nuovo per la festa, e che oggi non hanno più le lenzuola nel letto. Bisogna dunque favorire le trattative che sono in corso e che stanno per iniziarsi fra la Confìndustria e la Confederazione del lavoro per adeguare i salari al reale costo della vita.

Il disagio delle classi lavoratrici non può non sfociare in quel disagio politico, che tutti sentiamo. Dal 2 giugno in poi sono andate decrescendo in Italia le grandi speranze che la propaganda elettorale e le elezioni avevano determinate nel popolo italiano. Si ha l’impressione che il Paese non abbia ancora imbroccato la via giusta. Non si sa perché, ma il senso di sfiducia dopo la proclamazione della Repubblica assume a volte degli aspetti così preoccupanti, che bisogna per forza concentrare l’attenzione su di essi, vedere se certi episodi non siano da inquadrare in una situazione generale che può diventare molto grave.

Disagio economico, disagio morale, disagio politico.

Io vorrei qui fermarmi brevemente sull’episodio dei partigiani di Asti, che è stato citato dal Presidente del Consiglio. (Interruzioni Commenti).

È stato ricordato dal Presidente del Consiglio come un caso di indisciplina di un funzionario della polizia ausiliaria. Il fatto del capitano Lavagnino mi ha procurato una smentita dell’ufficio Stampa della Presidenza del Consiglio per una mia interpretazione pubblicata sull’Unità, smentita che non diceva però dove sta la verità. Neanche il Presidente del Consiglio ci ha detto perché il capitano Lavagnino è stato destituito.

Io so che questo valoroso ex partigiano, inquadrato nelle forze ausiliarie della polizia, stimato dal prefetto e dal questore di Asti, ha ricevuto, ad un certo momento, la comunicazione che era destituito dalle sue funzioni di capitano della polizia ausiliaria. A questa comunicazione, Lavagnino ha opposto una resistenza, anche perché a sostituirlo veniva mandato un ex ufficiale della P.A.I., la quale si è particolarmente distinta in Piemonte, e nell’Italia settentrionale, come corpo di polizia che ha collaborato, e strettamente collaborato, con i tedeschi e con i fascisti durante la repubblichetta di Salò.

Comunque l’episodio non ha valore in sé. Quello che è importante è che attorno a questa resistenza offerta dal Lavagnino all’ordine telegrafico di andarsene si sono raccolti 30 ex partigiani, militi della polizia ausiliaria. Quelli che hanno vissuto in Piemonte quelle settimane sanno che attorno ai trenta si è determinato immediatamente un profondo alone di simpatia, simpatia che tendeva a tradursi in azione di solidarietà da parte di tutti gli appartenenti alle ex formazioni partigiane.

Una voce. Non è vero!

NEGARVILLE. Vedo qui vicino a me l’onorevole Foa, il quale non appartiene al mio partito e non ha fatto parte delle formazioni garibaldine. Mi sono incontrato a Torino con Foa e con un suo compagno di partito. Assieme abbiamo esaminato la situazione, perché non soltanto i partigiani comunisti tendevano a solidarizzare con Lavagnino, ma anche i partigiani della Matteotti, di Giustizia e Libertà e di quelle formazioni autonome, che qualcuno intende rappresentare in questa Assemblea. Tutti i rappresentanti dei partiti politici di Torino, Asti, Alessandria, Cuneo, si sono sforzati, ed abbiamo l’orgoglio di essere riusciti a contenere l’agitazione. Avevamo abbastanza senso di responsabilità per comprendere che se il movimento si allargava, le cose potevano diventare molto più gravi di un semplice conflitto tra il capitano Lavagnino e il Ministero dell’interno. Noi tutti abbiamo sentito che l’episodio Lavagnino era solo la goccia che fa traboccare il vaso; ci siamo resi conto che l’esasperazione dei partigiani sorgeva da una situazione scandalosa per l’atteggiamento di inerzia del Governo nei confronti delle legittime rivendicazioni dei valorosi volontari della libertà. Ed abbiamo regolato la nostra azione per richiamare l’attenzione del Governo, evitando che il movimento si allargasse. Qualcuno, al Ministero dell’interno, pensava che per salvare l’autorità dello Stato bisognava fare intervenire i carabinieri per ristabilire l’ordine. Ci sono state anche delle direttive in questo senso, ed i prefetti del Nord erano seriamente preoccupati di fronte a certi telegrammi draconiani. Per fortuna l’onorevole Nenni ha avuto tanta sensibilità da comprendere che non si trattava di agire come si agisce con un ufficiale insubordinato. È il quadro nel quale si inserisce il movimento partigiano di Asti che è importante considerare; il movimento era limitato nelle sue forme, ma assai profondo nelle sue ripercussioni. Esso va giudicato come lo scoppio del malcontento che assume a volte il carattere del disinganno, e questo malcontento, diciamocelo pure, era legittimo.

L’onorevole Nenni, che ha dato un contributo efficace alla soluzione di un così difficile problema, facendosi interprete presso il Governo delle richieste della commissione dei partigiani del Nord venuti a Roma, che ha difeso le rivendicazioni sacrosante dei partigiani e che conosce i fatti, dovrebbe dirci qual è la sua opinione. Troppo si è speculato attorno all’agitazione dei partigiani di Asti; è indispensabile un chiarimento.

La situazione interna non è grave per l’episodio di Asti e neanche per l’episodio, che non conosco bene, dei contadini che hanno occupato le terre. La situazione è grave perché noi siamo del parere, onorevole Nitti, che il pericolo del fascismo c’è in Italia. Da troppi sintomi, da troppi fatti, questo pericolo è reso manifesto. Il fascismo non è stato un fenomeno personale di Mussolini, come ha detto l’onorevole Nitti, con una frase troppo spiritosa, per essere interessante, per essere politicamente profonda. Il fascismo è stato un fenomeno più complesso. Mussolini è stato, caso mai, l’interprete di questo fenomeno sociale, profondamente legato ad una situazione di sconquasso, di disorganizzazione della società italiana. Le bande fasciste agivano con la bestiale violenza che è nota, ma qualcuno, qualche gruppo sociale, aveva in mano i fili che facevano muovere quelle bande.

Noi siamo preoccupati della gravità della situazione interna, perché il pericolo che il fascismo possa risorgere è dato soprattutto dall’atteggiamento di certi industriali e di certi agrari, i quali non vogliono capire che la ricostruzione del Paese si deve fare col principio della solidarietà nazionale, in modo che il fardello dei sacrifici non ricada sulle spalle delle masse lavoratrici. La rinascita del fascismo è voluta da costoro, i quali fanno illimitati guadagni, in una congiuntura così tragicamente sfavorevole per il popolo italiano.

Da chi è sovvenzionata quella stampa che pullula dappertutto, che a Roma dà lo spettacolo più scandaloso, ma che comincia a sorgere anche in altre provincie d’Italia e dimostra di avere saldi finanziamenti alle spalle?

Da chi sono finanziate quelle organizzazioni neofasciste, le quali agiscono con una larghezza di mezzi, che noi, quando lavoravamo a Roma durante l’occupazione tedesca, eravamo ben lungi dal possedere? Troppo grandi sono i mezzi finanziari e tecnici a disposizione di queste bande neofasciste per non essere indotti a pensare che dietro questo movimento ci sono dei gruppi sociali economicamente potenti. Assistiamo a spostamenti di uomini, che la polizia non riesce mai a catturare, ed a volte ci domandiamo perché non riesca. Noi, che avevamo una certa esperienza e molte precauzioni, ci siamo tuttavia caduti quasi tutti durante il fascismo. Costoro non cadono mai. Il questore di Torino mi diceva 20 giorni fa: «Sono sicuro che Scorza è stato a Torino». Eppure quel questore, che è un ottimo funzionario, non è riuscito a prenderlo. Vi sono delle solidarietà che offrono possibilità di rifugio ben più larghe di quelle che avevamo noi; che coprono, aiutano e sostengono l’attività del neofascismo. Vediamo dunque operare delle squadre neofasciste, vediamo operare una stampa apertamente o subdolamente fascista, vediamo giornali che utilizzano le possibilità legali che offre la democrazia per fare la lotta contro la democrazia.

Il problema della stampa è forse il più preoccupante, perché troppa stampa si propone in modo fin troppo evidente di diffondere la sfiducia verso la Repubblica e la democrazia. Il problema richiede, per la sua soluzione, criteri più rigidi di quelli proposti dall’onorevole Nitti. Non si tratta soltanto di denunciare alla Magistratura le intemperanze. Occorre una legge sulla stampa che controlli il finanziamento e la ragione di essere dei giornali neo-fascisti, che controlli la composizione del personale dei consigli d’amministrazione di questi giornali che sorgono, e non si sa come sorgano, che fanno campagne le quali svalutano lo sforzo della Nazione, che moltiplicano le loro edizioni fino a diventare delle grosse imprese di affari. Ne abbiamo uno, che non vorrei citare, perché ho una certa ripugnanza a queste citazioni. Si tratta del Tempo, il quale si è arricchito di una edizione a Milano notoriamente passiva e pensa di farne un’altra in Sicilia…

Una voce. Perché è un buon giornale!

NEGARVILLE. Il Tempo è un giornale che, dopo aver amoreggiato, da indipendente, con tutti i partiti politici, è ora organo di quelle forze monarchiche che tendono alla rinascita fascista.

Questo della stampa è un problema che non si può risolvere soltanto attraverso la Magistratura, la quale in queste questioni dimostra una tale larghezza di vedute che ci fa pensare all’incapacità di colpire il male alla radice. Bisogna escogitare delle misure per stroncare il pericolo del neofascismo. Ma io non voglio drammatizzare; so bene che quelli che io indico non sono che dei sintomi, e che non ci troviamo ancora di fronte ad un’organizzazione fascista bene articolata. Ci troviamo però di fronte ad una azione abbastanza precisa da parte di coloro che vorrebbero spezzare la schiena al regime democratico repubblicano, e soprattutto alle sue avanguardie proletarie. (Rumori).

Bisogna escogitare una politica che venga incontro prima di tutto ai bisogni più impellenti delle masse, in modo da evitare la possibilità di movimenti che nessuno potrebbe più controllare, in modo da poter dare a queste masse la certezza che la loro azione democratica è seguita, accompagnata, agevolata da quel Governo della Repubblica democratica che esse hanno voluto con le elezioni del 2 giugno. Le masse popolari vogliono che il regime repubblicano sia consolidato, e a questo consolidamento esse vogliono partecipare.

Bisogna che gli aspetti fondamentali della vita economica del Paese, che investono i problemi della ricostruzione, siano affrontati con spirito nuovo e non più alla giornata. Bisogna imprimere un «nuovo corso» a tutta l’economia italiana. Questo noi abbiamo chiesto e questo chiediamo. Si tratta di dare un giusto orientamento alla nostra economia, la quale deve essere impostata sul principio che la ricostruzione va fatta nell’interesse della collettività. Di qui l’esigenza di misure le quali pongano lo Stato nella posizione di chi guida, coordina, disciplina lo sforzo economico della nazione. Non si tratta di nazionalizzare tutto, anzi nel quadro del «nuovo corso» che esige la nostra economia deve avere una larga parte l’iniziativa privata, stimolata ed orientata dallo Stato, ma non più abbandonata alla ricerca delle attività speculative ed altamente redditizie che impediscono la marcia in avanti della ricostruzione.

Noi pensiamo che questo sforzo ricostruttivo debba riuscire a mobilitare tutti i gruppi sociali che partecipano alla produzione, di fronte ai quali però debbono essere posti gli interessi della nazione e non l’avidità di immensi profitti, che vanno di pari passo con una miseria sempre maggiore dei lavoratori.

Io mi domando perché certe iniziative, certi spunti di iniziativa di cui si è parlato nel passato non sono stati spinti avanti per trovare questa strada nuova. Perché, per esempio, il Governo non prende l’iniziativa di una conferenza economica nazionale, la quale, lasciando da parte il Comitato interministeriale per la ricostruzione, che è un organismo un po’ troppo pesante, affronti i problemi della ricostruzione con un’impostazione più larga, più concreta, cioè secondo un piano. A tale conferenza economica dovrebbero partecipare, con la Confederazione generale italiana del lavoro, la Confederazione dell’industria, i rappresentanti dei partiti di massa, i tecnici (cosi indispensabili in questo sforzo ricostruttivo che ha nella tecnica il suo strumento più efficace) e tutte quelle forze economiche organizzate su cui lo Stato può contare, in primo luogo i consigli di gestione, a proposito dei quali il Governo ha promesso il riconoscimento giuridico.

Perché non si convoca questo convegno di tutte le forze produttive?

DE GASPERI, Presidente del Consiglio, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri. Già deciso.

NEGARVILLE. La ringrazio. Noi siamo lieti di questa decisione e vorrei che questa iniziativa si realizzasse il più presto possibile, per dare al Paese la sensazione che il Governo non è qui soltanto per fare dei telegrammi che destituiscano gli ufficiali di polizia ausiliaria.

Io sono lieto della interruzione del Presidente del Consiglio, che mi assicura che questa decisione è stata presa. So che Nenni ha avuto l’iniziativa e ne ha parlato; non sapevo che fosse stata accolta.

Sono molto lieto, perché penso che questo disagio nazionale, di cui ho esaminato alcuni aspetti, e che si riflette nella politica interna, nei rapporti fra le classi, nei rapporti fra gli uomini, esiste anche, direi soprattutto, perché la Repubblica non è ancora riuscita a dire una parola nuova capace di suscitare volontà ed entusiasmo, capace di aprire al popolo una prospettiva.

Imprimere un nuovo corso alla nostra economia significa non soltanto accelerare la ricostruzione, ma anche dare un nuovo impulso alla democrazia. Perché dobbiamo arrivare ad un corso nuovo anche nella vita politica. Il Governo ha avuto il nostro consenso e la nostra partecipazione: noi siamo per collaborare non soltanto nelle piccole, ma anche nelle grandi cose, e vorremmo che il Governo affrontasse i problemi grandi, le grandi cose. Il popolo italiano deve sentire che la Repubblica non è stata una conquista inutile, ma che i suoi vantaggi si riflettono in tutti i campi della vita sociale. Noi sappiamo che le difficoltà da affrontare sono enormi, e che saranno forse maggiori domani dopo quel trattato di pace che ci sta davanti come un incubo; ma siamo certi che, in uno sforzo comune, il popolo italiano potrà affrontare le difficoltà, superare gli ostacoli. Certo, questo sforzo per essere efficace deve liquidare lo spirito di sabotaggio e la resistenza che si manifesta tra i gruppi plutocratici nostalgici del fascismo.

Noi comunisti abbiamo l’orgoglio di aver dato una formula alla lotta per la liberazione. Abbiamo detto allora: «Mettiamo da parte tutte le questioni particolaristiche; in questo momento quello che conta è cacciare i tedeschi ed eliminare i fascisti».

Abbiamo lanciato la formula dell’unità nazionale per scacciare i tedeschi ed eliminare i fascisti; ci siamo attenuti a questa formula finché non abbiamo conseguito la vittoria e l’abbiamo conseguita con tutte le forze politiche e sociali sane della democrazia italiana.

Noi vorremmo che il nostro appello ad uno sforzo per accelerare la ricostruzione del Paese, dando allo Stato la possibilità di coordinare e guidare l’attività produttiva per evitare che la ricostruzione si faccia contro gli interessi della Nazione, venga raccolto da tutti gli italiani di buona volontà, così come ieri è stata accolta la nostra parola d’ordine di unità nazionale per la liberazione della Patria. Tutte le forze sane, tutte le energie che vogliono veramente lavorare per ricostruire l’Italia, e quindi dare la possibilità al popolo italiano di risorgere, devono unirsi. Noi lealmente diciamo come ieri: mettiamo da parte le questioni particolaristiche, tendiamo tutti i nostri sforzi verso un unico obiettivo. Questo obiettivo deve essere la ricostruzione dell’Italia mediante un nuovo corso della nostra economia, condizione della rinascita nazionale, condizione per aprire al popolo italiano le strade dell’avvenire. (Vivi applausi a sinistra).

Presidenza del Vicepresidente TERRACINI

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Ministro Nenni. Ne ha facoltà.

NENNI, Ministro senza portafoglio, Vice Presidente del Consiglio. Onorevoli colleghi, l’interpretazione che una parte del Paese e che probabilmente una parte dei membri di questa Assemblea ha dato agli incidenti provocati nel momento in cui il Presidente del Consiglio era a Parigi, e che hanno avuto come causa determinante l’incidente di Asti, è stata certamente una interpretazione sbagliata.

C’è una vecchia tendenza che consiste nel ricercare, di fronte ai fatti sociali e ai fatti politici, la mano del sobillatore.

All’indomani della fondazione dell’unità d’Italia il sobillatore, nella storia del nostro Paese, si chiamava Andrea Costa, si chiamava Enrico Malatesta; più tardi il sobillatore nella storia del nostro Paese si chiamò Filippo Turati, nonostante la passione di giustizia umana e di libertà politica che animava la sua concezione del socialismo.

Oggi gli si danno nomi diversi; l’errore di giudizio è sempre lo stesso, è quello di cercare la responsabilità di un uomo dove si tratta di risalire a cause di ordine sociale e politico. (Applausi a sinistra).

Nell’occasione che ci interessa, il sobillatore non è stato il capitano il cui nome è salito improvvisamente agli onori della cronaca politica. Se non fosse esistito fra i partigiani, per cause molteplici, un sentimento di insoddisfazione e di irritazione, il caso del capitano di Asti sarebbe caduto nella disattenzione generale. Se attorno a questo caso si è creata un’agitazione è perché, al di là del caso individuale, esisteva un caso politico.

Per cause molteplici, dovute probabilmente al modo un po’ tumultuoso con il quale il Governo del nostro Paese ha lavorato in questi ultimi tempi ed al quale si riferiva ieri il collega La Malfa, quelle misure di equità e di giustizia che erano accettate, nei confronti dei partigiani, da tutta la Nazione, con la sola distinzione di coloro che hanno ragione di detestare i partigiani perché in essi vedono lo strumento della rinascita democratica e nazionale del nostro Paese (Applausi a sinistra Rumori a destra), quelle misure, dicevo, erano rimaste più del necessario negli uffici ministeriali e negli uffici dell’alta burocrazia del nostro Paese. Così, quando il caso Lavagnino è scoppiato, il Governo ha avuto immediatamente la sensazione di non esser di fronte ad un caso personale di ribellione all’autorità dello Stato, né ad un caso di ammutinamento di qualche diecina di suoi dipendenti, ché in questo caso sarebbe stato molto semplice e molto facile il puro e semplice richiamo alla inesorabilità della legge,…

GIANNINI. Come si doveva fare!

NENNI, Ministro senza portafoglio, Vice Presidente del Consiglio… ma di esser di fronte ad un caso politico, di fronte ad una agitazione determinata da moventi ai quali bisognava dare soddisfazione. Ecco perché, signori, invece di fare semplicemente appello al feticcio insanguinato dell’autorità dello Stato, concepito come un puro rapporto di forze materiali, noi abbiamo in quel momento fatto appello alla ragione, al sentimento, alla fede democratica di coloro stessi che si erano posti in agitazione. Ed invece di telefonare e di telegrafare soltanto ai prefetti, abbiamo telefonato e telegrafato alle sezioni dell’A.N.P.I., alle sezioni socialiste, alle sezioni comuniste, domandando ai dirigenti di queste organizzazioni di associarsi ai prefetti per evitare il disordine e far tornare la calma e la serenità. (Applausi a sinistra).

Signori, io penso che la democrazia si onora, quando fa appello agli argomenti della ragione piuttosto che a quelli della forza e che non c’è disonore, quando un Governo chiama a collaborare alla restaurazione della pace interna i partiti e le forze politiche e sociali dalle quali trae la sua investitura.

Che chiedevano i partigiani? In primo luogo l’equiparazione ai volontari e il riconoscimento dei loro gradi, delle loro ferite, con tutti i diritti di ordine sociale, politico ed economico inerenti a tale riconoscimento. Vecchia questione, signori, che nel Parlamento subalpino oppose tragicamente un giorno due fra i più grandi degli italiani: Cavour e Garibaldi; vecchia questione che si trascina di fronte al fenomeno, pure limitato nel numero, dei garibaldini del Risorgimento fino al 1880 ed anche più tardi; questione che doveva inevitabilmente risorgere, oggi che il fenomeno dei partigiani si estende a decine di migliaia di cittadini che costituiscono l’avanguardia della Nazione. (Applausi a sinistra).

Quale era la seconda rivendicazione? Era l’assunzione in pianta stabile degli ausiliari che sono entrati nei corpi della polizia o nei vari corpi amministrativi dello Stato. E anche questa rivendicazione non poteva che essere presa in considerazione, col desiderio di risolverla il più sollecitamente possibile, fondata com’era su un principio indiscutibile di giustizia e di equità.

Infine c’era una causa di malcontento e di irritazione in mezzo ai partigiani, della quale bisognava ricercare le cause per rimediare agli effetti. L’amnistia, nella sua applicazione, aveva profondamente ferito questi uomini. E perché? Non per il principio dell’amnistia, che noi non ripudiamo, convinti come siamo che non si crea niente di durevole nella vita e nella storia, se non si trova il modo di non lasciare dietro di sé un corteo di vittime e di risentimenti. (Approvazioni), ma perché i partigiani avevano visto che, mentre l’amnistia liberava automaticamente coloro che erano stati i nemici della indipendenza e della libertà del nostro Paese, lasciava in carcere proprio i partigiani, i quali, mescolati in reati ipotetici compiuti nel periodo della lotta e della guerra civile, dovevano attendere una lunga istruttoria prima di poter godere il beneficio della libertà.

Una voce. Attendono ancora!

NENNI, Ministro senza portafoglio, Vicepresidente del Consiglio. Signori, non c’è nessuno in mezzo a voi che, uomo fra uomini, non senta che cosa può aver significato, in una prigione d’Italia, per uomini che avevano combattuto la lotta della nostra liberazione, vedere i fascisti uscire dal carcere e apprendere che per essi erano necessarie lunghe istruttorie e lunghe indagini.

Il Governo ha rimediato con uno dei suoi decreti a questo errore, o a questa ingiustizia, ed è bastato chiamare a Roma i rappresentanti dei partigiani, è bastato parlare a loro il linguaggio della responsabilità, perché essi immediatamente rientrassero nelle loro case. E questo movimento, in cui era un po’ il ricordo romantico di un periodo che per coloro che hanno fatto la guerra partigiana resterà la cosa più bella della loro vita, questo movimento immediatamente ha preso fine.

Io non credo, signori, che ci sia stata in questa occasione né umiliazione della autorità dello Stato…

Una voce. Che non c’è più!

NENNI, Ministro senza portafoglio, Vicepresidente del Consiglio. …né diminuzione del prestigio del Governo. C’è stato un Governo che è andato fraternamente incontro a coloro che stavano per commettere un grave errore e che ha impedito loro di compierlo, non ricorrendo alla forza della legge, ma ricorrendo alla persuasione. In tali condizioni, l’episodio non meritava quanto di allarmistico si è scritto in Italia: quanto, sulla base delle deformazioni interne, si è scritto all’estero, nel momento in cui il Presidente del Consiglio trattava e discuteva i problemi della politica estera a Parigi. (Interruzioni Rumori).

L’episodio al quale ci si è riferiti in questa discussione dimostra agli occhi miei una cosa sola: che c’è un’autorità morale del Governo democratico, più valida ed efficace della forza materiale ed alla quale si ha il dovere di appellarsi ogni qualvolta non si sia di fronte a nemici aperti e dichiarati in armi contro l’indipendenza del Paese e le istituzioni democratiche. (Vivi applausi Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Giannini. Ne ha facoltà.

GIANNINI. Mi sia concesso di ringraziare il Presidente del Consiglio della sua presenza in quest’Aula mentre io parlo. La volta scorsa non ebbi questo onore, e il risultato fu questo, che nella risposta che il signor Presidente del Consiglio diede a tutti coloro che volenterosamente avevano tentato di contribuire con la discussione alla sua immane fatica, noi fummo completamente dimenticati, fummo come inesistenti, pur essendo allora trentadue, mentre adesso siamo in qualcuno di più.

Il tema obbligato di questa discussione è stato la crisi e la stabilizzazione della lira. È lei che ha dato questo tema, onorevole Presidente del Consiglio, e tutti quanti, salvo oggi l’onorevole Negarville, si sono attenuti a questo tema; dimodoché sembra davvero, per chi ascolta queste nostre discussioni, che al centro della crisi non ci sia che la stabilizzazione della lira.

Non siamo d’accordo, onorevole Presidente del Consiglio. Noi abbiamo assistito a questa dotta disputa fra grandi economisti con curiosità, con passione di spettatori nuovi ad uno spettacolo nuovo, ed abbiamo acquistato la certezza che tutti i professori di economia, compresi i nostri illustri maestri, che veneriamo, tutti i competenti di economia, hanno tutti ragione quando sono al banco dell’opposizione; ma quando trasferiscono i loro programmi al banco del Governo le loro ragioni si polverizzano a contatto della realtà, e fanno fiasco. Ciò è sempre avvenuto: è avvenuto anche in questa occasione. L’onorevole Corbino si è dimesso per un articolo, per un comizio, per un cartellone che ha eccitato la sua sensibilità. Dovessi dimettermi io per tutti i cartelloni e per tutte le caricature che mi fanno! (Ilarità).

Però l’onorevole Corbino si è dimesso, ma non è successo niente di quello che era logico aspettarsi dopo le sue dimissioni. Si è dimesso perché la sua politica – monetaria e non economica, come si dice cadendo in un errore che io, povero letterato, riesco a rilevare ad onta della mia incompetenza – la sua politica monetaria è stata attaccata in tutti i modi, è stata discussa in tutte le forme, ed è stata trasferita nelle piazze con quei famosi cartelli sui quali il nostro amico Corbino lo abbiamo visto pendulo. Ma la crisi è stata risolta senza che si cambiasse la politica del Governo. A noi non risulta che un uomo eminente del partito comunista abbia raccolto sotto di sé il Ministero del tesoro e il Ministero delle finanze, e tutti gli altri Ministeri che riguardano la finanza italiana. Noi sappiamo soltanto che un democristiano, l’onorevole Bertone, (di cui abbiamo un buon ricordo, perché ne abbiamo letto il nome molti anni fa quando, per fortuna, non ci occupavamo di politica) siederà a quel banco, siederà alla scrivania dell’onorevole Corbino e farà la di lui politica. E allora ci domandiamo: è giusto mettere a soqquadro il Paese soltanto per cambiare un uomo? Politicamente noi non vediamo chi possa giovarsi di questo soqquadro. Elettoralmente giova a noi più che a tutti voi. (Commenti). Elettoralmente giova a noi soltanto, in quanto che noi soli potremo dire di non aver deluso mai! (Commenti).

Realisticamente questo soqquadro giova solamente agli speculatori di borsa nera e di valuta. Noi lo sappiamo, signori: ogni volta che si parla di cambio della moneta, ogni volta che all’orizzonte si presenta la possibilità di una crisi finanziaria, vediamo i titoli salire e scendere, non per poche decine di lire, ma per centinaia e migliaia di lire; e chi ci guadagna in questo? La classe lavoratrice? Io? (Commenti). Chi ci guadagna? Ci guadagna chi ha decine di miliardi per fare queste speculazioni. Ci guadagna non chi può comprare trenta, quaranta sterline, ma chi ha un milione di sterline. Ed allora, poiché noi dobbiamo escludere che nel mondo politico e nel mondo parlamentare ci sia chi beneficia di questi turbamenti del mercato italiano… Badate, lo dico con sincerità, perché siamo qui tutti degli ingenui, siamo qui tutte persone più o meno fornite di ingegno (Commenti Interruzioni alla estrema sinistra)ed io ne ho di più e tu di meno – che se amassimo la ricchezza non staremmo qui a dilaniarci, ma faremmo il mercato nero e del cambio della moneta, per cui la decima parte della nostra intelligenza sarebbe più che sufficiente. Dunque, noi che siamo dei grandi ingenui, che perdiamo la nostra vita e il nostro tempo, forse per cercare una distrazione a preoccupazioni maggiori e a dolori che non riusciamo a dimenticare, riteniamo che la colpa comune a tutti noi, forse, signori, è di offrire questi ottimi pretesti ad una speculazione, che non interessa nessuno fra noi.

Perciò devo dire all’onorevole Presidente del Consiglio che al centro della crisi non c’è la stabilizzazione della lira, ma l’omogeneità del Governo. E bisogna parlare di questo, che è l’argomento principale.

La crisi Corbino pareva dovesse portare una chiarificazione. Non l’ha portata. Perché? Perché «essi», i capi dei tre partiti di massa, tre uomini, si sono messi d’accordo per tutti noi.

Ad un certo punto la mancanza di omogeneità porta ad un urto, porta a quelle differenze di interpretazione, segnalate per esempio dall’onorevole Negarville e dall’onorevole Nenni. Ossia in un Ministero c’è chi crede che il capitano Lavagnino abbia torto; c’è chi crede che il capitano Lavagnino abbia ragione. Questo è un urto.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri. Hanno tutti torto.

GIANNINI. Questo è un cozzo. Allora vuol dire che non c’è omogeneità nel Governo. Questa mancanza di omogeneità porta all’urto, al cozzo, alle polemiche sulla stampa, alle dimissioni di qualche Ministro. Tutti si aspettano che succeda chissà quale disastro. Poi non succede niente. (Interruzioni).

Non interrompetemi. Vi abbiamo lasciato parlare. È anche cattiva educazione.

Tutto questo baccano deve succedere, ma poi non succede niente. Perché? Perché «essi», i tre, non tenendo conto di 470 deputati, si sono chiusi in una stanza ed hanno deciso.

È bene però che il Governo sappia che questo giuoco puerile è stato capito da tutti in Italia: dai professori universitari, dagli spazzini, dai tranvieri, dalle levatrici. Non c’è chi non lo capisca, chi non lo veda. Tutti sanno che la politica italiana è nelle mani di tre persone.

L’opposizione che noi tentiamo di esercitare non impressiona il Governo; non lo impressionerà mai quello che noi tenteremo di fare o di dire sulla nostra stampa. La quale, onorevole Negarville, ha i propri registri di amministrazione a sua personale disposizione e a disposizione di quel ragioniere che lei vorrà mandare, nel giorno che lei sceglierà, per vedere come la nostra stampa si mantiene, come vive e con quale abilità professionale è portata avanti da quella azienda editoriale che è. Se la nostra stampa potesse stampare dei titoloni a 18 colonne, anziché a nove, contro il Governo, questo non si impressionerebbe lo stesso. Una critica nostra, una critica del gruppo liberale, una critica di un altro gruppo, anche meno numeroso del nostro, per quanto possa essere fondata, per quanto possa essere importante, non impressiona il Governo.

Basta invece un corrugar di ciglio del sorridente onorevole Togliatti, per mettere in imbarazzo tutto il Governo.

FEDELI ARMANDO. Non siamo mica pecore come voi. La democrazia vi garantisce.

GIANNINI. Senta, la prova che non siamo pecore è che siamo qui; se fossimo pecore, saremmo fuori. Prenda esempio da quelli che ne sanno più di lei nel suo gruppo, per non fare brutta figura! (Applausi a destra).

Allora noi ci domandiamo: a che serve il nostro atteggiamento di singolare oppositore in quest’Aula, dove il Governo non ascolta che la propria opposizione, in una autarchia politica che veramente sbalordisce e spaventa, perché le autarchie – è stato dimostrato – finiscono tutte male?

Una voce a sinistra. E chi le fa finir male?

GIANNINI. Noi che eravamo in Italia… (Interruzione del deputato Molinelli). Non parli di me, onorevole Molinelli, non faccia confusioni. (Interruzione del deputato Molinelli).

PRESIDENTE. Onorevole Molinelli, la invito formalmente a non interrompere.

GIANNINI. Non risponderò più a nessuna interruzione. Dunque, siccome questa nostra opposizione si trova ad essere così estraniata da quello che è il corpo della opposizione parlamentare, noi ci domandiamo, onorevole Presidente del Consiglio – e siamo in molti a domandarcelo – se facciamo bene o male a rimanere in questa Camera, dove noi, con la nostra presenza, confermiamo la esistenza di una democrazia e di una prassi democratica che non esiste, di un Governo democratico che fondamentalmente non c’è. E se non ci arrestasse il timore della fine che fece l’altro Aventino, del danno che l’altro Aventino produsse all’Italia, probabilmente in questo momento io avrei l’onore di riverirla in altra sede e non certamente qui nella Camera italiana. E forse qui c’è il fondamento della questione, onorevole De Gasperi.

Noi siamo tutti quanti le vittime, noi e i nostri avversari (i quali se ci leggessero meglio vedrebbero che in fondo siamo d’accordo con loro e in molte cose siamo anche avanti a loro), noi siamo forse le vittime di quello che si può dire un luogo comune, di cui facciamo un enorme abuso. E io vorrei proprio scagliarmi contro questo che mi pare sia il solo nostro nemico, il solo degno di essere rovesciato e calpestato.

Indubbiamente il primo luogo comune è la parola democrazia. Ho detto la «parola», signori, appunto perché non voglio dire il fatto. L’onorevole Togliatti, che io cito perché ho viva simpatia per lui e lo leggo con grande attenzione… (Commenti).

Una voce. Ahi, ahi!

TOGLIATTI. Chissà che non le serva!

GIANNINI. Mi serve, mi serve! L’onorevole Togliatti ci ha, non più tardi di ieri mattina, insegnato qualche cos’altro di nuovo circa la democrazia nel suo articolo «Tre colonne di piombo», che forse involontariamente rivela la simpatia che il nostro eminente collega ha per quel pesante metallo.

In quell’articolo egli ci ha detto che le democrazie sono quattro; ci ha spiegato che la democrazia sovietica non è totalitaria, ci ha rivelato l’esistenza di una democrazia parlamentare, di una democrazia diretta, di una democrazia borghese e di una democrazia operaia.

Mi permetterò di aggiungere che esiste anche una democrazia progressiva, oggi molto in onore, ma che a leggere un altro giornale, anche questo di stamattina, pare che sia stata partorita per la prima volta dal cervello dell’enfant terrible del fascismo, Peppino Bottai.

Sono dunque sei le democrazie di fronte alle quali ci troviamo. È lecito domandare a chi vuol risponderci, e se non c’è nessuno che ci vuol rispondere domandare a noi stessi, se abbiamo o non abbiamo il diritto di scegliere fra queste sei democrazie! Tutte e sei non le possiamo accettare.

C’è poi un altro luogo comune (per cui sarei tanto grato al settore comunista se non volesse interrompermi subito), che è questo: la classe lavoratrice. Finché questa espressione figura sulle labbra della sinistra e dell’estrema sinistra, ci sono ragioni per consentirlo; ma io l’ho sentita perfino nella destra. Credo di aver sentito parlare di classe lavoratrice, non dico l’onorevole Bergamini, ma almeno qualche collega della stessa tendenza. Da ciò si evince che in Italia non c’è che «una» classe che lavora; tutto il resto che fa? Niente. Una classe lavoratrice che poi, nella accezione comune di questa Camera, è costituita dalla classe dei lavoratori manuali. Ho l’impressione che ci siano varie aliquote, forti di milioni, che vanno escluse da questa classe lavoratrice e allora, poiché io non sono uno zolfaro, non sono uno spaccapietre, non sono che un povero scrittore che da qualche anno non può rappresentare i suoi lavori perché non ci sono teatri, io mi domando: ma allora io non faccio parte della classe lavoratrice? La cosa mi spaventa, perché io credevo di farne parte; credevo di avere un diritto e, in certo senso, un dovere di offrire a questa classe lavoratrice quel poco che posso dare di opera e di pensiero. Ma se voi mi escludete, io non so dove andare a finire, perché al di fuori della classe lavoratrice in Italia non ci sono che i miliardari, fra i quali io, disgraziatamente, con tutta la mia buona volontà, non ho fatto a tempo ad entrare.

Rappresentanti di questa classe lavoratrice sono degli intellettuali, alcuni dei quali veramente notevoli, che tengono a soqquadro l’Italia, e che hanno dato la misura della loro insofferenza per quella che è la trattazione dei problemi politici fuori del Comitato dei tre, nelle trattative e nella risoluzione della crisi Corbino. Ora io mi domando, nella mia ignoranza di uomo qualunque, capace solamente di creare spettacoli di bellezza, perché altro non so fare, non essendo neanche un attore – e prego chi è convinto del contrario di ricordarsi che non ho mai recitato e la prima volta che mi capita è qui dentro (Si ride)e allora io mi domando: quando questi intellettuali hanno condotto la battaglia contro Corbino e contro la sua politica in nome della classe lavoratrice e dei suoi sacrosanti diritti, per quale ragione non hanno reclamato per sé il posto di responsabilità di Corbino? Spero che non avranno temuto il nostro voto contrario, anche perché avremmo potuto darlo favorevole, poiché un esperimento simile ci interessava enormemente. Perché non hanno assunto questa responsabilità? Chi è che non l’ha voluto? Non l’hanno voluto i democratici cristiani? Non l’hanno voluto i comunisti? Noi non sappiamo che pensare, perché le discussioni avvengono fra i tre; a noi non si dice mai niente; a noi ci si chiama semplicemente per dire… che dico! A «voi», accade che vi si chiami per dire: «Sapete, si è stabilito questo, e quindi voterete in questo modo». (Commenti Interruzioni al centro).

DE GASPERI. Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro per l’interno e, ad interim, degli affari esteri. Non è così semplice!

GIANNINI. Beh, lasciate dire qualche inesattezza anche a me; tutti hanno il diritto di dirle.

Noi abbiamo allora questa sensazione, netta e precisa, che l’omogeneità nel Governo non c’è, che l’accordo fra i tre partiti non c’è; che non c’è che un solo accordo fra loro: quello di rimanere al potere. E mi pare che ciò sia troppo poco per costruire un programma.

Altro luogo comune gravissimo – che io spero sia davvero un luogo comune, che sia davvero detto con ingenuità, ché io di solito non credo mai al partito preso, alla malvagità di nessuno: sono troppo forte, io, fisicamente, non credo al serpe; credo che siano tutti buoni – questo luogo comune si chiama lo «Stato». Si pretende il controllo dello Stato. A sentire certuni, lo Stato dovrebbe diventare l’imprenditore, dovrebbe sostituire l’iniziativa privata, la quale è privata di ogni iniziativa; lo Stato dovrebbe essere produttore, commerciante e via di seguito. Ma dov’è lo Stato? Se si arriva al punto che, per sostituire un ex brigadiere dei carabinieri, autopromosso al grado di capitano delle truppe ausiliarie di polizia, si è dovuto incomodare un Governo! E a sentire ciò che ha detto l’onorevole Nenni – ciò che io non credo, perché so che non è vero – si è creata una enorme agitazione. Ma che cosa deve fare questo povero Stato? Che cosa può fare, se può contare fino a un certo punto sui suoi questori, se può contare fino a un certo punto sui suoi agenti di polizia, se può contare fino a un certo punto sui suoi organi esecutivi? Gli volete far controllare che cosa? Ma non vi accorgete che non riesce nemmeno a venderci le sigarette, che dobbiamo comprare in borsa nera, con i banchetti che stanno davanti ai monopoli dello Stato? Dov’è lo Stato? Che cosa gli fate controllare? È un luogo comune anche questo. E così io penso che por sottrarre all’iniziativa privata tutta la sua iniziativa per darla allo Stato, si finisce per non far fare niente né ai privati né allo Stato.

L’onorevole Scoccimarro, il quale non mi querela da molto tempo, e gliene sono enormemente grato (Ilarità), si propone un programma tributario spettacoloso. Ma è certo d’avere il personale necessario che poi gli occorrerà per metterlo in atto? (Segni di assenso dell’onorevole Ministro delle finanze). No, no, onorevole Scoccimarro, non faccia così con la testa: lei non ce l’ha questo personale!

SCOCCIMAFIRO, Ministro. delle finanze. Ci sarà!

GIANNINI. Lei non sarà in grado di riscuotere queste tasse; non avrà alcuna possibilità di riscuoterle, e le spese di riscossione si mangeranno tutto il riscosso. Del resto a me non importa; a me, che mi leva? (Ilarità). Assolutamente nulla.

Dunque, il nostro compito, onorevoli colleghi di tutte le parti, non è quello di invitare il Governo a fare i mestieri degli italiani. Vorrei vedere se volesse fare il mio! Se l’onorevole De Gasperi formasse un Comitato di Ministri per scrivere uno spettacolo giallo, chissà che bella roba farebbe! (Si ride).

Noi dobbiamo mettere in grado ogni italiano di poter esercitare il «suo» mestiere. Economicamente noi non siamo nella situazione rovinosa di cui molti parlano: i tessili lavorano; gli armatori italiani oggi sono in condizione di lavorare quattro anni, se vogliono. Ci sono a Genova, a Napoli, nei cantieri, armatori di tutte le nazioni che piangono per avere un contratto di fabbricazione di navi; ci sono norvegesi, svedesi, argentini, qui da noi, a chiedere di essere serviti e non possono essere serviti, perché non si possono fare due navi sullo stesso scalo; bisogna che sia varata una nave per poterne impostare un’altra.

Noi, economicamente, ci troviamo in condizioni non cattive; non splendide; ma certamente non inferiori – e, per molti punti, superiori – a quelle di altre nazioni sedicenti vincitrici in Europa. Noi dobbiamo ricostruire il nostro Paese con «questo» lavoro, perché questo nostro lavoro è la moneta più certa, è l’unica moneta sulla quale non si potrà mai discutere.

C’è, disgraziatamente, anche nella parte che non è del tutto estrema sinistra, gente che pensa all’eventualità di una guerra per poter assestare le nostre cose. Evidentemente, questa buona gente si illude che in un conflitto fra il mondo slavo e il mondo anglo-americano noi potremo mandare una bella carta da bollo a tutti e due questi mondi, diffidandoli a non invaderci e minacciandoli di far loro una causa per danni ed interessi se lo facessero. Se scoppierà questa guerra – di cui, chiunque conosce il mio cuore di padre e ha letto il mio libro, sa come giudico – se scoppierà questa guerra, signori, non scoppierà per noi, non sarà da noi evitata, non sarà da noi evitabile. Noi non potremo sottrarvici; il meglio che potremo fare sarà di esservi preparati con un’attrezzatura di lavoro, di pensieri, di opere, di uomini, che devono venire da tutti i settori per evitare che il nostro Paese diventi niente altro che un campo di battaglia, come potrebbe essere una prateria americana o un lembo desertico del Sudan.

Bisogna che noi ci facciamo trovare efficienti; ed invece, sia su questioni di lana caprina o «corbina», si impiantano questioni, si creano drammi e tragedie, si creano colpe alle quali si vuole assolutamente trovare un responsabile, non perché si debba punire questo responsabile, ma perché si pensa che nell’indicarlo diminuisca la nostra responsabilità. E così c’è nelle destre chi pensa che il disordine sia provocato dai partigiani, nelle sinistre chi dice che il disordine è provocato dai fascisti! Sento ancora parlare della questione monarchica e repubblicana; sento riaffiorare l’anticlericalismo; tutti temi, tutti luoghi comuni nei quali noi speriamo di nascondere quelle che sono le nostre terribili responsabilità, che affrontiamo, purtroppo, con una grande leggerezza. Ho udito dire qui da un eminente collega che ci sono delle classi abbienti – beate loro! – le quali non sentono il dovere di investire il loro danaro per scopi patriottici, per aiutare le classi lavoratrici. Crede quell’eminente collega che l’investimento di miliardi si faccia per sentimento, per favorire una classe anziché un’altra? Crede che il giuoco degli interessi, il quale è superiore perfino alle ambizioni degli uomini, sia tale da poter essere governato da una considerazione pietistica? Se crede questo, rimpiango il tempo che egli ha speso a studiare economia; se non lo crede e lo dice lo stesso, non so che cosa dire di lui.

Il nodo della questione sta nel conflitto dei tre partiti di massa. Altro luogo comune! Perché le masse sono fuori dai partiti. (Commenti). Eh sì! E noi ne siamo la prova evidente.

Noi abbiamo bisogno di qualcuno che governi e tutti i partiti che sono qui possono governare in base ai loro programmi che sono tutti più o meno uguali, perché sono tutti democratici, tutti vogliono il benessere del popolo, tutti sono contro le classi abbienti. Di aristocratici non ci sono più nemmeno il marchese Lucifero, né il marchese Negarville. (Si ride).

Uno di questi partiti, il comunista, ha un programma di ricostruzione sociale che presuppone una disciplina sociale che noi non intendiamo accettare. Non c’è offesa nel dire questo, perché si può essere persuasi di un’idea e si può essere persuasi del suo contrario. Noi siamo persuasi che non è possibile amministrare più una nazione con i criteri del vecchio Stato liberale, agnostico e imbelle; non è più permesso che ci sia una politica del lasciar fare e del lasciar andare; non è più possibile non tener conto di quanto avviene oltre le nostre frontiere, perché significherebbe volere ignorare l’esistenza della Russia, dell’America, dell’Inghilterra e ciò sarebbe assolutamente imbecille. Noi ci rendiamo perfettamente conto che è necessario governare con il criterio di dirigere l’economia, di dirigere la vita di un paese da parte dello Stato, ma innanzi tutto noi chiediamo che «ci sia uno Stato» e poi chiediamo che questo controllo si svolga nella massima libertà e sotto l’alta tutela di una Suprema Corte costituzionale che nei loro programmi elettorali tutti i partiti, ad eccezione del partito comunista, hanno accettato. Questo è quello che sostanzialmente ci divide…

COCCIA. Noi l’abbiamo chiesta.

GIANNINI. L’abbiamo chiesta noi prima di tutti. Legga i giornali, onorevole Coccia; non dica bugie, un democristiano non deve dirle. (Si ride Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Giannini…

GIANNINI. Onorevole Presidente, scusi; le chiedo perdono.

PRESIDENTE. Glielo concedo! (Si ride).

GIANNINI. Grazie. A rigor di termini possiamo dire che ci sono tutti i partiti, meno uno, che convengono su questa idea dello Stato liberale, ossia dello Stato che deve, nel regime della libertà, controllare nei limiti del possibile – e dopo essere diventato Stato ed aver creato i suoi organi – l’economia del Paese.

Vi è una concezione differente, ed è la concezione che l’onorevole Togliatti non vuole che si dica totalitaria, e che io dirò democratica progressiva, ma che è all’incirca la stessa cosa. Ora noi notiamo questo: che tutti i partiti presenti in questa Camera, anche purtroppo qualcuno non di massa, non si preoccupano che della volontà, dei desideri del partito comunista. Tutti gli fanno la corte. Quasi quasi gliela sto facendo anch’io. (Si ride).

Ma io la faccio per mera simpatia, perché non ho nulla da sperare. Ora, sta in fatto che in Italia ci sono stati 28 milioni di elettori iscritti. Hanno votato 24 milioni e 975 mila, quasi 25 milioni. Il partito comunista ha raccolto un sesto di questi suffragi, ed allora non ha il diritto di imporci il suo programma; deve e può, al massimo, aderire, col suo, al nostro. Se nelle prossime elezioni di questi 25 milioni di voti esso ne prenderà almeno 13, ci imporrà il suo programma e noi lo accetteremo. Adesso no.

Una voce. Accetteremo il suo!

GIANNINI. È un programma anche il mio. (Commenti).

Una voce. È un programma qualunque.

GIANNINI. Ora io dico questo. Nelle elezioni s’è affermato un grande partito, che è la democrazia cristiana. Questo partito ha raccolto 8 milioni di voti. Non solamente per merito suo (Ilarità), per quanto io abbia in questo partito molti amici simpatici, molta gente stimabile, anzi tutti stimabili, molta gente, voglio dire, con cui sono in ottimi rapporti. Questo partito ha raccolto buona parte di voti di elettori che non erano democratici cristiani.

Una voce. Anche lei…

GIANNINI. Anche io; ma se io avessi 207 deputati qui dentro, le farei vedere! (Rumori Commenti). Ora, questi 207 o 217 deputati che sono stati eletti, lo sono stati non con voti di democratici cristiani, ma principalmente con voti di una categoria di italiani, la quale, non fidandosi della democrazia progressiva (Ilarità), non sentendosi molto rassicurata, ad onta degli articoli dell’onorevole Saragat, del partito socialista, non volendo votare per le destre – io poi un giorno vi spiegherò che non sono destro – ha votato per la democrazia cristiana. È dunque la democrazia cristiana che ha cristallizzato intorno a sé la massa maggiore e più omogenea della fiducia…

Una. voce. Meritatamente!

GIANNINI. Meritatamente, sissignori, ma aspetti, che viene il resto! (Ilarità). La democrazia cristiana, dicevo, che ha raccolto la massa più omogenea del corpo elettorale italiano, ha dunque il diritto e il dovere di governare e di difendere gli italiani da qualsiasi rischio e da qualsiasi pericolo.

Una voce. Lo faremo.

GIANNINI. Se la democrazia cristiana non fa questo, tradirà i voti di coloro che le hanno dato il proprio suffragio, non perché democristiani, non per spirito di disciplina di partito, ma perché convinti di trovare in questo partito di centro, in questo partito moderato, una garanzia, una protezione, una tranquillità.

Voi avete il dovere di dare questa tranquillità all’Italia, perché, se non la darete, pagherete questo vostro peccato nell’ora della morte elettorale. (Ilarità Commenti Interruzioni), e lo pagherete senza misericordia e senza remissioni. (Interruzioni al centro).

Onorevoli colleghi, avrò finito fra pochissimo. Volevo dirvi questo: noi non abbiamo ambizioni, noi siamo quasi tutti uomini – almeno io – venuti alla politica in larda età, in seguito a forti scosse. Non abbiamo che il desiderio di ritornare al nostro piacevole lavoro. Non crediate che, per quanto ci onori, per quanto ci insuperbisca il piacere di stare in mezzo a voi, che questo orgoglio sia tale da non farci rimpiangere la tranquillità meno brillante, ma, consentitemi di dire, forse più bella. Noi non abbiamo nessuna ambizione, e il giorno in cui fossimo costretti a sobbarcarci a una fatica di Governo, a vedere l’onorevole De Gasperi su questo banco a raccontarci tutto quello che noi gli daremmo il motivo di raccontarci, questa sarebbe una cosa la cui sola idea mi fa rabbrividire. È necessario che voi troviate un accordo fra voi, lasciando fuori noi che non vogliamo entrarci. Voi dovete accordarvi perché il nostro Paese sia amministrato e diretto, perché sia governato senza questo baccano, senza questo chiasso, senza questo disordine che oggi si verifica.

Una voce. Parla come se parlasse ad un comizio!

GIANNINI. Nenni ha parlato come un oratore di comizio, non io! Noi vi scongiuriamo di fare questo accordo fra voi, ma sinceramente, in modo che non si ricominci dopo sei mesi, dopo tre mesi, dopo due, un mese, o per il caso Corbino o per un altro caso, a rifare questi pettegolezzi da servi, dopo di che in tre si chiudono in una stanza e tutti gli altri votano «Sì». Noi vi scongiuriamo di cercare e trovare questo accordo anche ad esclusione nostra: e badate che nel chiedervi questo accordo noi chiediamo la nostra fine, la nostra sconfitta, perché la nostra vittoria sta e starà nel vostro disaccordo. La vittoria elettorale che noi avemmo, e che certamente avremo prossimamente, l’avremo basandoci e speculando sul vostro disaccordo. Quindi, il giorno in cui voi vi accorderete, saremo noi che ne soffriremo.

Noi siamo 35. Ci accontenteremo di tornare in quest’Aula in dieci, in due, in uno, o anche di non tornarci affatto, purché voi vi accordiate e salviate il nostro Paese, che solo di questo ha bisogno. (Vivi applausi a destra Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Damiani. Ne ha facoltà. (Molti Deputati lasciano l’Aula).

Prego gli onorevoli colleghi di non abbandonare l’Aula e di riprendere i loro posti.

DAMIANI. Il Presidente ha richiamato l’attenzione degli onorevoli colleghi sul fatto certamente non bello, né cortese, che un Deputato chiamato per ultimo a parlare, dopo altri quattro o cinque, debba vedere una massa di colleghi che si allontana dall’Aula.

Ha fatto bene perciò il Presidente a richiamare i Deputati perché stiamo qui, tutti quanti, a rappresentare il popolo italiano, per discutere questioni che interessano la vita della Nazione, e solo discutendole, noi possiamo salvare il nostro Paese. (Applausi).

Quando vi è seduta, tutti dovrebbero essere presenti, avendo tutti la responsabilità, in questo momento, di studiare i problemi nazionali e di trovarne la soluzione.

Io sarò breve, perché ho preparato un discorso e perché leggerò invece di parlare a braccio, poiché ritengo che dovendo parlare a questa Assemblea e quindi al paese, quel che si dice bisogna che sia ben ponderato.

Non voglio in questa occasione parlarvi di quanto era mio desiderio esporre sui caratteri psicologici e morali della crisi grave e profonda, che affligge il nostro Paese e il mondo intero, e non voglio illustrare per ora, a tale riguardo, il punto di vista del Movimento Unionista Italiano, di cui sono in questa Assemblea l’unico rappresentante. Mi riservo di far ciò in sede di discussione dei problemi di politica estera. Tuttavia mi è gradito rilevare un pensiero di Benedetto Croce che ho letto nel Messaggero del 19 settembre: «Un sogno della mia vita», egli dice, «fu che l’intensificato scambio di pensieri, di libri, di opere d’arte, tra nazione e nazione, accrescesse la reciproca conoscenza, abolisse le borie nazionalistiche, unisse i popoli nell’opera della civiltà, della sua conservazione, del suo incremento; e ciò non soltanto in Europa, ma nel mondo, fino al Giappone. Un dì questo sogno sarà realtà».

A queste felici parole di Benedetto Croce si possono collegare le altre recentissime del signor Churchill che invoca una «famiglia europea», facendo notare come le armi di oggi e di domani non permetteranno al mondo di sopravvivere ad una nuova guerra. Quindi all’unione dei popoli si deve arrivare, sia per il ritorno fervido verso gli alti principî di umanità e di solidarietà che rendono la vita un dono di Dio, da accettare come missione di bene, sia per legittima difesa di fronte ai pericoli e alla minaccia di una apocalisse, inevitabile, qualora gli uomini impazzissero di odio. Questi giudizi di eminenti personalità, tra cui possiamo ricordare Baruch, Einstein, Borgese, sono, ancora una volta, la prova che il mondo potrà salvarsi soltanto se la sua marcia sarà diretta verso la fratellanza dei popoli.

Ed è di alto significato che questa suprema esigenza dell’umanità sia ugualmente sentita, sia pure per diversi richiami, da apostoli del pensiero come da uomini d’azione.

Perciò nell’opera di difesa e di ricostruzione che dobbiamo compiere, dobbiamo pur sempre avere di mira la mèta luminosa dell’unità mondiale. E questo, per fortuna, è l’anelito più chiaro di tutti i popoli ed è quindi la grande forza positiva che può riportare equilibrio, ordine e saggezza in tutto il mondo.

E il Movimento Unionista Italiano è stata la prima organizzazione politica che abbia assunto, come programma, questa urgente aspirazione dei popoli.

E se il Movimento unionista propugna che, come primo passo verso gli Stati Uniti del mondo, debba sollecitarsi l’unione italo-americana, ciò è per i tanti vincoli di parentela esistenti tra noi e l’America, che nel suo seno ha già mirabilmente realizzato l’affratellamento di genti tanto diverse per razza, per indole e per caratteri etici.

Ma il Movimento Unionista non ha preconcetti contro alcun Paese, e tutti sollecita a tradurre, nel campo pratico e politico, questa ormai chiara volontà dei popoli stessi, che, stanchi di guerre, ardentemente anelano a un mondo rasserenato e unito.

Ma, come ho premesso, non ho preso la parola per trattare proprio questo argomento e pertanto, attenendomi al carattere della discussione attuale, voglio parlare di un fatto specifico e molto importante di politica interna.

Tutti siamo d’accordo nel riconoscere che il corpo dell’Italia è afflitto da molteplici malattie; però l’esame clinico di esse, finora, è stato condotto con metodi troppo empirici, che ricordano più la dottrina di Esculapio e degli alchimisti medioevali, che i metodi scientifici della tecnica moderna.

Pertanto è necessario che il problema venga affrontato razionalmente, seguendo la via logica che il progresso scientifico e sociale suggerisce.

I mali sociali, per essere curati, devono essere bene conosciuti e nella natura e nella qualità e nella misura, e tale conoscenza può essere fornita solo dalla osservazione concreta dei fenomeni.

Per arrivare al nocciolo della questione, bisogna che il Governo imposti il programma, che intende realizzare, su una sufficiente documentazione qualitativa e quantitativa della situazione di fatto. Tale documentazione non può aversi che attraverso un organico sistema di rilevazioni statistiche dei vari fenomeni economici e sociali, sistema che, allo stato attuale delle cose, è da ritenere del tutto inadeguato alle esigenze del Paese.

Per soddisfare tali esigenze esiste l’organo tecnico appropriato: l’istituto Centrale di Statistica, al quale mi onoro appartenere.

L’opera di detto Istituto deve essere perciò sollecitata, potenziata e valorizzata, ai fini della giusta via da seguire per la ricostruzione fisica, economica e morale dell’Italia.

Con ciò non voglio dire che finora l’Istituto non abbia esplicato una intensa attività per fornire al Paese dati che costituiscono preziosi elementi di giudizio e di orientamento; ma tra quello che ha potuto fare e quello che potrebbe fare per il bene dell’Italia, il divario è ancora molto grande. Tale affermazione può essere facilmente compresa e giustificata, ove si consideri la lacunosità delle documentazioni statistiche relative a tutti i più aspri problemi che sono stati evocati in questa Assemblea, quali: la disoccupazione, la indigenza delle classi lavoratrici, il depauperamento fisico e morale del popolo, umiliato, offeso e tradito, la morbilità infantile e giovanile, i perturbamenti demografici causati dalla guerra, il disordine industriale e il conseguente collasso in altri settori economici, il caos monetario e finanziario.

Tutti questi, ed altri fenomeni che non enumero, necessitano di un’esatta misura statistica. Allora soltanto il Governo, avendo davanti agli occhi il quadro completo dei mali da curare, può provvedere con la dovuta energia e cognizione di causa.

Attualmente possiamo disporre di statistiche complete, aggiornate e attendibili soltanto per alcuni fondamentali, ma limitati settori, quali il movimento naturale e sociale della popolazione (matrimoni, nascite, morti, emigrati e immigrati), l’agricoltura, il commercio con l’estero, i prezzi, il costo della vita, la pubblica istruzione, ed altre minori; tali statistiche sono quelle relative ai settori sui quali l’Istituto, in base al vigente ordinamento dei servizi statistici nazionali, può esplicare direttamente la propria attività.

Per quanto riguarda le statistiche agrarie, non solo sono disponibili i dati delle produzioni correnti, ma disponiamo anche di attendibili previsioni sulla produzione futura. Circa il soddisfacente grado di precisione di queste nuove indagini, che non avevano precedenti in Italia, basti rilevare, a titolo di esempio, che le iniziali previsioni della produzione di frumento, effettuata alla fine di febbraio, presentano uno scarto, in meno, dell’ordine appena del 6 per cento della produzione definitivamente accertata al termine del raccolto, che è risultato, come è noto, di oltre 61 milioni di quintali; questo lievissimo scarto era andato, poi, riducendosi nelle successive previsioni.

Le statistiche del commercio con l’estero, delle quali l’Istituto ha ripreso la regolare rilevazione e pubblicazione mensile dei dati, consentono di conoscere, con la maggiore tempestività, l’andamento dei nostri traffici con l’estero.

In base ai risultati delle citate statistiche, nei primi sette mesi del corrente anno, il volume delle importazioni ha raggiunto i 5.300.000 tonnellate per un valore di oltre 45 miliardi di lire; il volume delle nostre esportazioni è stato invece di poco inferiore alle 380.000 tonnellate per un valore di circa 25 miliardi e mezzo. È interessante rilevare che questi traffici si sono svolti, sia pure in varia misura, con quasi tutti i Paesi del mondo, sebbene al primo posto, e distanziando di gran lunga gli altri, figurino gli Stati Uniti d’America, dai quali, nel suddetto periodo, abbiano importato merci per oltre 30 miliardi di lire (al cambio ufficiale) e verso i quali abbiamo esportato per oltre 6 miliardi.

Nel campo delle statistiche dei prezzi la documentazione risponde pienamente a tutte le esigenze pratiche, estendendosi esse alle varie fasi di scambio delle merci dalla produzione al consumo.

Sulla base di tali elementi vengono calcolati i numeri indici dei prezzi all’ingrosso e del costo della vita; questi ultimi vengono elaborati secondo criteri accuratamente vagliati da apposita Commissione, della quale fanno parte esperti e rappresentanti delle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori, nonché delle Amministrazioni statali più direttamente interessate. Questi indici sul costo della vita presentano la massima garanzia dal duplice punto di vista dell’attendibilità delle basi di calcolo e della tecnicità delle elaborazioni.

A tale proposito è importante notare che se le organizzazioni sindacali si fossero affidate all’Istituto centrale di statistica per le questioni relative alle modalità tecniche di attuazione della scala mobile dei salari, anziché imbarcarsi direttamente in elaborazioni di indici affidate ad incompetenti, non si sarebbero verificati i paradossali contrasti che resero quegli indici stessi sfavorevoli alle parti che più li avevano propugnati, e per essere più chiari, alle categorie dei lavoratori.

Cioè, gli organizzatori sindacali, per difendere gli interessi dei lavoratori avevano proposto e fatto accettare indici del costo della vita che all’atto pratico andavano a tutto vantaggio dei datori di lavoro. Cosicché, per errori dovuti ad incompetenza tecnica, si ottenevano risultati completamente opposti a quelli desiderati. Quindi ecco la necessità che queste complesse elaborazioni siano affidate agli organi tecnici appositamente creati. Purtroppo il campo di attività dell’Istituto centrale di statistica, in alcuni importantissimi settori delle rilevazioni statistiche, è limitato dal fatto che le rilevazioni stesse vengono effettuate da altre Amministrazioni, senza alcuna garanzia dal punto di vista del sistematico controllo dei dati e senza che venga assicurata dalle Amministrazioni stesse la regolarità e la tempestività delle rilevazioni. Fra altri, è questo il caso delle statistiche industriali e del lavoro; e ciò costituisce la ragione per cui allo stato attuale delle cose non è possibile disporre di dati che sarebbero essenziali per le opportune e più avvedute azioni del Governo nel campo economico e sociale. Così ad esempio, come ho già accennato, non abbiamo dati attendibili e recenti sull’andamento della produzione industriale, sul numero degli stabilimenti attivi e inattivi nei vari settori dell’industria, sul grado di utilizzazione degli impianti, sui salari, sull’occupazione operaia effettiva e sulla effettiva disoccupazione nei vari settori economici.

Su tutte queste questioni di fondamentale importanza si procede a tentoni o in base a grossolane valutazioni, determinando così una situazione talmente disordinata da paralizzare qualsiasi razionale e positiva misura di Governo. Il Governo, per agire con tempestivi e illuminati provvedimenti, deve conoscere perfettamente la natura del male da curare e degli organismi da sanare. Questa conoscenza non può derivare che da una accurata, continua e razionale indagine statistica su tutti i fenomeni economici e sociali.

Perciò bisogna dare all’organo statale, appositamente creato per rilevare tutti i fenomeni sociali, farne la diagnosi, stabilirne la misura esatta è indicarne conseguentemente, ove occorra, i rimedi tecnici idonei, mezzi e ampie possibilità di svolgere la propria attività in tutti i campi di rilevazione. E tutto ciò risponde ad una esigenza fondamentale per il miglior Governo del Paese. Senza dire che un efficace coordinamento delle rilevazioni statistiche condurrebbe a sensibili economie sul bilancio dello Stato, attraverso la eliminazione della molteplicità di organi che effettuano le stesse rilevazioni in concorrenza tra loro, con difformità di criteri e senza giungere a concreti, attendibili e tempestivi risultati.

A parità di spesa, d’altra parte, si potrebbero avere risultati di gran lunga più completi e precisi, tali da porre il nostro Paese non alla retroguardia, come si trova ora, ma all’avanguardia di quelli più progrediti, i quali consacrano ai servizi statistici nazionali cure e spese a fronte delle quali sono ben misera cosa gli irrisori contributi statali per il funzionamento della nostra statistica ufficiale.

Fra tali paesi, che sono in primo piano nel campo delle rilevazioni statistiche, troviamo non soltanto grandi e ricche Nazioni come gli Stati Uniti d’America, la Gran Bretagna, l’Unione sovietica, ma anche paesi come la Svizzera, la Svezia, l’Olanda e l’Ungheria.

Bisogna tener conto, altresì, che l’esigenza di una completa ed esauriente documentazione statistica non si limita al campo della politica interna, ma investe anche i rapporti internazionali del nostro Paese. Basta a tale riguardo citare gli obblighi che vengono imposti ai paesi aderenti al «Fondo Monetario Internazionale» stabilito negli accordi di Bretton Woods, i quali contemplano, tra l’altro, la comunicazione periodica della situazione della bilancia dei pagamenti internazionali, cioè la situazione del dare e dell’avere dell’Italia nei confronti dell’estero, quale risulta non soltanto dagli scambi commerciali, ma dai noli, dalle rimesse degli emigrati, dai conti bancari, ecc.

Inoltre gli stessi accordi prevedono la periodica comunicazione dei dati riguardanti l’ammontare e la composizione del reddito nazionale e le sue variazioni nel tempo, nonché altri dati economici e finanziari atti a lumeggiare la situazione economica e le necessità del Paese, ai fini interessanti i rapporti internazionali. Per effettuare i suddetti calcoli occorre la disponibilità di adeguate statistiche per le quali necessita la massima cura tecnica.

Il Governo non deve dunque disinteressarsi delle proposte che gli vengono fatte per colmare le accennate gravissime lacune delle nostre documentazioni statistiche, ma deve provvedere a rendere possibile all’Istituto Centrale di Statistica le varie rilevazioni periodiche sull’andamento della vita economica e finanziaria del Paese e l’esecuzione dei censimenti sia demografici che economici, dei quali è così vivamente sentita la necessità, non solo per fare il punto della nostra situazione, ma per dirigere e utilizzare a ragion veduta, come ho già detto, tutte le forze positive sociali, ai fini della più rapida ed economica rinascita del Paese. (Applausi Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Patrissi. Ne ha facoltà.

PATRISSI. Onorevoli colleghi, ieri l’onorevole La Malfa ha fatto in quest’aula una dichiarazione estremamente importante. Egli ha affermato che nel periodo in cui ebbe la direzione del dicastero del commercio estero, comunque nel periodo che ha coinciso con la sua collaborazione al Governo, mai gli si è presentata l’occasione di discutere in Consiglio dei Ministri la politica del suo dicastero.

Nell’ultima decade di gennaio la Consulta nazionale, in seguito alle dichiarazioni del Ministro Corbino, per effetto di due interpellanze congiunte, ebbe ad occuparsi dell’argomento della politica del Tesoro. Nelle presenti circostanze, in seguito cioè all’ultima crisi, alla cosiddetta crisi Corbino, l’argomento si è ripresentato all’esame, questa volta dei rappresentanti del popolo democraticamente eletti. Sia nel corso della discussione in seno alla Consulta nazionale, sia nel corso di questa discussione, noi abbiamo purtroppo assistito alla osservazione personale di quasi tutti gli oratori, movendo da un punto di vista ugualmente personale; ma la visione di insieme di tutto il problema fino a questo momento, mi pare, – non ho la presunzione di avviluppare per tangenti il problema stesso – non sia stata fatta. Enrico Heine ebbe a dire che non resiste al tempo ciò che non soddisfa al senso della logica. Ora, nessuno ha osservato che il programma che ha presieduto alla sostituzione dell’onorevole Corbino e all’insediamento dell’onorevole Bertone, quale completamento del programma più vasto proposto a base della presente coalizione ministeriale, non è un programma di politica economica. Il Ministro del tesoro può prestare il fianco, non dico a giudizi, ma ad apprezzamenti diversi di ordine squisitamente ed esclusivamente tecnico per quanto riguarda la politica monetaria, la politica di tesoreria del Paese, ma non sono certo imputabili al Ministro Corbino – che peraltro io non ho alcuna intenzione di difendere – tutte le mende, tutte le colpe che viceversa sono imputabili all’attuale situazione di disagio e di equivoco che travaglia il Paese.

Il Paese non ha avuto e non ha una organica politica economica. In seno alla Consulta io ebbi a riferirmi a concetti elementari – parendomi necessario il richiamo dinanzi ai miei colleghi di allora, e purtroppo mi accorgo che è necessario questo richiamo anche in questa sede – di politica economica e monetaria.

Noi siamo in una situazione di inflazione relativa, definita in base al paragone tra il volume della circolazione monetaria e il volume della circolazione dei beni; siamo cioè in una fase che può essere di pre-inflazione assoluta, in una situazione in cui una oculata politica monetaria ed economica può ancora fermare l’economia del Paese sulla china sdrucciolevole e pericolosa che si chiama annullamento del potere d’acquisto della moneta.

Ho notato che con una leggerezza veramente degna di miglior causa, in questa Assemblea sono stati fatti dei discorsi, le cui ripercussioni sull’economia del Paese sono già in atto.

Sarebbe desiderabile che, da uomini responsabili quali dovremmo essere o presumiamo di essere, si fosse più controllati nel trinciare giudizi, meno aspri negli attacchi personali, soprattutto più cauti nell’esprimere apprezzamenti che il mercato sconta subito. Abbiamo sentito, per esempio, riparlare del cambio della moneta. Ebbi ad occuparmene prendendo la parola alla Consulta: non voglio fare qui apprezzamenti pro o contro il cambio della moneta; tuttavia è elementare – e uno studente del secondo corso dell’istituto tecnico sezione ragioneria se ne rende conto – che ogni qual volta l’argomento del cambio della moneta, minacciato da alcuni, promesso da altri, avversato da altri ancora, fa capolino sulla nostra ribalta politica, il mercato subisce delle scosse e risente delle conseguenze.

Nella situazione di inflazione relativa, o di pre-inflazione assoluta, nella quale il Paese versa, discorsi di questo genere sono di una leggerezza deplorevole, dirò di più, criminale, se pronunciati in mala fede.

Ho fatto un riferimento alla mancanza di logica. Ebbene, signori, se vogliamo che questo nostro assetto politico, questo nostro regime, che non avrò l’impudenza altrui di definire compiutamente democratico – si affermi, si rassodi, si infuturi, noi dobbiamo essere logici e conseguenti nell’escogitare gli istituti nuovi che dovranno reggere e guidare le sorti del Paese. Fino a questo momento provo serie in tale direzione il Paese non ne ha avute.

La realtà, ci dice che esiste un incremento nel volume della circolazione monetaria, un decremento nel volume della circolazione dei beni. Quando queste due circolazioni sono in stato di equilibrio, cioè è costante il loro rapporto, la situazione monetaria si chiama normale ed è elastica. Il divergere di questi due termini implica spostamenti nel potere d’acquisto della moneta, che variano secondo il prodotto delle differenze tra i valori nuovi e vecchi, in senso assoluto. Ora, noi dobbiamo contemporaneamente ridurre il volume della moneta in circolazione e sviluppare il volume delle merci circolanti. La parte che riguarda la riduzione del volume della moneta, e i modi di acquisizione dei mezzi di pagamento necessari a fronteggiare le esigenze di tesoreria è quella che più specialmente si chiama «politica monetaria» o finanziaria o del tesoro.

La parte relativa all’aumento della circolazione dei beni onorevoli colleghi, si chiama «politica economica».

Una politica economica allo scopo di ottenere lo sviluppo del volume dei beni in circolazione si concreta nel produrre di più, nel migliorare la situazione dei trasporti o quella creditizia.

Vediamo un poco cosa è stato fatto in tanto blaterare, in tanto accanirsi di giudizi, in tanti conflitti di tecniche contrapposte, in tanta rivalità di scuole, tutte egualmente autorevoli e rispettabili, ma spesso in antitesi tale da non consentire il conseguimento di proficui risultati. Cosa abbiamo fatto?

Osserviamo i campi principali nei quali si attua e si realizza il processo produttivo. Devo anzitutto riferirmi ad una frase dell’onorevole Carmagnola, di cui ho apprezzato la serenità, per quanto nei concetti informatori noi si dissenta. Egli ha detto che il Governo si è preoccupato eccessivamente di non spaventare i ricchi trascurando le esigenze dei poveri. Ebbene, onorevoli colleghi, questo è già un peccato contro la logica perché – e premetto che non sono né agricoltore, né industriale, né stipendiato dal mio partito, ma semplicemente un deputato che vive dello stipendio e quindi non ho nessun interesse da difendere – bisogna tranquillizzare i ricchi affinché i poveri possano avere lavoro e pace. (Si ride).

Voi da due anni a questa parte non avete fatto altro che spaventare, senza riuscire per questo a realizzare le vostre minacce, la classe che manovra le fonti del danaro, che sono poi le fonti stesse della produzione. Se ragioniamo senza la demagogia, senza la faziosità settaria, di questa nostra strana democrazia, dobbiamo trovarci d’accordo su una così semplice impostazione fondamentale. In realtà, sono due anni che si minaccia l’imposta sul patrimonio, e gli effetti di questa imposta sono in gran parte scontati. È dell’altro giorno la pubblicazione di un progetto di legge elaborato dal Ministro Scoccimarro; il Ministero delle finanze si affretta a farci sapere che è un progetto relativo agli ultimi mesi del 1945 e non c’è ancora l’edizione definitiva. Ma credete veramente che coloro che detengono il danaro consentano al Governo di giuocare con essi come il gatto gioca con il topo? Questo, oltre un peccato contro la logica elementare, è un eccesso di ingenuità!

Ora, quando sentiamo dai banchi della estrema sinistra la difesa, che dobbiamo ritenere sincera e che appare comunque accorata, degli interessi della classe lavoratrice, noi non possiamo non pensare – noi che tra ricchi e poveri preferiamo i secondi ai primi – che mal si servono gli interessi del popolo parlando vanamente in suo nome ed agendo soltanto allo scopo di sovvertire l’ordine costituito. Nel disordine non c’è ricostruzione di economia; la produzione rifugge dal disordine (Applausi Commenti). In queste condizioni il Paese rischia di morire d’inopia totale. Non ho bisogno di richiamarmi alla affermazione politica del mio amico Giannini; la concordia noi la stiamo predicando da un anno e mezzo a questa parte. Ragionando per assurdo – come tutto è assurdo oggigiorno – possiamo ritenere, sia pure non compiutamente, che i presupposti di una relativa concordia siano stati stabiliti. Ebbene, procurate di realizzare, sul piano politico-tecnico, un programma concorde tra i Ministeri economici; altrimenti non esisterà logica democratica nella vostra azione, mentre il popolo italiano possiede squisito il senso della logica e vi giudicherà come già vi giudica inesorabilmente. Un altro errore di logica è ciò che è accaduto nel settore dell’agricoltura: si è estorto al Governo, attraverso le agitazioni di piazza, quel provvedimento legislativo della concessione di terre ai contadini. Era senza dubbio una situazione di urgenza, lo sbocco di una situazione politica, il riflesso di un disagio diffuso che comunque doveva formare oggetto di cure da parte del Governo. Ma io vorrei chiedere a coloro che in quest’aula mostrano di ritenersi gli unici rappresentanti autorizzali della classe lavoratrice: credete che i contadini, invocando e pretendendo quel provvedimento volessero avere la terra, così come in realtà gliel’avete data?

Voi non avete appagato questo inesausto desiderio di tutte le plebi da millenni ad oggi.

Una voce a sinistra. Ci arriveremo.

PATRISSI. Risponderò anche a questo. Volevate diminuire la disoccupazione delle campagne? Non avete adottato la forma migliore. Potevate fare qualche cosa di meglio e, se me lo consentirete, vi spiegherò la mia opinione in proposito. Volevate incrementare la produzione agricola del Paese? Non avete raggiunto lo scopo, perché gli indici di produzione dei terreni che sono stati dati in concessione a cooperative di contadini nell’annata decorsa hanno registrato un rendimento medio inferiore del 50 per cento rispetto a quello degli altri appezzamenti delle aziende. (Interruzioni a sinistra). Avete voluto forse alleggerire la pesantezza della distribuzione dei generi alimentari? Non siete riusciti nemmeno in questo, perché non ha avuto luogo il ritiro delle carte annonarie ai nuovi produttori cooperatori.

E allora, se è vero, come io credo che sia vero, che la vostra principale preoccupazione è il benessere della classe lavoratrice, voi avreste dovuto ricorrere a forme migliori, a forme che avrebbero assicurato, nello svolgimento del processo produttivo, una partecipazione spirituale decisa ed entusiastica del lavoratore, che deve sentirsi non odiato sulla terra sulla quale lavora. Potevate instaurare una effettiva collaborazione tra il proprietario retrivo e conservatore e il lavoratore ansioso di lavoro. In che modo? La proprietà agricola italiana si aggira intorno ai 31 milioni e mezzo di ettari. La classificazione di questa proprietà per taglio di aziende l’amico Damiani, che ha dimostrato di essere un arcicompetente in materia statistica, potrebbe esporvela in termini più precisi e dettagliati. Il concetto che debbo enunciare è questo. Esistono grosse aziende in conduzione diretta da parte dei proprietari. Si poteva, da parte del Ministro dell’agricoltura, fissare la percentuale di ettarato per cui era consentita la conduzione diretta ed imporre, per l’altra parte, la conduzione in compartecipazione. In questo modo avreste dato ai lavoratori un rapporto corrente e già scontato dalla evoluzione dei tempi e avreste certamente stabilito i presupposti per una collaborazione sincera e praticamente efficiente tra il lavoratore e il proprietario della terra. La compartecipazione avrebbe potuto rappresentare, in prosieguo di tempo, una conquista progressiva da parte del lavoratore compartecipante, e avrebbe potuto presto, relativamente presto, portare all’affrancamento della terra.

Il contadino chiede di essere effettivamente proprietario per lavorare la terra con la passione e con l’amore che la terra richiede, e in virtù delle quali soltanto offre dovizia dei suoi prodotti. Ma quando alla base del rapporto di lavoro si pone l’odio, si pone il malinteso, si pone lo scontento, allora (colleghi comunisti e socialisti, in questo momento non parlo da agrario perché non lo sono, ma parlo da consumatore) allora ne deriva un danno al lavoratore stesso e in definitiva alla collettività di cui tutti siamo parte. (Interruzioni a sinistra). Forse c’è qualcuno di voi che si sente aristocratico. La cosa non mi riguarda. Io sono figlio di contadini. (Interruzioni a sinistra).

Il provvedimento della concessione di terre ai contadini, posto in essere sotto il pungolo delle agitazioni di piazza, avrà conseguenze deleterie sul patrimonio zootecnico del Paese. Assistiamo quotidianamente alla contrazione progressiva dei pascoli. Ebbene, noi abbiamo bisogno del nostro patrimonio zootecnico. È per questo necessario assicurare i proprietari di terre, altrimenti non avremo più pascolo per il nostro bestiame.

Invito pertanto il Ministro dell’agricoltura, che non è presente né rappresentato, a prendere atto di questa umile raccomandazione; umile, dappoiché viene dai banchi dell’opposizione.

Il nostro patrimonio zootecnico va difeso, perché le lesioni che ha riportato dal passaggio della guerra sul nostro territorio, grazie alla Provvidenza, non sono state gravi. Possiamo, nel giro di due anni, portare il nostro patrimonio zootecnico ad un livello superiore a quello dell’ante-guerra.

Questo provvedimento può avere conseguenze nefaste. L’altro giorno, su un giornale della Capitale, abbiamo visto per la prima volta, da quando abbiamo l’uso della ragione, un annuncio economico: «Pascolo di x ettari: in questa zona si procede all’affitto per licitazione». È chiaro che lo speculatore proprietario si prepara a trarre il maggior profitto dal pascolo suddetto. Questo è un altro incentivo alla speculazione. Ora, se è vero che siete contro la speculazione, non potete dissentire dal mio assunto.

E passiamo al settore dell’industria.

Anche in questo campo, da quando ho l’onore di partecipare ai lavori di Assemblee nazionali, sento continuamente minacciare provvedimenti drastici, provvedimenti decisivi nei confronti delle grosse concentrazioni industriali ed in genere nei confronti delle imprese industriali di qualsiasi taglio. (Interruzioni Commenti). Siete voi che avete partecipato al Governo, non noi, se responsabilità c’è, quindi, non è imputabile a noi.

Tali minacce non si sono mai tradotte in pratica. Avete fatto sì che l’organismo industriale del Paese, che per noi rappresenta un certo privilegio nei confronti di tutte le altre Nazioni europee, in quanto è uscito intatto dalla «buriana» della guerra, si sia progressivamente anemizzato.

La politica monetaria del Ministro Corbino, fondata esclusivamente sulla fiducia del popolo nell’azione del Governo, sulla concordia dei partiti costituenti la maggioranza del Governo, presupponeva una coerente politica economica, la quale avrebbe affidato la rinascita dell’organismo economico a quelle facoltà, a quelle possibilità di recupero, che in un grande organismo economico sono naturalmente insite. Con la vostra politica faziosa e demagogica, l’organismo economico nazionale si comporta come un fisico tarato. Noi riteniamo praticamente impossibile la ripresa spontanea del corpo economico della Nazione e, nel campo più direttamente specifico, della situazione del lavoro. Io vorrei chiedervi se in coscienza potete affermare di aver servito, come meritava per sacrosanto diritto, la classe lavoratrice di cui assumete di essere paladini e patroni. Fino a questo momento esistono categorie di lavoratori nei vari tipi di industria, che, a parità di occupazione, denunciano sperequazioni così profonde e così immorali di salario che è veramente impressionante constatare come in un Paese in cui 8 milioni di elettori socialcomunisti hanno mandato all’Assemblea Costituente 220 deputati, si possa consentire una situazione di questo genere.

Viceversa procediamo alla giornata. È di questa mattina la convocazione a Genova dei segretari delle Camere del lavoro per chiedere il raddoppio dei salari. È giusto, perché questa povera gente che vive in stato di perpetuo disagio, in quanto l’inflazione ha tutti i sintomi di una malattia organica che si appalesa attraverso il mal di testa o con la febbre pomeridiana, ha diritto al raddoppio del salario. Il lavoratore è in questa condizione: avverte di essere truffato da qualcuno o da qualche cosa.

Sono insomma in atto i presupposti perché determinati elementi (che io voglio credere, come credo, non appartengano alle vostre file), speculando su questa mania di persecuzione giustificata nel lavoratore, che riceve nei periodi di inflazione i cosiddetti salari adulterati, faccia di questo malcontento uno strumento di violenza politica e di rivolta potenziale. Più che vivere alla giornata, così come si fa, e mi auguro che ne prendiate atto, sarebbe stato moralmente giusto ottenere o imporre agli industriali la perequazione dei salari. Esiste un settore dell’industria italiana, di cui non voglio far cenno in termini specifici, ma che prima di me è stato citato da altri, (e non ne faccio cenno perché non si possa dire che voglio fare una speculazione elettoralistica o di cassetta), nel quale gli imprenditori guadagnano un miliardo al mese (rettifico la cifra dell’onorevole Nitti), ed hanno impegni di lavorazione in conto estero fino al 1948: i salari di quei lavoratori sono ancora inadeguati al livello del costo della vita. Esistono altre categorie in seno alle quali la perequazione è necessaria, perché innanzitutto è un fatto di giustizia sociale, è un atto di moralità del Governo. Ma se è vero che la parte più nobile del nostro patrimonio nazionale, salvatasi dal disastro, è la forza del nostro lavoro, è pur vero che tutto si fa per impoverire, nel suo complesso e nelle spiccate qualità che lo contraddistinguono, questo patrimonio nobile ed immenso di cui noi siamo stati dotati. In questo campo, il principio comunista è già in atto. È un principio come un altro e mi riferisco in questo senso a quanto ha affermato il mio collega Giannini. Se la maggioranza del popolo italiano si fosse pronunziata in favore del comunismo, sarebbe logico regolare i rapporti di lavoro in base al concetto che il salario deve essere commisurato ai bisogni del lavoratore. Ma così non è. Ed allora sarebbe più logico, in base alla concezione socialista, che, in sostanza, sul piano economico sociale è la nostra stessa concezione, regolare il salario in base alla quantità ed alla qualità del lavoro prodotto. Ebbene, noi stiamo arrivando al livellamento delle mercedi, annullando quell’incentivo al proprio perfezionamento che è la forza potente che sospinge dalla massa amorfa e grigia della manovalanza quei campioni di lavoratori specializzati che sfociano nell’artigianato e che sono vanto d’Italia ed invidia di tutti gli altri popoli.

Ora, se è vero che una delle fonti prime della nostra rinascita economica può e deve essere l’emigrazione, io mi auguro che veramente, ed al più presto, la Confederazione del lavoro, siccome la più cospicua, la più forte rappresentante degli interessi dei lavoratori, sul serio prenda la difesa della mano d’opera che noi mandiamo all’estero. Non è consentito, in periodo di democrazia, permettere l’emigrazione dei lavoratori come gregge senza guida e senza meta. (Interruzioni a sinistra).

In occasione della prima riunione della Commissione dei trattati, ebbi personalmente a far rilevare al Presidente De Gasperi lo sconcio che si verificava al nostro confine alpino. La Francia, che ha bisogno in questo dopoguerra di circa 25 miliardi di giornate lavorative, cioè più del triplo di quanto gliene occorressero nell’altro dopo guerra, ha bisogno di almeno due milioni di lavoratori.

Ebbene, sarebbe augurabile che queste trattative venissero condotte su basi di parità, per dire il meno, e che si assicurasse ai nostri lavoratori una sorte meno infame di quella garantita ai minatori, che abbiamo mandato nel Belgio.

Relativamente alla Francia, devo fare una breve divagazione.

Come dalla Francia, attraverso il confine, sono venuti in Italia reclutatori clandestini di mano d’opera, così la «Securité militaire française» viene in territorio italiano ed effettua degli arresti.

Ne faccio formale accusa al Governo, assente.

Però, il Ministro Scoccimarro ed i suoi colleghi prendano atto di questa dichiarazione formale: poliziotti francesi arrestano cittadini italiani su territorio italiano. Sono in grado di precisare dei nomi.

E ritorniamo in argomento: questa nostra ricchezza, che è per noi tanto più cara, in quanto è carne della nostra carne, questi nostri lavoratori, cui è commessa ed affidata la rinascita del Paese, bisogna che si rechino all’estero attraverso garanzie precise, preventive; bisogna che siano curati ed assistiti; bisogna, comunque, che non siano abbandonati alla mercé dei negrieri stranieri, che sono forse anche peggiori dei negrieri nostrani.

Ed in questo senso io potrei anche finire.

Sarebbe stato difficile con uno sguardo panoramico toccare contemporaneamente gli aspetti più salienti di questa disfunzione dei nostri dicasteri tecnici, la quale disfunzione ci rende impossibile l’attuazione di una organica politica economica. Potrei anche finire, limitandomi ad enunciare, come ho fatto gli aspetti più notevoli e più evidenti; ma non dobbiamo dimenticare che alla base di questo disagio economico, dovuto all’inflazione, alla scarsa produzione, alla disoccupazione, c’è un disagio politico profondo. Questo disagio politico deriva da una deficienza del nostro ambiente politico.

Sono due anni che la politica italiana si attua sotto il segno dell’equivoco, e quello che è peggio, sotto il segno della paura reciproca. Perché tutto questo? Perché, in realtà, nessuno di noi si è presentato, non dico all’Assemblea, ma al Paese, col suo vero volto.

Assistiamo, per cominciare, alla edizione 1946 del partito comunista, che è indubbiamente una edizione democratica, sia pure democratica progressista. Ma è fuori discussione che questa edizione 1946 ha pochi punti di contatto con la concezione leninista.

TOGLIATTI. Era quello che dicevano i fascisti.

PATRISSI. Onorevole Togliatti, io mi limito a dire cose che possono coincidere forse con quelle che dicevano i fascisti, ma dalla sua interruzione devo ritenere che lei le conosca meglio di me. In ogni caso, se io ne ripeto le parole, altri ne imita i sistemi peggiori.

Ora, questa edizione di democrazia progressiva si distacca molto dal famoso Manifesto istituzionale.

I socialisti, che potrebbero essere il nerbo fondamentale della nuova democrazia italiana, nei compromessi e nelle dialettiche di parte sciupano quella forza affascinante, che potrebbe essere elemento chiarificatore della politica del Paese.

I democristiani stessi, por evitare situazioni peggiori, effondono nel compromesso l’entusiasmo di 8 milioni e mezzo di elettori. Non ho bisogno di ripetere ad essi l’esortazione dell’amico Giannini. Dirò una sola cosa, in nome del comune sentimento religioso: che la Divina Provvidenza illumini le vostre coscienze, induca nei vostri cuori più profondo, più largo senso di umanità e più disinteressato amore di Patria. (Commenti). Se ciò sarà, noi avremo stabilito le premesse sicure per risolvere senza infingimenti e, grazie a Dio, senza compromessi, i problemi che travagliano la vita del nostro sventurato Paese. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. Il seguito di questa discussione è rinviato a martedì 24.

Interrogazioni e interpellanze.

PRESIDENTE. Comunico che l’onorevole Bellavista ha presentato la seguente interpellanza, rivolta al Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per la quale ha chiesto l’urgenza:

«Per conoscere se rientreranno nella disciplina del recente decreto sulla attribuzione delle terre incolte quei terreni nei quali i mezzadri, sulla istigazione della Federterra, abbiano, senza giustificato motivo, interrotto o non iniziate le colture autunnali al solo scopo fazioso di creare artificiosamente una situazione di fatto che, cogliendo di sorpresa i proprietari, possa determinare i presupposti per la spoliazione e l’annullamento del diritto di proprietà.»

Chiedo al Governo quando intende rispondere a questa interpellanza.

SCOCCIMARRO, Ministro delle finanze. Il Governo si riserva di fissare la data di svolgimento nella prossima seduta.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni e di un’altra interpellanza pervenuto alla Presidenza.

DE VITA, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere se non possa il Governo prendere in esame l’esecuzione del progetto già esistente per la costruzione del doppio binario sulla Foggia-Benevento-Napoli e sulla Bari-Brindisi-Lecce, contribuendo così ad alleviare la disoccupazione in Puglia, che attualmente costa miliardi alle classi abbienti locali, senza che questo denaro sia investito in opere di alcuna utilità.

«Cicerone».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Governo, per sapere quante vittime risultino dalla liberazione in poi ad opera e per colpa degli Alleati in Italia, come siano suddivise e se siano previste sanzioni e quali a carico dei responsabili. Chiedo in particolare se siano risarcibili e per quali vie e con quali procedure i danni conseguenti e relativi.

«Braschi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere come l’Alto Commissario dell’alimentazione intenda distribuire i duecentocinquantamila quintali di granone avariato destinato ad uso zootecnico e ciò al fine di evitare illecita speculazione privata.

«Di Giovanni».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro del tesoro, per sapere perché non è stata ancora data risposta al Ministero dell’agricoltura e delle foreste, Divisione pesca, e cioè alla giusta richiesta di prolungare ancora di un decennio il credito peschereccio, che va incontro alle necessità e ai bisogni dei marinai meno abbienti pel miglioramento dei loro attrezzi da pesca.

«La domanda venne inoltrata il 21 gennaio 1946, col n. 506 e sollecitata il 17 maggio col n. 4457, ed ancora il 19 agosto col n. 7646.

«Natoli».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per chiedere se – in considerazione del fatto che il decreto legge luogotenenziale in data 22 settembre 1945, n. 624, il quale, modificando la denominazione dell’Opera nazionale dopolavoro in Ente nazionale assistenza lavoratori, sanzionava la sopravvivenza d’un ente di carattere squisitamente monopolistico e ne confermava, attribuendogli una personalità giuridica privilegiata, il diritto all’uso di beni di proprietà di tutto il popolo e il godimento di particolari privilegi, con gravissimo danno di altre organizzazioni aventi uguali scopi, è assolutamente incompatibile colla libertà d’associazione e con la parità di diritti fra libere associazioni richieste dalla natura stessa del regime democratico – non ritenga di provvedere all’abrogazione del decreto stesso e, in conseguenza, di addivenire – per quanto riguarda i beni – alla nomina d’un commissario che, in tempo determinato, provveda alla liquidazione dei beni già di proprietà dell’ex Opera nazionale dopolavoro – con la cura ch’essi vengano attribuiti con criteri di assoluta equità ad associazioni che si propongano fini educativi, ricreativi e assistenziali per le classi lavoratrici, e, per quanto riguarda i privilegi – alla sostituzione degli stessi con particolari facilitazioni a tutte le associazioni aventi i requisiti di cui sopra.

«Rumor, Belotti».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se non intenda disporre che i professori che sono stati nominati presidi e direttori reggenti e che abbiano dato buona prova nell’ufficio di presidenza e di direzione possano essere ammessi ai concorsi per gli uffici direttivi, indipendentemente dal grado o dall’anzianità di ruolo, ovvero non intenda bandire un concorso speciale per i reggenti a prescindere dai requisiti richiesti per la partecipazione al normale concorso.

«Rumor».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro degli affari esteri, e il Ministro della guerra, per conoscere quali sanzioni disciplinari siano state prese contro il maresciallo Messe per l’articolo da lui pubblicato sul Tempo del 15 settembre 1946, articolo di insulti volgari contro il popolo russo, e contro uno dei Paesi a cui l’umanità è debitrice della distruzione dell’hitlerismo e del fascismo.

«Per conoscere inoltre se non ritengano che energiche sanzioni contro il maresciallo Messe per questo suo articolo si impongano anche per il motivo che il Messe, il quale ora insulta il popolo russo, è uno dei responsabili principali della morte di decine di migliaia di giovani, ufficiali e soldati italiani, da lui stesso, in qualità di mercenario di Hitler, portati a combattere in Russia, in una campagna che egli, come capo militare, doveva sapere che anche solo per l’equipaggiamento assolutamente inadeguato delle truppe, non poteva concludersi altro che con una ecatombe dei nostri connazionali.

«Togliatti, Terracini».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere i motivi dell’enorme ritardo nella definizione delle pratiche di riassunzione e ricostruzione di carriera di agenti e funzionari delle ferrovie dello Stato esonerati per motivi politici, risultando all’interrogante che oltre tremilacinquecento domande di interessati attendono invano la decisione della Commissione unica.

«De Caro Raffaele».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’industria e del commercio, per sapere se è vero che il Ministero competente ha in animo di stabilire un prezzo unico per il cemento prodotto in tutto il territorio dello Stato; e, nella affermativa della proposizione che precede, se non ritenga equo, doveroso ed opportuno, stabilire prezzo diverso per il cemento prodotto dalle fabbriche siciliane, in vista della accertata pluralità e diversità dei costi di produzione. Il costo di produzione del cemento siciliano è, infatti, maggiorato, nella comparazione nazionale, di circa lire duecento per quintale per i maggiori costi relativi alla energia elettrica, carbone, trasporti. Dato che altre particolari situazioni di costi impongono accurato esame casistico, appare opportuno affidare ancora, come per il passato, ai Comitati provinciali per i prezzi la determinazione dei medesimi per quanto attiene alla produzione cementizia siciliana. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bellavista».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’industria e del commercio, per conoscere la quantità di pneumatici e di permessi di circolazione accordati a ciascuna provincia.

«Tanto perché si nota una grande disparità di trattamento tra provincia e provincia, non giustificata da diversa esigenza economica, ed un assurdo sistema di distribuzione dei pneumatici. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Cicerone».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per conoscere se non possa prendere in esame la situazione dei pensionati delle Casse comunali, i quali non hanno mai fruito di aumenti ed adeguamenti, e versano in condizione pietosa di miseria. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Cicerone».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri di grazia e giustizia e del tesoro, per sapere se non ritengano opportuno, giusto e necessario adeguare, almeno parzialmente, i supplementi di congrua dei beneficî ecclesiastici congruati, in relazione allo spostamento già avvenuto dei prezzi e dei salari. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Braschi».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dei trasporti, dei lavori pubblici e del tesoro, per sapere se non ritengano opportuno dare immediata approvazione ed esecuzione al progetto da tempo in esame riguardante lo spostamento a monte della ferrovia di Rimini. L’opera risponde ad una vitale necessità e rappresenta un lavoro pregiudiziale alla ricostruzione della città martoriata, centro ferroviario e turistico di primo ordine sul piano nazionale. Da osservare che i mezzi finanziari richiesti sarebbero in gran parte ricuperabili per l’alienazione e utilizzazione del vecchio piano stradale (immensa area fabbricabile) e per l’impiego delle ingenti somme che, comunque, sarebbero richieste per la riparazione e ricostruzione della vecchia zona stradale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Braschi».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno, e i Ministri dei lavori pubblici, del tesoro e di grazia e giustizia, per sapere – premesso che nel paese di Codigoro (Ferrara) veniva distrutta molti anni fa la chiesa parrocchiale, talché la popolazione di oltre 13.000 anime dovette servirsi, da allora, di una chiesetta posta fuori del paese, insufficiente ed oggi gravemente danneggiata dalla guerra – se non ritengano giusto e necessario provvedere alla ricostruzione della vecchia chiesa, dato che si tratta di parrocchia povera e congruata e di popolazione rimasta, anche per la guerra, in condizioni miserrime. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Braschi».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro del tesoro, per sapere – premesso che nelle zone più danneggiate dalla guerra le autorità alleate assegnavano e consegnavano ai comuni più disastrati, per i più essenziali servizi logistici (alimentazione, approvvigionamento, trasporto materiali, ecc.), automezzi di vario tipo e portata – se non ritengano giusto e opportuno sanare o, comunque, regolare tali concessioni, dispensando i comuni beneficiari da qualsiasi pagamento, o riscatto o autorizzando l’acquisizione definitiva a condizioni di particolare favore. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Braschi».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se intenda sistemare in ruolo gli idonei nei concorsi magistrali già espletati, e più specificamente, se almeno intenda assumere in ruolo coloro che conseguirono la idoneità partecipando al concorso magistrale nazionale per le scuole rurali, bandito con Regio decreto 26 marzo 1940, ed espletato il 1942.

«Pare infatti che ciò già fosse nei propositi del Ministero medesimo, come dimostra l’assunzione, a suo tempo, di un certo numero di idonei non vincitori, proposito non portato completamente ad attuazione per gli eventi successivi al 1943. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Sullo Fiorentino, Cremaschi»

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere se non creda dare immediata esecuzione ai lavori di sistemazione montana del Rio Gercia in comune di Pinzano al Tagliamento, per un importo di 1.210.000 lire, in considerazione della forte disoccupazione esistente in quel comune la cui popolazione, avanti il fascismo, dava un forte contingente all’emigrazione. I relativi progetti definitivi sono pronti presso il Corpo forestale di Udine. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Piemonte».

«I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri della guerra e del tesoro, per conoscere se non ritengano opportuno sospendere l’attività degli uffici staccati mobili per il ricupero dei quadrupedi, dipendenti dai Comandi militari territoriali, intesa a valutare ed assegnare gli animali ricuperati dai comuni e dai C.L.N. del Veneto e dell’Emilia in seguito al loro abbandono da parte delle truppe tedesche in ritirata, e se non intendano sanzionare le distribuzioni fatte a suo tempo dagli enti suddetti a famiglie di militari che maggiormente hanno sofferto danni e sinistri per cause di guerra, concedendo ampio respiro per il pagamento o comunque ritenendo il valore di detti animali quale anticipo sui danni sofferti. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Cimenti, Ferrarese, Burato, Pat, Garlato, Zaccagnini».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere quali provvedimenti ritenga di adottare con tutta urgenza affinché sia posto fine al gravissimo disagio determinato dal fatto che un numero elevatissimo di dipendenti dello Stato, allontanati dall’impiego per i loro sentimenti antifascisti e che da tempo hanno presentato domanda di riassunzione a sensi di legge, non siano ancora stati reintegrati nei loro diritti. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Battisti, Mariani Francesco».

«I sottoscritti chiedono di interrogare, il Ministro dell’interno (Alto Commissariato per l’igiene e la sanità), per sapere per quale motivo non viene dato corso alla pratica di riconoscimento giuridico con creazione in Ente morale, richiesta in data 7 maggio 1945 e 30 settembre 1945, dall’Associazione volontari del sangue di Milano, che coi suoi 8500 iscritti e con le 44.000 prestazioni di sangue che provocò si è resa così altamente benemerita.

«Il ritardo di tale pratica provoca grave disagio morale e danno materiale all’Associazione stessa e reca serio pregiudizio alla scienza medica. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Fornara, Cavallotti»

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere se non ritenga opportuno provvedere alla nomina del titolare della pretura di Frosinone. Questa importante sede, alla quale sono assegnati, per organico, due magistrati di carriera, è priva del suo titolare dal novembre 1944.

«I pretori di altri mandamenti, successivamente applicati a dirigerla, sono costretti, malgrado la loro buona volontà, a prestare opera discontinua con danno del servizio e degli interessi dei cittadini. (Il sottoscritto chiede la risposta scritta).

«De Palma».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dell’assistenza post-bellica, per sapere come intenda provvedere al risarcimento dei danni per coloro che – per ragioni politiche – furono, nel periodo nazifascista, deportati od internati, licenziati o comunque dovettero abbandonare il lavoro per evitare l’arresto e per i quali è noto che da troppo tempo è in corso di studio uno schema di provvedimento. (Gli interroganti chiedono la risposta, scritta).

«Mariani Francesco, Battisti».

«I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno, per sapere se – in vista del profondo turbamento e disagio che l’eventuale sblocco degli affitti al 31 dicembre 1946 determinerebbe negli animi e nelle situazioni economiche di tanta parte degli italiani – non ritenga urgente prorogare i termini del decreto luogotenenziale 12 ottobre 1945, n. 669, fino a quando sia predisposto ed applicabile il piano organico che – coordinando la tutela degli inquilini con le opere della ricostruzione – deve assicurare la casa a tutti i lavoratori e cittadini non abbienti, nello spirito della solidarietà nazionale.

«Vigorelli, Cairo, Treves, Mariani Francesco, Cavallotti, Pajetta Gian Carlo, Malagugini, Alberganti, Scotti».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé presentate saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

Così pure le interpellanze saranno iscritte all’ordine del giorno, qualora i Ministri interessati non vi si oppongano nel termine regolamentare.

La seduta termina alle 19.50.

Ordine del giorno per la seduta di martedì 24.

Alle ore 16:

  1. – Domande di autorizzazione a procedere in giudizio contro il deputato Gallo. (Doc. I, n. 1, n. 1-bis e n. 2).
  2. – Seguito della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.

VENERDÌ 20 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

XX.

SEDUTA DI VENERDÌ 20 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SARAGAT

INDICE

Congedo:

Presidente                                                                                                        

Comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri (Seguito della discussione):

Preziosi                                                                                                            

Bruni                                                                                                                

La Malfa                                                                                                            

Corbino                                                                                                            

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 16.

CHIEFFI, Segretario, legge il processo verbale della seduta precedente.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Ha chiesto congedo l’onorevole Tozzi Condivi.

(È concesso).

Seguito della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri Ha chiesto di parlare l’onorevole Preziosi. Ne ha facoltà.

PREZIOSI. Onorevoli colleghi, ci avviamo rapidamente alla conclusione di questo dibattito e non ancora è spenta l’eco profonda di delusione che hanno lasciato nel Paese e in noi le dichiarazioni del Capo del Governo. Il Paese attendeva delle dichiarazioni meno caute, meno prudenziali, attendeva soprattutto un chiarimento dell’atmosfera plumbea che circonda il Governo.

Basterebbe solo soffermarci sui titoli dei vari fondi dei giornali di questi giorni per avere la dimostrazione di come la delusione dell’opinione pubblica ha trovato un’eco un po’ dovunque, anche nei giornali del Governo, se è vero che qualcuno di essi, come l’Avanti! parla delle dichiarazioni e della situazione come di una sentenza interlocutoria, e ancora stamane su l’Avanti! in un articolo di fondo dell’onorevole Sandro Pertini, si parla di mancanza di fede, sempre in relazione all’atteggiamento dell’onorevole De Gasperi e del Governo.

Noi attendevamo, dopo un trimestre di Governo, un resoconto consuntivo di quello che si era fatto e di quello che non si era potuto fare, e avremmo voluto conoscere le ragioni del perché non si era fatto niente di quello che il programma del Governo conteneva, o diceva di contenere, in maniera concreta. Ed invece nulla ci è stato detto dell’immediato passato.

Se profonda è la delusione del Paese, bisogna che il nuovo programma, esposto dal Capo del Governo, sia un programma di cose, e trovi effettiva soluzione nella realtà quotidiana: il popolo vuol vedere chiaro sulla sorte che lo attende, vuol sapere quali mezzi il Governo intende adoperare per risolvere i problemi più urgenti del suo vivere.

Sulla politica estera, nessuna dichiarazione è stata fatta: soltanto dichiarazioni generiche, forse dovute ad un certo riserbo necessario. Ma, insomma, noi avremmo voluto sapere qualche cosa di quella che era considerata la parte attiva svolta dal Governo in sede di politica estera; avremmo voluto sapere qualche cosa del trattato con l’Austria. Le dichiarazioni fatte al riguardo dall’onorevole Codignola, in sede di interrogazione, alle quali non poté rispondere esaurientemente l’onorevole Cappa, appartengono al genere di quelle cose che possono ben profondamente meravigliare il Paese. L’onorevole Codignola denunciava dei fatti gravissimi in seno alla Assemblea, cioè diceva che in seguito a questo trattato con l’Austria ci sarebbe uno statuto autonomista dell’Alto Adige, per il quale molte diecine di migliaia di alto-atesini, che avevano optato liberamente per la Germania e poi avevano deciso di raggiungere la loro patria, ai quali noi avevamo pagato con denaro sonante l’ammontare dei .loro beni, dovrebbero non solo tornare fra noi, ma ad essi bisognerebbe restituire niente di meno che tredici miliardi di beni immobili che già sono in possesso degli Italiani.

Ora se voi pensate, onorevoli colleghi, che questo enorme contingente di uomini era stato usato dai tedeschi per tedeschizzare la Cecoslovacchia, se voi pensate che quegli uomini, cacciati dalla Cecoslovacchia e non voluti dall’Austria, dovranno venire nelle nostre zone dell’Alto Adige, voi potete immaginare come il pangermanesimo, che non è ancora distrutto, possa avere il suo sviluppo ai danni delle nostre popolazioni e dei nostri territori. E ancora, secondo questo statuto autonomista dell’Alto Adige, ritornerebbero a bandiere spiegate nel nostro territorio le ex S.S. alto atesine, cioè coloro i quali furono i più feroci aguzzini delle nostre popolazioni, che noi in Roma tutti ricordiamo, durante l’occupazione tedesca, come i razziatori degli ebrei, come coloro che si impadronivano dei nostri figli, dei nostri fratelli, dei nostri padri, per trasportarli nei campi di concentramento. Come è possibile fare un trattato con l’Austria in certi termini, quando questo comporterebbe la realizzazione di uno statuto autonomista, il quale dovrebbe dare asilo necessariamente a veri implacabili nemici della Patria?

Noi gradiremmo che in sede di replica del Capo del Governo ci si dessero chiarimenti al riguardo.

Politica interna. Un complesso di problemi sono stati sfiorati, enunciati ed annunciati. Noi ci augureremmo che questi problemi potessero essere tutti risolti nell’interesse supremo della Patria. Soprattutto quelli che riguardano la necessità di colpire le speculazioni, a qualunque genere esse appartengano. Il popolo vuole che ai suoi affamatori siano tagliate le unghie.

Dice l’onorevole De Gasperi: la parola d’ordine è produrre. Siamo d’accordo. Ma noi rispondiamo che, per produrre, bisogna che ci sia fiducia nel Paese e credito all’estero. Esisteranno l’una e l’altra cosa, presupposti per un definitivo processo di normalizzazione del Paese, se si darà una veste di realtà a tre condizioni essenziali: ristabilimento dell’ordine pubblico, politica concreta di alimentazione, di abbigliamento e di lavori pubblici, unità e concordia fra i partiti che sono al Governo.

Ordine pubblico. Che in Italia vi sia assoluta carenza o relativa carenza dell’autorità dello Stato è una realtà indiscutibile. Basta accennare ai molti episodi di violenza che si verificano in molte città d’Italia, per avere, attraverso questi episodi, la prova indiscutibile che l’autorità del Governo non esiste. Perché, quando in un Paese, che dovrebbe essere ordinato, quando in un Paese in cui ci dovrebbe essere l’autorità dello Stato integra, salda, si arriva a vedere i prefetti malmenati dalla folla, allora vi è carenza della autorità dello Stato non in relazione a quello che la folla fa (e spiegheremo subito perché la folla si lascia andare, a questi eccessi), ma perché, evidentemente, lo Stato stesso non provvede a far sussistere quelle premesse necessarie atte ad evitare il sorgere di certi pericolosi sommovimenti. Non bisogna dare la colpa di tutto quello che avviene e non bisogna far risalire la responsabilità dei disordini ai partigiani, ai reduci, alle classi operaie e, comunque, alle classi tutte a reddito fisso.

Siamo d’accordo che i reduci, i partigiani hanno compiuto un dovere, soltanto un dovere verso la Patria, che non dà diritto a nessuna remunerazione.

Ma io dico: cosa si può pretendere da questi partigiani, dai nostri reduci, se la fame, il bisogno battono alle loro porte? Essi hanno bisogno di lavoro, che non c’è, mentre invece c’è la numerosa categoria dei nuovi ricchi della borsa nera (quella in grande stile, non quella dei rivenditori dei banchetti, che anche essa è costituita da povera gente) ed una categoria di abili speculatori, quelli che si dedicano all’aggiotaggio, che gavazzano entrambe nel lusso più smodato, frequentando locali di lusso, sperperando milioni al tavolo verde di bische clandestine in numero sempre più crescente. Come si può pretendere che questo nostro popolo che soffre, con i suoi operai, reduci, partigiani, con le varie categorie di impiegati a reddito fisso, se ne stia così, dinanzi alle proprie case a soffrire la fame, inerte, a vedere i propri bambini che hanno fame, se lo Stato non ha la forza di colpire coloro che sono gli affamatori del popolo, se lo Stato, cioè, non ha la forza di impedire che pullulino i locali di lusso e che le bische clandestine aumentino? Se non c’è questa forza da parte dello Stato, è naturale che avvengano gli incidenti e le invasioni, che sono deprecabili, ma essi non si ripeteranno soltanto se lo Stato riacquisterà la sua autorità. Noi pensiamo che mai come oggi ogni cittadino deve sostenere la sua parte di sacrifici: insomma bisogna una volta per sempre capire che, nell’interesse della collettività, è necessario sacrificare molte ambizioni e soddisfazioni personali.

Una parola sulle pensioni di guerra.

Noi conosciamo la tragedia di tanti padri, di tante vedove di guerra con molti bambini, di tanta gente malferma in salute che aspetta ancora la pensione. Moltissimi di noi ricevono lettere su lettere di queste povere donne, di questi poveri genitori i quali desiderano che sia riconosciuto il sacrificio dei propri figli e dei propri mariti, che hanno bisogno di quella modesta pensione la quale, se non li sfama, almeno non li fa morire di fame. Ed invece niente; le pratiche a diecine di migliaia giacciono inevase negli uffici della Direzione generale delle pensioni di guerra, e noi stessi che scriviamo e sollecitiamo non abbiamo mai il piacere di una risposta. Ancora, dunque, diecine di migliaia di nostri fratelli, che sono coinvolti da questa carenza dello Stato anche nel settore delle pensioni: il che significa altro malcontento, perfettamente giustificato.

Il ristabilimento dell’ordine pubblico è quanto di più urgente si possa immaginare, perché in Italia siamo arrivati ad episodi addirittura inconcepibili.

A proposito di questi episodi cito quelli che riguardano il contrabbando che si fa, giorno per giorno, del nostro pane quotidiano: del grano. Io, un mese e mezzo fa, rivolsi una interrogazione al Governo per sapere se era vero che, attraverso celeri velieri, dalla zona di Riposto e da altre zone della Puglia e del Polesine partiva grano di contrabbando per paesi a noi vicini e non certo amici. Il Governo non trovò di meglio che far sapere, attraverso il Presidente della nostra Assemblea, che non era in grado di rispondere alla mia interrogazione perché il Ministro dell’agricoltura era assente; più tardi proposi una interpellanza di urgenza al Governo con la quale chiedevo conferma di un fatto specifico, di un veliero che, trasportando 800 mila quintali di grano verso la Jugoslavia, fermato in mare dalla guardia di finanza e dirottato nel porto di Barletta – aveva i documenti apparentemente in regola – successivamente era stato fatto ripartire con destinazione uguale alla precedente, con la complicità di autorità locali. Nessuna risposta precisa che facesse conoscere la verità.

Si è avuta solo una piccola smentita a mezzo di un anodino comunicato, mentre un quotidiano come il Momento, che certo non può essere accusato di reazione, dava al Governo le prove di quello che era accaduto. Anche questo, dunque, significa non fare quello che è necessario fare. E che dire dello scandalo della Lega di Medicina, in quel di Bologna? Contadini che mettevano da parte il grano, destinato ad un Paese a noi vicino.

Una voce. Sono stati assolti tutti.

PREZIOSI, Bisogna restaurare l’autorità dello Stato in tutti i settori della vita nazionale. Bisogna ristabilire l’ordine pubblico mediante un corpo di polizia che sappia difendere lo Stato democratico e la libertà dei cittadini, al di sopra delle tendenze, delle fazioni e delle passioni. Bisogna naturalmente elevare il tono di vita degli agenti di polizia, bisogna renderli immuni dalle possibili corruzioni, bisogna dare a questi che debbono essere i tutori del nostro ordine la possibilità di vivere, di sfamarsi, e metterli in condizione di compiere bene il proprio dovere.

Il secondo problema che il Governo deve affrontare in maniera energica è quello della alimentazione e dell’abbigliamento. A Milano vi sono mense collettive che da circa due anni distribuiscono 120 mila pasti al giorno al prezzo di 20 lire; 12 mila pasti si distribuiscono ai dipendenti del Comune, e altri 30 mila attraverso ristoranti popolari al modico prezzo di 50 lire al pasto.

Bisogna aumentare queste mense. È nel programma del Governo, ma si poteva fare prima. Se a Milano questa organizzazione esiste da due anni, se dai giornali abbiamo appreso che queste organizzazioni non sono a carico dello Stato, bensì riescono a pagare le spese da se stesse, perché non crearne in ogni città d’Italia, almeno in quelle che hanno molta popolazione operaia, sicché il disagio di questi duri tempi possa essere sentito meno?

Quanto all’abbigliamento, è necessario ristabilire la tessera, per assicurare comunque qualche cosa a prezzi convenienti.

Un altro grave problema è quello della edilizia popolare. Il Ministro dei lavori pubblici nei suoi progetti ha sempre parlato di case popolari. Ognuno di voi sa in quali condizioni sono le nostre popolazioni in molte parti d’Italia, specialmente in quelle che hanno conosciuto gli orrori della guerra. Il problema dei senza tetto deve essere affrontato risolutamente, energicamente. A Napoli i senza tetto sono ancora nei ricoveri. Diecine di migliaia di persone vivono una vita impossibile, affastellate l’una sull’altra. Che cosa devono fare questi miseri, se non ribellarsi, se non chiedere a se stessi perché lo Stato non viene in loro aiuto? Le case popolari sono state sempre promesse. Si è sempre detto che dovevano essere consegnate ogni tre mesi, e invece ciò non è avvenuto, almeno in proporzione dei bisogni delle nostre popolazioni.

E poiché parlo di ricostruzione e di risoluzione di problemi improrogabili, voglio muovere un appunto all’onorevole Presidente del Consiglio per quanto concerne il problema del Mezzogiorno. L’altra volta, nonostante che molti colleghi della Camera parlassero della situazione del Mezzogiorno, nella sua replica ai vari discorsi dei vari oratori, l’onorevole De Gasperi non sentì il dovere di parlare del Mezzogiorno e di esporre un programma del Governo al riguardo. Allora sperai che le opere avrebbero supplito alle manchevolezze di un discorso. Ma oggi, nel suo discorso, che si è imperniato soprattutto sulla politica interna e sulle necessità delle classi popolari, l’onorevole De Gasperi non ha detto una parola sul Mezzogiorno, non ha detto come si possa venire in aiuto alle necessità improrogabili delle nostre classi povere, che sono ad un livello enormemente inferiore alle condizioni delle classi settentrionali. Tanto è vero che il collega torinese onorevole Carmagnola, nel suo discorso di ieri, affermava: «Abbiamo bisogno che il Meridione si risollevi nell’interesse del resto dell’Italia».

È indispensabile, dunque, una volta per sempre, affrontare questo problema e se non risolverlo subito – perché non è possibile risolvere subito un problema così annoso – iniziarne la risoluzione almeno gradualmente, con energia, con propositi chiari. Attendiamo, quindi, assicurazioni dal Presidente del Consiglio.

Infine, parliamo della disunione esistente nel Governo e fra i partiti che lo compongono. Indubbiamente ogni insuccesso dei partiti democratici è un insuccesso della democrazia. Come può l’opinione pubblica, il Paese aver fiducia nel Governo, se non vi è accordo tra i suoi componenti? Non è il momento di palleggiarvi responsabilità piccole e grandi fra voi, colleghi della sinistra e colleghi del centro, e attraverso articoli di giornale o manifesti domandarvi chi aveva una ragione e chi può avere o ha torto. Se non siete d’accordo, avete il dovere di non proseguire insieme nel cammino. Oggi non c’è posto per l’equivoco. Basta girare le provincie un po’ dappertutto per sentire come il Paese sia stanco, come vi sia una profonda frattura fra il Paese ed il Governo. Se il Governo non riesce comunque a colmare questa frattura, dando l’esempio di lavoro compiuto in buona concordia a favore del popolo, noi allora vedremo ancora più il Paese allontanarsi dal Governo, né potremo prevedere come dimostrerà la sua stanchezza nei confronti del Governo stesso. Se vi fu unione fra i vari partiti durante il periodo clandestino, nell’interesse supremo della Nazione, perché non deve esistere oggi? Ricordo che durante il periodo clandestino ognuno di noi non pensava alle proprie ideologie, ma pensava invece al bene della Patria, per combattere il nemico che invadeva il nostro suolo. Ora, questa unione si deve ripetere, perché siamo innanzi ad un periodo ancora più grave della nostra storia. Non vi deve essere disaccordo e non bisogna pensare troppo, come purtroppo si fa, alle elezioni vicine. La verità è questa: che se invece di essere in una Assemblea Costituente, come questa, di breve durata, fossimo stati eletti in Assemblea Costituente per un anno, per poi proseguire il nostro lavoro come Camera legislativa per altro periodo di tempo, tanti disaccordi non sarebbero esistiti e si sarebbe lavorato sul serio, poiché non c’era la preoccupazione delle elezioni.

Quello che veramente avvelena oggi la politica italiana è lo spettro delle elezioni, che costringe il Governo a contenersi e fare in un modo anziché in un altro, solo perché i Partiti al Governo hanno promesso alle loro masse la realizzazione di programmi assai diversi, a volte anzi spesso impossibili a realizzarsi di comune accordo, nella loro integrale ideologia. È lo spettro delle elezioni che impone di perseguire una determinata politica nei confronti di determinate classi, perché si teme, con le elezioni vicine, di perdere una massa la quale potrebbe orientarsi ben diversamente, se non si realizza comunque (che importa se ciò avviene alla carlona?) un certo programma promesso.

Onorevoli colleghi, eleviamo un poco il tono di noi stessi, facciamo sentire al popolo che si è uniti, che gli siamo vicini con tutto il cuore, che non soltanto parliamo dei suoi bisogni, ma li affrontiamo e li risolviamo. E lasciamo andare dispersa certa demagogia di partito oggi rovinosa per l’Italia. Non vi sia mancanza di fede in voi stessi, colleghi dei partiti al Governo. Guai se il Governo, con i suoi componenti, non avesse fede e fiducia in se stesso. Per arrivare ad una meta bisogna assolutamente avere una fede; senza una fede non si può percorrere nessun cammino ideale; senza una fede questo Governo non potrà durare se non 15 giorni o un mese. Ha bisogno di una fiducia che lo renda saldo, di una fede che lo renda unito e questa fede è una sola: fare gli interessi della Nazione al disopra dei partiti, fare gli interessi della Nazione con programmi concreti, che risolvano i problemi che la Nazione attende di vedere risolti. Il Paese vuole che, finalmente, dopo due anni e più di inutili accademie, vi sia una democrazia operante in profondità, vi sia una democrazia operante al di sopra dei bassi interessi personali, una democrazia che significhi ricostruzione di una Italia degna di resurrezione dopo tanti dolori, tanti lutti, tanti sacrifici. (Applausi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Bruni. Ne ha facoltà.

BRUNI. Le dichiarazioni evasive ed incomplete dell’onorevole Presidente del Consiglio sulla crisi del Gabinetto e sulla crisi che attraversa il Paese, non sono fatte per tranquillizzare nessuno.

Farò dunque delle osservazioni che, naturalmente, non riguardano soltanto l’onorevole De Gasperi, ma tutti i membri del Gabinetto.

Il Paese si attendeva non soltanto la sostituzione dell’onorevole Corbino, ma l’annuncio di un nuovo chiaro indirizzo in materia economica e finanziaria che non fosse quello dall’onorevole Corbino propugnato.

Il Paese si attendeva, inoltre, non soltanto di udire dalla bocca dell’onorevole De Gasperi un programma di Governo, che del resto è una ripetizione soltanto parziale di quello precedente, ma di conoscere i mezzi da mettere in opera per realizzarlo. Come è stato da altri rilevato, questa Assemblea ed il Paese vogliono sapere che cosa sia possibile fare nelle attuali circostanze, e non soltanto quello che si desidererebbe fare. Dobbiamo, pertanto, essere grati all’onorevole Lombardi e all’onorevole Nitti di aver rilevato questa grave lacuna nelle dichiarazioni presidenziali, questa omissione di probità nel programma governativo.

Il Partito Repubblicano e l’onorevole Lombardi hanno posto nuovamente sul tavolo di discussione il problema, tanto agitato, del cambio della moneta.

Con o senza gli accorgimenti suggeriti dall’onorevole Lombardi, io non vedo come si possa evitare tale operazione, se veramente si vuol tentare di ricorrere agli unici mezzi rimastici per alleviare la nostra situazione, sia pure temporaneamente: immettere nel ciclo produttivo somme rilevanti, colpire, a ragion veduta, i più abbienti e compiere in tal modo il più elementare atto di giustizia sociale, al fine di eliminare una delle cause maggiori di irrequietezza delle classi proletarie, del braccio e del pensiero.

Fu osservato, e con ragione, che la Repubblica fu voluta soprattutto dalle classi più diseredate e non precipuamente dalle classi ricche. Ma la Repubblica, precisiamo, è stata voluta dalle classi proletarie non perché si sforzasse, con tutti i mezzi e sottili accorgimenti, come si è fatto finora, a perpetuare privilegi sociali, ma perché si mettesse energicamente sulla strada di abolirli; non perché dovesse stagnare in una politica economico-finanziaria interclassista, politica arida, inoperosa e inconcludente; ma perché desse mano ad una politica di abolizione e superamento delle classi economiche, di difesa dei deboli e abolizione dei privilegi, in tutti i settori della vita sociale, affinché gli attuali ricchi e gli attuali poveri potessero finalmente vivere in una comunità di uguali e di fratelli.

L’onorevole Presidente del Consiglio ha annunciato gravi provvedimenti contro la borsa nera: io penso che contro le maggiori infrazioni alle leggi attualmente vigenti sulla alimentazione e il razionamento, sia necessario comminare le pene più severe contemplate dal nostro codice: la pena di morte e la confisca dei beni. Data la gravità della situazione alimentare, che involge gravi problemi di ordine squisitamente morale, non ci si deve spaventare dal ricorrere a misure così estreme.

Vorrei domandare poi al Governo se in realtà sia stato fatto tutto il possibile per aumentare sino almeno a 300 grammi la razione di pane, e gli vorrei far riflettere quali immense ripercussioni su tutto il mercato dei prezzi la razione del pane, portata a questo quoziente, potrebbe avere in Italia, dove il pane costituisce il principale e, qualche volta, il solo alimento della nostra popolazione. È sicuro il Governo di aver tentato tutto il possibile in questa direzione?

Il Paese, dalle dichiarazioni dell’onorevole De Gasperi, non si attendeva soltanto la sostituzione dell’onorevole Corbino, ma anche la fusione dei Ministeri del tesoro e delle finanze. Evidentemente il primo Governo della Repubblica non ha dato una dimostrazione al popolo ch’esso, più che questioni di prestigio personale e di partito, aveva a cuore gli interessi della comunità. Ed io credo ch’esso abbia, in tal modo, perduto una buona occasione.

Dopo le recriminazioni, ahimè! troppo giuste, sollevate dall’onorevole Nitti, in questa circostanza, il Paese si attendeva anche che fosse riparato al danno da esso sofferto dall’accumulazione di enormi responsabilità nelle mani di una sola persona, in un momento così difficile della vita nazionale.

Nessuno più di me è in grado di apprezzare la dirittura morale di un nomo come l’onorevole De Gasperi, con il quale ho lavorato, si può dire, a contatto di gomiti, per molti anni, nella stessa amministrazione. È perciò con affetto di amico che anch’io gli rivolgo vivamente la preghiera di ridurre i suoi impegni a misura d’uomo. Sarà tanto meglio per lui e per il Paese.

Infine il Paese avrebbe apprezzato altamente uno sforzo per riformare l’attuale Governo su basi non rigidamente di partito e di alchimia parlamentare.

Tirando le somme, non credo che lo stesso onorevole Presidente del Consiglio ritenga di aver avviato la crisi che tormenta il Paese verso la sua naturale sedizione, ma soltanto di averla tamponata per alcune settimane. È facilmente prevedibile che essa risorgerà più grave tra breve. Perciò tanto valeva affrontarla ora con tutto il coraggio necessario, e non perdere altro tempo prezioso, che ci potrebbe riservare delle incognite.

Ma a questo punto è necessario fare un’osservazione fondamentale. Il Governo De Gasperi ha finora fallito al suo scopo non tanto per deficienza di un programma, quanto per difetto di buona volontà nel realizzarlo; e continuerà a fallire, se i rapporti tra i partiti che sono al Governo non diventeranno più trasparenti, ed improntati a maggiore fiducia.

Finché in Italia le competizioni civili si combatteranno sulla base della tirannica visione delle proprie metafisiche e delle proprie teologie, i partiti continueranno ad odiarsi, a temersi, a sospettarsi, e non potranno trovare la base minima necessaria per un lavoro in comune.

Ma abbiamo mai veramente provato, noi responsabili della causa del popolo, ad accostarci gli uni agli altri, a rispettarci vicendevolmente, a bruciare in comune per il bene comune?

Facciamo questa prova. Se essa riuscirà, la soluzione di tutti i problemi che ora ci affaticano ne sarà immensamente facilitata. Se riusciremo ad agire in uno spirito di assoluta onestà, di assoluto rispetto degli uni verso gli altri, avremo trovato l’energia atomica spirituale necessaria, la necessaria chiaroveggenza, che conferisce l’amore vissuto, per avviare verso una rapida soluzione il problema del pane e della casa non solo, ma per entrare coraggiosamente nel vivo delle riforme di struttura più rivoluzionarie, che dovranno liberare il popolo dalle spire della mediocrità sociale in cui attualmente vive mortificato.

Se sapremo vivere di questa unità elementare, propria di esseri ragionevoli, avremo trovata la forza sufficiente per risanare le ferite che il fascismo e la guerra hanno lasciato sul corpo della Nazione; e riguadagneremo ben presto il rispetto e la fiducia delle altre Nazioni, della cui mancanza oggi noi soffriamo crudelmente, e crudelmente soffre l’ordine internazionale.

La settimana scorsa, a Caux sur Montreux ho preso parte ai lavori della quarta conferenza mondiale del Riarmo morale, erede dei Gruppi di Oxford.

A Caux ho potuto constatare con mano come sia possibile compiere un lavoro in comune veramente fecondo di risultati tra persone appartenenti ad oltre trenta Nazioni, a razze e credi religiosi diversi, sulla base dei comuni ideali umani di eguaglianza, di giustizia, d’amore fraterno, qualora siano sinceramente professati e concretamente da ciascuno vissuti, anche nella sua vita privata.

Cerchiamo e viviamo questa unità, onorevoli colleghi, e avremo così risolto il problema centrale della nostra vita politica, il problema della pacifica e proficua convivenza e dell’amicizia tra i cittadini e tra i partiti, non importa a quale famiglia spirituale essi appartengano.

Vivere di questa unità è possibile ed è doveroso. Il popolo lo esige da noi.

Le inenarrabili sofferenze del nostro popolo, ai cui bisogni spirituali e morali dobbiamo provvedere, urgono in questa direzione le nostre coscienze. (Applausi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole La Malfa. Ne ha facoltà.

LA MALFA. Onorevoli colleghi, uno dei membri più autorevoli di questa Assemblea, l’onorevole Nitti, ha osservato che noi abbiamo saputo delle dimissioni del Ministro del tesoro Corbino senza conoscerne esattamente le ragioni e che il Presidente del Consiglio ha accettato queste dimissioni senza darcene sufficienti spiegazioni. Io credo che questa osservazione abbia grande valore. Occorre che questa Assemblea prenda cognizione dei termini tecnici del problema della politica del tesoro.

Le conseguenze politiche delle dimissioni sono note al Paese; io direi anzi che purtroppo sono fortemente note al Paese. Un dibattito che doveva essere mantenuto in primo luogo nei limiti di una discussione tecnica, è diventato materia, direi, di speculazione politica e io penso che lo stesso Ministro dimissionario del tesoro, onorevole Corbino, debba dispiacersi di ciò.

In questa Assemblea, da qualunque parte e in qualunque settore si guardi, c’è una esigenza unica ed è quella che la lira sia difesa ad ogni costo. Le accuse che, a questo riguardo, uno dei settori dell’Assemblea e una parte dell’opinione pubblica rivolgono all’altra, non hanno nessun fondamento. La svalutazione della lira, la disfatta, direi, del Governo nella difesa della lira, travolgerebbe il sistema dei partiti politici e della democrazia in Italia. Nessun partito, di destra o sinistra che sia, può volere ciò.

Dovrei qui osservare che questa maniera, specifica e particolare del nostro Paese, di accentuare nei problemi che hanno prevalente aspetto tecnico e su cui, dopo un esame tranquillo, si può avere l’unanimità dei giudizi, di accentuarne, dico, l’aspetto politico, è uno degli inconvenienti più gravi della nostra vita pubblica e, direi, una delle testimonianze più gravi della nostra immaturità politica.

Prendete per esempio un problema come quello della nazionalizzazione delle industrie. Chi abbia seguito l’evoluzione del pensiero economico in questi ultimi anni, sa che il problema della nazionalizzazione rappresenta in certe circostanze un progresso tecnico che interessa la collettività sociale, e non questa o quella classe. È fuor di dubbio che, per esempio, il controllo e la nazionalizzazione dell’industria elettrica in Italia possono rappresentare un elemento di progresso tecnico ed economico, non soltanto per i consumatori, ma per categorie di imprenditori; cioè possono giovare all’industria nel complesso. Questo esempio, che è valevole in un campo, può esser valevole in altri campi; e se noi vogliamo dar prova di educazione democratica, dobbiamo discutere di questi problemi pacatamente e tranquillamente, accentuandone l’esame tecnico, e tenendo lontano ogni dogmatismo politico.

È molto facile, nel Parlamento o nella stampa, riferirsi alla nazionalizzazione come a tentativo di sovvertimento sociale, a un primo passo verso trasformazioni rivoluzionarie della struttura economica. Ed è molto facile altresì, ad un ingenuo massimalismo di sinistra, considerare un problema di nazionalizzazione dell’industria come il primo passo verso una palingenesi sociale. Ma questa impostazione semplicistica dei problemi, che mi pare caratterizzi purtroppo buona parte della stampa, rovina le possibilità della democrazia. Non esistono posizioni così assolute. In ogni momento politico si risolvono problemi concreti che la società offre; e non si risolvono a favore di questa o di quella classe, ma a favore della collettività tutta.

Così si presenta il problema, onorevoli colleghi, della così detta iniziativa privata o pubblica. Nel leggere il Risorgimento Liberale, io ho molto spesso l’impressione che a toccare l’iniziativa privata venga giù il mondo. Non è così. Si incide sull’iniziativa privata ogni qualvolta questa iniziativa nuoce allo sviluppo degli interessi collettivi. E noi possiamo trovare, non un esempio, ma mille esempi nel corso degli avvenimenti economici dell’ultimo trentennio, in cui l’iniziativa privata non ha portato avanti la società, ma l’ha fatta regredire.

Le discussioni impostate su basi così astratte dànno molte volte l’impressione che noi siamo ancora a dibattere problemi con lo stile ed il metodo della fine del secolo scorso, del 1890, che noi dimentichiamo che la società umana ha progredito nella soluzione di molti problemi ed ha abbandonato posizioni dogmatiche assolute, per affrontare problemi concreti di evoluzione sociale. Se poi a questa maniera di affrontare i problemi, si aggiungono alcune idee peregrine, come quella dello Stato amministrativo, di sapore settecentesco, la confusione non potrebbe essere maggiore. E questo Paese, che ha bisogno soprattutto di realizzazioni concrete, finirà col non capire più nulla della nostra funzione.

Ho voluto premettere queste osservazioni, onorevoli colleghi, perché esse calzano molto a proposito per quanto riguarda la politica del tesoro. Nel campo della politica del tesoro, noi abbiamo avuto un enorme progresso di conoscenze e di metodi tecnici negli ultimi quindici anni. Direi, anzi, più esattamente, che dopo la grande crisi del 1929, in cui furono sperimentati per l’ultima volta i mezzi del liberalismo classico, si aprì la via per i tecnici e i politici dell’economia a nuove esperienze e a nuovi metodi di lavoro nel campo della tesoreria e della finanza pubblica.

La politica del Ministero del tesoro è una politica centrale: è una politica che controlla o deve controllare tutto il settore privato dell’economia e tutto il settore pubblico. Direi, che la politica del tesoro è interessata permanentemente ai due settori e alle due posizioni: privata e pubblica. Quindi, onorevoli colleghi, enorme responsabilità.

Quando io dico che la politica del tesoro è al centro del settore pubblico e privato, non intendo dire che il Ministro del tesoro debba ingerirsi intimamente nel settore privato dell’economia. Intendo soltanto dire che un Ministero del tesoro, modernamente organizzato, deve conoscere gli svolgimenti e le direzioni dell’economia privata e, se del caso, deve essere in grado di controllare questa economia e di farne deviare il corso secondo gli interessi della collettività. Noi dobbiamo distinguere, se vogliamo vedere esattamente i fenomeni, i problemi di intervento dai problemi di conoscenza dei fenomeni economici. Non si conduce una politica finanziaria degna di questo nome, in questi anni, se non conoscendo esattamente tutti i fatti economici che avvengono sia nel settore privato sia nel settore pubblico dell’economia, e agendo coerentemente a questa conoscenza.

Nel superamento della crisi economica più grande che abbiamo avuto di recente, quella del 1929, e, direi, nella stessa trasformazione dell’economia di pace in economia di guerra, noi abbiamo avuto l’applicazione di questi criteri moderni di condotta della politica del tesoro nei vari Stati. Anche ad escludere la Russia sovietica, il cui sistema economico si può considerare peculiare, noi abbiamo visto svolgersi nuove esperienze tecniche negli Stati più diversi. La Germania nazista, l’Inghilterra liberale e gli Stati Uniti hanno condotto una politica finanziaria tecnicamente inappuntabile, hanno saputo cioè trasformare l’organizzazione privata dell’economia in maniera da farla servire agli scopi bellici dello Stato. Come vedete, ho citato esempi di regimi politici ben diversi. La verità è che, al di là dei presupposti politici di questi diversi regimi, c’è stata una condotta tecnica nel campo dell’economia e della finanza che ha risposto ai criteri, agli studi, all’esperienza che sono maturati nel mondo dalla prima alla seconda guerra mondiale.

Paesi come l’Italia e la Francia non sono riusciti a dare un indirizzo tecnico coerente alla trasformazione dell’economia di pace in economia di guerra. In questi paesi, il travaglio, il passaggio dall’economia di pace alla economia di guerra ha mostrato le maggiori deficienze. Il che, voi sapete bene, ha avuto le sue conseguenze nel campo della stessa condotta militare della guerra. Si tratta quindi di fenomeni molto importanti e che noi non dobbiamo trascurare.

La politica del tesoro ha alcune leve di comando. La prima è costituita dal congegno fiscale, ed io qui non sono d’accordo con il collega Riccardo Lombardi. Non è vero che la politica del Ministero delle finanze abbia più importanza della politica del Ministero del tesoro. Direi che, in una visione generale e complessa del problema della politica del tesoro, entra necessariamente in giuoco la condotta del Ministero delle finanze. È uno degli elementi essenziali di questa politica, e quindi l’unificazione tecnica dei due Ministeri deve prescindere da ogni considerazione politica e deve essere ricondotta a una ragione squisitamente tecnica. Non è possibile a nessun Ministro del tesoro di condurre la battaglia per la stabilizzazione della lira senza che esso abbia, minuto per minuto, la possibilità di controllare il congegno fiscale e di muoverlo nella direzione giusta. L’altra leva, di cui dispone il Ministro del tesoro, è quella del risparmio e della formazione di capitali, politica in cui l’onorevole Corbino ha dato grandi prove di abilità tecnica. La terza leva è costituita dal sistema dei prezzi e dal sistema dei salari e la quarta leva dal movimento dei cambi con l’estero.

Ora, solo attraverso l’esame dell’uso che l’onorevole Corbino ha fatto di queste leve, noi siamo in grado di arrivare ad una conclusione sulla politica del tesoro.

Quando l’onorevole Corbino si presentò al Ministero del tesoro ed illustrò in Consiglio dei Ministri la sua politica, a me parve evidente che egli aveva trascurato alcuni particolari aspetti del problema della tesoreria. Come fu necessaria una grande unità di direttive nel passaggio dall’economia di pace all’economia di guerra, è necessaria una politica del tesoro estremamente coordinata nel passaggio dalla economia di guerra a quella di pace. Noi non possiamo prescindere in nessuna maniera da questa necessità, cioè noi dobbiamo considerare che la sfera di intervento pubblico nell’economia, finché le condizioni, non solo del paese ma generali, sono eccezionali, deve essere assai vasta e particolarmente curata.

A me parve, come dicevo, fin dalla prima esposizione dell’onorevole Corbino, che egli volesse far valere una certa politica economica nel paese e su questa costruire una politica di tesoreria. Mi parve cioè che la tesi dell’onorevole Corbino fosse una tesi liberista tradizionale, cioè diretta a dare grande impulso alla iniziativa privata, per svilupparla e toglierle ogni preoccupazione, e che solo da questa riattivazione l’onorevole Corbino si attendesse i mezzi per alimentare la tesoreria. In altre parole, l’onorevole Corbino ha fatto dipendere l’alimentazione della tesoreria da una politica produttivistica privata.

Questa sua posizione fu caratteristica nel problema del cambio della moneta: che si presentò anzitutto come problema di accertamento statistico ai fini di una finanza straordinaria.

L’onorevole Corbino ebbe torto, a mio giudizio, a prendere posizione assolutamente negativa in materia di cambio della moneta. Ed io devo dire che, sebbene noi avessimo come responsabile nella politica delle finanze un altro titolare, l’onorevole Corbino volle deliberatamente assumere una corresponsabilità in un indirizzo di politica fiscale. D’altra parte, la politica produttivistica andava oltre le esigenze che il Paese manifestava. Non e vero – ed io qui sono in disaccordo col collega Riccardo Lombardi – che le classi possidenti non vogliano pagare. Io credo che lo stato psicologico di coloro che possono e devono contribuire alla finanza straordinaria sia stato di leale aspettazione. Quando e che cosa dobbiamo pagare? E questo «che cosa dobbiamo pagare» significava per molti: dobbiamo pagare parecchio, siamo disposti a pagare parecchio. Vi era la sensazione, qualche tempo fa, ed io spero che questa sensazione sia rimasta, che senza gravi sacrifici, soprattutto da parte di coloro che detengono la ricchezza, il Paese non avrebbe potuto uscire dalla crisi economica. È stato per molti una sorpresa il fatto che, in presenza di questo stato d’animo, non si sia mai determinato, da parte dello Stato, né come né quando né in che misura i contribuenti dovevano pagare.

Il cambio della moneta significava la conferma di una direttiva di politica fiscale e, direi, anche il presupposto, perché, per una politica tributaria che volesse colpire anche la ricchezza mobiliare, un’operazione di quel genere appariva essenziale. Ecco perché il cambio della moneta è stato applicato nei più svariati paesi. L’onorevole Corbino ha voluto prescindere da questo elemento fondamentale di politica fiscale e ha voluto fondare il suo sistema di alimentazione della tesoreria sulla fiducia che la sua politica produttivistica e il suo incoraggiamento del risparmio avrebbero determinato.

Osservai al Presidente del Consiglio di allora, onorevole De Gasperi, che questa maniera di impostare il problema mi sembrava quasi una spinta ad una politica inflazionistica. Naturalmente, la mia osservazione apparve temeraria, sebbene i fatti mi abbiano dato oggi ragione. D’altra parte, l’onorevole Corbino ha affermato la sua politica produttivistica con tale energia e direi con tale decisione da convincere molti, e in primo luogo il Presidente del Consiglio, della giustezza della sua politica. Dico molti. Ho ascoltato con molta attenzione il discorso dell’amico e collega Riccardo Lombardi e mi sono ricordato che egli ha condiviso, all’epoca della formazione del primo Governo De Gasperi, le critiche che io muovevo, che alcuni di noi muovevano, alle concezioni di Corbino. Tuttavia nel discorso che Lombardi ha pronunciato in luglio in questa Assemblea egli si è dichiarato convinto della politica produttivistica di Corbino. Si è parlato anche di abolire, se necessario, la nominatività dei titoli azionari, se questo poteva servire a incoraggiare l’investimento nell’industria. Ciò mostra che in questa delicata materia, noi abbiamo avuto uomini di valore che hanno oscillato nel loro pensiero generale. Questo, ad onor del vero, non è avvenuto per l’onorevole Corbino, che è stato fermissimo nei suoi convincimenti.

Naturalmente, la politica di Corbino così delineata non poteva non produrre determinate conseguenze. E le maggiori si sono avute nel campo salariale. Condizione essenziale perché il Ministero del tesoro possa ottenere dai sindacati una determinata condotta in materia di salari e dei stipendi, è che egli, attraverso una pressione fiscale durissima, chiami a sopportare sacrifici le classi abbienti, ed elimini il potere d’acquisto eccedente le normali necessità dal mercato: è l’esistenza di questo potere di acquisto che costituisce una delle maggiori spinte all’aumento dei prezzi e quindi alla inflazione.

Battendo fortemente, con ogni sorta di tributi, coloro che detengono capitale e risparmio, si ha il diritto di pretendere dalle classi lavoratrici, e quindi dalla C.G.I.L., un comportamento adeguato in questo settore. E a questo proposito io devo dire alla C.G.I.L. una verità. Non è possibile richiedere la stabilizzazione dei prezzi e pretendere continui aumenti di salario. Nella formazione del reddito, i salari e gli stipendi entrano per il 60 o forse per il 70 per cento. Il reddito è quindi per la maggiore sua quota, frutto di lavoro. Se si vuole stabilizzare e difendere la moneta, si deve imporre una tregua salariale, cioè il Ministro del tesoro deve poter dire alla Con federazione del lavoro: io mi impegno a questa politica; entro un certo numero di mesi cercherò di arrivare alla stabilizzazione dei prezzi, ma in questo periodo non posso accettare nessuna agitazione e nessuna politica di adeguamento salariale. Questa è una delle condizioni fondamentali perché si realizzi una politica di stabilizzazione. Se entro sei mesi un Governo che si è assunto questo impegno non è riuscito a stabilizzare o a dare una direzione ai prezzi, la politica è fallita e la Confederazione del lavoro potrà riprendere la sua libertà d’azione. Ma per il periodo in cui una politica è in atto, la Confederazione deve star ferma.

Una voce. Sono gli operai che pagano!

LA MALFA. Ho già premesso che presupposto di questa politica è che, anzitutto, paghino fiscalmente coloro che detengono capitali. Ma poi è la volta dei prezzi e dei salari. Ad ogni aumento salariale corrisponde un aumento dei prezzi, e la corsa può continuare all’infinito.

Anche qui il problema va visto nella sua tecnicità; perché se lo poniamo in termini politici, non usciamo mai dalla crisi ed accentuiamo la frattura, fra classi sociali e fra partiti, che già per molti versi esiste nel Paese.

Osservo ancora che quando l’onorevole Corbino ha iniziato la sua politica, è andato incontro a un periodo felicissimo. Io auguro a qualsiasi Ministro del tesoro di avere un periodo felice come quello avuto da Corbino. Egli si è trovato di fronte a una fase di diminuzione dei prezzi, cosa che non penso accadrà certamente, almeno per ora, all’onorevole Bertone. A che è stata dovuta questa diminuzione? Nel novembre scorso noi eravamo ancora in regime di stato d’assedio, cioè il nostro mercato era chiuso e le nostre relazioni commerciali con l’estero non erano ricominciate. Quindi il sistema dei nostri prezzi risentiva di questa situazione eccezionale, di questa situazione di guerra. Vi era aridità assoluta di determinati mezzi e prodotti sul mercato. Quando si aprì il mercato internazionale, si ebbe una repentina discesa dei prezzi, non ultima causa del rifluire di fondi al tesoro. Fu uno degli elementi del successo della politica di Corbino, ma fu dovuto anche al fatto che la speculazione in merci non era più possibile, perché la tendenza dei prezzi era al ribasso.

Vorrei aggiungere a questo proposito che, data la tendenza dei prezzi, la preoccupazione di Corbino che l’annuncio del cambio della moneta potesse fare rifluire i fondi verso le merci, non aveva grande ragione d’essere. La tesaurizzazione in merci sarebbe apparsa operazione poco economica.

D’altra parte, intendiamoci, non bisogna nemmeno farsi un mito di questo: per difendere la lira, non emettere nemmeno una lira. Non si tratta di principî assoluti. Si può difendere la lira anche emettendo temporaneamente nuove lire. Se col cambio della moneta in maggio potrò realizzare 60-70 miliardi, posso alimentare la tesoreria con emissione di biglietti dal gennaio all’aprile. Quando ho emesso un certo numero di miliardi, sapendo che li riprenderò attraverso l’imposizione fiscale dopo qualche mese, posso anche sopperire con nuova circolazione ai bisogni di tesoreria.

In definitiva, tutta la politica produttivistica dell’onorevole Corbino ha determinato l’afflusso di 64 miliardi nelle casse dello Stato dal gennaio al giugno. Ora, se si considera che il cambio della moneta avrebbe potuto dare, su per giù, lo stesso gettito, si può concludere che non valeva la pena di sacrificare una politica fiscale alla politica di fiducia dell’onorevole Corbino. Se è vero che le condizioni della tesoreria oggi sono quelle che sono, l’operazione di Corbino si può considerare poco riuscita. Noi abbiamo dato un certo orientamento alla nostra politica senza cavarne 200 miliardi, ma quello che avremmo potuto cavare con mezzi più sicuri.

La verità è che Corbino ritiene, e lo ha solennemente affermato in questa Assemblea, che sia indifferente per lo Stato prendere i fondi attraverso prestiti o attraverso imposte. Non è così. I due casi non coincidono assolutamente. È vero che in certi casi coloro che devono pagare le imposte tirano fuori le somme dalle banche, che l’avranno probabilmente già cedute al tesoro. Ma non tutti coloro che devono pagare imposte hanno dato danaro allo Stato; anzi, la maggior parte non ne ha dato o solo parzialmente. Comunque la differenza essenziale tra i due sistemi è una sola: che, quando io ho preso fondi attraverso l’imposizione fiscale, i fondi non escono più dalle casse dello Stato; ma quando li ho presi attraverso prestiti, essi in qualunque momento possono defluire dalle casse dello Stato. Al di là di un certo limite, si crea un grave peso per la tesoreria, e si possono determinare situazioni, estremamente gravi.

Ritengo che, se vogliamo fare una politica di difesa della lira, dobbiamo, in primo luogo, usare il congegno fiscale, e, dopo, gli altri mezzi. La politica fiscale decurta, ripeto, il potere d’acquisto del mercato e opera molto più efficacemente dei calmieri, che io considero pannicelli caldi, sul sistema dei prezzi. Naturalmente, oggi non si può fare affidamento sull’afflusso di merci estere per un’ulteriore diminuzione dei prezzi. Il periodo felice, di cui ha goduto l’onorevole Corbino, si è chiuso. Anche in questo campo le sue previsioni su un’ulteriore diminuzione dei prezzi non si sono avverate. Poiché lo Stato non ha forte disponibilità valutarie, esso non può alimentare il mercato secondo le sue necessità. Ed i prezzi tendono ad adeguarsi alle condizioni reali di approvvigionamento. Più tardi, con la possibilità di utilizzare prestiti esteri o per altre evenienze, la pressione dei prezzi internazionali si farà sentire. E allora bisognerà approfittarne.

Io mi scuso con l’onorevole Corbino e col Presidente del Consiglio per queste critiche, ma ritengo che dobbiamo guardare in faccia la realtà e dirci francamente queste cose. Non si tratta di usare facili armi di polemica; io non credo di usare argomenti polemici. Si tratta di chiarire a noi stessi i problemi.

In conclusione, non è luogo e tempo adesso di promuovere l’iniziativa privata. L’iniziativa privata si promuove da sé. Occorre piuttosto badare al passaggio, cui accennavo, dall’economia di guerra a quella di pace. Esso deve avvenire gradualmente. Se lo Stato si lascia sfuggire il controllo di questa situazione, determinerà un disordine maggiore nei due campi, e dell’economia privata e della pubblica. Alcuni provvedimenti, che sono stati o semplicemente annunciati o adottati, mi dànno ragione. Così l’abolizione della nominatività dei titoli. Questo provvedimento, che fu semplicemente auspicato, non s’inquadra in nessuna politica del tesoro, È un assurdo. È inutile chiamare speculatori quelli che operano in borsa. Si sa benissimo che se si annunzia l’abolizione della nominatività dei titoli, le quotazioni salgono. Prendersela con gli operatori in borsa, che evidentemente non sono dei frati, significa ignorare l’essenza del problema. Se si vuole che non si determini un movimento al rialzo, bisogna non abolire la nominatività.

Da questo punto di vista, la politica del Ministro del tesoro è una politica estremamente difficile. Il Ministro non ha da fare coi santi, ma con uomini d’affari estremamente accorti, che sanno cogliere a volo le conseguenze di una determinata politica di Governo. I nostri biasimi su quello che il capitale privato fa o non fa non servono assolutamente a nulla. Il capitale privato fa quello che noi consentiamo che faccia. Siamo noi che dobbiamo fissare una politica che, non danneggiando la finanza pubblica, non limiti al di là del necessario l’iniziativa privata. Occorre stabilire esattamente, i limiti e non andare avanti e indietro. Quello che è avvenuto in materia d’incoraggiamento al capitale privato, dal mio punto di vista, è assolutamente contraddittorio. Noi diamo prima una spinta al capitale privato e poi accorgendoci di avere sbagliato, gridiamo allo scandalo. Una politica economico-finanziaria deve avere una visione dei problemi della ricostruzione per un certo numero di anni.

È possibile, onorevoli colleghi, che fra tre o quattro anni lo Stato non abbia più un bilancio straordinario, ma da qui a tre o quattro anni lo Stato sarà al centro della iniziativa economica del Paese. Esso deve avere la responsabilità di questa politica. Non può lasciare andare l’economia nel settore privato e in quello pubblico così come è andata fin’ora. Nessuno vuole ciò. Tutti chiedono una politica chiara e netta. Tutti desiderano che voi diciate francamente che cosa volete da coloro che detengono i capitali, e quali sono le condizioni e i limiti della tassazione. Detto questo una volta per tutte, la gente sa che cosa fare. Solo così voi rispettate l’iniziativa privata. In altre condizioni non la rispettate più. È fondamentale per me togliere il Paese dall’ansia in cui vive e chiarire la situazione.

La critica che i comunisti hanno fatto a Corbino è una critica che ha la sua ragione d’essere dal punto di vista tecnico. E non perché parte da loro deve essere dichiarata infondata. Il partito comunista ha individuato il punto debole di una politica e quando io ho assistito a questo fatto, di giornali che hanno rifiutato degli articoli di critica a Corbino perché questo significava aiutare la tesi del comunismo, ho pensato che questo non è paese di democrazia. Se questa è la posizione che si intende prendere, la finanza e l’economia non c’entrano. Ci sono due posizioni polemiche e queste due posizioni si valgono di qualsiasi argomento per accentuare la frattura nel Paese. I problemi non hanno soluzione democratica, ed il fucile è la sola arma che ci rimane per risolvere il conflitto.

Come dicevo inizialmente, il problema della nostra difesa monetaria è un problema comune a tutti i partiti. Nessuno può seriamente pensare che il partito comunista voglia il disfacimento monetario del Paese. Se dunque il problema è comune a tutti, abbiamo il dovere di trovare i termini tecnici per la sua soluzione e la discussione deve essere pubblica e riuscire estremamente chiara al Paese. Mi auguro che il nuovo Ministro del tesoro, quando avrà esaminato la situazione, verrà a darci cifre complete e non a spizzico una cifra o l’altra. E mi auguro altresì che questa Assemblea possa discutere su problemi concreti e non su cose astratte, che non portano nessun beneficio al Paese.

Nuova politica. Io ho ascoltato con molto interesse le dichiarazioni del Presidente del Consiglio. Debbo dire che mi sono parse piuttosto vaghe. Siccome il Presidente del Consiglio non ha responsabilità tecnica, dobbiamo attenderci dal Ministro del tesoro più precise ed esaurienti dichiarazioni. Ed in primo luogo, bisogna che diciamo al più presto che cosa noi vogliamo realizzare col sistema delle imposizioni straordinarie. Non importa che le applichiamo subito; dobbiamo dire che cosa vogliamo: quando vogliamo applicare queste imposte; quali sono le aliquote relative. Leggevo sul giornale Il Tempo una critica feroce al progetto comparso sul giornale Il Globo. Lo si accusava di costituire una spoliazione, che così tutti coloro che detengono ricchezze devono vendere i loro beni per dare il danaro allo Stato; lo Stato diventa padrone di case, ecc. Credo che questa maniera di trattare i problemi sia di una rudimentalità veramente singolare. Lo Stato può anche decretare una imposizione severa, se è necessario. Ci sono mille mezzi tecnici per mobilizzare le imposte. Non è necessario che il contribuente venda i beni. Il problema non è relativo all’altezza delle aliquote, s’intende entro certi limiti. Il problema è di determinare, una volta per tutte, la direzione della nostra politica finanziaria.

Ancora in materia di imposizione straordinaria, è necessario che anche l’imposta personale progressiva sia applicata prima della cosiddetta stabilizzazione. E non dopo, come mi sembra abbia affermato il presidente del Consiglio. Non possiamo aspettare una stabilizzazione di cui l’imposta personale è presupposto fondamentale.

Ma il problema grave nell’esposizione fatta dal Presidente del Consiglio è questo: determiniamo le imposte, tutte le imposte e tranquillizziamo il Paese; ma come risolviamo il problema della tesoreria? E qui io vorrei pregare la cortesia dell’onorevole Corbino di renderci possibile nella sua esposizione una visione completa del problema, di comunicarci i dati che a noi mancano per giudicare completamente la sua politica. Si dice che la situazione della tesoreria sia molto debole. Occorre conoscere i dati della situazione reale. Un altro elemento che serve al nostro giudizio è quello dei residui passivi. Ho sentito parlare in quest’Assemblea dei mezzi con cui si alimenta la tesoreria: fondi bancari, ecc. Non ho sentito parlare di residui passivi. Mi ricordo che uno dei mezzi con cui si alimenta il bilancio dello Stato è quello di postergare il pagamento dei debiti. Dobbiamo sapere cosa erano i residui passivi un anno fa e cosa sono oggi, e questo per completare il nostro giro di orizzonte sulla situazione.

Per quanto riguarda la disponibilità dei fondi, evidentemente, siamo in una situazione molto grave. Quali sono i mezzi per superarla? Vi è stata una proposta dell’amico Lombardi: legare il cambio della moneta ad un prestito. Dirò più avanti quale è il mio pensiero su ciò. Ma vorrei che si decidesse se questo cambio si deve o non si deve fare. A mio giudizio va fatto; si farà fra nove o dieci mesi, ma dovrà essere fatto. Mi risulta che sono sorte difficoltà tecniche; questo è un fatto estremamente grave e sarebbe bene promuovere anche un’inchiesta in proposito. Ma ciò non toglie che il problema possa essere risolto.

Comunque, nel progetto del collega Lombardi si legava il cambio della moneta alla emissione di un prestito, dando ai detentori di capitali mobiliari la scelta fra pagare un’imposta o sottoscrivere al prestito. Io non sono d’accordo con questa idea: non possiamo imporre un prestito ai capitali mobiliari soltanto. Il capitale mobiliare è quello che meno si è avvantaggiato dell’inflazione. Un prestito di questo genere si dovrebbe applicare a tutto il complesso della proprietà immobiliare e mobiliare.

Ma il problema, come tesoreria, è il seguente: è possibile, e in che maniera, anticipare il gettito delle imposte? Perché se il gettito si realizza tra quattro o cinque mesi, noi avremo quattro o cinque mesi di difficoltà di tesoreria.

In genere, si possono suggerire due sistemi. Uno potrebbe essere quello adottato in Germania: anticipare il versamento delle imposte concedendo sconti adeguati. Io credo che il Ministro del tesoro possa tecnicamente studiare il problema se non convenga estendere il sistema anche alle imposte ordinarie, cioè, chiamare il contribuente – attraverso sconti e facilitazioni – ad anticipare il pagamento dei tributi.

Un altro sistema, raccomandato da tecnici, è quello di esentare dall’imposta progressiva la parte di patrimonio che viene versata in prestito, e credo, che, in certo senso, questo possa essere fatto. Cioè, il capitale che viene sottoscritto non viene calcolato nell’imponibile dell’imposta progressiva.

Rimane il problema del credito allo Stato, credito che, mi sembra, abbia subito una certa diminuzione. Ora io ho l’impressione che il sistema bancario sia sempre controllabile dall’ispettorato del credito; mentre il congegno fiscale e gli uffici finanziari lasciano ancora a desiderare, mentre il sistema dei prezzi non è ancora disciplinato, il sistema bancario è controllabile dall’organo cui ho accennato. Se c’è un campo in cui il Ministro del tesoro ha delle cifre esatte – perché sono cifre contabili – questo è quello del credito. Anche in questo campo il Ministro del tesoro deve fare un notevole sforzo e indurre il sistema bancario a venire incontro alle necessità della tesoreria. Una pressione in tale senso può ancora dare utili risultati. Io mi ricordo di aver letto, nel periodo di guerra, circolari della Banca d’Inghilterra con le quali, senza coazione alcuna, si pregavano i direttori ed amministratori delle grandi banche di ridurre, data la situazione di tesoreria, gli investimenti privati e di fare affluire i fondi alla tesoreria dello Stato. Naturalmente, in un paese pervaso di spirito democratico com’è l’Inghilterra, non è necessario un decreto, ma sono gli stessi amministratori delle grandi banche che si rendono conto delle conseguenze che uno slittamento della moneta può avere sulla situazione. Io credo che qualcosa di simile si possa fare anche in Italia.

In questi momenti, del resto, il Ministro del tesoro deve avere molta fantasia. Prima che le imposte straordinarie diano un gettito, si tratta di sfruttare tutti i mezzi e tutti gli accorgimenti che la tecnica offre. Se arriva un aiuto dall’estero, ben venga, perché credo che questa sia una delle leve più potenti per creare nuove possibilità di tesoreria.

Per quanto la situazione sia grave, penso che noi possiamo dare l’impressione al paese – sono in questo d’accordo con il Presidente del Consiglio – che non abbiamo perduto la battaglia della lira e che la lira può essere difesa. Dobbiamo dare anche la sensazione che tutti devono fare sacrifici, altrimenti la rovina non sarà di questa o di quella classe sociale, ma dell’intera collettività.

Qualche parola sul problema nei cambi ed ho finito. Il problema dei cambi è collegato ad un provvedimento di cui io sono un poco responsabile. Quando ero Ministro del commercio estero sono stato io a proporre la concessione in libera contrattazione di un 25 per cento della valuta agli esportatori.

Trascuro le discussioni che su questo Ministero sono avvenute in quel tempo; si è parlato di limitazione alla libertà di commercio ed altro. Discussioni assurde. Un Ministero del commercio estero serve a passare dalla libertà di commercio all’intervento dello Stato, ma serve anche a passare da una politica di intervento statale, gradualmente, alla libertà di commercio. Le discussioni sono state per me la prova specifica della assoluta immaturità della stampa nel considerare problemi di questo genere. Che cosa era il Ministero del commercio estero come io l’ho visto ricostituirsi sulla tradizione? Il Ministero del commercio estero era una amministrazione di affari privati; il Ministero decideva affari privati: su una domanda di esportazione bisognava dire sì o no. In genere, né il Ministro né i funzionari sono degli esperti di tutti i singoli rami dell’economia. Occorreva uscire dall’arbitrio di determinazioni occasionali, di un giuoco di testa e croce. La concessione di una percentuale di valuta nelle merci esportate aveva appunto lo scopo di portare su un piano di determinazioni generali l’attività del Ministero del commercio estero. Se il Ministero del commercio estero autorizza l’importazione generica di determinati prodotti, fa politica commerciale; se autorizza una singola importazione, non fa politica, ma si ingerisce in affari privati. Ora il sistema del 25 per cento, che io non avrei portato al 50 per cento, aveva il vantaggio di sperimentare un sistema, ma non doveva consentire l’evasione dei capitali. Il controllo valutario doveva rimanere. Se c’è evasione, se quel 50 per cento non rientra sotto veste di merci importate, evidentemente il congegno tecnico di controllo non funziona.

Dal punto di vista tecnico, per completare questa esposizione, la sola osservazione che devo ancora fare all’onorevole De Gasperi è quella che riguarda il cumulo dei portafogli. L’onorevole Nitti ha illustrato questo problema da par suo. Per parte mia, durante la crisi Parri, andai dall’onorevole De Gasperi per dirgli che, a mio parere, il Presidente del Consiglio non poteva essere anche titolare di dicasteri. Io ero al dicastero dei trasporti nel Governo Parri. In sei mesi non ho potuto parlare della politica dei trasporti col Presidente del Consiglio. Un Ministro, che fa parte di un Governo, non può fare una politica soltanto personale. Per scarico di coscienza egli ha bisogno di trattare della sua politica innanzitutto col Presidente del Consiglio dei Ministri, poi nel Consiglio dei Ministri. La risposta che mi diede l’onorevole De Gasperi, quando gli manifestai il mio parere, non mi piacque. Mi si disse che anche Giolitti deteneva il Ministero dell’interno. Ora lo Stato che esce dal regime fascista non è lo Stato di una volta.

Vi è stata una profonda trasformazione nella vita del Paese, e lo Stato di oggi deve dare un indirizzo politico a tutta la vita della Nazione. Oggi il Presidente del Consiglio deve chiamare ogni giorno i suoi Ministri, udire le loro decisioni politiche. Questa è la sola garanzia che una politica sia politica di governo e non politica personale di Ministri. D’altra parte lo stesso ordinamento che si dà ai lavori del Consiglio dei Ministri mi ha fatto seria impressione. Il Consiglio dei Ministri non discute mai della politica dei dicasteri, discute di leggi. Ma le leggi non sono tutto. Si discute, per esempio, al Consiglio dei Ministri del Consiglio di amministrazione della Roma nord. Che importanza ha per un Ministro discutere coi suoi colleghi di questo provvedimento? Questo può discuterlo un Consiglio di sottosegretari o di direttori generali. Il problema fondamentale è quello della politica dei singoli dicasteri.

C’è un ordinamento strutturale che va riveduto. In Consiglio dei Ministri si deve decidere della politica del Governo. Io ho visto sminuzzare la discussione su provvedimenti legislativi fino all’esame di singoli articoli. Ma che cosa importano gli articoli nella visione della politica di un Governo? Abbiamo mai avuto una relazione sulla politica dell’agricoltura? La stessa politica del tesoro non è stata mai affrontata né in questa Assemblea, né fuori di questa Assemblea.

Con questa mancanza di linee politiche concrete, la nostra stampa non ha mai un problema serio da trattare. Ha il problema del comunismo, del socialismo, del cattolicesimo, delle ideologie e dei contrasti, ma non ha mai un problema vero e proprio da affrontare.

Vi cito a questo proposito una mia esperienza: si trattò ad un certo punto di ricostruire la linea adriatica. Nacque il problema di spostare le stazioni ferroviarie. Ciascun comune credeva di aver diritto, per ragioni turistiche od altre, a questi spostamenti. Venivano delegazioni, rappresentanze comunali, ecc. a chiedere spostamenti. Non sapevo che cosa fare. Ho pregato l’Amministrazione di calcolare che cosa avrebbe comportato lo spostamento delle stazioni ferroviarie: 30 miliardi di lire. Io non ero in grado di decidere se favorire il comune di Rimini o quello di Pescara. Non era una decisione del Ministro dei trasporti, era una decisione di Governo. Perché la stampa non può occuparsi di questi problemi, mentre si occupa molte volte di chiacchiere inutili? Questi sono problemi di struttura governativa. Sono problemi per i quali non possiamo dire: il Consiglio dei Ministri del 1860 era ordinato su queste basi. Il Consiglio dei Ministri del 1860 non ha nulla a che fare col Consiglio dei Ministri attuale, con i problemi dello Stato e del Governo attuali.

Non ho altro da dire. I problemi della democrazia per me sono questi. Noi dobbiamo pensare che un terzo della ricchezza nazionale è distrutto e che ci sono condizioni obiettive contro cui occorre lottare, che sono condizioni di fame e di miseria. Un terzo della ricchezza distrutta, significa milioni e milioni di italiani che non hanno mezzi di vita. Questi problemi, che la democrazia deve affrontare, non possono essere risolti in un giorno o in un mese. Il malcontento, la fame, la miseria battono alle nostre porte e non possiamo fare nulla, perché non possiamo creare un terzo della ricchezza nazionale in uno o due anni. Tuttavia dobbiamo avere il senso del cammino da percorrere. Dobbiamo sapere fin da ora qual è la strada che ci conduce alla meta. Dobbiamo aver fede ed energia; perché se è vero che la democrazia noi la costruiremo in un lungo spazio di tempo, in questo spazio di tempo dobbiamo considerarci in regime di guerra. Oggi sembra tutto oscuro, ma se abbiamo fede nell’avvenire, tutto diventerà, chiaro. Quelli di noi giovani che hanno combattuto, hanno combattuto non per sentirsi dire dal Presidente del Consiglio: Scusate, io non sono Facta, ma per sentirsi dire che qualche cosa si può e si vuole costruire. (Vivissimi applausi a sinistra e molte congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Corbino. Né ha facoltà.

CORBINO. Ho ascoltato col più vivo interesse la spiegazione scientifica della politica del tesoro che ha voluto dare l’onorevole La Malfa. Lo ringrazio per le parole gentili che talvolta egli ha dette a mio riguardo, ma non gli sono grato di avermi fatto soltanto oggi questa lezione. Se me l’avesse fatta il 9 dicembre 1945, egli avrebbe reso un grande servizio a me e forse anche al Paese, perché, a sentire le enormi difficoltà alle quali io sarei andato incontro, con leve di qua e leve di là, con direttive politiche delle quali molto modestamente non arrivo talvolta a vedere il nesso logico, io mi sarei spaventato talmente che avrei recisamente rifiutato il portafoglio del tesoro. Non ebbi quella fortuna e mi trovo qui nella veste, non dirò di imputato, ma di vinto. Però consentitemi di dirvi che anche i miei vincitori, ai quali sportivamente rivolgo le mie più vive congratulazioni, non sono del tutto tranquilli di non dover pagare anche loro qualche piccola cosa per la vittoria.

Consentitemi innanzi tutto di rilevare che si commette un errore gravissimo quando si dice: politica economica di Corbino. La politica economica del tesoro non può essere una politica personale. Nessun Ministro può fare una politica personale, e meno di tutti la può fare il Ministrò del tesoro, perché al tesoro confluiscono le cose buone e le cose cattive che fanno tutti gli altri colleghi del Gabinetto. Il povero Ministro del tesoro è una specie di punto centrale in cui vengono a confluire tutti gli errori ed i successi degli altri colleghi. È per questo che sarebbe bene che i Ministeri fossero poco numerosi: vi sarebbero minori probabilità di errori e minori guai per il Ministro del tesoro.

Ora, dov’è questa benedetta politica di Corbino? Io, francamente, mi sono sentito perfino inorgoglito nel sentir dire di avere fatto una politica corbiniana. Io non ho fatto nessuna politica personale: potete essere sicuri di questo. (Si ride).

C’è stato solo un momento in cui ho potuto dare – diciamo così – un’impronta personale alla mia politica; ed è stato il momento in cui si doveva decidere – come ha ricordato l’amico La Malfa – della questione del cambio della moneta.

Io, personalmente, ero convinto – a parte il fatto che tecnicamente non lo si poteva attuare – che fare il cambio della moneta sarebbe stato un errore. Molti dei miei colleghi non erano di questo parere. L’amico Togliatti, nel suo discorso del 24 luglio, disse che tutti i Ministri erano favorevoli al cambio, ed io solo ero contrario. Ora, devo dar conto a questa Assemblea della mia condotta. Potete essere tranquilli che non avevo nessuna bomba atomica a mia disposizione per forzare la volontà di 18 Ministri, i quali volevano questo cambio della moneta, che io non volevo. Io dissi però una cosa semplicissima: «Sentite, cari colleghi; a mio giudizio questa operazione non si deve fare; se credete che si debba fare, cambiate il Ministro del tesoro». Posta così la questione, i colleghi che volevano il cambio, avrebbero potuto dire: «Allora vattene», oppure: «Allora ce ne andiamo noi». (Interruzioni).

In Italia non c’è stata, specialmente negli ultimi tempi, l’abitudine di dare le dimissioni, perché ciascuno di noi è convinto che, se desse le dimissioni, succederebbe la fine del mondo. Ora, credete pure che non succederebbe niente. L’amico La Malfa, che in quella seduta votò contro la deliberazione a me favorevole, aveva un sistema molto più sbrigativo di scindere la sua responsabilità dalla mia: avrebbe potuto dare le dimissioni. Perché non l’ha fatto? Aveva forse paura che sarebbe successo qualche cosa di grave? Io dico che non sarebbe successo niente. E c’è la contro-prova; perché, dopo poco tempo, quando il Partito d’Azione decise di fare una azione contro se stesso, il collega La Malfa dovette uscire dalla combinazione, fu sostituito da Bracci e le cose andarono per lo meno come prima. (Si ride).

Non vedo dunque perché la responsabilità di questa politica debba essere soltanto di Corbino e non di tutti. Perché: o voi avete condiviso il mio giudizio in quel momento – ed allora abbiamo sbagliato tutti – o voi non avete saputo apprezzare il punto di arrivo, al quale avrebbe portato la mia politica – ed allora avete anche voi la vostra responsabilità, perché in un Governo di Gabinetto si risponde non soltanto di quello che si fa, ma anche di quello che si lascia fare. (Approvazioni).

Questa era la situazione. Del resto – scusate il paragone – per me il Governo è come un’orchestra, in cui ognuno deve suonare il suo strumento; io avevo lo strumento che si chiama tesoro. Il punto al quale noi tutti tendevamo era quello delle elezioni. E le elezioni bisognava farle con la maggiore calma possibile, ciò che escludeva già il cambio della moneta. Ci volevano circa 70 mila agenti, e l’amico Romita, allora Ministro dell’interno, disse: «O facciamo il cambio, o facciamo le elezioni». (Segni di diniego del Ministro Romita – Commenti).

Mi correggo. Io preferivo che si facessero le elezioni. Occorrevano 70.000 agenti di polizia, bisognava mobilitare un’enorme quantità di mezzi di trasporto che allora mancavano, e siccome le operazioni del cambio della moneta richiedevano due mesi di tempo e sarebbero capitate proprio nel momento delle elezioni amministrative, Romita disse: «Se potremo fare il cambio prima, io darò gli agenti; ma contemporaneamente non li posso dare». (Commenti).

Delle elezioni amministrative io non mi preoccupavo gran che, ma mi preoccupavo molto di quelle politiche, perché bisognava uscire dalla situazione in cui ci trovavamo di essere sei partiti al Governo, ciascuno dei quali era convinto di rappresentare qualche cosa, senza che ci fosse un organo eletto direttamente dal popolo che potesse dire quali erano i partiti che avevano una forza e quali quelli che non l’avevano.

Ora credete pure che un ambiente economicamente e finanziariamente favorevole alla quiete pubblica, non si sarebbe potuto avere, se noi avessimo messo in mezzo il problema del cambio della moneta. È stato questo uno degli elementi più decisivi per farci arrivare alle elezioni politiche.

Si tenga presente che, presentendo le necessità che si sarebbero manifestate in marzo, aprile e maggio, io, senza tener conto di elucubrazioni scientifiche, mi regolai come una buona madre di famiglia che sa che ad un certo momento dovrà fare una spesa straordinaria: mi costituii un gruzzoletto, alimentando il tesoro come me lo consentiva la fiducia del pubblico, e dando a tutti i colleghi, nei limiti della stretta necessità, collegata con quella del mantenimento dell’ordine pubblico, i mezzi di cui essi avevano bisogno. E ci sono riuscito, tanto che in aprile, partendo da un fondo di cassa di 15 miliardi, ero arrivato a 37 miliardi, e quando il Ministro Romita, preoccupato delle condizioni dell’ordine pubblico, mi domandava miliardi per lenire la disoccupazione, io, che avevo fatto economia e parsimonia di mezzi, lo potevo assistere fino ai limiti entro i quali egli mi richiedeva somme. L’amico Romita può dire se questo è vero.

Siamo così arrivati alle elezioni del 2 giugno, e questa era la nostra meta. Ora voi potete parlare di fallimento della politica economica di Corbino; ma quando una politica economica consente ad un Paese come l’Italia di eleggersi tranquillamente una Costituente, può fallire come politica economica, ma non ha fallito come politica politica. (Applausi – Commenti).

Venne poi la crisi istituzionale, e dopo la crisi ministeriale. In questa crisi io ebbi una parte molto piccola, ma è bene che l’Assemblea la conosca.

In un primo momento pareva che dovessi entrare nella combinazione De Gasperi. Il partito al quale ero iscritto aveva intanto deciso di dichiararsi contro il Governo e siccome, a ragione o a torto, il mio nome era diventato come un simbolo della stabilità della lira, io non volevo che si dicesse che, rifiutando di restare al Governo, avessi tolto questo appoggio psicologico, sia pure piccolissimo, alla solidità della lira. Avrei potuto ritirarmi con i miei amici del partito e mettermi all’opposizione e stare a vedere quello che sarebbe successo, ma ciò non sarebbe stato onesto, né dal punto di vista personale, né dal punto di vista politico. E pertanto, quando l’onorevole De Gasperi mi chiese se fossi disposto a collaborare con lui da tecnico indipendente, gli dissi senz’altro di sì ed uscii dal partito. Ci fu chi disse che ne ero uscito perché avevo il desiderio di restare a fare il Ministro. La cosa non mi interessava, anche perché ciascuno i suoi desideri li può nutrire nell’animo proprio, anche se apparentemente dimostra di nutrirne degli altri.

Partecipai alle prime trattative per la formazione del Governo su uno schema di 27 punti, che avevo sottoposto al giudizio e all’esame del Presidente del Consiglio. Ad un certo momento sorsero delle difficoltà sul mio nome, per cui mi appartai dalle trattative e rimasi al Ministero del tesoro in attesa di sapere quale sarebbe stata la mia sorte. Dopo una dura battaglia, fui riconfermato.

Venuti qui alla Costituente, abbiamo esposto, il Presidente del Consiglio il programma generale ed io, nella esposizione finanziaria, il mio; e siccome, contrariamente al requisito che La Malfa vuole attribuire al Ministro del tesoro, io non ho fantasia e sono un uomo terra terra che capisco solo le cose semplici, in sostanza dissi: Se le cose sono andate bene fin’ora, perché dobbiamo cambiare? Non vedevo tutte quelle strutture di politica economica estremamente complessa di cui ha parlato La Malfa. Ciascuno ha delle deficienze visive o intellettive. Comunque c’erano due o tre punti che avevano una certa importanza. Un primo punto era costituito dalla corresponsione del premio della Repubblica, congegnata in modo che dovesse servire principalmente per dare alle classi più misere la sensazione che il Governo conosceva le loro condizioni veramente tristi.

Ma in corrispettivo ci doveva essere, almeno per un periodo di due-tre mesi, non il blocco dei salari, che nessuno voleva, ma una tregua, e soprattutto una forma di svolgimento delle vertenze salariali che fosse compatibile con il mantenimento dell’ordine.

Il secondo punto si riferiva all’imposta sul patrimonio. Io avevo proposto l’imposta sul patrimonio immediata, a carattere personale e progressivo, per i patrimoni al di sopra di una certa cifra: 35-40-50 milioni (Commenti a sinistra), perché la gente che possiede tanto non è molto numerosa, e in due mesi gli accertamenti sarebbero stati fatti e le imposte sarebbero state riscosse. Il seguito dell’imposta si sarebbe dovuto fare l’anno prossimo, perché con il minimo di imponibile previsto nel progetto del collega Scoccimarro in due milioni di lire, sarebbero stati pochi i cittadini italiani del tutto non abbienti che non avrebbero avuto obbligo di denuncia (Commenti a sinistra). Quindi si trattava di rinvio della seconda parte. Badate che il progetto di imposta sul patrimonio più feroce che sia stato preparato in Italia l’ho pubblicato io nel 1944, quando gli altri ancora non ci pensavano.

Su questa imposta però c’era una differenza di opinione a proposito dell’imposizione dei titoli di debito pubblico. Io sostenevo, come sostengo e sosterrò, che fino a quando la lira non sarà stata saldamente ancorata all’oro, i titoli a reddito fisso debbano essere temporaneamente esentati dall’imposta personale sul patrimonio (Approvazioni a destra), perché questi titoli hanno finora pagato il 95 per cento; è quindi agli altri cespiti che bisogna chiedere delle decurtazioni a carattere progressivo. Senonché su questo punto io sapevo che non mi sarei trovato d’accordo non soltanto con il collega delle finanze (tornerò fra poco sull’argomento, e dirò in quali cordialissimi termini noi abbiamo collaborato col Ministro Scoccimarro in questi 9 mesi, contrariamente a quello che si pensa), ma anche con altri colleghi del Gabinetto, di maniera che io presentivo che ad un certo momento si sarebbe presentata una situazione analoga a quella del gennaio, nella quale avrei detto: «Sentite, io la penso così; siccome voialtri la pensate diversamente, voi assumete la responsabilità della vostra politica e io assumo la responsabilità della mia». A questo punto non ci siamo arrivati. Non ci siamo arrivati, perché, per un complesso di elementi che sfuggono alla mia comprensione, a partire dalla prima decade di agosto io sono stato l’oggetto di una particolare attenzione – chiamiamola così – da parte di voi, colleghi dell’estrema sinistra, non certo dal punto di vista personale, perché sono stato in due Gabinetti nei quali c’erano i comunisti (al Consiglio dei Ministri sono stato vicino di sinistra dell’onorevole Togliatti e poi vicino di destra dell’onorevole Scoccimarro) e personalmente non abbiamo mai avuto occasione di scambiare una parola, non dico meno che corretta, ma addirittura meno che cordiale.

Quindi, evidentemente ci doveva essere una ragione che a me sfuggiva, ragione che determinava, da un lato una serie di movimenti, agitazioni, scioperi, dall’altro una serie di attacchi sui giornali per cui, se io avessi continuato a fare il tonto, avrei fatto proprio una figura di tonto, il che non è nelle mie abitudini.

Questa offensiva si accentuò particolarmente dopo il mio ritorno da Parigi. Quotidianamente o nelle manchettes, o negli articoli, il giornale l’Unità si occupava di me e si occupava di me in maniera tale da colpire me non come Corbino, ma come tipo di una politica; di maniera che, a un certo momento, la gente cominciò a dire e a domandarsi: ma Corbino che ci sta a fare, se deve essere attaccato in questo modo? La sua politica in che cosa consiste?

Badate che non si trattava soltanto di una questione di colonne di giornali; no! Questa situazione esercitava la sua influenza, tutt’altro che benefica, sulla situazione di tesoreria, perché la gente sentiva che Corbino cominciava a vacillare ed allora, nella incertezza di quello che sarebbe accaduto, cominciò a non rinnovare i buoni del Tesoro (Commenti a sinistra) con la stessa larghezza con cui li aveva rinnovati prima; poi ritirava le somme dai conti correnti bancari e, a un certo momento, io mi sono domandato se proprio non fosse un mio dovere di cessare di essere un bersaglio, per salvare la parte sostanziale che stava dietro di me, e cioè la lira.

Di questa situazione mi resi interprete presso il Presidente del Consiglio, che mi è stato sempre largo di affettuosa solidarietà, e gliene debbo pubblica gratitudine. Gli dissi: «Caro Presidente; qui non c’è che una soluzione: il Ministro del tesoro non può essere un indipendente, il Ministro del tesoro deve essere un uomo dei tre partiti di massa, perché soltanto un partito di massa che stia alle spalle del Ministro del tesoro può diminuire la violenza degli attacchi che contro di lui si fanno e gli può dare la forza e la capacità di resistere per difendere la lira».

La questione fu rimandata al successivo ritorno dell’onorevole De Gasperi da Parigi. Senonché le cose cominciarono a precipitare.

Nella settimana che si chiuse con la domenica 1° settembre la mia situazione era diventata veramente insostenibile dal punto di vista personale ed insostenibile diventava dal punto di vista tecnico. La cosa era tanto più curiosa, in quanto i colleghi di Gabinetto non avevano mai detto una parola che potesse far trasparire in loro una mancanza di fiducia verso di me. Cito un episodio: quando abbiamo deliberato in Consiglio dei Ministri il provvedimento del prelievo del 25 per cento sulle azioni distribuite gratuitamente, il collega Scoccimarro, che doveva partire, mi pregò, malgrado che fosse di competenza del suo Ministero, di preparare il provvedimento d’accordo col direttore generale. Quindi io non mi rendevo conto della natura di questi attacchi. A che cosa tendevano? Tendevano evidentemente ad eliminarmi. Domenica mattina 1° settembre la posizione fu nettamente definita. In due comizi tenuti a Roma, uno dal partito comunista e, per la prima volta, uno anche dal partito socialista, si chiesero tante cose e fra l’altro qualcuno aveva chiesto… la mia morte! Poi si venne ad una transazione (Viva ilarità) e si contentarono delle mie dimissioni. Contemporaneamente seppi che a Milano si sarebbe tenuto un comizio e, naturalmente, pensavo che il comizio si sarebbe tenuto contro di me. E di fatti lì, fra tanti cartelloni, ne figurava uno in cui c’era una forca con appeso un pupazzo, e siccome la rassomiglianza non doveva essere troppo perfetta, l’autore del cartellone, a scanso di equivoci, aveva scritto sotto: Corbino. (Ilarità).

In questa situazione, io che dovevo fare? Avevo ormai la certezza di non godere la fiducia del gruppo comunista, che stava con me al Governo; dopo il comizio di domenica, avevo la certezza di non godere neanche la fiducia del partito socialista, che pure stava con me al Governo. Nella seduta di venerdì i colleghi repubblicani avevano manifestato qualche perplessità sulla mia politica. Scusate, tre dei quattro partiti che formavano il Governo erano contro di me. Oh, io che ci continuavo a stare? (Viva ilarità). Io dovevo per forza andarmene; era una questione di dignità, lasciatemi dire la parola, parlamentare. Io avevo il dovere di dare le dimissioni perché non appartenevo ad un partito rappresentato dentro al Governo; io ero un tecnico indipendente.

Ma l’onorevole Togliatti mi consenta se questa volta non sono ricorso a lui per consiglio. Ha avuto la bontà di dirmi che egli mi avrebbe suggerito di dare le dimissioni zitto zitto, come quelli del Barbiere di Siviglia. (Si ride). Onorevole Togliatti, io le dimissioni dovevo darle nella forma più rumorosa che fosse possibile, perché dovevo impedire un altro compromesso sul mio nome e lo dovevo impedire nel mio interesse e nel vostro. (Approvazioni a destra). Ecco perché diedi le dimissioni così clamorosamente, dopo aver preso le disposizioni per il caso che potesse succedere qualcosa, nel campo bancario, e per fortuna non è successo nulla, perché la gente ha continuato tranquillamente a fare quello che faceva. Si aggiunga che, alla fin fine, io non avevo il dovere di nutrire grandi preoccupazioni per la mia rapida successione perché, benedetto Iddio, c’è una Costituente con 470 Deputati di maggioranza, ed avevo il diritto di credere che su questi 470 deputati di maggioranza uno, lì per lì, disposto a fare il Ministro del tesoro si sarebbe trovato. Qui, invece, è stata la mia grande delusione, perché nessuno, dico nessuno, si è presentato a dire: ecco, lo faccio io. (Si ride). Nessuno dei tre partiti ha detto: un momento, questo è un posto che tocca a noi. (Ilarità). Si è cercato un tecnico indipendente. Si sono fatte pressioni. L’onorevole De Gasperi è andato anche alla fiera campionaria di Milano a cercarlo. (Vivissima ilarità). Io ho aspettato. Ho dovuto aspettare fino a ieri mattina, quando ho avuto il piacere di fare la consegna all’amico Bertone. Ed ora sono qui: il vinto che ha finalmente avuto un successore.

Ma non è tutto. Dalla maniera con cui la crisi si è svolta e si è chiusa, i vinti siamo in parecchi. Infatti, dopo pochi giorni dalle mie dimissioni, spuntava dal partito socialista la proposta di fusione del Ministero delle finanze con quello del tesoro, proposta della quale, evidentemente, agli amici socialisti sfuggiva il carattere di sfiducia verso il mio collega delle finanze. Ma della proposta si impadronirono immediatamente i colleghi della Democrazia cristiana, i quali dicevano: «Fusione; va via Corbino, deve andar via anche Scoccimarro».

Ora si può discutere se il Ministero delle finanze debba stare o non diviso dal Ministero del tesoro. Ci sono argomenti pro e ci sono argomenti contro. Nel caso specifico vi posso assicurare che di argomenti pro ce ne sono pochi. Il tandem Corbino-Scoccimarro, malgrado quello che comunemente si crede – e questo vi deve provare che in me la lealtà personale va sempre avanti al tornaconto politico – il tandem Corbino-Scoccimarro ha funzionato molto meglio di come la gente pensi. Due volte sole abbiamo avuto un conflitto di partenza, e cioè sulla questione del cambio della moneta e poi quando si delineava l’estensione della imposta sul patrimonio.

Una volta accettato lealmente un certo indirizzo, noi siamo andati sempre perfettamente d’accordo. (Commenti a sinistra). E del resto è un errore quello di credere che nella situazione attuale possa avere una certa influenza il fatto che il gettito delle imposte sia di 16 miliardi invece che di 15 miliardi e mezzo, o di 17 miliardi invece che di 16 e mezzo. Quando un Ministro del tesoro deve fronteggiare un disavanzo mensile di 40 miliardi, come volete che si spaventi se invece di 40, ne debba cercare 39 e mezzo o 40 e mezzo? È come se domani una madre di famiglia, che per fare il corredo alla figlia debba spendere 100 mila lire, bisticciasse col marito perché questi non ha saputo ottenere 100 lire al mese di aumento dello stipendio. Oggi il Ministro del tesoro deve trovare 40 miliardi al mese, mentre il Ministro delle finanze lavora per l’avvenire. Egli potrà vedere i problemi del futuro, ma dal punto di vista immediato credete pure che non può dare che scarso aiuto al Ministro del tesoro.

Ad un certo momento dunque la crisi da tecnica è diventata politica, ed è rimasta una crisi politica, che si è risolta con la nomina di un autorevole membro della Democrazia cristiana a Ministro del tesoro.

Questa, o signori, è la vera vittoria dei comunisti. Perché, adesso, che cosa accadrà? O il Ministro del tesoro farà una politica di parsimonia delle spese, assicurandosi fin da questo momento tutta l’impopolarità della quale godevo io, ed allora la gente dirà come quella vedova che si era rimaritata, che il secondo marito aveva lo stesso vizio della buonanima. (Si ride). Con questa differenza, che questa volta il secondo marito appartiene alla Democrazia cristiana e quindi la Democrazia cristiana dividerà una parte di impopolarità del suo Ministro del tesoro. Oppure il Ministro del tesoro allenterà i freni, ed allora quello che potrà succedere non lo so, perché la situazione non consente di andare molto avanti in materia di rallentamento di freni, ma in ogni caso la responsabilità sarà della Democrazia cristiana.

Quindi, onorevole Bertone, io sono contento d’essermene andato (Si ride), ma non posso invidiarla, perché sono sicuro che anche lei finirà su qualche cartellone! (Si ride).

E come vedete, onorevoli colleghi, non ci sono ragioni arcane, non ci sono ragioni segrete sulle mie dimissioni. Tutto è chiaro, tutto è semplice e lineare.

Voi avreste ora il diritto di domandare il mio pensiero sul programma finanziario del Governo.

Io non credo che oggi si possano fare programmi a lunga scadenza. Credete pure che la situazione, dal punto di vista economico interno ed internazionale, è così fluida che un Governo che riesca a pensare soltanto a quello che potrà accadere nel giro di tre mesi, è un Governo che ha fatto molto di più di quello che non possa essere \il suo dovere. Vi sono alcuni punti, tuttavia, sui quali mi permetto di dare qualche suggerimento e qualche consiglio. Imposta sul patrimonio; 10            consiglierei un rinvio, anche per una ragione: nelle clausole economiche del trattato di pace ce n’è una che è molto pesante, ed è la seguente. I cittadini degli Stati appartenenti alle Nazioni Unite dovranno essere esentati da qualsiasi imposta straordinaria che abbia per fine il pagamento delle spese di guerra e che sia stata applicata fra la data dell’armistizio e la data di entrata in vigore del trattato. Ora, applicare in queste condizioni un’imposta sul patrimonio ed estenderla specialmente, come si vorrebbe, ai capitali mobiliari, significa esonerare dall’imposta una parte rilevantissima del patrimonio nazionale, cioè quella posseduta da stranieri e quella che stranieri compiacenti faranno passare per propria ai fini dell’imposta personale sul patrimonio. (Commenti – Approvazioni).

La seconda raccomandazione concerne il prestito. Il Presidente del Consiglio ha annunciato che il prestito da me predisposto, sotto forma di debito consolidato, sia mantenuto nella forma di un debito consolidato con diritto al rimborso al termine di nove anni. Noi stiamo creando una serie di istituti giuridici molto ibridi in questo momento, ma nel campo finanziario non scherziamo neppure. E questo di un prestito consolidato, rimborsabile a volontà del portatore, sarebbe una novità finanziaria che mi pare piuttosto pericoloso introdurre nel nostro sistema finanziario. In sostanza, oggi la gente non si preoccupa di sapere quello che accadrà da qui a nove anni. La gente si preoccupa di quello che accadrà fra nove giorni, o nove settimane o nove mesi; di maniera che, chi sia disposto a prendersi un consolidato oggi, lo prende anche se non è rimborsabile tra nove anni. Voi create per il tesoro tra nove anni un problema spaventoso, perché quando vi sono dei titoli rimborsabili nettamente a nove anni, la tesoreria sa che deve provvedere a tempo; ma quando si lascia all’arbitrio del portatore del titolo il diritto di chiedere il rimborso, se e in quanto questo rimborso sia conveniente, ciò significa aprire un baratro sotto i piedi del Ministro del tesoro del 1955, e per quanto non creda che vi possa essere qualcuno di noi che abbia la lontana possibilità di essere quel tale Ministro del tesoro, noi abbiamo il dovere di non compromettere così seriamente la solidità dei nostri successori in questa materia.

Ma, per il resto, io ritorno alla mia ricetta. Voi a sinistra dite che è sbagliata: lo avete scritto anche sui muri, ed in fondo avete fatto un complimento a me. Ogni tanto è bene non aver ragione. C’era uno che aveva sempre ragione e ci ha portato qui! Almeno io e De Gasperi abbiamo la certezza di non essere di quello stampo. Io ripeto che la ricetta per me per ora è molto semplice; poi, quando l’equilibrio del bilancio sarà ristabilito, ricorreremo alle formule eleganti di La Malfa. Di che cosa ha bisogno oggi la gente? Ha bisogno di sapere che i titoli di Stato non saranno toccati, ed occorre dirlo nettamente, perché se non glielo direte il prestito andrà male. La gente ha bisogno di sapere che per ora e per parecchio tempo ancora, il cambio della moneta non si farà, ed occorre dirlo nettamente, perché se non glielo direte la gente il cambio lo comincerà a fare subito per proprio conto. Essa cambierà la moneta contro merci, ciò farà aumentare i prezzi, e poi i salari e via di seguito nella solita corsa che porta all’inflazione. Ora, badate bene, l’inflazione è un flagello che può lasciare in piedi i paesi a economia piuttosto primitiva e dove la struttura creditizia sia embrionale, ma i paesi ad economia mista, con una struttura creditizia piuttosto sviluppata, dall’inflazione escono distrutti, non soltanto dal punto di vista economico, ma anche dal punto di vista politico.

Non c’è paese che abbia fatto l’inflazione e che abbia visto sopravvivere la democrazia. Quindi, per noi la lira è sinonimo di libertà. (Vivi applausi al centro e a destra).

A questo punto, ciascuno assuma la propria responsabilità, come individui e come partito. Io, per mio conto, non rappresento che un uomo, me stesso. Questa responsabilità io ho assunto in pieno in tutte le direttive politiche che ho seguite negli ultimi nove mesi. E – credetemi – anche questo ultimo gesto è un gesto che mi è costato enorme fatica, non perché lasciavo il banco del Governo, ma perché mi sottraevo ad un posto avanzato di responsabilità. Ma io mi ci sono sottratto non per desiderio di riposo personale, ma perché sapevo che, sottraendomi, contribuivo a rafforzare la fiducia del pubblico nella lira, cioè contribuivo a salvare la democrazia in Italia. (Applausi).

Se tutti opereranno con la stessa onestà di intenti e purezza di fede, da cui io sono stato guidato in questo periodo, noi possiamo essere sicuri che la democrazia si salverà. (Vivi applausi – Congratulazioni).

PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato a domani alle ore 16.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

CHIEFFI, Segretario, legge.

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se non ritenga giunto il momento opportuno per sopprimere il Commissariato della gioventù italiana, creato in pieno periodo badogliano quale continuatore ed erede di quell’organo di oppressione fascista che fu la G.I.L.

«Se è spiegabile come al 2 agosto del 1943 vi fosse ancora chi poteva pensare a mantenere in vita alcune delle tipiche creazioni del fascismo, quale la G.I.L., depurata soltanto dell’attributo littoriale, oggi, in cui altre e ben più solide istituzioni sono cadute davanti al profondo bisogno di rinnovamento del popolo italiano; oggi, dopo che tanta acqua è passata sotto i ponti e che tanto sangue è stato versato per la liberazione della Patria, il mantenere in vita una tale istituzione che continua nel nome, nelle attribuzioni ed in qualche zona anche nelle persone, i fasti del fascismo, appare anacronistico e pregiudizievole per il nome dell’Italia democratica e repubblicana.

«L’assistenza della gioventù scolastica, ed in particolar modo di quella più bisognosa, potrà essere affidata con molto maggiore vantaggio per tutti ai Patronati scolastici, i quali già, in questi primi albori di rinnovamento, hanno egregiamente dimostrata la loro vitalità e la loro possibilità di fare veramente del bene ed altro non domandano che di essere perfezionati ed aiutati per potere fare meglio.

«Al Commissariato della gioventù italiana basterà sostituire un Ente stralciario, col compito di devolvere a favore dei Patronati l’ingente patrimonio di cui è erede, previa restituzione agli Enti locali dei beni di cui furono defraudati dal fascismo sotto l’apparenza di spontanee donazioni o di vendite fittizie.

«Faralli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della guerra, per sapere se e quali provvedimenti intenda adottare affinché in Udine e provincia siano finalmente portate a termine le liquidazioni delle indennità dovute ai proprietari degli immobili requisiti dalle Forze armate alleate, liquidazioni non ancora avvenute a causa della esasperante lentezza burocratica degli uffici di ciò incaricati.

«Tessitori».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per conoscere i motivi che si oppongono acché sia provveduto a rifondere ai comuni friulani gli importi anticipati (il solo comune di Udine è esposto con oltre ventotto milioni di lire), per conto dello Stato, in seguito a decreti prefettizi, per il pagamento di spese per alloggi, forniture, servizi vari nell’interesse delle forze armate germaniche.

«Tessitori».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere se è convinto della necessità urgente, assoluta della costruzione della strada Valle Agricola-Vairano Scalo (2° tronco), perché da oltre sessant’anni è stato ritenuto di notevolissimo vantaggio il costruire una strada che avvicini allo scalo ferroviario di Caianello (ora Vairano Scalo) i comuni di Prata Sannita, Pratella, Ailano, Ravescanina, Sant’Angelo d’Alife, Gallo, Letino, Fonte Greca, ecc., e solo nel 1932 si provvide a dare in appalto un primo lotto di lavori, che comprendeva un tratto di strada dal bivio di Ailano al fiume Volturno ed altro dal fiume Volturno allo scalo ferroviario. Ora che il Governo della Repubblica ha messo nel suo programma lavori immediati e questi dovrebbero essere soprattutto per il miglioramento del Mezzogiorno, si nutre ferma speranza che la costruzione del ponte sul Volturno e del secondo tronco della strada Valle Agricola-Vairano Scalo diventerà un fatto compiuto. Ciò è indispensabile per la bonifica di una grande estensione di terreno, che potrebbe produrre più di trentamila quintali di grano ed altri cereali. Si noti che gli abitanti dei comuni cennati per giungere ora allo scalo ferroviario debbono percorrere dai 35 ai 50 chilometri, mentre con la costruzione del tronco in oggetto ne percorrerebbero la metà.

«Notarianni».

«La sottoscritta chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere che cosa s’intenda fare per incrementare l’attività delle istituzioni educative per l’infanzia.

«E se non si ritenga opportuno, per il momento, creare asili e scuole materne nei maggiori centri industriali e favorire con sovvenzioni straordinarie quelle già esistenti e costrette, per deficienza di fondi, a cessare l’opera loro.

«Provvedimenti in questo senso potrebbero essere attivi coefficienti della rinascita spirituale, che urge nel nostro Paese.

«Bianchi Bianca».

«La sottoscritta chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se non intenda, prima dell’apertura dell’anno scolastico 1946-47, applicare il provvedimento legislativo accennato dalla stampa nel n. 3, I Diritti della Scuola, che autorizza il Ministero della pubblica istruzione a bandire un concorso speciale per titoli a posti di direttore didattico, riservato a coloro che hanno superato i limiti di età e che per motivi politici non poterono partecipare a concorsi direttivi.

«L’applicazione di tale provvedimento si rende necessaria per ristabilire giustizia in una categoria che in regime dittatoriale vide troncata la propria carriera per le vessazioni fasciste.

«Bianchi Bianca».

«La sottoscritta chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se intende sollecitare l’adozione di provvedimenti intesi a concedere il passaggio a ruolo agli insegnanti dell’ordine elementare e medio, che abbiano ottenuto l’idoneità nei precedenti esami di concorso ed abbiano tenuto l’incarico per un periodo di 5 anni con qualifica di buono.

«Bianchi Bianca».

«La sottoscritta chiede d’interrogare i Ministri dei lavori pubblici e della pubblica istruzione, per conoscere se non sia il caso di autorizzare i prefetti a rilasciare anche ad enti di pubblica beneficenza ed assistenza non riconosciuti ufficialmente, la dichiarazione comprovante l’esercizio di tale attività necessaria per ottenere il diritto al risarcimento integrale dei danni di guerra. Così si procede attualmente – ai sensi della legge 26 ottobre 1940 – per gli enti suddetti riconosciuti per decreto ministeriale. L’astensione dal riconoscimento governativo fu motivata per molti enti dal desiderio di evitare ingerenze statali nell’amministrazione dell’istituto. Trattasi nella maggior parte dei casi di asili d’infanzia situati nelle campagne, che portano benefici incalcolabili al popolo. Si chiede dunque che venga modificato l’articolo 27 della legge 26 ottobre 1940, n. 1543, in modo che lo Stato intervenga a ripristinare l’attività di questa istituzione.

«Bianchi Bianca».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro delle poste e delle telecomunicazioni, per sapere se il Governo non ravvisi la necessità di una Commissione parlamentare per lo studio del problema della Radio.

«Calosso, Cerreti, Cianca, Parri, Giordani, Patricolo, Badini Confalonieri».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro del tesoro, per sapere se, a seguito delle assicurazioni già fornite dall’onorevole Corbino alle Commissioni dei lavoratori e dei dirigenti del Banco di Napoli, intenda provvedere all’immediata cessazione del regime commissariale nel predetto Istituto, che si protrae senza alcun motivo da circa tre anni, e che, unanimemente disapprovato, ha dato luogo anche ad agitazioni tra il personale del Banco. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«De Mercurio».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se intenda mettere allo studio la possibilità di concedere agli abilitati degli Istituti tecnici industriali, minerari e per geometri l’inscrizione, previo esame integrativo, alle seguenti facoltà universitarie:

ingegneria civile per diplomati geometri ed edili;

ingegneria industriale e mineraria per diplomati degli istituti minerari e nautici ramo costruttori e macchinisti;

ingegneria navale per diplomati nautici ramo capitani. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Laconi».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere quali provvedimenti intenda adottare per rendere giustizia a quegli insegnanti elementari o professori, i quali, per la loro avversione al fascismo, hanno preferito rinunciare ai benefici della carriera piuttosto che accettare la tessera del partito nazionale fascista allora indispensabile documento per accedere a concorsi.

«Per sapere, inoltre, se non ritenga opportuno confermare in carica, in attesa di speciali concorsi, quegli insegnanti che per le loro particolari attitudini e i loro meriti politici furono chiamati a ricoprire gradi superiori dai Comandi del G.A.M. e dai C.L.N. e che, per le ragioni sopra esposte, non hanno rivestito per il numero degli anni prescritto dalle leggi posti di grado immediatamente inferiore. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Landi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere quali ostacoli si oppongano all’immediata esecuzione dei lavori di sistemazione montana, dei torrenti Vicom e Cella, in comune di Tarvisio (Udine), lavori pei quali da tempo sono pronti i progetti compilati a cura del Corpo forestale di Udine, e colla previsione di 11.874.000 lire di spesa.

«Si nota che in quel comune, come in tutta la zona montuosa della provincia, in seguito all’impossibilità di emigrare, la disoccupazione vi è gravissima. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Piemonte».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro delle poste e delle telecomunicazioni, per conoscere le ragioni per le quali, in esito alla richiesta della direzione centrale di Milano dell’Associazione nazionale italiana radioascoltatori, non si è ritenuto opportuno di limitare la pubblicità commerciale attraverso le radio trasmissioni, che incide, per l’eccesso di volume, nell’organicità dei programmi.

«E per sapere, inoltre, se non ritenga opportuno di dare all’organizzazione dei radioascoltatori maggior modo di esporre e di far valere il pensiero e i desideri di tanta parte del popolo italiano, non solo in questa particolare questione, ma in tutto l’andamento delle trasmissioni della radio italiana, evitando che esse siano informate principalmente ai criteri speculativi di un monopolio. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bernardi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere se, in rapporto con le recenti agitazioni e con la preoccupazione dei pescatori della costa meridionale siciliana per l’uso della rete cianciòlo, capace di catturare molte quantità di pesce turchino, compreso anche quello piccolo, voglia esaminare se effettivamente detta rete sia dannosa, e prendere i provvedimenti necessari per l’abolizione della rete o per modificarne la maglia.

«Per sapere, inoltre, se intenda prendere provvedimenti più severi per l’uso abusivo degli esplosivi nella pesca. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Borsellino».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere quali ostacoli ancora si frappongono alla istituzione di un servizio di treni locali tra le stazioni di Cancello Arnone, Falciano Mondragone e quella di Villa Literno, rendendo così possibili le comunicazioni di tutti i comuni del Basso Volturno con Napoli, centro della regione, con Caserta, capoluogo della provincia, e con Santa Maria Capua Vetere, sede del tribunale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Persico».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per sapere se nel piano dei lavori urgentissimi da farsi nella provincia di Caserta siano comprese le somme occorrenti per l’ultimazione, e in parte la ricostruzione, dell’acquedotto necessario per portare l’acqua potabile alle numerose e popolose frazioni del comune di Teano: opera indispensabile anche per la tutela della pubblica igiene. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Persico».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della guerra, per conoscere se può dare qualche informazione circa la posizione degli Stabilimenti militari di Piacenza (Arsenale, Direzione d’Artiglieria, O.A.R.E. – Officina auto riparazione Esercito – e Genio militare). Come già è stato prospettato all’onorevole Ministro, trattasi di un complesso aziendale, al quale sono legati il lavoro e i mezzi di vita di oltre 3500 operai, e cioè circa i quattro quinti della comunità operaia di Piacenza. È opportuno rilevare che quasi tutti questi stabilimenti furono, più o meno, colpiti da bombardamenti, e se oggi il loro impianto strutturale è ridiventato pressoché normale, è merito delle maestranze, le quali, nei primi mesi dopo la liberazione, spesso senza ordine e direttive precise, diedero mano all’opera di ricostruzione, compiendo veri prodigi di adattamenti, di abilità e di sacrificio.

«Questi stabilimenti sono in grado di assolvere qualsiasi incarico e compiere qualsiasi lavorazione, dalla meccanica alla falegnameria, sia per commissioni civili, che militari. È precisamente sul loro impiego per lavorazioni su commesse di privati (o anche di aziende statali, come quella dei trasporti) che si richiama la benevola attenzione dell’onorevole Ministro.

«Le maestranze operaie in oggetto attendono con ansia di conoscere le loro sorti, e ripongono ogni loro fiducia nel conosciuto senso di umanità e nella saggezza dell’onorevole Ministro della guerra, che già, di questo grave problema, ebbe a dar prova di volersi preoccupare. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Arata»

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della guerra per sapere se, in modificazione ed estensione dei provvedimenti portati dai decreti 14 febbraio 1946, n. 27 e 26 aprile 1946, n. 138, a favore dei reduci, non ritenga opportuno regolare definitivamente la posizione di questi benemeriti cittadini, riconoscendo il loro sacrificio e l’apporto – diretto o indiretto – da essi dato alla lotta per la liberazione.

«Tale riconoscimento potrebbe tradursi nei seguenti provvedimenti che rappresentano, del resto, i postulati dei reduci, più volte oggetto di formali istanze:

1°) concessione agli internati in Germania, ai reduci di prigionia dai campi alleati, ai cooperatori, della qualifica di combattente della liberazione, con la relativa decorazione;

2°) diritto di precedenza nell’assunzione nei pubblici uffici, e parità con i partigiani nell’assunzione nelle formazioni di polizia e nell’arma dei carabinieri;

3°) sollecita, effettiva erogazione dei sussidi previsti dai citati decreti a favore delle cooperative di lavoro tra i reduci;

4°) preferenza alle dette cooperative nell’assunzione di lavori appaltatabili, o da condursi in economia, interessanti l’amministrazione dello Stato, o di enti parastatali;

5°) immediata corresponsione ai reduci della marina e dell’aeronautica delle indennità loro spettanti, e vanamente attese da oltre un anno;

6°) parificazione del trattamento economico dei reduci a quello dei partigiani, o la concessione, almeno, dell’indennità a titolo razione viveri. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Arata».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere se non ritenga opportuno emanare disposizioni affinché possano essere rivedute le posizioni di quei funzionari dei comuni e delle provincie che nel periodo fascista vennero epurati in base alla legge 24 giugno 1929, n. 1112, colla quale si facultizzarono gli Enti locali a dispensare dal servizio il personale da essi dipendente per qualsiasi motivo, in deroga a qualsiasi disposizione di legge o di regolamento generale o speciale, senza contestazione di addebiti e con indicazione anche soltanto generica delle cause della dispensa; e della qual legge si valsero le amministrazioni fasciste per compiere persecuzioni politiche. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Grilli».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’industria e del commercio, per conoscere se non creda disporre che sia finalmente assegnato agli autisti di piazza di Napoli un congruo numero di copertoni e camere d’aria, non potendosi spiegare e tollerare che fino ad oggi siano stati trascurati completamente dalle assegnazioni detti autisti che svolgono una attività che riguarda tutto il pubblico della grande città.

«Non un copertone o camera d’aria hanno avuto!

«I tedeschi distrussero autobus, filobus, vetture tramviarie, e Napoli ha perciò i servizi pubblici di trasporto che appena iniziano la loro ripresa, ciò che rende assolutamente necessaria la circolazione sulle macchine di piazza, mentre molte di esse lavorano in malo modo o non possono circolare affatto.

«Se si fosse data una quota di gomme ogni quindicina agli autisti di piazza, che ne avevano diritto più di ogni altra categoria, essi sarebbero stati quasi tutti oggi riforniti.

«Si deve perciò provvedere a che siano assegnati agli autisti di Napoli copertoni e camere d’aria in quantità soddisfacente da comprendere tutte le gomme che già avrebbero dovuto avere. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Notarianni».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dell’interno e del tesoro, per conoscere se non ravvisino la urgente necessità di dare facoltà alle Casse di risparmio di praticare ai comuni, per i mutui temporanei di cassa, un tasso di interesse inferiore a quello finora richiesto e spesso superiore al 7,50 per cento; e ciò tenuto conto sia della finalità delle Casse, sia del derisorio tasso corrisposto da esse ai loro depositanti e correntisti, sia delle causali per cui i comuni, pur versando spesso patrimonialmente in buone condizioni, si dibattono talora in difficoltà di cassa. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bubbio».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se intenda impedire la minacciata soppressione della sezione del liceo-ginnasio di Castellammare di Stabia, distaccata in Meta di Sorrento, soppressione che sarebbe di enorme danno per il gran numero di giovani che la frequentano, provenienti da tutti i comuni della penisola sorrentina. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Crispo».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere come intende provvedere alla sorte degli insegnanti che, nella provincia di Napoli, furono esclusi dai concorsi e dall’insegnamento per non avere aderito al regime fascista, e per i quali il Ministero della pubblica istruzione, con circolare n. 4592 del 20 luglio 1945, sollecitò dal Provveditorato l’assegnazione di posti provvisori, i quali, per l’anno scolastico 1946-47, non sono stati nemmeno attribuiti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Crispo».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della guerra, per sapere quali pratiche intende svolgere nell’interesse degli ufficiali medici che, prigionieri di guerra, prima in Egitto e poi nel Sud-Africa, furono poi rimpatriati senza il foglio di estratto di credito della parte dello stipendio non pagata per contanti, e che, per mancanza di tale foglio, non riescono a liquidare il proprio credito in sterline, avendo inutilmente scritto al Comando del Campo di Zonderwater (Sud-Africa). (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Crispo».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della guerra, per sapere per quali motivi, avendo la Prefettura di Salerno sin dal dicembre 1944 segnalato al Commissariato per i prigionieri di guerra i nomi di sei medici da rimpatriare per le esigenze sanitarie della provincia di Salerno, non sia stato sollecitato tale rimpatrio. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Crispo».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per sapere – considerato che le imprese private hanno preso il più invadente ed antisociale sopravvento scoraggiando le vere cooperative di lavoro, e ciò specialmente per il fatto che la circolare Romita a favore delle cooperative di lavoro fu semplicemente ignorata dai Provveditorati – se non creda urgente, in questa vigilia dei lavori pubblici, richiamare l’attenzione delle autorità dipendenti sulle norme a suo tempo emanate a favore delle cooperative suddette, e aggiornare le norme stesse contornandole di convenienti disposizioni, affinché le vere cooperative di lavoro possano attrezzarsi adeguatamente e distrarre l’accumulamento degli utili da poche mani private verso le forme cooperative e attraverso le stesse verso una moltitudine di povere famiglie operaie. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Carbonari».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per sapere se non creda urgente provvedere per l’adeguamento delle pensioni del Clero, che nella misura attuale di 256-400 lire mensili, lascia nella più squallida miseria i poveri beneficiari. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Carbonari».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 18.50.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 16:

Seguito della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.

GIOVEDÌ 19 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

XIX.

SEDUTA DI GIOVEDÌ 19 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SARAGAT

INDI

DEL VICEPRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedi:

Presidente                                                                                                        

Comunicazioni del Presidente:

Presidente                                                                                                        

Comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri (Seguito della discussione):

Carmagnola                                                                                                    

Pella                                                                                                                

Netti                                                                                                                 

Crispo                                                                                                               

Preziosi                                                                                                            

Interrogazioni e interpellanza (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 16.

DE VITA, Segretario, legge il processo verbale della seduta precedente.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i Deputati: Fedeli Aldo e Bianchi Bianca.

(Sono concessi).

Comunicazioni del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che gli onorevoli Amendola e Maffi si sono dimessi da componenti della Commissione per la Costituzione.

Ho chiamato a sostituirli, rispettivamente, gli onorevoli Farini e Laconi.

Seguito della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.

Ha chiesto di parlare l’onorevole Carmagnola. Ne ha facoltà.

CARMAGNOLA. Quando ricevetti il telegramma di convocazione a questa Assemblea Costituente da parte del nostro illustre Presidente, pensai subito che certamente eravamo stati adunati per discutere essenzialmente dei problemi che agitano in questo momento la vita del nostro Paese, per ravvisare i mezzi onde andare incontro ai bisogni sovrattutto della categoria dei lavoratori. Con mia sorpresa ho dovuto invece assistere ad una bella discussione per rivendicare i poteri di questa Assemblea, discussione giuridica di alto valore, ma che ha fatto rinviare di parecchi giorni la discussione su questo argomento, di cui è atteso con impazienza l’esito da tutto il Paese.

E ieri, sentendo le comunicazioni fatte dal Presidente del Consiglio, nelle quali ho rilevato alcune intenzioni che possono essere da noi approvate perché rivelano – io spero – una decisione di operare, si è presentato però a me il dubbio che potesse ancora ripetersi ciò che si è verificato dopo che il Presidente del Consiglio fece le sue comunicazioni nel presentare il Governo che aveva formato.

In me si è radicato il convincimento che il Presidente del Consiglio sia, bensì, uomo sinceramente democratico, e attaccato alla difesa della libertà e della democrazia, ma che esista in lui una deficienza di metodo, perché tenta sempre di rinviare quando incontra degli ostacoli, anziché affrontarli, cercando di piegarli e di vincerli.

Io penso che il Paese stia attraversando un tale momento di sfiducia e di irritazione che richiederebbe da parte del Governo non incertezza, ma coraggio e decisione.

Se si continua con la timidità e il Governo si lascia dominare dall’incertezza nel cercare di risolvere questo disastro che abbiamo ereditato dalla guerra fascista e dalla disfatta, non riusciremo a dominare gli avvenimenti del Paese.

Del resto la timidezza è il peggiore dei criteri che possa essere seguito da qualsiasi Governo. Un Governo deve annunciare il suo programma, ma deve anche applicarlo, una volta che l’abbia annunziato.

Il gruppo parlamentare socialista, rendendosi interprete di questo bisogno, ha formulato il proprio programma, che ha reso pubblico e che ha comunicato tempestivamente al Presidente del Consiglio.

Il Partito socialista che si fa interprete, come sempre, sin dalla sua origine, dei bisogni della classe lavoratrice, ha ritenuto suo dovere di adunarsi in questi giorni per trattare questo problema, perché il Partito socialista, nel difendere gli interessi dei lavoratori, intende rappresentare una forza di ordinato progresso e di difesa della libertà. E poiché il Paese attende una decisione dalla Costituente, noi socialisti crediamo di fare tutto il nostro dovere in questa ripresa parlamentare nel non lasciare delusa l’aspettativa del Paese.

Ripeto, il Governo aveva già fissato il programma tre mesi or sono, e questo programma si è diluito forse negli uffici della burocrazia o non so in quale altra sede: il fatto è che dei provvedimenti allora annunziati e da noi approvati nulla è stato attuato, riforme e provvedimenti non hanno avuto alcun seguito.

È da sperare che l’onorevole Presidente del Consiglio voglia questa volta dar corso al proprio programma, per quanto non abbia trattato argomenti tanto sentiti dal popolo italiano e dalla classe lavoratrice particolarmente e che io cercherò rapidamente di prospettare.

Il Governo nella lotta per superare questa crisi ha il dovere di stabilire una politica organica, non una politica frammentaria, cercando di incanalare con la sua iniziativa, con i suoi provvedimenti, tutta l’attività industriale. È questo un vasto campo del quale il Governo si deve interessare e deve saper tracciare anche una politica finanziaria e quindi adottare tutti i provvedimenti, che debbono e possono agevolare la vita dei lavoratori italiani.

La crisi industriale che attraversa attualmente l’Italia – crisi che del resto è caratteristica di un dopo guerra – ci pone di fronte a molti problemi che devono richiamare l’attenzione di quanti operano per il pubblico bene, e particolarmente di noi che siamo i diretti rappresentanti del popolo. Noi ci troviamo di fronte ad un problema grave accennato ieri dall’onorevole Presidente del Consiglio, dibattuto un po’ da tutti i giornali e da tutti i partiti, della crisi gravissima che sta attraversando la nostra moneta, la lira. Noi sappiamo che vi sono ceti i quali tentano in tutti i modi di portare alla rovina la nostra moneta. Questi ceti si trovano nella grande industria e nell’alta finanza. Essi sono oggi indebitati con le banche e con i terzi e tentano in tutti i modi di annullare queste loro pendenze per salvare quei patrimoni che hanno nascosto e che non vogliono mettere in circolazione.

Del resto noi organizzatori sindacali queste cose le abbiamo fatte presenti e io, nella mia qualità di Segretario della Camera del Lavoro di Torino e di membro del Consiglio direttivo della Confederazione del Lavoro, in più riunioni che ho già avuto con gli industriali, per trattare argomenti che toccano da vicino la classe lavoratrice, ho accennato più volte a questo pericolo e a questo doppio giuoco che si tenta di fare. Gli industriali vorrebbero correre rapidamente verso certi miglioramenti apparentemente benefici per la classe lavoratrice per potere, di volta in volta, senza alcun controllo, rovinare decisamente la capacità di acquisto della nostra carta moneta e salvare i loro patrimoni. Si chiede quindi l’intervento e l’azione del Governo, affinché tutto questo giuoco così palese non possa avere alcun esito e la politica finanziaria venga decisamente indirizzata in modo da evitare questa grave sciagura, che ricadrebbe totalmente sulle spalle della classe lavoratrice.

Il Governo dunque deve stabilire la sua politica industriale; ma, mi chiedo, perché il Governo deve fare l’industriale? Il Governo controlla attraverso organi suoi un gruppo notevole di industrie. Basta pensare che controlla il 75 per cento dei cantieri navali, controlla le industrie attraverso l’I.R.I. e I.M.I.; il Banco di Napoli, la Banca del Lavoro, l’Istituto Infortuni, l’Istituto delle Assicurazioni, la Banca d’Italia, la Banca di Sicilia, l’A.R.A.R. ecc.

In tutti questi Enti vi sono dei Commissari; chiedo formalmente che siano finalmente ristabiliti dappertutto i consigli regolari di amministrazione. Non è concepibile continuare in questo modo, con dei Commissari, i quali sono quasi sempre uomini con altre cariche politiche o di Governo, e quindi questi Enti, che pesano notevolmente sulla vita politica, finanziaria e industriale del Paese, sono abbandonati completamente in mano alla burocrazia.

Noi chiediamo che il Governo precisi cosa deve essere fatto, perché siamo in un periodo di trasformazione dell’industria; vogliamo sapere cosa dobbiamo fare, e non soltanto correre ai ripari, come si è fatto recentemente con l’Odero di Genova, alla quale si è assegnato un miliardo di lire affinché possa provvedere alle sue necessità, senza che il Governo e la Tesoreria provvedano ad assicurarsi in qualche forma il credito concesso. Né il Governo provvede a dare un preciso indirizzo; soltanto un vago accenno fatto ieri dal Presidente del Consiglio, ci informa che il C.I.R. provvederà finalmente a risolvere questi problemi e a condurli in porto, affinché dette industrie abbiano un programma che risponda alle necessità e all’economia della Nazione.

Il Governo controlla ai traverso l’I.R.I. tre grandi banche: la Banca Commerciale, il Credito italiano e il Banco di Roma; e queste banche fanno i loro affari, agiscono per loro conto, stabiliscono i tassi che credono, ripartiscono quanto torna loro comodo, ma la politica del Governo, in questi casi, tranne che nelle affermazioni generiche, non si sente e non pesa sull’attività specifica di questi organismi creati per sollevare l’economia e la finanza del nostro Paese.

Quindi io chiedo che il C.I.R. stabilisca una politica economica e di ricostruzione, e la faccia eseguire dagli altri organi ad esso subordinati. I quattro o cinque ministri che formano la direzione del C.I.R., se occorre si facciano aiutare da tecnici competenti, ma è urgente una decisione, affinché il Paese possa conoscere le intenzioni del Governo. Tutti i provvedimenti conseguenti devono immediatamente essere messi in esecuzione, e la legge deve colpire inesorabilmente coloro i quali tenteranno di sabotarli.

Naturalmente, nello stabilire questo programma di lavori, il Governo dovrà preoccuparsi di dare la precedenza, non soltanto a quei lavori che potranno occupare della mano d’opera disoccupata, o permettere il trasferimento di mano d’opera da una all’altra industria, ma dovrà mettere in esecuzione quei provvedimenti e quei lavori che potranno aiutare la ripresa economica della Nazione.

Il C.I.R. dovrà anche stabilire in modo preciso ciò che vuol fare in merito al grave problema della ricostruzione edilizia. Noi brancoliamo nel buio: ogni città per suo conto cerca di esaminare e di risolvere il problema, ma poi di fronte alla difficoltà della moneta si ferma e tutto rimane al punto in cui era quando noi finimmo la guerra. Soltanto a Torino, noi che discutiamo questo problema da alcuni mesi alla Camera di Commercio – dove venne costituita un’apposita Consulta tecnica – abbiamo riscontrato che per ricostruire le abitazioni distrutte dai bombardamenti occorre una cifra notevole: da 13 a 15 miliardi di lire.

Ora, se non vi è un piano anche in questo problema da parte del Governo e da parte del Comitato interministeriale della ricostruzione, non so per quanto tempo ancora rimarremo spettatori delle rovine che abbiamo in casa nostra, senza risolvere le esigenze tanto gravi degli alloggi.

Il problema, quindi, ho detto, deve essere risolto anche agli effetti della disoccupazione. La disoccupazione, che l’onorevole Presidente del Consiglio non ha toccato, è un problema gravissimo dal punto di vista sociale, dal punto di vista umano, dal punto di vista, quindi, dell’ordine pubblico ed è strettamente collegato con tutto quello che il Governo riuscirà a tracciare, a stabilire nella sua politica ricostruttiva del Paese.

Noi siamo pervasi da una preoccupazione circa lo sblocco dei licenziamenti. Gli industriali insistono per avere la libertà di licenziare il personale in soprannumero nelle singole ditte, perché – affermano – è antieconomico mantenere della mano d’opera in soprannumero. Siamo perfettamente d’accordo che non è nell’interesse della produzione, non risponde al piano per la diminuzione del costo dei prodotti mantenere della mano d’opera eccedente ai bisogni nei singoli stabilimenti.

Ma il problema non è questo. Esso non può venire risolto a sé stante. Il licenziamento richiama il dovere di aiutare il disoccupato e di dargli quindi quel sussidio che da mesi si accenna da tutti i partiti, aumentato e migliorato, in relazione alla necessità della vita. Inoltre occorre provvedere a migliorare la capacità di acquisto del consumatore italiano, ossia del lavoratore. Se oggi, attraverso le statistiche, desumiamo che con un guadagno di 350 lire al giorno si spenda circa il 90 per cento soltanto nella parte alimentare, senza peraltro acquistare quello che occorre per un minimo di vita, (anzi è accertato che il tenore di vita della classe operaia si aggira tra il 50 e il 60 per cento rispetto a quello che era nel 1939) è evidente che il disoccupato, anche con un sussidio maggiorato, non potrà vivere. E si avrà un’altra contrazione nei consumi interni e quindi una crisi industriale ancora maggiore.

Ecco perché oltre alle ragioni, che rapidamente accennerò più innanzi, noi abbiamo sì il dovere di alleggerire quelle aziende che domandano di allontanare il personale in sopranumero, ma anche il dovere di mettere in esecuzione rapidamente quei piani di cui si parla da mesi, e per i quali il Ministro dei lavori pubblici prevede di dover spendere parecchi miliardi; ma quando, pressati dalle proteste dei disoccupati delle singole città, andiamo a reclamare di dare sollecito corso ai lavori, ci sentiamo invariabilmente rispondere che non vi sono fondi disponibili. Questi fondi devono essere trovati con quella forma cui ha ieri accennato il collega Lombardi e con altre forme; questo, oltre ad essere un problema morale del Paese, è anche una necessità per far scomparire la vergognosa speculazione e mettere lo Stato nella possibilità di assicurare alle classi lavoratrici un più alto tenore di vita. Occorre pensare che attualmente noi abbiamo circa 1 milione e 600 mila disoccupati; se si dovesse licenziare anche quella percentuale richiesta dagli industriali raggiungeremmo la cifra di 2 milioni. Inoltre, poiché il sussidio di 50 lire attualmente concesso non è più adeguato alla situazione e si pensa di elevarlo ad almeno 200 lire al giorno per disoccupato, noi andremo incontro ad un onere di 11 miliardi al mese, onere che, io penso, lo Stato non potrà sopportare. Ecco quindi la necessità da parte del Governo e da parte nostra di provvedere, affinché il numero dei disoccupati venga sensibilmente ridotto, attraverso l’impiego della mano d’opera in soprannumero, in lavori utili per la ricostruzione del Paese. Ciò facendo e considerata la forte emigrazione che si riscontra a Torino (che è il centro dell’emigrazione italiana) noi potremo ridurre sensibilmente il numero dei lavoratori disoccupati, e l’onere del sussidio di 200 lire giornaliere potrà essere sopportato dal bilancio dello Stato.

Ho accennalo al problema dell’emigrazione, problema di una certa gravità ed importanza. A Torino, presso la nostra Camera del lavoro, vi è un rappresentante del governo francese ed un rappresentante della Confederazione generale del lavoro francese, addetti alla emigrazione di questi nostri fratelli che abbandonano l’Italia per recarsi in Francia; noi controlliamo affinché tutto sia regolare rispetto alle condizioni pattuite fra le due Confederazioni e fra i due Governi. Ci preoccupiamo del prossimo domani, perché paventiamo il pericolo di vedere allontanare tutta la mano d’opera specializzata e qualificata, la cui emigrazione sarà risentita dalle nostre industrie. In Italia, in questi ultimi sette o otto anni, non abbiamo potuto fare nessun corso serale e diurno a carattere professionale, per cui abbiamo una notevole carenza di mano d’opera specializzata. Non sappiamo ancora – perché ancora non conosciamo i termini definitivi del trattato di pace – che cosa potremo produrre domani; io penso però che l’Italia dovrà attrezzarsi per lavorare e vincere i mercati per la qualità dei prodotti più che per la quantità. Ed è per questo che è necessaria una mano d’opera specializzata, qualificata, ed occorre un’attrezzatura che bisogna ricostruire senza perdere tempo, altrimenti ne verrà all’Italia un gran male. Noi socialisti, organizzatori sindacali, su questo siamo tutti d’accordo. Richiamiamo l’attenzione anche degli industriali e li invitiamo a fare sforzi per trattenere il maggior numero di operai specializzati, che altrimenti emigrano, nell’attesa di poter formare dei giovani capaci di sostituirli.

Noi pensiamo che anche l’emigrazione della mano d’opera qualificata sarà utile, perché l’operaio più colto faciliterà anche il lavoro del nostro Governo per diradare quelle nubi che ancora offuscano l’orizzonte, e rendere più cordiali i rapporti tra noi e le altre nazioni; però non dobbiamo chiuderci in questa visione, ma vedere le difficoltà presenti e del domani della nostra industria. Ecco, quindi, che se da un lato è bene ed è giusto che lasciamo libera l’emigrazione di parte dei nostri lavoratori, dobbiamo però fare in modo che gli operai, i quali non possono passare da un’industria all’altra, e non possono nemmeno emigrare, si riducano a un numero sopportabile per il bilancio dello Stato, pur ricevendo un sussidio che permetta ad essi e alle loro famiglie di vivere.

A questo proposito, voglio richiamare la vostra attenzione sulla gravissima situazione sanitaria, conseguente alla denutrizione del nostro popolo. Ieri, quando l’onorevole Lombardi ha detto che i contadini sono in miseria, ho sentito delle esclamazioni su altri settori. Ebbene, signori, io vi parlo basandomi su pochi dati di cui posso disporre, perché gli uffici statistici delle Camere del lavoro non sono ancora in efficienza. La Camera del lavoro è un organismo complesso che richiede molto tempo per essere ricostruito. Un partito, si ricostruisce in due ore; si mettono d’accordo gli uomini, si forma un programma, lo si lancia al pubblico, ed ecco il partito in azione. Ma la Camera del lavoro invece richiede uomini, capacità tecniche, e passa del tempo prima che possa dare i suoi frutti. Ebbene, a Torino noi abbiamo questa situazione: una recrudescenza della tubercolosi nel rapporto da uno a. quattro in brevissimo tempo. L’altro giorno, prima che ripartissi da Torino per Roma, il Direttore sanitario dell’Ospedale mi ha dato conferma di questo fenomeno: la gioventù, che si presenta all’Ospedale per la cura di dolori traumatici o di ferite, presenta sovente una temperatura elevata costante. I pazienti, sottoposti a visita, invariabilmente hanno i segni della tubercolosi.

Per darvene un saggio, vi leggo qui poche righe di un rapporto che un Ente pubblico ha spedito al Governo. Esso dice testualmente: «Senonché, generalmente, dopo un certo periodo di servizio quegli elementi riconosciuti costituzionalmente sani all’atto della visita di arruolamento, rivelano i sintomi di forme tubercolari che sorgono quasi all’improvviso ed hanno decorso assai rapido». E continua: «Le cause della tubercolosi verificatasi in numero abbastanza preoccupante, specialmente nei mesi invernali, sono molteplici:

1°) in primo luogo l’insufficienza di vitto».

E conclude con queste parole: «Dalla situazione sopra esposta è facile ricavare la conclusione che i provvedimenti intesi a migliorare la situazione sanitaria del corpo, non possono essere che i seguenti:

1°) miglioramento qualitativo e quantitativo del vitto…».

Ora, io devo far notare che mentre mai si sentì il bisogno di istituire ambulatori sanatoriali per la osservazione e la cura della infanzia, a Torino si è posto anche questo quesito nel campo medico e sanatoriale e si dovranno istituire anche tali ambulatori per la cura infantile, perché la percentuale della tubercolosi infantile è così considerevole che preoccupa vivamente l’autorità locale.

Quindi, se diciamo che è necessario fare una politica di intervento da parte del Governo affinché l’alimentazione venga equamente ripartita, affinché quel che esiste non serva a pochi, noi crediamo di essere nel giusto. Il ragionamento che fanno alcuni, i quali dicono che c’è poca merce, non regge: se c’è poca merce dev’essere ripartita in parli uguali, in modo che quel poco giunga effettivamente su ogni desco familiare.

Ieri l’onorevole Presidente del Consiglio ha accennato alla razione della carne, ed ha dichiarato che questa nuova situazione è dovuta alla diminuzione del prezzo dei foraggi, che induce il contadino a conservare il bestiame, anche perché ha sfiducia nella solidità della lira. Ma quando domandiamo l’intervento del Governo per una politica organica dei prezzi, intendiamo che esso agisca anche su questo settore del concime e dei foraggi, in modo che tutti possano averne un beneficio.

Mentre a Torino siamo passati, dall’anno scorso a quest’anno, da poche decine di migliaia di vitelli ad oltre cento mila, riscontriamo che la bestia viva sul mercato la settimana scorsa era quotata 360 lire al chilo, il che vuol dire che la carne al consumatore costerà circa 600 lire al chilogrammo, mettendo in conseguenza il lavoratore in condizioni di non poterla consumare.

D’altra parte abbiamo questa statistica: dal 1942 ad oggi il consumo della carne in Italia, pro capite, è diminuito del 50 per cento. Questa diminuzione è a carico tutta del lavoratore, che è nell’impossibilità di comprare tale alimento. Ora, dopo le segnalazioni delle condizioni sanitarie che ho fatto, e tenuto presente che andiamo verso l’inverno senza che i lavoratori possano nutrirsi di carne, quali saranno le ulteriori conseguenze? E mentre dobbiamo agire nel settore dell’alimentazione, non possiamo non preoccuparci anche del settore del vestiario e dell’abbigliamento. Dovete tener presente, egregi colleghi, che molte famiglie del ceto medio dell’Alta Italia (non conosco le condizioni della bassa Italia) sono prive di lenzuola, in parte perché distrutte dai bombardamenti ed in parte consumate per la naturale usura, e non hanno potuto rinnovare nulla del proprio abbigliamento da parecchio tempo. I medici delle Mutue, che ci segnalano questi particolari, vanno a visitare gli operai e gli impiegati nelle singole abitazioni e li trovano ammalati sul proprio giaciglio modestissimo, senza lenzuola e senza federe.

Ebbene, noi sappiamo che la distruzione del patrimonio nazionale di circa il 50 per cento, in seguito alla guerra, ha determinato conseguentemente una restrizione nei consumi. Sappiamo che dobbiamo fare degli sforzi per migliorare tale situazione. Dobbiamo soprattutto cercare di arrivare all’estero ed affermarci in tutto quello che è possibile, come del resto fanno gli altri. Dando uno sguardo alle statistiche dei Paesi esteri, vediamo, ad esempio, che l’Inghilterra, facendo il raffronto fra il trimestre di questo anno e quello dell’anno scorso, soltanto nel settore di una qualità di macchinario ha esportato il doppio dell’anno scorso in sterline ed in peso. Quindi anche noi dobbiamo fare tutti gli sforzi, non con la rinunzia a tutti i nostri bisogni, ma cercando di graduare queste rinunzie agli effettivi bisogni del popolo.

C’è qualcuno che esprime la sua meraviglia quando noi chiediamo la requisizione delle fabbriche, che non producono, talvolta di proposito, sottraendosi così a certi doveri sociali. Io mi sono interessato, come Segretario della Camera del lavoro, di un fatto che merita di essere segnalato: un industriale ebbe l’ordine di assegnare determinati quantitativi di cotone lavorato ad una cooperativa, perché questa lo vendesse ai lavoratori ad un prezzo di favore. Cinicamente, questo industriale, dopo averne consegnato metà con molto ritardo, si è rifiutato recisamente di consegnare l’altra metà, dichiarando che gli conveniva di più esportare quel prodotto. Ebbene: noi siamo sì per l’esportazione, perché l’importazione delle materie prime che ci occorrono è collegata alla esportazione, ma è necessario prima garantire al popolo italiano la sua esistenza ed un livello minimo di vita.

 Mi permetto, egregi colleghi, di soffermarmi ancora su un punto che interessa tutto il popolo italiano: quello del meridione, problema che assilla continuamente la nostra vita nazionale, che ritorna sempre e la cui soluzione rimane nei discorsi più o meno eloquenti degli oratori parlamentari.

Io chiedo che l’IRI ed il Banco di Napoli, che ha in mano il risparmio del meridione, studino il problema per cercare di fare risorgere quelle contrade. Noi abbiamo bisogno che il meridione risorga, non soltanto per un dovere che dobbiamo sentire verso quelle regioni, ma perché la sua resurrezione risolverà anche altri problemi del settentrione. Non esiste un’economia a compartimenti stagni; le diverse economie sono tutte interdipendenti. Il meridione deve elevare il suo tenore di vita, consumando i prodotti industriali del Nord, come noi consumiamo i prodotti delle sue terre.

Quindi il nostro gruppo chiede formalmente al Governo di farsi promotore, attraverso i suoi organi esecutori, di rapide iniziative, talché il problema del meridione non sia soltanto argomento di abilità dialettica degli oratori parlamentari, ma problema che trovi finalmente una sua attuazione pratica.

C’è poi il problema ospitaliero, che da noi è disastroso. Basta pensare che a Torino da circa 5000 letti, che avevamo prima della guerra, ci siamo ridotti a 2000; gli altri 3000 sono stati distrutti dai bombardamenti.

Quasi nessuno vuole fornire gli ospedali, perché sono quasi tutti insolventi, mentre le rette hanno raggiunto cifre notevoli, il cui pagamento rimane sempre praticamente scoperto, perché tanto gli ammalati, quanto gli Enti pubblici cui compete il carico della assistenza dei poveri, non possono pagare.

Io non so se, nell’attesa della riforma per l’autonomia comunale e per l’autonomia regionale, si possa intanto – pongo il quesito, perché ci sono tanti interrogativi che fanno rimanere perplessi – accordare immediatamente un’autonomia tributaria ai comuni, affinché essi possano, sulla base degli incassi o crediti, avere aiuti da parte di Enti finanziatori e provvedere ai bisogni immediati delle popolazioni.

Ad ogni modo, se il Governo ritiene che non sia ancora il momento di poter concedere questa autonomia parziale, dato il periodo di emergenza in cui viviamo, chiedo che mantenga seriamente i suoi impegni e garantisca ai comuni, sia pure col controllo dovuto, l’integrazione tempestiva delle somme necessarie per il funzionamento dei servizi.

Parlando delle banche, ieri l’onorevole Presidente del Consiglio ad un certo punto ha detto che a quei comuni, i quali prendono l’iniziativa di istituire determinati enti, il Governo garantirà il 50 per cento delle somme occorrenti. È già qualche cosa. Però, l’onorevole Presidente del Consiglio dovrà darmi atto che così si accendono dei debiti. Ora, il mutuo da chi si ottiene? Dalle banche. Ed io mi domando perché noi dobbiamo pagare il 9-10 per cento di interesse a degli istituti, quando questi danno ai depositanti il 0,5-1 per cento. Faccio la richiesta formale che, mentre prendo atto della dichiarazione del Presidente del Consiglio di aiutare nel modo che ha accennato tutti gli Enti che provvederanno alla creazione degli Istituti destinati a sollevare la vita dei più poveri, il denaro venga dato nelle forme più convenienti, in modo da contribuire a diminuire il costo della vita. Quando parliamo, specialmente da questo settore, di riforme, di provvedimenti, vediamo cenni di meraviglia e sentiamo accennare ai pericoli a cui si può andare incontro se vengono attuate queste riforme. Si dice che il capitale straniero, se impaurito, fugge, non ci fa credito, e noi poveri potremmo trovarci di fronte a delle difficoltà.

Ebbene, egregi colleghi e signori del Governo, se guardiamo fuori d’Italia troviamo l’esempio di Paesi conservatori che, hanno progredito in questi ultimi tempi con riforme importantissime, che interessano tutta la vita nazionale. In Inghilterra, per esempio, si sta facendo la nazionalizzazione delle miniere, la nazionalizzazione della Banca d’Inghilterra, la nazionalizzazione dei servizi sanitari. E noi invece siamo timorosi, e mentre il Presidente del Consiglio già nel discorso che fece nel presentare il Governo accennò ai consigli di gestione, ci troviamo ancora in fase di studio per metterli in funzione.

Si parla dell’estero. Ebbene, io ho avuto più volte l’occasione – dico l’occasione più che la fortuna – di parlare con uomini politici esteri. A questi uomini, parlando della situazione politica nazionale, ho fatto cenno di questo dovere di andare incontro alla classe lavoratrice, la quale ha coscienza dei nuovi diritti che si sono maturati e vuole che ci sia qualcosa anche per sé, senza continuare ad essere considerata merce a disposizione del capitale. Questi uomini politici esteri non si sono meravigliati delle mie parole, perché si sono resi consapevoli anch’essi che un paese povero come il nostro, per potersi riprendere, ha bisogno di un’assoluta unità d’intenti e d’indirizzo, ha bisogno dell’unità nell’azione di tutte le forze nazionali. Altrimenti, se noi lasciamo i lavoratori nelle condizioni di inferiorità in cui attualmente si trovano, non troveremo mai quelle possibilità di collaborazione che desideriamo.

Ecco, quindi, che mentre vediamo altri Paesi procedere rapidamente nelle riforme sociali, noi invece ci dibattiamo nell’incertezza, con danno evidente di tutto quello che è indirizzato alla ripresa nazionale.

Chiedo quindi che anche in questo campo il Governo si decida a mettere rapidamente in esecuzione quelle riforme che sono ormai mature, ed il Governo troverà nei lavoratori la comprensione necessaria per fare lo sforzo superiore, che è indispensabile per risollevare tutta l’economia nazionale.

L’onorevole Presidente del Consiglio ha accennato alla tregua salariale e quindi alla tregua sindacale.

Noi siamo consapevoli di questo bisogno; però l’onorevole Presidente del Consiglio deve tener presente, che non dipende soltanto dall’apporto che possiamo dare con un documento scritto che stabilisca di sospendere per il tempo x o y qualunque richiesta di carattere salariale, ma dipende anche dalla capacità che noi avremo di contenere il costo della vita in limiti sopportabili per le classi lavoratrici. Ma se noi a questo non riusciremo, Signor Presidente del Consiglio ed egregi colleghi, potremo firmare tutti i patti e tutte le tregue che vorremo, ma il bisogno si presenterà infallibilmente e si dovrà provvedere in qualche modo a sollevare le condizioni degli operai. Siamo pronti ad accettare questa tregua, ma essa è subordinata ad un complesso di provvedimenti organici che apportino un miglioramento considerevole della vita e allora soltanto, quando i lavoratori constateranno che effettivamente si è ottenuto qualche cosa di positivo in loro favore, noi potremo accedere alla richiesta del Governo, perché esso possa tranquillamente studiare le riforme necessarie in questo periodo di emergenza.

Onorevoli colleghi, io voglio assicurare il Presidente del Consiglio e il Governo tutto della sincera e leale collaborazione dei socialisti al Governo stesso, però ad una condizione: che si agisca sul serio. Noi non abbiamo mandato i nostri rappresentanti al Governo unicamente per occupare dei posti. Noi siamo al Governo e intendiamo condividere le sue responsabilità in un momento così grave per il Paese, ma desideriamo e domandiamo nel modo più formale che il programma che si annuncia, quel tanto o quel poco che corrisponde alle effettive possibilità del momento, venga seriamente e decisamente attuato e allora continueremo ad essere dei collaboratori leali e sinceri. Se sfortunatamente – ed io non me lo auguro – ci troveremo ancora di fronte alle sole parole, allora ci si costringerà, nostro malgrado, a rivedere le nostre posizioni.

Onorevole Presidente del Consiglio, io ho imparato due massime che mi ha insegnato il mio Maestro, l’indimenticabile onorevole Bruno Buozzi. Egli mi diceva, sin da quando incominciai a frequentare le organizzazioni sindacali: «Prometti soltanto ciò che puoi mantenere; non chiedere mai più di quello che puoi ottenere». Ebbene suppongo che l’onorevole Presidente del Consiglio abbia promesso quello che effettivamente potrà mantenere. Non so se egli ha sentito ciò che ho detto all’inizio del mio discorso. Comunque ho trattato degli argomenti di immediata attualità. Bisogna metterli in atto. Per esempio, il premio della Repubblica incontra molte difficoltà nella sua applicazione; da tre mesi è stato approvato ed ancora abbiamo fastidi e preoccupazioni nelle Camere del Lavoro, dove affluiscono giornalmente centinaia di persone che reclamano il loro diritto, mentre gli industriali rispondono che non pagano il premio perché il provvedimento non è stato ancora pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.

Ora non si può permettere che di una legge, che può determinare la. tranquillità o meno dell’ordine pubblico, sia ritardata l’applicazione perché l’ufficio non ha trovato modo di poterla pubblicare sulla Gazzetta Ufficiale. Non soltanto, ma ho saputo in questi giorni, onorevole Presidente del Consiglio, un altro fatto, che incide sul costo della vita. Un ex Sottosegretario di Stato alle finanze mi ha riferito di avere studiato un progetto di legge per esonerare dalla applicazione della tassa generale sulle entrate l’ultimo passaggio delle merci e disposto per l’applicazione del provvedimento, ma la burocrazia lo ha messo a dormire. Così le cooperative pagano l’8 % per la frutta e le verdure, mentre i rivenditori ambulanti pagano solo il 3,50 %, frustrandosi così la funzione calmieratrice che le prime devono esercitare. Tutti i problemi, onorevole Presidente del Consiglio, che noi presentiamo, richiedono una rapida soluzione, affinché possano apportare una certa tranquillità alla classe lavoratrice italiana.

Voi avete accennato, nella chiusa del vostro discorso di ieri, che potremo avviarci presto verso il secondo Risorgimento. Me lo auguro; lo vogliamo, e lo vogliamo sinceramente. Dipende da voi che siete al Governo; e noi collaboreremo sinceramente con voi se voi opererete. Coi vostri atti dovete portare un soffio di fiducia in mezzo al popolo italiano, in mezzo soprattutto alla classe che più è provata in questo tremendo periodo che si attraversa. E se voi saprete con provvedimenti rapidi, immediati, non più ritardati, accaparrarvi la fiducia del Paese e dei lavoratori che guardano con speranza a questa Assemblea, state sicuri, onorevoli membri del Governo e signor Presidente del Consiglio, che il popolo italiano vi risponderà. E allora veramente potremo dire di aver ritrovata la via definitiva per la nostra resurrezione. (Applausi a. sinistra).

Presidenza del Vicepresidente TERRACINI

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Pella. Ne ha facoltà.

PELLA. Onorevoli colleghi, non vi stupirà certamente la dichiarazione di fiducia nel programma governativo che ho l’onore di fare a nome del gruppo democratico cristiano. Ma appunto questo nostro naturale desiderio di essere a fianco del Presidente del Consiglio e suoi collaboratori nella immane opera di ricostruzione del Paese, mi suggerisce di proporre all’attenzione vostra e del Governo alcune osservazioni e raccomandazioni, che per la maggior parte ripetono la loro origine da ragioni fatali e insuperabili di ordine tecnico più che di ordine squisitamente politico.

Poiché, o amici e onorevoli colleghi, io penso che sentiamo tutti l’istanza urgente, che sale dal paese verso questa Assemblea, di dare un contributo possibilmente concreto e tecnico alle nostre discussioni, eventualmente accantonando quelle questioni più genericamente politiche che, nel momento attuale, le grandi masse forse considerano meno urgenti.

Profondamente esatta è l’affermazione del Presidente del Consiglio, secondo cui al centro della crisi attuale del Paese sta il problema della stabilizzazione della lira. Non da oggi, come partito, come gruppo parlamentare, e mi si permetta, anche personalmente, abbiamo ed ho sostenuto che il problema della difesa contro lo spettro dell’inflazione è oggi il problema base, problema che interessa non tanto le classi così dette abbienti (se ha un significato oggi una terminologia di questo genere), poiché queste classi già da tempo hanno provveduto ad una loro politica di investimenti in beni reali, se non addirittura a quella politica di indebitamento che proprio in un processo inflazionistico troverebbe il suo coronamento e la sua meta finale. La inflazione interessa e preoccupa essenzialmente la grande massa dei lavoratori, la massa dei pensionati, la massa delle classi medie a reddito fisso, la massa degli stipendiati e dei salariati; poiché, onorevoli colleghi, ricordiamoci quanto sia esatto il detto, forse troppo abusato, ma quanto mai di attualità: che, sì, è vero, quando i prezzi crescono devono crescere anche gli stipendi e i salari; ma ricordiamoci che i prezzi salgono con l’ascensore, mentre i salari e gli stipendi salgono lentamente per le scale.

Onorevoli colleghi, la stabilizzazione è al centro della questione attuale della vita della Nazione, ma è bene che su questo punto chiariamo le nostre idee contro possibili malintesi. Quale stabilizzazione? Abbiamo letto stamani sui giornali che la circolazione, comprese le am-lire, a fine agosto era sui 415 miliardi contro 22-23 miliardi del 1939. Moneta cartacea, quindi, aumentata circa di 20 volte: vorrei sperare che in questi primi venti giorni di settembre i termini di tale rapporto non si siano spostati. La moneta bancaria è aumentata secondo un parametro considerevolmente inferiore; i prezzi, invece, che oscillavano due mesi fa sopra una base di 30-35 volte l’anteguerra, oggi sono sulla base di almeno 40 volte l’anteguerra. Premesso che stabilizzazione della moneta significa determinazione della capacità di acquisto della moneta in termini di merci e di servizi, dobbiamo noi ammettere che la meta di questa stabilizzazione debba essere rivolta ad un livello di prezzi di 30-40 volte anteguerra – come hanno tentato di sostenere determinati gruppi interessati – o non dobbiamo, invece, affermare solennemente il principio che la stabilizzazione deve mirare a quello che è il parametro attuale della situazione monetaria? Stabilizzazione, quindi, su una base 20, su una base 22, su quello che sarà il livello generale dei prezzi quando si sarà raggiunto un volume normale di affari e di scambi, resistendo contro le pressioni di chi vorrebbe portare le direttive monetarie del Governo verso una stabilizzazione sull’attuale livello dei prezzi, influenzato dal fenomeno della rarità della merce, nonché da quei fattori psicologici che ben conosciamo.

E mi si consenta, poiché dovrò al Ministro del tesoro uscito di carica rivolgere qualche appunto, mi si consenta in questo momento di riconoscere che è stato essenzialmente merito suo di affermare il principio che la stabilizzazione della lira italiana doveva aver riguardo puramente e semplicemente a quello che era il parametro di inflazione monetaria, resistendo alle istanze di salvataggio dalla necessaria crisi di assestamento dei prezzi di tutte quelle categorie che, per avere investito in beni reali a quota 30-40 volte l’anteguerra, avrebbero voluto che la politica monetaria del Governo portasse alla stabilizzazione su quelle basi: avrebbero voluto, cioè, sottrarsi a quelle fatali perdite, che sono, fra l’altro, la contro partita degli utili conseguiti durante il progressivo aumento dei prezzi.

Onorevoli colleghi, mi pare che qui sia il punto essenziale di partenza di tutta la discussione sulla politica monetaria che deve oggi attuarsi in Italia. Vi sono forze occulte interessate, da una parte e dall’altra, mi si permetta, correnti di incomprensione in sede di minor conoscenza tecnica dei problemi, le quali forze e correnti concorrono a spostare i termini della questione per affermare che stabilizzazione al di sotto del livello attuale dei prezzi significa deflazione. No, signori, deflazione potrebbe significare se andassimo al di sotto del parametro monetario 20-22; sarebbe inflazione se andassimo oltre. Perciò è indispensabile che il Governo, come d’altra parte mi sembra ci abbia dato sufficienti assicurazioni, assolutamente si impegni, attraverso il nuovo titolare del dicastero del tesoro, di continuare in quella politica precisa e perentoria di non stampare altra carta-moneta.

Ed il problema attuale risiede proprio in questo: vedere se e fino a qual punto sia oggi possibile obbedire a questo imperativo categorico o, in altri termini, se e fino a qual punto sia oggi lecito sperare che si possa infrangere il torchio della stampa dei biglietti.

Onorevoli colleghi, due forze convergenti possono far pressioni sopra il Ministero del tesoro perché si arrivi ad una ulteriore stampa dei biglietti; da una parte le necessità dello Stato per quanto attiene al bilancio dello Stato medesimo, dall’altra quelle che possono essere considerate le necessità dell’economia privata in sede di finanziamento della ripresa economica. Io non vorrei, onorevoli colleghi, tediarvi troppo con argomentazioni di carattere strettamente tecnico; ma mi sembra che non sia tempo perduto una breve rassegna di questa materia.

Il bilancio dello Stato, (lo sappiamo in linea di massima) è ben lungi dall’avere ottenuto il suo pareggio. Se siamo bene informati, dai due consuntivi del 1943-44 e 1944-45 (desumo questi dati dalla relazione del Governatore della Banca d’Italia sull’esercizio del 1945, Governatore che avrò l’onore di citare qualche volta in quest’aula, stasera soprattutto, come Maestro insuperabile di economia) abbiamo rilevato che il deficit complessivo dei due esercizi è stato di 500 miliardi. Abbiamo saputo che l’esercizio 1945-46 si è concluso con un ulteriore decifit che riteniamo dell’ordine di grandezza, di 300-350 miliardi. Mi si consenta una parentesi, vi è ancora qualcosa di clandestino in Italia, e sono i dati relativi alla situazione del tesoro, i quali nella loro forma sistematica, completa e dettagliata, vengono sì pubblicati, ma a disianza di molti mesi. Non so se sia deficienza del mio servizio di informazioni, ma il fatto si è che la maggior parte degli italiani oggi conosce soltanto il conto del tesoro a fine febbraio 1946.

MARINARO. È uscito un altro bollettino.

CORB1NO. A tutto il 30 giugno.

PELLA. Quelle del 30 giugno sono cifre riassuntive che abbiamo appreso dai giornali.

UBERTI. A tutto il 30 aprile, non di più.

PELLA. In ogni modo, tutto ciò non esclude che possiamo ritenere per valido che nei tre esercizi vi è stato un disavanzo complessivo di circa 800 miliardi: disavanzo il quale, per buona parte, è stato colmato con una politica di indebitamento, che potevamo comprendere come fatale per un primo periodo di tempo, ma che inevitabilmente non poteva non rivelarsi pericolosa.

Noi sappiamo che l’ottimismo fa dei miracoli, ma sappiamo anche che il pessimismo, quando nasce, nasce gigante. Può essere sufficiente un principio di pessimismo nel risparmiatore italiano, perché quell’afflusso di denaro già investito in buoni del tesoro, che è stato la base per colmare le necessità di tesoreria, possa non più verificarsi. Questo era il punto debole della politica del Ministro del tesoro uscente, al quale però io desidero rendere omaggio per il suo ben superiore e preminente merito di avere impostato la politica monetaria in quei limiti cui ho accennato prima.

Era ed è necessario attuare, ai fini del risanamento del bilancio, quella politica fiscale, quella politica tributaria in sede ordinaria e in sede straordinaria, che non può che essere la ricetta normale, la ricetta classica, per arrivare al pareggio del bilancio.

Su questo punto – e mi si creda, ché sono veramente sincero quando affermo che non desidero sollevare critiche nei confronti di specifiche persone – su questo punto della politica fiscale non è mistero che il pubblico italiano è rimasto in parte deluso. Noi ci troviamo nel campo della finanza ordinaria con degli introiti che sono attualmente di gran lunga inferiori a quelli che dovrebbero essere in relazione alle nuove espressioni monetarie dei redditi, sia pure tenuto conto della diminuzione del reddito nazionale.

Ritengo che i 40 miliardi circa di tributi diretti e indiretti che si registravano nel 1939 e nel 1940 potrebbero, con l’andare del tempo, diventare, all’incirca, 400 miliardi. Se potessimo arrivare celermente a questa meta, voi lo comprendete, potremmo finanziare un bilancio ordinario a vasto respiro e guardare con occhio più sereno e tranquillo l’avvenire della nostra moneta e confidare nella possibilità di potenziare quel bilancio straordinario che mi sembra sia ancora nelle intenzioni del Governo di affiancare al bilancio ordinario.

Ritengo che occorra insistere – e in questo senso abbiamo preso atto volentieri delle assicurazioni che ci ha dato l’onorevole Presidente del Consiglio, perché gli organi di accertamento e le procedure di accertamento e di riscossione siano riformati e potenziati. Noi sappiamo che l’Amministrazione delle finanze, sia per quanto riguarda le imposte dirette che per quanto concerne quelle indirette, annovera al centro e alla periferia, negli alti e nei minori gradi, personale di primissimo ordine. È bene che questo personale abbia la sensazione di svolgere nuovamente una funzione nobile, socialmente altissima, indispensabile alla ricostruzione della Nazione. Poiché io ritengo che sia indispensabile accordare a detto personale, oltreché un migliore trattamento per le necessità materiali della vita, anche una rivalutazione della sua funzione sociale. Per quanto riguarda la finanza straordinaria, non nascondo un certo senso di delusione per quella che è stata la lentezza nell’attuazione di determinati provvedimenti.

Imposta straordinaria sugli utili di guerra, avocazione degli utili di guerra, avocazione dei profitti di regime: provvedimenti che hanno trovato la loro definizione legislativa soltanto due o tre mesi orsono. Ed io mi domando se effettivamente possiamo ancora, a distanza di tanto tempo, contare molto sul gettito di tali tributi.

Ciò nondimeno mi permetto raccomandare vivamente al Ministero delle finanze che non si perda un giorno di più ad avviare rapidamente a conclusione gli accertamenti in corso, in quanto io penso che ogni ritardo potrebbe essere deleterio. Meglio assai una definizione rapida dei sospesi, con accorte transazioni, piuttosto che inseguire speranze di maggiori introiti trascinando per mesi e mesi delle procedure con dubbio vantaggio per l’Erario.

Ma mi si consenta di riaffermare che la delusione forse più grave – e non so se, tecnicamente, fino a qual punto fondata, ma indubbiamente grave dal punto di vista psicologico e dal punto di vista politico – il pubblico italiano l’ha provata nei confronti dell’imposta straordinaria sul patrimonio. Ritengo che questa imposta, se attuata nel 1945, avrebbe raggiunto dei notevolissimi risultati, non soltanto sul piano fiscale, per le grandi masse di liquidità che allora erano a disposizione per un rapido pagamento principalmente nell’Italia Settentrionale. Essa avrebbe avuto dei risultati notevolissimi sul piano psicologico in relazione alla difesa della moneta, in quanto tale tributo straordinario avrebbe costituito l’indice di una finanza drastica, intesa a perseguire a fondo la difesa della moneta: forse molte disponibilità liquide che, dopo un breve periodo di attesa, si sono lanciate negli investimenti in beni reali, non avrebbero iniziato quella corsa agli investimenti che fu causa prima dell’aumento enorme dei prezzi dopo la liberazione. È stata un’ottima occasione perduta.

Io mi raccomando che nel momento più opportuno, dal punto di vista tecnico, e forse anche dal punto di vista psicologico, il Governo non ritardi eccessivamente l’applicazione di questo tributo. È il tributo – ricordiamocelo – base, il tributo straordinario fondamentale, forse il solo tributo che, come gettito fiscale, permetta effettivamente di finanziare il bilancio straordinario.

Nel frattempo, come ci è stato annunciato, sarà applicata un’imposta sul reddito derivante dalle rivalutazioni monetarie, che dovrebbe colpire azioni, terreni e fabbricati. Io penso che la forma volutamente concisa, adottata dall’onorevole Presidente del Consiglio, non corrisponda ad una incertezza nella visione di questo tributo, che certamente nel programma del Governo sarà già stato configurato nelle sue linee di massima; ma corrisponde invece al desiderio di poterlo presentare al pubblico italiano al momento opportuno, nella sua veste definitiva di immediata applicazione, allo scopo di impedire che nel frattempo si possano escogitare forme di evasione.

Tuttavia, da quanto mi sembra possibile intuire dalle affermazioni generiche contenute nella esposizione dell’onorevole Presidente del Consiglio, io ritengo che questo tributo debba avere ancor più che una portata di ordine fiscale (tutto sommato, potrebbe rappresentare un anticipo sull’imposta straordinaria sul patrimonio), debba avere, ripeto, soprattutto una portata di ordine monetario e di ordine psicologico: di ordine monetario, come affermazione di una tendenza di rivalutare la ricchezza liquida, attuando a suo favore una situazione fiscale migliore rispetto a quella della ricchezza reale. Il provvedimento trova, inoltre, sul piano sociale la sua giustificazione, in quanto che la ricchezza liquida, effettivamente, attraverso una svalutazione dell’ordine di grandezza da uno a venti, ha finito per sopportare una falcidia del 95 per cento.

Onorevoli colleghi, noi dobbiamo ritenere che se questo programma sarà attuato con la necessaria energia da parte del dicastero delle finanze, d’accordo con il Ministero del tesoro, effettivamente si potrà arrivare nel giro di un paio di esercizi a quel pareggio di bilancio che deve essere la meta essenziale per la salvezza della nostra moneta.

Nel frattempo, evidentemente, occorrerà ancora gettare un’arcata sul ponte di transizione. Il programma del Governo ha contemplato un prestito. Su questo prestito l’onorevole Presidente del Consiglio ha ritenuto di non dovere anticipare troppi dettagli, e, ritengo, a mio modesto avviso, che abbia fatto bene. Con questo, io penso che il Governo stia ancora esaminando quali possano essere le caratteristiche e gli allettamenti definitivi da accordare a questo titolo, perché effettivamente il prestito rappresenti, in termini concreti, la manifesta e concorde volontà di tutti gli italiani nel procedere alla opera della ricostruzione finanziaria della Nazione

Lascio alla benevola attenzione del Governo di esaminare se, e fino a qual punto, possa meritare considerazione la proposta dell’onorevole Lombardi, che ho sentito con molto interesse, di abbinare all’emissione del prestito il cambio della moneta. La forma adottata dall’onorevole Lombardi non mi permette di vedere con esattezza quali sarebbero le modalità tecniche che egli propone; ma, se per avventura (e ritengo di non essere lontano dal vero, dopo che abbiamo letto sul giornale di ieri il testo che aveva proposto l’onorevole Scoccimarro per l’imposta straordinaria sul patrimonio), se per avventura i titoli di Stato dovessero venir chiamati a contribuire all’imposta straordinaria sul patrimonio, allora occorrerà esaminare se non sia il caso effettivamente di chiamare a contributo anche l’altra ricchezza mobiliare liquida. E soprattutto occorrerà esaminare se non sia il caso di trasformare il prestito di nuova emissione in un investimento-rifugio del denaro liquido, accordando al nuovo titolo facilitazioni, se non l’esenzione, in sede di imposta straordinaria sul patrimonio e proclamando nello stesso tempo il cambio della moneta. Non è una raccomandazione che mi permetto di fare al Governo, ma, più che altro, esprimo il desiderio che questo punto venga esaminato. Soltanto il Governo, che ha tutti gli elementi a disposizione per studiare il problema e dal punto di vista tecnico e dal punto di vista sociale e psicologico, potrà concludere se e come possa convenire di seguire l’ordine di idee prospettate dall’onorevole Lombardi e da me integrato.

Onorevoli colleghi, la pressione per una ulteriore stampa di biglietti potrebbe però venire anche da altre parti.

La ripresa economica della Nazione richiederà masse ingenti di capitale liquido. Anche se noi volessimo formulare l’ipotesi – che mi sembra la più ottimistica – che fra due o tre anni, attraverso un processo di assestamento di prezzi, si giunga ad una stabilizzazione dei prezzi sul livello di 20-22 volate anteguerra – ed era questa la previsione che cautamente l’onorevole Governatore della Banca d’Italia faceva pochi mesi fa – è evidente che, a parità di volume degli scambi, sarà necessario all’economia nazionale un complesso di capitale circolante numericamente uguale almeno a 20 volte quello del 1938.

La massa dei depositi bancari, indice eloquente di quello che è l’aumento delle disponibilità di circolante per il finanziamento dell’economia privata, è aumentata invece secondo il rapporto di uno a sette.

Perciò, onorevoli colleghi, non si sfugge a questo dilemma: o noi, servendoci soltanto del capitale circolante di cui disponiamo vogliamo accontentarci di una forma rachitica di economia, che rappresenti, come volume di scambi, all’incirca un terzo di quello del 1938, oppure vogliamo, come è imprescindibile necessità, anche perché la politica tributaria raggiunga tutti i suoi scopi, ritornare al volume di scambi del 1938. In tal caso, modestamente non vedo altra strada, se non quella di invogliare il capitale estero ad interessarsi all’economia nazionale. Mi sembra che non vi sia altra soluzione per potere risolvere questo enorme problema del finanziamento della ripresa economica. Ed il capitale estero certamente non verrà a noi né per simpatia politica, né per il nostro bel cielo o per altre ragioni di ordine sentimentale. Esso verrà a noi, se noi saremo in grado di offrire ad esso degli ottimi affari. Ed a sbarazzare il terreno da qualsiasi equivoco, come tecnico desidero affermare che non mi interessa che il capitale possa arrivare da Oriente piuttosto che da Occidente; mi interessa che si tratti di capitale, il quale venga in Italia senza scopi reconditi, non per mettere ipoteche sulla nostra Nazione, ma soltanto con lo scopo di cercare un utile impiego.

Se noi riusciremo ad invogliare il capitale estero a rinsanguare l’economia della Nazione, io credo, onorevoli colleghi, che il momento della ripresa effettiva non sarà lontano.

Ha ragione l’onorevole Carmagnola quando afferma che diversi industriali e commercianti esteri, di passaggio per l’Italia, hanno manifestato la loro ammirazione per il grado di ripresa già da noi raggiunto. Questo, indubbiamente, è di buon auspicio. Ma è evidente che, se non si raggiungeranno determinate condizioni, questa buona predisposizione del capitale estero non potrà avere attuazione concreta. E queste condizioni, a mio avviso, sono essenzialmente tre:

1°) trovare il modo di uscire dall’attuale regime armistiziale, perché difficilmente prima della firma del trattato di pace il capitale estero sarà disposto ad affiancarsi all’economia italiana;

2°) ristabilire definitivamente un ordine pubblico, perché il capitale è estremamente sensibile ai pericoli di movimenti interni. Soltanto consolidando il nostro ordine interno e dando all’estero la sensazione che in Italia quest’ordine esiste, possiamo sperare che il capitale straniero varchi le frontiere per arrivare fino a noi;

3°) mettere le nostre aziende in condizioni di adeguato rendimento L’onorevole Carmagnola ha messo il dito sulla piaga quando ha ricordato che esiste ancora un problema, quello di ridare efficienza definitiva alle nostre imprese industriali risolvendo il problema dello sblocco dei licenziamenti. Al quale io vorrei affiancare anche il problema di un rendimento, al più alto grado possibile, della maestranza impiegata nelle singole fabbriche. Nel contrasto fra le due formule: «a ciascuno secondo il bisogno» o «a ciascuno secondo i propri meriti», io ritengo che mai come oggi abbia ragione di essere proclamata la nostra formula «a ciascuno secondo i propri meriti, alla condizione che sia assicurato a ciascuno il minimo per il proprio bisogno».

Se noi riuscissimo tempestivamente a reintrodurre quei sistemi di retribuzioni a cottimo ed a premio che dovranno fatalmente fare la loro ricomparsa dopo diversi anni di ostracismo nelle singole imprese industriali (ferma restando la garanzia di un minimo necessario all’operaio), ritengo che avremmo fatto un gran passo innanzi sulla via della ripresa economica.

Perché non è esatto il ragionamento che troppe volte si fa in materia di esportazione, secondo il quale, per esportare, sia oggi necessario raggiungere elevatissimi livelli di cambio.

La verità è – e ritengo di poter portare qui il risultato di mie indagini personali in settori a me più vicini – che se potessimo portare le industrie ad un grado di maggiore efficienza, per esempio all’80 per cento di quella che può essere stata l’efficienza dell’anteguerra, col dollaro sulla base di 300 sarebbe possibile effettuare una proficua esportazione.

Voi vedete, onorevoli colleghi, – e mi rivolgo in particolare ai rappresentanti dei partiti di massa – come questo problema di una migliore efficienza della produzione industriale strettamente si ricolleghi al problema della difesa della lira e quindi della difesa della capacità di acquisto dei salari.

Voi siete più persuasi di me che tutto quello che è successo nell’adeguamento di salari nominali da un anno a questa parte, altro non significò che un progressivo impoverimento della classe lavoratrice. È il fenomeno della scala e dell’ascensore. Se nel 1938 vi era un determinato tenore di vita nella classe lavoratrice, io penso che nella primavera del 1945, tenuto conto del coefficiente degli aumenti dei salari da una parte e del coefficiente di aumento dei prezzi dall’altra, il tenore di vita fosse ridotto almeno al 75 per cento. E dopo un altro anno di politica di salari nominali il tenore di vita della massa operaia non è oggi maggiore del 50 per cento dell’anteguerra. Questo ci indica, onorevoli colleghi ed amici, che la strada seguita finora non è la strada giusta, non è la strada che possa portare al migliore benessere delle grandi masse lavoratrici.

Arrivati a questo punto dobbiamo ricordare a noi stessi che le impostazioni di ordine generale sono necessarie e dalle medesime non si può decampare, ma che evidentemente sono necessarie delle provvidenze di carattere transitorio, in attesa che le soluzioni impostate su criteri generali possano dare i loro risultati concreti e definitivi. Abbiamo sentito per qualche giorno, se non per qualche settimana, principalmente in alta Italia, rifare l’apologia dei calmieri. Mi sembra che questa apologia non sia stata condivisa dall’onorevole Presidente del Consiglio o, quanto meno, sia stata affiancata con molta cautela. Io vorrei ricordare a tutti i colleghi della Camera, in materia di calmieri, quanto è successo fin dai tempi di Diocleziano. (Commenti).

L’editto di Diocleziano non è stato altro che un perfetto esempio di calmiere; ha stabilito, non dei prezzi fissi, ma dei prezzi ragionati, dei prezzi massimi che non era possibile superare, ma al di sotto dei quali si poteva stare. È interessante rileggerlo, poiché presenta il concetto di calmiere nella precisa fisionomia attuale. (Commenti).

Una voce. Lei ce l’ha con Diocleziano per dei motivi religiosi? (Commenti).

PELLA. Ecco che cosa è successo, secondo Lattanzio, nell’anno di grazia 301 dopo Cristo: «Le mercanzie celavansi per paura, la carestia rincrudì grandemente e infine, dopo aver causato la rovina di un gran numero di gente, la legge si dovette abrogare per la necessità stessa delle cose».

Se, secondo il mio interruttore, vi può essere sospetto di una mia prevenzione religiosa contro Diocleziano, ricordo il nostro Manzoni che ci ha riportato le grida del tempo dei Promessi Sposi. Sappiamo quale risultato hanno avuto. Ma dobbiamo proprio noi dimenticare l’esperienza dei calmieri dell’altra guerra e l’esperienza dei calmieri anche di questa guerra? La verità è che i calmieri da soli non risolvono il problema. Io non nego l’importanza morale dei calmieri qualora si voglia stabilire una specie di spartiacque tra la categoria dei commercianti onesti e la categoria dei commercianti disonesti. Io non nego l’importanza in sede giuridica di un calmiere per creare la figura del reato contravvenzionale a carico del commerciante che vende oltre un determinato equo prezzo; ma dobbiamo avere il coraggio di riconoscere che al di fuori di questi modesti risultati, difficilmente i calmieri raggiungono lo scopo concreto di risolvere il caro vita. Perché – tra italiani possiamo qualche volta farci qualche confessione – il calmiere, come altre forme di disciplina, presuppone due cose: in primo luogo, un senso di disciplina civica dei singoli, che dubito esista in grado eminente; in secondo luogo una possibilità di controllo e di repressione, su cui il dubbio è altrettanto lecito. E allora io credo di poter salutare veramente con compiacimento le altre provvidenze che l’onorevole Presidente del Consiglio ha preannunciato: istituzione di Enti comunali per il reperimento e l’immissione sul mercato di merci di largo consumo; istituzione di ristoranti popolari e soprattutto immissione di generi di abbigliamento e di calzature attraverso gli aiuti dell’UNRRA. Poiché, ricordiamoci che vi è un solo mezzo classico per spezzare le reni alla speculazione, ed è quello di creare una determinata concorrenza che porti al ribasso dei prezzi, per cui lo speculatore abbia veramente a sopportare quelle perdite derivate dalle sue incaute previsioni. (Approvazioni).

Onorevoli colleghi, se il cammino inesorabile dell’orologio non mi avvertisse di avere abusato troppo a lungo della vostra pazienza, io vorrei ancora continuare.

PAJETTA GIANCARLO. Venga ad esempi più recenti di controllo dei prezzi. (Commenti).

PELLA. Onorevoli colleghi, ritengo che sia dovere dell’Assemblea Costituente di non soffermarsi sull’episodico o su quello che è dettaglio tecnico di esecuzione, poiché questo è il compito del Governo. L’Assemblea Costituente deve enunciare linee di massima di soluzioni, e non può passare all’esame dei dettagli. Per questo io ritengo che l’esemplificazione non possa trovare ingresso nei nostri dibattiti.

Signori, abbiamo ancora molti problemi che urgono alle porte. Economia pianificata o economia a mercato libero? Iniziativa privata o statizzazione?

Vorrei limitarmi a poche osservazioni. Ritengo che questi problemi debbano essere esaminati in due fasi separate: la fase della ricostruzione e la successiva fase di una vita economica normale della nazione. Quando dovremo impostare, se competerà a noi il compito di impostare le linee di massima dell’ordinamento economico della nazione nel periodo di raggiunta normalità, allora forse potremo vedere il problema dell’iniziativa privata e il problema della nazionalizzazione di determinate imprese sotto un profilo diverso da quello con cui dobbiamo considerarlo oggi. Oggi io ritengo che si debba veramente far perno sull’iniziativa dei singoli; iniziativa che, naturalmente, principalmente nelle imprese a grandi dimensioni, dovrà essere controllata, dovrà essere sorvegliata, dovrà essere corretta qualora si verifichino delle deviazioni. Ma non ritengo che, principalmente nella media e nella piccola economia, possa essere oggi utile mortificare l’iniziativa privata. Vi è una strana sensazione oggi in Italia – l’osservazione non è mia – ed è questa: che oggi non si possano tollerare iniziative a largo guadagno. Si considera un delitto l’esistenza di iniziative private per le quali siano possibili larghi margini di utile. Onorevoli colleghi, io ritengo che il problema debba esser veramente impostato in altro modo. Dobbiamo augurarci che vi siano molte iniziative private che accusino larghi utili, perché gli strumenti fiscali dello Stato possano assorbirli riportandoli alla collettività attraverso alle normali vie tributarie. Perché io penso che, dovendo scegliere tra una speculazione ridotta allo stato clandestino, e quindi non perseguibile in sede fiscale, ed una speculazione che viva alla luce del sole, e quindi perseguibile in sede fiscale, non possano esservi dubbi sulla scelta.

Onorevoli colleghi, ritengo che il Paese oggi richieda da noi quella tregua italiana e repubblicana indispensabile perché veramente si ricostruisca la Nazione. Io penso che dobbiamo oggi accogliere l’appello alla concordia dell’onorevole Presidente del Consiglio e, accantonando quelle che possono essere le troppo sterili lotte di parte, senza rinunziare ai nostri patrimoni ideologici, sia necessario veramente, sul piano pratico, trovarci tutti uniti nel nome di questa nostra Patria che vuol vivere; nel nome di questa nostra Italia che veramente ha il diritto di essere servita dai suoi figli; perché solo così, onorevole Presidente del Consiglio, noi potremo salutare con voi l’inizio del secondo Risorgimento. (Vivi applausi al centro e a destra – Molte congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Nitti. Ne ha facoltà.

NITTI. A nome dei colleghi ed amici dell’Unione democratica nazionale, io intendo fare non un discorso, ma porre alcune domande e manifestare alcuni dubbi.

Non risalirò, come altri, fino a Diocleziano, né fornirò molte statistiche; mi limiterò ad esporvi poche considerazioni semplici. La prima è che io non ho compreso gran parte di ciò che è avvenuto, perché noi siamo qui non per le dimissioni dell’onorevole De Gasperi…

DE GASPERI. Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri. Non ancora! (Si ride).

NITTI. … ma per le dimissioni che ha dato all’onorevole De Gasperi il Ministro Corbino.

Però noi ignoriamo le ragioni delle dimissioni ed ignoriamo perché l’onorevole De Gasperi le abbia accolte.

In tutti r parlamenti un Ministro in vista che si dimette, ne spiega il motivo; ed il Ministro Presidente che accetta le dimissioni, ne dice le ragioni. Ora, un Ministro si è dimesso, il Presidente del Consiglio ha accettato le dimissioni, ma noi non sappiamo nulla di tutto quello che è avvenuto. Qual è il motivo per cui il Presidente del Consiglio, anche dopo, nelle sue dichiarazioni, elogia il Ministro dimissionario e poi ne accetta le dimissioni? Questa non è pedanteria parlamentare, è logica degli avvenimenti. E dopo siamo rimasti nell’attesa di quello che doveva avvenire. Io aspettavo alcune dichiarazioni dell’onorevole Corbino…

CORBINO. Le farò alla fine della discussione.

NITTI. Sarà molto utile ed io la ringrazio. Aspettavo queste dichiarazioni ed ora sono contento che potrò ascoltarle.

Dopo l’annuncio delle dimissioni dell’onorevole Corbino, abbiamo avuto un turbine di avvenimenti, un movimento rotatorio. Chi doveva succedere? Perché doveva succedere? Prima si è parlato di tecnici, poi s’è parlato di uomini di parte e sempre in una grande indecisione. I designati a quel difficile posto sono stati almeno cinque o sei e tutti, dopo ogni offerta, si sono ritirati. Perché? Io ho notato come l’onorevole De Gasperi, dovendo scegliere tra uomini di parte, abbia scelto fra gli uomini della sua parte. Il Ministro del tesoro ha bisogno del sostegno solido di chi gli sia accanto nelle ore difficili che deve attraversare. Ora, il partito democristiano è il più numeroso e, se è sinceramente accanto al Ministro del tesoro può dargli forza e aiuto. Quindi non mi dolgo che sia da quella parte che il Presidente del Consiglio si sia orientato. Credo che una delle debolezze dei Ministri del tesoro, che si sono succeduti sia stata quella di non avere appartenuto ad alcuno dei tre partiti che si dividono il potere. Vi è stato prima l’onorevole Soleri, poi, fugace meteora, onorevole Ricci e poi l’onorevole Corbino. Adesso è il turno del partito democristiano; è logico che questo partito assuma la difesa del Ministro che viene a chiedere al Paese forti sacrifici e grandi impegni. Quindi non mi meraviglio, non cito nemmeno le persone; suppongo che tutti quelli che sono stati indicati siano di uguale competenza. Non discutiamo di ciò.

Ora è venuto l’onorevole Bertone. Ricordo amichevolmente che l’onorevole De Gasperi ha detto che egli non è Facta, ed ha ragione. Ma questa volta egli ha scelto come Facta. (Si ride).

Abbiamo dunque avuto una serie di Ministri in pectore e l’uno dopo l’altro sono stati dimessi prima di esser nominati. L’onorevole Corbino si è dimesso, l’onorevole De Gasperi non lo ha dimesso, lo ha trattenuto fino all’ultimo, il che vuol dire solidarietà di programma.

Noi aspettavamo dunque di sapere dall’onorevole Presidente del Consiglio la ragione del dissidio, che non è dunque di carattere tecnico, né veramente politico. Che cosa ha determinato questo avvenimento? Occorre dirlo, per il buon costume parlamentare.

L’onorevole De Gasperi ha in questi giorni dovuto affrontare gli avvenimenti più gravi. Il Ministro del tesoro che viene si trova in una situazione formidabilmente difficile. Anche un uomo di grande competenza esiterebbe in questo momento. Egli ha la sola forza, se l’onorevole De Gasperi e il suo partito lo sostengono, di avere la possibilità di un’azione che forse l’onorevole Corbino, esposto al pericolo di essere abbandonato, non aveva. Non so quale azione si proponga e possa proporsi l’onorevole Bertone. Accadono tante cose moleste in questi giorni in cui si parla di grandi prestiti. È uscita su un giornale una relazione, smentita poi o per lo meno annunziata come non attuale, dell’onorevole Scoccimarro, che sembra destinata a diminuire di molto la possibilità di successo di ogni tentativo di grandi prestiti. Certamente in materia finanziaria bisognerà andare con molta cautela, ma non vi è tempo da perdere. Occorrono in questi giorni provvedimenti rapidi e decisi.

La lira continuamente scende. È inutile non vedere la realtà. Le ragioni tecniche della discesa quali sono? Prima di tutto l’imponderabile fenomeno della fiducia. Credito viene da credere; molti non credono alla solidità della lira o alla solidità del Governo o a tutte e due le cose, e troppi non credono nel mantenimento dell’ordine. Questa mancanza di fiducia si risente dovunque e spira da tante cose. Ora non vi è tempo da perdere. Noi dobbiamo contenere la continua discesa della lira. Il Ministro del tesoro ha prima di tutto questo compito: difendere la moneta. Come egli vuole, come egli può? Io non devo dare a lui consigli, perché non so come voglia e possa essere diretta l’azione del Governo. Certo che non vi è tempo da perdere e che non si tratta soltanto di avere un programma.

Tutti gli uomini, anche i più modesti, hanno un programma: è un lusso che tutti possono concedersi; si tratta di sapere se vi è la possibilità di garantirne l’esecuzione. Tutti abbiamo un programma, tutti hanno un programma in materia finanziaria, come in materia politica, anche i meno preparati. Ma pochi sanno ispirare fiducia e osare. Come si può dare – questo è il problema essenziale – la fiducia? E che cosa si vuole e si può osare?

Traversiamo un’ora decisiva. Noi sappiamo le condizioni della cassa. L’onorevole Corbino spiegherà la situazione che si è prodotta.

Noi conosciamo la situazione delle banche, sappiamo la massa dei depositi che preme. Ora, come mantenere la fiducia? Come evitare che venga anche un momento solo di panico? In un Paese come l’Italia, dove la maggior parte dei depositi di banca sono vincolati verso lo Stato e si trovano assorbiti da titoli di Stato, da buoni del tesoro e da altri titoli pubblici, noi possiamo appena immaginare quale disastro sarebbe il panico. Dobbiamo evitare dunque che questo panico si produca. Fra tutte le sventure che possono, in un’ora difficile, colpire un popolo, la peggiore è la caduta della moneta. I fenomeni più terribili sono la conseguenza di questa caduta. Non vi è flagello pari, perché da questo fenomeno viene quasi sempre la frattura di tutto il sistema economico.

È difficilissimo riparare, quando il panico ha invaso le folle; bisogna che il panico non si produca. La situazione attuale può ancora, con energia, essere salvata. Io ho la convinzione che ciò possa esser fatto da un Governo abile, coraggioso, che dia la fiducia al pubblico, che assicuri con atti e non con parole, ma con l’azione, che non vi è nulla di irreparabile, che dica chiaramente al Paese che le condizioni finanziarie sono difficili, e anche molto difficili, ma non irreparabili. La situazione generale quest’anno è migliore dello scorso anno e non vi è ragione di disperare. Un Governo che dia la sensazione di usare un programma efficiente e sicurezza d’azione può riuscire. Non nego le difficoltà per coloro che hanno parlato a cuor leggero di azioni improvvise e non meditate e che non comprendono la gravità del momento e la gravità del fenomeno.

Il tesoro, per oltre quattro quinti, dipende nella sua azione dai depositi e dalle banche. La politica del tesoro è legata strettamente alla situazione del credito e degli organismi del credito. Non desidero fare sfoggio di cifre; voglio solo notare che i conti vincolati con la Banca d’Italia non solo non sono diminuiti, ma sono cresciuti (erano 117 miliardi al 30 giugno 1946; ora quanti sono?).

Queste sono cifre che van meditate. La situazione del fondo di cassa del tesoro, nel novembre 1945, da 35 miliardi è salita man mano a 46. È vero o no che ora è al disotto di 10 miliardi?

CORBINO. Purtroppo!

NITTI. È vero o no che il tesoro si trova, dunque, in una situazione difficile? Queste cose l’onorevole Corbino non le ha dette e sarà bene che parli senza sottintesi e senza eufemismi.

L’onorevole De Gasperi ci ha fornito alcune cifre; egli è un uomo molto intelligente e sapiente nel dire, ma anche nel non dire. (Si ride). L’abate Fornari scrisse ai suoi tempi un libro celebre sull’arte del dire. Forse si potrebbe anche scrivere un libro sull’arte del non dire, perché anche questa è una grande abilità di alcuni uomini politici.

Vi è dunque una crisi del tesoro, o almeno una crisi del Ministero del tesoro. Vi è una crisi più profonda nel credito e vi è una crisi anche più grande nell’azione politica. Ormai tutti siamo a disagio anche qui dentro. Qui troppo spesso non si parla linguaggio di realtà. Ma le cose che non si dicono nell’aula si dicono fuori dell’aula. Siamo tutti a disagio; noi ci sentiamo in difficoltà non solo per la situazione intorno a noi, ma anche per quella che è in noi.

Io sono contrario, in momenti come questi, alle crisi ministeriali. L’esperienza, da quando sono qui, mi ha dimostrato che ogni crisi ministeriale peggiora la situazione; la crisi non fa che aumentare i Ministri, i Sottosegretari, e le spese enormi che essi determinano, peggiorare le qualità degli uomini chiamati al Governo, e non risolve le questioni.

L’onorevole De Gasperi, qualunque cosa io dica, riconoscerà però che io non miro in alcun caso a dargli imbarazzo per scopi di crisi, che io non desidero. Parliamo dunque con sincerità. L’altra volta che io parlai dispiacqui all’onorevole De Gasperi e ben me ne accorsi. Le cose che gli dicevo, le dicevo però in buona fede.

È vero che si crede difficilmente alla buona fede di un vecchio parlamentare! (Si ride). Ma quando io affermavo che l’onorevole De Gasperi si era assunto un compito tremendo che nessun uomo, anche di prim’ordine, avrebbe potuto realizzare, e che tutti. gli uomini più insigni che sono passati attraverso la vita politica italiana non erano in grado di affrontare ciò che egli paventava e non poteva risolvere; e lo invitavo, creda, in buona fede, a rinunziare a molte delle funzioni che voleva riunire nella sua persona, io dicevo cosa evidente.

Sapevo, per antica esperienza, che cosa difficile sia in momenti di crisi profonda, di disordini e di torbidi per un Presidente del Consiglio, assumere, insieme ad altri incarichi, di cui uno solo assorbe ogni attività, anche la Presidenza del Consiglio. Parlando questo linguaggio di verità non miravo a nulla personalmente. Io volevo che egli rinunziasse a tutti quei compiti non indispensabili, a tutte le funzioni di coordinatore e di capo. L’onorevole De Gasperi credette, forse, e non fu contento, che io avessi personale diffidenza ed i suoi amici credettero che vi fosse da parte mia preconcetta avversione e furono poco cordiali con me. Ora le mie osservazioni, voi avete visto, si sono riprovate. L’onorevole De Gasperi è stato costretto ad andare a Parigi, a viaggiare, ad occuparsi di tante e più diverse cose, a fare il Ministro dell’interno, ad essere capo del suo partito, che lo interessa quanto il Ministero degli interni, ad assumere il compito di dirigere la Costituente, perché in questo periodo l’azione del Capo del Governo sulla Costituente è e deve essere grandissima. Come egli può fare queste cose senza fiaccare la sua stessa energia e, se mi permette, senza danneggiare il suo partito e la sua funzione di governo?

L’onorevole De Gasperi si sarà convinto, essendo al Ministero dell’interno, quale terribile Ministero sia, soprattutto in un’ora come questa. Le mie parole non avevano nessuno scopo che di avvertimento e i popolari avrebbero dovuto, anche nel loro interesse, essermene grati.

L’onorevole De Gasperi dovette egli stesso esitare di fronte alla realtà del pericolo che segnalavo, e si decise timidamente a rinunziare a qualche piccola cosa.

Mi ha fatto ricordare d’un vecchio amico tedesco, che viveva a Napoli ed era un uomo assai colto ed anche assai fine. Era di natura esuberante ed aveva il piacere della vita. Nel suo studio erano scritti a grandi caratteri i famosi versetti di Lutero che si trovano nelle vecchie osterie tedesche: «Chi non ama il vino, il canto e le donne è un imbecille per tutta la vita». (Si ride). Il professore tedesco teneva a questo precetto, ed aggiungeva un altro vizio che ai tempi di Lutero non esisteva: fumava come un turco. Si ammalò e dovette chiamare il medico. E chiamò un medico che era un uomo erudito, vissuto gran tempo in Germania. Il medico osservò il malato e gli disse: «Mi domandate consiglio e io un solo consiglio posso darvi: non abusate di nessuna di quelle cose di cui parlava Lutero e abolitene presto qualcuna che vi può fare maggior male». Il tedesco rimase pensoso e poi disse: «Va bene; un poco alla volta: comincerò con abolire il canto». (Si ride).

Ora si capirebbe che l’onorevole De Gasperi abolisse dai suoi carichi il Ministero dell’interno, che è soverchiante anche per la fatica di uomo sano e giovane e che non debba pensare ad altro, e che avesse rinunziato alla faticosa direzione del suo partito. Egli invece ha abolito il canto. Nello stesso partilo popolare, che forma circa due quinti dell’assemblea, non vi sono uomini che possano sostituirlo?

Quale necessità ha dunque l’onorevole De Gasperi di concentrare tutti i poteri? La composizione dei tre partiti di massa lo obbliga ad un quotidiano e duro lavoro. Tenere a freno amici e colleghi, così concordi e discordi, cosi in apparenza fidenti e nello stesso tempo così infidi nell’azione, è fatica anche questa terribile ed a cui l’onorevole De Gasperi si presta, ma non senza suo danno.

Io vorrei dunque pregarlo di rendersi conto della realtà. Rimanga pure, se vuole, fra uomini del suo partito; nessuno gli fa obbligo, per i posti che sono assegnati ai democristiani, di fare rinunzie. Ma non vi sono nel suo partito uomini capaci di sostituirlo nelle più dure fatiche? Ora viene un periodo difficile, quello delle elezioni amministrative, torbidissimo periodo, perché si sovrappongono nuove lotte alle lotte e ai disordini attuali e in cui il partito democratico cristiano è ancor più degli altri impegnato.

 Ora, conviene al Capo del Governo soggiacere a questa dura fatica? Le nuove elezioni saranno una delle gravi fatiche del Ministero dell’interno e del partito democratico cristiano, e l’onorevole De Gasperi, che già deve trascurare tante cose, ne trascurerà ben altre ancora e l’Italia avrà ancora più grave disordine nella sua amministrazione.

In quest’Aula ormai è impossibile parlare di opposizione. Il Governo è nelle mani di tre persone: i capi dei partiti di massa, con qualche coadiutore. Quindi basta che quelle tre persone si riuniscano e si mettano d’accordo, perché le nostre discussioni rimangano superflue. Praticamente, mai vi è stato governo più autoritario. Se i tre rappresentanti dei partiti di massa sono d’accordo, con una stampa come quella che abbiamo e con i poteri che ha, o si attribuisce, il Governo, è impossibile sfuggire alla tirannia di fatto: è una tirannia di fatto limitata qualche volta solo dalla diffidenza e dai contrasti dei tre capi.

Niente di più dannoso della mancanza di opposizione. Gladstone ha detto nel Parlamento inglese una frase terribile: «Tutti i selvaggi hanno un capo, ma solo gli uomini civili hanno un’opposizione». L’opposizione è fenomeno della civiltà. Noi non abbiamo qui dentro, fra noi stessi, opposizione. Non possiamo parlare. Quante cose vorremmo dire che non possiamo; siamo soffocati dal fatto che non solo c’è un Governo di partiti, ma che questi partiti prendono ogni critica come un pericolo per la loro esistenza. Siamo qui solo per preparare una costituzione ed abbiamo già soppresso ogni costituzione, prima di averne fatta una nuova.

Ho udito qui dentro, con mia meraviglia, anche da parte estrema, parlare della necessità di una censura della stampa e di una azione sulla stampa. Guai a mettersi su questa strada. Non dobbiamo toccare la libertà di stampa, quali che siano i suoi inconvenienti; noi dobbiamo limitarla con quella che è la sola forma possibile, la Magistratura. Quando la stampa sia responsabile di qualche cosa che costituisca pericolo per l’ordine pubblico e per l’ordine sociale, possiamo e dobbiamo denunziarla alla Magistratura, ma non possiamo impedirne le manifestazioni, anche se avverse a noi. Guai se ci mettiamo su questa strada!

Il giorno che aboliamo la stampa libera proclameremo la nostra decadenza, e il pubblico, che è già diffidente di noi, non ci crederà più. Sia pure una cattiva stampa: è meglio che nessuna stampa. Perciò dichiaro che lo spirito giacobino, che determina alcune proposte, è più dannoso dello spirito reazionario, perché esso prepara la reazione e, impedendo la critica, fa aggravare tutti i mali che non possono essere segnalati in pubblico.

Occorre mutua tolleranza dei partiti: tutti i partiti hanno il diritto di coabitazione nel Paese, tutti i partiti hanno il diritto di manifestarsi liberamente, anche i meno numerosi, e noi non abbiamo il diritto di sopprimere le manifestazioni libere. In questo periodo noi dobbiamo avere tolleranza e spirito di libertà e soprattutto decenza. Deve averne soprattutto quest’Assemblea, che, dovendo fare una costituzione, non deve essere in nessun modo sospettata per indegnità e considerata come un’accolta di privilegiati.

Mi dispiace di dover sollevare una questione delicata, ma devo farlo per dovere; noi non abbiamo il diritto, finché siamo membri della Costituente, di accettare situazioni privilegiate e tanto meno posti retribuiti in grandi banche, in sindacati, in diplomazia. (Vivi applausi). Nei tempi passati (e ora si ride della povera democrazia del passato), quando un uomo apparteneva al Parlamento, se voleva occupare posti di Stato o dipendenti dallo Stato, o comunque di nomina governativa, si dimetteva e usciva dal Parlamento. Non si discuteva nemmeno. E noi pretendiamo fare una nuova costituzione e uccidiamo già le norme costituzionali più oneste? Ebbene, noi siamo la più delicata assemblea; dobbiamo fare la Costituzione futura, e già ci prepariamo a violare e violiamo tutte le leggi che regolano la morale parlamentare. Nessuno che appartenga all’Assemblea Costituente può mettersi a capo di banche, o esser chiamato a posti di diplomazia. Se ciò non è permesso nei tempi ordinari e nei parlamenti liberamente eletti, tanto meno deve essere permesso ai membri di una Assemblea Costituente: altrimenti perderemo ogni fiducia di fronte all’opinione pubblica. Se qualcuno, per le sue eccezionali attitudini, dovesse essere destinato a funzioni speciali e transitorie, che non fossero compatibili con il mandato legislativo, il caso dovrebbe essere considerato e presentato al pubblico e il provvedimento eccezionale dovrebbe essere consentito dall’Assemblea.

Non si può disfare del lutto ciò che è stato fatto; sarebbe danno grave per questa Assemblea la perdita di alcuni illustri finanzieri che già appartenevano alla Consulta e che possono portare qui contributo prezioso ai nuovi lavori. Non chiesero essi di occupare le loro funzioni; furono bensì richiesti per la loro speciale competenza. Ciò che occorre invece è che si seguano d’ora in poi le buone norme di tutti i Parlamenti liberi. Nessuna nomina nuova di membri dell’Assemblea a forti retribuzioni o a direzioni di grandi organismi finanziari di credito legati allo Stato, nessuna nomina nuova in diplomazia deve essere fatta, e coloro che sono al Governo devono lasciare al Governo la situazione che avevano e che non possono considerare come personale. Una sola delle cose che ora si commettono impunemente avrebbe fatto cadere un Governo. Quanti posti, quante sinecure, quante cariche che fruttano grandi somme, sono distribuiti arbitrariamente, anche a membri dell’Assemblea Costituente! Scandalo simile è cosa intollerabile, che discredita tutta l’Assemblea.

Ho udito con meraviglia domandare provvedimenti di restrizione e di persecuzione. Io non li desidero. Chi, come me, ha aderito onestamente alla Repubblica, quando è venuta fuori da un plebiscito, per difenderla è disposto a tutti i sacrifici; ma non credo che persecuzioni siano necessarie. Non bisogna creare pericoli immaginari. Il fascismo non risorgerà mai! E ora non vi è alcun movimento monarchico che sia lontanamente pericoloso. Allarmarsi senza motivo e creare un pericolo di restaurazione monarchica è malinteso e pericolo: creerebbe un movimento per la monarchia che ora non esiste. E con quale diritto vorremmo considerare con avversione coloro che volevano la monarchia? Essi sono stati poco meno della metà della Nazione. Bisogna che la Repubblica, con la serietà e la onestà delle opere, li riunisca ora intorno a sé.

Volere sistemi di diffidenza e tanto meno di persecuzione, che in regime di monarchia non vi furono mai, nemmeno contro le manifestazioni antimonarchiche più esagerate, significa rovinare la Repubblica.

Io non credo ad alcun pericolo fascista.

Il fascismo è definitivamente morto e non risorgerà e non può risorgere. Tutte le cose più assurde sono possibili in questo nostro agitato Paese; una sola cosa non è possibile: la resurrezione del fascismo.

Il fascismo era Mussolini. Ora egli stesso dichiarò, in un momento di sincerità, in un libro di interviste pubblicato in Francia, nel libro di Ludwig, che il fascismo sarebbe finito con lui e che nessuno dopo di lui poteva farlo risorgere. (Commenti).

Una voce a sinistra. Noi non lo crediamo!

NITTI. Voi non lo credete ed io lo credo. È inutile allarmarsi di cose che non esistono e nemmeno è utile parlarne troppo, se il preteso pericolo non ha alcuna consistenza. (Commenti).

Una voce a sinistra: Come l’altra volta!

NITTI. No, allora la situazione era ben diversa. Vi furono tremende responsabilità anche da parte rossa nell’avvento del fascismo. In altro campo vi fu responsabilità anche del Re Vittorio Emanuele III. Io non ho esitato a scrivere di questa responsabilità, anche fuori d’Italia. Non volevo fare propaganda antimonarchica e non dovevo; ma ho sempre cominciato col dire che grande responsabile era anche il Re Vittorio Emanuele III. Io credo che ora il fenomeno non si ripeta e non possa ripetersi. Io non credo possibile un nuovo fascismo, ma noi non dobbiamo creare un assurdo spauracchio. Se cominciamo a parlare di pericolo fascista, di pericolo che risorge, creiamo la leggenda e creiamo se non altro un incubo funesto.

Diciamo realmente che è un’assurdità parlare di fascismo, che è cosa finita per sempre. E non creiamo danni alla Repubblica, e non creiamo martiri. Vi sono molti scontenti e molti ve ne saranno. Perché vogliamo accrescerne senza ragione il numero?

L’onorevole De Gasperi ha pubblicato nella sua relazione alcuni dati sull’esercito. Che cosa, dopo l’applicazione del trattato, rimarrà del vecchio esercito? Saranno mandati via niente meno che 170 generali, 970 colonnelli, 2500 tenenti colonnelli e maggiori e un numero enorme di ufficiali subalterni, che pure sono uomini vigorosi e hanno fatto molti sacrifici per la Patria. È materia molto difficile e che va considerata. Noi ad essi non potremo dare che la miserabile pensione, (la quale, con la diminuzione del valore della lira, vale sempre meno) concessa dalle nostre leggi: un regime quasi di fame per chi ha famiglia. Non cerchiamo di provocare alcun sentimento che possa tradursi in uno scontento pericoloso e non aggraviamo il pericolo! Non cerchiamo di togliere a questa gente la libertà di manifestarsi liberamente! Tra gli ufficiali, il grandissimo numero sarà moderato e rimarrà al suo posto. Ma non dobbiamo eccitare il malcontento a cuor leggiero e dobbiamo, per la stessa ragione, limitare ogni contrasto non necessario.

Bisogna, o signori, disarmare il Paese. Togliere le armi, ma anche disarmare gli spiriti. Vi sono troppi armati. Ho sentito dire da qualcuno che anche questi adempivano ad una funzione. Io non lo so, ma preferisco che non vi siano armati, né da una parte né dall’altra e che armati non siano che l’esercito e i corpi a servizio dello Stato. (Vivi applausi al centro e a destra).

Ogni altra forma di armamento è pericolosa, perché la sicurezza dipende dalle mutevoli contingenze dello stato d’animo, dalla eccitazione dei partiti politici. Troppi movimenti esistono, movimenti in cui si parla a cuor leggiero, di ciò che divide l’Italia e non di ciò che la unisce! Noi dobbiamo unire l’Italia. Invece l’Italia è più che mai discorde e vi sono da ogni parte spiriti di violenza. Permettete alla mia vecchiaia di ripetere che io sono ancora il fervente unitario, il credente nella unità e che odio tutto ciò che divide gli italiani, ora che essi han più bisogno di unione, nella comune sofferenza e di fronte ai gravissimi pericoli che ci minacciano.

L’unità, turbata già dalla perdita di territori in conseguenza di funesti trattati di pace, deve essere con ogni sacrifizio difesa e mantenuta.

Nel mio studio a Napoli e poi a Parigi, almeno cinquanta di voi che mi ascoltate e mi avete visitato, sapete che non avevo che un solo ritratto: Mazzini. Non per le sue idee politiche soltanto, ma perché egli è stato il grande creatore di quella unità nazionale che noi non dobbiamo rompere. Io so che senza l’unità, l’Italia cadrà nell’abisso.

Cerchiamo dunque con ogni temperanza di fare tutto quello che mantiene i rapporti, non ciò che li dissolve. Anche nel campo economico vi sono leggende da sfatare.

Si parla sempre di capitali inoperosi, come di un pericolo. Senza dubbio, vi sono molti ricchi inoperosi e che impiegano male la loro ricchezza e peggio ancora la sperperano. Le imposte attuali sono aspre e spesso ingiuste. Ma quanti arricchiti dal fascismo, e ahimè! anche dall’antifascismo, sfuggono anche alle imposte. Tuttora in alcune industrie vi sono persone che hanno immensi guadagni; nell’agricoltura, non ostante tutte le esagerazioni fiscali, molti si sottraggono, anche ora, alle imposte.

L’azione del fisco deve arrivare in profondità e colpire questi guadagni. Ma i capitali che sono nelle banche o investiti in titoli pubblici, non sono, come si dice, inoperosi; perché come funzionerebbe lo Stato senza i depositi che sono stati affidati a tutti gli organismi del credito e della previdenza?

Si parla con leggerezza di terre incolte. Sono cinquant’anni – permettete la mia vanità – che mi occupo di questo argomento. Il mio primo incontro con l’onorevole Orlando fu in una Commissione per lo studio dei contratti agrari della Sicilia e dell’Italia meridionale per la questione delle terre incolte. Ma anche qui non bisogna esagerare. Si chiamano terre incolte anche quelle che in qualche anno non sono coltivate a grano per la necessità della rotazione agraria. Non a ragione si parla con orrore di grandi estensioni di terreno destinato alle pecore. Anche questa è eredità del fascismo. Se vi sono terre che non presentano convenienza, anche nelle condizioni attuali del mercato, di essere coltivate a grano e sono destinate in parte alle pecore, non e cosa utile? Se le pecore dànno più del grano, anche dal punto di vista alimentare, non compiono una grande funzione? Che sarà, se si abolisce la pecora? Che sarà, non solo del formaggio, ma anche della lana? Tutte queste cose sono collegate e ognuna va studiata, e l’una non può essere risolta senza tener conto dell’altra. Ora, se le richieste dei contadini bramosi di terra sono giuste, le dobbiamo assecondare, se veramente si tratta di terre incolte. Ma non dobbiamo tollerare l’abuso che si dichiarino terre incolte anche terre ben coltivate. Evitare gli abusi e in questo caso, peggio che l’abuso, atti di disonesta appropriazione. In ogni caso il Governo deve agire con prudenza e chiara visione e non tumultuariamente, né farsi sorprendere dalle circostanze. Ciò che raccomando soprattutto al Governo – come ho detto altra volta – è che mostri nei suoi atti volontà e fermezza. Signori, quante cose abbiamo tollerato e abbiamo lasciato incrudire! Vi è cosa più indegna dello spettacolo delle case da giuoco? Voi sapete tutti dove sono le case da giuoco, dove sono i «casinos», dove sono le bische in Italia. Ebbene, perché tollerate e siete complici dello scandalo?

Anche a Roma, sotto gli occhi del Governo, vi è lo scandalo delle case da giuoco e anche dei «restaurants» di lusso, di cui gli stranieri usufruiscono, mentre ai loro occhi il nostro discredito aumenta.

Perché i «casinos» sono stati non solo legalizzati, ma aumentati di numero?

Vi è tra il centro d’Italia e il Nord un luogo dove si spendono ogni notte somme immense, dove sfrontatamente da parte di arricchiti di guerra, e ahimè! del dopoguerra, le donne fanno sfoggio delle più scandalose eleganze.

In questa materia ciò che si tollera si ammette ed è motivo di corruzione. Quanti balli di notte frequentati anche a Roma (è il tempo di ballare?), pur da assertori di morale politica!

Durante il mio governo, fui implacabile (anche allora eravamo subito dopo una guerra) con le case da giuoco e i «casinos» che avevano la protezione anche di grandi personaggi politici. Il «casino» più importante era protetto e difeso da personalità di parte opposta: un deputato allora socialista e un altro reazionario. Il prefetto di Porto Maurizio voleva chiudere gli occhi anche contro le mie disposizioni e il prefetto di Genova si mostrava benevolo e tollerante. Io telegrafai loro (e senza cifrario!) che se lo scandalo non aveva termine e gli ordini non erano eseguiti, li avrei dichiarati dimissionari! E i miei ordini furono eseguiti.

Parliamo tanto contro il mercato nero! Che cos’è veramente il mercato nero? Esso ha fatto male ed è quasi sempre disonesto e specula, ma ha compiuto anche una funzione utile per disboscare delle merci che non sarebbero arrivate in città. Il mercato nero è stato assai spesso un malandrinaggio, soprattutto il mercato nero dei generi di lusso. Ora basta correre le vie di Roma e più ancora quelle dei negozi di lussò: Lo spettacolo anche qui in Roma, di alcuni magazzini, è veramente sconcio. Si vendono apertamente i generi di maggior lusso che si finge di vietare.

Io so quale impressione, quale orrenda impressione abbia fatto l’esposizione di articoli di lusso in molte strade di città italiane e soprattutto a Roma. Gli inglesi, che essi stessi si impongono in patria grandi restrizioni, ne parlano come di uno scandalo. E che cosa dicono gli americani? Il Governo sa quale impressione ha avuto e manifestato Hoover? Occorre veramente aspettare che le cose si inaspriscano per provvedere? Io so che è difficile fare delle cose aspre, ed è anche antipatico, e più facile è non vedere il male od ignorarlo. Ma ciò non discredita tutto ed anche lo Stato? Al Governo bisogna chiedere volontà ed energia. L’onorevole Parri si dolse, credo, allorché ripetette qui ciò che gli avevo consigliato quando ci vedemmo la prima volta: «Siate Governo, abbiate l’energia, date il senso di volontà». Se il Governo concede alla gente il diritto di usare violenza, di insultare i prefetti ed i funzionari, se consente e tollera cose che un Governo di paese civile non può tollerare, come volete che noi stessi siamo rispettati?

Ora, io potrei avere finito con queste semplici raccomandazioni. Devo, invece, chiedere all’onorevole De Gasperi di non parlare della pace. L’onorevole De Gasperi ha chiuso il suo discorso destinandolo alla pace. Io vi prego, signori, nel momento attuale di non parlarne.

Diciamo la verità. Noi ci siamo illusi ed abbiamo illuso, quando per tanto tempo abbiamo parlato dei nostri alleati: noi non abbiamo avuto e non abbiamo alleati. Essi erano e sono alleati tra loro. Questo errore volontario od involontario, è continuato ed è stato un grave danno, perché ha paralizzato la nostra attività e non abbiamo fatto nulla o assai poco per avere una pace più tollerabile e meno orribile.

Noi siamo di fronte ora alla pace più esecranda che sia caduta come una pena su un popolo moderno. Nessun popolo avrà una pace più calamitosa, più funesta ed iniqua di quella che si vuole imporre al popolo italiano. L’onorevole De Gasperi deve rendersene bene conto. È fatua ogni illusione. Egli sa che non otterremo più nulla, tranne piccole ed insignificanti cose, nulla più di ciò che ci è stato annunziato. Questa è dolorosa e terribile constatazione, e questo è ora il nostro triste destino.

Noi saremo condannati, per venti anni almeno, a soffrire le conseguenze di questa pace, di cui ognuno ha cercato di gettare la responsabilità sugli altri.

Basta vedere le polemiche che vi sono state nei giornali tra democristiani e comunisti, basta vedere la loro stampa…

DE GASPERI. Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri. Sono le conseguenze della guerra, non della pace ! (Vivi applausi).

NITTI. L’onorevole De Gasperi non ha inteso quello che io dicevo: io dicevo cosa del tutto diversa. È conseguenza della, guerra, s’intende; ma adesso che siamo alla pace, chi è il responsabile della pace?

Vi è chi dice che la colpa maggiore, se si ottengono cattive condizioni, è dei comunisti, i quali con la loro condotta non solo hanno reso difficile la situazione del Paese, ma hanno secondato le scandalose richieste orientali. E si parla sempre della Russia! La Russia non chiede per sé troppo più degli altri. La Russia, in molte cose, è stata più temperante di altri. Qualche sua azione più dannosa è nella protezione che ha accordato alle richieste della Jugoslavia. Ma l’azione russa non è più dannosa di alcune azioni dell’Inghilterra e non più di ciò che la Francia ha fatto direttamente in danno nostro. Non abbiamo il diritto di scandalizzarci della Russia, quando vediamo la Francia imporre a noi condizioni che sembrano inverosimili da parte di un popolo amico e unito a noi da tanti legami.

I confini orientali e la Venezia Giulia, di cui tanto si discute – ed io condivido tutte le ansie e le preoccupazioni – sono un fatto non molto più grave di ciò che ci minaccia al confine occidentale. La Francia ci ha tolto terre che non aveva il diritto di toglierci; la Francia non solo ci ha offeso nell’interesse, ma ci ha offeso anche nel sentimento. Credete, il mio cuore sanguina nel parlare così dell’azione del Governo francese, ma questa è purtroppo una realtà. La Francia ci ha imposto condizioni assai penose e non solo ha voluto terre che non sono state mai francesi, senza necessità e non avendone bisogno, e non solo ha voluto le nostre grandi risorse idriche, essenziali per la vita della Liguria e del Piemonte, ma ha voluto anche, cosa veramente inutile, la nostra umiliazione militare: Torino sotto i cannoni francesi, non solo sotto i grandi calibri, ma anche sotto i medi calibri. Mettere Torino in servitù militare! Ciò non era necessario. Io ho i miei amici in Francia, ho figli, parenti francesi; se parlo questo linguaggio è perché il mio cuore sanguina dinanzi ad uno spettacolo cosi tristo. Non è vero che la Francia ha avuto in tutto questo un’idea di difesa (contro che e contro chi?). È la vecchia malattia militare, che risorge sempre e risorge questa volta a danno di un gran popolo amico disarmato. Io non ho il diritto di accanirmi soltanto contro la Russia e di rimanere indifferente dinanzi allo spettacolo della nostra frontiera occidentale.

Quale che sia la nostra pena, bisogna dire la verità, altrimenti nessuno crederà alle nostre doglianze. Noi abbiamo la pace peggiore di qualunque altra pace precedente; una pace spogliatrice ed umiliante. Si vede già lo spettacolo tristissimo che gli stessi tedeschi sono considerati in alcuni ambienti come dei vincitori; non dirò un popolo da tenere in seria estimazione, ma come un popolo del cui avvenire bisogna ormai preoccuparsi e senza rancore. Noi non contiamo amici e gli uni sono come gli altri.

Amico sincero della Francia, io ho sempre creduto che dopo la guerra in cui Francia e Italia, per diverse ragioni, sono state vinte, i due paesi dovessero unirsi in un comune sentimento di resurrezione e di vita. La Francia ha ricchezza di risorse economiche e povertà demografica; l’Italia ha ricchezza demografica e povertà di risorse economiche. La Francia dopo la guerra ha bisogno di almeno quattro o cinque milioni di nuovi abitanti che possano darle un contributo vitale. Solo l’Italia può darli. Con il numero enorme delle sue morti e lo scarso numero delle sue nascite, la Francia ha bisogno del contributo demografico dell’Italia. Quale forza enorme di attrazione per i popoli di civiltà latina sarebbero Francia e Italia amiche e concordi! E come questa sarebbe per la Francia cosa cento volte più importante che Briga e Tenda! Ciò che avviene non è solo una ingiustizia, ma un errore, che è cosa molto più grave della ingiustizia; un errore fatale alla Francia non meno che all’Italia, un errore cui, prima o dopo, bisogna trovar modo di riparare.

Ci siamo illusi, ci hanno illusi, quando ci hanno fatto credere che le democrazie sarebbero state per noi e sarebbero state, per l’Italia diventata Repubblica, più concilianti. Come sarei stato contento, se avessi avuto questa convinzione: sarei andato per le strade a fare propaganda per la Repubblica. No; la Monarchia e la Repubblica erano egualmente indifferenti per i vincitori. Anzi le repubbliche democratiche sono state più cattive ancora, dopo che l’Italia ha avuto la Repubblica.

Noi ora non abbiamo amici, dobbiamo contare solo su noi stessi. Io non voglio fare nessun rimprovero al Governo, ma dico (un giorno ne discuterò a fondo) che dobbiamo dire tutta la verità su questi argomenti. Se non ne parliamo noi in questa Assemblea, ne parlerà il pubblico contro di noi. Dobbiamo anche spiegare come s’è prodotta questa situazione. Perché, dopo Potsdam, dopo il 2 agosto 1945, quando i vincitori avevano, o mostravano ancora, una certa condiscendenza per noi, perché, dico, dopo di allora, quando l’Italia – che ha fatto elezioni libere, che ha voluto liberamente, col referendum, decidere della Monarchia o della Repubblica – si è trasformata in Repubblica, perché queste democrazie, che si diceva dovessero diventarci amiche, sono state ancora più cattive e più aspre con noi? La forma politica è estranea a tutto quanto è accaduto. Il popolo si è illuso. Gli avevamo detto che avrebbe trovato, dopo i mutamenti politici, situazione migliore. No, abbiamo trovato situazione peggiore, non a causa della forma politica, ma perché vi sono cause preesistenti, che sono anche in parte estranee al fascismo. La grande questione rimane questa: «Perché dopo il 2 agosto, cioè dopo Potsdam, le richieste dei vincitori sono diventate ancora più aspre?».

Signori, l’onorevole De Gasperi ha voluto parlare della pace. Io avrei preferito che non ne avesse parlato. Questo argomento non deve essere discusso; non ora che non si può, ma a suo tempo, dopo i trattati di pace. L’onorevole De Gasperi, che comincia sempre col pessimismo e fa sempre le prime dichiarazioni piene di tristezza infinita, le chiude poi, anche dopo la disfatta, con ottimismo roseo. L’onorevole De Gasperi, partito per Parigi, aveva dichiarato che nulla sperava, che (io ho trascritto le sue parole) nulla si poteva ottenere contro la durezza dei vincitori e contro i diritti che i vincitori si attribuivano.

Ora, le domande che un giorno farò all’onorevole De Gasperi riguarderanno cose alle quali egli non aveva pensato. Perché dopo Potsdam egli non si è mai mosso da Roma e poi ha preteso, quando era troppo tardi, fare tante cose e osare tante iniziative in parte inutili, e che in ogni caso doveva far prima, quando vi era speranza di risultati? Anche questi sono argomenti che è necessario discutere.

Era proprio necessario che egli, che da tanto tempo è Ministro degli esteri, stesse sempre qui a occuparsi di tante cose, di elezioni, di politica interna? E perché ciò che è stato tentato troppo tardi non è stato fatto prima?

L’onorevole De Gasperi non ignora che la Francia voleva trattare con noi direttamente. È ciò che ha dichiarato un ex ambasciatore di Francia a Roma. Perché, ciò che importa assai più, egli non ha tentato le sole vie che poteva tentare? Perché un uomo come lui, con tanta conoscenza di lingue, non ha viaggiato in tempo utile?

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri. L’accordo con la Francia è stato tentato separatamente. Non è esatto quello che lei ha detto in senso contrario. (Commenti).

FINOCCHIARO APRILE. Lei ha rinunziato agli statuti di Tunisi del 1896, senza alcun negoziato e tradendo il popolo siciliano. (Commenti – Rumori al centro).

NITTI. Io desidero discutere a fondo questi argomenti. Li discuteremo con calma e sono sicuro che l’onorevole De Gasperi sarà ancora al suo posto, perché egli è politicamente più vitale di quel che credono i suoi stessi amici. (Si ride). Sono state fatte tante inattese spedizioni in questi ultimi tempi. L’onorevole Nenni, che è intelligente e pieno di risorse, ha fatto una spedizione verso il Nord, visitando a volo d’uccello soprattutto i Paesi monarchici. (Si ride). Tutti i Paesi che egli ha visitato sono monarchici, o di tradizione monarchica, e non credo siano più favorevoli a noi ora che non prima.

L’onorevole Sforza, il conte, dirò meglio, ha visitato molti altri Paesi dell’altro emisfero e inclino a credere che per la sua facondia abbia potuto procurarsi moltissime simpatie. Ma queste cose, se utili, si potevano fare sei mesi prima, un anno prima. Ora. tutto è quasi inutile. E perché pensare simili cose all’ultima ora? Perché ridursi anzi all’ultimo momento per non arrivare ad alcun risultato?

Io non posso – data l’ora – parlarvi a fondo delle questioni di politica interna più urgenti. Io ero, io sono fortemente documentato sulla situazione monetaria e mi proponevo parlarvi dei pericoli che corre la lira con esposizione di dettagli e di cifre. Data l’ora, non potrò parlarne come vorrei.

Prima però che io rinunzi alla parola vi dirò brevemente dell’argomento per cui discutiamo: la lira e le dimissioni di Corbino. Torniamoci, sia pure brevissimamente, come l’ora impone.

Per ciò che riguarda la catastrofe del trattato, all’ora attuale quello che è perduto è perduto. La pace che ci è imposta è orrenda e umiliante. L’onorevole De Gasperi si illude, o per ragioni di politica interna vuole far credere di poter ottenere mutamenti sostanziali. Ciò che di scellerato è stato commesso non sarà più ritirato, se catastrofi nuove non sopravvengono nel mondo. Se le notizie che vengono da fonte sicura sono esatte, noi dobbiamo soggiacere a quel sistema delle riparazioni che costituisce per un grande popolo una vera schiavitù. Questa è la prima volta anzi, che un grande popolo, qual è il popolo d’Italia, si fa schiavo. Simile scelleraggine non fu mai osata nemmeno per la Germania nel passato. Non è la schiavitù dell’individuo che si trasporta nel paese vincitore, ma è la schiavitù della Nazione che si impone nell’interesse del vincitore a chi rimanendo nel suo paese deve lavorare a benefizio di altri. Le domande di riparazioni sono così oscene, così fatue e svergognate che sorpassano quelle di cui si ha ricordo. Noi non solo non pagheremo, ma non potremo pagare.

Io ho avuto gran parte nell’attutire gli errori del sistema delle riparazioni che si volevano imporre nel 1919 e intendo bene la gravità di questi problemi.

Le riparazioni che ora si domandano a noi sono così enormi e scandalose che sono anche stupide. Ciò che si chiede a noi non basterebbe a pagare, se anche tutti i beni d’Italia fossero ceduti. È la rapina unita alla stupidità. Giovanale ha detto: cantabit vacuus coram ladrone viator; cioè chi non ha nulla può cantare anche davanti ai briganti. Sarà il caso di cantare davanti ai briganti?

Spero mi darete il modo di illustrare tutte queste assurdità, e come infame sia per noi il sistema delle riparazioni che ci priva inutilmente di grandi risorse e sottomette milioni di italiani ai più grandi pericoli.

Comunque è meglio riprendere l’esame di questi argomenti. Quando l’onorevole De Gasperi vorrà liberamente parlarne, io potrò liberamente rivolgergli alcune domande. Ma questa non dev’essere materia di competizione da parte dei vari partiti. No. Questa è la vita della Nazione in cui dobbiamo essere tutti solidali. Noi non abbiamo adesso che una sola speranza: il popolo italiano deve, appena potrà, unirsi sotto un Governo cosciente e forte e avere solidarietà e spirito di resistenza. Epperciò – vi prego di non scandalizzarvi – vi ripeto ancora, che odio tutti questi movimenti separatisti o, come si usa dire con evidente eufemismo, autonomisti, che sarebbero la morte di una nazione.

Autonomie amministrative bene ordinate possono essere accolte senza diffidenza; ma autonomie di natura imprecisata e indeterminata non possono che essere malefiche e degenerare.

Io sono in questo mazziniano, anche più dei mazziniani di professione. (Si ride).

Noi non abbiamo altra speranza che noi stessi. Non illudiamo il popolo ancora una volta facendogli credere che è possibile per noi una pace conveniente. Avremo una pace sconveniente e scellerata, e bisogna che il popolo se ne renda conto e non cada nella fatale illusione in cui è già caduto quando si è parlato dei vincitori come di alleati.

In questa situazione, il dovere dell’ora, il primo dovere è quello di pensare a noi stessi ed ora di salvare la lira. Come si può salvare? Della situazione del tesoro dovremo presto riparlare, ma ora bisogna agire. È inutile dire che il Governo ha progetti. Tutti gli uomini hanno progetti e anche, ahimè! i governi, che ne hanno, in questo periodo, anche troppi. I progetti, cioè la fantasia, sono produzione così abbondante che non vi è nessun individuo, anche mediocre, che non ne abbia. Noi vogliamo sapere solo quali progetti ha il Governo, ma soprattutto i mezzi di cui può e intende valersi, che possono determinare la difesa della lira.

Vorrei parlarvi di altri argomenti di carattere urgente che riguardano la finanza. Qui bisogna abbandonare il campo delle illusioni. Non si fa una buona finanza senza l’ordine. Qualcuno ha sorriso, quando io ho parlato dell’ordine come condizione indispensabile per salvare ora e poi mantenere la nostra moneta.

Bisogna sempre ripetere che non è possibile una buona finanza senza ordine. Si può essere per qualunque regime, ma. bisogna volere che il regime sia rispettato.

Ora noi dobbiamo dare a1 Paese la fiducia nello Stato e che siamo vivi e vitali. Dobbiamo dare la fiducia che la nostra moneta si possa salvare. Ciò è possibile, perché la situazione italiana non è disperata. È anche migliore dello scorso anno, perché una serie di fattori hanno contribuito al suo miglioramento. Io aspetto le dichiarazioni del nuovo Ministro del tesoro o del suo capo Onorevole De Gasperi. Ma, più ancora, aspetto un’azione. Non occorre ora parlare, ma occorre agire. Io spero, onorevole Presidente, che voi darete al Paese questa sensazione, evitando questa discrasia generale, che ci minaccia ed è cosa peggiore della rivoluzione.

E finisco con l’augurio che l’Italia ancora una volta si salverà da se stessa dal pericolo in cui è. (Applausi – Congratulazioni – Commenti).

 

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Crispo. Ne ha facoltà.

CRISPO. Avendo l’onorevole Nitti parlato a nome del Gruppo al quale appartengo, dichiaro di rinunciare alla parola, anche a nome dei colleghi Cuomo e Quintieri Quinto.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Romano. Non essendo presente, si intende che vi abbia rinunziato.

Voci. Sospensione!

PRESIDENTE. Si sospende la seduta per venti minuti.

(La seduta, sospesa alle 19,10, è ripresa alle 19,30).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Preziosi. Ne ha facoltà.

PREZIOSI. Chiedo che la prosecuzione della discussione sia rinviata a domani.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni in contrario, la seduta è rinviata a domani.

(Così rimane stabilito).

Interrogazioni e interpellanza.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni e di una interpellanza, pervenute alla Presidenza.

DE VITA, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se non giudichi rispondente a equità alleviare i tributi alle popolazioni dell’alta montagna (e cioè superiormente ai limiti di vegetazione della vite e del castagno), esonerandole dagli aumenti in atto dell’imposta fondiaria e dalla imposta sui redditi agrari, tenuto conto della passività dell’azienda agricola montana e delle proposte all’uopo formulate da tutti i relatori dell’inchiesta sullo spopolamento montano in Italia.

«Gortani».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere perché – nonostante le richieste insistenti delle autorità locali, i pareri favorevoli espressi e le proteste vivissime del popolo e degli avvocati per il ritardo – non si sia ancora provveduto all’aggregazione al tribunale di Napoli dei mandamenti di Cicciano, Nola ed Acerra, sebbene quei comuni appartengano amministrativamente e gravitino per ogni bisogno su Napoli, alla quale sono allacciati da ferrovie di Stato e secondarie e da servizio automobilistico, mentre nessuna relazione di vita hanno con Santa Maria, ove è difficilissimo accedere, per cui gravissimi intralci e difficoltà sorgono nella amministrazione della giustizia.

«Riccio».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’interno, per sapere quali provvedimenti abbia presi in rapporto agli scandalosi episodi denunciati dalla stampa circa l’amministrazione degli Ospedali riuniti di Roma.

«Cianca».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere quale sorte abbia avuta lo schema di decreto predisposto dal Governo per la concessione di una pensione alla vedova di Roberto Bracco.

«Cianca».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro del tesoro, per sapere se non intenda dare disposizioni affinché sia revocata la sospensione degli indennizzi per mobilio e masserizie distrutti a causa di rappresaglie tedesche, e che l’indennizzo di tali danni per cause di guerra e rappresaglie sia fatto entro l’anno corrente, al completo, per tutti coloro che nulla possiedono, con precedenza alle famiglie dei caduti in tali rappresaglie, nei bombardamenti e nelle operazioni belliche della lotta di liberazione, nonché alle famiglie dei partigiani, dei reduci e dei combattenti nella guerra suddetta. E se non ritenga opportuno che si inizi anche la concessione di acconti, e l’indennizzo completo, oltre che nel caso precedente, anche per i danni subiti dai cittadini dalle razzie tedesche.

«Maltagliati».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere:

1°) se sono allo studio dei provvedimenti relativi al concorso interno previsto dal decreto-legge 31 maggio 1943, n. 570, per l’assunzione nel ruolo di direttori didattici governativi degli ex dirigenti rurali con cinque anni di incarico effettivo;

2°) se non ravvisi l’opportunità di spostare il termine dal 30 giugno 1943, previsto all’articolo 5 del succitato decreto, al 31 dicembre 1944, data sotto la quale di fatto sono venute a cessare le direzioni didattiche rurali;

3°) se non ravvisi l’opportunità di estendere il provvedimento ai direttori di circolo, limitando per tutti la condizione richiesta per l’assunzione in ruolo a un triennio di incarico con la qualifica minima di «distinto». (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Laconi».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro della guerra, per sapere se non ritenga inopportuno il provvedimento con cui è stata testé disposta, con effetto retroattivo, a datare dalla cessazione dello stato di guerra, l’applicazione della circolare 219 G.M. del 1929 nei confronti degli ufficiali di complemento coniugati. Tale provvedimento, che comporta trattenute fortissime a carico dei predetti ufficiali per assegni indebitamente percepiti, è stato accolto con legittimo rincrescimento dagli interessati, che giustamente aspirano ad una maggiore considerazione dei loro sacrifici e delle loro esigenze da parte del Governo. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Laconi».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere quali provvedimenti intenda adottare nei confronti del pretore di Bonorva, recentemente denunciato dal sindaco del comune di Giave per offese all’onore e al prestigio del medesimo come pubblico ufficiale e per abuso di poteri inerenti alle sue funzioni, e se non intenda disporre per il sollecito svolgimento del procedimento giudiziario, dato l’enorme scandalo determinatosi nel mandamento, e in considerazione dell’assoluta necessità di tutelare il prestigio e il decoro delle autorità democratiche. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Laconi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere se, al fine di lenire la disoccupazione esistente nel comune di Lauco (Udine), la cui popolazione in tempi normali emigrava nella proporzione del 25 per cento, non ritenga opportuno dare immediata esecuzione ai lavori di sistemazione del torrente Vinadia, dell’importo di 1.835.000 lire, ed i cui progetti esecutivi sono stati approntati dal Corpo forestale di Udine. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Piemonte».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per sapere se, in attesa che la nuova legislazione riformi il sistema delle prestazioni assicurative, non creda opportuno di prorogare la corresponsione del sussidio integrativo alle famiglie dei lavoratori tubercolotici degenti ormai da anni nei sanatori, corresponsione che è venuta a cessare alla data del 3 settembre 1946, essendo trascorso il periodo consentito di anni 2 stabilito dal decreto legislativo luogotenenziale del 9 novembre 1945, n. 776.

«Ragioni di evidente umanità, oltre che di giustizia sociale, reclamano il provvedimento da parte dell’onorevole Ministro, onde evitare che lavoratori ammalati da lungo tempo si trovino in una situazione personale e familiare particolarmente aggravata. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Bernardi, Pressinotti, Ghislandi, Bianchi Costantino».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere se è in preparazione una legge che restituisca a società operaie, cooperative, case del popolo, circoli e altri enti similari, quei beni che i fascisti, con violenza, con frode, con imposizione o pressione, tolsero loro, alienandoli in seguito o no, negli anni del loro malgoverno. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Jacometti».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere se intenda, nell’attesa di una legge che risolva la questione dei circoli, case del popolo e via dicendo, defraudati in un modo o nell’altro dai fascisti, ratificare i decreti di reintegrazione che il Prefetto di C.L.N. della provincia di Novara, forte di una disposizione dell’autorità alleata locale, emanò durante i primi mesi della liberazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Jacometti».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro degli affari esteri, per sapere in virtù di quale disposizione il Consolato italiano di Bruxelles fa pagare 385 franchi belgi, pari a lire italiane 1925, la semplice autenticazione di una firma. Nel caso specifico la firma di un operaio ex partigiano che delega la propria madre a riscuotere assegni spettantigli. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Jacometti, Fornara».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dell’interno e delle finanze, per sapere se non ritengano opportuno stabilire con provvedimento urgente che la legalizzazione dei documenti amministrativi rilasciati dai sindaci (certificati di buona condotta, atti di notorietà, estratti anagrafe, ecc.) sia eseguita dagli uffici giudiziari mandamentali, come già è disposto per i certificati di stato civile; e ciò allo scopo di eliminare la spesa e la perdita di tempo ora occorrenti per la legalizzazione da parte delle Prefetture. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bubbio».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere se, in considerazione della stasi della iniziativa privata nel campo edilizio e della conseguente disoccupazione degli ingegneri ed architetti liberi professionisti, non ritenga giusto ed opportuno, anche per alleggerire, di fronte alla mole ed alla quantità di lavori da eseguire, il compito e le responsabilità degli Uffici tecnici delle Amministrazioni statali e parastatali, disporre che tali Amministrazioni siano tenute ad utilizzare dovunque, per la progettazione e la direzione di almeno parte delle nuove opere, ingegneri ed architetti liberi professionisti. Allo scopo le Direzioni regionali dei lavori pubblici dovrebbero, con la collaborazione delle organizzazioni professionali, stabilire la misura delle retribuzioni e fissare accordi per una utile ed onesta rotazione degli incarichi. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Rodinò Mario, Fresa, Nobile, Miccolis».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per sapere la ragione per cui è stata abrogata con decreto legislativo luogotenenziale 21 agosto 1945, n. 576, la precedente legge 13 giugno 1942, n. 1063, che prevedeva:

1°) l’esenzione dal pagamento dei contributi unificati per tutti gli agricoltori i cui terreni erano ubicati oltre gli 800 metri di altitudine;

2°) la riduzione del 50 per cento per i terreni ubicati fra gli 800 e i 400 metri di altitudine.

«Tale legge rispondeva ad un criterio di giustizia verso i contadini della montagna e dell’alta collina, in lotta continua con una terra che è avida di lavoro ed avara di prodotti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Biagioni».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro del tesoro, per sapere se non ritenga ormai tempo di prendere in esame la possibilità di duplicare quei titoli di Stato depositati in custodia presso le banche e distrutti per eventi bellici.

«Gli Istituti bancari si trincerano dietro il comodo schermo della forza maggiore, sancito per legge, mentre, all’atto della consegna in custodia, avevano garantito la piena loro responsabilità, sia in caso di furto, che di distruzione.

«Si tratta nella maggior parte di piccole cifre, frutto di lenti e lunghi risparmi, affidate con piena fiducia allo Stato, il quale ha oggi la responsabilità morale di reintegrarle.

«Ciò è facilitato dal fatto che il danno è limitato, in linea di massima, a quelle zone dove più a lungo si è soffermata la guerra e dove oggi il disagio economico è più fortemente sentito che altrove, come per esempio nella devastatissima Garfagnana. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Biagioni».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri degli affari esteri e dell’assistenza post-bellica, per sapere come intendano venire incontro a quei cittadini residenti all’estero all’atto della dichiarazione di guerra e, solo perché italiani, inviati in campi di concentramento e privati di ogni loro bene mobile ed immobile.

«Dopo l’8 settembre fu chiesto loro di collaborare ed essi rifiutarono di aiutare quelli che erano stati per oltre tre anni i loro carcerieri, preferendo il campo di concentramento.

«Terminata la guerra, furono direttamente rimpatriati senza facoltà di portare seco neppure una sterlina dei loro sudati risparmi.

«Oggi questi cittadini vivono in stato di miseria dopo anni e anni di lavoro. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Biagioni».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dei lavori pubblici e dell’interno, per conoscere se non ritengano conveniente di affrettare in tutti i modi la ripresa dei lavori del grande acquedotto del Friuli centrale, così per fronteggiare la disoccupazione nell’alta pianura, come per la necessità igienica di dare acqua potabile a 17 comuni, che oggi si alimentano da uno scarso numero di pozzi frequentemente inquinati. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Gortani».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro delle finanze, se non ritenga opportuno – considerato che col prossimo ottobre scade l’efficacia delle disposizioni contenute nella legge 8 aprile 1937, n. 631 e successivi decreti, riguardanti la tassa proporzionale di registro in relazione ad anticipazioni o finanziamenti concessi ad aziende o enti dipendenti, derivanti da forniture di qualsiasi genere; e considerato anche che di detta legge traggono oggi vantaggio le nascenti cooperative edili stradali ed affini nel procurare gli indispensabili finanziamenti senza oneri troppo gravosi e che la garanzia data alle banche colla cessione dei crediti è l’unica forma che consenta possibilità di finanziamento, e quindi possibilità di vita alle cooperative – che l’efficacia della legge 8 aprile 1937, n. 631, sia prorogata, almeno in riguardo alle cooperative, al 31 dicembre 1947, dando così una giusta agevolazione ai risorti organi economici cooperativi tanto necessari per la ricostruzione nazionale. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Bianchi Costantino, Ghislandi, Bernardi, Pressinotti, Bernamonti».

«I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere:

1°) a quali concreti risultati siano fin qui giunti i lavori delle Commissioni legislative per lo studio preparatorio della revisione dei Codici;

2°) se non ritenga conveniente far partecipare a tali lavori, nella veste di consulenti, oltre che magistrati ed avvocati, anche i più conosciuti esponenti della scienza giuridica italiana, che invece risulterebbero fino a questo momento esclusi dalla partecipazione alle predette Commissioni;

3°) se non ritenga opportuno assumere a direttiva della revisione un criterio sanamente conservativo, secondo cui, abrogate le sole norme ispirate alla ideologia del fascismo, si mantengano in vigore quei testi di legge, i quali, come il Codice di procedura civile, segnano un indubbio progresso tecnico sulla legislazione precedente, secondo le linee stabilite da una lunga preparazione scientifica e giurisprudenziale, anteriore al fascismo.

«Mortati, Bozzi, Tosato, Leone Giovanni, Calamandrei, Ambrosini, Grassi, Perassi, Codacci Pisanelli, Caristia, La Pira».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

Così pure l’interpellanza sarà iscritta all’ordine del giorno, qualora il Ministro competente non vi si opponga nel termine regolamentare.

La seduta termina alle ore 19.35.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 16:

Seguito della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.

MERCOLEDÌ 18 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

XVIII.

SEDUTA DI MERCOLEDÌ 18 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SARAGAT

INDICE

Nomina del Ministro del tesoro:

Cappa, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri            

Dimissioni di un Deputato:

Presidente                                                                                                        

Interrogazioni (Svolgimento):

Cappa, Sottosegretario di Staio per la Presidenza del Consiglio dei Ministri

                                                                                                                          

Godignola                                                                                                        

Corsi, Sottosegretario di Stato per l’interno                                                        

Restagno, Sottosegretario di Stato per i lavori pubblici                                      

Cassiani, Sottosegretario di Stato per il lavoro e la previdenza sociale                 

Merlin Umberto                                                                                              

Marazza, Sottosegretario di Stato per la grazia e giustizia                                  

Pignatari                                                                                                         

Giolitti, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri                                           

Basile                                                                                                               

Scoca, Sottosegretario di Stato per le finanze                                                      

Presidente                                                                                                        

Bellusci, Sottosegretario di Stato per la pubblica istruzione              Pellizzari      

Petrilli, Sottosegretario di Stato per il tesoro                                                     

Marchesi                                                                                                          

Martino, Sottosegretario di Stato per la guerra                                                  

Geuna                                                                                                               

Micheli, Ministro della marina                                                                           

Barontini Anelito                                                                                     581

Comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri:

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri,

Ministro per l’interno e, ad interim, degli affari esteri                                           

Lombardi Riccardo                                                                                         

Mariani Francesco                                                                                         

Mozione (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri,

Ministro per l’interno e, ad interim, degli affari esteri                                           

Perassi                                                                                                              

Interrogazioni e interpellanze (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 16.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della seduta precedente.

(È approvato).

Nomina del ministro del tesoro.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Ne ha facoltà.

CAPPA, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Onorevoli colleghi, per incarico del signor Presidente del Consiglio, mi onoro informarvi che, dietro sua proposta, con decreti in data odierna, il Capo Provvisorio dello Stato ha accettato le dimissioni presentate dall’onorevole professor Epicarmo Corbino da Ministro Segretario di Stato per il tesoro ed ha nominato Ministro per il tesoro l’avvocato Giovambattista Bertone, Deputato all’Assemblea Costituente. (Applausi al centro).

Dimissioni di un deputato.

PRESIDENTE. Comunico all’Assemblea la seguente lettera inviatami dall’onorevole Greppi:

Roma, 18 luglio 1946.

«Onorevole Presidente dell’Assemblea Costituente,

«Eletto sindaco di Milano il 14 maggio e deputato alla Costituente il 2 giugno, mi sono reso facilmente conto dell’impossibilità pratica di adempiere, col necessario impegno, ai doveri delle due cariche. La prego pertanto di accogliere le mie dimissioni da deputato. Delicate e comprensibili ragioni morali mi inducono a conservare il posto e la responsabilità di sindaco.

«Con i voti più ardenti per i lavori della Costituente, Le esprimo la mia grande deferenza.

«Antonio Greppi».

Nessuno chiedendo di parlare, pongo ai voti l’accettazione di queste dimissioni.

(Sono accettate).

Svolgimento di interrogazioni.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca le interrogazioni. La prima è dell’onorevole Codignola, al Presidente del Consiglio dei Ministri, «per conoscere quali siano i criteri fondamentali ai quali si ispirerebbe il progetto di autonomia in favore della «Regione Tridentina», che la stampa ha annunciato recentemente come di prossima emanazione, e per richiamare l’attenzione del Governo sulla inopportunità che provvedimenti di questo genere, di natura tipicamente costituzionale, vengano emessi per mezzo di decreti governativi, mentre la Costituente è chiamata ad elaborare la nuova costituzione dello Stato italiano; segnalando particolarmente il pericolo che l’intera riforma in senso autonomistico della struttura statale, auspicata da larghi settori della Costituente, possa essere compromessa da provvedimenti legislativi ispirati piuttosto ad esigenze particolaristiche, che non ad una visione complessiva del problema, nel generale interesse del Paese».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha facoltà di rispondere.

CAPPA, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Come fu annunciato in un comunicato stampa del 7 marzo ultimo scorso, il Prefetto di Bolzano è stato incaricato di provvedere alla elaborazione di uno schema di autonomia regionale per la Venezia Tridentina, valendosi di esperti e di quelle consultazioni locali che consentano di tener conto delle aspirazioni della regione e dei vari gruppi linguistici.

Il Governo non ha avuto ancora conoscenza dello schema elaborato in proposito; ma è fuori dubbio che il progetto di autonomia per la Venezia Tridentina dovrà essere in ogni caso sottoposto all’approvazione della Assemblea Costituente, al pari di ogni altra materia attinente all’ordinamento costituzionale dello Stato, che esula dalla competenza legislativa del Consiglio dei Ministri.

PRESIDENTE. L’onorevole Codignola ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

CODIGNOLA. Prendo atto delle dichiarazioni dell’onorevole Sottosegretario alla Presidenza e soprattutto prendo atto delle assicurazioni che egli dà che il problema della autonomia tridentina verrà sottoposto all’esame dell’Assemblea Costituente, trattandosi di un problema di natura costituzionale. Devo rilevare, per altro, che il progetto Innocenti, cui l’onorevole Sottosegretario si è riferito, è già stato preparato ed è già noto a quanti si interessino della questione.

Tale progetto presenta degli aspetti, che potrei definire preoccupanti, nei riguardi del problema generale delle autonomie.

Chiunque sia persuaso – come il gruppo autonomista, di cui faccio parte – della esigenza di una radicale riforma strutturale dello Stato italiano nel senso autonomistico, è particolarmente preoccupato che una riforma di questo carattere venga preparata, non in base ad una visione generale del problema che investa l’intera struttura dello Stato, ma in base a visioni che possono essere particolaristiche e possono riguardare interessi locali, spesso in contrasto con l’interesse generale del Paese.

A questo riguardo, credo opportuno che l’Assemblea debba particolarmente preoccuparsi del fatto che sotto il nome di Regione Tridentina sembra si voglia – prima che la nuova Costituzione dello Staio venga ad essere posta in atto – raccogliere così la provincia di Trento, come la provincia, di Bolzano.

Tutti sanno che esistono effettivamente delle tradizioni, nella provincia di Trento, di natura autonomistica. Tuttavia noi riteniamo che queste ragioni non siano tali da far precedere una legislazione di questo genere, di carattere particolare, in favore del Trentino, a una riforma generale dello Stato. Vi sono altre regioni italiane, che hanno egualmente forti esigenze autonomistiche, e per le quali non si prevede nulla di simile.

D’altra parte noi riteniamo che anche quelle disposizioni prese a suo tempo nei riguardi della Sardegna, della Sicilia e della Val d’Aosta, per quanto prese, in generale, per ragioni anche di carattere internazionale o per pressioni di altra natura, siano disposizioni che presentano notevole pericolo nei riguardi dell’unità dello Stato italiano. Noi siamo persuasi che una seria riforma autonomistica debba rafforzare l’unità dello Stato italiano e non metterla in pericolo. E pertanto essa ha valore soltanto se attuata, tenendo conto dell’insieme del problema, e non in base a situazioni particolari.

Ora, nei riguardi della Venezia Tridentina, cioè delle provincie di Bolzano e di Trento, è necessario che l’Assemblea si renda conto che esistono degli interessi non soltanto degli autoctoni, dei trentini, e non soltanto degli allogeni, ma anche dei cittadini italiani, che si sono trasferiti in Alto Adige, in seguito agli accordi italo-tedeschi del 1939. In seguito a questi accordi 70 mila cittadini altoatesini lasciarono l’Italia, avendo optato per la Germania; e questi 70 mila cittadini tedeschi sono stati sostituiti da altrettanti cittadini italiani.

Ora, come sapete, a seguito dei recenti accordi internazionali De Gasperi-Grüber, pare che si pensi a fare rientrare in Italia i 70 mila cittadini ex alto-atesini, che optarono per la Germania. Questi cittadini furono a suo tempo trasferiti dalla Germania in Cecoslovacchia, per germanizzare la Cecoslovacchia; essi sono stati ora cacciati dalla Cecoslovacchia e nel momento stesso in cui anche l’Austria manda in Germania i cittadini austriaci, che avevano optato per la Germania, noi dobbiamo riaccogliere in Italia quei 70 mila cittadini, che a suo tempo optarono per la Germania.

Devo far presente che la cosa riveste un carattere estremamente delicato, anche dal punto di vista politico, oltre che economico.

Dal punto di vista politico, faccio presente che l’accordo prevede la possibilità di rientro in Italia anche di quei cittadini ex alto-atesini, che passarono in Germania, non in seguito a opzione, ma perché si arruolarono nelle SS germaniche, cioè perché fecero la guerra nazista contro di noi. Un accordo compreso nella legge del 1939 prevedeva difatti che coloro che avessero militato nelle forze armate germaniche potessero ottenere la cittadinanza germanica.

È noto come i nazisti dell’Alto Adige abbiano ferocemente combattuto contro di noi. Tutti ricordano le stragi di Bolzano e di Merano. Queste persone rientrerebbero ora tranquillamente in Italia, in virtù di accordi internazionali.

Credo che l’Assemblea debba rendersi conto del grave pericolo che ciò rappresenterebbe, dopo gli inconvenienti lamentati a seguito della recente amnistia: tali inconvenienti non mancherebbero di riprodursi, in senso peggiorato, in Alto Adige.

E si badi che il testo del decreto che si dovrebbe approvare nei riguardi delle opzioni usa le stesse espressioni infelici che sono state rilevate a proposito dell’amnistia, come quando si dice che gli interessati possono riavere la cittadinanza italiana a meno che non abbiano compiuto atti di particolare efferatezza, o qualcosa di simile. Ciò significa che in pratica tutti quelli che hanno compiuto atti di ferocia in Alto Adige possono rientrare in Italia.

Non credo che sia questa una manifestazione nazionalistica, ma credo che si tratti del preciso interesse del Paese e dell’antifascismo, in una zona così delicata come quella del confine alto-atesino.

Devo aggiungere che il ritorno di questi 70.000 nazisti importerebbe la necessità di reintegrare un patrimonio calcolato «grosso modo» a 13 miliardi. È dunque necessario che l’Assemblea abbia un’idea esatta del problema, prima che sia portato davanti ad essa per le deliberazioni.

Infine devo far presente che il progetto di autonomia, che l’onorevole Sottosegretario ha dichiarato di non conoscere, ma che è in mie mani, contiene dichiarazioni pericolose per una autonomia che non sia separatista.

Cito, fra gli altri, un articolo che dà facoltà ai sindaci della Venezia Tridentina di stabilire che i cittadini italiani possono o non possono prendere la residenza nella Venezia Tridentina. I sindaci hanno facoltà di rifiutare la residenza nel caso che i cittadini italiani intendano recarvisi senza una determinata posizione economica. Ciò significa ritornare a posizioni assai arretrate dello Stato italiano, e ritengo che l’Assemblea debba rivolgere la massima attenzione perché inconvenienti di questo genere non abbiano a verificarsi. (Applausi a sinistra).

CAPPA, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAPPA, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Faccio osservare che la replica dell’onorevole interrogante ha esulato, nella sua quasi totalità, dal contenuto dell’interrogazione.

Devo confermare che il Governo non conosce il progetto di autonomia che è stato redatto. Devo osservare, inoltre, per quello che riguarda i rapporti internazionali, che essi saranno discussi quando verranno dinanzi a questa Assemblea; ed ugualmente, per quel che riguarda la situazione della autonomia nella Venezia Tridentina, si discuterà in questa Assemblea quando il problema le verrà sottoposto.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Mastrojanni, al Ministro dell’interno, «per conoscere le ragioni che hanno determinato il sindaco di Rignano Flaminio ad ordinare, con foglio di via obbligatorio, al cittadino italiano Gardin Alberico Antonio di abbandonare quel paese, senza che ricorresse alcuno dei motivi previsti dalla legge di pubblica sicurezza; e per conoscere, inoltre, perché il sindaco predetto, nonostante l’intervento della Prefettura di Roma, cui il Gardin Alberico si rivolse, per protestare contro l’ingiusto provvedimento, non abbia fino ad oggi revocato l’arbitrario ordine».

Non essendo l’onorevole Mastrojanni presente, la sua interrogazione si intende decaduta.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Merlin Umberto, ai Ministri dell’interno, dei lavori pubblici e del lavoro e previdenza sociale, «per conoscere dal Ministro dell’interno i provvedimenti presi in relazione ai gravi fatti avvenuti a Rovigo il 23 luglio. A seguito della dolorosa situazione in cui versa la popolazione per causa della disoccupazione, la Camera del lavoro aveva dichiarato lo sciopero generale. Una folla, guidata da elementi irresponsabili, assaltò la Prefettura e, non incontrando resistenza nella forza pubblica assente, usò violenza alla persona del prefetto. Chiede altresì di conoscere le disposizioni adottate per punire i colpevoli di così grave reato, che costituisce offesa alla autorità dello Stato. Chiede inoltre al Ministro dei lavori pubblici se intenda immediatamente di far eseguire nel Polesine tutti i lavori pubblici già predisposti, che sono indispensabili per alleviare il triste fenomeno della disoccupazione. Interroga, infine, il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, sulla necessità di intervenire perché nel Polesine sia sollecitamente concluso il patto colonico per l’anno agricolo in corso, patto tuttora non firmato, il che è causa di grave turbamento dell’ordine pubblico».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.

CORSI, Sottosegretario di Stato per l’interno. In Rovigo, alle ore 6 del giorno 22 luglio, la Camera confederale del lavoro proclamò lo sciopero generale di tutte le categorie di lavoratori, a causa soprattutto della mancata attuazione dei lavori preannunziati a sollievo della disoccupazione, e della mancata conclusione della vertenza mezzadrile.

Alle ore 10 dello stesso giorno, circa 300 disoccupati, riunitisi presso la Camera del lavoro, si recarono dinanzi alla Prefettura, dove, rompendo i cordoni della polizia, ed attraverso la porta di servizio di una via secondaria, penetrarono nello studio del prefetto, costringendolo a raggiungere la sede del municipio ed a dare assicurazioni che in giornata si sarebbero dovuti risolvere i problemi agitati.

Frattanto, un gruppo di facinorosi raggiunse la sede dell’ufficio dell’assistenza post-bellica, dove si impossessarono di numerosi pacchi vestiario.

Il prefetto, dopo aver brevemente parlato dal balcone del municipio, poté rientrare in Prefettura e dispose per aver rinforzi di polizia dalle provincie viciniori, nonché per una immediata convocazione degli esponenti locali dell’agricoltura e dell’industria, allo scopo di avvisare ad urgenti misure contro la disoccupazione.

Il Ministero dell’interno, mentre ha provveduto a segnalare la situazione a quello dei lavori pubblici, prospettando l’urgenza di disporre l’esecuzione dei lavori, a sollievo della disoccupazione, ha inviato sul posto un ispettore generale allo scopo di accertare le responsabilità inerenti agli incidenti verificatisi. In seguito a tali accertamenti, è stato disposto per la sostituzione del questore, che ha mancato di efficiente azione direttiva nel fronteggiare la situazione, nonché del commissario ausiliario di pubblica sicurezza comandante degli agenti, elemento dimostratosi incapace.

Come responsabili delle violenze, sono stati denunziati in stato di arresto all’Autorità giudiziaria 33 individui.

Il processo è stato fissato, per direttissima, al 10 settembre.

PRESIDENTE. L’onorevole Sottosegretario di Stato per i lavori pubblici ha facoltà di rispondere.

RESTAGNO, Sottosegretario di Stato per i lavori pubblici. Per la parte della interrogazione che si riferisce all’intervento del Ministero dei lavori pubblici, è da tenere presente che tutte le disposizioni consentite dalla presente situazione dei fondi sono già state prese, allo scopo di fronteggiare il fenomeno della disoccupazione in provincia di Rovigo.

Nel programma generale delle opere figura per detta provincia una larga previsione di spesa di lire 1.700.000.000: l’assegnazione effettiva si è dovuta ridurre in rapporto agli insuperabili limiti delle attuali disponibilità liquide.

È stato possibile far luogo alla assegnazione globale, per opere varie in provincia di Rovigo, di lire 100.000.000, somma del resto cospicua, che permetterà di intraprendere un quantitativo di opere che si ritiene sufficiente a lenire la disoccupazione per un periodo stagionale.

È da tenere conto altresì che con recente provvedimento è stata disposta la speciale assegnazione di lire 32.250.000 per opere da eseguirsi in Adria; e che altri 15 milioni sono stati assegnati al Consorzio di Bonifica Campagna Vecchia Inferiore per scavo canale Ramo Storto.

Il Magistrato alle acque, Provveditorato regionale alle opere pubbliche con sede in Venezia, avrà cura di procedere senza indugio alla esecuzione delle opere come sopra predisposte e il Ministero non mancherà di incitare gli uffici esecutivi perché le desiderate realizzazioni abbiano luogo con le necessarie continuità e sollecitudine.

PRESIDENTE. L’onorevole Sottosegretario di Stato per il lavoro e la previdenza sociale ha facoltà di rispondere.

CASSIANI, Sottosegretario di Stato per il lavoro e la previdenza sociale. A quanto hanno risposto gli onorevoli Sottosegretari Corsi e Restagno debbo aggiungere che le organizzazioni sindacali del Polesine, in seguito a premure da parte del Ministero del lavoro, hanno stabilito, con accordo del 23 luglio scorso, di portare a termine entro il 30 settembre prossimo le trattative dirette a concludere patti agrari per l’annata 1946-47.

PRESIDENTE. L’onorevole Merlin Umberto ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

MERLIN UMBERTO. Posso dichiararmi soltanto in parte soddisfatto. Ho voluto più che tutto con la mia interrogazione richiamare l’attenzione della Camera e del Paese sulla gravità dei fatti che sono avvenuti a Rovigo il 25 luglio in danno del prefetto, non tanto per l’episodio gravissimo in sé, quanto perché mi pare che per la sua costante ripetizione esso rappresenti l’indice di un sistema. Questi facinorosi che violano le regole e gli ordini dati da tutti i partiti organizzati e che offendono anche la disciplina imposta dalle organizzazioni sindacali, fanno il danno del Paese e il danno anche del nuovo Stato che si sta faticosamente formando. Il Prefetto rappresenta nella provincia la più alta autorità dello Stato, e questi assalti alle Prefetture, queste invasioni, queste violenze indubbiamente tolgono prestigio e dignità ai prefetti. Deplorarli è un dovere: dare opera perché non si ripetano è fare cosa utile alla Nazione. Colgo l’occasione per richiamare anche l’attenzione del Sottosegretario all’interno sulla necessità che cessi il periodo di vice-prefettura cui è stata lasciata la provincia di Rovigo, perché non è giusto: il Prefetto è una vittima e non meriterebbe e non merita nessuna punizione.

La forza pubblica fu assente, non intervenne a difenderlo. Nel cortile della Prefettura c’erano 150 guardie, le quali non mossero un passo per difendere il Prefetto. Convengo che il suo prestigio possa essere diminuito, e che quindi forse sia opportuno trasferirlo in un’altra provincia, ma chiedo insistentemente al Sottosegretario all’interno che non si lasci la provincia di Rovigo retta da un vice-prefetto.

Quanto alla risposta che mi ha dato l’ottimo collega Restagno, dichiaro subito che come prova di buon cuore io l’accetto, ma è una elemosina. E non posso dichiararmi soddisfatto, perché una provincia che ha chiesto un miliardo e 700 milioni per lavori pubblici, non può accontentarsi di cento milioni.

RESTAGNO, Sottosegretario di Stato per i lavori pubblici. È un primo acconto.

MERLIN UMBERTO: Va bene; speriamo nell’avvenire e speriamo nelle future assegnazioni. Ma vi dico questo: non si tratta di spendere delle somme tratte dal risparmio nazionale, in sussidi che non renderebbero nulla; si tratta di spendere in una provincia che ha ancora 50 mila ettari da bonificare. La mia provincia di Rovigo, per opera dei tedeschi, venne in buona parte allagata (almeno nel delta del Po), vennero distrutti tutti i magnifici ponti che avevamo costruito con tanto sacrificio, paesi interi rasi al suolo, strade rovinate. Quelle popolazioni vanno ricostruendosi la loro vita, ma bisogna aiutarle; e io domando che si tenga conto di questi bisogni, perché spendere dove utilmente si spende non è solo un dovere, è anche un buon affare. Per cui confido che alle promesse fattemi seguiranno nuove assegnazioni ed il Polesine, vero granaio d’Italia, darà frutti sempre più abbondanti a vantaggio di tutto il Paese. (Applausi).

Quanto al patto colonico, ringrazio della risposta, ma la mia interrogazione era precedente alla firma del patto stesso.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Pignatari, al Ministro di grazia e giustizia, «per sapere se non ritenga opportuno disporre per la sospensione del decreto legislativo luogotenenziale 5 aprile 1946, n. 247, con cui si elevava il limite di valore della competenza del conciliatore a lire 5000 e a lire 50 mila quello della competenza pretoria, fino a quando non si attui l’invocata riforma del Codice di procedura civile, in vista del disservizio e delle aggravate difficoltà nella risoluzione delle controversie derivanti dalla mancanza di pretori titolari in un gran numero di preture e dalla insufficienza numerica del personale di cancelleria e nel Mezzogiorno anche dalla difficoltà delle comunicazioni».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per la grazia e giustizia ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per la grazia e giustizia. L’emanazione del decreto legislativo 5 aprile 1946, col quale la competenza del conciliatore è stata elevata fino a lire 5000 e quella del pretore fino a lire 50.000, è stata determinata dalla richiesta di autorevoli capi di uffici giudiziari, i quali hanno fatto presente come la svalutazione monetaria avesse prodotto uno svuotamento della competenza dei giudici inferiori, più vicini al popolo, ed un concentramento della attività giudiziaria dei tribunali, già oberati di lavoro.

Come misura urgente, per ovviare agli inconvenienti creati dallo spostamento dei valori, è stato quindi richiesto l’aumento del limite di competenza, che il Codice di procedura civile del 1940 aveva fissato in lire 1000 e 2000 per il conciliatore ed in lire 10.000 per il pretore.

È evidente che dopo la svalutazione monetaria questi limiti di valore non potevano essere mantenuti senza grave pregiudizio e per le parti, costrette, per liti di piccola entità, a ricorrere ad un organo giudiziario più lontano e più costoso, oppure a rinunciare all’esercizio del loro diritto, e per gli uffici giudiziari. Per altro il limite della competenza del pretore, di cui al decreto del 1946, è stato contenuto nella misura di lire 50.000, nonostante le proposte di un elevamento maggiore e più adeguato all’effettiva svalutazione monetaria, essendosi considerato che detta competenza comprende le cause relative a diritti immobiliari, il cui valore va calcolato in base al tributo diretto verso lo Stato, non ancora adeguato alla svalutazione monetaria. Tuttavia, anche per dette cause va ricordato che ormai il decreto 7 febbraio 1946 ha provveduto ad un primo adeguamento di detto tributo, essendosi stabilito che i redditi dominicali e agrario, a decorrere dal 1° gennaio 1946, sono rivalutati moltiplicandosi per il coefficiente tre. Tale rivalutazione si ripercuote sul calcolo del valore delle cause relative a diritti reali, sui terreni, a sensi dell’articolo 15 Codice procedura civile, in quanto essendo il tributo diretto verso lo Stato pari a lire 10 per ogni 100 lire di reddito imponibile, il tributo stesso risulta triplicato in conseguenza della riferita svalutazione e conseguentemente viene triplicato il valore delle cause relative a diritti reali su terreni.

Sembra pertanto che contro la fondatezza del provvedimento modificativo della competenza per valore dei giudici conciliatori e dei pretori non possano muoversi serie obiezioni e che il provvedimento stesso debba essere mantenuto per esigenze imprescindibili dell’amministrazione della giustizia civile.

PRESÌDENTE. L’onorevole Pignatari ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

PIGNATARI. L’onorevole Sottosegretario ha messo in rilievo i motivi che hanno determinato l’aumento della competenza, ma non ha sostanzialmente risposto alla nostra interrogazione, con la quale non chiedevamo l’abrogazione del decreto, ma ne chiedevamo la sospensione. E la nostra richiesta è giustificata dalle condizioni disastrose nelle quali si trovano le preture nel Mezzogiorno d’Italia.

Alla mia interrogazione hanno dato la loro adesione numerosi colleghi avvocati e tutti meridionali. Nella circoscrizione del distretto della Corte di appello di Potenza su 57 preture mancano 17 titolari. Vi è nel mandamento la pretura di Pisticci, di notevole importanza, dove da 7 anni manca il titolare. Ora è perfettamente giusto che si voglia avvicinare e che si debba avvicinare la giustizia al popolo; ma dei provvedimenti e delle innovazioni se possono essere giustificate in astratto, in concreto si manifestano del tutto inopportuni e intempestivi, quando non vi sono i pretori, quando gli uffici di Cancelleria non funzionano, quando le comunicazioni sono disastrose, e un avvocato per recarsi in una pretura deve perdere tre giorni di tempo. Ciò non significa avvicinare la giustizia al popolo, ma significa invece rendere del tutto inefficiente la funzione giudiziaria. È. per questo che non posso dichiararmi soddisfatto della risposta dell’onorevole Sottosegretario.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Basile, al Ministro degli affari esteri, «per sapere se non ritenga di interessare il Governo degli Stati Uniti d’America per la restituzione del Consolato a Messina, centro della emigrazione calabro-sicula».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per gli affari esteri ha facoltà di rispondere.

GIOLITTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. La iniziativa per l’apertura e per l’ubicazione degli uffici consolari degli Stati Uniti, come di ogni altro Stato in Italia, è di esclusiva competenza dello Stato interessato, che vi provvede a seconda delle necessità dei propri servizi, di cui esso solo è giudice.

Le organizzazioni professionali e commerciali della regione possono direttamente far pervenire, ove lo ritengano opportuno, i loro voti alle autorità americane. Il Ministro degli affari esteri, da parte sua, potrà, a titolo amichevole, ove se ne presenti l’occasione, segnalare tale desiderio al Governo nord-americano.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

BASILE. Ringrazio l’onorevole Sottosegretario della promessa di appoggiare la richiesta.

PRESIDENTE. Segue un’altra interrogazione dell’onorevole Basile, al Ministro delle finanze, «per sapere se non ritenga di intervenire efficacemente e prontamente per assicurare il ripristino a Messina della Scuola allievi ufficiali della guardia di finanza, inviando sul posto un ispettore generale e sospendendo il provvedimento della Direzione generale del demanio, che con ministeriale 10 corrente n. 93969, senza attendere l’esito delle pratiche già in corso col Comando generale della guardia di finanza, ha destinato il palazzo della Libertà – ex littorio – (che doveva accogliere la Scuola) a sede dell’ufficio tecnico erariale, che può trovare ampi locali nell’ex G.I.L. attualmente inutilizzati e non adatti e insufficienti come sede della Scuola nautica».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per le finanze ha facoltà di rispondere.

SCOCA, Sottosegretario di Stato per le finanze. Assicuro l’onorevole interrogante che sarà ripristinata la Scuola nautica della guardia di finanza, essendosi trovata la possibilità di allogarla nel palazzo già del littorio, potendo l’Ufficio tecnico erariale trovare posto nell’edificio dell’ex Gioventù italiana del littorio.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

BASILE. Ringrazio l’onorevole Sottosegretario e anche particolarmente l’onorevole Ministro per il suo interessamento nell’accogliere la mia proposta di allogare l’Ufficio tecnico erariale nell’edificio dell’ex G.I.L. e di assegnare il palazzo della Libertà a sede della Scuola nautica. Così tutto sarà sistemato e Messina, che è stata spogliata di molti uffici pubblici, non subirà questa spoliazione. Iniquo sarebbe stato non restituire a Messina la scuola nautica che da ultimo funzionò a Pola e ora torna così alla sua sede naturale e definitiva. D’altra parte l’Ufficio tecnico erariale avrà sede decorosa in un altro edificio rispondente a tutte le esigenze.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Bordon, al Ministro di grazia e giustizia, «sui provvedimenti che intende prendere perché, in ordine all’applicazione dell’amnistia, sia consentito a coloro che abbiano fatto parte delle forze di liberazione di beneficiare largamente di essa e all’uopo siano, in considerazione del loro passato, abrogati, nei loro confronti, i casi di esclusione dal beneficio del condono, di cui all’articolo 10 del decreto in esame».

Non essendo presente l’onorevole interrogante si intende che abbia rinunziato alla interrogazione.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Pellizzari, al Ministro della pubblica istruzione, «per conoscere – premesso che, con decreto legislativo luogotenenziale 5 aprile 1945, n. 238, fu stabilito che i trasferimenti dei professori universitari di ruolo, disposti durante il periodo fascista dal Ministro della pubblica istruzione senza il voto delle Facoltà interessate, fossero revocati, e che i professori così trasferiti venissero restituiti alla sede di origine, salvo che le Facoltà non credessero di chiedere con esplicito voto il trasferimento annullato – se non ritenga conforme a giustizia e coerente ai diritti di autonomia tradizionalmente riconosciuti nelle Facoltà universitarie, provvedere affinché tali disposizioni vengano estese anche ai casi dei professori i quali, vincitori di concorso per una determinata sede, vennero dal Governo fascista, arbitrariamente e spesso contro l’esplicito voto delle facoltà, destinali a sede diversa da quella per la quale avevano vinto il concorso; non solo privando con ciò le Facoltà dell’esercizio del loro diritto di chiamata, ma danneggiando gli evidenti diritti dei professori di ruolo delle altre Università, ai quali veniva così preclusa la possibilità di un trasferimento spesso ambito come legittimo premio di una onesta attività di studio e di insegnamento».

Il Sottosegretario di Stato per la pubblica istruzione ha facoltà di rispondere.

BELLUSCI, Sottosegretario di Stato per la pubblica istruzione. La questione alla quale si riferisce l’onorevole interrogante ha la sua base nell’articolo 7 del Regio decreto-legge 20 giugno 1935, n. 1071, che dava facoltà al Ministro di nominare di sua iniziativa i vincitori di un concorso universitario destinandoli a determinate sedi, indipendentemente dalla chiamata e perfino contro la volontà delle Facoltà competenti.

Né il decreto legislativo luogotenenziale 5 aprile 1945, n. 238, del quale l’onorevole interrogante vorrebbe l’applicazione analogica al caso in esame, né alcun altro dei provvedimenti recentemente emanati con lo scopo di cancellare dalle Università le tracce dell’amministrazione fascista, prevedono la revisione delle nomine, come sopra disposte.

Quanto al menzionato decreto legislativo luogotenenziale n. 238 (a parte la considerazione che non ne sarebbe possibile l’applicazione in via analogica, perché qui si versa in materia di diritto singolare, dove l’analogia non può funzionare), non si vede come potrebbe essere applicato praticamente al caso in esame.

Infatti, nel caso di trasferimenti, il professore non gradito dalla Facoltà deve tornare alla Università di provenienza, senza perdere il posto che gli compete. Nel caso, invece, di professore che abbia l’assegnazione della sede all’atto della nomina, non potrebbe essere fatta questione di restituzione alla sede di competenza, ma rimarrebbe all’Amministrazione solo la possibilità di orientarsi per una di queste due soluzioni: a) cessazione dal servizio dell’interessato, conseguenza evidentemente eccessiva e tale che deve avere trattenuto il legislatore dall’assimilare questo caso a quello dei trasferimenti; b) destinazione degli interessati ad altro Ateneo. Ciò, evidentemente, sostituirebbe ad un atto di imperio del Governo fascista un analogo atto da parte del Governo attuale, il quale dovrebbe disporre l’assegnazione ad una cattedra universitaria, prescindendo dalla chiamata della Facoltà competente.

D’altra parte, è da tener presente che i professori tuttora in servizio, che furono nominati senza la chiamata della Facoltà, ammontano, al presente, a circa un centinaio, e che nessun Ateneo ha sollevato la questione, fatta eccezione per un unico nominativo.

PRESIDENTE. L’onorevole Pellizzari ha facoltà di dichiarare e sia soddisfatto.

PELLIZZARI. Devo dichiarare con vivo rincrescimento che io non sono né punto né poco soddisfatto di questa risposta

Si sono create due categorie di professori, tanto gli uni quanto gli altri inviati alle loro sedi attuali per atti di arbitrio del Governo fascista. Si è fatto un decreto perché i trasferiti di imperio, gli imposti senza loro merito ad altra Facoltà, tornassero al posto di origine e non si è pensato – «transeat» per il passato – e non si pensa adesso a fare un decreto per il quale coloro che vinsero, ad esempio, la cattedra di Perugia e furono di prepotenza destinati a Roma debbano tornarsene a Perugia, cioè alla cattedra che essi vinsero. Ciò sia detto senza mortificazione di nessuna Facoltà.

Ora, onorevole Sottosegretario di Stato, questi professori, o siano uno o siano cento, occupano malamente il posto che occupano, lo occupano senza dignità, lo occupano anche senza che moralmente la loro posizione sia accettabile. Lei dice che solo un caso è stato sollevato. Io non so quanti siano. Uno l’ho sollevato io, e l’ho sollevato proprio perché studenti e insegnanti si sono energicamente rifiutati di accettare per maestro e per collega uno studioso che non era giunto alla cattedra genovese per aver vinto il relativo concorso o per chiamata della Facoltà, ma c’era venuto per la prepotenza di un ministro asino e fascista. (Approvazioni a sinistra).

Stando così le cose, mi ripeto insoddisfatto; e dall’energia del Ministro Gonella attendo un decreto che restituisca il diritto offeso e l’ordine manomesso; perché certi professori, in condizioni così anormali, non riusciranno mai ad insegnare; e bisogna bene che si pongano quei poveri diavoli di rettori in condizioni di far funzionare le loro Università, che, così come oggi, non possono pienamente adempiere ai loro compiti (Applausi).

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Marchesi ai Ministri della pubblica istruzione e del tesoro, «per sapere se non ritengano ormai tempo di riprendere in considerazione e finalmente emanare i due decreti-legge con i quali venivano autorizzati i bandi di un concorso speciale per maestri e di altro per le direzioni didattiche riservati a coloro, i quali per comprovate ragioni politiche o razziali, non avevano potuto partecipare a quelli banditi in periodo fascista; e che già elaborati fin dal novembre 1945, vennero accantonati a causa delle obiezioni sollevate dal Tesoro su un dettaglio non essenziale, e precisamente sulla data di decorrenza dell’anzianità da attribuire agli eventuali vincitori dei concorsi»

L’onorevole Sottosegretario di Stato per la pubblica istruzione ha facoltà di rispondere.

BELLUSCI, Sottosegretario di Stato per la pubblica istruzione. Si conferma che da circa un anno il Ministero della pubblica istruzione ha predisposto ed inviato al Ministero del tesoro per il preventivo assenso uno schema di provvedimento legislativo in favore degli insegnanti elementari e dei direttori didattici, che, a suo tempo, non poterono adire i normali concorsi magistrali per motivi razziali o politici.

Il provvedimento stesso non ha potuto però avere corso fino ad ora, per varie osservazioni via via avanzate dal Ministero del tesoro (l’ultima è del 6 corrente mese); osservazioni alle quali il Ministero della pubblica istruzione ha sempre replicato.

Pertanto, per quanto riguarda tale Dicastero, non è esatto che il provvedimento sia stato «accantonato», e si continuerà ad insistere affinché possa avere ulteriore corso.

PRESIDENTE. L’onorevole Sottosegretario di Stato per il tesoro ha facoltà di rispondere.

PETRILLI. Sottosegretario di Stato per il tesoro. Il Ministero del tesoro ha proposto alcune osservazioni con la nota 6 settembre, alla quale si attende una replica per poter essa formare oggetto di nuova disamina da parte del Ministero del tesoro, dopo di che potrà essere adottato un provvedimento definitivo.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole interrogante se si dichiara soddisfatto.

MARCHESI. Non posso dichiararmi soddisfatto. Si tratta in buona parte di uomini di alta dignità morale e civile, i quali hanno resistito alle intimazioni della tessera fascista, sobbarcandosi all’esclusione dal pubblico ufficio e all’arresto della carriera. Alcuni di costoro hanno già superato i limiti di età valevoli per la partecipazione al concorso. È naturale che ad essi non si può applicare la norma comune.

Anzi questi esclusi, da lungo tempo esclusi dai ruoli dell’insegnamento e dell’avanzamento, non debbono essere giudicati insieme con coloro i quali non hanno dovuto subire gli stessi maltrattamenti. Uno dei due progettati bandi di concorso riguarda i direttori didattici. Nel 1931, un gruppo numeroso di maestri, munito del titolo di abilitazione alla vigilanza scolastica, si presentò al concorso per la direzione didattica, ma ne fu escluso per carenza politica, cioè per mancanza di tessera fascista. Questo nel 1931. Pochi anni dopo, le gerarchie della Minerva bandivano un concorso per direttore didattico. Mi è pervenuto un’ora fa questo documento, dal quale rilevo che erano ammessi al concorso i maestri sprovvisti del diploma di abilitazione, purché rivestissero la qualifica di ex combattenti o di legionari fiumani, o avessero partecipato alla marcia su Roma, o fossero iscritti al partito nazionale fascista in data anteriore al 28 ottobre 1922. Questi maestri, muniti di così nobili titoli, oggi occupano da molto tempo il posto di direttori didattici e nell’imminente assegnazione di sedi saranno certamente preferiti per la loro anzianità.

Dunque i provvedimenti sono urgenti e le esitazioni e le incertezze della ragioneria generale dello Stato non hanno alcuna giustificazione a una tanto esasperante lentezza.

Una volta che l’epurazione è fallita, e questo dobbiamo riconoscere con più o meno di soddisfazione, e che ai compromessi col fascismo sono aperte tutte le porte, almeno se ne apra qualcuna a questi nobili cittadini italiani che del fascismo sono state le vittime meno vistose, ma non meno meritevoli. (Applausi a sinistrai).

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevole Lozza (Platone, Mezzadra, Iotti Leonilde) ai Ministri dell’interno e delle finanze, «per sapere se non intendano smobilitare al più presto e sopprimere la G.I. (Gioventù italiana) o E.N.A.G. (Ente nazionale assistenza gioventù) che, nel metodo e nella scarsa serietà d’organizzazione, troppo ricorda l’ex G.I.L. Gli interroganti sono d’avviso che l’assistenza potrebbe essere affidata ai patronati scolastici, e l’insegnamento della ginnastica potrebbe essere affidato (come vien fatto per le altre discipline) al Ministero della pubblica istruzione»

Non essendo presente l’onorevole interrogante, l’interrogazione si intende decaduta.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Mezzadra, al Ministro dell’assistenza post-bellica, «per conoscere se non intenda: 1°) aumentare le somme destinate al risarcimento dei danni provocati dai fascisti e dai tedeschi durante le azioni di guerriglia partigiana; 2°) accelerare i lavori di accertamento dei danni suddetti da parte delle commissioni prefettizie, affinché la ricostruzione degli immobili possa avvenire prima dell’inverno; 3°) iniziare detti lavori in alta montagna, perché tale zona è colpita nell’inverno prima della pianura».

Non essendo presente l’onorevole interrogante, l’interrogazione s’intende decaduta.

Segue l’interrogazione degli onorevoli Lozza, Platone, Iotti Leonilde, ai Ministri della pubblica istruzione e del tesoro, «per sapere se non ravvisino la necessità di bandire al più presto i concorsi (tanto generali quanto speciali per reduci, partigiani, combattenti) a carattere di scuole elementari (concorsi provinciali) e di scuole medie, al fine di alleviare la disoccupazione magistrale e per dare alla scuola un corpo insegnante stabile e selezionato».

Non essendo presenti gli onorevoli interroganti, s’intende decaduta l’interrogazione.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Riccio, al Ministro delle finanze, «per sapere se intende, in considerazione che gli aumenti salariali corrispondono a necessità insopprimibili ed agli aumentati costi di vita, concedere ai dipendenti dello Stato ed agli agenti ferroviari con famiglia numerosa esenzioni tributarie totali o parziali e non limitarle alle prime lire 100,000, in esecuzione dell’articolo della legge 14 giugno 1928, n. 1312, non più corrispondente alle esigenze di equità e di giustizia».

Non essendo presente l’onorevole Ministro delle finanze, l’interrogazione si intende rinviata.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Geuna, al Ministro della guerra, «per sapere se, nello spirito di una vera giustizia sociale, il Ministero, in accordo con il Ministero del tesoro, intenda affrontare e risolvere la situazione economica degli ufficiali e sottufficiali attualmente in servizio effettivo presso le forze armate, prima di tutto per una esigenza reale indilazionabile di vita materiale ed anche per tutelare la dignità della gloriosa divisa delle forze armate italiane».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per la guerra ha facoltà di rispondere.

MARTINO, Sottosegretario di Stato per la guerra. Effettivamente il trattamento degli ufficiali e dei sottufficiali delle forze armate è insufficiente ed anzi molto lontano dalla sufficienza, anche se questo non appare sempre evidente, poiché, pur di mantenere il decoro esteriore, il personale fa sacrifici oltre l’immaginabile.

Le cause dell’insufficienza del trattamento possono essere distinte nelle due seguenti categorie: cause comuni al personale civile e militare, dipendente dallo Stato; cause proprie delle condizioni dei militari.

Per quanto riguarda la eliminazione delle cause comuni a tutti i dipendenti statali, il problema dei militari è legato a quello del miglioramento economico di tutti i dipendenti, per i quali sono in corso le note discussioni da parte del Governo e degli organi sindacali.

Per quanto, invece, riguarda le cause proprie delle condizioni dei militari, si citano le principali e cioè: frequenza dei trasferimenti da attuarsi generalmente con urgenza; prestazione del servizio in località piccole, lontane dai grossi centri abitati o alla periferia (in senso lato) dei grossi centri; obbligo di servizio per 24 ore su 24 ed effettiva normale prestazione di servizio per oltre 12 ore giornaliere e spesso anche in ore notturne; obbligo di vestire con decoro l’uniforme; possibilità di essere mandati a prestare servizio fuori sede per periodi più o meno brevi collettivamente; prestazione di servizio in reparti che per esigenze varie non hanno a tutt’oggi una sede fissa.

In relazione all’effettivo grave stato di disagio degli ufficiali e dei sottufficiali, è intendimento del Ministero della guerra di proporre al Ministero del tesoro ed al Governo in questi giorni l’attuazione di un minimo di provvedimenti, che vengono in favore degli ufficiali e dei sottufficiali, pur tenendo conto dell’esigua disponibilità di bilancio.

Allo scopo sono state date disposizioni alla Direzione generale dei servizi di Commissariato ed amministrativi di compilare una proposta, che sarà pronta fra qualche giorno.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

GEUNA. Mi dichiaro soddisfatto.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Barontini Anelito, ai Ministri della marina, dell’aeronautica e della guerra, «per conoscere che cosa o chi si opponga ancora alla rimozione da bordo delle navi, dagli uffici, dalle divise, dei simboli e degli emblemi monarchici e se non ritengano necessario dare a questo proposito immediati e precisi ordini; ciò, oltre che per una evidente esigenza politica, anche per evitare che giuste ma spontanee iniziative in tal senso possano sfociare in incresciosi incidenti».

L’onorevole Ministro della marina ha facoltà di rispondere.

MICHELI, Ministro della marina. Si tratta di una questione, per la quale non sono soltanto io chiamato in causa. L’interrogazione è diretta a tutte e tre i Ministri delle Forze armate, della marina, dell’aeronautica e della guerra.

Noi abbiamo incaricato della risposta il Ministro della guerra, in quanto egli è quello che in questa materia di distintivi, è maggiormente interessato e che ha preso l’iniziativa in proposito. Non ho peraltro difficoltà, giacché il signor Presidente mi ha dato la parola, di rispondere io pure in anticipazione, assicurando l’interrogante che i tre Ministeri si sono messi d’accordo perché l’invocato cambiamento venga eseguito con la maggiore celerità possibile.

Non è il caso che io mi fermi a parlare dei dettagli che si riferiscono a ciascuna Arma, perché non vorrei essere meno preciso per le altre Armi. Posso affermare che ciascuno dei nostri dicasteri si è occupato e preoccupato della questione.

Se non si è potuto definire con la rapidità che era nel desiderio di tutti, ciò si deve a difficoltà tecniche e pratiche. Non sempre si possono trovare tutti i materiali necessari per le sostituzioni necessarie, che non si poterono fare in parte, ma tutte insieme in modo che il provvedimento dimostrasse l’unità non solo dell’intendimento, ma anche dell’applicazione.

L’onorevole interrogante può esser certo che da parte del Ministro della guerra, presso il quale si è adunata anche una Commissione a questo proposito, come da parte del Ministero della aeronautica e da parte del mio dicastero c’è il desiderio di provvedere il più rapidamente possibile, ma, naturalmente, tenendo conto dell’opportunità di evitare ogni spesa superflua e con tutti i riguardi che bisogna tener presenti in provvedimenti di questo genere. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Sottosegretario di Stato per la guerra ha facoltà di rispondere.

MARTINO. Sottosegretario di Stato per la guerra. A seguito del mutamento istituzionale è stato già disposto, che, ai sensi dell’articolo 10 del decreto legislativo 19 gennaio 1946, n. 1, nella denominazione degli enti militari sia abolita ogni qualificazione riferentesi alla forma monarchica dello Stato, sopprimendo le parole regio o reale. La sigla, degli automezzi «regio esercito», è stata mutata in «esercito italiano». Per la modifica dei simboli che hanno attinenza con l’emblema dello Stato, si è stabilito di rimanere in attesa che questo emblema venga adottato.

Anche per i fregi e distintivi che devono essere sostituiti a quelli in uso si è in attesa dell’emblema dello Stato, di cui bisogna tener conto nelle modifiche da apportare.

Frattanto il Ministero della guerra, per eliminare senza ulteriori indugi tutti i segni che si ispirano al passato regime istituzionale, ha disposto che con effetto immediato siano soppresse dai fregi e controspalline le corone e le cifre reali; i generali sostituiranno l’attuale fregio con quello dell’Arma di provenienza. È stato disposto altresì che in attesa dei nuovi tipi sia sospeso l’uso di tutti i distintivi che recano la corona o lo scudo sabaudo, scettri e simili sui nastrini delle decorazioni le corone saranno sostituite da stellette. I bottoni con cifre reali dei Carabinieri saranno sostituiti con bottoni di frutto.

PRESIDENTE. L’onorevole Barontini Anelito ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

BARONTINI ANELITO. Prendo nota dei provvedimenti che vengono annunziati dal Governo e mi dichiaro soddisfatto. Però devo sollecitare l’applicazione di queste norme. Vi è infatti un numero non indifferente di militari i quali, per andare incontro a quella che era una giusta aspirazione del popolo italiano, avevano cominciato a togliere le corone reali dalla propria divisa, e per questo fatto sono stati puniti. Mi rivolgo al Ministro della guerra perché intervenga ad annullare queste punizioni a carico di militari che giustamente manifestavano la propria volontà che corrispondeva ad una giusta aspirazione del popolo italiano.

PRESIDENTE. Le interrogazioni inscritte all’ordine del giorno sono cosi esaurite.

Comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.

L’onorevole Presidente del Consiglio dei Ministri ha facoltà di parlare.

DE GASPERI Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri. Onorevoli colleghi, la crisi che il Paese attraversa ha molti aspetti e cause complesse, ma è chiaro che al suo centro sta il problema della stabilizzazione della lira. Il Governo nel cercare rimedio alla crisi ha quindi puntato su questi obiettivi: realizzare un’azione coordinata nel campo fiscale, in quello della tesoreria, in quello della produzione e in quello del lavoro che difenda il potere di acquisto della moneta, contenga i prezzi e superi la disoccupazione. Era questo il nostro programma fin dal costituirsi del Ministero, ma le dimissioni del Ministro del Tesoro, che per il suo ingegno e per lo zelo della sua fatica ebbe tanta parte nella nostra politica finanziaria, le polemiche precedenti o sopravvenute al suo ritiro, la stessa disputabilità e mutabilità della materia, resero opportuno un esame aggiornato dei provvedimenti concreti che si devono prendere e della loro coordinazione. L’esame fu fatto da un comitato di Ministri assistito dal Direttore della Banca d’Italia, al quale invio un particolare ringraziamento, e successivamente dal Consiglio dei Ministri.

Accenno qui solo alle linee principali: nel campo fiscale perseguire e rendere più efficace l’applicazione delle leggi tributarie vigenti, riorganizzando l’amministrazione e il meccanismo di accertamento e di riscossione, in modo da ricondurre la pressione tributaria almeno al livello pre-bellico. In particolare poi si è deliberato di introdurre una nuova imposta, o diverse imposte fra loro collegate, le quali incidano sui maggiori redditi monetari ottenuti dai possessori di beni reali causa la svalutazione della lira. Si diminuirà così la distanza attuale tra questi redditi e quelli dei possessori di titoli di Stato, di depositi bancari, pensioni, ecc. Tale imposta colpirà le azioni industriali, le terre e i fabbricati, questi ultimi quando, secondo un progetto di ricostruzione edilizia in esame, sarà possibile un graduale sblocco degli affitti, conguagliandone gli oneri che deriveranno alle classi meno abbienti.

È certo che tale complesso di provvedimenti costituirà un elemento deciso per stabilizzare la moneta e facilitare il consolidamento dei valori correnti dei beni. Avviatici a questa stabilità, ecco il momento per applicare, col massimo risultato possibile, l’imposta personale sul patrimonio, nella sicurezza che nel frattempo si saranno superate le difficoltà tecniche e il valore della moneta sarà consolidato anche per accordi internazionali.

Noi riteniamo che questo programma concreto e preciso, consigliato dai migliori tecnici e concordato fra tutti i partiti della coalizione, darà al Paese la certezza che il Governo ha la volontà e i mezzi di difendere la moneta. Riuscirà quindi facile ristabilire un clima di fiducia e di calma, e di lanciare, come primo atto, il prestito già predisposto nella forma di consolidato. Vi si introdurrà tuttavia la clausola che esso sarà rimborsabile dopo nove anni ai possessori che ne facciano richiesta. Altri provvedimenti per mobilitare il credito a mezzo degli Istituti specializzati, Consorzio per Opere Pubbliche, I.R.I., I.M.I., sono previsti in favore del programma ricostruttivo: ferrovie, elettricità, bonifiche, irrigazioni ecc., e così via. Tutte queste operazioni finanziarie devono però andare di conserva con la ripresa della produzione. E qui richiamo la vostra attenzione sull’opera del Comitato della ricostruzione, in seno al quale si sta completando l’esame dei principali settori di produzione, per rimettere su basi sane le industrie e risolvere la questione della mano d’opera e per coordinare i piani dei lavori dei tre ministeri: lavori pubblici, trasporti, agricoltura. Per l’anno 1946-47 sono già stanziati finora nel bilancio statale: lavori pubblici: 89 miliardi 925 milioni; agricoltura (bonifiche, irrigazioni ricostruzioni): 29 miliardi 460 milioni; trasporti: 54 miliardi 150 milioni; poste: 11 miliardi 131 milioni; industria e commercio, (miniere di zolfo): 100 milioni; monopoli (riparazioni): 4 miliardi.

Il Comitato interministeriale di ricostruzione sta ultimando anche il piano di importazione per il 1947, giacché nonostante un miglioramento nella bilancia dei pagamenti, si prevede ancora un deficit di 900 milioni di dollari. Il Comitato interministeriale di ricostruzione dovrà agire con energia e in profondità per indurre l’iniziativa privata, cui spetta un grande campo d’azione, ad operare secondo le linee richieste dall’interesse collettivo, secondo un piano nazionale.

Ma soprattutto è necessario che anche il campo del lavoro riesca a normalizzare e stabilizzare i suoi rapporti. Il Governo ha preso l’iniziativa di trattative tra le organizzazioni dei datori di lavoro e quelle di prestatori d’opera. La normalizzazione nei rapporti del lavoro è assolutamente indispensabile, per dare al Paese la sensazione che si rompe il cerchio vizioso rappresentato dallo aumento dei prezzi e il conseguente aumento dei salari. Solo con una tregua, che agevoli il consolidamento dell’equilibrio tra prezzi e salari, potranno delinearsi condizioni favorevoli per una ripresa dell’economia, cui non può essere provveduto integralmente col solo piano di lavori pubblici in corso di elaborazione. Ministri di tutti i partiti sono in ciò d’accordo. Bisogna che essi trovino in questa Assemblea e nel Paese il massimo appoggio. Contiamo soprattutto sulla comprensione e cooperazione delle organizzazioni sindacali.

Lo sciopero deve essere l’ultimo riparo contro una ingiusta e irrimediabile pressione economica; un’arma cui si ricorre soltanto in caso di legittima difesa sociale. Invece, in quest’ultimo periodo, esso divenne quasi l’arma normale quotidiana. Noi attendiamo dalla Costituente un ordinamento del lavoro che, garantendo ai lavoratori la rapida e sicura rappresentanza dei loro interessi, renda superfluo il ricorso allo sciopero. Ma frattanto le libere organizzazioni sindacali sono chiamate a collaborare con lo Stato per regolarlo e limitarlo. Nella necessità assoluta della ripresa economica, il frequente abbandono del lavoro ci preoccupa non solo dal punto di vista della produzione; ma esso è dannoso anche da un punto di vista psicologico. Molti non pensano che tutto il mondo è paese, che anche le convulsioni sociali sono sintomi fatali del dopo-guerra e della ventennale compressione, che esigenze legittime, ma esasperate, spingono talvolta a gesti inconsulti. E se ne vuoi far colpa al Governo o al regime, e quello che è peggio se ne trae la conseguenza di rinchiudersi in un pavido e sterile egoismo economico, che è il peggior nemico della nostra ripresa. Atteggiamento altamente deplorevole, ma chi ama la democrazia ed il progresso delle classi lavoratrici deve avvertire i rimedi. In qualche città per la prima volta dopo parecchi decenni si ebbe lo sciopero degli statali, non escluse le categorie più rappresentative e perfino i magistrati; il Governo fu unanime nel dichiararlo inammissibile, ma è anche unanime nel ritenere che le condizioni degli impiegati sono gravi e che bisogna fare ogni sforzo, che il bilancio consenta, per venire loro incontro. Lo stesso si dica per il personale degli Enti locali.

Oltre le infondate preoccupazioni per la sorte della lira, altri elementi psicologici si fecero valere anche sull’andamento dei prezzi. Si esagerò nel preannunciare come imminenti le conseguenze delle riparazioni; è giusto che la Conferenza di Parigi tragga da questi allarmi la convinzione che non deve procedere su questa via; ma per noi è troppo presto per abbandonarci ad un pessimismo morboso.

Ho ancora negli occhi la meravigliosa mostra di ottimismo che è la Fiera di Milano. Ora la parola d’ordine è produrre e lavorare; poi, ci fasceremo la testa.

Gli aumenti dei prezzi, dal 5 agosto al 5 settembre, differiscono da città a città ed anche le cause sono varie e non sempre le stesse. L’aumento del prezzo della carne bovina dal 4 al 4,6 per cento a Napoli fino al 17 per cento a Torino è dovuto alla minore offerta perché, in seguito alla diminuzione dei prezzi dei foraggi, si riservarono all’allevamento un maggior numero di capi di bestiame. L’aumento dell’olio di ulivo (massimo 27,3 per cento a Firenze) deve attribuirsi, almeno in parte, alla speculazione determinatasi in seguito al decreto 27 maggio, decreto invocato del resto a gran voce, che autorizzava i produttori dell’Italia meridionale a cedere le eccedenze di olio trattenuto per fabbisogno familiare ad un prezzo superiore all’ammasso.

Si notano poi anche nel campo sociale ed economico delle curiose antinomie. In certi momenti, sono proprio le misure prese di colpo e senza adeguata preparazione che provocano un ulteriore rialzo. Trovandomi a Milano innanzi al fatto compiuto di un decreto, ho autorizzato i prefetti delle provincie finitime, che lo credessero opportuno, a seguire l’esempio di Milano per un obbligo di solidarietà verso un così vasto centro di consumo; ma i prefetti troveranno, nella opera dei Comitati provinciali dei prezzi, il quadro legale sufficiente per ovviare agli eccessi maggiori.

La politica del Governo centrale è stata la seguente. Tenuto conto del parere di una riunione di Ministri e di rappresentanti di categoria (conferenza economica presieduta dall’onorevole Nenni) in cui non si credette di generalizzare l’applicazione del calmiere, per fronteggiare i recenti aumenti si preferì ricorrere ad alcune provvidenze che si concretano nei seguenti punti:

1°) una più rigorosa disciplina dei consumi dei generi già sottoposti a tesseramento;

2°) distribuzione straordinaria di generi di prima necessità per i maggiori centri di lavoro. Queste assegnazioni si attuano d’accordo con gli Alleati;

3°) istituzione di enti comunali di consumo con garanzia di finanziamento da parte dello Stato sino al 60 per cento delle somme mutuate;

4°) istituzione di ristoranti popolari con un contributo statale alle spese di impianto del 50 per cento: la garanzia dello Stato, fino al limite del 50 per cento delle somme mutuate, viene concessa anche agli enti che istituiscono i ristoranti popolari.

Ecco che questi due ultimi decreti del Governo offrono larghissime possibilità ai fattori locali e alle associazioni di svolgere con spacci di paragone e ristoranti un’azione calmieratrice pratica ed efficace. Ma non si deve dimenticare che il contributo principale che ha dato e può dare il Governo consiste nell’aumento delle razioni tesserate. Dal 1° luglio il pane è a 250 grammi con successivo abburattamento dell’85 per cento; la pasta da 500 grammi è stata portata a 2.000 grammi. Dal 1° agosto la razione mensile dello zucchero viene portata da 100 a 300 grammi, e notevoli quantitativi di zucchero si assegnano alle industrie alimentari. In quanto all’olio, si è sospeso il decreto che permetteva il reperimento presso i produttori.

L’obiettivo poi dell’Alto Commissario è di poter importare dei semi per poter arrivare forse ad una razione di 4 decilitri mensili.

La controprova di questi provvedimenti è già riuscita. Infatti, dai dati dell’ufficio centrale di statistica, risulta documentata una diminuzione dell’indice di alimentazione nei mesi di luglio e agosto rispetto alla media del trimestre aprile-giugno dell’anno corrente, diminuzione che l’Ufficio stesso attribuisce alla aumentata distribuzione dei generi razionati e contingentati. Vi è stato cioè un minor ricorso al mercato nero, e quindi le spese, nonostante gli aumenti dei prezzi, sono diminuite.

Per quanto si riferisce al settore dell’abbigliamento, il Governo ha già predisposto, d’accordo con l’U.N.R.R.A. che fornisce la materia prima, un piano di produzione di manufatti di cotone per un quantitativo di circa 150 milioni di metri in articoli di largo consumo. I primi contingenti saranno messi in distribuzione entro la metà del mese di ottobre. Inoltre, circa 25 milioni di chilogrammi di lana australiana e 11 milioni di chilogrammi di stracci di lana, saranno tra breve affidati per la lavorazione all’industria laniera per la produzione di tessuti di pura lana, a prezzi tali da permettere il loro acquisto da parte delle classi meno abbienti. È pure in corso di attuazione un programma di produzione di calzature.

Il pubblico non deve però dimenticare che siamo ancor sempre in un periodo di carestia, che le disponibilità mondiali sono ridotte e che dovremo fare sforzi particolari per mantenere le razioni così aumentate.

Mi pare cosi di avere risposto alle interpellanze di carattere finanziario ed economico. Ritengo però doveroso toccare anche un altro argomento che contribuisce al clima agitato di questi giorni: quello della occupazione delle terre incolte.

Il 26 agosto di quest’anno abbiamo approvato d’urgenza un provvedimento di legge che migliorava grandemente il decreto 19 ottobre 1944, nel senso che allargava le possibilità della concessione anche a terreni coltivati, ma suscettibili di una più razionale rotazione, e aumentava grandemente il numero delle commissioni aggiudicatrici. Tutto era predisposto per un rapido disbrigo delle richieste, e il Ministro dell’agricoltura aveva mandato ispettori nelle varie zone ove urgeva sollecitare il lavoro delle commissioni. Il Ministero dell’interno, in attesa della pubblicazione del decreto, aveva anche autorizzato i prefetti a procedere con misura di urgenza in base all’articolo 19.

A parte la. questione di diritto, non c’era quindi nessuna necessità di ricorrere alle occupazioni arbitrarie con dimostrazioni di forza. Il Governo favorisce, nell’ambito delle leggi, le aspirazioni dei contadini, né vale la scusa che si faceva tardi per le semine, perché il termine utile arriva a tutto novembre.

Il Governo vuole favorire la costituzione di vere cooperative agricole, intende mettere dei tecnici a loro disposizione, stabilire in loro favore centri dotati di macchine, controllati dallo Stato, distribuire concimi e sementi, ma questa opera deve essere fatta legalmente e con tutte le garanzie di una migliore produzione. L’occupazione tumultuaria, cui partecipano spesso accanto ai contadini bisognosi agricoltori agiati e non contadini, può portare a conflitti pericolosi. L’altro giorno, in un paese del Lazio, i carabinieri, avendo perquisito gli occupanti, ne trovarono 14 armati di bombe a mano.

Nelle Commissioni, del resto, si procede con criteri di larghezza. Da un rapporto del 17 settembre risulta che le tre Commissioni di conciliazione di Roma hanno esaminato 127 controversi risolvendone subito 43 e rinviando le altre a nuovo esame. In via di conciliazione vennero assegnati 2825 ettari su un totale di 7130.

La violazione del diritto privato non trova, quindi, nella urgente necessità la giustificazione sociale che, in altre condizioni, potrebbe avere.

Noi, col vostro concorso, intendiamo preparare la grande riforma agraria, con altre leggi preliminari che sta affrontando il Ministro dell’agricoltura di concerto con quello dei lavori pubblici.

Esse riguardano:

la costituzione dell’ente per la trasformazione fondiaria e di irrigazione in Puglia e in Lucania;

la costituzione dell’ente di colonizzazione della Sila;

l’agevolazione alla costituzione della piccola proprietà coltivatrice e alle cooperative agricole;

i provvedimenti per la montagna;

il programma generale di irrigazione e trasformazione fondiaria obbligatoria;

il provvedimento per le affittanze agrarie;

la riforma dei consorzi agrari.

Soltanto così, procedendo con metodo e sistema, creeremo qualche cosa di solido e duraturo.

Devo rispondere anche alle interpellanze sull’ordine pubblico.

Il fatto più grave, più sintomatico, più pericoloso è stato il gesto di un ufficiale della polizia ausiliaria di Asti. La stampa ne ha esagerato le conseguenze, sì che a Parigi i giornali parlavano di «rivolta nel Piemonte».

Il Governo si è preoccupato subito di separare questo episodio di insubordinazione dalla «questione partigiana» generale; di carattere politico ed economico; e questa fu anche la linea seguita dagli uomini più fattivi ed autorevoli della resistenza. Il gesto inconsulto rimase isolato.

Il Governo è certo che la decretata equiparazione dei partigiani combattenti con i militari volontari, la concessione del diritto di pensione di guerra, il riconoscimento dei gradi militari, l’immissione dei reduci della guerra nazionale, già in servizio ausiliario della polizia, nei ruoli della stessa, la messa a piede libero dei partigiani imputati di delitti politici soggetti ad amnistia, costituiscono provvedimenti che soddisfano le giuste esigenze di questi valorosi combattenti.

È anche vero, tuttavia, che questo tentativo – per quanto episodico – di ricorrere alla forza, questa possibilità di armi, anche ridotta a piccole proporzioni, ha destato inquietudine e preoccupazioni in molti strati della popolazione e serve, ad altri, di pretesto per coonestare propositi, se non organizzati, di movimenti di carattere sovversivo contro la Repubblica.

Noi saremo oltremodo vigili per soffocare qualsiasi tentativo che venisse da questa parte. Ma chiediamo ai partigiani, in nome della democrazia che essi stessi hanno contribuito a costituire, di aiutarci a fare che la legge sia una sola e che uno solo sia l’organo destinato a difenderla. (Applausi).

Da parte delle forze d’ordine statali proseguono le operazioni per il disarmo della popolazione civile. Data la quantità enorme di armi abbandonate dalla guerra, le operazioni non sono né agevoli, né brevi.

Il totale delle armi rastrellate dal 1° giugno 1945 risulta dal seguente prospetto: 2804 armi pesanti;

110220 armi lunghe da fuoco;

3909 armi corte da fuoco;

1363 armi bianche;

44377 bombe.

È noto che il Corpo dei carabinieri è stato aumentato e che quello di polizia si viene riorganizzando. Il potenziamento delle forze d’ordine ha già avuto effetti decisivi nella lotta contro la delinquenza in Sicilia. Particolari provvedimenti si stanno ora prendendo in altre zone, tra le quali l’Emilia, ricordata nell’interpellanza Perrone-Capano.

Devo rispondere ad alcuni particolari appunti che ci si fanno, alcuni dei quali compaiono anche nella lettera del Partito Repubblicano.

All’atto della proclamazione della Repubblica, col decreto legislativo Presidenziale 19 giugno, si dettarono le norme più urgenti per aggiornare formule di giuramento, di promulgazione, di intestazione giudiziarie e degli atti: si tolse lo stemma sabaudo dalla bandiera nazionale, si eliminarono in tutte le denominazioni le qualifiche monarchiche. Si credette invece che la creazione del nuovo emblema dello Stato non potesse essere sottratta all’Assemblea Costituente, e ci si limitò a nominare una commissione di studio che presenterà proposte all’Assemblea. Fu frattanto indispensabile consentire l’uso dei sigilli esistenti e per evidenti ragioni economiche anche l’uso, fino ad esaurimento, della scorta delle carte-valori, degli stampati e dei moduli.

È già pronto, e verrà sottoposto prossimamente al Consiglio dei Ministri, un progetto che stabilisce nuove formule di giuramento della Repubblica in sostituzione di quelle provvisorie vigenti.

Il Commissario del Ministero della Real Casa non ha altro incarico che di provvedere all’amministrazione dei beni dello Stato che costituivano la dotazione della Corona. È chiaro che egli ha proceduto e procede alla liquidazione di quei servizi che sono superflui, data la Costituzione della casa del Capo della Repubblica, e che in genere si dovrà provvedere ad una sistemazione meno transitoria.

In quanto al Senato, ricordo che il decreto 24 giugno dispone la cessazione della sua funzione dal giorno dell’insediamento di questa Assemblea, ma riserva a voi stessi, signori Deputati, di deliberare sulla situazione giuridica personale dei senatori. Il Governo, di sua competenza, non potrebbe andare più oltre, perché lo stesso decreto del giugno, pur così limitato, venne considerato dalla Corte dei conti materia costituzionale riservata alla Assemblea.

Anche la legge sulla stampa è materia costituzionale. Il Governo ha nominato una apposita commissione che elaborerà un progetto che vi verrà sottoposto. Intanto, avvalendosi della legge contro il neo-fascismo, ha deferito alla commissione del confino tre direttori di periodici e denunziato alla autorità giudiziaria alcuni dei casi più gravi. Non ho bisogno di dire che sono perfettamente d’accordo con gli altri postulati del documento repubblicano: ad esempio, che i posti direttivi dell’amministrazione civile e militare devono essere affidati a uomini di perfetta lealtà verso il regime repubblicano. Questa è anche la direttiva dell’attuale Governo, il quale però commetterebbe grave errore se volesse iniziare una nuova epurazione con riguardo ai sentimenti monarchici del passato. (Approvazioni – Commenti a destra).

PATRISSI. Sarebbe un’infamia. Sono migliaia di ottimi cittadini. (Commenti – Rumori).

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri. Nel referendum, egregi colleghi, era libero chicchessia di pronunciarsi per la Repubblica o per la monarchia. Dopo il referendum, chi serve lo Stato, deve servire lealmente e senza riserve la Repubblica. (Applausi a sinistra e al centro).

Un’altra richiesta del documento repubblicano riguarda le scuole. La richiesta della apertura delle scuole rurali e professionali è accolta con fervore dal Ministro dell’istruzione pubblica, che ne riferirà prossimamente. Aggiungo, in risposta ad un accenno dello stesso documento, che ogni progresso della autonomia dei comuni, specie sul terreno fiscale, verrà promosso e favorito dal Governo. In proposito, si stanno preparando dei provvedimenti per agevolare i bilanci comunali.

In quanto all’Amministrazione della guerra, nessuna garanzia può esservi per i repubblicani, maggiore che quella di vederla affidata ad un Ministro del partito repubblicano, che è anche un valoroso combattente. Egli ha un compito assai grave e delicato, perché in ottobre si inizia lo sfollamento degli ufficiali in base ai nuovi organici.

Abbandoneranno l’esercito 170 generali su 276; 970 colonnelli su 1421; 2500 tenenti colonnelli e maggiori su 5751. Analoghi provvedimenti si impongono per i sottufficiali e gli impiegati e salariati civili della stessa Amministrazione. Bisogna eseguire questa dolorosa ed inevitabile operazione con serenità, con tatto e con fermezza. Certo anche l’amico Facchinetti «ha perduto un poco di tempo» a Parigi, come sogliono dire taluni che inclinano a svalutare l’opera della Delegazione italiana alla Conferenza della pace. Permettetemi di non essere di questo parere, quale buon testimonio del lavoro fatto e dei risultati ottenuti, parzialmente, naturalmente, perché nessuno poteva supporre che la guerra disastrosa fascista si tramutasse, per abilità di uomini, in una vittoria diplomatica repubblicana. Sento l’obbligo di ringraziare tutti i miei collaboratori, specie il primo delegato Bonomi, il nostro illustre Presidente ed i colleghi ministri Corbino e Facchinetti, che impegnarono anche la loro opera personale nella difesa dei nostri interessi economici e militari.

L’affermare che il distaccare tali forze per alcuni giorni dalle responsabilità immediate dall’Amministrazione interna sia stato dispersione inutile o dannosa, equivale ad ignorare che a Parigi si ottenne non solo qualche miglioramento discreto nella stesura del trattato, ma si pararono minacce più gravi e che alla Conferenza, nei contatti personali, nei negoziati collaterali, si saggiano, si misurano e si preparano le possibilità della ripresa italiana nella vita politica ed economica internazionale. Nessun Presidente di Governo, anche se non fosse stato Ministro degli esteri, avrebbe potuto rimanere totalmente estraneo a tale opera, senza mancare al suo dovere, per quanto duro e ingrato esso sia. È noto, del resto, che questo mio discorso è una risposta ai rimproveri che da parecchie parti mi sono stati fatti: per quali ragioni, non egoistiche, io abbia affrontato queste responsabilità. Che la mia opera colà non fosse vana lo sanno forse più i delegati italiani che il pubblico italiano, giacché nelle due volte che lasciai il territorio nazionale, la prima per dieci giorni e la seconda per sei, volle la mala ventura che scoppiassero all’interno incidenti gravi e agitazioni che assorbirono l’attenzione e l’interesse del pubblico ed oltre preoccupare il Vice presidente Nenni che dovette provvedere, resero a me più tormentosa l’assenza.

Ma non ero io chiamato, prima di ogni altro, ad assumere la responsabilità del negoziato sull’Alto Adige?

Fatalità della guerra, che inchiodano gli uomini a responsabilità, che non danno tregua e forse non possono nemmeno pretendere comprensione!

Tuttavia, se nella stampa e nelle agitazioni di partiti al Governo si rivelasse una maggiore solidarietà, che è pur doverosa, almeno fin tanto che tale solidarietà non venga formalmente denunziata, (Applausi al centro), il Paese non attraverserebbe questi periodi di disorientamento e di scoraggiamento ed all’Estero saremmo più ascoltati e più forti.

Qui, in verità, non è questione di questo o quel Governo; potete cambiare le persone, ma se i partiti corresponsabili non sentono e non attuano la corresponsabilità, è il sistema democratico che rimane colpito ed è messo in pericolo (Applausi al centro e a destra).

Questa Assemblea ha lo storico compito di creare una Costituzione repubblicana; ma, se la Repubblica deve veramente vivere nell’anima del popolo e mettere profonde e sicure radici nel suolo italiano, bisogna che essa rieduchi alle virtù repubblicane per eccellenza, solidarietà e fraternità nel rispetto della libertà. (Applausi).

Bisogna che essa esprima dalle forze popolari governi forti, non perché prepotenti, ma perché uniti, e partiti consapevoli della disciplina nazionale.

Il costume vale più che lo Statuto. E noi ci appelliamo al concorso ed all’esempio dell’Assemblea, perché questo spirito animatore e ricostruttivo infonda nel popolo italiano la fede nel suo secondo Risorgimento (Vivissimi, prolungati e ripetuti applausi).

(La seduta, sospesa alle 17.40, è ripresa alle 18.15).

PRESIDENTE. Apro la discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio. Ha chiesto di parlare l’onorevole Lombardi Riccardo. Ne ha facoltà.

LOMBARDI RICCARDO. Dopo le dichiarazioni del Presidente del Consiglio, io pensavo che la discussione su di esse avesse inizio domani e speravo, pur essendomi iscritto a parlare, di poter rinunziare alla parola. Cioè, speravo che le dichiarazioni del Presidente del Consiglio avessero persuaso. Invece non hanno persuaso, perché il Presidente ci ha esposto un programma molto simile e, per molti aspetti, meno vasto di quello col quale egli si presentò lo scorso luglio alla nostra Assemblea.

Il Presidente del Consiglio ha annunciato una serie dì provvedimenti, ma ha ignorato quello che il Paese si è domandato durante questi 15 giorni di crisi: giorni di crisi nei quali il Paese ha dimostrato di essere un grande Paese, di essere un Paese che ha fiducia, perché con una crisi vasta che implicava il nucleo essenziale della politica del Governo, con un mercato che aveva dato segni di malessere e sussulti, abbiamo assistito tuttavia ad una stabilizzazione imprevedibile sia nei prezzi delle merci sia nelle borse.

Che cosa significa questo? Che il Paese scontava già in precedenza una politica energica e continuativa da parte del Governo. Il Paese, fiducioso nel Governo, ha atteso che questo gli presentasse una serie di provvedimenti capaci di tranquillizzarlo e ne ha anticipato gli effetti.

Ma quello che il Paese attendeva soprattutto era di essere persuaso che il Governo è un Governo. Perché quello che è mancato in questi mesi non è già il programma più o meno buono (ed è molto meglio un programma mediocre applicato con continuità ed energia che un programma ottimo applicato con fiacchezza): il Paese ha aspettato che il Governo desse la sensazione che non c’erano soltanto forze centrifughe che sollecitavano da una parte e dall’altra per ottenere determinati provvedimenti, ma che ci fosse una continuità di azione capace di guidare le forze economiche. In altri termini, il Paese ha aspettato che il Governo si decidesse a governare.

Ieri l’illustre collega onorevole Nitti mi diceva argutamente che il problema della finanza e dell’economia non esiste, ma esiste esclusivamente un problema di Ministero dell’interno: è soltanto con un buon Ministero dell’interno che si fa una buona economia e una buona finanza.

Penso che sia esattamente il contrario. Io penso che si faccia una buona politica interna soltanto se si fa una buona politica economica e finanziaria.

Se domandassimo al nostro collega onorevole Corsi quale percentuale nelle preoccupazioni del suo ufficio, nelle questioni che egli deve risolvere è data dal malessere economico, dalle condizioni della gente che lavora o non lavora…

CORSI, Sottosegretario di Stato per l’interno. La totalità.

LOMBARDI RICCARDO…. vedremmo che egli, se riuscisse ad impostare la sua azione su provvedimenti di politica economica capaci di dare garanzia di continuità, si troverebbe sprovvisto di lavoro e probabilmente potrebbe dedicarsi con maggiore energia alla repressione delle mene del fascismo, che è qualche cosa che ci interessa molto più da vicino.

Noi abbiamo assistito ad una crisi abbastanza seria. Il Paese ha capito che c’era un dissenso fondamentale nella politica del Governo. Questo dissenso ad un certo punto ha assunto perfino forme mitiche, si è puntualizzato in alcuni nomi. Questo fa parte dell’apparato propagandistico, e, se vogliamo, non è l’essenza della cosa. Ma è certo che dal gennaio al giugno e dal giugno in poi noi abbiamo assistito a determinate azioni tipiche, e spesso contradittorie, in materia economica e finanziaria da parte del Governo, azioni che meritavano di essere discusse ed esigevano una soluzione.

Quando nel gennaio dell’anno scorso si abbandonò una determinata politica, quella che era stata seguita dal Governo Parri, fondata su determinati provvedimenti – e tutti ricordiamo il cambio della moneta – si adottò una nuova e diversa politica, che era quella del nostro collega onorevole Corbino.

Ora, era facile prevedere che questa politica, la quale aveva i suoi lati cattivi, ma aveva anche i suoi lati buoni, sottostava ad una sola condizione per poter dare i frutti positivi che qualsiasi politica buona, cattiva o mediocre dà sempre, e questa condizione era che fosse seguita con continuità, che non la si abbandonasse e che si dessero i mezzi per poterla proseguire fino in fondo.

Noi avevamo previsto molto facilmente che la politica dell’onorevole Corbino, la quale si fondava sul debito fluttuante, una politica di cassa, avrebbe incontrato un punto morto il giorno in cui vi fosse stata una ripresa o almeno un accenno di ripresa nella vita economica della Nazione. Questo infatti avvenne. Il giorno in cui, nel mese scorso, si verificò il rialzo in borsa, ciò significava che il Paese era persuaso che una ripresa economica, sia pure lenta, sia pure embrionale, ricominciava, dal momento che i capitali ricominciavano ad essere rimessi nel ciclo produttivo. Evidentemente in queste condizioni la politica fondata sul debito fluttuante si doveva trovare in crisi; perché, come era facile prevedere, è avvenuto che i buoni ordinari del Tesoro hanno cominciato ad essere ritirati per essere investiti in attività produttive.

Si verificava la concorrenza fra tesoro e industria per l’uso del risparmio. In quel momento abbiamo assistito alla fine della politica di Corbino. Da questo dato obiettivo, e non dalle richieste sindacali successive o antecedenti all’aumento dei prezzi, è nata la crisi nel Governo.

Ora guardiamo bene in faccia quello che è avvenuto. Noi siamo in sede politica, non siamo un’assemblea di filosofi, non siamo chiamati a giudicare di responsabilità storiche, ma di responsabilità politiche. Se dovessimo giudicare le responsabilità storiche, sapremmo molto facilmente a chi esse appartengono ed a chi appartiene anche la responsabilità di questa crisi perseverante. Appartiene a coloro che si sono rifiutati a lungo di investire i loro capitali nelle industrie, che si sono rifiutati di investire i loro risparmi, bene o male guadagnati, nel ciclo produttivo. Quando si parla di responsabilità delle classi lavoratrici, dimentichiamo una cosa molto semplice, che le classi lavoratrici, per agire, hanno bisogno di muoversi e quindi suscitano delle reazioni, ma le altre, le classi possidenti, per agire basta che stiano ferme. (Applausi a sinistra).

Possono paralizzare tutto l’apparato della vita economica, stando ferme, rifiutandosi di collaborare: una forma di non cooperazione estremamente pericolosa, mortale.

Ora, quando si cerca di attribuire la responsabilità di quello che è avvenuto, di quel relativamente modesto aumento di prezzi del giugno, alle richieste di aumento dei salari (e certamente anche queste hanno influito perché tutto influisce sulla produzione e sull’economia) quando si parla dell’influenza che possono avere avuto le domande – che sono state soltanto domande, del resto, fino ad oggi – di aumento di salari, non è giusto dimenticare la parte ben più importante che ha avuto la speculazione: non la speculazione sul burro, sul formaggio o sulla carne, ma la speculazione sui cambi, l’esportazione ingente di capitali che dal luglio ad oggi si è accentuata e continua e che il Governo non ha ancora affrontato con l’energia implacabile con la quale un tale fatto va affrontato. (Applausi a sinistra). Attraverso molte vie, la gente, che pensava e pensa di essere minacciata nel suo sudicio danaro, ha pensato di sottrarlo, di sottrarre questo sangue al Paese nel momento in cui il Paese è anemico e miserabile, nel momento in cui esso ha bisogno di tutte le sue risorse per potere, non dico risorgere (perché la risurrezione sarà opera di cinquanta anni), ma per poter cominciare a vivere, ad avere una vita degna di uomini civili.

In quel momento – e qui siamo in sede di responsabilità storiche e politiche insieme – abbiamo assistito ad un rifiuto di solidarietà; allo stesso modo che abbiamo visto un rifiuto di solidarietà quando si è trattato di fare la Repubblica, in cui si è lasciato – e ne traiamo le conseguenze – che la Repubblica fosse soltanto la repubblica di lavoratori (Approvazioni a sinistra), così si è voluto incautamente che anche la ricostruzione fosse soltanto quello fatta dalla povera gente. (Applausi a sinistra).

Il Presidente del Consiglio ci ha enunciati alcuni provvedimenti seri e certamente capaci di contribuire al risanamento della nostra macchina economica compromessa; però ci ha detto che l’inizio di questi provvedimenti – cioè l’imposta sul patrimonio – si avrà soltanto dopo la stabilizzazione della moneta. Ha perfino accennato che sarà iniziata dopo che la stabilizzazione della moneta sarà fatta anche rispetto all’estero. Sul che io mi permetto di esortare a molta prudenza, perché per il momento noi possiamo ben perseguire – questo deve essere giustamente detto e deve essere un impegno, un impegno comune di tutte le forze sociali e politiche del Paese – una stabilizzazione del potere di acquisto della lira; ma non credo che possiamo pensare, per il momento, alla stabilizzazione definitiva per ciò che riguarda i nostri cambi con l’estero, dato che ignoriamo completamente finora, non essendo ancora concluso il trattato di pace, quali saranno i nostri rapporti economici e le stesse possibilità di scambi con l’estero. Comunque, i provvedimenti enunciati dal Governo sono subordinati all’ottenimento di questa stabilizzazione.

Ma con quali mezzi potremo ottenerla? Noi oggi ci troviamo di fronte alla stessa situazione nella quale ci trovavamo il giorno in cui il nostro collega Corbino diede le dimissioni. Egli aveva dichiarato già nel suo intervento alla Camera che niente sarebbe stato stampato di nuova moneta; ed ha mantenuto l’impegno: lo ha mantenuto con una riserva mentale, che naturalmente era onesta e lecita e di cui gli dobbiamo dare atto, circa una parte di stampa che egli non poteva evitare, cioè quella fatta per il pagamento delle spese di occupazione.

CORBINO. Neanche per quelle; neanche una lira. (Applausi a destra).

LOMBARDI RICCARDO. Ne prendo atto con lieta sorpresa.

Tuttavia noi sappiamo che, malgrado questo sforzo eroico di non stampare e di resistere alle richieste (in parte legittime ed in parte illegittime, che vengono da ogni parte) c’è una crisi del Tesoro; perché se noi dobbiamo affrontare – e non possiamo non affrontarle – alcune necessità di adeguamenti salariali, specialmente per gli impiegati dello Stato, noi dobbiamo fare una politica di lavori pubblici come quella enunciata nelle cifre – molto rilevanti – presentateci dal Presidente del Consiglio (89 miliardi per i lavori pubblici, 29 miliardi per l’agricoltura, 54 per i trasporti, 11 per le poste, ecc.), evidentemente abbiamo bisogno di danaro e questo danaro non possiamo averlo sempre attraverso i buoni del tesoro, se non vogliamo stampare, soltanto a condizione che non ci sia una parallela e concomitante richiesta da parte dell’industria privata. Il giorno in cui l’industria privata ed il tesoro dello Stato entreranno in concorrenza per l’accaparramento del risparmio disponibile è chiaro che la crisi di tesoreria diventerà inevitabile. Ed allora, come si può ottenere la stabilizzazione, se tutti i provvedimenti fiscali di imposta patrimoniale, di adeguamento e di rivalutazione dei beni reali dobbiamo necessariamente rimandarli, o rimandarne gli effetti soltanto ad avvenuta stabilizzazione del potere di acquisto, e come potremo far fronte in questo periodo alle necessità di tesoreria?

Qui si pone il problema sul quale il Presidente del Consiglio avrebbe dovuto darci una traccia che persuadesse il Paese e lo tranquillizzasse. Ora, io ho sentito parlare dei soli provvedimenti sopra accennati e allora mi domando – sono estremamente cauto, perché capisco bene che si tratta di un argomento in cui è necessaria una estrema prudenza – se non sia il caso anche di riprendere in esame la questione del cambio della moneta, ma di riprenderla sotto un punto di vista nuovo, diverso da quello sotto il quale è stato guardato fino ad oggi. Noi abbiamo pensato nei mesi scorsi al cambio della moneta come a una misura la quale, oltre al fiscale, dovesse avere anche un carattere statistico, come base di partenza per l’imposta patrimoniale personale preparata dall’onorevole Ministro Scoccimarro. Se noi rivedessimo la questione sotto un altro punto di vista, se rinunciassimo cioè al lato statistico e di anagrafe tributaria ed operassimo il cambio della moneta al solo scopo fiscale, con una decurtazione la cui misura sarà da stabilirsi, abbinandolo ad un grande prestito a ridottissimo tasso d’interesse, in modo da offrire ai detentori di carta moneta l’opzione fra il prestito allo Stato a queste condizioni e la decurtazione, l’operazione economicamente sarebbe ineccepibile e tecnicamente eviterebbe la maggior parte delle difficoltà che il cambio della moneta a scopo statistico offre.

Io penso che una operazione di questo genere potrebbe avere anche un altro vantaggio: non sarebbe cioè necessario farla intervenire come la spada dell’arcangelo nella notte, cioè con un decreto catenaccio, né con un annuncio improvviso e con un termine di esecuzione limitato a pochi giorni. È una di quelle operazioni che, se annunciata contemporaneamente al prestito ed alla decurtazione, si presta anche ad essere scontata dal mercato, perché il mercato può scontare il prezzo del nuovo titolo secondo il tasso corrente sul mercato, e noi avremo allora indubbiamente assicurato al tesoro mezzi di tesoreria vastissimi, in quanto gli avremo dato un flusso di danaro infinitamente maggiore di quanto non potrà dare mai il prestito, sia pure nella forma unita di redimibile e consolidato, esposta dal Presidente. Noi potremmo cioè contare su di un ammontare molto maggiore, che avrebbe il vantaggio di costare allo Stato molto meno. Non bisogna aver paura delle parole. Potrebbe dirsi certamente che questa sarebbe una forma di prestito forzoso; ma di prestito forzoso per modo di dire, direi di un prestito consigliato con cauta e dolce violenza. Esso offrirebbe delle possibilità, perché noi possiamo affrontare tutto il programma dei lavori pubblici soltanto con i mezzi liquidi forniti da un prestito, e solo in questo modo possiamo cominciare a sottrarre dai consumi superflui una ingente quantità di moneta. E anche se l’operazione non fosse fatta subito, basterebbe annunciarla per sottrarre una ingente quantità di moneta alle spese voluttuarie ed aumentare la disponibilità dei generi di consumo per le classi popolari.

Nella carenza di qualsiasi possibilità immediata di far fronte alle necessità del tesoro, mancando le possibilità interne attraverso il fisco o attraverso il prestito, operazioni per la prima delle quali almeno si dovrà, come il Presidente ci ha detto, aspettare, da che cosa speriamo di trarre i mezzi necessari per eseguire la politica di intervento pubblico enunciata dal Governo e per far fronte alle urgenti spese pubbliche che il Governo giustamente deve affrontare quest’anno? A meno che non si conti su di un prestito estero.

Cioè ritorniamo a quella che probabilmente è stata in fondo la speranza del collega Corbino, alla possibilità che il prestito estero intervenga nel momento giusto per poter superare le nostre difficoltà. Ma in questo momento, finché durano le condizioni internazionali delle quali tutti subiamo l’angoscia, non è possibile ottenere dall’estero prestiti nella misura necessaria per poter fronteggiare le esigenze della ricostruzione e anche della stessa politica ordinaria.

Perciò io penso che l’operazione alla quale ho accennato sia da affrontare, anche se vi sono difficoltà di carattere poliziesco e romanzesco da superare. Tutte le difficoltà si fronteggiano e si superano, quando si ha la volontà di fronteggiarle e di superarle. Non si tratta di difficoltà tali da rendere impossibile l’operazione, ma se mai da poterla ritardare; ma credo di avere dimostrato che l’operazione si presta a non essere compromessa da un ritardo nell’inizio effettivo del cambio materiale della moneta. Una seria politica del Governo in questa direzione potrebbe realmente cominciare ad operare immediatamente sul mercato nel senso che il Governo si propone, nel senso cioè della diminuzione dei prezzi dei generi di consumo popolare; potrebbe iniziare l’opera di riordinamento interno, delle cose di casa nostra, che è poi la condizione necessaria perché anche le forze economiche si muovano nel senso giusto, concordemente con le necessità della ricostruzione.

Se non facciamo questo, su che cosa potremo contrare per colmare le nostre esigenze di tesoro? Sulle imposte straordinarie e su quelle indirette? È inutile che io faccia la critica delle imposte indirette. L’impoverimento della grande maggioranza della popolazione, che contribuisce per la più parte, per una parte sproporzionata ai suoi redditi, alle imposte indirette, non può farci fare assegnamento su di esse. Non possiamo, secondo la vecchia immagine inglese, sfamare un cane tagliandogli la coda e dicendogli: ecco, mangia questa. Cioè, non possiamo far pagare i servizi sociali destinati alla povera gente col danaro della povera gente. Non possiamo fare così. Bisogna ricorrere ad una forma che in qualche modo disboschi il denaro imboscato, lo faccia riaffluire nel ciclo produttivo e, nella misura in cui non riaffluisce nel ciclo produttivo, lo faccia affluire nelle casse dello Stato, affinché lo Stato si sostituisca all’iniziativa privata. Non ho paura dell’iniziativa dello Stato, anche largamente espressa sul mercato, a patto che non sia caotica e disordinata, ma organica. E per questo è necessario ed indispensabile che le spese pubbliche siano finalmente pianificate.

Il Presidente ci ha accennato all’opera che compie per la riorganizzazione del C.I.R. Ma qui è necessario fare un comitato ristretto di Ministri responsabili, i quali pianifichino le spese pubbliche. Noi oggi abbiamo erogato molto, moltissimo, anche nei mesi scorsi, per le più diverse iniziative. Il Ministro Corbino è stato accusato di avere il pugno troppo serrato di fronte alle esigenze popolari.

Io deve riconoscere, per quel tanto di esperienza personale che ho di un Dicastero, che di fronte a richieste ragionevoli non ho trovato mai da parte di Corbino questa eccessiva riluttanza a spendere. Ma, effettivamente, siamo ben certi che le spese che noi affrontiamo, le fatte che il tesoro concede al Governo siano spese in modo utile? E certo che quei 30 miliardi cui accennava l’onorevole Corbino, di sovvenzioni alle industrie, siano stati distribuiti secondo una scala di necessità capace di essere controllata pubblicamente e non soltanto con un controllo operato da una cerchia ristretta di funzionari? Non basta questo per stabilire una scala di necessità nazionali; bisogna organizzare il controllo pubblico sulle spese, e perciò il Governo deve cominciare con l’organizzare un sistema di pianificazione delle spese. Non si tratta di pianificare tutta l’economia nazionale; ma, almeno, dato che lo Stato ha organi la cui inefficienza è da tutti conosciuta, possiamo bene pianificare le spese, possiamo dare ad esse una scala di priorità capace di corrispondere alle esigenze obiettive della ricostruzione nazionale e delle classi sociali che più contribuiscono al benessere ed all’avvenire del Paese.

È stato accennato alla necessità di fronteggiare la speculazione sui cambi. Il Ministro Corbino – mi pare di aver letto sui giornali un provvedimento preannunciato, ma non ho visto alcun provvedimento ufficiale – era stato richiamato, a questo proposito, anche a fare attenzione sull’imboscamento del 50 per cento di valuta estera concessa agli esportatori. Questo 50 per cento di valuta, dato per stimolare l’esportazione, è rimasto in gran parte, all’estero, sotto vari pretesti, e noi, che abbiamo bisogno elementare di mezzi per vivere, per assicurare la vita alla nostra gente, abbiamo visto somme rilevantissime che non affluiscono in patria tradotte in beni di consumo o in beni strumentali.

Penso che il Governo si preoccuperà di questo stato di cose ed emanerà quei provvedimenti necessari, o sotto forma di limitazione del tempo concesso per l’utilizzazione della valuta, o sotto qualsiasi altra forma, onde impedire tale sconcio. In questo caso, si ha il mezzo di individuare anche i concessionari di valuta, di punire efficacemente coloro che si sono servici di una concessione dello Stato a danno dello Stato.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri. Già fatto.

LOMBARDI RICCARDO. Nell’ultimo suo intervento alla Camera il Ministro Corbino aveva accennato – e io credo che il Governo sia ancora oggi della stessa opinione – al grave problema del finanziamento delle scorte di magazzino, indiscutibilmente noi, già dall’anno scorso all’epoca della liberazione, assistiamo a questo tentativo cocciuto, tanto cocciuto da continuare anche quando si traduce in un certo danno personale, di conservare in magazzino scorte di merci per non immetterle sul mercato a prezzi o nelle qualità tali da consentire un più largo consumo popolare. Neanche lo sciopero dei consumatori è valso a far cambiare rotta. Indiscutibilmente l’unico mezzo, il mezzo efficace per potere agire su questo stato di cose, non è il mezzo di polizia. Tutti sappiamo che il nostro Stato ha degli organi inefficienti ed in corso di ricostituzione. Sperare che questa avvenga in modo più rapido di quanto non sia stato fatto fino ad oggi è vano. Allo stato delle cose non possiamo agire più efficacemente se non coi mezzi economici; ed il Ministro Corbino aveva accennato alla pressione che egli aveva esercitato allora perché il credito per creare o mantenere fondi di magazzino fosse tassativamente eliminato dalle consuetudini bancarie. Ora, certamente l’intenzione è stata ottima, ma il fenomeno è continuato; e continua, perché le banche, specialmente le piccole e le medie, continuano a finanziare su larga scala le scorte di magazzino. E un’operazione prettamente speculativa, la quale si presta però, attraverso a giuochi molto semplici, ad essere truccata da operazione prettamente economica.

Ora, il Governo ha un organo efficace per poter intervenire: l’ispettorato dei credito agli ordini della Banca d’Italia. Io domando al Governo: questo ispettorato esiste ancora, e se esiste perché non funziona?

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri. Non c’è più, bisogna ricostituirlo.

LOMBARDI RICCARDO. Le banche non sono centinaia di migliaia, sono in numero ristretto. L’Ispettorato deve essere rapidamente riorganizzato. Io penso che sia opinione unanime di questa Assemblea che quest’organo essenziale venga ricostituito, affinché il Governo eserciti il controllo sulle banche private. Noi possiamo utilizzare dei funzionari eccellenti; possiamo mettere accanto ai vostri impiegati, dei privati, degli esperti di banca, degli esperti dell’industria che possono rendere grandi servizi in questo campo, onde poter iniziare rapidamente quel controllo sulle banche che oggi viene esercitato in tutti i paesi anche a regime liberistico.

Cosa possiamo fare noi? Esercitiamo sul serio il controllo sulle banche per questo scopo essenziale di poter limitare almeno, se non completamente sradicare, il credito di magazzino e quindi l’aumento dei prezzi e la diminuzione della disponibilità dei mezzi di consumo popolare sul mercato. Noi questo possiamo ottenerlo, e potendolo ottenere, è compito del Governo agire, e agire immediatamente.

Il Governo non ha dato nessuna risposta su di una grave questione che pure fu dibattuta durante la crisi. Forse la cosa è prematura, oppure è ormai tardiva. Il provvedimento, cioè, di carattere tecnico e funzionale che disgraziatamente assunse all’improvviso un odioso significato politico: l’unificazione del Ministero del tesoro con quello delle finanze. Dico un odioso significato politico, perché attraverso di esso facilmente il pubblico fu indotto a pensare che si volesse addirittura umiliare o addirittura estromettere dal Governo qualche grande partito.

La richiesta di unificazione, a mio avviso, è certamente utile e serve anche a debellare questo mito del Ministero del tesoro che è un super-Ministero. L’altra volta, l’onorevole Nitti diceva che il Ministero del tesoro è il solo importante e che il Ministero delle finanze è meno importante. Io penso che possa affermarsi la cosa perfettamente opposta e cioè che in un Governo bene organizzato il Ministero delle finanze è più importante del Ministero del tesoro, perché quest’ultimo non è altro che la cassa che paga, mentre il Ministero delle finanze deve sapere dove e chi colpire e deve fare una discriminazione sui beni da colpire e sulla incidenza delle imposte sul patrimonio nazionale. Deve, cioè, fare una politica. Si capisce che il Ministero del tesoro diventi un super Ministero, quando mancano gli organi di Governo, quando le spese diventano una questione tecnica affidata ai funzionari e non sono controllate pubblicamente dagli organi responsabili. È chiaro che il Ministero del tesoro ha una immensa potenza nelle mani, perché può spendere, ma la giusta impostazione delle spese dovrebbe dipendere proprio dall’impostazione politica di tutto il Governo e non essere affidata soltanto all’alta moralità del Ministro titolare del Dicastero. Ma quando le spese siano pianificate, quando vi sia una graduatoria di spese ben determinate, l’intervento più importante è quello delle finanze che funzionano come organo prettamente politico; ed il Ministero del tesoro resterà sempre Ministero importante, ma assai meno delicato e meno responsabile del Ministero delle finanze. Ecco perché su questo punto, che meritava una risposta da parte del Governo, questo avrebbe dovuto dire qualche cosa in senso positivo o negativo, anche perché il Paese aspettava da questo gesto, da questo superamento di una difficoltà, un certo orientamento.

Il Paese, probabilmente, non ha potuto capire che un provvedimento, del quale si domandava l’applicazione per ragioni tecniche e funzionali, sia stato riconosciuto tecnicamente attuabile, ma non si sia adottato solo per ragioni di equilibrio politico, di prestigio o che so d’altro. Ora è chiaro che se il Paese qualche cosa domanda è che in questi casi il Governo sia compatto, che queste questioni di equilibrio siano superate, perché l’equilibrio si trova nella reale unità di intenti, si trova esclusivamente nella volontà comune alla quale faceva appello il Presidente, di portare a fondo, a termine, il programma.

Qualsiasi politica economica che si imposta, anche la migliore, non può avere che uno scopo, quello di sollecitare determinate forze economiche a muoversi in un determinato senso. Ora queste forze economiche hanno bisogno di una sola cosa, di continuità, di sapere che ogni due o quattro mesi non si cambia direttiva e che non ci sia una brusca sterzata; che se il Governo si decide ad applicare una politica, buona o cattiva, che sia, questa sarà proseguita fino al tempo sufficiente per arrivare alle sue conseguenze, buone o cattive che siano, di modo che il Paese possa fare le necessarie legittime previsioni, possa regolarsi ed essere sicuro che il Governo ha un programma ed ha il tempo necessario per poterlo applicare e portare a termine.

Giustamente il Presidente del Consiglio ha dato rilievo alle condizioni di carattere politico generali alle quali l’azione del Governo, anche in materia economica, è subordinata. A me spiace profondamente che il Presidente del Consiglio, nell’esemplificare fatti salienti di questo malessere, di questo stato di presunto o vero disordine del Paese, abbia citato solo l’episodio del partigiano di Asti e dei 14 contadini armati di bombe. C’è dell’altro, onorevole Presidente del Consiglio. Non ci sono soltanto contadini affamati, che, se invadono le terre, le invadono perché sono affamati (Interruzioni a destra – Applausi a sinistra).

Il gesto del partigiano di Asti può essere diversamente apprezzato, ma corrisponde a una legittima protesta dei partigiani contro il trattamento morale e materiale indegno da essi subito. (Applausi a sinistra).

C’è dall’altro nel Paese. Precedentemente io ho richiamato su di ciò l’attenzione dell’Assemblea. Il Presidente del Consiglio ha detto giustamente che la nuova legge sulla stampa è in preparazione, ma quando si assiste all’applicazione…

Una voce a destra. Squadrismo.

Una voce a sinistra. Squadristi ce ne sono molti dalla parte vostra. (Commenti).

BOMBARDI RICCARDO. Quando si parla dell’applicazione della legge di stampa, si può fare qualche cosa anche con la legge di stampa attuale, che tutti riconosciamo infelice e che sottopone a concessione da parte del Presidente del Consiglio la fondazione e la edizione di un nuovo giornale, e la subordina anche ad un rinnuovo della concessione ogni tre mesi.

Ora, quando un prefetto rifiuta l’autorizzazione per la pubblicazione di un numero unico ad un gruppo libertario, come mi si dice, a Firenze, sotto un pretesto qualsiasi, senza neanche vedere le bozze; e quando c’è un giornale, nel quale un uomo come Gioacchino Volpe pone, lui fascista, le condizioni agli anti-fascisti per ritornare a collaborare alla ricostruzione del Paese; domandiamo se anche con la legge attuale, in attesa che la nuova legge sia votata dalla Costituente o emessa dal Governo, non si possa fare qualche cosa. Perché la rinascita della stampa fascista è qualche cosa, che è arrivata ai limiti del sopportabile. (Approvazione a sinistra). Ripeto, io sono per la libertà di stampa: se ci sono prefetti e questori, sollecitati a deferire agli organi giudiziari dei giornali pornografici o che offendono sovrani di Stati esteri o autorità ecclesiastiche, si faccia in modo che questi prefetti e questi questori provvedano all’applicazione della legge anche laddove si offende il profondo sentimento del Paese, che sa ancora cos’è il fascismo, che non lo ha dimenticato e che lo vede riapparire con legittima preoccupazione. (Approvazioni a sinistra).

Onorevoli colleghi, è chiaro che la politica economica e finanziaria è il problema che ci ha preoccupato tutti, il centro delle discussioni di questi giorni. E la richiesta, che viene da tutte le parti del Paese, di tranquillità, anche attraverso l’opera accorta di ordine pubblico, è un’esigenza legittima, è un’esigenza giusta. Senza tranquillità, senza ordine, non c’è politica che resista; non c’è continuità di Governo che regga. Ma, onorevole Presidente del Consiglio, non dimentichiamo una cosa: non dobbiamo tranquillare soltanto i ricchi; dobbiamo tranquillare anche i poveri. (Applausi a sinistra).

La situazione è quella che è. Non c’è edificio politico che regga, senza una vasta base di consenso popolare. Se non riusciamo a convincere le classi popolari che il peso della ricostruzione non grava soltanto su di esse e se non lo dimostreremo coi fatti oltre che con le parole, non potremo ottenere a vantaggio di una politica degna di un Governo i sacrifici che noi chiediamo alle classi popolari; mentre potremo chiedere questi sai osarifici a fronte alta, se sapremo dimostrare che non guardiamo in faccia a nessuno e che sappiamo colpire le ricchezze dove esse esistono. I provvedimenti tributari sono finora di portata modesta e il loro programma di attuazione è, solo in minima parte, cominciato. Ma se qualcosa si è fatto, molto più ancora si può e si deve fare. Anche l’apparato fiscale non potrà ricominciare a funzionare con un rendimento del 99 per cento. Potrà cominciare, con un rendimento del 30 per cento, ma l’importante è che s’incominci.

Dobbiamo dare la certezza di attuare una serie di provvedimenti coraggiosi, non dissennati ma audaci, seri e continuativi e questo deve essere lo scopo che il Governo si deve proporre: ottenere attorno alla sua politica il vero, il reale consenso delle classi popolari. Allora veramente il Ministro dell’interno potrà concedersi qualche mese di riposo, e potrà. essere tranquilla la vita del Governo per tutta la durata della Costituente. (Vivissimi applausi a ministra).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Francesco Mariani. Ne ha facoltà.

MARIANI FRANCESCO. Non nascondo che la dichiarazione fatta dal Presidente del Consiglio ha destato in me un certo disappunto. Parlo nella mia. qualità di socialista.

che da 40 anni dedica la sua attività alla organizzazione dei lavoratori e come uno dei segretari della Camera del Lavoro di Milano.

Quando ho sentito l’onorevole De Gasperi parlare di scioperi come ultima arma a cui deve ricorrere la classe lavoratrice, mi sono domandato come mai egli abbia potuto asserire che oggi lo sciopero è divenuto l’arma quotidiana.

Mi permetta l’onorevole Presidente del Consiglio di rettificare questa affermazione, per lo meno troppo superficiale ed ingiusta. Vi è una ragione profonda di questi movimenti. Guai a noi, guai al Paese se ci soffermassimo a giudicarne soltanto gli effetti: dobbiamo approfondirne le cause, che sono di duplice natura. Non dimentichiamo che le classi lavoratrici hanno appreso con un certo stupore il decreto di amnistia, e badate non è che i lavoratori vogliono perpetuare i sentimenti di odio e di rivalità nel Paese. I lavoratori sono stati i primi, dopo l’insurrezione, a tendere la mano a tutte le classi sociali per volere seriamente collaborare; collaborare col sacrificio comune di tutti; ma le altre classi sociali hanno lasciato ricadere la mano fraterna che i lavoratori tendevano. Questa è la verità. Pure il fattore politico è da considerare. L’amnistia ha reso effetti contrari a quelli che si desideravano.

Si pensava che l’amnistia fosse dettata da un grande gesto di liberalità, da fratelli a fratelli, ma non è avvenuto così. La grande maggioranza degli amnistiati è tornata nei propri paesi con un solo intendimento: restaurare e mettere in auge uomini e sistemi che hanno determinato la rovina del Paese. Le classi lavoratrici sentono soprattutto che una enorme ingiustizia si è compiuta e si compie ancora oggi contro le vittime politiche. Ricordiamo quanti e quanti lavoratori, impiegati e tecnici hanno dovuto abbandonare le officine perché braccati dal nazi-fascismo e non hanno avuto un soldo, ad eccezione di qualche concordato fatto con gli industriali. Da un anno esiste un decreto che è passato da un Ministero all’altro senza nessun costrutto. Fatto si è che di quelle famose 2.000 lire mensili – se non vado errato – per un massimo di 20.000 lire che dovevano essere concesse alle vittime politiche, frutto di un concordato tra il Comitato di Liberazione alta Italia e gli stessi industriali, a Roma non se ne è parlato più. In compenso i fascisti sono stati liberati e questa nostra graziosa burocrazia, che dipingono come lenta, va talvolta con velocità fantastica; infatti è arrivata fulmineamente la disposizione di riassumere immediatamente questi fascisti ex epurati, concedendo loro tutti gli arretrati di paga, tutti gli emolumenti, di conseguenza anche il premio di liberazione, premio che le vittime politiche aspettano ancora. (Applausi a sinistra)

Io non faccio questioni di persone, né voglio incolpare nessuno; voglio solo prospettare una situazione della quale tutti siamo responsabili. Le vittime politiche attendono ancora un gesto riparatore.

Si parla di violenze, ma io voglio rilevare che Milano, questa grande industriosa metropoli, ha dato, dalla liberazione ad oggi, un grande nobile esempio di disciplina. Non uno sciopero generale è avvenuto nella nostra città, anche quando le bombe colpivano i nostri sodalizi, anche quando le fucilate assassine stendevano morti i nostri compagni sulla soglia degli uffici della nostra Camera del Lavoro. Eppure abbiamo continuato a fai appello, perché non si accettassero provocazioni e non si avesse a rispondere con la violenza alla violenza. Avevamo una grande speranza, che i nostri fratelli ci comprendessero. Non ci compresero. A questi violenti noi domandiamo: «O Giuda, chi t’ha dato i quattro soldi per assassinare tuo fratello?»

La classe operaia non ha reagito con la violenza alla violenza, ma il malcontento per l’offesa diviene ogni giorno più sensibile. Abbiamo i postelegrafonici, per citare uno dei tanti casi, a favore dei quali esiste un decreto del 30 novembre 1945, con cui si stabilisce che i postelegrafonici avventizi, allontanati dal cessato regime per comportamento ad esso contrario, devono essere riammessi in servizio. Ebbene, a tutt’oggi è stato riammesso in servizio uno solo, in virtù probabilmente di raccomandazioni; gli altri attendono ancora. Fino a quando?

Io mi sforzo di fare a voi il quadro della situazione delle classi lavoratrici. Vengono a noi partigiani sciancati, mutilati, vengono a gruppi, e ci domandano: «Come dobbiamo vivere? Non abbiamo pensioni; non abbiamo sussidio di disoccupazione, perché non abbiamo il libretto. Siamo alla disperazione. Che dobbiamo fare?» Perché non si provvede? io domando a voi, onorevoli colleghi: al nostro posto cosa rispondereste?

A questo fermento, a questo malcontento di natura politica, si aggiunge il fattore economico che è di capitale importanza. Si parla di scioperi. Lasciamo andare la storia degli scioperi sobillati da questo o da quello: è una panzana che ormai ha fatto il suo tempo, tanto più che le categorie che oggi si agitano sono anche le meno sensibili alla voce dei partiti estremi. Sono invece il bisogno e la fame che determinano movimenti di masse. Sono maestri di scuola, obbligati a vendere i libri per vivere. Questa povera gente che deve andare a spezzettare il pane del sapere alla gioventù, non ha pane sufficiente per mantenere le proprie creature. Questa è la tragedia del nostro paese, e dobbiamo guardarla in faccia, a viso aperto.

Ancora. Noi abbiamo detto agli operai, prima della Costituente, e per ordine venuto dalla Confederazione generale del lavoro, di sospendere ogni e qualsiasi agitazione. Abbiamo continuato a rinviare, rinviare e rinviare. Ultimamente, quando eravamo in trattative con gli industriali, abbiamo accantonato anche le richieste di aumento di paghe. Si era detto: «Bisogna che noi puntiamo sulla politica della diminuzione dei prezzi». Signori, noi questo lo reclamiamo da un anno. Se voi aveste la bontà di leggere tutti i nostri articoli, vi accorgereste che tutta la nostra propaganda è stata tesa in questo senso. La classe lavoratrice è scettica di fronte agli aumenti di salari, non vuole aumenti di paga; gli impiegati non vogliono aumenti di stipendio, perché sanno che questi aumenti sono rubati loro prima ancora di venir concessi. Chi li ruba? La situazione certo è diventata molto grave.

Signor Presidente del Consiglio, io ho sentito una frase. Venendo a Milano ho trovato il fatto compiuto di un decreto: il decreto del Prefetto di Milano che ha avuto il merito di salvare Milano dal pericolo dei saccheggi. Al comune di Milano, tutti i partiti: socialista, comunista, demo-cristiano, liberale, tutti, nessuno escluso, si sono resi conto della gravità della situazione cui bisognava provvedere immediatamente, e l’amministrazione Comunale ha emesso il voto che conoscete. Quando c’è l’incendio, non si aspettano i pompieri, ma si prende il primo secchio d’acqua e si inizia l’opera di spegnimento. Col sindaco e gli assessori competenti ci siamo recati dal prefetto e dal prefetto si sono recati anche i rappresentanti di tutte le categorie dei lavoratori a reclamare un deciso intervento. C’è una parola: calmiere; quando si parla di calmiere evidentemente si può cadere in un grossolano equivoco. Il decreto del prefetto di Milano è un provvedimento molto avveduto; non applica il calmiere, fine a se stesso; più che calmiere (dovremmo discutere per definire l’etimologia, di questa parola?) possiamo parlare di prezzi concordati o convenuti, perché il decreto stabilisce che i prezzi devono essere convenuti tra produttore e rivenditore.

Ora voi vedete subito che sulle piste del decreto in parola, è possibile, purché lo si voglia, cominciare a creare quell’organismo che noi desideriamo sia esteso a tutta Italia. È indispensabile che il Governo intervenga a coordinare l’azione di tutti i prefetti d’Italia, al fine di rompere il cerchio chiuso che ogni prefettura, ogni provincia si costituisca in repubblica per conto proprio; che ogni prefetto si preoccupi soltanto della propria provincia, poiché vi deve essere una preoccupazione superiore, quella della necessità di vita non della singola provincia, ma di tutto il Paese.

Venendo alle paghe degli operai, occorre considerare qualche cifra e fare dei confronti coi dati forniti dall’ufficio di statistica. Nel 1938 un operaio specializzato guadagnava in media 4 lire all’ora, pari a 800 lire mensili. Dal 1938 ad oggi la vita è aumentata 40 volte, i salari sono aumentati 13 volte. Se dovessimo fare il parallelo l’operaio dovrebbe avere circa 32 mila lire mensili. Nessuno si è mai sognato di chiedere questo, perché prevediamo l’obiezione che il reddito è sceso da 100 a 55. Se volessimo compiere un po’ di giustizia distributiva del reddito, tenuto conto di quanto detto, la paga operaia dovrebbe arrivare a 17 mila lire circa. Non siamo invece neanche ad 8 mila! Signori, l’operaio oggi guadagna in media 300 lire al giorno. A proposito della razione del pane occorre pensare che l’operaio, quando entra in fabbrica, l’ha già mangiata quasi tutta; e voi vedete alla mensa questi operai che vanno con la ciotola a chiedere un supplemento di minestra e gran parte di voi potrebbe osservare come molti avvolgono in un pezzettino di carta il pezzo di formaggio per portarlo a casa ai familiari.

Il lavoratore non ha sufficiente nutrimento e si va verso il depauperamento fisico della nostra generazione: questo è il pericolo maggiore. Ve lo confermo con le parole di Padre Agostino Gemelli, il quale scriveva esattamente così: «Se vogliamo conservare l’integrità fisica del lavoratore dobbiamo alimentarlo a sufficienza. Non dargli una razione alimentare sufficiente quantitativamente e qualitativamente vuol dire non solo creargli danno, ma dare esca a quell’insofferenza al lavoro ed ostilità verso il lavoro e l’officina, che è uno dei fattori fondamentali dei conflitti sociali. Oggi l’operaio riceve razioni inadeguate e insufficienti.

«Poiché l’alimentazione è il mezzo per ricuperare le perdite dovute al lavoro compiuto dall’operaio, possiamo con tutta sicurezza affermare che l’integrità fisica dell’operaio, e quindi della stirpe, è allo stato attuale delle cose minacciata, se non anche lesa. Da queste conclusioni risulta essere necessario studiare il problema del salario, per determinare se e come esso può riparare a questi gravi danni».

Si è detto che l’aumento dei salari determina l’inflazione. È falso! Coloro che non hanno scrupoli, appena il dollaro sale di qualche punto, si agganciano al dollaro, e siccome l’Italia è piena di gente molto prudente, aumentano i prezzi in misura superiore che chiamano prudenziale. Noi siamo legati indubbiamente ad una tremenda situazione internazionale, siamo legati alle condizioni di pace, siamo nella triste situazione, che a Parigi ci danno la medicina col ginocchio sullo stomaco. Questa è la tragedia del nostro Paese, che incide anche sulla svalutazione della lira, ma su questa svalutazione incide anche la triste speculazione che si fa nel nostro Paese.

Non deve essere più consentito che della gente faccia dei lauti guadagni del 100 e del 150 per cento. Si va accentuando nel nostro. Paese questa atmosfera speculativa. Abbiamo il dovere di intervenire e dire al Paese che vogliamo modificare questa atmosfera; che il sacrificio di ognuno deve corrispondere al sacrificio di tutti. A chi non sente il dovere di questo sacrificio dobbiamo imporlo. Chi, per accumulare danaro a danno delle classi lavoratrici rovina il Paese, deve poter essere accusato di alto tradimento.

Noi vogliamo giungere ad una economia pianificata, vogliamo controllare la produzione e seguirla sino al consumò. Sì, signori, dobbiamo andare al controllo. In qualche provincia che ha fatto proprio il decreto del Prefetto di Milano, si è trovato che un genere di prima necessità, ceduto dal produttore a 280 lire il chilo, veniva venduto al consumatore a 650 lire. Si sono radunati tutti gli interessati, dal produttore all’esercente, e questi hanno concordato il prezzo remunerativo a 350 lire. Le altre 300 lire dove andavano a finire? C’è il guadagno dell’industriale senza scrupoli, ma c’è anche l’enorme, immenso guadagno di quella massa grigia che sta fra il produttore e il consumatore, che noi dobbiamo combattere spietatamente, senza misericordia, se vogliamo salvare il Paese. Qui sta tutto il marasma e il malessere delle classi lavoratrici (Applausi). Qui il fondamento di tutte le questioni sociali.

Quando vado a fare conferenze, non mi limito a concionare i cittadini. Chiamo nei paesi il medico e domando le condizioni di salute della popolazione. Constato che la tubercolosi aumenta quotidianamente. È la salute fisica della stirpe che corre gravi pericoli. È il depauperamento fisico della nostra generazione che ne va di mezzo. Ora qualcuno si spaventa perché noi chiediamo che si prendano provvedimenti. Tra gli altri provvedimenti – e sono molti – potrebbe esservi quello di riorganizzare le industrie di proprietà o comunque dipendenti dallo Stato. Indubbiamente il problema potrebbe incominciare a fare un passo avanti.

Ma agire bisogna ed agire decisamente. Molti affermano che i provvedimenti drastici non servono. Confessiamolo: siamo un po’ vittime tutti di questo pessimismo. Allarghiamo le braccia come Cristo in croce; ma Cristo è stato messo su una croce di legno da gente cattiva. Se ci facciamo afferrare dal pessimismo, ci crocifiggiamo con le nostre mani nel vuoto; finiamo per creare a noi stessi l’asfissia dell’animo, che è più tremenda dell’asfissia del corpo. Dobbiamo dire al Paese una parola serena, una parola audace. Dobbiamo dire al Paese, in nome e in virtù della classe che dobbiamo difendere: noi ci troviamo come una nave che affronta i marosi e che corre grande ed immenso pericolo; abbiamo bisogno che questa nave abbia un timoniere ferreo, ma dobbiamo sapere dove vogliamo andare.

Non ci siano più programmi a zig-zag, non ci siano più provvedimenti caotici emessi nel momento in cui le folle tumultuano: c’è la fame nei nostri stabilimenti, c’è il bisogno che assilla. Qualche giorno anche noi saremo travolti – questo è l’ammonimento ch’io lancio a voi. Abbiamo un baluardo di pacificazione: sono le nostre organizzazioni sindacali che fino ad oggi hanno contenuto tutta la massa lavoratrice ed hanno determinato la pace nel nostro Paese. Sono le nostre organizzazioni sindacali che accomunano tutti i lavoratori al di sopra di tutti i partiti. Ma è necessario puntare sul fattore psicologico; perché, credetelo, signori, è l’atmosfera che va radicalmente mutata.

Qualche mese fa, nelle grandi città i lavoratori si sono nutriti di un pane che forse non avrebbero mangiato neanche i porci.

Cosa dobbiamo pretendere da questa massa operaia, quando non la nutriamo, quando non le diamo di che mangiare a sufficienza?

Una voce. Il pane è buono, ora.

MARIANI FRANCESCO. È buono, ma è insufficiente e l’operaio lo deve comprare alla borsa nera. Ho fatto un conto: un operaio che ha moglie e 4 o 5 figlioli deve spendere 100-150 lire di solo pane. Il nostro operaio si nutre di pane e minestra. È questa la ragione del malcontento. È la fame. Se vi sono dei responsabili, questi non vanno cercati nei partiti, né nei sobillatori: noi stessi, noi tutti saremo responsabili se non sapremo provvedere in tempo a questa situazione.

Reclamiamo provvedimenti di emergenza finanziaria e per la disciplina dei consumi. Dobbiamo essere severi contro coloro che mancano a questa disciplina con la confisca dell’azienda e, perché no?, anche con la pena. Gli speculatori senza scrupoli sono i responsabili della lenta morte che la tubercolosi procura alla nostra generazione.

Noi dobbiamo dare al Paese la precisa sensazione di voler fare. Il Governo, la Costituente si mettano sulla nuova strada per colpire la ricchezza, alleviare le sofferenze del popolo, in modo che tutti siano affratellati nel comune sacrificio e che nessuno possa sfuggire. Agire bisogna! Agire decisamente. Dobbiamo tendere la nostra volontà fino allo spasimo. Occorre essere ottimisti noi stessi per infondere fiducia nel Paese, non per una meschina rivalità di partiti, ma per un ideale superiore: salvare l’Italia. (Applausi).

PRESIDENTE. Il seguito di questa discussione è rinviato a domani.

Annuncio di una mozione.

PRESIDENTE. Comunico che è pervenuta alla Presidenza la seguente mozione, firmata dagli onorevoli Mazzei, Camangi, Magrini, Conti, Natoli, Azzi, Perassi, Sardiello, Parri, La Malfa, De Mercurio, Zuccarini:

«L’Assemblea Costituente delibera di nominare una Commissione con l’incarico di esaminare quali materie costituzionali (in particolare, i rapporti dell’Assemblea col Governo nell’esercizio della funzione legislativa ordinaria) siano da regolare con una legge costituzionale provvisoria fino all’entrata in vigore della nuova Costituzione e di elaborare il relativo progetto da sottoporre alla deliberazione dell’Assemblea.

«La Commissione sarà composta mediante designazione degli Uffici, in ragione di un delegato per quelli che comprendano non più di venticinque Deputati e di uno per ogni venticinque, senza computare le frazioni, per gli altri Uffici».

Chiedo al Governo di esprimere su di essa il suo parere.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri. Chiedo che lo svolgimento della mozione sia rinviato di qualche giorno, trattandosi della modifica radicale di una legge fondamentale, per la quale dovrà essere sentito il parere del Consiglio dei Ministri.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Perassi. Ne ha facoltà.

PERASSI. In questo momento la Camera, secondo l’articolo 125 del regolamento, non è chiamata se non a determinare il giorno nel quale la mozione dovrà essere svolta. Non si tratta quindi di entrare nel merito della questione. Mi permetto di far semplicemente richiamo al regolamento e pregare che si fissi tale data. A questo riguardo, come uno dei proponenti, propongo che lo svolgimento della mozione abbia luogo alla fine della discussione sulle comunicazioni del Governo, cioè prima che l’Assemblea si aggiorni.

PRESIDENTE. Alla fine della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio potremo fissare la data, prima che l’Assemblea si aggiorni.

Interrogazioni e interpellanza.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni e di una interpellanza pervenute alla Presidenza.

RICCIO, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere se non creda necessario rinnovare ai prefetti l’ordine di chiusura delle case da gioco, comprese quelle di Venezia, Campione e San Remo, in difesa della pubblica moralità e ad evitare l’impressionante dilagare dei suicidi, che sempre più numerosi si ripetono da parte dei disgraziati giuocatori dopo vistose perdite al giuoco.

«Merlin Umberto».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri ed il Ministro delle finanze, per conoscere quali misure d’urgenza intendano prendere per avocare allo Stato i beni che già furono della Corona e ordinare il sequestro dei fondi che furono, più o meno lecitamente, depositati in Istituti finanziari all’estero per conto della Casa regnante.

«Cerreti, Bardini, Gervasi, Magnani».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere se sia a sua conoscenza che, in alcune zone delle Marche e particolarmente nella provincia di Ascoli Piceno, da parte di numerosi proprietari agrari si è intimata o si sta intimando la disdetta ai relativi mezzadri per la scadenza dell’11 novembre 1946. Nella maggior parte dei casi le disdette intimate colpiscono i dirigenti e gli organizzati della Federterra, rivelando il loro carattere di intimidazione politica. Una tale manovra nell’imminenza dello scadere del termine fissato dal Lodo De Gasperi per l’inizio delle trattative per la stipulazione del nuovo patto colonico, tende a frustrare in anticipo il diritto dei contadini a vedere riconosciuto il principio della obbligatorietà della motivazione ed è causa di vivo fermento fra i mezzadri. Poiché tale fermento è suscettibile di provocare agitazioni con dannose conseguenze per la prossima campagna della semina, gli interroganti chiedono che il Ministero intervenga con un provvedimento legislativo che sospenda l’esecutorietà delle disdette coloniche fino alla conclusione delle trattative tra la Confida e la Federterra per la stipulazione del nuovo patto generale di mezzadria.

«Molinelli, Ruggeri Luigi, Bei Adele».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per sapere se la Società Garigliano – la quale aveva iniziato e poi sospeso nel 1929 la costruzione del bacino del Toloro (in provincia di Nuoro), le cui acque dovevano essere utilizzate, oltreché per produzione di forza, per la irrigazione di circa ottomila ettari di terreno, abbia ancora la concessione e, in caso affermativo, se non ritenga necessario invitare la Società stessa a riprendere i lavori o revocare alla medesima la concessione.

«Murgia»

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere se risponde a verità che si stia elaborando un provvedimento legislativo per la gestione degli enopoli (un tempo di proprietà del settore in liquidazione della viticoltura) da parte delle Federazioni dei Consorzi agrari, il che equivarrebbe a stroncare ancora un altro ramo della libera iniziativa economica; ed, in caso affermativo, per sollecitare, all’opposto, dal Governo un provvedimento che trasformi i detti enopoli in cantine sociali cooperative (come recentemente ha sostenuto Raimondi sul Popolo del 15 settembre), col duplice scopo di salvaguardare e rinforzare l’iniziativa privata associata ed ottenere vini tipici concorrenti sul mercato delle esportazioni, unico, pratico e benefico mezzo di soddisfazione per le classi produttrici e per i consumatori che, con adeguata tutela morale e legislativa dello Stato, potranno assieme potenziare la vitivinicoltura, dando nuovo benessere all’economia nazionale.

«Raimondi, Caso».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e il Ministro di grazia e giustizia, per sapere se non ritengano opportuna la eliminazione dell’assurdo giuridico costituito dall’articolo 3 del Regio decreto legislativo 25 maggio 1946, n. 425, contenente le norme per la risoluzione delle controversie sulle requisizioni degli alloggi, con la statuizione in sua vece della obbligatorietà della decisione sulle opposizioni avverso i provvedimenti dei Commissari per gli alloggi.

«Rescigno».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se non ritenga opportuno un provvedimento legislativo che disciplini, con norme semplici e definitive, il conferimento degli incarichi e delle supplenze negli Istituti di istruzione secondaria, attualmente regolato da circolari complicate e mutevoli.

«Rescigno».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere le ragioni per le quali la disposizione dell’articolo 1 del decreto luogotenenziale 5 ottobre 1944, n. 345, che stabilisce inefficacia giuridica di tutti i provvedimenti legislativi del governo della repubblica di Salò, non sia stata applicata al decreto 14 settembre 1944, che consentiva, in ispregio alla legge sul blocco degli affitti agricoli, di realizzare la trasformazione in generi, con elevato aumento dei canoni stessi e gravame insostenibile per una massa ingente di coltivatori diretti.

«Meda Luigi, Ferrario Celestino, Malvestiti, Castello Edgardo».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, sulla situazione creatasi nel campo degli affittuari per la mancata abrogazione ad ogni effetto del decreto della ex repubblica di Salò del 14 settembre 1944, che permetteva ai proprietari di terra, che percepivano per contratto un canone in denaro (cioè una cifra fissa e non nel valore corrispondente ad una determinata quantità di generi), la trasformazione del canone, in generi. In ottemperanza al decreto, infatti, molti proprietari effettuarono la trasformazione del sistema di canone, facendosi corrispondere dagli affittuari il valore corrispondente a determinate quantità di prodotti, creando così praticamente (in ispreto al regime di blocco) un aumento sensibilissimo dei canoni stessi.

«Meda Luigi, Ferrario Celestino, Malvestiti, Castello Edgardo».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dei trasporti e del tesoro, per sapere se non si ritiene conforme a criteri evidenti di equità e di giustizia la urgente modifica – con effetto retroattivo – del decreto 11 gennaio 1946, n. 18, nel senso di estendere i benefici, di cui al decreto stesso, ai ferrovieri sinistrati, anche se non residenti nelle località distrutte nella misura del 40 per cento; e ciò per evitare stridenti casi di patente ingiustizia.

«Morini».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere:

1°) quali provvedimenti intenda adottare per stroncare le arbitrarie occupazioni (anche se simboliche) di terre, soprattutto ove si tratti di fondi coltivati ad ortaglie, a tabacco, già seminati o preparati per le semine o, addirittura, già concessi a mezzadria a famiglie stabili da vari anni;

2°) quali sono i dati ufficiali relativi ai conferimenti da parte di cooperative che la scorsa annata occuparono terre col consenso del Governo e se è vero che del grano prodotto su circa 7000 ettari coltivati da cooperative, in Agro Romano, soltanto poche centinaia di quintali hanno formato oggetto di conferimento in rapporto ad una produzione che dovrebbe aver superato i 100.000 quintali;

3°) se alle trattenute autorizzate abbia fatto riscontro una corrispondente riduzione di carte annonarie per pane e generi da minestra;

4°) se in rapporto al predetto provvedimento di occupazione delle terre il Ministero ha provveduto ad impartire agli organi periferici le disposizioni atte a limitarne i dannosi effetti sul volume generale della produzione cerealicola;

5°) se e quali disposizioni sono state emanate per garantire i proprietari di pascoli contro il pericolo di una demagogica applicazione del decreto legislativo di cui sopra.

«Patrissi, Rognoni, Puoti, Marina».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere quali provvedimenti intende adottare per reprimere – ed impedire il ripetersi – i gravi atti di vandalismo e di profanazione delle tombe dei caduti partigiani di Voghera; atti avvenuti al Cimitero di Voghera, di pieno giorno e per ben cinque volte consecutive, nelle giornate dal 14 al 16 corrente mese. In particolare per sapere se non crede urgente ed opportuno ripristinare immediatamente il Commissariato di pubblica sicurezza in Voghera; Commissariato che è stato abolito proprio il 14 corrente mese, lasciando praticamente priva di forza pubblica una città di 35.000 abitanti al centro di un’ampia e densamente abitata zona.

«Morini, Sampietro».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dell’interno e dell’assistenza post-bellica, per conoscere quali provvedimenti siano stati adottati, o si intendano adottare, in favore delle donne violentate dalle truppe marocchine, durante la guerra, in alcuni centri della provincia di Frosinone.

«De Palma».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere quando il Governo intenda provvedere alla completa riattivazione del porto di Milazzo, con la ricostruzione delle opere distrutte, la escavazione dei fondali insufficienti agli approdi dei grossi vapori, la rimozione delle navi affondate, che intralciano il movimento portuale al quale è legata la vita delle industrie, lo sviluppo dei commerci e la possibilità di impiego costante di numerose categorie di lavoratori, nonché la decongestione delle ferrovie sul tratto Messina Milazzo.

«Bonino, Paratore».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’interno, per sapere quali provvedimenti intenda prendere, per risolvere il problema ospedaliero della città di Bari, il quale interessa anche le provincie e regioni limitrofe. L’ospedale consorziale di Bari, divenuta inabitabile la sede in seguito ad eventi bellici, è allogato, con mezzi di fortuna ed in condizioni insostenibili, nei corridoi dell’università malamente adattati. L’esiguo materiale va sempre più in rovina; la situazione di cassa, anche per l’inadeguato ritmo della riscossione delle spedalità, non permette di soddisfare i fornitori, i quali sospendono in conseguenza le loro prestazioni.

«Occorrerebbe ottenere l’immediata derequisizione del Policlinico, che per vicende belliche non poté mai essere occupato e potrebbe dare alloggio all’ospedale insieme alle cliniche universitarie, ed affrettare l’approvazione del decreto, che si dice in elaborazione, per stabilire l’apposita imposta provinciale per il pagamento delle spedalità.

«Moro».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro delle finanze, per sapere perché non si è ancora provveduto alla confisca dei beni del fu senatore Morgagni, già direttore dell’Agenzia Stefani.

«Tali beni furono sequestrati dal C.L.N. di Verbania ed il tribunale di Verbania nominò sequestratario l’avvocato Sandro Ferrari. I beni in oggetto si trovano nel comune di Oggebbio. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Zappelli».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’interno, per sapere quali siano le intenzioni del Governo circa l’assistenza alle famiglie numerose e quale parte della legislazione a favore di tali famiglie si intenda mantenere in vita.

«Dopo il Regio decreto 29 marzo 1945, numero 267, si invoca una necessaria precisazione da parte del Governo. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Merlin Umberto».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’interno, per sapere se non ritenga doveroso ricostituire l’antico comune di Castelnovo Boriano (Rovigo) che venne arbitrariamente soppresso dai fascisti.

La pratica è stata trasmessa al Ministero (Direzione generale amministrazione civile) dalla Prefettura di Rovigo con nota 31 marzo, n. 7348. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Merlin Umberto».

«La sottoscritta chiede d’interrogare i Ministri della guerra e del tesoro, per sapere se, in considerazione che un sempre maggior numero di persone viene ad essere colpito in seguito ad atti compiuti da militari alleati di stanza in Italia, e che coloro che restano invalidi ed i parenti di coloro che decidono in seguito ad investimenti, ferimenti ed uccisioni, rimangono praticamente privi di ogni tutela, e visto che le domande di risarcimento di danni non hanno avuto finora la reale possibilità di essere soddisfatte, ravvisino l’opportunità di estendere alle suddette categorie i benefici disposti in materia di pensioni di guerra agli infortunati civili ed estesi con legge 2 dicembre 1941, n. 1385, ai cittadini divenuti invalidi e, in caso di morte, ai loro congiunti per fatti avvenuti ad opera di forze armate nazionali ed estere dal 1° settembre 1939 al 10 giugno 1940. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Gallilo Spano Nadia».

«La sottoscritta chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se intenda continuare a concedere alle insegnanti di Sardegna attualmente comandate in sedi dove risiedono per ragioni di sfollamento e di famiglia, la possibilità di continuare ad usufruire di tale facilitazione. In Sardegna i comandi sono diventati da dieci anni ad oggi una consuetudine; durante la guerra furono concessi con maggior larghezza per le difficili condizioni in cui vennero a trovarsi numerose insegnanti. Attualmente queste condizioni non sono mutate. I trasporti sono difficili, costosi e scarsi; le insegnanti non possono più rientrare in casa la sera con grave danno per l’unità e per il bilancio familiare. Pertanto le insegnanti chiedono che le sedi di comando diventino, a richiesta, definitive o in via subordinata che si continuino ad assegnare i comandi fino a quando non vengano a cessare le condizioni di particolare disagio del momento attuale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Gallico Spano Nadia».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere se, di fronte alla lamentevole situazione dell’importante ed assai gravata circoscrizione giudiziaria di Brescia, non sia possibile procedere ad una quanto meno passabile sistemazione, facendo presenti i precisi dati di fatto che seguono:

1°) che in realtà al tribunale di Brescia, su 18 giudici, presidenti compresi, prestano servizio in 12, in quanto il giudice Schizzerotto, è addetto alla C. A. S. ed il giudice Costanzo è in funzioni presso la procura della Repubblica. Tutto ciò sta di fronte ad un lavoro in progressivo aumento nonostante l’allargamento della competenza pretoriale;

2°) che le preture di Breno, Chiari, Gardone, Rovate e Verolanuova, sono prive di titolare, il che crea notevolissimo ingorgo dal punto di vista delle pratiche nel complesso;

3°) che viceversa risulterebbe come più in giù della linea gotica, nell’Italia centrale e specialmente da Roma in poi, numerosi sarebbero i tribunali che avrebbero personale in soprannumero.

«Osservasi che per quanto riguarda la difficoltà di trasferimenti, che fa capo agli alloggi, già vennero interessati il Commissariato alloggi di Brescia ed il municipio nella persona dell’onorevole Ghislandi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Caprani».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere se non ritenga opportuno dare le delucidazioni necessarie sulle direttive impartite dall’Alto Commissario per l’alimentazione nel rilasciare i permessi per il reperimento dell’olio a norma del decreto ministeriale 22 maggio 1946, n. 141, direttive che hanno reso possibile una larga e scandalosa speculazione da parte dei borsari neri, tanto da far sollevare le masse popolari nei luoghi di produzione e da suscitare nella stampa e nell’opinione pubblica severe critiche, alle quali tuttora non si è data risposta soddisfacente. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Silipo, Musolino».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro della guerra, per sapere se ritenga favorevoli alla disciplina dell’esercito le successive riduzioni del diritto dei militari al premio della Repubblica. Infatti le prime decisioni stabilivano il premio in lire 1500 per tutti i militari, tranne quelli di leva; poi esso fu ridotto a lire 750, ed infine conferito solo al personale raffermato o con ferma speciale, occasionando così una viva delusione e malcontento fra i soldati trattenuti o richiamati. Conseguentemente chiede se non ritenga indispensabile che sia ripristinata la primitiva deliberazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Piemonte».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere se non ritenga opportuno di disporre per l’immediata esecuzione dei lavori di sistemazione montana riguardanti il torrente Forchiutta per un importo di lire 2.067.000 e del Rio Pizzul-Rudanasa per l’importo di lire 1.012.000, ambedue in comune di Paulaso (Udine), onde venire in aiuto a quella popolazione fortemente danneggiata dalle requisizioni di legname e dalla impossibilità di emigrare che ha determinato una fortissima disoccupazione. Si nota trattarsi del solo finanziamento perché i progetti esecutivi preparati dal Corpo forestale di Udine sono pronti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Piemonte».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro delle finanze, per conoscere se non ritenga opportuno dare precise e sollecite disposizioni agli intendenti ed agli ispettori locali affinché venga senz’altro disposta di ufficio una congrua diminuzione della tassa sul patrimonio e della sovrimposta immobiliare allorché esse gravino su stabili che già risultano notevolmente danneggiati o semidistrutti dalle azioni belliche, e ciò specialmente nei casi in cui trattasi di modeste proprietà, ad uso di abitazione, per le quali lo Stato non abbia ancora corrisposto il risarcimento del danno. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Taddia, Tega».

«I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri dell’interno, della pubblica istruzione, dei lavori pubblici e del tesoro, per conoscere se – considerato:

1°) che i fabbricati scolastici vengono ricostruiti con gli stessi errori ed inconvenienti pedagogici preesistenti;

2°) che la G.I.L. istituita con decreto presidenziale, ha tutte le caratteristiche della G.I.L. fascista, compresa la burocrazia dalla quale vengono assorbiti tanti denari che andrebbero alla beneficenza infantile;

3°) che i Patronati scolastici tendono ad essere tolti amministrativamente ai comuni i quali ne sono quasi ovunque unici finanziatori;

e visto che si possono determinare nei vari comuni particolari condizioni (malattie, raccolti, mancanza di combustibile, ecc.) per cui disposizioni inerenti ad esempio alle vacanze ed agli orari, possono essere di utilità in un comune e praticamente inattuabili in un altro, presa in esame la richiesta presentata dai sindaci della provincia di Bologna in data 19 agosto 1946 – non si intenda di provvedere:

1°) a far costruire i fabbricati scolastici distrutti dalla guerra e far acquistare il materiale didattico occorrente attenendosi alle norme suggerite dalla pedagogia e dalle leggi scolastiche;

2°) a sopprimere il Commissariato «GI», affidando quanto apparteneva alla ex G.I.L. ai Patronati scolastici, i quali dovranno essere di fatto comunali con rappresentanza comunale di maggioranza in seno ai Consigli amministrativi degli stessi;

3°) a concedere ai comuni – nell’attesa del finanziamento dei progetti già presentati ed approvati dal Provveditorato per le opere pubbliche, relativi alla ricostruzione degli edifici ed all’arredamento scolastico – di contrarre i debiti occorrenti con gli Enti finanziatori locali. Il Governo si assuma il breve pagamento degli interessi, rendendo rapide le pratiche necessarie. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Zanardi, Dozza, Taddia, Grazia, Colombi, Longhena, Tega».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno, per sapere come intenda provvedere agli urgenti bisogni del comune di Diano Marina, per l’assistenza ai colpiti dalla epidemia di tifo, tenendo presenti che al 18 settembre sono degenti nel lazzaretto dell’Albergo Paradiso 130 persone, che sarebbero dannate a morte se il comune dovesse abbandonarle; né diversa sarebbe la sorte dei convalescenti dimessi, bisognosi di soccorsi.

«Ora il comune non è assolutamente in grado di continuare l’assistenza perché la situazione è la seguente:

il deficit della gestione per l’assistenza ai colpiti dall’epidemia supera gli otto milioni (oltre i quattro milioni dovuti all’E.C.A.) ridotti a cinque mediante i tre milioni disposti ieri dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

«Per continuare l’assistenza occorrono lire 380.000 giornaliere.

«I creditori non intendono, se non sono soddisfatti del loro avere, fare altro fido, sicché, se il Governo non interviene, il comune, privo assolutamente di fondi, sarà costretto a smontare tutta l’attrezzatura e abbandonare gli ammalati.

«Si fa presente che la gestione è stata ed è controllata dall’Autorità prefettizia e dal dirigente sanitario, professor Capocaccia.

«Le spese non hanno superato i preventivi, a suo tempo approvati dall’Autorità prefettizia e dai sanitari e sono tutte corredate dalle pezze d’appoggio.

«È stato necessario creare ex novo tutta l’attrezzatura perché Diano Marina, paese di 3000 abitanti, non aveva che un modesto ospedale, occupato in gran parte dai degenti ordinari.

«Pertanto si insta perché il Governo invii senza indugio al comune i fondi occorrenti per saldare il deficit e per continuare l’assistenza ai degenti e ai convalescenti bisognosi.

«L’epidemia che ha colpito un migliaio di persone, di cui sono decedute un centinaio, è finalmente in via di decrescenza.

«Si confida che il Governo, intervenendo prontamente e adeguatamente, eviterà che l’opera di assistenza, in cui si sono avute tante prove di generosa carità e di abnegazione, non si chiuda con un disastro disperato. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Canepa, Pera, Viale».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se non ritenga opportuno ed urgente, a favore degli insegnanti elementari reduci e combattenti, e specialmente di quelli forniti di idoneità conseguita in passati concorsi, un provvedimento pel quale i medesimi vengano per l’imminente anno scolastico 1946-47 assunti senz’altro in ruolo, in sedi da assegnarsi provvisoriamente dai provveditori agli studi, in base alle domande di incarico provvisorio da essi presentate, salva la loro definitiva sistemazione in prosieguo di tempo. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rescigno».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se non ritenga urgente la sistemazione in ruolo, coi benefici loro promessi, dei professori medi degli ex-territori annessi, i quali per servire l’Italia sono andati incontro a duri sacrifici ed hanno patito danni gravissimi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rescigno».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se non ritenga opportuna – in considerazione della importanza della città, centro di una vasta e popolosa plaga – la istituzione di un liceo-ginnasio governativo con scuola media inferiore a Sarno (provincia di Salerno), dove già è in funzione dal 1944 una sezione distaccata del lontano liceo-ginnasio di Nocera Inferiore, e se, nella eventuale impossibilità immediata di tale istituzione, non ritenga almeno opportuno di dare disposizioni al provveditore agli studi di Salerno, perché la detta sezione distaccata venga completata, nel prossimo anno scolastico 1946-47, col funzionamento della terza classe liceale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rescigno».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dell’industria e commercio e l’Alto Commissario dell’alimentazione, per conoscere se è conforme al programma, tante volte conclamato, di favorire lo sviluppo delle cooperative di lavoro e di consumo, la consegna alla Associazione nazionale conservieri di tutto lo zucchero predisposto alla preparazione di conserve alimentari senza tener conto della cooperativa di produzione di conserve di Bentivoglio (Bologna), la quale, costituita da un centinaio di lavoratori autentici – ex partigiani e reduci – offre un mirabile esempio di dedizione operosa al principio della cooperazione.

«Gli interroganti chiedono il sollecito intervento del Governo, perché ancora una volta le grandi imprese conserviere non possano frustrare l’opera dei cooperatori di Bentivoglio, che con i loro sacrifici quotidiani fanno onore all’industria italiana. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Zanardi, Villani, Tega, Longhena».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere se non sia il caso di indire concorsi interni per cancelliere e aiutante di cancelleria tra gli impiegati avventizi assunti, dove si tenga molto conto dell’attività prestata e del giudizio su di essa espresso dai capi d’ufficio. Ciò gioverebbe molto al migliore andamento degli uffici giudiziari così scarsi di personale! (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Scàlfaro».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri del lavoro e previdenza sociale e dell’industria e commercio, per sapere se non ritengano opportuno di sottoporre al più presto all’approvazione del Governo il progetto di legge per la formazione dei Consigli di gestione nelle aziende agricole e industriali di determinate proporzioni. In considerazione anche del fatto che la loro istituzione sarebbe in questo momento forse il mezzo più efficace di controllo dei prezzi della produzione alla sua fonte e quindi di uno degli elementi principali del costo complessivo della vita. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Matteotti Carlo».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere se non ritenga estremamente urgente emettere decreto di proroga del blocco degli affitti in vista della prossima scadenza del decreto legislativo 12 ottobre 1945, n. 669, che lo stabilisce, per le gravissime conseguenze di carattere economico e politico che potrebbero derivare da lasciare libera, oltre alle altre, la speculazione privata in materia locativa ed edilizia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Matteotti Carlo».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere per quale ragione, nei concorsi degli insegnanti per i corsi di supplenza nelle scuole di Stato, in base ad una recente circolare interna del Ministero, sia stato disposto di considerare come elemento di giudizio gli anni di servizio fatti anche in scuole parificate o riconosciute, dove, come è noto, gli insegnanti sono assunti e giudicati senza norme.

«Si ritiene, infatti, che tale provvedimento porti l’influenza determinativa di tali giudizi arbitrari di scuole non statali, nell’assegnazione delle supplenze nelle scuole di Stato, dove il giudizio deve essere fatto secondo criteri ben determinati e costanti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Matteotti Carlo».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere in che cosa consista l’appoderamento di 100.000 ettari di terra, che il Presidente del Consiglio ha annunziato nella sua intervista a Parigi il 16 agosto ultimo scorso e per cui lo Stato avrebbe stanziato 10 miliardi.

«In particolare, in quali regioni esso sia stabilito, e se tale appoderamento sia soltanto una sistemazione di proprietà private a scopo unicamente tecnico e produttivo, che lasci intatti i diritti di proprietà, oppure se esso consista in una cessione obbligatoria di terre a organizzazioni operaie, anche a canoni di affitto, ma stabiliti per disposizioni di organi pubblici competenti, o in altri provvedimenti di carattere sociale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Matteotti Carlo».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri di grazia e giustizia e dell’agricoltura e foreste, per sapere se non creda di dovere comminare pene, più severe di quelle in atto al presente, ai trasgressori delle disposizioni sugli ammassi dei prodotti contingentati, in modo da rendere più efficiente il loro funzionamento soprattutto nel campo alimentare.

«Si segnala a tale proposito che nella sola provincia di Rovigo, di fronte a oltre 2000 denunce di mancato ammasso trasmesse dalla polizia, la magistratura ha dato esito ad appena 27 sentenze di condanna. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Matteotti Carlo».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri delle finanze e di grazia e giustizia, per sapere se non reputino necessario comminare pene severe a quei possidenti contribuenti, che essendo domiciliati in un comune, omettono, nella denuncia del proprio reddito, per il pagamento della tassa di famiglia, di segnalare i propri redditi provenienti da attività economiche situate in altri comuni diversi da quello di domicilio. Si denuncia, fra questi tipico, l’esempio di alcuni grandi proprietari agricoli di terre del basso Polesine, che abitano in parte nei più grandi centri urbani del Veneto. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Matteotti Carlo».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per sapere se non ritenga opportuno, aderendo ad una sempre più pressante richiesta degli organizzatori sindacali di base, di provvedere a trasferire la funzione del collocamento della mano d’opera, e quindi i relativi uffici di collocamento, dalle dipendenze degli uffici del lavoro e quelle delle Camere confederali del lavoro. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Matteotti Carlo».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se non ritenga opportuno, mentre viene assicurato un beneficio economico adeguato agli insegnanti che risiedono in città sinistrate, estendere questo provvedimento di giustizia a quegli insegnanti sinistrati di guerra, i quali, avendo perduto casa e mobilia, vivono abbandonati in provincia, costretti a crearsi con propri mezzi possibilità di vita nel nuovo ambiente. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Moro».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere per quale ragione non sia ancora stata risolta la situazione penosa degli internati civili in Africa. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Scàlfaro».

«Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se intenda mantenere immutati i decreti legislativi luogotenenziali 12 aprile 1945 e 16 novembre 1945, relativi alla ricostituzione della Accademia nazionale dei Lincei.

«Marchesi».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

Così pure l’interpellanza sarà iscritta all’ordine del giorno, qualora il Ministro interessato non vi si opponga nel termine regolamentare.

La seduta termina alle 19.35.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 16:

Seguito della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.

MARTEDÌ 17 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

XVII.

SEDUTA DI MARTEDÌ 17 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SARAGAT

INDICE

Sul processo verbale:

Caldera                                                                                              Congedi:

Presidente                                                                                                        

interrogazioni (Svolgimento):

Presidente                                                                                                        

Restagno, Sottosegretario di Stato per i lavori pubblici                                      

Basile                                                                                                               

Cappi                                                                                                                 

Corsi, Sottosegretario di Stato per l’interno                                                         

Terracini                                                                                                          

Spano, Sottosegretario ili Stato per l’agricoltura e le foreste                                

Miccolis                                                                                                           

Ruggeri                                                                                                            

Roselli                                                                                                             

Bellusci, Sottosegretario di Stato per la pubblica istruzione                                

Calamandrei                                                                                                   

Proposta di aggiunta al Regolamento della Camera (Seguito della discussione):

Presidente                                                                                                        

Sardiello                                                                                                         

Perassi, Relatore                                                                                               

Salerno                                                                                                            

Cappa, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio                            

Togni                                                                                                                

Caroleo                                                                                                           

Carboni                                                                                                            

Taviani                                                                                                               

Persico                                                                                                             

Mastino Pietro                                                                                                

Mozione (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

Cappa, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio                            

Interrogazioni e interpellanze (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

Cappa, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio                            

La seduta comincia alle 16.

DE VITA, Segretario, legge il processo verbale della seduta di venerdì 13 settembre.

Sul processo verbale.

CALDERA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CALDERA. Risulta dal verbale della seduta di giovedì 12 settembre che io avrei votato favorevolmente alla proposta di sospensiva della discussione sulla proposta di aggiunta al Regolamento. Tengo a dichiarare che ho votato contro insieme con tutto il gruppo al quale appartengo.

PRESIDENTE. Non essendovi altre osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Congedi.

PRESIEDENTE. Hanno chiesto congedo i Deputati: Mazzoni, Canevari e Cosattini.

(Sono concessi).

Svolgimento di interrogazioni.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca le interrogazioni. La prima è quella dell’onorevole Basile, al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dei lavori pubblici, «per sapere quando il Governo intenda realizzare il collegamento elettrico con la Sicilia – presupposto di ogni miglioramento delle deplorevoli condizioni economiche dell’Isola – e se sia vera l’informazione pubblicata dalla stampa che al progetto siano stati posti o siano ancora posti ostacoli, e nel caso che ciò sia rispondente al vero, se intenda comunicare all’Assemblea Costituente i documenti che occorrono per dimostrare che qualunque difficoltà di ordine tecnico o politico sia stata prospettata, è insussistente e non può che mascherare interessi contrastanti con lo sviluppo industriale della Sicilia, che è problema non regionale, ma italiano, – di alta giustizia – ed è necessità indilazionabile per la ricostruzione nazionale».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per i lavori pubblici ha facoltà di rispondere.

RESTAGNO, Sottosegretario di Stato per i lavori pubblici. Il Ministro dei lavori pubblici da un lato e la Compagnia Nazionale Imprese elettriche (Coniel) dall’altro, ripresero nel 1945 lo studio tecnico dell’attraversamento elettrico dello stretto di Messina e, nel tempo stesso, ripresero le trattative coi Ministeri della marina e dell’aeronautica per la parte di loro interesse.

Definito che l’attraversamento può effettuarsi con sicurezza soltanto per mezzo di cavi aerei, il Ministero della marina diede il suo assenso alle modalità tecniche proposte, mentre il Ministero dell’aeronautica si dimostrò nettamente contrario all’attraversamento aereo.

Successivamente però, in seguito a nuove premure, il Ministero dell’aeronautica accettò di studiare insieme le eventuali modificazioni necessarie per salvaguardare le sue esigenze, il che si sta facendo.

Attualmente non esistono quindi ostacoli di massima per il collegamento di che trattasi, tanto è vero che la società Coniel ha presentato a questo Ministero, in data 22 luglio corrente, domanda per ottenere l’autorizzazione a costruire l’elettrodotto costituente l’attraversamento dello stretto di Messina. Tale domanda è ora all’esame presso il Ministero.

È da far presente che gl’impianti idroelettrici dell’Italia continentale non sarebbero al momento in grado di fornire energia elettrica alla Sicilia, perché la produzione, a seguito anche delle distruzioni belliche, soltanto parzialmente riparate, è in modo sensibile inferiore alla potenzialità normale e deficiente anche alle necessità locali.

Perciò, allo scopo di facilitare la costruzione di impianti idroelettrici nell’isola, è stato emanato il decreto 17 marzo 1946, n. 505, con il quale viene accordata una sovvenzione per laghi artificiali e per impianti idroelettrici da costruire nell’isola, fino ad un massimo del 60 per cento dell’importo dei lavori.

PRESIDENTE. L’onorevole Basile ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

BASILE. Mi dichiarerei soddisfatto, se i lavori fossero stati iniziati, perché mi pare che la prima difficoltà, vale a dire l’eventuale disturbo alla navigazione aerea, non sia un argomento serio, perché i due piloni di 120 metri non potrebbero certo disturbare gli aerei. Sarebbe come dire che bisognerebbe tagliare le colline alte duecento metri, o, per esempio, tagliare la cima dell’Etna o del Vesuvio, per non intralciare la navigazione aerea.

Né mi pare accettabile l’altra osservazione che è stata fatta dall’onorevole Sottosegretario, che cioè le centrali elettriche del Continente non siano oggi in grado di fornire l’energia elettrica alla Sicilia: se esse sono oggi inefficienti, in conseguenza della guerra, non lo saranno in avvenire, fra un anno o fra diciotto mesi e questa difficoltà transitoria non pare sia ragione sufficiente per non incominciare i lavori. Intanto la situazione oggi è questa: che si sta costruendo una centrale termica, il che significa che lo Stato, invece di realizzare il collegamento elettrico con la penisola, che potrebbe farsi in un anno, spenderà centinaia di milioni per produrre nuova energia termica con l’impianto di macchinari costosi, che richiedono costosissimi carburanti. Oggi la situazione in Sicilia è giunta a una fase critica: nonostante tutte le limitazioni, nonostante le interruzioni cicliche diurne e serali della corrente elettrica, le città siciliane sono semibuie; e quest’anno nelle campagne, a causa della deficiente energia elettrica, si sono perdute estese piantagioni. È perciò necessario risolvere questo problema.

Il gruppo parlamentare siciliano ha votato ad unanimità – su mia proposta – un ordine del giorno per sollecitare la costruzione di quest’opera, che è vitale nell’interesse della Sicilia. Noi non possiamo infatti pensare ad uno sviluppo industriale della Sicilia senza questo presupposto, di avere a nostra disposizione energia idroelettrica, perché se si dovesse fabbricare un cerino o un ago con macchinari mossi a forza di nafta o di carbone, invece che con l’acqua, non si potrebbe mai fabbricare a buon prezzo, né si potrebbe sostenere la concorrenza delle altre industrie.

È interesse nazionale che ci sia domani, non solo una Sicilia agricola, ma anche una Sicilia industriale per utilizzare e trasformare le nostre materie prime: cotone, seta, essenze di fiori – zagare, gelsomini – zolfo, derivati degli agrumi per l’industrializzazione dei nostri prodotti agricoli e minerari veramente preziosi. È perciò una necessità che questo collegamento elettrico con la Sicilia sia fatto, e sia fatto al più presto. Perciò raccomando al Governo perché quest’opera così essenziale per la rinascita della Sicilia sia presto un fatto compiuto.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Basile, al Ministro dei lavori pubblici, «per sapere come e quando il Governo intenda venire in aiuto della città di Messina, risolvendo anzitutto la questione vitale della sistemazione del porto, in cui occorre provvedere alla rapida ricostruzione delle banchine e degli ormeggi, allo sgombero dei relitti di piroscafi affondati, che ostruiscono ancora l’approdo delle navi, paralizzando ogni ripresa della vita portuale e della rinascita di Messina».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per i lavori pubblici ha facoltà di rispondere.

RESTAGNO, Sottosegretario di Stato per i lavori pubblici. Per la parziale ricostruzione del porto di Messina è stato compilato ed approvato tecnicamente un progetto di massima che prevede una spesa di 500 milioni. L’attività svolta in attuazione di tale progetto si riassume come appresso:

1°) lavori appaltati e già eseguiti, lire 48.375.000;

2°) lavori appaltati e in corso di esecuzione, lire 76.312.000;

3°) lavori da appaltarsi subito (perizie in corso di approvazione), lire 88.800.000;

4°) progetti in corso di redazione da appaltarsi e iniziarsi fra la fine del corrente anno e i primi mesi del 1947, lire 342.000.000; in totale lire 555.487.000.

Per quanto concerne lo sgombero dei relitti di piroscafi affondati, sono in corso col Ministero del tesoro, d’intesa con quello della marina, le pratiche per l’assegnazione della somma di un miliardo e cinquecento milioni, necessaria per il salpamento di oltre 2 mila scafi tuttora affondati nei porti e lungo le coste nazionali.

PRESIDENTE. L’onorevole Basile ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

BASILE. Un dato incontrovertibile è questo, che fino ad oggi non sono stati ricostruiti nemmeno cento metri di banchina e che fino ad oggi nessuno dei relitti di piroscafi affondati (e ce n’è qualcuno che è carico di carbone) è stato recuperato. Ed allora si assiste a questo: che il carbone destinato alla Sicilia orientale, con la scusa delle difficoltà per le navi di approdare a Messina, approda in altri porti della Sicilia, da dove viene trasportato nella nostra città con carri ferroviari, sottraendoli naturalmente a quelle che sono le necessità del commercio. Èessenziale perciò che questi lavori – quelli che sono stati già appaltati e quelli che devono essere appaltati – siano eseguiti al più presto. Ed è necessario provvedere alla sistemazione portuale, preparando le attrezzature, i binari merci che collegano il porto con la stazione merci, le gru, le boe, perché ancora non si vede una gru riparata. E poiché il porlo, oltre che una esigenza e un interesse inderogabile della Sicilia marinara e commerciale, rappresenta la vita stessa della città di Messina, io chiedo che il Governo voglia interessarsi per esprimere coi fatti la volontà di ridar vita al magnifico porto di questa città, che è stata due volte distrutta in venticinque anni.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Cappi, al Ministro di grazia, e giustizia, «per conoscere: 1°) se non ritenga assurda la sopravvivenza del ruolo degli amministratori giudiziari compilato durante il regime fascista, quando – come è noto – requisito indispensabile per esservi iscritti era l’appartenenza al partito fascista e le così dette benemerenze fasciste costituivano il principale criterio di graduatoria; 2°) se, dato che la sopravvivenza del vecchio ruolo è offensiva e dannosa per quanti professionisti seppero mantenere durante l’abbattuto regime la propria dignità ed indipendenza, il Governo non ritenga opportuno disporre che il predetto ruolo venga considerato non più esistente e che, in attesa di uno nuovo, gli incarichi vengano dati a coloro che ne siano oggettivamente più meritevoli».

CAPPI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAPPI. Rinuncio, perché il Governo nel frattempo ha emanato gli opportuni provvedimenti.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Terracini, al Ministro dell’interno, «perché dica se non ritiene necessario deplorare il prefetto di Chieti, il quale, arrogandosi poteri che non gli spettano e piegando l’autorità dello Stato a servizio di parte, ha indirizzato 1’11 luglio una nota di riprovazione e di aperta deplorazione al sindaco di Lanciano per le parole da questo pronunciate nel suo discorso dell’11 giugno, in celebrazione della Repubblica, contro l’azione elettorale del clero e specialmente contro il manifesto pastorale emanato, la vigilia delle elezioni politiche, dai titolari delle cattedre vescovili ed arcivescovili di Abruzzo a coartazione della libera scelta degli elettori, manifesto condannato, sia pure con ragionato ritardo, persino dalle supreme autorità ecclesiastiche romane. L’atto del prefetto di Chieti (lesivo dei diritti elementari dei cittadini ed offensivo delle libertà comunali appena riconquistate, delle quali il sindaco è espressione e portavoce) fa supporre che in questo funzionario persistano atteggiamenti mentali e metodi di amministrazione che, propri del fascismo, non sono più tollerabili nel nuovo Stato repubblicano e democratico, e per i quali si esige un’aperta condanna da parte di chi è oggi investito del compito geloso di tutelare e rassodare le libertà appena riconquistate».

Il Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.

CORSI, Sottosegretario di Stato per l’interno. Il prefetto di Chieti, in seguito ad una protesta pervenutagli dall’Arcivescovo di Lanciano per alcune frasi pronunciate contro il clero dal sindaco della città anzidetta nel suo discorso celebrativo dell’avvento della Repubblica, si adoperava con personali premure sia presso l’Arcivescovo che presso il sindaco per una bonaria composizione della questione, cui da parte dell’autorità ecclesiastiche si era annessa particolare importanza, oltre che per il contenuto degli apprezzamenti stessi, soprattutto per il rilievo che l’oratore li aveva pronunziati, non come esponente di un partito politico, ma nella sua qualità di sindaco della città.

I passi svolti dal prefetto non condussero però alla desiderata rappacificazione, chè anzi il sindaco, in risposta ad una lettera direttagli dall’Arcivescovo, aveva fermamente replicato di non poter valutare diversamente, da quanto aveva fatto, la condotta tenuta dal clero dell’Abruzzo in occasione delle elezioni politiche.

A seguito di ciò il prefetto si era indotto ad inviare al sindaco di Lanciano una nota nella quale esprimeva il proprio rincrescimento per l’incidente occorso e deplorava che il sindaco avesse pronunciato frasi tali da dar luogo a così gravi risentimenti.

Solo in questo senso deve essere interpretata la nota del prefetto, che non ha evidentemente inteso giudicare il merito degli apprezzamenti di squisita natura politica espressi dal sindaco di Lanciano, di cui lo stesso prefetto loda la dirittura e le ottime qualità di amministratore.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

TERRACINI. Credo di non stupire l’Assemblea se dichiaro che non sono soddisfatto della risposta data dal Sottosegretario per l’interno alla mia interrogazione.

Intanto, sta di fatto che l’Arcivescovo si era già recato personalmente presso il sindaco (ed aveva in questa maniera esercitato un suo diritto di cittadino e non di vescovo), per cercare di spiegare direttamente quello che gli pareva essere un equivoco sorto relativamente alle intenzioni del clero nel corso della campagna elettorale. Questo passo esauriva tutto quello che poteva farsi in tale contingenza non solo fra uomo e uomo, fra cittadino e cittadino, ma anche fra un’autorità investita di un potere spirituale, quale era l’Arcivescovo, e un’autorità investita di un potere politico, quale era appunto il sindaco, appena eletto dalla massa popolare di quella città.

Il prefetto ha. desiderato di intervenire e di porre i suoi buoni uffici. Noi gliene avremmo fatto plauso, se egli si fosse limitato a questa funzione amichevole di conciliatore fra le due parti opposte. Ma ad un certo momento il prefetto ha incominciato egli stesso a parteggiare; e il richiamo che egli ha diretto al sindaco ha costituito appunto la manifestazione di chi ha assunto direttamente posizione nel conflitto, abbandonando la parte, in precedenza preferita, di pacificatore.

Abbiamo avuto nel corso delle ultime campagne elettorali uno spettacolo piuttosto doloroso e preoccupante, cioè lo schierarsi dimostrativo di una categoria di cittadini, godente nel nostro paese di alta autorità, contro una precisa disposizione della legge. È stata prova di grande saggezza da parte del Governo il non porre in moto allora quei mezzi di repressione che la legge aveva tuttavia posto a sua disposizione per tale evenienza malaugurata. Ma è evidente che non hanno dato prova di altrettanta saggezza quei funzionari i quali avrebbero dovuto, per loro competenza, prendere iniziative dirette ad impedire questa dimostrativa violazione della legge. Tanto più hanno mancato di saggezza, quando si sono schierati direttamente dalla parte di coloro che violavano la legge, contro coloro che elevavano rimostranze per la violazione della legge.

Il presello di Chieti si è certamente mal condotto; ed io sarei stato lieto se il Governo avesse colto questa occasione per dire espressamente che, nel quadro della Repubblica Italiana, i funzionari dello Stato possono nutrire idee od opinioni personali nei riguardi anche di avvenimenti di carattere politico e delle lotte politiche, ma – nei momenti in cui agiscono come funzionari della Repubblica – hanno un solo dovere: quello di far osservare le leggi; anche se, nel caso concreto, la legge violata non era ancora legge della Repubblica, perché infatti la legge elettorale era stata votata prima che la Repubblica sorgesse. Essa tuttavia era già certamente ispirata alle nuove concezioni di moralità e costume politico che noi vogliamo si realizzino integralmente nel quadro della Repubblica Italiana. Sappiamo tutti che in certi alti gradi della burocrazia, e specialmente della burocrazia tipicamente politica, vi sono ancora troppi residui e nostalgie di quel passato che noi vorremmo fosse già definitivamente superato.

Noi non chiediamo che si proceda per questo a nuove epurazioni, neanche in quei nuovi modi che vengono accennati in richieste di certi gruppi politici rappresentati in questa Assemblea. Ma pensiamo che ogni qual volta un pubblico funzionario manchi in maniera così precisa ed esplicita, come è avvenuto da parte del Prefetto di Chieti, a questo dovere fondamentale del cittadino della Repubblica di osservare le leggi e di farle osservare agli altri cittadini, il Governo ha il dovere di intervenire. In questo caso che io ho denunciato e deploro, invece, non solo il Governo non è intervenuto, ma prende oggi addirittura la difesa, per bocca del Sottosegretario agli interni, di un funzionario responsabile e colpevole. (Commenti).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno. Ne ha facoltà.

CORSI, Sottosegretario di Stato per l’interno. Voglio aggiungere all’onorevole Terracini che lo stesso Sindaco che aveva pronunciato quel discorso convenne sull’inopportunità dei rilievi contro il clero e l’Arcivescovo in occasione di una cerimonia ufficiale. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Terracini. Ne ha facoltà.

TERRACINI. Quella dichiarazione ha costituito per l’appunto la dimostrazione della buona volontà (Ilarità) del sindaco, autorità non nominata dall’alto, ma eletta dai suoi concittadini, di ricercare la pacificazione ed un accordo nell’incidente che era insorto.

È da rammaricarsi che l’Arcivescovo non abbia sentito lo stesso impulso ed abbia preferito stimolare il Prefetto e spingerlo ad un passo che fu avvertito, voglio sperare, come fonte di disagio da colui stesso che pure lo compì, anziché fare, a sua volta, un gesto di avvicinamento verso il sindaco della città.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Miccolis al Ministro dell’agricoltura e delle foreste, «per conoscere se ritiene giusto il provvedimento del premio assegnato ai consegnatari del grano agli ammassi in funzione dei periodi di consegna. Il provvedimento, che viene a favorire coloro i quali ebbero a seminare i grani precoci prima della promulgazione del provvedimento stesso, quelli che si trovano in pianura ed i grossi agricoltori attrezzati per una rapida trebbiatura, viene invece ad escludere i piccoli agricoltori dipendenti dal turno imposto dalle trebbiatrici a noleggio, nonché gli agricoltori della media e alta collina. Si prospetta la necessità di eliminare ingiustificate sperequazioni e di corrispondere a tutti gli agricoltori il premio in unica misura, purché la consegna non vada oltre una data fissa, che potrebbe essere quella del 31 agosto».

SPANO, Sotto segretario di Stato per l’agricoltura e le foreste. Le preoccupazioni dell’onorevole interrogante sono giuste in linea di principio, ma non sono giuste in via di fatto.

La scadenza del premio di sollecito con ferimento, stabilito per la consegna dei cereali al 31 luglio, è stato prorogato al 10 agosto scorso. Successivamente a tale data il premio sarà corrisposto esclusivamente agli agricoltori, che entro il 18 agosto abbiano regolarizzato la loro posizione statistica all’UCSEA e si impegnino a conferire il prodotto nei termini prescritti, nonché a quelli che, non avendo ancora terminato la trebbiatura, conferiscano tutti i quantitativi dovuti entro 8 giorni dall’ultimazione della trebbiatura stessa.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

MICCOLIS. Non posso dichiararmi soddisfatto, perché il premio è di diversa misura. Lo Stato assegna un premio di 600 lire e poi di 300, a seconda della data di consegna.

Dobbiamo considerare che le condizioni dell’Italia, sia dal punto di vista climatico che topografico, sono così varie, che noi non possiamo ritenere il premio come assegnato esclusivamente alla solerzia degli agricoltori. Noi dobbiamo tenere presenti le varie zone dove gli agricoltori seminano e la loro attrezzatura.

In effetti, dunque, quando il Ministero dell’agricoltura fissa il primo premio per 600 lire – non ricordo esattamente gli altri dettagli – viene a premiare esclusivamente gli agricoltori che si trovino nelle zone più precoci d’Italia, mentre esclude quelli che si trovino in media ed in alta collina, ed i piccoli agricoltori, i quali non avendo attrezzature proprie, sono costretti ad effettuare la trebbiatura a noleggio.

Si domanda che il premio sia unico per tutti.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Ruggeri, al Ministro dei lavori pubblici, «per sapere se, allo scopo di lenire con urgenza la dilagante disoccupazione ed in previsione dell’impiego per importanti lavori pubblici di mezzi provenienti da misure finanziarie di emergenza, non ritenga opportuno disporre che intanto vengano utilizzati gli attuali stanziamenti di bilancio, concentrandoli nel corrente semestre, onde ottenere il duplice risultato di dare un forte impulso a dette opere ed impostare i lavori prima della stagione invernale; se, in connessione con tale provvedimento, non ritenga indispensabile mobilitare tutti gli apparati tecnici ed amministrativi delle provincie e dei comuni che abbiano la necessaria efficienza, incaricando gli stessi della progettazione, degli appalti e dell’esecuzione, e concedendo i relativi finanziamenti, salvo la riserva al Genio civile dei collaudi e della definitiva liquidazione. Tale provvedimento, già annunciato nel programma dell’attuale Governo e ritenuto utile dai precedenti, come da circolare 25 gennaio 1945, n. 309, diretta ai prefetti e con decreto legislativo luogotenenziale 12 ottobre 1945, n. 690, articolo 4, dovrebbe concretizzarsi con provvedimento legislativo e conseguente regolamento, per consentire agli Enti locali di farsi parte diligente per delle progettazioni ed impegnare la personale responsabilità dei funzionari del Genio civile e dei Provveditorati alle opere pubbliche per la evasione in termini stabiliti di ciò che loro compete. Si ritiene che questo provvedimento concorrerebbe a risolvere le difficoltà burocratiche inerenti all’inizio ed esecuzione dei lavori pubblici, difficoltà sentite e lamentate da tutti gli amministratori degli Enti locali».

RESTAGNO, Sottosegretario di Stato per i lavori pubblici. Il Ministero dei lavori pubblici si è da tempo vivamente preoccupato di predisporre tutti i mezzi atti ad accelerare l’esecuzione di lavori pubblici, anche a sollievo della grave disoccupazione operaia ed agricola, ed, in relazione alle somme straordinarie all’uopo autorizzate con vari provvedimenti legislativi, ha disposto l’inizio delle opere finanziate, che sono tuttora in corso.

Si è data la precedenza a quei lavori, anche di interesse di enti locali (provincia, comuni, istituzioni pubbliche di beneficenza ed enti pubblici di assistenza), che consentivano il più largo e tempestivo impiego di mano d’opera non specializzata, tenendo tuttavia conto della necessità di dar preferenza a quei lavori che giovavano a ripotenziare le varie attività delle singole regioni.

Allo scopo di utilizzare tutte le forze produttive, si è fatto uso della facoltà di cui all’articolo 4 del decreto legislativo luogotenenziale 12 ottobre 1945, n. 690, affidando agli enti locali, che avevano uffici tecnici attrezzati, l’esecuzione dei lavori di loro competenza che venivano finanziati con i fondi per la disoccupazione.

Di tale sistema il Ministero intende continuare a valersi sempre più, affidando agli enti stessi anche la progettazione e la direzione dei lavori, di guisa che gli uffici del Genio civile ed i Provveditorati regionali alle opere pubbliche si limiteranno ad esercitare l’alta sorveglianza e a disporre i pagamenti ed effettuare i collaudi dei lavori compiuti che, per ovvie ragioni, non possono essere delegati agli enti interessati. Su tale preciso intendimento è stata richiamata l’attenzione dei prefetti, dei provveditori alle opere pubbliche e degli ingegneri capi del Genio civile, con recente circolare telegrafica.

In pari tempo, si e cercato di semplificare le procedure per l’approvazione dei progetti ed i pagamenti, decentrando ai Provveditorati ed agli uffici del Genio civile ogni più ampio potere, giusta il decreto legislativo luogotenenziale 27 giugno 1946, n. 37.

Per quanto riguarda i lavori da eseguire nel corrente esercizio, si fa rilevare che non è possibile utilizzare in un periodo limitato tutti i fondi stanziati nello stato di previsione della spesa del Ministero. Essendo stato autorizzato l’esercizio provvisorio del bilancio per il primo trimestre 1° luglio-30 settembre 1946, possono per ora essere impegnate ed utilizzate solo le somme relative al trimestre.

Per le opere straordinarie si dovrà provvedere con autorizzazioni di spesa straordinarie. Ed in relazione a ciò, è in corso la compilazione di un programma organico dei lavori da eseguire nel corrente esercizio, per i quali sono stati già autorizzati fondi per lire 33 miliardi, in acconto della spesa di lire 200 miliardi, riconosciuta in linea di massima indispensabile dal Comitato interministeriale per la ricostruzione.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

RUGGERI. Mi dichiaro soddisfatto; intenderei però sottolineare la necessità di decentrare veramente agli enti locali, sia per quanto riguarda i lavori, che per quanto si riferisce alla progettazione, alla esecuzione e al finanziamento. Non risulterebbe che i Geni civili attualmente seguano questa organizzazione, cioè finanzino e consegnino i lavori ai comuni e alle provincie. Nella mia regione i Geni Civili intendono progettare, appaltare, controllare e finanziare: i comuni vengono per il 90 per cento estromessi. Richiamo l’attenzione su questo fatto che può intralciare. È un problema organizzativo, non burocratico.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Roselli, al Ministro dei lavori pubblici, «sulla necessità di una pronta decisione per la nomina, da parte del Governo, della Delegazione incaricata di trattare con il Governo svizzero per l’idrovia Locarno-Venezia e concludere rapidamente le trattative sulla base dei punti seguenti: 1°) a carico della Svizzera: la progettazione definitiva del canale e concorso nelle spese dei lavori con anticipo e in misura non inferiore a1 50 per cento della spesa totale; 2°) costruzione del canale per natanti da 600 tonnellate, secondo la formula internazionale, con navigabilità in ogni giorno e ora dell’anno; 3°) libertà di navigazione assicurata alla Svizzera, secondo il diritto internazionale; 4°) sistemazione e tutela, in linea di massima e di principio e di fatto, delle necessità e risorse idriche delle zone agricole adiacenti al canale; 5°) celere inizio dei lavori, anche per ovviare ai danni della disoccupazione. Gli interessati chiedono come mai il Governo abbia tanto ritardato nell’appoggiare questa iniziativa, e perché non si affretti a nominare la Delegazione d’intesa con gli enti interessati. L’interrogante sottolinea l’estrema urgenza economica e sociale di una soluzione, tanto più che al Governo non si chiedono né denari, né compromissioni in partenza».

Prego l’onorevole Roselli di voler consentire al rinvio della sua interrogazione, desiderando il Ministro Romita rispondere personalmente.

ROSELLI. Consento.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Di Giovanni, ai Ministri dell’agricoltura e foreste e di grazia e giustizia, «sulla predisposizione dell’ispettorato agrario per la provincia di Siracusa ad ostacolare le aspirazioni delle cooperative agricole di lavoro nella concessione delle terre incolte o mal coltivate, sia per la determinazione delle indennità a favore dei proprietari, quasi sempre eccessive, sia per l’imposizione di lavori di bonifica a carico delle cooperative, non compatibili con la brevità delle concessioni. Né le cooperative trovano la necessaria tutela nelle speciali Commissioni, per quanto presiedute da magistrati, anch’esse piuttosto inclini a sostenere le pretese dei proprietari, tanto nella determinazione delle indennità e nella convalida di procedure assicurative e coattive, spesso astiose, che espongono le cooperative a costosi litigi, quanto nella negata proroga annuale delle concessioni, in conseguenza di una erronea e troppo letterale applicazione del decreto di proroga. Tutto ciò tradisce lo spirito informatore dei provvedimenti sulla concessione delle terre incolte o mal coltivate, provoca il malcontento giustificato dei lavoratori e li costringe alla disoccupazione, con il conseguente pericolo per l’ordine pubblico».

Non essendo l’onorevole interrogante presente, s’intende che vi abbia rinunziato.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Lombardi Carlo al Presidente del Consiglio dei Ministri, «per sapere se – considerato che la monda del riso è in corso quest’anno con la retribuzione giornaliera di lire 285, che lo stesso Ministero dell’agricoltura riconosceva, al termine delle trattative, come inferiore di lire 15 al minimo necessario per un lavoro fra i più faticosi tuttora condotto in condizioni di alimentazione, di alloggio e di igiene indegne di una società civile ed organizzata –  non ritenga equo ed opportuno estendere il premio della Repubblica a questa categoria di lavoratrici nella misura di lire 500 per ogni mondariso locale o forestiera».

Avverto che l’onorevole Sottosegretario di Stato per i lavori pubblici non è presente, e che quindi l’interrogazione si intende rinviata.

Segue l’interrogazione degli onorevoli Calamandrei e Codignola, ai Ministri della pubblica istruzione e dell’assistenza post-bellica, «per conoscere quali provvedimenti intendano adottare per continuare nel prossimo anno accademico 1946-47 l’assistenza agli studenti reduci e per ovviare ai gravissimi inconvenienti causati nel decorso anno dalla mancata coordinazione tra i provvedimenti del Ministro della pubblica istruzione, che hanno istituito i corsi di integrazione divisi in due semestri per ogni anno, e i provvedimenti del Ministro dell’assistenza post-bellica, che hanno limitato ad un solo semestre le erogazioni destinate a provvedere al mantenimento degli studenti iscritti a tali corsi, coll’assurda conseguenza che alle Università che hanno fin dall’inizio del primo semestre provveduto coi loro mezzi ad anticipare agli studenti reduci il vitto e l’alloggio affidandosi alle istruzioni contenute nelle circolari ministeriali, il Ministero dell’assistenza post-bellica nega il rimborso delle spese anticipate».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per la pubblica istruzione ha facoltà di rispondere.

BELLUSCI, Sottosegretario di Stato per la pubblica istruzione. L’esame della richiesta fatta dagli onorevoli Calamandrei e Codignola per conoscere quali provvedimenti si intendano adottare per continuare nel prossimo anno scolastico 1946-47 l’assistenza materiale agli studenti reduci, rientra nell’esclusiva competenza del Ministero della assistenza post-bellica.

È a tale riguardo opportuno riferirsi alla circolare 26 agosto 1945, n. 9800, inviata dal Ministero dell’istruzione a tutte le Università e a tutti gli Istituti di istruzione superiore, la quale rese note, in merito alle provvidenze da attuare in favore degli studenti reduci, le rispettive sfere di competenza del Ministero della pubblica istruzione e di quello dell’assistenza post-bellica.

Secondo tale circolare, erano di competenza del Ministero della pubblica istruzione i provvedimenti di carattere amministrativo che, in effetti, sono stati, poi, emanati con decreto legislativo luogotenenziale 27 ottobre 1945, n. 893 (istituzione di corsi semestrali per studenti reduci ed assimilati, dispensa dal pagamento delle tasse scolastiche, pagamento degli insegnanti e via dicendo), mentre rientravano nella competenza del Ministero dell’assistenza post-bellica gli altri provvedimenti di vera e propria assistenza materiale agli studenti, quali la istituzione di mense, la concessione di sussidi, ecc.

Il Ministero della pubblica istruzione faceva presente in detta circolare che non poteva intervenire nella questione dell’assistenza materiale, nemmeno per impartire direttive di massima, in quanto riconosceva che il problema dell’assistenza materiale assumeva aspetti diversi nei diversi luoghi e che, pertanto, una soluzione che poteva convenire in una sede sarebbe stata inadatta in altra sede.

Il Ministero, inoltre, precisava che le varie soluzioni dovevano essere studiate direttamente fra il Ministero dell’assistenza post-bellica, al quale facevano carico le spese, e le singole Università che dovevano concorrere nei limiti del possibile e provvedere alla organizzazione dei modi concreti dell’assistenza.

Pertanto la questione per il mancato rimborso delle quote di vitto e di alloggio anticipate dalle Università (questione che ha determinato l’interrogazione) deve essere trattata direttamente dalle singole Università e detto Ministero, presso il quale questa Amministrazione centrale non mancherà d’interporre i suoi buoni uffici.

PRESIDENTE. L’onorevole Calamandrei ha facoltà di dichiarare se è soddisfatto.

CALAMANDREI. Non posso dichiararmi soddisfatto di questa risposta, la quale è semplicemente una specie di riepilogo storico di quello che è stato fatto tra il Ministero dell’istruzione e il Ministero dell’assistenza post-bellica in relazione alle provvidenze a favore degli studenti reduci, nello scorso anno. Ma quello che è stato fatto l’anno scorso, modestamente lo so anche io; ed era proprio per sapere quali sono le intenzioni dei due Ministeri nel prossimo anno che io mi ero permesso di rivolgere questa interrogazione. Perché l’anno scorso avvenne questo: che mentre il Ministero dell’istruzione pubblica stabilì che a favore degli studenti reduci di tutte le Università venissero tenuti due corsi integrativi accelerati, i quali in un anno tenessero il luogo di due anni, il Ministero dell’assistenza post-bellica stabilì invece che di questi due semestri soltanto uno venisse accompagnato dall’assistenza a favore degli studenti, consistente nell’assegnazione di una somma per il vitto e per l’alloggio, in modo che gli studenti reduci, che si suppone non possano studiare se non sono economicamente aiutati e messi in grado di avere nella sede universitaria alloggio e vitto gratuito, si trovarono l’anno scorso in questa singolare condizione: che furono messi in grado di aver questa assistenza gratuita per un semestre, e per l’altro semestre no.

Si vorrebbe sapere quindi dai due Ministri se anche l’anno prossimo si rinnoverà questa singolare discordanza fra le loro provvidenze. Era questo il punto su cui chiedevo spiegazioni e intorno al quale nessuna spiegazione è stata data. È quindi chiaro che non posso essere soddisfatto.

PRESIDENTE. Il tempo assegnato allo svolgimento delle interrogazioni è così esaurito.

Seguito della discussione sulla proposta di aggiunta al Regolamento della Camera.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione sulla proposta di aggiunta al Regolamento. (Doc. II, n. 5).

Ricordo che nella seduta di venerdì fu dichiarata chiusa la discussione generale. Si passa ora alla discussione dell’articolo aggiuntivo e degli emendamenti proposti. Si dia lettura dell’articolo aggiuntivo.

DE VITA, Segretario, legge:

«Per determinare quali disegni di legge – all’infuori di quelli per i quali la deliberazione dell’Assemblea Costituente è preveduta dall’articolo 3 del decreto legislativo 16 marzo 1946, n. 98 – debbano essere deliberati dall’Assemblea, sono istituite quattro Commissioni permanenti, per le materie di competenza, rispettivamente:

1°) della Presidenza del Consiglio e dei Ministeri: interno, grazia e giustizia, pubblica istruzione, guerra, marina militare, aeronautica, assistenza post-bellica; dell’Alto Commissariato per l’igiene e la sanità pubblica;

2°) dei Ministeri: finanze, tesoro;

3°) dei Ministeri: industria e commercio, lavoro e previdenza sociale, commercio con l’estero, agricoltura e foreste e dell’Alto Commissariato per l’alimentazione;

4°) dei Ministeri: lavori pubblici, trasporti, marina mercantile, poste e telecomunicazioni.

«Il Presidente dell’Assemblea, al quale saranno inviati dal Governo tutti i disegni di legge deliberati dal Consiglio dei Ministri, li trasmetterà alle Commissioni competenti.

«Ciascuna Commissione rinvierà al Governo i disegni di legge, indicando quelli che essa ritenga debbano essere sottoposti alla deliberazione dell’Assemblea Costituente per la loro importanza tecnica o politica.

«Le Commissioni dovranno deliberare su ciascun disegno di legge nel termine di quindici giorni dalla ricezione di esso. Decorso detto termine senza che la Commissione competente si sia pronunciata, il Governo potrà dar corso al disegno di legge a norma dell’articolo 3 del decreto legislativo 16 marzo 1946, n. 98.

«Se il Governo dichiara l’urgenza, il termine è ridotto a cinque giorni.

«Le Commissioni saranno composte mediante designazione degli Uffici, in ragione di un delegato per quelli che comprendono non più di cinquanta Deputati e di uno per ogni cinquanta, senza computare le frazioni, per gli altri Uffici.

«Le Commissioni si costituiranno nominando il presidente, il vicepresidente e un segretario».

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Sardiello. Ne ha facoltà.

SARDIELLO. Il Gruppo parlamentare repubblicano tiene a dichiarare che nelle proposte modifiche del Regolamento vede soprattutto una soluzione delle esigenze immediate attinenti all’importante problema ora dibattuto. Ritiene però che esigenze precipuamente di carattere giuridico richiedano che il problema sia posto all’altezza che ad esso è dovuta e risoluto in una forma adeguata. Per questo abbiamo presentato una mozione, la quale propone che alla questione sia data una sistemazione adeguata per mezzo di una legge costituzionale provvisoria, valevole sino all’approvazione della Costituzione definitiva e da sottoporsi alla discussione ed alla approvazione dell’Assemblea.

Con questi chiarimenti, così intendendo cioè il valore delle modifiche al Regolamento, noi del Gruppo repubblicano voteremo favorevolmente alle proposte modifiche.

PRESIDENTE. Passiamo alla discussione del primo comma dell’articolo aggiuntivo:

«Per determinare quali disegni di legge – all’infuori di quelli per i quali la deliberazione dell’Assemblea Costituente è preveduta dall’articolo 3 del decreto legislativo 16 marzo 1946, n. 98 – debbano essere deliberati dall’Assemblea, sono istituite quattro Commissioni permanenti, per le materie di competenza, rispettivamente:

1°) della Presidenza del Consiglio e dei Ministeri: interno, grazia e giustizia, pubblica istruzione, guerra, marina militare, aeronautica, assistenza post-bellica; dell’Alto Commissariato per l’igiene e la sanità pubblica;

2°) dei Ministeri: finanze, tesoro;

3°) dei Ministeri: industria e commercio, lavoro e previdenza sociale, commercio con l’estero, agricoltura e foreste e dell’Alto Commissariato per l’alimentazione;

4°) dei Ministeri: lavori pubblici, trasporti, marina mercantile, poste e telecomunicazioni».

Ha chiesto di parlare il Relatore, onorevole Penassi. Ne ha facoltà.

PERASSI, Relatore. Devo rilevare una omissione materiale nella elencazione dei Ministeri attribuiti alla competenza della prima Commissione. Occorre aggiungere il Ministero degli affari esteri.

È evidente che i disegni di legge del Ministero degli affari esteri, se riguardano l’approvazione di trattati, vanno alla Commissione dei trattati, in conformità a quanto è detto nel comma 1°; ma è da tener presente che il Ministero degli affari esteri può anche presentare disegni di legge di altro genere, che non concernono trattati. Propongo quindi che al numero 1°), dopo le parole: «della Presidenza del Consiglio e dei Ministeri» si aggiungano le altre: «affari esteri».

PRESIDENTE. Pongo ai voti il 1° comma con l’aggiunta proposta dal Relatore.

(È approvato).

Passiamo al 2° comma.

«Il Presidente dell’Assemblea, al quale saranno inviati dal Governo tutti i disegni di legge deliberati dal Consiglio dei Ministri, li trasmetterà alle Commissioni competenti».

PRESIDENTE. A questo comma gli onorevoli: Canevari, De Michelis, Arata, Montemartini, Salerno, Mariani Francesco, Malagugini, Fornara, Faccio, Lombardi Giovanni, hanno proposto il seguente emendamento:

«Dopo le parole: dal Governo, aggiungere: salvo i casi di massima urgenza».

L’onorevole Salerno ha facoltà di svolgere l’emendamento.

SALERNO. L’emendamento da noi proposto, senza vulnerare la norma a cui l’articolo aggiuntivo è improntato, la adegua alle esigenze della pratica, alle condizioni eccezionali nelle quali vive la Nazione. Il Governo invia al Presidente dell’Assemblea i disegni di legge deliberati dal Consiglio dei Ministri. Il Presidente dell’Assemblea li trasmette poi alle Commissioni competenti. Questa è la regola. Ma non si può negare che vi possono essere condizioni eccezionali, per le quali questo invio dei disegni di legge deliberati dal Consiglio dei Ministri non può essere effettuato e che cioè questi disegni non possono essere trasmessi all’Assemblea e quindi esaminati dalle Commissioni senza determinare intralci o pericolosi ritardi.

Purtroppo noi viviamo ancora in una atmosfera di eccezione. Si è parlato di una economia di guerra; si potrebbe dire che la Nazione vive in una condizione di guerra. È logico che, ricorrendo particolari circostanze, debba essere al Governo riservata la possibilità di fronteggiarle con dei provvedimenti che, indugiandosi in discussioni e dibattiti, potrebbero frustrare quelle finalità alle quali si dove tendere. Perciò vi è un’espressione che deve essere ben limitatrice di questa facoltà, che imbriglia per così dire la facoltà: non si parla solo di casi d’urgenza, ma si dice «di massima urgenza»; tanto più che per l’urgenza il testo dell’articolo aggiuntivo prevede una certa procedura di termini abbreviati, come si vedrà nella discussione ulteriore, per cui le Commissioni, invece di decidere in 15 giorni, potranno decidere in 5 giorni. Ma nei casi di massima urgenza anche questi termini abbreviati potrebbero non essere sufficienti e sarebbe invece indispensabile che il Governo avesse facoltà di provvedere. Certo anche il criterio della massima urgenza è empirico, perché non è facile stabilire quali siano i casi di massima urgenza; ma questo criterio, appunto perché non matematicamente preciso, impegna il senso di responsabilità del Governo, il quale farà uso di questa facoltà in quei casi nei quali veramente le eccezionali condizioni del paese lo impongano.

PRESIDENTE. Chiedo al Relatore se accetta l’emendamento.

PERASSI, Relatore. Se il Governo ritiene necessaria questa restrizione, quale risulta dall’emendamento proposto, la Giunta del Regolamento non ha difficoltà a che sia accolta.

PRESIDENTE. Chiedo al Governo se accetta.

CAPPA, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Il Governo accetta l’emendamento proposto. Con la modifica al Regolamento che si sta discutendo dovranno essere portati all’Assemblea, attraverso le Commissioni, tutti i disegni di legge che saranno approvati dal Consiglio dei Ministri. È giusto, e mi pare opportuno specialmente in questo momento, in cui molte volte i provvedimenti urgono, che sia riservato al giudizio del Governo di poter provvedere, nei casi di massima urgenza, senza attendere il responso dell’Assemblea. Del resto l’Assemblea deve tener conto che in virtù del noto articolo 3 essa ha dei diritti e dei poteri del tutto sovrani, in quanto può, in qualunque momento, proporre la sfiducia al Governo: quindi è da pensare che il Governo non userà della facoltà contenuta nell’emendamento proposto, se non quando riterrà di avere il consenso dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Pongo ai voti il secondo comma con l’aggiunta proposta dall’onorevole Canevari ed altri, accettata dal Relatore e dal Governo.

(È approvato).

Passiamo al terzo comma:

«Ciascuna Commissione rinvierà al Governo i disegni di legge, indicando quelli che essa ritenga debbano essere sottoposti alla deliberazione dell’Assemblea Costituente per la loro importanza tecnica o politica».

A questo comma l’onorevole Crispo ha proposto il seguente emendamento:

«Dopo le parole: alla deliberazione dell’Assemblea Costituente, sopprimere le altre: per la loro importanza tecnica o politica».

Ha proposto anche, dopo il 3° comma, di aggiungere il seguente:

«La procedura per la deliberazione della Assemblea avrà luogo in conformità delle disposizioni del Regolamento».

Poiché l’onorevole Crispo non è presente, si intende che vi abbia rinunziato.

Pongo ai voti il terzo comma nel testo proposto dalla Giunta del Regolamento.

(È approvato).

Passiamo al quarto comma:

«Le Commissioni dovranno deliberare su ciascun disegno di legge nel termine di quindici giorni dalla ricezione di esso. Decorso detto termine senza che la Commissione competente si sia pronunciata, il Governo potrà dare corso al disegno di legge a norma dell’articolo 3 del decreto legislativo 16 marzo 1946, n. 98».

Su questo comma non è stato presentato nessun emendamento e, pertanto, lo pongo ai voti.

(È approvato).

Segue il quinto comma:

«Se il Governo dichiara l’urgenza, il termine è ridotto a cinque giorni».

A questo comma sono stati proposti tre emendamenti aggiuntivi. Il primo è dell’onorevole Crispo, così formulato:

«Aggiungere le parole seguenti: quando la Commissione competente riconosca l’urgenza».

Non essendo presente l’onorevole Crispo, s’intende che vi abbia rinnunziato.

Il secondo è degli onorevoli Togni, Taviani, Braschi, i quali hanno proposto di aggiungere dopo il 5° comma:

«Qualora la sessione di lavori dell’Assemblea sia chiusa, e sia stata dichiarata l’urgenza di un provvedimento, la Commissione competente lo rinvierà al Governo, entro i cinque giorni, con le sue eventuali osservazioni».

L’onorevole Togni ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

TOGNI. Nel presentare l’emendamento oggetto della discussione, ci siamo preoccupati, come del resto ha spiegato l’onorevole Salerno, di evitare intralci all’opera fattiva e al regolare lavoro del Governo, nel caso che la sessione di lavori dell’Assemblea sia chiusa. Ma poiché è stato approvato l’emendamento dei colleghi Canevari, De Michelis ed altri, in cui si prospetta il caso di urgenza, noi riteniamo che il nostro emendamento sia da quello assorbito, e quindi lo ritiriamo.

PRESIDENTE. Il terzo emendamento è quello proposto dall’onorevole Caroleo:

«Dopo l’emendamento Togni, Tornami, Braschi, al 5° comma, aggiungere:

«I disegni di legge così rinviati e tutti gli altri provvedimenti, che le Commissioni avranno ritenuto di non sottoporre alla deliberazione dell’Assemblea, dovranno essere portati all’esame di quest’ultima nella prima o seconda seduta successiva alla pubblicazione dei relativi decreti, per la conversione in legge, in parziale deroga all’articolo 6 del decreto legislativo 16 marzo 1946, n. 98».

L’onorevole Caroleo ha facoltà di svolgerlo.

CAROLEO. L’emendamento proposto, e di cui ho avuto l’onore di occuparmi in una precedente seduta, mirava ad una certa coerenza logica fra queste proposte di aggiunta al Regolamento, che, nella sostanza, riconoscono all’Assemblea Costituente la sovranità della funzione legislativa, sia pure subordinata all’iniziativa del Governo, e quelle che erano e sono ancora le norme del decreto legislativo del 16 marzo 1946. Ciò in quanto, all’articolo 6 di questo decreto, si prevede il rinvio al nuovo Parlamento di tutti i decreti legge dell’Esecutivo in funzione durante il periodo della Costituente, e quella previsione era ben logica, in armonia con questo proposito di rinvio e con l’esclusione dell’Assemblea Costituente dalla partecipazione al lavoro legislativo ordinario del proprio Governo. Ma ora che bene o male, in una forma già approvata da molti settori, si è venuto a trasferire il potere legislativo alla Costituente, mi sembra che non sia perfettamente conforme alla buona logica comune e giuridica, rinviare, il controllo dei provvedimenti legislativi che il Governo andrà ad emettere – e che non passeranno per una ragione o per l’altra al vaglio anticipato dell’Assemblea Costituente – a detto nuovo Parlamento. Siffatti decreti proverranno dall’iniziativa del Governo della Costituente, del Governo cioè responsabile verso questa Assemblea, e mi pare incompatibile che rispetto all’attività di questo Governo responsabile verso la Costituente, ci debba essere in un lontano avvenire un diverso potere di controllo di altro Parlamento.

Sul terreno pratico, quando una modifica, in qualunque forma sia stata proposta ed in qualunque forma dovrà essere in definitiva approvata, porta a profondi mutamenti di sostanza, è necessario inserire nella formulazione letterale quegli accorgimenti che, senza offendere gli organi e le persone, valgano a renderla il più possibile completa, per la serietà della stessa modifica.

Ora io non ho alcuna sfiducia verso il Governo dell’Assemblea; non voglio minimamente dubitare dell’esercizio scrupoloso e diligente del potere di esame e di delibazione che faranno le quattro Commissioni in via di nomina, ma non è ammissibile che, alla delega di potere legislativo al Governo, si accompagni un’altra delega di potere legislativo alle Commissioni, le quali deliberino per conto loro, senza che l’Assemblea abbia la possibilità di un proprio controllo. Questo controllo deve essere nei limiti e nell’ambito della stessa Assemblea Costituente. Io ho inteso dall’onorevole Gullo Rocco che il gruppo socialista prestava adesione alla prima parte di questo mio emendamento, in quanto esso sembrava logico per il primo punto, mentre, per la seconda parte, c’era la preoccupazione di un sovraccarico di lavoro per l’Assemblea Costituente. Però mi permetto di osservare, in relazione a questo rilievo dell’onorevole Gullo, peraltro apprezzabile, che siccome c’è sempre un potere deliberativo, che si esercita anticipatamente dalle Commissioni, dovrebbero sfuggire al preventivo controllo, alla deliberazione dell’Assemblea soltanto quei provvedimenti, che non interesserebbero concretamente la stessa Assemblea. Ed allora si tratterebbe, in un secondo tempo, di una approvazione puramente formale, e noi abbiamo anche dei precedenti nella nostra prassi legislativa di decreti che si sono portati in blocco per migliaia alla ratifica del Parlamento. Comunque, io mi sono limitato a proporre un emendamento per ragioni di coerenza logica e per impulso di sensibilità giuridica, così come ho avuto l’onore di esporre all’Assemblea, la quale farà dello emendamento quel conto che, nel suo saggio apprezzamento, crederà di fare.

PRESIDENTE. Sull’emendamento Caroleo ha chiesto di parlare l’onorevole Carboni. Ne ha facoltà.

CARBONI. Il gruppo socialista mi ha dato l’incarico di esporre all’Assemblea i motivi per cui esso è contrario all’emendamento Caroleo. Però, dopo le dichiarazioni del relatore Perassi, coincidenti col nostro pensiero, mi limito ad una semplice osservazione, con la quale credo rispondere anche a quello che ha detto l’onorevole Caroleo. Ormai, l’Assemblea ha approvato il terzo comma dell’articolo aggiuntivo proposto dalla Commissione del Regolamento, il quale terzo comma stabilisce che ciascuna Commissione invierà al Governo i disegni di legge, indicando quelli che essa ritenga debbano essere sottoposti alla deliberazione dell’Assemblea Costituente per la loro importanza tecnica o politica. Ai sensi di questo terzo comma, diventato ormai norma regolamentare della nostra Assemblea, non è esatto che questa rivendichi a sé il potere legislativo. È esatto invece che soltanto i disegni di legge specificatamente indicati dalle Commissioni per la loro importanza tecnica o politica, dovranno essere sottoposti alla deliberazione dell’Assemblea. Ciò significa che la nuova disposizione del nostro regolamento, conformemente allo spirito informatore della proposta qual è lumeggiato nella relazione Perassi, mantiene ferma per tutti gli altri provvedimenti legislativi la delega fatta al Governo con l’articolo 3 del decreto 16 marzo 1946, sotto la condizione, stabilita nell’articolo 6 dello stesso decreto, che i provvedimenti legislativi emanati dal Governo in questo periodo provvisorio dovranno essere sottoposti alla ratifica del futuro Parlamento. Ora, se questa è la disposizione che noi abbiamo approvato votando il terzo comma, non possiamo, senza una palese contraddizione, accettare l’emendamento Caroleo.

Per queste ragioni, il gruppo socialista voterà contro.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Relatore.

PERASSI, Relatore. Secondo l’emendamento Caroleo, i provvedimenti legislativi che sono esaminati preventivamente dalle Commissioni e poi rinviati al Governo e da questo adottati dovrebbero essere sottoposti successivamente all’Assemblea Costituente per la conversione in legge, in parziale deroga dell’articolo 6 del decreto legislativo 16 marzo 1946, n. 98.

Ora questo articolo, a cui si fa richiamo, stabilisce che i provvedimenti legislativi che non sono di competenza dell’Assemblea Costituente, ai sensi del primo comma dell’articolo 3, e che sono deliberati nel periodo ivi indicato, devono essere sottoposti alla ratifica del nuovo Parlamento entro un anno dalla sua entrata in funzione. L’osservazione evidente che occorre fare è che l’emendamento Caroleo propone una deroga al decreto legislativo 16 marzo 1946.

Ora una deroga, sia pure parziale, all’articolo 6 del decreto citato, non può essere adottata con una norma del Regolamento interno dell’Assemblea. Conseguentemente se l’onorevole Caroleo vuole insistere nel suo emendamento, la Commissione invita l’Assemblea a respingerlo.

PRESIDENTE. Qual è il parere del Governo?

CAPPA PAOLO, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Il Governo, naturalmente, lascia all’Assemblea di disporre come creda del suo Regolamento. Però, per ragioni pratiche, devo associarmi alle considerazioni giuridiche dell’onorevole Carboni, anche perché, ove si accettasse l’emendamento Caroleo, l’Assemblea verrebbe ad essere sopraffatta da un cumulo di lavoro. Infatti, ove l’emendamento Caroleo fosse approvato, dovrebbero essere portati all’approvazione dell’Assemblea tutti i decreti legislativi; non solamente quelli che le Commissioni abbiano ritenuto di competenza dell’Assemblea, ma anche tutti gli altri decreti già dichiarati dalle Commissioni non importanti. E saremmo così in piena contraddizione con l’articolo 6 della legge costitutiva, che demanda al nuovo Parlamento, entro un anno dalla sua entrata in funzione, l’approvazione di tutti i provvedimenti deliberati.

L’Assemblea Costituente è stata costituita non per esaminare ed approvare i disegni di legge che il Governo, munito dei pieni poteri sotto questo aspetto, emanerà, ma per formare e approvare la nuova Costituzione della Repubblica. Sicché, approvando l’emendamento Caroleo, sarebbe proprio un evadere dal compito dell’Assemblea ed un rendere impossibile di rimanere nei termini stabiliti all’Assemblea stessa per l’approvazione della Costituzione.

Pertanto, non vedo la possibilità di seguire l’onorevole Caroleo nel suo desiderio di vedere sottoposti all’Assemblea tutti i provvedimenti di legge emanati.

PRESIDENTE. Pongo ai voti l’emendamento Caroleo, non accettato dal Relatore.

(Non è approvato – Si approva il 5° comma nel testo della Giunta del Regolamento).

Passiamo al 6° comma:

«Le Commissioni saranno composte mediante designazione degli Uffici, in ragione di un delegato per quelli che comprendono non più di 50 Deputati e di uno per ogni 50, senza computare le frazioni, per gli altri Uffici».

L’onorevole Taviani ha proposto di sostituire il 6° comma col seguente:

«Le Commissioni saranno composte mediante designazioni degli Uffici, in ragione di un delegato per quelli che comprendono non più di 25 Deputati e di uno per ogni 25, senza computare le frazioni, per gli altri Uffici».

L’onorevole Taviani ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

TAVIANI. La presentazione del mio emendamento si propone due scopi.

Anzitutto, impegnare alla collaborazione nelle Commissioni un maggior numero di deputati. Infatti, se l’emendamento verrà accettato, ogni Commissione sarà composta di 23, anziché di 15 deputati.

Secondo scopo: rispettare meglio le proporzioni dei diversi Uffici nell’Assemblea Costituente.

Infatti, secondo il comma 6° dell’articolo aggiuntivo proposto, si verrebbero ad avere in ogni Commissione: per 3 Uffici, comprendenti circa 430 Deputati, 8 rappresentanti, mentre per 7 Uffici, comprendenti circa 120 Deputati, si avrebbero 7 rappresentanti. Se l’emendamento proposto verrà accettato, si avranno invece 16 rappresentanti, in oggi Commissione, per i 3 Uffici, che hanno 430 Deputati, e 7 rappresentanti ogni Commissione, per gli altri Uffici.

PRESIDENTE. Il Relatore, onorevole Perassi, ha facoltà di parlare.

PERASSI, Relatore. L’emendamento proposto dall’onorevole Taviani non solleva questioni di ordine giuridico, ma essenzialmente di opportunità; quindi, la Giunta del Regolamento si rimette alla decisione dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Qual è il parere del Governo?

CAPPA, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio. Il Governo si rimette alla Camera.

PRESIDENTE. Pongo ai voti l’emendamento proposto dall’onorevole Taviani.

(È approvato).

Passiamo all’ultimo comma:

«Le Commissioni si costituiranno nominando il presidente, il vicepresidente e un segretario».

Non essendovi alcun emendamento, lo pongo ai voti.

(È approvato).

L’onorevole Persico ha proposto di aggiungere il seguente comma:

«Su tutti i disegni di legge sui quali dovrà deliberare l’Assemblea Costituente (comprese le proposte di legge di iniziativa parlamentare) riferirà all’Assemblea la Commissione competente per materia».

CARBONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARBONI. Il gruppo parlamentare socialista è favorevole all’emendamento Persico per quel che riguarda la Commissione che deve riferire all’Assemblea su ciascun disegno di legge sottoposto alla sua deliberazione.

L’emendamento colma una lacuna della proposta di aggiunta al Regolamento della Camera. Infatti l’articolo aggiuntivo limita la competenza delle istituende Commissioni alla delibazione preventiva sui singoli disegni di legge predisposti dal Governo, allo scopo di determinare quali di essi debbano essere sottoposti alla deliberazione della Assemblea. Esso, invece, tace sulla procedura da adottare per l’esame, da parte della Assemblea, dei disegni di legge che poi dal Governo siano presentati all’Assemblea stessa.

Nel silenzio della norma regolamentare, si dovrebbe seguire una delle due procedure stabilite dal Regolamento della Camera dei Deputati, cioè o il procedimento delle tre letture, o quello degli Uffici; entrambi complessi e inidonei alla breve durata di questa Assemblea.

Più opportunamente l’onorevole Persico propone che la relazione all’Assemblea sia fatta dalla Commissione competente per materia; s’intende, dalla stessa Commissione prevista dal primo comma dell’articolo aggiuntivo, la quale, avendo compiuto la delibazione preliminare sul disegno di legge, è particolarmente indicata a riferirvi.

Il sistema proposto dall’onorevole Persico attuerà una maggiore speditezza. E perciò noi siamo favorevoli alla proposta di cui ho parlato sinora.

Invece non possiamo accettare, dell’emendamento Persico, l’inciso che si riferisce alle proposte di legge d’iniziativa parlamentare, col quale si vorrebbe riconoscere incidentalmente ai Deputati della nostra Assemblea un potere di iniziativa in materia di legislazione ordinaria, che noi non abbiamo per il decreto legislativo 3 marzo 1946. e che la proposta oggi in discussione non ci attribuisce. Il significato sostanziale nello spirito e nelle parole della nuova norma regolamentare è, come ho detto discutendo l’emendamento Caroleo, di mantenere in vigore la delega legislativa al Governo col solo temperamento di sottoporre alla deliberazione dell’Assemblea Costituente i disegni di legge di particolare importanza tecnica o politica. Attribuire ai singoli deputati un potere d’iniziativa in materia di legislazione ordinaria potrebbe costituire un serio pregiudizio, distraendo l’Assemblea dalla sua funzione istituzionale di fare la Costituzione.

Chiedo, pertanto, che l’emendamento Persico sia posto in votazione per divisione.

TAVIANI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TAVIANI. Il gruppo democratico cristiano non è contrario all’emendamento Persico qualora venga tolto l’inciso «comprese le proposte di legge d’iniziativa parlamentare». Non possiamo in sede di discussione del Regolamento interno far passare, per mezzo di un inciso, il principio per cui si attribuisce l’iniziativa legislativa a questa Assemblea, che è stata invece eletta allo scopo di fare la Costituzione.

PRESIDENTE. L’onorevole Persico accetta?

PERSICO. L’emendamento da me proposto ha due scopi: il primo è di colmare una lacuna della proposta che ci è stata presentata, lacuna che probabilmente deriva dal fatto che si sono avute due edizioni del provvedimento. Infatti nella prima era chiaramente detto: «L’Assemblea ne affiderà l’esame nel merito alle stesse Commissioni, ovvero a Commissioni speciali». Nel rifare l’articolo questo inciso è stato omesso; quindi, mentre è fissata la procedura pregiudiziale riguardante l’esame dei disegni di legge per stabilire quali devono essere rinviati al Governo e quali portati all’Assemblea, non è stato poi detto in quale maniera l’Assemblea dovrà deliberare sugli stessi. Allora ho creduto opportuno determinare che le stesse quattro Commissioni riferiranno, oralmente o per iscritto, all’Assemblea, e su questo punto mi pare che le opinioni dei colleghi siano concordi.

Vi è poi l’inciso. Non è a caso che ho messo in un inciso la frase «comprese le proposte di legge di iniziativa parlamentare», perché ritengo che non ci sarebbe stato alcun bisogno di mettere questa aggiunta. Solo di fronte al dubbio che è sorto, pel quale l’iniziativa parlamentare sarebbe vietata, ho voluto riaffermarla in quell’inciso, perché, secondo me, ciascun Deputato eletto all’Assemblea Costituente ha il diritto di presentare le proposte di legge che meglio crede opportuno. L’iniziativa parlamentare, come ho già spiegato quando ho parlato nella discussione generale, non è che l’esplicazione della sovranità popolare, la quale si esercita attraverso i Deputati eletti a rappresentare il popolo nell’Assemblea. Quindi non ci sarebbe stato bisogno di questo inciso, perché, a mio parere, in qualunque momento un Deputato può presentare una proposta di legge, che potrà poi essere presa o no in considerazione dalla Camera, la quale quindi potrà anche respingerla. Perciò, quando l’altro giorno l’onorevole Gullo diceva che, di fronte all’appello nominale chiesto sulla possibilità o meno di discutere la proposta di cui ci occupiamo, si era visto che la mia aggiunta poteva dar luogo ad ostruzionismi per ritardare o prolungare i lavori dell’Assemblea Costituente, diceva cosa inesatta, perché, a norma del Regolamento, ogni progetto di iniziativa parlamentare deve essere prima preso in considerazione dalla Camera.

Siccome nella proposta che stiamo per approvare, e che è già stata approvata in gran parte, come aggiunta al Regolamento della Camera, è stata data facoltà a quattro speciali Commissioni di portare all’Assemblea alcuni disegni di legge, io non vedo per quale ragione i membri dell’Assemblea debbano essere privati di quello che è il loro diritto primordiale e fondamentale, che si perfeziona con la stessa elezione a Deputati. Il Deputato ha per sua funzione precipua quella di presentare eventualmente proposte di legge. Se in mezzo a noi, per esempio, vi fosse un collega che preparasse un proprio progetto di costituzione e lo presentasse di sua iniziativa, senza mandarlo alla Commissione dei 75, noi non potremmo negargli questo diritto. Mi meraviglio quindi che l’amico onorevole Carboni si sia mostrato contrario, tanto più che ho letto proprio ieri sul giornale Avanti! una lettera dell’onorevole Mazzoni favorevole al mio emendamento. (Commenti – Interruzioni). Comunque insisto su tutto l’emendamento, compreso l’inciso.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Nella discussione che si è svolta finora sulle proposte di articoli aggiunti al Regolamento, si sono impostate queste due tesi in contrasto: da un lato quelli che si riferiscono all’interpretazione letterale dell’articolo 3; dall’altro quelli che badano, più che alla lettera, allo spirito della disposizione. Quelli che, non badando alla lettera ma allo spirito, approvano l’istituzione di Commissioni, le quali debbano decidere quali piani e progetti devono essere esaminati dall’Assemblea, pare a me che non possano, senza contraddirsi, votare contro l’emendamento proposto dall’onorevole Persico; in quanto, ammettendo l’istituzione di Commissioni che stabiliscano quali progetti di legge dall’Assemblea debbano essere esaminati, hanno già riconosciuto che l’Assemblea deve avere un carattere legislativo che non può essere negato quando si manifesti sotto forma di iniziativa parlamentare.

Per questa ragione io e gli amici del mio gruppo autonomista voteremo a favore dell’emendamento e della proposta.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Relatore, onorevole Perassi.

PERASSI, Relatore. La Giunta del Regolamento, nel corso della elaborazione di queste norme, ha avuto occasione di prospettarsi, su proposta di qualche membro, la questione dell’iniziativa parlamentare in materia di leggi ordinarie. La Commissione a questo riguardo ha ritenuto che, in coerenza col sistema delle norme da essa elaborate, questa questione non poteva essere regolata in questa sede. E poiché è stato fatto il nome dell’onorevole Mazzoni, sono autorizzato da lui a dire che su questo punto egli si è astenuto.

La Giunta, dunque, sull’emendamento dell’onorevole Persico, ritiene che l’inciso «comprese le proposte di legge d’iniziativa parlamentare» non possa essere accolto.

Aggiungo un chiarimento, tuttavia. L’onorevole Persico ha prospettato il caso che un Deputato presenti all’Assemblea un progetto di Costituzione o di statuto o di legge costituzionale. Le due questioni sono nettamente diverse. L’iniziativa parlamentare, anche attraverso l’azione individuale di ogni membro dell’Assemblea, che si concreti nella presentazione di una proposta di Costituzione o di legge costituzionale provvisoria o no, secondo il mio avviso è incontestabile. La questione che si presenta invece in questo momento non riguarda tutto l’insieme del problema, ma unicamente l’iniziativa parlamentare in materia di leggi ordinarie.

Per le ragioni dette, non riteniamo che quell’inciso possa figurare nelle norme che oggi si discutono per mantenere la coerenza con tutto il sistema. La Giunta pertanto accetta l’emendamento Persico, in quanto regola soltanto una parte procedurale; con l’avvertenza che è sottinteso che l’Assemblea Costituente, in conformità al Regolamento generale, è sempre competente a stabilire volta per volta che un certo disegno di legge sia sottoposto ad una determinata Commissione speciale.

PRESIDENTE. È stato chiesto che l’emendamento Persico sia posto ai voti per divisione.

Pongo ai voti l’emendamento senza le parole «comprese le proposte di legge di iniziativa parlamentare».

(È approvato).

Pongo ai voti l’inciso: «comprese le proposte di legge di iniziativa parlamentare».

(Non è approvato).

Pongo ai voti l’articolo aggiuntivo nel suo complesso.

(È approvato).

Annunzio di una mozione.

PRESIDENTE. Comunico all’Assemblea che, a firma degli onorevoli Dugoni, Ruggiero, Li Causi, Merighi, Pignatari, Costantini, De Michelis, Luisetti, Battisti e Di Gloria, è pervenuta la seguente mozione:

«L’Assemblea Costituente invita il Governo a promuovere una inchiesta parlamentare diretta a stabilire l’ammontare, le modalità, la destinazione e l’uso dei sussidi, sovvenzioni e concorsi a fondo perduto, a qualsiasi titolo stanziati dallo Stato, durante il regime fascista, a favore di persone fisiche o enti industriali, commerciali e agricoli».

Chiedo al Governo di esprimere su di essa il proprio parere.

CAPPA, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Il Governo accetta di discutere la mozione, ma si riserva di stabilire la data d’accordo con l’Assemblea.

Interrogazioni e interpellanze.

PRESIDENTE. Comunico che sono pervenute alla Presidenza le seguenti interpellanze per le quali si domanda lo svolgimento d’urgenza:

«Il sottoscritto Deputato chiede all’onorevole Presidente del Consiglio ed all’onorevole Ministro dell’agricoltura e delle foreste di conoscere quali immediati provvedimenti intenda il Governo adottare, perdurando l’esportazione clandestina del grano e di altri generi in Jugoslavia, a mezzo di velieri in partenza, soprattutto dalle coste pugliesi.

«Chiede altresì se, dopo la pubblica denunzia fatta dal quotidiano Il Momento nel suo numero di mercoledì 11 settembre – confermata il venerdì successivo 13 – il Governo abbia disposto indagini, e quali risultati le stesse abbiano dato, circa il gravissimo episodio di un veliero carico di 800 quintali di grano che, diretto in Jugoslavia, con permessi apparentemente in regola, fu fermato al largo di Barletta da un dragamine della Finanza. Tale carico, inizialmente sequestrato dalla Guardia di finanza, fu poi rilasciato per intervento delle autorità locali e poté quindi proseguire il suo viaggio per la sua primitiva destinazione.

«Preziosi».

«I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, sul problema della disoccupazione agricola, per conoscere se – in attesa del ritorno alla normalità, cioè alla eliminazione della disoccupazione e al libero ingaggio della mano d’opera – egli non ritenga finalmente opportuno – nelle località afflitte dal doloroso fenomeno – un diretto ed efficiente intervento dello Stato, affinché la selezione dei disoccupati abbia luogo con le adeguate garanzie e, quindi, col concorso delle associazioni sindacali dei lavoratori e degli agricoltori, ma sotto il presidio e la direzione di magistrati o degli uffici governativi del lavoro, ed affinché inoltre, accertata, con la obiettività e le forme del caso, dai competenti organi predetti, debitamente protetti, la capacità di assorbimento delle singole aziende agricole, le quote di mano d’opera risultanti in eccedenza trovino sicuro e pronto impiego in lavori pubblici o altrove e non si riversino nuovamente sulle aziende agricole.

«Questi essendo, a parere degli interpellanti, i presupposti inderogabili per un sano e compiuto regolamento del problema in oggetto, si permettono raccomandarli ancora una volta, e con la massima premura, al Ministro e al Governo, avvertendo che, in mancanza delle precennate provvidenze, si perpetueranno, senza colpa degli agricoltori e con danno della produzione, gli spiacevoli incidenti che si vanno lamentando.

«Perrone Capano, Fusco».

Chiedo al Governo quando intende rispondere.

CAPPA, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. In assenza del Ministro competente, prego l’Assemblea di voler rinviare ad altra seduta la fissazione della data di svolgimento della interrogazione e dell’interpellanza.

PRESIDENTE. Si dia lettura di altre interrogazioni e interpellanze pervenute alla Presidenza.

DE VITA, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del commercio con l’estero, per conoscere esattamente i criteri che hanno informato l’accordo concluso col Governo norvegese per la costruzione di navi nei cantieri Ansaldo. E per sapere se è vero che il Governo ha accettato in pagamento una quantità di stoccafisso per 1’86 per cento ceduto ad un gruppo di commercianti. Tale stoccafisso sarebbe ceduto al pubblico ad un prezzo elevatissimo. Questo gravoso sopraprezzo su un alimento di consumo popolare contribuisce all’aumento del costo della vita e rappresenta un premio che i consumatori dovrebbero pagare ai cantieri Ansaldo, rinnovandosi così un protezionismo dannoso che il regime repubblicano deve invece eliminare.

«Natoli».

«La sottoscritta chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per sapere se risulti fondata la notizia secondo la quale i familiari dei gerarchi fascisti percepiscono indennità a titolo di pensione o di reddito sui beni sequestrati o comunque vincolati dal Governo; se corrisponda a verità la voce secondo la quale la vedova di Mussolini avrebbe inoltrato domanda di pensione e se attualmente percepisca un notevole assegno mensile e a quale titolo.

«Merlin Angelina».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri degli affari esteri e del lavoro e della previdenza sociale, per sapere se è a loro conoscenza l’inconveniente derivante ai nostri emigrati nel Belgio, i quali, contrariamente al noto accordo con quel Governo, non riescono a far pervenire tempestivamente le rimesse di denaro alle loro famiglie, costrette pertanto ad una durissima vita di stenti e di privazioni.

«Volpe».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri degli affari esteri, dell’interno e del lavoro e della previdenza sociale, per sapere se sono a conoscenza: dell’emigrazione clandestina, specialmente verso la Francia, di migliaia di nostri lavoratori, accompagnati spesso da tutti i componenti familiari; che agenti francesi sono a tal uopo in giro per ingaggiare nostri lavoratori, che vengono avviati all’estero clandestinamente e, arrivati a destinazione, abbandonati e sfruttati. E per conoscere, anche, quali provvedimenti intendano attuare i Ministeri competenti per evitare i dolorosi fatti segnalati; a qual punto siano le trattative con il Governo francese per l’emigrazione dei nostri lavoratori.

«Volpe».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dei lavori pubblici e del tesoro, per sapere quali precise direttive abbiano dato ai Provveditorati regionali opere pubbliche in ordine all’onere della ricostruzione assunto dallo Stato per i beni degli Enti pubblici di beneficenza, di assistenza e di culto (articolo 27 della legge 26 ottobre 1940, n. 1593) e se non intendano rettificare, con opportune istruzioni, la interpretazione data dal Provveditorato opere pubbliche di Bologna, che escluderebbe da tale beneficio le case coloniche danneggiate o distrutte dalla guerra di proprietà di detti enti.

«Braschi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere quali provvedimenti intenda adottare per impedire l’impoverimento progressivo e pericoloso del mare di Sicilia. Da qualche tempo, nelle acque della costa occidentale – come nella zona di Castellammare del Golfo – e specialmente nelle acque di Lampedusa, si procede ad una pesca di rapina. Come la terra dell’isola, da secoli, è vittima di una cultura di rapina, cominciata col disboscamento che ha inaridito il centro dell’isola, così ora si procede nelle acque. Pescherecci che arrivano da varie direzioni pescano con esplosivi, distruggendo enormi quantità di pesci piccoli e di uova; d’altra parte, i pescherecci usano reti dalle maglie troppo strette, le quali imprigionano anche pesciolini di misura molto più ridotta di quelle prescritte. Infine, malgrado la legge lo proibisca, si pesca la cosiddetta «neonata» di sardella, distruggendo banchi interi. La «neonata» viene pubblicamente venduta sui mercati di Palermo. La vigilanza è quasi inesistente, sia sui mari di Lampedusa – dove la industria della pesca e delle conserve di pesce sono in crisi, con grave danno della popolazione dell’isola e dell’economia nazionale – sia sulle spiagge. Una ricchezza isolana e nazionale è minacciata seriamente e s’impongono misure energiche. Si potrebbe cominciare con l’inviare a Lampedusa una barca a motore – non ne esiste nessuna – per la sorveglianza; inoltre si potrebbero autorizzare i pescatori onesti a sorvegliare essi stessi, come guardie giurate, onde procedere contro i trasgressori delle leggi già esistenti e delle disposizioni nuove che il Ministero dell’agricoltura e delle foreste vorrà adottare per evitare che la pesca di distruzione privi l’Italia e la Sicilia, già stremate, di un’importante risorsa alimentare e di merce di esportazione.

«Natoli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere quando intende bandire i concorsi per titoli fra i provveditori agli studi attualmente reggenti, e quando intenda nominare presidi effettivi fra i presidi attualmente reggenti; provveditori e presidi reggenti i quali si resero benemeriti amministrando la scuola in tempi e in circostanze particolarmente difficili; specie in confronto con i provveditori e i presidi di nomina e d’origine fascista, prosciolti dalle commissioni d’epurazione, ma che non hanno, certo, né titoli di studio o scientifici, né benemerenze d’attività d’ogni genere superiori ai primi.

«Bernini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per conoscere se non intenda corrispondere agli operai italiani infortunati in Germania le indennità accertate dall’ufficio delle disciolte confederazioni dei lavoratori, riservandosene la rivalsa nei rapporti con la Germania.

«Carratelli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere quali provvedimenti ha presi e intende finalmente prendere per assicurare il buon governo del Consorzio agrario provinciale di Bari dopo la recente appropriazione da parte di quel cassiere di oltre dieci milioni di lire e di fronte alla pressante insistenza degli agricoltori di quella terra perché il Consorzio stesso sia affidato ad elementi meno tendenziosi e più competenti.

«Perrone Capano».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere per quale motivo non si provvede alla classificazione come strada statale della strada Pirato-Catania, Via Stazione Raddusa con il numero 121-bis, e ciò in considerazione della sua particolare importanza, a norma del Regio decreto 15 novembre 1923, n. 2506. Detta strada, mantenuta per il breve percorso di 78 (settantotto) chilometri da quattro enti diversi, è in istato di abbandono, mentre è l’arteria che per il suo tracciato altimetrico, senza dislivelli, meglio congiungerebbe al porto di Catania le due provincie più interne della Sicilia, cioè Caltanissetta ed Enna, con un percorso minore di ventiquattro chilometri rispetto alla strada che passa per Pirato, Leonforte, Agira, Regalbuto, Adrano, Biancavilla, Paternò e Misterbianco, strada con dislivelli notevoli, che variano dai trecento ai novecento metri.

«Romano».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere: se non ritiene urgente proporre opportune modifiche al decreto legislativo 27 maggio 1946, n. 598, che istituisce – rendendola obbligatoria per tutti i comuni – un’imposta straordinaria progressiva sull’ammontare complessivo delle spese non necessarie. Sarà certamente venuto a conoscenza dell’onorevole Ministro e del Governo che tale decreto, in quanto stabilisce (articolo 3) un minimo imponibile soltanto eccezionalmente accertabile e perseguibile, ha incontrato la generale avversione delle Amministrazioni comunali, molte delle quali si vedono costrette ad aprire, nel loro già stremato bilancio, una nuova voce passiva costituita dalle spese di funzionamento degli uffici preposti all’applicazione dell’imposta.

«Arata».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per sapere: se non sia possibile porre un qualche rimedio all’eccessiva e abituale lentezza da parte della Direzione generale della Cassa depositi e prestiti e Istituti di previdenza nella liquidazione degli assegni di pensione o indennità a favore di dipendenti pubblici collocati a riposo, o alle loro vedove. Non si vede perché – supposto che la liquidazione definitiva richieda un certo periodo di tempo (che dovrebbe, comunque, essere contenuto in limiti ragionevoli) – non possa provvisoriamente provvedersi con l’assegnazione di acconti entro uno o due mesi al massimo dalle domande degli interessati, venendosi così a portare un qualche immediato sollievo e a dare un doveroso riconoscimento a chi, dopo una vita di lavoro, ha il diritto di non dover considerare l’entrata in pensione come l’anticamera della fame.

«Arata».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere se non ritenga di intervenire con massima urgenza ad eliminare la penosa situazione dei magistrati:

1°) integrando gli stipendi, perché siano adeguati alle necessità della vita ed alla dignità della loro funzione;

2°) risolvendo rapidamente la posizione di coloro che, promossi durante la Repubblica fascista per normale scrutinio o per concorso e comunque non per ragioni politiche di alcun genere, sono stati retrocessi al grado precedentemente ricoperto e ciò con grave scapito, tra l’altro, del prestigio del magistrato così colpito.

«Scalfaro».

«La sottoscritta chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere se intenda richiamare la pubblica sicurezza ad una applicazione più rigorosa ed esatta dell’articolo 2 della legge 31 maggio 1946, n. 561, procedendo al sequestro immediato preventivo dei giornali e delle pubblicazioni e stampati che sono da ritenere osceni e offensivi della pubblica decenza e insieme a farne denunzia all’autorità giudiziaria, (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Titomanlio Vittoria».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se, nel quadro generale dei doveri della Repubblica verso la scuola e verso il Mezzogiorno d’Italia (ancora tanto bisognoso di affermazioni e sviluppi degli insegnamenti tecnici ed artistici, particolarmente quelli che contribuiscono alla elevazione dell’artigianato), non creda opportuno dare nuovo impulso all’istituto d’arte «Mattia Preti» di Reggio Calabria, che alimenta l’unica scuola d’arte dell’estrema penisola, mettendolo in condizione di affrontare con sicurezza l’avvenire: concedendo cioè per le attività che esso alimenta:

  1. a) il riconoscimento legale con la parificazione del liceo artistico;
  2. b) la costituzione delle Botteghe d’arte in «Istituto regionale calabrese per le arti applicate» su tipo di quelli della Val Gardena, delle Puglie, della Sardegna;
  3. c) la sistemazione della Scuola di avviamento a tipo artigiano come «Scuola governativa». (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Sardiello».

 

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per sapere se non intenda concedere il beneficio del caroviveri in lire 30 mila annue lorde ai pensionati di età inferiore ai 60 anni, così come è stato a suo tempo concesso ai pensionati di età superiore ai 60 anni. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Di Gloria».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per sapere quando si disporrà il finanziamento per il ripristino del ponte sul rio Sirobbio (Pistoia). Il ripristino di tale ponte permetterebbe una piena ripresa nella vita della Montagna Pistoiese. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Di Gloria».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’assistenza post-bellica, per sapere come intenda provvedere alla tristissima situazione del popolo di S. Quirico Valeriana (Pistoia), paese incendiato completamente dai tedeschi, e a quella pure infelice del popolo di Piteccio (Pistoia), paese in gran parte distrutto dai bombardamenti alleati. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Di Gloria».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se ritiene conciliabile coi criteri democratici della vita pubblica italiana mantenere in vigore l’articolo 1 della legge 14 ottobre 1940, n. 1477, che, modificando sostanzialmente il concetto della legge 8 aprile 1937, n. 640, dispone che l’I.N.G.I.C. (Istituto nazionale gestione consumo) subentra di diritto nella gestione degli appalti i cui concessionari sono dichiarati decaduti. E inoltre se non ritiene una menomazione della già scarsa autonomia comunale affidare ai prefetti il compito di fissare le condizioni dell’appalto per una gestione che allo stato attuale della legislazione tributaria rappresenta il cespite più importante della finanza comunale. Infine, se tale diritto, concesso a un Ente incontrollato nella sua funzione, possa valere anche nei confronti della gestione diretta da parte dei comuni, i quali vengono a realizzare importi che contribuiscono più di ogni altra tassazione a sanare le passività dei bilanci. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Luisetti»

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere se non ritenga necessario estendere ai profughi dell’Alta Valle Roia le disposizioni che prevedono il trasporto sulle Ferrovie dello Stato in conto corrente delle masserizie appartenenti ai profughi medesimi sino alla località di nuova residenza, analogamente a quanto già disposto per i profughi della Venezia Giulia e della Dalmazia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Badini Confalonieri».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere se siano allo studio provvedimenti per favorire l’irrigazione delle aziende agricole piccole e medie, e specialmente di quelle collinari (tipo Alto Varesotto) che sono le più povere. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Buffoni».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere quando si pensa di rimettere il transito Stazione internazionale di Luino in piena efficienza, in condizione di poter riprendere con l’intensità corrispondente all’importanza dei suoi impianti, del suo personale ferroviario, doganale e postale, il traffico da e per l’estero. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Buffoni».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere quando si intende provvedere alla elettrificazione della linea Gallarate-Luino, elettrificazione che già da tempo è stata studiata e preparata dagli uffici tecnici competenti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Buffoni».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere se non ritenga opportuno precisare con circolare o con apposita disposizione di legge la facoltà – per l’addietro sempre consentita – ai proprietari agricoli di integrare la quota di grano spettante ai mezzadri, qualora questi ultimi non abbiano complessivamente prodotto i due quintali pro capite loro assegnati per legge, con la concessione diretta (senza conferimento agli ammassi) della quantità residua. La disposizione sembrerebbe particolarmente opportuna per le zone collinari, ove il grano costituisce prodotto secondario, anche al fine di facilitare, nell’interesse della produzione, i rapporti tra proprietari e mezzadri. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Badini Confalonieri».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dei lavori pubblici e del tesoro, per sapere se, per l’attuazione del programma di opere pubbliche già disposto per le provincie meridionali (particolarmente per quanto riguarda quelle calabresi) sono stati definitivamente rimossi gli ostacoli dipendenti – secondo recenti pubbliche dichiarazioni del Ministro Romita – dal fatto che il Tesoro non ha corrisposto alla richiesta di finanziamento. E, nel caso contrario, quali misure si intendano adottare per assolvere gli impegni verso il Mezzogiorno, secondo le promesse enunciate nelle dichiarazioni del Governo. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Sardiello».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare i Ministri degli affari esteri e del lavoro e della previdenza sociale, per sapere se l’onorevole Ministro degli affari esteri intenda sollecitare, mediante opportune trattative cogli Stati alleati, il pagamento delle pensioni dovute ai lavoratori italiani infortunati all’estero e per i quali, fino allo scoppio della guerra, le indennità venivano corrisposte tramite le ambasciate italiane. Per sapere inoltre se l’onorevole Ministro del lavoro e della previdenza sociale intenda, in attesa delle conclusioni di queste trattative sul piano internazionale, corrispondere agli infortunati stessi la pensione per infortunio sul lavoro nella misura già percepita dall’estero, aiutando una categoria di invalidi per ragioni di lavoro fino ad oggi completamente dimenticata, salvo per il Ministero l’eventuale recupero delle quote anticipate, non appena le stesse verranno corrisposte dall’estero. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Bernardi, Ghislandi, Pressinotti, Bianchi Costantino».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere:

  1. a) quando verranno ricostruiti i ponti distrutti dai tedeschi sulla strada provinciale Rocchigiana, lavori per i quali i progetti vennero approntati già da molti mesi. La ricostruzione dei ponti suddetti è richiesta urgentemente per soddisfare ai bisogni della popolazione di Roccagorga, e dovrebbe, a parere dell’interrogante, venir eseguita prima della prossima stagione invernale;
  2. b) quando verrà posto mano alla costruzione del serbatoio di acqua progettato per sopperire alla scarsezza d’acqua nel comune medesimo, lavoro la cui urgenza è suggerita da evidenti necessità di pubblica igiene. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Nobile».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro della guerra, per sapere se non ritenga doveroso ed urgente reintegrare nel grado di ufficiale di complemento coloro i quali vennero durante il fascismo radiati dai ruoli per motivi politici o per condanne riportate a causa di reati di antifascismo. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Costantini».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere se non sia opportuno invitare l’Istituto per la ricostruzione industriale a provvedere alla definitiva sistemazione ed al potenziamento della ferrovia secondaria Siracusa-Ragusa-Vizzini, in conformità del progetto a suo tempo elaborato e presentato dalla Società concessionaria per le ferrovie secondarie della Sicilia, con sede in Roma, via Dalmazia 25, con l’integrazione di servizi accessori fra gli scali ferroviari e i vicini centri abitati, onde meglio incrementare l’afflusso dei viaggiatori e delle merci nell’interesse della popolazione e dei lavoratori, tenendo presente che l’Istituto per la ricostruzione industriale finanzia regolarmente detta ferrovia. E, inoltre, per chiedere l’intervento del Governo a non permettere, comunque, la cessione dell’esercizio ad altre società private, ma di gestire direttamente la ferrovia apportandovi le dovute trasformazioni.

«In linea assolutamente urgente si chiedono provvedimenti idonei a fare ripristinare le tariffe di piccola velocità, dato che la ferrovia ha adottato il criterio di non accettare spedizioni altro che per grande velocità, e che dette tariffe incidono fortemente sul valore e sulla commerciabilità delle merci povere con gravi disagi dei produttori e delle categorie dei lavoratori interessati. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Cannizzo».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro del tesoro, per sapere se ritiene indispensabile ed urgente predisporre un provvedimento legislativo che, ad integrazione di quelli già promulgati, disponga perché vengano risarciti ai cittadini italiani, già dichiarati o considerati di razza ebraica, anche i danni subiti nel loro patrimonio mobiliare in dipendenza da sequestri, confische, saccheggi, avvenuti all’infuori degli eventi bellici, durante il periodo della sedicente repubblica sociale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Preti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per conoscere se non ritenga necessario eliminare le profonde sperequazioni esistenti circa il trattamento di pensione del personale dello Stato in confronto di quello dipendente dai comuni e dalle Amministrazioni provinciali, estendendo a quest’ultimo le provvidenze deliberate in favore degli statali e soprattutto togliendo le disparità di cui al decreto legislativo luogotenenziale 6 febbraio 1946, n. 460, nella concessione dell’assegno di contingenza. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Cimenti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dell’interno e del tesoro, per conoscere se non intenda riparare all’evidente ingiustizia con cui sono stati trattati i sanitari dei comuni a suo tempo nominati con la formula «a vita» e successivamente collocati a riposo, con provvedimento illegale, al raggiungimento del 65° anno di età e se non si ritenga doveroso liquidare loro (non iscritti alla Cassa pensione appunto perché garantiti dell’impiego a vita) almeno le quote versate dai comuni per loro conto alla Cassa stessa, o comunque rapportare alle odierne necessità il modesto contributo loro elargito in questi ultimi anni, onde rendere meno doloroso l’ultimo periodo della loro esistenza. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Cimenti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere se non ritiene opportuno ripristinare nelle linee ferroviarie a sud di Roma le prenotazioni pei posti dei viaggiatori, almeno per quelli dei rapidi (automotrici ed elettrotreni, già che la soppressione delle dette prenotazioni ha prodotto un peggioramento delle comunicazioni.

«La riattivazione delle linee ferroviarie è un’opera alla quale il Paese non ha reso il giusto omaggio; i tecnici e i lavoratori italiani hanno compiuto, in condizioni difficilissime, un miracolo. Ma a questo sforzo non contribuiscono moltissimi viaggiatori e neppure il personale, dei treni e delle stazioni, il quale non riesce a mantenere una elementare disciplina dei viaggiatori.

«I treni diretti, oggi, dopo la soppressione delle prenotazioni, son presi d’assalto da una quantità eccessiva di viaggiatori; per l’ottantacinque per cento formata da uomini, donne e bambini che usufruiscono di una riduzione sul costo del biglietto. La folla porta valigie e anche bauli che ingombrano gli stretti corridoi e impediscono ogni movimento dei viaggiatori che restano imprigionati, in piedi, fra colli e pacchi.

«La salita sui vagoni offre episodi scomposti di arrembaggio, prepotenze e risse. L’interrogante chiede al Ministro dei trasporti se non ritenga opportuno – nel caso in cui non crede di dover ripristinare le prenotazioni, disciplinandole in modo da evitare gli abusi passati e gli accaparramenti da parte di incettatori – di voler stabilire, nei viaggi sui rapidi, una limitazione ai casi di urgenza per gli usufruenti, di biglietti ferroviari a tariffa ridotta. Nelle condizioni attuali dell’Italia, infatti, gli spostamenti a solo scopo di diporto dovrebbero essere ridotti, o limitati ai treni non rapidi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Natoli».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere se intenda prendere in esame – per provvedervi adeguatamente – lo insufficienti retribuzioni corrisposte agli «assuntori» in servizio presso le ferrovie dello Stato, che non consentono loro di fronteggiare le più modeste esigenze di sussistenza delle famiglie e li mette in condizione di assoluta inferiorità rispetto agli altri salariati dello Stato e delle imprese private. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Perugi».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere se corrisponde a verità la notizia che con disposizioni dirette alle varie UPSEA, emanate con circolare 204 del 6 settembre corrente anno è stato esteso l’obbligo dell’ammasso al granoturco cinquantino di seconda coltura, che per l’alta umidità non è atto né alla conservazione né all’alimentazione umana e che, specie nell’Italia settentrionale, può essere conservato solo in pannocchie e deve essere consumato subito dopo la sgranatura e solo per uso zootecnico. (L’interrogante chiede la risposta scritta.).

«Ferrario Celestino».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere se e quando sarà corrisposta l’integrazione sul prezzo del latte lavorato in provincia di Udine per il periodo dal 1° aprile 1944 al 31 marzo 1945, provvedimento che, oltre a corrispondere a giustizia, interessa grandemente le duecento e più latterie turnarie e cooperative, quasi tutte costituite da piccoli coltivatori aspramente provati dalla guerra, di quella provincia. (Gli interroganti chiedono la risposta, scritta).

«Piemonte, Canevari».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere se per venire incontro alla gravissima disoccupazione esistente nel comune di Moggio (Udine), la cui popolazione era in gran parte dedita all’emigrazione temporanea prima della guerra, non ritenga necessario e utile procedere immediatamente alla sistemazione della frana Arbisan, la quale richiede lavori per un importo di 1,800,000 lire e i di cui progetti sono stati apprestati a cura del corpo forestale di Udine. (L’interrogante chiede la. risposta scritta).

«Piemonte».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere quali siano i suoi propositi circa l’utilizzazione dei residui metallici del ponte ferroviario sul Tagliamento fra Casarsa e Codroipo (Udine), che giacciono dalla liberazione nel letto del fiume in preda all’azione distruttiva dell’acqua e dell’atmosfera e per sapere, se altra utilizzazione più conveniente non fosse possibile, non sarebbe meglio consentire agli artigiani bisognosi di materia prima ferrosa delle località viciniori, di utilizzarli. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Piemonte».

«I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno, sulla politica interna del Governo, e particolarmente per conoscere:

l°) se nel periodo attuale, così grave di agitazioni e di problemi, non ritiene opportuna una maggiore efficienza del Ministero dell’interno;

2°) se rispondono al vero le notizie, sempre più preoccupanti ed angosciose, dei quotidiani assassinî che avvengono in Emilia e Romagna, di pacifici cittadini, in prevalenza sacerdoti ed agricoltori;

3°) se, del pari, risponde al vero che nelle suaccennate località non soltanto non esiste alcuna tutela della libertà e della sicurezza personale dei cittadini, ma i sopra lamentati assassinî proditori e quotidiani non hanno incontrato e non incontrano alcuna sanzione per la impotenza o la incuria delle autorità;

4°) quali provvedimenti il Governo intenda prendere per tutto quanto precede;

5°) se risulta al Governo, e quali disposizioni ha dato in merito, che i partigiani recentemente agitatisi e rifugiatisi sui monti, erano tutti potentemente armati e che continui e immensi depositi di armi e di esplosivi si vanno da tempo e sistematicamente effettuando in Italia un po’ dovunque, soprattutto ad effetto del contrabbando che di tali oggetti si esercita sulle sponde adriatiche da parte di naviglio greco o slavo, spesse volte perfettamente, per quanto invano, identificato;

6°) se del pari risulta al Governo che in Italia, e particolarmente in Puglia, circolano senza chiari e identificabili motivi circa 100 mila slavi, e se non si ritiene opportuno chiarire tale situazione ed invitare – o costringere, se del caso – costoro a lasciare il suolo italico, ove, se non altro, troppo concretamente essi incidono sulla risoluzione del difficile problema alimentare;

7°) se il Governo ritiene opportuna la perpetuazione del deplorevole sistema per cui, ogni qualvolta si determinano effettivi o artificiosi contrasti tra categorie e categorie o tra impiegati e Stato, anziché sorgere dei comitati di «distensione e composizione», sorgono subito e apertamente operano dei «comitati di agitazione», sì che i contrasti, piuttosto che comporsi democraticamente, a traverso un leale e obiettivo dibattito delle reciproche ragioni delle parti e un arbitrato nel caso di persistente dissidio, sfociano di ordinario nella forma meno adatta per l’ora che volge, degli scioperi, e in quella antidemocratica delle agitazioni e delle violenze di piazza;

8°) se a tal riguardo non ritiene il Governo opportuna ed improrogabile una piena ed esplicita intesa di massima con la C.G.I.L. affinché, in relazione con la eccezionalità del periodo che si attraversa, in cui ogni sospensione di lavoro si traduce in una diminuzione dell’unica possibile fonte del benessere nazionale, che è la produzione, e quindi in una diretta incisione sul valore della moneta, nel conseguente aumento dei prezzi e nella diminuzione, se non nella scomparsa del credito estero ed interno, addivenga alla obbligatorietà dell’arbitrato per le controversie sociali e del lavoro:

9°) se infine sono in corso concreti provvedimenti, e quali, per la purificazione degli organi e degli effettivi di polizia dopo lo scandaloso accertamento, frequentemente avvenuto in quest’ultimo periodo, della grave circostanza di fatto che tra quegli organi e quegli effettivi si sono purtroppo largamente infiltrati elementi criminali proclivi alla rapina e ad ogni sorta di delitti.

«Perrone Capano, Fusco, Badini Confalonieri, Cortese, Cuomo».

«I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, sul decreto che consente l’occupazione delle terre e particolarmente sulle ragioni che hanno inspirato la modifica del precedente decreto Gullo 19 ottobre 1944, n. 279, regolante la stessa materia; sulla natura ineccepibilmente costituzionale di una parte almeno dei provvedimenti contenuti nel decreto in oggetto; sulle gravi conseguenze che già si sono profilate in danno non soltanto di diritti individuali, non ancora legittimamente aboliti, ma della produzione nazionale; e sui concreti rimedi che il Governo intende adottare per disciplinare democraticamente la situazione e, facendo sì che siano cedute a cooperative costituite in regola ed attrezzate le terre veramente incolte e suscettibili, tuttavia, di trasformazione e utilizzazione, per evitare un’altra fonte di caos in agricoltura e peggiori danni alla produzione.

«Perrone Capano, Fusco, Badini Confalonieri, Bonino, Cuomo».

«I sottoscritti chiedono d’interpellare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, sul decreto legislativo presidenziale 22 giugno 1946, n. 44, contenente le disposizioni relative al pagamento degli estagli cerealicoli per l’anno in corso e la cosiddetta convalida dei famosi decreti Gullo 1944 e 1945, dichiarati incostituzionali dal Supremo Collegio, e sulla registrazione di tale decreto con riserva dopo il rigetto compiutone dalla Corte dei conti. Si chiede di conoscere se l’onorevole Ministro non ritiene sempre più manifesta ed urgente la necessità democratica che gli organi governativi prestino ossequio alle leggi costituzionali dello Stato, al Codice civile ed ai responsi della Magistratura e si astengano peraltro dal turbare i rapporti tra le varie categorie agricole e della produzione con interventi improvvisi ed aprioristici, quanto mai inopportuni ed unilaterali, che determinano ingiustizie e sperequazioni tra categorie e categorie e tra regioni e regioni, mentre dovrebbero tempestivamente promuovere e sollecitare accordi diretti tra le su dette categorie per intervenire soltanto in seguito al fine di sanzionare gli accordi medesimi o di emanare, nel caso di fallimento di essi, disposizioni ispirate a criteri obiettivi.

«Perrone Capano, Fusco, Badini Confalonieri, Bonino».

«I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, perché precisi quanto sono costati alla finanza ed all’economia del Paese gli ammassi obbligatori, e in particolar modo quello dell’olio di oliva, e per conoscere se, dopo quanto è avvenuto a seguito del famigerato decreto ministeriale 22 maggio 1946 sul cosiddetto reperimento dell’olio, egli non creda inesorabilmente naufragata ogni seria possibilità di ammasso dell’olio di produzione dell’annata agraria in corso e non ritenga pertanto opportuno tranquillizzare sin da ora consumatori e produttori che detto olio non sarà vincolato all’ammasso, mentre potrà esserne, se mai, disciplinato l’obbligo di venderlo e sorvegliato il prezzo di vendita all’ingrosso e al dettaglio.

«Perrone Capano, Fusco».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

Così pure le interpellanze saranno iscritte all’ordine del giorno, qualora i Ministri interessati non vi si oppongano nel termine regolamentare.

La seduta termina alle 17.45.

Ordine del giorno per la seduta, di domani.

Alle ore 16:

  1. – Interrogazioni.
  2. – Comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.

VENERDÌ 13 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

XVI.

SEDUTA DI VENERDÌ 13 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SARAGAT

indi

DEL VICEPRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Sul processo verbale:

Patricolo                                                                                                         

Lizzadri                                                                                                            

Giannini                                                                                                            

Ferrario, Celestino                                                                                        

Presidente                                                                                                        

Comunicazioni del Presidente:

Presidente                                                                                                        

Congedi:

Presidente                                                                                                        

Interrogazioni (Svolgimento):

Bellusci, Sottosegretario di Stato per la pubblica istruzione          Calamandrei        

Petrilli, Sottosegretario di Staio per il tesoro                                                     

Pollastrini Elettra                                                                                        

Verifica di poteri:

Presidente                                                                                                        

Elezione contestata per la circoscrizione di Palermo:

Presidente                                                                                                        

Proposta di aggiunta, al Regolamento della Camera (Seguito della discussione):

Badini Confalonieri                                                                                        

Zuccarini                                                                                                         

Bassano                                                                                                            

Laconi                                                                                                              

Mazzei                                                                                                              

Gullo Rocco                                                                                                    

Colitto                                                                                                             

La Malfa                                                                                                          

Bellavista                                                                                                       

Cappi                                                                                                                 

Perassi, Relatore                                                                                               

Interrogazioni e interpellanze (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

Schiratti, Segretario                                                                                         

La seduta comincia alle 16.

SCHIRATTI, Segretario, legge il processo verbale della seduta precedente.

Sul processo verbale.

PRESIDENTE. Sul processo verbale ha chiesto di parlare l’onorevole Patricolo. Ne ha facoltà.

PATRICOLO… L’onorevole Di Vittorio aveva ieri interrogato i Ministri dell’interno e dei lavori pubblici per conoscere quali provvedimenti essi intendono prendere per lenire la disoccupazione dei lavoratori agricoli pugliesi.

Alle risposte dei Sottosegretari Corsi e Restagno l’onorevole Di Vittorio si dichiarava parzialmente soddisfatto e suffragava tale dichiarazione con argomenti che non è affar mio discutere. Senonché devo rilevare, a nome del mio gruppo, alcune parole pronunciate dall’onorevole Di Vittorio all’indirizzo dell’«Uomo Qualunque». L’onorevole Di Vittorio ha sostenuto che l’«Uomo Qualunque» tende a disintegrare la Confederazione generale del lavoro e a costituire dei sindacati qualunquisti. Questa affermazione è fuori della realtà dei fatti, è, direi, falsa, in quanto l’«Uomo Qualunque» ha sempre dichiarato, in tutti i modi, attraverso la sua stampa, attraverso la nostra parola, che il nostro movimento non è affatto contrario alla Confederazione generale del lavoro; anzi è favorevole ad un rafforzamento ed a un potenziamento della Confederazione stessa. Basterebbe, a dimostrarlo, il fatto che molti di noi deputati sono iscritti alla Confederazione generale del lavoro, e principalmente gli onorevoli Giannini e Tieri (Interruzioni – Commenti).

Ma se questo non bastasse, potrei richiamare l’attenzione degli onorevoli colleghi, soprattutto del settore dirimpettaio (Commenti – Rumori), su articoli che sono stati scritti nell’«Uomo Qualunque», che è il settimanale, credo, più diffuso d’Italia, ma che forse voi non leggete. (Interruzioni).

GIANNINI. E avete torto!

PATRICOLO. E allora vi ricordo il numero del 14 agosto dell’«Uomo Qualunque», in cui nell’articolo «Politica del lavoro» vengono ribaditi i concetti fondamentali del pensiero qualunquista nei riguardi della Confederazione generale del lavoro in genere e dei sindacati in ispecie. In questo articolo è detto ad un certo punto: «Mette conto di sciupare tesori di tempo e di utile attività per distruggere la Confederazione generale del lavoro, la quale, anche se provvisoriamente infeudata al Partito Comunista, tramite Di Vittorio, è l’organo sindacale di tutti i lavoratori»? (Commenti – Interruzioni).

E altrove si dice: «Questo pensiero ci fa perplessi, dato che ogni divisione dei lavoratori non può che risolversi a loro danno, poiché i padroni del capitalismo, non meno egoisti e miopi dei sindacalisti professionali, padroni del lavoro, approfitterebbero subito di uno sbandamento anche temporaneo dei lavoratori, per imporre pretese non meno assurde di quelle dei loro diretti antagonisti».

Basterebbero queste poche righe per convincere chi in buona fede volesse interpretare il sentimento e l’orientamento politico qualunquista. (Rumori – Interruzioni).

Una voce da sinistra. Sono i fatti che contano!

GIANNINI. Quali fatti? (Commenti).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Lizzadri. Ne ha facoltà.

LIZZADRI. Sono costretto a rispondere all’onorevole collega del gruppo dell’«Uomo Qualunque», in assenza dell’onorevole Di Vittorio che è partito questa notte per Washington per assistere alla conferenza della Federazione mondiale sindacale. Per quello che riguarda l’affermazione dell’onorevole Di Vittorio, esiste un documento, che io riconosco precedente alla dichiarazione apparsa sul vostro giornale, di un sindacato dei lavoratori dell’agricoltura ispirato dal movimento dell’«Uomo Qualunque» – non c’è nulla di straordinario in tutto questo – in cui si diceva che i lavoratori dell’agricoltura per trovare occupazione – e io m’impegno di consegnare all’onorevole Giannini questa lettera e prego l’onorevole Presidente di prenderne nota – dovevano rivolgersi a questo sindacato invece che alla Camera del Lavoro. Non sono ora in condizione di esibire questa lettera, ma mi impegno di consegnarla al Presidente del gruppo dell’«Uomo Qualunque».

GIANNINI. La ringrazio e glie ne darò delle altre.

LIZZADRI. Il collega ha fatto altre affermazioni. È una vecchia asserzione che la Confederazione è sotto la pressione – qualche cosa di più – del Partito Comunista. Questo, permettetemi di dirlo, se potesse valere come una vostra argomentazione per me, che sono il Segretario della tendenza socialista, non credo che potrebbe valere per l’altro segretario della tendenza democristiana. Tutte le deliberazioni prese fino a questo momento dalla Segreteria confederale sono state prese all’unanimità e dopo, qualche volta, una vivace ed accesa discussione. Naturalmente chi si trova al centro di queste correnti ha cercato sempre – ed era suo dovere – di avvicinare i punti di vista opposti e dobbiamo in buona fede riconoscere che fino a questo momento ciò è riuscito, benché, in certe date circostanze e per certe date questioni, la cosa non fosse molto facile.

Vorrei dire, approfittando di questa occasione, che ogni giorno si legge, specialmente sui giornali della destra ed anche sui vostri giornali, che la Confederazione del lavoro è dominata da tre dittatori, e questo è in contraddizione con quello che dite altre volte, che è dominata da un dittatore. Non è un’offesa per noi, perché, in fondo, siamo abituati a tutto questo; è un’offesa per i lavoratori italiani.

Come potete supporre, voi che vi chiamate democratici, che sei milioni e mezzo di lavoratori italiani, nella repubblica democratica, potrebbero rimanere sottoposti alla dittatura di tre modesti uomini? Dovete riconoscere che questa è una contraddizione evidente, e, ripeto, non è un’offesa per noi tre, ma per il buon nome di tutti i lavoratori italiani. E vorrei aggiungere – e spero che siano presenti gli onorevoli Bitossi e Morelli – che nelle nostre visite fatte ai capi delle delegazioni a Parigi, nel presentare un memoriale, di cui la stampa ha dato notizia, ci sono state spesso contestate alcune affermazioni che facevamo nel memoriale stesso: ci è stata contestata la gravità o meno della situazione attuale esistente in Italia; ma nessuno dei 21 capi delle delegazioni ci ha contestato che il nostro Paese in questo travagliato dopoguerra, è il più calmo di tutta l’Europa. Tutti i capi delle delegazioni hanno dovuto convenire – guardate che questa era un’arma che agitavamo a difesa del nostro Paese – nel dire che il popolo italiano sosteneva sacrifici immensi e, malgrado questo, fino a questo momento, aveva dimostrato una comprensione dell’attuale situazione che gli stessi lavoratori delle nazioni vincitrici non avevano dimostrata.

Ora, perché proprio all’interno del nostro Paese deve esistere questa campagna accanita contro la Confederazione? In fondo, la Confederazione che cosa è? È un organismo di 6 milioni e mezzo di lavoratori, fra i quali annoveriamo anche l’onorevole Giannini…

Una voce. Lavoratore di che?

GIANNINI. Del teatro e del cinematografo (Commenti).

LIZZADRI. …di tutte le fedi politiche e di tutte le fedi religiose. Io vorrei che voi poteste portare un solo esempio di un lavoratore che sia venuto nella nostra segreteria confederale, che sia venuto da me personalmente ed al quale io abbia domandato a priori quale fosse la sua fede politica. (Interruzioni).

Una voce. Da lei, no.

LIZZADRI. Io ho detto «da me personalmente», perché sono io che parlo, ma posso affermare la stessa cosa per gli altri due segretari e per tutta la segreteria confederale.

Sono, dicevo, sei milioni e mezzo di lavoratori di tutti i mestieri, di tutte le arti. Vi sono i poeti, gli scrittori, i pittori, gli scultori, i professori universitari. Un organismo con sei milioni e mezzo di lavoratori significa da 24 a 25 milioni di persone appartenenti a tutte le categorie del popolo italiano; questo significa che la Confederazione generale del lavoro rappresenta qualcosa che è molto importante nella vita nazionale, rappresenta la maggioranza di tutto il popolo italiano.

È nell’interesse stesso del nostro Paese che continui questa campagna contro la Confederazione? Portateci dei fatti! Anche questa mattina un giornale affermava: «Gli scioperaioli, i dirigenti che con piano preordinato hanno impostato una serie di scioperi per finire allo sciopero degli statali». Domandate al Presidente del Consiglio che cosa ha fatto la segreteria confederale per scongiurare lo sciopero degli statali e per cercare di definirlo. Questa è la verità.

Onorevoli colleghi, nell’ultimo consiglio direttivo della Confederazione abbiamo ammesso la stampa e credo che fossero rappresentati lutti i giornali, fuorché l’Avanti! e l’Unità. Ebbene, io vorrei che i vostri redattori (e qui vi sono direttori di giornali e giornalisti) vi dicessero qual è lo spirito con il quale si discute nella Confederazione. È più facile che si trovino in contrasto su una tesi determinata o su un problema concreto piuttosto due rappresentanti sindacali della stessa corrente che due rappresentanti di correnti diverse.

Comunque, nell’ultimo comitato direttivo, per esempio, è stato più facile all’onorevole Rapelli mettersi d’accordo con l’onorevole Di Vittorio, che all’onorevole Di Vittorio mettersi d’accordo con l’onorevole Alberganti: questo significa, onorevoli colleghi, che non vi sono questioni politiche, che non si tratta di fare della politica, ma di esaminare i problemi nell’interesse dei lavoratori.

E noi possiamo sbagliare, naturalmente; non abbiamo nessuna pretesa di non sbagliare perché, vi era uno solo che non sbagliava mai…

GIANNINI. Ed è finito male!

LIZZADRI… ed è finito a Piazza Loreto, e nessuno di noi vuole finire a Piazza Loreto.

La campagna contro la Confederazione non solo non ha ragione di essere, ma, preordinata com’è da certi settori della opinione pubblica italiana, da certi settori del giornalismo italiano, non fa bene a nessuno. Non fa bene al nostro Paese, e se voi dell’«Uomo Qualunque» volete avere veramente la sensazione di che cosa c’è nella Confederazione del lavoro e nelle Camere del lavoro, ebbene, venite nelle Camere del lavoro, assistete alle discussioni che vi si fanno, venite negli organismi sindacali. Perché anche oggi voi parlate di una Confederazione del lavoro dominata dai tre partiti di massa e dai tre dittatori? Sapete da chi è diretta oggi la Federazione che è stata definita, diciamo così, quella più vivace, forse perché si occupa del petrolio? È diretta da un liberale. Abbiamo sindacati diretti dal Partito d’azione, molti da indipendenti. Ne abbiamo anche uno diretto da un qualunquista. Come vedete, se i lavoratori eleggono liberamente, davvero liberamente, i loro dirigenti, perché nessuno ha mai contestato una elezione avvenuta in uno dei nostri organismi sindacali, non si può parlare di imposizioni di volontà dall’alto.

In due anni di vita la Confederazione del lavoro non ha avuto altra mira che gli interessi del nostro Paese; in qualsiasi occasione abbiamo cercato di ispirarci ai veri interessi dei lavoratori e per conseguenza agli interessi reali di tutto il popolo italiano.

L’anno scorso a Parigi, alle due conferenze mondiali, noi siamo riusciti a portare il nostro Paese a parità assoluta con le altre nazioni vincitrici. A Parigi la nostra delegazione ha avuto aperte le porte di tutte le delegazioni, e ad un banchetto – non lo dico per il banchetto – offerto alle 21 nazioni vincitrici assisteva una ventiduesima nazione, rappresentata dai tre delegati della Confederazione del lavoro.

Questo noi abbiamo cercato di fare nell’interesse dei lavoratori e del nostro Paese. Mandate pure i lavoratori nelle nostre organizzazioni: non si troveranno male. Il fatto è che in Italia, come dappertutto, i sindacati sono per lo più diretti da socialisti, da comunisti e da democristiani. Questa è la realtà che può fare dispiacere a qualcuno, ma che si verifica non soltanto in Italia, ma anche in Francia, in Inghilterra, nel Belgio, in Olanda, dappertutto.

I lavoratori di qualsiasi tendenza politica, di qualsiasi fede religiosa troveranno nella Confederazione del lavoro la loro casa, ove potranno dirimere quei contrasti che non riusciranno a dirimere all’infuori dei loro sindacati, nel contrasto delle lotte politiche. La Confederazione è la loro organizzazione, ed in essa i lavoratori troveranno modo di unirsi e di cooperare tutti insieme nell’interesse del Paese. (Applausi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Giannini. Ne ha facoltà.

GIANNINI. Desidero solo dire che se l’onorevole Di Vittorio avesse ieri parlato nello stesso stile in cui ha parlato oggi l’onorevole Lizzadri, non vi sarebbe stata la replica odierna dell’onorevole Patricolo, determinata da un’affermazione non rispondente a verità.

Circa la lettera che l’onorevole Lizzadri mi vuole presentare, io ne presenterò altre dalle quali egli vedrà che le intenzioni al centro della Confederazione generale del lavoro sono ottime, ma alla periferia non lo sono egualmente. Da questo scambio di lettere probabilmente si avrà qualche cosa come una proficua collaborazione, che è quella che ci auguriamo nell’interesse di tutti.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Ferrario Celestino. Ne ha facoltà.

FERRARIO CELESTINO. Nella seduta di ieri risulta che io non ho partecipato al voto. Per la verità io ho risposto «no» al primo appello nominale. Prego quindi che mi sia dato atto di ciò nel verbale di oggi.

PRESIDENTE. Prendo atto di tale dichiarazione.

Non essendovi altre osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Comunicazioni del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che l’onorevole Bencivenga si è dimesso da presidente e da componente del gruppo parlamentare del Blocco Nazionale della libertà e si è iscritto al Gruppo dell’Uomo Qualunque.

Congedi.

PRESIDENTE. Hanno chiesto congedo i Deputati: Bubbio, Dominedò.

(Sono concessi).

Svolgimento di interrogazioni.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca le interrogazioni. La prima è quella dell’onorevole Calamandrei, al Ministro della pubblica istruzione, «per conoscere quali provvedimenti intenda adottare per risanare la gravissima situazione in cui si trovano le Università italiane, in molte delle quali è praticamente sospesa per mancanza di dotazioni ogni attività scientifica e didattica, le collezioni ed i musei continuano ad andare rapidamente in rovina per mancanza di materiale di disinfezione e di mezzi di restauro, e al pagamento del personale insegnante e amministrativo si deve provvedere con prestiti bancari ad alto interesse, che aggravano sempre più il pauroso dissesto dei bilanci universitari».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per la pubblica istruzione ha facoltà di rispondere.

BELLUSCI, Sottosegretario di Stato per la pubblica istruzione. Il Ministero si è reso conto delle condizioni di grave disagio in cui si trovano le Università e gli Istituti superiori in conseguenza della guerra. Per ovviare a tale situazione ha predisposto, d’intesa col Ministro del tesoro, un piano per un primo risanamento delle condizioni economico-finanziarie dei predetti Atenei. Tale piano si realizza nei seguenti provvedimenti:

1°) un’assegnazione straordinaria di 300 milioni, suddivisa secondo le più urgenti necessità da un’apposita commissione tra le Università e gli Istituti superiori. Il provvedimento ha già avuto esecuzione;

2°) è stato già approvato dal Consiglio dei Ministri, ed è in corso di esecuzione, un altro provvedimento legislativo. Nella prima parte di esso si dispone che i contributi ordinari annuali corrisposti dallo Stato alle Università e agli Istituti superiori vengano quintuplicati; nella seconda parte è prevista un’ulteriore erogazione di carattere straordinario per la somma di 500.280.000 lire.

Si ha ragione di ritenere che con tali provvidenze gli Atenei possano sanare il deficit di bilancio e iniziare la ricostruzione della attrezzatura dei gabinetti e laboratori.

Il Ministero non mancherà di esaminare, anche in seguito, la possibilità di ulteriori provvedimenti, atti a risolvere il problema del riassetto delle nostre Università e dei nostri istituti di Istruzione superiore.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

CALAMANDREI. Mi dichiaro soddisfatto dell’interessamento dimostrato dal Ministro e dal Sottosegretario per il problema delle Università, ma vorrei che il signor Ministro si rendesse conto che, per le Università vi sono due problemi: un problema di carattere definitivo che andrà affrontato al momento opportuno, che non è questo, ed un problema di emergenza, che va risolto in via di urgenza e per la cui risoluzione non bastano i buoni propositi, ma occorre che essi siano attuati immediatamente.

Nella risposta dell’onorevole Sottosegretario, io non ho sentito una parola sulla situazione economica dei professori di Università. Ora io non so se la grande maggioranza dei membri di questa Assemblea sappia che i professori universitari quando arrivano all’estremo limite della loro carriera, al massimo della loro anzianità, dopo 30 o 35 anni di insegnamento, raggiungono stipendi che si aggirano sulle 15 o 17 mila lire. Fra le situazioni più penose in cui mi è accado di trovarmi nella qualità di rettore di una grande Università, ve ne sono alcune che riguardano proprio questa angosciosa situazione personale di colleghi ai quali manca letteralmente il necessario per sostentar la famiglia. Io vi potrei citare il caso di un professore di scienze esatte di una grande università (che non è quella di Firenze), il quale, non potendo, come insegnanti di altre materie possono, esercitare contemporaneamente una professione libera che serva ad integrare il loro stipendio, è costretto, dopo che la mattina ha fatto regolarmente lezione di alta scienza ai suoi studenti, a impiegare il pomeriggio nello sfruttare praticamente talune sue attitudini meccaniche fabbricando certi giocattoli che vende a un magazzino: e in questo modo raddoppia il suo stipendio e riesce a dar da mangiare a quella prole, in virtù della quale anche i professori universitari possono dirsi proletari.

Ma questo della situazione personale dei professori universitari non è forse il lato più angoscioso delle Università. Io penso anzi che da questa situazione dei professori è venuto anche del bene. Le vie della Provvidenza sono le più diverse. Forse i professori universitari, dall’essersi trovati in questo periodo così poveri, così vicini a quegli altri poveri che sono i lavoratori manuali, hanno sentito, come mai prima, questa loro vicinanza, questa loro appartenenza fraterna al grande esercito dei lavoratori, ed hanno per questo sentito il bisogno, e primi sono stati i professori dell’Università di Firenze, a iscriversi alla Confederazione generale del lavoro. (Applausi a sinistra).

Ma c’è qualche cosa di più grave nelle Università che il signor Ministro deve tener presente; cioè che nelle Università, i laboratori, gli istituti, i musei, gli erbari, le raccolte scientifiche vanno in rovina per difetto di conservazione e di manutenzione: ogni giorno che passa, senza che si provveda, senza che si cerchi almeno di conservare quello che c’è, questa rovina aumenta in maniera sempre più irrimediabile. Vi posso dire che, a Firenze, musei e istituti scientifici di fama mondiale stanno sull’orlo della distruzione, perché manca il danaro per rinnovare gli strumenti ed i vetri per conservare le collezioni, l’alcool da ricambiare nei vasetti, i materiali disinfettanti per impedire i deterioramenti degli esemplari raccolti. Così le nostre ricchezze scientifiche, accumulate in secoli di lavoro dalla scienza italiana, se ne vanno in rovina, se non si provvede subito.

Noi abbiamo fatto conoscere già da più di un anno ai competenti Ministeri questo pericolo delle Università. E ci è stato risposto dal Ministro della pubblica istruzione ma, soprattutto, dal Ministro del tesoro che i mezzi prima o poi sarebbero stati concessi, ma che intanto ci si ingegnasse a andare avanti con prestiti presso le banche. Così l’Università di Firenze, per pagare gli stipendi al suo personale, per provvedere alle spese più urgenti dei suoi laboratori, ha dovuto rivolgersi a un istituto di credito, ed essergli grata per aver ottenuto un’apertura di credito di trenta milioni all’interesse di circa il 10 per cento (Ilarità); e in questo modo, pagando circa tre milioni di interessi all’anno, siamo andati avanti fino a che il Ministero si è deciso a mandarci, quindici giorni fa, quei venti milioni di contributo straordinario i quali hanno servito unicamente a pagare una parte del debito, mentre per andare avanti si è dovuto subito ricominciare ad aumentare il debito tuttora pendente.

La situazione delle Università è tale che richiede un intervento urgente e non soltanto promesse; quelle promesse sulla serietà delle quali io voglio avere del resto la massima fiducia. (Applausi).

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Calamandrei, al Ministro della pubblica istruzione, «per conoscere quali provvedimenti intenda adottare per definire la sorte delle Facoltà di scienze politiche, la cui esistenza rimane tuttora in sospeso, con grave disagio di docenti e di studenti, dei quali da più di due anni nessuno sa quale sia esattamente la situazione giuridica; ed in special modo come intenda provvedere alla ricostruzione dell’Istituto di scienze sociali e politiche «Cesare Alfieri» di Firenze, in ossequio alle alte tradizioni liberali di questo Istituto, il cui patrimonio autonomo fu assorbito nel bilancio dell’università di Firenze: ricostituzione che già trovò il parere favorevole della Consulta e del Consiglio superiore della pubblica istruzione».

L’onorevole Sottosegretario per la pubblica istruzione ha facoltà di rispondere.

BELLUSCI, Sottosegretario di Stato per la pubblica istruzione. È noto che è stato predisposto da tempo uno schema di provvedimento legislativo concernente la soppressione delle Facoltà e dei corsi di laurea in scienze politiche e la trasformazione della Facoltà di scienze politiche di Firenze, già Istituto «Cesare Alfieri», in scuola di perfezionamento in scienze sociali per laureati.

È pure noto che tale schema di provvedimento legislativo è stato già accettato, in via preliminare, dal Consiglio dei Ministri, e successivamente sottoposto per il parere preventivo all’esame della cessata Consulta Nazionale, che ha espresso, in linea di massima, parere favorevole all’ulteriore corso, salvo alcuni emendamenti, fra cui la conservazione della Facoltà di scienze politiche di Firenze, nella sua attuale struttura.

Peraltro, si è ravvisata l’opportunità di sospendere per il momento l’ulteriore corso di questo schema, per mettere allo studio alcune questioni sorte automaticamente da quella principale della soppressione delle Facoltà di scienze politiche. Si accenna, fra le altre, a quella della sorte dei corsi di laurea in economia e commercio, appoggiati alle Facoltà di scienze politiche. Data l’importanza e le proporzioni di tali questioni, si è ravvisata anche l’opportunità di riprendere in esame «ex novo» tutta la materia, compresa la questione principale della soppressione, per le determinazioni che si ravviseranno utili, in relazione al quadro generale.

È da prevedere che si potrà avere quanto prima la definitiva sistemazione della questione in parola con la soluzione dei problemi sorti dai relativi riflessi.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

CALAMANDREI. Rimango in attesa di conoscere quelle che saranno a suo tempo le proposte ora annunciate dal Ministro; non posso quindi per ora dichiararmi né soddisfatto, né insoddisfatto.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Rossi Maria Maddalena, firmata anche dalle onorevoli Montagnana Rita, Minella Angiola, Pollastrini Elettra, Noce Teresa, Iotti Leonilde, Gallico Nadia, Merlin Lina, Bianchi Bianca, al Presidente del Consiglio dei Ministri ed al Ministro delle finanze, «per sapere se non ritengano necessario, mentre il Governo si dispone ad affrontare il gravissimo problema del finanziamento del programma di lavori pubblici e di assistenza sociale, che solo giustifica la sua formazione ed anima la fiducia che lo sostiene, di avocare senza ritardo alle casse dello Stato i beni che già furono della corona, per devolverli, con tassativa disposizione di legge, all’azione di assistenza immediata dell’infanzia e della adolescenza, minacciate tragicamente nell’attuale dissoluzione della vita economica e sociale del Paese cui ancora non si è saputo porre argini, nella loro fisica e morale esistenza».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per il tesoro ha facoltà di rispondere.

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. I beni della corona erano, come sono, di pertinenza dello Stato, e precisamente formavano, come formano oggi, parte del suo demanio con un vincolo di speciale destinazione.

La maggior parte di questi beni già della corona hanno carattere artistico monumentale e non possono essere utilizzati con un realizzo per le casse dello Stato, senza un evidente pregiudizio per la storia per l’arte e per la cultura.

Si potrà invece tener conto della proposta delle onorevoli interroganti per quella parte dei beni già della corona che non abbiano questo carattere, che non interessi allo Stato di conservare per il rispetto dei principî superiori.

Naturalmente si terrà anche conto, e si dovrà tener conto, anche delle indispensabili esigenze della Casa del Capo dello Stato.

D’altra parte le proposte, e, per dir meglio, i fini che le onorevoli interroganti si propongono, saranno certamente rispettati, anche e soprattutto quando si tratterà di dare definitiva sistemazione ai beni di quella che fu la Gioventù Italiana del Littorio. In quella sistemazione definitiva del cospicuo patrimonio dell’ex GIL si terrà conto in modo particolare delle destinazioni che sono state segnalate al Governo dalle onorevoli interroganti.

PRESIDENTE. Una delle onorevoli interroganti ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta.

POLLASTRINI ELETTRA. Mi dichiaro soddisfatta delle dichiarazioni dell’onorevole Sottosegretario di Stato.

Verifica dei poteri.

PRESIDENTE. Comunico che la Giunta delle elezioni nella sua seduta odierna ha verificato non essere contestabile la elezione dell’onorevole Matteo Rescigno della circoscrizione di Salerno (XXIV) e, concorrendo in esso i requisiti previsti dalla legge, ha deliberato di proporne la convalida.

(La proposta è approvata).

Elezione contestata per la circoscrizione di Palermo (Doc. III, n. 1).

PRESIDENTE. Comunico che la Giunta delle elezioni propone che sia annullata la proclamazione del candidato Pasqualino Vassallo per la circoscrizione di Palermo, e che il candidato Galioto sia proclamato in sua vece.

Metto a partito la proposta della Giunta delle elezioni.

(È approvata).

Avverto che da oggi decorrono i 20 giorni per la presentazione di eventuali reclami o proteste contro la proclamazione del dottor Michelangelo Galioto.

Seguito della discussione sulla proposta di aggiunta al Regolamento della Camera (Doc. II, n. 5).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione sulla proposta di aggiunta al Regolamento.

Ha chiesto di parlare l’onorevole Badini Confalonieri. Ne ha facoltà.

BADINI CONFALONIERI. Onorevoli colleghi, francamente io non sono in quello stato euforico, privilegiato, di entusiasmo in cui ieri, al riguardo di questa proposta di aggiunta al Regolamento, vi ha parlato l’onorevole Caroleo. Sono in proposito assai più scettico e assai più diffidente: scettico su quella che è la portata concreta del provvedimento, diffidente sulla forma con cui esso viene attuato. L’eccezione solo apparentemente di natura formale, ieri da noi liberali proposta, aveva non soltanto un fondamento giuridico ineccepibile che non è sfuggito alla acuta disamina del Relatore onorevole Perassi, quando ha voluto chiarire che la proposta aggiunta non implicava modifiche legislative; ma aveva altresì una base e un fondamento di natura sostanziale, come sostanziale è la modifica del decreto legislativo Luogotenenziale 16 marzo 1946, n. 98, cui attraverso questa proposta di aggiunta al Regolamento si vuole addivenire.

Già ieri ho brevemente fatto cenno dei motivi per i quali l’interpretazione, sia pure quasi autentica, fornita dal Relatore onorevole Perassi, non possa essere accolla. Il Regolamento, ha detto l’onorevole Perassi, non modifica la legge: il decreto legislativo 16 marzo rimane in vigore; gli articoli 3, 5 e 6 non subiscono modifiche; il fondamento della proposta è costituito dalle dichiarazioni del Presidente del Consiglio e il Governo è impegnato attraverso le dichiarazioni stesse. In relazione a. quella promessa noi dunque costruiamo; cosicché, caduto per esempio il Governo, cadrebbe la promessa, cadrebbe il vincolo che attraverso questa aggiunta al Regolamento lega il Governo alla Costituente. O in altre parole il giorno che i partiti di Governo non intendessero più di sottoporre i loro disegni di legge alla Costituente e per essa alle Commissioni, non avrebbero che da rimaneggiare la formazione governativa in guisa da mutare l’onorevole Presidente del Consiglio, perché quell’obbligo creato dall’attuale aggiunta al Regolamento, che non può vincolare ogni successivo Governo, venisse automaticamente a cessare, perché i rapporti tra Governo o Costituente venissero nuovamente a mutare. E quando da parte nostra si obbietta che i rapporti tra Governo e Costituente costituiscono un problema di tale importanza nella vita politica nazionale, e non possono pertanto essere costruiti, così, sulle sabbie mobili di una dichiarazione presidenziale che evidentemente non costituisce vincoli, ci si oppone dall’onorevole Gullo che si tratta ad opera nostra di una manovra dilatoria. Potrei rispondere all’onorevole Gullo che l’ostruzionismo consiste piuttosto nel fare ad un tempo opera di Governo e opera di opposizione; e l’accusa evidentemente non tocca noi liberali. Ma preferisco contenermi nella elencazione dei motivi molteplici, non solo formali, ma di ben altro rilievo e di natura sostanziale, che sono a fondamento della nostra opposizione; in base alla quale riteniamo che questo provvedimento altro non sia che un cavallo di Troia, opportuno per voler far passare della merce di contrabbando. (Approvazioni a destra).

Fino ad oggi il Governo ha legiferato senza preoccuparsi affatto dell’opinione del popolo o, per esso, dei suoi rappresentanti; ha di fatto, se non di diritto, annullato quella divisione dei poteri legislativi che il decreto legislativo 16 marzo all’articolo 3 e all’articolo 6 prevedeva; ha emanato disposizioni legislative non soltanto nel campo a lui demandato della normale amministrazione, sia pure in un senso largo data l’eccezionalità del momento, ma ha operato decise riforme di struttura che esulavano totalmente dalla sua competenza: dall’abolizione del Senato alla divisione delle terre incolte, alla convalida dei decreti Gullo che la Corte di cassazione aveva dichiarati incostituzionali, è un susseguirsi di modifiche di struttura nell’ordinamento statuale italiano fatte per decreti-legge, è una continuata appropriazione indebita fatta dal Governo di compiti che non gli spettano.

Ma, mentre eleviamo una vibrata protesta per questa usurpazione di poteri perpetrata dal Governo, grave non tanto in sé, quanto per la deroga ai principî in essa contenuta, a questa constatazione di fatto ci richiamiamo per vagliare con notevole diffidenza l’improvviso atto di resipiscenza, di fronte al quale oggi è richiesto il nostro consenso.

Tre sono le sfere dell’attività legislativa secondo il decreto 16 marzo 1946 e tre diversi organi hanno al riguardo competenza: vi sono le leggi costituzionali propriamente dette, la Costituzione, che deve essere redatta dalla Costituente; vi è il campo dell’ordinaria amministrazione, ed è sfera della attività legislativa del Governo; vi è una terza sfera di leggi che altro non sono che l’applicazione concreta di quei principî che l’Assemblea Costituente traccerà nella Costituzione, come nel suo discorso aveva enunciato il Capo dello Stato Sua Eccellenza De Nicola: la sfera riservata al futuro Parlamento.

Il decreto legislativo del marzo scorso, fatto col concorso dei liberali al Governo, prevedeva in altre parole una tregua costituzionale da valere sino all’emanazione della Costituzione, così come prima del 2 giugno esisteva una tregua istituzionale. Si vorrebbe oggi, attraverso una modifica al Regolamento interno, così, in sordina, varare un provvedimento rivoluzionario degli accordi preventivamente intervenuti, senza che l’opinione pubblica e, direi quasi, gli stessi esponenti del popolo qui convenuti, avessero sentore dello stesso ed esprimessero la propria opinione al riguardo. Perché l’articolo 6 del decreto legislativo 16 marzo 1946, viene ad essere abrogato – non so quanto ritualmente – da questa proposta di aggiunta al Regolamento.

Checché ne dica il Relatore, è evidente che il nuovo Parlamento non avrà più possibilità di ratifica – come l’articolo invece prevedeva – al riguardo di provvedimenti legislativi già sottoposti all’esame dell’Assemblea Costituente, sia per l’assurdità che il Parlamento futuro possa avere poteri superiori di controllo del Parlamento attuale, sia perché esplicitamente l’articolo 6 – a proposito della ratifica – parla di provvedimenti legislativi «che non siano di competenza della Assemblea Costituente» e coll’approvazione dell’articolo aggiuntivo tutti i provvedimenti legislativi sono formalmente sottoposti alla Costituente.

La sfera di leggi riservate alla ratifica del futuro Parlamento viene ad essere annullata: la Costituzione invade, direttamente o indirettamente, attraverso l’opera di controllo prestata dalle sue Commissioni, tutta l’attività legislativa; assume – scaricando il Governo – e questo è il punto, ogni responsabilità al riguardo. Diciamo la parola forte: la Costituente si muta in una convenzione; anche se tutto avvenga in sordina: nella forma, la più modesta; nella sostanza, la più impegnativa. Tant’è che gli onorevoli colleghi della destra come della sinistra sono unanimi nel desiderio di far cadere nel nulla il decreto legislativo Luogotenenziale 16 marzo 1946, ritenendolo privo di effetti giuridici. Ma non considerano che la sua invalidità comporta come conseguenza inconcepibile l’invalidità di tutto quanto – in esecuzione di esso – è stato fatto: dal referendum alla nomina del Capo provvisorio dello Stato; dalla regolarità stessa di questa Assemblea, la cui nomina viene ad essere inficiata, alla legittimità di tutte quelle norme che, sia pure provvisoriamente, reggono l’attuale Stato italiano.

E lascio a lei considerare, onorevole Gullo, se conseguenze di tal fatta non giustifichino una meditata approvazione o disapprovazione dell’aggiunta al Regolamento che ci viene proposto. Tant’è che l’onorevole Calamandrei, in quell’impeccabile ragionamento che ieri ci ha fatto da quel maestro di diritto che è, ha preso le mosse da un postulato, che quasi testualmente così recitava: «La Costituente racchiude in sé – se limitazioni non le provengono dal popolo – ogni facoltà legislativa»; ha cioè dato come presupposto dimostrato – mentre era da dimostrare – l’assoluta invalidità del decreto legislativo Luogotenenziale 16 marzo 1946, di quel decreto che, all’opposto, secondo l’onorevole Relatore, non soltanto ha giuridica efficienza, ma la manterrà anche dopo l’approvazione dell’articolo aggiuntivo. Se non si vuole creare il caos e l’equivoco, è manifesto che coloro che oggi votano la proposta di aggiunta al Regolamento debbono sapere con ben diversa precisione e chiarezza che cosa votino.

Per noi liberali il decreto legislativo Luogotenenziale 16 marzo 1946 ha piena efficienza giuridica per quei motivi ieri espressi dallo onorevole Riccio, che non è pertanto qui il caso di ripetere; per noi la Costituente è sovrana nei limiti di quel mandato determinato, che è rappresentato dal suo atto costitutivo, e che è stato ratificato dal popolo attraverso le elezioni.

Ma, quando questi limiti, che il popolo ha accettato e ratificato andando alle urne, siano superati, e questo superamento costituisca l’improvviso rovesciamento della situazione di fatto sussistente, in cui il Governo sempre ha legiferato anche riforme di struttura, anche in materia costituzionale, senza minimamente preoccuparsi del parere della Costituente, cui aveva facoltà per lo articolo 3 di sottoporre i propri disegni di legge, questo subitaneo stato di resipiscenza governativa non può non renderci cauti e diffidenti.

Ed altri motivi, molti di diffidenza vengono ad aggiungersi qualora – sotto l’aspetto storico – si consideri il partito che per primo ha ventilata la proposta di nomina delle Commissioni; qualora – sotto l’aspetto politico – si esamini la formulazione del comma terzo dell’articolo aggiuntivo, impropria, generica e pericolosa: «Ciascuna Commissione rinvierà al Governo i disegni di legge, indicando quelli che essa ritenga debbano essere sottoposti alla deliberazione dell’Assemblea Costituente per la loro importanza tecnica o politica».

Ad un criterio qualitativo ed esatto previsto dal decreto del marzo scorso si sostituisce un criterio quantitativo di per sé confuso, attraverso al quale alla nostra Assemblea viene dato quel che non le compete, e viene tolto – o quanto meno viene data la possibilità di togliere attraverso il voto di una Commissione – quel che le compete.

Ed è in proposito da porre in particolare luce, come non idonea ad imprimerci fiducia al riguardo, la raccomandazione fatta dall’onorevole Calamandrei, e che acquista maggiore rilievo per essere stata confermata a nome del Governo dall’onorevole Cappa, che le Commissioni potrebbero fare «l’uso più parco possibile di sottoporre leggi alla Assemblea». Si dà con l’una mano quel che già si toglie con l’altra.

Non soltanto, dunque, la Costituente si tramuta in Convenzione, ma il potere convenzionale non permane nelle sedute plenarie e pubbliche dell’Assemblea, sibbene si nasconde e si fraziona nel segreto dei lavori delle Commissioni. E manco a farlo a posta, ecco lo emendamento che, con assoluta contemporaneità alla proposta di aggiunta, ci viene sottoposto, l’emendamento che attiene alla formazione delle Commissioni, in base al quale raddoppiandosi il numero dei componenti le Commissioni, viene altresì ad aumentarsi illegittimamente il numero dei Deputati che appartengono ai partiti più numerosi, cioè a quelli governativi, e a diminuirsi pertanto correlativamente la partecipazione dell’opposizione.

Ma comunque questo controllo delle Commissioni, che oggi si sbandiera volutamente come una conquista della democrazia, è efficiente? Od è soltanto lo spolverino gradito agli uomini di Governo perché altri – senza poteri effettivi di critica e di modifica – assumano la corresponsabilità del loro operato? A che cosa mira quell’emendamento, in cui si statuisce una diversa procedura «qualora la sessione dei lavori dell’Assemblea sia chiusa»? Quali disegni di leggi saranno presentati a sessione chiusa e quali no? Tutto è demandato al libito governativo e sottratto ad ogni efficace controllo.

Per cui si ha l’impressione – ed io sarei lieto che la mia opinione al riguardo fosse destituita di fondamento – che la proposta di aggiunta, irrituale nella forma, miri nella sostanza a far sì che l’attività legislativa del Governo acquisti maggiore autorità, non già attraverso l’opera organica di controllo e di critica di un Parlamento, il che non potrebbe non trovare noi liberali consenzienti, ma attraverso un’azione di natura esclusivamente formale, che si vuole, non già perché possa portare a modifiche sostanziali dei disegni di legge, ma perché la responsabilità di quelle riforme di struttura, che il Governo non può fare ma egualmente fa, avvengano sotto l’usbergo e la corresponsabilità della Commissione. Per questi motivi, noi liberali, che pure protestiamo formalmente contro gli arbìtri del Governo, votiamo contro questa norma, la quale solo apparentemente costituisce la creazione di nuovi controlli, ma nella sostanza significa l’usurpazione di una sfera di attività legislativa, che il decreto legislativo luogotenenziale 16 marzo 1946 aveva considerato competenza esclusiva del futuro Parlamento. (Applausi a destra).

Presidenza del Vicepresidente TERRACINI

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Zuccarini. Ne ha facoltà.

ZUCCARINI. Onorevoli colleghi, ho votato contro la sospensiva; voterò, molto probabilmente, contro la proposta di modifica del Regolamento. Dico molto probabilmente perché ad una sola condizione mi sentirei di votare per quella modifica: se cioè l’iniziativa parlamentare assegnasse contemporaneamente ad una Commissione il compito di rivendicare la sovranità dell’Assemblea e di stabilire, in una legge, i rapporti dell’Assemblea con il Governo.

L’onorevole Calamandrei affacciava ieri alcuni dubbi, alcuni interrogativi. Credo che lo svolgimento della discussione e la proposta stessa di sospensiva gli abbiano dato una certezza: quella certezza io l’avevo già ed è che non si esce da una questione fondamentale, questione di principio, con le mezze misure, o addirittura aggirandola, come si è pensato di fare.

Non si può afferrare il senso della questione che ci interessa se non ci riferiamo ai criteri con i quali la proposta di modifica venne fatta e in base ai quali si è creduto di risolvere una questione fondamentale, trasformandola in una questione formale, quasi di procedura. Si è creduto infatti che si potesse, attraverso la riforma del Regolamento, ottenere quasi lo stesso risultato. L’amico Perassi, che è stato il relatore della modifica e che in linea di principio è d’accordo con me, spiegava come in fondo tutti i progetti di legge del Governo finirebbero, in tal modo, per passare ugualmente alla Assemblea attraverso le Commissioni. Non si tratta precisamente di ciò. La sostanza vera è nel fatto che quella modifica avviene in relazione proprio all’articolo 3 del decreto 16 marzo 1946 e che vi è così, pure attraverso la modifica, un riconoscimento del decreto stesso. Si poteva ignorare quel decreto. Cosi invece lo si legalizza! Si riconosce cioè esplicitamente l’indipendenza del potere esecutivo e si riduce praticamente l’Assemblea ad una Assemblea consultiva.

La proposta di sospensiva è intervenuta come un chiarimento. Il valore della sospensiva proposta è, infatti, in questo: che coloro che la proposero si preoccupavano di non intaccare minimamente il principio che logicamente discendeva dal richiamo che con la modifica si fa al decreto del 16 marzo. Ha detto molto esplicitamente l’onorevole Riccio, che è stato uno dei collaboratori di quella proposta di riforma, come quel richiamo dovesse essere inteso. Lo ha più precisamente affermato dopo di lui l’onorevole Crispo: il quale ha detto che la legge resta, e che resta come continuità. Della continuità, soprattutto della continuità, si sono infatti preoccupali coloro i quali hanno proposto la sospensiva! Se ne sono preoccupati appunto perché non volevano che venisse in qualche modo infirmato il valore di quel decreto; perché si preoccupano della continuità o meglio, fatemelo dire, della possibilità di riallacciarsi, quando che sia, prima che le cose siano completate, quando i risultati non si avessero nel tempo stabilito o in qualsiasi altra circostanza, di riallacciarsi a quel decreto il quale – come ha detto appunto il precedente oratore – è il decreto della tregua istituzionale che, secondo essi, dovrebbe continuare anche adesso e fino al giorno in cui la Costituzione non sia fatta e la Repubblica non sia effettivamente una realtà. Si tenta, insomma, di rimanere nel provvisorio. Siamo cioè sempre sul terreno delle mezze misure, dell’equivoco, sul quale sembra impossibile definire in modo preciso e chiaro tutte le cose.

Ora è appunto il riconoscimento di quel decreto che per me non può essere accettato. Non è possibile che l’Assemblea Costituente si riduca nelle condizioni di un’Assemblea consultiva.

Vedremo meglio di che si tratta.

Il decreto del 16 marzo dispone, innanzi tutto, di dare all’Assemblea una funzione sovrana con l’elezione del Capo provvisorio dello Stato. Anche quella di preparare la Costituzione è una funzione sovrana. La preoccupazione, però, anzi l’intento di quel decreto fu quello di limitare in anticipo della Costituente tutti gli altri poteri. E si sono stabiliti dei limiti che se potevano essere consentiti nel caso che un mutamento del regime non ci fosse stato – e probabilmente quel decreto fu dettato proprio da questa convinzione: che il mutamento non ci sarebbe stato! – sono assolutamente inconcepibili e inaccettabili in regime repubblicano. Che cosa stabilisce, infatti, quel decreto? Stabilisce che durante tutto il periodo della Costituente, e fino alla convocazione del Parlamento, il potere legislativo resta delegato al Governo, salvo le leggi costituzionali c quelle relative all’approvazione dei trattati. Ma chi delega tale potere al Governo? Forse l’Assemblea che doveva ancora nascere? È invece proprio quel Governo stesso che fa il decreto o che tiene in mano il potere esecutivo. Io non mi preoccupo di vedere da chi fosse composto quel Governo che nominalmente era un Governo democratico. Mi preoccupo del fine che quel decreto si proponeva, mi preoccupo della sua essenza antidemocratica.

Ora, il Governo luogotenenziale, che faceva il decreto, così facendolo, era fuori da ogni norma istituzionale, anche da quelle norme costituzionali precedentemente esistenti. Il Governo, che secondo me, nel suo ultimo residuo istituzionale è finito con la fine del regime monarchico, prima ancora che la Costituente fosse eletta, si delegava, esso, tutti i poteri per sé e per i Governi che sarebbero venuti. Vi risparmio la illustrazione delle conseguenze che ne derivano, tanto esse sono evidenti.

Mi limiterò al lato prettamente politico, che è questo: che esso ci ha condotto tutti, il Paese e noi, nella situazione di incertezza nella quale ci dibattiamo e con tutti i pericoli dell’incertezza, delle cose cioè non chiaramente definite.

Quale sia lo spirito di quel decreto, con quali intenzioni, e quale sia il carattere delle modificazioni proposte al Regolamento, è detto molto chiaramente in ciò che scriveva uno dei membri della Giunta del Regolamento, l’onorevole Riccio, qualche giorno fa, e ha ripetuto in questa Assemblea: «sotto questo aspetto, aspetto politico, sarebbe estremamente pericoloso – egli ha scritto – riconoscere la sovranità assoluta ed illimitata della Costituente; sarebbe un riconoscere che essa è l’unico potere sovrano dello Stato, mentre lo sono anche il Governo ed il Capo dello Stato. Si potrebbe giungere a sconfinamenti con tutte lo conseguenza eventualmente pregiudizievoli per la trasformazione e la organizzazione della vita statale». Si tratta, come si vede, di una preoccupazione che deriva da una concezione puramente paternalistica delle funzioni dello Stato.

Un potere esecutivo indipendente c superiore all’Assemblea. E una Assemblea in un certo modo serva del potere esecutivo!

Questa è, in sostanza, la portata logica di quel decreto, tanto vero che secondo esso gli stessi voti di sfiducia dell’Assemblea non comportano nemmeno di necessità le dimissioni del Governo. Dice testualmente l’articolo 3: «Le dimissioni sono obbligatorie soltanto in seguito alla votazione di un’apposita mozione di sfiducia intervenuta non prima di due giorni dalla sua presentazione e adottata a maggioranza assoluta dei membri (non già dei presenti: badate bene!) dell’Assemblea.». Io domando: quale è l’Assemblea, non dirò sovrana, ma un Parlamento ordinario che tollererebbe siffatta norma? Un’Assemblea sovrana non può riconoscere che ci siano dei poteri non provenienti da lei.

Farò, a tale proposito, un rilievo che è molto importante, specialmente in un momento così difficile come l’attuale. Il Paese ignora quale sia la sostanza del decreto luogotenenziale e crede veramente che l’Assemblea Costituente sia un potere sovrano. Attende così dalla Costituente, non solamente l’approvazione delle leggi che possano esserle presentate dal Governo, ma attende soprattutto la iniziativa. Vuole vedere cioè, e dovremmo farlo vedere, che questa Assemblea è qualche cosa di più e di meglio di un’Assemblea consultiva. È certo, invece, che nei lavori nostri, fino a questo momento, non abbiamo soddisfatto a tale aspettativa del Paese. Ecco perché importa che ci sia la iniziativa della Camera e la possibilità, non dirò di eleggere un Governo, ma di discutere, di approvare, di respingere, non formalmente, ma con effetto pratico, politico positivo. La facoltà di fare, di discutere ed approvare le leggi servirebbe a dare all’Assemblea tutt’altro potere, e tutt’altro prestigio, potere e prestigio di cui ci dobbiamo molto preoccupare. E particolarmente servirebbe, in momenti difficili come questi, nei quale le crisi si risolvono solo nel chiuso dei comitati dei partiti, mentre la crisi trovasi in mezzo al Paese. Io credo che l’Assemblea, rivendicando a se stessa la propria sovranità, dando a se stessa la facoltà dell’iniziativa che ancora non ha, capovolgendo soprattutto un principio che ci riattacca direttamente ai sistemi paternalistici del passato, si innalzerebbe di fronte al Paese, valorizzerebbe le sue funzioni, acquistando un maggiore prestigio. Dobbiamo preoccuparci anche di ottenere tale risultato.

Né si dica che la funzione legislativa verrebbe a dare a questa Camera un lavoro eccessivo. Troppo spesso si è ripetuto che l’Assemblea, essendo chiamata al difficile lavoro della elaborazione della Costituzione, non può occuparsi di altre cose. Non mi sembra che si sia, fino a questo momento, data al Paese la impressione di avere molte cose da fare. Ma, se anche ciò fosse vero, l’Assemblea ha tutte le possibilità di contenere la esplicazione dei suoi diritti attraverso le Commissioni, ponendo ogni limite alla propria attività. Non si chiede affatto che l’Assemblea aumenti e moltiplichi la propria attività, e arrivi dove non può arrivare. Si chiede solamente che l’Assemblea abbia quella sovranità, che oggi non ha, di fronte al Paese e per tutte le evenienze dell’avvenire.

Quello che importa e a cui tendiamo è che sia l’Assemblea a delegare certe facoltà al potere esecutivo, invece di riceverle. È anche questa una questione di sovranità. Così come è prevista dall’articolo 3 del decreto del 16 marzo 1946, e finché non intervenga un atto dell’Assemblea, non si potrà dire mai che questa Assemblea sia un’Assemblea sovrana! Deve esserlo, invece, per la legittimità stessa – lasciatemelo dire – del futuro ordinamento dello Stato. Anche per legittimare la sua opera di Costituente, l’Assemblea non può restare ulteriormente nel rango nel quale la si è lasciata fin qui, rango che, sotto certi aspetti, è anche inferiore a quello che teneva la passata Consulta. Ciò è necessario, secondo me, a tutti gli effetti.

Un Governo che esca dall’Assemblea, che sia cioè, non formalmente ma legittimamente, espressione dell’Assemblea, che non si formi indipendentemente dall’Assemblea, ma in virtù di poteri sovrani attribuiti all’Assemblea stessa, credo che non perderebbe nulla della propria individualità e della efficacia della sua azione. E non potrebbe verificarsi più il caso di un decreto di grazia sovrana, preso indipendentemente dall’Assemblea, proprio alla vigilia del giorno in cui l’Assemblea doveva riunirsi, e nella vacanza del Capo Provvisorio dello Stato. Un Governo di ordinaria amministrazione si è attribuito in quel momento poteri che erano esclusivamente sovrani. Basta riferirsi solo a ciò per capire la gravità del principio affermato dal decreto del 16 marzo 1946. Quella amnistia, per i suoi risultati disastrosi, basta essa sola a farci vedere quanto sia importante che l’Assemblea, prendendo il coraggio a due mani, rivendichi la propria sovranità e riprenda tutti i suoi poteri. Se non la rivendica ora che la questione è posta, ora che c’è perfino chi si preoccupa che il carattere, il valore giuridico di quel decreto sia in qualsiasi modo intaccato, se non arriviamo alla soluzione definitiva, se in una situazione di compromesso equivoco, come l’attuale, non riusciamo a fare un taglio netto, noi forse comprometteremo, anche per l’avvenire, la sorte del nostro Paese.

Badate! Siamo in una situazione di crisi, che non è solo nel Governo, ma anche, e soprattutto, fuori, nel Paese. La crisi di Governo si può risolvere. Si deve risolvere. E lo sarà. Io lo spero. Ma la crisi nel Paese può scoppiare improvvisa e prendere la mano al Governo e ai Partiti. Chi la fronteggerà? I colpi di mano sono sempre possibili. Sappiamo per esperienza come si preparano, come riescono, cosa vogliono dire. Qual è allora il potere sovrano che può prendere nelle proprie mani le sorti del Paese?

Il Presidente? Il Presidente è un uomo e perché uomo può facilmente essere travolto anche lui. Non resta allora che l’Assemblea, nella sua unità, come rappresentante legittima del Paese.

Bisogna badare a tutte le possibilità e a tutte le eventualità. L’Assemblea sovrana è una garanzia. È una garanzia per il Paese, una garanzia della continuità delle nostre istituzioni, è la base di legittimità di qualunque Governo che dovesse formarsi. È un elemento di sicurezza che non deve essere sciupato, che non dobbiamo perdere. Sarebbe un delitto verso noi stessi, cioè un suicidio politico, e, più ancora, un delitto verso il popolo che ci ha eletto, e al quale, qualunque cosa accada, dobbiamo sempre rispondere.

Altri svilupperanno la discussione sul campo strettamente giuridico; io mi sono fermato al significato politico.

Occorre dare la certezza che la fonte della sovranità è mutata, e che l’Assemblea vive nella consapevolezza del suo diritto e della sua funzione. Bisogna stabilire coi fatti che il mutamento della fonte della sovranità è definitivo.

La Repubblica in Italia – bisogna che tutti lo sappiano e se ne convincano – deve essere una realtà di oggi e di sempre. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Bassano. Ne ha facoltà.

BASSANO. Onorevoli colleghi, l’eloquenza della votazione di ieri mi dovrebbe quasi indurre a non parlare. Ma quello che ci accingiamo a fare, o meglio quello che l’Assemblea si accinge a fare, è, a mio modo di vedere, così enorme dal punto di vista giuridico, che non ho voluto rinunziare alla parola.

Non che io dissenta su quello che è il contenuto sostanziale della disposizione regolamentare in discussione. Mi sembra anzi che sulla necessità od opportunità di modificare o quanto meno di non osservare il disposto dell’articolo 3 del decreto legislativo 16 marzo 1946, siamo tutti d’accordo, a cominciare dal Presidente del Consiglio. La questione, quindi, non è qui. Quello, invece, che a me non sembra ammissibile, come non è sembrato ammissibile a molti colleghi che mi hanno preceduto in questa discussione, è che si possa modificare la disposizione di una legge con una semplice disposizione regolamentare, e per giunta con una disposizione di Regolamento interno di questa Assemblea. Dal nostro illustre Relatore si è cercato di contestare che qui si tratti di modifica della legge. Ma, a parte tutto quello che al riguardo si è detto dai colleghi che mi hanno preceduto, e in modo particolare dal professor Calamandrei, basta semplicemente mettere a raffronto l’articolo 3 del decreto legislativo del marzo 1946 con la proposta di aggiunta al Regolamento che ci viene sottoposta, per convincersi di che modifica si tratta. Mentre infatti con la prima parte del detto articolo 3, tutto il potere legislativo ordinario resta delegato al Governo, se si approvasse, invece, la disposizione aggiuntiva del Regolamento, resterebbe delegata al Governo solamente quella parte di potere legislativo che l’Assemblea non credesse di riservare a se stessa, attraverso l’esame delle commissioni che noi dovremmo nominare. Mentre, poi, per la seconda parte dell’articolo 3, è in facoltà del Governo di sottoporre all’Assemblea quei provvedimenti che non siano di carattere costituzionale, approvandosi la disposizione regolamentare, questa facoltà verrebbe dal Governo trasferita all’Assemblea attraverso le dette commissioni. Per il Governo invece, come esattamente ha osservato l’onorevole Calamandrei, quella che oggi è una semplice facoltà diventerebbe un obbligo. Mi sembra, quindi, non potersi mettere in dubbio che ci troviamo di fronte ad una vera e propria modifica dell’articolo 3 del decreto legislativo 16 marzo 1946.

Per giustificare tale modifica con una semplice disposizione regolamentare, neppure può dirsi, come da qualcuno che mi ha preceduto è stato detto, che noi potremmo ritenerci non vincolati dalle disposizioni di quella legge per il fatto che essa fu emanata da un governo provvisorio, da un governo di fortuna, come altra volta in questa stessa Assemblea ebbe a dire l’onorevole Calamandrei. In questo mi dispiace di non poter essere d’accordo con lui. Provvisori o non provvisori, quei governi erano pienamente legittimi e, secondo me, ci metteremmo sopra un terreno molto pericoloso dal punto di vista politico, se volessimo mettere in dubbio la legittimità dei governi che si sono succeduti dalla caduta del fascismo in poi, solo che si tenga presente l’importanza e la gravità dei provvedimenti legislativi da quei governi adottati. Guai, se per semplice ipotesi dovessimo ammettere la possibilità che quei provvedimenti dovessero essere sottoposti a ratifica.

Quello che più esattamente si può osservare, ed è stato infatti osservato da quasi tutti i colleghi che mi hanno preceduto, è che, essendo quest’Assemblea sovrana, col decreto legislativo del marzo 1946 non si sarebbero potuti delegare, e per giunta a un governo che di essa doveva essere emanazione, dei poteri che solo l’Assemblea avrebbe dovuto delegare. In questo siamo tutti d’accordo. Ma esso può significare solo che o con un progetto di legge di iniziativa parlamentare, o con una mozione che inviti il governo a modificare la legge, si possa proporre la modifica della legge stessa, non mai che si possa non tener conto della legge o ritenere di poterla modificare con una semplice disposizione di Regolamento interno dell’Assemblea. Se questa, infatti, come nessuno mette in dubbio, è un’Assemblea sovrana, è proprio per questo che deve dare l’esempio dell’osservanza della legge. E poiché per principio generale, sancito dall’articolo 15 del Codice civile, una legge non può essere abrogata che da una legge posteriore, noi non altrimenti possiamo modificare la disposizione dell’articolo 3 del decreto legislativo Luogotenenziale del 16 marzo 1946, che con una legge.

Concludendo, quindi, a me sembra che non possiamo dare il voto favorevole alla proposta aggiuntiva del regolamento che ci viene sottoposta. Poiché, peraltro, riconosciamo l’esattezza dei principî che la disposizione regolamentare avrebbe ispirato, possiamo o con un nostro progetto di legge proporre la modifica della legge, oppure con una mozione invitare il Governo a modificarla. (Applausi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Laconi. Ne ha facoltà.

LACONI. Onorevoli colleghi, io penso che noi siamo tutti sensibili al richiamo testé fatto dall’onorevole Zuccarini alla pubblica opinione, all’aspettazione con cui il Paese ci segue. Effettivamente, se noi abbiamo seguito le discussioni che si sono qui succedute con attenzione e con ammirazione per la mostra di acutezza, di competenza, di senno giuridico che ci è stata data, è indubbio che questa ammirazione non è andata disgiunta da un senso di viva preoccupazione nel vedere l’Assemblea avviarsi sopra un terreno di discussioni che sono sempre più distanti, sempre più estranee agli interessi vivi e concreti del Paese, e al travaglio che lo agita nel momento presente. (Approvazioni a sinistra). Con ciò non possiamo però giungere alle conclusioni cui l’onorevole Zuccarini è giunto. Se è indubbio che siamo tutti unanimi nell’affermare la sovranità assoluta, integrale di questa Assemblea, sovranità che le è stata conferita attraverso un voto del Paese, penso che non possiamo ignorare il fine pratico per cui l’Assemblea stessa è stata costituita, il mandato esplicito che essa ha ricevuto dal popolo all’atto della sua elezione. Questo mandato, onorevoli colleghi, consiste nell’espletamento dei lavori per dare al nostro Paese una Costituzione nuova, repubblicana e democratica.

Pare quindi evidente che il compito fondamentale, essenziale dell’Assemblea, deve essere appunto quello che il Paese le ha conferito mediante la sua manifestazione elettorale.

Noi non possiamo aderire alla tesi dell’onorevole Riccio, che il decreto per cui siamo stati in qualche modo mandati in questa sede, possa costituire un limite, una condizione ai lavori e agli interessi di questa Assemblea. Pensiamo che la sovranità dell’Assemblea debba essere assoluta e integrale, ma pensiamo anche che proprio da questo decreto dobbiamo trarre la conoscenza del compito che ci è stato assegnato, del mandato che ci è stato affidato; e dobbiamo quindi contenere e dirigere i lavori della nostra Assemblea nel senso che l’attività preminente alla quale dobbiamo dedicarci è quella di dare al Paese la sua Costituzione. Da qui sorge appunto la necessità di delegare il potere legislativo ordinario al Governo; necessità, ripeto, che risponde a uno scopo eminentemente pratico, che tende semplicemente a togliere all’Assemblea il peso di quei lavori che in questo momento le impedirebbero l’espletamento del suo compito fondamentale.

Ma il dubbio non è certamente sorto su questo punto, e non investe la sostanza della questione: è sorto sui limiti e sulle cautele che devono accompagnare questo conferimento di poteri ed ha investito interamente il principio e l’aspetto formale della delega stessa. Per quanto riguarda la prima di queste due questioni, cioè la questione dei limiti e delle cautele che devono accompagnare il conferimento dei poteri al Governo, credo che non vi possa essere dubbio alcuno che limiti e cautele vi debbano essere; ma lo stesso articolo 3 del decreto 16 marzo ne stabilisce esplicitamente alcuni, quando riserva l’esercizio del potere legislativo ordinario all’Assemblea su talune materie e prevede una iniziativa del Governo su tulle le altre.

Lo stesso decreto stabilisce la responsabilità del Governo di fronte all’Assemblea. Come si concreta questa responsabilità? Il decreto prevede soltanto il voto di sfiducia che comporta le dimissioni del Governo. Ma, in pratica, mi pare che tutti noi abbiamo dimenticato che il Governo stesso, sensibile a questa esigenza, cioè di rispondere concretamente all’Assemblea, si è ad essa presentato con un programma e su questo ha chiesto un voto di fiducia. Oggi la responsabilità del Governo, quale è prevista nel decreto 16 marzo, non è più una responsabilità generica, è una responsabilità concreta articolata in un preciso programma, sottoposto all’Assemblea Costituente e sottoposto al Paese.

L’Assemblea, a grande maggioranza, ha risposto alla presentazione di questo programma dando un voto di fiducia al Governo. Quale senso ha oggi riproporre la questione in termini formali? Questo chiedo, o signori. Ciò poteva avere un senso il 15 luglio e da parte di chi intendeva fare opposizione al programma del Governo, soprattutto per i suoi aspetti di programma legislativo. Questa è, mi pare, la posizione dell’onorevole Mastrojanni; ma tutto questo è stato superato dal voto del 25 luglio, con cui l’Assemblea ha approvato il programma nel suo complesso ed anche in quegli aspetti di programma legislativo che esso presenta, nonostante il voto contrario dell’onorevole Mastrojanni e dei suoi amici politici.

È evidente che questo voto di fiducia non significa una cambiale in bianco rimessa al Governo. È evidente che l’Assemblea conserva intatta la sua sovranità, secondo il mandato che il Paese le ha dato. Ma è anche evidente che noi non ci possiamo prestare a giuochi o manovre che tendano ad indebolire la fiducia che il Paese ha nel Governo e la forza che il Governo ha e che gli è necessaria per poter condurre a termine il suo mandato. Non ci possiamo prestare a giuochi di questo genere. La questione si pone in termini concreti, soltanto se teniamo conto del voto di fiducia che l’Assemblea ha dato al Governo ed al suo programma.

Il problema è, quindi, preciso. In qual modo l’Assemblea può controllare l’azione legislativa del Governo, può controllare che essa rientri nel programma che è stato approvato e come può controllare che questo programma venga effettivamente attuato?

Contenuto in questi termini, che sono i suoi termini reali, il problema trova una soluzione perfettamente idonea nel meccanismo delle Commissioni e nel diritto d’interpellanza. Attraverso il primo, l’Assemblea può controllare che il Governo mantenga la sua azione legislativa nei limiti che sono stati segnati dal programma da essa approvato; attraverso le interpellanze l’Assemblea può fare opera di stimolo sul Governo, affinché il programma su cui si è impegnato venga effettivamente attuato. Senza intralciare quindi i lavori del Governo da un lato, senza appesantire i suoi lavori dell’altro, l’Assemblea viene così ad esercitare un controllo, una critica costruttiva sull’azione del Governo. Ed è questo, signori, io penso, ciò che il Paese chiede oggi da noi: il Paese ci guarda con insoddisfazione, direi quasi con delusione, quando vede che ci attardiamo su disquisizioni giuridiche che possono essere formalmente preziose, ma che non hanno alcun contenuto pratico e non rispondono alle esigenze, alle aspirazioni del popolo. Il Paese ci segue con delusione, signori; chiede che noi esercitiamo un’opera, una funzione attiva nei confronti del Governo, che lo stimoliamo nella sua opera legislativa, dandole un avviamento che dovrà essere inerente alla nuova Costituzione che noi elaboriamo, e ciò nel senso di portare le masse popolari italiane, in questo difficile momento della vita nazionale, a superare il travaglio in cui attualmente si trovano, ad uscire da una situazione di emergenza, a poter affrontare con serenità, in pace, il futuro che esse stesse, con la loro forza, con la loro serenità, col loro lavoro, dovranno domani costruire. (Applausi a sinistra).

Presidenza del Presidente SARAGAT

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Mazzei. Ne ha facoltà.

MAZZEI. Onorevoli colleghi, mi pare che la discussione si sia ormai così ampiamente svolta che se ne possano rapidamente fermare i punti essenziali. L’origine della discussione è stata la serie di osservazioni che l’onorevole Calamandrei, a suo tempo, sollevò per far rilevare che c’era un problema da risolvere, quello dei rapporti tra Assemblea Costituente e Governo.

Oggi noi discutiamo su di una modifica al Regolamento della Camera, con la quale modifica si sarebbe dovuto – almeno alcuni lo hanno pensato – risolvere quel problema. In realtà le chiarificazioni fornite dall’onorevole Perassi sono state definitive in proposito; egli ha precisato che la proposta di aggiunta al Regolamento della Camera, non incide in alcun modo sul decreto legislativo luogotenenziale 16 marzo 1946 e che, quindi, i rapporti fra Assemblea e Governo rimangono esattamente quali erano prima; e rimanendo come erano prima, si ha che la Assemblea Costituente è priva del potere legislativo ordinario e quindi di qualsiasi iniziativa legislativa, perché è chiaro che se non ha competenza legislativa ordinaria non può avere iniziativa per le leggi ordinarie.

Ora il problema sorto era proprio quello di vedere se questo potere legislativo ordinario dovesse spettare alla Costituente e, una volta chiarito questo punto, se l’Assemblea dovesse, e in quale misura, trasferirlo al Governo.

Tutti gli oratori hanno affermato che l’Assemblea Costituente è sovrana; ma dire questo significa dire che essa detiene anche il potere legislativo, come è nelle tradizioni di tutte le Assemblee Costituenti. Ed allora noi dobbiamo cercare di mettere d’accordo la situazione attuale con la nostra coscienza e con la nostra convinzione; poiché è un fatto che la Costituente è rimasta tal quale era stata predisposta in regime monarchico, quando poteva essere legittima la preoccupazione di non far coesistere con il potere del luogotenente il potere legislativo della Costituente.

L’ipotesi dalla quale partiva l’onorevole Calamandrei, che la proposta modifica al Regolamento volesse significare che l’Assemblea detiene il potere legislativo, è caduta, ed allora cade anche la conclusione che, nonostante alcune incongruenze giuridiche, quella modifica risolvesse praticamente abbastanza bene il problema dei rapporti fra Governo e Assemblea. Ma io nego che vi sia implicita nella legge l’affermazione della sovranità della Costituente, anzi dico che v’è una affermazione contraria, perché vi è il richiamo espresso al decreto legislativo luogotenenziale del marzo, che limita la competenza dell’Assemblea alla sola materia costituzionale e lascia esclusivamente al Governo l’attività legislativa ordinaria.

La modifica al Regolamento che oggi è in discussione, fa esplicito e reiterato richiamo alla competenza dell’Assemblea Costituente come determinata dal citato decreto luogotenenziale. La Costituente, quindi, se si limita, senza riserve, ad accettare la proposta modifica del Regolamento, riconosce la sua non sovranità, perché accetta la determinazione della propria competenza da parte d’un’autorità che non è quella propria.

Ora è chiaro che la Costituente in tanto è veramente sovrana in quanto ha la competenza di determinare la propria competenza. Qui, nella Assemblea, vi sono valenti giuristi, che possono darmi atto della validità di questo elementare principio.

Qual è allora la via dì uscita? Si può anche ammettere la proposta di modifica al Regolamento, ma con l’impegno di presentare all’Assemblea una legge che regoli in via provvisoria questa e magari altre materie costituzionali, che quindi venga a far cadere quel famoso decreto legislativo, di cui l’onorevole Calamandrei ha dimostrato l’invalidità per quanto riguarda la delega al presente Governo che può esser data validamente solo dalla Costituente.

Ho chiesto di parlare, semplicemente perché mi è parso che fosse troppo diffusa l’opinione che il decreto legislativo del marzo sia una specie di tabù, una superlegge, una specie di statuto non modificabile. Contro questa interpretazione appunto noi ci siamo battuti lungamente. È chiaro che non avremo altra via di uscita che di votare contro questa modifica del Regolamento, se essa significa convalida del decreto del marzo; mentre potremo anche votare a favore, se la modifica non ha altro significato che la predisposizione di alcune norme interne funzionali, in attesa che venga presentato – e noi ne promoveremo in una delle prossime sedute, l’elaborazione da parte di un’apposita Commissione speciale – un progetto di legge che dovrebbe considerare non soltanto i rapporti fra Governo e Assemblea, ma anche altre materie costituzionali in relazione al decreto del marzo: cioè non soltanto in relazione all’articolo 3, ma anche in relazione agli articoli 4, 5 e 6, non adeguati alla situazione repubblicana, ed anche all’esigenza di modificare il nome di Capo provvisorio dello Stato in quello naturale di Presidente della Repubblica.

La nuova legge non dovrà gravare l’Assemblea di eccessiva fatica, distraendola dalla normale sua funzione, che è quella di fare la costituzione. Noi possiamo dare tutti i poteri al Governo, se ha bisogno di altri poteri, in un periodo, come questo, di trapasso di regime, che ha un carattere rivoluzionario, che nessuno di noi vuole togliere ma se mai accentuare. Possiamo dare al Governo tutti i poteri, ma glieli dobbiamo dare noi. Non si può procedere a caso: una volta che viene in campo un problema giuridico e politico insieme, dobbiamo risolverlo secondo i dettami della logica politica e giuridica.

Noi proporremo nella prossima seduta esattamente questo: una apposita Commissione, che dica specificatamente quali materie costituzionali debbono essere regolate da una legge costituzionale provvisoria, ne rediga lo schema e lo presenti all’Assemblea. Mi pare che così le cose si chiariscano molto più nettamente e che si rendano veramente feconde le nuove Commissioni previste dall’aggiunta al Regolamento.

Le proposte Commissioni possono essere molto utili nel funzionamento della Camera; ma proprio perché vogliamo che l’Assemblea collabori efficacemente col Governo nell’esercizio della funzione legislativa, e abbia anche potere d’iniziativa, ciò non vuol dire togliere alcunché al Governo. Vogliamo avere quell’iniziativa senza la quale la Costituente risulterebbe diminuita. E mi pare che non sia nell’interesse di nessuno – soprattutto dei partiti di sinistra – di vedere diminuita l’autorità dell’Assemblea. (Applausi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Gullo Rocco. Ne ha facoltà.

GULLO ROCCO. Onorevoli colleghi, molte parole sono state dette, e soprattutto sono state lette, su questo argomento di cui oggi ci occupiamo. In un momento in cui il Paese si dibatte in una crisi paurosa, noi vediamo ingaggiare una battaglia per sapere se ciò che dobbiamo discutere è la modifica della legge o semplicemente la modifica del Regolamento.

A parere del Relatore, espresso ieri, e a parere nostro, si tratta di una modifica del Regolamento e non della legge del marzo 1946; ma quando anche fosse una modifica della legge, noi socialisti non ci spaventeremmo per questo. La legge suprema, ancora una volta, è la salute pubblica. Con questo non temano gli avversari, che mi hanno espressamente richiamato al riguardo, che da questa parte si pensi a tramutare l’Assemblea Costituente in una Convenzione. Non ne abbiamo bisogno. Abbiamo dalla nostra la forza del numero; non solo del numero dei deputati, ma soprattutto del numero degli elettori che hanno espresso la maggioranza di questa Assemblea. Noi non trasformeremo in una Convenzione l’Assemblea Costituente. Ed ancora una volta manifesto il mio rammarico, come feci ieri, per il tono drammatico che in questo momento, in cui purtroppo il dramma c’è, ma non è quello della modifica del Regolamento dell’Assemblea, si è voluto dare alla discussione di ieri e di oggi.

La questione è stata discussa in termini giuridici. Io penso che su questa, come purtroppo su tutte le altre questioni giuridiche, gli argomenti non manchino né da una parte né dall’altra. Ma credo che l’impostazione da darsi non sia, o non debba essere soltanto giuridica, ma soprattutto politica.

All’onorevole Crispo che ieri disse inammissibile una modifica della legge, «perché i poteri e la funzione della Costituente erano presenti al popolo quando elesse la prima Assemblea della Repubblica Italiana», io potrei rispondere che se è vero che il popolo italiano votò in base alla legge del marzo 1946, è altrettanto vero che esso non avrebbe avuto la possibilità di votare in modo diverso. Il popolo fu chiamato ad eleggere i propri rappresentanti: scelse la lista che più si adattava alle sue idee, scelse in quella lista gli uomini che preferiva ed era questo tutto ciò che poteva fare e che fece. Ora è l’Assemblea che interpreta la volontà del popolo sovrano e se questa Assemblea decidesse di modificare, anche sostanzialmente, non con una modifica di regolamento, ma con un’altra legge, la legge del marzo 1946, credo che nessuno potrebbe gridare all’eresia ed alla iconoclastia.

Gli avversari si dividono in due gruppi: quello dell’estrema destra, gli uomini dell’«Uomo Qualunque», i quali sostengono che la modifica attuale è troppo poca cosa e che occorre non soltanto modificare la legge ma addirittura disconoscere la legge. Essi inficiano la legittimità delle leggi del marzo 1946 come vorrebbero inficiare la legittimità di tutte le leggi del Governo dei Comitati di Liberazione Nazionale. Dall’altra parte vi sono i liberali, gli uomini della difesa costituzionale, i quali dicono che la legge del marzo 1946 è inviolabile ed intangibile.

Noi socialisti poniamo questo punto fermo: la legittimità della legge del marzo 1946, così come la legittimità di tutte le leggi emanate dal Governo dei Comitati di Liberazione Nazionale. Però non confondiamo, e non vogliamo confondere, la legittimità con la intangibilità di una legge. La legge è legittima, ma l’Assemblea Costituente che riceve il suo potere dal popolo sovrano può anche modificarla. E che non si tratti di iconoclastia, ce lo dice lo stesso onorevole Calamandrei che non oso chiamare maestro, non fosse altro che per non invecchiarlo, il quale non è certamente un iconoclasta né un eretico del diritto e che pure ha approvato la modifica, lamentando solo, o facendo qualche appunto, per il fatto che si voglia arrivare allo scopo con una modifica del Regolamento, anziché con una vera e propria modifica della legge che egli, da giurista, ritiene possibile, mentre altri giuristi che si proclamano suoi allievi, parlano di iconoclastia a proposito di tale modifica.

Della discussione si è approfittato per denunciare «le inaudite violenze legislative che si commettono da parte del Governo ai danni del popolo sovrano». Queste furono le parole dell’onorevole Castiglia che io ho ricavato dal resoconto stenografico di ieri. Ed oggi ho sentito un altro oratore di destra parlare di appropriazione indebita, pur con riferimento soltanto al campo legislativo, e di usurpazione di poteri da parte del Governo. Dichiaro che queste espressioni che vengono da parte degli oppositori, mentre mi irritano, perché ingiuste e inopportune, sotto un certo aspetto mi danno un vero senso di compiacimento: anche se irritato per la ingiustizia delle accuse, sono, come uomo libero, compiaciuto che finalmente, dopo venti anni di servaggio, si possa, in una libera Assemblea, da parte di rappresentanti di una minoranza, parlare male del Governo, sia pure ingiustamente. Questo noi non potevamo fare, cari avversari, negli anni passati, perché l’esprimersi nei confronti del Governo con parole anche molto più misurate di quelle da voi adoperate, avrebbe potuto farci correre il rischio, e non soltanto il rischio, della galera o del confino.

Una voce a destra. Siamo d’accordo.

GULLO ROCCO. L’onorevole Castiglia si è lagnato dell’emendamento proposto dall’onorevole Taviani, che riduce da 50 a 25 il numero dei deputati ai fini della rappresentanza nelle Commissioni, aumentando in tal modo il numero dei Commissari. E si è lagnato perché questo sistema potrebbe portare a dare una grande maggioranza ai partiti di massa nelle Commissioni. La colpa non è del Regolamento né dell’emendamento; è degli elettori, i quali hanno, nella stragrande maggioranza, dato i loro voti a questi partiti di massa, i quali, quindi, hanno il diritto, secondo la democrazia parlamentare, di esercitare il potere, perché, io credo, la democrazia parlamentare consista nel Governo affidato alla maggioranza col rispetto del diritti della minoranza. E noi, socialisti, di questi diritti della minoranza siamo stati difensori e assertori, quando eravamo minoranza; siamo assertori e difensori oggi che siamo ancora minoranza, sia pure partecipando parzialmente al Governo; saremo difensori e assertori – possono esserne sicuri anche gli avversari – quando saremo maggioranza (Approvazioni).

Dunque, noi socialisti siamo per la modifica e, ripeto ancora una volta, non vogliamo drammatizzare. Questa modifica è sentita dalla maggioranza di noi e – posso dirlo, senza timore di essere smentito – è sentita dalla maggioranza del Paese. Perché è vero che la legge istitutiva dell’Assemblea Costituente parlava di potere legislativo delegato soltanto al Governo, e di campo costituzionale, augusto, ma limitato, dell’Assemblea Costituente. Ma è anche vero che il popolo, nel momento in cui dava il proprio voto, intendeva nominare i propri rappresentanti, quelli che avrebbero dovuto rappresentare, difendere i suoi interessi, portare a Roma la voce del popolo delle provincie e del popolo delle grandi città. E in fondo questa necessità, che tutti abbiamo sentita, la sentiamo anche di più in questo momento, in cui non è cominciato ancora il vero lavoro dell’Assemblea, in quanto il lavoro della preparazione dello Statuto è devoluto soltanto a una ristretta Commissione. Noi, pur nella tragica crisi, in cui si dibatte il Paese, non abbiamo potuto fare altro che riunirci una prima volta per nominare le cariche, andarcene a casa, riunirci più tardi, per discutere, e, oso dire, per discutere un po’ a vuoto, le dichiarazioni del Governo, in un momento in cui, viceversa, si sentiva il bisogno di qualche cosa che si poteva fare, che si doveva fare, per andare incontro alle sofferenze del nostro popolo. In un momento, in cui tutti dicevano: «Cosa fa il Governo?»; e qualche volta lo dicevamo anche noi; molti si chiedevano: «Cosa fa la Costituente?». Quando noi e voi diciamo al Governo che ha fatto male ad emanare quella tale legge o fa male a non emanarne una tal’altra legge; in fondo diciamo qualche cosa, che è in contrasto con l’atteggiamento, che assumono coloro, i quali vorrebbero lasciare al Governo il campo legislativo; perché la critica è una bella cosa, ma penso che bisogna anche aiutare il Governo. Ed in fondo questa modifica evita che si possa, da parte di Governo, cadere in quegli errori, che, a torto o a ragione, sono stati deplorati, perché essa ci dà la possibilità di collaborare col Governo prima ancora che le leggi vengano emanate.

Oltre la legge sono stati presentati degli emendamenti.

Il pensiero del Partito Socialista è che il primo emendamento, quello proposto dagli onorevoli Togni, Taviani e Braschi, e che si riferisce al momento in cui la sessione dei lavori dell’Assemblea sia chiusa, si debba approvare.

Non è possibile che durante la chiusura dell’Assemblea Costituente cessi l’attività legislativa del Governo. In ogni caso la Commissione, che è espressione e rappresentanza dell’Assemblea, manifesterà al Governo il proprio pensiero, e farà le osservazioni del caso.

Circa il secondo emendamento, quello dell’onorevole Caroleo, il pensiero del Partito Socialista è che si possa approvare solo per la prima parte, cioè per i disegni di legge rinviati, a norma dell’emendamento precedente, e non per tutti gli altri disegni che le Commissioni avranno ritenuto di non sottoporre alla deliberazione dell’Assemblea.

Giacché la prima parte l’emendamento è logica, mentre la seconda parte – che riguarda tutti i disegni di legge rinviati senza osservazioni – se fosse accettata, verrebbe ad aggravare enormemente il lavoro dell’Assemblea. E a questo siamo contrari, non per ragioni di principio, ma per ragioni di ordine pratico.

Circa l’emendamento Taviani, per cui le Commissioni dovrebbero essere composte su designazione degli uffici in ragione di un delegato per quelli che comprendono non più di 25 deputati e di uno per ogni 25, senza computare le frazioni, per gli altri uffici, noi siamo d’accordo, come ho già detto rispondendo all’onorevole Castiglia.

Vi è infine l’emendamento Persico, che dice: «Su tutti i disegni di legge, sui quali dovrà deliberare l’Assemblea Costituente (comprese le proposte di legge d’iniziativa parlamentare), riferirà all’Assemblea la Commissione competente per materia».

Questo emendamento sarebbe stato in contrasto con un comma che è stato soppresso in una successiva redazione della proposta di aggiunta, e tende ad estendere ed intensificare ancora di più l’attività legislativa dell’Assemblea.

Noi non lo voteremo ma, a malincuore, perché teoricamente, e per tendenza, saremmo per l’invadenza – non abbiamo timore della parola – nel campo legislativo.

Ma abbiamo la preoccupazione che hanno tutti coloro che vogliono vedere arrivare in porto al più presto e bene la costituzione repubblicana. Siamo legati dall’articolo 4 della legge del marzo 1946, che segna il limite molto breve della nostra esistenza di Assemblea. Noi dovremo infatti completare il nostro lavoro, per quelle che sono le funzioni specifiche dell’Assemblea Costituente, nel termine di otto mesi, che può essere prorogato al massimo di altri quattro mesi. E noi socialisti, che abbiamo iniziato per primi la battaglia per la Costituente, e con l’aiuto degli altri partiti democratici l’abbiamo vinta, siamo impegnati a dare al popolo italiano la nuova Costituzione, la nuova struttura dello Stato democratico.

L’onorevole Calamandrei è stato citato largamente e voglio ora citarlo anch’io, visto che è stato citato da amici e da avversari.

Egli è stato il propulsore, l’iniziatore, di questa proposta aggiuntiva. La proposta è nata per quello che egli aveva detto sin dalle prime sedute dell’Assemblea Costituente. E quando ha parlato ieri, non ha fatto solo intravedere, ma ha chiaramente espresso il suo desiderio di una più profonda modifica che dovrebbe andare più in là della modesta proposta di modifica del Regolamento. Però lo stesso onorevole Calamandrei, pur desiderando che l’attività dell’Assemblea Costituente si estenda al campo legislativo, da quel sincero repubblicano che è, ha manifestato una preoccupazione che tutti noi condividiamo e che si è concretata nelle sue ultime parole: occorre che questo lavoro legislativo non soverchi l’altro lavoro per la Costituente; occorre che le Commissioni non mandino all’Assemblea troppa materia, se non quella strettamente necessaria. Giacché appunto la questione ha due aspetti. L’Assemblea Costituente non può delegare tutto al Governo e in questo la maggioranza è d’accordo col Governo. Ciò che ieri io dicevo e che credo sia stato male interpretato, cioè che qui non si tratta di un contrasto fra due entità, fra due organismi politici di diversa origine, perché il Governo è l’espressione dell’Assemblea, per lo meno della maggioranza dell’Assemblea, e l’Assemblea è l’espressione del Paese, della volontà del Paese, mi ha procurato la definizione di socratico da parte di un giornale liberale. Ma si tratta di un concetto che vale la pena di riaffermare. Se noi facessimo il contrario, cioè se delegassimo al Governo una parte dei nostri poteri, noi con questo offenderemmo il diritto delle minoranze. In sostanza il Governo è espressione dell’Assemblea, ma solo di una. parte, di una gran parte, della maggioranza dell’Assemblea. Ma nell’Assemblea sono rappresentati anche partiti che non sono rappresentati al Governo. Ora se noi, con un colpo di maggioranza, volessimo attribuire al Governo una parte delle nostre facoltà, commetteremmo veramente cosa anticostituzionale, cosa pericolosa e lesiva per i diritti delie minoranze. Ma qui si tratta proprio del caso inverso: si dà un’interpretazione larga, estensiva alla stessa disposizione dell’articolo 3, che dava appunto facoltà al Governo di devolvere all’esame dell’Assemblea Costituente qualsiasi legge e non soltanto le leggi costituzionali, le leggi elettorali e i trattati di pace. Quindi noi oggi con una modifica di Regolamento o con una modifica di legge non facciamo che trasferire. all’Assemblea Costituente e, cioè ad un’Assemblea nella quale sono rappresentate anche le minoranze, una parte dell’attività legislativa. Questo è il primo aspetto del problema.

Il secondo aspetto è la necessità che l’Assemblea Costituente non dimentichi la sua funzione precipua. Noi dobbiamo fare la Costituzione e farla nel termine previsto, ed io vi confesso che mentre sono stato un assertore convinto della necessità che l’Assemblea Costituente si occupasse anche di attività legislativa, e al riguardo sarei stato ben lieto di condividere il pensiero dell’onorevole Persico e di accettare il suo emendamento, sono rimasto scosso da quanto è accaduto ieri, per cui oggi penso che noi, pure accettando il principio di una maggiore attività dell’Assemblea Costituente, non dobbiamo perdere di vista un grave pericolo. L’onorevole Badini Confalonieri si è dispiaciuto di un appunto di ostruzionismo che io posso anche aver fatto, ma che ho fatto anzitutto soltanto in linea di ipotesi e riferendomi alla sostanza e non alle intenzioni, e che oggi per meglio precisare potrei riferire solo ad una parte di coloro che hanno proposto la questione pregiudiziale, e non a tutti. Ieri, dopo quello che è accaduto, dopo la proposta di sospensiva e di pregiudiziale e dopo la proposta di appello nominale, mi sono chiesto se qui non si voglia veramente sabotare i lavori della Costituzione (Rumori) e impedire che nel termine previsto il popolo italiano abbia la sua Costituzione; tanto più, onorevoli colleghi, che da parte dei paladini dell’inviolabilità della legge del marzo 1946 si parla di referendum, di un referendum che non è previsto dalla legge del marzo 1946. (Commenti – Interruzioni).

E del resto il referendum è stato fatto, ed è stato fatto per volontà delle destre, ed ha avuto quel risultato che noi sappiamo. Poi è venuta la Costituente, la quale darà la Costituzione. Io non so quale obbligo giuridico, morale e politico potrebbe avere la Costituente ad accettare un nuovo referendum. Voi potete dire che noi possiamo modificare; ma dovete anche riconoscere che se non vogliamo modificare, facciamo cosa che rientra nel nostro diritto di rappresentanti del popolo. (Commenti).

Non è il referendum che noi temiamo; noi temiamo solo che in nome della democrazia e della libertà, di cui oggi parlano anche uomini che ieri bestemmiavano contro la democrazia e la libertà, si tenti il sabotaggio della vera democrazia, il sabotaggio della vera libertà. (Applausi a sinistra).

Tutto ciò, onorevoli colleghi, onorevoli avversari, non farà venir meno la nostra fiducia, che è illimitata, nella democrazia o nella libertà. Ma la democrazia non è debolezza, e noi che abbiamo ricevuto il mandato dal popolo sovrano, sapremo difendere gli interessi della grande maggioranza del popolo italiano. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlale l’onorevole Colitto. Ne ha facoltà.

COLITTO. Onorevoli colleghi, non credo di ingannarmi, se mi permetto di affermare che la richiesta di sospensiva, di cui la Camera ebbe ieri ad occuparsi, per lo meno valse ad indurre, sia la Giunta del Regolamento, sia il Governo, ad esprimere con chiarezza – uscendo dal serafico insinuante atteggiamento prima preso – il loro pensiero in ordine alla portata, soprattutto giuridica, dello articolo, di cui si domanda l’inserzione nel Regolamento della Camera.

Bisogna rendere omaggio sia all’illustre onorevole Perassi, sia all’insigne onorevole Cappa per la loro, sia pure non eccessivamente spontanea, sincerità. Ma oltre che per altre ragioni, proprio perché essi han parlato come ieri han parlato, l’Assemblea, ove voglia davvero esser fiera custode della sua sovranità, non dovrebbe ora esitare un istante a negare la propria approvazione alla proposta formulazione dell’articolo.

Siamo stati noi – giova ancora una volta affermarlo – prima e dopo del chiarissimo onorevole Calamandrei, ad affermare che questa Assemblea è sovrana, che è essa, anzi, il solo organo che può vantare di esercitare una sua legittima sovranità indiscutibile; organo innovatore, avente in sé non solo l’origine di tutti i poteri, ma anche la possibilità di crearli: prima, con un articolo, pubblicato su un nostro quotidiano, il giorno stesso, in cui l’Assemblea per la prima volta si riunì, e dopo con il chiaro discorso del collega onorevole Mastrojanni, di cui non disconosciamo che avremmo gradito il ricordo nella relazione della Giunta del Regolamento.

Siamo stati noi, che, in molteplici occasioni, abbiamo ripetuto che all’Assemblea Costituente, in virtù dell’articolo 3 del decreto legislativo luogotenenziale 16 marzo 1946, n. 98, spetta non solo il potere costituente, cioè il potere di formare la Costituzione, che non è, come tutti ben sanno, una legge, pur avendo valore giuridico, concretandosi in una serie di canoni di orientamento per la funzione legislativa ordinaria; ma anche un potere legislativo, cioè il potere di deliberare norme di diritto positivo. Ed abbiamo altresì ricordato i campi, nei quali tale potere deve svolgersi, sottolineando che all’Assemblea compete soprattutto nel campo costituzionale, che è da ritenersi, quindi, sicuramente sottratto al potere legislativo, che il Governo si delegò o – rectius – si riservò con l’articolo 3 innanzi ricordato. Se un dubbio in proposito esistesse, sarebbe subito fugato dalla dizione del primo comma dell’articolo, di cui si propone l’inserzione nel Regolamento.

Siamo stati noi, che, in molte manifestazioni di stampa, abbiamo pregato il Governo di ricordarsi «sempre» del primo capoverso del ripetuto articolo 3 e di sottoporre perciò «sempre» all’esame dell’Assemblea gli argomenti, che lealmente ritenesse doversi considerare materia costituzionale, sentendo in tal caso il ricorso all’Assemblea non più come una facoltà, ma come un dovere.

Ed intanto, ora che dalla Giunta del Regolamento ci si dichiara che ci si viene incontro e che qualche cosa che va al di là di quei nostri voti è stata accolto, eccoci ad invitare l’Assemblea a negare l’approvazione alla proposta di aggiunta al Regolamento di un articolo, che qualche cosa di più di quei voti nel suo testo appunto consacrerebbe.

Ma il nostro atteggiamento non potrà essere affatto considerato contraddittorio da chiunque si faccia a considerare la realtà senza passione di parte, avendo come guide il proprio intelletto, il proprio senso di responsabilità, la propria dignità.

Soprattutto dopo quanto, infatti, ebbero ieri a dichiarare esplicitamente l’onorevole Perassi ed il rappresentante del Governo, non è possibile, a mio modesto avviso, accogliere la proposta.

Un regolamento, lo si è rilevato (e qualunque cosa si dica in contrario è irrilevante), non può contenere che norme di esecuzione di una legge. È sempre in una legge che una norma regolamentare deve trovare la sua base. Orbene, dalla Giunta del Regolamento si scrive nella relazione, con un’aria di infinita ingenuità, che l’articolo in esame non ha già la sua base nella legge, ma – non lo si crederebbe! – in una dichiarazione fatta il 25 luglio scorso dall’onorevole Presidente del Consiglio a nome del Governo. Per i cultori di diritto la novità è degna veramente di ogni attenzione! E questa Assemblea, che è formata da menti elette e da giuristi di riconosciuto valore, dovrebbe nientemeno sottoscrivere affermazioni del genere, come se rappresentassero la quintessenza della esattezza giuridica, o a tale esattezza, per lo meno, si avvicinassero!

Ma – checché sia di ciò – non è dubbio che, se insomma si vuole veramente consacrare in una norma, – con lealtà, senza equivoci ed evitando la mezze misure – la sovranità dell’Assemblea, bisogna modificare la legge, perché la legge riserva al Governo il potere legislativo, tranne che per le leggi elettorali, per le leggi di approvazione dei trattati e per le leggi in materia costituzionale, e secondo la legge il Governo può, solo se lo crede, presentare all’Assemblea gli altri disegni di legge, mentre ora si dice che si intende far vagliare tutta la legislazione dell’Assemblea Costituente, la quale dovrebbe naturalmente poter esprimere pareri vincolanti per il Governo ed avere, senza dubbi, il diritto di iniziativa in materia legislativa.

Ora, quando dall’onorevole Perassi e dal rappresentante del Governo non si esita a dichiarare che la legge è quella che è e che con l’articolo proposto non si intendono recare innovazioni alla legge, si confessa, in un modo che più non potrebbe essere esplicito, che si è ben lungi dal voler riconoscere la sovranità dell’Assemblea, che tutti amano affermare non potersi porre in dubbio. Dichiarare che la legge è quella che è e che s’intende assicurare la continuità della legge, significa dire che il nuovo articolo del Regolamento non vincola affatto il Governo, che, pertanto, potrà disapplicarlo tutte le volte che ne avrà talento. E noi daremo, così stando le cose, la nostra approvazione?

Ma a che insistere, se per taluni autorevoli colleghi il riconoscimento della sovranità della Costituente non ha importanza? Non avete sentito ieri dire che il Governo è espressione della Costituente c che, siccome la Costituente è stata nominata dal popolo, tutto quello che fa il Governo è ben fatto per il popolo? Aliis verbis, la Costituente non avrebbe alcuna ragione d’essere!…

Ma, se anche non volessimo toccare la legge, per assicurarne appunto la continuità, ed una futuristica impossibile dottrina giuridica ci consentisse di affermare con esattezza che una norma regolamentare può trovare la sua base non in una legge, ma nell’impegno morale di una sia pure altissima autorità, neppure allora, o colleghi, potremmo dare la nostra approvazione alla proposta, perché l’Assemblea – come è stato già esattamente rilevato – non deve fingere di ignorare che quell’altissima autorità, dopo avere annunziato un programma eufemisticamente detto di avviamento a riforme, che riguardano materia sicuramente costituzionale, ha cominciato a dar vita a norme di diritto positivo, come se né l’articolo 3 predetto, né l’Assemblea Costituente, né gli impegni morali esistessero, e che l’approvazione del programma da parte dell’Assemblea non gli dava mai il diritto di realizzarlo nelle forme delle quali si è avvalsa. Or, può l’Assemblea ritenere che si terrà fede ad impegni morali, quando essa ben sa che è già stata violata, in subiecta materia, una precisa disposizione di legge, quando l’Assemblea sa che dal 25 luglio ad oggi è stato annullato sia il vincolo derivante dalla legge, sia quello derivante dall’impegno?

Contro tali violazioni, che non sfuggono all’attenzione ed alla sensibilità del popolo, eleviamo di nuovo la più formale protesta, in attesa che la magistratura dichiari quelle norme non valide, comeché emanate da un potere, che ad emanarle non aveva competenza funzionale, ed in attesa, d’altra parte, che il nuovo Parlamento, cui, in virtù dello articolo 6 del decreto suddetto, pur dovranno essere quei provvedimenti legislativi presentati per la ratifica, si rifiuti di ratificarli.

Concludo così. Vogliamo, o colleghi, che si diradi questa atmosfera di discredito, di sfiducia, di inutilità, che sembra vada macerando le anime, inducendo un po’ tutti a parlare di disgregazione della vita nazionale, per cui vien fatto talvolta di pensare se la Costituzione non sia per arrivare troppo in ritardo? Ebbene, formiamo un blocco solo di menti, di cuori, di spiriti, un blocco solo, che sia vigile sentinella a fianco ai destini della nostra Patria immortale. Vogliamo veder trionfare in Italia non una demagogia grottesca e sinistra, ma la vera democrazia? Ebbene, instauriamo un costume di grande sensibilità, di immensa lealtà, di ineccepibile correttezza politica. Vogliamo veramente riconoscere la piena sovranità di questa Assemblea? Ebbene, intervenga una legge. O una nuova legge – diciamo noi – esplicita, chiara, precisa, o restino le cose come sono. In applicazione del ricordato articolo 6 – che, approvandosi la proposta, si potrebbe domani sostenere essere stato tacitamente abrogato – il Governo dovrà pure un giorno, di fronte al Paese ed alla storia, dar conto di tutti quei suoi atteggiamenti, che non appariranno espressione piena di indiscutibile legalità. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole La Malfa. Ne ha facoltà.

LA MALFA. Onorevoli colleghi, vorrei semplificare questo dibattito, che mi pare abbia preso proporzioni un po’ troppo ampie. E mi pare che si sia andati un po’ fuori strada. Qui si fa questione della sovranità dell’Assemblea Costituente, di violazione dei diritti del popolo, di illegalità o illegittimità della legislazione dei Governi di Comitato di liberazione nazionale. Mi pare che in primo luogo ci sia una questione che non è attinente allo schieramento politico. Non si può parlare, su questa questione, di partiti di destra o di sinistra, di qualunquisti o di comunisti; essa riguarda, direi, la metodologia e la serietà politica dei lavori e delle deliberazioni dell’Assemblea.

E il problema, come dicevo, non riguarda lo schieramento politico, almeno per parte mia, ma è un problema di metodologia nei lavori dell’Assemblea.

Certamente questa norma regolamentare modifica il decreto legislativo del marzo 1946. Ora questa norma non può modificare una legge ed io pregherei gli amici della sinistra di esaminare ciò. Non si tratta di sottigliezza giuridica – qui se ne è fatta molta – ma si tratta, direi, di rispondere a quelle che sono le responsabilità principali dell’Assemblea, cioè di sapere quello che esattamente essa deve fare.

Una norma regolamentare non può modificare una legge, e nessuno qui, e della destra e della sinistra, può dire che questa norma regolamentare non modifichi la legge del marzo 1946, a meno che questa Assemblea non si sia convertita in una Assemblea di gente molto semplice.

Badate che se noi superiamo una questione di questo genere, le conseguenze giuridiche, ossia i cavilli giuridici di una posizione di questo genere, saranno infiniti. Cioè, volendo superare una questione che ha una certa importanza, così, sbrigando le cose con facilità, andiamo incontro ad una serie di conseguenze, come ne siamo andati incontro quando abbiamo varato certe leggi epurative con tanta facilità.

Questo è il nocciolo della questione, ed è pregiudiziale: cioè, è impossibile che questa Assemblea voti una norma regolamentare che modifichi una legge.

Stabilito questo – e credo che dobbiamo essere unanimi nel respingerlo – una Commissione che possiamo nominare subito terrà conto della sostanza del dibattito e dello schieramento e nel presentare una norma legislativa che può riprodurre esattamente anche la norma di regolamento interno, può risolvere i problemi che si sono affacciati, che sono problemi di far sì che il Governo possa funzionare con sollecitudine, di far sì che l’Assemblea Costituente non sia distratta dal suo compito fondamentale, che è un compito di ordine costituzionale, di far sì di ritenere legittimo il decreto del marzo 1946, che allora fu emanato in condizioni di assoluta legittimità, e di poterlo modificare, perché adesso la situazione politica del Paese è diversa.

Quindi, ripeto, la questione è pregiudiziale per l’Assemblea Costituente, per ragioni, direi, di un principio giuridico che è anche un principio politico, che sta alla base della vita del Paese; perché se facciamo leggi o regolamenti in maniera strafalcionesca, nessuno capirà più niente della legge del 1946 modificata attraverso uri regolamento interno. Dopo di che possiamo discutere questa legge e in ciò fare possiamo ritenere che l’Assemblea deve essere tratta ad esaminare la situazione reale del Paese.

Questa sì che è una questione importante. Cioè, il Paese non può essere trascinato in questioni, direi, un po’ cavillose e noi cerchiamo in questa legge di facilitare il compito del Governo e il nostro, e andare incontro a quelle che sono le esigenze del Paese stesso. (Applausi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Perrone Capano. Ne ha facoltà.

PERRONE CAPANO. Rinuncio.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Bellavista. Ne ha facoltà.

BELLAVISTA. Onorevoli colleghi, malgrado le assicurazioni dell’onorevole Gullo, i nostri dubbi, anzi le nostre certezze sull’inopportunità di votare l’articolo aggiuntivo al Regolamento interno della Camera, rimangono e permangono. E ne spiego subito il perché, non senza prima – me lo consenta l’onorevole Gullo – aver fatto rilevare, per incidenza, che una volta tanto egli ed i suoi amici socialisti si trovano d’accordo coi qualunquisti nell’iconoclastia del decreto 16 marzo 1946.

Non c’è dubbio. La posizione di noi liberali non è precisamente quella a cui egli alludeva poc’anzi: noi non difendiamo la legge solo per la sua legittimità; la difendiamo in quanto quelle ragioni che – «necessitate cogente» – la dettarono, oggi rimangono vive e vitali a giustificarla. E rimangono tali per ragioni di competenza, materiale e funzionale. Io devo, mio malgrado, ritornare sul famoso articolo 3 e orientarmi sullo spirito per il quale esso fu ordinato, spirito destinato a far sì che l’Assemblea Costituente si occupasse e dei trattati internazionali e della legge elettorale e della costituzione. È questa la ragione per la quale il Governo si autodelegò – «necessitate cogente» – quella facoltà di provvedere all’ordinaria amministrazione.

Ora, la ragione vera ed essenziale che ci fa essere contro la proposta aggiuntiva al Regolamento della Camera, supera le giuristerie, che hanno il loro fondamento, che si sono fin qui avanzate, ed investe addirittura la questione di sostanza. Ne abbiamo già visti chiari ed espliciti i sintomi premonitori cominciando dalla dichiarazione programmatica del Governo.

Il Governo ci ha annunziato – animato indubbiamente da intenzioni nobilissime, di lenire la sofferenza sociale che è in giro – ci ha annunziato, sia pure vagamente, come ebbe a rilevare l’onorevole Nitti, provvedimenti che non possono non lasciarci perplessi nella loro portata e soprattutto nei loro riflessi costituzionali. Ora quando, come è già accaduto, dei Prefetti, come quello di Agrigento, cominciano per conto loro a legiferare e ad interpretare le norme giuridiche; quando, arricchendo quel capitolo della teoria generale del diritto che riguarda l’interpretazione delle fonti a seconda dei soggetti, anche il facente funzioni dell’Alto Commissario per la Sicilia interpreta a suo modo e consumo il decreto Gullo, noi abbiamo il diritto di sospettare che per il rotto della cuffia della Commissione possono essere portati alla compiacente complicità dell’Assemblea Costituente atti legislativi che esorbitano dall’ordinaria amministrazione che compete al Governo, e che investono addirittura, direttamente o indirettamente, la struttura costituzionale dello Stato. Ciò violerebbe quella tregua costituzionale che la esarchia, tanto discussa, pose e che della tanto discussa esarchia noi soli liberali oggi difendiamo.

Questo, d’altra parte, a che cosa porterebbe, se non ad un accavallamento di funzioni? A che cosa condurrebbe, se non ad una confusione di funzioni tra l’Assemblea Costituente, distratta dal suo compito essenziale, e l’attività legislativa del Governo? Potrebbe perfettamente accadere ed accadrà certamente questo che, mentre si costruisce, mentre voi delle Commissioni costruite l’edificio della nuova Costituzione dello Stato, altri già fabbrichino gli scantinati senza che voi lo sappiate; il che dovreste impedire voi stessi. Prima, nella battaglia elettorale, avete arroventato giustamente e nobilmente le piazze d’Italia con uno slogan: o la Costituente o il caos. Orbene, io vi dico che se questa aggiunta è approvata, questo slogan deve essere così modificato: la Costituente è il caos. (Applausi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Cappi. Ne ha facoltà.

CAPPI. A nome dei miei amici democristiani una brevissima dichiarazione, per non ripetere quanto altri oratori hanno detto. Secondo me, il problema che occupa l’Assemblea ha un aspetto politico ed un aspetto giuridico. Per quanto riguarda l’aspetto giuridico, siamo consapevoli della delicatezza e gravità dei problemi che furono così finemente cesellati dall’onorevole Calamandrei c sviluppati dagli altri oratori. Perciò non ci opporremo a che venga presentato un disegno di legge, il quale regoli nel modo più radicale e completo il problema dei rapporti fra Governo e Assemblea; progetto di legge che, con la necessaria ponderazione ed ampiezza, l’Assemblea discuterà ed occorrendo approverà. Ma intanto? Qui si inserisce il problema politico. Coloro che hanno parlato da quei banchi, sono posti di fronte al bivio: o ritengono che le proposte della Giunta del Regolamento modifichino la legge e ciò non sia regolare, ed allora la conseguenza è che fin quando il decreto del marzo 1946 non è modificato, il Governo ha la piena ed illimitata facoltà legislativa ordinaria senza nessun diritto di intervento dell’Assemblea.

O desiderano che questo cessi, ed allora devono approvare l’articolo in discussione.

Infatti, la Giunta del Regolamento a che cosa mira? A diminuire in un certo senso questa podestà illimitata del Governo, riconoscere e regolare una certa facoltà di intervento dell’Assemblea anche nel campo della legislazione ordinaria.

Ora, noi democristiani preferiamo questo accorgimento, questo avvio alla soluzione del grave problema dei rapporti tra Governo e Assemblea. In questo senso, con questi limiti, approveremo le proposte della Giunta del Regolamento. L’onorevole Calamandrei, l’altro giorno, finendo, ha ricordato l’altezza del compito della nostra Assemblea, che è di dare all’Italia una costituzione che sia un «monumentum aere perennius». Se è concesso anche a me un ricordo classico, dirò che la sapienza romana sapeva mirabilmente contemperare il rigore e il rispetto della legge con le necessità e le esigenze concrete. Io non ricorderò che «inter arma silent leges»; perché per fortuna «inter arma» non ci siamo più, per quanto lo straniero – sia pure amico – armato accampasi sul nostro suolo, ma dirò solo, senza drammatizzare, che tutti sappiamo quanto grave sia l’attuale momento, che richiede immediatezza di provvedimenti, il che implica una certa libertà al Governo di provvedere; Governo che, del resto, è espressione dell’Assemblea, alla quale risponde. Per questi motivi voteremo gli articoli aggiuntivi del Regolamento. (Applausi).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la discussione generale, riservando la facoltà di parlare all’onorevole Relatore.

PERASSI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI, Relatore. Dopo le spiegazioni date ieri sulla questione pregiudiziale, mi pare che tutti i dubbi sollevati siano stati chiariti dall’affermazione netta che le norme proposte non costituiscono una modificazione della legge vigente e che esse non possono avere altro valore che quello proprio delle norme regolamentari. Con questa affermazione ho implicitamente risposto ai diversi quesiti che sono stati prospettati da diversi oratori; per conseguenza non avrei altro da aggiungere, riservandomi di esprimere il parere della Giunta del Regolamento sui singoli emendamenti, mano a mano che saranno messi in discussione.

PRESIDENTE. La discussione dell’articolo aggiuntivo e degli emendamenti presentati è rinviata a martedì.

Interrogazioni e interpellanze.

PRESIDENTE. Comunico che sono pervenute alla Presidenza interrogazioni ed interpellanze. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario. Legge:

«I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri della pubblica istruzione e dei lavori pubblici, per sapere se non intendano svolgere una ben coordinata azione ai fini di porre i comuni in condizione di rimettere in efficienza gli edifici scolastici delle zone rurali che sono il più delle volte inadeguati alle esigenze scolastiche e quasi sempre privi di impianti igienico-sanitari che possono e devono essere parte integrante dei mezzi educativi.

«Scotti Alessandro, Giacchèro, Scalfaro».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro delle finanze, per conoscere se, dato il carattere nazionale della Stazione Termale di Chianciano, non ritenga necessario procedere ad una immediata revisione del contratto che concede le sorgenti, locali annessi e tutte le proprietà del Demanio a una ditta privata che non si cura di altro se non dei suoi gretti interessi. Le sorgenti di Chianciano e locali annessi qualora tornassero al comune, al quale furono tolti durante il periodo fascista, gli permetterebbero di inaugurare una politica in favore dei ceti meno abbienti e quindi dare la possibilità a migliaia di lavoratori bisognosi di cure urgenti di poter usufruire delle acque benefiche di Chianciano.

«Cerreti, Bardini».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro delle poste e telecomunicazioni:

  1. a) sulla possibilità della concessione di un quantitativo fisso mensile di francobolli di franchigia militare per i militari di leva ed i sottufficiali delle forze armate conto tenuto del livello estremamente basso della decade e del soldo;
  2. b) sulla possibilità di una assegnazione fissa mensile di una certa quantità di carta da lettere, buste e cartoline postali semplici a detti militari.

«Pajetta Giuliano».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per sapere se, in considerazione che a Chianciano, rinomata stazione termale che potrebbe attirare in Italia numerosi forestieri, manca l’acqua potabile e tutte le strade principali e secondarie sono in deplorevole stato, non ritenga opportuno stanziare, con procedura d’urgenza, le somme necessarie all’esecuzione di tali urgenti lavori.

«Cerreti, Bardini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se non intenda chiarire che la imposta di fabbricazione, di cui all’articolo 2 del decreto legislativo 5 agosto 1946, n. 43, sugli zuccheri invertiti, non è applicabile ai mosti muti concentrati naturali, destinati ad usi enologici e che solo eccezionalmente in. questo periodo di emergenza sono stati utilizzati come dolcificanti.

«Una tale imposta, che si vorrebbe applicata ai prodotti accennati, verrebbe a danneggiare notevolmente le industrie enologiche siciliane, specie quelle del «marsala», che rappresentano una delle attività economiche più notevoli della Sicilia occidentale.

«È poi da notare che i concentrati di tali zone sono naturalmente scarsi di acidità e ricchi di contenuto zuccherino e sarebbe assai strano che per tale loro pregio e qualità essi dovessero venir sottoposti a dei pesi tributari non sopportabili, che, semmai, potrebbero colpire i concentrati deacidificati chimicamente.

«Mattarella».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere quali urgenti provvedimenti intenda prendere in relazione al vilipendio e alle gravi offese del sentimento cattolico del popolo italiano, arrecati, in violazione di precise norme di legge, da un settimanale, edito di recente in Roma, e come intenda provvedere perché oltraggi del genere non abbiano a ripetersi.

«Medi, Ermini, La Pira».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere quale sia la vera e propria portata dei biglietti gratuiti, serie B, n. 36/9, in funzione di andata e ritorno e viceversa e precisamente se detti biglietti consentano a tutti i beneficiari la stessa larghezza di percorso a prescindere dal luogo di partenza. Nella comune interpretazione parrebbe difatti che usando detti biglietti chi si proponga di partire da località per esempio della media Italia, ha un beneficio di percorso più breve di chi sia per partire da località posta ai confini d’Italia. L’interrogante chiede se il Ministro non ritenga giusto e opportuno, qualora questa interpretazione appaia legittima, dare disposizioni perché a tutti i beneficiari dei biglietti in parola siano assicurati gli stessi benefici, a prescindere dal luogo di partenza. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Braschi».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se non ritenga necessario, ai fini di combattere la disoccupazione e incoraggiare la ricostruzione edilizia, urgente quest’ultima per risolvere la gravissima crisi degli alloggi, abolire o quanto meno ridurre dell’80 per cento i dazi sui materiali da costruzione, così proibitivi oggi e solo vantaggiosi alle ditte appaltatrici del dazio, in quanto per l’amministrazione dello Stato essi rappresentano quasi una partita di giro, perché nella analisi dei prezzi gli organi tecnici del Genio civile comprendono i dazi stessi nei lavori appaltati.

«Tale concessione, se approvata dal Governo, avrà immediata e benefica ripercussione sul mercato di mano d’opera e sulla economia in generale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Musolino».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per sapere se non intenda dare disposizioni affinché si proceda regolarmente alla ricostruzione d’ufficio, a totale spesa dello Stato, delle case distrutte o fortemente danneggiate dalle operazioni belliche o dalle rappresaglie tedesche, di tutti coloro che non hanno i mezzi necessari per sopperire alle spese di tale ricostruzione.

«Se non ritenga necessario, per incrementare di più l’opera ricostruttiva, di elevare al 75 per cento il contributo dello Stato ed a lire 500.000 il limite massimo, per tutti i medi possidenti che hanno intrapreso la ricostruzione della loro casa a proprie spese. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Maltagliati».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri della guerra, del tesoro e del lavoro e della previdenza sociale, per sapere se non ritengano sia un atto doveroso di giustizia che ai reduci, ai partigiani ed ai combattenti della guerra di liberazione – lavoratori manovali, impiegatizi e per i militari – siano computati, agli effetti delle singole pensioni, anche gli anni da essi trascorsi in prigionia e sotto le armi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Maltagliati».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere se non ritenga opportuno, al fine di una rapida ripresa dell’agricoltura italiana, concedere ai piccoli e medi coltivatori diretti, particolarmente delle zone poco fertili dell’Appennino Toscano, dei prestiti statali a lunga scadenza (20 anni) ed al tasso non superiore all’1-2 per cento, onde permettere loro di portare tutte le bonifiche necessarie alla loro azienda con acquisto di concimi, scassi, ricostruzione dei vigneti colpiti dalla filossera, nuove piantagioni di olivi e piante fruttifere, rimboschimento dei territori montani, ecc.

«E se non ritiene che tutte queste opere di bonifica debbano essere rese obbligatorie per legge a tutti gli altri proprietari terrieri. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Maltagliati».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri della guerra, della marina e dell’aeronautica, per sapere se non ritengano opportuno che – in considerazione del diminuito coefficiente delle forze armate consentito oggi all’Italia – sia necessario ristabilire per i giovani di leva le differenti categorie, esonerando dal servizio militare i figli unici o primogeniti di madre vedova o di genitori inabili al lavoro, e di ridurre a soli tre mesi il servizio militare per tutti gli altri figli unici.

«Se non ritengano opportuno, in attesa che sia adottato un provvedimento del genere, inviare in licenza illimitata i figli unici dei contadini (mezzadri, piccoli e medi affittuari o proprietari che lavorino direttamente la loro terra) che abbiano già prestato tre mesi di servizio militare, tenendo conto che l’ulteriore mancanza del loro contributo lavorativo sarebbe di grave danno per l’azienda agricola. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Maltagliati».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dell’industria e del commercio, per conoscere:

1°) i motivi per i quali alle cooperative esercenti l’industria conserviera non siano stati assegnati quantitativi di zucchero corrispondenti alla loro importanza aziendale;

2°) i motivi per i quali, prima di provvedere alle quote di riparto, gli organi competenti non abbiano sentito le Organizzazioni nazionali della cooperazione sul fabbisogno delle rispettive cooperative aderenti;

3°) perché i rappresentanti di tali Organizzazioni non siano stati inclusi nelle Commissioni preposte al riparto stesso. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Corazzin, Cimenti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per conoscere se non sia opportuno di prorogare oltre il 15 ottobre 1946 il termine ultimo per la presentazione delle denuncie dei danni di guerra; e ciò specialmente in vista delle difficoltà per molti sinistrati di corredare le denuncie con la prescritta documentazione e le relative peripezie, tanto più che non pochi, anche per suggerimento delle Intendenze di finanza, hanno soprasseduto a predisporre le denuncie, in attesa della nuova legge sui danni di guerra. E altresì, per sapere, se tale legge, in sostituzione di quella del 1940, sarà di prossima emanazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Marzarotto».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, se non ritenga necessario dare precise istruzioni agli uffici accertamenti agricoli, perché agli agricoltori cui vennero, per autoinsufficienza di produzione, lasciati soli quintali 1,50 di frumento per alimentazione, venga rilasciato il buono per l’acquisto del grano da semina occorrente per le loro piccole aziende, onde evitare il grave inconveniente che dette superfici di terreno restino da seminare. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Scotti Alessandro, Raimondi».

«Il sottoscritto chiede di interpellare i Ministri della guerra e del tesoro, sulle misure che essi intendono prendere affinché nella imminente revisione ed adeguazione delle pensioni e sussidi statali sia compresa un’adeguazione degli attuali sussidi per le famiglie dei militari chiamati alle armi, essendo attualmente detti sussidi assolutamente irrisori in confronto al costo della vita.

«Pajetta Giuliano».

«I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei Ministri ed il Ministro del tesoro, per conoscere quando e in che misura il Governo andrà incontro ai pensionati della Previdenza sociale, i quali, malgrado le reiterate promesse, continuano a vivere in precarissime condizioni tanto che se non hanno famigliari che li prendano a carico sono costretti, dopo aver lavorato quaranta e più anni in favore della società, a elemosinare un tozzo di pane.

«Cerreti, Bardini».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

Così pure le interpellanze saranno iscritte all’ordine del giorno, qualora i Ministri interessati non vi si oppongano nel termine regolamentare.

La seduta termina alle 18,55.

Ordine del giorno per la seduta di martedì 17.

Alle ore 16:

  1. – Interrogazioni.
  2. – Seguito della discussione sulla Proposta di aggiunta al Regolamento. (Documento II, n. 5).
  3. – Comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.

GIOVEDÌ 12 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

XV.

SEDUTA DI GIOVEDÌ 12 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SARAGAT

indi

DEL VICEPRESIDENTE PECORARI

INDICE

Congedo:

Presidente                                                                                                        

Annuncio di risposte scritte ad interrogazioni:

Presidente                                                                                                        

Interrogazioni (Svolgimento):

Corsi, Sottosegretario di Stato per l’interno                                                           

Restagno, Sottosegretario di Stato per i lavori pubblici                                      

Di Vittorio                                                                                                       

Bellusci, Sottosegretario di Stato per la pubblica istruzione                                

Tumminelli                                                                                                       

Opzione e sostituzione di Deputati:

Presidente                                                                                                        

Verifica di poteri:

Presidente                                                                                                        

Proposta di aggiunta al Regolamento della Camera (Seguito della discussione):

Calamandrei                                                                                                   

Riccio                                                                                                               

Bozzi                                                                                                                 

Caroleo                                                                                                           

Mastrojanni                                                                                                    

Presidente                                                                                                        

Crispo                                                                                                               

Persico                                                                                                             

Castiglia                                                                                                          

Assennato                                                                                                        

Lucifero                                                                                                           

Perassi, Relatore                                                                                               

Badini Confalonieri                                                                                        

Gullo Rocco                                                                                                    

Cappa, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio                            

Interrogazioni e interpellanze (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

Cappa, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio                            

Mazzoni                                                                                                            

Schiratti, Segretario                                                                                         

La seduta comincia alle 16.

SCHIRATTI, Segretario, legge il processo verbale della seduta precedente.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo il Deputato Caiati.

(È concesso).

Annuncio di risposte scritte a interrogazioni.

PRESIDENTE. Comunico che i Ministri competenti hanno inviato le risposte scritte a interrogazioni presentate prima e dopo la sospensione dei lavori dell’Assemblea.

Saranno inserite, a norma del Regolamento, nel resoconto stenografico della seduta di oggi. (Vedi Allegato).

Svolgimento di interrogazioni.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Interrogazioni.

La prima è quella dell’onorevole Di Vittorio, ai Ministri dell’interno e dei lavori pubblici, «sui provvedimenti urgenti che intendono prendere per lenire la grave disoccupazione che colpisce la grande massa dei lavoratori agricoli delle Puglie; disoccupazione che la reazione agraria tenta di utilizzare, provocando fatti luttuosi come quelli recenti di San Severo (Foggia)».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.

CORSI, Sottosegretario di Stato per l’interno. Il Ministero dell’interno ha sempre seguito con la maggiore attenzione la situazione delle Puglie nei riguardi della disoccupazione che esiste in quella regione. Secondo i dati dell’Ufficio centrale di statistica i disoccupati sono in totale 94.000; in particolare i disoccupati dell’agricoltura sono 46.863.

Per alleviare questa grave situazione non soltanto il Governo si è preoccupato di prevenire ogni disordine e violenza, ma soprattutto ha incoraggiato le autorità locali a venire incontro alle necessità di quelle generose popolazioni procurando ad esse del lavoro.

A questo fine i prefetti hanno promosso l’assunzione di lavoratori con particolari provvedimenti, imponendo una determinata aliquota di mano d’opera alle varie aziende agricole. Ma un notevole incoraggiamento per l’occupazione di lavoratori agricoli è stato creato col provvedimento legislativo del 1° luglio di quest’anno, per il quale lo Stato contribuisce dal 35 al 52 e al 67 per cento rispettivamente per le piccole, medie e grandi aziende, nelle opere di miglioramento agrario, ed esclusivamente sulle spese per mano d’opera, se questa sia assunta attraverso gli uffici di collocamento. Abbiamo rivolto, inoltre, vive e continue sollecitazioni presso il Ministero dei lavori pubblici, affinché quelle popolazioni potessero trovare occupazione in lavori promossi da quel Dicastero. Per le Puglie sono stati all’uopo destinati un miliardo e 400 milioni, più 200 milioni per la sola provincia di Foggia. Per il comune di San Severo sono stati assegnati 25 milioni sui fondi per la disoccupazione, destinati anch’essi ai lavori pubblici, e 26 milioni per altri lavori in corso.

Si deve aggiungere a tutto ciò che il Ministero dell’interno, per la provincia di Foggia, ha assegnato agli enti comunali di assistenza la somma di 8.185.000 lire e per la provincia di Bari 111.550.000 lire.

Altri minori provvedimenti ed interventi del Governo si sono verificati per singoli Comuni.

Pur con tutti questi interventi la disoccupazione non si è potuta lenire, data la sua vasta estensione, ma il Governo studia provvedimenti. Il Ministero dell’interno sollecita anche gli altri Dicasteri per un’azione sempre più intensa. Voglio ricordare qui che il Ministero dell’agricoltura, anche su nostre proposte, ha stabilito e concretato in un provvedimento di legge l’istituzione presso gli Ispettorati Agrari provinciali di particolari uffici, i quali debbono avere lo scopo di favorire la creazione e di assistere le aziende cooperative fra contadini poveri, ai quali verranno poi assegnate, in base alle leggi vigenti e a quelle che la Costituente crederà di adottare, le terre incolte o quelle che la stessa Assemblea assegnerà a queste cooperative.

Come si vede, dunque, si tratta di un’azione complessa e molteplice intesa a migliorare le tristi condizioni di quelle popolazioni. Il problema, peraltro, viene spesso aggravato dai conflitti politici locali, che influenzano l’azione, e i contrasti di natura sindacale. A questo proposito il Governo deve dire soltanto che si augura che, per l’autorevole intervento della Confederazione del lavoro e dello stesso onorevole Di Vittorio, che è così importante parte della Confederazione, e che rappresenta quelle popolazioni, tali conflitti vengano gradualmente a perdere quell’asprezza e quel carattere partigiano che li rende più acuti e più aspri, in maniera che influisce penosamente sulla situazione politica e sullo spirito pacifico di quelle popolazioni.

Il Governo confida in questa collaborazione ed assicura il suo ulteriore e costante intervento.

PRESIDENTE. L’onorevole Sottosegretario di Stato per i lavori pubblici ha facoltà di rispondere.

RESTAGNO, Sottosegretario di Stato per i lavori pubblici. Credo opportuno integrare le dichiarazioni del collega Corsi con alcune comunicazioni di carattere tecnico riguardanti il Ministero dei lavori pubblici e relative alle interrogazioni dell’onorevole Di Vittorio.

Il problema della disoccupazione in Puglia ha sempre preoccupato il Ministero dei lavori pubblici, il quale ha preso al riguardo deliberazioni di notevole rilievo ed ha interessato ripetutamente il Provveditorato di Bari per l’attuazione di un programma di lavori capace di assorbire la maggior quantità possibile di mano d’opera dell’intera regione pugliese, alla quale in via straordinaria sono stati assegnati ben 1.400.000.000 di lire per l’esecuzione dei lavori pubblici. Alla provincia di Foggia, in particolare, sono stati assegnati 200 milioni per alleviare il preoccupante fenomeno della disoccupazione.

So benissimo che le esigenze di quelle regioni sono eccezionali e che per soddisfarle dovranno essere impostati lavori pubblici di ancor più vasta mole, capaci di assorbire decine di migliaia di operai, e dovrà parallelamente essere facilitata la ripresa della attività privata, specie nel campo industriale, agricolo e commerciale.

A tal fine, per quanto lo concerne, il Ministero dei lavori pubblici ha predisposto un piano organico di lavori che interessano tutte le regioni d’Italia, ma tiene conto, in modo speciale, di quelli del Mezzogiorno che hanno particolari esigenze di acquedotti, fognature, strade e case. Circa la situazione di San Severo, della quale si occupano, con speciali interrogazioni, i colleghi Recca e Di Vittorio, comunico che in quella città sono in corso lavori pubblici per un importo di 26.533.000 mila lire, autorizzate nei mesi di giugno e di luglio e concernenti lavori stradali per 6.250.000, lavori per la sistemazione del torrente Triolo per 11.893.000, per l’edificio scolastico già Principe di Piemonte per 5.615.000, per l’edificio scolastico Giovanni Pascoli per 450.000, per l’edificio Tonti per 2.325.000. In seguito ad ulteriori esigenze di quella zona, come già ha accennato il collega Corsi, vennero assegnati altri 25.000.000 sul fondo della disoccupazione, per cui l’ammontare complessivo delle opere da eseguire in San Severo ascende a 51.533.000. Desidero inoltre far presente al collega interrogante che in aggiunta agli stanziamenti di natura straordinaria la Puglia ebbe, nel corrente esercizio, altri 201.000.000 di lire per opere portuali, nonché 780.000.000 di lire per le assegnazioni ordinarie di bilancio. E questo oltre gli altri stanziamenti per lavori da parte dei Ministeri dell’agricoltura e dei trasporti. Confido che, per le su esposte comunicazioni, il collega interrogante potrà dichiararsi soddisfatto.

PRESIDENTE. L’onorevole Di Vittorio ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

DI VITTORIO. Sono soltanto parzialmente soddisfatto delle dichiarazioni dell’onorevole Corsi e del Sottosegretario ai lavori pubblici. Riconosco che il Governo ha compiuto sforzi notevoli per cercare di lenire il grave fenomeno della disoccupazione in Puglia. Però questi sforzi, così come in altre regioni, del resto, non sono stati e non sono ancora adeguati ai bisogni minimi della popolazione. D’altra parte, i lavori pubblici vengono eseguiti, tanto in Puglia come in altre regioni d’Italia, non secondo un piano organico prestabilito, per cui si possano scegliere quei lavori che siano perfettamente utili e che si trasformino in un aumento della ricchezza regionale e quindi nazionale. Molto spesso i lavori sono concessi sotto l’assillo di manifestazioni di lavoratori affamati, e perciò si fanno lavori improvvisati, qualche volta di dubbia utilità e qualche volta addirittura inutili, che demoralizzano la massa dei disoccupati invece di incoraggiarla ad un lavoro che possa essere utile al paese.

Credo che tutta la politica dei lavori pubblici debba essere, come si è proposto, se non erro, dall’onorevole Romita, basata su un piano organico che miri a risolvere il problema. Per esempio, nella provincia di Foggia, il fenomeno della disoccupazione è una piaga permanente, ha una oscillazione di alti e bassi ed in alcuni periodi interessa decine di migliaia di lavoratori in una sola provincia.

In quella stessa provincia, che è il Tavoliere delle Puglie, abbiamo 24 mila ettari di terreno incolto, soprattutto perché non bonificato, perché invaso dalle acque in alcuni periodi dell’annata, perché non si sono fatti quei lavori di scolo, di arginatura dei torrenti, estremamente costosi, ma estremamente utili, mediante i quali sarebbe possibile conquistare alla coltura in una sola provincia ben 24 mila ettari di terreno. E tutti sappiamo quanto bisogno abbia l’Italia di conquistare nuovo territorio alla coltura e produrre più grano e assicurare più pane alla sua popolazione.

Questi lavori di estrema utilità, che non servirebbero soltanto a lenire la disoccupazione in quel dato periodo, ma ad aumentare in modo permanente la quantità di lavoro per le popolazioni ed ad elevare la ricchezza regionale, non sono stati eseguiti che in misura infinitesimale ed in misura abbastanza ridotta sono eseguiti ancora oggi.

Allora è necessario che si pensi seriamente a fare un piano di lavori, che nello stesso tempo ci permetta di dare un’occupazione ai disoccupati e di arricchire il patrimonio della Nazione, dando una soluzione di carattere permanente all’angoscioso problema della fame che riguarda milioni di lavoratori d’Italia.

Invito quindi il Governo a volere elaborare questo piano, provincia per provincia, in collaborazione con le organizzazioni sindacali, che sono le più direttamente legate alle masse e ai loro bisogni e che sono quindi più in grado di dare indicazioni concrete in proposito.

RESTAGNO, Sottosegretario per i lavori pubblici. È stato fatto.

DI VITTORIO. Ma deve essere fatto in maniera organica. Riconosco che sono stati fatti dei passi in questa direzione, ma è ancora troppo poco.

D’altra parte, vi è nella questione un aspetto politico, al quale l’onorevole Corsi ha appena accennato. L’aspetto politico interessa veramente e soprattutto il Ministro del lavoro, che mi fa piacere sia presente in questa seduta. In regioni come la Puglia e in altre, purtroppo, del nostro Paese, in cui il fenomeno della disoccupazione è di carattere permanente, il bisogno più assillante per ogni lavoratore è quello di avere una occupazione, anche provvisoria. La grande massa dei braccianti agricoli ed anche di altre categorie di lavoratori, è quotidianamente alla caccia affannosa di una occupazione, sia pure per qualche giorno.

Che cosa accade? Che coloro i quali possono disporre del lavoro, e sono principalmente gli agrari, tendono a monopolizzare il privilegio che detengono di potere distribuire una certa quantità di lavoro ad una massa di affamati, che lo ricerca affannosamente, per esercitare su questi lavoratori una pressione politica intensa.

MICCOLIS. È il contrario.

DI VITTORIO. È esattamente la verità, perché gli agricoltori tendono a coalizzarsi fra di loro e ad acquistare una bandiera politica qualsiasi, che è stata una volta fascista, e può essere oggi, e lo è per alcuni gruppi, qualunquista; si può chiamare anche in altro modo, ma è cosa che non importa. Il fenomeno va al di là dei settori politici e dei nomi che assumono i movimenti reazionari.

Gli agricoltori tendono ad imporre ai lavoratori, ai quali offrono lavoro, l’abbandono della Camera del lavoro, l’abbandono di determinati partiti democratici che non godono la simpatia degli agricoltori, e molto spesso anche impongono l’iscrizione ad un determinato partito.

MICCOLIS. È proprio il contrario! (Commenti – Rumori all’estrema sinistra).

DI VITTORIO. Questa è l’esatta verità. (Interruzioni – Rumori a destra).

MICCOLIS. Ricordate i fatti di San Severo! (Interruzioni e rumori).

ALLEGATO. A San Severo siete gli alleati degli agrari e degli sfruttatori dei lavoratori. (Rumori).

PRESIDENTE. Onorevole Allegato, non interrompa. L’onorevole Di Vittorio sa rispondere da sé.

DI VITTORIO. A San Severo è accaduto appunto il fenomeno che sto deplorando. A San Severo, come in tutti i comuni della Puglia, esiste una Commissione paritetica per l’avviamento al lavoro dei disoccupati, composta da rappresentanti degli agricoltori, dei lavoratori e del comune.

La Commissione paritetica ha deciso di avviare al lavoro un certo numero di lavoratori presi attraverso l’Ufficio di collocamento e attraverso la Camera del lavoro, funzionanti in pieno accordo con la Confederazione del lavoro, nella quale sono lavoratori di tutte le correnti politiche e di nessuna corrente politica.

I signori agricoltori si sono rifiutati di assumere i lavoratori assegnati dalla Commissione paritetica e hanno assunto lavoratori inviati al lavoro attraverso uno pseudo-sindacato dell’Uomo Qualunque.

MICCOLIS. È falso! È il contrario di quello che accade! (Interruzioni e rumori all’estrema sinistra – Interruzione dell’onorevole Allegato).

DI VITTORIO. Concludo affermando questo principio: nell’Italia democratica non deve essere possibile a nessuno di monopolizzare l’occupazione dei lavoratori. (Interruzioni e rumori a destra e al centro – Applausi all’estrema sinistra).

Invano volete contrapporvi al così detto monopolio della Camera del lavoro. (Rumori e commenti a destra e al centro).

Vi ripeto che la Camera del lavoro è un organismo che rappresenta tutti i lavoratori… (Rumori – Interruzioni).

MICCOLIS. Non è vero.

DI VITTORIO. …tutti i lavoratori autentici e non i falsi lavoratori. (Interruzioni – Rumori).

La Camera del lavoro non è un organismo di partito e voi tentate di contrapporle un organismo di partito. (Rumori – Interruzioni).

Concludendo, penso che bisogna costituire degli uffici di collocamento in tutti i comuni e questa iniziativa dovrebbe essere presa dal Ministro del lavoro; uffici di collocamento che diano le necessarie garanzie.

PRESIDENTE. Onorevole Di Vittorio, lei sta parlando da oltre venti minuti.

DI VITTORIO. Ho finito. Questi uffici di collocamento debbono dare garanzie per tutti, in modo che il collocamento non debba essere il monopolio di gruppi politici reazionari. (Rumori a destra – Commenti).

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Tumminelli, al Ministro della pubblica istruzione, «per conoscere: 1°) se debba, nei suoi propositi, prolungarsi in concreto ancora per molto tempo il problema dei reggenti presidi e provveditori, i quali nominati a suo tempo in via provvisoria dagli Alleati, spesso su designazione dei C.L.N. in funzione esclusivamente politica, rimangono troppo spesso ancora a quei posti, i quali viceversa dovrebbero essere rioccupati dai funzionari tecnici di ruolo, ora pienamente assolti dai procedimenti di epurazione, e che malgrado ciò restano – sebbene pagati – inoperosi; 2°) se ritenga consentaneo, nell’interesse della Scuola italiana, che a capo di uffici centrali da cui dipendono grandi settori della istruzione pubblica (personale del Ministero, Provveditorati agli studi, ecc.) siano conservati funzionari di grado e di esperienza inferiore al grado e all’esperienza di coloro che dovrebbero essere guidati; 3°) se non consideri necessario porre finalmente termine alla contraddittorietà e intempestività di molti ordini e direttive ministeriali, mentre per la serietà degli studi è oggi più che mai necessario procedere con metodo e ponderazione sia al centro che alla periferia».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per la pubblica istruzione ha facoltà di rispondere.

BELLUSCI, Sottosegretario di Stato per la pubblica istruzione. In risposta al primo punto, per quanto concerne la posizione dei reggenti gli uffici scolastici provinciali e la posizione dei provveditori in sedi titolari, si fa presente che l’Amministrazione ha già iniziato la graduale sostituzione dei reggenti coi titolari ormai prosciolti dal giudizio di epurazione. Tale graduale sostituzione sarà probabilmente completata entro l’anno, compatibilmente con la disponibilità di elementi in base alla situazione dei ruoli organici.

Secondo punto. Circa i funzionari che sarebbero preposti a delicati uffici dell’Amministrazione centrale si osserva che i servizi sono di competenza e rientrano nella responsabilità dei direttori generali, che ne rispondono direttamente al Ministro. D’altra parte, nel caso indicato, trattasi di funzionari del grado immediatamente inferiore, che hanno già maturato l’anzianità richiesta dalla legge per la promozione al grado superiore, e che dànno ampio affidamento di attitudine e preparazione, per aver percorso la loro carriera in quegli stessi uffici ai quali sono presentemente addetti.

Terzo punto. Non contenendo l’interrogazione elementi tali dai quali si possa desumere con precisione la specie e la natura degli ordini e delle direttive ministeriali che rivestirebbero il carattere di contraddittorietà e di intempestività, non vi è modo di fornire una precisa risposta a questo terzo punto dell’interrogazione. Ad ogni modo, pur non potendosi escludere che qualche provvedimento abbia subìto sensibili indugi, è da tener presente che ciò è stato causato dall’espletamento degli indispensabili adempimenti con il Ministero del tesoro per i riflessi di carattere finanziario. Quanto alla contraddittorietà delle direttive, si gradirebbero precisazioni.

Ad integrazione degli elementi contenuti nella risposta all’interrogazione dell’onorevole Tumminelli, si fa presente, per quanto riguarda i presidi reggenti, che l’istituto della reggenza venne appositamente contemplato dall’articolo 13 del decreto legislativo 7 settembre 1945, n. 816, norma la cui efficacia è limitata agli anni scolastici 1944-45 e 1945-46. Poiché, pertanto, col prossimo anno la norma cessa di aver vigore, si cercherà nel prossimo movimento generale dei presidi e degli insegnanti, di normalizzare nei limiti del possibile la situazione.

PRESIDENTE. L’onorevole Tumminelli ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

TUMMINELLI. Non posso dichiararmi interamente soddisfatto, perché quelle disposizioni eccezionali che avevano consigliato l’istituzione di provveditori e di presidi reggenti dovevano considerarsi definitivamente decadute entro l’anno scolastico 1945-46. Quindi, la risposta dell’onorevole Sottosegretario che ne fa prevedere la continuazione, sia pure mentre saranno per essere presi dei provvedimenti, nel 1946-47, non può essere accolta.

D’altra parte faccio presente che molti provvedimenti di reintegrazione, di invio di provveditori di ruolo e di presidi di ruolo, non hanno avuto esecuzione. (Interruzioni a sinistra – Rumori).

Una voce. Hanno fatto bene: erano ultrafascisti!

TUMMINELLI. Prego di ascoltare. Mi riferisco a provveditori e a presidi i quali sono stati sollevati da ogni incriminazione. (Interruzioni a sinistra).

Costoro, per provvedimento preso dal Ministero, avrebbero dovuto essere insediati; invece sono stati rifiutati nelle sedi. Ma questo sarebbe poco, se non avvenisse un guaio relativo al funzionamento regolare dell’Amministrazione dello Stato. Noi non guardiamo agli uomini, né ai provvedimenti in sé, ma alle conseguenze per quanto si riferisce alla scuola. (Interruzioni – Rumori). Avviene che, mentre da un lato i reggenti sono decaduti dalla loro funzione, essi rimangono al loro posto e il Ministero è costretto ad accogliere giudizi e proposte di questi provveditori e di questi presidi che già, ripeto, il Ministero aveva sostituito con personale di ruolo che non era riuscito a insediarsi. (Interruzioni).

Ciò significa che il problema si presenta sotto un duplice aspetto, quello politico che insidia il funzionamento regolare del Provveditorato, e quello tecnico, in quanto si hanno dei funzionari non competenti nei vari settori.

Una voce. Hanno tenuto i Provveditorati per un anno e mezzo!

TUMMINELLI. Passo al numero tre della mia interrogazione, là dove l’onorevole Sottosegretario non ha creduto di trovare elementi, ed ha ragione, in quanto elementi ce ne sono molti, ma sparsi qua e là, perciò non afferrabili se non vengono precisati. Ci sono disposizioni relative agli esami che poi vengono contraddette nel corso dell’anno; disposizioni che riguardano l’esonero dal servizio militare, che poi vengono contraddette; tutte condizioni che derivano dal fatto che taluni settori del Ministero sono retti proprio da quei funzionari di grado 7° che hanno sotto di sé funzionari di grado 6° e 5° nelle zone periferiche e al centro. A conclusione, invoco dal Ministero provvedimenti di chiarificazione in questo settore, non per riferimento a orientamenti politici, ma alla serietà dell’istituto dell’educazione del nostro Paese. Alla chiarificazione gioverà un coordinamento unificato delle leggi più importanti, in attesa che venga finalmente quel testo unico che, togliendo il troppo e il vano, possa condurre ad una legislazione scolastica più concreta e meglio definita. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. Essendo trascorso il termine regolamentare, lo svolgimento delle altre interrogazioni è rinviato a domani.

Opzione e sostituzione di Deputati.

PRESIDENTE. Avverto che l’onorevole Roberto Lucifero, eletto e convalidato nella circoscrizione di Catanzaro (XXVIII) e in quella di Roma (XX), il 2 agosto 1946 ha dichiarato di optare per la circoscrizione di Catanzaro.

È rimasto conseguentemente disponibile nella circoscrizione di Roma un seggio per la lista del Blocco Nazionale della Libertà (16) che spetta al candidato primo graduato dei non eletti nella lista medesima, e cioè l’onorevole Luigi Benedettini.

La Giunta propone pertanto all’Assemblea Costituente la proclamazione dell’onorevole Luigi Benedettini a Deputato per la circoscrizione di Roma.

(La proposta è approvata).

Nella seduta di ieri ho comunicato le dimissioni – di cui l’Assemblea ha preso atto – dei Deputati Alfeo Corassori per la circoscrizione di Parma (XIV) e Francesco Ponticelli per la circoscrizione di Siena (XVII).

La Giunta delle elezioni, nella sua riunione odierna, ha proposto la loro sostituzione con i candidati che li seguono immediatamente nelle rispettive liste, e cioè Cremaschi Olinto, per la lista del Partito Comunista nella circoscrizione di Parma (XIV) e Monticelli Reginaldo per la lista della Democrazia Cristiana nella circoscrizione di Siena (XVII).

(La proposta è approvata).

S’intende che dalla data odierna decorrerà il termine di 20 giorni per la presentazione di eventuali proteste e reclami.

Verifica di poteri.

PRESIDENTE. Comunico che la Giunta delle elezioni, nella sua riunione odierna, ha verificato non essere contestabili le elezioni dei seguenti Deputati e, concorrendo in essi i requisiti previsti dalla legge, ha deliberato di proporre la loro convalida: Zappelli Luigi, per la circoscrizione di Torino (I); Chiaramello Domenico, per la circoscrizione di Cuneo (II); Mezzadra Domenico e Pistoia Umberto, per la circoscrizione di Milano (IV); Bianchini Laura, per la circoscrizione di Brescia (VI); Bianchi Bruno, per la circoscrizione di Mantova (VII); Gortani Michele, per la circoscrizione di Udine (XI); Spallicci Aldo, per (a circoscrizione di Bologna (XIII); Grazi Enrico, per la circoscrizione di Siena (XVI); Bei Adele, per la circoscrizione di Ancona (XVIII); Santi Ettore, per la circoscrizione di Perugia (XIX); De Palma Giacomo, Orlando Camillo, Carboni Angelo, Zagari Mario, Marinaro Francesco, per la circoscrizione di Roma (XX); Corbi Bruno, per la circoscrizione di Aquila (XXI); Morelli Renato, per la circoscrizione di Benevento (XXII); Numeroso Raffaele, per la circoscrizione di Napoli (XXIII); De Filpo Luigi, per la circoscrizione di Potenza (XXVII); Castrogiovanni Attilio, per la circoscrizione di Catania (XXIX); Castiglia Pietro, per la circoscrizione di Palermo (XXX).

Do atto alla Giunta di questa comunicazione e, salvi i casi di incompatibilità preesistenti e non conosciuti sino a questo momento, dichiaro convalidate queste, elezioni.

Seguito della discussione sulla proposta di aggiunta al Regolamento della Camera.

PRESIDENTE. Si riprende la discussione sulla proposta di aggiunta al Regolamento della Camera. (Doc. II, N. 5).

Ha chiesto di parlare l’onorevole Calamandrei. Ne ha facoltà.

CALAMANDREI. Onorevoli colleghi, la ragione per la quale io mi sono iscritto a parlare in questa discussione è soprattutto una ragione, si direbbe, di buona creanza, perché il relatore, onorevole Perassi, ebbe ieri l’amabilità di ricordare che il primo impulso a questa proposta di modificazione del Regolamento interno dell’Assemblea Costituente venne dal nostro gruppo, quando io, nel luglio scorso, chiesi al Presidente di questa Assemblea certi schiarimenti su qualche dubbio che mi era venuto intorno alla interpretazione dell’articolo 3 del decreto legislativo luogotenenziale 16 marzo 1946.

Chiedevamo allora qualche luce intorno al significato di questo articolo. Ora noi dobbiamo ringraziare il Presidente di questa Assemblea e i colleghi della Giunta del Regolamento, e dichiararci soddisfatti, perché la desiderata luce ci è data con queste proposte. Non posso dire che si tratti proprio di una illuminazione a giorno: la nostra soddisfazione è una soddisfazione moderata, ma, insomma, è certo che da queste proposte, se verranno approvate, emana un certo chiarore, il quale ci permetterà, d’ora innanzi, di orientarci su questioni fino a questo momento dubbie e di evitare di andare a sbattere contro qualche spigolo costituzionale che prima, nel buio, non si scorgeva bene.

Vi spiegherò qual è la ragione della nostra soddisfazione. Come sapete, l’articolo 3 del decreto luogotenenziale 16 marzo stabilisce che, durante il periodo della Costituente, il potere legislativo (s’intende, il potere legislativo ordinario) resta delegato al Governo. Di fronte a questa formula noi ponevamo, nel luglio scorso, due domande: poiché in questo articolo si parla di potere che «resta delegato al Governo» noi domandavamo: delegato «da chi»? delegato «a chi»?

C’è una premessa sulla quale credo che dobbiamo essere d’accordo: l’Assemblea Costituente, appunto perché è, per definizione sovrana, concentra in sé – se limitazioni non le siano state poste dal popolo – tutti quanti i poteri della sovranità e, quindi, anche il potere legislativo ordinario. Quindi, se questo potere legislativo ordinario deve essere esercitato, come l’articolo 3 vuole, per delega, non direttamente dall’Assemblea Costituente ma dal Governo, questa delega, noi dicevamo, non può essere data che dalla stessa Assemblea Costituente.

Ora, siccome il 16 marzo, alla data di quel decreto, l’Assemblea Costituente non esisteva ancora, quella delega data dal Governo luogotenenziale di allora è una delega la quale, nei confronti dell’Assemblea Costituente, non può avere valore giuridico, e quindi, perché questa delega di potere legislativo funzioni, bisognerà che tale delega sia rinnovata dalla stessa Assemblea Costituente, ovvero, il che in pratica equivale, bisognerà che l’Assemblea Costituente ratifichi questa delega fatta in anticipo dal Governo luogotenenziale di allora.

Ma un altro problema noi ponevamo. Questa delega «a chi» è stata fatta?

È fatta, dice l’articolo 3, «al Governo».

A quale Governo? Se questa delega di potere legislativo ordinario è in sostanza una forma di concessione di pieni poteri fatta da una Assemblea legislativa al Governo, evidentemente questa delega deve esser fatta e può esser fatta a un determinato Governo, non al Governo in astratto, non a tutti i Governi che eventualmente si possano susseguire al potere nel periodo in cui rimarrà in carica la Costituente.

Da ciò noi deducevano la necessità che per ogni nuovo Governo che eventualmente salga al potere in questo periodo, questa delegazione, questa concessione di pieni poteri da parte della Assemblea Costituente, sia volta per volta rinnovata.

Questi erano i due punti sui quali noi chiedevamo schiarimenti. Ora questi schiarimenti sono dati in modo soddisfacente attraverso le proposte che vengono sottoposte alla nostra approvazione: almeno se queste proposte hanno il significato che io ad esse attribuisco. Il sistema che ci viene proposto significa, secondo me, questo. La Costituente dice: il potere legislativo ordinario appartiene a me; io creo certi organi, che sono queste Commissioni permanenti con funzione esplorativa, quasi si direbbe di tentacoli o di antenne, alle quali il Governo deve fare affluire tutti i progetti di legge. Queste commissioni esaminano di volta in volta se sia il caso di mandare i progetti di legge alla discussione dell’Assemblea, perché essa eserciti direttamente il potere legislativo, ovvero di lasciare che su questi disegni di legge il potere legislativo sia esercitato per delega dal Governo. Quindi, anziché esservi una delega di potere legislativo generale e anticipata, fatta dall’Assemblea una volta per sempre, vi sarà, di volta in volta, una delega speciale e successiva fatta per il tramite di queste Commissioni, che terranno conto del contenuto di ogni progetto e della fiducia da dare per ognuno di essi al Ministro che lo propone: una specie di delega a stillicidio, diciamo così, in mancanza della quale resta inteso che il potere legislativo ordinario rimane nella Assemblea Costituente, la quale sola, in mancanza di delega, può esercitarlo.

Se questo è il significato che si dà a queste proposte – e sarei desideroso di sapere dal Relatore se questo è il significato – mi pare che le nostre domande abbiano ottenuto una risposta soddisfacente, perché resta stabilito in questo modo che il potere legislativo ordinario appartiene anch’esso, in principio, all’Assemblea Costituente, e che soltanto attraverso questa delega singolare, data di volta in volta, il Governo può essere autorizzato a emanare provvedimenti legislativi senza farli deliberare dall’Assemblea.

Senonché, anche data questa interpretazione, sorgono alcuni dubbi che mi permetto di sottoporre all’onorevole Relatore e a questa Assemblea.

Primo dubbio. Che cosa succederebbe qualora avvenisse che, quando una di queste Commissioni abbia stabilito che un determinato progetto, rimessole dal Governo, è di quelli che devono essere discussi dalla Assemblea, il Governo, nonostante ciò, preferisse di tradurre senz’altro in legge quel progetto senza farlo discutere dall’Assemblea?

Potrebbe far questo il Governo? Conserva il Governo un potere discrezionale per decidere se il suggerimento dato dalla Commissione debba esser seguito? Questo della Commissione è un suggerimento o è una determinazione obbligatoria per il Governo?

Se leggo la relazione in cui si parla del «principio che l’Assemblea abbia la facoltà di determinare, caso per caso, con proprio apprezzamento, quali di detti disegni ad essa comunicati debbano essere sottoposti alla sua deliberazione come disegni di legge», se io leggo la formulazione degli articoli in cui si adoprano espressioni quasi simili, devo ritenere che il Governo non abbia alcun potere discrezionale. E infatti, secondo la interpretazione che poco fa vi ho esposto, questo potere discrezionale il Governo non può averlo per la semplicissima ragione, che quando la Commissione ha deciso che un disegno di legge debba essere discusso davanti all’Assemblea, per questo disegno di legge la delega di potere legislativo dell’Assemblea al Governo non funziona, e quindi questo disegno di legge rientra in quella materia nella quale il Governo, non avendo ricevuto alcuna delega di potere legislativo, non potrebbe emanare norme giuridiche senza usurpare un potere che non ha.

Secondo dubbio: l’Assemblea Costituente ha o non ha potere di iniziativa, qualcosa che corrisponda al tradizionale potere di iniziativa parlamentare?

Con queste modificazioni introdotte al Regolamento noi otteniamo certamente questo, che è già assai: che il Governo non possa legiferare se non attraverso il controllo preventivo dell’Assemblea Costituente, ma non otteniamo (o in ogni modo non è detto chiaramente) che l’Assemblea Costituente possa prendere essa l’iniziativa per legiferare indipendentemente dalle proposte del Governo. Desidererei sapere dal relatore qualche cosa anche su questo punto.

E vi è finalmente un terzo ed ultimo dubbio. Le proposte su cui discutiamo riguardano il Regolamento interno dell’Assemblea. Mi domando se la questione su cui oggi siamo chiamati a deliberare sia una questione di così piccolo conto da meritare di essere accantonata, direi quasi dissimulata, in un articolo o in due articoli di un Regolamento interno.

In realtà, onorevoli colleghi, a noi pare che questa questione che oggi si risolve sia una questione tipicamente costituzionale. Si tratta di risolvere il problema dei rapporti tra l’Assemblea Costituente ed il Governo. Siamo in pieno in quella «materia costituzionale» in cui anche per l’articolo 3 l’Assemblea Costituente ha indubbiamente poteri pieni e originari, senza possibilità di intervento e di cooperazione di altri organi. Quindi noi ci saremmo aspettati, per risolvere questa questione, un provvedimento di carattere solenne, qualche cosa di più di un regolamento, qualcosa che fosse perfino più di una legge ordinaria: una legge costituzionale, cioè, per così dire, una superlegge. Qui, invece, noi vediamo qualche cosa di meno di una legge, nella forma se non nella sostanza. Abbiamo la modificazione di un Regolamento interno e ci domandiamo se questo Regolamento interno, il quale può servire a regolare la disciplina procedurale di questa Assemblea, possa avere efficacia nei confronti degli altri organi costituzionali, di fronte ai quali esso deve servire da delimitazione di poteri, cioè nei confronti del Governo o, addirittura, del Capo dello Stato.

Suppongo che il relatore risponderà a questa domanda all’incirca in questo modo: questa modificazione del Regolamento, egli dirà, è una modificazione, la quale in sostanza non fa che prendere atto di un proposito manifestato dal Capo del Governo nella sua dichiarazione recente, nella quale ha comunicato di essere disposto a lasciare che l’Assemblea Costituente controlli preventivamente i provvedimenti legislativi, che per l’articolo 3 il Governo potrebbe prendere anche senza intervento dell’Assemblea; sicché, trattandosi di prendere atto di una specie di concessione che il Governo fa volontariamente, non c’è bisogno di una solenne forma legislativa che sarebbe invece necessaria se non ci fosse questo consenso già dato in anticipo del Governo.

Se questa è la risposta, io dichiaro che non sono d’accordo su questo punto. Ritengo che il consenso del Governo, quantunque apprezzabile sotto l’aspetto morale e politico, non sia necessario e non abbia nessuna importanza sotto l’aspetto giuridico. Se si ritiene, come io ritengo, che l’Assemblea Costituente, per sua natura, concentri in sé il potere legislativo ordinario e questo potere non possa essere esercitato dal Governo se l’Assemblea Costituente non glielo vuol delegare, è evidente che l’Assemblea Costituente può sola stabilire, indipendentemente dalla volontà del Governo, se il Governo possa esercitare per delega quel potere: e il Governo non può far altro che accettare questa determinazione dell’Assemblea Costituente, che dispone, come meglio crede, dei poteri che appartengono soltanto ad essa. Se così è, allora vorrà dire che l’avere voluto dare a questa vera e propria legge costituzionale, alla quale noi consentiamo, la forma attenuata e modesta di un Regolamento fatto per così dire sottovoce, derivi da una certa tendenza che c’è in tutti ad evitar di parlare a voce alta della sovranità della Costituente, dei poteri della Costituente, di questi poteri sovrani e solenni che il popolo ha dato alla Costituente, e di proclamare ad alta voce, per esempio, che in Italia c’è la Repubblica e che il Capo dello Stato si chiama Presidente della Repubblica. (Approvazioni). C’è una certa tendenza, direi quasi da innamorati timidi, che ha abbassato, ha smorzato i toni anche nella terminologia politica, anche nella terminologia costituzionale: si cerca di parlare a bassa voce quasi per il timore di disturbare qualcuno che dorme nella stanza accanto…

Ora, se questo fosse, io dico francamente che avrei preferito che si desse a questo provvedimento la forma costituzionale solenne, che corrisponde alla sua sostanza. E credo che sarebbe non solo utile, ma doveroso per tutti noi affrontare chiaramente e sinceramente il problema dei rapporti della Costituente con il Governo, dei rapporti della Costituente col Capo dello Stato, e di dare alla Costituente (anche per facilitare il nostro lavoro di componenti un’Assemblea che deve soprattutto pensare a fare la Costituzione), di dare alla Costituente una specie di sua costituzione provvisoria, la costituzione della Costituente, lo statuto della Costituente. Perché, vedete, seguendo questo metodo di fare dei provvedimenti sottovoce, si va ad urtare contro nuove difficoltà, che sorgono proprio dalla timidezza di questi provvedimenti. Ad esempio, nell’articolo 6 del decreto del 16 marzo è detto che i provvedimenti, che non siano di competenza dell’Assemblea Costituente (e secondo l’articolo 3 i provvedimenti legislativi ordinari non sono di competenza dell’Assemblea Costituente) dovranno essere sottoposti alla ratifica del nuovo Parlamento entro un anno dalla sua entrata in vigore.

Vi pare che questo articolo 6 possa rimanere in piedi, se la proposta che oggi è stata presentata sarà accolta? Evidentemente no. E allora bisogna pur dirlo che questo articolo 6 non sarebbe più in vigore! Poi c’è l’articolo 5: «Fino a quando non sia entrata in funzione la nuova Costituzione, le attribuzioni del Capo dello Stato sono regolate dalle norme finora vigenti, in quanto applicabili». Quali sono le norme finora vigenti? E quali sono, tra quelle finora vigenti, quelle applicabili?

Una legge costituzionale, cioè una legge attinente a materia su cui indubbiamente l’Assemblea Costituente ha competenza anche per l’articolo 3, ha bisogno o non ha bisogno, per esser legge, della sanzione del Capo dello Stato? Secondo me, non ne ha bisogno: la sanzione del Capo dello Stato occorre soltanto per i provvedimenti attinenti al potere legislativo ordinario.

Ma, come vedete, sono tutti problemi assai gravi e assai delicati, che forse sarebbe stato opportuno ed anche economico, per risparmio di tempo, risolvere tutti una buona volta fin da principio, per sgombrare la strada al lavoro che più conta. Il non avere idee chiare su questi punti dà luogo, e spesso, a equivoci, a incertezze, delle quali ritengo utile, (e poi avrò finito) citare due esempi.

Il primo è questo. Qualche giorno fa, parlando con un collega di questa Assemblea – non vi dico di che partito era, se no direste che faccio una malignità – egli faceva questa ipotesi (dannatissima, come dicono gli avvocati): che l’attuale coalizione governativa si scinda in due gruppi, nessuno dei quali abbia la possibilità o la volontà di assumere il Governo.

Che cosa succederebbe? Come si farebbe a risolvere questa crisi di Governo? Diceva il mio interlocutore: «È semplice: il Capo dello Stato scioglie l’Assemblea». Niente affatto: il Capo dello Stato non scioglie l’Assemblea, perché il Capo dello Stato può sciogliere un Parlamento, ma non può sciogliere, evidentemente, un’Assemblea Costituente, la quale è stata nominata dal popolo col compito preciso di fare una Costituzione e deve assolverlo fino in fondo. Voi comprendete però che un dubbio simile non sorgerebbe neanche se questi rapporti, se queste differenze tra funzione legislativa ordinaria e funzione costituente fossero stati fin dal principio chiariti, e se fin dal principio si fosse vista chiaramente la funzione del Capo dello Stato in relazione alla Costituente.

Il secondo esempio si è avuto ieri proprio in quest’aula, quando si è sentito proporre da un gruppo di onorevoli colleghi una mozione con la quale si chiedeva, nientedimeno, di deliberare qui che la nuova costituzione quando sarà pronta debba essere sottoposta a referendum.

Evidentemente gli onorevoli proponenti della mozione dimenticavano che nella nostra Assemblea ci sono due funzioni, la funzione parlamentare e la funzione costituente, e che in questo momento, in queste settimane, la funzione costituente è affidata alla Commissione apposita che sta lavorando con grande zelo, e alla quale spetterebbe casomai di formulare a suo tempo la proposta (alla quale io sarei energicamente contrario) di sottoporre la nuova Costituzione all’approvazione di un nuovo referendum. Il venir qui a portare, in sede parlamentare, questa mozione, che, dopo le sagge dichiarazioni del Presidente De Gasperi è stata rinviata sine die, dimostra una confusione di lingue e di concetti che si sarebbe potuta evitare se sin dal principio i limiti tra le due funzioni fossero stati chiariti.

Questi sono i dubbi che io sottopongo all’onorevole Relatore; al quale rivolgo, per finire, un’ultima domanda. Io mi auguro che, se la proposta verrà approvata, come io e i colleghi del mio gruppo l’approveremo, queste Commissioni facciano un uso il più parco possibile del loro potere di rimandare i progetti di legge alla discussione dell’Assemblea.

Bisogna formulare il principio che l’Assemblea può, se vuole, discutere tutti i progetti. Ma se si può evitare, non diciamo di perder tempo, ma di occupare il nostro tempo, che è limitato, in problemi di legislazione ordinaria, per riservarlo soprattutto alla discussione della Costituzione: questo mi pare desiderabile ed augurabile.

E, allora, domando perché a queste Commissioni non si dà la possibilità, invece di limitare la loro funzione a questa scelta tra i provvedimenti da rimandare al Governo e quelli da far discutere dall’Assemblea, di svolgere una terza possibile funzione, quella di accompagnare i progetti rimandati al Governo con raccomandazioni o addirittura con proposte di modificazioni. Sarebbe qualcosa di simile a quello che facevano le Commissioni della Consulta; e in questo modo non si occuperebbero le sedute dell’Assemblea plenaria nel lavoro spicciolo della legislazione ordinaria.

Questo mio suggerimento, che altri potrebbero tradurre in proposta, mira soprattutto a far sì che, nel nostro lavoro, la funzione costituente non sia soverchiata dalla funzione parlamentare.

Ricordiamo, colleghi, come io ricordo a me stesso, che fra venti o trent’anni le difficoltà, sia pur gravissime, ma contingenti, che oggi si devono affrontare colla legislazione ordinaria, saranno superate e dimenticate. I nostri nipoti e pronipoti non le ricorderanno più, ma fra cinquanta o cento anni sarà ancora viva – monumentum aere perennius – la Costituzione della Repubblica Italiana. È soprattutto per questo fine che noi abbiamo in questo momento il dovere di lavorare con tutte le nostre forze! (Vivi applausi a sinistra).

Presidenza del Vicepresidente PECORARI

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Riccio. Ne ha facoltà.

RICCIO. Onorevoli colleghi, la questione di cui oggi ci occupiamo ebbe già un inizio di discussione nella seduta del 15 luglio. Allora l’onorevole Calamandrei, a nome anche del Partito d’Azione. ritenendo che l’articolo 3 del decreto legislativo 16 marzo 1946, contenesse una delega di poteri, propose la ratifica di esso, ma richiese altresì che l’Assemblea, in casi di determinata importanza, avesse ripreso direttamente il potere legislativo.

L’onorevole Mastrojanni espresse il parere che, posta la sovranità dell’Assemblea, questa, per dignità e per coerenza di sovranità, nessuna delega avrebbe dovuto dare. Egli negò al decreto 16 marzo 1946 ogni consistenza giuridico-costituzionale e concluse col richiedere che fosse demandata alla sovranità della Costituente «la ratifica, l’abrogazione o la modifica».

L’onorevole Calosso aderì alla proposta Calamandrei, sostenendo l’opportunità che ogni progetto legislativo fosse reso pubblico in anticipo, onde evitare errori irreparabili.

L’onorevole Bruni sostenne che il decreto 16 marzo 1946 doveva essere considerato come nullo e superato ed affermò che l’Assemblea, fornita di piena sovranità, andava posta in grado di esercitarla con speciali garanzie, esaminando e discutendo ogni provvedimento relativo alla vita della Nazione.

L’onorevole Terracini, si dichiarò favorevole alla proposta Calamandrei; ritenne però che occorresse dare al sistema dei rapporti fra Governo e Assemblea un ulteriore coordinamento. Ne è seguito l’ordine del giorno Terracini e l’ordine del giorno mio, da cui è nato l’articolo aggiuntivo che oggi è proposto all’approvazione dell’Assemblea e che, se risponde ad una esigenza che si è manifestata impellente, colmando una lacuna procedurale esistente, non intende annullare il decreto 16 marzo 1946, e tanto meno dichiararlo incostituzionale.

L’onorevole Calamandrei ha oggi riaffermato il suo punto di vista, ma ha dato una interpretazione ed un significato dell’articolo proposto del tutto contrari allo spirito che lo ha informato.

Alcune osservazioni preciseranno e chiariranno il contenuto dell’articolo in discussione e il nostro pensiero al riguardo.

1°) Il decreto 16 marzo 1946 è pienamente costituzionale. Già prima del 25 luglio 1943 la Costituzione albertina era stata infranta con la soppressione della libertà individuale e del principio rappresentativo elettivo. Nonostante il carattere flessibile della nostra Costituzione vi erano principî fondamentali insopprimibili e diritti essenziali indiscutibili: questi formavano la base della Costituzione. Come si poteva parlare di una Costituzione che era stata la conquista di un popolo anelante alla libertà, quando la rappresentanza libera di questo popolo era stata soppressa sostituendo al Parlamento la Camera dei fasci?

Dopo il 25 luglio 1943 anche l’ordinamento statuale fascista crollò con la soppressione per decreto Reale del Gran Consiglio e con lo scioglimento, non seguito da convocazione, della Camera dei Deputati. Sicché l’ordinamento fascista cadeva senza che si potesse ritornare a quello albertino, a sua volta infranto e rinnegato.

Sorgeva, perciò, un nuovo ordinamento giuridico, che regolava la vita costituzionale dello Stato e che trovava la sua fonte, i suoi limiti e la sua giustificazione nella necessità. Se è vero che esso aveva il carattere della provvisorietà, è pur vero che nasceva da un fatto politico, rivoluzionario e costruttivo: il compromesso interceduto fra la Corona e il Comitato di Liberazione.

La necessità è fonte di diritto. La dottrina ormai è concorde, perché su questa affermazione s’incontrano la scuola giuridica italiana e la scuola sociale cristiana, Vittorio Emanuele Orlando e Taparelli d’Azeglio. La legge 31 gennaio 1926, n. 310, riconosceva espressamente la necessità come fonte di diritto. Del resto, nella carenza di un ordinamento costituzionale dello Stato, dal momento che pur s’imponeva la riorganizzazione dello Stato stesso, prima di giungere alla espressione della sovranità del popolo, e per potervi giungere regolatamente e regolarmente, occorrevano dei provvedimenti, che si ebbero. Essi hanno valore obbligante. La costituzionalità nasce dalla necessità e dal compromesso tra il Sovrano ed il Comitato di Liberazione, che aveva dato il Governo e che rappresentava il popolo.

Il decreto 16 marzo 1946, quindi, nacque dalla necessità; tendeva ad ordinare la vita dello Stato; si limitò a stabilire il modo di riorganizzare lo Stato; è, perciò, pienamente giustificato nel fondamento, ed è, quindi, pienamente costituzionale. Né l’Assemblea Costituente, investita dal popolo di un mandato determinato, ha il diritto di esaminare questa costituzionalità. Il popolo ha accettato il provvedimento; l’ha ratificato andando al referendum ed alle elezioni per la Costituente. La nostra elezione financo è conseguenza di questo decreto. Non si potrebbe inficiarlo, senza negare a noi stessi il diritto di sedere in quest’aula e di continuare il nostro lavoro. Né si dica che quel decreto legislativo debba essere sottoposto a ratifica. Si tratta di una legislazione costituzionale ricostruttiva provvisoria, la quale è provvisoria per il momento ed il modo in cui nacque e perché ha durata limitata nel tempo, ma vincola definitivamente gli organi dello Stato sin quando non si avrà la nuova costituzione. La Costituente è regolata da quella legge, dalla quale ne sono determinate le funzioni specifiche.

Si tende alla riorganizzazione dello Stato, non alla disorganizzazione. Negare la costituzionalità del decreto suindicato significherebbe inficiare l’attuale ordinamento costituzionale provvisorio, nonché il referendum e le elezioni per la Costituente; significherebbe creare il disordine e la disgregazione dello Stato.

Sono convinto che nessuno può volere ciò e che gli accenni, i quali sono stati fatti in quest’Aula, vanno ritenuti soltanto come critica indicatrice delle estreme conseguenze, alle quali si arriverebbe, se quella costituzionalità venisse posta in dubbio. Noi abbiamo bisogno di difendere lo Stato con le leggi e con la continuità di esse. Sono convinto perciò che in quest’Aula sarà riaffermata la piena costituzionalità del decreto indicato e questa affermazione sarà la base per il nostro cammino, in pieno rispetto della volontà del popolo italiano, che, quale detentore primo della sovranità, quel decreto legislativo ha convalidato.

2°) Riaffermato il fondamento costituzionale del decreto, per intenderci sulle altre questioni, occorre qualche ulteriore precisazione.

Il potere costituente è legislativo, ma non è tutto il potere legislativo; è, se vogliamo, il primo e massimo potere legislativo, in quanto consiste nella formulazione delle leggi fondamentali della vita associata in un determinato organismo politico, ed agisce in un modo autonomo senza riferimento ad ordinamento positivo preesistente; non è tutto il potere legislativo, in quanto, nella vita dello Stato, vi è anche la formulazione e posizione della legislazione ordinaria e suppletiva, la quale accompagna la ordinaria vita dello Stato e che, a costituzione fatta, si pone come lo svolgimento di essa. Non due poteri distinti, come alcuni hanno sostenuto, ma un potere che si presenta sotto un duplice aspetto e si snoda in una duplice diversa funzione, alla cui base, però, vi è sempre e solo la facoltà inerente alla sovranità; esso una volta si pone come costituente, ed un’altra volta si pone come costituito, onde la legge accompagna la vita ordinaria dello Stato, mentre la Costituzione o incide sul sorgere dello Stato o sulla sua riorganizzazione.

La Costituente è chiamata a svolgere una funzione specifica: dare la Costituzione allo Stato; ed è chiamata a questo compito soltanto. Fuori della determinazione della struttura politico-giuridica dello Stato il suo potere si estingue. La Costituente, perciò, non ha in sé, per sua natura, il potere legislativo ordinario e tanto meno quello esecutivo e giudiziario.

Lo Stato non è caduto, ma si trasforma; la trasformazione avviene a mezzo della Costituente. Ma, oltre la Costituente, e parallelamente ad essa, funzionano gli altri organi dello Stato che conservano il potere legislativo ordinario, quello giudiziario e quello esecutivo. È perciò che, come è avvenuto di solito nella storia, accanto all’Assemblea Costituente è stato nominato e, per il tempo del suo esercizio, un Governo provvisorio con il compito della ordinaria amministrazione della cosa pubblica. Così è avvenuto anche in Italia; soltanto che, incidendo profondamente sulla vita e sulla struttura dello Stato i trattati internazionali, data l’ora gravissima della storia e le decisive questioni da affrontarsi dalla nazione, è stato necessario demandare alla Costituente anche l’approvazione dei trattati internazionali. Per di più, giacché le leggi elettorali sono come la interpretazione di tutta l’anima della Costituzione in uno stato democratico, si è ritenuto opportuno rimetterne la formulazione anche alla Costituente.

Il provvedimento, dettato da necessità di ordine pubblico, risponde ad esigenze di ordine giuridico, per evitare il pericolo che l’Assemblea abbia a trasformarsi in organo dispotico e tiranno, che sfrutti la provvisoria supremazia a scopi rivoluzionari.

Si ha così – e fu stabilito espressamente nel decreto tante volte richiamato – una divisione di funzioni tra i due poteri ed una conseguente limitazione dei poteri della Costituente. Questa veniva chiamata a dare la Costituzione, mentre al Governo veniva dato l’ordinario potere legislativo per l’ordinaria vita dello Stato con legislazione provvisoria. A Costituzione approvata, la Camera legislativa eletta dovrà esaminare la legislazione provvisoria, stabilendo la sua corrispondenza alla Costituzione, in modo da darle il riconoscimento della definitività e, quindi, della costituzionalità.

Questo sistema di ripartizione di poteri e di lavoro risponde ad un bisogno della vita dello Stato ed ha una logica giuridica. Non è, perciò, assolutamente a parlarsi di delega al Governo di un potere legislativo da parte della Costituente, non potendo questa delegare una funzione che non ha.

Né si dica che queste affermazioni contrastano con la sovranità della nostra Assemblea. Non dimentichiamo che quando il Governo e la Consulta si trovarono di fronte al dilemma; affidare alla Costituente soltanto la formulazione della Costituzione o darle invece tutti i poteri in modo da agire ora come Costituente ed ora come costituita, lo risolsero nel primo senso. E più importante è che il popolo, a mezzo delle elezioni, ha accettato la divisione dei poteri ed ha dato un mandato specifico a questa Assemblea. Se non vi fosse stata questa espressione di volontà da parte del popolo per mezzo del voto, forse si potrebbe anche discutere, perché si potrebbe dire che un potere meno rappresentativo, quale un Governo provvisorio, non avrebbe mai potuto porre dei limiti ad una futura Assemblea eletta. Ma vi è stato il decreto di convocazione delle elezioni, che ha espressamente sancita la limitazione; ed il popolo col voto l’ha implicitamente approvata; una sana democrazia pone ed impone il rispetto di quella volontà, che è limitatrice dell’attività dell’Assemblea.

In conclusione, se vi è stata una divisione di poteri, è evidente che vi fu anche una limitazione di attribuzioni, che oggi è assolutamente insormontabile.

3°) Con queste affermazioni non vogliamo sostenere che il Governo mai, in nessun caso, debba ritenersi responsabile di fronte alla Costituente; né che la Costituente non abbia il diritto di esercitare alcun controllo sul Governo; né che non sia necessario un coordinamento tra i due poteri. La norma di cui oggi discutiamo, risponde certamente ad un’esigenza essenziale della vita dello Stato, e s’inquadra nella logica e nello spirito di quel provvedimento, quasi come la conseguenza derivante da una premessa. Nell’articolo 3°, 2a parte, è detto che il Governo può sottoporre all’esame dell’Assemblea qualunque altro argomento per il quale ritenga opportuno la deliberazione di essa.

Dunque è riconosciuto che la Costituente può deliberare. Quali le norme procedurali per pervenire alla deliberazione?

L’articolo in discussione le prevede e le regola.

Se esistono due poteri, essi vanno coordinati nell’interesse della organizzazione collettiva e per la tutela del bene comune.

Non è rinnegato il diritto del Governo ad emanar legge; non è dichiarata incostituzionale la norma fondamentale contenuta nel decreto 16 marzo 1946; è riconfermata la divisione di funzioni fra i due poteri; è ristabilito il coordinamento tra essi; è riconosciuto e proceduralmente organizzato il diritto di deliberazione dell’Assemblea entro i limiti dell’articolo 3 del surrichiamato decreto legislativo.

Ed ancora: il Governo avrebbe dovuto occuparsi soltanto di legislazione ordinaria, rispondente agli ordinari bisogni della vita collettiva. Il momento storico che viviamo, invece, spinge e crea necessità eccezionali, costringendo qualche volta il Governo ad occuparsi delle cosiddette riforme di struttura.

La riforma agraria e la riforma industriale richiedono, per esempio, una risoluzione immediata ed intransferibile. Certamente è opportuno – anzi è costituzionalmente indispensabile – che su di tali provvedimenti si abbia la deliberazione dell’Assemblea; se ciò non avvenisse ed il Governo agisse per proprio conto senza richiedere detto parere, esso indubbiamente andrebbe oltre i poteri conferitigli. La Costituente, che pur deve porre i principî regolatorî di quelle riforme con la sua deliberazione, viene in sostanza ad inquadrare l’orientamento del Governo nel proprio binario sociale-economico e costituzionale.

Né io penso che la norma, la quale stiamo per approvare oggi, sia abolitiva dell’articolo 6 del decreto legislativo 16 marzo, perché il Parlamento ordinario dovrà sempre esaminare tutti i provvedimenti legislativi ordinari per stabilire la corrispondenza alla nuova Costituzione approvata. È un bisogno, assoluto ed inderogabile, della vita dello Stato. Queste precisazioni – io penso – varranno a dichiarare anche il contenuto della prima parte della norma in discussione, indicando il criterio logico e giuridico che dovrà guidare le Commissioni e l’Assemblea nel loro lavoro.

Non credo si debba andare oltre.

Andare oltre sarebbe negazione dei principî sani della democrazia e sarebbe pericoloso, Non sarebbe affermazione di democrazia piena, in quanto si verrebbe a superare la volontà del popolo. L’Assemblea Costituente non è potere costituito e non può perciò arrogarsene le prerogative; non può essere concepita come soggetto autonomo della sovranità, essendole delegata dal popolo solo una parte della sovranità. Poiché la sovranità risiede nel popolo organicamente inteso, l’Assemblea dal popolo mutua le sue particolari facoltà e ad esse deve rimanere limitata la sua funzione. Se, in conclusione, con le elezioni, si è adoperata una trasmissione limitata di poteri, una sana democrazia impone che non vi siano usurpazioni ed arbitrî. Sarebbe pericoloso, in quanto il superamento dei limiti priverebbe del fondamento giuridico quella particolare opera svolta dalla Assemblea, ponendo questa su un terreno illegale e rivoluzionario.

Il segreto della vita dello Stato e della sua organizzazione è nel rispetto delle leggi, non solo da parte dei cittadini, ma anche, e soprattutto, da parte degli organi dello Stato. Sono convinto, quindi, che l’articolo, sia pure con qualche modifica che meglio lo inquadri nel contenuto dell’articolo 3 del decreto legislativo 16 marzo e che andiamo a formulare, avrà il suffragio dell’Assemblea. (Applausi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Bozzi. Ne ha facoltà.

BOZZI. Onorevoli colleghi, a me duole di non poter condividere la soddisfazione, sia pure limitata, espressa dall’onorevole Calamandrei. Vi dico subito che non sono riuscito ad inquadrare, nel suo profilo politico e nel suo profilo giuridico, la proposta fatta dalla Giunta del Regolamento. Qui noi ci troviamo di fronte ad un Regolamento della Camera, cioè ad un atto interno che, per sua definizione, deve disciplinare le attribuzioni dell’Assemblea; quelle attribuzioni, cioè, di cui l’Assemblea è già legittimamente investita. Il problema, viceversa, che si presenta oggi al nostro esame, è radicalmente diverso; noi dobbiamo vedere se l’Assemblea abbia o non abbia determinate attribuzioni; se all’Assemblea debba o no competere una attività di intervento nella materia legislativa ordinaria; quali siano i rapporti, in tema di potestà di legiferazione, fra Governo e Assemblea.

Quindi, secondo me, da un punto di vista formale, che poi è anche sostanziale, lo strumento legale adoperato, cioè il Regolamento, è quanto mai inidoneo; e sotto questo aspetto io concordo pienamente con il terzo dubbio espresso dall’onorevole Calamandrei. Mi sembra, però, che questo sia un dubbio che investa tutto il problema e mini alla base la consistenza stessa, giuridica e politica, del provvedimento. In sostanza, questo provvedimento ha la natura, direi quasi, di una convenzione: figura anomala nel nostro diritto pubblico. Nasce da un accordo, che è formato, da una parte, da una dichiarazione, da un impegno, che si è creduto di poter desumere dalle dichiarazioni fatte dall’onorevole Presidente del Consiglio nella seduta del 25 luglio, quando questi affermò che il Governo era disposto a fare largo uso della facoltà discrezionale di inviare all’Assemblea disegni di legge; dall’altro lato dall’accettazione di questo impegno da parte dell’Assemblea. Di qui la regolamentazione di questo rapporto fra Governo e Assemblea, venutosi a costituire con tanto strano procedimento.

Voglio subito dirvi che impegni di questo genere hanno uno scarso valore, non solo giuridico, ma anche politico. Quando si discusse – e molti di voi lo ricorderanno – il decreto del marzo 1946 alla Consulta, vi fu taluno che fece presente che quei vincoli che si riteneva di potere imporre all’Assemblea Costituente erano vincoli assai fragili, che in tanto avrebbero potuto legare l’attività dell’Assemblea, in quanto fossero stati consacrati in un documento approvato da referendum popolare. E la risposta fu che un tal rilievo era esatto, ma che gli uomini che rappresentavano i partiti al Governo si impegnavano a che la delimitazione di poteri, la divisione di lavoro tra Governo e Assemblea, venisse rispettata.

I fatti hanno dimostrato che le cose sono andate diversamente. Si tratta di impegni personali, suscettibili di mutamento per varie cause. Noi abbiamo anche ascoltato l’impegno assunto dall’onorevole Presidente del Consiglio in data 25 luglio, di inviare all’Assemblea Costituente quasi tutti i disegni di legge; non consta però che, a tutt’oggi, ne sia stato mandato alcuno. E pure il Governo ha largamente legiferato ed in materia assai importante.

Ora, evidentemente, noi non possiamo risolvere problemi di tanta delicatezza e di tanta importanza con formule compromissorie del genere di quella proposta. Noi dobbiamo adoperare gli strumenti costituzionali e giuridici idonei per risolvere questi problemi. L’Assemblea è la depositaria originaria e unica della sovranità popolare; essa cumula in sé due funzioni, quella costituente e quella legislativa. L’esercizio di questa seconda funzione non può esserle sottratto. Bisogna, rivedendo il decreto del marzo 1946, sistemare in forma costituzionalmente corretta i rapporti fra Governo e Assemblea in questa materia. Noi abbiamo soprattutto bisogno di certezza nell’ordinamento giuridico. La certezza del diritto in genere è una delle condizioni fondamentali perché le società possano esistere e progredire.

Il decreto del 1946 è travagliato da un’intima contraddizione. Esso, in sostanza, foggia un sistema parlamentare; crea l’istituto della fiducia; affida all’Assemblea il compito di determinare la direzione politica del Governo; rende questo responsabile verso l’Assemblea. Sono questi i connotati giuridici costituzionali essenziali del sistema parlamentare. Ma da questa impostazione iniziale il decreto non ha tratto le conseguenze necessarie. Perché, se l’Assemblea ha il potere-dovere di controllo sul Governo, è indispensabile che essa abbia anche la possibilità giuridica di controllarne tutti i singoli atti e tutte le singole manifestazioni con cui si attua quella direzione politica. E ciò mediante un controllo preventivo, mediante un controllo diretto, intervenendo nell’attività legislativa, e non in forma postuma, non organica, occasionale, quale oggi si esplica, attraverso una copiosa messe di interrogazioni, interpellanze, mozioni.

In sostanza, occorre fare, secondo il mio punto di vista, un’organica rielaborazione di questa materia, in una forma che abbia valore giuridico, che impegni gli organi costituzionali, abbia efficacia verso i terzi, sia controllabile dal giudice; e ciò con chiarezza e con coerenza.

Il Regolamento proposto, scendendo al merito della questione, non mi soddisfa.

Che cosa propone questo Regolamento? Istituisce quattro Commissioni, e sapete quali sono i poteri di queste Commissioni? Queste Commissioni dicono semplicemente se il disegno di legge, presentato dal Governo, sia importante dal punto di vista tecnico o politico, e se, a loro giudizio, debba essere trasmesso all’Assemblea Costituente. Quindi, l’espressione di un punto di vista delle Commissioni. Il Governo non è giuridicamente vincolato da questa manifestazione di giudizio. Esso è discrezionalmente libero; vi è una discrezionalità politica. Il Governo può aderire al punto di vista delle Commissioni; può non aderire.

È ammissibile questo sistema? Mi sembra che la semplice ipotesi che il Governo possa non aderire al punto di vista manifestato dalla Commissione faccia, di per sé solo, scadere nel prestigio questa nostra Assemblea, che dovrebbe detenere la potestà legislativa. E vi assicuro che di ciò non si sente proprio il bisogno!

La logica vorrebbe che se le Commissioni ritengano che il disegno di legge ha valore ed importanza tecnica o politica, l’Assemblea se ne impossessi senz’altro e lo discuta. Non vi è ragione che il disegno torni al Governo perché lo riesamini e rifaccia la sua valutazione. Nel sistema proposto le Commissioni si limitano a formulare un invito al Governo.

E poi vorrei dire anche un’altra cosa: perché le Commissioni? Le Commissioni le concepisco come organi dell’Assemblea, diretti allo studio, alla preparazione, all’elaborazione, ma non come organi che abbiano una potestà di deliberazione in nome e per conto dell’Assemblea. Io concepisco che le Commissioni esprimano il loro punto di vista alla Assemblea plenaria e che sia poi questa a decidere.

Queste mie brevi dichiarazioni vogliono sottolineare la necessità di sottoporre, come ho già detto, ad una rapida, ma organica e chiara rielaborazione, nella forma di legge costituzionale, questa materia dei rapporti tra Governo e l’Assemblea. Si potrà poi trarre occasione di ciò per disciplinare altri punti a cui ha accennato l’onorevole Calamandrei.

Vi sono, nel regime provvisorio che ci governa, troppe lacune, troppe incertezze. Tutto ciò non contribuisce, credetemi, ad aumentare il prestigio del nostro istituto e della democrazia in genere. Secondo me, politicamente, è necessario stabilire una più intima collaborazione tra Governo e Assemblea. Se siamo nel sistema parlamentare, questa collaborazione è un elemento indispensabile. La collaborazione serve a mediare e a meglio comporre i contrastanti interessi. Inoltre, si assicura in qualche modo il rispetto delle minoranze. Bisogna ristabilire le garanzie, rifarsi al rispetto della legalità costituzionale. Ed a questo proposito vorrei domandare agli organi competenti, se non credono che si debbano presentare alla Assemblea, perché questa possa esercitare il suo controllo politico, quei sette decreti che la Corte dei conti ha registrato con riserva e che da molto tempo – mi consta – sono stati mandati all’Assemblea. Questa è una funzione che Assemblea deve rivendicare. Noi abbiamo il diritto di esercitare un controllo politico sul Governo che ha imposto la registrazione con riserva. Io credo che se ci avvieremo decisamente sulla strada della legalità e della correttezza costituzionale, faremo un’opera non vana per lenire quella crisi che non è soltanto nella coalizione governativa, ma è anche, e profonda, nel Paese; ed è, soprattutto, la crisi della legalità. (Applausi).

Presidenza del Presidente SARAGAT

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Caroleo. Ne ha facoltà.

CAROLEO. Onorevoli colleghi, dopo la discussione esauriente del professore Calamandrei, sarebbe pressoché inutile la parola modesta di un suo vecchio discepolo, vecchio per l’ammirazione di colui che vi parla verso la persona di Calamandrei, ma non per l’età che questo modesto oratore vanta assai più lunga di fronte al rispettabile maestro. Ho ascoltato anche con molta attenzione gli altri due oratori, l’onorevole Riccio e l’onorevole Bozzi, ma devo sinceramente dire che dall’insieme mi è parso di dover desumere che si faccia una grande questione di forma e che si superi un poco quella che è soprattutto la sostanza, cioè la materia, che può realmente interessare i diritti di questa sovrana Assemblea.

Ricordo che nella seduta del 15 luglio ebbi l’onore di sottoporre a questa Assemblea un ordine del giorno perché avvertivo la sensazione di trovarmi dinanzi a un grande malinteso. Qualche onorevole collega di altro settore in quella occasione quasi espresse una voce di allarme contro taluni settori di minoranza di questa Assemblea, fece intendere cioè che da qualcuno si potesse pensare di superare la interpretazione serena e logica della proposta dell’onorevole Calamandrei e andare addirittura a contestare la continuità della funzione legislativa del nostro Paese e ad offendere le buone norme di rispetto verso il Governo, che veniva espresso dall’Assemblea. Si diceva addirittura che si pensasse di contestare tutta la legalità di quanto si era operato nel periodo dell’esarchia nel nostro Paese; e allora io, che facevo e faccio parte di uno di quegli sparuti gruppi parlamentari di minoranza, dove, come è in tutti i settori di questa Assemblea, i doveri verso la disciplina, la giusta disciplina, di partito non si antepongono alla tutela e alla visione degli interessi superiori della Nazione, sentii il dovere di presentare un ordine del giorno, che cercava di contemperare i diritti di sovranità dell’Assemblea Costituente con tutto il riguardo dovuto al proprio Governo. E in quell’ordine del giorno, che non ho avuto più necessità di riproporre dopo le dichiarazioni dell’onorevole Presidente del Consiglio, non facevo che chiedere lo schema di un decreto legislativo, quindi di un provvedimento di emanazione dello stesso Governo, nel quale si sarebbero indicate le materie, che il Governo riservava a sé, stabilendo, s’intende, in maniera precisa che la maggior parte delle materie inerenti alla funzione legislativa dovesse passare per la Costituente, in omaggio alla sovranità di questa Assemblea.

Ma non è stato necessario – ho detto – riproporre nella nuova discussione quell’ordine del giorno, perché quel che a me sembrava un malinteso fu immediatamente superato, se non compiutamente nella forma, certamente, onorevoli colleghi, nella sostanza.

Il malinteso non poteva sussistere: non poteva sussistere per nessuno dei membri di questa Assemblea e non poteva sussistere per nessuno dei membri del Governo. Non per i componenti di questa Assemblea, perché noi siamo stati eletti e siamo stati mandati qui dal popolo, per formare le nuove leggi non soltanto costituzionali, ma anche ordinarie, perché queste ultime sono leggi che attengono al superamento dei bisogni più vivi e più urgenti della Nazione italiana, cioè pane, lavoro e giustizia sociale per tutto il nostro popolo.

Non poteva il malinteso sussistere per il Governo, in quanto sarebbe stata comoda cosa per l’Assemblea creare un Governo responsabile di fronte ad essa e non un Governo che rendesse l’Assemblea partecipe della sua responsabilità, in questo duro momento della vita italiana.

E la via era ed è una sola: chiamare, come è doveroso chiamare, questa Assemblea alla formazione anche delle leggi ordinarie del nostro Paese.

L’onorevole Presidente del Consiglio ha avuto la più esatta percezione di questa esigenza di tutti i membri della Costituente e del Governo e ha compiuto un gesto, su cui questa Assemblea – come ben notava l’onorevole Calamandrei – si ferma quasi superficialmente, senza conferire quell’importanza che questo avvenimento merita. Perché dovrebbe sentirsi in questa Assemblea che oggi, per la prima volta, dopo venti anni, viene restituita al popolo italiano la sovranità della sua funzione legislativa; oggi soltanto, dopo quella legge del 31 gennaio 1926, a cui gran parte delle rovine di questo nostro sfortunato Paese sono dovute, e che, accompagnata da quel famoso articolo 19 della legge comunale e provinciale, pose tutti i diritti dei cittadini nelle mani incontrollate del potere esecutivo.

Come non intendere, onorevoli colleghi, l’importanza, direi quasi storica, di questo grande avvenimento per il popolo italiano, che si vede restituito nella libertà della legge, e come potersi proporre dei dubbi sul significato degli articoli che ci sono stati proposti, dei dubbi di interpretazione sostanziale? Se io – ed impegno da questo banco soltanto la mia persona – se io approvo la proposta è perché intendo, senza limitazioni e riserve mentali di nessuna specie, che con essa viene restituito il diritto di sovranità legale al popolo italiano, viene in pieno restituita al popolo italiano la sovrana funzione legislativa. E penso che l’onorevole Perassi, illustre relatore di questa proposta, non potrà non fare anche delle dichiarazioni in proposito, le quali d’altra parte sarebbero superflue dopo il chiaro dettato degli articoli formulati.

È un evento, onorevoli colleghi, il cui significato, oltre a riempire di piena soddisfazione i cittadini italiani che sono stati mandati qui dal popolo italiano a difendere i diritti della sua libertà, supera, oserei dire, i confini del nostro suolo, perché mentre dall’esterno qualcuno oltraggia il nostro onore e soffoca i diritti di vita del popolo italiano, può trarre il convincimento, da quanto accade in seno a questa autorevole Assemblea, che qui di giorno in giorno le volontà si cementano, i cuori si rinsaldano nella fede della legge, nella fede della libertà del nostro Paese: fede nella libertà che è l’arma che sola ci è rimasta contro tutti i rinnegatori del nostro onore, contro tutti i soffocatori della nostra esistenza. Sola ci è rimasta, ma brillante, splendente, come l’arma del bene contro quella del male, come l’arma dell’ordine contro quella del disordine. È l’arma, onorevoli colleghi, che questa Roma ha custodito e custodirà nei secoli: la libera legge civile, che ha soltanto due nemici: le violenze della piazza, come che siano qualificate, e le caduche tirannidi.

Onorevoli colleghi, c’era un ultimo dubbio, che affacciava l’onorevole Calamandrei sulla formulazione delle norme su cui ha riferito l’onorevole Perassi, cioè quale sia il destino di quei decreti-legge che saranno rinviati dalle Commissioni perché non ritenuti soggetti all’approvazione della Costituente. Ma al riguardo ho creduto di poter proporre un emendamento, che valga a colmare questa lacuna, la quale si riallaccia ad una specie di pudica e inutile riserva, che era inserita in tutti quei decreti-legge, che prendevano il loro spunto dallo stato di necessità e di urgenza contemplato dalla legge del 31 gennaio 1926. Dico pudica riserva, perché quel rinvio di decreti-legge ad assemblee legislative ammaestrate non significava un bel nulla. Poteva significare soltanto una limitazione anticipata, maliziosa e dispotica dei poteri di quel futuro Parlamento, che se libero Parlamento e se in pieno investito della sovranità della funzione legislativa, in qualunque momento avrà diritto non soltanto di approvare o non approvare, ma di abrogare le leggi e alle leggi nuove concedere anche virtù retroattiva, perché la formula della retroattività o meno può essere problema di interprete, ma non è limite per un sovrano legislatore.

Chiudo queste modeste osservazioni proponendo che, attuandosi la modifica al Regolamento, sia anche data approvazione al mio emendamento aggiuntivo.

MASTROJANNI. Chiedo di parlare per fatto personale.

PRESIDENTE. Indichi il suo fatto personale.

MASTRO JANNI. Vorrei rispondere all’onorevole Caroleo sull’apprezzamento fatto in ordine al mio discorso del 15 luglio 1946.

PRESIDENTE. Lei è iscritto a parlare e potrà rispondere quando verrà il suo turno.

Ha chiesto di parlare l’onorevole Crispo. Ne ha facoltà

CRISPO. L’onorevole Calamandrei ha accennato alla natura del provvedimento sottoposto al nostro esame, e io ritengo sia necessario insistere su questo rilievo per le conseguenze che occorrerà trarre, perché la proposta dell’articolo aggiuntivo pone una questione preliminare da discutere e da decidere, questione che, a mio modesto avviso, interdice l’esame del merito del provvedimento.

Si diceva già autorevolmente dall’onorevole Calamandrei che noi siamo dinanzi ad una modifica del Regolamento interno della Camera. Ma non basta dire questo, perché innegabilmente la Giunta del Regolamento ha la competenza necessaria per apportare eventuali modifiche al Regolamento interno del funzionamento della Camera.

Si tratta, invece, di esaminare se la modifica proposta sia una norma regolamentare che disciplini l’esecuzione della legge 16 marzo 1946, o sia piuttosto una norma regolamentare intesa a modificare sostanzialmente la legge 16 marzo 1946, nel quale caso sarebbe da opporre un fine di non ricevere alla proposta stessa, non essendo concepibile che una norma di Regolamento interno possa incidere sul contenuto di una legge.

Ora, a parer mio, basterà tenere presente il primo capoverso dell’articolo 3 della legge 16 marzo 1946, per intendere agevolmente come l’articolo aggiuntivo costituisca una modificazione sostanziale del contenuto del capoverso stesso.

Voi ricordate che l’articolo 3, nella prima parte, demanda al Governo la funzione legislativa ordinaria, escluse le leggi elettorali, nonché le leggi di approvazione dei trattati internazionali, ed esclusa la materia costituzionale. Nel 1° capoverso, l’articolo 3 stabilisce poi che: «Il Governo potrà sottoporre all’esame dell’Assemblea qualunque altro argomento per il quale ritenga opportuna la deliberazione di essa».

Dunque qui si contempla una mera facoltà del Governo: il Governo può usarne e può non usarne.

Che cosa, invece, si stabilisce con la proposta dell’articolo aggiuntivo? Si stabilisce il dovere del Governo di demandare ad alcune Commissioni determinate l’esame degli schemi legislativi perché le Commissioni, nei limiti della loro rispettiva competenza, decidano quali di essi debbano essere sottoposti alla deliberazione dell’Assemblea Costituente, e quali possano rientrare nei limiti della competenza legislativa determinata con la prima parte dell’articolo 3 della legge 16 marzo 1946. È evidente, adunque, che la facoltà si trasforma in un obbligo rigoroso.

Di questo si era perspicuamente reso conto l’onorevole relatore. E non poteva, per vero, al suo acume sfuggire la enormità di una norma regolamentare, per giunta di un Regolamento interno, preordinata a modificare sostanzialmente il contenuto di una legge. E l’onorevole Perassi, nella sua pregevole relazione, per dare, comunque, una parvenza di fondamento giuridico all’articolo aggiuntivo, richiama la dichiarazione fatta dall’onorevole Presidente del Consiglio nella tornata del 25 luglio 1946, quando egli disse che il Governo avrebbe fatto il più largo uso della facoltà di cui al primo capoverso dello articolo 3 della legge. Dice, dunque, l’onorevole relatore: siamo dinanzi ad un impegno del Governo, il quale implica anche raccoglimento del principio che l’Assemblea abbia la facoltà di determinare, caso per caso, i disegni da sottoporre alla propria deliberazione.

L’onorevole Calamandrei ha già rilevato che siamo davanti ad un impegno non giuridico, ma ad un impegno morale, costituzionalmente irrilevante. E ciò, senza dire che la legge resta e i Governi passano, onde è inconcepibile che possa essere assunta a fondamento di una disposizione così grave, così importante – come quella intesa a regolare rapporti tra l’attività legislativa del Governo e il potere dell’Assemblea – la parola innegabilmente autorevole del Presidente del Consiglio circa l’ampiezza dell’esercizio da parte del Governo della facoltà di cui al capoverso dell’articolo 3. Ho detto che la legge sarebbe radicalmente trasformata dall’articolo aggiuntivo per effetto del quale la facoltà diverrebbe dovere. Ad averne la prova, basta tener conto del modo in cui è formulato l’articolo aggiuntivo, prima parte, in rapporto al primo capoverso dell’articolo stesso. L’articolo, difatti, dice che, per determinare quali disegni di legge debbano essere deliberati dall’Assemblea, sono istituite quattro Commissioni, e al capoverso è precisato: «Il Presidente dell’Assemblea, al quale saranno inviati dal Governo tutti i disegni di legge deliberati dal Consiglio dei Ministri, li trasmetterà alle Commissioni permanenti».

Dunque, quando l’articolo del Regolamento stabilisce che tutti i disegni di legge dovranno essere obbligatoriamente trasmessi, perché si decida quali di essi debbano essere sottoposti all’Assemblea Costituente e quali no, dobbiamo trovare nella legge 16 marzo 1946 la norma che imponga al Governo il dovere di trasmettere all’Assemblea Costituente gli schemi legislativi: e questa norma non vi è.

Sicché, una delle due: o intendete l’articolo aggiuntivo come una norma regolamentare per l’esecuzione della legge, ossia per l’esecuzione dell’obbligo suddetto, e, in tal caso, l’articolo è inapplicabile perché dell’obbligo la legge non parla; o intendete l’articolo aggiuntivo come una modificazione sostanziale del capoverso dell’articolo 3, ed, in tal caso, è del tutto inconcepibile che una norma del Regolamento interno della Camera possa modificare sostanzialmente il contenuto della legge.

Ecco perché, onorevoli colleghi, vi dicevo, cominciando, che la proposta presenta una questione preliminare insuperabile, alla cui decisione deve essere condizionata la discussione del merito del provvedimento. E consentitemi, infine, di dire che la questione sollevata dall’onorevole Calamandrei non può essere come dissimulata nelle pieghe di una norma regolamentare, ed essere decisa attraverso criteri transattivi o di compromesso.

Qui si tratta di decidere se i poteri della Assemblea Costituente ed il potere legislativo ordinario del Governo possano essere o non configurati in due zone distinte, autonome e indipendenti, e se possa essere rivendicata all’Assemblea la iniziativa legislativa.

Il dibattito è, adunque, tale che dev’essere affrontato, attraverso uno schema di provvedimento legislativo, con la consapevolezza dell’importanza di esso, soprattutto da parte di un’Assemblea che ripete le sue origini della volontà del popolo, ed è la prima Assemblea della Repubblica italiana. (Applausi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Persico. Ne ha facoltà.

PERSICO. Onorevoli colleghi, l’ampiezza della discussione su questa proposta dimostra come non siamo di fronte ad una semplice modifica di Regolamento; la questione è assai più grave. Mi rendo conto della pregiudiziale dell’onorevole Crispo il quale dice: prima di esaminare la proposta, stabiliamo se questo è il modo giuridico di portare alla Assemblea un problema di così alta importanza. Io mi oppongo alla pregiudiziale, perché mi spiego perfettamente come si sia arrivati a questa proposta di aggiunta al Regolamento. Se voi rileggete la discussione fatta il 15 luglio dopo l’intervento dell’onorevole Calamandrei, troverete che già in quell’occasione si delineò la tendenza a risolvere, attraverso una modifica del Regolamento, il problema; anzi uno degli oratori che intervennero in quella discussione, l’onorevole Terracini, propose senz’altro che, oltre alle due Commissioni che si dovevano in quel momento stabilire, cioè quella per la formazione del nuovo Statuto e quella per i trattati internazionali, si creasse una terza Commissione per gli affari politici, la quale avesse appunto il compito di esaminare tutti i disegni di legge preparati dal Governo per determinare quali dovessero essere portati all’esame dell’Assemblea Costituente. E questa idea fu ripresa dall’onorevole Lussu, il quale intervenne in quella discussione, e, chiarendo il dubbio espresso dall’onorevole Calamandrei (perché Calamandrei concluse: io non concludo, prospetto soltanto un dubbio e spero che altri troverà la soluzione), concluse: noi possiamo o costituire le Commissioni come quelle della Consulta, o tornare al vecchio sistema parlamentare delle Commissioni e degli Uffici. E che questa fosse la direttiva presa in quella occasione deriva proprio dal discorso pronunciato il 25 luglio dall’onorevole De Gasperi, il quale disse testualmente: «È, evidentemente, compito dell’Assemblea deliberare la procedura, esaminando le proposte che l’apposita Giunta riterrà opportuno prospettarle»; e poi c’era qualche cosa di meno della proposta che oggi dobbiamo discutere: «Si tratterà, a mio avviso, di creare un organismo il quale possa deliberare, avere sottocchio i disegni di legge e decidere se il Governo debba essere invitato a sottoporli all’Assemblea; oppure, data la poca loro importanza o gli impegni che l’Assemblea possa avere in un determinato momento, se debba il Governo provvedere direttamente. Circa i modi con cui questo diritto dell’Assemblea potrà essere esercitato, invito il Presidente dell’Assemblea, e l’Assemblea stessa, a volere, secondo le procedure stabilite, determinarli. II Governo li accetterà». Quindi il Presidente del Consiglio, seguendo la via tracciata dall’onorevole Calamandrei e soprattutto dagli onorevoli Terracini e Lussu, indicò che proprio la Giunta del Regolamento dovesse trovare questa formula.

Abbiamo avuto ora la proposta Perassi, proposta che mi lascia un po’ perplesso, sia per la formulazione, sia per il contenuto. Abbiamo avuto due stesure di questa proposta e la seconda, quella di cui discutiamo, mi pare che abbia peggiorato la prima…

PERASSI, Relatore. Esiste ufficialmente solo questa.

PERSICO. …perché, secondo era detto nella prima edizione, la Commissione doveva trasmettere al Presidente i disegni di legge che dovevano essere sottoposti all’Assemblea, mentre gli altri erano rinviati al Governo.

Invece la stesura che oggi abbiamo sotto occhio ha abolito questo periodo e lo ha sostituito così:

«Ciascuna Commissione rinvierà al Governo i disegni di legge, indicando quelli che essa ritenga debbano essere sottoposti alla deliberazione dell’Assemblea Costituente per la loro importanza tecnica o politica».

In tal modo il Governo si vede restituire i disegni di legge senza alcuna deliberazione e potrà rimandarli, oppure no, alla Assemblea Costituente. Quindi è molto diminuita la facoltà della Costituente, mentre nel primo progetto era il Presidente dell’Assemblea che, avuti i disegni di legge dalla Commissione competente, li portava alla discussione davanti l’Assemblea stessa.

Ecco perché io ho presentato un emendamento nel quale propongo che «Su tutti i disegni di legge, sui quali dovrà deliberare l’Assemblea Costituente (comprese le proposte di legge d’iniziativa parlamentare) riferirà all’Assemblea la Commissione competente per materia». In tal modo non è necessario rimandare gli atti al Governo, e la Costituente rimane investita direttamente dei disegni di legge dei quali intende occuparsi.

In questo emendamento ho tenuto a chiarire un punto importante, quello della iniziativa parlamentare. Sembrerebbe strano che, avendo attribuito all’Assemblea Costituente, oltre che il potere costituente, anche quello legislativo ordinario, i membri della Assemblea fossero privati di quello che è il loro diritto fondamentale, che deriva proprio dalla sovranità del popolo, che delega ai suoi rappresentanti tutto il potere legislativo, e cioè il diritto di iniziativa.

Voi sapete che l’iniziativa parlamentare è la formula più vicina alla iniziativa popolare. Abbiamo avuto legislazioni in cui l’iniziativa popolare è stata ammessa. La Costituzione girondina la ammetteva, e ciascun cittadino poteva presentare un suo disegno di legge al Parlamento. In Svizzera, attraverso il referendum, l’iniziativa popolare sussiste, come sussiste in molti Stati del Nord America. È solo per tecnicismo giuridico che l’iniziativa popolare si trasforma in iniziativa parlamentare, che è proprio la forma più diretta della sovranità popolare. E non è vero che questa iniziativa non si eserciti. Il manuale del Mancini e del Galeotti, fondamentale in questa materia, ricorda moltissime leggi dovute alla iniziativa parlamentare. In una sola seduta l’onorevole Antonio Billia presentò ben quattordici disegni di legge. Ecco il perché dell’inciso nel mio emendamento: «comprese le proposte di legge d’iniziativa parlamentare».

Diceva bene l’onorevole Calamandrei che prevale una tendenza a parlare in sordina, a sussurrare più che a dire ad alta voce il pensiero dell’Assemblea. Da ciò deriva una specie di distacco fra l’aspettativa popolare verso la Costituente e quello che effettivamente la Costituente fa. Distacco pericoloso, perché l’Assemblea Costituente è stata eletta con grande entusiasmo, forse con eccessive speranze. Pareva che dovesse essere il toccasana e dovesse avere la bacchetta magica per risolvere tutti i problemi. Da questo distacco alla diffidenza non ci corre molto, e sarebbe un gran male se nell’anima popolare si insinuasse l’idea che l’Assemblea Costituente non può dare i frutti che da lei si speravano.

Forse qualche accorgimento può essere adottato. Ne ha indicato uno lo stesso onorevole Calamandrei: egli ha detto di studiare se non sia il caso, mentre si prepara la Costituzione definitiva dello Stato, che per molti anni regolerà tutta la vita nazionale, di elaborare uno statuto provvisorio della Costituente che risolva provvisoriamente i problemi costituzionali. È un lavoro che si potrebbe fare in brevissimo tempo e che sarebbe assai utile.

Ma c’è un altro sistema che forse potrebbe dare all’Assemblea Costituente un modo di avvicinarla al popolo, ed è questo: perché vogliamo aspettare che la Commissione dei 75 termini i suoi lunghi, faticosi, complessi lavori per cominciare a discutere? Perché, dopo un mese che la Commissione ha preparato un certo materiale, questo materiale non viene portato all’Assemblea Costituente per la pubblica discussione? Il Paese ha eletto nell’Assemblea Costituente un organo perché discuta lo Statuto, e ha desiderio, ed ha ansia di vedere discusso lo Statuto. Non segue il lavoro delle Commissioni, e non crede che sia indispensabile questo lavoro. Nego che si debba aspettare la fine di tutto il lavoro della Commissione dei 75 per arrivare alla discussione. Io credo che tutte le volte che un problema o una questione fondamentale sia stata discussa e decisa nel campo preparatorio da parte della Commissione, essa possa essere portata in seno all’Assemblea per la discussione pubblica, in modo che il Paese senta che l’Assemblea compie effettivamente questo suo peculiare ed altissimo ufficio. Perché se no, succederà questo, che in base al Regolamento, che stiamo per approvare, verranno dozzine e dozzine di leggi alla discussione dell’Assemblea Costituente, e si correrà il rischio di trasformare l’Assemblea Costituente in un normale Parlamento, oberato di lavoro ordinario, facendogli perdere il suo carattere essenziale di organo eletto dal popolo per dare al Paese la sua nuova Costituzione. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Castiglia. Ne ha facoltà.

CASTIGLIA. Siamo stati sempre gli assertori della sovranità dell’Assemblea Costituente e tale principio lo abbiamo ripetutamente proclamato in tutte le sedi adatte e in tutti i momenti. Abbiamo sempre proclamato che il voler sottrarre all’Assemblea Costituente il potere legislativo con lo specioso pretesto che all’Assemblea incombeva l’onere e l’onore di redigere la nuova Costituzione, costituiva una menomazione della sovranità dell’Assemblea, assolutamente incompatibile con i principî democratici ai quali dovrebbe ispirarsi tutta la legislazione dello Stato italiano. E la nostra critica, prima di incidere sulla illogica e antigiuridica menomazione della sovranità dell’Assemblea, consumata dall’articolo 3 del decreto legislativo 16 marzo 1946, n. 98, con la nota limitazione dei poteri legislativi dell’Assemblea, investe tutta l’essenza dell’articolo 3 in questione. Non è, infatti, chi non veda come giuridicamente mal congegnata e poco rispondente ai principî democratici dello Stato sia la cosiddetta delega del potere legislativo al Governo. Non per nulla, per bocca dell’onorevole Mastrojanni, il gruppo parlamentare qualunquista, nella seduta del 15 luglio 1946, espresse tutte le sue riserve in proposito.

Tali riserve vengono ancora oggi rinnovate, nel momento in cui si tenta, con un espediente giuridico per nulla efficace, di sanare una situazione assolutamente insostenibile, della cui paradossalità si accorsero altri Deputati, fra cui l’onorevole Calamandrei, che nella seduta del 15 luglio 1946 sollevò la questione.

Però, mentre nel primo momento si ventilava l’idea di una sanatoria per mezzo di una ratifica del decreto legislativo 16 marzo 1946, da parte dell’Assemblea (con un procedimento che se non aveva il pregio della tempestività e della opportunità politica, aveva quello di una formale esattezza giuridica), oggi si vuole arrivare a questa sanatoria per vie che non sono per nulla conducenti e denotano unicamente il tentativo di coinvolgere l’Assemblea stessa nelle responsabilità che il Governo potrà assumersi, senza che il Governo, a sua volta, rimanga comunque impegnato. Ed è rilevante e sintomatico quello che ha detto ancora oggi l’onorevole Calamandrei, quando ha affacciato il dubbio ed ha posto il quesito: nel caso in cui il Governo volesse trattenere il disegno nonostante il parere della Commissione competente, potrebbe il Governo farlo?

Dal punto di vista logico, dobbiamo rispondere di no; ma dal punto di vista giuridico è evidente che il Governo potrebbe fare questo; perché il Governo non potrebbe ritenersi vincolato da una riforma del Regolamento interno della Camera. Quale vincolo alla indipendenza legislativa del Governo, nascente dall’articolo 3 del decreto legislativo 16 marzo 1946, potrebbe derivare dallo articolo di Regolamento che si propone di votare? Evidentemente nessuno, giacché il Governo può non riconoscere all’articolo del Regolamento della Camera alcuna efficacia limitatrice o comunque disciplinatrice della sua libertà legislativa. In altri termini, un articolo del Regolamento della Camera ha senza dubbio efficacia coattiva nei confronti della Camera e dei suoi componenti, ma non può averne nessuna nei confronti del Governo, che dal Regolamento della Camera non può ritenersi disciplinato o guidato. La eventuale aggiunta, dunque, dell’articolo proposto al Regolamento della Camera, giuridicamente non avrebbe alcuna efficacia per il Governo, che potrebbe continuare ad usare della facoltà che ritiene derivargli dall’articolo 3 del decreto legislativo 16 marzo 1946, senza tener conto del Regolamento. Né ha rilevanza il contenuto della dichiarazione del Capo del Governo cui accennava l’onorevole Calamandrei, secondo la quale il Governo avrebbe fatto il più largo uso della facoltà di portare alla conoscenza dell’Assemblea i disegni di legge.

Tutto questo può avere importanza morale, ma nessuna importanza di carattere giuridico, perché difatti durante il periodo di tempo che l’Assemblea Costituente è stata in vita non si è avuto alcun caso in cui il Governo abbia sottoposto all’esame della Assemblea Costituente un qualsiasi disegno di legge.

Ma ciò non basta; l’inefficacia dell’articolo proposto ha un’altra ragione d’essere. Esso pretenderebbe non già di regolamentare una precedente disposizione di legge, disciplinandone l’applicazione, ma addirittura di modificare una disposizione di legge, tramutando quella che, per l’articolo 3 del decreto 16 marzo 1946, è facoltà del Governo di sottoporre all’esame dell’Assemblea i disegni di legge, in un preciso obbligo. La trasformazione di una facoltà in obbligo non è davvero materia che possa trovar posto in un articolo di regolamento, il quale, come è noto, non può modificare la legge. Tanto più nel caso in esame, nel quale legge e regolamento agiscono su piani di estensione e di competenza assolutamente diversi: la legge riguarda l’attività legislativa del Governo, mentre il regolamento riguarda l’attività della Camera. C’è una diversità dei soggetti, cui legge e regolamento nel nostro caso si riferiscono, che renderebbe praticamente inattuabile financo una semplice regolamentazione secundum legem. In queste condizioni come si può parlare di una delega, che, volta per volta, sarebbe data dall’Assemblea al Governo, di cui parlava ancora oggi l’onorevole Calamandrei? Una delega come potrebbe essere data a mezzo di un regolamento che, ripetiamo, non riguarda e non può impegnare l’attività legislativa del Governo?

Essendo così privo di efficacia l’articolo progettato, esso non si riduce che a un apparente rimedio ad una situazione giuridica, che sin dal primo momento abbiamo denunciato e che non poteva essere risolta che in maniera più idonea. Ecco perché, pure riaffermando il principio della sovranità legislativa dell’Assemblea su tutte le materie – non soltanto su quelle attribuite dall’articolo 3 del decreto legislativo 16 marzo 1946 – diciamo che l’accorgimento proposto non riesce a risolvere interamente il problema.

Ma il tentativo in parola costituisce grave pregiudizio per l’Assemblea, che si vorrebbe chiamare corresponsabile dell’attività legislativa del Governo. È noto che tutta l’attività legislativa del Governo segna una serie di palesi violazioni dell’articolo 3 della legge 16 marzo 1946. Il Governo non ha esitato a superare quella sfera di competenza attribuitagli col decreto 16 marzo 1946, invadendo il campo dell’Assemblea, e deliberando anche su quella materia costituzionale, che obbligatoriamente è sottratta alla competenza legislativa del Governo, e dovrebbe essere sottoposta all’attività legislativa della Costituente, oltre che per una precisa disposizione di quella legge dalla quale il Governo trae la sua competenza legislativa, anche per una ragione di logica evidente. Perché, essendo l’Assemblea Costituente chiamata a riformare tutta la costituzione dello Stato, essa stessa deve decidere sulla opportunità o meno di anticipare riforme costituzionali, che peraltro dovrebbero attendere la nuova Costituzione. C’è dunque una ragione di armonia, di visione completa delle esigenze nazionali, che non può essere sottratta alla Costituente per essere attribuita al Governo. Eppure, in contrasto a questa esigenza elementare e logica, il Governo travalica, oltre che lo spirito, la stessa parola della legge e legifera su quelle materie costituzionali, sottrattegli per legge, mettendo la Costituente di fronte al fatto compiuto, il che non potrà non influire sull’orientamento, che essa intende dare alla nuova Costituzione.

Questa violazione non può essere ulteriormente consentita e va denunziata pubblicamente.

Essa è cominciata col decreto legislativo con cui si dichiarava che il Senato cessava le sue funzioni. Per la mancanza di una Camera di Deputati, il Senato non era più in grado di esercitare il potere legislativo, che, per l’articolo 3 dello Statuto albertino, doveva essere esercitato collettivamente dal Re e dalle due Camere; e ciò senza bisogno di ricorrere a uno speciale decreto legislativo. Eppure il Governo, preso da una vera e propria mania legislativa, commise un eccesso di potere, perché la soppressione di una delle due Camere riguarda l’ordinamento costituzionale dello Stato, che è di competenza dell’Assemblea Costituente.

Ebbene: in questa linea di condotta antigiuridica il Governo continua con tutta la sua successiva attività legislativa che investe in pieno la competenza dell’Assemblea Costituente.

Le misure legislative che traducono in legge taluni stati di fatto e prese di posizione, come l’occupazione di terre incolte o non incolte, che stabiliscono addirittura di affidare per venti anni le terre alle cooperative, non hanno nessun fondamento giuridico e nessun carattere di obiettività che, superando le passioni e le esigenze di partito, conferiscano alla legge il primo e fondamentale requisito: quello dell’accettabilità da parte del Paese.

Proprio nella provincia di Siracusa il Prefetto è stato sollecitato ad accelerare le pratiche per la concessione di terre, definendole entro quindici giorni, ed è stato invitato ad avvalersi dell’articolo 19 della legge comunale e provinciale per procedere alla concessione delle terre in tutti i casi nei quali egli ne ravvisi la necessità.

Il sistema che dissolve addirittura la legge, in questo caso raggiunge il colmo e il Governo non esita a far ricorso al famoso articolo 19 della legge comunale e provinciale, tanto deprecato e condannato, avvalendosi dell’opera di quell’esponente del potere esecutivo, di cui da più parti si chiede la soppressione, e al quale in questo caso si conferiscono poteri di valutazione che possono anche risolversi in veri e propri atti di arbitrio, pur di attuare la più enorme ed inconcepibile violazione proprio di quell’articolo 3 del decreto legislativo 16 marzo 1946 che sta tanto a cuore al Governo. Il quale, dunque, si pone in contrasto con se stesso: da un canto rivendica e afferma la perfetta validità del decreto legislativo 16 marzo 1946 e dell’articolo 3, e dall’altro non esita a violarlo nei modi che abbiamo visto. È o non è evidente che tutta questa è materia costituzionale, in quanto attiene alla struttura dello Stato e incide su quel diritto di proprietà che, sino a quando non sarà annullato dalla nuova Costituzione, è e rimane uno dei diritti fondamentali dell’individuo?

E allora perché non lasciare alla Costituente la libertà di disciplinare nel modo che riterrà migliore, ma nel quadro dei principî che dovranno informare la nuova carta Costituzionale, tale materia?

E invece si pregiudica quello che sarà il giudizio definitivo dell’Assemblea; si pone questa di fronte al fatto compiuto; si tenta in tal modo di suggestionarla ai fini di indirizzarla in un determinato modo; si realizzano le riforme più audaci, più unilaterali, si crea lo stato di fatto con uno o più decreti legislativi ispirati non più al supremo e soprattutto sereno interesse del Paese, ma unicamente all’interesse di parte, usando di un potere di comando che non può e non deve essere arbitrario e che invece costituisce i presupposti e forse, più che i presupposti, le prime gravi realizzazioni di una nuova tirannia politica.

Al cospetto di una simile situazione di cose, noi mancheremmo al nostro dovere se non denunziassimo al Paese, che ci ha eletto suoi rappresentanti, l’inaudita violenza legislativa che si consuma ai danni della nazione.

Il popolo ha eletto i suoi rappresentanti perché questi redigano la nuova Carta costituzionale, presidio e garanzia delle libertà individuali e sociali.

Sappia per nostra bocca, questo popolo che crede e confida nella sovranità dell’Assemblea eletta, che questa sovranità è largamente compromessa dall’attività legislativa del Governo, che non si ritiene vincolato dalle leggi, e tanto meno si riterrà vincolato da un articolo di regolamento che dal punto di vista giuridico non lo impegna.

In queste condizioni l’Assemblea Costituente non potrà adempiere in modo completo, e soprattutto libero, al suo mandato.

Il rimedio oggi proposto non è conducente, oltre che per le ragioni dette in principio, perché il male ha radici tanto profonde che nessun articolo di regolamento potrà sanarlo. Il male è quello denunciato e se non vi sarà posto rimedio mediante la revisione delle posizioni di Governo, potremo dire sin da questo momento che la Costituente ha fallito al suo scopo.

Del resto anche la formulazione dell’articolo aggiuntivo, e specie degli emendamenti, è tale da rendere manifesta la possibilità di sottrarre all’Assemblea la maggior parte dei poteri che apparentemente le si vorrebbero conferire.

Basti pensare al comma che prevede la possibilità che il disegno di legge ritorni al Governo senza che la Commissione si sia pronunciata. E se la mancata pronuncia deriva da un possibile cattivo funzionamento dell’ufficio di segreteria? In tal caso il Governo riprenderebbe quello che dovrebbe dare e resterebbe perfettamente arbitro di formulare la legge.

E l’emendamento Togni-Taviani-Braschi non costituisce forse un altro modo di sottrarre all’Assemblea quella competenza che apparentemente l’articolo proposto vorrebbe attribuirle? Il suo inconveniente è poi elevato al massimo dal suggerimento proposto dall’onorevole Calamandrei, il quale propone di dare alla Commissione il potere di fare delle osservazioni e raccomandazioni e rimandare il disegno al Governo senza che dei disegni di legge sia informata l’Assemblea Costituente. Sarebbe questo l’inconveniente dell’emendamento Taviani elevato al massimo.

E che dire poi dell’altro emendamento Taviani che ha un solo scopo: quello di raddoppiare il numero dei componenti le Commissioni appartenenti ai tre partiti di massa, a totale discapito dei rappresentanti i partiti di minoranza? Bell’esempio questo di garanzia delle minoranze, la cui voce non avrebbe praticamente alcuna influenza!

È tutto il sistema sul quale noi facciamo tutte le nostre riserve, pur mantenendoci fermi sulle posizioni già assunte circa le rivendicazioni della sovranità dell’Assemblea Costituente.

Venga o no approvato, l’articolo aggiuntivo non muta la sostanza delle cose. L’invadenza del Governo resterà sempre alla base dei rapporti tra Governo e Costituente, e la sovranità del popolo, alla quale si fa ricorso da tutte le parti, ne uscirà irrimediabilmente compromessa e menomata.

Noi invitiamo nel modo più esplicito e categorico il Governo all’osservanza degli impegni assunti con il decreto 16 marzo 1946 e dichiariamo che tutta la legislazione emanata in violazione di tali impegni costituisce grave menomazione dei diritti del popolo, che in regime democratico vede nei rappresentanti eletti i soli interpreti e artefici del suo avvenire di libertà e di giustizia.

Presento, anche a nome dei colleghi Abozzi, Venditti, Colitto, Miccolis, Patrissi, Capua, Trulli, Cannizzo, Mastrojanni, Patricolo, Puoti, Tieri, Tumminelli, Fresa, Russo Perez, Rodinò Mario, Mazza, Rognoni, Corsini, Ayroldi Carissimo, la seguente dichiarazione:

«I sottoscritti Deputati, rilevato che il Governo ha mostrato di non volere uniformarsi al disposto dell’articolo 3 del decreto legislativo 16 marzo 1946, n. 98, che demanda all’Assemblea Costituente il potere legislativo su tutta la materia costituzionale;

che, in violazione di tale norma, con palese esorbitanza di poteri, ha emanato decreti legislativi su materia costituzionale di competenza esclusiva dell’attività legislativa dell’Assemblea Costituente, che di essi avrebbe dovuto occuparsi in sede di riforma di tutta la costituzione dello Stato;

elevano formale e vibrata protesta contro questa invadenza del campo di competenza dell’Assemblea Costituente». (Applausi a destra).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Mastrojanni. Ne ha facoltà.

MASTROJANNI. Onorevoli colleghi, avrei rinunciato volentieri a parlare, perché il mio collega ed amico Castiglia ha esaurientemente e spietatamente mietuto quanto in ordine all’oggetto di cui si discute si sarebbe potuto dire oggi. E poiché non intendo portare vasi a Samo e nottole ad Atene, non starò a ripetervi quanto da ogni parte ormai si è sapientemente pronunciato, esaminando la questione da ogni aspetto e sotto ogni riflesso.

Ho ascoltato con particolare attenzione quanto l’onorevole professore Calamandrei ha riferito in ordine al decreto 6 marzo 1946, e quanto egli ha detto circa il metodo attraverso il quale si intende rimediare ad una lacuna fondamentale, sulla quale si deve necessariamente ritornare. Egli, se ben ricordo, ha detto che è invalso l’uso di sommessamente proferire quanto invece dovrebbe a volte solennemente essere pronunciato, ed in tal senso ha eccitata quasi la diligenza dei membri del Parlamento, perché assumessero quella «forma mentis» per la quale, di fronte ai problemi essenziali della vita nazionale, nulla deve essere sottaciuto, ma da ognuno, con la fermezza della parola e con la decisione dello sguardo, vengano assunte, per il presente e per il futuro, tutte le responsabilità personali e collettive. Ed io appieno sottoscrivo quanto l’onorevole Calamandrei ha suggerito. Però debbo ricordare, appunto per quel mio costume di nulla sottacere, che in grave incongruenza è caduto l’illustre giurista onorevole Calamandrei. Mentre oggi, con una indagine scrupolosa, ha rilevato persino che attraverso la forma quasi silenziosa e modesta si intende di sopperire ad una lacuna imperdonabile del precorso legislatore in ordine all’articolo 3 di cui si discute, ieri egli molto sommessamente assumeva e proponeva, sia pure a titolo di suggerimento, che quel tale articolo 3, che noi ci saremmo visti in mezzo ai piedi ad ogni piè sospinto, noi, per amore di quieto vivere, ratificassimo. Contro la ratifica insorgeva allora chi ha l’onore di parlarvi.

Oggi l’onorevole Caroleo, di cui io non so se più ammirare l’aggressività del censore o la serafica attitudine al timore riverenziale frequentemente manifestato per l’illustre maestro, mi ha dato dell’iconoclasta, dello spezzatore della continuità delle leggi, mi ha chiamato offensore dei buoni costumi verso il Governo e delle buone usanze. Con benevolenza ho accettato, onorevole Caroleo, i vostri apprezzamenti, dei quali sono anche fiero, perché non uso, per temperamento, a timori riverenziali, affronto decisamente le questioni, assumendone anche le responsabilità. E poiché ritengo essere mio precipuo dovere censurare ove occorra o criticare l’operato del Governo, l’ho censurato e lo censuro, perché stimo salutare denunziare alla pubblica opinione che le leggi dello Stato, nella loro chiarezza e precisione, debbano susseguirsi, nell’abrogazione o nella perpetuità, attraverso i sacrosanti crismi che la tradizione di Roma fino ad oggi mai ha tollerato venissero infranti così come oggi si tenta di osare. (Applausi a destra).

Io richiamo all’Assemblea, ai rappresentanti del popolo italiano, le nostre belle tradizioni giuridiche. Vi richiamo perché non tradiate queste tradizioni. Voi non potete approvare, attraverso una norma regolamentare, la modificazione di una legge, perché se così voi faceste – e potete farlo – voi sottoscrivereste ignominiosamente la vostra condanna, perché rinunziereste alla vostra dignità di uomini liberi, manifestereste la vostra titubanza nell’affrontare in pieno le questioni che, dal punto di vista del diritto, devono essere affrontate così come ci è stato fino ad oggi insegnato. (Commenti).

Una voce. Esagerazioni!

MASTROJANNI. Onorevoli colleghi, qualunque sia la vostra opinione, io confermo quanto il 15 luglio ebbi a dire, sul decreto del marzo 1946, di cui la formazione era inevitabile, in quanto che qualunque Governo, durante un periodo di eccezione, doveva necessariamente sorgere e doveva operare e, per operare, doveva servirsi dei mezzi consentiti dalla civiltà e dalla legalità: le leggi e i decreti.

Ma affermo che, quando un Governo di eccezione si arroga il diritto di ipotecare la sovranità di una Assemblea che ancora il popolo deve nominare, questo Governo è stato carente di quella sensibilità giuridica che specialmente deve soccorrere quando il potere è assoluto, perché privo del controllo dell’organo parlamentare. E poiché questa sensibilità allora non s’è avuta, chiedevo che l’Assemblea Costituente sovrana non riconoscesse essenza costituzionale all’articolo 3 e demandasse alla sovranità dell’Assemblea di rivedere tutta la legislazione precorsa – vedasi resoconto parlamentare – in modo da ratificare o abrogare la legislazione formatasi durante il Governo di eccezione.

Questo è il punto sul quale insisto, perché così facendo, senza offendere il diritto e senza lettere la maestà del Governo – onorevole Caroleo – noi esauriamo in pieno il nostro compito di rappresentanti del popolo, con una sensibilità squisitamente giuridica e rimediamo agli errori che possono fino a ieri essere stati fatti e possiamo rendere giustizia, se giustizia non è stata sapientemente fino a ieri amministrata, talché – ricordo solo questo e ho finito – ancor oggi esiste, per dirne solo una, questa mostruosità giuridica, lesiva dei diritti fondamentali dell’uomo: esistono sentenze penali per le quali non è consentito gravame, solo perché furono pronunziate ieri ed esistono invece i giudicati di oggi per gli stessi fatti e per i quali il gravame è consentito. E quando personalmente, nel cruccio che tormenta il mio animo di avvocato, andavo con altri colleghi dal Sottosegretario alla giustizia per rappresentare questa incongruenza ingiuriosa ed oltraggiosa per la giustizia e per il diritto, noi difensori ne avemmo affidamento, ma quelle sentenze rimangono tutt’oggi non suscettibili di gravame. È quindi solo attraverso la intransigente osservanza del diritto e della sua tradizione che possiamo rendere giustizia al popolo, e parlando di popolo parlo di tutto il popolo italiano, perché anche noi, figli del popolo, ci onoriamo di coloro i quali hanno temprato la vita attraverso la lotta feconda di esperienza quotidiana, che è la sola che possa rendere gli uomini onesti, giusti e sensibili. Se noi chiediamo giustizia, la chiediamo uguale per tutti. (Applausi a destra).

CAROLEO. Chiedo di parlare per fatto personale.

PRESIDENTE. Lo indichi.

CAROLEO. Prego l’onorevole Mastrojanni di leggere il testo stenografico del mio discorso, dal quale potrà rilevare che non hanno ragione di essere i rilievi che mi ha rivolto.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Assennato. Ne ha facoltà.

ASSENNATO. Onorevoli colleghi, il quesito (e la responsabilità della discussione spetta, o per lo meno il merito, all’onorevole Calamandrei) potrà ricevere più facile soluzione se l’impostazione potrà essere più chiara. Ora il problema che ho sentito agitare, e che è stato con arguzia trattalo dall’onorevole Calamandrei, sta nell’inconveniente che con la legge del 16 marzo 1946 sarebbe stata prestabilita una delega. Prima ancora, cioè, che il delegante fosse nato, sarebbe nato il delegato: questo fatto, se può costituire un’arguzia, contiene qualcosa che merita attenzione; ma deve prestarsi ancora maggiore attenzione a quella parte della legge che, attribuendo all’Assemblea il diritto di ritenere il Governo responsabile di fronte a se stessa, assorbe il quesito e lo risolve in termini pienamente compatibili col diritto e colla facoltà dell’Assemblea stessa. Poiché questo potere delegato al Governo, ove mai il Governo lo spenda malamente, può esser tolto con la revoca della fiducia, e pertanto con un voto di sfiducia e la caduta del Governo, l’inconveniente sostanzialmente viene a non sussistere; sicché il rilievo elementare, pur avendo qualche aspetto che può prestarsi ad arguzie o commenti, deve trovare soluzione nella sua sede normale, nella stessa legge, lì dove essa statuisce la responsabilità del Governo nei confronti dell’Assemblea.

Per quel che riguarda l’accenno, che ho sentito in quest’Aula, sul tecnicismo giuridico che dovrebbe presiedere alla interpretazione della legge e dell’articolo aggiuntivo, vorrei richiamare l’attenzione dell’Assemblea sul fatto che non è col criterio del normale tecnicismo giuridico che va considerato il complesso dei nostri lavori e dei provvedimenti che vengono sottoposti all’attenzione dell’Assemblea. Se questo principio del tecnicismo giuridico, tradizionale o preesistente, dovesse prevalere, ognuno dei componenti l’Assemblea dovrebbe domandare a se stesso se sia legittima la fonte del voto alle donne. Purtuttavia questa è una conquista e noi la consideriamo tale. Quindi la legge e l’emendamento aggiuntivo vanno considerati nei termini delle circostanze e delle possibilità e soprattutto nell’orbita di una inesistente legge fondamentale, la creazione della quale venne ed è affidata all’attuale Assemblea.

A me pare che l’articolo aggiuntivo e la legge stessa comportino un problema la cui soluzione può trovarsi agevolmente nell’esame della figura e della natura dell’Assemblea. Essa ha una funzione ed una struttura; e questa struttura non può essere che relativa e correlativa alla sua funzione. Poiché la funzione dell’Assemblea non è tanto quella legislativa, quanto preminentemente quella costituente, per dare al paese la Carta costituzionale, è conseguente ed è correlativo che a tale funzione dell’Assemblea corrisponda una speciale struttura della Assemblea stessa, struttura che deve soprattutto essere caratterizzata dalla semplicità e dalla rapidità del congegno, sicché l’Assemblea possa nel contempo adempiere al ponderoso c preminente lavoro di elaborare la Costituzione e dedicarsi anche alla attività, legislativa, la quale non è né tolta, né frodata all’Assemblea, perché l’articolo 3, attribuendole il diritto di revocare la fiducia al Governo e statuendo la responsabilità del Governo nei confronti dell’Assemblea, toglie ed elimina ogni pericolo di abuso.

La semplicità del congegno sta nel numero ristretto delle Commissioni, poiché gran parte degli onorevoli componenti dell’Assemblea è impegnata nei lavori della Costituzione, sicché un’altra minor parte potrà dedicarsi a questo nuovo lavoro di carattere legislativo.

Non è esatto il rilievo che il Regolamento tradirebbe la legge, nel senso che il Regolamento abbia o contenga disposizioni più vaste o che sia modificativo nei rapporti della legge. Già nel Regolamento si parla di «determinare», il che comporta una facoltà di determinazione, la quale è specifica dell’attività regolamentare. Sarebbe invece controproducente, e costituirebbe strappo od eccesso di potere regolamentare, l’ipotesi avversa, e cioè se in sede di regolamento si cercasse di risolvere apertamente e direttamente la questione dell’iniziativa parlamentare dell’Assemblea in materia legislativa. È in questo caso che ricorrerebbe la modifica.

L’importante è che ogni pericolo di abusi da parte del Governo venga fugato con l’esercizio della facoltà sovrana dell’Assemblea, che deve essere gelosa custode di questa sua sovranità, di rovesciare ogni Governo che quegli abusi compisse. Non è quindi il caso che l’attività dell’Assembla debba disperdersi in disquisizioni teoriche. Gli storici ed i precedenti storici che sono citati ci preannunciano un po’ la inutilità della discussione in merito, in quanto l’iniziativa parlamentare è andata a mano a mano svanendo, e non si hanno esempi di una vivace attività in tal senso. Purtuttavia questo sarà oggetto di attento studio da parte delle preposte Commissioni per la Costituzione, le quali non potranno trarre nutrimento né scienza dal passato, il quale avverte essere difficile e raro l’esempio di iniziative dirette di carattere legislativo prese da un’Assemblea parlamentare. È nella complessa attività di controllo, al che provvede il congegno proposto con la modifica al Regolamento, è nel diritto che all’Assemblea è dato e che l’Assemblea deve custodire gelosamente, nel potersi e doversi liberare da Governi che facciano abuso e cattivo uso della facoltà delegata, che deve riconoscersi la sua funzione democratica.

Noi dobbiamo spendere la nostra attività non soprattutto nell’«ornate dicere», ma nel «breviter facere» e più breve è il tempo a nostra disposizione, maggiore sarà il nostro merito. Dobbiamo dare al paese una Costituzione. Questo è il compito preminente. L’attività legislativa la esercitiamo direttamente col controllo diretto del Governo. Dobbiamo essere custodi della responsabilità di dare al Paese e di tener fermo un Governò democratico, ossia che risponda alla volontà dell’Assemblea e che di essa ne sia l’espressione, principio elementare questo che trova applicazione costante con le nostre riunioni, con le interrogazioni, con le interpellanze, con i voti di fiducia o sfiducia. Occorre quindi tagliar corto alle discussioni che possono distrarre la mente e l’attività dei componenti l’Assemblea, perché essi meglio possano dedicarsi al loro lavoro e nel più breve tempo attribuire al Paese una Costituzione che, assicurando e dando per ferma e ben difesa e protetta la libertà, dia il modo pratico ad ogni cittadino di attribuire a se stesso tutti i beneficî di quella pratica libertà, ossia il modo soprattutto di assicurare a sé e ai suoi figlioli il pane, che è veramente santo quando è lievitato dal lavoro. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Comunico che è stata presentata la seguente proposta:

«I sottoscritti, ritenuto che l’articolo aggiuntivo del Regolamento, se approvato, determinerebbe in modo anticostituzionale la sostanziale modificazione del decreto legislativo 16 marzo 1946, n. 98, chiedono la sospensiva della discussione».

Crispo, Fusco, Cortese, Badini Confalonieri, Perrone Capano, Einaudi, Martino Gaetano, De Caro Raffaele, Cifaldi, Cuomo, Bellavista, Morelli, Grassi, Lucifero, Bonino.

LUCIFERO. Chiedo che questa proposta sia votata per appello nominale.

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulla proposta di sospensiva.

Ha chiesto di parlare il relatore onorevole Perassi. Ne ha facoltà.

PERASSI, Relatore. Onorevoli colleghi, di fronte alla presentazione di questo ordine del giorno che solleva la questione pregiudiziale, e dato che né dai presentatori, né da altri è stato approfondito questo problema, ritengo doveroso, nella qualità di relatore, di esaminare il testo di questo ordine del giorno per vedere se è esatto che lo schema di Regolamento proposto dalla Giunta del Regolamento, implichi una sostanziale modificazione del decreto legislativo 16 marzo 1946. È evidente che in tanto ha ragion d’essere un voto sulla pregiudiziale, in quanto si è chiarita la portata del Regolamento proposto. Ora, sia consentito alla Giunta del Regolamento di precisare qual è la portata che essa dà allo schema di disposizioni da essa elaborato.

Devo rilevare che questo schema di disposizioni, che ha formato oggetto di una discussione così larga ed approfondita, è stato anche interpretato in maniera notevolmente diversa. In particolare da alcuni, e da ciò la pregiudiziale sollevata, si è ritenuto che in questa maniera si viene a modificare sostanzialmente lo schema.

Ora la questione pregiudiziale, che è stata sollevata, consiste nel vedere se le disposizioni proposte dalla Giunta comportino una modificazione sostanziale del decreto legislativo 16 marzo 1946. Queste norme regolamentari, che sono state elaborate, hanno dato luogo a interpretazioni assai divergenti. Qualcuno si è dichiarato soddisfatto interpretandole in certo modo; altri è giunto a conclusioni opposte. Ora mi permetto di richiamarmi alle dichiarazioni che ho avuto l’onore di fare ieri per illustrare le proposte della Giunta del Regolamento, perché in quelle dichiarazioni è già implicitamente contenuta la risposta ad alcune delle osservazioni fatte oggi.

È opportuno ricordare ancora una volta come è sorta la questione e come è andata alla Giunta del Regolamento. È sorta in seguito a scambi di vedute, ad accenni alla questione sollevata in seno all’Assemblea, ma soprattutto si è impostata in maniera concreta dopo la nota dichiarazione dell’onorevole Presidente del Consiglio. Ho tenuto, a questo scopo, anche a leggere testualmente ciò che l’onorevole Presidente della nostra Assemblea aveva dichiarato dopo che il Presidente del Consiglio aveva fatto la sua dichiarazione. Il Presidente dell’Assemblea aveva delimitato nettamente il problema e aveva annunziato che lo avrebbe sottoposto alla Giunta del Regolamento ai fini che questa elaborasse le norme regolamentari necessarie. Ho poi aggiunto, e ciò sarebbe anche stato superfluo, che la Giunta del Regolamento non avrebbe evidentemente potuto fare se non ciò che rientra nella sua competenza. Ora, mi sarà consentito di dire che i membri della Giunta del Regolamento hanno una nozione esatta di quelli che sono il compito ed il potere della Giunta del Regolamento. È evidente, quindi, che le proposte da noi elaborate non possono assolutamente intenderai come qualche cosa che implichi modifica alla legge.

È ora conveniente entrare per un momento, in quanto occorra ai fini della questione pregiudiziale, nel merito delle disposizioni regolamentari proposte e precisarne con tutta chiarezza la portata.

Il fondamento di queste disposizioni, come dicevo ieri, sta nella dichiarazione fatta dal Presidente del Consiglio, a nome del Governo, nella seduta del 25 luglio. Ricordo per precisare anche più energicamente questo concetto, che ho detto ieri che quella dichiarazione del Capo del Governo costituiva il punto di appoggio per l’edificio, che noi siamo stati chiamati a costruire.

Qual è, ora, il valore delle disposizioni proposte? La domanda non ha bisogno di una risposta molto diffusa. Essendo disposizioni del Regolamento interno della Camera, è evidente che esse non possano avere un valore, che ecceda quello proprio delle norme regolamentari; quindi, nessun valore giuridico rispetto all’esterno, rispetto all’autorità giudiziaria, rispetto ai singoli.

Tutto questo meccanismo che si è costruito si fonda, dunque, su una disciplina fra Assemblea e Governo, basata su quel presupposto che il Governo, in virtù delle facoltà conferitegli dall’articolo 3 del decreto 16 marzo 1946, ha dichiarato di voler dare modo alla stessa Assemblea di esprimere il suo apprezzamento sulla convenienza di sottoporre disegni di legge all’Assemblea, anziché darvi corso nella forma di decreti legislativi.

La Commissione ha cercato di tradurre questa idea nelle norme formulate, nelle quali non si deve vedere quello che non c’è. Se in esse c’è qualche espressione che, a prima vista, potrà sembrare esorbitante da un Regolamento interno, questa espressione si deve intendere ricollegandola al presupposto, in base al quale la Giunta del Regolamento l’ha elaborata. Vi è detto: «tutti i disegni di legge approvati dal Consiglio dei Ministri saranno inviati…». Questa frase non significa che l’Assemblea crea un obbligo giuridico per il Governo, il che certo eccederebbe i limiti del Regolamento dell’Assemblea; essa prende soltanto atto di una dichiarazione fatta dal Governo in quel senso.

Al di là di questo la Giunta del Regolamento non poteva andare.

Quindi, sulla questione pregiudiziale la Giunta del Regolamento osserva puramente e semplicemente che non è fondato il dubbio che le disposizioni regolamentari proposte costituiscano una sostanziale modificazione delle norme esistenti. Ciò è assolutamente estraneo al pensiero della Giunta ed è estraneo al testo delle norme così come sono state formulate.

Se, poi, il sistema che è stato escogitato nell’ambito dell’impostazione che il problema aveva ricevuto, sia un sistema interamente soddisfacente, è un’altra questione. È una questione di apprezzamento politico.

Fin qui posso dire di avere parlato come Relatore della Giunta del Regolamento.

Per quanto mi concerne personalmente, consentitemi di aggiungere qualche parola, soprattutto ai fini di precisare ancora una volta quale la portata delle disposizioni proposte e con quali criteri io stesso abbia partecipato alla loro elaborazione.

In quella stessa seduta, nella quale l’onorevole Calamandrei aveva sollevato il problema dei rapporti fra Assemblea Costituente e Governo per quanto riguarda l’esercizio del potere legislativo ordinario, io ho rilevato che nella competenza dell’Assemblea Costituente rientra non soltanto il compito di fare la Costituzione, ma tutta la materia costituzionale; e che quindi l’Assemblea Costituente ha anche la facoltà di regolare con una legge – da farsi esclusivamente dall’Assemblea – certi problemi costituzionali in attesa della Costituzione.

Sempre per i fini di precisare la portata delle norme ora in discussione mi si consenta di leggere alcune frasi di quanto dicevo alla seduta del 15 luglio in sede di discussione delle proposte della Giunta del Regolamento relative all’istituzione della Commissione per la Costituzione:

«Anche tenendo presente – dicevo – l’articolo 3 del decreto legislativo sulla Costituente, è da ricordare che la nostra Assemblea – e su ciò non vi è nessun dubbio – è investita in pieno della competenza su tutta la materia costituzionale.

«Non è detto che la legislazione in materia costituzionale si esaurisca nell’approvazione del testo della Costituzione. Può darsi che, ancora durante l’elaborazione di questo testo, si rendano necessarie leggi costituzionali, sia pure di carattere provvisorio. Perciò io riterrei opportuno che fosse chiarito il compito della Commissione che stiamo per istituire, nel senso che essa sia investita anche dell’incarico di studiare e sottoporre all’Assemblea Costituente altre leggi costituzionali che si rendessero necessarie.

«In tal modo, senza voler riaprire un dibattito in argomento (mi riferivo alla questione sollevata dall’onorevole Calamandrei), mi pare che anche le altre questioni di carattere costituzionale, che sono state oggi sollevate, potrebbero trovare la loro soluzione attraverso la proposta alla quale ho accennato, cioè mediante una legge costituzionale provvisoria (da sottoporre preliminarmente all’esame della Commissione per il progetto della Costituzione) che regoli i rapporti fra l’Assemblea Costituente e Governo, per quanto concerne l’esercizio del potere legislativo ordinario».

Ecco dunque già da allora prospettata una soluzione nettamente diversa da quella che è stata elaborata dalla Giunta del Regolamento, in conformità al compito che aveva ricevuto.

L’Assemblea è naturalmente libera di scegliere la via che crede migliore. Ma consentitemi che aggiunga due parole. Le due vie teoricamente possibili, aventi forma ed efficacia diversa, non sono tali da escludersi. Cioè sarebbe possibile che, intanto, il problema che è stato sollevato sia regolato nell’ambito delle norme regolamentari sulla base della dichiarazione impegnativa del Governo, senza che ciò pregiudichi la possibilità che successivamente l’Assemblea Costituente elabori essa stessa una legge costituzionale provvisoria che affronti su altre basi quel problema, e, come sarebbe forse desiderabile, regoli qualche altro punto sostanziale od anche solo formale (perché anche le forme hanno la loro importanza), dell’attuale ordinamento costituzionale provvisorio, in attesa che la Costituzione definitiva si faccia.

In altri termini, con riserva di questa seconda via, l’Assemblea potrebbe, intanto, adottare le norme regolamentari quali sono state proposte sulla base indicata e aventi l’efficacia propria delle norme regolamentari, tenendo anche presente la considerazione pratica che queste norme, per quanto di efficacia limitata, entrerebbero in funzione immediatamente. Se l’Assemblea le approva, il giorno dopo il Governo dovrebbe uniformarsi, secondo l’impegno assunto, alla procedura prevista.

In conclusione, per quanto concerne la questione pregiudiziale che è stata sollevata, la Giunta del Regolamento chiarisce in maniera netta che le proposte fatte non implicano nessuna modificazione alle leggi vigenti, con tutte le conseguenze che ne derivano. L’Assemblea Costituente è libera di approvare o meno queste norme, come pure resta libera di pensare ad altri procedimenti per la soluzione dei problemi così delicati che sono stati sollevati nel corso di questo ampio ed elevato dibattito.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare, in favore della proposta, l’onorevole Badini Confalonieri.

BADINI CONFALONIERI. L’onorevole Perassi ha ritenuto, di fronte alle eccezioni sollevate dall’onorevole Crispo di dover ripiegare…

PERASSI. Spiegare, non ripiegare.

BADINI CONFALONIERI. Per noi è un ripiegamento perché da parte di molti di noi si era intesa la legge in una maniera del tutto diversa. Parlo non di persone profane, come io potrei essere; parlo dell’onorevole Calamandrei, il quale aveva argomentato che questo articolo aggiuntivo significasse l’abrogazione dell’articolo 6 e quindi indicasse una sostanziale modifica della legge. L’onorevole Calamandrei non aveva dunque interpretato esattamente quello che il Relatore, onorevole Perassi, voleva invece dire nella sua relazione.

Quindi questo Regolamento – secondo l’onorevole Relatore – non implicherebbe sostanziali modifiche. Si tratterebbe di una nomina di Commissioni cui si intenderebbe addivenire in relazione ad una promessa fatta dall’onorevole Presidente del Consiglio. Caduto il Governo per dannata ipotesi – come direbbe l’onorevole Calamandrei – cadrebbe anche la promessa del Presidente del Consiglio e cadrebbero di conseguenza le Commissioni e l’articolo aggiuntivo che noi oggi discutiamo.

Io non penso che questa fosse l’intenzione di molti di coloro che oggi hanno discusso questa legge, i quali reputavano attraverso essa non di costruire sulle sabbie mobili, ma di costruire qualche cosa di concreto, qualche cosa di positivo, qualche cosa di stabile che significasse che il Governo dovesse ottenere l’approvazione dei suoi disegni di legge da quell’Assemblea che è stata eletta dal popolo.

Comunque mi pare – e con questo termino – che le osservazioni dell’onorevole Perassi non siano – nei fatti concreti – possibili e attuabili, perché quella modifica sostanziale della legge sussiste di fatto, in quanto l’articolo 6 ci dice che il provvedimento legislativo, che non sia di competenza dell’Assemblea Costituente, dovrebbe essere ratificato dal nuovo Parlamento.

Ora, è evidente che se noi oggi facciamo sì che questi provvedimenti legislativi siano di competenza dell’Assemblea Costituente, veniamo a modificare nella sostanza questo articolo 6, perché il nuovo Parlamento non potrà più portare la sua ratifica su siffatte disposizioni legislative. E d’altronde è logico, perché sarebbe strano e assurdo che il nuovo Parlamento dovesse ratificare quei provvedimenti che l’Assemblea Costituente oggi assumesse.

Cosicché, senza dubbio alcuno, volente o nolente il Relatore, questo articolo aggiuntivo comporta concretamente modifiche sostanziati alla legge. E questa modifica alla legge non riguarda soltanto l’articolo 6, ma riguarda – come acutamente ha detto l’onorevole Calamandrei – anche l’articolo 5. Duplice quindi la modifica; anzi triplice, perché l’onorevole Crispo aveva pure osservato che, quella che – secondo l’articolo 3 – da parte del Governo era una facoltà, si era venuta mutando in un obbligo; e questa è incontrovertibilmente modificazione della legge. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare contro la proposta l’onorevole Gullo Rocco. Ne ha facoltà.

GULLO ROCCO. Onorevoli colleghi, non comprendo perché sia stata sollevata la pregiudiziale, e perché sia stata sollevata in questo momento. Perché la pregiudiziale, a norma dell’articolo 93 nel Regolamento, poteva essere sollevata anche da un singolo Deputato, prima di entrare nella discussione della legge. Viceversa è stato necessario che si disturbassero ben 15 Deputati per poter presentare la questione pregiudiziale, dopo che già parecchi oratori avevano parlato a favore o contro.

Io domando alla lealtà dei sottoscrittori della mozione perché essi hanno ritenuto necessario presentare questa pregiudiziale, che non avevano ritenuto opportuno presentare quando poteva essere più opportuna, cioè prima che si iniziasse la discussione; perché l’hanno presentata riunendosi in numero di quindici, mentre bastava che uno solo di loro l’avesse presentata prima. (Interruzioni).

Una voce. Perché il provvedimento è stato presentato sottovoce.

GULLO ROCCO. Il provvedimento era già noto: si sapeva fin da ieri; e fin da ieri è stato chiesto, proprio da quei banchi, che la discussione fosse rinviata ad oggi. Questa proposta è stata accolta, e ieri abbiamo avuto soltanto la parola del relatore. Cosicché allo inizio di questa discussione si sapeva benissimo quale ne era la portata. Domando ancora alla lealtà dei contraddittori se la discussione abbia portato alcun elemento nuovo per stabilire che si tratta nientemeno che di una violazione costituzionale. Con questo non nego il diritto a chicchessia di presentare una questione pregiudiziale, quando si ritiene ciò più opportuno non dal punto di vista dell’economia dei lavori, ma anche da un punto di vista politico dei partiti, in un momento piuttosto che in un altro. Ma permettetemi di manifestare il mio disappunto – che è il disappunto di una gran parte dell’Assemblea – la quale vuole lavorare sul serio e vuole impiegare nel modo migliore il tempo delle proprie sedute. (Interruzioni – Commenti).

Io, manifestando questo mio disappunto, che è il disappunto di quelli che vogliono lavorare sul serio – anche se tacciono e non parlano – penso che la proposta, anche se tale non è nelle intenzioni, è però nella sostanza un espediente dilatorio. Ripeto: non è sorto dalla discussione alcun elemento che possa giustificare la pregiudiziale; e lo stesso onorevole Crispo, che ha portato degli argomenti contro la modifica del Regolamento, non ha creduto opportuno parlare e impostare una pregiudiziale. (Interruzioni).

Ripeto, non vedo le ragioni di questa pregiudiziale, e soprattutto non comprendo il tono drammatico che si è voluto dare da parte di un gruppo dell’Assemblea a questa discussione. Si parla di violazione di leggi costituzionali, si prospetta questa modifica del Regolamento come qualche cosa che vada contro le leggi costituzionali.

Ho sentito quanto ha detto il Relatore, le spiegazioni che egli ha creduto di dare: non si tratta di una violazione o di un cambiamento del contenuto della legge 16 marzo 1946; si tratta appunto di una modifica al Regolamento. Ma quando anche non si trattasse di una modifica del Regolamento, ma di una modifica della legge, non comprendo il tono drammatico che si è voluto dare a questa modifica sia del Regolamento, sia della legge.

In fondo, quali sono gli organismi in contrasto? Quali sono questi due poteri che si scontrano? Il potere del Governo e il potere dell’Assemblea. Io mi permetto di ricordare che abbiamo vissuto, dal punto di vista costituzionale, dei momenti veramente drammatici nella vita politica italiana, quando fu necessario addivenire ad un compromesso fra la monarchia da un lato e il Governo dei Comitati di Liberazione dall’altro. E in quel momento si venne a leggi di compromesso e, se si fossero violate delle leggi – come si tentò di fare – la violazione avrebbe avuto (dico meglio, ha avuto) un carattere di estrema gravità.

Ma qui, in sostanza, onorevoli colleghi, di che cosa si tratta?

L’articolo 3 dice che il potere legislativo è delegato al Governo e che le leggi costituzionali devono essere fatte dall’Assemblea. Che cosa è il Governo e che cosa è l’Assemblea? Il Governo è l’espressione dell’Assemblea, per lo meno l’espressione di una grande maggioranza dell’Assemblea; l’Assemblea è la espressione della volontà popolare. Quindi, quando sono d’accordo Governo ed Assemblea (perché non ho sentito alcuna voce discorde da parte del Governo, né vi può essere voce discorde, perché il Governo è l’espressione dell’Assemblea) non si comprende quali leggi costituzionali vengano ad essere violate.

In fondo, noi potevamo arrivare allo stesso risultato anche senza bisogno di turbare il Regolamento della Camera, perché bastava sollecitare il Governo ad una applicazione integrale o, per lo meno, ad una applicazione estensiva del capoverso dell’articolo 3: «il Governo potrà sottoporre all’esame dell’Assemblea qualunque altro argomento, ecc.».

Ebbene, poiché il Governo è espressione dell’Assemblea e l’Assemblea, per l’ultima parte dell’articolo 3, ha anche un controllo sul Governo, a cui può negare la propria fiducia, l’Assemblea poteva scegliere un Governo il quale si impegnasse a portare davanti ad essa o tutta la materia legislativa, o una gran parte della materia legislativa. Si poteva pervenire allo stesso risultato senza neppure bisogno di disturbare il Regolamento, con una opportuna modifica.

Perciò, noi siamo contro la pregiudiziale. Abbiamo sentito alcuni oratori favorevoli ed altri contrari alla modifica del Regolamento. L’onorevole Badini Confalonieri avrebbe potuto portare gli argomenti (che ha portato in sede di pregiudiziale) in sede di discussione del Regolamento; ed è strano che si voglia togliere il diritto di parlare ad altri, che erano ancora iscritti, per interrompere ad un certo punto la discussione.

La Camera ha sentito una gran parte degli oratori; ne sentirà altri, che speriamo possano essere brevi. Alla fine, in sede di votazione, terrà conto di tutti gli argomenti ed esprimerà il giudizio che riterrà migliore. Ma in questa sede, a mio parere, e a parere del mio gruppo, è senz’altro da respingere la pregiudiziale proposta. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Ne ha facoltà.

CAPPA, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Non mi pare che vi siano elementi per un grosso contrasto. Quanto al Governo, in base al tenore e al disposto della legge 16 marzo 1946, ed al solenne impegno preso dai partiti rappresentati nel Consiglio dei Ministri che l’hanno votato, si attiene ai limiti che la legge stabilisce. È d’accordo però che, fatti salvi il principio della legge e la continuità giuridica, si stabilisca una procedura che dia modo all’Assemblea di controllare la legislazione e di parteciparvi anche fuori della materia costituzionale ad essa riservata. Debbo, in proposito, richiamarmi alle dichiarazioni fatte dal Presidente del Consiglio nella seduta del 25 luglio e già citate in questa discussione. Il Governo crede che l’intento possa essere raggiunto con la procedura proposta dalla Giunta del Regolamento, e si rimette all’Assemblea per le eventuali modificazioni, desiderando ed intendendo ad ogni modo che sia garantita al Governo la possibilità di provvedere, senza previo esame delle Commissioni, per i casi di assoluta e dichiarata urgenza.

LUCIFERO. Rinnovo la richiesta di votazione per appello nominale della proposta di sospensiva.

PRESIDENTE. Chiedo so la domanda di appello nominale è appoggiata.

(È appoggiata).

Procediamo ora alla votazione per appello nominale. Chi approva la proposta risponderà ; chi non l’approva risponderà no.

Estraggo a sorte il nome del Deputato dal quale comincerà la chiama.

Comincerà dall’onorevole Valmarana.

Si faccia la chiama.

SCHIRATTI, Segretario, fa la chiama.

Rispondono sì:

Abozzi – Ayroldi.

Badini Confalonieri – Basile – Bellavista – Bencivenga – Bonino.

Caldera – Cannizzo – Capua – Castiglia – Cifaldi – Codacci Pisanelli – Colitto – Coppa Ezio – Corsini – Cortese – Covelli – Crispo – Cuomo.

De Caro Raffaele.

Einaudi.

Fresa – Fusco.

Giacchero – Giannini – Grassi.

Lucifero.

Marina Mario – Marinaro – Martino Gaetano – Mastrojanni – Mazza – Miccolis – Morelli Renato.

Patricolo – Patrissi – Perrone Capano – Perugi.

Quintieri Quinto.

Reale Vito – Rodi – Rodinò Mario – Rognoni – Russo Perez.

Selvaggi.

Tieri Vincenzo – Trulli – Tumminelli.

Venditti – Vilardi – Villabruna.

Rispondono no:

Adonnino – Alberganti – Amadei – Ambrosini – Andreotti – Angelucci – Arata – Arcaini – Assennato – Avanzini – Azzi.

Bacciconi – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bardini – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basso – Battisti – Bazoli – Bellato – Bellusci – Belotti – Bernamonti – Bernini Ferdinando – Bertini Giovanni – Bertola – Bertone – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Binni – Bitossi – Bocconi – Bonomelli – Bonomi Paolo – Bordon – Bosco Lucarelli – Bovetti – Braschi – Brusasca – Bucci – Bulloni Pietro – Burato.

Cacciatore – Cairo – Calamandrei – Camangi – Camposarcuno – Canevari – Caporali – Cappa Paolo – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carbonari – Carboni – Caristia – Carmagnola – Caroleo – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavallari – Cavalli – Chiaramello – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Conci Elisabetta – Conti – Coppi Alessandro – Corazzin – Corsanego – Cosattini – Costantini – Cotellessa – Cremaschi Carlo.

D’Amico Diego – D’Amico Michele – D’Aragona – De Caro Gerardo – De Falco – Del Curto – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Mercurio – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Vita – Di Fausto – Di Giovanni – Di Vittorio – D’Onofrio – Dugoni.

Falchi – Fantoni – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Ferrarese – Filippini – Fiorentino – Fioritto – Foa – Fogagnolo – Foresi – Fornara – Franceschini – Froggio – Fuschini.

Gabrieli – Galati – Garlato – Gavina – Gervasi – Ghidini – Giacometti – Giolitti – Giordani – Giua – Gorreri – Gortani – Grazi Enrico – Grazia Verenin – Grilli – Gronchi – Guariento – Guerrieri Filippo – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Imperiale – Iotti Nilde.

Jacini – Jervolino.

Laconi – Landi – La Rocca – Lazzati – Leone Francesco – Lettieri – Lizier – Lizzadri – Lombardi Giovanni – Lombardi Riccardo – Longhena – Longo – Lopardi – Lozza – Luisetti – Lupis – Lussu.

Maffi – Magnani – Magrini – Malagugini – Malvestiti – Mancini – Mannironi – Mariani Enrico – Mariani Francesco – Martinelli – Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mattarella – Mattei Teresa – Matteotti Carlo – Mazzoni – Meda Luigi – Medi Enrico – Merighi – Merlin Angelina – Merlin Umberto – Molinelli – Momigliano – Montemartini – Monterisi – Montini – Morini – Moro – Murgia – Musolino.

Nasi – Natoli Lamantea – Negarville – Nobili Oro – Noce Teresa – Notarianni – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pajetta Gian Carlo – Pastore Giulio – Pastore Raffaele – Pecorari – Pella – Pellizzari – Pera – Perassi – Perlingieri – Persico – Piccioni – Piemonte – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Pressinotti – Preti – Preziosi – Priolo – Pucci.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Raimondi – Rapelli – Reale Eugenio – Recca – Rescigno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rodinò Ugo – Romita – Rossi Paolo – Ruggeri Luigi – Ruggiero Carlo – Rumor.

Saggin – Salerno – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Santi – Sardiello – Sartor – Scalfaro – Scarpa – Schiavetti – Schiratti – Segala – Segni – Sicignano – Siles – Silipo – Stampacchia – Stella – Sullo Fiorentino.

Taddia – Targetti – Taviani – Tega – Tessitori – Togni – Tonello – Tosato – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Valiani – Valmarana – Vanoni – Vernocchi – Viale – Vicentini – Vigna – Vigorelli – Villani – Volpe.

Zaccagnini – Zanardi – Zappelli – Zuccarini.

 

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione per appello nominale:

Presenti e votanti     338

Rispondono          52

Rispondono no        286

(L’Assemblea non approva la sospensiva).

Il seguito della discussione è rinviato a domani.

Interrogazioni ed interpellanze.

PRESIDENTE. Comunico che è pervenuta alla Presidenza la seguente interpellanza per la quale è stata chiesta l’urgenza.

«Per sapere se – di fronte al dilagare della speculazione che ha determinato una situazione intollerabile per le classi lavoratrici e meno abbienti – non ritenga opportuno di proporre d’urgenza al Consiglio dei Ministri provvedimenti energici che sanciscano, oltre al carcere, la confisca dei beni e nei casi più gravi la pena capitale contro gli affamatori del popolo.

«Pur riconoscendo che la complessità del problema esige completezza ed organicità di disposizioni legislative e senza pregiudizio di quanto potrà decidere in proposito l’Assemblea Costituente, gli interpellanti chiedono che il Governo conforti del suo appoggio le coraggiose iniziative prese da alcune autorità locali e dia al Paese la sensazione che sarà difeso con ogni mezzo e contro ogni attentato il diritto alla vita del popolo italiano».

Mariani, Mazzoni.

Chiedo al Governo quando intende rispondere a questa interpellanza.

CAPPA, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Dichiaro che, come per le interpellanze di urgenza presentate ieri, il Governo sarà disposto a rispondere in sede delle dichiarazioni che il Presidente del Consiglio si riserva di fare nella prossima seduta della Costituente.

MAZZONI. Desidero sollecitare ancora di più il Governo. Nelle grandi città abbiamo delle situazioni patologiche, atroci. A Milano, per esempio, è solo per l’intervento attivo delle organizzazioni, del comune e per la buona volontà, bisogna dirlo alto e forte, del Prefetto (che è un uomo in gamba) che si son potute evitare situazioni che sarebbero state di infinita tristezza pel popolo italiano. Sapete com’è la folla! Ad un certo punto non ha più la possibilità di essere controllata.

Ora, volete. aspettare che avvengano i saccheggi dei negozi? Siamo tutti concordi nel voler evitare questo. Noi sappiamo bene che il problema è terribile e complesso. Domandiamo intanto che si intervenga con i provvedimenti di urgenza. Siamo convinti che queste questioni non si risolvono all’improvviso; vi sono tuttavia dei provvedimenti di urgenza che sono indispensabili. Ogni 24 ore che passano possono essere funeste in questo momento. Io non voglio fare pressioni oltre quelle che sono lecite alla discrezione parlamentare. Chiedo tuttavia al Sottosegretario di pregare il Presidente del Consiglio di vedere se, senza attendere altri giorni, si possa sollecitare la discussione venendo incontro alla gente che ha veramente bisogno di mangiare.

CAPPA, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. L’onorevole Mazzoni sarà con me convinto che gli uomini che sono al Governo e che rappresentano i quattro partiti di popolo nella coalizione sono, come lui, presi da questo problema assillante ed urgente. L’onorevole Mazzoni e l’Assemblea ricorderanno come nell’ultimo Consiglio dei Ministri siano stati approvati provvedimenti per finanziare gli enti comunali. Questi provvedimenti andranno domani mattina alla firma del Capo dello Stato e saranno immediatamente messi in esecuzione. Così sono stati approvati rilevanti provvedimenti per i ristoranti del popolo.

Quindi, se non posso oggi dare assicurazione che il Governo domani risponda subito all’interpellanza che è stata presentata, posso però assicurare che il Governo si impegna di rispondere in sede delle dichiarazioni che il Presidente del Consiglio farà all’Assemblea.

Quanto all’urgenza, tutto quello che può esser fatto per andare incontro al bisogno delle classi popolari, sarà fatto. Sentano i partiti al Governo la solidarietà di fronte a questi problemi che interessano il popolo.

RUSSO PEREZ. Anche quelli che non sono al governo: su questo punto siamo tutti d’accordo.

PRESIDENTE. Comunico che è stata presentata un’altra interpellanza, per la quale è stata pure chiesta la risposta di urgenza:

«I sottoscritti prospettano al Governo la gravità della situazione generale interna sul piano dell’economia, della finanza e del lavoro, per cui ritengono che sia estremamente urgente che venga subito risolta la crisi ministeriale e che il Presidente del Consiglio renda noto all’Assemblea e al Paese il proprio pensiero e i provvedimenti di immediata attuazione che intende prendere sui problemi in oggetto, anche al fine di rispondere alla legittima aspettazione delle classi lavoratrici e risollevarne la fiducia».

Carmagnola, Canevari, Arata, Faralli, Di Giovanni, Cartia, Cairo, Morini, Salerno, Giua, Vigorelli, Cosattini, Mariani, De Michelis, Carboni, Targetti, Filippini, Carpano Maglioli, Gullo Rocco, Lami Starnuti, Zanardi, Luisetti, Tomba, Fedeli, Battisti.

Chiedo al Governo quando intende rispondere.

CAPPA, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Ripeto quanto ho già detto per la precedente interpellanza, e cioè che il Governo farà queste dichiarazioni alla prima seduta della Camera.

PRESIDENTE. Sono pervenute alla Presidenza altre interrogazioni e una interpellanza. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro della guerra, per conoscere se non ritenga opportuno emanare provvedimenti atti a favorire, nell’occasione dello sfollamento dei quadri dell’Esercito, quegli ufficiali i quali si siano resi meritevoli di particolare considerazione:

  1. a) perché danneggiati nella loro carriera durante il regime fascista per motivi direttamente o indirettamente di carattere politico;
  2. b) per il contegno, aderente alle leggi dell’onore ed ai doveri militari, tenuto l’8 settembre 1943 e successivamente in territori controllati dai nazi-fascisti.

«Martino Gaetano».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro della guerra, per conoscere se non ritenga necessario disporre che l’applicazione del Regio decreto legislativo 14 maggio 1946, n. 384 (riguardante il collocamento nella riserva degli ufficiali generali e superiori), avvenga gradualmente secondo norme precise ed uniformi e nell’ordine seguente:

1°) ufficiali comunque compromessi con la repubblica sociale di Salò;

2°) ufficiali richiamati dal congedo durante la guerra e non ancora congedati;

3°) ufficiali già collocati nella riserva e trattenuti in servizio;

4°) a domanda degli interessati;

5°) di autorità.

«Martino Gaetano».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere se non si ritenga opportuno consentire, in deroga al blocco dei fitti agrari stabilito col Regio decreto-legge 5 ottobre 1936, n. 1746, e confermato col Regio decreto-legge 16 giugno 1938, n. 1387, un adeguato aumento del canone di affitto di fondi rustici per i contratti ancora in corso stipulati anteriormente al 1943. E ciò in vista:

  1. a) del fatto che col ragguaglio del canone di affitto consentito dal decreto Gullo 5 aprile 1945, n. 157, per i contratti scaduti e prorogati per legge esso è stato in tali casi praticamente aumentato del 1300 per cento;
  2. b) della quadruplicazione delle imposte sui terreni che obbligherà in molti casi il locatore a versare all’erario una somma superiore a quella annualmente percepita.

«Martino Gaetano».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere se è nelle intenzioni del Governo emanare provvedimenti di legge per riparare il danno economico sofferto dagli impiegati statali, nonché da quelli degli Enti locali, dispensati dall’impiego per motivi politici durante il regime fascista e poscia riassunti in servizio.

E ciò anche in considerazione che agli ex-fascisti prima epurati e poi riammessi negli impieghi, viene corrisposto l’intero trattamento economico per il periodo di tempo durante il quale sono stati assenti dal servizio.

«Martino Gaetano».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere se è vero che si starebbe preparando il decreto per distaccare dalla provincia di Rieti il mandamento di Cittaducale per unirlo ad altra provincia, il cui capoluogo è distante dal detto paese cinquanta chilometri mentre Rieti ne dista solo 9, ed è separato dalle montagne dell’Abruzzo, con comunicazioni stradali e ferroviarie difficilissime. E ciò disprezzando la volontà di quelle popolazioni che vogliono restare unite con la provincia di Rieti per entrare a far parte della costituenda regione romana: aspirazione questa secolare e unanime di tutte le popolazioni sabine.

«Coccia».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare i Ministri di grazia e giustizia e dell’agricoltura e delle foreste, per sapere se non ritengano opportuno di proporre un provvedimento legislativo che, a modifica delle disposizioni vigenti, consenta il beneficio della libertà provvisoria ai contadini attualmente detenuti per lievi inadempienze, compiute non a scopo speculativo, ma per necessità famigliari ed aziendali, nel conferimento agli ammassi, nella considerazione del danno che ne deriva all’agricoltura per l’assenza di braccia all’atto della preparazione delle semine ed anche per una perequazione con quegli agricoltori delle provincie meridionali che, pur avendo commesso lo stesso reato, hanno beneficiato dell’amnistia, perché l’infrazione fu commessa prima del 18 giugno relativamente all’anticipato raccolto del grano.

«Giacchèro, Scotti Alessandro, Baracco».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’industria e commercio, sulle ragioni per le quali i magazzini e le calate del porto di Genova sono colme di enormi quantitativi di balle di cotone che non vengono ritirate dagli industriali premurosi di tenere chiusi i propri stabilimenti anziché provvedere alla ripresa del lavoro nell’interesse dell’Italia e del popolo italiano.

«Il cotone è materia prima che si importa per essere lavorato; se le filature non si preoccupano delle esigenze del paese, il Governo le requisisca e trovi finalmente il modo di dare agli italiani i tessuti necessari a prezzi onesti ed equi.

«Faralli».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere se – premesso che il gruppo parlamentare siciliano, riunitosi in Palermo, nominò una commissione d’inchiesta per i gravi e dolorosi fatti di Caccamo, al fine di stabilire la verità su episodi di violenza avvenuti in Sicilia ed a danno di contadini siciliani; e premesso, altresì, che tale commissione non poté espletare il compito delegatole in quanto trovò l’ostacolo del silenzio, della reticenza e della diffidenza da parte delle pubbliche autorità – la commissione, come sopra nominata, avesse autorità o meno di svolgere delle indagini, oppure se il gruppo parlamentare siciliano eccedesse nel ritenere che una commissione di Deputati siciliani fosse la più idonea ad esaminare, comprendere e giudicare di fatti di arbitrio e di sopraffazione operati a tutto danno delle popolazioni dell’Isola.

«Finocchiaro Aprile, Castrogiovanni, Gallo, Varvaro».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere le ragioni per le quali, dopo tanti mesi dalla fine della guerra, non abbia ancora autorizzato il bando dei concorsi sanitari, specialmente ospedalieri, e per sapere se non ritenga opportuno e necessario disporre d’urgenza perché detti concorsi siano subito aperti e banditi per dare finalmente una sistemazione sicura ai servizi e creare una disciplina efficace e feconda in un settore così importante e delicato della vita nazionale.

«Braschi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Governo, per sapere se non ritenga opportuno, necessario ed urgente disporre perché siano restituiti al Ministero dell’agricoltura e delle foreste discipline e servizi (istruzione professionale agraria, credito agrario, ecc.) che a detto Ministero già appartennero e al medesimo devono tornare nell’interesse dei servizi stessi e della produzione nazionale.

«Braschi».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere quali provvedimenti si intendano adottare in relazione alle recenti arbitrarie occupazioni di terre.

«Si fa presente, all’uopo:

1°) gli invasori sono, assai spesso, o proprietari di terra o non sono per nulla agricoltori;

2°) che sono state, sovente, occupate terre già arate per le prossime semine e che pertanto non possono considerarsi incolte;

3°) che sono stati invasi terreni destinati a produzione foraggera compromettendo pertanto l’alimentazione invernale del capitale zootecnico di tali zone.

«Si osserva ancora che le procedure adottate in merito, al centro ed alla periferia, sono caotiche e non corrispondenti ad alcun principio costituzionale o di diritto, coi quali sono, anzi, spesso, in contrasto.

«Si domanda ancora che in tutti quei casi in cui i proprietari delle terre invase offrono contratti di compartecipazione coi lavoratori agricoli interessati, tali combinazioni debbano, in tutti i modi, essere favorite ed adottate in quanto sono atte ad instaurare buoni rapporti tra le parti e ad evitare il ripetersi di inammissibili irrazionali sfruttamenti dei terreni, con conseguente disordine idraulico e deperimento dei medesimi con grave ripercussione sulla produzione.

«Si chiede ancora se sia vero che siano state date disposizioni a qualche prefetto (esempio Siracusa) di dar corso, in caso di ritardato esame della commissione speciale, alla immissione nelle terre, avvalendosi del disposto dell’articolo 19 della Legge comunale e provinciale, Testo unico.

«Si chiede ancora se sia vero che azioni politiche ritardino la riconsegna ai proprietari (come a Siracusa) dei terreni, per i quali la Magistratura ha concesso lo sfratto o la decadenza a favore dei proprietari.

«Se è vero, infine, che pressioni politiche ritardino il lavoro delle commissioni che devono pronunciare le decadenze.

«Cannizzo, Corsini, Capua».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere se sia esatto che egli considera decaduti i decreti di requisizione di terre incolte disposti con provvedimenti dell’ottobre 1944 dal prefetto di Sassari e successivamente prorogati per l’annata 1945-46, e che ha disposto per l’attribuzione delle stoppie ai proprietari. E per conoscere, altresì, se non ritenga opportuno devolvere il riesame di tutto il complesso delle assegnazioni alle apposite commissioni, le quali potrebbero decidere caso per caso, su istanza della parte interessata, sentita l’altra parte e nello spirito delle ultime disposizioni, che prolungano a nove anni il periodo della concessione.

«Laconi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere se sia esatto che il decreto legislativo luogotenenziale 13 settembre 1945, n. 593, che disponeva speciali provvidenze a favore degli agricoltori sardi danneggiati nel 1945 dalla siccità e dalle cavallette, non ha avuto applicazione per il mancato stanziamento dei fondi occorrenti preventivati in circa 350 milioni di lire, e per l’insufficiente assegnazione di cotonate. E per sapere anche se intenda disporre le misure necessarie per dar pratica attuazione al succitato decreto, venendo così incontro alla giusta aspettazione degli agricoltori sardi.

«Laconi».

«I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri dell’agricoltura e delle foreste e dei lavori pubblici, sulla convenienza economica e sociale di combattere finalmente la piaga della disoccupazione ricorrendo a larghi programmi di bonifica integrale del monte e del piano, finora lasciati di gran lunga in sottordine rispetto alle opere dipendenti dal Ministero dei lavori pubblici.

«Gortani, Garlato».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se e come intenda provvedere alla sistemazione di quei professori, specialmente di scuole medie, che, in tempo fascista, preferirono restare nelle scuole private per custodire e difendere la propria libertà ed hanno ora superato i limiti di età per partecipare ai concorsi.

«Chiede in particolare se e come voglia tener conto del lodevole servizio prestato specialmente nelle scuole parificate dove l’insegnamento fu apprezzato e controllato da periodiche ispezioni. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Braschi».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno, sulla urgenza di esaminare – di fronte al ripetersi di atti aggressivi sulla strada del Bracco – la necessità di predisporre un servizio continuo di sorveglianza per mezzo di camionette lungo la strada stessa, arteria di estrema importanza nelle comunicazioni fra Torino, Genova e il Centro-Meridione italiano. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Faralli».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri (Alto Commissariato generale per l’alimentazione), per sapere se è esatto quanto pubblicato sul giornale Voce dell’esercente (Milano, n. 48), in data 18 luglio 1946, a proposito della incettazione di olio d’oliva.

«Sta di fatto che mentre i privati speculatori possono tranquillamente trasferire da una regione all’altra e vendere a prezzi proibitivi siffatto prodotto tanto necessario alla vita economica della popolazione, dagli organismi qualificati invece non si distribuiscono le stabilite misere assegnazioni per mancanza dei quantitativi necessari. Poiché l’olio rappresenta una delle maggiori ragioni di disagio fra la classe lavoratrice, sarebbe opportuno e indispensabile l’intervento del Commissariato per disciplinare, in modo più equo, la distribuzione del prodotto in oggetto. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Faralli».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere come intenda provvedere:

1°) al serio, effettivo, utile funzionamento di tutte le scuole nel prossimo anno scolastico 1946-47;

2°) all’istituzione di un grande numero di scuole popolari, specialmente rurali, soprattutto nelle regioni meridionali e in tutti i comuni più danneggiati dalla guerra;

3°) alla ricostituzione delle scuole per i contadini della regione laziale, le quali sorsero per la iniziativa di pochi generosi e vissero per l’abnegazione e il sacrificio di quelli e di una schiera eletta e disinteressata di insegnanti elementari;

4°) alla ricostituzione dei patronati scolastici e di tutte le istituzioni ausiliarie della scuola popolare. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Conti».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere i provvedimenti che adotterà, in vista del nuovo anno scolastico, diretti al riordinamento, al funzionamento e allo sviluppo delle scuole agrarie, segnatamente degli istituti tecnici superiori di agricoltura, molti dei quali privi di sedi, di gabinetti, sono stati abbandonati al loro destino; per sapere se all’Università di Roma sarà istituita la facoltà di agraria; e infine, per conoscere gli intendimenti del Ministro per l’incremento e lo sviluppo degli studi agrari. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Conti».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere se è stata risolta la questione presentata dal Gabinetto del Ministero della guerra in data 18 aprile 1942, con foglio n. 301238/6-5308, e reiteratamente sollecitata, relativa all’esame della disparità di trattamento per le promozioni al grado 8°, gruppo A, al grado 12° gruppo B, al grado 11° gruppo C, stabilito dall’articolo 8 del Regio decreto 6 gennaio 1942, n. 27, la cui applicazione, in virtù dell’articolo 6 del decreto legislativo luogotenenziale 8 maggio 1946, n. 354, è prorogata al 31 dicembre 1947.

«In virtù delle disposizioni sopracitate, mentre si concede una abbreviazione di termini per il conseguimento della promozione, agli impiegati che hanno combattuto in epoche precedenti al loro ingresso in carriera, si nega lo stesso diritto agli impiegati che lo stesso titolo di combattenti hanno conseguito in costanza di impiego nella Amministrazione.

«L’emanazione di un provvedimento legislativo che ripari l’ingiustificata disposizione dell’articolo 8 del Regio decreto 6 gennaio 1942, n. 27, sembra imporsi per ragioni evidenti di giustizia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Mastrojanni».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri della pubblica istruzione e del tesoro, per sapere se, in considerazione della particolare situazione di disagio nella quale sono venuti a trovarsi, in dipendenza della guerra, insegnanti medi fuori ruolo, reduci, partigiani, ex combattenti, non sia necessario addivenire ai seguenti provvedimenti:

  1. a) immediata assunzione in ruolo degli insegnanti medi fuori ruolo reduci, partigiani, ex combattenti forniti di abilitazione all’insegnamento medio e con almeno un anno di effettivo, lodevole servizio prestato in scuola media governativa di qualsiasi grado, sempreché i medesimi non risultino compromessi militarmente o politicamente per i fatti avvenuti dopo l’8 settembre 1943;
  2. b) graduale assunzione in ruolo, previo esame di abilitazione, di tutti i reduci, partigiani, ex combattenti laureati, con almeno un anno di effettivo e lodevole servizio prestato in scuola media governativa di qualsiasi grado, sempreché i medesimi non risultino compromessi militarmente o politicamente per i fatti avvenuti dopo l’8 settembre 1943. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Lozza».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, perché sia ripresa ed applicata severamente la legge che sancisce la settimana lavorativa normale di 40 ore. In tempo di disoccupazione troppe imprese lavorano con il numero appena sufficiente di lavoratori per 48, 52, 60 ore settimanali. Le imprese giustificano gli extra orari con la scusa, valida entro certi limiti, che non hanno maestranze specializzate. È da ritenere invece, che le maestranze specializzate si possano preparare (tessili) e nuove forze di lavoratori possano da una parte essere elevate nella loro preparazione professionale e dall’altra immesse al lavoro. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Roselli».

 

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere se non ritenga necessario istituire una nuova coppia di treni Bergamo-Milano e Milano-Bergamo, con partenza da Bergamo al mattino, verso le ore 7, e alla sera da Milano verso le ore 17,30, in modo che i numerosi impiegati e studenti che vivono a Bergamo ed hanno la loro occupazione a Milano non siano costretti, come lo sono attualmente, a perdere due ore al mattino, in attesa della apertura degli uffici e delle scuole, e due ore alla sera, in attesa del treno che li riporti a Bergamo. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Montagnana Mario».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno, e il Ministro di grazia e giustizia, per sapere se il Governo sia al corrente che le Commissioni di epurazione e l’Amministrazione agiscono molto spesso oltrepassando i limiti segnati dalla legge. Vi sono casi in cui il personale è stato deferito alle Commissioni di epurazione dopo il 31 marzo, con lettera retrodatata. In altri casi il personale si è visto sospeso con effetto retroattivo, traducendosi così una misura di sicurezza politica in una autentica vessazione finanziaria. In altri casi ancora l’Amministrazione, con tattica dilatoria, rifiuta il pagamento degli assegni al personale sospeso. In altri casi infine le Commissioni non rispettano i termini perentori assegnati per le denunzie e provvedono poi a retrodatare le medesime.

«Per sapere altresì se il Governo si renda conto del grave danno morale, economico e di carriera che deriva al personale deferito al giudizio di epurazione per effetto della sospensione e per sapere se lo stesso abbia intenzione di indennizzare in qualche modo chi risulti pienamente assolto da ogni accusa. Il prolungarsi di questo stato di cose tiene in sospeso un numero considerevole di famiglie che, per il disagio economico e la situazione morale in cui versano, minacciano di divenire causa di grave turbamento sociale.

«Per chiedere, infine, se il Governo abbia intenzione di provvedere, tenendo presente che nessun beneficio della recente amnistia è venuto al personale sottoposto al giudizio di epurazione, mentre sono stati prosciolti coloro che avevano indubbiamente responsabilità maggiori. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Tumminelli»

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro ad interim degli affari esteri, e il Ministro della guerra, per sapere se non credano urgente sollecitare il rimpatrio dei prigionieri di guerra allogeni dell’Alto Adige, i quali, dopo il trattato italo-austriaco di Parigi, vanno considerati come veri cittadini italiani. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Carbonari, Conci Elisabetta, Jervolino».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per sapere per quali motivi la ricostruzione della strada nazionale Tiberina 3 bis è ancora sospesa nel tratto Pieve S. Stefano-Canili, mentre è quasi compiuta nel tratto Canili-Bagno di Romagna. La mancata ricostruzione del tratto intermedio suddetto, impedendo la circolazione sull’intero percorso, renderà quasi inutili ai fini del traffico nazionale le ingenti spese già sopportate. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Fanfani».

«Le sottoscritte chiedono di interpellare i Ministri della pubblica istruzione, dell’industria e commercio, del commercio estero e del lavoro e previdenza sociale, perché sulla base dei risultati del I Convegno delle cooperativiste italiane, siano adottati opportuni provvedimenti al fine di difendere e favorire l’affermazione dell’artigianato italiano, in campo nazionale ed internazionale, nell’interesse reciproco della ripresa economica nazionale e della categoria dei lavori artigiani.

«Merlin Lina, Mattei Teresa».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé fette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

Così pure l’interpellanza sarà iscritta all’ordine del giorno, qualora i Ministri interessati non vi si oppongano nel termine regolamentare.

La seduta termina alle 20.45.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 16:

  1. – Interrogazioni.
  2. – Verifica dei poteri: elezione contestata per la circoscrizione di Palermo (Rosario Pasqualino Vassallo). (Doc. III, n. 1).
  3. – Seguito della discussione sulla Proposta di aggiunta al Regolamento. (Doc. II, n. 5).