Come nasce la Costituzione

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VENERDÌ 20 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

XX.

SEDUTA DI VENERDÌ 20 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SARAGAT

INDICE

Congedo:

Presidente                                                                                                        

Comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri (Seguito della discussione):

Preziosi                                                                                                            

Bruni                                                                                                                

La Malfa                                                                                                            

Corbino                                                                                                            

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 16.

CHIEFFI, Segretario, legge il processo verbale della seduta precedente.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Ha chiesto congedo l’onorevole Tozzi Condivi.

(È concesso).

Seguito della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri Ha chiesto di parlare l’onorevole Preziosi. Ne ha facoltà.

PREZIOSI. Onorevoli colleghi, ci avviamo rapidamente alla conclusione di questo dibattito e non ancora è spenta l’eco profonda di delusione che hanno lasciato nel Paese e in noi le dichiarazioni del Capo del Governo. Il Paese attendeva delle dichiarazioni meno caute, meno prudenziali, attendeva soprattutto un chiarimento dell’atmosfera plumbea che circonda il Governo.

Basterebbe solo soffermarci sui titoli dei vari fondi dei giornali di questi giorni per avere la dimostrazione di come la delusione dell’opinione pubblica ha trovato un’eco un po’ dovunque, anche nei giornali del Governo, se è vero che qualcuno di essi, come l’Avanti! parla delle dichiarazioni e della situazione come di una sentenza interlocutoria, e ancora stamane su l’Avanti! in un articolo di fondo dell’onorevole Sandro Pertini, si parla di mancanza di fede, sempre in relazione all’atteggiamento dell’onorevole De Gasperi e del Governo.

Noi attendevamo, dopo un trimestre di Governo, un resoconto consuntivo di quello che si era fatto e di quello che non si era potuto fare, e avremmo voluto conoscere le ragioni del perché non si era fatto niente di quello che il programma del Governo conteneva, o diceva di contenere, in maniera concreta. Ed invece nulla ci è stato detto dell’immediato passato.

Se profonda è la delusione del Paese, bisogna che il nuovo programma, esposto dal Capo del Governo, sia un programma di cose, e trovi effettiva soluzione nella realtà quotidiana: il popolo vuol vedere chiaro sulla sorte che lo attende, vuol sapere quali mezzi il Governo intende adoperare per risolvere i problemi più urgenti del suo vivere.

Sulla politica estera, nessuna dichiarazione è stata fatta: soltanto dichiarazioni generiche, forse dovute ad un certo riserbo necessario. Ma, insomma, noi avremmo voluto sapere qualche cosa di quella che era considerata la parte attiva svolta dal Governo in sede di politica estera; avremmo voluto sapere qualche cosa del trattato con l’Austria. Le dichiarazioni fatte al riguardo dall’onorevole Codignola, in sede di interrogazione, alle quali non poté rispondere esaurientemente l’onorevole Cappa, appartengono al genere di quelle cose che possono ben profondamente meravigliare il Paese. L’onorevole Codignola denunciava dei fatti gravissimi in seno alla Assemblea, cioè diceva che in seguito a questo trattato con l’Austria ci sarebbe uno statuto autonomista dell’Alto Adige, per il quale molte diecine di migliaia di alto-atesini, che avevano optato liberamente per la Germania e poi avevano deciso di raggiungere la loro patria, ai quali noi avevamo pagato con denaro sonante l’ammontare dei .loro beni, dovrebbero non solo tornare fra noi, ma ad essi bisognerebbe restituire niente di meno che tredici miliardi di beni immobili che già sono in possesso degli Italiani.

Ora se voi pensate, onorevoli colleghi, che questo enorme contingente di uomini era stato usato dai tedeschi per tedeschizzare la Cecoslovacchia, se voi pensate che quegli uomini, cacciati dalla Cecoslovacchia e non voluti dall’Austria, dovranno venire nelle nostre zone dell’Alto Adige, voi potete immaginare come il pangermanesimo, che non è ancora distrutto, possa avere il suo sviluppo ai danni delle nostre popolazioni e dei nostri territori. E ancora, secondo questo statuto autonomista dell’Alto Adige, ritornerebbero a bandiere spiegate nel nostro territorio le ex S.S. alto atesine, cioè coloro i quali furono i più feroci aguzzini delle nostre popolazioni, che noi in Roma tutti ricordiamo, durante l’occupazione tedesca, come i razziatori degli ebrei, come coloro che si impadronivano dei nostri figli, dei nostri fratelli, dei nostri padri, per trasportarli nei campi di concentramento. Come è possibile fare un trattato con l’Austria in certi termini, quando questo comporterebbe la realizzazione di uno statuto autonomista, il quale dovrebbe dare asilo necessariamente a veri implacabili nemici della Patria?

Noi gradiremmo che in sede di replica del Capo del Governo ci si dessero chiarimenti al riguardo.

Politica interna. Un complesso di problemi sono stati sfiorati, enunciati ed annunciati. Noi ci augureremmo che questi problemi potessero essere tutti risolti nell’interesse supremo della Patria. Soprattutto quelli che riguardano la necessità di colpire le speculazioni, a qualunque genere esse appartengano. Il popolo vuole che ai suoi affamatori siano tagliate le unghie.

Dice l’onorevole De Gasperi: la parola d’ordine è produrre. Siamo d’accordo. Ma noi rispondiamo che, per produrre, bisogna che ci sia fiducia nel Paese e credito all’estero. Esisteranno l’una e l’altra cosa, presupposti per un definitivo processo di normalizzazione del Paese, se si darà una veste di realtà a tre condizioni essenziali: ristabilimento dell’ordine pubblico, politica concreta di alimentazione, di abbigliamento e di lavori pubblici, unità e concordia fra i partiti che sono al Governo.

Ordine pubblico. Che in Italia vi sia assoluta carenza o relativa carenza dell’autorità dello Stato è una realtà indiscutibile. Basta accennare ai molti episodi di violenza che si verificano in molte città d’Italia, per avere, attraverso questi episodi, la prova indiscutibile che l’autorità del Governo non esiste. Perché, quando in un Paese, che dovrebbe essere ordinato, quando in un Paese in cui ci dovrebbe essere l’autorità dello Stato integra, salda, si arriva a vedere i prefetti malmenati dalla folla, allora vi è carenza della autorità dello Stato non in relazione a quello che la folla fa (e spiegheremo subito perché la folla si lascia andare, a questi eccessi), ma perché, evidentemente, lo Stato stesso non provvede a far sussistere quelle premesse necessarie atte ad evitare il sorgere di certi pericolosi sommovimenti. Non bisogna dare la colpa di tutto quello che avviene e non bisogna far risalire la responsabilità dei disordini ai partigiani, ai reduci, alle classi operaie e, comunque, alle classi tutte a reddito fisso.

Siamo d’accordo che i reduci, i partigiani hanno compiuto un dovere, soltanto un dovere verso la Patria, che non dà diritto a nessuna remunerazione.

Ma io dico: cosa si può pretendere da questi partigiani, dai nostri reduci, se la fame, il bisogno battono alle loro porte? Essi hanno bisogno di lavoro, che non c’è, mentre invece c’è la numerosa categoria dei nuovi ricchi della borsa nera (quella in grande stile, non quella dei rivenditori dei banchetti, che anche essa è costituita da povera gente) ed una categoria di abili speculatori, quelli che si dedicano all’aggiotaggio, che gavazzano entrambe nel lusso più smodato, frequentando locali di lusso, sperperando milioni al tavolo verde di bische clandestine in numero sempre più crescente. Come si può pretendere che questo nostro popolo che soffre, con i suoi operai, reduci, partigiani, con le varie categorie di impiegati a reddito fisso, se ne stia così, dinanzi alle proprie case a soffrire la fame, inerte, a vedere i propri bambini che hanno fame, se lo Stato non ha la forza di colpire coloro che sono gli affamatori del popolo, se lo Stato, cioè, non ha la forza di impedire che pullulino i locali di lusso e che le bische clandestine aumentino? Se non c’è questa forza da parte dello Stato, è naturale che avvengano gli incidenti e le invasioni, che sono deprecabili, ma essi non si ripeteranno soltanto se lo Stato riacquisterà la sua autorità. Noi pensiamo che mai come oggi ogni cittadino deve sostenere la sua parte di sacrifici: insomma bisogna una volta per sempre capire che, nell’interesse della collettività, è necessario sacrificare molte ambizioni e soddisfazioni personali.

Una parola sulle pensioni di guerra.

Noi conosciamo la tragedia di tanti padri, di tante vedove di guerra con molti bambini, di tanta gente malferma in salute che aspetta ancora la pensione. Moltissimi di noi ricevono lettere su lettere di queste povere donne, di questi poveri genitori i quali desiderano che sia riconosciuto il sacrificio dei propri figli e dei propri mariti, che hanno bisogno di quella modesta pensione la quale, se non li sfama, almeno non li fa morire di fame. Ed invece niente; le pratiche a diecine di migliaia giacciono inevase negli uffici della Direzione generale delle pensioni di guerra, e noi stessi che scriviamo e sollecitiamo non abbiamo mai il piacere di una risposta. Ancora, dunque, diecine di migliaia di nostri fratelli, che sono coinvolti da questa carenza dello Stato anche nel settore delle pensioni: il che significa altro malcontento, perfettamente giustificato.

Il ristabilimento dell’ordine pubblico è quanto di più urgente si possa immaginare, perché in Italia siamo arrivati ad episodi addirittura inconcepibili.

A proposito di questi episodi cito quelli che riguardano il contrabbando che si fa, giorno per giorno, del nostro pane quotidiano: del grano. Io, un mese e mezzo fa, rivolsi una interrogazione al Governo per sapere se era vero che, attraverso celeri velieri, dalla zona di Riposto e da altre zone della Puglia e del Polesine partiva grano di contrabbando per paesi a noi vicini e non certo amici. Il Governo non trovò di meglio che far sapere, attraverso il Presidente della nostra Assemblea, che non era in grado di rispondere alla mia interrogazione perché il Ministro dell’agricoltura era assente; più tardi proposi una interpellanza di urgenza al Governo con la quale chiedevo conferma di un fatto specifico, di un veliero che, trasportando 800 mila quintali di grano verso la Jugoslavia, fermato in mare dalla guardia di finanza e dirottato nel porto di Barletta – aveva i documenti apparentemente in regola – successivamente era stato fatto ripartire con destinazione uguale alla precedente, con la complicità di autorità locali. Nessuna risposta precisa che facesse conoscere la verità.

Si è avuta solo una piccola smentita a mezzo di un anodino comunicato, mentre un quotidiano come il Momento, che certo non può essere accusato di reazione, dava al Governo le prove di quello che era accaduto. Anche questo, dunque, significa non fare quello che è necessario fare. E che dire dello scandalo della Lega di Medicina, in quel di Bologna? Contadini che mettevano da parte il grano, destinato ad un Paese a noi vicino.

Una voce. Sono stati assolti tutti.

PREZIOSI, Bisogna restaurare l’autorità dello Stato in tutti i settori della vita nazionale. Bisogna ristabilire l’ordine pubblico mediante un corpo di polizia che sappia difendere lo Stato democratico e la libertà dei cittadini, al di sopra delle tendenze, delle fazioni e delle passioni. Bisogna naturalmente elevare il tono di vita degli agenti di polizia, bisogna renderli immuni dalle possibili corruzioni, bisogna dare a questi che debbono essere i tutori del nostro ordine la possibilità di vivere, di sfamarsi, e metterli in condizione di compiere bene il proprio dovere.

Il secondo problema che il Governo deve affrontare in maniera energica è quello della alimentazione e dell’abbigliamento. A Milano vi sono mense collettive che da circa due anni distribuiscono 120 mila pasti al giorno al prezzo di 20 lire; 12 mila pasti si distribuiscono ai dipendenti del Comune, e altri 30 mila attraverso ristoranti popolari al modico prezzo di 50 lire al pasto.

Bisogna aumentare queste mense. È nel programma del Governo, ma si poteva fare prima. Se a Milano questa organizzazione esiste da due anni, se dai giornali abbiamo appreso che queste organizzazioni non sono a carico dello Stato, bensì riescono a pagare le spese da se stesse, perché non crearne in ogni città d’Italia, almeno in quelle che hanno molta popolazione operaia, sicché il disagio di questi duri tempi possa essere sentito meno?

Quanto all’abbigliamento, è necessario ristabilire la tessera, per assicurare comunque qualche cosa a prezzi convenienti.

Un altro grave problema è quello della edilizia popolare. Il Ministro dei lavori pubblici nei suoi progetti ha sempre parlato di case popolari. Ognuno di voi sa in quali condizioni sono le nostre popolazioni in molte parti d’Italia, specialmente in quelle che hanno conosciuto gli orrori della guerra. Il problema dei senza tetto deve essere affrontato risolutamente, energicamente. A Napoli i senza tetto sono ancora nei ricoveri. Diecine di migliaia di persone vivono una vita impossibile, affastellate l’una sull’altra. Che cosa devono fare questi miseri, se non ribellarsi, se non chiedere a se stessi perché lo Stato non viene in loro aiuto? Le case popolari sono state sempre promesse. Si è sempre detto che dovevano essere consegnate ogni tre mesi, e invece ciò non è avvenuto, almeno in proporzione dei bisogni delle nostre popolazioni.

E poiché parlo di ricostruzione e di risoluzione di problemi improrogabili, voglio muovere un appunto all’onorevole Presidente del Consiglio per quanto concerne il problema del Mezzogiorno. L’altra volta, nonostante che molti colleghi della Camera parlassero della situazione del Mezzogiorno, nella sua replica ai vari discorsi dei vari oratori, l’onorevole De Gasperi non sentì il dovere di parlare del Mezzogiorno e di esporre un programma del Governo al riguardo. Allora sperai che le opere avrebbero supplito alle manchevolezze di un discorso. Ma oggi, nel suo discorso, che si è imperniato soprattutto sulla politica interna e sulle necessità delle classi popolari, l’onorevole De Gasperi non ha detto una parola sul Mezzogiorno, non ha detto come si possa venire in aiuto alle necessità improrogabili delle nostre classi povere, che sono ad un livello enormemente inferiore alle condizioni delle classi settentrionali. Tanto è vero che il collega torinese onorevole Carmagnola, nel suo discorso di ieri, affermava: «Abbiamo bisogno che il Meridione si risollevi nell’interesse del resto dell’Italia».

È indispensabile, dunque, una volta per sempre, affrontare questo problema e se non risolverlo subito – perché non è possibile risolvere subito un problema così annoso – iniziarne la risoluzione almeno gradualmente, con energia, con propositi chiari. Attendiamo, quindi, assicurazioni dal Presidente del Consiglio.

Infine, parliamo della disunione esistente nel Governo e fra i partiti che lo compongono. Indubbiamente ogni insuccesso dei partiti democratici è un insuccesso della democrazia. Come può l’opinione pubblica, il Paese aver fiducia nel Governo, se non vi è accordo tra i suoi componenti? Non è il momento di palleggiarvi responsabilità piccole e grandi fra voi, colleghi della sinistra e colleghi del centro, e attraverso articoli di giornale o manifesti domandarvi chi aveva una ragione e chi può avere o ha torto. Se non siete d’accordo, avete il dovere di non proseguire insieme nel cammino. Oggi non c’è posto per l’equivoco. Basta girare le provincie un po’ dappertutto per sentire come il Paese sia stanco, come vi sia una profonda frattura fra il Paese ed il Governo. Se il Governo non riesce comunque a colmare questa frattura, dando l’esempio di lavoro compiuto in buona concordia a favore del popolo, noi allora vedremo ancora più il Paese allontanarsi dal Governo, né potremo prevedere come dimostrerà la sua stanchezza nei confronti del Governo stesso. Se vi fu unione fra i vari partiti durante il periodo clandestino, nell’interesse supremo della Nazione, perché non deve esistere oggi? Ricordo che durante il periodo clandestino ognuno di noi non pensava alle proprie ideologie, ma pensava invece al bene della Patria, per combattere il nemico che invadeva il nostro suolo. Ora, questa unione si deve ripetere, perché siamo innanzi ad un periodo ancora più grave della nostra storia. Non vi deve essere disaccordo e non bisogna pensare troppo, come purtroppo si fa, alle elezioni vicine. La verità è questa: che se invece di essere in una Assemblea Costituente, come questa, di breve durata, fossimo stati eletti in Assemblea Costituente per un anno, per poi proseguire il nostro lavoro come Camera legislativa per altro periodo di tempo, tanti disaccordi non sarebbero esistiti e si sarebbe lavorato sul serio, poiché non c’era la preoccupazione delle elezioni.

Quello che veramente avvelena oggi la politica italiana è lo spettro delle elezioni, che costringe il Governo a contenersi e fare in un modo anziché in un altro, solo perché i Partiti al Governo hanno promesso alle loro masse la realizzazione di programmi assai diversi, a volte anzi spesso impossibili a realizzarsi di comune accordo, nella loro integrale ideologia. È lo spettro delle elezioni che impone di perseguire una determinata politica nei confronti di determinate classi, perché si teme, con le elezioni vicine, di perdere una massa la quale potrebbe orientarsi ben diversamente, se non si realizza comunque (che importa se ciò avviene alla carlona?) un certo programma promesso.

Onorevoli colleghi, eleviamo un poco il tono di noi stessi, facciamo sentire al popolo che si è uniti, che gli siamo vicini con tutto il cuore, che non soltanto parliamo dei suoi bisogni, ma li affrontiamo e li risolviamo. E lasciamo andare dispersa certa demagogia di partito oggi rovinosa per l’Italia. Non vi sia mancanza di fede in voi stessi, colleghi dei partiti al Governo. Guai se il Governo, con i suoi componenti, non avesse fede e fiducia in se stesso. Per arrivare ad una meta bisogna assolutamente avere una fede; senza una fede non si può percorrere nessun cammino ideale; senza una fede questo Governo non potrà durare se non 15 giorni o un mese. Ha bisogno di una fiducia che lo renda saldo, di una fede che lo renda unito e questa fede è una sola: fare gli interessi della Nazione al disopra dei partiti, fare gli interessi della Nazione con programmi concreti, che risolvano i problemi che la Nazione attende di vedere risolti. Il Paese vuole che, finalmente, dopo due anni e più di inutili accademie, vi sia una democrazia operante in profondità, vi sia una democrazia operante al di sopra dei bassi interessi personali, una democrazia che significhi ricostruzione di una Italia degna di resurrezione dopo tanti dolori, tanti lutti, tanti sacrifici. (Applausi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Bruni. Ne ha facoltà.

BRUNI. Le dichiarazioni evasive ed incomplete dell’onorevole Presidente del Consiglio sulla crisi del Gabinetto e sulla crisi che attraversa il Paese, non sono fatte per tranquillizzare nessuno.

Farò dunque delle osservazioni che, naturalmente, non riguardano soltanto l’onorevole De Gasperi, ma tutti i membri del Gabinetto.

Il Paese si attendeva non soltanto la sostituzione dell’onorevole Corbino, ma l’annuncio di un nuovo chiaro indirizzo in materia economica e finanziaria che non fosse quello dall’onorevole Corbino propugnato.

Il Paese si attendeva, inoltre, non soltanto di udire dalla bocca dell’onorevole De Gasperi un programma di Governo, che del resto è una ripetizione soltanto parziale di quello precedente, ma di conoscere i mezzi da mettere in opera per realizzarlo. Come è stato da altri rilevato, questa Assemblea ed il Paese vogliono sapere che cosa sia possibile fare nelle attuali circostanze, e non soltanto quello che si desidererebbe fare. Dobbiamo, pertanto, essere grati all’onorevole Lombardi e all’onorevole Nitti di aver rilevato questa grave lacuna nelle dichiarazioni presidenziali, questa omissione di probità nel programma governativo.

Il Partito Repubblicano e l’onorevole Lombardi hanno posto nuovamente sul tavolo di discussione il problema, tanto agitato, del cambio della moneta.

Con o senza gli accorgimenti suggeriti dall’onorevole Lombardi, io non vedo come si possa evitare tale operazione, se veramente si vuol tentare di ricorrere agli unici mezzi rimastici per alleviare la nostra situazione, sia pure temporaneamente: immettere nel ciclo produttivo somme rilevanti, colpire, a ragion veduta, i più abbienti e compiere in tal modo il più elementare atto di giustizia sociale, al fine di eliminare una delle cause maggiori di irrequietezza delle classi proletarie, del braccio e del pensiero.

Fu osservato, e con ragione, che la Repubblica fu voluta soprattutto dalle classi più diseredate e non precipuamente dalle classi ricche. Ma la Repubblica, precisiamo, è stata voluta dalle classi proletarie non perché si sforzasse, con tutti i mezzi e sottili accorgimenti, come si è fatto finora, a perpetuare privilegi sociali, ma perché si mettesse energicamente sulla strada di abolirli; non perché dovesse stagnare in una politica economico-finanziaria interclassista, politica arida, inoperosa e inconcludente; ma perché desse mano ad una politica di abolizione e superamento delle classi economiche, di difesa dei deboli e abolizione dei privilegi, in tutti i settori della vita sociale, affinché gli attuali ricchi e gli attuali poveri potessero finalmente vivere in una comunità di uguali e di fratelli.

L’onorevole Presidente del Consiglio ha annunciato gravi provvedimenti contro la borsa nera: io penso che contro le maggiori infrazioni alle leggi attualmente vigenti sulla alimentazione e il razionamento, sia necessario comminare le pene più severe contemplate dal nostro codice: la pena di morte e la confisca dei beni. Data la gravità della situazione alimentare, che involge gravi problemi di ordine squisitamente morale, non ci si deve spaventare dal ricorrere a misure così estreme.

Vorrei domandare poi al Governo se in realtà sia stato fatto tutto il possibile per aumentare sino almeno a 300 grammi la razione di pane, e gli vorrei far riflettere quali immense ripercussioni su tutto il mercato dei prezzi la razione del pane, portata a questo quoziente, potrebbe avere in Italia, dove il pane costituisce il principale e, qualche volta, il solo alimento della nostra popolazione. È sicuro il Governo di aver tentato tutto il possibile in questa direzione?

Il Paese, dalle dichiarazioni dell’onorevole De Gasperi, non si attendeva soltanto la sostituzione dell’onorevole Corbino, ma anche la fusione dei Ministeri del tesoro e delle finanze. Evidentemente il primo Governo della Repubblica non ha dato una dimostrazione al popolo ch’esso, più che questioni di prestigio personale e di partito, aveva a cuore gli interessi della comunità. Ed io credo ch’esso abbia, in tal modo, perduto una buona occasione.

Dopo le recriminazioni, ahimè! troppo giuste, sollevate dall’onorevole Nitti, in questa circostanza, il Paese si attendeva anche che fosse riparato al danno da esso sofferto dall’accumulazione di enormi responsabilità nelle mani di una sola persona, in un momento così difficile della vita nazionale.

Nessuno più di me è in grado di apprezzare la dirittura morale di un nomo come l’onorevole De Gasperi, con il quale ho lavorato, si può dire, a contatto di gomiti, per molti anni, nella stessa amministrazione. È perciò con affetto di amico che anch’io gli rivolgo vivamente la preghiera di ridurre i suoi impegni a misura d’uomo. Sarà tanto meglio per lui e per il Paese.

Infine il Paese avrebbe apprezzato altamente uno sforzo per riformare l’attuale Governo su basi non rigidamente di partito e di alchimia parlamentare.

Tirando le somme, non credo che lo stesso onorevole Presidente del Consiglio ritenga di aver avviato la crisi che tormenta il Paese verso la sua naturale sedizione, ma soltanto di averla tamponata per alcune settimane. È facilmente prevedibile che essa risorgerà più grave tra breve. Perciò tanto valeva affrontarla ora con tutto il coraggio necessario, e non perdere altro tempo prezioso, che ci potrebbe riservare delle incognite.

Ma a questo punto è necessario fare un’osservazione fondamentale. Il Governo De Gasperi ha finora fallito al suo scopo non tanto per deficienza di un programma, quanto per difetto di buona volontà nel realizzarlo; e continuerà a fallire, se i rapporti tra i partiti che sono al Governo non diventeranno più trasparenti, ed improntati a maggiore fiducia.

Finché in Italia le competizioni civili si combatteranno sulla base della tirannica visione delle proprie metafisiche e delle proprie teologie, i partiti continueranno ad odiarsi, a temersi, a sospettarsi, e non potranno trovare la base minima necessaria per un lavoro in comune.

Ma abbiamo mai veramente provato, noi responsabili della causa del popolo, ad accostarci gli uni agli altri, a rispettarci vicendevolmente, a bruciare in comune per il bene comune?

Facciamo questa prova. Se essa riuscirà, la soluzione di tutti i problemi che ora ci affaticano ne sarà immensamente facilitata. Se riusciremo ad agire in uno spirito di assoluta onestà, di assoluto rispetto degli uni verso gli altri, avremo trovato l’energia atomica spirituale necessaria, la necessaria chiaroveggenza, che conferisce l’amore vissuto, per avviare verso una rapida soluzione il problema del pane e della casa non solo, ma per entrare coraggiosamente nel vivo delle riforme di struttura più rivoluzionarie, che dovranno liberare il popolo dalle spire della mediocrità sociale in cui attualmente vive mortificato.

Se sapremo vivere di questa unità elementare, propria di esseri ragionevoli, avremo trovata la forza sufficiente per risanare le ferite che il fascismo e la guerra hanno lasciato sul corpo della Nazione; e riguadagneremo ben presto il rispetto e la fiducia delle altre Nazioni, della cui mancanza oggi noi soffriamo crudelmente, e crudelmente soffre l’ordine internazionale.

La settimana scorsa, a Caux sur Montreux ho preso parte ai lavori della quarta conferenza mondiale del Riarmo morale, erede dei Gruppi di Oxford.

A Caux ho potuto constatare con mano come sia possibile compiere un lavoro in comune veramente fecondo di risultati tra persone appartenenti ad oltre trenta Nazioni, a razze e credi religiosi diversi, sulla base dei comuni ideali umani di eguaglianza, di giustizia, d’amore fraterno, qualora siano sinceramente professati e concretamente da ciascuno vissuti, anche nella sua vita privata.

Cerchiamo e viviamo questa unità, onorevoli colleghi, e avremo così risolto il problema centrale della nostra vita politica, il problema della pacifica e proficua convivenza e dell’amicizia tra i cittadini e tra i partiti, non importa a quale famiglia spirituale essi appartengano.

Vivere di questa unità è possibile ed è doveroso. Il popolo lo esige da noi.

Le inenarrabili sofferenze del nostro popolo, ai cui bisogni spirituali e morali dobbiamo provvedere, urgono in questa direzione le nostre coscienze. (Applausi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole La Malfa. Ne ha facoltà.

LA MALFA. Onorevoli colleghi, uno dei membri più autorevoli di questa Assemblea, l’onorevole Nitti, ha osservato che noi abbiamo saputo delle dimissioni del Ministro del tesoro Corbino senza conoscerne esattamente le ragioni e che il Presidente del Consiglio ha accettato queste dimissioni senza darcene sufficienti spiegazioni. Io credo che questa osservazione abbia grande valore. Occorre che questa Assemblea prenda cognizione dei termini tecnici del problema della politica del tesoro.

Le conseguenze politiche delle dimissioni sono note al Paese; io direi anzi che purtroppo sono fortemente note al Paese. Un dibattito che doveva essere mantenuto in primo luogo nei limiti di una discussione tecnica, è diventato materia, direi, di speculazione politica e io penso che lo stesso Ministro dimissionario del tesoro, onorevole Corbino, debba dispiacersi di ciò.

In questa Assemblea, da qualunque parte e in qualunque settore si guardi, c’è una esigenza unica ed è quella che la lira sia difesa ad ogni costo. Le accuse che, a questo riguardo, uno dei settori dell’Assemblea e una parte dell’opinione pubblica rivolgono all’altra, non hanno nessun fondamento. La svalutazione della lira, la disfatta, direi, del Governo nella difesa della lira, travolgerebbe il sistema dei partiti politici e della democrazia in Italia. Nessun partito, di destra o sinistra che sia, può volere ciò.

Dovrei qui osservare che questa maniera, specifica e particolare del nostro Paese, di accentuare nei problemi che hanno prevalente aspetto tecnico e su cui, dopo un esame tranquillo, si può avere l’unanimità dei giudizi, di accentuarne, dico, l’aspetto politico, è uno degli inconvenienti più gravi della nostra vita pubblica e, direi, una delle testimonianze più gravi della nostra immaturità politica.

Prendete per esempio un problema come quello della nazionalizzazione delle industrie. Chi abbia seguito l’evoluzione del pensiero economico in questi ultimi anni, sa che il problema della nazionalizzazione rappresenta in certe circostanze un progresso tecnico che interessa la collettività sociale, e non questa o quella classe. È fuor di dubbio che, per esempio, il controllo e la nazionalizzazione dell’industria elettrica in Italia possono rappresentare un elemento di progresso tecnico ed economico, non soltanto per i consumatori, ma per categorie di imprenditori; cioè possono giovare all’industria nel complesso. Questo esempio, che è valevole in un campo, può esser valevole in altri campi; e se noi vogliamo dar prova di educazione democratica, dobbiamo discutere di questi problemi pacatamente e tranquillamente, accentuandone l’esame tecnico, e tenendo lontano ogni dogmatismo politico.

È molto facile, nel Parlamento o nella stampa, riferirsi alla nazionalizzazione come a tentativo di sovvertimento sociale, a un primo passo verso trasformazioni rivoluzionarie della struttura economica. Ed è molto facile altresì, ad un ingenuo massimalismo di sinistra, considerare un problema di nazionalizzazione dell’industria come il primo passo verso una palingenesi sociale. Ma questa impostazione semplicistica dei problemi, che mi pare caratterizzi purtroppo buona parte della stampa, rovina le possibilità della democrazia. Non esistono posizioni così assolute. In ogni momento politico si risolvono problemi concreti che la società offre; e non si risolvono a favore di questa o di quella classe, ma a favore della collettività tutta.

Così si presenta il problema, onorevoli colleghi, della così detta iniziativa privata o pubblica. Nel leggere il Risorgimento Liberale, io ho molto spesso l’impressione che a toccare l’iniziativa privata venga giù il mondo. Non è così. Si incide sull’iniziativa privata ogni qualvolta questa iniziativa nuoce allo sviluppo degli interessi collettivi. E noi possiamo trovare, non un esempio, ma mille esempi nel corso degli avvenimenti economici dell’ultimo trentennio, in cui l’iniziativa privata non ha portato avanti la società, ma l’ha fatta regredire.

Le discussioni impostate su basi così astratte dànno molte volte l’impressione che noi siamo ancora a dibattere problemi con lo stile ed il metodo della fine del secolo scorso, del 1890, che noi dimentichiamo che la società umana ha progredito nella soluzione di molti problemi ed ha abbandonato posizioni dogmatiche assolute, per affrontare problemi concreti di evoluzione sociale. Se poi a questa maniera di affrontare i problemi, si aggiungono alcune idee peregrine, come quella dello Stato amministrativo, di sapore settecentesco, la confusione non potrebbe essere maggiore. E questo Paese, che ha bisogno soprattutto di realizzazioni concrete, finirà col non capire più nulla della nostra funzione.

Ho voluto premettere queste osservazioni, onorevoli colleghi, perché esse calzano molto a proposito per quanto riguarda la politica del tesoro. Nel campo della politica del tesoro, noi abbiamo avuto un enorme progresso di conoscenze e di metodi tecnici negli ultimi quindici anni. Direi, anzi, più esattamente, che dopo la grande crisi del 1929, in cui furono sperimentati per l’ultima volta i mezzi del liberalismo classico, si aprì la via per i tecnici e i politici dell’economia a nuove esperienze e a nuovi metodi di lavoro nel campo della tesoreria e della finanza pubblica.

La politica del Ministero del tesoro è una politica centrale: è una politica che controlla o deve controllare tutto il settore privato dell’economia e tutto il settore pubblico. Direi, che la politica del tesoro è interessata permanentemente ai due settori e alle due posizioni: privata e pubblica. Quindi, onorevoli colleghi, enorme responsabilità.

Quando io dico che la politica del tesoro è al centro del settore pubblico e privato, non intendo dire che il Ministro del tesoro debba ingerirsi intimamente nel settore privato dell’economia. Intendo soltanto dire che un Ministero del tesoro, modernamente organizzato, deve conoscere gli svolgimenti e le direzioni dell’economia privata e, se del caso, deve essere in grado di controllare questa economia e di farne deviare il corso secondo gli interessi della collettività. Noi dobbiamo distinguere, se vogliamo vedere esattamente i fenomeni, i problemi di intervento dai problemi di conoscenza dei fenomeni economici. Non si conduce una politica finanziaria degna di questo nome, in questi anni, se non conoscendo esattamente tutti i fatti economici che avvengono sia nel settore privato sia nel settore pubblico dell’economia, e agendo coerentemente a questa conoscenza.

Nel superamento della crisi economica più grande che abbiamo avuto di recente, quella del 1929, e, direi, nella stessa trasformazione dell’economia di pace in economia di guerra, noi abbiamo avuto l’applicazione di questi criteri moderni di condotta della politica del tesoro nei vari Stati. Anche ad escludere la Russia sovietica, il cui sistema economico si può considerare peculiare, noi abbiamo visto svolgersi nuove esperienze tecniche negli Stati più diversi. La Germania nazista, l’Inghilterra liberale e gli Stati Uniti hanno condotto una politica finanziaria tecnicamente inappuntabile, hanno saputo cioè trasformare l’organizzazione privata dell’economia in maniera da farla servire agli scopi bellici dello Stato. Come vedete, ho citato esempi di regimi politici ben diversi. La verità è che, al di là dei presupposti politici di questi diversi regimi, c’è stata una condotta tecnica nel campo dell’economia e della finanza che ha risposto ai criteri, agli studi, all’esperienza che sono maturati nel mondo dalla prima alla seconda guerra mondiale.

Paesi come l’Italia e la Francia non sono riusciti a dare un indirizzo tecnico coerente alla trasformazione dell’economia di pace in economia di guerra. In questi paesi, il travaglio, il passaggio dall’economia di pace alla economia di guerra ha mostrato le maggiori deficienze. Il che, voi sapete bene, ha avuto le sue conseguenze nel campo della stessa condotta militare della guerra. Si tratta quindi di fenomeni molto importanti e che noi non dobbiamo trascurare.

La politica del tesoro ha alcune leve di comando. La prima è costituita dal congegno fiscale, ed io qui non sono d’accordo con il collega Riccardo Lombardi. Non è vero che la politica del Ministero delle finanze abbia più importanza della politica del Ministero del tesoro. Direi che, in una visione generale e complessa del problema della politica del tesoro, entra necessariamente in giuoco la condotta del Ministero delle finanze. È uno degli elementi essenziali di questa politica, e quindi l’unificazione tecnica dei due Ministeri deve prescindere da ogni considerazione politica e deve essere ricondotta a una ragione squisitamente tecnica. Non è possibile a nessun Ministro del tesoro di condurre la battaglia per la stabilizzazione della lira senza che esso abbia, minuto per minuto, la possibilità di controllare il congegno fiscale e di muoverlo nella direzione giusta. L’altra leva, di cui dispone il Ministro del tesoro, è quella del risparmio e della formazione di capitali, politica in cui l’onorevole Corbino ha dato grandi prove di abilità tecnica. La terza leva è costituita dal sistema dei prezzi e dal sistema dei salari e la quarta leva dal movimento dei cambi con l’estero.

Ora, solo attraverso l’esame dell’uso che l’onorevole Corbino ha fatto di queste leve, noi siamo in grado di arrivare ad una conclusione sulla politica del tesoro.

Quando l’onorevole Corbino si presentò al Ministero del tesoro ed illustrò in Consiglio dei Ministri la sua politica, a me parve evidente che egli aveva trascurato alcuni particolari aspetti del problema della tesoreria. Come fu necessaria una grande unità di direttive nel passaggio dall’economia di pace all’economia di guerra, è necessaria una politica del tesoro estremamente coordinata nel passaggio dalla economia di guerra a quella di pace. Noi non possiamo prescindere in nessuna maniera da questa necessità, cioè noi dobbiamo considerare che la sfera di intervento pubblico nell’economia, finché le condizioni, non solo del paese ma generali, sono eccezionali, deve essere assai vasta e particolarmente curata.

A me parve, come dicevo, fin dalla prima esposizione dell’onorevole Corbino, che egli volesse far valere una certa politica economica nel paese e su questa costruire una politica di tesoreria. Mi parve cioè che la tesi dell’onorevole Corbino fosse una tesi liberista tradizionale, cioè diretta a dare grande impulso alla iniziativa privata, per svilupparla e toglierle ogni preoccupazione, e che solo da questa riattivazione l’onorevole Corbino si attendesse i mezzi per alimentare la tesoreria. In altre parole, l’onorevole Corbino ha fatto dipendere l’alimentazione della tesoreria da una politica produttivistica privata.

Questa sua posizione fu caratteristica nel problema del cambio della moneta: che si presentò anzitutto come problema di accertamento statistico ai fini di una finanza straordinaria.

L’onorevole Corbino ebbe torto, a mio giudizio, a prendere posizione assolutamente negativa in materia di cambio della moneta. Ed io devo dire che, sebbene noi avessimo come responsabile nella politica delle finanze un altro titolare, l’onorevole Corbino volle deliberatamente assumere una corresponsabilità in un indirizzo di politica fiscale. D’altra parte, la politica produttivistica andava oltre le esigenze che il Paese manifestava. Non e vero – ed io qui sono in disaccordo col collega Riccardo Lombardi – che le classi possidenti non vogliano pagare. Io credo che lo stato psicologico di coloro che possono e devono contribuire alla finanza straordinaria sia stato di leale aspettazione. Quando e che cosa dobbiamo pagare? E questo «che cosa dobbiamo pagare» significava per molti: dobbiamo pagare parecchio, siamo disposti a pagare parecchio. Vi era la sensazione, qualche tempo fa, ed io spero che questa sensazione sia rimasta, che senza gravi sacrifici, soprattutto da parte di coloro che detengono la ricchezza, il Paese non avrebbe potuto uscire dalla crisi economica. È stato per molti una sorpresa il fatto che, in presenza di questo stato d’animo, non si sia mai determinato, da parte dello Stato, né come né quando né in che misura i contribuenti dovevano pagare.

Il cambio della moneta significava la conferma di una direttiva di politica fiscale e, direi, anche il presupposto, perché, per una politica tributaria che volesse colpire anche la ricchezza mobiliare, un’operazione di quel genere appariva essenziale. Ecco perché il cambio della moneta è stato applicato nei più svariati paesi. L’onorevole Corbino ha voluto prescindere da questo elemento fondamentale di politica fiscale e ha voluto fondare il suo sistema di alimentazione della tesoreria sulla fiducia che la sua politica produttivistica e il suo incoraggiamento del risparmio avrebbero determinato.

Osservai al Presidente del Consiglio di allora, onorevole De Gasperi, che questa maniera di impostare il problema mi sembrava quasi una spinta ad una politica inflazionistica. Naturalmente, la mia osservazione apparve temeraria, sebbene i fatti mi abbiano dato oggi ragione. D’altra parte, l’onorevole Corbino ha affermato la sua politica produttivistica con tale energia e direi con tale decisione da convincere molti, e in primo luogo il Presidente del Consiglio, della giustezza della sua politica. Dico molti. Ho ascoltato con molta attenzione il discorso dell’amico e collega Riccardo Lombardi e mi sono ricordato che egli ha condiviso, all’epoca della formazione del primo Governo De Gasperi, le critiche che io muovevo, che alcuni di noi muovevano, alle concezioni di Corbino. Tuttavia nel discorso che Lombardi ha pronunciato in luglio in questa Assemblea egli si è dichiarato convinto della politica produttivistica di Corbino. Si è parlato anche di abolire, se necessario, la nominatività dei titoli azionari, se questo poteva servire a incoraggiare l’investimento nell’industria. Ciò mostra che in questa delicata materia, noi abbiamo avuto uomini di valore che hanno oscillato nel loro pensiero generale. Questo, ad onor del vero, non è avvenuto per l’onorevole Corbino, che è stato fermissimo nei suoi convincimenti.

Naturalmente, la politica di Corbino così delineata non poteva non produrre determinate conseguenze. E le maggiori si sono avute nel campo salariale. Condizione essenziale perché il Ministero del tesoro possa ottenere dai sindacati una determinata condotta in materia di salari e dei stipendi, è che egli, attraverso una pressione fiscale durissima, chiami a sopportare sacrifici le classi abbienti, ed elimini il potere d’acquisto eccedente le normali necessità dal mercato: è l’esistenza di questo potere di acquisto che costituisce una delle maggiori spinte all’aumento dei prezzi e quindi alla inflazione.

Battendo fortemente, con ogni sorta di tributi, coloro che detengono capitale e risparmio, si ha il diritto di pretendere dalle classi lavoratrici, e quindi dalla C.G.I.L., un comportamento adeguato in questo settore. E a questo proposito io devo dire alla C.G.I.L. una verità. Non è possibile richiedere la stabilizzazione dei prezzi e pretendere continui aumenti di salario. Nella formazione del reddito, i salari e gli stipendi entrano per il 60 o forse per il 70 per cento. Il reddito è quindi per la maggiore sua quota, frutto di lavoro. Se si vuole stabilizzare e difendere la moneta, si deve imporre una tregua salariale, cioè il Ministro del tesoro deve poter dire alla Con federazione del lavoro: io mi impegno a questa politica; entro un certo numero di mesi cercherò di arrivare alla stabilizzazione dei prezzi, ma in questo periodo non posso accettare nessuna agitazione e nessuna politica di adeguamento salariale. Questa è una delle condizioni fondamentali perché si realizzi una politica di stabilizzazione. Se entro sei mesi un Governo che si è assunto questo impegno non è riuscito a stabilizzare o a dare una direzione ai prezzi, la politica è fallita e la Confederazione del lavoro potrà riprendere la sua libertà d’azione. Ma per il periodo in cui una politica è in atto, la Confederazione deve star ferma.

Una voce. Sono gli operai che pagano!

LA MALFA. Ho già premesso che presupposto di questa politica è che, anzitutto, paghino fiscalmente coloro che detengono capitali. Ma poi è la volta dei prezzi e dei salari. Ad ogni aumento salariale corrisponde un aumento dei prezzi, e la corsa può continuare all’infinito.

Anche qui il problema va visto nella sua tecnicità; perché se lo poniamo in termini politici, non usciamo mai dalla crisi ed accentuiamo la frattura, fra classi sociali e fra partiti, che già per molti versi esiste nel Paese.

Osservo ancora che quando l’onorevole Corbino ha iniziato la sua politica, è andato incontro a un periodo felicissimo. Io auguro a qualsiasi Ministro del tesoro di avere un periodo felice come quello avuto da Corbino. Egli si è trovato di fronte a una fase di diminuzione dei prezzi, cosa che non penso accadrà certamente, almeno per ora, all’onorevole Bertone. A che è stata dovuta questa diminuzione? Nel novembre scorso noi eravamo ancora in regime di stato d’assedio, cioè il nostro mercato era chiuso e le nostre relazioni commerciali con l’estero non erano ricominciate. Quindi il sistema dei nostri prezzi risentiva di questa situazione eccezionale, di questa situazione di guerra. Vi era aridità assoluta di determinati mezzi e prodotti sul mercato. Quando si aprì il mercato internazionale, si ebbe una repentina discesa dei prezzi, non ultima causa del rifluire di fondi al tesoro. Fu uno degli elementi del successo della politica di Corbino, ma fu dovuto anche al fatto che la speculazione in merci non era più possibile, perché la tendenza dei prezzi era al ribasso.

Vorrei aggiungere a questo proposito che, data la tendenza dei prezzi, la preoccupazione di Corbino che l’annuncio del cambio della moneta potesse fare rifluire i fondi verso le merci, non aveva grande ragione d’essere. La tesaurizzazione in merci sarebbe apparsa operazione poco economica.

D’altra parte, intendiamoci, non bisogna nemmeno farsi un mito di questo: per difendere la lira, non emettere nemmeno una lira. Non si tratta di principî assoluti. Si può difendere la lira anche emettendo temporaneamente nuove lire. Se col cambio della moneta in maggio potrò realizzare 60-70 miliardi, posso alimentare la tesoreria con emissione di biglietti dal gennaio all’aprile. Quando ho emesso un certo numero di miliardi, sapendo che li riprenderò attraverso l’imposizione fiscale dopo qualche mese, posso anche sopperire con nuova circolazione ai bisogni di tesoreria.

In definitiva, tutta la politica produttivistica dell’onorevole Corbino ha determinato l’afflusso di 64 miliardi nelle casse dello Stato dal gennaio al giugno. Ora, se si considera che il cambio della moneta avrebbe potuto dare, su per giù, lo stesso gettito, si può concludere che non valeva la pena di sacrificare una politica fiscale alla politica di fiducia dell’onorevole Corbino. Se è vero che le condizioni della tesoreria oggi sono quelle che sono, l’operazione di Corbino si può considerare poco riuscita. Noi abbiamo dato un certo orientamento alla nostra politica senza cavarne 200 miliardi, ma quello che avremmo potuto cavare con mezzi più sicuri.

La verità è che Corbino ritiene, e lo ha solennemente affermato in questa Assemblea, che sia indifferente per lo Stato prendere i fondi attraverso prestiti o attraverso imposte. Non è così. I due casi non coincidono assolutamente. È vero che in certi casi coloro che devono pagare le imposte tirano fuori le somme dalle banche, che l’avranno probabilmente già cedute al tesoro. Ma non tutti coloro che devono pagare imposte hanno dato danaro allo Stato; anzi, la maggior parte non ne ha dato o solo parzialmente. Comunque la differenza essenziale tra i due sistemi è una sola: che, quando io ho preso fondi attraverso l’imposizione fiscale, i fondi non escono più dalle casse dello Stato; ma quando li ho presi attraverso prestiti, essi in qualunque momento possono defluire dalle casse dello Stato. Al di là di un certo limite, si crea un grave peso per la tesoreria, e si possono determinare situazioni, estremamente gravi.

Ritengo che, se vogliamo fare una politica di difesa della lira, dobbiamo, in primo luogo, usare il congegno fiscale, e, dopo, gli altri mezzi. La politica fiscale decurta, ripeto, il potere d’acquisto del mercato e opera molto più efficacemente dei calmieri, che io considero pannicelli caldi, sul sistema dei prezzi. Naturalmente, oggi non si può fare affidamento sull’afflusso di merci estere per un’ulteriore diminuzione dei prezzi. Il periodo felice, di cui ha goduto l’onorevole Corbino, si è chiuso. Anche in questo campo le sue previsioni su un’ulteriore diminuzione dei prezzi non si sono avverate. Poiché lo Stato non ha forte disponibilità valutarie, esso non può alimentare il mercato secondo le sue necessità. Ed i prezzi tendono ad adeguarsi alle condizioni reali di approvvigionamento. Più tardi, con la possibilità di utilizzare prestiti esteri o per altre evenienze, la pressione dei prezzi internazionali si farà sentire. E allora bisognerà approfittarne.

Io mi scuso con l’onorevole Corbino e col Presidente del Consiglio per queste critiche, ma ritengo che dobbiamo guardare in faccia la realtà e dirci francamente queste cose. Non si tratta di usare facili armi di polemica; io non credo di usare argomenti polemici. Si tratta di chiarire a noi stessi i problemi.

In conclusione, non è luogo e tempo adesso di promuovere l’iniziativa privata. L’iniziativa privata si promuove da sé. Occorre piuttosto badare al passaggio, cui accennavo, dall’economia di guerra a quella di pace. Esso deve avvenire gradualmente. Se lo Stato si lascia sfuggire il controllo di questa situazione, determinerà un disordine maggiore nei due campi, e dell’economia privata e della pubblica. Alcuni provvedimenti, che sono stati o semplicemente annunciati o adottati, mi dànno ragione. Così l’abolizione della nominatività dei titoli. Questo provvedimento, che fu semplicemente auspicato, non s’inquadra in nessuna politica del tesoro, È un assurdo. È inutile chiamare speculatori quelli che operano in borsa. Si sa benissimo che se si annunzia l’abolizione della nominatività dei titoli, le quotazioni salgono. Prendersela con gli operatori in borsa, che evidentemente non sono dei frati, significa ignorare l’essenza del problema. Se si vuole che non si determini un movimento al rialzo, bisogna non abolire la nominatività.

Da questo punto di vista, la politica del Ministro del tesoro è una politica estremamente difficile. Il Ministro non ha da fare coi santi, ma con uomini d’affari estremamente accorti, che sanno cogliere a volo le conseguenze di una determinata politica di Governo. I nostri biasimi su quello che il capitale privato fa o non fa non servono assolutamente a nulla. Il capitale privato fa quello che noi consentiamo che faccia. Siamo noi che dobbiamo fissare una politica che, non danneggiando la finanza pubblica, non limiti al di là del necessario l’iniziativa privata. Occorre stabilire esattamente, i limiti e non andare avanti e indietro. Quello che è avvenuto in materia d’incoraggiamento al capitale privato, dal mio punto di vista, è assolutamente contraddittorio. Noi diamo prima una spinta al capitale privato e poi accorgendoci di avere sbagliato, gridiamo allo scandalo. Una politica economico-finanziaria deve avere una visione dei problemi della ricostruzione per un certo numero di anni.

È possibile, onorevoli colleghi, che fra tre o quattro anni lo Stato non abbia più un bilancio straordinario, ma da qui a tre o quattro anni lo Stato sarà al centro della iniziativa economica del Paese. Esso deve avere la responsabilità di questa politica. Non può lasciare andare l’economia nel settore privato e in quello pubblico così come è andata fin’ora. Nessuno vuole ciò. Tutti chiedono una politica chiara e netta. Tutti desiderano che voi diciate francamente che cosa volete da coloro che detengono i capitali, e quali sono le condizioni e i limiti della tassazione. Detto questo una volta per tutte, la gente sa che cosa fare. Solo così voi rispettate l’iniziativa privata. In altre condizioni non la rispettate più. È fondamentale per me togliere il Paese dall’ansia in cui vive e chiarire la situazione.

La critica che i comunisti hanno fatto a Corbino è una critica che ha la sua ragione d’essere dal punto di vista tecnico. E non perché parte da loro deve essere dichiarata infondata. Il partito comunista ha individuato il punto debole di una politica e quando io ho assistito a questo fatto, di giornali che hanno rifiutato degli articoli di critica a Corbino perché questo significava aiutare la tesi del comunismo, ho pensato che questo non è paese di democrazia. Se questa è la posizione che si intende prendere, la finanza e l’economia non c’entrano. Ci sono due posizioni polemiche e queste due posizioni si valgono di qualsiasi argomento per accentuare la frattura nel Paese. I problemi non hanno soluzione democratica, ed il fucile è la sola arma che ci rimane per risolvere il conflitto.

Come dicevo inizialmente, il problema della nostra difesa monetaria è un problema comune a tutti i partiti. Nessuno può seriamente pensare che il partito comunista voglia il disfacimento monetario del Paese. Se dunque il problema è comune a tutti, abbiamo il dovere di trovare i termini tecnici per la sua soluzione e la discussione deve essere pubblica e riuscire estremamente chiara al Paese. Mi auguro che il nuovo Ministro del tesoro, quando avrà esaminato la situazione, verrà a darci cifre complete e non a spizzico una cifra o l’altra. E mi auguro altresì che questa Assemblea possa discutere su problemi concreti e non su cose astratte, che non portano nessun beneficio al Paese.

Nuova politica. Io ho ascoltato con molto interesse le dichiarazioni del Presidente del Consiglio. Debbo dire che mi sono parse piuttosto vaghe. Siccome il Presidente del Consiglio non ha responsabilità tecnica, dobbiamo attenderci dal Ministro del tesoro più precise ed esaurienti dichiarazioni. Ed in primo luogo, bisogna che diciamo al più presto che cosa noi vogliamo realizzare col sistema delle imposizioni straordinarie. Non importa che le applichiamo subito; dobbiamo dire che cosa vogliamo: quando vogliamo applicare queste imposte; quali sono le aliquote relative. Leggevo sul giornale Il Tempo una critica feroce al progetto comparso sul giornale Il Globo. Lo si accusava di costituire una spoliazione, che così tutti coloro che detengono ricchezze devono vendere i loro beni per dare il danaro allo Stato; lo Stato diventa padrone di case, ecc. Credo che questa maniera di trattare i problemi sia di una rudimentalità veramente singolare. Lo Stato può anche decretare una imposizione severa, se è necessario. Ci sono mille mezzi tecnici per mobilizzare le imposte. Non è necessario che il contribuente venda i beni. Il problema non è relativo all’altezza delle aliquote, s’intende entro certi limiti. Il problema è di determinare, una volta per tutte, la direzione della nostra politica finanziaria.

Ancora in materia di imposizione straordinaria, è necessario che anche l’imposta personale progressiva sia applicata prima della cosiddetta stabilizzazione. E non dopo, come mi sembra abbia affermato il presidente del Consiglio. Non possiamo aspettare una stabilizzazione di cui l’imposta personale è presupposto fondamentale.

Ma il problema grave nell’esposizione fatta dal Presidente del Consiglio è questo: determiniamo le imposte, tutte le imposte e tranquillizziamo il Paese; ma come risolviamo il problema della tesoreria? E qui io vorrei pregare la cortesia dell’onorevole Corbino di renderci possibile nella sua esposizione una visione completa del problema, di comunicarci i dati che a noi mancano per giudicare completamente la sua politica. Si dice che la situazione della tesoreria sia molto debole. Occorre conoscere i dati della situazione reale. Un altro elemento che serve al nostro giudizio è quello dei residui passivi. Ho sentito parlare in quest’Assemblea dei mezzi con cui si alimenta la tesoreria: fondi bancari, ecc. Non ho sentito parlare di residui passivi. Mi ricordo che uno dei mezzi con cui si alimenta il bilancio dello Stato è quello di postergare il pagamento dei debiti. Dobbiamo sapere cosa erano i residui passivi un anno fa e cosa sono oggi, e questo per completare il nostro giro di orizzonte sulla situazione.

Per quanto riguarda la disponibilità dei fondi, evidentemente, siamo in una situazione molto grave. Quali sono i mezzi per superarla? Vi è stata una proposta dell’amico Lombardi: legare il cambio della moneta ad un prestito. Dirò più avanti quale è il mio pensiero su ciò. Ma vorrei che si decidesse se questo cambio si deve o non si deve fare. A mio giudizio va fatto; si farà fra nove o dieci mesi, ma dovrà essere fatto. Mi risulta che sono sorte difficoltà tecniche; questo è un fatto estremamente grave e sarebbe bene promuovere anche un’inchiesta in proposito. Ma ciò non toglie che il problema possa essere risolto.

Comunque, nel progetto del collega Lombardi si legava il cambio della moneta alla emissione di un prestito, dando ai detentori di capitali mobiliari la scelta fra pagare un’imposta o sottoscrivere al prestito. Io non sono d’accordo con questa idea: non possiamo imporre un prestito ai capitali mobiliari soltanto. Il capitale mobiliare è quello che meno si è avvantaggiato dell’inflazione. Un prestito di questo genere si dovrebbe applicare a tutto il complesso della proprietà immobiliare e mobiliare.

Ma il problema, come tesoreria, è il seguente: è possibile, e in che maniera, anticipare il gettito delle imposte? Perché se il gettito si realizza tra quattro o cinque mesi, noi avremo quattro o cinque mesi di difficoltà di tesoreria.

In genere, si possono suggerire due sistemi. Uno potrebbe essere quello adottato in Germania: anticipare il versamento delle imposte concedendo sconti adeguati. Io credo che il Ministro del tesoro possa tecnicamente studiare il problema se non convenga estendere il sistema anche alle imposte ordinarie, cioè, chiamare il contribuente – attraverso sconti e facilitazioni – ad anticipare il pagamento dei tributi.

Un altro sistema, raccomandato da tecnici, è quello di esentare dall’imposta progressiva la parte di patrimonio che viene versata in prestito, e credo, che, in certo senso, questo possa essere fatto. Cioè, il capitale che viene sottoscritto non viene calcolato nell’imponibile dell’imposta progressiva.

Rimane il problema del credito allo Stato, credito che, mi sembra, abbia subito una certa diminuzione. Ora io ho l’impressione che il sistema bancario sia sempre controllabile dall’ispettorato del credito; mentre il congegno fiscale e gli uffici finanziari lasciano ancora a desiderare, mentre il sistema dei prezzi non è ancora disciplinato, il sistema bancario è controllabile dall’organo cui ho accennato. Se c’è un campo in cui il Ministro del tesoro ha delle cifre esatte – perché sono cifre contabili – questo è quello del credito. Anche in questo campo il Ministro del tesoro deve fare un notevole sforzo e indurre il sistema bancario a venire incontro alle necessità della tesoreria. Una pressione in tale senso può ancora dare utili risultati. Io mi ricordo di aver letto, nel periodo di guerra, circolari della Banca d’Inghilterra con le quali, senza coazione alcuna, si pregavano i direttori ed amministratori delle grandi banche di ridurre, data la situazione di tesoreria, gli investimenti privati e di fare affluire i fondi alla tesoreria dello Stato. Naturalmente, in un paese pervaso di spirito democratico com’è l’Inghilterra, non è necessario un decreto, ma sono gli stessi amministratori delle grandi banche che si rendono conto delle conseguenze che uno slittamento della moneta può avere sulla situazione. Io credo che qualcosa di simile si possa fare anche in Italia.

In questi momenti, del resto, il Ministro del tesoro deve avere molta fantasia. Prima che le imposte straordinarie diano un gettito, si tratta di sfruttare tutti i mezzi e tutti gli accorgimenti che la tecnica offre. Se arriva un aiuto dall’estero, ben venga, perché credo che questa sia una delle leve più potenti per creare nuove possibilità di tesoreria.

Per quanto la situazione sia grave, penso che noi possiamo dare l’impressione al paese – sono in questo d’accordo con il Presidente del Consiglio – che non abbiamo perduto la battaglia della lira e che la lira può essere difesa. Dobbiamo dare anche la sensazione che tutti devono fare sacrifici, altrimenti la rovina non sarà di questa o di quella classe sociale, ma dell’intera collettività.

Qualche parola sul problema nei cambi ed ho finito. Il problema dei cambi è collegato ad un provvedimento di cui io sono un poco responsabile. Quando ero Ministro del commercio estero sono stato io a proporre la concessione in libera contrattazione di un 25 per cento della valuta agli esportatori.

Trascuro le discussioni che su questo Ministero sono avvenute in quel tempo; si è parlato di limitazione alla libertà di commercio ed altro. Discussioni assurde. Un Ministero del commercio estero serve a passare dalla libertà di commercio all’intervento dello Stato, ma serve anche a passare da una politica di intervento statale, gradualmente, alla libertà di commercio. Le discussioni sono state per me la prova specifica della assoluta immaturità della stampa nel considerare problemi di questo genere. Che cosa era il Ministero del commercio estero come io l’ho visto ricostituirsi sulla tradizione? Il Ministero del commercio estero era una amministrazione di affari privati; il Ministero decideva affari privati: su una domanda di esportazione bisognava dire sì o no. In genere, né il Ministro né i funzionari sono degli esperti di tutti i singoli rami dell’economia. Occorreva uscire dall’arbitrio di determinazioni occasionali, di un giuoco di testa e croce. La concessione di una percentuale di valuta nelle merci esportate aveva appunto lo scopo di portare su un piano di determinazioni generali l’attività del Ministero del commercio estero. Se il Ministero del commercio estero autorizza l’importazione generica di determinati prodotti, fa politica commerciale; se autorizza una singola importazione, non fa politica, ma si ingerisce in affari privati. Ora il sistema del 25 per cento, che io non avrei portato al 50 per cento, aveva il vantaggio di sperimentare un sistema, ma non doveva consentire l’evasione dei capitali. Il controllo valutario doveva rimanere. Se c’è evasione, se quel 50 per cento non rientra sotto veste di merci importate, evidentemente il congegno tecnico di controllo non funziona.

Dal punto di vista tecnico, per completare questa esposizione, la sola osservazione che devo ancora fare all’onorevole De Gasperi è quella che riguarda il cumulo dei portafogli. L’onorevole Nitti ha illustrato questo problema da par suo. Per parte mia, durante la crisi Parri, andai dall’onorevole De Gasperi per dirgli che, a mio parere, il Presidente del Consiglio non poteva essere anche titolare di dicasteri. Io ero al dicastero dei trasporti nel Governo Parri. In sei mesi non ho potuto parlare della politica dei trasporti col Presidente del Consiglio. Un Ministro, che fa parte di un Governo, non può fare una politica soltanto personale. Per scarico di coscienza egli ha bisogno di trattare della sua politica innanzitutto col Presidente del Consiglio dei Ministri, poi nel Consiglio dei Ministri. La risposta che mi diede l’onorevole De Gasperi, quando gli manifestai il mio parere, non mi piacque. Mi si disse che anche Giolitti deteneva il Ministero dell’interno. Ora lo Stato che esce dal regime fascista non è lo Stato di una volta.

Vi è stata una profonda trasformazione nella vita del Paese, e lo Stato di oggi deve dare un indirizzo politico a tutta la vita della Nazione. Oggi il Presidente del Consiglio deve chiamare ogni giorno i suoi Ministri, udire le loro decisioni politiche. Questa è la sola garanzia che una politica sia politica di governo e non politica personale di Ministri. D’altra parte lo stesso ordinamento che si dà ai lavori del Consiglio dei Ministri mi ha fatto seria impressione. Il Consiglio dei Ministri non discute mai della politica dei dicasteri, discute di leggi. Ma le leggi non sono tutto. Si discute, per esempio, al Consiglio dei Ministri del Consiglio di amministrazione della Roma nord. Che importanza ha per un Ministro discutere coi suoi colleghi di questo provvedimento? Questo può discuterlo un Consiglio di sottosegretari o di direttori generali. Il problema fondamentale è quello della politica dei singoli dicasteri.

C’è un ordinamento strutturale che va riveduto. In Consiglio dei Ministri si deve decidere della politica del Governo. Io ho visto sminuzzare la discussione su provvedimenti legislativi fino all’esame di singoli articoli. Ma che cosa importano gli articoli nella visione della politica di un Governo? Abbiamo mai avuto una relazione sulla politica dell’agricoltura? La stessa politica del tesoro non è stata mai affrontata né in questa Assemblea, né fuori di questa Assemblea.

Con questa mancanza di linee politiche concrete, la nostra stampa non ha mai un problema serio da trattare. Ha il problema del comunismo, del socialismo, del cattolicesimo, delle ideologie e dei contrasti, ma non ha mai un problema vero e proprio da affrontare.

Vi cito a questo proposito una mia esperienza: si trattò ad un certo punto di ricostruire la linea adriatica. Nacque il problema di spostare le stazioni ferroviarie. Ciascun comune credeva di aver diritto, per ragioni turistiche od altre, a questi spostamenti. Venivano delegazioni, rappresentanze comunali, ecc. a chiedere spostamenti. Non sapevo che cosa fare. Ho pregato l’Amministrazione di calcolare che cosa avrebbe comportato lo spostamento delle stazioni ferroviarie: 30 miliardi di lire. Io non ero in grado di decidere se favorire il comune di Rimini o quello di Pescara. Non era una decisione del Ministro dei trasporti, era una decisione di Governo. Perché la stampa non può occuparsi di questi problemi, mentre si occupa molte volte di chiacchiere inutili? Questi sono problemi di struttura governativa. Sono problemi per i quali non possiamo dire: il Consiglio dei Ministri del 1860 era ordinato su queste basi. Il Consiglio dei Ministri del 1860 non ha nulla a che fare col Consiglio dei Ministri attuale, con i problemi dello Stato e del Governo attuali.

Non ho altro da dire. I problemi della democrazia per me sono questi. Noi dobbiamo pensare che un terzo della ricchezza nazionale è distrutto e che ci sono condizioni obiettive contro cui occorre lottare, che sono condizioni di fame e di miseria. Un terzo della ricchezza distrutta, significa milioni e milioni di italiani che non hanno mezzi di vita. Questi problemi, che la democrazia deve affrontare, non possono essere risolti in un giorno o in un mese. Il malcontento, la fame, la miseria battono alle nostre porte e non possiamo fare nulla, perché non possiamo creare un terzo della ricchezza nazionale in uno o due anni. Tuttavia dobbiamo avere il senso del cammino da percorrere. Dobbiamo sapere fin da ora qual è la strada che ci conduce alla meta. Dobbiamo aver fede ed energia; perché se è vero che la democrazia noi la costruiremo in un lungo spazio di tempo, in questo spazio di tempo dobbiamo considerarci in regime di guerra. Oggi sembra tutto oscuro, ma se abbiamo fede nell’avvenire, tutto diventerà, chiaro. Quelli di noi giovani che hanno combattuto, hanno combattuto non per sentirsi dire dal Presidente del Consiglio: Scusate, io non sono Facta, ma per sentirsi dire che qualche cosa si può e si vuole costruire. (Vivissimi applausi a sinistra e molte congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Corbino. Né ha facoltà.

CORBINO. Ho ascoltato col più vivo interesse la spiegazione scientifica della politica del tesoro che ha voluto dare l’onorevole La Malfa. Lo ringrazio per le parole gentili che talvolta egli ha dette a mio riguardo, ma non gli sono grato di avermi fatto soltanto oggi questa lezione. Se me l’avesse fatta il 9 dicembre 1945, egli avrebbe reso un grande servizio a me e forse anche al Paese, perché, a sentire le enormi difficoltà alle quali io sarei andato incontro, con leve di qua e leve di là, con direttive politiche delle quali molto modestamente non arrivo talvolta a vedere il nesso logico, io mi sarei spaventato talmente che avrei recisamente rifiutato il portafoglio del tesoro. Non ebbi quella fortuna e mi trovo qui nella veste, non dirò di imputato, ma di vinto. Però consentitemi di dirvi che anche i miei vincitori, ai quali sportivamente rivolgo le mie più vive congratulazioni, non sono del tutto tranquilli di non dover pagare anche loro qualche piccola cosa per la vittoria.

Consentitemi innanzi tutto di rilevare che si commette un errore gravissimo quando si dice: politica economica di Corbino. La politica economica del tesoro non può essere una politica personale. Nessun Ministro può fare una politica personale, e meno di tutti la può fare il Ministrò del tesoro, perché al tesoro confluiscono le cose buone e le cose cattive che fanno tutti gli altri colleghi del Gabinetto. Il povero Ministro del tesoro è una specie di punto centrale in cui vengono a confluire tutti gli errori ed i successi degli altri colleghi. È per questo che sarebbe bene che i Ministeri fossero poco numerosi: vi sarebbero minori probabilità di errori e minori guai per il Ministro del tesoro.

Ora, dov’è questa benedetta politica di Corbino? Io, francamente, mi sono sentito perfino inorgoglito nel sentir dire di avere fatto una politica corbiniana. Io non ho fatto nessuna politica personale: potete essere sicuri di questo. (Si ride).

C’è stato solo un momento in cui ho potuto dare – diciamo così – un’impronta personale alla mia politica; ed è stato il momento in cui si doveva decidere – come ha ricordato l’amico La Malfa – della questione del cambio della moneta.

Io, personalmente, ero convinto – a parte il fatto che tecnicamente non lo si poteva attuare – che fare il cambio della moneta sarebbe stato un errore. Molti dei miei colleghi non erano di questo parere. L’amico Togliatti, nel suo discorso del 24 luglio, disse che tutti i Ministri erano favorevoli al cambio, ed io solo ero contrario. Ora, devo dar conto a questa Assemblea della mia condotta. Potete essere tranquilli che non avevo nessuna bomba atomica a mia disposizione per forzare la volontà di 18 Ministri, i quali volevano questo cambio della moneta, che io non volevo. Io dissi però una cosa semplicissima: «Sentite, cari colleghi; a mio giudizio questa operazione non si deve fare; se credete che si debba fare, cambiate il Ministro del tesoro». Posta così la questione, i colleghi che volevano il cambio, avrebbero potuto dire: «Allora vattene», oppure: «Allora ce ne andiamo noi». (Interruzioni).

In Italia non c’è stata, specialmente negli ultimi tempi, l’abitudine di dare le dimissioni, perché ciascuno di noi è convinto che, se desse le dimissioni, succederebbe la fine del mondo. Ora, credete pure che non succederebbe niente. L’amico La Malfa, che in quella seduta votò contro la deliberazione a me favorevole, aveva un sistema molto più sbrigativo di scindere la sua responsabilità dalla mia: avrebbe potuto dare le dimissioni. Perché non l’ha fatto? Aveva forse paura che sarebbe successo qualche cosa di grave? Io dico che non sarebbe successo niente. E c’è la contro-prova; perché, dopo poco tempo, quando il Partito d’Azione decise di fare una azione contro se stesso, il collega La Malfa dovette uscire dalla combinazione, fu sostituito da Bracci e le cose andarono per lo meno come prima. (Si ride).

Non vedo dunque perché la responsabilità di questa politica debba essere soltanto di Corbino e non di tutti. Perché: o voi avete condiviso il mio giudizio in quel momento – ed allora abbiamo sbagliato tutti – o voi non avete saputo apprezzare il punto di arrivo, al quale avrebbe portato la mia politica – ed allora avete anche voi la vostra responsabilità, perché in un Governo di Gabinetto si risponde non soltanto di quello che si fa, ma anche di quello che si lascia fare. (Approvazioni).

Questa era la situazione. Del resto – scusate il paragone – per me il Governo è come un’orchestra, in cui ognuno deve suonare il suo strumento; io avevo lo strumento che si chiama tesoro. Il punto al quale noi tutti tendevamo era quello delle elezioni. E le elezioni bisognava farle con la maggiore calma possibile, ciò che escludeva già il cambio della moneta. Ci volevano circa 70 mila agenti, e l’amico Romita, allora Ministro dell’interno, disse: «O facciamo il cambio, o facciamo le elezioni». (Segni di diniego del Ministro Romita – Commenti).

Mi correggo. Io preferivo che si facessero le elezioni. Occorrevano 70.000 agenti di polizia, bisognava mobilitare un’enorme quantità di mezzi di trasporto che allora mancavano, e siccome le operazioni del cambio della moneta richiedevano due mesi di tempo e sarebbero capitate proprio nel momento delle elezioni amministrative, Romita disse: «Se potremo fare il cambio prima, io darò gli agenti; ma contemporaneamente non li posso dare». (Commenti).

Delle elezioni amministrative io non mi preoccupavo gran che, ma mi preoccupavo molto di quelle politiche, perché bisognava uscire dalla situazione in cui ci trovavamo di essere sei partiti al Governo, ciascuno dei quali era convinto di rappresentare qualche cosa, senza che ci fosse un organo eletto direttamente dal popolo che potesse dire quali erano i partiti che avevano una forza e quali quelli che non l’avevano.

Ora credete pure che un ambiente economicamente e finanziariamente favorevole alla quiete pubblica, non si sarebbe potuto avere, se noi avessimo messo in mezzo il problema del cambio della moneta. È stato questo uno degli elementi più decisivi per farci arrivare alle elezioni politiche.

Si tenga presente che, presentendo le necessità che si sarebbero manifestate in marzo, aprile e maggio, io, senza tener conto di elucubrazioni scientifiche, mi regolai come una buona madre di famiglia che sa che ad un certo momento dovrà fare una spesa straordinaria: mi costituii un gruzzoletto, alimentando il tesoro come me lo consentiva la fiducia del pubblico, e dando a tutti i colleghi, nei limiti della stretta necessità, collegata con quella del mantenimento dell’ordine pubblico, i mezzi di cui essi avevano bisogno. E ci sono riuscito, tanto che in aprile, partendo da un fondo di cassa di 15 miliardi, ero arrivato a 37 miliardi, e quando il Ministro Romita, preoccupato delle condizioni dell’ordine pubblico, mi domandava miliardi per lenire la disoccupazione, io, che avevo fatto economia e parsimonia di mezzi, lo potevo assistere fino ai limiti entro i quali egli mi richiedeva somme. L’amico Romita può dire se questo è vero.

Siamo così arrivati alle elezioni del 2 giugno, e questa era la nostra meta. Ora voi potete parlare di fallimento della politica economica di Corbino; ma quando una politica economica consente ad un Paese come l’Italia di eleggersi tranquillamente una Costituente, può fallire come politica economica, ma non ha fallito come politica politica. (Applausi – Commenti).

Venne poi la crisi istituzionale, e dopo la crisi ministeriale. In questa crisi io ebbi una parte molto piccola, ma è bene che l’Assemblea la conosca.

In un primo momento pareva che dovessi entrare nella combinazione De Gasperi. Il partito al quale ero iscritto aveva intanto deciso di dichiararsi contro il Governo e siccome, a ragione o a torto, il mio nome era diventato come un simbolo della stabilità della lira, io non volevo che si dicesse che, rifiutando di restare al Governo, avessi tolto questo appoggio psicologico, sia pure piccolissimo, alla solidità della lira. Avrei potuto ritirarmi con i miei amici del partito e mettermi all’opposizione e stare a vedere quello che sarebbe successo, ma ciò non sarebbe stato onesto, né dal punto di vista personale, né dal punto di vista politico. E pertanto, quando l’onorevole De Gasperi mi chiese se fossi disposto a collaborare con lui da tecnico indipendente, gli dissi senz’altro di sì ed uscii dal partito. Ci fu chi disse che ne ero uscito perché avevo il desiderio di restare a fare il Ministro. La cosa non mi interessava, anche perché ciascuno i suoi desideri li può nutrire nell’animo proprio, anche se apparentemente dimostra di nutrirne degli altri.

Partecipai alle prime trattative per la formazione del Governo su uno schema di 27 punti, che avevo sottoposto al giudizio e all’esame del Presidente del Consiglio. Ad un certo momento sorsero delle difficoltà sul mio nome, per cui mi appartai dalle trattative e rimasi al Ministero del tesoro in attesa di sapere quale sarebbe stata la mia sorte. Dopo una dura battaglia, fui riconfermato.

Venuti qui alla Costituente, abbiamo esposto, il Presidente del Consiglio il programma generale ed io, nella esposizione finanziaria, il mio; e siccome, contrariamente al requisito che La Malfa vuole attribuire al Ministro del tesoro, io non ho fantasia e sono un uomo terra terra che capisco solo le cose semplici, in sostanza dissi: Se le cose sono andate bene fin’ora, perché dobbiamo cambiare? Non vedevo tutte quelle strutture di politica economica estremamente complessa di cui ha parlato La Malfa. Ciascuno ha delle deficienze visive o intellettive. Comunque c’erano due o tre punti che avevano una certa importanza. Un primo punto era costituito dalla corresponsione del premio della Repubblica, congegnata in modo che dovesse servire principalmente per dare alle classi più misere la sensazione che il Governo conosceva le loro condizioni veramente tristi.

Ma in corrispettivo ci doveva essere, almeno per un periodo di due-tre mesi, non il blocco dei salari, che nessuno voleva, ma una tregua, e soprattutto una forma di svolgimento delle vertenze salariali che fosse compatibile con il mantenimento dell’ordine.

Il secondo punto si riferiva all’imposta sul patrimonio. Io avevo proposto l’imposta sul patrimonio immediata, a carattere personale e progressivo, per i patrimoni al di sopra di una certa cifra: 35-40-50 milioni (Commenti a sinistra), perché la gente che possiede tanto non è molto numerosa, e in due mesi gli accertamenti sarebbero stati fatti e le imposte sarebbero state riscosse. Il seguito dell’imposta si sarebbe dovuto fare l’anno prossimo, perché con il minimo di imponibile previsto nel progetto del collega Scoccimarro in due milioni di lire, sarebbero stati pochi i cittadini italiani del tutto non abbienti che non avrebbero avuto obbligo di denuncia (Commenti a sinistra). Quindi si trattava di rinvio della seconda parte. Badate che il progetto di imposta sul patrimonio più feroce che sia stato preparato in Italia l’ho pubblicato io nel 1944, quando gli altri ancora non ci pensavano.

Su questa imposta però c’era una differenza di opinione a proposito dell’imposizione dei titoli di debito pubblico. Io sostenevo, come sostengo e sosterrò, che fino a quando la lira non sarà stata saldamente ancorata all’oro, i titoli a reddito fisso debbano essere temporaneamente esentati dall’imposta personale sul patrimonio (Approvazioni a destra), perché questi titoli hanno finora pagato il 95 per cento; è quindi agli altri cespiti che bisogna chiedere delle decurtazioni a carattere progressivo. Senonché su questo punto io sapevo che non mi sarei trovato d’accordo non soltanto con il collega delle finanze (tornerò fra poco sull’argomento, e dirò in quali cordialissimi termini noi abbiamo collaborato col Ministro Scoccimarro in questi 9 mesi, contrariamente a quello che si pensa), ma anche con altri colleghi del Gabinetto, di maniera che io presentivo che ad un certo momento si sarebbe presentata una situazione analoga a quella del gennaio, nella quale avrei detto: «Sentite, io la penso così; siccome voialtri la pensate diversamente, voi assumete la responsabilità della vostra politica e io assumo la responsabilità della mia». A questo punto non ci siamo arrivati. Non ci siamo arrivati, perché, per un complesso di elementi che sfuggono alla mia comprensione, a partire dalla prima decade di agosto io sono stato l’oggetto di una particolare attenzione – chiamiamola così – da parte di voi, colleghi dell’estrema sinistra, non certo dal punto di vista personale, perché sono stato in due Gabinetti nei quali c’erano i comunisti (al Consiglio dei Ministri sono stato vicino di sinistra dell’onorevole Togliatti e poi vicino di destra dell’onorevole Scoccimarro) e personalmente non abbiamo mai avuto occasione di scambiare una parola, non dico meno che corretta, ma addirittura meno che cordiale.

Quindi, evidentemente ci doveva essere una ragione che a me sfuggiva, ragione che determinava, da un lato una serie di movimenti, agitazioni, scioperi, dall’altro una serie di attacchi sui giornali per cui, se io avessi continuato a fare il tonto, avrei fatto proprio una figura di tonto, il che non è nelle mie abitudini.

Questa offensiva si accentuò particolarmente dopo il mio ritorno da Parigi. Quotidianamente o nelle manchettes, o negli articoli, il giornale l’Unità si occupava di me e si occupava di me in maniera tale da colpire me non come Corbino, ma come tipo di una politica; di maniera che, a un certo momento, la gente cominciò a dire e a domandarsi: ma Corbino che ci sta a fare, se deve essere attaccato in questo modo? La sua politica in che cosa consiste?

Badate che non si trattava soltanto di una questione di colonne di giornali; no! Questa situazione esercitava la sua influenza, tutt’altro che benefica, sulla situazione di tesoreria, perché la gente sentiva che Corbino cominciava a vacillare ed allora, nella incertezza di quello che sarebbe accaduto, cominciò a non rinnovare i buoni del Tesoro (Commenti a sinistra) con la stessa larghezza con cui li aveva rinnovati prima; poi ritirava le somme dai conti correnti bancari e, a un certo momento, io mi sono domandato se proprio non fosse un mio dovere di cessare di essere un bersaglio, per salvare la parte sostanziale che stava dietro di me, e cioè la lira.

Di questa situazione mi resi interprete presso il Presidente del Consiglio, che mi è stato sempre largo di affettuosa solidarietà, e gliene debbo pubblica gratitudine. Gli dissi: «Caro Presidente; qui non c’è che una soluzione: il Ministro del tesoro non può essere un indipendente, il Ministro del tesoro deve essere un uomo dei tre partiti di massa, perché soltanto un partito di massa che stia alle spalle del Ministro del tesoro può diminuire la violenza degli attacchi che contro di lui si fanno e gli può dare la forza e la capacità di resistere per difendere la lira».

La questione fu rimandata al successivo ritorno dell’onorevole De Gasperi da Parigi. Senonché le cose cominciarono a precipitare.

Nella settimana che si chiuse con la domenica 1° settembre la mia situazione era diventata veramente insostenibile dal punto di vista personale ed insostenibile diventava dal punto di vista tecnico. La cosa era tanto più curiosa, in quanto i colleghi di Gabinetto non avevano mai detto una parola che potesse far trasparire in loro una mancanza di fiducia verso di me. Cito un episodio: quando abbiamo deliberato in Consiglio dei Ministri il provvedimento del prelievo del 25 per cento sulle azioni distribuite gratuitamente, il collega Scoccimarro, che doveva partire, mi pregò, malgrado che fosse di competenza del suo Ministero, di preparare il provvedimento d’accordo col direttore generale. Quindi io non mi rendevo conto della natura di questi attacchi. A che cosa tendevano? Tendevano evidentemente ad eliminarmi. Domenica mattina 1° settembre la posizione fu nettamente definita. In due comizi tenuti a Roma, uno dal partito comunista e, per la prima volta, uno anche dal partito socialista, si chiesero tante cose e fra l’altro qualcuno aveva chiesto… la mia morte! Poi si venne ad una transazione (Viva ilarità) e si contentarono delle mie dimissioni. Contemporaneamente seppi che a Milano si sarebbe tenuto un comizio e, naturalmente, pensavo che il comizio si sarebbe tenuto contro di me. E di fatti lì, fra tanti cartelloni, ne figurava uno in cui c’era una forca con appeso un pupazzo, e siccome la rassomiglianza non doveva essere troppo perfetta, l’autore del cartellone, a scanso di equivoci, aveva scritto sotto: Corbino. (Ilarità).

In questa situazione, io che dovevo fare? Avevo ormai la certezza di non godere la fiducia del gruppo comunista, che stava con me al Governo; dopo il comizio di domenica, avevo la certezza di non godere neanche la fiducia del partito socialista, che pure stava con me al Governo. Nella seduta di venerdì i colleghi repubblicani avevano manifestato qualche perplessità sulla mia politica. Scusate, tre dei quattro partiti che formavano il Governo erano contro di me. Oh, io che ci continuavo a stare? (Viva ilarità). Io dovevo per forza andarmene; era una questione di dignità, lasciatemi dire la parola, parlamentare. Io avevo il dovere di dare le dimissioni perché non appartenevo ad un partito rappresentato dentro al Governo; io ero un tecnico indipendente.

Ma l’onorevole Togliatti mi consenta se questa volta non sono ricorso a lui per consiglio. Ha avuto la bontà di dirmi che egli mi avrebbe suggerito di dare le dimissioni zitto zitto, come quelli del Barbiere di Siviglia. (Si ride). Onorevole Togliatti, io le dimissioni dovevo darle nella forma più rumorosa che fosse possibile, perché dovevo impedire un altro compromesso sul mio nome e lo dovevo impedire nel mio interesse e nel vostro. (Approvazioni a destra). Ecco perché diedi le dimissioni così clamorosamente, dopo aver preso le disposizioni per il caso che potesse succedere qualcosa, nel campo bancario, e per fortuna non è successo nulla, perché la gente ha continuato tranquillamente a fare quello che faceva. Si aggiunga che, alla fin fine, io non avevo il dovere di nutrire grandi preoccupazioni per la mia rapida successione perché, benedetto Iddio, c’è una Costituente con 470 Deputati di maggioranza, ed avevo il diritto di credere che su questi 470 deputati di maggioranza uno, lì per lì, disposto a fare il Ministro del tesoro si sarebbe trovato. Qui, invece, è stata la mia grande delusione, perché nessuno, dico nessuno, si è presentato a dire: ecco, lo faccio io. (Si ride). Nessuno dei tre partiti ha detto: un momento, questo è un posto che tocca a noi. (Ilarità). Si è cercato un tecnico indipendente. Si sono fatte pressioni. L’onorevole De Gasperi è andato anche alla fiera campionaria di Milano a cercarlo. (Vivissima ilarità). Io ho aspettato. Ho dovuto aspettare fino a ieri mattina, quando ho avuto il piacere di fare la consegna all’amico Bertone. Ed ora sono qui: il vinto che ha finalmente avuto un successore.

Ma non è tutto. Dalla maniera con cui la crisi si è svolta e si è chiusa, i vinti siamo in parecchi. Infatti, dopo pochi giorni dalle mie dimissioni, spuntava dal partito socialista la proposta di fusione del Ministero delle finanze con quello del tesoro, proposta della quale, evidentemente, agli amici socialisti sfuggiva il carattere di sfiducia verso il mio collega delle finanze. Ma della proposta si impadronirono immediatamente i colleghi della Democrazia cristiana, i quali dicevano: «Fusione; va via Corbino, deve andar via anche Scoccimarro».

Ora si può discutere se il Ministero delle finanze debba stare o non diviso dal Ministero del tesoro. Ci sono argomenti pro e ci sono argomenti contro. Nel caso specifico vi posso assicurare che di argomenti pro ce ne sono pochi. Il tandem Corbino-Scoccimarro, malgrado quello che comunemente si crede – e questo vi deve provare che in me la lealtà personale va sempre avanti al tornaconto politico – il tandem Corbino-Scoccimarro ha funzionato molto meglio di come la gente pensi. Due volte sole abbiamo avuto un conflitto di partenza, e cioè sulla questione del cambio della moneta e poi quando si delineava l’estensione della imposta sul patrimonio.

Una volta accettato lealmente un certo indirizzo, noi siamo andati sempre perfettamente d’accordo. (Commenti a sinistra). E del resto è un errore quello di credere che nella situazione attuale possa avere una certa influenza il fatto che il gettito delle imposte sia di 16 miliardi invece che di 15 miliardi e mezzo, o di 17 miliardi invece che di 16 e mezzo. Quando un Ministro del tesoro deve fronteggiare un disavanzo mensile di 40 miliardi, come volete che si spaventi se invece di 40, ne debba cercare 39 e mezzo o 40 e mezzo? È come se domani una madre di famiglia, che per fare il corredo alla figlia debba spendere 100 mila lire, bisticciasse col marito perché questi non ha saputo ottenere 100 lire al mese di aumento dello stipendio. Oggi il Ministro del tesoro deve trovare 40 miliardi al mese, mentre il Ministro delle finanze lavora per l’avvenire. Egli potrà vedere i problemi del futuro, ma dal punto di vista immediato credete pure che non può dare che scarso aiuto al Ministro del tesoro.

Ad un certo momento dunque la crisi da tecnica è diventata politica, ed è rimasta una crisi politica, che si è risolta con la nomina di un autorevole membro della Democrazia cristiana a Ministro del tesoro.

Questa, o signori, è la vera vittoria dei comunisti. Perché, adesso, che cosa accadrà? O il Ministro del tesoro farà una politica di parsimonia delle spese, assicurandosi fin da questo momento tutta l’impopolarità della quale godevo io, ed allora la gente dirà come quella vedova che si era rimaritata, che il secondo marito aveva lo stesso vizio della buonanima. (Si ride). Con questa differenza, che questa volta il secondo marito appartiene alla Democrazia cristiana e quindi la Democrazia cristiana dividerà una parte di impopolarità del suo Ministro del tesoro. Oppure il Ministro del tesoro allenterà i freni, ed allora quello che potrà succedere non lo so, perché la situazione non consente di andare molto avanti in materia di rallentamento di freni, ma in ogni caso la responsabilità sarà della Democrazia cristiana.

Quindi, onorevole Bertone, io sono contento d’essermene andato (Si ride), ma non posso invidiarla, perché sono sicuro che anche lei finirà su qualche cartellone! (Si ride).

E come vedete, onorevoli colleghi, non ci sono ragioni arcane, non ci sono ragioni segrete sulle mie dimissioni. Tutto è chiaro, tutto è semplice e lineare.

Voi avreste ora il diritto di domandare il mio pensiero sul programma finanziario del Governo.

Io non credo che oggi si possano fare programmi a lunga scadenza. Credete pure che la situazione, dal punto di vista economico interno ed internazionale, è così fluida che un Governo che riesca a pensare soltanto a quello che potrà accadere nel giro di tre mesi, è un Governo che ha fatto molto di più di quello che non possa essere \il suo dovere. Vi sono alcuni punti, tuttavia, sui quali mi permetto di dare qualche suggerimento e qualche consiglio. Imposta sul patrimonio; 10            consiglierei un rinvio, anche per una ragione: nelle clausole economiche del trattato di pace ce n’è una che è molto pesante, ed è la seguente. I cittadini degli Stati appartenenti alle Nazioni Unite dovranno essere esentati da qualsiasi imposta straordinaria che abbia per fine il pagamento delle spese di guerra e che sia stata applicata fra la data dell’armistizio e la data di entrata in vigore del trattato. Ora, applicare in queste condizioni un’imposta sul patrimonio ed estenderla specialmente, come si vorrebbe, ai capitali mobiliari, significa esonerare dall’imposta una parte rilevantissima del patrimonio nazionale, cioè quella posseduta da stranieri e quella che stranieri compiacenti faranno passare per propria ai fini dell’imposta personale sul patrimonio. (Commenti – Approvazioni).

La seconda raccomandazione concerne il prestito. Il Presidente del Consiglio ha annunciato che il prestito da me predisposto, sotto forma di debito consolidato, sia mantenuto nella forma di un debito consolidato con diritto al rimborso al termine di nove anni. Noi stiamo creando una serie di istituti giuridici molto ibridi in questo momento, ma nel campo finanziario non scherziamo neppure. E questo di un prestito consolidato, rimborsabile a volontà del portatore, sarebbe una novità finanziaria che mi pare piuttosto pericoloso introdurre nel nostro sistema finanziario. In sostanza, oggi la gente non si preoccupa di sapere quello che accadrà da qui a nove anni. La gente si preoccupa di quello che accadrà fra nove giorni, o nove settimane o nove mesi; di maniera che, chi sia disposto a prendersi un consolidato oggi, lo prende anche se non è rimborsabile tra nove anni. Voi create per il tesoro tra nove anni un problema spaventoso, perché quando vi sono dei titoli rimborsabili nettamente a nove anni, la tesoreria sa che deve provvedere a tempo; ma quando si lascia all’arbitrio del portatore del titolo il diritto di chiedere il rimborso, se e in quanto questo rimborso sia conveniente, ciò significa aprire un baratro sotto i piedi del Ministro del tesoro del 1955, e per quanto non creda che vi possa essere qualcuno di noi che abbia la lontana possibilità di essere quel tale Ministro del tesoro, noi abbiamo il dovere di non compromettere così seriamente la solidità dei nostri successori in questa materia.

Ma, per il resto, io ritorno alla mia ricetta. Voi a sinistra dite che è sbagliata: lo avete scritto anche sui muri, ed in fondo avete fatto un complimento a me. Ogni tanto è bene non aver ragione. C’era uno che aveva sempre ragione e ci ha portato qui! Almeno io e De Gasperi abbiamo la certezza di non essere di quello stampo. Io ripeto che la ricetta per me per ora è molto semplice; poi, quando l’equilibrio del bilancio sarà ristabilito, ricorreremo alle formule eleganti di La Malfa. Di che cosa ha bisogno oggi la gente? Ha bisogno di sapere che i titoli di Stato non saranno toccati, ed occorre dirlo nettamente, perché se non glielo direte il prestito andrà male. La gente ha bisogno di sapere che per ora e per parecchio tempo ancora, il cambio della moneta non si farà, ed occorre dirlo nettamente, perché se non glielo direte la gente il cambio lo comincerà a fare subito per proprio conto. Essa cambierà la moneta contro merci, ciò farà aumentare i prezzi, e poi i salari e via di seguito nella solita corsa che porta all’inflazione. Ora, badate bene, l’inflazione è un flagello che può lasciare in piedi i paesi a economia piuttosto primitiva e dove la struttura creditizia sia embrionale, ma i paesi ad economia mista, con una struttura creditizia piuttosto sviluppata, dall’inflazione escono distrutti, non soltanto dal punto di vista economico, ma anche dal punto di vista politico.

Non c’è paese che abbia fatto l’inflazione e che abbia visto sopravvivere la democrazia. Quindi, per noi la lira è sinonimo di libertà. (Vivi applausi al centro e a destra).

A questo punto, ciascuno assuma la propria responsabilità, come individui e come partito. Io, per mio conto, non rappresento che un uomo, me stesso. Questa responsabilità io ho assunto in pieno in tutte le direttive politiche che ho seguite negli ultimi nove mesi. E – credetemi – anche questo ultimo gesto è un gesto che mi è costato enorme fatica, non perché lasciavo il banco del Governo, ma perché mi sottraevo ad un posto avanzato di responsabilità. Ma io mi ci sono sottratto non per desiderio di riposo personale, ma perché sapevo che, sottraendomi, contribuivo a rafforzare la fiducia del pubblico nella lira, cioè contribuivo a salvare la democrazia in Italia. (Applausi).

Se tutti opereranno con la stessa onestà di intenti e purezza di fede, da cui io sono stato guidato in questo periodo, noi possiamo essere sicuri che la democrazia si salverà. (Vivi applausi – Congratulazioni).

PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato a domani alle ore 16.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

CHIEFFI, Segretario, legge.

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se non ritenga giunto il momento opportuno per sopprimere il Commissariato della gioventù italiana, creato in pieno periodo badogliano quale continuatore ed erede di quell’organo di oppressione fascista che fu la G.I.L.

«Se è spiegabile come al 2 agosto del 1943 vi fosse ancora chi poteva pensare a mantenere in vita alcune delle tipiche creazioni del fascismo, quale la G.I.L., depurata soltanto dell’attributo littoriale, oggi, in cui altre e ben più solide istituzioni sono cadute davanti al profondo bisogno di rinnovamento del popolo italiano; oggi, dopo che tanta acqua è passata sotto i ponti e che tanto sangue è stato versato per la liberazione della Patria, il mantenere in vita una tale istituzione che continua nel nome, nelle attribuzioni ed in qualche zona anche nelle persone, i fasti del fascismo, appare anacronistico e pregiudizievole per il nome dell’Italia democratica e repubblicana.

«L’assistenza della gioventù scolastica, ed in particolar modo di quella più bisognosa, potrà essere affidata con molto maggiore vantaggio per tutti ai Patronati scolastici, i quali già, in questi primi albori di rinnovamento, hanno egregiamente dimostrata la loro vitalità e la loro possibilità di fare veramente del bene ed altro non domandano che di essere perfezionati ed aiutati per potere fare meglio.

«Al Commissariato della gioventù italiana basterà sostituire un Ente stralciario, col compito di devolvere a favore dei Patronati l’ingente patrimonio di cui è erede, previa restituzione agli Enti locali dei beni di cui furono defraudati dal fascismo sotto l’apparenza di spontanee donazioni o di vendite fittizie.

«Faralli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della guerra, per sapere se e quali provvedimenti intenda adottare affinché in Udine e provincia siano finalmente portate a termine le liquidazioni delle indennità dovute ai proprietari degli immobili requisiti dalle Forze armate alleate, liquidazioni non ancora avvenute a causa della esasperante lentezza burocratica degli uffici di ciò incaricati.

«Tessitori».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per conoscere i motivi che si oppongono acché sia provveduto a rifondere ai comuni friulani gli importi anticipati (il solo comune di Udine è esposto con oltre ventotto milioni di lire), per conto dello Stato, in seguito a decreti prefettizi, per il pagamento di spese per alloggi, forniture, servizi vari nell’interesse delle forze armate germaniche.

«Tessitori».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere se è convinto della necessità urgente, assoluta della costruzione della strada Valle Agricola-Vairano Scalo (2° tronco), perché da oltre sessant’anni è stato ritenuto di notevolissimo vantaggio il costruire una strada che avvicini allo scalo ferroviario di Caianello (ora Vairano Scalo) i comuni di Prata Sannita, Pratella, Ailano, Ravescanina, Sant’Angelo d’Alife, Gallo, Letino, Fonte Greca, ecc., e solo nel 1932 si provvide a dare in appalto un primo lotto di lavori, che comprendeva un tratto di strada dal bivio di Ailano al fiume Volturno ed altro dal fiume Volturno allo scalo ferroviario. Ora che il Governo della Repubblica ha messo nel suo programma lavori immediati e questi dovrebbero essere soprattutto per il miglioramento del Mezzogiorno, si nutre ferma speranza che la costruzione del ponte sul Volturno e del secondo tronco della strada Valle Agricola-Vairano Scalo diventerà un fatto compiuto. Ciò è indispensabile per la bonifica di una grande estensione di terreno, che potrebbe produrre più di trentamila quintali di grano ed altri cereali. Si noti che gli abitanti dei comuni cennati per giungere ora allo scalo ferroviario debbono percorrere dai 35 ai 50 chilometri, mentre con la costruzione del tronco in oggetto ne percorrerebbero la metà.

«Notarianni».

«La sottoscritta chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere che cosa s’intenda fare per incrementare l’attività delle istituzioni educative per l’infanzia.

«E se non si ritenga opportuno, per il momento, creare asili e scuole materne nei maggiori centri industriali e favorire con sovvenzioni straordinarie quelle già esistenti e costrette, per deficienza di fondi, a cessare l’opera loro.

«Provvedimenti in questo senso potrebbero essere attivi coefficienti della rinascita spirituale, che urge nel nostro Paese.

«Bianchi Bianca».

«La sottoscritta chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se non intenda, prima dell’apertura dell’anno scolastico 1946-47, applicare il provvedimento legislativo accennato dalla stampa nel n. 3, I Diritti della Scuola, che autorizza il Ministero della pubblica istruzione a bandire un concorso speciale per titoli a posti di direttore didattico, riservato a coloro che hanno superato i limiti di età e che per motivi politici non poterono partecipare a concorsi direttivi.

«L’applicazione di tale provvedimento si rende necessaria per ristabilire giustizia in una categoria che in regime dittatoriale vide troncata la propria carriera per le vessazioni fasciste.

«Bianchi Bianca».

«La sottoscritta chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se intende sollecitare l’adozione di provvedimenti intesi a concedere il passaggio a ruolo agli insegnanti dell’ordine elementare e medio, che abbiano ottenuto l’idoneità nei precedenti esami di concorso ed abbiano tenuto l’incarico per un periodo di 5 anni con qualifica di buono.

«Bianchi Bianca».

«La sottoscritta chiede d’interrogare i Ministri dei lavori pubblici e della pubblica istruzione, per conoscere se non sia il caso di autorizzare i prefetti a rilasciare anche ad enti di pubblica beneficenza ed assistenza non riconosciuti ufficialmente, la dichiarazione comprovante l’esercizio di tale attività necessaria per ottenere il diritto al risarcimento integrale dei danni di guerra. Così si procede attualmente – ai sensi della legge 26 ottobre 1940 – per gli enti suddetti riconosciuti per decreto ministeriale. L’astensione dal riconoscimento governativo fu motivata per molti enti dal desiderio di evitare ingerenze statali nell’amministrazione dell’istituto. Trattasi nella maggior parte dei casi di asili d’infanzia situati nelle campagne, che portano benefici incalcolabili al popolo. Si chiede dunque che venga modificato l’articolo 27 della legge 26 ottobre 1940, n. 1543, in modo che lo Stato intervenga a ripristinare l’attività di questa istituzione.

«Bianchi Bianca».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro delle poste e delle telecomunicazioni, per sapere se il Governo non ravvisi la necessità di una Commissione parlamentare per lo studio del problema della Radio.

«Calosso, Cerreti, Cianca, Parri, Giordani, Patricolo, Badini Confalonieri».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro del tesoro, per sapere se, a seguito delle assicurazioni già fornite dall’onorevole Corbino alle Commissioni dei lavoratori e dei dirigenti del Banco di Napoli, intenda provvedere all’immediata cessazione del regime commissariale nel predetto Istituto, che si protrae senza alcun motivo da circa tre anni, e che, unanimemente disapprovato, ha dato luogo anche ad agitazioni tra il personale del Banco. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«De Mercurio».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se intenda mettere allo studio la possibilità di concedere agli abilitati degli Istituti tecnici industriali, minerari e per geometri l’inscrizione, previo esame integrativo, alle seguenti facoltà universitarie:

ingegneria civile per diplomati geometri ed edili;

ingegneria industriale e mineraria per diplomati degli istituti minerari e nautici ramo costruttori e macchinisti;

ingegneria navale per diplomati nautici ramo capitani. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Laconi».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere quali provvedimenti intenda adottare per rendere giustizia a quegli insegnanti elementari o professori, i quali, per la loro avversione al fascismo, hanno preferito rinunciare ai benefici della carriera piuttosto che accettare la tessera del partito nazionale fascista allora indispensabile documento per accedere a concorsi.

«Per sapere, inoltre, se non ritenga opportuno confermare in carica, in attesa di speciali concorsi, quegli insegnanti che per le loro particolari attitudini e i loro meriti politici furono chiamati a ricoprire gradi superiori dai Comandi del G.A.M. e dai C.L.N. e che, per le ragioni sopra esposte, non hanno rivestito per il numero degli anni prescritto dalle leggi posti di grado immediatamente inferiore. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Landi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere quali ostacoli si oppongano all’immediata esecuzione dei lavori di sistemazione montana, dei torrenti Vicom e Cella, in comune di Tarvisio (Udine), lavori pei quali da tempo sono pronti i progetti compilati a cura del Corpo forestale di Udine, e colla previsione di 11.874.000 lire di spesa.

«Si nota che in quel comune, come in tutta la zona montuosa della provincia, in seguito all’impossibilità di emigrare, la disoccupazione vi è gravissima. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Piemonte».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro delle poste e delle telecomunicazioni, per conoscere le ragioni per le quali, in esito alla richiesta della direzione centrale di Milano dell’Associazione nazionale italiana radioascoltatori, non si è ritenuto opportuno di limitare la pubblicità commerciale attraverso le radio trasmissioni, che incide, per l’eccesso di volume, nell’organicità dei programmi.

«E per sapere, inoltre, se non ritenga opportuno di dare all’organizzazione dei radioascoltatori maggior modo di esporre e di far valere il pensiero e i desideri di tanta parte del popolo italiano, non solo in questa particolare questione, ma in tutto l’andamento delle trasmissioni della radio italiana, evitando che esse siano informate principalmente ai criteri speculativi di un monopolio. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bernardi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere se, in rapporto con le recenti agitazioni e con la preoccupazione dei pescatori della costa meridionale siciliana per l’uso della rete cianciòlo, capace di catturare molte quantità di pesce turchino, compreso anche quello piccolo, voglia esaminare se effettivamente detta rete sia dannosa, e prendere i provvedimenti necessari per l’abolizione della rete o per modificarne la maglia.

«Per sapere, inoltre, se intenda prendere provvedimenti più severi per l’uso abusivo degli esplosivi nella pesca. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Borsellino».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere quali ostacoli ancora si frappongono alla istituzione di un servizio di treni locali tra le stazioni di Cancello Arnone, Falciano Mondragone e quella di Villa Literno, rendendo così possibili le comunicazioni di tutti i comuni del Basso Volturno con Napoli, centro della regione, con Caserta, capoluogo della provincia, e con Santa Maria Capua Vetere, sede del tribunale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Persico».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per sapere se nel piano dei lavori urgentissimi da farsi nella provincia di Caserta siano comprese le somme occorrenti per l’ultimazione, e in parte la ricostruzione, dell’acquedotto necessario per portare l’acqua potabile alle numerose e popolose frazioni del comune di Teano: opera indispensabile anche per la tutela della pubblica igiene. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Persico».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della guerra, per conoscere se può dare qualche informazione circa la posizione degli Stabilimenti militari di Piacenza (Arsenale, Direzione d’Artiglieria, O.A.R.E. – Officina auto riparazione Esercito – e Genio militare). Come già è stato prospettato all’onorevole Ministro, trattasi di un complesso aziendale, al quale sono legati il lavoro e i mezzi di vita di oltre 3500 operai, e cioè circa i quattro quinti della comunità operaia di Piacenza. È opportuno rilevare che quasi tutti questi stabilimenti furono, più o meno, colpiti da bombardamenti, e se oggi il loro impianto strutturale è ridiventato pressoché normale, è merito delle maestranze, le quali, nei primi mesi dopo la liberazione, spesso senza ordine e direttive precise, diedero mano all’opera di ricostruzione, compiendo veri prodigi di adattamenti, di abilità e di sacrificio.

«Questi stabilimenti sono in grado di assolvere qualsiasi incarico e compiere qualsiasi lavorazione, dalla meccanica alla falegnameria, sia per commissioni civili, che militari. È precisamente sul loro impiego per lavorazioni su commesse di privati (o anche di aziende statali, come quella dei trasporti) che si richiama la benevola attenzione dell’onorevole Ministro.

«Le maestranze operaie in oggetto attendono con ansia di conoscere le loro sorti, e ripongono ogni loro fiducia nel conosciuto senso di umanità e nella saggezza dell’onorevole Ministro della guerra, che già, di questo grave problema, ebbe a dar prova di volersi preoccupare. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Arata»

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della guerra per sapere se, in modificazione ed estensione dei provvedimenti portati dai decreti 14 febbraio 1946, n. 27 e 26 aprile 1946, n. 138, a favore dei reduci, non ritenga opportuno regolare definitivamente la posizione di questi benemeriti cittadini, riconoscendo il loro sacrificio e l’apporto – diretto o indiretto – da essi dato alla lotta per la liberazione.

«Tale riconoscimento potrebbe tradursi nei seguenti provvedimenti che rappresentano, del resto, i postulati dei reduci, più volte oggetto di formali istanze:

1°) concessione agli internati in Germania, ai reduci di prigionia dai campi alleati, ai cooperatori, della qualifica di combattente della liberazione, con la relativa decorazione;

2°) diritto di precedenza nell’assunzione nei pubblici uffici, e parità con i partigiani nell’assunzione nelle formazioni di polizia e nell’arma dei carabinieri;

3°) sollecita, effettiva erogazione dei sussidi previsti dai citati decreti a favore delle cooperative di lavoro tra i reduci;

4°) preferenza alle dette cooperative nell’assunzione di lavori appaltatabili, o da condursi in economia, interessanti l’amministrazione dello Stato, o di enti parastatali;

5°) immediata corresponsione ai reduci della marina e dell’aeronautica delle indennità loro spettanti, e vanamente attese da oltre un anno;

6°) parificazione del trattamento economico dei reduci a quello dei partigiani, o la concessione, almeno, dell’indennità a titolo razione viveri. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Arata».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere se non ritenga opportuno emanare disposizioni affinché possano essere rivedute le posizioni di quei funzionari dei comuni e delle provincie che nel periodo fascista vennero epurati in base alla legge 24 giugno 1929, n. 1112, colla quale si facultizzarono gli Enti locali a dispensare dal servizio il personale da essi dipendente per qualsiasi motivo, in deroga a qualsiasi disposizione di legge o di regolamento generale o speciale, senza contestazione di addebiti e con indicazione anche soltanto generica delle cause della dispensa; e della qual legge si valsero le amministrazioni fasciste per compiere persecuzioni politiche. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Grilli».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’industria e del commercio, per conoscere se non creda disporre che sia finalmente assegnato agli autisti di piazza di Napoli un congruo numero di copertoni e camere d’aria, non potendosi spiegare e tollerare che fino ad oggi siano stati trascurati completamente dalle assegnazioni detti autisti che svolgono una attività che riguarda tutto il pubblico della grande città.

«Non un copertone o camera d’aria hanno avuto!

«I tedeschi distrussero autobus, filobus, vetture tramviarie, e Napoli ha perciò i servizi pubblici di trasporto che appena iniziano la loro ripresa, ciò che rende assolutamente necessaria la circolazione sulle macchine di piazza, mentre molte di esse lavorano in malo modo o non possono circolare affatto.

«Se si fosse data una quota di gomme ogni quindicina agli autisti di piazza, che ne avevano diritto più di ogni altra categoria, essi sarebbero stati quasi tutti oggi riforniti.

«Si deve perciò provvedere a che siano assegnati agli autisti di Napoli copertoni e camere d’aria in quantità soddisfacente da comprendere tutte le gomme che già avrebbero dovuto avere. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Notarianni».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dell’interno e del tesoro, per conoscere se non ravvisino la urgente necessità di dare facoltà alle Casse di risparmio di praticare ai comuni, per i mutui temporanei di cassa, un tasso di interesse inferiore a quello finora richiesto e spesso superiore al 7,50 per cento; e ciò tenuto conto sia della finalità delle Casse, sia del derisorio tasso corrisposto da esse ai loro depositanti e correntisti, sia delle causali per cui i comuni, pur versando spesso patrimonialmente in buone condizioni, si dibattono talora in difficoltà di cassa. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bubbio».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se intenda impedire la minacciata soppressione della sezione del liceo-ginnasio di Castellammare di Stabia, distaccata in Meta di Sorrento, soppressione che sarebbe di enorme danno per il gran numero di giovani che la frequentano, provenienti da tutti i comuni della penisola sorrentina. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Crispo».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere come intende provvedere alla sorte degli insegnanti che, nella provincia di Napoli, furono esclusi dai concorsi e dall’insegnamento per non avere aderito al regime fascista, e per i quali il Ministero della pubblica istruzione, con circolare n. 4592 del 20 luglio 1945, sollecitò dal Provveditorato l’assegnazione di posti provvisori, i quali, per l’anno scolastico 1946-47, non sono stati nemmeno attribuiti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Crispo».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della guerra, per sapere quali pratiche intende svolgere nell’interesse degli ufficiali medici che, prigionieri di guerra, prima in Egitto e poi nel Sud-Africa, furono poi rimpatriati senza il foglio di estratto di credito della parte dello stipendio non pagata per contanti, e che, per mancanza di tale foglio, non riescono a liquidare il proprio credito in sterline, avendo inutilmente scritto al Comando del Campo di Zonderwater (Sud-Africa). (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Crispo».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della guerra, per sapere per quali motivi, avendo la Prefettura di Salerno sin dal dicembre 1944 segnalato al Commissariato per i prigionieri di guerra i nomi di sei medici da rimpatriare per le esigenze sanitarie della provincia di Salerno, non sia stato sollecitato tale rimpatrio. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Crispo».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per sapere – considerato che le imprese private hanno preso il più invadente ed antisociale sopravvento scoraggiando le vere cooperative di lavoro, e ciò specialmente per il fatto che la circolare Romita a favore delle cooperative di lavoro fu semplicemente ignorata dai Provveditorati – se non creda urgente, in questa vigilia dei lavori pubblici, richiamare l’attenzione delle autorità dipendenti sulle norme a suo tempo emanate a favore delle cooperative suddette, e aggiornare le norme stesse contornandole di convenienti disposizioni, affinché le vere cooperative di lavoro possano attrezzarsi adeguatamente e distrarre l’accumulamento degli utili da poche mani private verso le forme cooperative e attraverso le stesse verso una moltitudine di povere famiglie operaie. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Carbonari».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per sapere se non creda urgente provvedere per l’adeguamento delle pensioni del Clero, che nella misura attuale di 256-400 lire mensili, lascia nella più squallida miseria i poveri beneficiari. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Carbonari».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 18.50.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 16:

Seguito della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.