Come nasce la Costituzione

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VENERDÌ 13 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

XVI.

SEDUTA DI VENERDÌ 13 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SARAGAT

indi

DEL VICEPRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Sul processo verbale:

Patricolo                                                                                                         

Lizzadri                                                                                                            

Giannini                                                                                                            

Ferrario, Celestino                                                                                        

Presidente                                                                                                        

Comunicazioni del Presidente:

Presidente                                                                                                        

Congedi:

Presidente                                                                                                        

Interrogazioni (Svolgimento):

Bellusci, Sottosegretario di Stato per la pubblica istruzione          Calamandrei        

Petrilli, Sottosegretario di Staio per il tesoro                                                     

Pollastrini Elettra                                                                                        

Verifica di poteri:

Presidente                                                                                                        

Elezione contestata per la circoscrizione di Palermo:

Presidente                                                                                                        

Proposta di aggiunta, al Regolamento della Camera (Seguito della discussione):

Badini Confalonieri                                                                                        

Zuccarini                                                                                                         

Bassano                                                                                                            

Laconi                                                                                                              

Mazzei                                                                                                              

Gullo Rocco                                                                                                    

Colitto                                                                                                             

La Malfa                                                                                                          

Bellavista                                                                                                       

Cappi                                                                                                                 

Perassi, Relatore                                                                                               

Interrogazioni e interpellanze (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

Schiratti, Segretario                                                                                         

La seduta comincia alle 16.

SCHIRATTI, Segretario, legge il processo verbale della seduta precedente.

Sul processo verbale.

PRESIDENTE. Sul processo verbale ha chiesto di parlare l’onorevole Patricolo. Ne ha facoltà.

PATRICOLO… L’onorevole Di Vittorio aveva ieri interrogato i Ministri dell’interno e dei lavori pubblici per conoscere quali provvedimenti essi intendono prendere per lenire la disoccupazione dei lavoratori agricoli pugliesi.

Alle risposte dei Sottosegretari Corsi e Restagno l’onorevole Di Vittorio si dichiarava parzialmente soddisfatto e suffragava tale dichiarazione con argomenti che non è affar mio discutere. Senonché devo rilevare, a nome del mio gruppo, alcune parole pronunciate dall’onorevole Di Vittorio all’indirizzo dell’«Uomo Qualunque». L’onorevole Di Vittorio ha sostenuto che l’«Uomo Qualunque» tende a disintegrare la Confederazione generale del lavoro e a costituire dei sindacati qualunquisti. Questa affermazione è fuori della realtà dei fatti, è, direi, falsa, in quanto l’«Uomo Qualunque» ha sempre dichiarato, in tutti i modi, attraverso la sua stampa, attraverso la nostra parola, che il nostro movimento non è affatto contrario alla Confederazione generale del lavoro; anzi è favorevole ad un rafforzamento ed a un potenziamento della Confederazione stessa. Basterebbe, a dimostrarlo, il fatto che molti di noi deputati sono iscritti alla Confederazione generale del lavoro, e principalmente gli onorevoli Giannini e Tieri (Interruzioni – Commenti).

Ma se questo non bastasse, potrei richiamare l’attenzione degli onorevoli colleghi, soprattutto del settore dirimpettaio (Commenti – Rumori), su articoli che sono stati scritti nell’«Uomo Qualunque», che è il settimanale, credo, più diffuso d’Italia, ma che forse voi non leggete. (Interruzioni).

GIANNINI. E avete torto!

PATRICOLO. E allora vi ricordo il numero del 14 agosto dell’«Uomo Qualunque», in cui nell’articolo «Politica del lavoro» vengono ribaditi i concetti fondamentali del pensiero qualunquista nei riguardi della Confederazione generale del lavoro in genere e dei sindacati in ispecie. In questo articolo è detto ad un certo punto: «Mette conto di sciupare tesori di tempo e di utile attività per distruggere la Confederazione generale del lavoro, la quale, anche se provvisoriamente infeudata al Partito Comunista, tramite Di Vittorio, è l’organo sindacale di tutti i lavoratori»? (Commenti – Interruzioni).

E altrove si dice: «Questo pensiero ci fa perplessi, dato che ogni divisione dei lavoratori non può che risolversi a loro danno, poiché i padroni del capitalismo, non meno egoisti e miopi dei sindacalisti professionali, padroni del lavoro, approfitterebbero subito di uno sbandamento anche temporaneo dei lavoratori, per imporre pretese non meno assurde di quelle dei loro diretti antagonisti».

Basterebbero queste poche righe per convincere chi in buona fede volesse interpretare il sentimento e l’orientamento politico qualunquista. (Rumori – Interruzioni).

Una voce da sinistra. Sono i fatti che contano!

GIANNINI. Quali fatti? (Commenti).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Lizzadri. Ne ha facoltà.

LIZZADRI. Sono costretto a rispondere all’onorevole collega del gruppo dell’«Uomo Qualunque», in assenza dell’onorevole Di Vittorio che è partito questa notte per Washington per assistere alla conferenza della Federazione mondiale sindacale. Per quello che riguarda l’affermazione dell’onorevole Di Vittorio, esiste un documento, che io riconosco precedente alla dichiarazione apparsa sul vostro giornale, di un sindacato dei lavoratori dell’agricoltura ispirato dal movimento dell’«Uomo Qualunque» – non c’è nulla di straordinario in tutto questo – in cui si diceva che i lavoratori dell’agricoltura per trovare occupazione – e io m’impegno di consegnare all’onorevole Giannini questa lettera e prego l’onorevole Presidente di prenderne nota – dovevano rivolgersi a questo sindacato invece che alla Camera del Lavoro. Non sono ora in condizione di esibire questa lettera, ma mi impegno di consegnarla al Presidente del gruppo dell’«Uomo Qualunque».

GIANNINI. La ringrazio e glie ne darò delle altre.

LIZZADRI. Il collega ha fatto altre affermazioni. È una vecchia asserzione che la Confederazione è sotto la pressione – qualche cosa di più – del Partito Comunista. Questo, permettetemi di dirlo, se potesse valere come una vostra argomentazione per me, che sono il Segretario della tendenza socialista, non credo che potrebbe valere per l’altro segretario della tendenza democristiana. Tutte le deliberazioni prese fino a questo momento dalla Segreteria confederale sono state prese all’unanimità e dopo, qualche volta, una vivace ed accesa discussione. Naturalmente chi si trova al centro di queste correnti ha cercato sempre – ed era suo dovere – di avvicinare i punti di vista opposti e dobbiamo in buona fede riconoscere che fino a questo momento ciò è riuscito, benché, in certe date circostanze e per certe date questioni, la cosa non fosse molto facile.

Vorrei dire, approfittando di questa occasione, che ogni giorno si legge, specialmente sui giornali della destra ed anche sui vostri giornali, che la Confederazione del lavoro è dominata da tre dittatori, e questo è in contraddizione con quello che dite altre volte, che è dominata da un dittatore. Non è un’offesa per noi, perché, in fondo, siamo abituati a tutto questo; è un’offesa per i lavoratori italiani.

Come potete supporre, voi che vi chiamate democratici, che sei milioni e mezzo di lavoratori italiani, nella repubblica democratica, potrebbero rimanere sottoposti alla dittatura di tre modesti uomini? Dovete riconoscere che questa è una contraddizione evidente, e, ripeto, non è un’offesa per noi tre, ma per il buon nome di tutti i lavoratori italiani. E vorrei aggiungere – e spero che siano presenti gli onorevoli Bitossi e Morelli – che nelle nostre visite fatte ai capi delle delegazioni a Parigi, nel presentare un memoriale, di cui la stampa ha dato notizia, ci sono state spesso contestate alcune affermazioni che facevamo nel memoriale stesso: ci è stata contestata la gravità o meno della situazione attuale esistente in Italia; ma nessuno dei 21 capi delle delegazioni ci ha contestato che il nostro Paese in questo travagliato dopoguerra, è il più calmo di tutta l’Europa. Tutti i capi delle delegazioni hanno dovuto convenire – guardate che questa era un’arma che agitavamo a difesa del nostro Paese – nel dire che il popolo italiano sosteneva sacrifici immensi e, malgrado questo, fino a questo momento, aveva dimostrato una comprensione dell’attuale situazione che gli stessi lavoratori delle nazioni vincitrici non avevano dimostrata.

Ora, perché proprio all’interno del nostro Paese deve esistere questa campagna accanita contro la Confederazione? In fondo, la Confederazione che cosa è? È un organismo di 6 milioni e mezzo di lavoratori, fra i quali annoveriamo anche l’onorevole Giannini…

Una voce. Lavoratore di che?

GIANNINI. Del teatro e del cinematografo (Commenti).

LIZZADRI. …di tutte le fedi politiche e di tutte le fedi religiose. Io vorrei che voi poteste portare un solo esempio di un lavoratore che sia venuto nella nostra segreteria confederale, che sia venuto da me personalmente ed al quale io abbia domandato a priori quale fosse la sua fede politica. (Interruzioni).

Una voce. Da lei, no.

LIZZADRI. Io ho detto «da me personalmente», perché sono io che parlo, ma posso affermare la stessa cosa per gli altri due segretari e per tutta la segreteria confederale.

Sono, dicevo, sei milioni e mezzo di lavoratori di tutti i mestieri, di tutte le arti. Vi sono i poeti, gli scrittori, i pittori, gli scultori, i professori universitari. Un organismo con sei milioni e mezzo di lavoratori significa da 24 a 25 milioni di persone appartenenti a tutte le categorie del popolo italiano; questo significa che la Confederazione generale del lavoro rappresenta qualcosa che è molto importante nella vita nazionale, rappresenta la maggioranza di tutto il popolo italiano.

È nell’interesse stesso del nostro Paese che continui questa campagna contro la Confederazione? Portateci dei fatti! Anche questa mattina un giornale affermava: «Gli scioperaioli, i dirigenti che con piano preordinato hanno impostato una serie di scioperi per finire allo sciopero degli statali». Domandate al Presidente del Consiglio che cosa ha fatto la segreteria confederale per scongiurare lo sciopero degli statali e per cercare di definirlo. Questa è la verità.

Onorevoli colleghi, nell’ultimo consiglio direttivo della Confederazione abbiamo ammesso la stampa e credo che fossero rappresentati lutti i giornali, fuorché l’Avanti! e l’Unità. Ebbene, io vorrei che i vostri redattori (e qui vi sono direttori di giornali e giornalisti) vi dicessero qual è lo spirito con il quale si discute nella Confederazione. È più facile che si trovino in contrasto su una tesi determinata o su un problema concreto piuttosto due rappresentanti sindacali della stessa corrente che due rappresentanti di correnti diverse.

Comunque, nell’ultimo comitato direttivo, per esempio, è stato più facile all’onorevole Rapelli mettersi d’accordo con l’onorevole Di Vittorio, che all’onorevole Di Vittorio mettersi d’accordo con l’onorevole Alberganti: questo significa, onorevoli colleghi, che non vi sono questioni politiche, che non si tratta di fare della politica, ma di esaminare i problemi nell’interesse dei lavoratori.

E noi possiamo sbagliare, naturalmente; non abbiamo nessuna pretesa di non sbagliare perché, vi era uno solo che non sbagliava mai…

GIANNINI. Ed è finito male!

LIZZADRI… ed è finito a Piazza Loreto, e nessuno di noi vuole finire a Piazza Loreto.

La campagna contro la Confederazione non solo non ha ragione di essere, ma, preordinata com’è da certi settori della opinione pubblica italiana, da certi settori del giornalismo italiano, non fa bene a nessuno. Non fa bene al nostro Paese, e se voi dell’«Uomo Qualunque» volete avere veramente la sensazione di che cosa c’è nella Confederazione del lavoro e nelle Camere del lavoro, ebbene, venite nelle Camere del lavoro, assistete alle discussioni che vi si fanno, venite negli organismi sindacali. Perché anche oggi voi parlate di una Confederazione del lavoro dominata dai tre partiti di massa e dai tre dittatori? Sapete da chi è diretta oggi la Federazione che è stata definita, diciamo così, quella più vivace, forse perché si occupa del petrolio? È diretta da un liberale. Abbiamo sindacati diretti dal Partito d’azione, molti da indipendenti. Ne abbiamo anche uno diretto da un qualunquista. Come vedete, se i lavoratori eleggono liberamente, davvero liberamente, i loro dirigenti, perché nessuno ha mai contestato una elezione avvenuta in uno dei nostri organismi sindacali, non si può parlare di imposizioni di volontà dall’alto.

In due anni di vita la Confederazione del lavoro non ha avuto altra mira che gli interessi del nostro Paese; in qualsiasi occasione abbiamo cercato di ispirarci ai veri interessi dei lavoratori e per conseguenza agli interessi reali di tutto il popolo italiano.

L’anno scorso a Parigi, alle due conferenze mondiali, noi siamo riusciti a portare il nostro Paese a parità assoluta con le altre nazioni vincitrici. A Parigi la nostra delegazione ha avuto aperte le porte di tutte le delegazioni, e ad un banchetto – non lo dico per il banchetto – offerto alle 21 nazioni vincitrici assisteva una ventiduesima nazione, rappresentata dai tre delegati della Confederazione del lavoro.

Questo noi abbiamo cercato di fare nell’interesse dei lavoratori e del nostro Paese. Mandate pure i lavoratori nelle nostre organizzazioni: non si troveranno male. Il fatto è che in Italia, come dappertutto, i sindacati sono per lo più diretti da socialisti, da comunisti e da democristiani. Questa è la realtà che può fare dispiacere a qualcuno, ma che si verifica non soltanto in Italia, ma anche in Francia, in Inghilterra, nel Belgio, in Olanda, dappertutto.

I lavoratori di qualsiasi tendenza politica, di qualsiasi fede religiosa troveranno nella Confederazione del lavoro la loro casa, ove potranno dirimere quei contrasti che non riusciranno a dirimere all’infuori dei loro sindacati, nel contrasto delle lotte politiche. La Confederazione è la loro organizzazione, ed in essa i lavoratori troveranno modo di unirsi e di cooperare tutti insieme nell’interesse del Paese. (Applausi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Giannini. Ne ha facoltà.

GIANNINI. Desidero solo dire che se l’onorevole Di Vittorio avesse ieri parlato nello stesso stile in cui ha parlato oggi l’onorevole Lizzadri, non vi sarebbe stata la replica odierna dell’onorevole Patricolo, determinata da un’affermazione non rispondente a verità.

Circa la lettera che l’onorevole Lizzadri mi vuole presentare, io ne presenterò altre dalle quali egli vedrà che le intenzioni al centro della Confederazione generale del lavoro sono ottime, ma alla periferia non lo sono egualmente. Da questo scambio di lettere probabilmente si avrà qualche cosa come una proficua collaborazione, che è quella che ci auguriamo nell’interesse di tutti.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Ferrario Celestino. Ne ha facoltà.

FERRARIO CELESTINO. Nella seduta di ieri risulta che io non ho partecipato al voto. Per la verità io ho risposto «no» al primo appello nominale. Prego quindi che mi sia dato atto di ciò nel verbale di oggi.

PRESIDENTE. Prendo atto di tale dichiarazione.

Non essendovi altre osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Comunicazioni del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che l’onorevole Bencivenga si è dimesso da presidente e da componente del gruppo parlamentare del Blocco Nazionale della libertà e si è iscritto al Gruppo dell’Uomo Qualunque.

Congedi.

PRESIDENTE. Hanno chiesto congedo i Deputati: Bubbio, Dominedò.

(Sono concessi).

Svolgimento di interrogazioni.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca le interrogazioni. La prima è quella dell’onorevole Calamandrei, al Ministro della pubblica istruzione, «per conoscere quali provvedimenti intenda adottare per risanare la gravissima situazione in cui si trovano le Università italiane, in molte delle quali è praticamente sospesa per mancanza di dotazioni ogni attività scientifica e didattica, le collezioni ed i musei continuano ad andare rapidamente in rovina per mancanza di materiale di disinfezione e di mezzi di restauro, e al pagamento del personale insegnante e amministrativo si deve provvedere con prestiti bancari ad alto interesse, che aggravano sempre più il pauroso dissesto dei bilanci universitari».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per la pubblica istruzione ha facoltà di rispondere.

BELLUSCI, Sottosegretario di Stato per la pubblica istruzione. Il Ministero si è reso conto delle condizioni di grave disagio in cui si trovano le Università e gli Istituti superiori in conseguenza della guerra. Per ovviare a tale situazione ha predisposto, d’intesa col Ministro del tesoro, un piano per un primo risanamento delle condizioni economico-finanziarie dei predetti Atenei. Tale piano si realizza nei seguenti provvedimenti:

1°) un’assegnazione straordinaria di 300 milioni, suddivisa secondo le più urgenti necessità da un’apposita commissione tra le Università e gli Istituti superiori. Il provvedimento ha già avuto esecuzione;

2°) è stato già approvato dal Consiglio dei Ministri, ed è in corso di esecuzione, un altro provvedimento legislativo. Nella prima parte di esso si dispone che i contributi ordinari annuali corrisposti dallo Stato alle Università e agli Istituti superiori vengano quintuplicati; nella seconda parte è prevista un’ulteriore erogazione di carattere straordinario per la somma di 500.280.000 lire.

Si ha ragione di ritenere che con tali provvidenze gli Atenei possano sanare il deficit di bilancio e iniziare la ricostruzione della attrezzatura dei gabinetti e laboratori.

Il Ministero non mancherà di esaminare, anche in seguito, la possibilità di ulteriori provvedimenti, atti a risolvere il problema del riassetto delle nostre Università e dei nostri istituti di Istruzione superiore.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

CALAMANDREI. Mi dichiaro soddisfatto dell’interessamento dimostrato dal Ministro e dal Sottosegretario per il problema delle Università, ma vorrei che il signor Ministro si rendesse conto che, per le Università vi sono due problemi: un problema di carattere definitivo che andrà affrontato al momento opportuno, che non è questo, ed un problema di emergenza, che va risolto in via di urgenza e per la cui risoluzione non bastano i buoni propositi, ma occorre che essi siano attuati immediatamente.

Nella risposta dell’onorevole Sottosegretario, io non ho sentito una parola sulla situazione economica dei professori di Università. Ora io non so se la grande maggioranza dei membri di questa Assemblea sappia che i professori universitari quando arrivano all’estremo limite della loro carriera, al massimo della loro anzianità, dopo 30 o 35 anni di insegnamento, raggiungono stipendi che si aggirano sulle 15 o 17 mila lire. Fra le situazioni più penose in cui mi è accado di trovarmi nella qualità di rettore di una grande Università, ve ne sono alcune che riguardano proprio questa angosciosa situazione personale di colleghi ai quali manca letteralmente il necessario per sostentar la famiglia. Io vi potrei citare il caso di un professore di scienze esatte di una grande università (che non è quella di Firenze), il quale, non potendo, come insegnanti di altre materie possono, esercitare contemporaneamente una professione libera che serva ad integrare il loro stipendio, è costretto, dopo che la mattina ha fatto regolarmente lezione di alta scienza ai suoi studenti, a impiegare il pomeriggio nello sfruttare praticamente talune sue attitudini meccaniche fabbricando certi giocattoli che vende a un magazzino: e in questo modo raddoppia il suo stipendio e riesce a dar da mangiare a quella prole, in virtù della quale anche i professori universitari possono dirsi proletari.

Ma questo della situazione personale dei professori universitari non è forse il lato più angoscioso delle Università. Io penso anzi che da questa situazione dei professori è venuto anche del bene. Le vie della Provvidenza sono le più diverse. Forse i professori universitari, dall’essersi trovati in questo periodo così poveri, così vicini a quegli altri poveri che sono i lavoratori manuali, hanno sentito, come mai prima, questa loro vicinanza, questa loro appartenenza fraterna al grande esercito dei lavoratori, ed hanno per questo sentito il bisogno, e primi sono stati i professori dell’Università di Firenze, a iscriversi alla Confederazione generale del lavoro. (Applausi a sinistra).

Ma c’è qualche cosa di più grave nelle Università che il signor Ministro deve tener presente; cioè che nelle Università, i laboratori, gli istituti, i musei, gli erbari, le raccolte scientifiche vanno in rovina per difetto di conservazione e di manutenzione: ogni giorno che passa, senza che si provveda, senza che si cerchi almeno di conservare quello che c’è, questa rovina aumenta in maniera sempre più irrimediabile. Vi posso dire che, a Firenze, musei e istituti scientifici di fama mondiale stanno sull’orlo della distruzione, perché manca il danaro per rinnovare gli strumenti ed i vetri per conservare le collezioni, l’alcool da ricambiare nei vasetti, i materiali disinfettanti per impedire i deterioramenti degli esemplari raccolti. Così le nostre ricchezze scientifiche, accumulate in secoli di lavoro dalla scienza italiana, se ne vanno in rovina, se non si provvede subito.

Noi abbiamo fatto conoscere già da più di un anno ai competenti Ministeri questo pericolo delle Università. E ci è stato risposto dal Ministro della pubblica istruzione ma, soprattutto, dal Ministro del tesoro che i mezzi prima o poi sarebbero stati concessi, ma che intanto ci si ingegnasse a andare avanti con prestiti presso le banche. Così l’Università di Firenze, per pagare gli stipendi al suo personale, per provvedere alle spese più urgenti dei suoi laboratori, ha dovuto rivolgersi a un istituto di credito, ed essergli grata per aver ottenuto un’apertura di credito di trenta milioni all’interesse di circa il 10 per cento (Ilarità); e in questo modo, pagando circa tre milioni di interessi all’anno, siamo andati avanti fino a che il Ministero si è deciso a mandarci, quindici giorni fa, quei venti milioni di contributo straordinario i quali hanno servito unicamente a pagare una parte del debito, mentre per andare avanti si è dovuto subito ricominciare ad aumentare il debito tuttora pendente.

La situazione delle Università è tale che richiede un intervento urgente e non soltanto promesse; quelle promesse sulla serietà delle quali io voglio avere del resto la massima fiducia. (Applausi).

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Calamandrei, al Ministro della pubblica istruzione, «per conoscere quali provvedimenti intenda adottare per definire la sorte delle Facoltà di scienze politiche, la cui esistenza rimane tuttora in sospeso, con grave disagio di docenti e di studenti, dei quali da più di due anni nessuno sa quale sia esattamente la situazione giuridica; ed in special modo come intenda provvedere alla ricostruzione dell’Istituto di scienze sociali e politiche «Cesare Alfieri» di Firenze, in ossequio alle alte tradizioni liberali di questo Istituto, il cui patrimonio autonomo fu assorbito nel bilancio dell’università di Firenze: ricostituzione che già trovò il parere favorevole della Consulta e del Consiglio superiore della pubblica istruzione».

L’onorevole Sottosegretario per la pubblica istruzione ha facoltà di rispondere.

BELLUSCI, Sottosegretario di Stato per la pubblica istruzione. È noto che è stato predisposto da tempo uno schema di provvedimento legislativo concernente la soppressione delle Facoltà e dei corsi di laurea in scienze politiche e la trasformazione della Facoltà di scienze politiche di Firenze, già Istituto «Cesare Alfieri», in scuola di perfezionamento in scienze sociali per laureati.

È pure noto che tale schema di provvedimento legislativo è stato già accettato, in via preliminare, dal Consiglio dei Ministri, e successivamente sottoposto per il parere preventivo all’esame della cessata Consulta Nazionale, che ha espresso, in linea di massima, parere favorevole all’ulteriore corso, salvo alcuni emendamenti, fra cui la conservazione della Facoltà di scienze politiche di Firenze, nella sua attuale struttura.

Peraltro, si è ravvisata l’opportunità di sospendere per il momento l’ulteriore corso di questo schema, per mettere allo studio alcune questioni sorte automaticamente da quella principale della soppressione delle Facoltà di scienze politiche. Si accenna, fra le altre, a quella della sorte dei corsi di laurea in economia e commercio, appoggiati alle Facoltà di scienze politiche. Data l’importanza e le proporzioni di tali questioni, si è ravvisata anche l’opportunità di riprendere in esame «ex novo» tutta la materia, compresa la questione principale della soppressione, per le determinazioni che si ravviseranno utili, in relazione al quadro generale.

È da prevedere che si potrà avere quanto prima la definitiva sistemazione della questione in parola con la soluzione dei problemi sorti dai relativi riflessi.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

CALAMANDREI. Rimango in attesa di conoscere quelle che saranno a suo tempo le proposte ora annunciate dal Ministro; non posso quindi per ora dichiararmi né soddisfatto, né insoddisfatto.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Rossi Maria Maddalena, firmata anche dalle onorevoli Montagnana Rita, Minella Angiola, Pollastrini Elettra, Noce Teresa, Iotti Leonilde, Gallico Nadia, Merlin Lina, Bianchi Bianca, al Presidente del Consiglio dei Ministri ed al Ministro delle finanze, «per sapere se non ritengano necessario, mentre il Governo si dispone ad affrontare il gravissimo problema del finanziamento del programma di lavori pubblici e di assistenza sociale, che solo giustifica la sua formazione ed anima la fiducia che lo sostiene, di avocare senza ritardo alle casse dello Stato i beni che già furono della corona, per devolverli, con tassativa disposizione di legge, all’azione di assistenza immediata dell’infanzia e della adolescenza, minacciate tragicamente nell’attuale dissoluzione della vita economica e sociale del Paese cui ancora non si è saputo porre argini, nella loro fisica e morale esistenza».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per il tesoro ha facoltà di rispondere.

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. I beni della corona erano, come sono, di pertinenza dello Stato, e precisamente formavano, come formano oggi, parte del suo demanio con un vincolo di speciale destinazione.

La maggior parte di questi beni già della corona hanno carattere artistico monumentale e non possono essere utilizzati con un realizzo per le casse dello Stato, senza un evidente pregiudizio per la storia per l’arte e per la cultura.

Si potrà invece tener conto della proposta delle onorevoli interroganti per quella parte dei beni già della corona che non abbiano questo carattere, che non interessi allo Stato di conservare per il rispetto dei principî superiori.

Naturalmente si terrà anche conto, e si dovrà tener conto, anche delle indispensabili esigenze della Casa del Capo dello Stato.

D’altra parte le proposte, e, per dir meglio, i fini che le onorevoli interroganti si propongono, saranno certamente rispettati, anche e soprattutto quando si tratterà di dare definitiva sistemazione ai beni di quella che fu la Gioventù Italiana del Littorio. In quella sistemazione definitiva del cospicuo patrimonio dell’ex GIL si terrà conto in modo particolare delle destinazioni che sono state segnalate al Governo dalle onorevoli interroganti.

PRESIDENTE. Una delle onorevoli interroganti ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta.

POLLASTRINI ELETTRA. Mi dichiaro soddisfatta delle dichiarazioni dell’onorevole Sottosegretario di Stato.

Verifica dei poteri.

PRESIDENTE. Comunico che la Giunta delle elezioni nella sua seduta odierna ha verificato non essere contestabile la elezione dell’onorevole Matteo Rescigno della circoscrizione di Salerno (XXIV) e, concorrendo in esso i requisiti previsti dalla legge, ha deliberato di proporne la convalida.

(La proposta è approvata).

Elezione contestata per la circoscrizione di Palermo (Doc. III, n. 1).

PRESIDENTE. Comunico che la Giunta delle elezioni propone che sia annullata la proclamazione del candidato Pasqualino Vassallo per la circoscrizione di Palermo, e che il candidato Galioto sia proclamato in sua vece.

Metto a partito la proposta della Giunta delle elezioni.

(È approvata).

Avverto che da oggi decorrono i 20 giorni per la presentazione di eventuali reclami o proteste contro la proclamazione del dottor Michelangelo Galioto.

Seguito della discussione sulla proposta di aggiunta al Regolamento della Camera (Doc. II, n. 5).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione sulla proposta di aggiunta al Regolamento.

Ha chiesto di parlare l’onorevole Badini Confalonieri. Ne ha facoltà.

BADINI CONFALONIERI. Onorevoli colleghi, francamente io non sono in quello stato euforico, privilegiato, di entusiasmo in cui ieri, al riguardo di questa proposta di aggiunta al Regolamento, vi ha parlato l’onorevole Caroleo. Sono in proposito assai più scettico e assai più diffidente: scettico su quella che è la portata concreta del provvedimento, diffidente sulla forma con cui esso viene attuato. L’eccezione solo apparentemente di natura formale, ieri da noi liberali proposta, aveva non soltanto un fondamento giuridico ineccepibile che non è sfuggito alla acuta disamina del Relatore onorevole Perassi, quando ha voluto chiarire che la proposta aggiunta non implicava modifiche legislative; ma aveva altresì una base e un fondamento di natura sostanziale, come sostanziale è la modifica del decreto legislativo Luogotenenziale 16 marzo 1946, n. 98, cui attraverso questa proposta di aggiunta al Regolamento si vuole addivenire.

Già ieri ho brevemente fatto cenno dei motivi per i quali l’interpretazione, sia pure quasi autentica, fornita dal Relatore onorevole Perassi, non possa essere accolla. Il Regolamento, ha detto l’onorevole Perassi, non modifica la legge: il decreto legislativo 16 marzo rimane in vigore; gli articoli 3, 5 e 6 non subiscono modifiche; il fondamento della proposta è costituito dalle dichiarazioni del Presidente del Consiglio e il Governo è impegnato attraverso le dichiarazioni stesse. In relazione a. quella promessa noi dunque costruiamo; cosicché, caduto per esempio il Governo, cadrebbe la promessa, cadrebbe il vincolo che attraverso questa aggiunta al Regolamento lega il Governo alla Costituente. O in altre parole il giorno che i partiti di Governo non intendessero più di sottoporre i loro disegni di legge alla Costituente e per essa alle Commissioni, non avrebbero che da rimaneggiare la formazione governativa in guisa da mutare l’onorevole Presidente del Consiglio, perché quell’obbligo creato dall’attuale aggiunta al Regolamento, che non può vincolare ogni successivo Governo, venisse automaticamente a cessare, perché i rapporti tra Governo o Costituente venissero nuovamente a mutare. E quando da parte nostra si obbietta che i rapporti tra Governo e Costituente costituiscono un problema di tale importanza nella vita politica nazionale, e non possono pertanto essere costruiti, così, sulle sabbie mobili di una dichiarazione presidenziale che evidentemente non costituisce vincoli, ci si oppone dall’onorevole Gullo che si tratta ad opera nostra di una manovra dilatoria. Potrei rispondere all’onorevole Gullo che l’ostruzionismo consiste piuttosto nel fare ad un tempo opera di Governo e opera di opposizione; e l’accusa evidentemente non tocca noi liberali. Ma preferisco contenermi nella elencazione dei motivi molteplici, non solo formali, ma di ben altro rilievo e di natura sostanziale, che sono a fondamento della nostra opposizione; in base alla quale riteniamo che questo provvedimento altro non sia che un cavallo di Troia, opportuno per voler far passare della merce di contrabbando. (Approvazioni a destra).

Fino ad oggi il Governo ha legiferato senza preoccuparsi affatto dell’opinione del popolo o, per esso, dei suoi rappresentanti; ha di fatto, se non di diritto, annullato quella divisione dei poteri legislativi che il decreto legislativo 16 marzo all’articolo 3 e all’articolo 6 prevedeva; ha emanato disposizioni legislative non soltanto nel campo a lui demandato della normale amministrazione, sia pure in un senso largo data l’eccezionalità del momento, ma ha operato decise riforme di struttura che esulavano totalmente dalla sua competenza: dall’abolizione del Senato alla divisione delle terre incolte, alla convalida dei decreti Gullo che la Corte di cassazione aveva dichiarati incostituzionali, è un susseguirsi di modifiche di struttura nell’ordinamento statuale italiano fatte per decreti-legge, è una continuata appropriazione indebita fatta dal Governo di compiti che non gli spettano.

Ma, mentre eleviamo una vibrata protesta per questa usurpazione di poteri perpetrata dal Governo, grave non tanto in sé, quanto per la deroga ai principî in essa contenuta, a questa constatazione di fatto ci richiamiamo per vagliare con notevole diffidenza l’improvviso atto di resipiscenza, di fronte al quale oggi è richiesto il nostro consenso.

Tre sono le sfere dell’attività legislativa secondo il decreto 16 marzo 1946 e tre diversi organi hanno al riguardo competenza: vi sono le leggi costituzionali propriamente dette, la Costituzione, che deve essere redatta dalla Costituente; vi è il campo dell’ordinaria amministrazione, ed è sfera della attività legislativa del Governo; vi è una terza sfera di leggi che altro non sono che l’applicazione concreta di quei principî che l’Assemblea Costituente traccerà nella Costituzione, come nel suo discorso aveva enunciato il Capo dello Stato Sua Eccellenza De Nicola: la sfera riservata al futuro Parlamento.

Il decreto legislativo del marzo scorso, fatto col concorso dei liberali al Governo, prevedeva in altre parole una tregua costituzionale da valere sino all’emanazione della Costituzione, così come prima del 2 giugno esisteva una tregua istituzionale. Si vorrebbe oggi, attraverso una modifica al Regolamento interno, così, in sordina, varare un provvedimento rivoluzionario degli accordi preventivamente intervenuti, senza che l’opinione pubblica e, direi quasi, gli stessi esponenti del popolo qui convenuti, avessero sentore dello stesso ed esprimessero la propria opinione al riguardo. Perché l’articolo 6 del decreto legislativo 16 marzo 1946, viene ad essere abrogato – non so quanto ritualmente – da questa proposta di aggiunta al Regolamento.

Checché ne dica il Relatore, è evidente che il nuovo Parlamento non avrà più possibilità di ratifica – come l’articolo invece prevedeva – al riguardo di provvedimenti legislativi già sottoposti all’esame dell’Assemblea Costituente, sia per l’assurdità che il Parlamento futuro possa avere poteri superiori di controllo del Parlamento attuale, sia perché esplicitamente l’articolo 6 – a proposito della ratifica – parla di provvedimenti legislativi «che non siano di competenza della Assemblea Costituente» e coll’approvazione dell’articolo aggiuntivo tutti i provvedimenti legislativi sono formalmente sottoposti alla Costituente.

La sfera di leggi riservate alla ratifica del futuro Parlamento viene ad essere annullata: la Costituzione invade, direttamente o indirettamente, attraverso l’opera di controllo prestata dalle sue Commissioni, tutta l’attività legislativa; assume – scaricando il Governo – e questo è il punto, ogni responsabilità al riguardo. Diciamo la parola forte: la Costituente si muta in una convenzione; anche se tutto avvenga in sordina: nella forma, la più modesta; nella sostanza, la più impegnativa. Tant’è che gli onorevoli colleghi della destra come della sinistra sono unanimi nel desiderio di far cadere nel nulla il decreto legislativo Luogotenenziale 16 marzo 1946, ritenendolo privo di effetti giuridici. Ma non considerano che la sua invalidità comporta come conseguenza inconcepibile l’invalidità di tutto quanto – in esecuzione di esso – è stato fatto: dal referendum alla nomina del Capo provvisorio dello Stato; dalla regolarità stessa di questa Assemblea, la cui nomina viene ad essere inficiata, alla legittimità di tutte quelle norme che, sia pure provvisoriamente, reggono l’attuale Stato italiano.

E lascio a lei considerare, onorevole Gullo, se conseguenze di tal fatta non giustifichino una meditata approvazione o disapprovazione dell’aggiunta al Regolamento che ci viene proposto. Tant’è che l’onorevole Calamandrei, in quell’impeccabile ragionamento che ieri ci ha fatto da quel maestro di diritto che è, ha preso le mosse da un postulato, che quasi testualmente così recitava: «La Costituente racchiude in sé – se limitazioni non le provengono dal popolo – ogni facoltà legislativa»; ha cioè dato come presupposto dimostrato – mentre era da dimostrare – l’assoluta invalidità del decreto legislativo Luogotenenziale 16 marzo 1946, di quel decreto che, all’opposto, secondo l’onorevole Relatore, non soltanto ha giuridica efficienza, ma la manterrà anche dopo l’approvazione dell’articolo aggiuntivo. Se non si vuole creare il caos e l’equivoco, è manifesto che coloro che oggi votano la proposta di aggiunta al Regolamento debbono sapere con ben diversa precisione e chiarezza che cosa votino.

Per noi liberali il decreto legislativo Luogotenenziale 16 marzo 1946 ha piena efficienza giuridica per quei motivi ieri espressi dallo onorevole Riccio, che non è pertanto qui il caso di ripetere; per noi la Costituente è sovrana nei limiti di quel mandato determinato, che è rappresentato dal suo atto costitutivo, e che è stato ratificato dal popolo attraverso le elezioni.

Ma, quando questi limiti, che il popolo ha accettato e ratificato andando alle urne, siano superati, e questo superamento costituisca l’improvviso rovesciamento della situazione di fatto sussistente, in cui il Governo sempre ha legiferato anche riforme di struttura, anche in materia costituzionale, senza minimamente preoccuparsi del parere della Costituente, cui aveva facoltà per lo articolo 3 di sottoporre i propri disegni di legge, questo subitaneo stato di resipiscenza governativa non può non renderci cauti e diffidenti.

Ed altri motivi, molti di diffidenza vengono ad aggiungersi qualora – sotto l’aspetto storico – si consideri il partito che per primo ha ventilata la proposta di nomina delle Commissioni; qualora – sotto l’aspetto politico – si esamini la formulazione del comma terzo dell’articolo aggiuntivo, impropria, generica e pericolosa: «Ciascuna Commissione rinvierà al Governo i disegni di legge, indicando quelli che essa ritenga debbano essere sottoposti alla deliberazione dell’Assemblea Costituente per la loro importanza tecnica o politica».

Ad un criterio qualitativo ed esatto previsto dal decreto del marzo scorso si sostituisce un criterio quantitativo di per sé confuso, attraverso al quale alla nostra Assemblea viene dato quel che non le compete, e viene tolto – o quanto meno viene data la possibilità di togliere attraverso il voto di una Commissione – quel che le compete.

Ed è in proposito da porre in particolare luce, come non idonea ad imprimerci fiducia al riguardo, la raccomandazione fatta dall’onorevole Calamandrei, e che acquista maggiore rilievo per essere stata confermata a nome del Governo dall’onorevole Cappa, che le Commissioni potrebbero fare «l’uso più parco possibile di sottoporre leggi alla Assemblea». Si dà con l’una mano quel che già si toglie con l’altra.

Non soltanto, dunque, la Costituente si tramuta in Convenzione, ma il potere convenzionale non permane nelle sedute plenarie e pubbliche dell’Assemblea, sibbene si nasconde e si fraziona nel segreto dei lavori delle Commissioni. E manco a farlo a posta, ecco lo emendamento che, con assoluta contemporaneità alla proposta di aggiunta, ci viene sottoposto, l’emendamento che attiene alla formazione delle Commissioni, in base al quale raddoppiandosi il numero dei componenti le Commissioni, viene altresì ad aumentarsi illegittimamente il numero dei Deputati che appartengono ai partiti più numerosi, cioè a quelli governativi, e a diminuirsi pertanto correlativamente la partecipazione dell’opposizione.

Ma comunque questo controllo delle Commissioni, che oggi si sbandiera volutamente come una conquista della democrazia, è efficiente? Od è soltanto lo spolverino gradito agli uomini di Governo perché altri – senza poteri effettivi di critica e di modifica – assumano la corresponsabilità del loro operato? A che cosa mira quell’emendamento, in cui si statuisce una diversa procedura «qualora la sessione dei lavori dell’Assemblea sia chiusa»? Quali disegni di leggi saranno presentati a sessione chiusa e quali no? Tutto è demandato al libito governativo e sottratto ad ogni efficace controllo.

Per cui si ha l’impressione – ed io sarei lieto che la mia opinione al riguardo fosse destituita di fondamento – che la proposta di aggiunta, irrituale nella forma, miri nella sostanza a far sì che l’attività legislativa del Governo acquisti maggiore autorità, non già attraverso l’opera organica di controllo e di critica di un Parlamento, il che non potrebbe non trovare noi liberali consenzienti, ma attraverso un’azione di natura esclusivamente formale, che si vuole, non già perché possa portare a modifiche sostanziali dei disegni di legge, ma perché la responsabilità di quelle riforme di struttura, che il Governo non può fare ma egualmente fa, avvengano sotto l’usbergo e la corresponsabilità della Commissione. Per questi motivi, noi liberali, che pure protestiamo formalmente contro gli arbìtri del Governo, votiamo contro questa norma, la quale solo apparentemente costituisce la creazione di nuovi controlli, ma nella sostanza significa l’usurpazione di una sfera di attività legislativa, che il decreto legislativo luogotenenziale 16 marzo 1946 aveva considerato competenza esclusiva del futuro Parlamento. (Applausi a destra).

Presidenza del Vicepresidente TERRACINI

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Zuccarini. Ne ha facoltà.

ZUCCARINI. Onorevoli colleghi, ho votato contro la sospensiva; voterò, molto probabilmente, contro la proposta di modifica del Regolamento. Dico molto probabilmente perché ad una sola condizione mi sentirei di votare per quella modifica: se cioè l’iniziativa parlamentare assegnasse contemporaneamente ad una Commissione il compito di rivendicare la sovranità dell’Assemblea e di stabilire, in una legge, i rapporti dell’Assemblea con il Governo.

L’onorevole Calamandrei affacciava ieri alcuni dubbi, alcuni interrogativi. Credo che lo svolgimento della discussione e la proposta stessa di sospensiva gli abbiano dato una certezza: quella certezza io l’avevo già ed è che non si esce da una questione fondamentale, questione di principio, con le mezze misure, o addirittura aggirandola, come si è pensato di fare.

Non si può afferrare il senso della questione che ci interessa se non ci riferiamo ai criteri con i quali la proposta di modifica venne fatta e in base ai quali si è creduto di risolvere una questione fondamentale, trasformandola in una questione formale, quasi di procedura. Si è creduto infatti che si potesse, attraverso la riforma del Regolamento, ottenere quasi lo stesso risultato. L’amico Perassi, che è stato il relatore della modifica e che in linea di principio è d’accordo con me, spiegava come in fondo tutti i progetti di legge del Governo finirebbero, in tal modo, per passare ugualmente alla Assemblea attraverso le Commissioni. Non si tratta precisamente di ciò. La sostanza vera è nel fatto che quella modifica avviene in relazione proprio all’articolo 3 del decreto 16 marzo 1946 e che vi è così, pure attraverso la modifica, un riconoscimento del decreto stesso. Si poteva ignorare quel decreto. Cosi invece lo si legalizza! Si riconosce cioè esplicitamente l’indipendenza del potere esecutivo e si riduce praticamente l’Assemblea ad una Assemblea consultiva.

La proposta di sospensiva è intervenuta come un chiarimento. Il valore della sospensiva proposta è, infatti, in questo: che coloro che la proposero si preoccupavano di non intaccare minimamente il principio che logicamente discendeva dal richiamo che con la modifica si fa al decreto del 16 marzo. Ha detto molto esplicitamente l’onorevole Riccio, che è stato uno dei collaboratori di quella proposta di riforma, come quel richiamo dovesse essere inteso. Lo ha più precisamente affermato dopo di lui l’onorevole Crispo: il quale ha detto che la legge resta, e che resta come continuità. Della continuità, soprattutto della continuità, si sono infatti preoccupali coloro i quali hanno proposto la sospensiva! Se ne sono preoccupati appunto perché non volevano che venisse in qualche modo infirmato il valore di quel decreto; perché si preoccupano della continuità o meglio, fatemelo dire, della possibilità di riallacciarsi, quando che sia, prima che le cose siano completate, quando i risultati non si avessero nel tempo stabilito o in qualsiasi altra circostanza, di riallacciarsi a quel decreto il quale – come ha detto appunto il precedente oratore – è il decreto della tregua istituzionale che, secondo essi, dovrebbe continuare anche adesso e fino al giorno in cui la Costituzione non sia fatta e la Repubblica non sia effettivamente una realtà. Si tenta, insomma, di rimanere nel provvisorio. Siamo cioè sempre sul terreno delle mezze misure, dell’equivoco, sul quale sembra impossibile definire in modo preciso e chiaro tutte le cose.

Ora è appunto il riconoscimento di quel decreto che per me non può essere accettato. Non è possibile che l’Assemblea Costituente si riduca nelle condizioni di un’Assemblea consultiva.

Vedremo meglio di che si tratta.

Il decreto del 16 marzo dispone, innanzi tutto, di dare all’Assemblea una funzione sovrana con l’elezione del Capo provvisorio dello Stato. Anche quella di preparare la Costituzione è una funzione sovrana. La preoccupazione, però, anzi l’intento di quel decreto fu quello di limitare in anticipo della Costituente tutti gli altri poteri. E si sono stabiliti dei limiti che se potevano essere consentiti nel caso che un mutamento del regime non ci fosse stato – e probabilmente quel decreto fu dettato proprio da questa convinzione: che il mutamento non ci sarebbe stato! – sono assolutamente inconcepibili e inaccettabili in regime repubblicano. Che cosa stabilisce, infatti, quel decreto? Stabilisce che durante tutto il periodo della Costituente, e fino alla convocazione del Parlamento, il potere legislativo resta delegato al Governo, salvo le leggi costituzionali c quelle relative all’approvazione dei trattati. Ma chi delega tale potere al Governo? Forse l’Assemblea che doveva ancora nascere? È invece proprio quel Governo stesso che fa il decreto o che tiene in mano il potere esecutivo. Io non mi preoccupo di vedere da chi fosse composto quel Governo che nominalmente era un Governo democratico. Mi preoccupo del fine che quel decreto si proponeva, mi preoccupo della sua essenza antidemocratica.

Ora, il Governo luogotenenziale, che faceva il decreto, così facendolo, era fuori da ogni norma istituzionale, anche da quelle norme costituzionali precedentemente esistenti. Il Governo, che secondo me, nel suo ultimo residuo istituzionale è finito con la fine del regime monarchico, prima ancora che la Costituente fosse eletta, si delegava, esso, tutti i poteri per sé e per i Governi che sarebbero venuti. Vi risparmio la illustrazione delle conseguenze che ne derivano, tanto esse sono evidenti.

Mi limiterò al lato prettamente politico, che è questo: che esso ci ha condotto tutti, il Paese e noi, nella situazione di incertezza nella quale ci dibattiamo e con tutti i pericoli dell’incertezza, delle cose cioè non chiaramente definite.

Quale sia lo spirito di quel decreto, con quali intenzioni, e quale sia il carattere delle modificazioni proposte al Regolamento, è detto molto chiaramente in ciò che scriveva uno dei membri della Giunta del Regolamento, l’onorevole Riccio, qualche giorno fa, e ha ripetuto in questa Assemblea: «sotto questo aspetto, aspetto politico, sarebbe estremamente pericoloso – egli ha scritto – riconoscere la sovranità assoluta ed illimitata della Costituente; sarebbe un riconoscere che essa è l’unico potere sovrano dello Stato, mentre lo sono anche il Governo ed il Capo dello Stato. Si potrebbe giungere a sconfinamenti con tutte lo conseguenza eventualmente pregiudizievoli per la trasformazione e la organizzazione della vita statale». Si tratta, come si vede, di una preoccupazione che deriva da una concezione puramente paternalistica delle funzioni dello Stato.

Un potere esecutivo indipendente c superiore all’Assemblea. E una Assemblea in un certo modo serva del potere esecutivo!

Questa è, in sostanza, la portata logica di quel decreto, tanto vero che secondo esso gli stessi voti di sfiducia dell’Assemblea non comportano nemmeno di necessità le dimissioni del Governo. Dice testualmente l’articolo 3: «Le dimissioni sono obbligatorie soltanto in seguito alla votazione di un’apposita mozione di sfiducia intervenuta non prima di due giorni dalla sua presentazione e adottata a maggioranza assoluta dei membri (non già dei presenti: badate bene!) dell’Assemblea.». Io domando: quale è l’Assemblea, non dirò sovrana, ma un Parlamento ordinario che tollererebbe siffatta norma? Un’Assemblea sovrana non può riconoscere che ci siano dei poteri non provenienti da lei.

Farò, a tale proposito, un rilievo che è molto importante, specialmente in un momento così difficile come l’attuale. Il Paese ignora quale sia la sostanza del decreto luogotenenziale e crede veramente che l’Assemblea Costituente sia un potere sovrano. Attende così dalla Costituente, non solamente l’approvazione delle leggi che possano esserle presentate dal Governo, ma attende soprattutto la iniziativa. Vuole vedere cioè, e dovremmo farlo vedere, che questa Assemblea è qualche cosa di più e di meglio di un’Assemblea consultiva. È certo, invece, che nei lavori nostri, fino a questo momento, non abbiamo soddisfatto a tale aspettativa del Paese. Ecco perché importa che ci sia la iniziativa della Camera e la possibilità, non dirò di eleggere un Governo, ma di discutere, di approvare, di respingere, non formalmente, ma con effetto pratico, politico positivo. La facoltà di fare, di discutere ed approvare le leggi servirebbe a dare all’Assemblea tutt’altro potere, e tutt’altro prestigio, potere e prestigio di cui ci dobbiamo molto preoccupare. E particolarmente servirebbe, in momenti difficili come questi, nei quale le crisi si risolvono solo nel chiuso dei comitati dei partiti, mentre la crisi trovasi in mezzo al Paese. Io credo che l’Assemblea, rivendicando a se stessa la propria sovranità, dando a se stessa la facoltà dell’iniziativa che ancora non ha, capovolgendo soprattutto un principio che ci riattacca direttamente ai sistemi paternalistici del passato, si innalzerebbe di fronte al Paese, valorizzerebbe le sue funzioni, acquistando un maggiore prestigio. Dobbiamo preoccuparci anche di ottenere tale risultato.

Né si dica che la funzione legislativa verrebbe a dare a questa Camera un lavoro eccessivo. Troppo spesso si è ripetuto che l’Assemblea, essendo chiamata al difficile lavoro della elaborazione della Costituzione, non può occuparsi di altre cose. Non mi sembra che si sia, fino a questo momento, data al Paese la impressione di avere molte cose da fare. Ma, se anche ciò fosse vero, l’Assemblea ha tutte le possibilità di contenere la esplicazione dei suoi diritti attraverso le Commissioni, ponendo ogni limite alla propria attività. Non si chiede affatto che l’Assemblea aumenti e moltiplichi la propria attività, e arrivi dove non può arrivare. Si chiede solamente che l’Assemblea abbia quella sovranità, che oggi non ha, di fronte al Paese e per tutte le evenienze dell’avvenire.

Quello che importa e a cui tendiamo è che sia l’Assemblea a delegare certe facoltà al potere esecutivo, invece di riceverle. È anche questa una questione di sovranità. Così come è prevista dall’articolo 3 del decreto del 16 marzo 1946, e finché non intervenga un atto dell’Assemblea, non si potrà dire mai che questa Assemblea sia un’Assemblea sovrana! Deve esserlo, invece, per la legittimità stessa – lasciatemelo dire – del futuro ordinamento dello Stato. Anche per legittimare la sua opera di Costituente, l’Assemblea non può restare ulteriormente nel rango nel quale la si è lasciata fin qui, rango che, sotto certi aspetti, è anche inferiore a quello che teneva la passata Consulta. Ciò è necessario, secondo me, a tutti gli effetti.

Un Governo che esca dall’Assemblea, che sia cioè, non formalmente ma legittimamente, espressione dell’Assemblea, che non si formi indipendentemente dall’Assemblea, ma in virtù di poteri sovrani attribuiti all’Assemblea stessa, credo che non perderebbe nulla della propria individualità e della efficacia della sua azione. E non potrebbe verificarsi più il caso di un decreto di grazia sovrana, preso indipendentemente dall’Assemblea, proprio alla vigilia del giorno in cui l’Assemblea doveva riunirsi, e nella vacanza del Capo Provvisorio dello Stato. Un Governo di ordinaria amministrazione si è attribuito in quel momento poteri che erano esclusivamente sovrani. Basta riferirsi solo a ciò per capire la gravità del principio affermato dal decreto del 16 marzo 1946. Quella amnistia, per i suoi risultati disastrosi, basta essa sola a farci vedere quanto sia importante che l’Assemblea, prendendo il coraggio a due mani, rivendichi la propria sovranità e riprenda tutti i suoi poteri. Se non la rivendica ora che la questione è posta, ora che c’è perfino chi si preoccupa che il carattere, il valore giuridico di quel decreto sia in qualsiasi modo intaccato, se non arriviamo alla soluzione definitiva, se in una situazione di compromesso equivoco, come l’attuale, non riusciamo a fare un taglio netto, noi forse comprometteremo, anche per l’avvenire, la sorte del nostro Paese.

Badate! Siamo in una situazione di crisi, che non è solo nel Governo, ma anche, e soprattutto, fuori, nel Paese. La crisi di Governo si può risolvere. Si deve risolvere. E lo sarà. Io lo spero. Ma la crisi nel Paese può scoppiare improvvisa e prendere la mano al Governo e ai Partiti. Chi la fronteggerà? I colpi di mano sono sempre possibili. Sappiamo per esperienza come si preparano, come riescono, cosa vogliono dire. Qual è allora il potere sovrano che può prendere nelle proprie mani le sorti del Paese?

Il Presidente? Il Presidente è un uomo e perché uomo può facilmente essere travolto anche lui. Non resta allora che l’Assemblea, nella sua unità, come rappresentante legittima del Paese.

Bisogna badare a tutte le possibilità e a tutte le eventualità. L’Assemblea sovrana è una garanzia. È una garanzia per il Paese, una garanzia della continuità delle nostre istituzioni, è la base di legittimità di qualunque Governo che dovesse formarsi. È un elemento di sicurezza che non deve essere sciupato, che non dobbiamo perdere. Sarebbe un delitto verso noi stessi, cioè un suicidio politico, e, più ancora, un delitto verso il popolo che ci ha eletto, e al quale, qualunque cosa accada, dobbiamo sempre rispondere.

Altri svilupperanno la discussione sul campo strettamente giuridico; io mi sono fermato al significato politico.

Occorre dare la certezza che la fonte della sovranità è mutata, e che l’Assemblea vive nella consapevolezza del suo diritto e della sua funzione. Bisogna stabilire coi fatti che il mutamento della fonte della sovranità è definitivo.

La Repubblica in Italia – bisogna che tutti lo sappiano e se ne convincano – deve essere una realtà di oggi e di sempre. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Bassano. Ne ha facoltà.

BASSANO. Onorevoli colleghi, l’eloquenza della votazione di ieri mi dovrebbe quasi indurre a non parlare. Ma quello che ci accingiamo a fare, o meglio quello che l’Assemblea si accinge a fare, è, a mio modo di vedere, così enorme dal punto di vista giuridico, che non ho voluto rinunziare alla parola.

Non che io dissenta su quello che è il contenuto sostanziale della disposizione regolamentare in discussione. Mi sembra anzi che sulla necessità od opportunità di modificare o quanto meno di non osservare il disposto dell’articolo 3 del decreto legislativo 16 marzo 1946, siamo tutti d’accordo, a cominciare dal Presidente del Consiglio. La questione, quindi, non è qui. Quello, invece, che a me non sembra ammissibile, come non è sembrato ammissibile a molti colleghi che mi hanno preceduto in questa discussione, è che si possa modificare la disposizione di una legge con una semplice disposizione regolamentare, e per giunta con una disposizione di Regolamento interno di questa Assemblea. Dal nostro illustre Relatore si è cercato di contestare che qui si tratti di modifica della legge. Ma, a parte tutto quello che al riguardo si è detto dai colleghi che mi hanno preceduto, e in modo particolare dal professor Calamandrei, basta semplicemente mettere a raffronto l’articolo 3 del decreto legislativo del marzo 1946 con la proposta di aggiunta al Regolamento che ci viene sottoposta, per convincersi di che modifica si tratta. Mentre infatti con la prima parte del detto articolo 3, tutto il potere legislativo ordinario resta delegato al Governo, se si approvasse, invece, la disposizione aggiuntiva del Regolamento, resterebbe delegata al Governo solamente quella parte di potere legislativo che l’Assemblea non credesse di riservare a se stessa, attraverso l’esame delle commissioni che noi dovremmo nominare. Mentre, poi, per la seconda parte dell’articolo 3, è in facoltà del Governo di sottoporre all’Assemblea quei provvedimenti che non siano di carattere costituzionale, approvandosi la disposizione regolamentare, questa facoltà verrebbe dal Governo trasferita all’Assemblea attraverso le dette commissioni. Per il Governo invece, come esattamente ha osservato l’onorevole Calamandrei, quella che oggi è una semplice facoltà diventerebbe un obbligo. Mi sembra, quindi, non potersi mettere in dubbio che ci troviamo di fronte ad una vera e propria modifica dell’articolo 3 del decreto legislativo 16 marzo 1946.

Per giustificare tale modifica con una semplice disposizione regolamentare, neppure può dirsi, come da qualcuno che mi ha preceduto è stato detto, che noi potremmo ritenerci non vincolati dalle disposizioni di quella legge per il fatto che essa fu emanata da un governo provvisorio, da un governo di fortuna, come altra volta in questa stessa Assemblea ebbe a dire l’onorevole Calamandrei. In questo mi dispiace di non poter essere d’accordo con lui. Provvisori o non provvisori, quei governi erano pienamente legittimi e, secondo me, ci metteremmo sopra un terreno molto pericoloso dal punto di vista politico, se volessimo mettere in dubbio la legittimità dei governi che si sono succeduti dalla caduta del fascismo in poi, solo che si tenga presente l’importanza e la gravità dei provvedimenti legislativi da quei governi adottati. Guai, se per semplice ipotesi dovessimo ammettere la possibilità che quei provvedimenti dovessero essere sottoposti a ratifica.

Quello che più esattamente si può osservare, ed è stato infatti osservato da quasi tutti i colleghi che mi hanno preceduto, è che, essendo quest’Assemblea sovrana, col decreto legislativo del marzo 1946 non si sarebbero potuti delegare, e per giunta a un governo che di essa doveva essere emanazione, dei poteri che solo l’Assemblea avrebbe dovuto delegare. In questo siamo tutti d’accordo. Ma esso può significare solo che o con un progetto di legge di iniziativa parlamentare, o con una mozione che inviti il governo a modificare la legge, si possa proporre la modifica della legge stessa, non mai che si possa non tener conto della legge o ritenere di poterla modificare con una semplice disposizione di Regolamento interno dell’Assemblea. Se questa, infatti, come nessuno mette in dubbio, è un’Assemblea sovrana, è proprio per questo che deve dare l’esempio dell’osservanza della legge. E poiché per principio generale, sancito dall’articolo 15 del Codice civile, una legge non può essere abrogata che da una legge posteriore, noi non altrimenti possiamo modificare la disposizione dell’articolo 3 del decreto legislativo Luogotenenziale del 16 marzo 1946, che con una legge.

Concludendo, quindi, a me sembra che non possiamo dare il voto favorevole alla proposta aggiuntiva del regolamento che ci viene sottoposta. Poiché, peraltro, riconosciamo l’esattezza dei principî che la disposizione regolamentare avrebbe ispirato, possiamo o con un nostro progetto di legge proporre la modifica della legge, oppure con una mozione invitare il Governo a modificarla. (Applausi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Laconi. Ne ha facoltà.

LACONI. Onorevoli colleghi, io penso che noi siamo tutti sensibili al richiamo testé fatto dall’onorevole Zuccarini alla pubblica opinione, all’aspettazione con cui il Paese ci segue. Effettivamente, se noi abbiamo seguito le discussioni che si sono qui succedute con attenzione e con ammirazione per la mostra di acutezza, di competenza, di senno giuridico che ci è stata data, è indubbio che questa ammirazione non è andata disgiunta da un senso di viva preoccupazione nel vedere l’Assemblea avviarsi sopra un terreno di discussioni che sono sempre più distanti, sempre più estranee agli interessi vivi e concreti del Paese, e al travaglio che lo agita nel momento presente. (Approvazioni a sinistra). Con ciò non possiamo però giungere alle conclusioni cui l’onorevole Zuccarini è giunto. Se è indubbio che siamo tutti unanimi nell’affermare la sovranità assoluta, integrale di questa Assemblea, sovranità che le è stata conferita attraverso un voto del Paese, penso che non possiamo ignorare il fine pratico per cui l’Assemblea stessa è stata costituita, il mandato esplicito che essa ha ricevuto dal popolo all’atto della sua elezione. Questo mandato, onorevoli colleghi, consiste nell’espletamento dei lavori per dare al nostro Paese una Costituzione nuova, repubblicana e democratica.

Pare quindi evidente che il compito fondamentale, essenziale dell’Assemblea, deve essere appunto quello che il Paese le ha conferito mediante la sua manifestazione elettorale.

Noi non possiamo aderire alla tesi dell’onorevole Riccio, che il decreto per cui siamo stati in qualche modo mandati in questa sede, possa costituire un limite, una condizione ai lavori e agli interessi di questa Assemblea. Pensiamo che la sovranità dell’Assemblea debba essere assoluta e integrale, ma pensiamo anche che proprio da questo decreto dobbiamo trarre la conoscenza del compito che ci è stato assegnato, del mandato che ci è stato affidato; e dobbiamo quindi contenere e dirigere i lavori della nostra Assemblea nel senso che l’attività preminente alla quale dobbiamo dedicarci è quella di dare al Paese la sua Costituzione. Da qui sorge appunto la necessità di delegare il potere legislativo ordinario al Governo; necessità, ripeto, che risponde a uno scopo eminentemente pratico, che tende semplicemente a togliere all’Assemblea il peso di quei lavori che in questo momento le impedirebbero l’espletamento del suo compito fondamentale.

Ma il dubbio non è certamente sorto su questo punto, e non investe la sostanza della questione: è sorto sui limiti e sulle cautele che devono accompagnare questo conferimento di poteri ed ha investito interamente il principio e l’aspetto formale della delega stessa. Per quanto riguarda la prima di queste due questioni, cioè la questione dei limiti e delle cautele che devono accompagnare il conferimento dei poteri al Governo, credo che non vi possa essere dubbio alcuno che limiti e cautele vi debbano essere; ma lo stesso articolo 3 del decreto 16 marzo ne stabilisce esplicitamente alcuni, quando riserva l’esercizio del potere legislativo ordinario all’Assemblea su talune materie e prevede una iniziativa del Governo su tulle le altre.

Lo stesso decreto stabilisce la responsabilità del Governo di fronte all’Assemblea. Come si concreta questa responsabilità? Il decreto prevede soltanto il voto di sfiducia che comporta le dimissioni del Governo. Ma, in pratica, mi pare che tutti noi abbiamo dimenticato che il Governo stesso, sensibile a questa esigenza, cioè di rispondere concretamente all’Assemblea, si è ad essa presentato con un programma e su questo ha chiesto un voto di fiducia. Oggi la responsabilità del Governo, quale è prevista nel decreto 16 marzo, non è più una responsabilità generica, è una responsabilità concreta articolata in un preciso programma, sottoposto all’Assemblea Costituente e sottoposto al Paese.

L’Assemblea, a grande maggioranza, ha risposto alla presentazione di questo programma dando un voto di fiducia al Governo. Quale senso ha oggi riproporre la questione in termini formali? Questo chiedo, o signori. Ciò poteva avere un senso il 15 luglio e da parte di chi intendeva fare opposizione al programma del Governo, soprattutto per i suoi aspetti di programma legislativo. Questa è, mi pare, la posizione dell’onorevole Mastrojanni; ma tutto questo è stato superato dal voto del 25 luglio, con cui l’Assemblea ha approvato il programma nel suo complesso ed anche in quegli aspetti di programma legislativo che esso presenta, nonostante il voto contrario dell’onorevole Mastrojanni e dei suoi amici politici.

È evidente che questo voto di fiducia non significa una cambiale in bianco rimessa al Governo. È evidente che l’Assemblea conserva intatta la sua sovranità, secondo il mandato che il Paese le ha dato. Ma è anche evidente che noi non ci possiamo prestare a giuochi o manovre che tendano ad indebolire la fiducia che il Paese ha nel Governo e la forza che il Governo ha e che gli è necessaria per poter condurre a termine il suo mandato. Non ci possiamo prestare a giuochi di questo genere. La questione si pone in termini concreti, soltanto se teniamo conto del voto di fiducia che l’Assemblea ha dato al Governo ed al suo programma.

Il problema è, quindi, preciso. In qual modo l’Assemblea può controllare l’azione legislativa del Governo, può controllare che essa rientri nel programma che è stato approvato e come può controllare che questo programma venga effettivamente attuato?

Contenuto in questi termini, che sono i suoi termini reali, il problema trova una soluzione perfettamente idonea nel meccanismo delle Commissioni e nel diritto d’interpellanza. Attraverso il primo, l’Assemblea può controllare che il Governo mantenga la sua azione legislativa nei limiti che sono stati segnati dal programma da essa approvato; attraverso le interpellanze l’Assemblea può fare opera di stimolo sul Governo, affinché il programma su cui si è impegnato venga effettivamente attuato. Senza intralciare quindi i lavori del Governo da un lato, senza appesantire i suoi lavori dell’altro, l’Assemblea viene così ad esercitare un controllo, una critica costruttiva sull’azione del Governo. Ed è questo, signori, io penso, ciò che il Paese chiede oggi da noi: il Paese ci guarda con insoddisfazione, direi quasi con delusione, quando vede che ci attardiamo su disquisizioni giuridiche che possono essere formalmente preziose, ma che non hanno alcun contenuto pratico e non rispondono alle esigenze, alle aspirazioni del popolo. Il Paese ci segue con delusione, signori; chiede che noi esercitiamo un’opera, una funzione attiva nei confronti del Governo, che lo stimoliamo nella sua opera legislativa, dandole un avviamento che dovrà essere inerente alla nuova Costituzione che noi elaboriamo, e ciò nel senso di portare le masse popolari italiane, in questo difficile momento della vita nazionale, a superare il travaglio in cui attualmente si trovano, ad uscire da una situazione di emergenza, a poter affrontare con serenità, in pace, il futuro che esse stesse, con la loro forza, con la loro serenità, col loro lavoro, dovranno domani costruire. (Applausi a sinistra).

Presidenza del Presidente SARAGAT

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Mazzei. Ne ha facoltà.

MAZZEI. Onorevoli colleghi, mi pare che la discussione si sia ormai così ampiamente svolta che se ne possano rapidamente fermare i punti essenziali. L’origine della discussione è stata la serie di osservazioni che l’onorevole Calamandrei, a suo tempo, sollevò per far rilevare che c’era un problema da risolvere, quello dei rapporti tra Assemblea Costituente e Governo.

Oggi noi discutiamo su di una modifica al Regolamento della Camera, con la quale modifica si sarebbe dovuto – almeno alcuni lo hanno pensato – risolvere quel problema. In realtà le chiarificazioni fornite dall’onorevole Perassi sono state definitive in proposito; egli ha precisato che la proposta di aggiunta al Regolamento della Camera, non incide in alcun modo sul decreto legislativo luogotenenziale 16 marzo 1946 e che, quindi, i rapporti fra Assemblea e Governo rimangono esattamente quali erano prima; e rimanendo come erano prima, si ha che la Assemblea Costituente è priva del potere legislativo ordinario e quindi di qualsiasi iniziativa legislativa, perché è chiaro che se non ha competenza legislativa ordinaria non può avere iniziativa per le leggi ordinarie.

Ora il problema sorto era proprio quello di vedere se questo potere legislativo ordinario dovesse spettare alla Costituente e, una volta chiarito questo punto, se l’Assemblea dovesse, e in quale misura, trasferirlo al Governo.

Tutti gli oratori hanno affermato che l’Assemblea Costituente è sovrana; ma dire questo significa dire che essa detiene anche il potere legislativo, come è nelle tradizioni di tutte le Assemblee Costituenti. Ed allora noi dobbiamo cercare di mettere d’accordo la situazione attuale con la nostra coscienza e con la nostra convinzione; poiché è un fatto che la Costituente è rimasta tal quale era stata predisposta in regime monarchico, quando poteva essere legittima la preoccupazione di non far coesistere con il potere del luogotenente il potere legislativo della Costituente.

L’ipotesi dalla quale partiva l’onorevole Calamandrei, che la proposta modifica al Regolamento volesse significare che l’Assemblea detiene il potere legislativo, è caduta, ed allora cade anche la conclusione che, nonostante alcune incongruenze giuridiche, quella modifica risolvesse praticamente abbastanza bene il problema dei rapporti fra Governo e Assemblea. Ma io nego che vi sia implicita nella legge l’affermazione della sovranità della Costituente, anzi dico che v’è una affermazione contraria, perché vi è il richiamo espresso al decreto legislativo luogotenenziale del marzo, che limita la competenza dell’Assemblea alla sola materia costituzionale e lascia esclusivamente al Governo l’attività legislativa ordinaria.

La modifica al Regolamento che oggi è in discussione, fa esplicito e reiterato richiamo alla competenza dell’Assemblea Costituente come determinata dal citato decreto luogotenenziale. La Costituente, quindi, se si limita, senza riserve, ad accettare la proposta modifica del Regolamento, riconosce la sua non sovranità, perché accetta la determinazione della propria competenza da parte d’un’autorità che non è quella propria.

Ora è chiaro che la Costituente in tanto è veramente sovrana in quanto ha la competenza di determinare la propria competenza. Qui, nella Assemblea, vi sono valenti giuristi, che possono darmi atto della validità di questo elementare principio.

Qual è allora la via dì uscita? Si può anche ammettere la proposta di modifica al Regolamento, ma con l’impegno di presentare all’Assemblea una legge che regoli in via provvisoria questa e magari altre materie costituzionali, che quindi venga a far cadere quel famoso decreto legislativo, di cui l’onorevole Calamandrei ha dimostrato l’invalidità per quanto riguarda la delega al presente Governo che può esser data validamente solo dalla Costituente.

Ho chiesto di parlare, semplicemente perché mi è parso che fosse troppo diffusa l’opinione che il decreto legislativo del marzo sia una specie di tabù, una superlegge, una specie di statuto non modificabile. Contro questa interpretazione appunto noi ci siamo battuti lungamente. È chiaro che non avremo altra via di uscita che di votare contro questa modifica del Regolamento, se essa significa convalida del decreto del marzo; mentre potremo anche votare a favore, se la modifica non ha altro significato che la predisposizione di alcune norme interne funzionali, in attesa che venga presentato – e noi ne promoveremo in una delle prossime sedute, l’elaborazione da parte di un’apposita Commissione speciale – un progetto di legge che dovrebbe considerare non soltanto i rapporti fra Governo e Assemblea, ma anche altre materie costituzionali in relazione al decreto del marzo: cioè non soltanto in relazione all’articolo 3, ma anche in relazione agli articoli 4, 5 e 6, non adeguati alla situazione repubblicana, ed anche all’esigenza di modificare il nome di Capo provvisorio dello Stato in quello naturale di Presidente della Repubblica.

La nuova legge non dovrà gravare l’Assemblea di eccessiva fatica, distraendola dalla normale sua funzione, che è quella di fare la costituzione. Noi possiamo dare tutti i poteri al Governo, se ha bisogno di altri poteri, in un periodo, come questo, di trapasso di regime, che ha un carattere rivoluzionario, che nessuno di noi vuole togliere ma se mai accentuare. Possiamo dare al Governo tutti i poteri, ma glieli dobbiamo dare noi. Non si può procedere a caso: una volta che viene in campo un problema giuridico e politico insieme, dobbiamo risolverlo secondo i dettami della logica politica e giuridica.

Noi proporremo nella prossima seduta esattamente questo: una apposita Commissione, che dica specificatamente quali materie costituzionali debbono essere regolate da una legge costituzionale provvisoria, ne rediga lo schema e lo presenti all’Assemblea. Mi pare che così le cose si chiariscano molto più nettamente e che si rendano veramente feconde le nuove Commissioni previste dall’aggiunta al Regolamento.

Le proposte Commissioni possono essere molto utili nel funzionamento della Camera; ma proprio perché vogliamo che l’Assemblea collabori efficacemente col Governo nell’esercizio della funzione legislativa, e abbia anche potere d’iniziativa, ciò non vuol dire togliere alcunché al Governo. Vogliamo avere quell’iniziativa senza la quale la Costituente risulterebbe diminuita. E mi pare che non sia nell’interesse di nessuno – soprattutto dei partiti di sinistra – di vedere diminuita l’autorità dell’Assemblea. (Applausi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Gullo Rocco. Ne ha facoltà.

GULLO ROCCO. Onorevoli colleghi, molte parole sono state dette, e soprattutto sono state lette, su questo argomento di cui oggi ci occupiamo. In un momento in cui il Paese si dibatte in una crisi paurosa, noi vediamo ingaggiare una battaglia per sapere se ciò che dobbiamo discutere è la modifica della legge o semplicemente la modifica del Regolamento.

A parere del Relatore, espresso ieri, e a parere nostro, si tratta di una modifica del Regolamento e non della legge del marzo 1946; ma quando anche fosse una modifica della legge, noi socialisti non ci spaventeremmo per questo. La legge suprema, ancora una volta, è la salute pubblica. Con questo non temano gli avversari, che mi hanno espressamente richiamato al riguardo, che da questa parte si pensi a tramutare l’Assemblea Costituente in una Convenzione. Non ne abbiamo bisogno. Abbiamo dalla nostra la forza del numero; non solo del numero dei deputati, ma soprattutto del numero degli elettori che hanno espresso la maggioranza di questa Assemblea. Noi non trasformeremo in una Convenzione l’Assemblea Costituente. Ed ancora una volta manifesto il mio rammarico, come feci ieri, per il tono drammatico che in questo momento, in cui purtroppo il dramma c’è, ma non è quello della modifica del Regolamento dell’Assemblea, si è voluto dare alla discussione di ieri e di oggi.

La questione è stata discussa in termini giuridici. Io penso che su questa, come purtroppo su tutte le altre questioni giuridiche, gli argomenti non manchino né da una parte né dall’altra. Ma credo che l’impostazione da darsi non sia, o non debba essere soltanto giuridica, ma soprattutto politica.

All’onorevole Crispo che ieri disse inammissibile una modifica della legge, «perché i poteri e la funzione della Costituente erano presenti al popolo quando elesse la prima Assemblea della Repubblica Italiana», io potrei rispondere che se è vero che il popolo italiano votò in base alla legge del marzo 1946, è altrettanto vero che esso non avrebbe avuto la possibilità di votare in modo diverso. Il popolo fu chiamato ad eleggere i propri rappresentanti: scelse la lista che più si adattava alle sue idee, scelse in quella lista gli uomini che preferiva ed era questo tutto ciò che poteva fare e che fece. Ora è l’Assemblea che interpreta la volontà del popolo sovrano e se questa Assemblea decidesse di modificare, anche sostanzialmente, non con una modifica di regolamento, ma con un’altra legge, la legge del marzo 1946, credo che nessuno potrebbe gridare all’eresia ed alla iconoclastia.

Gli avversari si dividono in due gruppi: quello dell’estrema destra, gli uomini dell’«Uomo Qualunque», i quali sostengono che la modifica attuale è troppo poca cosa e che occorre non soltanto modificare la legge ma addirittura disconoscere la legge. Essi inficiano la legittimità delle leggi del marzo 1946 come vorrebbero inficiare la legittimità di tutte le leggi del Governo dei Comitati di Liberazione Nazionale. Dall’altra parte vi sono i liberali, gli uomini della difesa costituzionale, i quali dicono che la legge del marzo 1946 è inviolabile ed intangibile.

Noi socialisti poniamo questo punto fermo: la legittimità della legge del marzo 1946, così come la legittimità di tutte le leggi emanate dal Governo dei Comitati di Liberazione Nazionale. Però non confondiamo, e non vogliamo confondere, la legittimità con la intangibilità di una legge. La legge è legittima, ma l’Assemblea Costituente che riceve il suo potere dal popolo sovrano può anche modificarla. E che non si tratti di iconoclastia, ce lo dice lo stesso onorevole Calamandrei che non oso chiamare maestro, non fosse altro che per non invecchiarlo, il quale non è certamente un iconoclasta né un eretico del diritto e che pure ha approvato la modifica, lamentando solo, o facendo qualche appunto, per il fatto che si voglia arrivare allo scopo con una modifica del Regolamento, anziché con una vera e propria modifica della legge che egli, da giurista, ritiene possibile, mentre altri giuristi che si proclamano suoi allievi, parlano di iconoclastia a proposito di tale modifica.

Della discussione si è approfittato per denunciare «le inaudite violenze legislative che si commettono da parte del Governo ai danni del popolo sovrano». Queste furono le parole dell’onorevole Castiglia che io ho ricavato dal resoconto stenografico di ieri. Ed oggi ho sentito un altro oratore di destra parlare di appropriazione indebita, pur con riferimento soltanto al campo legislativo, e di usurpazione di poteri da parte del Governo. Dichiaro che queste espressioni che vengono da parte degli oppositori, mentre mi irritano, perché ingiuste e inopportune, sotto un certo aspetto mi danno un vero senso di compiacimento: anche se irritato per la ingiustizia delle accuse, sono, come uomo libero, compiaciuto che finalmente, dopo venti anni di servaggio, si possa, in una libera Assemblea, da parte di rappresentanti di una minoranza, parlare male del Governo, sia pure ingiustamente. Questo noi non potevamo fare, cari avversari, negli anni passati, perché l’esprimersi nei confronti del Governo con parole anche molto più misurate di quelle da voi adoperate, avrebbe potuto farci correre il rischio, e non soltanto il rischio, della galera o del confino.

Una voce a destra. Siamo d’accordo.

GULLO ROCCO. L’onorevole Castiglia si è lagnato dell’emendamento proposto dall’onorevole Taviani, che riduce da 50 a 25 il numero dei deputati ai fini della rappresentanza nelle Commissioni, aumentando in tal modo il numero dei Commissari. E si è lagnato perché questo sistema potrebbe portare a dare una grande maggioranza ai partiti di massa nelle Commissioni. La colpa non è del Regolamento né dell’emendamento; è degli elettori, i quali hanno, nella stragrande maggioranza, dato i loro voti a questi partiti di massa, i quali, quindi, hanno il diritto, secondo la democrazia parlamentare, di esercitare il potere, perché, io credo, la democrazia parlamentare consista nel Governo affidato alla maggioranza col rispetto del diritti della minoranza. E noi, socialisti, di questi diritti della minoranza siamo stati difensori e assertori, quando eravamo minoranza; siamo assertori e difensori oggi che siamo ancora minoranza, sia pure partecipando parzialmente al Governo; saremo difensori e assertori – possono esserne sicuri anche gli avversari – quando saremo maggioranza (Approvazioni).

Dunque, noi socialisti siamo per la modifica e, ripeto ancora una volta, non vogliamo drammatizzare. Questa modifica è sentita dalla maggioranza di noi e – posso dirlo, senza timore di essere smentito – è sentita dalla maggioranza del Paese. Perché è vero che la legge istitutiva dell’Assemblea Costituente parlava di potere legislativo delegato soltanto al Governo, e di campo costituzionale, augusto, ma limitato, dell’Assemblea Costituente. Ma è anche vero che il popolo, nel momento in cui dava il proprio voto, intendeva nominare i propri rappresentanti, quelli che avrebbero dovuto rappresentare, difendere i suoi interessi, portare a Roma la voce del popolo delle provincie e del popolo delle grandi città. E in fondo questa necessità, che tutti abbiamo sentita, la sentiamo anche di più in questo momento, in cui non è cominciato ancora il vero lavoro dell’Assemblea, in quanto il lavoro della preparazione dello Statuto è devoluto soltanto a una ristretta Commissione. Noi, pur nella tragica crisi, in cui si dibatte il Paese, non abbiamo potuto fare altro che riunirci una prima volta per nominare le cariche, andarcene a casa, riunirci più tardi, per discutere, e, oso dire, per discutere un po’ a vuoto, le dichiarazioni del Governo, in un momento in cui, viceversa, si sentiva il bisogno di qualche cosa che si poteva fare, che si doveva fare, per andare incontro alle sofferenze del nostro popolo. In un momento, in cui tutti dicevano: «Cosa fa il Governo?»; e qualche volta lo dicevamo anche noi; molti si chiedevano: «Cosa fa la Costituente?». Quando noi e voi diciamo al Governo che ha fatto male ad emanare quella tale legge o fa male a non emanarne una tal’altra legge; in fondo diciamo qualche cosa, che è in contrasto con l’atteggiamento, che assumono coloro, i quali vorrebbero lasciare al Governo il campo legislativo; perché la critica è una bella cosa, ma penso che bisogna anche aiutare il Governo. Ed in fondo questa modifica evita che si possa, da parte di Governo, cadere in quegli errori, che, a torto o a ragione, sono stati deplorati, perché essa ci dà la possibilità di collaborare col Governo prima ancora che le leggi vengano emanate.

Oltre la legge sono stati presentati degli emendamenti.

Il pensiero del Partito Socialista è che il primo emendamento, quello proposto dagli onorevoli Togni, Taviani e Braschi, e che si riferisce al momento in cui la sessione dei lavori dell’Assemblea sia chiusa, si debba approvare.

Non è possibile che durante la chiusura dell’Assemblea Costituente cessi l’attività legislativa del Governo. In ogni caso la Commissione, che è espressione e rappresentanza dell’Assemblea, manifesterà al Governo il proprio pensiero, e farà le osservazioni del caso.

Circa il secondo emendamento, quello dell’onorevole Caroleo, il pensiero del Partito Socialista è che si possa approvare solo per la prima parte, cioè per i disegni di legge rinviati, a norma dell’emendamento precedente, e non per tutti gli altri disegni che le Commissioni avranno ritenuto di non sottoporre alla deliberazione dell’Assemblea.

Giacché la prima parte l’emendamento è logica, mentre la seconda parte – che riguarda tutti i disegni di legge rinviati senza osservazioni – se fosse accettata, verrebbe ad aggravare enormemente il lavoro dell’Assemblea. E a questo siamo contrari, non per ragioni di principio, ma per ragioni di ordine pratico.

Circa l’emendamento Taviani, per cui le Commissioni dovrebbero essere composte su designazione degli uffici in ragione di un delegato per quelli che comprendono non più di 25 deputati e di uno per ogni 25, senza computare le frazioni, per gli altri uffici, noi siamo d’accordo, come ho già detto rispondendo all’onorevole Castiglia.

Vi è infine l’emendamento Persico, che dice: «Su tutti i disegni di legge, sui quali dovrà deliberare l’Assemblea Costituente (comprese le proposte di legge d’iniziativa parlamentare), riferirà all’Assemblea la Commissione competente per materia».

Questo emendamento sarebbe stato in contrasto con un comma che è stato soppresso in una successiva redazione della proposta di aggiunta, e tende ad estendere ed intensificare ancora di più l’attività legislativa dell’Assemblea.

Noi non lo voteremo ma, a malincuore, perché teoricamente, e per tendenza, saremmo per l’invadenza – non abbiamo timore della parola – nel campo legislativo.

Ma abbiamo la preoccupazione che hanno tutti coloro che vogliono vedere arrivare in porto al più presto e bene la costituzione repubblicana. Siamo legati dall’articolo 4 della legge del marzo 1946, che segna il limite molto breve della nostra esistenza di Assemblea. Noi dovremo infatti completare il nostro lavoro, per quelle che sono le funzioni specifiche dell’Assemblea Costituente, nel termine di otto mesi, che può essere prorogato al massimo di altri quattro mesi. E noi socialisti, che abbiamo iniziato per primi la battaglia per la Costituente, e con l’aiuto degli altri partiti democratici l’abbiamo vinta, siamo impegnati a dare al popolo italiano la nuova Costituzione, la nuova struttura dello Stato democratico.

L’onorevole Calamandrei è stato citato largamente e voglio ora citarlo anch’io, visto che è stato citato da amici e da avversari.

Egli è stato il propulsore, l’iniziatore, di questa proposta aggiuntiva. La proposta è nata per quello che egli aveva detto sin dalle prime sedute dell’Assemblea Costituente. E quando ha parlato ieri, non ha fatto solo intravedere, ma ha chiaramente espresso il suo desiderio di una più profonda modifica che dovrebbe andare più in là della modesta proposta di modifica del Regolamento. Però lo stesso onorevole Calamandrei, pur desiderando che l’attività dell’Assemblea Costituente si estenda al campo legislativo, da quel sincero repubblicano che è, ha manifestato una preoccupazione che tutti noi condividiamo e che si è concretata nelle sue ultime parole: occorre che questo lavoro legislativo non soverchi l’altro lavoro per la Costituente; occorre che le Commissioni non mandino all’Assemblea troppa materia, se non quella strettamente necessaria. Giacché appunto la questione ha due aspetti. L’Assemblea Costituente non può delegare tutto al Governo e in questo la maggioranza è d’accordo col Governo. Ciò che ieri io dicevo e che credo sia stato male interpretato, cioè che qui non si tratta di un contrasto fra due entità, fra due organismi politici di diversa origine, perché il Governo è l’espressione dell’Assemblea, per lo meno della maggioranza dell’Assemblea, e l’Assemblea è l’espressione del Paese, della volontà del Paese, mi ha procurato la definizione di socratico da parte di un giornale liberale. Ma si tratta di un concetto che vale la pena di riaffermare. Se noi facessimo il contrario, cioè se delegassimo al Governo una parte dei nostri poteri, noi con questo offenderemmo il diritto delle minoranze. In sostanza il Governo è espressione dell’Assemblea, ma solo di una. parte, di una gran parte, della maggioranza dell’Assemblea. Ma nell’Assemblea sono rappresentati anche partiti che non sono rappresentati al Governo. Ora se noi, con un colpo di maggioranza, volessimo attribuire al Governo una parte delle nostre facoltà, commetteremmo veramente cosa anticostituzionale, cosa pericolosa e lesiva per i diritti delie minoranze. Ma qui si tratta proprio del caso inverso: si dà un’interpretazione larga, estensiva alla stessa disposizione dell’articolo 3, che dava appunto facoltà al Governo di devolvere all’esame dell’Assemblea Costituente qualsiasi legge e non soltanto le leggi costituzionali, le leggi elettorali e i trattati di pace. Quindi noi oggi con una modifica di Regolamento o con una modifica di legge non facciamo che trasferire. all’Assemblea Costituente e, cioè ad un’Assemblea nella quale sono rappresentate anche le minoranze, una parte dell’attività legislativa. Questo è il primo aspetto del problema.

Il secondo aspetto è la necessità che l’Assemblea Costituente non dimentichi la sua funzione precipua. Noi dobbiamo fare la Costituzione e farla nel termine previsto, ed io vi confesso che mentre sono stato un assertore convinto della necessità che l’Assemblea Costituente si occupasse anche di attività legislativa, e al riguardo sarei stato ben lieto di condividere il pensiero dell’onorevole Persico e di accettare il suo emendamento, sono rimasto scosso da quanto è accaduto ieri, per cui oggi penso che noi, pure accettando il principio di una maggiore attività dell’Assemblea Costituente, non dobbiamo perdere di vista un grave pericolo. L’onorevole Badini Confalonieri si è dispiaciuto di un appunto di ostruzionismo che io posso anche aver fatto, ma che ho fatto anzitutto soltanto in linea di ipotesi e riferendomi alla sostanza e non alle intenzioni, e che oggi per meglio precisare potrei riferire solo ad una parte di coloro che hanno proposto la questione pregiudiziale, e non a tutti. Ieri, dopo quello che è accaduto, dopo la proposta di sospensiva e di pregiudiziale e dopo la proposta di appello nominale, mi sono chiesto se qui non si voglia veramente sabotare i lavori della Costituzione (Rumori) e impedire che nel termine previsto il popolo italiano abbia la sua Costituzione; tanto più, onorevoli colleghi, che da parte dei paladini dell’inviolabilità della legge del marzo 1946 si parla di referendum, di un referendum che non è previsto dalla legge del marzo 1946. (Commenti – Interruzioni).

E del resto il referendum è stato fatto, ed è stato fatto per volontà delle destre, ed ha avuto quel risultato che noi sappiamo. Poi è venuta la Costituente, la quale darà la Costituzione. Io non so quale obbligo giuridico, morale e politico potrebbe avere la Costituente ad accettare un nuovo referendum. Voi potete dire che noi possiamo modificare; ma dovete anche riconoscere che se non vogliamo modificare, facciamo cosa che rientra nel nostro diritto di rappresentanti del popolo. (Commenti).

Non è il referendum che noi temiamo; noi temiamo solo che in nome della democrazia e della libertà, di cui oggi parlano anche uomini che ieri bestemmiavano contro la democrazia e la libertà, si tenti il sabotaggio della vera democrazia, il sabotaggio della vera libertà. (Applausi a sinistra).

Tutto ciò, onorevoli colleghi, onorevoli avversari, non farà venir meno la nostra fiducia, che è illimitata, nella democrazia o nella libertà. Ma la democrazia non è debolezza, e noi che abbiamo ricevuto il mandato dal popolo sovrano, sapremo difendere gli interessi della grande maggioranza del popolo italiano. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlale l’onorevole Colitto. Ne ha facoltà.

COLITTO. Onorevoli colleghi, non credo di ingannarmi, se mi permetto di affermare che la richiesta di sospensiva, di cui la Camera ebbe ieri ad occuparsi, per lo meno valse ad indurre, sia la Giunta del Regolamento, sia il Governo, ad esprimere con chiarezza – uscendo dal serafico insinuante atteggiamento prima preso – il loro pensiero in ordine alla portata, soprattutto giuridica, dello articolo, di cui si domanda l’inserzione nel Regolamento della Camera.

Bisogna rendere omaggio sia all’illustre onorevole Perassi, sia all’insigne onorevole Cappa per la loro, sia pure non eccessivamente spontanea, sincerità. Ma oltre che per altre ragioni, proprio perché essi han parlato come ieri han parlato, l’Assemblea, ove voglia davvero esser fiera custode della sua sovranità, non dovrebbe ora esitare un istante a negare la propria approvazione alla proposta formulazione dell’articolo.

Siamo stati noi – giova ancora una volta affermarlo – prima e dopo del chiarissimo onorevole Calamandrei, ad affermare che questa Assemblea è sovrana, che è essa, anzi, il solo organo che può vantare di esercitare una sua legittima sovranità indiscutibile; organo innovatore, avente in sé non solo l’origine di tutti i poteri, ma anche la possibilità di crearli: prima, con un articolo, pubblicato su un nostro quotidiano, il giorno stesso, in cui l’Assemblea per la prima volta si riunì, e dopo con il chiaro discorso del collega onorevole Mastrojanni, di cui non disconosciamo che avremmo gradito il ricordo nella relazione della Giunta del Regolamento.

Siamo stati noi, che, in molteplici occasioni, abbiamo ripetuto che all’Assemblea Costituente, in virtù dell’articolo 3 del decreto legislativo luogotenenziale 16 marzo 1946, n. 98, spetta non solo il potere costituente, cioè il potere di formare la Costituzione, che non è, come tutti ben sanno, una legge, pur avendo valore giuridico, concretandosi in una serie di canoni di orientamento per la funzione legislativa ordinaria; ma anche un potere legislativo, cioè il potere di deliberare norme di diritto positivo. Ed abbiamo altresì ricordato i campi, nei quali tale potere deve svolgersi, sottolineando che all’Assemblea compete soprattutto nel campo costituzionale, che è da ritenersi, quindi, sicuramente sottratto al potere legislativo, che il Governo si delegò o – rectius – si riservò con l’articolo 3 innanzi ricordato. Se un dubbio in proposito esistesse, sarebbe subito fugato dalla dizione del primo comma dell’articolo, di cui si propone l’inserzione nel Regolamento.

Siamo stati noi, che, in molte manifestazioni di stampa, abbiamo pregato il Governo di ricordarsi «sempre» del primo capoverso del ripetuto articolo 3 e di sottoporre perciò «sempre» all’esame dell’Assemblea gli argomenti, che lealmente ritenesse doversi considerare materia costituzionale, sentendo in tal caso il ricorso all’Assemblea non più come una facoltà, ma come un dovere.

Ed intanto, ora che dalla Giunta del Regolamento ci si dichiara che ci si viene incontro e che qualche cosa che va al di là di quei nostri voti è stata accolto, eccoci ad invitare l’Assemblea a negare l’approvazione alla proposta di aggiunta al Regolamento di un articolo, che qualche cosa di più di quei voti nel suo testo appunto consacrerebbe.

Ma il nostro atteggiamento non potrà essere affatto considerato contraddittorio da chiunque si faccia a considerare la realtà senza passione di parte, avendo come guide il proprio intelletto, il proprio senso di responsabilità, la propria dignità.

Soprattutto dopo quanto, infatti, ebbero ieri a dichiarare esplicitamente l’onorevole Perassi ed il rappresentante del Governo, non è possibile, a mio modesto avviso, accogliere la proposta.

Un regolamento, lo si è rilevato (e qualunque cosa si dica in contrario è irrilevante), non può contenere che norme di esecuzione di una legge. È sempre in una legge che una norma regolamentare deve trovare la sua base. Orbene, dalla Giunta del Regolamento si scrive nella relazione, con un’aria di infinita ingenuità, che l’articolo in esame non ha già la sua base nella legge, ma – non lo si crederebbe! – in una dichiarazione fatta il 25 luglio scorso dall’onorevole Presidente del Consiglio a nome del Governo. Per i cultori di diritto la novità è degna veramente di ogni attenzione! E questa Assemblea, che è formata da menti elette e da giuristi di riconosciuto valore, dovrebbe nientemeno sottoscrivere affermazioni del genere, come se rappresentassero la quintessenza della esattezza giuridica, o a tale esattezza, per lo meno, si avvicinassero!

Ma – checché sia di ciò – non è dubbio che, se insomma si vuole veramente consacrare in una norma, – con lealtà, senza equivoci ed evitando la mezze misure – la sovranità dell’Assemblea, bisogna modificare la legge, perché la legge riserva al Governo il potere legislativo, tranne che per le leggi elettorali, per le leggi di approvazione dei trattati e per le leggi in materia costituzionale, e secondo la legge il Governo può, solo se lo crede, presentare all’Assemblea gli altri disegni di legge, mentre ora si dice che si intende far vagliare tutta la legislazione dell’Assemblea Costituente, la quale dovrebbe naturalmente poter esprimere pareri vincolanti per il Governo ed avere, senza dubbi, il diritto di iniziativa in materia legislativa.

Ora, quando dall’onorevole Perassi e dal rappresentante del Governo non si esita a dichiarare che la legge è quella che è e che con l’articolo proposto non si intendono recare innovazioni alla legge, si confessa, in un modo che più non potrebbe essere esplicito, che si è ben lungi dal voler riconoscere la sovranità dell’Assemblea, che tutti amano affermare non potersi porre in dubbio. Dichiarare che la legge è quella che è e che s’intende assicurare la continuità della legge, significa dire che il nuovo articolo del Regolamento non vincola affatto il Governo, che, pertanto, potrà disapplicarlo tutte le volte che ne avrà talento. E noi daremo, così stando le cose, la nostra approvazione?

Ma a che insistere, se per taluni autorevoli colleghi il riconoscimento della sovranità della Costituente non ha importanza? Non avete sentito ieri dire che il Governo è espressione della Costituente c che, siccome la Costituente è stata nominata dal popolo, tutto quello che fa il Governo è ben fatto per il popolo? Aliis verbis, la Costituente non avrebbe alcuna ragione d’essere!…

Ma, se anche non volessimo toccare la legge, per assicurarne appunto la continuità, ed una futuristica impossibile dottrina giuridica ci consentisse di affermare con esattezza che una norma regolamentare può trovare la sua base non in una legge, ma nell’impegno morale di una sia pure altissima autorità, neppure allora, o colleghi, potremmo dare la nostra approvazione alla proposta, perché l’Assemblea – come è stato già esattamente rilevato – non deve fingere di ignorare che quell’altissima autorità, dopo avere annunziato un programma eufemisticamente detto di avviamento a riforme, che riguardano materia sicuramente costituzionale, ha cominciato a dar vita a norme di diritto positivo, come se né l’articolo 3 predetto, né l’Assemblea Costituente, né gli impegni morali esistessero, e che l’approvazione del programma da parte dell’Assemblea non gli dava mai il diritto di realizzarlo nelle forme delle quali si è avvalsa. Or, può l’Assemblea ritenere che si terrà fede ad impegni morali, quando essa ben sa che è già stata violata, in subiecta materia, una precisa disposizione di legge, quando l’Assemblea sa che dal 25 luglio ad oggi è stato annullato sia il vincolo derivante dalla legge, sia quello derivante dall’impegno?

Contro tali violazioni, che non sfuggono all’attenzione ed alla sensibilità del popolo, eleviamo di nuovo la più formale protesta, in attesa che la magistratura dichiari quelle norme non valide, comeché emanate da un potere, che ad emanarle non aveva competenza funzionale, ed in attesa, d’altra parte, che il nuovo Parlamento, cui, in virtù dello articolo 6 del decreto suddetto, pur dovranno essere quei provvedimenti legislativi presentati per la ratifica, si rifiuti di ratificarli.

Concludo così. Vogliamo, o colleghi, che si diradi questa atmosfera di discredito, di sfiducia, di inutilità, che sembra vada macerando le anime, inducendo un po’ tutti a parlare di disgregazione della vita nazionale, per cui vien fatto talvolta di pensare se la Costituzione non sia per arrivare troppo in ritardo? Ebbene, formiamo un blocco solo di menti, di cuori, di spiriti, un blocco solo, che sia vigile sentinella a fianco ai destini della nostra Patria immortale. Vogliamo veder trionfare in Italia non una demagogia grottesca e sinistra, ma la vera democrazia? Ebbene, instauriamo un costume di grande sensibilità, di immensa lealtà, di ineccepibile correttezza politica. Vogliamo veramente riconoscere la piena sovranità di questa Assemblea? Ebbene, intervenga una legge. O una nuova legge – diciamo noi – esplicita, chiara, precisa, o restino le cose come sono. In applicazione del ricordato articolo 6 – che, approvandosi la proposta, si potrebbe domani sostenere essere stato tacitamente abrogato – il Governo dovrà pure un giorno, di fronte al Paese ed alla storia, dar conto di tutti quei suoi atteggiamenti, che non appariranno espressione piena di indiscutibile legalità. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole La Malfa. Ne ha facoltà.

LA MALFA. Onorevoli colleghi, vorrei semplificare questo dibattito, che mi pare abbia preso proporzioni un po’ troppo ampie. E mi pare che si sia andati un po’ fuori strada. Qui si fa questione della sovranità dell’Assemblea Costituente, di violazione dei diritti del popolo, di illegalità o illegittimità della legislazione dei Governi di Comitato di liberazione nazionale. Mi pare che in primo luogo ci sia una questione che non è attinente allo schieramento politico. Non si può parlare, su questa questione, di partiti di destra o di sinistra, di qualunquisti o di comunisti; essa riguarda, direi, la metodologia e la serietà politica dei lavori e delle deliberazioni dell’Assemblea.

E il problema, come dicevo, non riguarda lo schieramento politico, almeno per parte mia, ma è un problema di metodologia nei lavori dell’Assemblea.

Certamente questa norma regolamentare modifica il decreto legislativo del marzo 1946. Ora questa norma non può modificare una legge ed io pregherei gli amici della sinistra di esaminare ciò. Non si tratta di sottigliezza giuridica – qui se ne è fatta molta – ma si tratta, direi, di rispondere a quelle che sono le responsabilità principali dell’Assemblea, cioè di sapere quello che esattamente essa deve fare.

Una norma regolamentare non può modificare una legge, e nessuno qui, e della destra e della sinistra, può dire che questa norma regolamentare non modifichi la legge del marzo 1946, a meno che questa Assemblea non si sia convertita in una Assemblea di gente molto semplice.

Badate che se noi superiamo una questione di questo genere, le conseguenze giuridiche, ossia i cavilli giuridici di una posizione di questo genere, saranno infiniti. Cioè, volendo superare una questione che ha una certa importanza, così, sbrigando le cose con facilità, andiamo incontro ad una serie di conseguenze, come ne siamo andati incontro quando abbiamo varato certe leggi epurative con tanta facilità.

Questo è il nocciolo della questione, ed è pregiudiziale: cioè, è impossibile che questa Assemblea voti una norma regolamentare che modifichi una legge.

Stabilito questo – e credo che dobbiamo essere unanimi nel respingerlo – una Commissione che possiamo nominare subito terrà conto della sostanza del dibattito e dello schieramento e nel presentare una norma legislativa che può riprodurre esattamente anche la norma di regolamento interno, può risolvere i problemi che si sono affacciati, che sono problemi di far sì che il Governo possa funzionare con sollecitudine, di far sì che l’Assemblea Costituente non sia distratta dal suo compito fondamentale, che è un compito di ordine costituzionale, di far sì di ritenere legittimo il decreto del marzo 1946, che allora fu emanato in condizioni di assoluta legittimità, e di poterlo modificare, perché adesso la situazione politica del Paese è diversa.

Quindi, ripeto, la questione è pregiudiziale per l’Assemblea Costituente, per ragioni, direi, di un principio giuridico che è anche un principio politico, che sta alla base della vita del Paese; perché se facciamo leggi o regolamenti in maniera strafalcionesca, nessuno capirà più niente della legge del 1946 modificata attraverso uri regolamento interno. Dopo di che possiamo discutere questa legge e in ciò fare possiamo ritenere che l’Assemblea deve essere tratta ad esaminare la situazione reale del Paese.

Questa sì che è una questione importante. Cioè, il Paese non può essere trascinato in questioni, direi, un po’ cavillose e noi cerchiamo in questa legge di facilitare il compito del Governo e il nostro, e andare incontro a quelle che sono le esigenze del Paese stesso. (Applausi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Perrone Capano. Ne ha facoltà.

PERRONE CAPANO. Rinuncio.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Bellavista. Ne ha facoltà.

BELLAVISTA. Onorevoli colleghi, malgrado le assicurazioni dell’onorevole Gullo, i nostri dubbi, anzi le nostre certezze sull’inopportunità di votare l’articolo aggiuntivo al Regolamento interno della Camera, rimangono e permangono. E ne spiego subito il perché, non senza prima – me lo consenta l’onorevole Gullo – aver fatto rilevare, per incidenza, che una volta tanto egli ed i suoi amici socialisti si trovano d’accordo coi qualunquisti nell’iconoclastia del decreto 16 marzo 1946.

Non c’è dubbio. La posizione di noi liberali non è precisamente quella a cui egli alludeva poc’anzi: noi non difendiamo la legge solo per la sua legittimità; la difendiamo in quanto quelle ragioni che – «necessitate cogente» – la dettarono, oggi rimangono vive e vitali a giustificarla. E rimangono tali per ragioni di competenza, materiale e funzionale. Io devo, mio malgrado, ritornare sul famoso articolo 3 e orientarmi sullo spirito per il quale esso fu ordinato, spirito destinato a far sì che l’Assemblea Costituente si occupasse e dei trattati internazionali e della legge elettorale e della costituzione. È questa la ragione per la quale il Governo si autodelegò – «necessitate cogente» – quella facoltà di provvedere all’ordinaria amministrazione.

Ora, la ragione vera ed essenziale che ci fa essere contro la proposta aggiuntiva al Regolamento della Camera, supera le giuristerie, che hanno il loro fondamento, che si sono fin qui avanzate, ed investe addirittura la questione di sostanza. Ne abbiamo già visti chiari ed espliciti i sintomi premonitori cominciando dalla dichiarazione programmatica del Governo.

Il Governo ci ha annunziato – animato indubbiamente da intenzioni nobilissime, di lenire la sofferenza sociale che è in giro – ci ha annunziato, sia pure vagamente, come ebbe a rilevare l’onorevole Nitti, provvedimenti che non possono non lasciarci perplessi nella loro portata e soprattutto nei loro riflessi costituzionali. Ora quando, come è già accaduto, dei Prefetti, come quello di Agrigento, cominciano per conto loro a legiferare e ad interpretare le norme giuridiche; quando, arricchendo quel capitolo della teoria generale del diritto che riguarda l’interpretazione delle fonti a seconda dei soggetti, anche il facente funzioni dell’Alto Commissario per la Sicilia interpreta a suo modo e consumo il decreto Gullo, noi abbiamo il diritto di sospettare che per il rotto della cuffia della Commissione possono essere portati alla compiacente complicità dell’Assemblea Costituente atti legislativi che esorbitano dall’ordinaria amministrazione che compete al Governo, e che investono addirittura, direttamente o indirettamente, la struttura costituzionale dello Stato. Ciò violerebbe quella tregua costituzionale che la esarchia, tanto discussa, pose e che della tanto discussa esarchia noi soli liberali oggi difendiamo.

Questo, d’altra parte, a che cosa porterebbe, se non ad un accavallamento di funzioni? A che cosa condurrebbe, se non ad una confusione di funzioni tra l’Assemblea Costituente, distratta dal suo compito essenziale, e l’attività legislativa del Governo? Potrebbe perfettamente accadere ed accadrà certamente questo che, mentre si costruisce, mentre voi delle Commissioni costruite l’edificio della nuova Costituzione dello Stato, altri già fabbrichino gli scantinati senza che voi lo sappiate; il che dovreste impedire voi stessi. Prima, nella battaglia elettorale, avete arroventato giustamente e nobilmente le piazze d’Italia con uno slogan: o la Costituente o il caos. Orbene, io vi dico che se questa aggiunta è approvata, questo slogan deve essere così modificato: la Costituente è il caos. (Applausi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Cappi. Ne ha facoltà.

CAPPI. A nome dei miei amici democristiani una brevissima dichiarazione, per non ripetere quanto altri oratori hanno detto. Secondo me, il problema che occupa l’Assemblea ha un aspetto politico ed un aspetto giuridico. Per quanto riguarda l’aspetto giuridico, siamo consapevoli della delicatezza e gravità dei problemi che furono così finemente cesellati dall’onorevole Calamandrei c sviluppati dagli altri oratori. Perciò non ci opporremo a che venga presentato un disegno di legge, il quale regoli nel modo più radicale e completo il problema dei rapporti fra Governo e Assemblea; progetto di legge che, con la necessaria ponderazione ed ampiezza, l’Assemblea discuterà ed occorrendo approverà. Ma intanto? Qui si inserisce il problema politico. Coloro che hanno parlato da quei banchi, sono posti di fronte al bivio: o ritengono che le proposte della Giunta del Regolamento modifichino la legge e ciò non sia regolare, ed allora la conseguenza è che fin quando il decreto del marzo 1946 non è modificato, il Governo ha la piena ed illimitata facoltà legislativa ordinaria senza nessun diritto di intervento dell’Assemblea.

O desiderano che questo cessi, ed allora devono approvare l’articolo in discussione.

Infatti, la Giunta del Regolamento a che cosa mira? A diminuire in un certo senso questa podestà illimitata del Governo, riconoscere e regolare una certa facoltà di intervento dell’Assemblea anche nel campo della legislazione ordinaria.

Ora, noi democristiani preferiamo questo accorgimento, questo avvio alla soluzione del grave problema dei rapporti tra Governo e Assemblea. In questo senso, con questi limiti, approveremo le proposte della Giunta del Regolamento. L’onorevole Calamandrei, l’altro giorno, finendo, ha ricordato l’altezza del compito della nostra Assemblea, che è di dare all’Italia una costituzione che sia un «monumentum aere perennius». Se è concesso anche a me un ricordo classico, dirò che la sapienza romana sapeva mirabilmente contemperare il rigore e il rispetto della legge con le necessità e le esigenze concrete. Io non ricorderò che «inter arma silent leges»; perché per fortuna «inter arma» non ci siamo più, per quanto lo straniero – sia pure amico – armato accampasi sul nostro suolo, ma dirò solo, senza drammatizzare, che tutti sappiamo quanto grave sia l’attuale momento, che richiede immediatezza di provvedimenti, il che implica una certa libertà al Governo di provvedere; Governo che, del resto, è espressione dell’Assemblea, alla quale risponde. Per questi motivi voteremo gli articoli aggiuntivi del Regolamento. (Applausi).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la discussione generale, riservando la facoltà di parlare all’onorevole Relatore.

PERASSI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI, Relatore. Dopo le spiegazioni date ieri sulla questione pregiudiziale, mi pare che tutti i dubbi sollevati siano stati chiariti dall’affermazione netta che le norme proposte non costituiscono una modificazione della legge vigente e che esse non possono avere altro valore che quello proprio delle norme regolamentari. Con questa affermazione ho implicitamente risposto ai diversi quesiti che sono stati prospettati da diversi oratori; per conseguenza non avrei altro da aggiungere, riservandomi di esprimere il parere della Giunta del Regolamento sui singoli emendamenti, mano a mano che saranno messi in discussione.

PRESIDENTE. La discussione dell’articolo aggiuntivo e degli emendamenti presentati è rinviata a martedì.

Interrogazioni e interpellanze.

PRESIDENTE. Comunico che sono pervenute alla Presidenza interrogazioni ed interpellanze. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario. Legge:

«I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri della pubblica istruzione e dei lavori pubblici, per sapere se non intendano svolgere una ben coordinata azione ai fini di porre i comuni in condizione di rimettere in efficienza gli edifici scolastici delle zone rurali che sono il più delle volte inadeguati alle esigenze scolastiche e quasi sempre privi di impianti igienico-sanitari che possono e devono essere parte integrante dei mezzi educativi.

«Scotti Alessandro, Giacchèro, Scalfaro».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro delle finanze, per conoscere se, dato il carattere nazionale della Stazione Termale di Chianciano, non ritenga necessario procedere ad una immediata revisione del contratto che concede le sorgenti, locali annessi e tutte le proprietà del Demanio a una ditta privata che non si cura di altro se non dei suoi gretti interessi. Le sorgenti di Chianciano e locali annessi qualora tornassero al comune, al quale furono tolti durante il periodo fascista, gli permetterebbero di inaugurare una politica in favore dei ceti meno abbienti e quindi dare la possibilità a migliaia di lavoratori bisognosi di cure urgenti di poter usufruire delle acque benefiche di Chianciano.

«Cerreti, Bardini».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro delle poste e telecomunicazioni:

  1. a) sulla possibilità della concessione di un quantitativo fisso mensile di francobolli di franchigia militare per i militari di leva ed i sottufficiali delle forze armate conto tenuto del livello estremamente basso della decade e del soldo;
  2. b) sulla possibilità di una assegnazione fissa mensile di una certa quantità di carta da lettere, buste e cartoline postali semplici a detti militari.

«Pajetta Giuliano».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per sapere se, in considerazione che a Chianciano, rinomata stazione termale che potrebbe attirare in Italia numerosi forestieri, manca l’acqua potabile e tutte le strade principali e secondarie sono in deplorevole stato, non ritenga opportuno stanziare, con procedura d’urgenza, le somme necessarie all’esecuzione di tali urgenti lavori.

«Cerreti, Bardini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se non intenda chiarire che la imposta di fabbricazione, di cui all’articolo 2 del decreto legislativo 5 agosto 1946, n. 43, sugli zuccheri invertiti, non è applicabile ai mosti muti concentrati naturali, destinati ad usi enologici e che solo eccezionalmente in. questo periodo di emergenza sono stati utilizzati come dolcificanti.

«Una tale imposta, che si vorrebbe applicata ai prodotti accennati, verrebbe a danneggiare notevolmente le industrie enologiche siciliane, specie quelle del «marsala», che rappresentano una delle attività economiche più notevoli della Sicilia occidentale.

«È poi da notare che i concentrati di tali zone sono naturalmente scarsi di acidità e ricchi di contenuto zuccherino e sarebbe assai strano che per tale loro pregio e qualità essi dovessero venir sottoposti a dei pesi tributari non sopportabili, che, semmai, potrebbero colpire i concentrati deacidificati chimicamente.

«Mattarella».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere quali urgenti provvedimenti intenda prendere in relazione al vilipendio e alle gravi offese del sentimento cattolico del popolo italiano, arrecati, in violazione di precise norme di legge, da un settimanale, edito di recente in Roma, e come intenda provvedere perché oltraggi del genere non abbiano a ripetersi.

«Medi, Ermini, La Pira».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere quale sia la vera e propria portata dei biglietti gratuiti, serie B, n. 36/9, in funzione di andata e ritorno e viceversa e precisamente se detti biglietti consentano a tutti i beneficiari la stessa larghezza di percorso a prescindere dal luogo di partenza. Nella comune interpretazione parrebbe difatti che usando detti biglietti chi si proponga di partire da località per esempio della media Italia, ha un beneficio di percorso più breve di chi sia per partire da località posta ai confini d’Italia. L’interrogante chiede se il Ministro non ritenga giusto e opportuno, qualora questa interpretazione appaia legittima, dare disposizioni perché a tutti i beneficiari dei biglietti in parola siano assicurati gli stessi benefici, a prescindere dal luogo di partenza. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Braschi».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se non ritenga necessario, ai fini di combattere la disoccupazione e incoraggiare la ricostruzione edilizia, urgente quest’ultima per risolvere la gravissima crisi degli alloggi, abolire o quanto meno ridurre dell’80 per cento i dazi sui materiali da costruzione, così proibitivi oggi e solo vantaggiosi alle ditte appaltatrici del dazio, in quanto per l’amministrazione dello Stato essi rappresentano quasi una partita di giro, perché nella analisi dei prezzi gli organi tecnici del Genio civile comprendono i dazi stessi nei lavori appaltati.

«Tale concessione, se approvata dal Governo, avrà immediata e benefica ripercussione sul mercato di mano d’opera e sulla economia in generale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Musolino».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per sapere se non intenda dare disposizioni affinché si proceda regolarmente alla ricostruzione d’ufficio, a totale spesa dello Stato, delle case distrutte o fortemente danneggiate dalle operazioni belliche o dalle rappresaglie tedesche, di tutti coloro che non hanno i mezzi necessari per sopperire alle spese di tale ricostruzione.

«Se non ritenga necessario, per incrementare di più l’opera ricostruttiva, di elevare al 75 per cento il contributo dello Stato ed a lire 500.000 il limite massimo, per tutti i medi possidenti che hanno intrapreso la ricostruzione della loro casa a proprie spese. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Maltagliati».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri della guerra, del tesoro e del lavoro e della previdenza sociale, per sapere se non ritengano sia un atto doveroso di giustizia che ai reduci, ai partigiani ed ai combattenti della guerra di liberazione – lavoratori manovali, impiegatizi e per i militari – siano computati, agli effetti delle singole pensioni, anche gli anni da essi trascorsi in prigionia e sotto le armi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Maltagliati».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere se non ritenga opportuno, al fine di una rapida ripresa dell’agricoltura italiana, concedere ai piccoli e medi coltivatori diretti, particolarmente delle zone poco fertili dell’Appennino Toscano, dei prestiti statali a lunga scadenza (20 anni) ed al tasso non superiore all’1-2 per cento, onde permettere loro di portare tutte le bonifiche necessarie alla loro azienda con acquisto di concimi, scassi, ricostruzione dei vigneti colpiti dalla filossera, nuove piantagioni di olivi e piante fruttifere, rimboschimento dei territori montani, ecc.

«E se non ritiene che tutte queste opere di bonifica debbano essere rese obbligatorie per legge a tutti gli altri proprietari terrieri. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Maltagliati».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri della guerra, della marina e dell’aeronautica, per sapere se non ritengano opportuno che – in considerazione del diminuito coefficiente delle forze armate consentito oggi all’Italia – sia necessario ristabilire per i giovani di leva le differenti categorie, esonerando dal servizio militare i figli unici o primogeniti di madre vedova o di genitori inabili al lavoro, e di ridurre a soli tre mesi il servizio militare per tutti gli altri figli unici.

«Se non ritengano opportuno, in attesa che sia adottato un provvedimento del genere, inviare in licenza illimitata i figli unici dei contadini (mezzadri, piccoli e medi affittuari o proprietari che lavorino direttamente la loro terra) che abbiano già prestato tre mesi di servizio militare, tenendo conto che l’ulteriore mancanza del loro contributo lavorativo sarebbe di grave danno per l’azienda agricola. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Maltagliati».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dell’industria e del commercio, per conoscere:

1°) i motivi per i quali alle cooperative esercenti l’industria conserviera non siano stati assegnati quantitativi di zucchero corrispondenti alla loro importanza aziendale;

2°) i motivi per i quali, prima di provvedere alle quote di riparto, gli organi competenti non abbiano sentito le Organizzazioni nazionali della cooperazione sul fabbisogno delle rispettive cooperative aderenti;

3°) perché i rappresentanti di tali Organizzazioni non siano stati inclusi nelle Commissioni preposte al riparto stesso. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Corazzin, Cimenti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per conoscere se non sia opportuno di prorogare oltre il 15 ottobre 1946 il termine ultimo per la presentazione delle denuncie dei danni di guerra; e ciò specialmente in vista delle difficoltà per molti sinistrati di corredare le denuncie con la prescritta documentazione e le relative peripezie, tanto più che non pochi, anche per suggerimento delle Intendenze di finanza, hanno soprasseduto a predisporre le denuncie, in attesa della nuova legge sui danni di guerra. E altresì, per sapere, se tale legge, in sostituzione di quella del 1940, sarà di prossima emanazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Marzarotto».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, se non ritenga necessario dare precise istruzioni agli uffici accertamenti agricoli, perché agli agricoltori cui vennero, per autoinsufficienza di produzione, lasciati soli quintali 1,50 di frumento per alimentazione, venga rilasciato il buono per l’acquisto del grano da semina occorrente per le loro piccole aziende, onde evitare il grave inconveniente che dette superfici di terreno restino da seminare. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Scotti Alessandro, Raimondi».

«Il sottoscritto chiede di interpellare i Ministri della guerra e del tesoro, sulle misure che essi intendono prendere affinché nella imminente revisione ed adeguazione delle pensioni e sussidi statali sia compresa un’adeguazione degli attuali sussidi per le famiglie dei militari chiamati alle armi, essendo attualmente detti sussidi assolutamente irrisori in confronto al costo della vita.

«Pajetta Giuliano».

«I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei Ministri ed il Ministro del tesoro, per conoscere quando e in che misura il Governo andrà incontro ai pensionati della Previdenza sociale, i quali, malgrado le reiterate promesse, continuano a vivere in precarissime condizioni tanto che se non hanno famigliari che li prendano a carico sono costretti, dopo aver lavorato quaranta e più anni in favore della società, a elemosinare un tozzo di pane.

«Cerreti, Bardini».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

Così pure le interpellanze saranno iscritte all’ordine del giorno, qualora i Ministri interessati non vi si oppongano nel termine regolamentare.

La seduta termina alle 18,55.

Ordine del giorno per la seduta di martedì 17.

Alle ore 16:

  1. – Interrogazioni.
  2. – Seguito della discussione sulla Proposta di aggiunta al Regolamento. (Documento II, n. 5).
  3. – Comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.