Come nasce la Costituzione

GIOVEDÌ 19 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

XIX.

SEDUTA DI GIOVEDÌ 19 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SARAGAT

INDI

DEL VICEPRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedi:

Presidente                                                                                                        

Comunicazioni del Presidente:

Presidente                                                                                                        

Comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri (Seguito della discussione):

Carmagnola                                                                                                    

Pella                                                                                                                

Netti                                                                                                                 

Crispo                                                                                                               

Preziosi                                                                                                            

Interrogazioni e interpellanza (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 16.

DE VITA, Segretario, legge il processo verbale della seduta precedente.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i Deputati: Fedeli Aldo e Bianchi Bianca.

(Sono concessi).

Comunicazioni del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che gli onorevoli Amendola e Maffi si sono dimessi da componenti della Commissione per la Costituzione.

Ho chiamato a sostituirli, rispettivamente, gli onorevoli Farini e Laconi.

Seguito della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.

Ha chiesto di parlare l’onorevole Carmagnola. Ne ha facoltà.

CARMAGNOLA. Quando ricevetti il telegramma di convocazione a questa Assemblea Costituente da parte del nostro illustre Presidente, pensai subito che certamente eravamo stati adunati per discutere essenzialmente dei problemi che agitano in questo momento la vita del nostro Paese, per ravvisare i mezzi onde andare incontro ai bisogni sovrattutto della categoria dei lavoratori. Con mia sorpresa ho dovuto invece assistere ad una bella discussione per rivendicare i poteri di questa Assemblea, discussione giuridica di alto valore, ma che ha fatto rinviare di parecchi giorni la discussione su questo argomento, di cui è atteso con impazienza l’esito da tutto il Paese.

E ieri, sentendo le comunicazioni fatte dal Presidente del Consiglio, nelle quali ho rilevato alcune intenzioni che possono essere da noi approvate perché rivelano – io spero – una decisione di operare, si è presentato però a me il dubbio che potesse ancora ripetersi ciò che si è verificato dopo che il Presidente del Consiglio fece le sue comunicazioni nel presentare il Governo che aveva formato.

In me si è radicato il convincimento che il Presidente del Consiglio sia, bensì, uomo sinceramente democratico, e attaccato alla difesa della libertà e della democrazia, ma che esista in lui una deficienza di metodo, perché tenta sempre di rinviare quando incontra degli ostacoli, anziché affrontarli, cercando di piegarli e di vincerli.

Io penso che il Paese stia attraversando un tale momento di sfiducia e di irritazione che richiederebbe da parte del Governo non incertezza, ma coraggio e decisione.

Se si continua con la timidità e il Governo si lascia dominare dall’incertezza nel cercare di risolvere questo disastro che abbiamo ereditato dalla guerra fascista e dalla disfatta, non riusciremo a dominare gli avvenimenti del Paese.

Del resto la timidezza è il peggiore dei criteri che possa essere seguito da qualsiasi Governo. Un Governo deve annunciare il suo programma, ma deve anche applicarlo, una volta che l’abbia annunziato.

Il gruppo parlamentare socialista, rendendosi interprete di questo bisogno, ha formulato il proprio programma, che ha reso pubblico e che ha comunicato tempestivamente al Presidente del Consiglio.

Il Partito socialista che si fa interprete, come sempre, sin dalla sua origine, dei bisogni della classe lavoratrice, ha ritenuto suo dovere di adunarsi in questi giorni per trattare questo problema, perché il Partito socialista, nel difendere gli interessi dei lavoratori, intende rappresentare una forza di ordinato progresso e di difesa della libertà. E poiché il Paese attende una decisione dalla Costituente, noi socialisti crediamo di fare tutto il nostro dovere in questa ripresa parlamentare nel non lasciare delusa l’aspettativa del Paese.

Ripeto, il Governo aveva già fissato il programma tre mesi or sono, e questo programma si è diluito forse negli uffici della burocrazia o non so in quale altra sede: il fatto è che dei provvedimenti allora annunziati e da noi approvati nulla è stato attuato, riforme e provvedimenti non hanno avuto alcun seguito.

È da sperare che l’onorevole Presidente del Consiglio voglia questa volta dar corso al proprio programma, per quanto non abbia trattato argomenti tanto sentiti dal popolo italiano e dalla classe lavoratrice particolarmente e che io cercherò rapidamente di prospettare.

Il Governo nella lotta per superare questa crisi ha il dovere di stabilire una politica organica, non una politica frammentaria, cercando di incanalare con la sua iniziativa, con i suoi provvedimenti, tutta l’attività industriale. È questo un vasto campo del quale il Governo si deve interessare e deve saper tracciare anche una politica finanziaria e quindi adottare tutti i provvedimenti, che debbono e possono agevolare la vita dei lavoratori italiani.

La crisi industriale che attraversa attualmente l’Italia – crisi che del resto è caratteristica di un dopo guerra – ci pone di fronte a molti problemi che devono richiamare l’attenzione di quanti operano per il pubblico bene, e particolarmente di noi che siamo i diretti rappresentanti del popolo. Noi ci troviamo di fronte ad un problema grave accennato ieri dall’onorevole Presidente del Consiglio, dibattuto un po’ da tutti i giornali e da tutti i partiti, della crisi gravissima che sta attraversando la nostra moneta, la lira. Noi sappiamo che vi sono ceti i quali tentano in tutti i modi di portare alla rovina la nostra moneta. Questi ceti si trovano nella grande industria e nell’alta finanza. Essi sono oggi indebitati con le banche e con i terzi e tentano in tutti i modi di annullare queste loro pendenze per salvare quei patrimoni che hanno nascosto e che non vogliono mettere in circolazione.

Del resto noi organizzatori sindacali queste cose le abbiamo fatte presenti e io, nella mia qualità di Segretario della Camera del Lavoro di Torino e di membro del Consiglio direttivo della Confederazione del Lavoro, in più riunioni che ho già avuto con gli industriali, per trattare argomenti che toccano da vicino la classe lavoratrice, ho accennato più volte a questo pericolo e a questo doppio giuoco che si tenta di fare. Gli industriali vorrebbero correre rapidamente verso certi miglioramenti apparentemente benefici per la classe lavoratrice per potere, di volta in volta, senza alcun controllo, rovinare decisamente la capacità di acquisto della nostra carta moneta e salvare i loro patrimoni. Si chiede quindi l’intervento e l’azione del Governo, affinché tutto questo giuoco così palese non possa avere alcun esito e la politica finanziaria venga decisamente indirizzata in modo da evitare questa grave sciagura, che ricadrebbe totalmente sulle spalle della classe lavoratrice.

Il Governo dunque deve stabilire la sua politica industriale; ma, mi chiedo, perché il Governo deve fare l’industriale? Il Governo controlla attraverso organi suoi un gruppo notevole di industrie. Basta pensare che controlla il 75 per cento dei cantieri navali, controlla le industrie attraverso l’I.R.I. e I.M.I.; il Banco di Napoli, la Banca del Lavoro, l’Istituto Infortuni, l’Istituto delle Assicurazioni, la Banca d’Italia, la Banca di Sicilia, l’A.R.A.R. ecc.

In tutti questi Enti vi sono dei Commissari; chiedo formalmente che siano finalmente ristabiliti dappertutto i consigli regolari di amministrazione. Non è concepibile continuare in questo modo, con dei Commissari, i quali sono quasi sempre uomini con altre cariche politiche o di Governo, e quindi questi Enti, che pesano notevolmente sulla vita politica, finanziaria e industriale del Paese, sono abbandonati completamente in mano alla burocrazia.

Noi chiediamo che il Governo precisi cosa deve essere fatto, perché siamo in un periodo di trasformazione dell’industria; vogliamo sapere cosa dobbiamo fare, e non soltanto correre ai ripari, come si è fatto recentemente con l’Odero di Genova, alla quale si è assegnato un miliardo di lire affinché possa provvedere alle sue necessità, senza che il Governo e la Tesoreria provvedano ad assicurarsi in qualche forma il credito concesso. Né il Governo provvede a dare un preciso indirizzo; soltanto un vago accenno fatto ieri dal Presidente del Consiglio, ci informa che il C.I.R. provvederà finalmente a risolvere questi problemi e a condurli in porto, affinché dette industrie abbiano un programma che risponda alle necessità e all’economia della Nazione.

Il Governo controlla ai traverso l’I.R.I. tre grandi banche: la Banca Commerciale, il Credito italiano e il Banco di Roma; e queste banche fanno i loro affari, agiscono per loro conto, stabiliscono i tassi che credono, ripartiscono quanto torna loro comodo, ma la politica del Governo, in questi casi, tranne che nelle affermazioni generiche, non si sente e non pesa sull’attività specifica di questi organismi creati per sollevare l’economia e la finanza del nostro Paese.

Quindi io chiedo che il C.I.R. stabilisca una politica economica e di ricostruzione, e la faccia eseguire dagli altri organi ad esso subordinati. I quattro o cinque ministri che formano la direzione del C.I.R., se occorre si facciano aiutare da tecnici competenti, ma è urgente una decisione, affinché il Paese possa conoscere le intenzioni del Governo. Tutti i provvedimenti conseguenti devono immediatamente essere messi in esecuzione, e la legge deve colpire inesorabilmente coloro i quali tenteranno di sabotarli.

Naturalmente, nello stabilire questo programma di lavori, il Governo dovrà preoccuparsi di dare la precedenza, non soltanto a quei lavori che potranno occupare della mano d’opera disoccupata, o permettere il trasferimento di mano d’opera da una all’altra industria, ma dovrà mettere in esecuzione quei provvedimenti e quei lavori che potranno aiutare la ripresa economica della Nazione.

Il C.I.R. dovrà anche stabilire in modo preciso ciò che vuol fare in merito al grave problema della ricostruzione edilizia. Noi brancoliamo nel buio: ogni città per suo conto cerca di esaminare e di risolvere il problema, ma poi di fronte alla difficoltà della moneta si ferma e tutto rimane al punto in cui era quando noi finimmo la guerra. Soltanto a Torino, noi che discutiamo questo problema da alcuni mesi alla Camera di Commercio – dove venne costituita un’apposita Consulta tecnica – abbiamo riscontrato che per ricostruire le abitazioni distrutte dai bombardamenti occorre una cifra notevole: da 13 a 15 miliardi di lire.

Ora, se non vi è un piano anche in questo problema da parte del Governo e da parte del Comitato interministeriale della ricostruzione, non so per quanto tempo ancora rimarremo spettatori delle rovine che abbiamo in casa nostra, senza risolvere le esigenze tanto gravi degli alloggi.

Il problema, quindi, ho detto, deve essere risolto anche agli effetti della disoccupazione. La disoccupazione, che l’onorevole Presidente del Consiglio non ha toccato, è un problema gravissimo dal punto di vista sociale, dal punto di vista umano, dal punto di vista, quindi, dell’ordine pubblico ed è strettamente collegato con tutto quello che il Governo riuscirà a tracciare, a stabilire nella sua politica ricostruttiva del Paese.

Noi siamo pervasi da una preoccupazione circa lo sblocco dei licenziamenti. Gli industriali insistono per avere la libertà di licenziare il personale in soprannumero nelle singole ditte, perché – affermano – è antieconomico mantenere della mano d’opera in soprannumero. Siamo perfettamente d’accordo che non è nell’interesse della produzione, non risponde al piano per la diminuzione del costo dei prodotti mantenere della mano d’opera eccedente ai bisogni nei singoli stabilimenti.

Ma il problema non è questo. Esso non può venire risolto a sé stante. Il licenziamento richiama il dovere di aiutare il disoccupato e di dargli quindi quel sussidio che da mesi si accenna da tutti i partiti, aumentato e migliorato, in relazione alla necessità della vita. Inoltre occorre provvedere a migliorare la capacità di acquisto del consumatore italiano, ossia del lavoratore. Se oggi, attraverso le statistiche, desumiamo che con un guadagno di 350 lire al giorno si spenda circa il 90 per cento soltanto nella parte alimentare, senza peraltro acquistare quello che occorre per un minimo di vita, (anzi è accertato che il tenore di vita della classe operaia si aggira tra il 50 e il 60 per cento rispetto a quello che era nel 1939) è evidente che il disoccupato, anche con un sussidio maggiorato, non potrà vivere. E si avrà un’altra contrazione nei consumi interni e quindi una crisi industriale ancora maggiore.

Ecco perché oltre alle ragioni, che rapidamente accennerò più innanzi, noi abbiamo sì il dovere di alleggerire quelle aziende che domandano di allontanare il personale in sopranumero, ma anche il dovere di mettere in esecuzione rapidamente quei piani di cui si parla da mesi, e per i quali il Ministro dei lavori pubblici prevede di dover spendere parecchi miliardi; ma quando, pressati dalle proteste dei disoccupati delle singole città, andiamo a reclamare di dare sollecito corso ai lavori, ci sentiamo invariabilmente rispondere che non vi sono fondi disponibili. Questi fondi devono essere trovati con quella forma cui ha ieri accennato il collega Lombardi e con altre forme; questo, oltre ad essere un problema morale del Paese, è anche una necessità per far scomparire la vergognosa speculazione e mettere lo Stato nella possibilità di assicurare alle classi lavoratrici un più alto tenore di vita. Occorre pensare che attualmente noi abbiamo circa 1 milione e 600 mila disoccupati; se si dovesse licenziare anche quella percentuale richiesta dagli industriali raggiungeremmo la cifra di 2 milioni. Inoltre, poiché il sussidio di 50 lire attualmente concesso non è più adeguato alla situazione e si pensa di elevarlo ad almeno 200 lire al giorno per disoccupato, noi andremo incontro ad un onere di 11 miliardi al mese, onere che, io penso, lo Stato non potrà sopportare. Ecco quindi la necessità da parte del Governo e da parte nostra di provvedere, affinché il numero dei disoccupati venga sensibilmente ridotto, attraverso l’impiego della mano d’opera in soprannumero, in lavori utili per la ricostruzione del Paese. Ciò facendo e considerata la forte emigrazione che si riscontra a Torino (che è il centro dell’emigrazione italiana) noi potremo ridurre sensibilmente il numero dei lavoratori disoccupati, e l’onere del sussidio di 200 lire giornaliere potrà essere sopportato dal bilancio dello Stato.

Ho accennalo al problema dell’emigrazione, problema di una certa gravità ed importanza. A Torino, presso la nostra Camera del lavoro, vi è un rappresentante del governo francese ed un rappresentante della Confederazione generale del lavoro francese, addetti alla emigrazione di questi nostri fratelli che abbandonano l’Italia per recarsi in Francia; noi controlliamo affinché tutto sia regolare rispetto alle condizioni pattuite fra le due Confederazioni e fra i due Governi. Ci preoccupiamo del prossimo domani, perché paventiamo il pericolo di vedere allontanare tutta la mano d’opera specializzata e qualificata, la cui emigrazione sarà risentita dalle nostre industrie. In Italia, in questi ultimi sette o otto anni, non abbiamo potuto fare nessun corso serale e diurno a carattere professionale, per cui abbiamo una notevole carenza di mano d’opera specializzata. Non sappiamo ancora – perché ancora non conosciamo i termini definitivi del trattato di pace – che cosa potremo produrre domani; io penso però che l’Italia dovrà attrezzarsi per lavorare e vincere i mercati per la qualità dei prodotti più che per la quantità. Ed è per questo che è necessaria una mano d’opera specializzata, qualificata, ed occorre un’attrezzatura che bisogna ricostruire senza perdere tempo, altrimenti ne verrà all’Italia un gran male. Noi socialisti, organizzatori sindacali, su questo siamo tutti d’accordo. Richiamiamo l’attenzione anche degli industriali e li invitiamo a fare sforzi per trattenere il maggior numero di operai specializzati, che altrimenti emigrano, nell’attesa di poter formare dei giovani capaci di sostituirli.

Noi pensiamo che anche l’emigrazione della mano d’opera qualificata sarà utile, perché l’operaio più colto faciliterà anche il lavoro del nostro Governo per diradare quelle nubi che ancora offuscano l’orizzonte, e rendere più cordiali i rapporti tra noi e le altre nazioni; però non dobbiamo chiuderci in questa visione, ma vedere le difficoltà presenti e del domani della nostra industria. Ecco, quindi, che se da un lato è bene ed è giusto che lasciamo libera l’emigrazione di parte dei nostri lavoratori, dobbiamo però fare in modo che gli operai, i quali non possono passare da un’industria all’altra, e non possono nemmeno emigrare, si riducano a un numero sopportabile per il bilancio dello Stato, pur ricevendo un sussidio che permetta ad essi e alle loro famiglie di vivere.

A questo proposito, voglio richiamare la vostra attenzione sulla gravissima situazione sanitaria, conseguente alla denutrizione del nostro popolo. Ieri, quando l’onorevole Lombardi ha detto che i contadini sono in miseria, ho sentito delle esclamazioni su altri settori. Ebbene, signori, io vi parlo basandomi su pochi dati di cui posso disporre, perché gli uffici statistici delle Camere del lavoro non sono ancora in efficienza. La Camera del lavoro è un organismo complesso che richiede molto tempo per essere ricostruito. Un partito, si ricostruisce in due ore; si mettono d’accordo gli uomini, si forma un programma, lo si lancia al pubblico, ed ecco il partito in azione. Ma la Camera del lavoro invece richiede uomini, capacità tecniche, e passa del tempo prima che possa dare i suoi frutti. Ebbene, a Torino noi abbiamo questa situazione: una recrudescenza della tubercolosi nel rapporto da uno a. quattro in brevissimo tempo. L’altro giorno, prima che ripartissi da Torino per Roma, il Direttore sanitario dell’Ospedale mi ha dato conferma di questo fenomeno: la gioventù, che si presenta all’Ospedale per la cura di dolori traumatici o di ferite, presenta sovente una temperatura elevata costante. I pazienti, sottoposti a visita, invariabilmente hanno i segni della tubercolosi.

Per darvene un saggio, vi leggo qui poche righe di un rapporto che un Ente pubblico ha spedito al Governo. Esso dice testualmente: «Senonché, generalmente, dopo un certo periodo di servizio quegli elementi riconosciuti costituzionalmente sani all’atto della visita di arruolamento, rivelano i sintomi di forme tubercolari che sorgono quasi all’improvviso ed hanno decorso assai rapido». E continua: «Le cause della tubercolosi verificatasi in numero abbastanza preoccupante, specialmente nei mesi invernali, sono molteplici:

1°) in primo luogo l’insufficienza di vitto».

E conclude con queste parole: «Dalla situazione sopra esposta è facile ricavare la conclusione che i provvedimenti intesi a migliorare la situazione sanitaria del corpo, non possono essere che i seguenti:

1°) miglioramento qualitativo e quantitativo del vitto…».

Ora, io devo far notare che mentre mai si sentì il bisogno di istituire ambulatori sanatoriali per la osservazione e la cura della infanzia, a Torino si è posto anche questo quesito nel campo medico e sanatoriale e si dovranno istituire anche tali ambulatori per la cura infantile, perché la percentuale della tubercolosi infantile è così considerevole che preoccupa vivamente l’autorità locale.

Quindi, se diciamo che è necessario fare una politica di intervento da parte del Governo affinché l’alimentazione venga equamente ripartita, affinché quel che esiste non serva a pochi, noi crediamo di essere nel giusto. Il ragionamento che fanno alcuni, i quali dicono che c’è poca merce, non regge: se c’è poca merce dev’essere ripartita in parli uguali, in modo che quel poco giunga effettivamente su ogni desco familiare.

Ieri l’onorevole Presidente del Consiglio ha accennato alla razione della carne, ed ha dichiarato che questa nuova situazione è dovuta alla diminuzione del prezzo dei foraggi, che induce il contadino a conservare il bestiame, anche perché ha sfiducia nella solidità della lira. Ma quando domandiamo l’intervento del Governo per una politica organica dei prezzi, intendiamo che esso agisca anche su questo settore del concime e dei foraggi, in modo che tutti possano averne un beneficio.

Mentre a Torino siamo passati, dall’anno scorso a quest’anno, da poche decine di migliaia di vitelli ad oltre cento mila, riscontriamo che la bestia viva sul mercato la settimana scorsa era quotata 360 lire al chilo, il che vuol dire che la carne al consumatore costerà circa 600 lire al chilogrammo, mettendo in conseguenza il lavoratore in condizioni di non poterla consumare.

D’altra parte abbiamo questa statistica: dal 1942 ad oggi il consumo della carne in Italia, pro capite, è diminuito del 50 per cento. Questa diminuzione è a carico tutta del lavoratore, che è nell’impossibilità di comprare tale alimento. Ora, dopo le segnalazioni delle condizioni sanitarie che ho fatto, e tenuto presente che andiamo verso l’inverno senza che i lavoratori possano nutrirsi di carne, quali saranno le ulteriori conseguenze? E mentre dobbiamo agire nel settore dell’alimentazione, non possiamo non preoccuparci anche del settore del vestiario e dell’abbigliamento. Dovete tener presente, egregi colleghi, che molte famiglie del ceto medio dell’Alta Italia (non conosco le condizioni della bassa Italia) sono prive di lenzuola, in parte perché distrutte dai bombardamenti ed in parte consumate per la naturale usura, e non hanno potuto rinnovare nulla del proprio abbigliamento da parecchio tempo. I medici delle Mutue, che ci segnalano questi particolari, vanno a visitare gli operai e gli impiegati nelle singole abitazioni e li trovano ammalati sul proprio giaciglio modestissimo, senza lenzuola e senza federe.

Ebbene, noi sappiamo che la distruzione del patrimonio nazionale di circa il 50 per cento, in seguito alla guerra, ha determinato conseguentemente una restrizione nei consumi. Sappiamo che dobbiamo fare degli sforzi per migliorare tale situazione. Dobbiamo soprattutto cercare di arrivare all’estero ed affermarci in tutto quello che è possibile, come del resto fanno gli altri. Dando uno sguardo alle statistiche dei Paesi esteri, vediamo, ad esempio, che l’Inghilterra, facendo il raffronto fra il trimestre di questo anno e quello dell’anno scorso, soltanto nel settore di una qualità di macchinario ha esportato il doppio dell’anno scorso in sterline ed in peso. Quindi anche noi dobbiamo fare tutti gli sforzi, non con la rinunzia a tutti i nostri bisogni, ma cercando di graduare queste rinunzie agli effettivi bisogni del popolo.

C’è qualcuno che esprime la sua meraviglia quando noi chiediamo la requisizione delle fabbriche, che non producono, talvolta di proposito, sottraendosi così a certi doveri sociali. Io mi sono interessato, come Segretario della Camera del lavoro, di un fatto che merita di essere segnalato: un industriale ebbe l’ordine di assegnare determinati quantitativi di cotone lavorato ad una cooperativa, perché questa lo vendesse ai lavoratori ad un prezzo di favore. Cinicamente, questo industriale, dopo averne consegnato metà con molto ritardo, si è rifiutato recisamente di consegnare l’altra metà, dichiarando che gli conveniva di più esportare quel prodotto. Ebbene: noi siamo sì per l’esportazione, perché l’importazione delle materie prime che ci occorrono è collegata alla esportazione, ma è necessario prima garantire al popolo italiano la sua esistenza ed un livello minimo di vita.

 Mi permetto, egregi colleghi, di soffermarmi ancora su un punto che interessa tutto il popolo italiano: quello del meridione, problema che assilla continuamente la nostra vita nazionale, che ritorna sempre e la cui soluzione rimane nei discorsi più o meno eloquenti degli oratori parlamentari.

Io chiedo che l’IRI ed il Banco di Napoli, che ha in mano il risparmio del meridione, studino il problema per cercare di fare risorgere quelle contrade. Noi abbiamo bisogno che il meridione risorga, non soltanto per un dovere che dobbiamo sentire verso quelle regioni, ma perché la sua resurrezione risolverà anche altri problemi del settentrione. Non esiste un’economia a compartimenti stagni; le diverse economie sono tutte interdipendenti. Il meridione deve elevare il suo tenore di vita, consumando i prodotti industriali del Nord, come noi consumiamo i prodotti delle sue terre.

Quindi il nostro gruppo chiede formalmente al Governo di farsi promotore, attraverso i suoi organi esecutori, di rapide iniziative, talché il problema del meridione non sia soltanto argomento di abilità dialettica degli oratori parlamentari, ma problema che trovi finalmente una sua attuazione pratica.

C’è poi il problema ospitaliero, che da noi è disastroso. Basta pensare che a Torino da circa 5000 letti, che avevamo prima della guerra, ci siamo ridotti a 2000; gli altri 3000 sono stati distrutti dai bombardamenti.

Quasi nessuno vuole fornire gli ospedali, perché sono quasi tutti insolventi, mentre le rette hanno raggiunto cifre notevoli, il cui pagamento rimane sempre praticamente scoperto, perché tanto gli ammalati, quanto gli Enti pubblici cui compete il carico della assistenza dei poveri, non possono pagare.

Io non so se, nell’attesa della riforma per l’autonomia comunale e per l’autonomia regionale, si possa intanto – pongo il quesito, perché ci sono tanti interrogativi che fanno rimanere perplessi – accordare immediatamente un’autonomia tributaria ai comuni, affinché essi possano, sulla base degli incassi o crediti, avere aiuti da parte di Enti finanziatori e provvedere ai bisogni immediati delle popolazioni.

Ad ogni modo, se il Governo ritiene che non sia ancora il momento di poter concedere questa autonomia parziale, dato il periodo di emergenza in cui viviamo, chiedo che mantenga seriamente i suoi impegni e garantisca ai comuni, sia pure col controllo dovuto, l’integrazione tempestiva delle somme necessarie per il funzionamento dei servizi.

Parlando delle banche, ieri l’onorevole Presidente del Consiglio ad un certo punto ha detto che a quei comuni, i quali prendono l’iniziativa di istituire determinati enti, il Governo garantirà il 50 per cento delle somme occorrenti. È già qualche cosa. Però, l’onorevole Presidente del Consiglio dovrà darmi atto che così si accendono dei debiti. Ora, il mutuo da chi si ottiene? Dalle banche. Ed io mi domando perché noi dobbiamo pagare il 9-10 per cento di interesse a degli istituti, quando questi danno ai depositanti il 0,5-1 per cento. Faccio la richiesta formale che, mentre prendo atto della dichiarazione del Presidente del Consiglio di aiutare nel modo che ha accennato tutti gli Enti che provvederanno alla creazione degli Istituti destinati a sollevare la vita dei più poveri, il denaro venga dato nelle forme più convenienti, in modo da contribuire a diminuire il costo della vita. Quando parliamo, specialmente da questo settore, di riforme, di provvedimenti, vediamo cenni di meraviglia e sentiamo accennare ai pericoli a cui si può andare incontro se vengono attuate queste riforme. Si dice che il capitale straniero, se impaurito, fugge, non ci fa credito, e noi poveri potremmo trovarci di fronte a delle difficoltà.

Ebbene, egregi colleghi e signori del Governo, se guardiamo fuori d’Italia troviamo l’esempio di Paesi conservatori che, hanno progredito in questi ultimi tempi con riforme importantissime, che interessano tutta la vita nazionale. In Inghilterra, per esempio, si sta facendo la nazionalizzazione delle miniere, la nazionalizzazione della Banca d’Inghilterra, la nazionalizzazione dei servizi sanitari. E noi invece siamo timorosi, e mentre il Presidente del Consiglio già nel discorso che fece nel presentare il Governo accennò ai consigli di gestione, ci troviamo ancora in fase di studio per metterli in funzione.

Si parla dell’estero. Ebbene, io ho avuto più volte l’occasione – dico l’occasione più che la fortuna – di parlare con uomini politici esteri. A questi uomini, parlando della situazione politica nazionale, ho fatto cenno di questo dovere di andare incontro alla classe lavoratrice, la quale ha coscienza dei nuovi diritti che si sono maturati e vuole che ci sia qualcosa anche per sé, senza continuare ad essere considerata merce a disposizione del capitale. Questi uomini politici esteri non si sono meravigliati delle mie parole, perché si sono resi consapevoli anch’essi che un paese povero come il nostro, per potersi riprendere, ha bisogno di un’assoluta unità d’intenti e d’indirizzo, ha bisogno dell’unità nell’azione di tutte le forze nazionali. Altrimenti, se noi lasciamo i lavoratori nelle condizioni di inferiorità in cui attualmente si trovano, non troveremo mai quelle possibilità di collaborazione che desideriamo.

Ecco, quindi, che mentre vediamo altri Paesi procedere rapidamente nelle riforme sociali, noi invece ci dibattiamo nell’incertezza, con danno evidente di tutto quello che è indirizzato alla ripresa nazionale.

Chiedo quindi che anche in questo campo il Governo si decida a mettere rapidamente in esecuzione quelle riforme che sono ormai mature, ed il Governo troverà nei lavoratori la comprensione necessaria per fare lo sforzo superiore, che è indispensabile per risollevare tutta l’economia nazionale.

L’onorevole Presidente del Consiglio ha accennato alla tregua salariale e quindi alla tregua sindacale.

Noi siamo consapevoli di questo bisogno; però l’onorevole Presidente del Consiglio deve tener presente, che non dipende soltanto dall’apporto che possiamo dare con un documento scritto che stabilisca di sospendere per il tempo x o y qualunque richiesta di carattere salariale, ma dipende anche dalla capacità che noi avremo di contenere il costo della vita in limiti sopportabili per le classi lavoratrici. Ma se noi a questo non riusciremo, Signor Presidente del Consiglio ed egregi colleghi, potremo firmare tutti i patti e tutte le tregue che vorremo, ma il bisogno si presenterà infallibilmente e si dovrà provvedere in qualche modo a sollevare le condizioni degli operai. Siamo pronti ad accettare questa tregua, ma essa è subordinata ad un complesso di provvedimenti organici che apportino un miglioramento considerevole della vita e allora soltanto, quando i lavoratori constateranno che effettivamente si è ottenuto qualche cosa di positivo in loro favore, noi potremo accedere alla richiesta del Governo, perché esso possa tranquillamente studiare le riforme necessarie in questo periodo di emergenza.

Onorevoli colleghi, io voglio assicurare il Presidente del Consiglio e il Governo tutto della sincera e leale collaborazione dei socialisti al Governo stesso, però ad una condizione: che si agisca sul serio. Noi non abbiamo mandato i nostri rappresentanti al Governo unicamente per occupare dei posti. Noi siamo al Governo e intendiamo condividere le sue responsabilità in un momento così grave per il Paese, ma desideriamo e domandiamo nel modo più formale che il programma che si annuncia, quel tanto o quel poco che corrisponde alle effettive possibilità del momento, venga seriamente e decisamente attuato e allora continueremo ad essere dei collaboratori leali e sinceri. Se sfortunatamente – ed io non me lo auguro – ci troveremo ancora di fronte alle sole parole, allora ci si costringerà, nostro malgrado, a rivedere le nostre posizioni.

Onorevole Presidente del Consiglio, io ho imparato due massime che mi ha insegnato il mio Maestro, l’indimenticabile onorevole Bruno Buozzi. Egli mi diceva, sin da quando incominciai a frequentare le organizzazioni sindacali: «Prometti soltanto ciò che puoi mantenere; non chiedere mai più di quello che puoi ottenere». Ebbene suppongo che l’onorevole Presidente del Consiglio abbia promesso quello che effettivamente potrà mantenere. Non so se egli ha sentito ciò che ho detto all’inizio del mio discorso. Comunque ho trattato degli argomenti di immediata attualità. Bisogna metterli in atto. Per esempio, il premio della Repubblica incontra molte difficoltà nella sua applicazione; da tre mesi è stato approvato ed ancora abbiamo fastidi e preoccupazioni nelle Camere del Lavoro, dove affluiscono giornalmente centinaia di persone che reclamano il loro diritto, mentre gli industriali rispondono che non pagano il premio perché il provvedimento non è stato ancora pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.

Ora non si può permettere che di una legge, che può determinare la. tranquillità o meno dell’ordine pubblico, sia ritardata l’applicazione perché l’ufficio non ha trovato modo di poterla pubblicare sulla Gazzetta Ufficiale. Non soltanto, ma ho saputo in questi giorni, onorevole Presidente del Consiglio, un altro fatto, che incide sul costo della vita. Un ex Sottosegretario di Stato alle finanze mi ha riferito di avere studiato un progetto di legge per esonerare dalla applicazione della tassa generale sulle entrate l’ultimo passaggio delle merci e disposto per l’applicazione del provvedimento, ma la burocrazia lo ha messo a dormire. Così le cooperative pagano l’8 % per la frutta e le verdure, mentre i rivenditori ambulanti pagano solo il 3,50 %, frustrandosi così la funzione calmieratrice che le prime devono esercitare. Tutti i problemi, onorevole Presidente del Consiglio, che noi presentiamo, richiedono una rapida soluzione, affinché possano apportare una certa tranquillità alla classe lavoratrice italiana.

Voi avete accennato, nella chiusa del vostro discorso di ieri, che potremo avviarci presto verso il secondo Risorgimento. Me lo auguro; lo vogliamo, e lo vogliamo sinceramente. Dipende da voi che siete al Governo; e noi collaboreremo sinceramente con voi se voi opererete. Coi vostri atti dovete portare un soffio di fiducia in mezzo al popolo italiano, in mezzo soprattutto alla classe che più è provata in questo tremendo periodo che si attraversa. E se voi saprete con provvedimenti rapidi, immediati, non più ritardati, accaparrarvi la fiducia del Paese e dei lavoratori che guardano con speranza a questa Assemblea, state sicuri, onorevoli membri del Governo e signor Presidente del Consiglio, che il popolo italiano vi risponderà. E allora veramente potremo dire di aver ritrovata la via definitiva per la nostra resurrezione. (Applausi a. sinistra).

Presidenza del Vicepresidente TERRACINI

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Pella. Ne ha facoltà.

PELLA. Onorevoli colleghi, non vi stupirà certamente la dichiarazione di fiducia nel programma governativo che ho l’onore di fare a nome del gruppo democratico cristiano. Ma appunto questo nostro naturale desiderio di essere a fianco del Presidente del Consiglio e suoi collaboratori nella immane opera di ricostruzione del Paese, mi suggerisce di proporre all’attenzione vostra e del Governo alcune osservazioni e raccomandazioni, che per la maggior parte ripetono la loro origine da ragioni fatali e insuperabili di ordine tecnico più che di ordine squisitamente politico.

Poiché, o amici e onorevoli colleghi, io penso che sentiamo tutti l’istanza urgente, che sale dal paese verso questa Assemblea, di dare un contributo possibilmente concreto e tecnico alle nostre discussioni, eventualmente accantonando quelle questioni più genericamente politiche che, nel momento attuale, le grandi masse forse considerano meno urgenti.

Profondamente esatta è l’affermazione del Presidente del Consiglio, secondo cui al centro della crisi attuale del Paese sta il problema della stabilizzazione della lira. Non da oggi, come partito, come gruppo parlamentare, e mi si permetta, anche personalmente, abbiamo ed ho sostenuto che il problema della difesa contro lo spettro dell’inflazione è oggi il problema base, problema che interessa non tanto le classi così dette abbienti (se ha un significato oggi una terminologia di questo genere), poiché queste classi già da tempo hanno provveduto ad una loro politica di investimenti in beni reali, se non addirittura a quella politica di indebitamento che proprio in un processo inflazionistico troverebbe il suo coronamento e la sua meta finale. La inflazione interessa e preoccupa essenzialmente la grande massa dei lavoratori, la massa dei pensionati, la massa delle classi medie a reddito fisso, la massa degli stipendiati e dei salariati; poiché, onorevoli colleghi, ricordiamoci quanto sia esatto il detto, forse troppo abusato, ma quanto mai di attualità: che, sì, è vero, quando i prezzi crescono devono crescere anche gli stipendi e i salari; ma ricordiamoci che i prezzi salgono con l’ascensore, mentre i salari e gli stipendi salgono lentamente per le scale.

Onorevoli colleghi, la stabilizzazione è al centro della questione attuale della vita della Nazione, ma è bene che su questo punto chiariamo le nostre idee contro possibili malintesi. Quale stabilizzazione? Abbiamo letto stamani sui giornali che la circolazione, comprese le am-lire, a fine agosto era sui 415 miliardi contro 22-23 miliardi del 1939. Moneta cartacea, quindi, aumentata circa di 20 volte: vorrei sperare che in questi primi venti giorni di settembre i termini di tale rapporto non si siano spostati. La moneta bancaria è aumentata secondo un parametro considerevolmente inferiore; i prezzi, invece, che oscillavano due mesi fa sopra una base di 30-35 volte l’anteguerra, oggi sono sulla base di almeno 40 volte l’anteguerra. Premesso che stabilizzazione della moneta significa determinazione della capacità di acquisto della moneta in termini di merci e di servizi, dobbiamo noi ammettere che la meta di questa stabilizzazione debba essere rivolta ad un livello di prezzi di 30-40 volte anteguerra – come hanno tentato di sostenere determinati gruppi interessati – o non dobbiamo, invece, affermare solennemente il principio che la stabilizzazione deve mirare a quello che è il parametro attuale della situazione monetaria? Stabilizzazione, quindi, su una base 20, su una base 22, su quello che sarà il livello generale dei prezzi quando si sarà raggiunto un volume normale di affari e di scambi, resistendo contro le pressioni di chi vorrebbe portare le direttive monetarie del Governo verso una stabilizzazione sull’attuale livello dei prezzi, influenzato dal fenomeno della rarità della merce, nonché da quei fattori psicologici che ben conosciamo.

E mi si consenta, poiché dovrò al Ministro del tesoro uscito di carica rivolgere qualche appunto, mi si consenta in questo momento di riconoscere che è stato essenzialmente merito suo di affermare il principio che la stabilizzazione della lira italiana doveva aver riguardo puramente e semplicemente a quello che era il parametro di inflazione monetaria, resistendo alle istanze di salvataggio dalla necessaria crisi di assestamento dei prezzi di tutte quelle categorie che, per avere investito in beni reali a quota 30-40 volte l’anteguerra, avrebbero voluto che la politica monetaria del Governo portasse alla stabilizzazione su quelle basi: avrebbero voluto, cioè, sottrarsi a quelle fatali perdite, che sono, fra l’altro, la contro partita degli utili conseguiti durante il progressivo aumento dei prezzi.

Onorevoli colleghi, mi pare che qui sia il punto essenziale di partenza di tutta la discussione sulla politica monetaria che deve oggi attuarsi in Italia. Vi sono forze occulte interessate, da una parte e dall’altra, mi si permetta, correnti di incomprensione in sede di minor conoscenza tecnica dei problemi, le quali forze e correnti concorrono a spostare i termini della questione per affermare che stabilizzazione al di sotto del livello attuale dei prezzi significa deflazione. No, signori, deflazione potrebbe significare se andassimo al di sotto del parametro monetario 20-22; sarebbe inflazione se andassimo oltre. Perciò è indispensabile che il Governo, come d’altra parte mi sembra ci abbia dato sufficienti assicurazioni, assolutamente si impegni, attraverso il nuovo titolare del dicastero del tesoro, di continuare in quella politica precisa e perentoria di non stampare altra carta-moneta.

Ed il problema attuale risiede proprio in questo: vedere se e fino a qual punto sia oggi possibile obbedire a questo imperativo categorico o, in altri termini, se e fino a qual punto sia oggi lecito sperare che si possa infrangere il torchio della stampa dei biglietti.

Onorevoli colleghi, due forze convergenti possono far pressioni sopra il Ministero del tesoro perché si arrivi ad una ulteriore stampa dei biglietti; da una parte le necessità dello Stato per quanto attiene al bilancio dello Stato medesimo, dall’altra quelle che possono essere considerate le necessità dell’economia privata in sede di finanziamento della ripresa economica. Io non vorrei, onorevoli colleghi, tediarvi troppo con argomentazioni di carattere strettamente tecnico; ma mi sembra che non sia tempo perduto una breve rassegna di questa materia.

Il bilancio dello Stato, (lo sappiamo in linea di massima) è ben lungi dall’avere ottenuto il suo pareggio. Se siamo bene informati, dai due consuntivi del 1943-44 e 1944-45 (desumo questi dati dalla relazione del Governatore della Banca d’Italia sull’esercizio del 1945, Governatore che avrò l’onore di citare qualche volta in quest’aula, stasera soprattutto, come Maestro insuperabile di economia) abbiamo rilevato che il deficit complessivo dei due esercizi è stato di 500 miliardi. Abbiamo saputo che l’esercizio 1945-46 si è concluso con un ulteriore decifit che riteniamo dell’ordine di grandezza, di 300-350 miliardi. Mi si consenta una parentesi, vi è ancora qualcosa di clandestino in Italia, e sono i dati relativi alla situazione del tesoro, i quali nella loro forma sistematica, completa e dettagliata, vengono sì pubblicati, ma a disianza di molti mesi. Non so se sia deficienza del mio servizio di informazioni, ma il fatto si è che la maggior parte degli italiani oggi conosce soltanto il conto del tesoro a fine febbraio 1946.

MARINARO. È uscito un altro bollettino.

CORB1NO. A tutto il 30 giugno.

PELLA. Quelle del 30 giugno sono cifre riassuntive che abbiamo appreso dai giornali.

UBERTI. A tutto il 30 aprile, non di più.

PELLA. In ogni modo, tutto ciò non esclude che possiamo ritenere per valido che nei tre esercizi vi è stato un disavanzo complessivo di circa 800 miliardi: disavanzo il quale, per buona parte, è stato colmato con una politica di indebitamento, che potevamo comprendere come fatale per un primo periodo di tempo, ma che inevitabilmente non poteva non rivelarsi pericolosa.

Noi sappiamo che l’ottimismo fa dei miracoli, ma sappiamo anche che il pessimismo, quando nasce, nasce gigante. Può essere sufficiente un principio di pessimismo nel risparmiatore italiano, perché quell’afflusso di denaro già investito in buoni del tesoro, che è stato la base per colmare le necessità di tesoreria, possa non più verificarsi. Questo era il punto debole della politica del Ministro del tesoro uscente, al quale però io desidero rendere omaggio per il suo ben superiore e preminente merito di avere impostato la politica monetaria in quei limiti cui ho accennato prima.

Era ed è necessario attuare, ai fini del risanamento del bilancio, quella politica fiscale, quella politica tributaria in sede ordinaria e in sede straordinaria, che non può che essere la ricetta normale, la ricetta classica, per arrivare al pareggio del bilancio.

Su questo punto – e mi si creda, ché sono veramente sincero quando affermo che non desidero sollevare critiche nei confronti di specifiche persone – su questo punto della politica fiscale non è mistero che il pubblico italiano è rimasto in parte deluso. Noi ci troviamo nel campo della finanza ordinaria con degli introiti che sono attualmente di gran lunga inferiori a quelli che dovrebbero essere in relazione alle nuove espressioni monetarie dei redditi, sia pure tenuto conto della diminuzione del reddito nazionale.

Ritengo che i 40 miliardi circa di tributi diretti e indiretti che si registravano nel 1939 e nel 1940 potrebbero, con l’andare del tempo, diventare, all’incirca, 400 miliardi. Se potessimo arrivare celermente a questa meta, voi lo comprendete, potremmo finanziare un bilancio ordinario a vasto respiro e guardare con occhio più sereno e tranquillo l’avvenire della nostra moneta e confidare nella possibilità di potenziare quel bilancio straordinario che mi sembra sia ancora nelle intenzioni del Governo di affiancare al bilancio ordinario.

Ritengo che occorra insistere – e in questo senso abbiamo preso atto volentieri delle assicurazioni che ci ha dato l’onorevole Presidente del Consiglio, perché gli organi di accertamento e le procedure di accertamento e di riscossione siano riformati e potenziati. Noi sappiamo che l’Amministrazione delle finanze, sia per quanto riguarda le imposte dirette che per quanto concerne quelle indirette, annovera al centro e alla periferia, negli alti e nei minori gradi, personale di primissimo ordine. È bene che questo personale abbia la sensazione di svolgere nuovamente una funzione nobile, socialmente altissima, indispensabile alla ricostruzione della Nazione. Poiché io ritengo che sia indispensabile accordare a detto personale, oltreché un migliore trattamento per le necessità materiali della vita, anche una rivalutazione della sua funzione sociale. Per quanto riguarda la finanza straordinaria, non nascondo un certo senso di delusione per quella che è stata la lentezza nell’attuazione di determinati provvedimenti.

Imposta straordinaria sugli utili di guerra, avocazione degli utili di guerra, avocazione dei profitti di regime: provvedimenti che hanno trovato la loro definizione legislativa soltanto due o tre mesi orsono. Ed io mi domando se effettivamente possiamo ancora, a distanza di tanto tempo, contare molto sul gettito di tali tributi.

Ciò nondimeno mi permetto raccomandare vivamente al Ministero delle finanze che non si perda un giorno di più ad avviare rapidamente a conclusione gli accertamenti in corso, in quanto io penso che ogni ritardo potrebbe essere deleterio. Meglio assai una definizione rapida dei sospesi, con accorte transazioni, piuttosto che inseguire speranze di maggiori introiti trascinando per mesi e mesi delle procedure con dubbio vantaggio per l’Erario.

Ma mi si consenta di riaffermare che la delusione forse più grave – e non so se, tecnicamente, fino a qual punto fondata, ma indubbiamente grave dal punto di vista psicologico e dal punto di vista politico – il pubblico italiano l’ha provata nei confronti dell’imposta straordinaria sul patrimonio. Ritengo che questa imposta, se attuata nel 1945, avrebbe raggiunto dei notevolissimi risultati, non soltanto sul piano fiscale, per le grandi masse di liquidità che allora erano a disposizione per un rapido pagamento principalmente nell’Italia Settentrionale. Essa avrebbe avuto dei risultati notevolissimi sul piano psicologico in relazione alla difesa della moneta, in quanto tale tributo straordinario avrebbe costituito l’indice di una finanza drastica, intesa a perseguire a fondo la difesa della moneta: forse molte disponibilità liquide che, dopo un breve periodo di attesa, si sono lanciate negli investimenti in beni reali, non avrebbero iniziato quella corsa agli investimenti che fu causa prima dell’aumento enorme dei prezzi dopo la liberazione. È stata un’ottima occasione perduta.

Io mi raccomando che nel momento più opportuno, dal punto di vista tecnico, e forse anche dal punto di vista psicologico, il Governo non ritardi eccessivamente l’applicazione di questo tributo. È il tributo – ricordiamocelo – base, il tributo straordinario fondamentale, forse il solo tributo che, come gettito fiscale, permetta effettivamente di finanziare il bilancio straordinario.

Nel frattempo, come ci è stato annunciato, sarà applicata un’imposta sul reddito derivante dalle rivalutazioni monetarie, che dovrebbe colpire azioni, terreni e fabbricati. Io penso che la forma volutamente concisa, adottata dall’onorevole Presidente del Consiglio, non corrisponda ad una incertezza nella visione di questo tributo, che certamente nel programma del Governo sarà già stato configurato nelle sue linee di massima; ma corrisponde invece al desiderio di poterlo presentare al pubblico italiano al momento opportuno, nella sua veste definitiva di immediata applicazione, allo scopo di impedire che nel frattempo si possano escogitare forme di evasione.

Tuttavia, da quanto mi sembra possibile intuire dalle affermazioni generiche contenute nella esposizione dell’onorevole Presidente del Consiglio, io ritengo che questo tributo debba avere ancor più che una portata di ordine fiscale (tutto sommato, potrebbe rappresentare un anticipo sull’imposta straordinaria sul patrimonio), debba avere, ripeto, soprattutto una portata di ordine monetario e di ordine psicologico: di ordine monetario, come affermazione di una tendenza di rivalutare la ricchezza liquida, attuando a suo favore una situazione fiscale migliore rispetto a quella della ricchezza reale. Il provvedimento trova, inoltre, sul piano sociale la sua giustificazione, in quanto che la ricchezza liquida, effettivamente, attraverso una svalutazione dell’ordine di grandezza da uno a venti, ha finito per sopportare una falcidia del 95 per cento.

Onorevoli colleghi, noi dobbiamo ritenere che se questo programma sarà attuato con la necessaria energia da parte del dicastero delle finanze, d’accordo con il Ministero del tesoro, effettivamente si potrà arrivare nel giro di un paio di esercizi a quel pareggio di bilancio che deve essere la meta essenziale per la salvezza della nostra moneta.

Nel frattempo, evidentemente, occorrerà ancora gettare un’arcata sul ponte di transizione. Il programma del Governo ha contemplato un prestito. Su questo prestito l’onorevole Presidente del Consiglio ha ritenuto di non dovere anticipare troppi dettagli, e, ritengo, a mio modesto avviso, che abbia fatto bene. Con questo, io penso che il Governo stia ancora esaminando quali possano essere le caratteristiche e gli allettamenti definitivi da accordare a questo titolo, perché effettivamente il prestito rappresenti, in termini concreti, la manifesta e concorde volontà di tutti gli italiani nel procedere alla opera della ricostruzione finanziaria della Nazione

Lascio alla benevola attenzione del Governo di esaminare se, e fino a qual punto, possa meritare considerazione la proposta dell’onorevole Lombardi, che ho sentito con molto interesse, di abbinare all’emissione del prestito il cambio della moneta. La forma adottata dall’onorevole Lombardi non mi permette di vedere con esattezza quali sarebbero le modalità tecniche che egli propone; ma, se per avventura (e ritengo di non essere lontano dal vero, dopo che abbiamo letto sul giornale di ieri il testo che aveva proposto l’onorevole Scoccimarro per l’imposta straordinaria sul patrimonio), se per avventura i titoli di Stato dovessero venir chiamati a contribuire all’imposta straordinaria sul patrimonio, allora occorrerà esaminare se non sia il caso effettivamente di chiamare a contributo anche l’altra ricchezza mobiliare liquida. E soprattutto occorrerà esaminare se non sia il caso di trasformare il prestito di nuova emissione in un investimento-rifugio del denaro liquido, accordando al nuovo titolo facilitazioni, se non l’esenzione, in sede di imposta straordinaria sul patrimonio e proclamando nello stesso tempo il cambio della moneta. Non è una raccomandazione che mi permetto di fare al Governo, ma, più che altro, esprimo il desiderio che questo punto venga esaminato. Soltanto il Governo, che ha tutti gli elementi a disposizione per studiare il problema e dal punto di vista tecnico e dal punto di vista sociale e psicologico, potrà concludere se e come possa convenire di seguire l’ordine di idee prospettate dall’onorevole Lombardi e da me integrato.

Onorevoli colleghi, la pressione per una ulteriore stampa di biglietti potrebbe però venire anche da altre parti.

La ripresa economica della Nazione richiederà masse ingenti di capitale liquido. Anche se noi volessimo formulare l’ipotesi – che mi sembra la più ottimistica – che fra due o tre anni, attraverso un processo di assestamento di prezzi, si giunga ad una stabilizzazione dei prezzi sul livello di 20-22 volate anteguerra – ed era questa la previsione che cautamente l’onorevole Governatore della Banca d’Italia faceva pochi mesi fa – è evidente che, a parità di volume degli scambi, sarà necessario all’economia nazionale un complesso di capitale circolante numericamente uguale almeno a 20 volte quello del 1938.

La massa dei depositi bancari, indice eloquente di quello che è l’aumento delle disponibilità di circolante per il finanziamento dell’economia privata, è aumentata invece secondo il rapporto di uno a sette.

Perciò, onorevoli colleghi, non si sfugge a questo dilemma: o noi, servendoci soltanto del capitale circolante di cui disponiamo vogliamo accontentarci di una forma rachitica di economia, che rappresenti, come volume di scambi, all’incirca un terzo di quello del 1938, oppure vogliamo, come è imprescindibile necessità, anche perché la politica tributaria raggiunga tutti i suoi scopi, ritornare al volume di scambi del 1938. In tal caso, modestamente non vedo altra strada, se non quella di invogliare il capitale estero ad interessarsi all’economia nazionale. Mi sembra che non vi sia altra soluzione per potere risolvere questo enorme problema del finanziamento della ripresa economica. Ed il capitale estero certamente non verrà a noi né per simpatia politica, né per il nostro bel cielo o per altre ragioni di ordine sentimentale. Esso verrà a noi, se noi saremo in grado di offrire ad esso degli ottimi affari. Ed a sbarazzare il terreno da qualsiasi equivoco, come tecnico desidero affermare che non mi interessa che il capitale possa arrivare da Oriente piuttosto che da Occidente; mi interessa che si tratti di capitale, il quale venga in Italia senza scopi reconditi, non per mettere ipoteche sulla nostra Nazione, ma soltanto con lo scopo di cercare un utile impiego.

Se noi riusciremo ad invogliare il capitale estero a rinsanguare l’economia della Nazione, io credo, onorevoli colleghi, che il momento della ripresa effettiva non sarà lontano.

Ha ragione l’onorevole Carmagnola quando afferma che diversi industriali e commercianti esteri, di passaggio per l’Italia, hanno manifestato la loro ammirazione per il grado di ripresa già da noi raggiunto. Questo, indubbiamente, è di buon auspicio. Ma è evidente che, se non si raggiungeranno determinate condizioni, questa buona predisposizione del capitale estero non potrà avere attuazione concreta. E queste condizioni, a mio avviso, sono essenzialmente tre:

1°) trovare il modo di uscire dall’attuale regime armistiziale, perché difficilmente prima della firma del trattato di pace il capitale estero sarà disposto ad affiancarsi all’economia italiana;

2°) ristabilire definitivamente un ordine pubblico, perché il capitale è estremamente sensibile ai pericoli di movimenti interni. Soltanto consolidando il nostro ordine interno e dando all’estero la sensazione che in Italia quest’ordine esiste, possiamo sperare che il capitale straniero varchi le frontiere per arrivare fino a noi;

3°) mettere le nostre aziende in condizioni di adeguato rendimento L’onorevole Carmagnola ha messo il dito sulla piaga quando ha ricordato che esiste ancora un problema, quello di ridare efficienza definitiva alle nostre imprese industriali risolvendo il problema dello sblocco dei licenziamenti. Al quale io vorrei affiancare anche il problema di un rendimento, al più alto grado possibile, della maestranza impiegata nelle singole fabbriche. Nel contrasto fra le due formule: «a ciascuno secondo il bisogno» o «a ciascuno secondo i propri meriti», io ritengo che mai come oggi abbia ragione di essere proclamata la nostra formula «a ciascuno secondo i propri meriti, alla condizione che sia assicurato a ciascuno il minimo per il proprio bisogno».

Se noi riuscissimo tempestivamente a reintrodurre quei sistemi di retribuzioni a cottimo ed a premio che dovranno fatalmente fare la loro ricomparsa dopo diversi anni di ostracismo nelle singole imprese industriali (ferma restando la garanzia di un minimo necessario all’operaio), ritengo che avremmo fatto un gran passo innanzi sulla via della ripresa economica.

Perché non è esatto il ragionamento che troppe volte si fa in materia di esportazione, secondo il quale, per esportare, sia oggi necessario raggiungere elevatissimi livelli di cambio.

La verità è – e ritengo di poter portare qui il risultato di mie indagini personali in settori a me più vicini – che se potessimo portare le industrie ad un grado di maggiore efficienza, per esempio all’80 per cento di quella che può essere stata l’efficienza dell’anteguerra, col dollaro sulla base di 300 sarebbe possibile effettuare una proficua esportazione.

Voi vedete, onorevoli colleghi, – e mi rivolgo in particolare ai rappresentanti dei partiti di massa – come questo problema di una migliore efficienza della produzione industriale strettamente si ricolleghi al problema della difesa della lira e quindi della difesa della capacità di acquisto dei salari.

Voi siete più persuasi di me che tutto quello che è successo nell’adeguamento di salari nominali da un anno a questa parte, altro non significò che un progressivo impoverimento della classe lavoratrice. È il fenomeno della scala e dell’ascensore. Se nel 1938 vi era un determinato tenore di vita nella classe lavoratrice, io penso che nella primavera del 1945, tenuto conto del coefficiente degli aumenti dei salari da una parte e del coefficiente di aumento dei prezzi dall’altra, il tenore di vita fosse ridotto almeno al 75 per cento. E dopo un altro anno di politica di salari nominali il tenore di vita della massa operaia non è oggi maggiore del 50 per cento dell’anteguerra. Questo ci indica, onorevoli colleghi ed amici, che la strada seguita finora non è la strada giusta, non è la strada che possa portare al migliore benessere delle grandi masse lavoratrici.

Arrivati a questo punto dobbiamo ricordare a noi stessi che le impostazioni di ordine generale sono necessarie e dalle medesime non si può decampare, ma che evidentemente sono necessarie delle provvidenze di carattere transitorio, in attesa che le soluzioni impostate su criteri generali possano dare i loro risultati concreti e definitivi. Abbiamo sentito per qualche giorno, se non per qualche settimana, principalmente in alta Italia, rifare l’apologia dei calmieri. Mi sembra che questa apologia non sia stata condivisa dall’onorevole Presidente del Consiglio o, quanto meno, sia stata affiancata con molta cautela. Io vorrei ricordare a tutti i colleghi della Camera, in materia di calmieri, quanto è successo fin dai tempi di Diocleziano. (Commenti).

L’editto di Diocleziano non è stato altro che un perfetto esempio di calmiere; ha stabilito, non dei prezzi fissi, ma dei prezzi ragionati, dei prezzi massimi che non era possibile superare, ma al di sotto dei quali si poteva stare. È interessante rileggerlo, poiché presenta il concetto di calmiere nella precisa fisionomia attuale. (Commenti).

Una voce. Lei ce l’ha con Diocleziano per dei motivi religiosi? (Commenti).

PELLA. Ecco che cosa è successo, secondo Lattanzio, nell’anno di grazia 301 dopo Cristo: «Le mercanzie celavansi per paura, la carestia rincrudì grandemente e infine, dopo aver causato la rovina di un gran numero di gente, la legge si dovette abrogare per la necessità stessa delle cose».

Se, secondo il mio interruttore, vi può essere sospetto di una mia prevenzione religiosa contro Diocleziano, ricordo il nostro Manzoni che ci ha riportato le grida del tempo dei Promessi Sposi. Sappiamo quale risultato hanno avuto. Ma dobbiamo proprio noi dimenticare l’esperienza dei calmieri dell’altra guerra e l’esperienza dei calmieri anche di questa guerra? La verità è che i calmieri da soli non risolvono il problema. Io non nego l’importanza morale dei calmieri qualora si voglia stabilire una specie di spartiacque tra la categoria dei commercianti onesti e la categoria dei commercianti disonesti. Io non nego l’importanza in sede giuridica di un calmiere per creare la figura del reato contravvenzionale a carico del commerciante che vende oltre un determinato equo prezzo; ma dobbiamo avere il coraggio di riconoscere che al di fuori di questi modesti risultati, difficilmente i calmieri raggiungono lo scopo concreto di risolvere il caro vita. Perché – tra italiani possiamo qualche volta farci qualche confessione – il calmiere, come altre forme di disciplina, presuppone due cose: in primo luogo, un senso di disciplina civica dei singoli, che dubito esista in grado eminente; in secondo luogo una possibilità di controllo e di repressione, su cui il dubbio è altrettanto lecito. E allora io credo di poter salutare veramente con compiacimento le altre provvidenze che l’onorevole Presidente del Consiglio ha preannunciato: istituzione di Enti comunali per il reperimento e l’immissione sul mercato di merci di largo consumo; istituzione di ristoranti popolari e soprattutto immissione di generi di abbigliamento e di calzature attraverso gli aiuti dell’UNRRA. Poiché, ricordiamoci che vi è un solo mezzo classico per spezzare le reni alla speculazione, ed è quello di creare una determinata concorrenza che porti al ribasso dei prezzi, per cui lo speculatore abbia veramente a sopportare quelle perdite derivate dalle sue incaute previsioni. (Approvazioni).

Onorevoli colleghi, se il cammino inesorabile dell’orologio non mi avvertisse di avere abusato troppo a lungo della vostra pazienza, io vorrei ancora continuare.

PAJETTA GIANCARLO. Venga ad esempi più recenti di controllo dei prezzi. (Commenti).

PELLA. Onorevoli colleghi, ritengo che sia dovere dell’Assemblea Costituente di non soffermarsi sull’episodico o su quello che è dettaglio tecnico di esecuzione, poiché questo è il compito del Governo. L’Assemblea Costituente deve enunciare linee di massima di soluzioni, e non può passare all’esame dei dettagli. Per questo io ritengo che l’esemplificazione non possa trovare ingresso nei nostri dibattiti.

Signori, abbiamo ancora molti problemi che urgono alle porte. Economia pianificata o economia a mercato libero? Iniziativa privata o statizzazione?

Vorrei limitarmi a poche osservazioni. Ritengo che questi problemi debbano essere esaminati in due fasi separate: la fase della ricostruzione e la successiva fase di una vita economica normale della nazione. Quando dovremo impostare, se competerà a noi il compito di impostare le linee di massima dell’ordinamento economico della nazione nel periodo di raggiunta normalità, allora forse potremo vedere il problema dell’iniziativa privata e il problema della nazionalizzazione di determinate imprese sotto un profilo diverso da quello con cui dobbiamo considerarlo oggi. Oggi io ritengo che si debba veramente far perno sull’iniziativa dei singoli; iniziativa che, naturalmente, principalmente nelle imprese a grandi dimensioni, dovrà essere controllata, dovrà essere sorvegliata, dovrà essere corretta qualora si verifichino delle deviazioni. Ma non ritengo che, principalmente nella media e nella piccola economia, possa essere oggi utile mortificare l’iniziativa privata. Vi è una strana sensazione oggi in Italia – l’osservazione non è mia – ed è questa: che oggi non si possano tollerare iniziative a largo guadagno. Si considera un delitto l’esistenza di iniziative private per le quali siano possibili larghi margini di utile. Onorevoli colleghi, io ritengo che il problema debba esser veramente impostato in altro modo. Dobbiamo augurarci che vi siano molte iniziative private che accusino larghi utili, perché gli strumenti fiscali dello Stato possano assorbirli riportandoli alla collettività attraverso alle normali vie tributarie. Perché io penso che, dovendo scegliere tra una speculazione ridotta allo stato clandestino, e quindi non perseguibile in sede fiscale, ed una speculazione che viva alla luce del sole, e quindi perseguibile in sede fiscale, non possano esservi dubbi sulla scelta.

Onorevoli colleghi, ritengo che il Paese oggi richieda da noi quella tregua italiana e repubblicana indispensabile perché veramente si ricostruisca la Nazione. Io penso che dobbiamo oggi accogliere l’appello alla concordia dell’onorevole Presidente del Consiglio e, accantonando quelle che possono essere le troppo sterili lotte di parte, senza rinunziare ai nostri patrimoni ideologici, sia necessario veramente, sul piano pratico, trovarci tutti uniti nel nome di questa nostra Patria che vuol vivere; nel nome di questa nostra Italia che veramente ha il diritto di essere servita dai suoi figli; perché solo così, onorevole Presidente del Consiglio, noi potremo salutare con voi l’inizio del secondo Risorgimento. (Vivi applausi al centro e a destra – Molte congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Nitti. Ne ha facoltà.

NITTI. A nome dei colleghi ed amici dell’Unione democratica nazionale, io intendo fare non un discorso, ma porre alcune domande e manifestare alcuni dubbi.

Non risalirò, come altri, fino a Diocleziano, né fornirò molte statistiche; mi limiterò ad esporvi poche considerazioni semplici. La prima è che io non ho compreso gran parte di ciò che è avvenuto, perché noi siamo qui non per le dimissioni dell’onorevole De Gasperi…

DE GASPERI. Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri. Non ancora! (Si ride).

NITTI. … ma per le dimissioni che ha dato all’onorevole De Gasperi il Ministro Corbino.

Però noi ignoriamo le ragioni delle dimissioni ed ignoriamo perché l’onorevole De Gasperi le abbia accolte.

In tutti r parlamenti un Ministro in vista che si dimette, ne spiega il motivo; ed il Ministro Presidente che accetta le dimissioni, ne dice le ragioni. Ora, un Ministro si è dimesso, il Presidente del Consiglio ha accettato le dimissioni, ma noi non sappiamo nulla di tutto quello che è avvenuto. Qual è il motivo per cui il Presidente del Consiglio, anche dopo, nelle sue dichiarazioni, elogia il Ministro dimissionario e poi ne accetta le dimissioni? Questa non è pedanteria parlamentare, è logica degli avvenimenti. E dopo siamo rimasti nell’attesa di quello che doveva avvenire. Io aspettavo alcune dichiarazioni dell’onorevole Corbino…

CORBINO. Le farò alla fine della discussione.

NITTI. Sarà molto utile ed io la ringrazio. Aspettavo queste dichiarazioni ed ora sono contento che potrò ascoltarle.

Dopo l’annuncio delle dimissioni dell’onorevole Corbino, abbiamo avuto un turbine di avvenimenti, un movimento rotatorio. Chi doveva succedere? Perché doveva succedere? Prima si è parlato di tecnici, poi s’è parlato di uomini di parte e sempre in una grande indecisione. I designati a quel difficile posto sono stati almeno cinque o sei e tutti, dopo ogni offerta, si sono ritirati. Perché? Io ho notato come l’onorevole De Gasperi, dovendo scegliere tra uomini di parte, abbia scelto fra gli uomini della sua parte. Il Ministro del tesoro ha bisogno del sostegno solido di chi gli sia accanto nelle ore difficili che deve attraversare. Ora, il partito democristiano è il più numeroso e, se è sinceramente accanto al Ministro del tesoro può dargli forza e aiuto. Quindi non mi dolgo che sia da quella parte che il Presidente del Consiglio si sia orientato. Credo che una delle debolezze dei Ministri del tesoro, che si sono succeduti sia stata quella di non avere appartenuto ad alcuno dei tre partiti che si dividono il potere. Vi è stato prima l’onorevole Soleri, poi, fugace meteora, onorevole Ricci e poi l’onorevole Corbino. Adesso è il turno del partito democristiano; è logico che questo partito assuma la difesa del Ministro che viene a chiedere al Paese forti sacrifici e grandi impegni. Quindi non mi meraviglio, non cito nemmeno le persone; suppongo che tutti quelli che sono stati indicati siano di uguale competenza. Non discutiamo di ciò.

Ora è venuto l’onorevole Bertone. Ricordo amichevolmente che l’onorevole De Gasperi ha detto che egli non è Facta, ed ha ragione. Ma questa volta egli ha scelto come Facta. (Si ride).

Abbiamo dunque avuto una serie di Ministri in pectore e l’uno dopo l’altro sono stati dimessi prima di esser nominati. L’onorevole Corbino si è dimesso, l’onorevole De Gasperi non lo ha dimesso, lo ha trattenuto fino all’ultimo, il che vuol dire solidarietà di programma.

Noi aspettavamo dunque di sapere dall’onorevole Presidente del Consiglio la ragione del dissidio, che non è dunque di carattere tecnico, né veramente politico. Che cosa ha determinato questo avvenimento? Occorre dirlo, per il buon costume parlamentare.

L’onorevole De Gasperi ha in questi giorni dovuto affrontare gli avvenimenti più gravi. Il Ministro del tesoro che viene si trova in una situazione formidabilmente difficile. Anche un uomo di grande competenza esiterebbe in questo momento. Egli ha la sola forza, se l’onorevole De Gasperi e il suo partito lo sostengono, di avere la possibilità di un’azione che forse l’onorevole Corbino, esposto al pericolo di essere abbandonato, non aveva. Non so quale azione si proponga e possa proporsi l’onorevole Bertone. Accadono tante cose moleste in questi giorni in cui si parla di grandi prestiti. È uscita su un giornale una relazione, smentita poi o per lo meno annunziata come non attuale, dell’onorevole Scoccimarro, che sembra destinata a diminuire di molto la possibilità di successo di ogni tentativo di grandi prestiti. Certamente in materia finanziaria bisognerà andare con molta cautela, ma non vi è tempo da perdere. Occorrono in questi giorni provvedimenti rapidi e decisi.

La lira continuamente scende. È inutile non vedere la realtà. Le ragioni tecniche della discesa quali sono? Prima di tutto l’imponderabile fenomeno della fiducia. Credito viene da credere; molti non credono alla solidità della lira o alla solidità del Governo o a tutte e due le cose, e troppi non credono nel mantenimento dell’ordine. Questa mancanza di fiducia si risente dovunque e spira da tante cose. Ora non vi è tempo da perdere. Noi dobbiamo contenere la continua discesa della lira. Il Ministro del tesoro ha prima di tutto questo compito: difendere la moneta. Come egli vuole, come egli può? Io non devo dare a lui consigli, perché non so come voglia e possa essere diretta l’azione del Governo. Certo che non vi è tempo da perdere e che non si tratta soltanto di avere un programma.

Tutti gli uomini, anche i più modesti, hanno un programma: è un lusso che tutti possono concedersi; si tratta di sapere se vi è la possibilità di garantirne l’esecuzione. Tutti abbiamo un programma, tutti hanno un programma in materia finanziaria, come in materia politica, anche i meno preparati. Ma pochi sanno ispirare fiducia e osare. Come si può dare – questo è il problema essenziale – la fiducia? E che cosa si vuole e si può osare?

Traversiamo un’ora decisiva. Noi sappiamo le condizioni della cassa. L’onorevole Corbino spiegherà la situazione che si è prodotta.

Noi conosciamo la situazione delle banche, sappiamo la massa dei depositi che preme. Ora, come mantenere la fiducia? Come evitare che venga anche un momento solo di panico? In un Paese come l’Italia, dove la maggior parte dei depositi di banca sono vincolati verso lo Stato e si trovano assorbiti da titoli di Stato, da buoni del tesoro e da altri titoli pubblici, noi possiamo appena immaginare quale disastro sarebbe il panico. Dobbiamo evitare dunque che questo panico si produca. Fra tutte le sventure che possono, in un’ora difficile, colpire un popolo, la peggiore è la caduta della moneta. I fenomeni più terribili sono la conseguenza di questa caduta. Non vi è flagello pari, perché da questo fenomeno viene quasi sempre la frattura di tutto il sistema economico.

È difficilissimo riparare, quando il panico ha invaso le folle; bisogna che il panico non si produca. La situazione attuale può ancora, con energia, essere salvata. Io ho la convinzione che ciò possa esser fatto da un Governo abile, coraggioso, che dia la fiducia al pubblico, che assicuri con atti e non con parole, ma con l’azione, che non vi è nulla di irreparabile, che dica chiaramente al Paese che le condizioni finanziarie sono difficili, e anche molto difficili, ma non irreparabili. La situazione generale quest’anno è migliore dello scorso anno e non vi è ragione di disperare. Un Governo che dia la sensazione di usare un programma efficiente e sicurezza d’azione può riuscire. Non nego le difficoltà per coloro che hanno parlato a cuor leggero di azioni improvvise e non meditate e che non comprendono la gravità del momento e la gravità del fenomeno.

Il tesoro, per oltre quattro quinti, dipende nella sua azione dai depositi e dalle banche. La politica del tesoro è legata strettamente alla situazione del credito e degli organismi del credito. Non desidero fare sfoggio di cifre; voglio solo notare che i conti vincolati con la Banca d’Italia non solo non sono diminuiti, ma sono cresciuti (erano 117 miliardi al 30 giugno 1946; ora quanti sono?).

Queste sono cifre che van meditate. La situazione del fondo di cassa del tesoro, nel novembre 1945, da 35 miliardi è salita man mano a 46. È vero o no che ora è al disotto di 10 miliardi?

CORBINO. Purtroppo!

NITTI. È vero o no che il tesoro si trova, dunque, in una situazione difficile? Queste cose l’onorevole Corbino non le ha dette e sarà bene che parli senza sottintesi e senza eufemismi.

L’onorevole De Gasperi ci ha fornito alcune cifre; egli è un uomo molto intelligente e sapiente nel dire, ma anche nel non dire. (Si ride). L’abate Fornari scrisse ai suoi tempi un libro celebre sull’arte del dire. Forse si potrebbe anche scrivere un libro sull’arte del non dire, perché anche questa è una grande abilità di alcuni uomini politici.

Vi è dunque una crisi del tesoro, o almeno una crisi del Ministero del tesoro. Vi è una crisi più profonda nel credito e vi è una crisi anche più grande nell’azione politica. Ormai tutti siamo a disagio anche qui dentro. Qui troppo spesso non si parla linguaggio di realtà. Ma le cose che non si dicono nell’aula si dicono fuori dell’aula. Siamo tutti a disagio; noi ci sentiamo in difficoltà non solo per la situazione intorno a noi, ma anche per quella che è in noi.

Io sono contrario, in momenti come questi, alle crisi ministeriali. L’esperienza, da quando sono qui, mi ha dimostrato che ogni crisi ministeriale peggiora la situazione; la crisi non fa che aumentare i Ministri, i Sottosegretari, e le spese enormi che essi determinano, peggiorare le qualità degli uomini chiamati al Governo, e non risolve le questioni.

L’onorevole De Gasperi, qualunque cosa io dica, riconoscerà però che io non miro in alcun caso a dargli imbarazzo per scopi di crisi, che io non desidero. Parliamo dunque con sincerità. L’altra volta che io parlai dispiacqui all’onorevole De Gasperi e ben me ne accorsi. Le cose che gli dicevo, le dicevo però in buona fede.

È vero che si crede difficilmente alla buona fede di un vecchio parlamentare! (Si ride). Ma quando io affermavo che l’onorevole De Gasperi si era assunto un compito tremendo che nessun uomo, anche di prim’ordine, avrebbe potuto realizzare, e che tutti. gli uomini più insigni che sono passati attraverso la vita politica italiana non erano in grado di affrontare ciò che egli paventava e non poteva risolvere; e lo invitavo, creda, in buona fede, a rinunziare a molte delle funzioni che voleva riunire nella sua persona, io dicevo cosa evidente.

Sapevo, per antica esperienza, che cosa difficile sia in momenti di crisi profonda, di disordini e di torbidi per un Presidente del Consiglio, assumere, insieme ad altri incarichi, di cui uno solo assorbe ogni attività, anche la Presidenza del Consiglio. Parlando questo linguaggio di verità non miravo a nulla personalmente. Io volevo che egli rinunziasse a tutti quei compiti non indispensabili, a tutte le funzioni di coordinatore e di capo. L’onorevole De Gasperi credette, forse, e non fu contento, che io avessi personale diffidenza ed i suoi amici credettero che vi fosse da parte mia preconcetta avversione e furono poco cordiali con me. Ora le mie osservazioni, voi avete visto, si sono riprovate. L’onorevole De Gasperi è stato costretto ad andare a Parigi, a viaggiare, ad occuparsi di tante e più diverse cose, a fare il Ministro dell’interno, ad essere capo del suo partito, che lo interessa quanto il Ministero degli interni, ad assumere il compito di dirigere la Costituente, perché in questo periodo l’azione del Capo del Governo sulla Costituente è e deve essere grandissima. Come egli può fare queste cose senza fiaccare la sua stessa energia e, se mi permette, senza danneggiare il suo partito e la sua funzione di governo?

L’onorevole De Gasperi si sarà convinto, essendo al Ministero dell’interno, quale terribile Ministero sia, soprattutto in un’ora come questa. Le mie parole non avevano nessuno scopo che di avvertimento e i popolari avrebbero dovuto, anche nel loro interesse, essermene grati.

L’onorevole De Gasperi dovette egli stesso esitare di fronte alla realtà del pericolo che segnalavo, e si decise timidamente a rinunziare a qualche piccola cosa.

Mi ha fatto ricordare d’un vecchio amico tedesco, che viveva a Napoli ed era un uomo assai colto ed anche assai fine. Era di natura esuberante ed aveva il piacere della vita. Nel suo studio erano scritti a grandi caratteri i famosi versetti di Lutero che si trovano nelle vecchie osterie tedesche: «Chi non ama il vino, il canto e le donne è un imbecille per tutta la vita». (Si ride). Il professore tedesco teneva a questo precetto, ed aggiungeva un altro vizio che ai tempi di Lutero non esisteva: fumava come un turco. Si ammalò e dovette chiamare il medico. E chiamò un medico che era un uomo erudito, vissuto gran tempo in Germania. Il medico osservò il malato e gli disse: «Mi domandate consiglio e io un solo consiglio posso darvi: non abusate di nessuna di quelle cose di cui parlava Lutero e abolitene presto qualcuna che vi può fare maggior male». Il tedesco rimase pensoso e poi disse: «Va bene; un poco alla volta: comincerò con abolire il canto». (Si ride).

Ora si capirebbe che l’onorevole De Gasperi abolisse dai suoi carichi il Ministero dell’interno, che è soverchiante anche per la fatica di uomo sano e giovane e che non debba pensare ad altro, e che avesse rinunziato alla faticosa direzione del suo partito. Egli invece ha abolito il canto. Nello stesso partilo popolare, che forma circa due quinti dell’assemblea, non vi sono uomini che possano sostituirlo?

Quale necessità ha dunque l’onorevole De Gasperi di concentrare tutti i poteri? La composizione dei tre partiti di massa lo obbliga ad un quotidiano e duro lavoro. Tenere a freno amici e colleghi, così concordi e discordi, cosi in apparenza fidenti e nello stesso tempo così infidi nell’azione, è fatica anche questa terribile ed a cui l’onorevole De Gasperi si presta, ma non senza suo danno.

Io vorrei dunque pregarlo di rendersi conto della realtà. Rimanga pure, se vuole, fra uomini del suo partito; nessuno gli fa obbligo, per i posti che sono assegnati ai democristiani, di fare rinunzie. Ma non vi sono nel suo partito uomini capaci di sostituirlo nelle più dure fatiche? Ora viene un periodo difficile, quello delle elezioni amministrative, torbidissimo periodo, perché si sovrappongono nuove lotte alle lotte e ai disordini attuali e in cui il partito democratico cristiano è ancor più degli altri impegnato.

 Ora, conviene al Capo del Governo soggiacere a questa dura fatica? Le nuove elezioni saranno una delle gravi fatiche del Ministero dell’interno e del partito democratico cristiano, e l’onorevole De Gasperi, che già deve trascurare tante cose, ne trascurerà ben altre ancora e l’Italia avrà ancora più grave disordine nella sua amministrazione.

In quest’Aula ormai è impossibile parlare di opposizione. Il Governo è nelle mani di tre persone: i capi dei partiti di massa, con qualche coadiutore. Quindi basta che quelle tre persone si riuniscano e si mettano d’accordo, perché le nostre discussioni rimangano superflue. Praticamente, mai vi è stato governo più autoritario. Se i tre rappresentanti dei partiti di massa sono d’accordo, con una stampa come quella che abbiamo e con i poteri che ha, o si attribuisce, il Governo, è impossibile sfuggire alla tirannia di fatto: è una tirannia di fatto limitata qualche volta solo dalla diffidenza e dai contrasti dei tre capi.

Niente di più dannoso della mancanza di opposizione. Gladstone ha detto nel Parlamento inglese una frase terribile: «Tutti i selvaggi hanno un capo, ma solo gli uomini civili hanno un’opposizione». L’opposizione è fenomeno della civiltà. Noi non abbiamo qui dentro, fra noi stessi, opposizione. Non possiamo parlare. Quante cose vorremmo dire che non possiamo; siamo soffocati dal fatto che non solo c’è un Governo di partiti, ma che questi partiti prendono ogni critica come un pericolo per la loro esistenza. Siamo qui solo per preparare una costituzione ed abbiamo già soppresso ogni costituzione, prima di averne fatta una nuova.

Ho udito qui dentro, con mia meraviglia, anche da parte estrema, parlare della necessità di una censura della stampa e di una azione sulla stampa. Guai a mettersi su questa strada. Non dobbiamo toccare la libertà di stampa, quali che siano i suoi inconvenienti; noi dobbiamo limitarla con quella che è la sola forma possibile, la Magistratura. Quando la stampa sia responsabile di qualche cosa che costituisca pericolo per l’ordine pubblico e per l’ordine sociale, possiamo e dobbiamo denunziarla alla Magistratura, ma non possiamo impedirne le manifestazioni, anche se avverse a noi. Guai se ci mettiamo su questa strada!

Il giorno che aboliamo la stampa libera proclameremo la nostra decadenza, e il pubblico, che è già diffidente di noi, non ci crederà più. Sia pure una cattiva stampa: è meglio che nessuna stampa. Perciò dichiaro che lo spirito giacobino, che determina alcune proposte, è più dannoso dello spirito reazionario, perché esso prepara la reazione e, impedendo la critica, fa aggravare tutti i mali che non possono essere segnalati in pubblico.

Occorre mutua tolleranza dei partiti: tutti i partiti hanno il diritto di coabitazione nel Paese, tutti i partiti hanno il diritto di manifestarsi liberamente, anche i meno numerosi, e noi non abbiamo il diritto di sopprimere le manifestazioni libere. In questo periodo noi dobbiamo avere tolleranza e spirito di libertà e soprattutto decenza. Deve averne soprattutto quest’Assemblea, che, dovendo fare una costituzione, non deve essere in nessun modo sospettata per indegnità e considerata come un’accolta di privilegiati.

Mi dispiace di dover sollevare una questione delicata, ma devo farlo per dovere; noi non abbiamo il diritto, finché siamo membri della Costituente, di accettare situazioni privilegiate e tanto meno posti retribuiti in grandi banche, in sindacati, in diplomazia. (Vivi applausi). Nei tempi passati (e ora si ride della povera democrazia del passato), quando un uomo apparteneva al Parlamento, se voleva occupare posti di Stato o dipendenti dallo Stato, o comunque di nomina governativa, si dimetteva e usciva dal Parlamento. Non si discuteva nemmeno. E noi pretendiamo fare una nuova costituzione e uccidiamo già le norme costituzionali più oneste? Ebbene, noi siamo la più delicata assemblea; dobbiamo fare la Costituzione futura, e già ci prepariamo a violare e violiamo tutte le leggi che regolano la morale parlamentare. Nessuno che appartenga all’Assemblea Costituente può mettersi a capo di banche, o esser chiamato a posti di diplomazia. Se ciò non è permesso nei tempi ordinari e nei parlamenti liberamente eletti, tanto meno deve essere permesso ai membri di una Assemblea Costituente: altrimenti perderemo ogni fiducia di fronte all’opinione pubblica. Se qualcuno, per le sue eccezionali attitudini, dovesse essere destinato a funzioni speciali e transitorie, che non fossero compatibili con il mandato legislativo, il caso dovrebbe essere considerato e presentato al pubblico e il provvedimento eccezionale dovrebbe essere consentito dall’Assemblea.

Non si può disfare del lutto ciò che è stato fatto; sarebbe danno grave per questa Assemblea la perdita di alcuni illustri finanzieri che già appartenevano alla Consulta e che possono portare qui contributo prezioso ai nuovi lavori. Non chiesero essi di occupare le loro funzioni; furono bensì richiesti per la loro speciale competenza. Ciò che occorre invece è che si seguano d’ora in poi le buone norme di tutti i Parlamenti liberi. Nessuna nomina nuova di membri dell’Assemblea a forti retribuzioni o a direzioni di grandi organismi finanziari di credito legati allo Stato, nessuna nomina nuova in diplomazia deve essere fatta, e coloro che sono al Governo devono lasciare al Governo la situazione che avevano e che non possono considerare come personale. Una sola delle cose che ora si commettono impunemente avrebbe fatto cadere un Governo. Quanti posti, quante sinecure, quante cariche che fruttano grandi somme, sono distribuiti arbitrariamente, anche a membri dell’Assemblea Costituente! Scandalo simile è cosa intollerabile, che discredita tutta l’Assemblea.

Ho udito con meraviglia domandare provvedimenti di restrizione e di persecuzione. Io non li desidero. Chi, come me, ha aderito onestamente alla Repubblica, quando è venuta fuori da un plebiscito, per difenderla è disposto a tutti i sacrifici; ma non credo che persecuzioni siano necessarie. Non bisogna creare pericoli immaginari. Il fascismo non risorgerà mai! E ora non vi è alcun movimento monarchico che sia lontanamente pericoloso. Allarmarsi senza motivo e creare un pericolo di restaurazione monarchica è malinteso e pericolo: creerebbe un movimento per la monarchia che ora non esiste. E con quale diritto vorremmo considerare con avversione coloro che volevano la monarchia? Essi sono stati poco meno della metà della Nazione. Bisogna che la Repubblica, con la serietà e la onestà delle opere, li riunisca ora intorno a sé.

Volere sistemi di diffidenza e tanto meno di persecuzione, che in regime di monarchia non vi furono mai, nemmeno contro le manifestazioni antimonarchiche più esagerate, significa rovinare la Repubblica.

Io non credo ad alcun pericolo fascista.

Il fascismo è definitivamente morto e non risorgerà e non può risorgere. Tutte le cose più assurde sono possibili in questo nostro agitato Paese; una sola cosa non è possibile: la resurrezione del fascismo.

Il fascismo era Mussolini. Ora egli stesso dichiarò, in un momento di sincerità, in un libro di interviste pubblicato in Francia, nel libro di Ludwig, che il fascismo sarebbe finito con lui e che nessuno dopo di lui poteva farlo risorgere. (Commenti).

Una voce a sinistra. Noi non lo crediamo!

NITTI. Voi non lo credete ed io lo credo. È inutile allarmarsi di cose che non esistono e nemmeno è utile parlarne troppo, se il preteso pericolo non ha alcuna consistenza. (Commenti).

Una voce a sinistra: Come l’altra volta!

NITTI. No, allora la situazione era ben diversa. Vi furono tremende responsabilità anche da parte rossa nell’avvento del fascismo. In altro campo vi fu responsabilità anche del Re Vittorio Emanuele III. Io non ho esitato a scrivere di questa responsabilità, anche fuori d’Italia. Non volevo fare propaganda antimonarchica e non dovevo; ma ho sempre cominciato col dire che grande responsabile era anche il Re Vittorio Emanuele III. Io credo che ora il fenomeno non si ripeta e non possa ripetersi. Io non credo possibile un nuovo fascismo, ma noi non dobbiamo creare un assurdo spauracchio. Se cominciamo a parlare di pericolo fascista, di pericolo che risorge, creiamo la leggenda e creiamo se non altro un incubo funesto.

Diciamo realmente che è un’assurdità parlare di fascismo, che è cosa finita per sempre. E non creiamo danni alla Repubblica, e non creiamo martiri. Vi sono molti scontenti e molti ve ne saranno. Perché vogliamo accrescerne senza ragione il numero?

L’onorevole De Gasperi ha pubblicato nella sua relazione alcuni dati sull’esercito. Che cosa, dopo l’applicazione del trattato, rimarrà del vecchio esercito? Saranno mandati via niente meno che 170 generali, 970 colonnelli, 2500 tenenti colonnelli e maggiori e un numero enorme di ufficiali subalterni, che pure sono uomini vigorosi e hanno fatto molti sacrifici per la Patria. È materia molto difficile e che va considerata. Noi ad essi non potremo dare che la miserabile pensione, (la quale, con la diminuzione del valore della lira, vale sempre meno) concessa dalle nostre leggi: un regime quasi di fame per chi ha famiglia. Non cerchiamo di provocare alcun sentimento che possa tradursi in uno scontento pericoloso e non aggraviamo il pericolo! Non cerchiamo di togliere a questa gente la libertà di manifestarsi liberamente! Tra gli ufficiali, il grandissimo numero sarà moderato e rimarrà al suo posto. Ma non dobbiamo eccitare il malcontento a cuor leggiero e dobbiamo, per la stessa ragione, limitare ogni contrasto non necessario.

Bisogna, o signori, disarmare il Paese. Togliere le armi, ma anche disarmare gli spiriti. Vi sono troppi armati. Ho sentito dire da qualcuno che anche questi adempivano ad una funzione. Io non lo so, ma preferisco che non vi siano armati, né da una parte né dall’altra e che armati non siano che l’esercito e i corpi a servizio dello Stato. (Vivi applausi al centro e a destra).

Ogni altra forma di armamento è pericolosa, perché la sicurezza dipende dalle mutevoli contingenze dello stato d’animo, dalla eccitazione dei partiti politici. Troppi movimenti esistono, movimenti in cui si parla a cuor leggiero, di ciò che divide l’Italia e non di ciò che la unisce! Noi dobbiamo unire l’Italia. Invece l’Italia è più che mai discorde e vi sono da ogni parte spiriti di violenza. Permettete alla mia vecchiaia di ripetere che io sono ancora il fervente unitario, il credente nella unità e che odio tutto ciò che divide gli italiani, ora che essi han più bisogno di unione, nella comune sofferenza e di fronte ai gravissimi pericoli che ci minacciano.

L’unità, turbata già dalla perdita di territori in conseguenza di funesti trattati di pace, deve essere con ogni sacrifizio difesa e mantenuta.

Nel mio studio a Napoli e poi a Parigi, almeno cinquanta di voi che mi ascoltate e mi avete visitato, sapete che non avevo che un solo ritratto: Mazzini. Non per le sue idee politiche soltanto, ma perché egli è stato il grande creatore di quella unità nazionale che noi non dobbiamo rompere. Io so che senza l’unità, l’Italia cadrà nell’abisso.

Cerchiamo dunque con ogni temperanza di fare tutto quello che mantiene i rapporti, non ciò che li dissolve. Anche nel campo economico vi sono leggende da sfatare.

Si parla sempre di capitali inoperosi, come di un pericolo. Senza dubbio, vi sono molti ricchi inoperosi e che impiegano male la loro ricchezza e peggio ancora la sperperano. Le imposte attuali sono aspre e spesso ingiuste. Ma quanti arricchiti dal fascismo, e ahimè! anche dall’antifascismo, sfuggono anche alle imposte. Tuttora in alcune industrie vi sono persone che hanno immensi guadagni; nell’agricoltura, non ostante tutte le esagerazioni fiscali, molti si sottraggono, anche ora, alle imposte.

L’azione del fisco deve arrivare in profondità e colpire questi guadagni. Ma i capitali che sono nelle banche o investiti in titoli pubblici, non sono, come si dice, inoperosi; perché come funzionerebbe lo Stato senza i depositi che sono stati affidati a tutti gli organismi del credito e della previdenza?

Si parla con leggerezza di terre incolte. Sono cinquant’anni – permettete la mia vanità – che mi occupo di questo argomento. Il mio primo incontro con l’onorevole Orlando fu in una Commissione per lo studio dei contratti agrari della Sicilia e dell’Italia meridionale per la questione delle terre incolte. Ma anche qui non bisogna esagerare. Si chiamano terre incolte anche quelle che in qualche anno non sono coltivate a grano per la necessità della rotazione agraria. Non a ragione si parla con orrore di grandi estensioni di terreno destinato alle pecore. Anche questa è eredità del fascismo. Se vi sono terre che non presentano convenienza, anche nelle condizioni attuali del mercato, di essere coltivate a grano e sono destinate in parte alle pecore, non e cosa utile? Se le pecore dànno più del grano, anche dal punto di vista alimentare, non compiono una grande funzione? Che sarà, se si abolisce la pecora? Che sarà, non solo del formaggio, ma anche della lana? Tutte queste cose sono collegate e ognuna va studiata, e l’una non può essere risolta senza tener conto dell’altra. Ora, se le richieste dei contadini bramosi di terra sono giuste, le dobbiamo assecondare, se veramente si tratta di terre incolte. Ma non dobbiamo tollerare l’abuso che si dichiarino terre incolte anche terre ben coltivate. Evitare gli abusi e in questo caso, peggio che l’abuso, atti di disonesta appropriazione. In ogni caso il Governo deve agire con prudenza e chiara visione e non tumultuariamente, né farsi sorprendere dalle circostanze. Ciò che raccomando soprattutto al Governo – come ho detto altra volta – è che mostri nei suoi atti volontà e fermezza. Signori, quante cose abbiamo tollerato e abbiamo lasciato incrudire! Vi è cosa più indegna dello spettacolo delle case da giuoco? Voi sapete tutti dove sono le case da giuoco, dove sono i «casinos», dove sono le bische in Italia. Ebbene, perché tollerate e siete complici dello scandalo?

Anche a Roma, sotto gli occhi del Governo, vi è lo scandalo delle case da giuoco e anche dei «restaurants» di lusso, di cui gli stranieri usufruiscono, mentre ai loro occhi il nostro discredito aumenta.

Perché i «casinos» sono stati non solo legalizzati, ma aumentati di numero?

Vi è tra il centro d’Italia e il Nord un luogo dove si spendono ogni notte somme immense, dove sfrontatamente da parte di arricchiti di guerra, e ahimè! del dopoguerra, le donne fanno sfoggio delle più scandalose eleganze.

In questa materia ciò che si tollera si ammette ed è motivo di corruzione. Quanti balli di notte frequentati anche a Roma (è il tempo di ballare?), pur da assertori di morale politica!

Durante il mio governo, fui implacabile (anche allora eravamo subito dopo una guerra) con le case da giuoco e i «casinos» che avevano la protezione anche di grandi personaggi politici. Il «casino» più importante era protetto e difeso da personalità di parte opposta: un deputato allora socialista e un altro reazionario. Il prefetto di Porto Maurizio voleva chiudere gli occhi anche contro le mie disposizioni e il prefetto di Genova si mostrava benevolo e tollerante. Io telegrafai loro (e senza cifrario!) che se lo scandalo non aveva termine e gli ordini non erano eseguiti, li avrei dichiarati dimissionari! E i miei ordini furono eseguiti.

Parliamo tanto contro il mercato nero! Che cos’è veramente il mercato nero? Esso ha fatto male ed è quasi sempre disonesto e specula, ma ha compiuto anche una funzione utile per disboscare delle merci che non sarebbero arrivate in città. Il mercato nero è stato assai spesso un malandrinaggio, soprattutto il mercato nero dei generi di lusso. Ora basta correre le vie di Roma e più ancora quelle dei negozi di lussò: Lo spettacolo anche qui in Roma, di alcuni magazzini, è veramente sconcio. Si vendono apertamente i generi di maggior lusso che si finge di vietare.

Io so quale impressione, quale orrenda impressione abbia fatto l’esposizione di articoli di lusso in molte strade di città italiane e soprattutto a Roma. Gli inglesi, che essi stessi si impongono in patria grandi restrizioni, ne parlano come di uno scandalo. E che cosa dicono gli americani? Il Governo sa quale impressione ha avuto e manifestato Hoover? Occorre veramente aspettare che le cose si inaspriscano per provvedere? Io so che è difficile fare delle cose aspre, ed è anche antipatico, e più facile è non vedere il male od ignorarlo. Ma ciò non discredita tutto ed anche lo Stato? Al Governo bisogna chiedere volontà ed energia. L’onorevole Parri si dolse, credo, allorché ripetette qui ciò che gli avevo consigliato quando ci vedemmo la prima volta: «Siate Governo, abbiate l’energia, date il senso di volontà». Se il Governo concede alla gente il diritto di usare violenza, di insultare i prefetti ed i funzionari, se consente e tollera cose che un Governo di paese civile non può tollerare, come volete che noi stessi siamo rispettati?

Ora, io potrei avere finito con queste semplici raccomandazioni. Devo, invece, chiedere all’onorevole De Gasperi di non parlare della pace. L’onorevole De Gasperi ha chiuso il suo discorso destinandolo alla pace. Io vi prego, signori, nel momento attuale di non parlarne.

Diciamo la verità. Noi ci siamo illusi ed abbiamo illuso, quando per tanto tempo abbiamo parlato dei nostri alleati: noi non abbiamo avuto e non abbiamo alleati. Essi erano e sono alleati tra loro. Questo errore volontario od involontario, è continuato ed è stato un grave danno, perché ha paralizzato la nostra attività e non abbiamo fatto nulla o assai poco per avere una pace più tollerabile e meno orribile.

Noi siamo di fronte ora alla pace più esecranda che sia caduta come una pena su un popolo moderno. Nessun popolo avrà una pace più calamitosa, più funesta ed iniqua di quella che si vuole imporre al popolo italiano. L’onorevole De Gasperi deve rendersene bene conto. È fatua ogni illusione. Egli sa che non otterremo più nulla, tranne piccole ed insignificanti cose, nulla più di ciò che ci è stato annunziato. Questa è dolorosa e terribile constatazione, e questo è ora il nostro triste destino.

Noi saremo condannati, per venti anni almeno, a soffrire le conseguenze di questa pace, di cui ognuno ha cercato di gettare la responsabilità sugli altri.

Basta vedere le polemiche che vi sono state nei giornali tra democristiani e comunisti, basta vedere la loro stampa…

DE GASPERI. Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri. Sono le conseguenze della guerra, non della pace ! (Vivi applausi).

NITTI. L’onorevole De Gasperi non ha inteso quello che io dicevo: io dicevo cosa del tutto diversa. È conseguenza della, guerra, s’intende; ma adesso che siamo alla pace, chi è il responsabile della pace?

Vi è chi dice che la colpa maggiore, se si ottengono cattive condizioni, è dei comunisti, i quali con la loro condotta non solo hanno reso difficile la situazione del Paese, ma hanno secondato le scandalose richieste orientali. E si parla sempre della Russia! La Russia non chiede per sé troppo più degli altri. La Russia, in molte cose, è stata più temperante di altri. Qualche sua azione più dannosa è nella protezione che ha accordato alle richieste della Jugoslavia. Ma l’azione russa non è più dannosa di alcune azioni dell’Inghilterra e non più di ciò che la Francia ha fatto direttamente in danno nostro. Non abbiamo il diritto di scandalizzarci della Russia, quando vediamo la Francia imporre a noi condizioni che sembrano inverosimili da parte di un popolo amico e unito a noi da tanti legami.

I confini orientali e la Venezia Giulia, di cui tanto si discute – ed io condivido tutte le ansie e le preoccupazioni – sono un fatto non molto più grave di ciò che ci minaccia al confine occidentale. La Francia ci ha tolto terre che non aveva il diritto di toglierci; la Francia non solo ci ha offeso nell’interesse, ma ci ha offeso anche nel sentimento. Credete, il mio cuore sanguina nel parlare così dell’azione del Governo francese, ma questa è purtroppo una realtà. La Francia ci ha imposto condizioni assai penose e non solo ha voluto terre che non sono state mai francesi, senza necessità e non avendone bisogno, e non solo ha voluto le nostre grandi risorse idriche, essenziali per la vita della Liguria e del Piemonte, ma ha voluto anche, cosa veramente inutile, la nostra umiliazione militare: Torino sotto i cannoni francesi, non solo sotto i grandi calibri, ma anche sotto i medi calibri. Mettere Torino in servitù militare! Ciò non era necessario. Io ho i miei amici in Francia, ho figli, parenti francesi; se parlo questo linguaggio è perché il mio cuore sanguina dinanzi ad uno spettacolo cosi tristo. Non è vero che la Francia ha avuto in tutto questo un’idea di difesa (contro che e contro chi?). È la vecchia malattia militare, che risorge sempre e risorge questa volta a danno di un gran popolo amico disarmato. Io non ho il diritto di accanirmi soltanto contro la Russia e di rimanere indifferente dinanzi allo spettacolo della nostra frontiera occidentale.

Quale che sia la nostra pena, bisogna dire la verità, altrimenti nessuno crederà alle nostre doglianze. Noi abbiamo la pace peggiore di qualunque altra pace precedente; una pace spogliatrice ed umiliante. Si vede già lo spettacolo tristissimo che gli stessi tedeschi sono considerati in alcuni ambienti come dei vincitori; non dirò un popolo da tenere in seria estimazione, ma come un popolo del cui avvenire bisogna ormai preoccuparsi e senza rancore. Noi non contiamo amici e gli uni sono come gli altri.

Amico sincero della Francia, io ho sempre creduto che dopo la guerra in cui Francia e Italia, per diverse ragioni, sono state vinte, i due paesi dovessero unirsi in un comune sentimento di resurrezione e di vita. La Francia ha ricchezza di risorse economiche e povertà demografica; l’Italia ha ricchezza demografica e povertà di risorse economiche. La Francia dopo la guerra ha bisogno di almeno quattro o cinque milioni di nuovi abitanti che possano darle un contributo vitale. Solo l’Italia può darli. Con il numero enorme delle sue morti e lo scarso numero delle sue nascite, la Francia ha bisogno del contributo demografico dell’Italia. Quale forza enorme di attrazione per i popoli di civiltà latina sarebbero Francia e Italia amiche e concordi! E come questa sarebbe per la Francia cosa cento volte più importante che Briga e Tenda! Ciò che avviene non è solo una ingiustizia, ma un errore, che è cosa molto più grave della ingiustizia; un errore fatale alla Francia non meno che all’Italia, un errore cui, prima o dopo, bisogna trovar modo di riparare.

Ci siamo illusi, ci hanno illusi, quando ci hanno fatto credere che le democrazie sarebbero state per noi e sarebbero state, per l’Italia diventata Repubblica, più concilianti. Come sarei stato contento, se avessi avuto questa convinzione: sarei andato per le strade a fare propaganda per la Repubblica. No; la Monarchia e la Repubblica erano egualmente indifferenti per i vincitori. Anzi le repubbliche democratiche sono state più cattive ancora, dopo che l’Italia ha avuto la Repubblica.

Noi ora non abbiamo amici, dobbiamo contare solo su noi stessi. Io non voglio fare nessun rimprovero al Governo, ma dico (un giorno ne discuterò a fondo) che dobbiamo dire tutta la verità su questi argomenti. Se non ne parliamo noi in questa Assemblea, ne parlerà il pubblico contro di noi. Dobbiamo anche spiegare come s’è prodotta questa situazione. Perché, dopo Potsdam, dopo il 2 agosto 1945, quando i vincitori avevano, o mostravano ancora, una certa condiscendenza per noi, perché, dico, dopo di allora, quando l’Italia – che ha fatto elezioni libere, che ha voluto liberamente, col referendum, decidere della Monarchia o della Repubblica – si è trasformata in Repubblica, perché queste democrazie, che si diceva dovessero diventarci amiche, sono state ancora più cattive e più aspre con noi? La forma politica è estranea a tutto quanto è accaduto. Il popolo si è illuso. Gli avevamo detto che avrebbe trovato, dopo i mutamenti politici, situazione migliore. No, abbiamo trovato situazione peggiore, non a causa della forma politica, ma perché vi sono cause preesistenti, che sono anche in parte estranee al fascismo. La grande questione rimane questa: «Perché dopo il 2 agosto, cioè dopo Potsdam, le richieste dei vincitori sono diventate ancora più aspre?».

Signori, l’onorevole De Gasperi ha voluto parlare della pace. Io avrei preferito che non ne avesse parlato. Questo argomento non deve essere discusso; non ora che non si può, ma a suo tempo, dopo i trattati di pace. L’onorevole De Gasperi, che comincia sempre col pessimismo e fa sempre le prime dichiarazioni piene di tristezza infinita, le chiude poi, anche dopo la disfatta, con ottimismo roseo. L’onorevole De Gasperi, partito per Parigi, aveva dichiarato che nulla sperava, che (io ho trascritto le sue parole) nulla si poteva ottenere contro la durezza dei vincitori e contro i diritti che i vincitori si attribuivano.

Ora, le domande che un giorno farò all’onorevole De Gasperi riguarderanno cose alle quali egli non aveva pensato. Perché dopo Potsdam egli non si è mai mosso da Roma e poi ha preteso, quando era troppo tardi, fare tante cose e osare tante iniziative in parte inutili, e che in ogni caso doveva far prima, quando vi era speranza di risultati? Anche questi sono argomenti che è necessario discutere.

Era proprio necessario che egli, che da tanto tempo è Ministro degli esteri, stesse sempre qui a occuparsi di tante cose, di elezioni, di politica interna? E perché ciò che è stato tentato troppo tardi non è stato fatto prima?

L’onorevole De Gasperi non ignora che la Francia voleva trattare con noi direttamente. È ciò che ha dichiarato un ex ambasciatore di Francia a Roma. Perché, ciò che importa assai più, egli non ha tentato le sole vie che poteva tentare? Perché un uomo come lui, con tanta conoscenza di lingue, non ha viaggiato in tempo utile?

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri. L’accordo con la Francia è stato tentato separatamente. Non è esatto quello che lei ha detto in senso contrario. (Commenti).

FINOCCHIARO APRILE. Lei ha rinunziato agli statuti di Tunisi del 1896, senza alcun negoziato e tradendo il popolo siciliano. (Commenti – Rumori al centro).

NITTI. Io desidero discutere a fondo questi argomenti. Li discuteremo con calma e sono sicuro che l’onorevole De Gasperi sarà ancora al suo posto, perché egli è politicamente più vitale di quel che credono i suoi stessi amici. (Si ride). Sono state fatte tante inattese spedizioni in questi ultimi tempi. L’onorevole Nenni, che è intelligente e pieno di risorse, ha fatto una spedizione verso il Nord, visitando a volo d’uccello soprattutto i Paesi monarchici. (Si ride). Tutti i Paesi che egli ha visitato sono monarchici, o di tradizione monarchica, e non credo siano più favorevoli a noi ora che non prima.

L’onorevole Sforza, il conte, dirò meglio, ha visitato molti altri Paesi dell’altro emisfero e inclino a credere che per la sua facondia abbia potuto procurarsi moltissime simpatie. Ma queste cose, se utili, si potevano fare sei mesi prima, un anno prima. Ora. tutto è quasi inutile. E perché pensare simili cose all’ultima ora? Perché ridursi anzi all’ultimo momento per non arrivare ad alcun risultato?

Io non posso – data l’ora – parlarvi a fondo delle questioni di politica interna più urgenti. Io ero, io sono fortemente documentato sulla situazione monetaria e mi proponevo parlarvi dei pericoli che corre la lira con esposizione di dettagli e di cifre. Data l’ora, non potrò parlarne come vorrei.

Prima però che io rinunzi alla parola vi dirò brevemente dell’argomento per cui discutiamo: la lira e le dimissioni di Corbino. Torniamoci, sia pure brevissimamente, come l’ora impone.

Per ciò che riguarda la catastrofe del trattato, all’ora attuale quello che è perduto è perduto. La pace che ci è imposta è orrenda e umiliante. L’onorevole De Gasperi si illude, o per ragioni di politica interna vuole far credere di poter ottenere mutamenti sostanziali. Ciò che di scellerato è stato commesso non sarà più ritirato, se catastrofi nuove non sopravvengono nel mondo. Se le notizie che vengono da fonte sicura sono esatte, noi dobbiamo soggiacere a quel sistema delle riparazioni che costituisce per un grande popolo una vera schiavitù. Questa è la prima volta anzi, che un grande popolo, qual è il popolo d’Italia, si fa schiavo. Simile scelleraggine non fu mai osata nemmeno per la Germania nel passato. Non è la schiavitù dell’individuo che si trasporta nel paese vincitore, ma è la schiavitù della Nazione che si impone nell’interesse del vincitore a chi rimanendo nel suo paese deve lavorare a benefizio di altri. Le domande di riparazioni sono così oscene, così fatue e svergognate che sorpassano quelle di cui si ha ricordo. Noi non solo non pagheremo, ma non potremo pagare.

Io ho avuto gran parte nell’attutire gli errori del sistema delle riparazioni che si volevano imporre nel 1919 e intendo bene la gravità di questi problemi.

Le riparazioni che ora si domandano a noi sono così enormi e scandalose che sono anche stupide. Ciò che si chiede a noi non basterebbe a pagare, se anche tutti i beni d’Italia fossero ceduti. È la rapina unita alla stupidità. Giovanale ha detto: cantabit vacuus coram ladrone viator; cioè chi non ha nulla può cantare anche davanti ai briganti. Sarà il caso di cantare davanti ai briganti?

Spero mi darete il modo di illustrare tutte queste assurdità, e come infame sia per noi il sistema delle riparazioni che ci priva inutilmente di grandi risorse e sottomette milioni di italiani ai più grandi pericoli.

Comunque è meglio riprendere l’esame di questi argomenti. Quando l’onorevole De Gasperi vorrà liberamente parlarne, io potrò liberamente rivolgergli alcune domande. Ma questa non dev’essere materia di competizione da parte dei vari partiti. No. Questa è la vita della Nazione in cui dobbiamo essere tutti solidali. Noi non abbiamo adesso che una sola speranza: il popolo italiano deve, appena potrà, unirsi sotto un Governo cosciente e forte e avere solidarietà e spirito di resistenza. Epperciò – vi prego di non scandalizzarvi – vi ripeto ancora, che odio tutti questi movimenti separatisti o, come si usa dire con evidente eufemismo, autonomisti, che sarebbero la morte di una nazione.

Autonomie amministrative bene ordinate possono essere accolte senza diffidenza; ma autonomie di natura imprecisata e indeterminata non possono che essere malefiche e degenerare.

Io sono in questo mazziniano, anche più dei mazziniani di professione. (Si ride).

Noi non abbiamo altra speranza che noi stessi. Non illudiamo il popolo ancora una volta facendogli credere che è possibile per noi una pace conveniente. Avremo una pace sconveniente e scellerata, e bisogna che il popolo se ne renda conto e non cada nella fatale illusione in cui è già caduto quando si è parlato dei vincitori come di alleati.

In questa situazione, il dovere dell’ora, il primo dovere è quello di pensare a noi stessi ed ora di salvare la lira. Come si può salvare? Della situazione del tesoro dovremo presto riparlare, ma ora bisogna agire. È inutile dire che il Governo ha progetti. Tutti gli uomini hanno progetti e anche, ahimè! i governi, che ne hanno, in questo periodo, anche troppi. I progetti, cioè la fantasia, sono produzione così abbondante che non vi è nessun individuo, anche mediocre, che non ne abbia. Noi vogliamo sapere solo quali progetti ha il Governo, ma soprattutto i mezzi di cui può e intende valersi, che possono determinare la difesa della lira.

Vorrei parlarvi di altri argomenti di carattere urgente che riguardano la finanza. Qui bisogna abbandonare il campo delle illusioni. Non si fa una buona finanza senza l’ordine. Qualcuno ha sorriso, quando io ho parlato dell’ordine come condizione indispensabile per salvare ora e poi mantenere la nostra moneta.

Bisogna sempre ripetere che non è possibile una buona finanza senza ordine. Si può essere per qualunque regime, ma. bisogna volere che il regime sia rispettato.

Ora noi dobbiamo dare a1 Paese la fiducia nello Stato e che siamo vivi e vitali. Dobbiamo dare la fiducia che la nostra moneta si possa salvare. Ciò è possibile, perché la situazione italiana non è disperata. È anche migliore dello scorso anno, perché una serie di fattori hanno contribuito al suo miglioramento. Io aspetto le dichiarazioni del nuovo Ministro del tesoro o del suo capo Onorevole De Gasperi. Ma, più ancora, aspetto un’azione. Non occorre ora parlare, ma occorre agire. Io spero, onorevole Presidente, che voi darete al Paese questa sensazione, evitando questa discrasia generale, che ci minaccia ed è cosa peggiore della rivoluzione.

E finisco con l’augurio che l’Italia ancora una volta si salverà da se stessa dal pericolo in cui è. (Applausi – Congratulazioni – Commenti).

 

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Crispo. Ne ha facoltà.

CRISPO. Avendo l’onorevole Nitti parlato a nome del Gruppo al quale appartengo, dichiaro di rinunciare alla parola, anche a nome dei colleghi Cuomo e Quintieri Quinto.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Romano. Non essendo presente, si intende che vi abbia rinunziato.

Voci. Sospensione!

PRESIDENTE. Si sospende la seduta per venti minuti.

(La seduta, sospesa alle 19,10, è ripresa alle 19,30).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Preziosi. Ne ha facoltà.

PREZIOSI. Chiedo che la prosecuzione della discussione sia rinviata a domani.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni in contrario, la seduta è rinviata a domani.

(Così rimane stabilito).

Interrogazioni e interpellanza.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni e di una interpellanza, pervenute alla Presidenza.

DE VITA, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se non giudichi rispondente a equità alleviare i tributi alle popolazioni dell’alta montagna (e cioè superiormente ai limiti di vegetazione della vite e del castagno), esonerandole dagli aumenti in atto dell’imposta fondiaria e dalla imposta sui redditi agrari, tenuto conto della passività dell’azienda agricola montana e delle proposte all’uopo formulate da tutti i relatori dell’inchiesta sullo spopolamento montano in Italia.

«Gortani».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere perché – nonostante le richieste insistenti delle autorità locali, i pareri favorevoli espressi e le proteste vivissime del popolo e degli avvocati per il ritardo – non si sia ancora provveduto all’aggregazione al tribunale di Napoli dei mandamenti di Cicciano, Nola ed Acerra, sebbene quei comuni appartengano amministrativamente e gravitino per ogni bisogno su Napoli, alla quale sono allacciati da ferrovie di Stato e secondarie e da servizio automobilistico, mentre nessuna relazione di vita hanno con Santa Maria, ove è difficilissimo accedere, per cui gravissimi intralci e difficoltà sorgono nella amministrazione della giustizia.

«Riccio».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’interno, per sapere quali provvedimenti abbia presi in rapporto agli scandalosi episodi denunciati dalla stampa circa l’amministrazione degli Ospedali riuniti di Roma.

«Cianca».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere quale sorte abbia avuta lo schema di decreto predisposto dal Governo per la concessione di una pensione alla vedova di Roberto Bracco.

«Cianca».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro del tesoro, per sapere se non intenda dare disposizioni affinché sia revocata la sospensione degli indennizzi per mobilio e masserizie distrutti a causa di rappresaglie tedesche, e che l’indennizzo di tali danni per cause di guerra e rappresaglie sia fatto entro l’anno corrente, al completo, per tutti coloro che nulla possiedono, con precedenza alle famiglie dei caduti in tali rappresaglie, nei bombardamenti e nelle operazioni belliche della lotta di liberazione, nonché alle famiglie dei partigiani, dei reduci e dei combattenti nella guerra suddetta. E se non ritenga opportuno che si inizi anche la concessione di acconti, e l’indennizzo completo, oltre che nel caso precedente, anche per i danni subiti dai cittadini dalle razzie tedesche.

«Maltagliati».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere:

1°) se sono allo studio dei provvedimenti relativi al concorso interno previsto dal decreto-legge 31 maggio 1943, n. 570, per l’assunzione nel ruolo di direttori didattici governativi degli ex dirigenti rurali con cinque anni di incarico effettivo;

2°) se non ravvisi l’opportunità di spostare il termine dal 30 giugno 1943, previsto all’articolo 5 del succitato decreto, al 31 dicembre 1944, data sotto la quale di fatto sono venute a cessare le direzioni didattiche rurali;

3°) se non ravvisi l’opportunità di estendere il provvedimento ai direttori di circolo, limitando per tutti la condizione richiesta per l’assunzione in ruolo a un triennio di incarico con la qualifica minima di «distinto». (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Laconi».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro della guerra, per sapere se non ritenga inopportuno il provvedimento con cui è stata testé disposta, con effetto retroattivo, a datare dalla cessazione dello stato di guerra, l’applicazione della circolare 219 G.M. del 1929 nei confronti degli ufficiali di complemento coniugati. Tale provvedimento, che comporta trattenute fortissime a carico dei predetti ufficiali per assegni indebitamente percepiti, è stato accolto con legittimo rincrescimento dagli interessati, che giustamente aspirano ad una maggiore considerazione dei loro sacrifici e delle loro esigenze da parte del Governo. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Laconi».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere quali provvedimenti intenda adottare nei confronti del pretore di Bonorva, recentemente denunciato dal sindaco del comune di Giave per offese all’onore e al prestigio del medesimo come pubblico ufficiale e per abuso di poteri inerenti alle sue funzioni, e se non intenda disporre per il sollecito svolgimento del procedimento giudiziario, dato l’enorme scandalo determinatosi nel mandamento, e in considerazione dell’assoluta necessità di tutelare il prestigio e il decoro delle autorità democratiche. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Laconi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere se, al fine di lenire la disoccupazione esistente nel comune di Lauco (Udine), la cui popolazione in tempi normali emigrava nella proporzione del 25 per cento, non ritenga opportuno dare immediata esecuzione ai lavori di sistemazione del torrente Vinadia, dell’importo di 1.835.000 lire, ed i cui progetti esecutivi sono stati approntati dal Corpo forestale di Udine. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Piemonte».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per sapere se, in attesa che la nuova legislazione riformi il sistema delle prestazioni assicurative, non creda opportuno di prorogare la corresponsione del sussidio integrativo alle famiglie dei lavoratori tubercolotici degenti ormai da anni nei sanatori, corresponsione che è venuta a cessare alla data del 3 settembre 1946, essendo trascorso il periodo consentito di anni 2 stabilito dal decreto legislativo luogotenenziale del 9 novembre 1945, n. 776.

«Ragioni di evidente umanità, oltre che di giustizia sociale, reclamano il provvedimento da parte dell’onorevole Ministro, onde evitare che lavoratori ammalati da lungo tempo si trovino in una situazione personale e familiare particolarmente aggravata. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Bernardi, Pressinotti, Ghislandi, Bianchi Costantino».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere se è in preparazione una legge che restituisca a società operaie, cooperative, case del popolo, circoli e altri enti similari, quei beni che i fascisti, con violenza, con frode, con imposizione o pressione, tolsero loro, alienandoli in seguito o no, negli anni del loro malgoverno. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Jacometti».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere se intenda, nell’attesa di una legge che risolva la questione dei circoli, case del popolo e via dicendo, defraudati in un modo o nell’altro dai fascisti, ratificare i decreti di reintegrazione che il Prefetto di C.L.N. della provincia di Novara, forte di una disposizione dell’autorità alleata locale, emanò durante i primi mesi della liberazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Jacometti».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro degli affari esteri, per sapere in virtù di quale disposizione il Consolato italiano di Bruxelles fa pagare 385 franchi belgi, pari a lire italiane 1925, la semplice autenticazione di una firma. Nel caso specifico la firma di un operaio ex partigiano che delega la propria madre a riscuotere assegni spettantigli. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Jacometti, Fornara».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dell’interno e delle finanze, per sapere se non ritengano opportuno stabilire con provvedimento urgente che la legalizzazione dei documenti amministrativi rilasciati dai sindaci (certificati di buona condotta, atti di notorietà, estratti anagrafe, ecc.) sia eseguita dagli uffici giudiziari mandamentali, come già è disposto per i certificati di stato civile; e ciò allo scopo di eliminare la spesa e la perdita di tempo ora occorrenti per la legalizzazione da parte delle Prefetture. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bubbio».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere se, in considerazione della stasi della iniziativa privata nel campo edilizio e della conseguente disoccupazione degli ingegneri ed architetti liberi professionisti, non ritenga giusto ed opportuno, anche per alleggerire, di fronte alla mole ed alla quantità di lavori da eseguire, il compito e le responsabilità degli Uffici tecnici delle Amministrazioni statali e parastatali, disporre che tali Amministrazioni siano tenute ad utilizzare dovunque, per la progettazione e la direzione di almeno parte delle nuove opere, ingegneri ed architetti liberi professionisti. Allo scopo le Direzioni regionali dei lavori pubblici dovrebbero, con la collaborazione delle organizzazioni professionali, stabilire la misura delle retribuzioni e fissare accordi per una utile ed onesta rotazione degli incarichi. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Rodinò Mario, Fresa, Nobile, Miccolis».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per sapere la ragione per cui è stata abrogata con decreto legislativo luogotenenziale 21 agosto 1945, n. 576, la precedente legge 13 giugno 1942, n. 1063, che prevedeva:

1°) l’esenzione dal pagamento dei contributi unificati per tutti gli agricoltori i cui terreni erano ubicati oltre gli 800 metri di altitudine;

2°) la riduzione del 50 per cento per i terreni ubicati fra gli 800 e i 400 metri di altitudine.

«Tale legge rispondeva ad un criterio di giustizia verso i contadini della montagna e dell’alta collina, in lotta continua con una terra che è avida di lavoro ed avara di prodotti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Biagioni».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro del tesoro, per sapere se non ritenga ormai tempo di prendere in esame la possibilità di duplicare quei titoli di Stato depositati in custodia presso le banche e distrutti per eventi bellici.

«Gli Istituti bancari si trincerano dietro il comodo schermo della forza maggiore, sancito per legge, mentre, all’atto della consegna in custodia, avevano garantito la piena loro responsabilità, sia in caso di furto, che di distruzione.

«Si tratta nella maggior parte di piccole cifre, frutto di lenti e lunghi risparmi, affidate con piena fiducia allo Stato, il quale ha oggi la responsabilità morale di reintegrarle.

«Ciò è facilitato dal fatto che il danno è limitato, in linea di massima, a quelle zone dove più a lungo si è soffermata la guerra e dove oggi il disagio economico è più fortemente sentito che altrove, come per esempio nella devastatissima Garfagnana. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Biagioni».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri degli affari esteri e dell’assistenza post-bellica, per sapere come intendano venire incontro a quei cittadini residenti all’estero all’atto della dichiarazione di guerra e, solo perché italiani, inviati in campi di concentramento e privati di ogni loro bene mobile ed immobile.

«Dopo l’8 settembre fu chiesto loro di collaborare ed essi rifiutarono di aiutare quelli che erano stati per oltre tre anni i loro carcerieri, preferendo il campo di concentramento.

«Terminata la guerra, furono direttamente rimpatriati senza facoltà di portare seco neppure una sterlina dei loro sudati risparmi.

«Oggi questi cittadini vivono in stato di miseria dopo anni e anni di lavoro. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Biagioni».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dei lavori pubblici e dell’interno, per conoscere se non ritengano conveniente di affrettare in tutti i modi la ripresa dei lavori del grande acquedotto del Friuli centrale, così per fronteggiare la disoccupazione nell’alta pianura, come per la necessità igienica di dare acqua potabile a 17 comuni, che oggi si alimentano da uno scarso numero di pozzi frequentemente inquinati. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Gortani».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro delle finanze, se non ritenga opportuno – considerato che col prossimo ottobre scade l’efficacia delle disposizioni contenute nella legge 8 aprile 1937, n. 631 e successivi decreti, riguardanti la tassa proporzionale di registro in relazione ad anticipazioni o finanziamenti concessi ad aziende o enti dipendenti, derivanti da forniture di qualsiasi genere; e considerato anche che di detta legge traggono oggi vantaggio le nascenti cooperative edili stradali ed affini nel procurare gli indispensabili finanziamenti senza oneri troppo gravosi e che la garanzia data alle banche colla cessione dei crediti è l’unica forma che consenta possibilità di finanziamento, e quindi possibilità di vita alle cooperative – che l’efficacia della legge 8 aprile 1937, n. 631, sia prorogata, almeno in riguardo alle cooperative, al 31 dicembre 1947, dando così una giusta agevolazione ai risorti organi economici cooperativi tanto necessari per la ricostruzione nazionale. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Bianchi Costantino, Ghislandi, Bernardi, Pressinotti, Bernamonti».

«I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere:

1°) a quali concreti risultati siano fin qui giunti i lavori delle Commissioni legislative per lo studio preparatorio della revisione dei Codici;

2°) se non ritenga conveniente far partecipare a tali lavori, nella veste di consulenti, oltre che magistrati ed avvocati, anche i più conosciuti esponenti della scienza giuridica italiana, che invece risulterebbero fino a questo momento esclusi dalla partecipazione alle predette Commissioni;

3°) se non ritenga opportuno assumere a direttiva della revisione un criterio sanamente conservativo, secondo cui, abrogate le sole norme ispirate alla ideologia del fascismo, si mantengano in vigore quei testi di legge, i quali, come il Codice di procedura civile, segnano un indubbio progresso tecnico sulla legislazione precedente, secondo le linee stabilite da una lunga preparazione scientifica e giurisprudenziale, anteriore al fascismo.

«Mortati, Bozzi, Tosato, Leone Giovanni, Calamandrei, Ambrosini, Grassi, Perassi, Codacci Pisanelli, Caristia, La Pira».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

Così pure l’interpellanza sarà iscritta all’ordine del giorno, qualora il Ministro competente non vi si opponga nel termine regolamentare.

La seduta termina alle ore 19.35.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 16:

Seguito della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.