ASSEMBLEA COSTITUENTE
XXIII.
SEDUTA DI MERCOLEDÌ 25 SETTEMBRE 1946
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SARAGAT
indi
DEL VICEPRESIDENTE TERRACINI
INDICE
Sul processo verbale:
Lucifero
Cappa, Sottosegretario di Stato per la Presidenza
del Consiglio dei Ministri
Presidente
Congedo:
Presidente
Comunicazioni del Presidente:
Presidente
Comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri (Seguito della discussione):
Presidente
Marinaro
Scoccimarro, Ministro delle finanze
Perrone Capano
Finocchiaro Aprile
Benedetti
Bertone, Ministro del tesoro
Interrogazioni e interpellanze (Annunzio):
Presidente
De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri,
Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri
La seduta comincia alle 16.
MATTEI TERESA, Segretaria, legge il processo verbale della seduta precedente.
Sul processo verbale.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare sul processo verbale l’onorevole Lucifero. Ne ha facoltà.
LUCIFERO. Signor Presidente, mi rivolgo a lei, ancora prima che agli onorevoli colleghi, perché la questione che io sollevo sul verbale della seduta di ieri e su una frase dell’onorevole Presidente del Consiglio è una questione che investe la dignità e la potestà di tutta la nostra Assemblea, di ciascuno di noi e di tutti noi come maggior corpo rappresentativo del Paese.
M’era già venuto un sospetto, uno strano sospetto – tra le tante strane cose alle quali assisto da qualche tempo in Italia – durante le ultime dichiarazioni del Presidente del Consiglio, che hanno dato luogo alla discussione che si va svolgendo; e ciò allorquando l’onorevole Presidente disse: «Credo con questo di aver risposto alle varie interpellanze che mi sono state rivolte». Ma pensai di aver capito male; se non che ieri sera, in occasione di una interpellanza di urgenza, per gravissime cose, rivolta dall’onorevole Caroleo al Presidente del Consiglio, questi rispose: «Risponderò domani nelle mie dichiarazioni». Allora io non avevo capito male; ma, se io non avevo capito male, mi perdoni l’onorevole Presidente del Consiglio che è assente, e mi rivolgo al suo Sottosegretario, mio carissimo amico, allora male ha inteso la funzione della interpellanza l’onorevole Presidente del Consiglio.
L’interpellanza è una facoltà data ai rappresentanti del popolo di aprire una discussione su di un determinato argomento: il che significa di poter anche provocare un voto trasformandola in mozione. La disinvolta manovra dell’onorevole Presidente del Consiglio di eludere questa specifica funzione della interpellanza, rispondendo elegantemente nelle sue dichiarazioni di Governo agli interpellanti, evitando così una discussione specifica che un rappresentante del Paese ha richiesto, nell’interesse del Paese, ed in secondo luogo evitando la possibilità di un voto che potrebbe essere richiesto non da colui che ha presentato l’interpellanza, ma da qualunque membro di questa Assemblea che la facesse sua, questa disinvolta manovra non può essere accettata dai rappresentanti alla Costituente; perché quando noi rivolgiamo una interpellanza al Presidente del Consiglio, noi la rivolgiamo perché intendiamo che l’attenzione dell’Assemblea e del Governo sia richiamata su determinati problemi, e perché desideriamo che qualunque rappresentante dell’Assemblea possa partecipare a questa discussione.
Si vogliono evitare discussioni che spesso sono gravissime, forse per non sentirsi dire cose che già si sanno; e questo valga per l’interpellanza dell’onorevole Caroleo di ieri, perché gravi sono le responsabilità di un membro del Governo nei falli che questa interpellanza denuncia e valga, anche per l’interpellanza presentata dall’onorevole Cortese e da me, forse perché non si voleva sentir dire, per esempio, che la scoperta di un deposito di armi in casa di un Tizio in provincia di Parma, a Soragna, fu oggetto di deplorazione da parte del prefetto di Parma, il quale prefetto si oppose a che si reperissero le armi in casa di un privato cittadino.
Una voce. Non è vero!
LUCIFERO. Il prefetto è tuttora al suo posto; e questa è una gravissima responsabilità dell’onorevole Presidente del Consiglio e Ministro dell’interno, il quale, per non sentirsi dire queste cose, evita le discussioni.
Io chiedo formalmente che si ripristini la sana e giusta tradizione parlamentare, che le interpellanze presentate dagli onorevoli deputati, di qualunque parte, vengano regolarmente discusse. La interpellanza è una facoltà che dà alla minoranza il diritto di richiamare l’attenzione su determinati problemi.
Qui sono state presentate interpellanze di grandissima importanza da parte di altri colleghi, anche di altra parte, come quella dell’onorevole Di Vittorio, che domandava chiarimenti sulle questioni dei prezzi e della alimentazione, che tanto interessano l’intero Paese; e perciò noi non vogliamo che si evitino le discussioni con queste eleganti manovre.
Noi preferiamo essere cafoni, ma poter dire chiaramente il nostro pensiero e poter discutere in sede competente i problemi che interessano il Paese. (Applausi a destra).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Ne ha facoltà.
CAPPA, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Mi sembra che il collega Lucifero sia partito in guerra contro i mulini a vento. Ritengo che se il Presidente del Consiglio ha avvertito che potrebbe rispondere oggi sul contenuto della interpellanza Caroleo, in sede di dichiarazione di Governo, deve averlo fatto per venire incontro al desiderio dell’interpellante che la questione sia chiarita.
LUCIFERO. Ma che sia anche discussa!
CAPPA, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Se l’onorevole Caroleo e gli altri che hanno presentato una interpellanza intendono riservarsi il diritto di replica ed intendono che l’interpellanza sia oggetto di discussione da parte di coloro che vogliono parteciparvi, non avranno che da chiedere la discussione dell’interpellanza e il Governo si riserva di aderirvi.
LUCIFERO. Non è una concessione!
CAPPA, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. È un vostro diritto, siamo d’accordo.
PRESIDENTE. Vorrei dare lettura dell’articolo 123 del Regolamento della Camera:
«Dopo le spiegazioni date dal Governo, l’interpellante può dichiarare le ragioni per le quali egli sia o no soddisfatto.
«Qualora non sia soddisfatto e intenda promuovere una discussione sulle spiegazioni date dal Governo, deve presentare una mozione.
«Il Presidente ne darà lettura alla Camera.
«Se l’interpellante dichiara di non presentare alcuna mozione, qualsiasi Deputato può presentare una mozione sull’argomento, che ha fatto oggetto dell’interpellanza.
«Tra più mozioni si tien conto di quella sola che fu presentata prima di ogni altra».
In sostanza, dopo le dichiarazioni che farà il Presidente del Consiglio, qualora l’interpellante non sia soddisfatto, la procedura può svolgersi ugualmente.
LUCIFERO. Era proprio per la perfetta conoscenza che ho dell’articolo 123 che avevo sollevato la questione. La prassi nuova consiste nell’aver trasportato la discussione dell’interpellanza dal suo campo in un campo diverso, il che consente di strozzare ed abbreviare la discussione.
CAPPA, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Ma non è stato trasportato niente!
PRESIDENTE. Se non vi sono altre osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
(È approvato).
Congedo.
PRESIDENTE comunica che ha chiesto congedo il Deputato Montagnana Mario.
(È concesso).
Comunicazioni del Presidente.
PRESIDENTE. Comunico che le Commissioni permanenti prima, seconda e terza per l’esame dei disegni di legge si sono riunite stamani ed hanno proceduto nel modo seguente alla loro costituzione:
prima Commissione: presidente Gronchi, vicepresidente D’Onofrio, segretario Carboni;
seconda Commissione: presidente La Malfa, vicepresidente Persico, segretario Pella;
terza Commissione: presidente Simonini, vicepresidente Corazzin, segretario Bei Adele.
La quarta Commissione si riunirà questa sera dopo la seduta dell’Assemblea.
Comunico che l’onorevole Longo, già assegnato alla prima Commissione permanente per l’esame dei disegni di legge, è stato assegnato alla quarta Commissione. Lo sostituisce nella prima l’onorevole Pucci, già assegnato alla quarta.
Così pure l’onorevole Bibolotti è passato dalla quarta alla terza Commissione e l’onorevole Massini dalla terza alla quarta.
L’onorevole Cifaldi si è dimesso da componente della Commissione per l’esame delle domande di autorizzazione a procedere in giudizio. È stato sostituito dall’onorevole Fusco.
Comunico infine che l’onorevole Benedetti si è dimesso da componente della Giunta per il Regolamento interno. Ho chiamato a sostituirlo l’onorevole Damiani.
Seguito della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.
PRESIDENTE. Ricordo che nella discussione di ieri è stata chiusa la discussione generale, riservando la parola ai presentatori di ordini del giorno e al Governo.
Ha facoltà di parlare l’onorevole Marinaro, il quale ha presentato il seguente ordine del giorno:
«L’Assemblea invita il Governo a dichiarare esattamente quale è la situazione del Tesoro, della circolazione ed in generale la situazione finanziaria».
MARINARO. Onorevoli colleghi, il mio intervento in questa discussione è stato suggerito da due motivi: primo: la mancata risposta da parte dell’onorevole Corbino a specifiche domande fattegli dall’onorevole Nitti; secondo: un accenno fatto dall’onorevole Negarville a proposito del mancato cambio della moneta. Ond’io ho tenuto conto degli elementi a mia conoscenza circa la situazione del tesoro e della finanza in genere, e son voluto intervenire in questa discussione per chiarire, secondo i dati in mio possesso, quale è la situazione che l’onorevole Corbino ha lasciato nell’abbandonare il Ministero del tesoro. E comincerò con l’accennare alla situazione della cassa. Corbino ha detto: «nel momento in cui io presi possesso del Ministero del tesoro trovai in cassa 15 miliardi».
Credo che tale cifra non sia esatta (sarò lieto se il Ministro del tesoro potrà precisarla). Secondo dati da me desunti dall’ultimo bollettino del tesoro (bollettino che l’onorevole Einaudi elogia spesso, ma che in verità non adempie in pieno alla sua funzione perché esce con molti mesi di ritardo; e difatti questi dati sono stati tratti dal bollettino del maggio che porta la situazione al 31 marzo) risulta che al 30 novembre, epoca in cui press’a poco l’onorevole Corbino s’insediò al Ministero del tesoro, in cassa erano 35 miliardi. Questa cifra ebbe degli alti e bassi, passò a 20 miliardi, poi a 24, poi ritornò a 35 fino a risultare, ai primi di agosto, di appena 2 miliardi e 800 milioni. In questi giorni pare che le disponibilità di cassa non superino i 7 o 8 miliardi. A questa situazione della cassa è connessa la situazione dei residui passivi, ai quali fece un fugace accenno, giorni addietro, l’onorevole La Malfa. Al 30 giugno 1945 i residui passivi ascendevano a circa 50 miliardi; pare che al 30 giugno 1946 essi siano saliti ad oltre 200 miliardi. Io non ho bisogno di dirvi quale preoccupazione desti il pagamento di questi residui passivi. Si tratta, come voi tutti ben sapete, di impegni a brevissima scadenza, di impegni cioè che si riferiscono a forniture, a lavori già eseguiti o ad altre cose del genere e che debbono tradursi in pagamenti da un momento all’altro. Ora io mi domando in quale situazione si trova oggi il Governo (avendo soltanto 7 o 8 miliardi in cassa) per far fronte al pagamento di questa ingente massa di residui passivi.
Sulla circolazione abbiamo avuto ieri qualche notizia dall’onorevole Einaudi. Sta di fatto che l’onorevole Corbino aveva ripetutamente affermato che la circolazione non era aumentata di una sola lira, e anche l’onorevole Pella aveva giorni addietro accennato a questa circostanza, traendone motivo di compiacimento con l’ex Ministro del tesoro.
Intanto io vedo che la circolazione, che al 30 novembre 1945, epoca in cui Corbino assunse la direzione del Ministero del tesoro, ascendeva a 390 miliardi, al 5 agosto ultimo scorso ascendeva a ben 474 miliardi.
L’onorevole Einaudi ha accennato alla cifra di 412 o 415 miliardi, ma evidentemente non ha tenuto conto dei debiti a vista, degli assegni e dei vaglia cambiari che la stessa situazione del Tesoro e anche quella della Banca d’Italia fanno ascendere a oltre 57 miliardi. Di guisa che complessivamente al 5 agosto la circolazione ascendeva a 474 miliardi. Vi era stato un impegno preciso, un impegno, direi quasi, d’onore da parte del Governo, di non aumentare la circolazione.
Questo impegno non è stato mantenuto, malgrado le spiegazioni, sulle quali non possiamo essere d’accordo, fornite ieri dall’onorevole Einaudi.
Io parto da dati ufficiali. Nel suo ultimo discorso alla Consulta il Ministro Ricci, prima di lasciare il Ministero del tesoro, disse che le am-lire in circolazione ascendevano a 81 miliardi. Trovo invece che, nella situazione al 5 agosto, esse ascendono a 96 miliardi e 700 milioni. Lo stesso Ministro Ricci, nella stessa occasione, comunicò che la circolazione cartacea ascendeva a 390 miliardi, mentre al 5 agosto è salita a 416 miliardi. L’onorevole Einaudi ha giustificato questo aumento della circolazione, che non è stato mai ammesso, anzi, implicitamente sempre smentito dall’onorevole Corbino, dicendo che 18 miliardi sono serviti per pagamenti agli alleati, 13 miliardi per gli ammassi e 17 miliardi per gli esportatori.
Signori, non possiamo convenire su queste giustificazioni. In questa maniera si può giustificare qualsiasi aumento di circolazione e io non vorrei che le dichiarazioni dell’onorevole Einaudi fossero un’anticipata giustificazione di futuri aumenti della circolazione, sulla qual cosa richiamo l’attenzione del Governo.
Vi è stata emissione di nuovi biglietti? Non c’è dubbio. Quanto alle am-lire, esse probabilmente sono state prelevate da altro fondo giacente presso la Banca d’Italia, e che non era compreso negli 81 maliardi denunciati dal Ministro Ricci. Ma la differenza fra 20 e 45, cifra alla quale siamo giunti oggi, indubbiamente costituisce effettivo aumento di biglietti che il Governo ha messo in circolazione, malgrado i suoi impegni in contrario e le sue molteplici rassicuranti dichiarazioni in proposito. Aumento, quindi, della circolazione di circa 45 miliardi, residui passivi da sistemare di oltre 200 miliardi.
Situazione dei depositi:
Una cifra precisa non è stata indicata dall’onorevole Einaudi. I depositi delle banche al 31 maggio 1946 ascendevano a 530 miliardi. A questa cifra è da aggiungere quella dei depositi e dei buoni postali per un ammontare complessivo di 103 miliardi.
Abbiamo così una cifra totale di depositi, fra bancari e postali, di 634 miliardi.
Vi indico queste cifre, onorevoli colleghi, perché penso che esse siano assai più eloquenti di qualsiasi commento sulla grave, anzi gravissima, situazione attuale della nostra tesoreria.
E quali furono i vari impieghi?
Intendo parlare degli impieghi verso lo Stato di aziende che raccolgono i risparmi.
Su questo punto le mie notizie non sono aggiornate; esse si fermano al 31 dicembre 1945. A tale data i titoli pubblici di proprietà delle Banche ascendevano a 133 miliardi; a questa cifra vanno sommati i conti correnti del Tesoro ed i conti correnti liberi e vincolati con la Banca d’Italia. Abbiamo così una somma complessiva di circa 294 miliardi, pari al 72 per cento dei depositi dei clienti. È, inoltre, da tener presente che tutti i depositi delle Casse postali sono affluiti allo Stato (circa 82 miliardi). Il totale, quindi, degli impieghi verso lo Stato delle aziende di credito e delle Casse postali ascendeva, alla detta data, a 376 miliardi, pari al 77 per cento di tutti i depositi; cosi come prevedeva l’onorevole Nitti, quando, l’altro giorno, accennava ai quattro quinti dei depositi bancari e postali utilizzati dallo Stato.
Complessivamente, con questi impieghi, il deposito fluttuante è salito a circa 680 miliardi. L’onorevole Pella mi pare abbia accennato alla cifra di 800 miliardi. La cifra esatta deve essere proprio quest’ultima, poiché io noto che nel conto del Tesoro non è scritturata la partita di 114 miliardi di am-lire, che, invece, figura nella situazione della Banca d’Italia. E difatti, 680 più 114 danno circa 800 miliardi che attualmente costituiscono il debito fluttuante dello Stato.
Credo opportuno farvi conoscere che al 31 dicembre 1943 il debito fluttuante ascendeva a 166 miliardi.
Il debito pubblico generale è salito a 1017 miliardi, secondo l’ultima situazione del Tesoro. Ma ad essi vanno aggiunti quei 114 miliardi cui ho or ora accennato e che costituiscono un debito dello Stato. Complessivamente, pertanto, il debito pubblico generale oggi ascende ad oltre 1130 miliardi.
In sostanza, signori, durante la gestione Corbino, la situazione del Tesoro ha subito queste variazioni: la circolazione monetaria è aumentata di circa 45 miliardi; i buoni del Tesoro ordinari da 173 miliardi sono saliti a 225 miliardi; il fondo di cassa da 35 miliardi è sceso, ai primi di agosto, a 2 miliardi e 800 milioni, per risalire poi a circa 7 miliardi, qual è oggi; i conti correnti delle banche, presso il Tesoro, sono saliti da 30 a 36 miliardi; i conti correnti delle banche presso la Banca d’Italia, e da questi passati al Tesoro, da 117 miliardi sono saliti a 130 miliardi.
E cosi, con i titoli di Stato di proprietà delle banche, abbiamo che lo Stato ha assorbito il 77 per cento dei depositi bancari e dei depositi postali.
Io domando a voi se questa situazione non debba essere giudicata estremamente pericolosa. Uno Stato che in cassa ha soltanto 6-7 miliardi, uno Stato che ha assorbito i depositi bancari e postali nella misura del 77 per cento e non ha un programma finanziario preciso, anzi, non ha alcun programma, indubbiamente, a mio avviso, va volontariamente verso l’abisso.
Voci: Esagerato!
MARINARO. L’onorevole Corbino è andato avanti servendosi della famosa ricetta del famoso dottor Couè. Egli ha fatto una politica di pura fiducia, di pura psicologia; non ha attuato un programma concreto; non ha attuato le misure indispensabili al risanamento della finanza. È andato avanti alla giornata; non ha fatto che una politica di cassa, di entrata e di uscita; e s’è trovato in una situazione che, effettivamente, non gli ha più consentito di resistere.
È inutile, in queste occasioni, spostare i termini della discussione; e cioè, da una discussione puramente tecnica passare a una discussione politica.
Io domando a voi se questa situazione, una volta a conoscenza del Paese, non sia una situazione tale, da destare estrema preoccupazione in tutti i cittadini.
Quando l’onorevole Einaudi dice che occorre incrementare il risparmio per salvare la situazione, mi vien fatto di osservare che nel popolo nasce la sfiducia, quando constata che i suoi risparmi vanno a finire tutti allo Stato, il quale, peraltro, li amministra e li utilizza malamente. (Interruzioni – Commenti).
Una voce: Non è vero.
MARINARO. Che cosa succederebbe, se la emissione dei buoni del Tesoro ordinari, sui quali maggiormente confidava l’ex Ministro del tesoro, dovesse rallentarsi, in guisa che essa dovesse essere inferiore al rimborso che quotidianamente i possessori dei buoni stessi richiedono? Cosa succederebbe se un panico, determinato da cause impreviste, costringesse i depositanti a ritirare i loro depositi? (Commenti – Interruzioni).
Una voce. Speriamo di no! Queste sono lamentazioni inutili.
MARINARO. Potrebbe accadere. Signori, è inutile farsi illusioni. Il bilancio di previsione presenta una voce passiva (Commenti): pagamento di stipendi agli impiegati, che assorbe e supera di oltre 10 miliardi tutte le entrate dello Stato.
SCOCCIMARRO, Ministro delle finanze. Non è vero!
MARINARO. I pagamenti degli stipendi ascendono ad oltre 150 miliardi, mentre le entrate previste ammontano a 148 miliardi (Interruzioni). Io domando al Ministro delle finanze…
Una voce. Venga ai rimedi; è inutile fare recriminazioni.
MARINARO. Io domando formalmente al Ministro delle finanze a quanto ascende l’importo complessivo degli stipendi degli statali, e se è vero che questa cifra supera tutte le entrate previste del bilancio preventivo relativo all’esercizio in corso.
SCOCCIMARRO. Ministro delle finanze. Rispondo subito.
PRESIDENTE. Potrà risponderà dopo, onorevole Ministro delle finanze, non adesso, Onorevole Marinaro, cerchi di concludere.
MARINARO. Si è accennato ai rimedi per fronteggiare questa situazione. A me pare che i rimedi ci siano.
Voci. Meno male! (Commenti).
MARINARO. È stata la vostra inazione che ha portato a questa situazione; è stata l’inattività del Ministro del tesoro e di quello delle finanze che ha portato a questa situazione; è stata la mancanza di un programma finanziario concreto che ha portato a questa situazione.
Non è possibile smentire che si è fatta fin qui una semplice politica di cassa che ha portato all’assorbimento di tutti i risparmi.
I rimedi, a mio avviso, ci sono. Bisogna innanzitutto adeguare le imposte ordinarie ai redditi attuali.
Una voce. Che scoperta!
MARINARO. E perché non lo avete fatto? Bisogna farlo subito.
Adeguate le imposte ai redditi, occorrerà compilare il bilancio ordinario, in modo che vi sia una perfetta rigorosa corrispondenza fra entrate ed uscite. (Commenti). Bisognerà, quindi, consolidare un tale bilancio, in modo che per un certo periodo di tempo (4-5 anni) non sia possibile effettuare alcuna spesa all’infuori o al di là del previsto.
PRESIDENTE. Onorevole Marinaro, la prego di concludere.
MARINARO. Il bilancio straordinario dovrà essere alimentato dalle entrate straordinarie, dalle entrate cioè provenienti dai soprafitti di guerra, dai profitti di regime e di congiuntura e servirà per la ricostruzione del Paese. Una volta sistemati i due bilanci in questa maniera, sarà possibile respirare. Ma è necessario, per. giungere a questo risultato, che si stabilisca una leale effettiva tregua politica e salariale. È necessario che il Governo abbia la possibilità di attuare, nell’ordine e nella calma, un sano, concreto, organico programma di risanamento finanziario. Messa così in ordine la nostra casa, potremo ottenere dall’estero quei crediti che potranno sistemare, in modo definitivo, la nostra finanza. (Commenti).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Ministro delle finanze. Ne ha facoltà.
SCOCCIMARRO, Ministro delle finanze. Desidero dare una informazione all’onorevole Marinaro: il bilancio dello Stato prevede spese ordinarie per 209 miliardi ed entrate ordinarie per 270-280 miliardi. Non ho nulla di più da aggiungere.
MARINARO. Questi sono soltanto i dati di oggi.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Perrone-Capano, il quale ha presentato il seguente ordine del giorno:
«L’Assemblea Costituente, rilevato:
1°) che con la sostituzione del Ministro del tesoro la crisi che travaglia la odierna formazione governativa non è stata risolta;
2°) che le dichiarazioni del Presidente del Consiglio non tranquillizzano il Paese in ordine ai maggiori e più assillanti problemi di politica interna e trascurano le critiche più acute che sono state sollevate in merito alla politica finanziaria ed agricola del Governo stesso;
che, infine, la linea di condotta del Governo nei confronti dell’Assemblea tende a menomare e circoscrivere i poteri politici di quest’ultima;
esprime la sua sfiducia nel Governo e passa all’ordine del giorno».
PERRONE CAPANO. Onorevoli colleghi, non mi creo molte illusioni in merito alla possibilità di accoglimento del mio ordine del giorno, che ho presentato per due ragioni: la prima perché, avendo presentato prima dell’inizio di questa discussione numerose interpellanze e non avendo ricevuto le relative risposte, intendevo esprimere la mia insoddisfazione per questo fatto e protestare per il modo di procedere delle nostre discussioni. La seconda ragione è quella indicata nei vari capoversi del mio ordine del giorno. Noi siamo tutti d’accordo che l’Assemblea Costituente debba provvedere alla nuova Costituzione dello Stato; siamo tutti d’accordo, ormai, poiché la maggioranza lo ha deciso, che l’Assemblea Costituente debba avere anche delle potestà legislative. Non possiamo indubbiamente non essere tutti d’accordo del pari nel riconoscere che l’Assemblea Costituente è soprattutto un’Assemblea politica di fronte alla quale il Governo è responsabile di ogni suo atto, oltre che della sua politica generale. Ora, sta di fatto che, dall’apertura dei lavori dell’Assemblea Costituente sino ad oggi, sono state presentate numerosissime interpellanze, numerosissime dico, le quali hanno investito l’azione del Governo sotto molteplici e particolari aspetti.
Salvo qualche risposta di indole generale – e molto generale – intorno al contenuto di qualcuna di esse, non abbiamo avuto sino ad oggi l’onore di veder segnata all’ordine del giorno la discussione di una sola interpellanza e stiamo per veder chiusi i lavori di questa serie di tornate senza che si sappia se un giorno verrà in cui si darà risposta alla richieste rivolte al Governo per sapere, da esempio, che cosa intende fare del Codice di procedura civile, che cosa intende fare in merito alla riforma della giustizia penale; quali provvedimenti intende prendere al riguardo della epurazione nella pubblica sicurezza; quali provvedimenti intende prendere al riguardo delle invasioni di slavi che si verificano in Italia e in modo particolare in Puglia; quali provvedimenti intende prendere in merito ai continui diuturni sbarchi di armi, di dinamite e di esplosivi che avvengono lungo tutte le coste adriatiche e in modo particolare sulle coste pugliesi. Siamo, dicevo, alla chiusura della discussione e non ancora sappiamo se il giorno verrà in cui questi problemi saranno esaminati e queste richieste saranno soddisfatte e se il Governo affronterà la discussione delle relative interpellanze all’Assemblea Costituente.
È questa appunto la finalità precipua che mi sono proposta con l’ordine del giorno da me presentato e a questo riguardo desidererei subito una risposta precisa.
Ritornare poi a mettere in discussione tutto il contenuto dal dibattito che, in questi giorni si è svolto, assolutamente no; ma ancora qualche altra osservazione. Ora quando, onorevoli colleghi, noi vediamo che all’indomani della ripetuta dichiarazione di lealismo, della ripetuta dichiarazione di compattezza del Governo da parte dei partiti che lo compongono, L’Unità viene fuori con un articolo intitolato: «De Gasperi contro i contadini che occupano le terre incolte», noi abbiamo il diritto, onorevoli signori, di dire che ancora una volta il compromesso è fondato sull’equivoco e sulla slealtà, e che la politica di Filippo Argenti, «che in se medesimo si volgea coi denti», continua all’interno del Governo (Interruzioni – Rumori) per travagliare la struttura parlamentare della triarchia, per travagliare la struttura dell’intero nostro Paese. (Applausi a destra – Rumori a sinistra).
L’Unità, alla quale mi sono riferito, è del 22 settembre, dunque posteriore al giorno in cui l’onorevole Presidente del Consiglio ha parlato in questa aula per darci ad intendere che con la sostituzione del Ministro del tesoro la crisi è stata composta. La crisi non è stata composta, ed è ben lungi dall’esserlo, se è vero che si è sostituito un Ministro, ma non si è sradicato il male alle radici, e se è vero che quello stesso partito, il quale poteva prima a Parigi per bocca di Togliatti, e poi a Roma a mezzo di Reale, criticare nel profondo la politica estera del Governo, all’indomani del rinnovato patto col Partito Democratico Cristiano e col Partito Socialista può scrivere e scrive che De Gasperi, cioè il Presidente del Consiglio, cioè il Capo del Governo, di quello stesso Governo il quale dettava la circolare ai prefetti che dava le disposizioni in merito al modo concreto, serio e univoco col quale deve essere interpretata e messa in esecuzione la legge sulle terre incolte, era ed è contro i contadini; può, in altri termini, additare il Presidente del Consiglio come il nemico dell’opera che deve invece essere svolta per dare soddisfazione ai contadini.
Ora noi richiamiamo l’attenzione della Assemblea su questi fatti e diciamo che essi sono manifestazioni di una crisi perpetua niente affatto risolta.
E quando noi ci volgiamo a considerare l’azione che si sta svolgendo in tutti i settori dell’economia, noi constatiamo che il sistema è sempre lo stesso, si rinnova e si perpetua ogni giorno. Con una interpellanza specifica ho mosso, ad esempio, una concreta critica al Ministro dell’agricoltura per il decreto che ha convalidato i famosi decreti Gullo, e ho detto, non già che non si dovesse emettere un provvedimento il quale sanasse per avventura una situazione che s’era protratta per troppo tempo e che aveva determinata una frattura nell’interno delle categorie della agricoltura, ma un’altra cosa, la quale non cessa di essere oggi viva e vitale e di costituire essenzialmente un bisogno, un vivo bisogno della realtà politica nazionale.
Io affermo, signori, che nel campo della economia, prima di ricorrere ad una politica interventistica, la quale consacri dei colpi di testa o di mano, come più piaccia al Governo, in un senso o nell’altro, conviene che le categorie interessate alla risoluzione dei singoli problemi siano invitate a trattarli e a risolverli amichevolmente. E il Governò dovrà entrare in campo al momento opportuno con un suo provvedimento per consacrare gli accordi, o per dire la sua parola quando gli accordi non siano possibili. Nella specie che cosa è avvenuto? Esattamente questo: che un decreto, con una formula nuova, che mina alle basi principî fondamentali del diritto romano, validi anche nei nostri giorni… (Commenti).
Una voce. È troppo vecchio!
PERRONE CAPANO…. per i quali quello che è nullo, resta nullo, e non può essere convalidato, con una formula, dicevo, di tal genere, è intervenuto ad incidere di sua iniziativa nei rapporti tra due notevoli categorie di agricoltori che si erano messe d’accordo e avevano trovato per conto loro un punto di incontro – agricoltori e affittuari – e vi ha inciso peraltro in maniera affatto arbitraria e diversa da quella che era invece il contenuto degli accordi tra quelle due categorie raggiunti.
Per quanto riguarda, onorevoli colleghi, la questione della epurazione della pubblica sicurezza, leggiamo ogni giorno sui nostri giornali di tutti i colori, che vi sono ex partigiani entrati nella pubblica sicurezza, i quali si sono resi responsabili di rapine, come ad esempio abbiamo letto pochi giorni or sono di un tale Libertario Toccato, partigiano, arrestato a Milano quale rapinatore; abbiamo letto di un tale Dottor Rubino, capo della squadra mobile di Milano, trovato con le mani nel sacco perché complice degli incettatori di grano (Rumori Commenti); abbiamo letto di un commissario di pubblica sicurezza colto in flagrante a compiere atti di prevaricazione.
Il Governo non ha detto niente di fronte a tutto ciò che evidentemente esige provvedimenti repressivi non solo, ma preventivi (Interruzioni – Rumori); di talché noi giustamente esigiamo che su tutti questi argomenti il Governo dica la sua parola e che sia al più presto convocata la Costituente, appunto perché le singole interpellanze presentate dai richiedenti sui problemi della vita economica e sociale della Nazione abbiano il necessario sfogo. (Applausi a destra).
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Finocchiaro Aprile, il quale ha presentato il seguente ordine del giorno, firmato anche dagli onorevoli Castrogiovanni e Varvaro.
«L’Assemblea Costituente;
constatato che il popolo siciliano lamenta da molti anni di essere oggetto del più completo abbandono e dell’offensivo disinteresse del Governo italiano e che tutte le promesse fatte sin dal tempo del Risorgimento non sono state mantenute, determinando un grave stato di disagio e di malessere in Sicilia;
constatato che è andato sempre accentuandosi lo sfruttamento dell’Isola, specie da parte di gruppi capitalistici del Nord;
constatato che questa penosa condizione di cose non è cessata dopo la guerra e dopo l’avvento della Repubblica, con profonda delusione delle genti siciliane;
invita il Governo, nell’attesa che l’Isola si dia, com’è suo diritto, propri ordinamenti costituzionali, ad emanare d’urgenza i provvedimenti necessari a mettere la Sicilia a quel livello politico, morale, economico e sociale che la civiltà esige».
FINOCCHIARO APRILE. Onorevoli Deputati, se la discussione generale sulle comunicazioni del Governo non fosse stata chiusa ieri sera, io sarei oggi qui a rivolgervi un lungo discorso (Commenti – Rumori); vi parlerei della politica economica e finanziaria, della politica interna e soprattutto della politica estera; di cose, cioè, che tutti qui dentro, amici ed avversari del Ministero, hanno riconosciuto non andare affatto bene, con grave danno e con pregiudizio dei supremi interessi del Paese.
Ma, poiché la discussione generale fu chiusa appunto quando era giunto il mio turno alla parola (Rumori – Commenti), io devo limitarmi ora a dire nel modo più breve le ragioni che hanno indotto me ed i colleghi Castrogiovanni e Varvaro a presentare l’ordine del giorno, che del resto è chiarissimo.
L’ordine del giorno riguarda essenzialmente la Sicilia, ed io vi dissi altra volta che, in quest’Aula, non mi sarei occupato di altro che di problemi siciliani o, comunque, di argomenti attinenti alla Sicilia. Certo, se avessi potuto partecipare alla discussione generale, io vi avrei detto apertamente, senza ambagi e specificatamente le ragioni del nostro profondo, insanabile dissenso con la politica del Ministero, e vi avrei detto che noi manteniamo la nostra posizione di ferma e decisa opposizione a questo Governo, come a tutti gli altri Governi che gli succederanno. (Rumori – Commenti).
Ma, evidentemente, non è questa l’ora più propizia ad ampie discussioni. Voi attendete le dichiarazioni del Ministro del tesoro e le dichiarazioni del Presidente del Consiglio; siete impazienti e la posizione di chi parla fra gli ultimi in un dibattito politico, nell’imminenza di una votazione, non è mai la migliore. Consentitemi, dunque, solo pochi momenti di ascolto.
Parlando della situazione economica, che è divenuta ormai assai intricata e difficile per forza di eventi e per incapacità di uomini, io mi sarei particolarmente riferito, come vi ho detto, alla Sicilia, la quale è oggi handicappata – perdonatemi la parola ostrogota – nei suoi sviluppi per la carenza delle necessarie cure e provvidenze, sempre rimaste allo stato di promessa.
Per la Sicilia questo Governo, come tutti gli altri Governi che lo hanno preceduto, non ha fatto nulla o ha fatto pochissimo. Continua il sistema quasi centenario dell’abbandono e dello sfruttamento; nessuna iniziativa trova incoraggiamento in Italia, anzi qualunque tentativo di ripresa economica ed industriale è immediatamente stroncato con la manifesta connivenza del Governo italiano.
La lotta è sorda ed incessante: il capitalismo del Nord non vuole che la Sicilia rinasca e che viva (Commenti), vuole che rimanga sua succube (Interruzioni – Rumori), vuole che sia soltanto un territorio dove collocare i prodotti più scadenti delle sue industrie. (Interruzioni – Commenti).
È questo, signori Deputati, un atteggiamento antico e ben definito, talvolta anche confessato, a combattere e a vincere il quale i governi, troppo spesso mancipi del suddetto capitalismo, non riescono ad opporre veruna resistenza, cosicché i siciliani, di fronte a tale colpevole inerzia, sono costretti a difendersi da loro stessi, e da loro stessi si difenderanno: lo ricordi il Governo!
Per noi, la politica economica dello Stato deve essere libero-scambista; solo eccezionalmente potranno essere accordate delle protezioni per breve durata e per motivi fondati e riconosciuti.
La Sicilia è stanca di pagare essa, a danno della propria agricoltura, la protezione delle industrie continentali. La Sicilia, nell’agognare la sua indipendenza economica, vuole prima di tutto libertà di produrre senza aggravi di costo. Ciò significa che la Sicilia vuole poter acquistare tutti i molti beni dei suoi consumi a prezzi di concorrenza mondiale; vuole poter acquistare i beni capitali che occorrono allo sviluppo delle sue industrie e della sua agricoltura a prezzi di concorrenza mondiale; vuole poter disporre di molte opere pubbliche utili alla sua attrezzatura produttiva, acquistandoli a prezzi di concorrenza mondiale, e quindi pagando prezzi pubblici e imposte di gran lunga inferiori a quelli che si pagano, vigendo il regime di protezione industriale.
Raggiunto questo primo obiettivo, allora verrà, naturalmente, tutto il resto; verranno i lavori pubblici, verrà la tranquillità, verrà l’istruzione, verrà il benessere generale.
Ma intanto la situazione economica della Sicilia, per effetto della assoluta e colpevole inerzia governativa, va sempre più aggravandosi. Numerose lettere di questi giorni pervenutemi da Catania, da Messina, da Siracusa, da Palermo, da Trapani, invocano con insistenza un interessamento per la concessione di vagoni che dovrebbero trasportare nell’Isola merci indispensabili ai consumi e necessarie all’avviamento delle modeste attività industriali siciliane. Si dice che di vagoni in Sicilia ve ne sono troppi e che, pertanto, non è opportuno mandare giù altri carri prima che si verifichi un certo esodo di quelli che sono in atto nell’Isola. Ma, signori Deputati, è questo un motivo sufficiente per paralizzare l’economia siciliana che in questo momento è veramente in condizioni quasi di arresto? Non dovrebbero le Ferrovie dello Stato contemperare le esigenze delle varie regioni, tenendo tuttavia presente che la Sicilia è quella che esporta molto più delle altre? Si dirà che questo è un dettaglio; ed è vero; ma è un sintomo della disparità di trattamento che viene fatto alla Sicilia, in confronto delle altre regioni. La Sicilia ha bene i suoi diritti che pretende siano rispettati; e non è essere ingeneroso, se io rammento all’Assemblea il magnifico contributo dato all’Italia dalla economia esportatrice siciliana. Giova infatti ricordare che la Sicilia aveva sempre in passato una cospicua eccedenza attiva della propria bilancia commerciale e che tale eccedenza si mantiene tuttavia in misura ben rilevante. Dal bollettino dell’Osservatorio Economico del Banco di Sicilia del mese di luglio ultimo scorso – pubblicazione redatta con scrupolo e diligenza encomiabili – si rileva che nell’anno 1945 (vi prego di una particolare attenzione) le importazioni furono di lire 4 miliardi 621.469.000 e le esportazioni di lire 14.556.709.000, con una eccedenza di lire 9 miliardi 935.240.000. Così nel primo trimestre del corrente anno, mentre le importazioni furono di lire 2.843.122.000, le esportazioni furono di lire 7.437.866.000, con una eccedenza di lire 4.594.744.000.
DE MARTINO. Non è possibile. I miliardi non esistono.
FINOCCHIARO APRILE. Evidentemente l’onorevole interruttore equivoca. Siamo in presenza di una rilevazione statistica abbastanza precisa. I dati sarebbero anzi maggiori, se si fossero potuti prendere in esame il movimento ferroviario delle merci a collettame e quello dei pacchi postali (che, trattandosi in generale di merci ricche, ascende a valori non trascurabili), nonché il movimento, attualmente importantissimo, delle merci che arrivano in Sicilia o ne escono in autocarro o come bagaglio.
Se si pensa che il primo trimestre di ogni anno è, per ininterrotto ricorso, il più magro degli altri trimestri, anche a volere considerare costanti le cifre del primo trimestre, si avrà la previsione di una eccedenza, nel valore delle esportazioni, al minimo, di ben lire 18.378.976.000 per l’anno 1946.
DE MARTINO. Milioni, non miliardi.
FINOCCHIARO APRILE. Ma non insista nell’errore; si tratta di miliardi!
Nessuna regione italiana è in grado di avere una bilancia commerciale che possa appena avvicinarsi a quella della Sicilia. Le bilance commerciali delle altre regioni sono invece in gran parte deficitarie. È giusto, pertanto, che, nel piano della ricostruzione generale, debba essere al primo posto la preoccupazione del Governo per le condizioni dell’Isola.
Ma stiano tranquilli gli onorevoli colleghi siciliani, perché così non sarà. La Sicilia resterà, come sempre, agli ultimi ranghi; sempre dimenticata, sempre trascurata, sempre avvilita. (Commenti). Fino a quando, onorevole De Gasperi? Fino a quando dovremo contentarci delle promesse a rotazione continua fatte non solo con celato proposito di irrisione e di dileggio, ma con ferma determinazione di non mantenerle mai? (Commenti – Interruzioni).
Ha mantenuto il Governo la promessa dell’autonomia alla Sicilia? In questo campo è stata fatta a noi siciliani una vera e grossa beffa. Alla vigilia delle elezioni, e precisamente il 15 maggio scorso, il Gabinetto emise un decreto di approvazione del cosiddetto statuto della regione siciliana; e l’onorevole Presidente del Consiglio ne recò personalmente l’annunzio a Palermo. Ora, se ciò avveniva nella imminenza della convocazione dei comizi, e con manifesta violazione delle prerogative dell’Assemblea Costituente, segno era che si volesse dare immediata attuazione allo statuto medesimo. Ma non fu così. L’importante era stato di servirsi della pretesa concessione dell’autonomia a scopo di speculazione elettoralistica da parte della Democrazia Cristiana. (Interruzioni al centro).
Ma, «passata la festa, gabbato lo santo!». Ottenuto il risultato sperato non c’era più bisogno di tanta fretta, non è vero, onorevole De Gasperi? Diamine! I siciliani possono bene aspettare che la cosa sia meglio maturata, tanto più che la Corte dei conti ha registrato il decreto con riserva, in quanto incostituzionale, ed il Consiglio di Stato ha espresso tali e tante riserve da rendere indispensabili profonde e radicali modificazioni. Bella figura ha fatto il Governo!
E così, nonostante che lo statuto della Regione siciliana, sia una legge dello Stato, dopo circa quattro mesi dalla promulgazione, non si è data ancora esecuzione alla legge stessa. Ciò ha costituito e costituisce un vero eccesso di potere, che ha profondamente offeso il popolo siciliano e che non ha certo accresciuto il già molto scarso prestigio del Governo italiano nell’Isola. Io ho il dovere di protestare energicamente qui dentro contro il nuovo danno arrecato alla Sicilia, danno da attribuirsi a tutto il Gabinetto e non soltanto all’abulia dell’onorevole De Gasperi, all’avversione dell’onorevole Nenni e all’inutilità dei Ministri siciliani. (Ilarità).
Ho avuto altra occasione di dichiarare che, per noi indipendentisti, lo statuto della Regione siciliana, così com’è stato emanato – ed è proprio un mostriciattolo – è assolutamente insufficiente, ma che noi lo consideriamo «come un primo avviamento verso le maggiori ed ineluttabili realizzazioni auspicate dal popolo siciliano»: parole queste che sono contenute in un’interrogazione che ho avuto l’onore di rivolgere all’onorevole Presidente del Consiglio. E voi sapete che noi tendiamo, con tutti i nostri sforzi, alla creazione dello Stato libero di Sicilia, da confederare con lo Stato italiano o con nuovi Stati che dovessero nascere in Italia (Interruzioni – Rumori) e con altri Stati mediterranei ed europei. Noi abbiamo così anticipata, in certo modo, la recente manifestazione di Winston Churchill nei riguardi della costituzione degli Stati Uniti d’Europa, concezione che è di origine eminentemente italiana e siciliana.
Abbiamo, quindi, anche noi indipendentisti, interesse alla immediata attuazione dell’autonomia, e pertanto invitiamo il Governo alla formazione della Commissione paritetica per l’attuazione dello statuto, così come prescrive la legge, ed a convocare, senz’altro, i comizi per le elezioni dell’Assemblea regionale a circoscrizione provinciale, non essendo necessaria all’uopo una nuova legge che stabilisca questo modo di votazione; per aversi la quale legge, occorrerebbe ancora perdere altro tempo con nuove delusioni delle pubbliche aspettative.
Ieri, l’onorevole Presidente del Consiglio, presentò all’Assemblea lo statuto siciliano ai fini della coordinazione con la costituzione dello Stato italiano. E sta bene. Ciò è preveduto nella legge; ma, intanto, è necessario dare a questa esecuzione fin da ora, come lei, onorevole De Gasperi, ha promesso formalmente e ripetutamente, anche in questi giorni.
Così pure invito il Governo a procedere con la maggiore sollecitudine alla nomina del nuovo Alto Commissario per la Sicilia, scegliendo persona al di fuori dei partiti ed al di fuori anche dell’Assemblea Costituente, perché l’ufficio di deputato è incompatibile con quello di Alto Commissario, così come l’Alto Commissario era ineleggibile a membro dell’Assemblea Costituente; scegliendo, possibilmente, un alto magistrato siciliano che dia garanzia di assoluta imparzialità, che conosca i bisogni e le aspirazioni dell’isola, che sappia indefessamente adoperarsi per il bene della nostra terra. (Commenti).
Io non voglio, signori Deputati, tacervi tuttavia un certo mio pessimismo. Io veggo nella questione dell’autonomia siciliana resistenze ed ostruzionismi che non sono di buon auspicio e che rivelano propositi di dilazione alle calende greche, perché si finisca col non farne più niente. Spero di ingannarmi e spero che i Deputati siciliani sappiano fare il loro dovere. Ma è veramente doloroso, che ogni qualvolta si tratta di un certo interesse siciliano, questo debba trovare sorda ed ipocrita opposizione che ne impedisca la soddisfazione: è doloroso che mai l’azione del Governo, nei riguardi della Sicilia, riesca a svolgersi, senza riserve, chiaramente, liberamente, efficacemente col sentimento di compiere null’altro che un dovere verso il nobile e generoso popolo siciliano, che diede nei secoli un potente contributo alla civiltà mediterranea.
Tutto è indifferenza! Tutto è apatia! Tutto è ostilità verso di noi siciliani, da parte della classe dirigente italiana.
Non vi è occasione nella quale noi non dobbiamo fare nuova constatazione e nuova esperienza di ciò.
Sono appena pochi giorni che io dovetti insorgere in quest’Aula, con molta veemenza – di cui chiedo venia – contro l’onorevole Presidente del Consiglio, per avere egli inopinatamente rinunziato agli statuti tunisini del 1896 a favore dei miei conterranei di laggiù. L’onorevole De Gasperi non si rese, evidentemente, conto del sanguinoso oltraggio, che, con quella rinunzia, faceva a tutto il popolo siciliano, gelosissimo di quegli statuti. E l’onorevole De Gasperi ignorava che essi erano stati il frutto della lunga e accorta preparazione diplomatica di Crispi e di Blanc, prima, di Di Rudini e di Visconti Venosta, poi, e dell’attività politica e parlamentare di Gallo, Nasi, Pantano, Colaianni, De Felice e, se permettete, anche di mio padre, tutti deputati siciliani, i quali avevano sentito il bisogno di difendere l’opera magnifica dei nostri emigrati, che con la loro dura e improba fatica erano riusciti a trasformare, lande desertiche e sabbiose nei più pingui oliveti e nei più fecondi vigneti dell’Africa settentrionale.
Una voce. La colpa è di Mussolini.
FINOCCHIARO APRILE. Mussolini ebbe grandissime colpe, ma qui proprio non c’entra. Negli accordi Mussolini-Laval non v’è un solo accenno agli statuti tunisini che rimasero intatti.
PRESIDENTE. Onorevole Finocchiaro Aprile, cerchi di concludere.
FINOCCHIARO APRILE. Allora la Francia, riconoscente di dovere la prosperità e la ricchezza della sua bella colonia mediterranea al tenace lavoro compiuto, come dicevo, in vari decenni dai nostri conterranei, consentiva che essi avessero in Tunisia una posizione di favore per loro e per i loro discendenti, e quasi li equiparava ai cittadini francesi.
Questa condizione di cose durò sempre, ininterrottamente, con piena soddisfazione dei siciliani di Tunisia, che raggiunsero nei primi anni del secolo la ragguardevole cifra di quasi 250 mila.
Orbene, finita la guerra, il generale De Gaulle si fece a chiedere al Governo italiano, di cui avvertì subito e facilmente la estrema debolezza, la rinunzia agli statuti del 1896. Era un colpo mancino che spettava al nostro Ministro degli affari esteri di parare con abilità diplomatica. Forse l’onorevole De Gasperi pensò di intavolare un negoziato al riguardo? Forse l’onorevole De Gasperi pensò di dissuadere la Francia o di darle qualche cosa di diverso degli statuti di Tunisia? Niente affatto. L’onorevole De Gasperi si arrese subito e abbandonò i siciliani della Tunisia al loro destino, lusingandosi di poter mantenere Briga, Tenda e il Moncenisio.
Ma l’onorevole De Gasperi non ha ottenuto nemmeno questo, e la rinunzia non è servita a conservare quei lembi di territorio italiano contesi soltanto dopo la guerra dalla Francia, che mai aveva avanzato pretese su di essi. L’onorevole De Gasperi è divenuto così il maggiore rinunziatario nella storia della nostra politica estera. (Interruzioni – Rumori). Non rinunziò forse anche al Dodecanneso, quando la Grecia non lo chiedeva nemmeno? (Commenti). E a quante altre cose egli non ha rinunziato?
L’onorevole De Gasperi non è, dunque, riuscito a fare nulla che potesse essere gradito ai siciliani, in nessun modo.
Onorevole De Gasperi, ella avrà oggi un grande voto favorevole, ma ella non ha la fiducia di alcuno: non dei suoi stessi amici democratici cristiani, non dei socialisti, non dei comunisti, non dei repubblicani storici che pur partecipano al Governo; non se lo dissimuli: nessuno ha fiducia in lei, né qui, né fuori di qui. (Interruzioni – Commenti).
Oggi il Gabinetto presieduto dall’onorevole De Gasperi rimarrà al potere, ma ancora per poco tempo. Noi fra un mese, fra due, ritorneremo nuovamente a discutere della crisi che oggi non si chiude, perché è crisi che investe tutta la responsabilità del Governo. (Commenti).
Quante colpe io dovrei, nei riguardi della Sicilia, rimproverare all’attuale Ministero! (Rumori). Quante, quante cose io dovrei ancora dire. (Rumori – Interruzioni).
PRESIDENTE. Onorevole Finocchiaro Aprile, lei parla già da trentacinque minuti. La invito a concludere.
FINOCCHIARO APRILE. Molte cose dovrei ancora dire sulla Sicilia e sulla oppressione di cui è stata sempre oggetto negli anni dell’unità italiana. Ciò che ho detto non è che una piccola eco della noncuranza, del rancore, forse dell’odio che si nutre in Italia contro la Sicilia. (Interruzioni – Rumori).
Voci: Basta, basta!
FINOCCHIARO APRILE. I limiti stabiliti dal regolamento, i richiami del Presidente e la vostra impazienza non mi permettono di illustrare convenientemente il mio ordine del giorno. Ma voi non potete non avvertire l’importanza somma, eccezionale dei miei argomenti. Il vostro nervosismo mi dice che ho colpito nel segno. La mia parola è stata aspra e sarà sempre più dura, finché io non vedrò resa giustizia alla mia Sicilia, terra di bellezza e di poesia, che vuole vivere e progredire. Meditate, signori Deputati, il mio ordine del giorno.
Si è fatta la voce grossa in Italia contro l’indipendentismo siciliano, sorto in difesa della nostra terra (Commenti); noi non siamo che le avanguardie di un popolo che ormai muove alla riscossa e che nulla più fermerà. (Commenti). Non vi opponete alle sue giuste rivendicazioni. Voi avete il dovere di evitare una catastrofe. (Rumori). L’indipendenza della Sicilia è la sola soluzione del conflitto tra la Sicilia e l’Italia, e la Sicilia la conquisterà. (Rumori).
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Benedetti, il quale ha presentato il seguente ordine del giorno:
«L’Assemblea Costituente
constata che la Conferenza di Parigi, anziché riconoscere il contributo italiano alla causa della democrazia, prepara, sotto forma di trattato di pace, una sentenza di condanna la cui esecuzione respingerebbe il popolo italiano verso paurose solitudini politiche e gli imporrebbe, con pesi insopportabili, una prolungata schiavitù economica;
afferma la necessità che Governo e Nazione confidino sopra tutto nelle proprie capacità di resistenza, di unione e di lavoro, per riconquistare all’Italia, in una più ampia e pacifica convivenza di popoli veramente democratici, il rango di potenza libera e indipendente».
Presidenza del Vicepresidente TERRACINI
BENEDETTI. Onorevoli colleghi, in questa discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio mi ero iscritto a parlare principalmente per richiamare l’attenzione dell’Assemblea su vari fatti, ignorati o quasi, i quali sono di natura e di portata tali da determinare un giudizio sfavorevole sull’azione di Governo, tanto in tema di politica economica e finanziaria, quanto in tema di politica estera.
La fretta imprevedibile con cui il Presidente dell’Assemblea dichiarò ieri sera approvata la chiusura della discussione – fretta della quale io mi dolgo, come mi dolgo di tutte le manifestazioni autoritarie menomatrici dei diritti delle minoranze e delle buone regole democratiche – la chiusura della discussione, dunque, non mi consente di poter parlare che brevissimamente. E perciò rinuncio al compito che mi ero prefisso e rinuncio altresì a svolgere compiutamente il mio ordine del giorno, pur ripromettendomi di riparlarne alla prima occasione propizia. Oggi mi limiterò, onorevoli colleghi, a rilevare la carenza di questa Assemblea. Noi fummo eletti il 2 giugno e la nostra vita normale è di otto mesi. Ormai è trascorsa la metà del tempo assegnatoci e ci dicono che saremo riconvocati a novembre, cioè a tre mesi di distanza dal termine normale della nostra esistenza.
Consentitemi pertanto di stabilire, poiché nessuno lo ha fatto, ciò che d’abitudine stabilisce ogni buon amministratore: il bilancio di metà esercizio, ossia un esame di coscienza.
Lo farò in pochissime parole.
I compiti principali assegnati a questa Assemblea dalla legge sono tre: 1°) deliberare la nuova Costituzione dello Stato: 2°) approvare i trattati internazionali; 3°) vigilare, per quanto è possibile, sull’azione del governo che è responsabile verso L’Assemblea Costituente, la quale, con un diritto di mozione di sfiducia quanto mai cautelativo dell’incolumità governativa, ha teoricamente il potere di dargli il «mal servito».
Come sono stati assolti questi tre compiti?
Primo compito: la nuova Costituzione. La nuova Costituzione sta prendendo corpo e forma nelle elaborazioni di Commissioni interne, sia pure autorevolissime, ma chiuse. Sarà presentata a noi per essere varata col crisma di questa Assemblea. Ora io mi domando quale efficacia avrà il nostro intervento, se ogni formula sarà decisa in precedenza. Ma, mi domando soprattutto, quale influenza avrà il parere e la volontà del popolo italiano che si formano e si manifestano se e in quanto spronati da discussioni pubbliche. L’intervento nostro come Assemblea servirà a dare apparenza e lustro di svolgimento democratico ad una procedura nella quale i più fra noi sono soltanto delle comparse. Ma questo poco conta. Conta invece molto di più che il popolo non sia trattato come gregge, che sia informato, che possa manifestare la propria opinione. Da questo punto di vista il bilancio è dunque nettamente negativo; ed io rilevo incidentalmente la necessità che si tenga maggior conto dei diritti del popolo, demandando a lui l’approvazione della nuova Costituzione mediante il referendum che d’altronde voi, onorevole De Gasperi, avete promesso.
Secondo compito: approvare i trattati internazionali.
Il trattato di pace in preparazione è una sentenza di condanna. Ed io ho la ferma convinzione che l’azione del Governo per renderlo meno duro ed odioso, sia stata, sì, difficilissima – e ne do volentieri atto – ma tardiva e, più che inutile, dannosa.
I risultati sono evidenti: diffidenza da tutti i punti cardinali, volontà generale di ridurci nella condizione di terra bruciata nella prossima guerra, spoliazione di territori nazionali, di colonie, di navi, di tutto, riparazioni che obbligheranno per molti anni il popolo italiano a lavorare in condizione di schiavitù e, per sopramercato, l’oltraggio che la nostra presenza ha occasionato senza che voi abbiate reagito a ciò che, soltanto per eufemismo, definirò come sconvenienze ingiuste e ingenerose.
Voi direte che la situazione supera le vostre possibilità, ed è obbligo di onestà riconoscerlo. Ma è stato gran male, onorevole De Gasperi, che voi abbiate fatto abortire una trattativa di pace diretta con la Francia, possibile nella primavera scorsa: con conseguenze che in un paese meno giocondo del nostro potrebbero costituire contro di voi un gravissimo capo di accusa.
Ed avete fatto malissimo voi, onorevole Saragat, ad iniziare il vostro discorso al Lussemburgo con queste parole, da voi pronunciate in perfetto francese: «Signor Presidente, signori Delegati, mi sia permesso ringraziarvi per aver voluto, prima di prendere le vostre decisioni, ascoltare il Delegato d’Italia. Io ho pregiudizialmente due dichiarazioni da fare. La prima è che il popolo italiano si sente storicamente responsabile dei crimini del fascismo…».
Avrei preferito che l’onorevole Saragat avesse parlato in peggior francese e da migliore italiano. No, onorevole Saragat, né ringraziamenti, né riconoscimenti. Voi forse avete creduto di propiziarvi l’avversario e di renderlo attento ad ascoltare la lettura della vostra comparsa. Ma la stampa estera ha preso atto soltanto del ringraziamento e del riconoscimento, ed ha ignorato il restante, come lo ha ignorato il vostro compagno Moutet, Ministro francese delle colonie, il quale vi ha risposto con molta cortesia, ma con nessun accoglimento di merito. Tutto, tutto è caduto nel vuoto, e quelli che voi definite vostri successi sono soltanto gli insuccessi degli altri nei tentativi di mettersi d’accordo fra loro.
E poi: ringraziare di che? Di introdurvi in una sala, accompagnato da uscieri, dì lasciarvi leggere una comparsa orale davanti ad ascoltatori che hanno le orecchie ermeticamente chiuse, e poi di farvi ricondurre, dagli uscieri, alla porta?
- riconoscimento della responsabilità storica italiana è più grave e certamente non è condiviso dalla stragrande maggioranza degli italiani.
Le nostre responsabilità si sono create anche a causa della benevolenza che gli stranieri dimostrarono verso il fascismo.
E se responsabilità vi furono, sono state largamente riscattate durante il periodo della cobelligeranza. Nessuno di coloro che in quel periodo ha lottato, dato e sofferto, può dimenticare le promesse fatte agli italiani, i quali oggi pensano che sono chiamati a pagare per la seconda volta.
Questo dovevate dire a Parigi, dappoiché avete ritenuto opportuno di andarvi. E dovevate presentarvi non nel saio del penitente, ma come rappresentanti dell’Italia nuova che non ha più niente da espiare, niente da chiedere e che vuole essere reintrodotta nel circuito delle potenze democratiche per compiervi la sua missione di civiltà e di mediazione pacificatrice fra gli antagonismi mondiali.
Io penso, onorevole De Gasperi, che voi sentirete il bisogno di fare al Paese una esauriente esposizione della vostra politica estera, ma, se la farete, è in quest’aula che dovete farla, non nel chiuso della Commissione dei trattati che voi avete voluto, nella quale si celebrano i misteri eleusini.
E penso altresì che voi avrete la prudenza di non inoltrarvi troppo sul terreno cedevolissimo delle accettazioni e delle rinunzie, ricordandovi i limiti dei vostri poteri, e ricordandovi altresì che quando la posta del giuoco è l’avvenire del popolo per decenni e decenni, è il popolo che deve dire l’ultima parola. Io rimango contrario alla firma del diktat e voglio dirvi che sarà prudente se ne demanderete l’approvazione o il rigetto a un referendum popolare.
Dopo aver constatato che, in politica estera, il bilancio dell’attività di questa Assemblea è zero, debbo purtroppo fare quasi identico rilievo sul terzo compito che ci è affidato dalla legge: quello della vigilanza sull’azione del Governo.
È avvenuta una crisi, provocata dai ministeriali, i quali, essendo nel e per il Governo, lo hanno attaccato come se fossero all’opposizione. Poi tutto si è ricomposto: i ministeriali – oppositori sono rimasti tali, il programma di Governo non è stato modificato e la crisi si è risolta al di fuori dell’Assemblea, tanto al di fuori che i leaders dei partiti al Governo non si sono nemmeno incomodati a spiegare chiaramente le ragioni dello inutile trambusto.
Ciò è segno di estremo disagio della maggioranza. Ma è anche dimostrazione della perfetta inutilità della nostra presenza qui e della impossibilità di assolvere i compiti che la legge e il suffragio popolare ci hanno assegnati.
È la fine del parlamentarismo, come fu voluta e realizzata dal regime fascista.
Onorevoli colleghi, consentitemi di concludere il sommario bilancio espostovi, rilevando quello che è nell’animo di tutti. Noi siamo oggi in regime democratico e corriamo incontro, ad occhi bendati, ad un enorme insuccesso.
Io ben ricordo che negli ultimi tempi del fascismo fu posto il quesito se la crisi che travagliava il Paese era crisi del sistema o era crisi nel sistema. La risposta fu data dai tragici avvenimenti che portarono al disastro nazionale.
Oggi tutti gli uomini di coscienza debbono porsi uguale quesito: se la crisi che sempre più si aggrava, è crisi nel sistema o è crisi del sistema. Io non ho fiducia che voi possiate risolverla. (Applausi a destra).
PRESIDENTE. Gli onorevoli Meda, Terracini, Taviani, Pertini, Lombardo Ivan Matteo, Natoli, Mazzei, hanno presentato il seguente ordine del giorno:
«L’Assemblea Costituente, udite le dichiarazioni del Governo che lo impegnano al consolidamento delle nuove istituzioni democratiche repubblicane e ad una sollecita organica azione di politica economica, le approva e passa all’ordine del giorno».
MEDA. Rinunzio a svolgerlo.
PRESIDENTE, Ha chiesto di parlare l’onorevole Ministro del tesoro. Ne ha facoltà.
BERTONE. Ministro del tesoro. (Segni di attenzione). Ho ascoltato con vivo interesse e con la più grande attenzione i discorsi degli oratori che si sono occupati specialmente del problema economico e finanziario. A tutti, ed in special modo al collega Einaudi, sono grato del contributo di segnalazioni, di proposte, di preziosi consigli, che essi hanno dato.
Le loro parole intanto convergono in una constatazione ed in un severo ammonimento. La bilancia dello Stato è in disordine: bisogna assestarla. Desidero a mia volta – e questo considero mio dovere – dirvi con semplicità e franchezza quale visione io abbia del compito cui mi accingo e quali, in larga sintesi, le linee di azione che vorrei seguire.
Disordine finanziario significa disordine generale che dal campo finanziario travalica nel campo dell’economia: a lungo andare significa corsa sempre più precipitosa verso l’abisso. Dovere dunque primordiale, imperativo: riordinare il bilancio. Quali le condizioni attuali? Non starò a ripetere in dettaglio ciò che fu enunciato dai diversi oratori. Dirò le cifre riassuntive.
Il preventivo dell’esercizio 1946-47 fu impostato sulle seguenti cifre:
Spese effettive Miliardi 341
Entrate effettive 148
Sbilancio Miliardi 193
Ma già i primi quattro mesi di esercizio hanno scavalcato le previsioni, imponendo variazioni in passivo per oltre 50 miliardi, di cui 40 per opere pubbliche: ed i relativi stanziamenti già sono stati deliberati.
Senonché altre partite passive stanno maturando, inevitabili per non meno di 250-300 miliardi: cosicché la spesa totale a fine esercizio non si discosterà dai 700 miliardi accennati dal collega Professore Einaudi.
Avrò occasione più avanti di dare qualche maggior ragguaglio.
Di fronte sta una entrata, indicata, in previsione di bilancio, in miliardi 148. Anche l’entrata ha una netta tendenza all’aumento. Continuando il ritmo attuale e tenuto conto di alcuni provvedimenti già concretati e concernenti le entrate ordinarie, si può prevedere il gettito in 270-280 miliardi.
Esso sarebbe largamente sufficiente a coprire tutte le spese ordinarie, preminente quella degli stipendi al personale, anche tenuto conto degli aumenti in corso. Ma pesano sul bilancio gli oneri straordinari, eccezionali.
La situazione, nella sua cruda realtà, è in vista di tutti: oltre 400 miliardi di disavanzo. Non è a dire che un tale disavanzo debba essere permanente; ma certo è che le spese straordinarie che concorrono a formarlo, nella maggior parte sono di tal natura che si protrarranno in cifre più o meno eguali nei prossimi esercizi; onde la necessità di provvedere risolutamente e senza ulteriori indugi a fronteggiarlo. Prima constatazione: il gettito normale dei tributi è evidentemente assai al disotto di ciò che dovrebbe essere. Ritengo che esso deve ascendere almeno a 400-450 miliardi, lasciando alla Tesoreria un carico di 250 miliardi, non più, da realizzare con mezzi straordinari.
Questa ardua, ma meritoria fatica è affidata al collega delle finanze, ed al senso di civismo e di responsabilità delle classi abbienti. La cifra deve essere raggiunta e lo sarà. Le entrate normali di bilancio dopo l’altra guerra, con una circolazione sestuplicata, si aggiravano sui 25 miliardi. Oggi, con una massa circolante ventuplicata in confronto a quella del 1920 e anni seguenti, e pagandosi in una moneta che vale almeno venti volte meno di quella di allora, si dovrebbero introitare 550 miliardi: chiedendone 400-450 non si va al di là del ragionevole. La Gran Bretagna ci dà in questo campo un grande esempio. Il 90 per cento di tutte lo spese ordinarie e straordinarie, e anch’essa ne ha di straordinarie, eccezionali, ingentissime, è coperto dalle entrate ordinarie. La pressione fiscale sugli abbienti è pur essa altissima. Ed è accettata dalla massa dei contribuenti con ammirevole abnegazione. Intanto, grazie a questo riordinamento del bilancio, la sterlina resta una delle monete più salde nel mercato internazionale, pure di fronte al dollaro che, nel paese più ricco del mondo, proprio di questo periodo, ha subito una flessione. E potrei dare analoghi ragguagli sulla pressione fiscale in altri paesi d’Europa e d’oltre Oceano.
Né si creda che occorra inventare dottrine e programmi nuovi, perché i tempi sono cambiati. Serve perfettamente l’attrezzatura amministrativa e tecnica che abbiamo sempre usata. Bisogna solo rimettere in moto il macchinario un po’ irrugginito dalla lunga tempesta sopportata, ed accelerarne il rendimento. So che il Ministro della finanze attende intensamente a questo lavoro e i risultati non tarderanno a manifestarsi.
Trattasi, in fondo, di richiamare in onore alcuni principî semplici, che hanno sempre costituito il cardine della nostra finanza.
Nella seduta della Costituente del 25 luglio ultimo scorso mi ero permesso di indicare tali direttive in un ordine del giorno accettato dal Presidente come utile apporto ai provvedimenti da adottarsi dal Comitato di ricostruzione industriale e al quale non ho da mutare parola:
«La Camera confida che nell’opera di risanamento del bilancio e della ricostruzione economica e finanziaria saranno adottati provvedimenti concreti per ottenere:
- a) che tutti i cespiti della ricchezza nazionale siano chiamati a contributo per l’imposta straordinaria sul patrimonio;
- b) che il risparmio privato possa tornare alla sua normale destinazione e funzione di investimento nella libera economia, della cui espansione e del cui sviluppo esso è condizione;
- c) che sia ripristinata e rinvigorita la preminente funzione degli organi centrali e periferici di accertamento delle imposte normali, da ridursi ad aliquote ragionevoli».
Ciò detto di passaggio, viene spontanea la domanda:
A chi chiederemo lo sforzo tributario?
Si tenga presente che l’intervento dello Stato a coprire esigenze finanziarie o economiche avviene sempre nell’ordine di grandezza di diecine e diecine di miliardi.
Per mantenere il prezzo del pane ad un livello accessibile, il Governo spenderà nel corrente esercizio una novantina di miliardi: il premio della Repubblica è costato oltre 20 miliardi; 80 miliardi sono stati stanziati per ricostruzione ferrovie; oltre 140 per altre opere pubbliche, e siamo appena agli inizi; oltre 20 miliardi saranno necessari per il pareggio dei bilanci dei comuni e delle provincie. L’adeguamento in corso del trattamento economico dei pubblici impiegati importerà altre diecine di miliardi. Dove il Governo attinge i mezzi così imponenti?
Non dal continuo appello alla pubblica fiducia, la quale finora non è mancata ed ha approvvigionato generosamente la cassa dello Stato con le sottoscrizioni ai prestiti pubblici, ai buoni ordinari, coi conti correnti.
Questo afflusso non è, e non può essere, illimitato nel tempo e nella misura. La sua flessione è in atto; il risparmio privato tende lentamente a tornare alla sua funzione normale di sovventore delle attività economiche, nel momento in cui queste stanno ridestandosi. Bisogna aver dinanzi le cifre per conoscere ed ammirare lo sforzo eroico che il risparmio privato ha compiuto a favore della finanza e della tesoreria dello Stato. I buoni ordinari ascendono a 271 miliardi; la Banca d’Italia, giovandosi anche degli afflussi di conto corrente degli Istituti bancari, ha potuto mettere a disposizione del Tesoro 344 miliardi; il Banco di Napoli ed altri Istituti 50; le Casse postali, attraverso la Cassa depositi e prestiti, altri 108.
Come l’Assemblea vede, il debito fluttuante, assommante a 773 miliardi, è giunto ad una altezza tale che non potrebbe superare di troppo senza pericolo di perdere l’equilibrio.
Ed allora se la richiesta al Tesoro da ogni parte continuasse col ritmo di ieri e di oggi, saremmo alle soglie del dilemma: o negare ogni spesa eccedente le riscossioni o stampare biglietti.
Io allontano da me l’amaro calice dell’una e dell’altra alternativa: vorrei che tutti, in alto e in basso, a cominciare dai singoli Ministeri, fossero compresi essi della necessità di non mettere il Tesoro in questa difficile situazione: perché il primo partito significa o può significare convulsioni sociali; stampare biglietti vuol dire spingere l’Italia nell’abisso dell’inflazione da cui è difficile uscire e le cui conseguenze terribili sarebbero scontate principalmente dalle classi lavoratrici, ridotte ad una moneta incapace di assicurare loro il minimo di pane. Nessuno, io penso, vorrà che si arrivi a questa svolta. Ed io, per quanto a me spetta, sono risoluto a non varcarla. Confermo che la circolazione per conto del Tesoro non è aumentata nel decorso esercizio, dato che dal marzo 1945 non vi sono state ulteriori anticipazioni della Banca d’Italia al Tesoro stesso. Io difenderò l’argine che ora sta a limite e a difesa della circolazione. (Applausi).
Come colmeremo il disavanzo? Praticando anzitutto le più severe economie in tutti i servizi, rivedendo nella preparazione del prossimo bilancio gli stanziamenti dei vari Dicasteri, ordinari e straordinari, spingendo gli Enti locali e le Amministrazioni autonome dello Stato a formare pure essi i loro bilanci in modo da non essere più obbligati a ricorrere al contributo dello Stato.
II collega Einaudi ha fatto un interessante accenno alla possibilità di attenuare il gravissimo onere del prezzo politico del pane, senza nocumento delle classi meno abbienti. Ne sarà tenuto conto.
Ma sulle economie purtroppo non è per ora da fare grande assegnamento. Ed allora…
Ed allora torna insistente ed imperiosa la domanda: a chi chiederemo lo sforzo tributario atto a fornire al bilancio quanto gli abbisogna? La risposta è naturale ed ovvia. Alle classi abbienti. (Vivi applausi).
Le classi lavoratrici, gli impiegati dello Stato e degli Enti pubblici, tutti i viventi a reddito fisso, pagano già, parte con la trattenuta delle imposte sugli stipendi, tutti e largamente con le imposte indirette sui consumi: bisognerà anzi andar loro incontro con provvidenze atte ad alleviare il carico che già sopportano (Vivi applausi): ad esse una sola cosa possiamo chiedere e chiederemo: che comprendano le difficoltà in cui deve svolgersi la nostra azione; che siano persuasi del nostro fermo proposito di essere loro vicini con sentimenti di umana fraternità; che non ci neghino un poco di fiducia e, quando ne sia il caso, il sacrificio di un altro poco di pazienza per il realizzo di desideri giustificati, non turbando con agitazioni il lavoro di ricostruzione a cui il Governo è intento. (Applausi). Alle classi abbienti rivolgo un accorato, ma austero appello. Esse, che ne hanno il mezzo e la possibilità, devono accettare con senso di civile comprensione il sacrificio che a loro verrà chiesto. Da tutti ed a ogni momento si sente a dire: questo è il periodo in cui nessuno deve negare il proprio contributo per salvare la Patria. Ma non sempre al discorso seguono i fatti. Né si tratta di fenomeno di oggi. Direi che è la canzone consueta dei momenti difficili. Tutti si dicono disposti a pagare; ma capita talvolta che per un semplice inasprimento di tasse si proclama senz’altro lo sciopero fiscale.
Ho qualche ricordo personale in proposito. Mi sono trovato venticinque anni fa – precisamente dopo la guerra del 1915 – a lavorare per la sistemazione della finanza, anche allora sconquassata dal tremendo ciclone. Il Tesoro aveva dovuto provvedere in brevi anni per le spese di guerra, circa 200 miliardi, ed erano miliardi di allora, corrispondenti a quattromila miliardi di adesso. Anche allora la Tesoreria doveva vivere con la emissione continua di buoni del Tesoro in ragione di oltre mezzo miliardo al mese. Il solco della ricostruzione era stato aperto da tre uomini che io, in questi momenti penosi di ricorso storico, addito alla ammirazione degli italiani: gli onorevoli Nitti e Meda, Ministri del tesoro e delle finanze negli anni cruciali dal 1917 al 1919; l’onorevole Giolitti, Capo del Governo nei due anni successivi, e con lui ancora l’onorevole Meda al Tesoro. A chi esamini l’opera silenziosa e tenace da essi compiuta, i provvedimenti escogitati e tradotti in atto per le imposte ordinarie e straordinarie, viene spontaneo un senso di gratitudine, non fosse altro per l’insegnamento che essi hanno lasciato ai venturi dirigenti della finanza italiana, ed ai quali noi anche oggi possiamo attingere con sicuro profitto.
Io mi sono trovato allora nella via da essi aperta e per essa cercai di camminare. Eppure quanti ostacoli improvvisi, inopinati e quante e quali resistenze laddove la resistenza non aveva nessuna giustificazione! Per un semplice aggravamento degli estimi catastali nell’Emilia, gli agrari proclamarono lo sciopero fiscale. E squadre armate furono poste a guardia delle Esattorie per bastonare i contribuenti che avessero osato compiere il loro dovere. Per mesi la macchina tributaria in quella regione fu ferma. Erano i prodromi del fascismo che proprio là ebbe poco dopo la più violenta espressione. (Applausi). E si era in un momento delicato: il Presidente del Consiglio, il Ministro del tesoro e delle finanze tutti impegnati nella Conferenza di Genova. Perfino nella Magistratura locale vi era disorientamento. Dovetti chiamare il procuratore generale di Bologna per conoscere se non trovava materia di procedimento contro questi attentati allo Stato ed alla libertà dei contribuenti desiderosi di fare il proprio dovere. Dichiarai allora in Senato – e credo di poter ripetere oggi le medesime parole – che di tutti gli scioperi il meno giustificabile è lo sciopero fiscale, come quello che attenta alla vita stessa dello Stato, ed è compiuto da classi che possiedono, e che hanno nella legge tutti i mezzi di difesa contro errori o ingiustizie. (Vivissimi applausi).
Altro episodio. Avevo dato disposizioni agli uffici fiscali di addivenire a concordati amichevoli coi contribuenti ricercati per profitti di guerra: onde evitare procedure complicate, lunghe, fastidiose, non meno per il contribuente che per l’Erario, cui necessitava il più rapido gettito possibile. Orbene, il Presidente di una delle più grandi confederazioni nazionali diramò una circolare da comunicarsi a tutti i debitori di imposta per profitti di guerra dove era scritto testualmente: «Sarete invitati dagli uffici delle imposte a concordare: è questo che bisogna assolutamente evitare. Non si deve cedere, ma resistere».
Oggi il clima è profondamente diverso, ed io sono certo che questi e consimili deplorevoli episodi non si rinnoveranno e che i cittadini, pensosi del momento, faranno il loro dovere. Ma essi siano, d’altra parte, sicuri che lo Stato adempirà a sua volta, con la più ferma volontà e con ogni mezzo, al suo dovere di assicurare la sua protezione e la sua assidua vigilanza contro ogni tentativo diretto a turbare il pacifico svolgimento delle attività economiche. (Applausi).
Così avremo impiantato il pilastro finanziario del ponte della ricostruzione.
Ma occorre alzarne un altro, contemporaneamente: il pilastro economico. Perché l’economia languente non può fornire gettito tributario adeguato ai bisogni. Il lavoro in ogni ramo dell’attività economica deve riprendere il suo ritmo. Ve ne sono sintomi oltremodo confortanti. Le attrezzature industriali sono a posto. Le materie prime arrivano in quantità sempre maggiori. La volontà dei dirigenti e delle maestranze è all’ordine del giorno. La Mostra meccanica di Torino del maggio scorso, e la Fiera di Milano ci infondono un senso di orgoglio. Il sindaco di Milano, onorevole Greppi, col quale ho conferito in questi giorni, mi diceva che i visitatori stranieri da ogni parte d’Europa, dalla Russia alla Cina, sono rimasti stupefatti ed ammirati di fronte a questa superba manifestazione d’ingegno, di iniziative, di lavori, che indicano a quale alto grado sia giunta e siasi mantenuta, pur nel tremendo periodo trascorso, la forza produttiva italiana (Vivi applausi); e le ordinazioni sono giunte numerose ed importanti, e rapporti economici con paesi di ogni parte del mondo si sono affacciati come di possibile e prossima attuazione.
È dunque alle viste una larga ripresa industriale, della quale è indice sicuro il volume delle esportazioni, che ha raggiunto proporzioni notevolissime, direi quasi inaspettate, procurando introiti rispettabili di divisa. Ma essa ha bisogno di due cose: tranquillità monetaria e tranquillità sociale. Spetta, in parte notevole, al Ministro del tesoro, procurare la tranquillità monetaria. Assicuro formalmente che questo compito mi è dinanzi come un imperativo categorico. Esso si compendia nella dichiarazione fatta dal Presidente del Consiglio: dare stabilità alla lira, punto centrale di tutta la politica economica, al quale debbono convergere propositi ed opere. Il popolo italiano abbia fiducia: la lira italiana non si disperderà; dovrà essere stabilizzata, e, per quanto è umanamente prevedibile, lo sarà. Gli speculatori sui cambi e sui valori stiano attenti. (Applausi).
Con vivo senso di opportunità è stato costituito il Comitato interministeriale di ricostruzione, presieduto dal Ministro del commercio estero, e del quale fanno parte, insieme ad altre competenze tecniche, i Ministri del tesoro, delle finanze, dei lavori pubblici, dei trasporti, della marina mercantile, dell’industria, dell’agricoltura. Tutti i problemi riguardanti la finanza e l’economia sono attentamente vigilati e discussi; la materia delicata dei cambi e delle valute, del movimento di importazione ed esportazione, il controllo sul movimento valutario è in permanenza all’ordine del giorno. Siamo alla vigilia dell’ingresso dell’Italia nel piano di Bretton Woods e nella Banca internazionale della ricostruzione industriale, il che costituirà un passo di grandissima importanza nel piano di difesa e poi, a poco a poco, di rivalutazione della lira. Con esso l’Italia, vicina anche a riacquistare la sua libertà di lavoro, di produzione ed espansione, alla firma del trattato di pace, ancorché duro, rientrerà nella grande corrente del movimento economico internazionale, e vedrà dissiparsi man mano le diffidenze che ora la circondano, e riacquisterà il suo posto onorato nel mondo.
Le esigenze della Tesoreria saranno fra breve soddisfatte col prestito in preparazione, e che sarà, io non ne dubito, l’indice eloquente della volontà del Paese di risorgere, mentre ad opera di istituti specializzati, quali 1’I.R.I., 1’I.M.I., l’Istituto di credito di pubblica utilità, il Consorzio di credito per le opere pubbliche, saranno studiate particolari operazioni finanziarie, onde raccogliere sul mercato fondi specificamente destinati a programmi ricostruttivi, da elaborarsi ed attuarsi nei settori più importanti (ferrovie, elettricità, bonifiche, irrigazioni, ecc.). È di ieri una seduta conclusiva del C.I.R. per l’inizio di tali programmi. La imposta straordinaria sul patrimonio, alla cui ultimazione sta attendendo il collega delle finanze, costituirà insieme alle imposte sui profitti di guerra e di congiuntura e alla confisca dei profitti di regime, una preziosa riserva di integrazione nel bilancio, di fronte ai nuovi oneri che il trattato di pace ci addosserà a titolo riparazioni, e al risarcimento dei danni di guerra per i quali sono in cantiere provvidenze definitive. Sul concorso e sull’apporto di capitale estero possiamo contare. Esso presume appunto un piano concreto e preciso di organizzazione della produzione dei principali settori economici: ed è compito del C.I.R. attuare detto piano.
Della tranquillità sociale è presupposto la buona volontà delle classi produttrici, rappresentanti il capitale ed il lavoro. Consentite che io vi legga le parole conclusive di una recente riunione del C.I.R.: «Nel campo sociale, una tregua salariale è assolutamente indispensabile, per dare al Paese la sensazione che si rompe il circolo vizioso rappresentato dall’aumento dei salari e dal conseguente aumento dei prezzi. Solo con questa tregua potranno determinarsi condizioni favorevoli per una ripresa dell’economia, la quale deve consentire il riassorbimento di una parte dei disoccupati, cui non può essere provveduto integralmente col piano di lavori pubblici in corso di elaborazione. Bisogna tener presente che questo piano potrà essere realizzato solo gradualmente, nei limiti, cioè, che saranno consentiti dalla disponibilità delle materie prime occorrenti. I Ministri sono d’accordo che il modo migliore, per dare coi fatti la prova alla Costituente che il Governo e i Partiti che lo compongono sono concordi nella politica economica finanziaria, e che così si costituiscono le basi per una valida difesa del valore della moneta, e si prepara il terreno per la buona riuscita del prestito, è quello di raggiungere un accordo per eliminare per un periodo sufficiente ogni controversia fra imprenditori e lavoratori».
Se questo voto verrà raccolto e difeso dai dirigenti dei grandi organismi sindacali, ed accolto con animo sereno dai lavoratori tutti, dell’officina, dei campi e dell’impiego, noi saluteremo lieto il primo raggio di un’alba nuova, ricca di speranze e di promesse.
A voi tutti, onorevoli colleghi, che qui rappresentate tutte le correnti del Paese, e ne raccogliete tutte le voci, io chiedo di volere assecondare la mia modesta opera di difesa dell’Erario, e quella ben più imponente del Governo per la restaurazione dell’Italia.
Il programma enunciato dal Capo del Governo ha indicato con parola chiara e ferma la meta che ci proponiamo di raggiungere. Sia in noi tutti il proposito di essere uniti, solidali in una impresa di tanta mole e di tanta gloria. La Provvidenza vorrà illuminare il nostro cammino, e concedere alla nostra fatica il premio desiderato: attraverso alla restaurazione dell’economia aver rimesso in piedi la Patria. (Vivissimi prolungati applausi – Congratulazioni).
PRESIDENTE. Avverto che il Presidente del Consiglio dei Ministri risponderà nella seduta di domani agli oratori che hanno partecipato alla discussione.
Interrogazioni e interpellanze.
PRESIDENTE. Comunico che gli onorevoli Assennato, Vernocchi, Pacciardi, Lussu e Pellizzari hanno presentato la seguente interrogazione, per la quale hanno chiesto la risposta di urgenza:
«Al Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, Ministro degli affari esteri, per sapere se è consentito al Console di uno Stato straniero di sollecitare ed ottenere l’arresto di suoi compatrioti rifugiatisi in territorio italiano in cerca di asilo, essendo perseguitati politici, con riferimento all’arresto di patrioti greci, praticato in Bari, in ispregio al più tradizionale principio democratico, del quale la nuova democrazia repubblicana deve essere gelosa custode».
Domando al Governo quando intende rispondere a questa interrogazione.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri. I fatti denunciati nella interrogazione non mi sono noti ufficialmente. La situazione giuridica è questa: trattandosi di stranieri rifugiati, se qualche Governo delle Nazioni Unite vuole intervenire può farlo solo attraverso il Comando alleato, che – a sua volta – si rivolge al Ministro degli esteri. Finora nessuna domanda è a questo pervenuta.
Se la notizia è esatta, non può corrispondere alla regolamentazione giuridica. Comunque, mi riservo di assumere ulteriori informazioni e di comunicarle, nella seduta di domani, agli onorevoli interroganti.
PRESIDENTE. Si dia lettura delle altre interrogazioni e delle interpellanze pervenute alla Presidenza.
MATTEI TERESA, Segretaria, legge:
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno, per sapere, in seguito alla risposta scritta all’interrogazione sul tema «Alberghi e Turismo», tenuto conto della scarsa efficienza dei due decreti legislativi 29 maggio 1946, quali siano in Italia le reali condizioni del turismo e che cosa si faccia per imprimere a questa industria lo sviluppo necessario all’economia nazionale.
«Canepa».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’industria e del commercio, per sapere se è vero che il Ministero competente ha in animo di procedere all’applicazione anche in Sicilia del decreto 21 settembre 1944, n. 315, recante norme per la soppressione dei Consigli e degli Uffici provinciali dell’economia e sulla istituzione delle Camere di commercio, industria ed agricoltura nonché degli Uffici provinciali del commercio e dell’industria.
«Si osserva che in Sicilia, subito dopo la occupazione alleata, vennero anticipati quei provvedimenti di soppressione che formano oggetto della legge di cui trattasi, ma, più e meglio che non la legge in oggetto, vennero disciplinati gli enti rappresentativi dell’economia locale, con la creazione delle Camere di commercio provinciali nello spirito e con le funzioni della vecchia legge prefascista del 1910, opportunamente aggiornata, prevedendosi fra l’altro una rappresentanza autonoma dei settori marittimo ed artigiano.
«Tale stato di fatto e di diritto esistente in Sicilia perfettamente si inquadra con le aspirazioni di autonomia così vive nell’Isola, ed ormai tradotte in legge dello Stato dal decreto legislativo 15 maggio 1946, approvante lo Statuto della Regione siciliana. Detto Statuto, infatti, attribuisce alla competenza esclusiva regionale ogni statuizione organizzativa in siffatta materia e non può essere contraddetto, né per ragioni di merito né per ragioni di opportunità, da una ritardata applicazione che oramai determinerebbe conflitto tra due potestà legislative: la statuale e la regionale.
«Nel merito del provvedimento si osserva inoltre che esso non farebbe che perpetuare un doppione burocratico tipicamente fascista ed antidemocratico rivelatosi inidoneo alla tutela degli interessi delle categorie rappresentate e causa frequente di intralcio e di disorganizzazione. Il che del resto è comprovato dal vasto movimento oramai affermatosi in Italia tendente alla soppressione degli Uffici provinciali dell’industria e commercio ed alla costituzione, se mai, in loro vece, degli Uffici regionali con compiti ispettivi, uffici regionali che per essere organi periferici del Ministero dell’industria e commercio non vanno in Sicilia nemmeno costituiti essendo il loro compito di specifica pertinenza del Governo della Regione.
«Comunque, anche a prescindere dal conflitto di competenze, appare strano che l’applicazione del decreto 21 settembre 1944 anche in Sicilia venga imposta, dopo che per ben due anni se ne è consentita l’inosservanza, proprio alla vigilia della emanazione della legge che dovrà in via definitiva regolare la costituzione e le funzioni delle Camere di commercio statuendo fra l’altro la soppressione degli Uffici provinciali dell’industria e del commercio.
«Bellavista».
«I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri dell’interno e dei trasporti, per sapere se, quando e con quali formalità preventive, intendano accogliere le legittime richieste dei famigliari non provvisti di mezzi finanziari adeguati, predisponendo il trasporto (a spese dello Stato) alle località di origine delle salme dei patrioti trucidati dalla ferocia nazifascista, salme che tuttora giacciono in piccoli cimiteri improvvisati, disseminati in molte regioni d’Italia.
«Belotti, Clerici, Roselli, Bovetti, Cremaschi, Rumor, Ferrario Celestino».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere se non intenda di intervenire energicamente ad impedire l’illecito e vergognoso abuso della libertà di stampa, che, attraverso articoli ed illustrazioni immorali e dettagliate relazioni dei peggiori delitti che si consumano, non solo fa opera deleteria sulle coscienze, specie quelle dei giovani, ma rappresenta una evidente violazione di disposizioni di legge.
«SCALFARO».
«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per sapere se non ritenga opportuno predisporre un provvedimento legislativo, che dia modo di definire la sistemazione in ruolo degli avventizi del personale del Ministero dei lavori pubblici e dei dipendenti uffici del Genio civile ed in particolar modo di coloro che, avendo prestato per moltissimi anni lodevole servizio, sono stati altresì investiti di mansioni di gravi responsabilità.
«Proia, Angelini, Fuschini».
«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per sapere come intenda provvedere al funzionamento di molti uffici periferici del Genio civile che, oberati da un lavoro eccessivo, non hanno possibilità di assumere nuovo personale avventizio per la progettazione, direzione e sorveglianza dei lavori e per il sollecito disbrigo delle pratiche in corso.
«Proia, Angelini, Fuschini».
«I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri della marina mercantile e dei trasporti, per sapere se non intendano sostituire, nella maggiore linea marittima che unisce il continente italiano con la Sardegna, la nave Mocenigo con altra adeguata al movimento dei passeggeri, ora costretti ad attendere, per varie settimane, di poter partire, e se non intendano intervenire perché la partenza del treno, da Olbia per l’interno dell’Isola, avvenga subito dopo l’arrivo del piroscafo.
«Mastino Pietro, Lussu».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro delle finanze, sul licenziamento degli operai reduci alla Manifattura dei tabacchi di Cagliari. Precedentemente assunti in servizio provvisoriamente, col pretesto della provvisorietà dell’assunzione sono stati alla fine di agosto 1946 licenziati, per quanto quasi tutti con numerosa famiglia a carico, e al loro posto sono stati assunti altri reduci, mettendosi cosi in conflitto, con inspiegabile inopportunità politica, reduci contro reduci. Non ostante che gli operai licenziati abbiano a proprio favore la Commissione interna, la Camera del lavoro, la Federazione provinciale dei combattenti e reduci e la stessa autorità prefettizia, non sono stati ancora riassunti, neppure in soprannumero, così come consentirebbero le esigenze dei lavori.
«L’interrogante chiede di sapere quali provvedimenti l’onorevole Ministro intenda prendere per riparare a tale ingiustizia, intollerabile se si pensa che si tratta di pochi operai che non raggiungano la decina. Tale rigore fiscale, giustificato con arbitrarie interpretazioni dei regolamenti, può avvenire solo verso nuclei operai del Sud e delle isole, perché non sostenuti localmente da rilevanti forze sindacali.
«Lussu».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’industria e del commercio, per conoscere i motivi per i quali non sono state ancora rese note agli interessati nonché alla pubblica opinione le risultanze di una inchiesta eseguita nei confronti della Camera di commercio di Palermo su espressa richiesta del Commissario della Camera stessa. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Bellavista».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, sulla grave esplosione avvenuta nelle Acciaierie ferriere del Caleotto (Lecco) e sulle responsabilità relative.
«Osserva l’interrogante che non è la prima volta che infortuni del genere di quello gravissimo avvenuto il 19 settembre 1946, si sono verificati in detto stabilimento e che già l’opinione pubblica aveva avvertito il grave pericolo di continuare a consentire lo scarico di esplosivi di alta potenzialità in uno stabilimento nel centro cittadino di Lecco ove lavorano centinaia di operai.
«Oltre all’accertamento delle responsabilità invoca l’interrogante l’erogazione di adeguati sussidi a favore delle famiglie delle vittime e dei feriti, ed un sollecito aiuto alle numerose famiglie operaie (circa una quarantina) rimaste improvvisamente senza tetto, né suppellettili, né vestiario in seguito all’incendio propagatosi per effetto dell’esplosione alle abitazioni operaie. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Momigliano».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro del tesoro, per sapere se, col provvedimento annunciato di accordare ai maestri pensionati i miglioramenti concessi al personale statale di quiescenza dall’8 settembre ad oggi, s’intendano accordare gli stessi miglioramenti a tutti i pensionati dipendenti da Istituti amministrati dalla Cassa depositi e prestiti, e cioè: Cassa di previdenza sanitaria, Cassa di previdenza impiegati enti locali, Cassa di previdenza salariati enti locali, Cassa di previdenza ufficiali giudiziari, interessanti una vasta categoria di pensionati, ai quali è necessario ed urgente sia provveduto almeno in maniera analoga ai maestri pensionati. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Zaccagnini».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se – premesso che con l’articolo 3, ultimo comma, del Regio decreto-legge 19 agosto 1943, n. 737 (Gazzetta Ufficiale n. 203 del 1° settembre 1943), veniva concessa la registrazione con le agevolazioni per le cooperative disponendosi: «l’imposta fissa di registro e l’imposta ipotecaria ridotta si applicano tuttavia alle assegnazioni di case da parte di cooperative edilizie regolarmente costituite ed in possesso dei prescritti requisiti di capitale e di mutualità che siano effettuate entro il 31 dicembre 1943, a favore dei soci i quali risultino prenotati all’8 maggio 1942, indipendentemente dal tempo in cui è sorta la società e dal valore dell’assegnazione»: – e che, per le note circostanze eccezionali dello stato di guerra e della occupazione nazifascista, il termine del 31 dicembre 1943 è trascorso senza che vi sia stata la possibilità per le cooperative, soggette alle amministrazioni straordinarie del periodo fascista, di provvedere agli atti di assegnazione degli immobili; – non creda equo ed urgente promuovere un decreto legislativo che disponga la riammissione in termine, fino al 31 dicembre 1947, delle cooperative edilizie regolarmente costituite ed in possesso dei prescritti requisiti di capitale e di mutualità, per la registrazione con imposta fissa di registro e imposta ipotecaria ridotta degli atti di prima assegnazione ai soci i quali risultavano prenotati all’8 maggio 1942, indipendentemente dal tempo in cui è sorta la società e dal valore della assegnazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Bruni»
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’interno, per sapere se vi sono motivi che ostacolino l’accoglimento della domanda presentata dalla benemerita Associazione volontari italiani del sangue (Avis) per il suo riconoscimento in ente morale, e se non sia a conoscenza che, malgrado il mancato o ritardato riconoscimento, il comune di Milano, per troncare gli indugi, abbia già messo la associazione in possesso dell’area di cui le ha fatto donazione per la costruzione della sede della istituzione che onora il Paese. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Gasparotto».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere perché non si istituisce presso la sottoprefettura di Domodossola un ufficio di pubblica sicurezza che potrebbe essere anche retto da un commissario capo, oppure affidato anche al commissario che attualmente occupa degnamente il posto al confine di capo della pubblica sicurezza.
«L’ufficio è indispensabile per il rilascio dei passaporti, per i permessi di caccia e tutti i servizi inerenti alla pubblica sicurezza, servizi da distaccare dalla questura di Novara.
«Bisogna instaurare detto ufficio, data l’enorme distanza delle lunghe valli assolane dal capoluogo della provincia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Zappelli».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere quale criterio seguirà nel finanziamento delle perizie, non ancora espletate, dei fabbricati distrutti o lesionati dal terremoto del 6-7 settembre 1920 (Garfagnana e Lunigiana). I finanziamenti furono sospesi, con decreto-legge 14 novembre 1941, n. 1231, a causa dello stato di guerra. Essendo oggi venuta a cessare la limitazione del citato decreto-legge, i lavori di ricostruzione o riparazione non potranno essere ripresi se i prezzi delle perizie non saranno aggiornati. Sarebbe desiderabile che il Ministero dei lavori pubblici procedesse speditamente ad una soluzione del problema, in vista dell’esiguo numero di coloro che aspettano, da 26 anni, un finanziamento che la burocrazia fascista ha fatto loro, così a lungo, attendere. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Biagioni».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere per quale ragione saranno banditi prossimamente concorsi a cattedre nelle scuole medie, riservati ai reduci, da effettuarsi per esami, e non si è ritenuto più opportuno, volendo andare incontro agli ex combattenti, fare dei concorsi per titoli. Per ragioni di giustizia si sarebbe potuto distinguere:
1°) reduci idonei ed abilitati: concorso per titoli;
2°) reduci non abilitati: concorso per esami.
«I primi infatti hanno già dimostrato la loro sufficienza di fronte ad una commissione esaminatrice e possono dare garanzia per l’insegnamento.
«Il Ministero dell’educazione nazionale, nel bandire i concorsi del 1941, garantì che sarebbe stato accantonato per i reduci un numero di cattedre eguale a quello messo a concorso durante il periodo della guerra. È giusto che oggi si chieda di assegnare per titoli almeno il 50 per cento delle cattedre, in quanto gli idonei e gli abilitati di oggi si sono laureati anteriormente al 1941 ed è quindi logico facilitare loro una stabile sistemazione, in quanto più anziani e in quanto più a lungo si sono sacrificati per la Patria, donando gli anni migliori della loro giovinezza. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Biagioni».
«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se intenda, in occasione degli annunziati concorsi per le scuoce medie riservati ai reduci, ultimare anche il concorso-esame di Stato per l’insegnamento di filosofia e storia negli istituti dell’ordine superiore classico espletato nel 1943.
«Infatti coloro i quali, pur avendo sostenuto la prova scritta il 20 luglio 1943, non poterono sostenere le prove orali per gli eventi bellici intercorsi, attendono di essere, a norma della, legge 6 gennaio 1942, n. 27, ammessi a sostenere esclusivamente le prove orali a completamento del concorso, perché ciò risponde ad una esigenza dell’equità e del diritto. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).
«Sullo Fiorentino, Monterisi».
«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri della marina, della guerra e dell’aeronautica, per conoscere perché benefici consimili a quelli dell’amnistia promulgata dalla nuova Repubblica italiana non siano stati ancora estesi alle forze armate dello Stato.
«Nel 1919, dopo la guerra 1915-18, vennero condonate tutte le punizioni di carattere disciplinare riportate da ufficiali, sottufficiali e militari di truppa durante tutto il periodo della guerra con l’ordine non di coprire le mancanze stesse, ma di farne sparire qualsiasi traccia dai libretti personali, strappando dai libretti medesimi i moduli relativi.
«Tale decreto aggiungeva peraltro che in sede di esame di avanzamenti non si sarebbe dovuto tenere alcun calcolo degli effetti che erano conseguiti nel giudizio in sede di note caratteristiche dell’ufficiale o sottufficiale punito, in conseguenza delle punizioni di cui trattasi.
«Poiché con la recente amnistia sono stati condonati gravi reati e cancellati anni di carcere, non si vede perché simili benefici non possano essere estesi – in questi momenti in cui ha inizio la nuova vita dello Stato italiano – a quegli ufficiali, sottufficiali e militari, i quali sono stati puniti, p. e., con 20 o 30 giorni di fortezza, in clima fascista, da superiori che avevano forse una mentalità fascista e molto spesso per motivi a sfondo politico. Tali punizioni costituiscono ancora un peso morto e ritardano le giuste promozioni per molti militari che pure hanno al loro attivo azioni di valore e a volte di eroismo, per tanti altri che sono passati attraverso il vaglio della durissima prigionia mantenendo inalterata la fiamma dell’italianità nei propri petti e l’amore per la Patria lontana, straziata dalla furia nazista e fascista. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Gui».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’agricoltura e foreste, per sapere se non ritenga incompatibile con il prestigio di una pubblica amministrazione, e con gli obblighi contrattuali nel campo del lavoro, la metodica morosità dell’UPSEA nel pagamento degli stipendi ai propri dipendenti; e se, in considerazione anche del fatto che la stessa UPSEA non ha ancora versato agli aventi diritto il premio della Repubblica, non ritenga di dovere seriamente richiamare i preposti a tale Ente ad una più stretta e responsabile osservanza dei propri compiti dirigenti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Terracini».
«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere se intenda, considerata la precaria situazione in cui vengono a trovarsi molti funzionanti ufficiali giudiziari o commessi giudiziari autorizzati che possono da un momento all’altro, nonostante l’anzianità di servizio, essere privati dell’impiego, predisporre un provvedimento che contempli la possibilità che, dopo un certo numero di anni di effettivo e lodevole servizio, divengano titolari dell’ufficio o che almeno sia data loro una qualsiasi garanzia di stabilità. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).
«Sullo Fiorentino, Monterisi, Codacci Pisanelli».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere per quale ragione il Provveditorato alle opere pubbliche per la Toscana trattenne nei suoi uffici il piano di ricostruzione del centro cittadino di Livorno, dal 19 gennaio 1946, giorno dell’invio da parte dell’Amministrazione municipale, al 14 agosto 1946, giorno in cui il Comitato di quel Provveditorato prese in esame il piano, compiendo un sopraluogo a Livorno.
«Si sa che, per l’energica iniziativa del Ministro Romita, il Provveditorato si decise ad esaminare la questione; ma l’esame, fatto di mala voglia e con spirito ipercritico, si concluse con un voto sfavorevole, decisione presa il giorno lunedì 2 settembre, dopo cioè più di otto mesi che il piano era a disposizione del Provveditorato per gli esami e per gli eventuali suggerimenti da darsi all’Amministrazione comunale, in vista di superare le possibili divergenze senza eccessiva perdita di tempo.
«L’interrogante, mentre plaude all’energia del Ministro Romita, che ha ora affidato la relazione definitiva del piano ad un suo incaricato, allo scopo di accelerare la messa in opera, chiede quali provvedimenti il Ministero intende prendere contro i funzionari responsabili della lunga mora, risultata dannosissima alla devastata città di Livorno. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Barontini Ilio».
«I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri dell’agricoltura e foreste e del tesoro, perché dicano se, finalmente, non credano d’intervenire, perché il decreto legislativo 13 settembre 1945, n. 593, che stabilisce speciali provvedimenti a favore degli agricoltori, danneggiati dalla siccità e dalle cavallette, abbia esecuzione. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).
«Mastino Pietro, Lussu».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’interno, per sapere se non creda urgente realizzare la ricostituzione dei comuni soppressi dal regime fascista in tutti i casi in cui esista relativo parere favorevole da parte della prefettura, e ciò prima delle prossime elezioni amministrative. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Carbonari».
«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere come intenda proteggere quelle aziende agricole di piccoli proprietari, il cui reddito non dà il minimo d’esistenza. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).
«Carbonari, Buratto».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per sapere se non ritenga doveroso e necessario, aderendo al senso di vera giustizia ed imparzialità, resistere alla richiesta di svuotamento e di quasi annullamento degli uffici del lavoro, che dovrebbero cedere la funzione principale del collocamento della mano d’opera alle Camere del lavoro. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Carbonari».
«I sottoscritti chiedono d’interpellare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere quali provvedimenti il Governo ha adottato o ritiene di dovere adottare per venire incontro alle precise richieste delle classi lavoratrici siciliane espresse nell’ordine del giorno del 19 settembre 1946, delle rappresentanze di tutte le Camere del lavoro della Sicilia e colle quali si reclama urgente intervento del Governo nei problemi di emergenza dell’Isola: nel campo dell’agricoltura, dell’alimentazione, della disoccupazione, della sicurezza pubblica e dell’energia elettrica. Ciò anche in relazione ad una agitazione preannunziata pel 28 settembre, che può prevenirsi con tempestivo interessamento del Governo diretto a tranquillizzare le classi lavoratrici con una sollecita azione tendente a sollevare il disagio in cui esse vivono.
«Lombardo Matteo Ivan, Musotto, Gullo Rocco, Cartia, Di Giovanni».
«Il sottoscritto chiede di interpellare il Governo, sulla necessità di impostare – senza ulteriori indugi – il piano di una politica dell’arte; e per conoscere quale posto si intenda assegnare ad essa nel quadro generale della ricostruzione, dato che all’arte l’Italia deve il suo primato spirituale e la sua incomparabile gloria.
«Il ritorno alla tradizione ed alla nostra consapevole missione contribuirà validamente a costruire il suo nuovo avvenire.
«Nel potenziamento delle arti pure, e nella organizzazione a carattere nazionale dell’artigianato e delle piccole industrie – in connessione anche ad una più adeguata politica del turismo – il Governo troverà la naturale base della nuova economia.
«Di Fausto».
«I sottoscritti chiedono di interpellare il Governo, sulle condizioni della sicurezza pubblica in Sicilia e per sapere come intenda fronteggiare la situazione.
«Natoli, De Vita, La Malfa, Li Causi».
«I sottoscritti chiedono di interpellare il Governo, per sapere: qual è il criterio adottato per fronteggiare la situazione siciliana, promovendo opere pubbliche che riguardano l’irrigazione, la costruzione di centrali idroelettriche, opere portuali, stradali e scuole: quali provvedimenti immediati ha adottato per far fronte alla disoccupazione; e quali assegnazioni di materie prime sono state disposte per la Sicilia.
«Natoli, Li Causi, La Malfa, De Vita, Candela, Guerrieri Emanuele, Volpe, Martino Gaetano, Dominedò, Bellavista, Vigo».
PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.
Così pure le interpellanze saranno iscritte all’ordine del giorno, qualora i Ministri interessati non si oppongano nel termine regolamentare.
La seduta termina alle 18.30.
Ordine del giorno per la seduta di domani.
Alle ore 16:
- – Verifica di poteri.
- – Seguito della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.