ASSEMBLEA COSTITUENTE
XV.
SEDUTA DI GIOVEDÌ 12 SETTEMBRE 1946
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SARAGAT
indi
DEL VICEPRESIDENTE PECORARI
INDICE
Congedo:
Presidente
Annuncio di risposte scritte ad interrogazioni:
Presidente
Interrogazioni (Svolgimento):
Corsi, Sottosegretario di Stato per l’interno
Restagno, Sottosegretario di Stato per i lavori pubblici
Di Vittorio
Bellusci, Sottosegretario di Stato per la pubblica istruzione
Tumminelli
Opzione e sostituzione di Deputati:
Presidente
Verifica di poteri:
Presidente
Proposta di aggiunta al Regolamento della Camera (Seguito della discussione):
Calamandrei
Riccio
Bozzi
Caroleo
Mastrojanni
Presidente
Crispo
Persico
Castiglia
Assennato
Lucifero
Perassi, Relatore
Badini Confalonieri
Gullo Rocco
Cappa, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio
Interrogazioni e interpellanze (Annunzio):
Presidente
Cappa, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio
Mazzoni
Schiratti, Segretario
La seduta comincia alle 16.
SCHIRATTI, Segretario, legge il processo verbale della seduta precedente.
(È approvato).
Congedo.
PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo il Deputato Caiati.
(È concesso).
Annuncio di risposte scritte a interrogazioni.
PRESIDENTE. Comunico che i Ministri competenti hanno inviato le risposte scritte a interrogazioni presentate prima e dopo la sospensione dei lavori dell’Assemblea.
Saranno inserite, a norma del Regolamento, nel resoconto stenografico della seduta di oggi. (Vedi Allegato).
Svolgimento di interrogazioni.
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Interrogazioni.
La prima è quella dell’onorevole Di Vittorio, ai Ministri dell’interno e dei lavori pubblici, «sui provvedimenti urgenti che intendono prendere per lenire la grave disoccupazione che colpisce la grande massa dei lavoratori agricoli delle Puglie; disoccupazione che la reazione agraria tenta di utilizzare, provocando fatti luttuosi come quelli recenti di San Severo (Foggia)».
L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.
CORSI, Sottosegretario di Stato per l’interno. Il Ministero dell’interno ha sempre seguito con la maggiore attenzione la situazione delle Puglie nei riguardi della disoccupazione che esiste in quella regione. Secondo i dati dell’Ufficio centrale di statistica i disoccupati sono in totale 94.000; in particolare i disoccupati dell’agricoltura sono 46.863.
Per alleviare questa grave situazione non soltanto il Governo si è preoccupato di prevenire ogni disordine e violenza, ma soprattutto ha incoraggiato le autorità locali a venire incontro alle necessità di quelle generose popolazioni procurando ad esse del lavoro.
A questo fine i prefetti hanno promosso l’assunzione di lavoratori con particolari provvedimenti, imponendo una determinata aliquota di mano d’opera alle varie aziende agricole. Ma un notevole incoraggiamento per l’occupazione di lavoratori agricoli è stato creato col provvedimento legislativo del 1° luglio di quest’anno, per il quale lo Stato contribuisce dal 35 al 52 e al 67 per cento rispettivamente per le piccole, medie e grandi aziende, nelle opere di miglioramento agrario, ed esclusivamente sulle spese per mano d’opera, se questa sia assunta attraverso gli uffici di collocamento. Abbiamo rivolto, inoltre, vive e continue sollecitazioni presso il Ministero dei lavori pubblici, affinché quelle popolazioni potessero trovare occupazione in lavori promossi da quel Dicastero. Per le Puglie sono stati all’uopo destinati un miliardo e 400 milioni, più 200 milioni per la sola provincia di Foggia. Per il comune di San Severo sono stati assegnati 25 milioni sui fondi per la disoccupazione, destinati anch’essi ai lavori pubblici, e 26 milioni per altri lavori in corso.
Si deve aggiungere a tutto ciò che il Ministero dell’interno, per la provincia di Foggia, ha assegnato agli enti comunali di assistenza la somma di 8.185.000 lire e per la provincia di Bari 111.550.000 lire.
Altri minori provvedimenti ed interventi del Governo si sono verificati per singoli Comuni.
Pur con tutti questi interventi la disoccupazione non si è potuta lenire, data la sua vasta estensione, ma il Governo studia provvedimenti. Il Ministero dell’interno sollecita anche gli altri Dicasteri per un’azione sempre più intensa. Voglio ricordare qui che il Ministero dell’agricoltura, anche su nostre proposte, ha stabilito e concretato in un provvedimento di legge l’istituzione presso gli Ispettorati Agrari provinciali di particolari uffici, i quali debbono avere lo scopo di favorire la creazione e di assistere le aziende cooperative fra contadini poveri, ai quali verranno poi assegnate, in base alle leggi vigenti e a quelle che la Costituente crederà di adottare, le terre incolte o quelle che la stessa Assemblea assegnerà a queste cooperative.
Come si vede, dunque, si tratta di un’azione complessa e molteplice intesa a migliorare le tristi condizioni di quelle popolazioni. Il problema, peraltro, viene spesso aggravato dai conflitti politici locali, che influenzano l’azione, e i contrasti di natura sindacale. A questo proposito il Governo deve dire soltanto che si augura che, per l’autorevole intervento della Confederazione del lavoro e dello stesso onorevole Di Vittorio, che è così importante parte della Confederazione, e che rappresenta quelle popolazioni, tali conflitti vengano gradualmente a perdere quell’asprezza e quel carattere partigiano che li rende più acuti e più aspri, in maniera che influisce penosamente sulla situazione politica e sullo spirito pacifico di quelle popolazioni.
Il Governo confida in questa collaborazione ed assicura il suo ulteriore e costante intervento.
PRESIDENTE. L’onorevole Sottosegretario di Stato per i lavori pubblici ha facoltà di rispondere.
RESTAGNO, Sottosegretario di Stato per i lavori pubblici. Credo opportuno integrare le dichiarazioni del collega Corsi con alcune comunicazioni di carattere tecnico riguardanti il Ministero dei lavori pubblici e relative alle interrogazioni dell’onorevole Di Vittorio.
Il problema della disoccupazione in Puglia ha sempre preoccupato il Ministero dei lavori pubblici, il quale ha preso al riguardo deliberazioni di notevole rilievo ed ha interessato ripetutamente il Provveditorato di Bari per l’attuazione di un programma di lavori capace di assorbire la maggior quantità possibile di mano d’opera dell’intera regione pugliese, alla quale in via straordinaria sono stati assegnati ben 1.400.000.000 di lire per l’esecuzione dei lavori pubblici. Alla provincia di Foggia, in particolare, sono stati assegnati 200 milioni per alleviare il preoccupante fenomeno della disoccupazione.
So benissimo che le esigenze di quelle regioni sono eccezionali e che per soddisfarle dovranno essere impostati lavori pubblici di ancor più vasta mole, capaci di assorbire decine di migliaia di operai, e dovrà parallelamente essere facilitata la ripresa della attività privata, specie nel campo industriale, agricolo e commerciale.
A tal fine, per quanto lo concerne, il Ministero dei lavori pubblici ha predisposto un piano organico di lavori che interessano tutte le regioni d’Italia, ma tiene conto, in modo speciale, di quelli del Mezzogiorno che hanno particolari esigenze di acquedotti, fognature, strade e case. Circa la situazione di San Severo, della quale si occupano, con speciali interrogazioni, i colleghi Recca e Di Vittorio, comunico che in quella città sono in corso lavori pubblici per un importo di 26.533.000 mila lire, autorizzate nei mesi di giugno e di luglio e concernenti lavori stradali per 6.250.000, lavori per la sistemazione del torrente Triolo per 11.893.000, per l’edificio scolastico già Principe di Piemonte per 5.615.000, per l’edificio scolastico Giovanni Pascoli per 450.000, per l’edificio Tonti per 2.325.000. In seguito ad ulteriori esigenze di quella zona, come già ha accennato il collega Corsi, vennero assegnati altri 25.000.000 sul fondo della disoccupazione, per cui l’ammontare complessivo delle opere da eseguire in San Severo ascende a 51.533.000. Desidero inoltre far presente al collega interrogante che in aggiunta agli stanziamenti di natura straordinaria la Puglia ebbe, nel corrente esercizio, altri 201.000.000 di lire per opere portuali, nonché 780.000.000 di lire per le assegnazioni ordinarie di bilancio. E questo oltre gli altri stanziamenti per lavori da parte dei Ministeri dell’agricoltura e dei trasporti. Confido che, per le su esposte comunicazioni, il collega interrogante potrà dichiararsi soddisfatto.
PRESIDENTE. L’onorevole Di Vittorio ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.
DI VITTORIO. Sono soltanto parzialmente soddisfatto delle dichiarazioni dell’onorevole Corsi e del Sottosegretario ai lavori pubblici. Riconosco che il Governo ha compiuto sforzi notevoli per cercare di lenire il grave fenomeno della disoccupazione in Puglia. Però questi sforzi, così come in altre regioni, del resto, non sono stati e non sono ancora adeguati ai bisogni minimi della popolazione. D’altra parte, i lavori pubblici vengono eseguiti, tanto in Puglia come in altre regioni d’Italia, non secondo un piano organico prestabilito, per cui si possano scegliere quei lavori che siano perfettamente utili e che si trasformino in un aumento della ricchezza regionale e quindi nazionale. Molto spesso i lavori sono concessi sotto l’assillo di manifestazioni di lavoratori affamati, e perciò si fanno lavori improvvisati, qualche volta di dubbia utilità e qualche volta addirittura inutili, che demoralizzano la massa dei disoccupati invece di incoraggiarla ad un lavoro che possa essere utile al paese.
Credo che tutta la politica dei lavori pubblici debba essere, come si è proposto, se non erro, dall’onorevole Romita, basata su un piano organico che miri a risolvere il problema. Per esempio, nella provincia di Foggia, il fenomeno della disoccupazione è una piaga permanente, ha una oscillazione di alti e bassi ed in alcuni periodi interessa decine di migliaia di lavoratori in una sola provincia.
In quella stessa provincia, che è il Tavoliere delle Puglie, abbiamo 24 mila ettari di terreno incolto, soprattutto perché non bonificato, perché invaso dalle acque in alcuni periodi dell’annata, perché non si sono fatti quei lavori di scolo, di arginatura dei torrenti, estremamente costosi, ma estremamente utili, mediante i quali sarebbe possibile conquistare alla coltura in una sola provincia ben 24 mila ettari di terreno. E tutti sappiamo quanto bisogno abbia l’Italia di conquistare nuovo territorio alla coltura e produrre più grano e assicurare più pane alla sua popolazione.
Questi lavori di estrema utilità, che non servirebbero soltanto a lenire la disoccupazione in quel dato periodo, ma ad aumentare in modo permanente la quantità di lavoro per le popolazioni ed ad elevare la ricchezza regionale, non sono stati eseguiti che in misura infinitesimale ed in misura abbastanza ridotta sono eseguiti ancora oggi.
Allora è necessario che si pensi seriamente a fare un piano di lavori, che nello stesso tempo ci permetta di dare un’occupazione ai disoccupati e di arricchire il patrimonio della Nazione, dando una soluzione di carattere permanente all’angoscioso problema della fame che riguarda milioni di lavoratori d’Italia.
Invito quindi il Governo a volere elaborare questo piano, provincia per provincia, in collaborazione con le organizzazioni sindacali, che sono le più direttamente legate alle masse e ai loro bisogni e che sono quindi più in grado di dare indicazioni concrete in proposito.
RESTAGNO, Sottosegretario per i lavori pubblici. È stato fatto.
DI VITTORIO. Ma deve essere fatto in maniera organica. Riconosco che sono stati fatti dei passi in questa direzione, ma è ancora troppo poco.
D’altra parte, vi è nella questione un aspetto politico, al quale l’onorevole Corsi ha appena accennato. L’aspetto politico interessa veramente e soprattutto il Ministro del lavoro, che mi fa piacere sia presente in questa seduta. In regioni come la Puglia e in altre, purtroppo, del nostro Paese, in cui il fenomeno della disoccupazione è di carattere permanente, il bisogno più assillante per ogni lavoratore è quello di avere una occupazione, anche provvisoria. La grande massa dei braccianti agricoli ed anche di altre categorie di lavoratori, è quotidianamente alla caccia affannosa di una occupazione, sia pure per qualche giorno.
Che cosa accade? Che coloro i quali possono disporre del lavoro, e sono principalmente gli agrari, tendono a monopolizzare il privilegio che detengono di potere distribuire una certa quantità di lavoro ad una massa di affamati, che lo ricerca affannosamente, per esercitare su questi lavoratori una pressione politica intensa.
MICCOLIS. È il contrario.
DI VITTORIO. È esattamente la verità, perché gli agricoltori tendono a coalizzarsi fra di loro e ad acquistare una bandiera politica qualsiasi, che è stata una volta fascista, e può essere oggi, e lo è per alcuni gruppi, qualunquista; si può chiamare anche in altro modo, ma è cosa che non importa. Il fenomeno va al di là dei settori politici e dei nomi che assumono i movimenti reazionari.
Gli agricoltori tendono ad imporre ai lavoratori, ai quali offrono lavoro, l’abbandono della Camera del lavoro, l’abbandono di determinati partiti democratici che non godono la simpatia degli agricoltori, e molto spesso anche impongono l’iscrizione ad un determinato partito.
MICCOLIS. È proprio il contrario! (Commenti – Rumori all’estrema sinistra).
DI VITTORIO. Questa è l’esatta verità. (Interruzioni – Rumori a destra).
MICCOLIS. Ricordate i fatti di San Severo! (Interruzioni e rumori).
ALLEGATO. A San Severo siete gli alleati degli agrari e degli sfruttatori dei lavoratori. (Rumori).
PRESIDENTE. Onorevole Allegato, non interrompa. L’onorevole Di Vittorio sa rispondere da sé.
DI VITTORIO. A San Severo è accaduto appunto il fenomeno che sto deplorando. A San Severo, come in tutti i comuni della Puglia, esiste una Commissione paritetica per l’avviamento al lavoro dei disoccupati, composta da rappresentanti degli agricoltori, dei lavoratori e del comune.
La Commissione paritetica ha deciso di avviare al lavoro un certo numero di lavoratori presi attraverso l’Ufficio di collocamento e attraverso la Camera del lavoro, funzionanti in pieno accordo con la Confederazione del lavoro, nella quale sono lavoratori di tutte le correnti politiche e di nessuna corrente politica.
I signori agricoltori si sono rifiutati di assumere i lavoratori assegnati dalla Commissione paritetica e hanno assunto lavoratori inviati al lavoro attraverso uno pseudo-sindacato dell’Uomo Qualunque.
MICCOLIS. È falso! È il contrario di quello che accade! (Interruzioni e rumori all’estrema sinistra – Interruzione dell’onorevole Allegato).
DI VITTORIO. Concludo affermando questo principio: nell’Italia democratica non deve essere possibile a nessuno di monopolizzare l’occupazione dei lavoratori. (Interruzioni e rumori a destra e al centro – Applausi all’estrema sinistra).
Invano volete contrapporvi al così detto monopolio della Camera del lavoro. (Rumori e commenti a destra e al centro).
Vi ripeto che la Camera del lavoro è un organismo che rappresenta tutti i lavoratori… (Rumori – Interruzioni).
MICCOLIS. Non è vero.
DI VITTORIO. …tutti i lavoratori autentici e non i falsi lavoratori. (Interruzioni – Rumori).
La Camera del lavoro non è un organismo di partito e voi tentate di contrapporle un organismo di partito. (Rumori – Interruzioni).
Concludendo, penso che bisogna costituire degli uffici di collocamento in tutti i comuni e questa iniziativa dovrebbe essere presa dal Ministro del lavoro; uffici di collocamento che diano le necessarie garanzie.
PRESIDENTE. Onorevole Di Vittorio, lei sta parlando da oltre venti minuti.
DI VITTORIO. Ho finito. Questi uffici di collocamento debbono dare garanzie per tutti, in modo che il collocamento non debba essere il monopolio di gruppi politici reazionari. (Rumori a destra – Commenti).
PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Tumminelli, al Ministro della pubblica istruzione, «per conoscere: 1°) se debba, nei suoi propositi, prolungarsi in concreto ancora per molto tempo il problema dei reggenti presidi e provveditori, i quali nominati a suo tempo in via provvisoria dagli Alleati, spesso su designazione dei C.L.N. in funzione esclusivamente politica, rimangono troppo spesso ancora a quei posti, i quali viceversa dovrebbero essere rioccupati dai funzionari tecnici di ruolo, ora pienamente assolti dai procedimenti di epurazione, e che malgrado ciò restano – sebbene pagati – inoperosi; 2°) se ritenga consentaneo, nell’interesse della Scuola italiana, che a capo di uffici centrali da cui dipendono grandi settori della istruzione pubblica (personale del Ministero, Provveditorati agli studi, ecc.) siano conservati funzionari di grado e di esperienza inferiore al grado e all’esperienza di coloro che dovrebbero essere guidati; 3°) se non consideri necessario porre finalmente termine alla contraddittorietà e intempestività di molti ordini e direttive ministeriali, mentre per la serietà degli studi è oggi più che mai necessario procedere con metodo e ponderazione sia al centro che alla periferia».
L’onorevole Sottosegretario di Stato per la pubblica istruzione ha facoltà di rispondere.
BELLUSCI, Sottosegretario di Stato per la pubblica istruzione. In risposta al primo punto, per quanto concerne la posizione dei reggenti gli uffici scolastici provinciali e la posizione dei provveditori in sedi titolari, si fa presente che l’Amministrazione ha già iniziato la graduale sostituzione dei reggenti coi titolari ormai prosciolti dal giudizio di epurazione. Tale graduale sostituzione sarà probabilmente completata entro l’anno, compatibilmente con la disponibilità di elementi in base alla situazione dei ruoli organici.
Secondo punto. Circa i funzionari che sarebbero preposti a delicati uffici dell’Amministrazione centrale si osserva che i servizi sono di competenza e rientrano nella responsabilità dei direttori generali, che ne rispondono direttamente al Ministro. D’altra parte, nel caso indicato, trattasi di funzionari del grado immediatamente inferiore, che hanno già maturato l’anzianità richiesta dalla legge per la promozione al grado superiore, e che dànno ampio affidamento di attitudine e preparazione, per aver percorso la loro carriera in quegli stessi uffici ai quali sono presentemente addetti.
Terzo punto. Non contenendo l’interrogazione elementi tali dai quali si possa desumere con precisione la specie e la natura degli ordini e delle direttive ministeriali che rivestirebbero il carattere di contraddittorietà e di intempestività, non vi è modo di fornire una precisa risposta a questo terzo punto dell’interrogazione. Ad ogni modo, pur non potendosi escludere che qualche provvedimento abbia subìto sensibili indugi, è da tener presente che ciò è stato causato dall’espletamento degli indispensabili adempimenti con il Ministero del tesoro per i riflessi di carattere finanziario. Quanto alla contraddittorietà delle direttive, si gradirebbero precisazioni.
Ad integrazione degli elementi contenuti nella risposta all’interrogazione dell’onorevole Tumminelli, si fa presente, per quanto riguarda i presidi reggenti, che l’istituto della reggenza venne appositamente contemplato dall’articolo 13 del decreto legislativo 7 settembre 1945, n. 816, norma la cui efficacia è limitata agli anni scolastici 1944-45 e 1945-46. Poiché, pertanto, col prossimo anno la norma cessa di aver vigore, si cercherà nel prossimo movimento generale dei presidi e degli insegnanti, di normalizzare nei limiti del possibile la situazione.
PRESIDENTE. L’onorevole Tumminelli ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.
TUMMINELLI. Non posso dichiararmi interamente soddisfatto, perché quelle disposizioni eccezionali che avevano consigliato l’istituzione di provveditori e di presidi reggenti dovevano considerarsi definitivamente decadute entro l’anno scolastico 1945-46. Quindi, la risposta dell’onorevole Sottosegretario che ne fa prevedere la continuazione, sia pure mentre saranno per essere presi dei provvedimenti, nel 1946-47, non può essere accolta.
D’altra parte faccio presente che molti provvedimenti di reintegrazione, di invio di provveditori di ruolo e di presidi di ruolo, non hanno avuto esecuzione. (Interruzioni a sinistra – Rumori).
Una voce. Hanno fatto bene: erano ultrafascisti!
TUMMINELLI. Prego di ascoltare. Mi riferisco a provveditori e a presidi i quali sono stati sollevati da ogni incriminazione. (Interruzioni a sinistra).
Costoro, per provvedimento preso dal Ministero, avrebbero dovuto essere insediati; invece sono stati rifiutati nelle sedi. Ma questo sarebbe poco, se non avvenisse un guaio relativo al funzionamento regolare dell’Amministrazione dello Stato. Noi non guardiamo agli uomini, né ai provvedimenti in sé, ma alle conseguenze per quanto si riferisce alla scuola. (Interruzioni – Rumori). Avviene che, mentre da un lato i reggenti sono decaduti dalla loro funzione, essi rimangono al loro posto e il Ministero è costretto ad accogliere giudizi e proposte di questi provveditori e di questi presidi che già, ripeto, il Ministero aveva sostituito con personale di ruolo che non era riuscito a insediarsi. (Interruzioni).
Ciò significa che il problema si presenta sotto un duplice aspetto, quello politico che insidia il funzionamento regolare del Provveditorato, e quello tecnico, in quanto si hanno dei funzionari non competenti nei vari settori.
Una voce. Hanno tenuto i Provveditorati per un anno e mezzo!
TUMMINELLI. Passo al numero tre della mia interrogazione, là dove l’onorevole Sottosegretario non ha creduto di trovare elementi, ed ha ragione, in quanto elementi ce ne sono molti, ma sparsi qua e là, perciò non afferrabili se non vengono precisati. Ci sono disposizioni relative agli esami che poi vengono contraddette nel corso dell’anno; disposizioni che riguardano l’esonero dal servizio militare, che poi vengono contraddette; tutte condizioni che derivano dal fatto che taluni settori del Ministero sono retti proprio da quei funzionari di grado 7° che hanno sotto di sé funzionari di grado 6° e 5° nelle zone periferiche e al centro. A conclusione, invoco dal Ministero provvedimenti di chiarificazione in questo settore, non per riferimento a orientamenti politici, ma alla serietà dell’istituto dell’educazione del nostro Paese. Alla chiarificazione gioverà un coordinamento unificato delle leggi più importanti, in attesa che venga finalmente quel testo unico che, togliendo il troppo e il vano, possa condurre ad una legislazione scolastica più concreta e meglio definita. (Applausi a destra).
PRESIDENTE. Essendo trascorso il termine regolamentare, lo svolgimento delle altre interrogazioni è rinviato a domani.
Opzione e sostituzione di Deputati.
PRESIDENTE. Avverto che l’onorevole Roberto Lucifero, eletto e convalidato nella circoscrizione di Catanzaro (XXVIII) e in quella di Roma (XX), il 2 agosto 1946 ha dichiarato di optare per la circoscrizione di Catanzaro.
È rimasto conseguentemente disponibile nella circoscrizione di Roma un seggio per la lista del Blocco Nazionale della Libertà (16) che spetta al candidato primo graduato dei non eletti nella lista medesima, e cioè l’onorevole Luigi Benedettini.
La Giunta propone pertanto all’Assemblea Costituente la proclamazione dell’onorevole Luigi Benedettini a Deputato per la circoscrizione di Roma.
(La proposta è approvata).
Nella seduta di ieri ho comunicato le dimissioni – di cui l’Assemblea ha preso atto – dei Deputati Alfeo Corassori per la circoscrizione di Parma (XIV) e Francesco Ponticelli per la circoscrizione di Siena (XVII).
La Giunta delle elezioni, nella sua riunione odierna, ha proposto la loro sostituzione con i candidati che li seguono immediatamente nelle rispettive liste, e cioè Cremaschi Olinto, per la lista del Partito Comunista nella circoscrizione di Parma (XIV) e Monticelli Reginaldo per la lista della Democrazia Cristiana nella circoscrizione di Siena (XVII).
(La proposta è approvata).
S’intende che dalla data odierna decorrerà il termine di 20 giorni per la presentazione di eventuali proteste e reclami.
Verifica di poteri.
PRESIDENTE. Comunico che la Giunta delle elezioni, nella sua riunione odierna, ha verificato non essere contestabili le elezioni dei seguenti Deputati e, concorrendo in essi i requisiti previsti dalla legge, ha deliberato di proporre la loro convalida: Zappelli Luigi, per la circoscrizione di Torino (I); Chiaramello Domenico, per la circoscrizione di Cuneo (II); Mezzadra Domenico e Pistoia Umberto, per la circoscrizione di Milano (IV); Bianchini Laura, per la circoscrizione di Brescia (VI); Bianchi Bruno, per la circoscrizione di Mantova (VII); Gortani Michele, per la circoscrizione di Udine (XI); Spallicci Aldo, per (a circoscrizione di Bologna (XIII); Grazi Enrico, per la circoscrizione di Siena (XVI); Bei Adele, per la circoscrizione di Ancona (XVIII); Santi Ettore, per la circoscrizione di Perugia (XIX); De Palma Giacomo, Orlando Camillo, Carboni Angelo, Zagari Mario, Marinaro Francesco, per la circoscrizione di Roma (XX); Corbi Bruno, per la circoscrizione di Aquila (XXI); Morelli Renato, per la circoscrizione di Benevento (XXII); Numeroso Raffaele, per la circoscrizione di Napoli (XXIII); De Filpo Luigi, per la circoscrizione di Potenza (XXVII); Castrogiovanni Attilio, per la circoscrizione di Catania (XXIX); Castiglia Pietro, per la circoscrizione di Palermo (XXX).
Do atto alla Giunta di questa comunicazione e, salvi i casi di incompatibilità preesistenti e non conosciuti sino a questo momento, dichiaro convalidate queste, elezioni.
Seguito della discussione sulla proposta di aggiunta al Regolamento della Camera.
PRESIDENTE. Si riprende la discussione sulla proposta di aggiunta al Regolamento della Camera. (Doc. II, N. 5).
Ha chiesto di parlare l’onorevole Calamandrei. Ne ha facoltà.
CALAMANDREI. Onorevoli colleghi, la ragione per la quale io mi sono iscritto a parlare in questa discussione è soprattutto una ragione, si direbbe, di buona creanza, perché il relatore, onorevole Perassi, ebbe ieri l’amabilità di ricordare che il primo impulso a questa proposta di modificazione del Regolamento interno dell’Assemblea Costituente venne dal nostro gruppo, quando io, nel luglio scorso, chiesi al Presidente di questa Assemblea certi schiarimenti su qualche dubbio che mi era venuto intorno alla interpretazione dell’articolo 3 del decreto legislativo luogotenenziale 16 marzo 1946.
Chiedevamo allora qualche luce intorno al significato di questo articolo. Ora noi dobbiamo ringraziare il Presidente di questa Assemblea e i colleghi della Giunta del Regolamento, e dichiararci soddisfatti, perché la desiderata luce ci è data con queste proposte. Non posso dire che si tratti proprio di una illuminazione a giorno: la nostra soddisfazione è una soddisfazione moderata, ma, insomma, è certo che da queste proposte, se verranno approvate, emana un certo chiarore, il quale ci permetterà, d’ora innanzi, di orientarci su questioni fino a questo momento dubbie e di evitare di andare a sbattere contro qualche spigolo costituzionale che prima, nel buio, non si scorgeva bene.
Vi spiegherò qual è la ragione della nostra soddisfazione. Come sapete, l’articolo 3 del decreto luogotenenziale 16 marzo stabilisce che, durante il periodo della Costituente, il potere legislativo (s’intende, il potere legislativo ordinario) resta delegato al Governo. Di fronte a questa formula noi ponevamo, nel luglio scorso, due domande: poiché in questo articolo si parla di potere che «resta delegato al Governo» noi domandavamo: delegato «da chi»? delegato «a chi»?
C’è una premessa sulla quale credo che dobbiamo essere d’accordo: l’Assemblea Costituente, appunto perché è, per definizione sovrana, concentra in sé – se limitazioni non le siano state poste dal popolo – tutti quanti i poteri della sovranità e, quindi, anche il potere legislativo ordinario. Quindi, se questo potere legislativo ordinario deve essere esercitato, come l’articolo 3 vuole, per delega, non direttamente dall’Assemblea Costituente ma dal Governo, questa delega, noi dicevamo, non può essere data che dalla stessa Assemblea Costituente.
Ora, siccome il 16 marzo, alla data di quel decreto, l’Assemblea Costituente non esisteva ancora, quella delega data dal Governo luogotenenziale di allora è una delega la quale, nei confronti dell’Assemblea Costituente, non può avere valore giuridico, e quindi, perché questa delega di potere legislativo funzioni, bisognerà che tale delega sia rinnovata dalla stessa Assemblea Costituente, ovvero, il che in pratica equivale, bisognerà che l’Assemblea Costituente ratifichi questa delega fatta in anticipo dal Governo luogotenenziale di allora.
Ma un altro problema noi ponevamo. Questa delega «a chi» è stata fatta?
È fatta, dice l’articolo 3, «al Governo».
A quale Governo? Se questa delega di potere legislativo ordinario è in sostanza una forma di concessione di pieni poteri fatta da una Assemblea legislativa al Governo, evidentemente questa delega deve esser fatta e può esser fatta a un determinato Governo, non al Governo in astratto, non a tutti i Governi che eventualmente si possano susseguire al potere nel periodo in cui rimarrà in carica la Costituente.
Da ciò noi deducevano la necessità che per ogni nuovo Governo che eventualmente salga al potere in questo periodo, questa delegazione, questa concessione di pieni poteri da parte della Assemblea Costituente, sia volta per volta rinnovata.
Questi erano i due punti sui quali noi chiedevamo schiarimenti. Ora questi schiarimenti sono dati in modo soddisfacente attraverso le proposte che vengono sottoposte alla nostra approvazione: almeno se queste proposte hanno il significato che io ad esse attribuisco. Il sistema che ci viene proposto significa, secondo me, questo. La Costituente dice: il potere legislativo ordinario appartiene a me; io creo certi organi, che sono queste Commissioni permanenti con funzione esplorativa, quasi si direbbe di tentacoli o di antenne, alle quali il Governo deve fare affluire tutti i progetti di legge. Queste commissioni esaminano di volta in volta se sia il caso di mandare i progetti di legge alla discussione dell’Assemblea, perché essa eserciti direttamente il potere legislativo, ovvero di lasciare che su questi disegni di legge il potere legislativo sia esercitato per delega dal Governo. Quindi, anziché esservi una delega di potere legislativo generale e anticipata, fatta dall’Assemblea una volta per sempre, vi sarà, di volta in volta, una delega speciale e successiva fatta per il tramite di queste Commissioni, che terranno conto del contenuto di ogni progetto e della fiducia da dare per ognuno di essi al Ministro che lo propone: una specie di delega a stillicidio, diciamo così, in mancanza della quale resta inteso che il potere legislativo ordinario rimane nella Assemblea Costituente, la quale sola, in mancanza di delega, può esercitarlo.
Se questo è il significato che si dà a queste proposte – e sarei desideroso di sapere dal Relatore se questo è il significato – mi pare che le nostre domande abbiano ottenuto una risposta soddisfacente, perché resta stabilito in questo modo che il potere legislativo ordinario appartiene anch’esso, in principio, all’Assemblea Costituente, e che soltanto attraverso questa delega singolare, data di volta in volta, il Governo può essere autorizzato a emanare provvedimenti legislativi senza farli deliberare dall’Assemblea.
Senonché, anche data questa interpretazione, sorgono alcuni dubbi che mi permetto di sottoporre all’onorevole Relatore e a questa Assemblea.
Primo dubbio. Che cosa succederebbe qualora avvenisse che, quando una di queste Commissioni abbia stabilito che un determinato progetto, rimessole dal Governo, è di quelli che devono essere discussi dalla Assemblea, il Governo, nonostante ciò, preferisse di tradurre senz’altro in legge quel progetto senza farlo discutere dall’Assemblea?
Potrebbe far questo il Governo? Conserva il Governo un potere discrezionale per decidere se il suggerimento dato dalla Commissione debba esser seguito? Questo della Commissione è un suggerimento o è una determinazione obbligatoria per il Governo?
Se leggo la relazione in cui si parla del «principio che l’Assemblea abbia la facoltà di determinare, caso per caso, con proprio apprezzamento, quali di detti disegni ad essa comunicati debbano essere sottoposti alla sua deliberazione come disegni di legge», se io leggo la formulazione degli articoli in cui si adoprano espressioni quasi simili, devo ritenere che il Governo non abbia alcun potere discrezionale. E infatti, secondo la interpretazione che poco fa vi ho esposto, questo potere discrezionale il Governo non può averlo per la semplicissima ragione, che quando la Commissione ha deciso che un disegno di legge debba essere discusso davanti all’Assemblea, per questo disegno di legge la delega di potere legislativo dell’Assemblea al Governo non funziona, e quindi questo disegno di legge rientra in quella materia nella quale il Governo, non avendo ricevuto alcuna delega di potere legislativo, non potrebbe emanare norme giuridiche senza usurpare un potere che non ha.
Secondo dubbio: l’Assemblea Costituente ha o non ha potere di iniziativa, qualcosa che corrisponda al tradizionale potere di iniziativa parlamentare?
Con queste modificazioni introdotte al Regolamento noi otteniamo certamente questo, che è già assai: che il Governo non possa legiferare se non attraverso il controllo preventivo dell’Assemblea Costituente, ma non otteniamo (o in ogni modo non è detto chiaramente) che l’Assemblea Costituente possa prendere essa l’iniziativa per legiferare indipendentemente dalle proposte del Governo. Desidererei sapere dal relatore qualche cosa anche su questo punto.
E vi è finalmente un terzo ed ultimo dubbio. Le proposte su cui discutiamo riguardano il Regolamento interno dell’Assemblea. Mi domando se la questione su cui oggi siamo chiamati a deliberare sia una questione di così piccolo conto da meritare di essere accantonata, direi quasi dissimulata, in un articolo o in due articoli di un Regolamento interno.
In realtà, onorevoli colleghi, a noi pare che questa questione che oggi si risolve sia una questione tipicamente costituzionale. Si tratta di risolvere il problema dei rapporti tra l’Assemblea Costituente ed il Governo. Siamo in pieno in quella «materia costituzionale» in cui anche per l’articolo 3 l’Assemblea Costituente ha indubbiamente poteri pieni e originari, senza possibilità di intervento e di cooperazione di altri organi. Quindi noi ci saremmo aspettati, per risolvere questa questione, un provvedimento di carattere solenne, qualche cosa di più di un regolamento, qualcosa che fosse perfino più di una legge ordinaria: una legge costituzionale, cioè, per così dire, una superlegge. Qui, invece, noi vediamo qualche cosa di meno di una legge, nella forma se non nella sostanza. Abbiamo la modificazione di un Regolamento interno e ci domandiamo se questo Regolamento interno, il quale può servire a regolare la disciplina procedurale di questa Assemblea, possa avere efficacia nei confronti degli altri organi costituzionali, di fronte ai quali esso deve servire da delimitazione di poteri, cioè nei confronti del Governo o, addirittura, del Capo dello Stato.
Suppongo che il relatore risponderà a questa domanda all’incirca in questo modo: questa modificazione del Regolamento, egli dirà, è una modificazione, la quale in sostanza non fa che prendere atto di un proposito manifestato dal Capo del Governo nella sua dichiarazione recente, nella quale ha comunicato di essere disposto a lasciare che l’Assemblea Costituente controlli preventivamente i provvedimenti legislativi, che per l’articolo 3 il Governo potrebbe prendere anche senza intervento dell’Assemblea; sicché, trattandosi di prendere atto di una specie di concessione che il Governo fa volontariamente, non c’è bisogno di una solenne forma legislativa che sarebbe invece necessaria se non ci fosse questo consenso già dato in anticipo del Governo.
Se questa è la risposta, io dichiaro che non sono d’accordo su questo punto. Ritengo che il consenso del Governo, quantunque apprezzabile sotto l’aspetto morale e politico, non sia necessario e non abbia nessuna importanza sotto l’aspetto giuridico. Se si ritiene, come io ritengo, che l’Assemblea Costituente, per sua natura, concentri in sé il potere legislativo ordinario e questo potere non possa essere esercitato dal Governo se l’Assemblea Costituente non glielo vuol delegare, è evidente che l’Assemblea Costituente può sola stabilire, indipendentemente dalla volontà del Governo, se il Governo possa esercitare per delega quel potere: e il Governo non può far altro che accettare questa determinazione dell’Assemblea Costituente, che dispone, come meglio crede, dei poteri che appartengono soltanto ad essa. Se così è, allora vorrà dire che l’avere voluto dare a questa vera e propria legge costituzionale, alla quale noi consentiamo, la forma attenuata e modesta di un Regolamento fatto per così dire sottovoce, derivi da una certa tendenza che c’è in tutti ad evitar di parlare a voce alta della sovranità della Costituente, dei poteri della Costituente, di questi poteri sovrani e solenni che il popolo ha dato alla Costituente, e di proclamare ad alta voce, per esempio, che in Italia c’è la Repubblica e che il Capo dello Stato si chiama Presidente della Repubblica. (Approvazioni). C’è una certa tendenza, direi quasi da innamorati timidi, che ha abbassato, ha smorzato i toni anche nella terminologia politica, anche nella terminologia costituzionale: si cerca di parlare a bassa voce quasi per il timore di disturbare qualcuno che dorme nella stanza accanto…
Ora, se questo fosse, io dico francamente che avrei preferito che si desse a questo provvedimento la forma costituzionale solenne, che corrisponde alla sua sostanza. E credo che sarebbe non solo utile, ma doveroso per tutti noi affrontare chiaramente e sinceramente il problema dei rapporti della Costituente con il Governo, dei rapporti della Costituente col Capo dello Stato, e di dare alla Costituente (anche per facilitare il nostro lavoro di componenti un’Assemblea che deve soprattutto pensare a fare la Costituzione), di dare alla Costituente una specie di sua costituzione provvisoria, la costituzione della Costituente, lo statuto della Costituente. Perché, vedete, seguendo questo metodo di fare dei provvedimenti sottovoce, si va ad urtare contro nuove difficoltà, che sorgono proprio dalla timidezza di questi provvedimenti. Ad esempio, nell’articolo 6 del decreto del 16 marzo è detto che i provvedimenti, che non siano di competenza dell’Assemblea Costituente (e secondo l’articolo 3 i provvedimenti legislativi ordinari non sono di competenza dell’Assemblea Costituente) dovranno essere sottoposti alla ratifica del nuovo Parlamento entro un anno dalla sua entrata in vigore.
Vi pare che questo articolo 6 possa rimanere in piedi, se la proposta che oggi è stata presentata sarà accolta? Evidentemente no. E allora bisogna pur dirlo che questo articolo 6 non sarebbe più in vigore! Poi c’è l’articolo 5: «Fino a quando non sia entrata in funzione la nuova Costituzione, le attribuzioni del Capo dello Stato sono regolate dalle norme finora vigenti, in quanto applicabili». Quali sono le norme finora vigenti? E quali sono, tra quelle finora vigenti, quelle applicabili?
Una legge costituzionale, cioè una legge attinente a materia su cui indubbiamente l’Assemblea Costituente ha competenza anche per l’articolo 3, ha bisogno o non ha bisogno, per esser legge, della sanzione del Capo dello Stato? Secondo me, non ne ha bisogno: la sanzione del Capo dello Stato occorre soltanto per i provvedimenti attinenti al potere legislativo ordinario.
Ma, come vedete, sono tutti problemi assai gravi e assai delicati, che forse sarebbe stato opportuno ed anche economico, per risparmio di tempo, risolvere tutti una buona volta fin da principio, per sgombrare la strada al lavoro che più conta. Il non avere idee chiare su questi punti dà luogo, e spesso, a equivoci, a incertezze, delle quali ritengo utile, (e poi avrò finito) citare due esempi.
Il primo è questo. Qualche giorno fa, parlando con un collega di questa Assemblea – non vi dico di che partito era, se no direste che faccio una malignità – egli faceva questa ipotesi (dannatissima, come dicono gli avvocati): che l’attuale coalizione governativa si scinda in due gruppi, nessuno dei quali abbia la possibilità o la volontà di assumere il Governo.
Che cosa succederebbe? Come si farebbe a risolvere questa crisi di Governo? Diceva il mio interlocutore: «È semplice: il Capo dello Stato scioglie l’Assemblea». Niente affatto: il Capo dello Stato non scioglie l’Assemblea, perché il Capo dello Stato può sciogliere un Parlamento, ma non può sciogliere, evidentemente, un’Assemblea Costituente, la quale è stata nominata dal popolo col compito preciso di fare una Costituzione e deve assolverlo fino in fondo. Voi comprendete però che un dubbio simile non sorgerebbe neanche se questi rapporti, se queste differenze tra funzione legislativa ordinaria e funzione costituente fossero stati fin dal principio chiariti, e se fin dal principio si fosse vista chiaramente la funzione del Capo dello Stato in relazione alla Costituente.
Il secondo esempio si è avuto ieri proprio in quest’aula, quando si è sentito proporre da un gruppo di onorevoli colleghi una mozione con la quale si chiedeva, nientedimeno, di deliberare qui che la nuova costituzione quando sarà pronta debba essere sottoposta a referendum.
Evidentemente gli onorevoli proponenti della mozione dimenticavano che nella nostra Assemblea ci sono due funzioni, la funzione parlamentare e la funzione costituente, e che in questo momento, in queste settimane, la funzione costituente è affidata alla Commissione apposita che sta lavorando con grande zelo, e alla quale spetterebbe casomai di formulare a suo tempo la proposta (alla quale io sarei energicamente contrario) di sottoporre la nuova Costituzione all’approvazione di un nuovo referendum. Il venir qui a portare, in sede parlamentare, questa mozione, che, dopo le sagge dichiarazioni del Presidente De Gasperi è stata rinviata sine die, dimostra una confusione di lingue e di concetti che si sarebbe potuta evitare se sin dal principio i limiti tra le due funzioni fossero stati chiariti.
Questi sono i dubbi che io sottopongo all’onorevole Relatore; al quale rivolgo, per finire, un’ultima domanda. Io mi auguro che, se la proposta verrà approvata, come io e i colleghi del mio gruppo l’approveremo, queste Commissioni facciano un uso il più parco possibile del loro potere di rimandare i progetti di legge alla discussione dell’Assemblea.
Bisogna formulare il principio che l’Assemblea può, se vuole, discutere tutti i progetti. Ma se si può evitare, non diciamo di perder tempo, ma di occupare il nostro tempo, che è limitato, in problemi di legislazione ordinaria, per riservarlo soprattutto alla discussione della Costituzione: questo mi pare desiderabile ed augurabile.
E, allora, domando perché a queste Commissioni non si dà la possibilità, invece di limitare la loro funzione a questa scelta tra i provvedimenti da rimandare al Governo e quelli da far discutere dall’Assemblea, di svolgere una terza possibile funzione, quella di accompagnare i progetti rimandati al Governo con raccomandazioni o addirittura con proposte di modificazioni. Sarebbe qualcosa di simile a quello che facevano le Commissioni della Consulta; e in questo modo non si occuperebbero le sedute dell’Assemblea plenaria nel lavoro spicciolo della legislazione ordinaria.
Questo mio suggerimento, che altri potrebbero tradurre in proposta, mira soprattutto a far sì che, nel nostro lavoro, la funzione costituente non sia soverchiata dalla funzione parlamentare.
Ricordiamo, colleghi, come io ricordo a me stesso, che fra venti o trent’anni le difficoltà, sia pur gravissime, ma contingenti, che oggi si devono affrontare colla legislazione ordinaria, saranno superate e dimenticate. I nostri nipoti e pronipoti non le ricorderanno più, ma fra cinquanta o cento anni sarà ancora viva – monumentum aere perennius – la Costituzione della Repubblica Italiana. È soprattutto per questo fine che noi abbiamo in questo momento il dovere di lavorare con tutte le nostre forze! (Vivi applausi a sinistra).
Presidenza del Vicepresidente PECORARI
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Riccio. Ne ha facoltà.
RICCIO. Onorevoli colleghi, la questione di cui oggi ci occupiamo ebbe già un inizio di discussione nella seduta del 15 luglio. Allora l’onorevole Calamandrei, a nome anche del Partito d’Azione. ritenendo che l’articolo 3 del decreto legislativo 16 marzo 1946, contenesse una delega di poteri, propose la ratifica di esso, ma richiese altresì che l’Assemblea, in casi di determinata importanza, avesse ripreso direttamente il potere legislativo.
L’onorevole Mastrojanni espresse il parere che, posta la sovranità dell’Assemblea, questa, per dignità e per coerenza di sovranità, nessuna delega avrebbe dovuto dare. Egli negò al decreto 16 marzo 1946 ogni consistenza giuridico-costituzionale e concluse col richiedere che fosse demandata alla sovranità della Costituente «la ratifica, l’abrogazione o la modifica».
L’onorevole Calosso aderì alla proposta Calamandrei, sostenendo l’opportunità che ogni progetto legislativo fosse reso pubblico in anticipo, onde evitare errori irreparabili.
L’onorevole Bruni sostenne che il decreto 16 marzo 1946 doveva essere considerato come nullo e superato ed affermò che l’Assemblea, fornita di piena sovranità, andava posta in grado di esercitarla con speciali garanzie, esaminando e discutendo ogni provvedimento relativo alla vita della Nazione.
L’onorevole Terracini, si dichiarò favorevole alla proposta Calamandrei; ritenne però che occorresse dare al sistema dei rapporti fra Governo e Assemblea un ulteriore coordinamento. Ne è seguito l’ordine del giorno Terracini e l’ordine del giorno mio, da cui è nato l’articolo aggiuntivo che oggi è proposto all’approvazione dell’Assemblea e che, se risponde ad una esigenza che si è manifestata impellente, colmando una lacuna procedurale esistente, non intende annullare il decreto 16 marzo 1946, e tanto meno dichiararlo incostituzionale.
L’onorevole Calamandrei ha oggi riaffermato il suo punto di vista, ma ha dato una interpretazione ed un significato dell’articolo proposto del tutto contrari allo spirito che lo ha informato.
Alcune osservazioni preciseranno e chiariranno il contenuto dell’articolo in discussione e il nostro pensiero al riguardo.
1°) Il decreto 16 marzo 1946 è pienamente costituzionale. Già prima del 25 luglio 1943 la Costituzione albertina era stata infranta con la soppressione della libertà individuale e del principio rappresentativo elettivo. Nonostante il carattere flessibile della nostra Costituzione vi erano principî fondamentali insopprimibili e diritti essenziali indiscutibili: questi formavano la base della Costituzione. Come si poteva parlare di una Costituzione che era stata la conquista di un popolo anelante alla libertà, quando la rappresentanza libera di questo popolo era stata soppressa sostituendo al Parlamento la Camera dei fasci?
Dopo il 25 luglio 1943 anche l’ordinamento statuale fascista crollò con la soppressione per decreto Reale del Gran Consiglio e con lo scioglimento, non seguito da convocazione, della Camera dei Deputati. Sicché l’ordinamento fascista cadeva senza che si potesse ritornare a quello albertino, a sua volta infranto e rinnegato.
Sorgeva, perciò, un nuovo ordinamento giuridico, che regolava la vita costituzionale dello Stato e che trovava la sua fonte, i suoi limiti e la sua giustificazione nella necessità. Se è vero che esso aveva il carattere della provvisorietà, è pur vero che nasceva da un fatto politico, rivoluzionario e costruttivo: il compromesso interceduto fra la Corona e il Comitato di Liberazione.
La necessità è fonte di diritto. La dottrina ormai è concorde, perché su questa affermazione s’incontrano la scuola giuridica italiana e la scuola sociale cristiana, Vittorio Emanuele Orlando e Taparelli d’Azeglio. La legge 31 gennaio 1926, n. 310, riconosceva espressamente la necessità come fonte di diritto. Del resto, nella carenza di un ordinamento costituzionale dello Stato, dal momento che pur s’imponeva la riorganizzazione dello Stato stesso, prima di giungere alla espressione della sovranità del popolo, e per potervi giungere regolatamente e regolarmente, occorrevano dei provvedimenti, che si ebbero. Essi hanno valore obbligante. La costituzionalità nasce dalla necessità e dal compromesso tra il Sovrano ed il Comitato di Liberazione, che aveva dato il Governo e che rappresentava il popolo.
Il decreto 16 marzo 1946, quindi, nacque dalla necessità; tendeva ad ordinare la vita dello Stato; si limitò a stabilire il modo di riorganizzare lo Stato; è, perciò, pienamente giustificato nel fondamento, ed è, quindi, pienamente costituzionale. Né l’Assemblea Costituente, investita dal popolo di un mandato determinato, ha il diritto di esaminare questa costituzionalità. Il popolo ha accettato il provvedimento; l’ha ratificato andando al referendum ed alle elezioni per la Costituente. La nostra elezione financo è conseguenza di questo decreto. Non si potrebbe inficiarlo, senza negare a noi stessi il diritto di sedere in quest’aula e di continuare il nostro lavoro. Né si dica che quel decreto legislativo debba essere sottoposto a ratifica. Si tratta di una legislazione costituzionale ricostruttiva provvisoria, la quale è provvisoria per il momento ed il modo in cui nacque e perché ha durata limitata nel tempo, ma vincola definitivamente gli organi dello Stato sin quando non si avrà la nuova costituzione. La Costituente è regolata da quella legge, dalla quale ne sono determinate le funzioni specifiche.
Si tende alla riorganizzazione dello Stato, non alla disorganizzazione. Negare la costituzionalità del decreto suindicato significherebbe inficiare l’attuale ordinamento costituzionale provvisorio, nonché il referendum e le elezioni per la Costituente; significherebbe creare il disordine e la disgregazione dello Stato.
Sono convinto che nessuno può volere ciò e che gli accenni, i quali sono stati fatti in quest’Aula, vanno ritenuti soltanto come critica indicatrice delle estreme conseguenze, alle quali si arriverebbe, se quella costituzionalità venisse posta in dubbio. Noi abbiamo bisogno di difendere lo Stato con le leggi e con la continuità di esse. Sono convinto perciò che in quest’Aula sarà riaffermata la piena costituzionalità del decreto indicato e questa affermazione sarà la base per il nostro cammino, in pieno rispetto della volontà del popolo italiano, che, quale detentore primo della sovranità, quel decreto legislativo ha convalidato.
2°) Riaffermato il fondamento costituzionale del decreto, per intenderci sulle altre questioni, occorre qualche ulteriore precisazione.
Il potere costituente è legislativo, ma non è tutto il potere legislativo; è, se vogliamo, il primo e massimo potere legislativo, in quanto consiste nella formulazione delle leggi fondamentali della vita associata in un determinato organismo politico, ed agisce in un modo autonomo senza riferimento ad ordinamento positivo preesistente; non è tutto il potere legislativo, in quanto, nella vita dello Stato, vi è anche la formulazione e posizione della legislazione ordinaria e suppletiva, la quale accompagna la ordinaria vita dello Stato e che, a costituzione fatta, si pone come lo svolgimento di essa. Non due poteri distinti, come alcuni hanno sostenuto, ma un potere che si presenta sotto un duplice aspetto e si snoda in una duplice diversa funzione, alla cui base, però, vi è sempre e solo la facoltà inerente alla sovranità; esso una volta si pone come costituente, ed un’altra volta si pone come costituito, onde la legge accompagna la vita ordinaria dello Stato, mentre la Costituzione o incide sul sorgere dello Stato o sulla sua riorganizzazione.
La Costituente è chiamata a svolgere una funzione specifica: dare la Costituzione allo Stato; ed è chiamata a questo compito soltanto. Fuori della determinazione della struttura politico-giuridica dello Stato il suo potere si estingue. La Costituente, perciò, non ha in sé, per sua natura, il potere legislativo ordinario e tanto meno quello esecutivo e giudiziario.
Lo Stato non è caduto, ma si trasforma; la trasformazione avviene a mezzo della Costituente. Ma, oltre la Costituente, e parallelamente ad essa, funzionano gli altri organi dello Stato che conservano il potere legislativo ordinario, quello giudiziario e quello esecutivo. È perciò che, come è avvenuto di solito nella storia, accanto all’Assemblea Costituente è stato nominato e, per il tempo del suo esercizio, un Governo provvisorio con il compito della ordinaria amministrazione della cosa pubblica. Così è avvenuto anche in Italia; soltanto che, incidendo profondamente sulla vita e sulla struttura dello Stato i trattati internazionali, data l’ora gravissima della storia e le decisive questioni da affrontarsi dalla nazione, è stato necessario demandare alla Costituente anche l’approvazione dei trattati internazionali. Per di più, giacché le leggi elettorali sono come la interpretazione di tutta l’anima della Costituzione in uno stato democratico, si è ritenuto opportuno rimetterne la formulazione anche alla Costituente.
Il provvedimento, dettato da necessità di ordine pubblico, risponde ad esigenze di ordine giuridico, per evitare il pericolo che l’Assemblea abbia a trasformarsi in organo dispotico e tiranno, che sfrutti la provvisoria supremazia a scopi rivoluzionari.
Si ha così – e fu stabilito espressamente nel decreto tante volte richiamato – una divisione di funzioni tra i due poteri ed una conseguente limitazione dei poteri della Costituente. Questa veniva chiamata a dare la Costituzione, mentre al Governo veniva dato l’ordinario potere legislativo per l’ordinaria vita dello Stato con legislazione provvisoria. A Costituzione approvata, la Camera legislativa eletta dovrà esaminare la legislazione provvisoria, stabilendo la sua corrispondenza alla Costituzione, in modo da darle il riconoscimento della definitività e, quindi, della costituzionalità.
Questo sistema di ripartizione di poteri e di lavoro risponde ad un bisogno della vita dello Stato ed ha una logica giuridica. Non è, perciò, assolutamente a parlarsi di delega al Governo di un potere legislativo da parte della Costituente, non potendo questa delegare una funzione che non ha.
Né si dica che queste affermazioni contrastano con la sovranità della nostra Assemblea. Non dimentichiamo che quando il Governo e la Consulta si trovarono di fronte al dilemma; affidare alla Costituente soltanto la formulazione della Costituzione o darle invece tutti i poteri in modo da agire ora come Costituente ed ora come costituita, lo risolsero nel primo senso. E più importante è che il popolo, a mezzo delle elezioni, ha accettato la divisione dei poteri ed ha dato un mandato specifico a questa Assemblea. Se non vi fosse stata questa espressione di volontà da parte del popolo per mezzo del voto, forse si potrebbe anche discutere, perché si potrebbe dire che un potere meno rappresentativo, quale un Governo provvisorio, non avrebbe mai potuto porre dei limiti ad una futura Assemblea eletta. Ma vi è stato il decreto di convocazione delle elezioni, che ha espressamente sancita la limitazione; ed il popolo col voto l’ha implicitamente approvata; una sana democrazia pone ed impone il rispetto di quella volontà, che è limitatrice dell’attività dell’Assemblea.
In conclusione, se vi è stata una divisione di poteri, è evidente che vi fu anche una limitazione di attribuzioni, che oggi è assolutamente insormontabile.
3°) Con queste affermazioni non vogliamo sostenere che il Governo mai, in nessun caso, debba ritenersi responsabile di fronte alla Costituente; né che la Costituente non abbia il diritto di esercitare alcun controllo sul Governo; né che non sia necessario un coordinamento tra i due poteri. La norma di cui oggi discutiamo, risponde certamente ad un’esigenza essenziale della vita dello Stato, e s’inquadra nella logica e nello spirito di quel provvedimento, quasi come la conseguenza derivante da una premessa. Nell’articolo 3°, 2a parte, è detto che il Governo può sottoporre all’esame dell’Assemblea qualunque altro argomento per il quale ritenga opportuno la deliberazione di essa.
Dunque è riconosciuto che la Costituente può deliberare. Quali le norme procedurali per pervenire alla deliberazione?
L’articolo in discussione le prevede e le regola.
Se esistono due poteri, essi vanno coordinati nell’interesse della organizzazione collettiva e per la tutela del bene comune.
Non è rinnegato il diritto del Governo ad emanar legge; non è dichiarata incostituzionale la norma fondamentale contenuta nel decreto 16 marzo 1946; è riconfermata la divisione di funzioni fra i due poteri; è ristabilito il coordinamento tra essi; è riconosciuto e proceduralmente organizzato il diritto di deliberazione dell’Assemblea entro i limiti dell’articolo 3 del surrichiamato decreto legislativo.
Ed ancora: il Governo avrebbe dovuto occuparsi soltanto di legislazione ordinaria, rispondente agli ordinari bisogni della vita collettiva. Il momento storico che viviamo, invece, spinge e crea necessità eccezionali, costringendo qualche volta il Governo ad occuparsi delle cosiddette riforme di struttura.
La riforma agraria e la riforma industriale richiedono, per esempio, una risoluzione immediata ed intransferibile. Certamente è opportuno – anzi è costituzionalmente indispensabile – che su di tali provvedimenti si abbia la deliberazione dell’Assemblea; se ciò non avvenisse ed il Governo agisse per proprio conto senza richiedere detto parere, esso indubbiamente andrebbe oltre i poteri conferitigli. La Costituente, che pur deve porre i principî regolatorî di quelle riforme con la sua deliberazione, viene in sostanza ad inquadrare l’orientamento del Governo nel proprio binario sociale-economico e costituzionale.
Né io penso che la norma, la quale stiamo per approvare oggi, sia abolitiva dell’articolo 6 del decreto legislativo 16 marzo, perché il Parlamento ordinario dovrà sempre esaminare tutti i provvedimenti legislativi ordinari per stabilire la corrispondenza alla nuova Costituzione approvata. È un bisogno, assoluto ed inderogabile, della vita dello Stato. Queste precisazioni – io penso – varranno a dichiarare anche il contenuto della prima parte della norma in discussione, indicando il criterio logico e giuridico che dovrà guidare le Commissioni e l’Assemblea nel loro lavoro.
Non credo si debba andare oltre.
Andare oltre sarebbe negazione dei principî sani della democrazia e sarebbe pericoloso, Non sarebbe affermazione di democrazia piena, in quanto si verrebbe a superare la volontà del popolo. L’Assemblea Costituente non è potere costituito e non può perciò arrogarsene le prerogative; non può essere concepita come soggetto autonomo della sovranità, essendole delegata dal popolo solo una parte della sovranità. Poiché la sovranità risiede nel popolo organicamente inteso, l’Assemblea dal popolo mutua le sue particolari facoltà e ad esse deve rimanere limitata la sua funzione. Se, in conclusione, con le elezioni, si è adoperata una trasmissione limitata di poteri, una sana democrazia impone che non vi siano usurpazioni ed arbitrî. Sarebbe pericoloso, in quanto il superamento dei limiti priverebbe del fondamento giuridico quella particolare opera svolta dalla Assemblea, ponendo questa su un terreno illegale e rivoluzionario.
Il segreto della vita dello Stato e della sua organizzazione è nel rispetto delle leggi, non solo da parte dei cittadini, ma anche, e soprattutto, da parte degli organi dello Stato. Sono convinto, quindi, che l’articolo, sia pure con qualche modifica che meglio lo inquadri nel contenuto dell’articolo 3 del decreto legislativo 16 marzo e che andiamo a formulare, avrà il suffragio dell’Assemblea. (Applausi).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Bozzi. Ne ha facoltà.
BOZZI. Onorevoli colleghi, a me duole di non poter condividere la soddisfazione, sia pure limitata, espressa dall’onorevole Calamandrei. Vi dico subito che non sono riuscito ad inquadrare, nel suo profilo politico e nel suo profilo giuridico, la proposta fatta dalla Giunta del Regolamento. Qui noi ci troviamo di fronte ad un Regolamento della Camera, cioè ad un atto interno che, per sua definizione, deve disciplinare le attribuzioni dell’Assemblea; quelle attribuzioni, cioè, di cui l’Assemblea è già legittimamente investita. Il problema, viceversa, che si presenta oggi al nostro esame, è radicalmente diverso; noi dobbiamo vedere se l’Assemblea abbia o non abbia determinate attribuzioni; se all’Assemblea debba o no competere una attività di intervento nella materia legislativa ordinaria; quali siano i rapporti, in tema di potestà di legiferazione, fra Governo e Assemblea.
Quindi, secondo me, da un punto di vista formale, che poi è anche sostanziale, lo strumento legale adoperato, cioè il Regolamento, è quanto mai inidoneo; e sotto questo aspetto io concordo pienamente con il terzo dubbio espresso dall’onorevole Calamandrei. Mi sembra, però, che questo sia un dubbio che investa tutto il problema e mini alla base la consistenza stessa, giuridica e politica, del provvedimento. In sostanza, questo provvedimento ha la natura, direi quasi, di una convenzione: figura anomala nel nostro diritto pubblico. Nasce da un accordo, che è formato, da una parte, da una dichiarazione, da un impegno, che si è creduto di poter desumere dalle dichiarazioni fatte dall’onorevole Presidente del Consiglio nella seduta del 25 luglio, quando questi affermò che il Governo era disposto a fare largo uso della facoltà discrezionale di inviare all’Assemblea disegni di legge; dall’altro lato dall’accettazione di questo impegno da parte dell’Assemblea. Di qui la regolamentazione di questo rapporto fra Governo e Assemblea, venutosi a costituire con tanto strano procedimento.
Voglio subito dirvi che impegni di questo genere hanno uno scarso valore, non solo giuridico, ma anche politico. Quando si discusse – e molti di voi lo ricorderanno – il decreto del marzo 1946 alla Consulta, vi fu taluno che fece presente che quei vincoli che si riteneva di potere imporre all’Assemblea Costituente erano vincoli assai fragili, che in tanto avrebbero potuto legare l’attività dell’Assemblea, in quanto fossero stati consacrati in un documento approvato da referendum popolare. E la risposta fu che un tal rilievo era esatto, ma che gli uomini che rappresentavano i partiti al Governo si impegnavano a che la delimitazione di poteri, la divisione di lavoro tra Governo e Assemblea, venisse rispettata.
I fatti hanno dimostrato che le cose sono andate diversamente. Si tratta di impegni personali, suscettibili di mutamento per varie cause. Noi abbiamo anche ascoltato l’impegno assunto dall’onorevole Presidente del Consiglio in data 25 luglio, di inviare all’Assemblea Costituente quasi tutti i disegni di legge; non consta però che, a tutt’oggi, ne sia stato mandato alcuno. E pure il Governo ha largamente legiferato ed in materia assai importante.
Ora, evidentemente, noi non possiamo risolvere problemi di tanta delicatezza e di tanta importanza con formule compromissorie del genere di quella proposta. Noi dobbiamo adoperare gli strumenti costituzionali e giuridici idonei per risolvere questi problemi. L’Assemblea è la depositaria originaria e unica della sovranità popolare; essa cumula in sé due funzioni, quella costituente e quella legislativa. L’esercizio di questa seconda funzione non può esserle sottratto. Bisogna, rivedendo il decreto del marzo 1946, sistemare in forma costituzionalmente corretta i rapporti fra Governo e Assemblea in questa materia. Noi abbiamo soprattutto bisogno di certezza nell’ordinamento giuridico. La certezza del diritto in genere è una delle condizioni fondamentali perché le società possano esistere e progredire.
Il decreto del 1946 è travagliato da un’intima contraddizione. Esso, in sostanza, foggia un sistema parlamentare; crea l’istituto della fiducia; affida all’Assemblea il compito di determinare la direzione politica del Governo; rende questo responsabile verso l’Assemblea. Sono questi i connotati giuridici costituzionali essenziali del sistema parlamentare. Ma da questa impostazione iniziale il decreto non ha tratto le conseguenze necessarie. Perché, se l’Assemblea ha il potere-dovere di controllo sul Governo, è indispensabile che essa abbia anche la possibilità giuridica di controllarne tutti i singoli atti e tutte le singole manifestazioni con cui si attua quella direzione politica. E ciò mediante un controllo preventivo, mediante un controllo diretto, intervenendo nell’attività legislativa, e non in forma postuma, non organica, occasionale, quale oggi si esplica, attraverso una copiosa messe di interrogazioni, interpellanze, mozioni.
In sostanza, occorre fare, secondo il mio punto di vista, un’organica rielaborazione di questa materia, in una forma che abbia valore giuridico, che impegni gli organi costituzionali, abbia efficacia verso i terzi, sia controllabile dal giudice; e ciò con chiarezza e con coerenza.
Il Regolamento proposto, scendendo al merito della questione, non mi soddisfa.
Che cosa propone questo Regolamento? Istituisce quattro Commissioni, e sapete quali sono i poteri di queste Commissioni? Queste Commissioni dicono semplicemente se il disegno di legge, presentato dal Governo, sia importante dal punto di vista tecnico o politico, e se, a loro giudizio, debba essere trasmesso all’Assemblea Costituente. Quindi, l’espressione di un punto di vista delle Commissioni. Il Governo non è giuridicamente vincolato da questa manifestazione di giudizio. Esso è discrezionalmente libero; vi è una discrezionalità politica. Il Governo può aderire al punto di vista delle Commissioni; può non aderire.
È ammissibile questo sistema? Mi sembra che la semplice ipotesi che il Governo possa non aderire al punto di vista manifestato dalla Commissione faccia, di per sé solo, scadere nel prestigio questa nostra Assemblea, che dovrebbe detenere la potestà legislativa. E vi assicuro che di ciò non si sente proprio il bisogno!
La logica vorrebbe che se le Commissioni ritengano che il disegno di legge ha valore ed importanza tecnica o politica, l’Assemblea se ne impossessi senz’altro e lo discuta. Non vi è ragione che il disegno torni al Governo perché lo riesamini e rifaccia la sua valutazione. Nel sistema proposto le Commissioni si limitano a formulare un invito al Governo.
E poi vorrei dire anche un’altra cosa: perché le Commissioni? Le Commissioni le concepisco come organi dell’Assemblea, diretti allo studio, alla preparazione, all’elaborazione, ma non come organi che abbiano una potestà di deliberazione in nome e per conto dell’Assemblea. Io concepisco che le Commissioni esprimano il loro punto di vista alla Assemblea plenaria e che sia poi questa a decidere.
Queste mie brevi dichiarazioni vogliono sottolineare la necessità di sottoporre, come ho già detto, ad una rapida, ma organica e chiara rielaborazione, nella forma di legge costituzionale, questa materia dei rapporti tra Governo e l’Assemblea. Si potrà poi trarre occasione di ciò per disciplinare altri punti a cui ha accennato l’onorevole Calamandrei.
Vi sono, nel regime provvisorio che ci governa, troppe lacune, troppe incertezze. Tutto ciò non contribuisce, credetemi, ad aumentare il prestigio del nostro istituto e della democrazia in genere. Secondo me, politicamente, è necessario stabilire una più intima collaborazione tra Governo e Assemblea. Se siamo nel sistema parlamentare, questa collaborazione è un elemento indispensabile. La collaborazione serve a mediare e a meglio comporre i contrastanti interessi. Inoltre, si assicura in qualche modo il rispetto delle minoranze. Bisogna ristabilire le garanzie, rifarsi al rispetto della legalità costituzionale. Ed a questo proposito vorrei domandare agli organi competenti, se non credono che si debbano presentare alla Assemblea, perché questa possa esercitare il suo controllo politico, quei sette decreti che la Corte dei conti ha registrato con riserva e che da molto tempo – mi consta – sono stati mandati all’Assemblea. Questa è una funzione che Assemblea deve rivendicare. Noi abbiamo il diritto di esercitare un controllo politico sul Governo che ha imposto la registrazione con riserva. Io credo che se ci avvieremo decisamente sulla strada della legalità e della correttezza costituzionale, faremo un’opera non vana per lenire quella crisi che non è soltanto nella coalizione governativa, ma è anche, e profonda, nel Paese; ed è, soprattutto, la crisi della legalità. (Applausi).
Presidenza del Presidente SARAGAT
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Caroleo. Ne ha facoltà.
CAROLEO. Onorevoli colleghi, dopo la discussione esauriente del professore Calamandrei, sarebbe pressoché inutile la parola modesta di un suo vecchio discepolo, vecchio per l’ammirazione di colui che vi parla verso la persona di Calamandrei, ma non per l’età che questo modesto oratore vanta assai più lunga di fronte al rispettabile maestro. Ho ascoltato anche con molta attenzione gli altri due oratori, l’onorevole Riccio e l’onorevole Bozzi, ma devo sinceramente dire che dall’insieme mi è parso di dover desumere che si faccia una grande questione di forma e che si superi un poco quella che è soprattutto la sostanza, cioè la materia, che può realmente interessare i diritti di questa sovrana Assemblea.
Ricordo che nella seduta del 15 luglio ebbi l’onore di sottoporre a questa Assemblea un ordine del giorno perché avvertivo la sensazione di trovarmi dinanzi a un grande malinteso. Qualche onorevole collega di altro settore in quella occasione quasi espresse una voce di allarme contro taluni settori di minoranza di questa Assemblea, fece intendere cioè che da qualcuno si potesse pensare di superare la interpretazione serena e logica della proposta dell’onorevole Calamandrei e andare addirittura a contestare la continuità della funzione legislativa del nostro Paese e ad offendere le buone norme di rispetto verso il Governo, che veniva espresso dall’Assemblea. Si diceva addirittura che si pensasse di contestare tutta la legalità di quanto si era operato nel periodo dell’esarchia nel nostro Paese; e allora io, che facevo e faccio parte di uno di quegli sparuti gruppi parlamentari di minoranza, dove, come è in tutti i settori di questa Assemblea, i doveri verso la disciplina, la giusta disciplina, di partito non si antepongono alla tutela e alla visione degli interessi superiori della Nazione, sentii il dovere di presentare un ordine del giorno, che cercava di contemperare i diritti di sovranità dell’Assemblea Costituente con tutto il riguardo dovuto al proprio Governo. E in quell’ordine del giorno, che non ho avuto più necessità di riproporre dopo le dichiarazioni dell’onorevole Presidente del Consiglio, non facevo che chiedere lo schema di un decreto legislativo, quindi di un provvedimento di emanazione dello stesso Governo, nel quale si sarebbero indicate le materie, che il Governo riservava a sé, stabilendo, s’intende, in maniera precisa che la maggior parte delle materie inerenti alla funzione legislativa dovesse passare per la Costituente, in omaggio alla sovranità di questa Assemblea.
Ma non è stato necessario – ho detto – riproporre nella nuova discussione quell’ordine del giorno, perché quel che a me sembrava un malinteso fu immediatamente superato, se non compiutamente nella forma, certamente, onorevoli colleghi, nella sostanza.
Il malinteso non poteva sussistere: non poteva sussistere per nessuno dei membri di questa Assemblea e non poteva sussistere per nessuno dei membri del Governo. Non per i componenti di questa Assemblea, perché noi siamo stati eletti e siamo stati mandati qui dal popolo, per formare le nuove leggi non soltanto costituzionali, ma anche ordinarie, perché queste ultime sono leggi che attengono al superamento dei bisogni più vivi e più urgenti della Nazione italiana, cioè pane, lavoro e giustizia sociale per tutto il nostro popolo.
Non poteva il malinteso sussistere per il Governo, in quanto sarebbe stata comoda cosa per l’Assemblea creare un Governo responsabile di fronte ad essa e non un Governo che rendesse l’Assemblea partecipe della sua responsabilità, in questo duro momento della vita italiana.
E la via era ed è una sola: chiamare, come è doveroso chiamare, questa Assemblea alla formazione anche delle leggi ordinarie del nostro Paese.
L’onorevole Presidente del Consiglio ha avuto la più esatta percezione di questa esigenza di tutti i membri della Costituente e del Governo e ha compiuto un gesto, su cui questa Assemblea – come ben notava l’onorevole Calamandrei – si ferma quasi superficialmente, senza conferire quell’importanza che questo avvenimento merita. Perché dovrebbe sentirsi in questa Assemblea che oggi, per la prima volta, dopo venti anni, viene restituita al popolo italiano la sovranità della sua funzione legislativa; oggi soltanto, dopo quella legge del 31 gennaio 1926, a cui gran parte delle rovine di questo nostro sfortunato Paese sono dovute, e che, accompagnata da quel famoso articolo 19 della legge comunale e provinciale, pose tutti i diritti dei cittadini nelle mani incontrollate del potere esecutivo.
Come non intendere, onorevoli colleghi, l’importanza, direi quasi storica, di questo grande avvenimento per il popolo italiano, che si vede restituito nella libertà della legge, e come potersi proporre dei dubbi sul significato degli articoli che ci sono stati proposti, dei dubbi di interpretazione sostanziale? Se io – ed impegno da questo banco soltanto la mia persona – se io approvo la proposta è perché intendo, senza limitazioni e riserve mentali di nessuna specie, che con essa viene restituito il diritto di sovranità legale al popolo italiano, viene in pieno restituita al popolo italiano la sovrana funzione legislativa. E penso che l’onorevole Perassi, illustre relatore di questa proposta, non potrà non fare anche delle dichiarazioni in proposito, le quali d’altra parte sarebbero superflue dopo il chiaro dettato degli articoli formulati.
È un evento, onorevoli colleghi, il cui significato, oltre a riempire di piena soddisfazione i cittadini italiani che sono stati mandati qui dal popolo italiano a difendere i diritti della sua libertà, supera, oserei dire, i confini del nostro suolo, perché mentre dall’esterno qualcuno oltraggia il nostro onore e soffoca i diritti di vita del popolo italiano, può trarre il convincimento, da quanto accade in seno a questa autorevole Assemblea, che qui di giorno in giorno le volontà si cementano, i cuori si rinsaldano nella fede della legge, nella fede della libertà del nostro Paese: fede nella libertà che è l’arma che sola ci è rimasta contro tutti i rinnegatori del nostro onore, contro tutti i soffocatori della nostra esistenza. Sola ci è rimasta, ma brillante, splendente, come l’arma del bene contro quella del male, come l’arma dell’ordine contro quella del disordine. È l’arma, onorevoli colleghi, che questa Roma ha custodito e custodirà nei secoli: la libera legge civile, che ha soltanto due nemici: le violenze della piazza, come che siano qualificate, e le caduche tirannidi.
Onorevoli colleghi, c’era un ultimo dubbio, che affacciava l’onorevole Calamandrei sulla formulazione delle norme su cui ha riferito l’onorevole Perassi, cioè quale sia il destino di quei decreti-legge che saranno rinviati dalle Commissioni perché non ritenuti soggetti all’approvazione della Costituente. Ma al riguardo ho creduto di poter proporre un emendamento, che valga a colmare questa lacuna, la quale si riallaccia ad una specie di pudica e inutile riserva, che era inserita in tutti quei decreti-legge, che prendevano il loro spunto dallo stato di necessità e di urgenza contemplato dalla legge del 31 gennaio 1926. Dico pudica riserva, perché quel rinvio di decreti-legge ad assemblee legislative ammaestrate non significava un bel nulla. Poteva significare soltanto una limitazione anticipata, maliziosa e dispotica dei poteri di quel futuro Parlamento, che se libero Parlamento e se in pieno investito della sovranità della funzione legislativa, in qualunque momento avrà diritto non soltanto di approvare o non approvare, ma di abrogare le leggi e alle leggi nuove concedere anche virtù retroattiva, perché la formula della retroattività o meno può essere problema di interprete, ma non è limite per un sovrano legislatore.
Chiudo queste modeste osservazioni proponendo che, attuandosi la modifica al Regolamento, sia anche data approvazione al mio emendamento aggiuntivo.
MASTROJANNI. Chiedo di parlare per fatto personale.
PRESIDENTE. Indichi il suo fatto personale.
MASTRO JANNI. Vorrei rispondere all’onorevole Caroleo sull’apprezzamento fatto in ordine al mio discorso del 15 luglio 1946.
PRESIDENTE. Lei è iscritto a parlare e potrà rispondere quando verrà il suo turno.
Ha chiesto di parlare l’onorevole Crispo. Ne ha facoltà
CRISPO. L’onorevole Calamandrei ha accennato alla natura del provvedimento sottoposto al nostro esame, e io ritengo sia necessario insistere su questo rilievo per le conseguenze che occorrerà trarre, perché la proposta dell’articolo aggiuntivo pone una questione preliminare da discutere e da decidere, questione che, a mio modesto avviso, interdice l’esame del merito del provvedimento.
Si diceva già autorevolmente dall’onorevole Calamandrei che noi siamo dinanzi ad una modifica del Regolamento interno della Camera. Ma non basta dire questo, perché innegabilmente la Giunta del Regolamento ha la competenza necessaria per apportare eventuali modifiche al Regolamento interno del funzionamento della Camera.
Si tratta, invece, di esaminare se la modifica proposta sia una norma regolamentare che disciplini l’esecuzione della legge 16 marzo 1946, o sia piuttosto una norma regolamentare intesa a modificare sostanzialmente la legge 16 marzo 1946, nel quale caso sarebbe da opporre un fine di non ricevere alla proposta stessa, non essendo concepibile che una norma di Regolamento interno possa incidere sul contenuto di una legge.
Ora, a parer mio, basterà tenere presente il primo capoverso dell’articolo 3 della legge 16 marzo 1946, per intendere agevolmente come l’articolo aggiuntivo costituisca una modificazione sostanziale del contenuto del capoverso stesso.
Voi ricordate che l’articolo 3, nella prima parte, demanda al Governo la funzione legislativa ordinaria, escluse le leggi elettorali, nonché le leggi di approvazione dei trattati internazionali, ed esclusa la materia costituzionale. Nel 1° capoverso, l’articolo 3 stabilisce poi che: «Il Governo potrà sottoporre all’esame dell’Assemblea qualunque altro argomento per il quale ritenga opportuna la deliberazione di essa».
Dunque qui si contempla una mera facoltà del Governo: il Governo può usarne e può non usarne.
Che cosa, invece, si stabilisce con la proposta dell’articolo aggiuntivo? Si stabilisce il dovere del Governo di demandare ad alcune Commissioni determinate l’esame degli schemi legislativi perché le Commissioni, nei limiti della loro rispettiva competenza, decidano quali di essi debbano essere sottoposti alla deliberazione dell’Assemblea Costituente, e quali possano rientrare nei limiti della competenza legislativa determinata con la prima parte dell’articolo 3 della legge 16 marzo 1946. È evidente, adunque, che la facoltà si trasforma in un obbligo rigoroso.
Di questo si era perspicuamente reso conto l’onorevole relatore. E non poteva, per vero, al suo acume sfuggire la enormità di una norma regolamentare, per giunta di un Regolamento interno, preordinata a modificare sostanzialmente il contenuto di una legge. E l’onorevole Perassi, nella sua pregevole relazione, per dare, comunque, una parvenza di fondamento giuridico all’articolo aggiuntivo, richiama la dichiarazione fatta dall’onorevole Presidente del Consiglio nella tornata del 25 luglio 1946, quando egli disse che il Governo avrebbe fatto il più largo uso della facoltà di cui al primo capoverso dello articolo 3 della legge. Dice, dunque, l’onorevole relatore: siamo dinanzi ad un impegno del Governo, il quale implica anche raccoglimento del principio che l’Assemblea abbia la facoltà di determinare, caso per caso, i disegni da sottoporre alla propria deliberazione.
L’onorevole Calamandrei ha già rilevato che siamo davanti ad un impegno non giuridico, ma ad un impegno morale, costituzionalmente irrilevante. E ciò, senza dire che la legge resta e i Governi passano, onde è inconcepibile che possa essere assunta a fondamento di una disposizione così grave, così importante – come quella intesa a regolare rapporti tra l’attività legislativa del Governo e il potere dell’Assemblea – la parola innegabilmente autorevole del Presidente del Consiglio circa l’ampiezza dell’esercizio da parte del Governo della facoltà di cui al capoverso dell’articolo 3. Ho detto che la legge sarebbe radicalmente trasformata dall’articolo aggiuntivo per effetto del quale la facoltà diverrebbe dovere. Ad averne la prova, basta tener conto del modo in cui è formulato l’articolo aggiuntivo, prima parte, in rapporto al primo capoverso dell’articolo stesso. L’articolo, difatti, dice che, per determinare quali disegni di legge debbano essere deliberati dall’Assemblea, sono istituite quattro Commissioni, e al capoverso è precisato: «Il Presidente dell’Assemblea, al quale saranno inviati dal Governo tutti i disegni di legge deliberati dal Consiglio dei Ministri, li trasmetterà alle Commissioni permanenti».
Dunque, quando l’articolo del Regolamento stabilisce che tutti i disegni di legge dovranno essere obbligatoriamente trasmessi, perché si decida quali di essi debbano essere sottoposti all’Assemblea Costituente e quali no, dobbiamo trovare nella legge 16 marzo 1946 la norma che imponga al Governo il dovere di trasmettere all’Assemblea Costituente gli schemi legislativi: e questa norma non vi è.
Sicché, una delle due: o intendete l’articolo aggiuntivo come una norma regolamentare per l’esecuzione della legge, ossia per l’esecuzione dell’obbligo suddetto, e, in tal caso, l’articolo è inapplicabile perché dell’obbligo la legge non parla; o intendete l’articolo aggiuntivo come una modificazione sostanziale del capoverso dell’articolo 3, ed, in tal caso, è del tutto inconcepibile che una norma del Regolamento interno della Camera possa modificare sostanzialmente il contenuto della legge.
Ecco perché, onorevoli colleghi, vi dicevo, cominciando, che la proposta presenta una questione preliminare insuperabile, alla cui decisione deve essere condizionata la discussione del merito del provvedimento. E consentitemi, infine, di dire che la questione sollevata dall’onorevole Calamandrei non può essere come dissimulata nelle pieghe di una norma regolamentare, ed essere decisa attraverso criteri transattivi o di compromesso.
Qui si tratta di decidere se i poteri della Assemblea Costituente ed il potere legislativo ordinario del Governo possano essere o non configurati in due zone distinte, autonome e indipendenti, e se possa essere rivendicata all’Assemblea la iniziativa legislativa.
Il dibattito è, adunque, tale che dev’essere affrontato, attraverso uno schema di provvedimento legislativo, con la consapevolezza dell’importanza di esso, soprattutto da parte di un’Assemblea che ripete le sue origini della volontà del popolo, ed è la prima Assemblea della Repubblica italiana. (Applausi).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Persico. Ne ha facoltà.
PERSICO. Onorevoli colleghi, l’ampiezza della discussione su questa proposta dimostra come non siamo di fronte ad una semplice modifica di Regolamento; la questione è assai più grave. Mi rendo conto della pregiudiziale dell’onorevole Crispo il quale dice: prima di esaminare la proposta, stabiliamo se questo è il modo giuridico di portare alla Assemblea un problema di così alta importanza. Io mi oppongo alla pregiudiziale, perché mi spiego perfettamente come si sia arrivati a questa proposta di aggiunta al Regolamento. Se voi rileggete la discussione fatta il 15 luglio dopo l’intervento dell’onorevole Calamandrei, troverete che già in quell’occasione si delineò la tendenza a risolvere, attraverso una modifica del Regolamento, il problema; anzi uno degli oratori che intervennero in quella discussione, l’onorevole Terracini, propose senz’altro che, oltre alle due Commissioni che si dovevano in quel momento stabilire, cioè quella per la formazione del nuovo Statuto e quella per i trattati internazionali, si creasse una terza Commissione per gli affari politici, la quale avesse appunto il compito di esaminare tutti i disegni di legge preparati dal Governo per determinare quali dovessero essere portati all’esame dell’Assemblea Costituente. E questa idea fu ripresa dall’onorevole Lussu, il quale intervenne in quella discussione, e, chiarendo il dubbio espresso dall’onorevole Calamandrei (perché Calamandrei concluse: io non concludo, prospetto soltanto un dubbio e spero che altri troverà la soluzione), concluse: noi possiamo o costituire le Commissioni come quelle della Consulta, o tornare al vecchio sistema parlamentare delle Commissioni e degli Uffici. E che questa fosse la direttiva presa in quella occasione deriva proprio dal discorso pronunciato il 25 luglio dall’onorevole De Gasperi, il quale disse testualmente: «È, evidentemente, compito dell’Assemblea deliberare la procedura, esaminando le proposte che l’apposita Giunta riterrà opportuno prospettarle»; e poi c’era qualche cosa di meno della proposta che oggi dobbiamo discutere: «Si tratterà, a mio avviso, di creare un organismo il quale possa deliberare, avere sottocchio i disegni di legge e decidere se il Governo debba essere invitato a sottoporli all’Assemblea; oppure, data la poca loro importanza o gli impegni che l’Assemblea possa avere in un determinato momento, se debba il Governo provvedere direttamente. Circa i modi con cui questo diritto dell’Assemblea potrà essere esercitato, invito il Presidente dell’Assemblea, e l’Assemblea stessa, a volere, secondo le procedure stabilite, determinarli. II Governo li accetterà». Quindi il Presidente del Consiglio, seguendo la via tracciata dall’onorevole Calamandrei e soprattutto dagli onorevoli Terracini e Lussu, indicò che proprio la Giunta del Regolamento dovesse trovare questa formula.
Abbiamo avuto ora la proposta Perassi, proposta che mi lascia un po’ perplesso, sia per la formulazione, sia per il contenuto. Abbiamo avuto due stesure di questa proposta e la seconda, quella di cui discutiamo, mi pare che abbia peggiorato la prima…
PERASSI, Relatore. Esiste ufficialmente solo questa.
PERSICO. …perché, secondo era detto nella prima edizione, la Commissione doveva trasmettere al Presidente i disegni di legge che dovevano essere sottoposti all’Assemblea, mentre gli altri erano rinviati al Governo.
Invece la stesura che oggi abbiamo sotto occhio ha abolito questo periodo e lo ha sostituito così:
«Ciascuna Commissione rinvierà al Governo i disegni di legge, indicando quelli che essa ritenga debbano essere sottoposti alla deliberazione dell’Assemblea Costituente per la loro importanza tecnica o politica».
In tal modo il Governo si vede restituire i disegni di legge senza alcuna deliberazione e potrà rimandarli, oppure no, alla Assemblea Costituente. Quindi è molto diminuita la facoltà della Costituente, mentre nel primo progetto era il Presidente dell’Assemblea che, avuti i disegni di legge dalla Commissione competente, li portava alla discussione davanti l’Assemblea stessa.
Ecco perché io ho presentato un emendamento nel quale propongo che «Su tutti i disegni di legge, sui quali dovrà deliberare l’Assemblea Costituente (comprese le proposte di legge d’iniziativa parlamentare) riferirà all’Assemblea la Commissione competente per materia». In tal modo non è necessario rimandare gli atti al Governo, e la Costituente rimane investita direttamente dei disegni di legge dei quali intende occuparsi.
In questo emendamento ho tenuto a chiarire un punto importante, quello della iniziativa parlamentare. Sembrerebbe strano che, avendo attribuito all’Assemblea Costituente, oltre che il potere costituente, anche quello legislativo ordinario, i membri della Assemblea fossero privati di quello che è il loro diritto fondamentale, che deriva proprio dalla sovranità del popolo, che delega ai suoi rappresentanti tutto il potere legislativo, e cioè il diritto di iniziativa.
Voi sapete che l’iniziativa parlamentare è la formula più vicina alla iniziativa popolare. Abbiamo avuto legislazioni in cui l’iniziativa popolare è stata ammessa. La Costituzione girondina la ammetteva, e ciascun cittadino poteva presentare un suo disegno di legge al Parlamento. In Svizzera, attraverso il referendum, l’iniziativa popolare sussiste, come sussiste in molti Stati del Nord America. È solo per tecnicismo giuridico che l’iniziativa popolare si trasforma in iniziativa parlamentare, che è proprio la forma più diretta della sovranità popolare. E non è vero che questa iniziativa non si eserciti. Il manuale del Mancini e del Galeotti, fondamentale in questa materia, ricorda moltissime leggi dovute alla iniziativa parlamentare. In una sola seduta l’onorevole Antonio Billia presentò ben quattordici disegni di legge. Ecco il perché dell’inciso nel mio emendamento: «comprese le proposte di legge d’iniziativa parlamentare».
Diceva bene l’onorevole Calamandrei che prevale una tendenza a parlare in sordina, a sussurrare più che a dire ad alta voce il pensiero dell’Assemblea. Da ciò deriva una specie di distacco fra l’aspettativa popolare verso la Costituente e quello che effettivamente la Costituente fa. Distacco pericoloso, perché l’Assemblea Costituente è stata eletta con grande entusiasmo, forse con eccessive speranze. Pareva che dovesse essere il toccasana e dovesse avere la bacchetta magica per risolvere tutti i problemi. Da questo distacco alla diffidenza non ci corre molto, e sarebbe un gran male se nell’anima popolare si insinuasse l’idea che l’Assemblea Costituente non può dare i frutti che da lei si speravano.
Forse qualche accorgimento può essere adottato. Ne ha indicato uno lo stesso onorevole Calamandrei: egli ha detto di studiare se non sia il caso, mentre si prepara la Costituzione definitiva dello Stato, che per molti anni regolerà tutta la vita nazionale, di elaborare uno statuto provvisorio della Costituente che risolva provvisoriamente i problemi costituzionali. È un lavoro che si potrebbe fare in brevissimo tempo e che sarebbe assai utile.
Ma c’è un altro sistema che forse potrebbe dare all’Assemblea Costituente un modo di avvicinarla al popolo, ed è questo: perché vogliamo aspettare che la Commissione dei 75 termini i suoi lunghi, faticosi, complessi lavori per cominciare a discutere? Perché, dopo un mese che la Commissione ha preparato un certo materiale, questo materiale non viene portato all’Assemblea Costituente per la pubblica discussione? Il Paese ha eletto nell’Assemblea Costituente un organo perché discuta lo Statuto, e ha desiderio, ed ha ansia di vedere discusso lo Statuto. Non segue il lavoro delle Commissioni, e non crede che sia indispensabile questo lavoro. Nego che si debba aspettare la fine di tutto il lavoro della Commissione dei 75 per arrivare alla discussione. Io credo che tutte le volte che un problema o una questione fondamentale sia stata discussa e decisa nel campo preparatorio da parte della Commissione, essa possa essere portata in seno all’Assemblea per la discussione pubblica, in modo che il Paese senta che l’Assemblea compie effettivamente questo suo peculiare ed altissimo ufficio. Perché se no, succederà questo, che in base al Regolamento, che stiamo per approvare, verranno dozzine e dozzine di leggi alla discussione dell’Assemblea Costituente, e si correrà il rischio di trasformare l’Assemblea Costituente in un normale Parlamento, oberato di lavoro ordinario, facendogli perdere il suo carattere essenziale di organo eletto dal popolo per dare al Paese la sua nuova Costituzione. (Approvazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Castiglia. Ne ha facoltà.
CASTIGLIA. Siamo stati sempre gli assertori della sovranità dell’Assemblea Costituente e tale principio lo abbiamo ripetutamente proclamato in tutte le sedi adatte e in tutti i momenti. Abbiamo sempre proclamato che il voler sottrarre all’Assemblea Costituente il potere legislativo con lo specioso pretesto che all’Assemblea incombeva l’onere e l’onore di redigere la nuova Costituzione, costituiva una menomazione della sovranità dell’Assemblea, assolutamente incompatibile con i principî democratici ai quali dovrebbe ispirarsi tutta la legislazione dello Stato italiano. E la nostra critica, prima di incidere sulla illogica e antigiuridica menomazione della sovranità dell’Assemblea, consumata dall’articolo 3 del decreto legislativo 16 marzo 1946, n. 98, con la nota limitazione dei poteri legislativi dell’Assemblea, investe tutta l’essenza dell’articolo 3 in questione. Non è, infatti, chi non veda come giuridicamente mal congegnata e poco rispondente ai principî democratici dello Stato sia la cosiddetta delega del potere legislativo al Governo. Non per nulla, per bocca dell’onorevole Mastrojanni, il gruppo parlamentare qualunquista, nella seduta del 15 luglio 1946, espresse tutte le sue riserve in proposito.
Tali riserve vengono ancora oggi rinnovate, nel momento in cui si tenta, con un espediente giuridico per nulla efficace, di sanare una situazione assolutamente insostenibile, della cui paradossalità si accorsero altri Deputati, fra cui l’onorevole Calamandrei, che nella seduta del 15 luglio 1946 sollevò la questione.
Però, mentre nel primo momento si ventilava l’idea di una sanatoria per mezzo di una ratifica del decreto legislativo 16 marzo 1946, da parte dell’Assemblea (con un procedimento che se non aveva il pregio della tempestività e della opportunità politica, aveva quello di una formale esattezza giuridica), oggi si vuole arrivare a questa sanatoria per vie che non sono per nulla conducenti e denotano unicamente il tentativo di coinvolgere l’Assemblea stessa nelle responsabilità che il Governo potrà assumersi, senza che il Governo, a sua volta, rimanga comunque impegnato. Ed è rilevante e sintomatico quello che ha detto ancora oggi l’onorevole Calamandrei, quando ha affacciato il dubbio ed ha posto il quesito: nel caso in cui il Governo volesse trattenere il disegno nonostante il parere della Commissione competente, potrebbe il Governo farlo?
Dal punto di vista logico, dobbiamo rispondere di no; ma dal punto di vista giuridico è evidente che il Governo potrebbe fare questo; perché il Governo non potrebbe ritenersi vincolato da una riforma del Regolamento interno della Camera. Quale vincolo alla indipendenza legislativa del Governo, nascente dall’articolo 3 del decreto legislativo 16 marzo 1946, potrebbe derivare dallo articolo di Regolamento che si propone di votare? Evidentemente nessuno, giacché il Governo può non riconoscere all’articolo del Regolamento della Camera alcuna efficacia limitatrice o comunque disciplinatrice della sua libertà legislativa. In altri termini, un articolo del Regolamento della Camera ha senza dubbio efficacia coattiva nei confronti della Camera e dei suoi componenti, ma non può averne nessuna nei confronti del Governo, che dal Regolamento della Camera non può ritenersi disciplinato o guidato. La eventuale aggiunta, dunque, dell’articolo proposto al Regolamento della Camera, giuridicamente non avrebbe alcuna efficacia per il Governo, che potrebbe continuare ad usare della facoltà che ritiene derivargli dall’articolo 3 del decreto legislativo 16 marzo 1946, senza tener conto del Regolamento. Né ha rilevanza il contenuto della dichiarazione del Capo del Governo cui accennava l’onorevole Calamandrei, secondo la quale il Governo avrebbe fatto il più largo uso della facoltà di portare alla conoscenza dell’Assemblea i disegni di legge.
Tutto questo può avere importanza morale, ma nessuna importanza di carattere giuridico, perché difatti durante il periodo di tempo che l’Assemblea Costituente è stata in vita non si è avuto alcun caso in cui il Governo abbia sottoposto all’esame della Assemblea Costituente un qualsiasi disegno di legge.
Ma ciò non basta; l’inefficacia dell’articolo proposto ha un’altra ragione d’essere. Esso pretenderebbe non già di regolamentare una precedente disposizione di legge, disciplinandone l’applicazione, ma addirittura di modificare una disposizione di legge, tramutando quella che, per l’articolo 3 del decreto 16 marzo 1946, è facoltà del Governo di sottoporre all’esame dell’Assemblea i disegni di legge, in un preciso obbligo. La trasformazione di una facoltà in obbligo non è davvero materia che possa trovar posto in un articolo di regolamento, il quale, come è noto, non può modificare la legge. Tanto più nel caso in esame, nel quale legge e regolamento agiscono su piani di estensione e di competenza assolutamente diversi: la legge riguarda l’attività legislativa del Governo, mentre il regolamento riguarda l’attività della Camera. C’è una diversità dei soggetti, cui legge e regolamento nel nostro caso si riferiscono, che renderebbe praticamente inattuabile financo una semplice regolamentazione secundum legem. In queste condizioni come si può parlare di una delega, che, volta per volta, sarebbe data dall’Assemblea al Governo, di cui parlava ancora oggi l’onorevole Calamandrei? Una delega come potrebbe essere data a mezzo di un regolamento che, ripetiamo, non riguarda e non può impegnare l’attività legislativa del Governo?
Essendo così privo di efficacia l’articolo progettato, esso non si riduce che a un apparente rimedio ad una situazione giuridica, che sin dal primo momento abbiamo denunciato e che non poteva essere risolta che in maniera più idonea. Ecco perché, pure riaffermando il principio della sovranità legislativa dell’Assemblea su tutte le materie – non soltanto su quelle attribuite dall’articolo 3 del decreto legislativo 16 marzo 1946 – diciamo che l’accorgimento proposto non riesce a risolvere interamente il problema.
Ma il tentativo in parola costituisce grave pregiudizio per l’Assemblea, che si vorrebbe chiamare corresponsabile dell’attività legislativa del Governo. È noto che tutta l’attività legislativa del Governo segna una serie di palesi violazioni dell’articolo 3 della legge 16 marzo 1946. Il Governo non ha esitato a superare quella sfera di competenza attribuitagli col decreto 16 marzo 1946, invadendo il campo dell’Assemblea, e deliberando anche su quella materia costituzionale, che obbligatoriamente è sottratta alla competenza legislativa del Governo, e dovrebbe essere sottoposta all’attività legislativa della Costituente, oltre che per una precisa disposizione di quella legge dalla quale il Governo trae la sua competenza legislativa, anche per una ragione di logica evidente. Perché, essendo l’Assemblea Costituente chiamata a riformare tutta la costituzione dello Stato, essa stessa deve decidere sulla opportunità o meno di anticipare riforme costituzionali, che peraltro dovrebbero attendere la nuova Costituzione. C’è dunque una ragione di armonia, di visione completa delle esigenze nazionali, che non può essere sottratta alla Costituente per essere attribuita al Governo. Eppure, in contrasto a questa esigenza elementare e logica, il Governo travalica, oltre che lo spirito, la stessa parola della legge e legifera su quelle materie costituzionali, sottrattegli per legge, mettendo la Costituente di fronte al fatto compiuto, il che non potrà non influire sull’orientamento, che essa intende dare alla nuova Costituzione.
Questa violazione non può essere ulteriormente consentita e va denunziata pubblicamente.
Essa è cominciata col decreto legislativo con cui si dichiarava che il Senato cessava le sue funzioni. Per la mancanza di una Camera di Deputati, il Senato non era più in grado di esercitare il potere legislativo, che, per l’articolo 3 dello Statuto albertino, doveva essere esercitato collettivamente dal Re e dalle due Camere; e ciò senza bisogno di ricorrere a uno speciale decreto legislativo. Eppure il Governo, preso da una vera e propria mania legislativa, commise un eccesso di potere, perché la soppressione di una delle due Camere riguarda l’ordinamento costituzionale dello Stato, che è di competenza dell’Assemblea Costituente.
Ebbene: in questa linea di condotta antigiuridica il Governo continua con tutta la sua successiva attività legislativa che investe in pieno la competenza dell’Assemblea Costituente.
Le misure legislative che traducono in legge taluni stati di fatto e prese di posizione, come l’occupazione di terre incolte o non incolte, che stabiliscono addirittura di affidare per venti anni le terre alle cooperative, non hanno nessun fondamento giuridico e nessun carattere di obiettività che, superando le passioni e le esigenze di partito, conferiscano alla legge il primo e fondamentale requisito: quello dell’accettabilità da parte del Paese.
Proprio nella provincia di Siracusa il Prefetto è stato sollecitato ad accelerare le pratiche per la concessione di terre, definendole entro quindici giorni, ed è stato invitato ad avvalersi dell’articolo 19 della legge comunale e provinciale per procedere alla concessione delle terre in tutti i casi nei quali egli ne ravvisi la necessità.
Il sistema che dissolve addirittura la legge, in questo caso raggiunge il colmo e il Governo non esita a far ricorso al famoso articolo 19 della legge comunale e provinciale, tanto deprecato e condannato, avvalendosi dell’opera di quell’esponente del potere esecutivo, di cui da più parti si chiede la soppressione, e al quale in questo caso si conferiscono poteri di valutazione che possono anche risolversi in veri e propri atti di arbitrio, pur di attuare la più enorme ed inconcepibile violazione proprio di quell’articolo 3 del decreto legislativo 16 marzo 1946 che sta tanto a cuore al Governo. Il quale, dunque, si pone in contrasto con se stesso: da un canto rivendica e afferma la perfetta validità del decreto legislativo 16 marzo 1946 e dell’articolo 3, e dall’altro non esita a violarlo nei modi che abbiamo visto. È o non è evidente che tutta questa è materia costituzionale, in quanto attiene alla struttura dello Stato e incide su quel diritto di proprietà che, sino a quando non sarà annullato dalla nuova Costituzione, è e rimane uno dei diritti fondamentali dell’individuo?
E allora perché non lasciare alla Costituente la libertà di disciplinare nel modo che riterrà migliore, ma nel quadro dei principî che dovranno informare la nuova carta Costituzionale, tale materia?
E invece si pregiudica quello che sarà il giudizio definitivo dell’Assemblea; si pone questa di fronte al fatto compiuto; si tenta in tal modo di suggestionarla ai fini di indirizzarla in un determinato modo; si realizzano le riforme più audaci, più unilaterali, si crea lo stato di fatto con uno o più decreti legislativi ispirati non più al supremo e soprattutto sereno interesse del Paese, ma unicamente all’interesse di parte, usando di un potere di comando che non può e non deve essere arbitrario e che invece costituisce i presupposti e forse, più che i presupposti, le prime gravi realizzazioni di una nuova tirannia politica.
Al cospetto di una simile situazione di cose, noi mancheremmo al nostro dovere se non denunziassimo al Paese, che ci ha eletto suoi rappresentanti, l’inaudita violenza legislativa che si consuma ai danni della nazione.
Il popolo ha eletto i suoi rappresentanti perché questi redigano la nuova Carta costituzionale, presidio e garanzia delle libertà individuali e sociali.
Sappia per nostra bocca, questo popolo che crede e confida nella sovranità dell’Assemblea eletta, che questa sovranità è largamente compromessa dall’attività legislativa del Governo, che non si ritiene vincolato dalle leggi, e tanto meno si riterrà vincolato da un articolo di regolamento che dal punto di vista giuridico non lo impegna.
In queste condizioni l’Assemblea Costituente non potrà adempiere in modo completo, e soprattutto libero, al suo mandato.
Il rimedio oggi proposto non è conducente, oltre che per le ragioni dette in principio, perché il male ha radici tanto profonde che nessun articolo di regolamento potrà sanarlo. Il male è quello denunciato e se non vi sarà posto rimedio mediante la revisione delle posizioni di Governo, potremo dire sin da questo momento che la Costituente ha fallito al suo scopo.
Del resto anche la formulazione dell’articolo aggiuntivo, e specie degli emendamenti, è tale da rendere manifesta la possibilità di sottrarre all’Assemblea la maggior parte dei poteri che apparentemente le si vorrebbero conferire.
Basti pensare al comma che prevede la possibilità che il disegno di legge ritorni al Governo senza che la Commissione si sia pronunciata. E se la mancata pronuncia deriva da un possibile cattivo funzionamento dell’ufficio di segreteria? In tal caso il Governo riprenderebbe quello che dovrebbe dare e resterebbe perfettamente arbitro di formulare la legge.
E l’emendamento Togni-Taviani-Braschi non costituisce forse un altro modo di sottrarre all’Assemblea quella competenza che apparentemente l’articolo proposto vorrebbe attribuirle? Il suo inconveniente è poi elevato al massimo dal suggerimento proposto dall’onorevole Calamandrei, il quale propone di dare alla Commissione il potere di fare delle osservazioni e raccomandazioni e rimandare il disegno al Governo senza che dei disegni di legge sia informata l’Assemblea Costituente. Sarebbe questo l’inconveniente dell’emendamento Taviani elevato al massimo.
E che dire poi dell’altro emendamento Taviani che ha un solo scopo: quello di raddoppiare il numero dei componenti le Commissioni appartenenti ai tre partiti di massa, a totale discapito dei rappresentanti i partiti di minoranza? Bell’esempio questo di garanzia delle minoranze, la cui voce non avrebbe praticamente alcuna influenza!
È tutto il sistema sul quale noi facciamo tutte le nostre riserve, pur mantenendoci fermi sulle posizioni già assunte circa le rivendicazioni della sovranità dell’Assemblea Costituente.
Venga o no approvato, l’articolo aggiuntivo non muta la sostanza delle cose. L’invadenza del Governo resterà sempre alla base dei rapporti tra Governo e Costituente, e la sovranità del popolo, alla quale si fa ricorso da tutte le parti, ne uscirà irrimediabilmente compromessa e menomata.
Noi invitiamo nel modo più esplicito e categorico il Governo all’osservanza degli impegni assunti con il decreto 16 marzo 1946 e dichiariamo che tutta la legislazione emanata in violazione di tali impegni costituisce grave menomazione dei diritti del popolo, che in regime democratico vede nei rappresentanti eletti i soli interpreti e artefici del suo avvenire di libertà e di giustizia.
Presento, anche a nome dei colleghi Abozzi, Venditti, Colitto, Miccolis, Patrissi, Capua, Trulli, Cannizzo, Mastrojanni, Patricolo, Puoti, Tieri, Tumminelli, Fresa, Russo Perez, Rodinò Mario, Mazza, Rognoni, Corsini, Ayroldi Carissimo, la seguente dichiarazione:
«I sottoscritti Deputati, rilevato che il Governo ha mostrato di non volere uniformarsi al disposto dell’articolo 3 del decreto legislativo 16 marzo 1946, n. 98, che demanda all’Assemblea Costituente il potere legislativo su tutta la materia costituzionale;
che, in violazione di tale norma, con palese esorbitanza di poteri, ha emanato decreti legislativi su materia costituzionale di competenza esclusiva dell’attività legislativa dell’Assemblea Costituente, che di essi avrebbe dovuto occuparsi in sede di riforma di tutta la costituzione dello Stato;
elevano formale e vibrata protesta contro questa invadenza del campo di competenza dell’Assemblea Costituente». (Applausi a destra).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Mastrojanni. Ne ha facoltà.
MASTROJANNI. Onorevoli colleghi, avrei rinunciato volentieri a parlare, perché il mio collega ed amico Castiglia ha esaurientemente e spietatamente mietuto quanto in ordine all’oggetto di cui si discute si sarebbe potuto dire oggi. E poiché non intendo portare vasi a Samo e nottole ad Atene, non starò a ripetervi quanto da ogni parte ormai si è sapientemente pronunciato, esaminando la questione da ogni aspetto e sotto ogni riflesso.
Ho ascoltato con particolare attenzione quanto l’onorevole professore Calamandrei ha riferito in ordine al decreto 6 marzo 1946, e quanto egli ha detto circa il metodo attraverso il quale si intende rimediare ad una lacuna fondamentale, sulla quale si deve necessariamente ritornare. Egli, se ben ricordo, ha detto che è invalso l’uso di sommessamente proferire quanto invece dovrebbe a volte solennemente essere pronunciato, ed in tal senso ha eccitata quasi la diligenza dei membri del Parlamento, perché assumessero quella «forma mentis» per la quale, di fronte ai problemi essenziali della vita nazionale, nulla deve essere sottaciuto, ma da ognuno, con la fermezza della parola e con la decisione dello sguardo, vengano assunte, per il presente e per il futuro, tutte le responsabilità personali e collettive. Ed io appieno sottoscrivo quanto l’onorevole Calamandrei ha suggerito. Però debbo ricordare, appunto per quel mio costume di nulla sottacere, che in grave incongruenza è caduto l’illustre giurista onorevole Calamandrei. Mentre oggi, con una indagine scrupolosa, ha rilevato persino che attraverso la forma quasi silenziosa e modesta si intende di sopperire ad una lacuna imperdonabile del precorso legislatore in ordine all’articolo 3 di cui si discute, ieri egli molto sommessamente assumeva e proponeva, sia pure a titolo di suggerimento, che quel tale articolo 3, che noi ci saremmo visti in mezzo ai piedi ad ogni piè sospinto, noi, per amore di quieto vivere, ratificassimo. Contro la ratifica insorgeva allora chi ha l’onore di parlarvi.
Oggi l’onorevole Caroleo, di cui io non so se più ammirare l’aggressività del censore o la serafica attitudine al timore riverenziale frequentemente manifestato per l’illustre maestro, mi ha dato dell’iconoclasta, dello spezzatore della continuità delle leggi, mi ha chiamato offensore dei buoni costumi verso il Governo e delle buone usanze. Con benevolenza ho accettato, onorevole Caroleo, i vostri apprezzamenti, dei quali sono anche fiero, perché non uso, per temperamento, a timori riverenziali, affronto decisamente le questioni, assumendone anche le responsabilità. E poiché ritengo essere mio precipuo dovere censurare ove occorra o criticare l’operato del Governo, l’ho censurato e lo censuro, perché stimo salutare denunziare alla pubblica opinione che le leggi dello Stato, nella loro chiarezza e precisione, debbano susseguirsi, nell’abrogazione o nella perpetuità, attraverso i sacrosanti crismi che la tradizione di Roma fino ad oggi mai ha tollerato venissero infranti così come oggi si tenta di osare. (Applausi a destra).
Io richiamo all’Assemblea, ai rappresentanti del popolo italiano, le nostre belle tradizioni giuridiche. Vi richiamo perché non tradiate queste tradizioni. Voi non potete approvare, attraverso una norma regolamentare, la modificazione di una legge, perché se così voi faceste – e potete farlo – voi sottoscrivereste ignominiosamente la vostra condanna, perché rinunziereste alla vostra dignità di uomini liberi, manifestereste la vostra titubanza nell’affrontare in pieno le questioni che, dal punto di vista del diritto, devono essere affrontate così come ci è stato fino ad oggi insegnato. (Commenti).
Una voce. Esagerazioni!
MASTROJANNI. Onorevoli colleghi, qualunque sia la vostra opinione, io confermo quanto il 15 luglio ebbi a dire, sul decreto del marzo 1946, di cui la formazione era inevitabile, in quanto che qualunque Governo, durante un periodo di eccezione, doveva necessariamente sorgere e doveva operare e, per operare, doveva servirsi dei mezzi consentiti dalla civiltà e dalla legalità: le leggi e i decreti.
Ma affermo che, quando un Governo di eccezione si arroga il diritto di ipotecare la sovranità di una Assemblea che ancora il popolo deve nominare, questo Governo è stato carente di quella sensibilità giuridica che specialmente deve soccorrere quando il potere è assoluto, perché privo del controllo dell’organo parlamentare. E poiché questa sensibilità allora non s’è avuta, chiedevo che l’Assemblea Costituente sovrana non riconoscesse essenza costituzionale all’articolo 3 e demandasse alla sovranità dell’Assemblea di rivedere tutta la legislazione precorsa – vedasi resoconto parlamentare – in modo da ratificare o abrogare la legislazione formatasi durante il Governo di eccezione.
Questo è il punto sul quale insisto, perché così facendo, senza offendere il diritto e senza lettere la maestà del Governo – onorevole Caroleo – noi esauriamo in pieno il nostro compito di rappresentanti del popolo, con una sensibilità squisitamente giuridica e rimediamo agli errori che possono fino a ieri essere stati fatti e possiamo rendere giustizia, se giustizia non è stata sapientemente fino a ieri amministrata, talché – ricordo solo questo e ho finito – ancor oggi esiste, per dirne solo una, questa mostruosità giuridica, lesiva dei diritti fondamentali dell’uomo: esistono sentenze penali per le quali non è consentito gravame, solo perché furono pronunziate ieri ed esistono invece i giudicati di oggi per gli stessi fatti e per i quali il gravame è consentito. E quando personalmente, nel cruccio che tormenta il mio animo di avvocato, andavo con altri colleghi dal Sottosegretario alla giustizia per rappresentare questa incongruenza ingiuriosa ed oltraggiosa per la giustizia e per il diritto, noi difensori ne avemmo affidamento, ma quelle sentenze rimangono tutt’oggi non suscettibili di gravame. È quindi solo attraverso la intransigente osservanza del diritto e della sua tradizione che possiamo rendere giustizia al popolo, e parlando di popolo parlo di tutto il popolo italiano, perché anche noi, figli del popolo, ci onoriamo di coloro i quali hanno temprato la vita attraverso la lotta feconda di esperienza quotidiana, che è la sola che possa rendere gli uomini onesti, giusti e sensibili. Se noi chiediamo giustizia, la chiediamo uguale per tutti. (Applausi a destra).
CAROLEO. Chiedo di parlare per fatto personale.
PRESIDENTE. Lo indichi.
CAROLEO. Prego l’onorevole Mastrojanni di leggere il testo stenografico del mio discorso, dal quale potrà rilevare che non hanno ragione di essere i rilievi che mi ha rivolto.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Assennato. Ne ha facoltà.
ASSENNATO. Onorevoli colleghi, il quesito (e la responsabilità della discussione spetta, o per lo meno il merito, all’onorevole Calamandrei) potrà ricevere più facile soluzione se l’impostazione potrà essere più chiara. Ora il problema che ho sentito agitare, e che è stato con arguzia trattalo dall’onorevole Calamandrei, sta nell’inconveniente che con la legge del 16 marzo 1946 sarebbe stata prestabilita una delega. Prima ancora, cioè, che il delegante fosse nato, sarebbe nato il delegato: questo fatto, se può costituire un’arguzia, contiene qualcosa che merita attenzione; ma deve prestarsi ancora maggiore attenzione a quella parte della legge che, attribuendo all’Assemblea il diritto di ritenere il Governo responsabile di fronte a se stessa, assorbe il quesito e lo risolve in termini pienamente compatibili col diritto e colla facoltà dell’Assemblea stessa. Poiché questo potere delegato al Governo, ove mai il Governo lo spenda malamente, può esser tolto con la revoca della fiducia, e pertanto con un voto di sfiducia e la caduta del Governo, l’inconveniente sostanzialmente viene a non sussistere; sicché il rilievo elementare, pur avendo qualche aspetto che può prestarsi ad arguzie o commenti, deve trovare soluzione nella sua sede normale, nella stessa legge, lì dove essa statuisce la responsabilità del Governo nei confronti dell’Assemblea.
Per quel che riguarda l’accenno, che ho sentito in quest’Aula, sul tecnicismo giuridico che dovrebbe presiedere alla interpretazione della legge e dell’articolo aggiuntivo, vorrei richiamare l’attenzione dell’Assemblea sul fatto che non è col criterio del normale tecnicismo giuridico che va considerato il complesso dei nostri lavori e dei provvedimenti che vengono sottoposti all’attenzione dell’Assemblea. Se questo principio del tecnicismo giuridico, tradizionale o preesistente, dovesse prevalere, ognuno dei componenti l’Assemblea dovrebbe domandare a se stesso se sia legittima la fonte del voto alle donne. Purtuttavia questa è una conquista e noi la consideriamo tale. Quindi la legge e l’emendamento aggiuntivo vanno considerati nei termini delle circostanze e delle possibilità e soprattutto nell’orbita di una inesistente legge fondamentale, la creazione della quale venne ed è affidata all’attuale Assemblea.
A me pare che l’articolo aggiuntivo e la legge stessa comportino un problema la cui soluzione può trovarsi agevolmente nell’esame della figura e della natura dell’Assemblea. Essa ha una funzione ed una struttura; e questa struttura non può essere che relativa e correlativa alla sua funzione. Poiché la funzione dell’Assemblea non è tanto quella legislativa, quanto preminentemente quella costituente, per dare al paese la Carta costituzionale, è conseguente ed è correlativo che a tale funzione dell’Assemblea corrisponda una speciale struttura della Assemblea stessa, struttura che deve soprattutto essere caratterizzata dalla semplicità e dalla rapidità del congegno, sicché l’Assemblea possa nel contempo adempiere al ponderoso c preminente lavoro di elaborare la Costituzione e dedicarsi anche alla attività, legislativa, la quale non è né tolta, né frodata all’Assemblea, perché l’articolo 3, attribuendole il diritto di revocare la fiducia al Governo e statuendo la responsabilità del Governo nei confronti dell’Assemblea, toglie ed elimina ogni pericolo di abuso.
La semplicità del congegno sta nel numero ristretto delle Commissioni, poiché gran parte degli onorevoli componenti dell’Assemblea è impegnata nei lavori della Costituzione, sicché un’altra minor parte potrà dedicarsi a questo nuovo lavoro di carattere legislativo.
Non è esatto il rilievo che il Regolamento tradirebbe la legge, nel senso che il Regolamento abbia o contenga disposizioni più vaste o che sia modificativo nei rapporti della legge. Già nel Regolamento si parla di «determinare», il che comporta una facoltà di determinazione, la quale è specifica dell’attività regolamentare. Sarebbe invece controproducente, e costituirebbe strappo od eccesso di potere regolamentare, l’ipotesi avversa, e cioè se in sede di regolamento si cercasse di risolvere apertamente e direttamente la questione dell’iniziativa parlamentare dell’Assemblea in materia legislativa. È in questo caso che ricorrerebbe la modifica.
L’importante è che ogni pericolo di abusi da parte del Governo venga fugato con l’esercizio della facoltà sovrana dell’Assemblea, che deve essere gelosa custode di questa sua sovranità, di rovesciare ogni Governo che quegli abusi compisse. Non è quindi il caso che l’attività dell’Assembla debba disperdersi in disquisizioni teoriche. Gli storici ed i precedenti storici che sono citati ci preannunciano un po’ la inutilità della discussione in merito, in quanto l’iniziativa parlamentare è andata a mano a mano svanendo, e non si hanno esempi di una vivace attività in tal senso. Purtuttavia questo sarà oggetto di attento studio da parte delle preposte Commissioni per la Costituzione, le quali non potranno trarre nutrimento né scienza dal passato, il quale avverte essere difficile e raro l’esempio di iniziative dirette di carattere legislativo prese da un’Assemblea parlamentare. È nella complessa attività di controllo, al che provvede il congegno proposto con la modifica al Regolamento, è nel diritto che all’Assemblea è dato e che l’Assemblea deve custodire gelosamente, nel potersi e doversi liberare da Governi che facciano abuso e cattivo uso della facoltà delegata, che deve riconoscersi la sua funzione democratica.
Noi dobbiamo spendere la nostra attività non soprattutto nell’«ornate dicere», ma nel «breviter facere» e più breve è il tempo a nostra disposizione, maggiore sarà il nostro merito. Dobbiamo dare al paese una Costituzione. Questo è il compito preminente. L’attività legislativa la esercitiamo direttamente col controllo diretto del Governo. Dobbiamo essere custodi della responsabilità di dare al Paese e di tener fermo un Governò democratico, ossia che risponda alla volontà dell’Assemblea e che di essa ne sia l’espressione, principio elementare questo che trova applicazione costante con le nostre riunioni, con le interrogazioni, con le interpellanze, con i voti di fiducia o sfiducia. Occorre quindi tagliar corto alle discussioni che possono distrarre la mente e l’attività dei componenti l’Assemblea, perché essi meglio possano dedicarsi al loro lavoro e nel più breve tempo attribuire al Paese una Costituzione che, assicurando e dando per ferma e ben difesa e protetta la libertà, dia il modo pratico ad ogni cittadino di attribuire a se stesso tutti i beneficî di quella pratica libertà, ossia il modo soprattutto di assicurare a sé e ai suoi figlioli il pane, che è veramente santo quando è lievitato dal lavoro. (Applausi a sinistra).
PRESIDENTE. Comunico che è stata presentata la seguente proposta:
«I sottoscritti, ritenuto che l’articolo aggiuntivo del Regolamento, se approvato, determinerebbe in modo anticostituzionale la sostanziale modificazione del decreto legislativo 16 marzo 1946, n. 98, chiedono la sospensiva della discussione».
Crispo, Fusco, Cortese, Badini Confalonieri, Perrone Capano, Einaudi, Martino Gaetano, De Caro Raffaele, Cifaldi, Cuomo, Bellavista, Morelli, Grassi, Lucifero, Bonino.
LUCIFERO. Chiedo che questa proposta sia votata per appello nominale.
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulla proposta di sospensiva.
Ha chiesto di parlare il relatore onorevole Perassi. Ne ha facoltà.
PERASSI, Relatore. Onorevoli colleghi, di fronte alla presentazione di questo ordine del giorno che solleva la questione pregiudiziale, e dato che né dai presentatori, né da altri è stato approfondito questo problema, ritengo doveroso, nella qualità di relatore, di esaminare il testo di questo ordine del giorno per vedere se è esatto che lo schema di Regolamento proposto dalla Giunta del Regolamento, implichi una sostanziale modificazione del decreto legislativo 16 marzo 1946. È evidente che in tanto ha ragion d’essere un voto sulla pregiudiziale, in quanto si è chiarita la portata del Regolamento proposto. Ora, sia consentito alla Giunta del Regolamento di precisare qual è la portata che essa dà allo schema di disposizioni da essa elaborato.
Devo rilevare che questo schema di disposizioni, che ha formato oggetto di una discussione così larga ed approfondita, è stato anche interpretato in maniera notevolmente diversa. In particolare da alcuni, e da ciò la pregiudiziale sollevata, si è ritenuto che in questa maniera si viene a modificare sostanzialmente lo schema.
Ora la questione pregiudiziale, che è stata sollevata, consiste nel vedere se le disposizioni proposte dalla Giunta comportino una modificazione sostanziale del decreto legislativo 16 marzo 1946. Queste norme regolamentari, che sono state elaborate, hanno dato luogo a interpretazioni assai divergenti. Qualcuno si è dichiarato soddisfatto interpretandole in certo modo; altri è giunto a conclusioni opposte. Ora mi permetto di richiamarmi alle dichiarazioni che ho avuto l’onore di fare ieri per illustrare le proposte della Giunta del Regolamento, perché in quelle dichiarazioni è già implicitamente contenuta la risposta ad alcune delle osservazioni fatte oggi.
È opportuno ricordare ancora una volta come è sorta la questione e come è andata alla Giunta del Regolamento. È sorta in seguito a scambi di vedute, ad accenni alla questione sollevata in seno all’Assemblea, ma soprattutto si è impostata in maniera concreta dopo la nota dichiarazione dell’onorevole Presidente del Consiglio. Ho tenuto, a questo scopo, anche a leggere testualmente ciò che l’onorevole Presidente della nostra Assemblea aveva dichiarato dopo che il Presidente del Consiglio aveva fatto la sua dichiarazione. Il Presidente dell’Assemblea aveva delimitato nettamente il problema e aveva annunziato che lo avrebbe sottoposto alla Giunta del Regolamento ai fini che questa elaborasse le norme regolamentari necessarie. Ho poi aggiunto, e ciò sarebbe anche stato superfluo, che la Giunta del Regolamento non avrebbe evidentemente potuto fare se non ciò che rientra nella sua competenza. Ora, mi sarà consentito di dire che i membri della Giunta del Regolamento hanno una nozione esatta di quelli che sono il compito ed il potere della Giunta del Regolamento. È evidente, quindi, che le proposte da noi elaborate non possono assolutamente intenderai come qualche cosa che implichi modifica alla legge.
È ora conveniente entrare per un momento, in quanto occorra ai fini della questione pregiudiziale, nel merito delle disposizioni regolamentari proposte e precisarne con tutta chiarezza la portata.
Il fondamento di queste disposizioni, come dicevo ieri, sta nella dichiarazione fatta dal Presidente del Consiglio, a nome del Governo, nella seduta del 25 luglio. Ricordo per precisare anche più energicamente questo concetto, che ho detto ieri che quella dichiarazione del Capo del Governo costituiva il punto di appoggio per l’edificio, che noi siamo stati chiamati a costruire.
Qual è, ora, il valore delle disposizioni proposte? La domanda non ha bisogno di una risposta molto diffusa. Essendo disposizioni del Regolamento interno della Camera, è evidente che esse non possano avere un valore, che ecceda quello proprio delle norme regolamentari; quindi, nessun valore giuridico rispetto all’esterno, rispetto all’autorità giudiziaria, rispetto ai singoli.
Tutto questo meccanismo che si è costruito si fonda, dunque, su una disciplina fra Assemblea e Governo, basata su quel presupposto che il Governo, in virtù delle facoltà conferitegli dall’articolo 3 del decreto 16 marzo 1946, ha dichiarato di voler dare modo alla stessa Assemblea di esprimere il suo apprezzamento sulla convenienza di sottoporre disegni di legge all’Assemblea, anziché darvi corso nella forma di decreti legislativi.
La Commissione ha cercato di tradurre questa idea nelle norme formulate, nelle quali non si deve vedere quello che non c’è. Se in esse c’è qualche espressione che, a prima vista, potrà sembrare esorbitante da un Regolamento interno, questa espressione si deve intendere ricollegandola al presupposto, in base al quale la Giunta del Regolamento l’ha elaborata. Vi è detto: «tutti i disegni di legge approvati dal Consiglio dei Ministri saranno inviati…». Questa frase non significa che l’Assemblea crea un obbligo giuridico per il Governo, il che certo eccederebbe i limiti del Regolamento dell’Assemblea; essa prende soltanto atto di una dichiarazione fatta dal Governo in quel senso.
Al di là di questo la Giunta del Regolamento non poteva andare.
Quindi, sulla questione pregiudiziale la Giunta del Regolamento osserva puramente e semplicemente che non è fondato il dubbio che le disposizioni regolamentari proposte costituiscano una sostanziale modificazione delle norme esistenti. Ciò è assolutamente estraneo al pensiero della Giunta ed è estraneo al testo delle norme così come sono state formulate.
Se, poi, il sistema che è stato escogitato nell’ambito dell’impostazione che il problema aveva ricevuto, sia un sistema interamente soddisfacente, è un’altra questione. È una questione di apprezzamento politico.
Fin qui posso dire di avere parlato come Relatore della Giunta del Regolamento.
Per quanto mi concerne personalmente, consentitemi di aggiungere qualche parola, soprattutto ai fini di precisare ancora una volta quale la portata delle disposizioni proposte e con quali criteri io stesso abbia partecipato alla loro elaborazione.
In quella stessa seduta, nella quale l’onorevole Calamandrei aveva sollevato il problema dei rapporti fra Assemblea Costituente e Governo per quanto riguarda l’esercizio del potere legislativo ordinario, io ho rilevato che nella competenza dell’Assemblea Costituente rientra non soltanto il compito di fare la Costituzione, ma tutta la materia costituzionale; e che quindi l’Assemblea Costituente ha anche la facoltà di regolare con una legge – da farsi esclusivamente dall’Assemblea – certi problemi costituzionali in attesa della Costituzione.
Sempre per i fini di precisare la portata delle norme ora in discussione mi si consenta di leggere alcune frasi di quanto dicevo alla seduta del 15 luglio in sede di discussione delle proposte della Giunta del Regolamento relative all’istituzione della Commissione per la Costituzione:
«Anche tenendo presente – dicevo – l’articolo 3 del decreto legislativo sulla Costituente, è da ricordare che la nostra Assemblea – e su ciò non vi è nessun dubbio – è investita in pieno della competenza su tutta la materia costituzionale.
«Non è detto che la legislazione in materia costituzionale si esaurisca nell’approvazione del testo della Costituzione. Può darsi che, ancora durante l’elaborazione di questo testo, si rendano necessarie leggi costituzionali, sia pure di carattere provvisorio. Perciò io riterrei opportuno che fosse chiarito il compito della Commissione che stiamo per istituire, nel senso che essa sia investita anche dell’incarico di studiare e sottoporre all’Assemblea Costituente altre leggi costituzionali che si rendessero necessarie.
«In tal modo, senza voler riaprire un dibattito in argomento (mi riferivo alla questione sollevata dall’onorevole Calamandrei), mi pare che anche le altre questioni di carattere costituzionale, che sono state oggi sollevate, potrebbero trovare la loro soluzione attraverso la proposta alla quale ho accennato, cioè mediante una legge costituzionale provvisoria (da sottoporre preliminarmente all’esame della Commissione per il progetto della Costituzione) che regoli i rapporti fra l’Assemblea Costituente e Governo, per quanto concerne l’esercizio del potere legislativo ordinario».
Ecco dunque già da allora prospettata una soluzione nettamente diversa da quella che è stata elaborata dalla Giunta del Regolamento, in conformità al compito che aveva ricevuto.
L’Assemblea è naturalmente libera di scegliere la via che crede migliore. Ma consentitemi che aggiunga due parole. Le due vie teoricamente possibili, aventi forma ed efficacia diversa, non sono tali da escludersi. Cioè sarebbe possibile che, intanto, il problema che è stato sollevato sia regolato nell’ambito delle norme regolamentari sulla base della dichiarazione impegnativa del Governo, senza che ciò pregiudichi la possibilità che successivamente l’Assemblea Costituente elabori essa stessa una legge costituzionale provvisoria che affronti su altre basi quel problema, e, come sarebbe forse desiderabile, regoli qualche altro punto sostanziale od anche solo formale (perché anche le forme hanno la loro importanza), dell’attuale ordinamento costituzionale provvisorio, in attesa che la Costituzione definitiva si faccia.
In altri termini, con riserva di questa seconda via, l’Assemblea potrebbe, intanto, adottare le norme regolamentari quali sono state proposte sulla base indicata e aventi l’efficacia propria delle norme regolamentari, tenendo anche presente la considerazione pratica che queste norme, per quanto di efficacia limitata, entrerebbero in funzione immediatamente. Se l’Assemblea le approva, il giorno dopo il Governo dovrebbe uniformarsi, secondo l’impegno assunto, alla procedura prevista.
In conclusione, per quanto concerne la questione pregiudiziale che è stata sollevata, la Giunta del Regolamento chiarisce in maniera netta che le proposte fatte non implicano nessuna modificazione alle leggi vigenti, con tutte le conseguenze che ne derivano. L’Assemblea Costituente è libera di approvare o meno queste norme, come pure resta libera di pensare ad altri procedimenti per la soluzione dei problemi così delicati che sono stati sollevati nel corso di questo ampio ed elevato dibattito.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare, in favore della proposta, l’onorevole Badini Confalonieri.
BADINI CONFALONIERI. L’onorevole Perassi ha ritenuto, di fronte alle eccezioni sollevate dall’onorevole Crispo di dover ripiegare…
PERASSI. Spiegare, non ripiegare.
BADINI CONFALONIERI. Per noi è un ripiegamento perché da parte di molti di noi si era intesa la legge in una maniera del tutto diversa. Parlo non di persone profane, come io potrei essere; parlo dell’onorevole Calamandrei, il quale aveva argomentato che questo articolo aggiuntivo significasse l’abrogazione dell’articolo 6 e quindi indicasse una sostanziale modifica della legge. L’onorevole Calamandrei non aveva dunque interpretato esattamente quello che il Relatore, onorevole Perassi, voleva invece dire nella sua relazione.
Quindi questo Regolamento – secondo l’onorevole Relatore – non implicherebbe sostanziali modifiche. Si tratterebbe di una nomina di Commissioni cui si intenderebbe addivenire in relazione ad una promessa fatta dall’onorevole Presidente del Consiglio. Caduto il Governo per dannata ipotesi – come direbbe l’onorevole Calamandrei – cadrebbe anche la promessa del Presidente del Consiglio e cadrebbero di conseguenza le Commissioni e l’articolo aggiuntivo che noi oggi discutiamo.
Io non penso che questa fosse l’intenzione di molti di coloro che oggi hanno discusso questa legge, i quali reputavano attraverso essa non di costruire sulle sabbie mobili, ma di costruire qualche cosa di concreto, qualche cosa di positivo, qualche cosa di stabile che significasse che il Governo dovesse ottenere l’approvazione dei suoi disegni di legge da quell’Assemblea che è stata eletta dal popolo.
Comunque mi pare – e con questo termino – che le osservazioni dell’onorevole Perassi non siano – nei fatti concreti – possibili e attuabili, perché quella modifica sostanziale della legge sussiste di fatto, in quanto l’articolo 6 ci dice che il provvedimento legislativo, che non sia di competenza dell’Assemblea Costituente, dovrebbe essere ratificato dal nuovo Parlamento.
Ora, è evidente che se noi oggi facciamo sì che questi provvedimenti legislativi siano di competenza dell’Assemblea Costituente, veniamo a modificare nella sostanza questo articolo 6, perché il nuovo Parlamento non potrà più portare la sua ratifica su siffatte disposizioni legislative. E d’altronde è logico, perché sarebbe strano e assurdo che il nuovo Parlamento dovesse ratificare quei provvedimenti che l’Assemblea Costituente oggi assumesse.
Cosicché, senza dubbio alcuno, volente o nolente il Relatore, questo articolo aggiuntivo comporta concretamente modifiche sostanziati alla legge. E questa modifica alla legge non riguarda soltanto l’articolo 6, ma riguarda – come acutamente ha detto l’onorevole Calamandrei – anche l’articolo 5. Duplice quindi la modifica; anzi triplice, perché l’onorevole Crispo aveva pure osservato che, quella che – secondo l’articolo 3 – da parte del Governo era una facoltà, si era venuta mutando in un obbligo; e questa è incontrovertibilmente modificazione della legge. (Applausi a destra).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare contro la proposta l’onorevole Gullo Rocco. Ne ha facoltà.
GULLO ROCCO. Onorevoli colleghi, non comprendo perché sia stata sollevata la pregiudiziale, e perché sia stata sollevata in questo momento. Perché la pregiudiziale, a norma dell’articolo 93 nel Regolamento, poteva essere sollevata anche da un singolo Deputato, prima di entrare nella discussione della legge. Viceversa è stato necessario che si disturbassero ben 15 Deputati per poter presentare la questione pregiudiziale, dopo che già parecchi oratori avevano parlato a favore o contro.
Io domando alla lealtà dei sottoscrittori della mozione perché essi hanno ritenuto necessario presentare questa pregiudiziale, che non avevano ritenuto opportuno presentare quando poteva essere più opportuna, cioè prima che si iniziasse la discussione; perché l’hanno presentata riunendosi in numero di quindici, mentre bastava che uno solo di loro l’avesse presentata prima. (Interruzioni).
Una voce. Perché il provvedimento è stato presentato sottovoce.
GULLO ROCCO. Il provvedimento era già noto: si sapeva fin da ieri; e fin da ieri è stato chiesto, proprio da quei banchi, che la discussione fosse rinviata ad oggi. Questa proposta è stata accolta, e ieri abbiamo avuto soltanto la parola del relatore. Cosicché allo inizio di questa discussione si sapeva benissimo quale ne era la portata. Domando ancora alla lealtà dei contraddittori se la discussione abbia portato alcun elemento nuovo per stabilire che si tratta nientemeno che di una violazione costituzionale. Con questo non nego il diritto a chicchessia di presentare una questione pregiudiziale, quando si ritiene ciò più opportuno non dal punto di vista dell’economia dei lavori, ma anche da un punto di vista politico dei partiti, in un momento piuttosto che in un altro. Ma permettetemi di manifestare il mio disappunto – che è il disappunto di una gran parte dell’Assemblea – la quale vuole lavorare sul serio e vuole impiegare nel modo migliore il tempo delle proprie sedute. (Interruzioni – Commenti).
Io, manifestando questo mio disappunto, che è il disappunto di quelli che vogliono lavorare sul serio – anche se tacciono e non parlano – penso che la proposta, anche se tale non è nelle intenzioni, è però nella sostanza un espediente dilatorio. Ripeto: non è sorto dalla discussione alcun elemento che possa giustificare la pregiudiziale; e lo stesso onorevole Crispo, che ha portato degli argomenti contro la modifica del Regolamento, non ha creduto opportuno parlare e impostare una pregiudiziale. (Interruzioni).
Ripeto, non vedo le ragioni di questa pregiudiziale, e soprattutto non comprendo il tono drammatico che si è voluto dare da parte di un gruppo dell’Assemblea a questa discussione. Si parla di violazione di leggi costituzionali, si prospetta questa modifica del Regolamento come qualche cosa che vada contro le leggi costituzionali.
Ho sentito quanto ha detto il Relatore, le spiegazioni che egli ha creduto di dare: non si tratta di una violazione o di un cambiamento del contenuto della legge 16 marzo 1946; si tratta appunto di una modifica al Regolamento. Ma quando anche non si trattasse di una modifica del Regolamento, ma di una modifica della legge, non comprendo il tono drammatico che si è voluto dare a questa modifica sia del Regolamento, sia della legge.
In fondo, quali sono gli organismi in contrasto? Quali sono questi due poteri che si scontrano? Il potere del Governo e il potere dell’Assemblea. Io mi permetto di ricordare che abbiamo vissuto, dal punto di vista costituzionale, dei momenti veramente drammatici nella vita politica italiana, quando fu necessario addivenire ad un compromesso fra la monarchia da un lato e il Governo dei Comitati di Liberazione dall’altro. E in quel momento si venne a leggi di compromesso e, se si fossero violate delle leggi – come si tentò di fare – la violazione avrebbe avuto (dico meglio, ha avuto) un carattere di estrema gravità.
Ma qui, in sostanza, onorevoli colleghi, di che cosa si tratta?
L’articolo 3 dice che il potere legislativo è delegato al Governo e che le leggi costituzionali devono essere fatte dall’Assemblea. Che cosa è il Governo e che cosa è l’Assemblea? Il Governo è l’espressione dell’Assemblea, per lo meno l’espressione di una grande maggioranza dell’Assemblea; l’Assemblea è la espressione della volontà popolare. Quindi, quando sono d’accordo Governo ed Assemblea (perché non ho sentito alcuna voce discorde da parte del Governo, né vi può essere voce discorde, perché il Governo è l’espressione dell’Assemblea) non si comprende quali leggi costituzionali vengano ad essere violate.
In fondo, noi potevamo arrivare allo stesso risultato anche senza bisogno di turbare il Regolamento della Camera, perché bastava sollecitare il Governo ad una applicazione integrale o, per lo meno, ad una applicazione estensiva del capoverso dell’articolo 3: «il Governo potrà sottoporre all’esame dell’Assemblea qualunque altro argomento, ecc.».
Ebbene, poiché il Governo è espressione dell’Assemblea e l’Assemblea, per l’ultima parte dell’articolo 3, ha anche un controllo sul Governo, a cui può negare la propria fiducia, l’Assemblea poteva scegliere un Governo il quale si impegnasse a portare davanti ad essa o tutta la materia legislativa, o una gran parte della materia legislativa. Si poteva pervenire allo stesso risultato senza neppure bisogno di disturbare il Regolamento, con una opportuna modifica.
Perciò, noi siamo contro la pregiudiziale. Abbiamo sentito alcuni oratori favorevoli ed altri contrari alla modifica del Regolamento. L’onorevole Badini Confalonieri avrebbe potuto portare gli argomenti (che ha portato in sede di pregiudiziale) in sede di discussione del Regolamento; ed è strano che si voglia togliere il diritto di parlare ad altri, che erano ancora iscritti, per interrompere ad un certo punto la discussione.
La Camera ha sentito una gran parte degli oratori; ne sentirà altri, che speriamo possano essere brevi. Alla fine, in sede di votazione, terrà conto di tutti gli argomenti ed esprimerà il giudizio che riterrà migliore. Ma in questa sede, a mio parere, e a parere del mio gruppo, è senz’altro da respingere la pregiudiziale proposta. (Applausi a sinistra).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Ne ha facoltà.
CAPPA, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Non mi pare che vi siano elementi per un grosso contrasto. Quanto al Governo, in base al tenore e al disposto della legge 16 marzo 1946, ed al solenne impegno preso dai partiti rappresentati nel Consiglio dei Ministri che l’hanno votato, si attiene ai limiti che la legge stabilisce. È d’accordo però che, fatti salvi il principio della legge e la continuità giuridica, si stabilisca una procedura che dia modo all’Assemblea di controllare la legislazione e di parteciparvi anche fuori della materia costituzionale ad essa riservata. Debbo, in proposito, richiamarmi alle dichiarazioni fatte dal Presidente del Consiglio nella seduta del 25 luglio e già citate in questa discussione. Il Governo crede che l’intento possa essere raggiunto con la procedura proposta dalla Giunta del Regolamento, e si rimette all’Assemblea per le eventuali modificazioni, desiderando ed intendendo ad ogni modo che sia garantita al Governo la possibilità di provvedere, senza previo esame delle Commissioni, per i casi di assoluta e dichiarata urgenza.
LUCIFERO. Rinnovo la richiesta di votazione per appello nominale della proposta di sospensiva.
PRESIDENTE. Chiedo so la domanda di appello nominale è appoggiata.
(È appoggiata).
Procediamo ora alla votazione per appello nominale. Chi approva la proposta risponderà sì; chi non l’approva risponderà no.
Estraggo a sorte il nome del Deputato dal quale comincerà la chiama.
Comincerà dall’onorevole Valmarana.
Si faccia la chiama.
SCHIRATTI, Segretario, fa la chiama.
Rispondono sì:
Abozzi – Ayroldi.
Badini Confalonieri – Basile – Bellavista – Bencivenga – Bonino.
Caldera – Cannizzo – Capua – Castiglia – Cifaldi – Codacci Pisanelli – Colitto – Coppa Ezio – Corsini – Cortese – Covelli – Crispo – Cuomo.
De Caro Raffaele.
Einaudi.
Fresa – Fusco.
Giacchero – Giannini – Grassi.
Lucifero.
Marina Mario – Marinaro – Martino Gaetano – Mastrojanni – Mazza – Miccolis – Morelli Renato.
Patricolo – Patrissi – Perrone Capano – Perugi.
Quintieri Quinto.
Reale Vito – Rodi – Rodinò Mario – Rognoni – Russo Perez.
Selvaggi.
Tieri Vincenzo – Trulli – Tumminelli.
Venditti – Vilardi – Villabruna.
Rispondono no:
Adonnino – Alberganti – Amadei – Ambrosini – Andreotti – Angelucci – Arata – Arcaini – Assennato – Avanzini – Azzi.
Bacciconi – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bardini – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basso – Battisti – Bazoli – Bellato – Bellusci – Belotti – Bernamonti – Bernini Ferdinando – Bertini Giovanni – Bertola – Bertone – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Binni – Bitossi – Bocconi – Bonomelli – Bonomi Paolo – Bordon – Bosco Lucarelli – Bovetti – Braschi – Brusasca – Bucci – Bulloni Pietro – Burato.
Cacciatore – Cairo – Calamandrei – Camangi – Camposarcuno – Canevari – Caporali – Cappa Paolo – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carbonari – Carboni – Caristia – Carmagnola – Caroleo – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavallari – Cavalli – Chiaramello – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Conci Elisabetta – Conti – Coppi Alessandro – Corazzin – Corsanego – Cosattini – Costantini – Cotellessa – Cremaschi Carlo.
D’Amico Diego – D’Amico Michele – D’Aragona – De Caro Gerardo – De Falco – Del Curto – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Mercurio – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Vita – Di Fausto – Di Giovanni – Di Vittorio – D’Onofrio – Dugoni.
Falchi – Fantoni – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Ferrarese – Filippini – Fiorentino – Fioritto – Foa – Fogagnolo – Foresi – Fornara – Franceschini – Froggio – Fuschini.
Gabrieli – Galati – Garlato – Gavina – Gervasi – Ghidini – Giacometti – Giolitti – Giordani – Giua – Gorreri – Gortani – Grazi Enrico – Grazia Verenin – Grilli – Gronchi – Guariento – Guerrieri Filippo – Gullo Fausto – Gullo Rocco.
Imperiale – Iotti Nilde.
Jacini – Jervolino.
Laconi – Landi – La Rocca – Lazzati – Leone Francesco – Lettieri – Lizier – Lizzadri – Lombardi Giovanni – Lombardi Riccardo – Longhena – Longo – Lopardi – Lozza – Luisetti – Lupis – Lussu.
Maffi – Magnani – Magrini – Malagugini – Malvestiti – Mancini – Mannironi – Mariani Enrico – Mariani Francesco – Martinelli – Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mattarella – Mattei Teresa – Matteotti Carlo – Mazzoni – Meda Luigi – Medi Enrico – Merighi – Merlin Angelina – Merlin Umberto – Molinelli – Momigliano – Montemartini – Monterisi – Montini – Morini – Moro – Murgia – Musolino.
Nasi – Natoli Lamantea – Negarville – Nobili Oro – Noce Teresa – Notarianni – Numeroso.
Orlando Camillo.
Pajetta Gian Carlo – Pastore Giulio – Pastore Raffaele – Pecorari – Pella – Pellizzari – Pera – Perassi – Perlingieri – Persico – Piccioni – Piemonte – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Pressinotti – Preti – Preziosi – Priolo – Pucci.
Quarello – Quintieri Adolfo.
Raimondi – Rapelli – Reale Eugenio – Recca – Rescigno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rodinò Ugo – Romita – Rossi Paolo – Ruggeri Luigi – Ruggiero Carlo – Rumor.
Saggin – Salerno – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Santi – Sardiello – Sartor – Scalfaro – Scarpa – Schiavetti – Schiratti – Segala – Segni – Sicignano – Siles – Silipo – Stampacchia – Stella – Sullo Fiorentino.
Taddia – Targetti – Taviani – Tega – Tessitori – Togni – Tonello – Tosato – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi – Tupini – Turco.
Uberti.
Valenti – Valiani – Valmarana – Vanoni – Vernocchi – Viale – Vicentini – Vigna – Vigorelli – Villani – Volpe.
Zaccagnini – Zanardi – Zappelli – Zuccarini.
PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione per appello nominale:
Presenti e votanti 338
Rispondono sì 52
Rispondono no 286
(L’Assemblea non approva la sospensiva).
Il seguito della discussione è rinviato a domani.
Interrogazioni ed interpellanze.
PRESIDENTE. Comunico che è pervenuta alla Presidenza la seguente interpellanza per la quale è stata chiesta l’urgenza.
«Per sapere se – di fronte al dilagare della speculazione che ha determinato una situazione intollerabile per le classi lavoratrici e meno abbienti – non ritenga opportuno di proporre d’urgenza al Consiglio dei Ministri provvedimenti energici che sanciscano, oltre al carcere, la confisca dei beni e nei casi più gravi la pena capitale contro gli affamatori del popolo.
«Pur riconoscendo che la complessità del problema esige completezza ed organicità di disposizioni legislative e senza pregiudizio di quanto potrà decidere in proposito l’Assemblea Costituente, gli interpellanti chiedono che il Governo conforti del suo appoggio le coraggiose iniziative prese da alcune autorità locali e dia al Paese la sensazione che sarà difeso con ogni mezzo e contro ogni attentato il diritto alla vita del popolo italiano».
Mariani, Mazzoni.
Chiedo al Governo quando intende rispondere a questa interpellanza.
CAPPA, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Dichiaro che, come per le interpellanze di urgenza presentate ieri, il Governo sarà disposto a rispondere in sede delle dichiarazioni che il Presidente del Consiglio si riserva di fare nella prossima seduta della Costituente.
MAZZONI. Desidero sollecitare ancora di più il Governo. Nelle grandi città abbiamo delle situazioni patologiche, atroci. A Milano, per esempio, è solo per l’intervento attivo delle organizzazioni, del comune e per la buona volontà, bisogna dirlo alto e forte, del Prefetto (che è un uomo in gamba) che si son potute evitare situazioni che sarebbero state di infinita tristezza pel popolo italiano. Sapete com’è la folla! Ad un certo punto non ha più la possibilità di essere controllata.
Ora, volete. aspettare che avvengano i saccheggi dei negozi? Siamo tutti concordi nel voler evitare questo. Noi sappiamo bene che il problema è terribile e complesso. Domandiamo intanto che si intervenga con i provvedimenti di urgenza. Siamo convinti che queste questioni non si risolvono all’improvviso; vi sono tuttavia dei provvedimenti di urgenza che sono indispensabili. Ogni 24 ore che passano possono essere funeste in questo momento. Io non voglio fare pressioni oltre quelle che sono lecite alla discrezione parlamentare. Chiedo tuttavia al Sottosegretario di pregare il Presidente del Consiglio di vedere se, senza attendere altri giorni, si possa sollecitare la discussione venendo incontro alla gente che ha veramente bisogno di mangiare.
CAPPA, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. L’onorevole Mazzoni sarà con me convinto che gli uomini che sono al Governo e che rappresentano i quattro partiti di popolo nella coalizione sono, come lui, presi da questo problema assillante ed urgente. L’onorevole Mazzoni e l’Assemblea ricorderanno come nell’ultimo Consiglio dei Ministri siano stati approvati provvedimenti per finanziare gli enti comunali. Questi provvedimenti andranno domani mattina alla firma del Capo dello Stato e saranno immediatamente messi in esecuzione. Così sono stati approvati rilevanti provvedimenti per i ristoranti del popolo.
Quindi, se non posso oggi dare assicurazione che il Governo domani risponda subito all’interpellanza che è stata presentata, posso però assicurare che il Governo si impegna di rispondere in sede delle dichiarazioni che il Presidente del Consiglio farà all’Assemblea.
Quanto all’urgenza, tutto quello che può esser fatto per andare incontro al bisogno delle classi popolari, sarà fatto. Sentano i partiti al Governo la solidarietà di fronte a questi problemi che interessano il popolo.
RUSSO PEREZ. Anche quelli che non sono al governo: su questo punto siamo tutti d’accordo.
PRESIDENTE. Comunico che è stata presentata un’altra interpellanza, per la quale è stata pure chiesta la risposta di urgenza:
«I sottoscritti prospettano al Governo la gravità della situazione generale interna sul piano dell’economia, della finanza e del lavoro, per cui ritengono che sia estremamente urgente che venga subito risolta la crisi ministeriale e che il Presidente del Consiglio renda noto all’Assemblea e al Paese il proprio pensiero e i provvedimenti di immediata attuazione che intende prendere sui problemi in oggetto, anche al fine di rispondere alla legittima aspettazione delle classi lavoratrici e risollevarne la fiducia».
Carmagnola, Canevari, Arata, Faralli, Di Giovanni, Cartia, Cairo, Morini, Salerno, Giua, Vigorelli, Cosattini, Mariani, De Michelis, Carboni, Targetti, Filippini, Carpano Maglioli, Gullo Rocco, Lami Starnuti, Zanardi, Luisetti, Tomba, Fedeli, Battisti.
Chiedo al Governo quando intende rispondere.
CAPPA, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Ripeto quanto ho già detto per la precedente interpellanza, e cioè che il Governo farà queste dichiarazioni alla prima seduta della Camera.
PRESIDENTE. Sono pervenute alla Presidenza altre interrogazioni e una interpellanza. Se ne dia lettura.
SCHIRATTI, Segretario, legge:
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro della guerra, per conoscere se non ritenga opportuno emanare provvedimenti atti a favorire, nell’occasione dello sfollamento dei quadri dell’Esercito, quegli ufficiali i quali si siano resi meritevoli di particolare considerazione:
- a) perché danneggiati nella loro carriera durante il regime fascista per motivi direttamente o indirettamente di carattere politico;
- b) per il contegno, aderente alle leggi dell’onore ed ai doveri militari, tenuto l’8 settembre 1943 e successivamente in territori controllati dai nazi-fascisti.
«Martino Gaetano».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro della guerra, per conoscere se non ritenga necessario disporre che l’applicazione del Regio decreto legislativo 14 maggio 1946, n. 384 (riguardante il collocamento nella riserva degli ufficiali generali e superiori), avvenga gradualmente secondo norme precise ed uniformi e nell’ordine seguente:
1°) ufficiali comunque compromessi con la repubblica sociale di Salò;
2°) ufficiali richiamati dal congedo durante la guerra e non ancora congedati;
3°) ufficiali già collocati nella riserva e trattenuti in servizio;
4°) a domanda degli interessati;
5°) di autorità.
«Martino Gaetano».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere se non si ritenga opportuno consentire, in deroga al blocco dei fitti agrari stabilito col Regio decreto-legge 5 ottobre 1936, n. 1746, e confermato col Regio decreto-legge 16 giugno 1938, n. 1387, un adeguato aumento del canone di affitto di fondi rustici per i contratti ancora in corso stipulati anteriormente al 1943. E ciò in vista:
- a) del fatto che col ragguaglio del canone di affitto consentito dal decreto Gullo 5 aprile 1945, n. 157, per i contratti scaduti e prorogati per legge esso è stato in tali casi praticamente aumentato del 1300 per cento;
- b) della quadruplicazione delle imposte sui terreni che obbligherà in molti casi il locatore a versare all’erario una somma superiore a quella annualmente percepita.
«Martino Gaetano».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere se è nelle intenzioni del Governo emanare provvedimenti di legge per riparare il danno economico sofferto dagli impiegati statali, nonché da quelli degli Enti locali, dispensati dall’impiego per motivi politici durante il regime fascista e poscia riassunti in servizio.
E ciò anche in considerazione che agli ex-fascisti prima epurati e poi riammessi negli impieghi, viene corrisposto l’intero trattamento economico per il periodo di tempo durante il quale sono stati assenti dal servizio.
«Martino Gaetano».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere se è vero che si starebbe preparando il decreto per distaccare dalla provincia di Rieti il mandamento di Cittaducale per unirlo ad altra provincia, il cui capoluogo è distante dal detto paese cinquanta chilometri mentre Rieti ne dista solo 9, ed è separato dalle montagne dell’Abruzzo, con comunicazioni stradali e ferroviarie difficilissime. E ciò disprezzando la volontà di quelle popolazioni che vogliono restare unite con la provincia di Rieti per entrare a far parte della costituenda regione romana: aspirazione questa secolare e unanime di tutte le popolazioni sabine.
«Coccia».
«I sottoscritti chiedono d’interrogare i Ministri di grazia e giustizia e dell’agricoltura e delle foreste, per sapere se non ritengano opportuno di proporre un provvedimento legislativo che, a modifica delle disposizioni vigenti, consenta il beneficio della libertà provvisoria ai contadini attualmente detenuti per lievi inadempienze, compiute non a scopo speculativo, ma per necessità famigliari ed aziendali, nel conferimento agli ammassi, nella considerazione del danno che ne deriva all’agricoltura per l’assenza di braccia all’atto della preparazione delle semine ed anche per una perequazione con quegli agricoltori delle provincie meridionali che, pur avendo commesso lo stesso reato, hanno beneficiato dell’amnistia, perché l’infrazione fu commessa prima del 18 giugno relativamente all’anticipato raccolto del grano.
«Giacchèro, Scotti Alessandro, Baracco».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’industria e commercio, sulle ragioni per le quali i magazzini e le calate del porto di Genova sono colme di enormi quantitativi di balle di cotone che non vengono ritirate dagli industriali premurosi di tenere chiusi i propri stabilimenti anziché provvedere alla ripresa del lavoro nell’interesse dell’Italia e del popolo italiano.
«Il cotone è materia prima che si importa per essere lavorato; se le filature non si preoccupano delle esigenze del paese, il Governo le requisisca e trovi finalmente il modo di dare agli italiani i tessuti necessari a prezzi onesti ed equi.
«Faralli».
«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere se – premesso che il gruppo parlamentare siciliano, riunitosi in Palermo, nominò una commissione d’inchiesta per i gravi e dolorosi fatti di Caccamo, al fine di stabilire la verità su episodi di violenza avvenuti in Sicilia ed a danno di contadini siciliani; e premesso, altresì, che tale commissione non poté espletare il compito delegatole in quanto trovò l’ostacolo del silenzio, della reticenza e della diffidenza da parte delle pubbliche autorità – la commissione, come sopra nominata, avesse autorità o meno di svolgere delle indagini, oppure se il gruppo parlamentare siciliano eccedesse nel ritenere che una commissione di Deputati siciliani fosse la più idonea ad esaminare, comprendere e giudicare di fatti di arbitrio e di sopraffazione operati a tutto danno delle popolazioni dell’Isola.
«Finocchiaro Aprile, Castrogiovanni, Gallo, Varvaro».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere le ragioni per le quali, dopo tanti mesi dalla fine della guerra, non abbia ancora autorizzato il bando dei concorsi sanitari, specialmente ospedalieri, e per sapere se non ritenga opportuno e necessario disporre d’urgenza perché detti concorsi siano subito aperti e banditi per dare finalmente una sistemazione sicura ai servizi e creare una disciplina efficace e feconda in un settore così importante e delicato della vita nazionale.
«Braschi».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Governo, per sapere se non ritenga opportuno, necessario ed urgente disporre perché siano restituiti al Ministero dell’agricoltura e delle foreste discipline e servizi (istruzione professionale agraria, credito agrario, ecc.) che a detto Ministero già appartennero e al medesimo devono tornare nell’interesse dei servizi stessi e della produzione nazionale.
«Braschi».
«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere quali provvedimenti si intendano adottare in relazione alle recenti arbitrarie occupazioni di terre.
«Si fa presente, all’uopo:
1°) gli invasori sono, assai spesso, o proprietari di terra o non sono per nulla agricoltori;
2°) che sono state, sovente, occupate terre già arate per le prossime semine e che pertanto non possono considerarsi incolte;
3°) che sono stati invasi terreni destinati a produzione foraggera compromettendo pertanto l’alimentazione invernale del capitale zootecnico di tali zone.
«Si osserva ancora che le procedure adottate in merito, al centro ed alla periferia, sono caotiche e non corrispondenti ad alcun principio costituzionale o di diritto, coi quali sono, anzi, spesso, in contrasto.
«Si domanda ancora che in tutti quei casi in cui i proprietari delle terre invase offrono contratti di compartecipazione coi lavoratori agricoli interessati, tali combinazioni debbano, in tutti i modi, essere favorite ed adottate in quanto sono atte ad instaurare buoni rapporti tra le parti e ad evitare il ripetersi di inammissibili irrazionali sfruttamenti dei terreni, con conseguente disordine idraulico e deperimento dei medesimi con grave ripercussione sulla produzione.
«Si chiede ancora se sia vero che siano state date disposizioni a qualche prefetto (esempio Siracusa) di dar corso, in caso di ritardato esame della commissione speciale, alla immissione nelle terre, avvalendosi del disposto dell’articolo 19 della Legge comunale e provinciale, Testo unico.
«Si chiede ancora se sia vero che azioni politiche ritardino la riconsegna ai proprietari (come a Siracusa) dei terreni, per i quali la Magistratura ha concesso lo sfratto o la decadenza a favore dei proprietari.
«Se è vero, infine, che pressioni politiche ritardino il lavoro delle commissioni che devono pronunciare le decadenze.
«Cannizzo, Corsini, Capua».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere se sia esatto che egli considera decaduti i decreti di requisizione di terre incolte disposti con provvedimenti dell’ottobre 1944 dal prefetto di Sassari e successivamente prorogati per l’annata 1945-46, e che ha disposto per l’attribuzione delle stoppie ai proprietari. E per conoscere, altresì, se non ritenga opportuno devolvere il riesame di tutto il complesso delle assegnazioni alle apposite commissioni, le quali potrebbero decidere caso per caso, su istanza della parte interessata, sentita l’altra parte e nello spirito delle ultime disposizioni, che prolungano a nove anni il periodo della concessione.
«Laconi».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere se sia esatto che il decreto legislativo luogotenenziale 13 settembre 1945, n. 593, che disponeva speciali provvidenze a favore degli agricoltori sardi danneggiati nel 1945 dalla siccità e dalle cavallette, non ha avuto applicazione per il mancato stanziamento dei fondi occorrenti preventivati in circa 350 milioni di lire, e per l’insufficiente assegnazione di cotonate. E per sapere anche se intenda disporre le misure necessarie per dar pratica attuazione al succitato decreto, venendo così incontro alla giusta aspettazione degli agricoltori sardi.
«Laconi».
«I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri dell’agricoltura e delle foreste e dei lavori pubblici, sulla convenienza economica e sociale di combattere finalmente la piaga della disoccupazione ricorrendo a larghi programmi di bonifica integrale del monte e del piano, finora lasciati di gran lunga in sottordine rispetto alle opere dipendenti dal Ministero dei lavori pubblici.
«Gortani, Garlato».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se e come intenda provvedere alla sistemazione di quei professori, specialmente di scuole medie, che, in tempo fascista, preferirono restare nelle scuole private per custodire e difendere la propria libertà ed hanno ora superato i limiti di età per partecipare ai concorsi.
«Chiede in particolare se e come voglia tener conto del lodevole servizio prestato specialmente nelle scuole parificate dove l’insegnamento fu apprezzato e controllato da periodiche ispezioni. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Braschi».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno, sulla urgenza di esaminare – di fronte al ripetersi di atti aggressivi sulla strada del Bracco – la necessità di predisporre un servizio continuo di sorveglianza per mezzo di camionette lungo la strada stessa, arteria di estrema importanza nelle comunicazioni fra Torino, Genova e il Centro-Meridione italiano. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Faralli».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri (Alto Commissariato generale per l’alimentazione), per sapere se è esatto quanto pubblicato sul giornale Voce dell’esercente (Milano, n. 48), in data 18 luglio 1946, a proposito della incettazione di olio d’oliva.
«Sta di fatto che mentre i privati speculatori possono tranquillamente trasferire da una regione all’altra e vendere a prezzi proibitivi siffatto prodotto tanto necessario alla vita economica della popolazione, dagli organismi qualificati invece non si distribuiscono le stabilite misere assegnazioni per mancanza dei quantitativi necessari. Poiché l’olio rappresenta una delle maggiori ragioni di disagio fra la classe lavoratrice, sarebbe opportuno e indispensabile l’intervento del Commissariato per disciplinare, in modo più equo, la distribuzione del prodotto in oggetto. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Faralli».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere come intenda provvedere:
1°) al serio, effettivo, utile funzionamento di tutte le scuole nel prossimo anno scolastico 1946-47;
2°) all’istituzione di un grande numero di scuole popolari, specialmente rurali, soprattutto nelle regioni meridionali e in tutti i comuni più danneggiati dalla guerra;
3°) alla ricostituzione delle scuole per i contadini della regione laziale, le quali sorsero per la iniziativa di pochi generosi e vissero per l’abnegazione e il sacrificio di quelli e di una schiera eletta e disinteressata di insegnanti elementari;
4°) alla ricostituzione dei patronati scolastici e di tutte le istituzioni ausiliarie della scuola popolare. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Conti».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere i provvedimenti che adotterà, in vista del nuovo anno scolastico, diretti al riordinamento, al funzionamento e allo sviluppo delle scuole agrarie, segnatamente degli istituti tecnici superiori di agricoltura, molti dei quali privi di sedi, di gabinetti, sono stati abbandonati al loro destino; per sapere se all’Università di Roma sarà istituita la facoltà di agraria; e infine, per conoscere gli intendimenti del Ministro per l’incremento e lo sviluppo degli studi agrari. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Conti».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere se è stata risolta la questione presentata dal Gabinetto del Ministero della guerra in data 18 aprile 1942, con foglio n. 301238/6-5308, e reiteratamente sollecitata, relativa all’esame della disparità di trattamento per le promozioni al grado 8°, gruppo A, al grado 12° gruppo B, al grado 11° gruppo C, stabilito dall’articolo 8 del Regio decreto 6 gennaio 1942, n. 27, la cui applicazione, in virtù dell’articolo 6 del decreto legislativo luogotenenziale 8 maggio 1946, n. 354, è prorogata al 31 dicembre 1947.
«In virtù delle disposizioni sopracitate, mentre si concede una abbreviazione di termini per il conseguimento della promozione, agli impiegati che hanno combattuto in epoche precedenti al loro ingresso in carriera, si nega lo stesso diritto agli impiegati che lo stesso titolo di combattenti hanno conseguito in costanza di impiego nella Amministrazione.
«L’emanazione di un provvedimento legislativo che ripari l’ingiustificata disposizione dell’articolo 8 del Regio decreto 6 gennaio 1942, n. 27, sembra imporsi per ragioni evidenti di giustizia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Mastrojanni».
«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri della pubblica istruzione e del tesoro, per sapere se, in considerazione della particolare situazione di disagio nella quale sono venuti a trovarsi, in dipendenza della guerra, insegnanti medi fuori ruolo, reduci, partigiani, ex combattenti, non sia necessario addivenire ai seguenti provvedimenti:
- a) immediata assunzione in ruolo degli insegnanti medi fuori ruolo reduci, partigiani, ex combattenti forniti di abilitazione all’insegnamento medio e con almeno un anno di effettivo, lodevole servizio prestato in scuola media governativa di qualsiasi grado, sempreché i medesimi non risultino compromessi militarmente o politicamente per i fatti avvenuti dopo l’8 settembre 1943;
- b) graduale assunzione in ruolo, previo esame di abilitazione, di tutti i reduci, partigiani, ex combattenti laureati, con almeno un anno di effettivo e lodevole servizio prestato in scuola media governativa di qualsiasi grado, sempreché i medesimi non risultino compromessi militarmente o politicamente per i fatti avvenuti dopo l’8 settembre 1943. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Lozza».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, perché sia ripresa ed applicata severamente la legge che sancisce la settimana lavorativa normale di 40 ore. In tempo di disoccupazione troppe imprese lavorano con il numero appena sufficiente di lavoratori per 48, 52, 60 ore settimanali. Le imprese giustificano gli extra orari con la scusa, valida entro certi limiti, che non hanno maestranze specializzate. È da ritenere invece, che le maestranze specializzate si possano preparare (tessili) e nuove forze di lavoratori possano da una parte essere elevate nella loro preparazione professionale e dall’altra immesse al lavoro. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Roselli».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere se non ritenga necessario istituire una nuova coppia di treni Bergamo-Milano e Milano-Bergamo, con partenza da Bergamo al mattino, verso le ore 7, e alla sera da Milano verso le ore 17,30, in modo che i numerosi impiegati e studenti che vivono a Bergamo ed hanno la loro occupazione a Milano non siano costretti, come lo sono attualmente, a perdere due ore al mattino, in attesa della apertura degli uffici e delle scuole, e due ore alla sera, in attesa del treno che li riporti a Bergamo. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Montagnana Mario».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno, e il Ministro di grazia e giustizia, per sapere se il Governo sia al corrente che le Commissioni di epurazione e l’Amministrazione agiscono molto spesso oltrepassando i limiti segnati dalla legge. Vi sono casi in cui il personale è stato deferito alle Commissioni di epurazione dopo il 31 marzo, con lettera retrodatata. In altri casi il personale si è visto sospeso con effetto retroattivo, traducendosi così una misura di sicurezza politica in una autentica vessazione finanziaria. In altri casi ancora l’Amministrazione, con tattica dilatoria, rifiuta il pagamento degli assegni al personale sospeso. In altri casi infine le Commissioni non rispettano i termini perentori assegnati per le denunzie e provvedono poi a retrodatare le medesime.
«Per sapere altresì se il Governo si renda conto del grave danno morale, economico e di carriera che deriva al personale deferito al giudizio di epurazione per effetto della sospensione e per sapere se lo stesso abbia intenzione di indennizzare in qualche modo chi risulti pienamente assolto da ogni accusa. Il prolungarsi di questo stato di cose tiene in sospeso un numero considerevole di famiglie che, per il disagio economico e la situazione morale in cui versano, minacciano di divenire causa di grave turbamento sociale.
«Per chiedere, infine, se il Governo abbia intenzione di provvedere, tenendo presente che nessun beneficio della recente amnistia è venuto al personale sottoposto al giudizio di epurazione, mentre sono stati prosciolti coloro che avevano indubbiamente responsabilità maggiori. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Tumminelli»
«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro ad interim degli affari esteri, e il Ministro della guerra, per sapere se non credano urgente sollecitare il rimpatrio dei prigionieri di guerra allogeni dell’Alto Adige, i quali, dopo il trattato italo-austriaco di Parigi, vanno considerati come veri cittadini italiani. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).
«Carbonari, Conci Elisabetta, Jervolino».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per sapere per quali motivi la ricostruzione della strada nazionale Tiberina 3 bis è ancora sospesa nel tratto Pieve S. Stefano-Canili, mentre è quasi compiuta nel tratto Canili-Bagno di Romagna. La mancata ricostruzione del tratto intermedio suddetto, impedendo la circolazione sull’intero percorso, renderà quasi inutili ai fini del traffico nazionale le ingenti spese già sopportate. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Fanfani».
«Le sottoscritte chiedono di interpellare i Ministri della pubblica istruzione, dell’industria e commercio, del commercio estero e del lavoro e previdenza sociale, perché sulla base dei risultati del I Convegno delle cooperativiste italiane, siano adottati opportuni provvedimenti al fine di difendere e favorire l’affermazione dell’artigianato italiano, in campo nazionale ed internazionale, nell’interesse reciproco della ripresa economica nazionale e della categoria dei lavori artigiani.
«Merlin Lina, Mattei Teresa».
PRESIDENTE. Le interrogazioni testé fette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.
Così pure l’interpellanza sarà iscritta all’ordine del giorno, qualora i Ministri interessati non vi si oppongano nel termine regolamentare.
La seduta termina alle 20.45.
Ordine del giorno per la seduta di domani.
Alle ore 16:
- – Interrogazioni.
- – Verifica dei poteri: elezione contestata per la circoscrizione di Palermo (Rosario Pasqualino Vassallo). (Doc. III, n. 1).
- – Seguito della discussione sulla Proposta di aggiunta al Regolamento. (Doc. II, n. 5).