ASSEMBLEA COSTITUENTE
XXI.
SEDUTA DI SABATO 21 SETTEMBRE 1946
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SARAGAT
indi
DEL VICEPRESIDENTE TERRACINI
INDICE
Congedi:
Presidente
Comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri (Seguito della discussione):
Marina
Negarville
Nenni, Ministro senza portafoglio, Vicepresidente del Consiglio
Giannini
Damiani
Patrissi
Interrogazioni e interpellanze (Annunzio):
Presidente
Scoccimarro, Ministro delle finanze
La seduta comincia alle 16.
SCHIRATTI, Segretario, legge il processo verbale della seduta precedente.
(È approvato).
Congedi.
PRESIDENTE. Hanno chiesto congedo i Deputati: Arata, Rossi Giuseppe, Bacciconi, Bordon, Merlin Umberto, Zotta.
(Sono concessi).
Seguito della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri. Ha chiesto di parlare l’onorevole Marina. Ne ha facoltà.
MARINA. Onorevoli colleghi. Questa mattina ho letto una notizia su un giornale che mi ha dato molto a pensare, e che è in relazione a quanto il Governo si propone di fare per sistemare la grave questione dei salari e il conseguente tamponamento dei prezzi.
Sul giornale Il Tempo infatti ho letto questa notizia: la questione salariale all’esame delle Camere del lavoro del nord.
Ho avuto poi un’altra successiva notizia, che per questo fatto si sono interrotte e rimandate a martedì quelle trattative che dovevano svolgersi tra la Confederazione generale del lavoro e la Confederazione generale dell’industria. Perché questa interruzione? È una cosa estremamente grave. Nell’Italia settentrionale si stanno chiedendo forti aumenti di salari e questi forti aumenti non è chi non veda come non possano pregiudicare gravemente la situazione dei prezzi e lo stabilizzarsi di quella lira che tutti vorrebbero difendere.
Per poter fare un esame obiettivo e sereno della questione e per poter comprendere se realmente si può dominare questa situazione franante, è bene che si dia uno sguardo panoramico alla situazione industriale e agricola d’Italia. L’Italia, per nostra fortuna, sotto un certo aspetto, trae i suoi mezzi di sostentamento per circa due terzi della popolazione dalle colture agricole: si può quindi asserire che 30 milioni d’italiani vivano, come hanno sempre vissuto, sull’agricoltura e gli altri 15 milioni sull’industria. Questo fatto ha un’importanza notevole, perché l’agricoltura italiana non subisce carenza alimentare, essendo il prodotto aumentato quest’anno per effetto della buona annata, cosicché questa popolazione di 30 milioni di abitanti, per nostra tranquillità, ha i mezzi di sostentamento necessari, come li ha sempre avuti per il passato, e anzi in maggior copia in confronto alla popolazione che chiameremo industriale.
Viceversa gli altri 15 milioni, che traggono la loro ragione di vita dalle industrie, hanno una situazione deficitaria, dovuta al fatto che l’industria risente della mancanza parziale dei combustibili e in parte di materie prime, e non ha quindi la possibilità di funzionare al cento per cento. Pensare perciò che gli operai addetti alle industrie possano trovare quell’impiego che avevano nel 1938 e nel 1939 è errato e di conseguenza noi non dobbiamo poter pensare di occupare tutta questa mano d’opera in quelle industrie che non avranno per lungo tempo la possibilità di riprendere quel ritmo produttivo, che avevano negli anni decorsi dell’ante-guerra. È necessario esaminare quindi come si può risolvere questo problema, non solo attraverso i lavori pubblici, che hanno bisogno di un largo studio e di mezzi ingenti di tesoreria, che, come abbiamo visto, il Governo in questo momento non ha né può avere; ma anche esaminando se non sia opportuno che questa mano d’opera eccedente abbia a ritornare all’agricoltura per incrementarla e specializzarla in prodotti pregiati richiesti dai mercati esteri. Occorre inoltre esaminare la situazione dei salari che sono squilibrati in tutta l’Italia. Infatti, nell’Italia meridionale vi sono ancora dei salari diversi da quelli dell’Italia settentrionale; non solo, ma noi abbiamo una carenza di produzione, perché gli operai specializzati che sono impiegati nelle aziende industriali hanno una paga che è press’a poco uguale a quella del manovale. Voi sapete che ciò deprime la volontà di questi operai e di conseguenza il ritmo della produzione. E allora necessita, a mio avviso, di non sistemare comunque le paghe attuali, come si sta facendo, ma bensì rivederle sulla base di quelle esistenti nel 1938 e nel 1939, per cui l’operaio specializzato era differenziato in giusta misura dal manovale e dagli altri operai comuni.
In questo ordine di idee era anche lo stesso onorevole Grandi nel decorso mese di luglio. Ecco perché ebbi a suggerire, da circa un anno a questa parte, la moltiplicazione per un coefficiente giusto di quelle che erano le basi salariali di allora, per far ritrovare quella distanza perequativa tra operaio e operaio, che in questo momento non esiste più.
Questo fatto però non può essere accolto in questo momento, mi si dice per ragioni politiche, perché è meglio parificare, anziché differenziare le paghe, perché ciascun operaio deve avere la possibilità di vivere, avendo ciascuno gli stessi diritti. Ora, questa possibilità di vita è, diremo così, commisurata alla possibilità della nostra produzione sia agricola che industriale. Il salario è quel mezzo che permette al lavoratore di compartecipare alla distribuzione dei beni di consumo; cosicché, se noi diamo dei salari perfettamente esatti a ciascun lavoratore, questi potrà avere la sua giusta parte di viveri e di generi di abbigliamento di cui necessita, mentre se da operaio ad operaio, a parità di lavoro, noi squilibriamo la paga, come è in questo momento in tantissime categorie, noi avremo quello squilibrio di lavoro e quel turbamento continuo di carattere sociale che noi vediamo attualmente dilagare in tutta Italia.
Ecco perché attualmente alla Camera del lavoro di Genova si chiedono aumenti del 100 per cento; ecco perché già in qualche settore di industria sono stati concessi, in via di anticipo, aumenti del 30 e del 55 per cento.
Voi capite, onorevoli colleghi, che questi fatti sono gravi e dànno preoccupazioni molto serie, perché non è da pensare che un prodotto che ieri costava lire 100 di mano d’opera e domani costerà 150 o 200, possa agli effetti della vendita costare ancora lo stesso prezzo. Di conseguenza, qualunque azienda bene amministrata non potrà non alterare i prezzi di vendita del prodotto e aumentarli di quel tanto che sia sufficiente per coprirsi di queste maggiori spese di mano d’opera. Perché, oggi come oggi, sappiamo che larghi profitti non sono più permessi. Se vi è una sola industria nella quale effettivamente il margine si sta sviluppando, è l’industria tessile. E difatti questa industria ha riveduto le sue posizioni per compensare le sue maestranze di quella famosa categoria T che aveva i salari più bassi in confronto a tutte le altre. Attualmente gli operai tessili hanno ottenuto degli aumenti straordinari ed è giusto, perché questa industria, che oggi guadagna, abbia a dare un compenso maggiore alle proprie maestranze. Però, così come avviene in questa industria, che è in condizioni fortunate di ripresa, bisogna riesaminare la situazione delle industrie metalmeccaniche, che, pur lavorando a scartamento ridotto, devono subire il peso della mano d’opera esuberante, il che dà luogo a dei tragici inconvenienti di carattere economico.
Purtroppo, queste industrie, se grosse, sono industrie per la maggior parte foraggiate dallo Stato o di proprietà dell’I.R.I., ed è per questo che la preoccupazione è meno grave da parte dei loro dirigenti, mentre per le industrie piccole e medie – industrie che formano ben i due terzi dell’industria metalmeccanica – questa pressione di mano d’opera esuberante crea un grave disagio, che porterà molto presto al fallimento varie delle industrie stesse, se non si provvederà ad alleggerirle di questo peso antieconomico.
A nostro avviso, per poter arrivare ad una sistemazione generale, per normalizzare quella che per i lavoratori è una necessità assoluta, cioè avere quel minimo biologico di vita che si riferisca ai prezzi attuali, occorre arrivare gradualmente a quello sblocco dei licenziamenti che è già oggetto di trattative. Occorre, inoltre, sistemare, possibilmente, le entrate dello Stato mercé quella sollecitazione delle imposte che in modo molto generico ha espresso il Presidente del Consiglio, ma che però non ha trovato immediata attuazione da parte delle stesse agenzie delle imposte, che hanno moltiplicato per coefficienti troppo bassi i vecchi imponibili.
Se la vita attualmente è cresciuta, come ha detto l’onorevole Pella, da 1 a 20 circa, in relazione alla circolazione, e il risparmio, viceversa, è cresciuto solo di 7 volte, noi abbiamo in questo fatto la dimostrazione della carenza del capitale necessario per l’industria, donde la sua faticosità nel far fronte ai bisogni finanziari.
Il bilancio dello Stato ha bisogno di una industria fiorente e produttiva. La produzione, purtroppo, non trova il suo giusto ritmo, anche perché – lo ha accennato un onorevole di cui non ricordo il nome, ma mi pare sia Pella – il rendimento degli operai è ridotto. È stato detto che gli operai devono ritornare al lavoro a cottimo, se si vuol produrre di più. Effettivamente questo lavoro è assolutamente indispensabile. Noi sappiamo che l’operaio che lavora a cottimo rende molto di più dell’operaio che lavora a giornata e, di conseguenza, questa resa maggiore fa sì che il prodotto venga a costar meno. Questo minor costo del prodotto necessariamente si ripercuote in modo benefico sui lavoratori stessi che ne sono i consumatori e, con questo fatto, avremo indubbiamente quella discesa dei prezzi che è necessaria, perché il lavoratore abbia modo di migliorare il suo tenore di vita.
Per poter arrivare a sollecitare la ripresa delle costruzioni edilizie, un mezzo rapido potrebbe anche essere adottato in questo momento, approfittando del fatto che si stanno adeguando i salari al costo della vita.
Nel costo della vita del lavoratore vi è un elemento che attualmente è compresso ed è l’affitto dell’immobile che egli occupa. Se voi esaminate con me la possibilità di aumentare in misura adeguata questo affitto, voi vedrete che in questo fattore vi è la possibilità effettiva di rimettere in moto quella macchina grandiosa che è l’industria edilizia, la quale rappresenta la più grande industria italiana, perché nell’anteguerra assorbiva circa 1 milione di lavoratori, mentre oggi non arriva ad occuparne 100 mila.
Voi direte che vi è anche un fattore politico che non permette di esaminare oggi la questione con serenità. Io dico di no. Il lavoratore anteguerra (mi riferisco al lavoratore dell’Italia dei nord) spendeva circa il 10 per cento del suo salario per pagare l’affitto; nell’Italia centro-meridionale tale voce incideva con percentuale oscillante dal 10 al 20 per cento. Ora voi dovete ammettere con me che se si aumentasse di almeno 10 volte l’affitto attuale e si desse al lavoratore una paga di 330 o 440 lire giornaliere invece delle 300 o 400 attuali, l’operaio potrebbe pagare un affitto giusto o per lo meno molto vicino al prezzo reale. È un dato molto importante che è stato esaminato dai costruttori e che può essere ostico a digerirsi in sede politica, ma in sede economica è facilmente superabile proprio in questo momento, che è il vero momento, perché, dovendosi rivedere le paghe, il fatto di rivederle anche sotto questo punto di vista mi sembra cosa possibile. Si verrebbe così, fra l’altro, ad eliminare l’inconveniente che si verifica attualmente, per cui molta gente occupa un numero di locali superiori al necessario, perché paga un affitto basso. Avremo così una parte dei locali che sarebbero disponibili, ma quel che è più importante è che tutte le imprese edilizie riprenderebbero quasi immediatamente a lavorare. Ora voi non dovete dimenticare che nell’industria edilizia solo una piccola parte è mano d’opera specializzata; il resto è quasi tutta manovalanza, quella specie di mano di opera cioè, che normalmente passa dall’agricoltura all’industria e viceversa, a seconda delle possibilità stagionali. Dico questo perché, potendosi impiegare circa 1 milione di lavoratori, vuol dire risolvere per almeno il 50 per cento il problema gravissimo della disoccupazione. Ecco perché il Governo, o meglio le due Confederazioni, che stanno discutendo in questo momento tale grave problema, dovrebbero rivolgere il pensiero a questo con profondo interesse, per risolverlo nel modo come vi ho spiegato.
Passando ad altro argomento, voi dovete darmi atto di un fatto sostanziale, che è questo: al 1° settembre 1945 i generi alimentari in borsa nera, i generi di vestiario, gli stessi cambi, le stesse quotazioni di borsa, il valore dell’oro erano press’a poco identici a quelli che abbiamo oggi, settembre 1946. Come va allora che, mentre il primo settembre 1945 gli operai percepivano una paga (mi riferisco sempre all’Italia del nord) inferiore di circa il 40 per cento a quella attuale ed i generi alimentari costavano come costano adesso, non hanno sentito il bisogno di fare queste numerose e pericolose agitazioni, quali si verificano attualmente nel nostro Paese, mentre la situazione è press’a poco uguale a quella di allora? Non è quindi sul terreno economico che possiamo trovare la spiegazione di questo fenomeno, ma sul terreno squisitamente politico.
Una voce. È la fame!
MARINA. La questione della fame si risolve attraverso la distribuzione dei generi alimentari che noi abbiamo disponibili nel Paese, perché se anche dessimo mille o diecimila lire di paga al giorno ai nostri operai, più di quei generi alimentari di cui possiamo disporre o che possiamo importare dall’estero non possiamo distribuire e voi mi insegnate che così è. Non è la misura delle paghe, ma la uniformità delle paghe in tutto il territorio italiano che permette una giusta ed equa distribuzione dei prodotti alimentari ai lavoratori. Questo è il punto sul quale bisogna fissare la nostra mente. Ha perciò una grande importanza, anche agli effetti monetari, poter fissare le paghe ad un livello stabile, non ha importanza che si tratti di 300 o 400 o 500 lire al giorno (Commenti – Interruzioni a sinistra); l’importante è non creare degli squilibri, perché sono gli squilibri che turbano il mercato. Giustamente i lavoratori di una determinata azienda, che vedono i lavoratori di un’altra azienda percepire di più, si agitano per avere lo stesso compenso. Ecco perché è assolutamente necessario trovare il modo di parificare in tutta Italia le paghe e gli stipendi.
Vi è un altro problema che sempre in questa sede potrebbe trovare la sua risoluzione. Lo Stato spende ben 40 miliardi all’anno per mantenere il cosiddetto prezzo politico del pane. Abbiamo sentito per bocca dell’onorevole Corbino quali e quante acrobazie deve fare il tesoro per potere avere i mezzi per far fronte a tutte le spese dello Stato. Mi pare che sarebbe quanto mai opportuno sollevare lo Stato dalla spesa che sostiene per conservare il prezzo politico del pane. Abolendo il prezzo politico, si avrà un raddoppio del costo del pane, ma nel contempo verrà eliminato tutto il disordine connesso al conferimento obbligatorio del grano. Al contadino che lavora la terra noi daremo un prezzo giusto per il grano che egli produce, cosicché non alimenterà più la borsa nera. Vi è poi un altro fatto che non deve essere trascurato, ed è che del prezzo politico del pane noi facciamo beneficiare una quantità di persone che di tale beneficio potrebbero fare a meno.
Ecco perché, a mio avviso, è necessario, in sede di revisione delle paghe, esaminare anche il problema del prezzo politico del pane. La maggiore spesa che incontrerà il lavoratore, per questo fatto, calcolato sulla razione di 500 grammi di pane, potrà essere di undici o dodici lire al giorno, potrebbe venire facilmente compensata con l’aumento corrispondente delle paghe, data la modicità della somma. Così facendo si eliminerebbero due gravi inconvenienti: si darebbe il prezzo giusto al contadino per il grano che produce e si toglierebbe allo Stato l’onere gravissimo di cercare 40 miliardi all’anno, per far fronte a quella inutile spesa politica.
Anche di un altro importante settore dell’economia vorrei parlarvi, perché questo possa servire per sollecitare la ripresa edilizia; i danni di guerra sugli immobili sinistrati.
Una statistica dei danni di guerra sugli immobili dà come distrutto, o come gravemente danneggiato, circa il 7-8 per cento della proprietà edilizia totale d’Italia. Voi potete vedere come questa sia una ragione, diremo così, per imporre subito, all’altra proprietà immobiliare non danneggiata, l’imposta del 10 per cento a favore degli stabili danneggiati.
Col ricavato di questa imposta noi potremo procurare i mezzi sufficienti perché i danneggiati abbiano il compenso al danno subito dalla guerra senza farlo gravare sullo Stato, perché è giusto che coloro i quali sono stati danneggiati siano indennizzati ed è altrettanto giusto che coloro che tali danni non hanno avuto paghino una tassa che permetta di riparare il danno di coloro che hanno avuto la casa distrutta o danneggiata. Con questo criterio, diremo così, di equità noi troveremo i fondi, specialmente se questa tassa verrà ripartita in un giusto lasso di tempo, che vorrei precisare in circa dieci anni, perché, per esempio, l’uno per cento all’anno può essere benissimo ben sopportato dall’immobile non sinistrato, tanto più se si renderà operante l’aumento degli affitti, come ho sopra accennato.
Viceversa colui che ha avuto l’immobile sinistrato dovrebbe avere l’obbligo della sua ricostruzione, anche in luogo diverso, in un determinato numero di anni. Anche questo contribuirebbe notevolmente a far riprendere il lavoro all’industria edilizia ed alle industrie ad essa connesse.
Io avrei voluto poi chiedere al Governo se ha portato sul terreno di pratica applicazione la richiesta dell’Austria di togliere la dogana fra i nostri due Paesi. Questo è un fatto molto importante, perché, a mio avviso, permette di incominciare ad avere, almeno sul terreno economico, l’inizio di quegli Stati Uniti d’Europa che dovrebbero essere il primo fattore per eliminare in questo vecchio continente le ragioni fondamentali della guerra.
Come l’Austria ha offerto a noi di unire le nostre due dogane, a me parrebbe molto importante che altrettanto si facesse noi nei confronti della Jugoslavia, perché i nostri due Paesi hanno due economie compensative. Il proporre alla Jugoslavia la possibilità di una unione doganale, permetterebbe di smussare molti dolorosi angoli nei rapporti con questo Paese, e le due economie compensative, come dicevo prima, permetterebbero un flusso e un deflusso in libertà di merci che oggi non ci sono.
Passando ad altro argomento, sul quale altri oratori hanno espresso il loro giudizio, ritengo che il calmiere sia cosa dannosa. Infatti, il calmiere fa scomparire la merce dal mercato, mentre invece utilissimi sono i magazzini di raffronto che il Governo intende incoraggiare o istituire, ma di cui purtroppo la pratica attuazione è ritardata nel tempo, perché l’industria tessile, che dovrebbe fornire il prodotto a questi magazzini, è impegnatissima e quindi non può fornire che quantitativi minimi che non possono influenzare, almeno in un primo tempo, l’andamento del mercato dei prodotti di abbigliamento. Quello che è necessario in questo momento è che al tavolo comune delle discussioni tra la C.G.I.L. e quella dell’industria si trovi quel punto di saldatura necessario e di buona volontà affinché gli operai, soddisfatti nei loro giusti diritti, abbiano a ritornare alle industrie animati di buona volontà, perché il lavoro sia costante, ben fatto e si acceleri il ritmo produttivo in tutte le industrie della Nazione, in modo che attraverso il lavoro nostro, sola e vera ricchezza, si possa trovare la soluzione di tutti i nostri problemi e la possibilità di far risorgere il Paese ad una vita felice e tranquilla. (Applausi a destra).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Negarville. Ne ha facoltà.
NEGARVILLE. Il mio intervento sarà limitato a quei punti delle dichiarazioni del Presidente del Consiglio che concernono i problemi di politica interna connessi alle condizioni economiche delle masse popolari ed ai compiti della ricostruzione. Mi sia tuttavia consentito di soffermarmi brevemente sulle dimissioni dell’onorevole Corbino per alcune considerazioni che, d’altronde, specialmente dopo il discorso che l’Assemblea ha sentito ieri dall’onorevole Corbino, mi paiono ovvie. Queste dimissioni vanno considerate come un episodio della vita del Governo, sul quale mi pare che sia assolutamente fuori luogo voler drammatizzare. La così detta crisetta non è diventata la grande crisi che molti organi di stampa ed alcuni membri di questa Assemblea hanno invano desiderato.
La domanda che si poneva l’altro giorno l’onorevole Nitti e alla quale diceva di attendere una risposta, rimane drammatica soltanto nel tono della voce. L’onorevole Nitti può essere soddisfatto o non soddisfatto delle spiegazioni che ci ha dato ieri l’onorevole Corbino sulle ragioni che hanno provocato le sue dimissioni; è cosa che lo riguarda. Ma ciò che rimane accertato è che l’onorevole Corbino è uscito dal Governo per un dissidio sulla politica del tesoro tra la sua persona e quella della maggioranza del Governo. Questo dissidio ha avuto inizio per le critiche che i comunisti hanno rivolto alla politica che noi continuiamo a considerare personale dell’onorevole Corbino in materia di tesoro. A un certo punto, la questione, venuta a maturarsi, è passata dal dibattito polemico dei giornali, o dei discorsi, al Consiglio dei Ministri ed ha trovato, secondo le stesse dichiarazioni dell’onorevole Corbino, contro il Ministro del tesoro la maggioranza del Governo, che comprendeva, oltre il Partito comunista, il Partito socialista, il Partito repubblicano e probabilmente una parte dei Ministri democristiani.
Su che cosa verteva il dissidio? Ho già annunziato che voglio soffermarmi su altri problemi e non intendo esaminare a fondo questa questione. Sostanzialmente il dissidio verteva su una posizione personale dell’onorevole Corbino riguardo al programma di Governo.
L’accordo raggiunto dai partiti di maggioranza per la costituzione del Governo di coalizione si fondava su un programma, che era il frutto di un compromesso. Alla realizzazione di questo programma erano impegnati tutti i Ministri, tutti i partiti, che avevano realizzato l’accordo.
Ebbene, è nella realizzazione del programma e nel corso dell’applicazione degli intendimenti che il Governo aveva in tema di economia e di finanza che è maturata la politica personale dell’onorevole Corbino, la quale non poteva non destare serie preoccupazioni.
Per questo noi comunisti abbiamo ritenuto necessario, doveroso, iniziare quella critica pubblica, che doveva non soltanto interpretare il malessere del Paese, ma anche portare a una soluzione. E la soluzione è stata data dalle dimissioni dell’onorevole Corbino. Pensiamo che questa critica non sia stata soltanto negativa. Nel corso della polemica abbiamo potuto portare avanti degli elementi costruttivi contro le mancate realizzazioni della politica economica dell’onorevole Corbino.
Pensiamo, in sostanza, di aver reso un servizio al Paese e che questo servizio si è concluso proprio con l’uscita dell’onorevole Corbino dal Governo, uscita che ha sgombrato il terreno da un impedimento che non abbiamo sentito soltanto noi, anche se siamo stati i primi ad avvertirlo, ma la maggioranza del Governo, secondo le stesse dichiarazioni dell’onorevole Corbino.
Mi sia permesso di aggiungere a queste considerazioni, che confermano la nostra posizione sull’episodio Corbino, alcune preoccupazioni maturate in noi proprio ieri, di fronte alle dichiarazioni che l’ex Ministro del tesoro ha fatto in questa Assemblea. Io non intendo seguire il ragionamento dell’onorevole Corbino in tutti i suoi aspetti, ma cogliere soltanto quello che mi pare il momento, nel quale l’onorevole Corbino ha rinunziato ad essere lo spiritoso parlatore per dire delle cose serie.
Ieri l’onorevole Corbino ci ha regalato la rivelazione di una clausola del trattato di pace, che concerne l’imposta patrimoniale. E ci ha fatto sapere che coloro i quali possono essere colpiti da questa imposta (il relativo provvedimento è già preparato dal Governo e su di esso si fondano molte speranze del tesoro), in virtù di questa clausola, possono evadere con estrema facilità. Io penso che molta gente in Italia studia con la massima diligenza tutti i possibili accorgimenti per non pagare, e che questa gente avesse già pensato come doveva fare. Ma aggiungo che chi non ci aveva ancora pensato ha avuto dall’onorevole Corbino un autorevole suggerimento. (Commenti – Rumori).
Un altro punto che ha destato in noi preoccupazioni concerne la sottoscrizione al prestito.
L’onorevole Corbino, che fu chiamato da un membro della nostra Assemblea – mi pare dall’onorevole Nitti – un ottimista, mi è sembrato invece essere un pessimista, quando ha detto che gli italiani non avrebbero sottoscritto al prestito, perché non sono interessati a quello che il Governo farà tra nove anni, essendo costretti a vivere alla giornata. E questo è evidentemente il modo di svalutare in partenza il prestito che il Governo si accinge a lanciare.
L’onorevole Corbino, quale Ministro del tesoro, ha opposto delle serie resistenze alla realizzazione del programma concordato dai partiti della maggioranza. Ora. come non avere il dubbio che l’onorevole Corbino, dai banchi dell’opposizione, non intenda dare direttive, suggerimenti e consigli a coloro che vogliono opporsi al tentativo che il suo successore farà per realizzare questo stesso programma?
Sulla questione del cambio della moneta, sui dissidi e le polemiche a cui ha dato luogo questa misura, e sulla notizia che ci ha dato l’onorevole Corbino del cambio preparato alla vigilia delle elezioni, ma rimandato perché avrebbe turbato l’ordine pubblico, io non voglio soffermarmi. È un problema che può essere aperto o chiuso. Vorrei richiamare soltanto l’attenzione del Governo su di un fatto che non può non avere impressionato il pubblico. È noto che questa operazione, prima di essere decisa dal punto di vista politico, esigeva una determinata preparazione tecnica, ed è noto che questa preparazione tecnica aveva raggiunto un certo stadio. Si sa che già erano stati preparati dei clichés per la stampa dei nuovi biglietti. Gli italiani sanno che questi clichés sono stati rubati. Pare che siano stati arrestati gli autori. Non si sono però trovati i clichés: la refurtiva non è stata trovata e non si sa dove sia. Questo fatto va meditato. Non costituisce più un segreto di Stato, dal momento che i giornali ne hanno parlato. Ma il fatto impegna questa Assemblea in una esigenza, in un dovere. Ed io esprimo questo dovere nella richiesta formale di una inchiesta parlamentare, o governativa che renda pubblici i suoi lavori, le sue conclusioni, i suoi risultati sulla sorte dei clichés dei biglietti che si sarebbero dovuti stampare.
E passo ai problemi che sorgono dalla situazione di disagio economico delle masse popolari e che incidono profondamente su tutti gli aspetti della vita nazionale.
Il disagio economico delle masse, il malessere delle classi lavoratrici, non si esprime nella rinunzia a determinate spese voluttuarie, ma nella rinunzia a quei prodotti di prima necessità indispensabili alla salute fisica, specialmente dell’infanzia. Su questo problema è naturale che si concentrino gli sforzi principali del Governo per far uscire il Paese da una situazione di disagio, che comincia sul piano economico e si allarga al piano morale e fisico. Di qui sorge il problema dei salari, dei prezzi e della speculazione. Nessuno può contestare che il rapporto tra prezzi e salari è assai stretto. Tuttavia noi rivendichiamo la posizione che abbiamo assunta nel corso delle trattative per la costituzione di questo Governo, che si esprimeva nella richiesta di un adeguamento dei salari al costo della vita.
Siamo stati i soli ad avanzare tale richiesta, anche se nel corso della campagna elettorale promesse in questo senso erano state fatte da tutti i partiti alle masse lavoratrici. I salari non sono stati aumentati, ma i prezzi sono andati egualmente su, noncuranti delle assicurazioni che aveva dato il Governo di impedire la loro salita. Perché? Perché dal 1° luglio in poi ha operato in Italia, su vasta scala, l’azione della speculazione per l’aumento dei prezzi, per la rarefazione delle merci e per tutto un gioco di profitti illegittimi, di fronte al quale il Governo e le autorità sono stati impotenti. Qui non si parla di questo o di quell’altro Ministro, qui c’è tutto un problema che sorge da un fenomeno funesto alla nostra ripresa economica: il fenomeno che fa dell’Italia il paradiso degli speculatori. La rarefazione delle merci, e il conseguente aumento dei prezzi, è scandalosa soprattutto perché manovrata dalla speculazione, la quale può svolgere tutto il suo gioco senza scrupoli e, quel che è peggio, senza ostacoli. Come stupirsi se in tale situazione siano scoppiati dei movimenti di massa?
Questi movimenti sono stati contenuti entro certi limiti per il senso di responsabilità dei partiti di sinistra e delle organizzazioni sindacali; ma non possiamo ignorare che essi potevano facilmente straripare e determinare nel paese una situazione estremamente grave, di fronte alla quale non so quali avrebbero potuto essere i provvedimenti del Governo. Io ero nel Nord quando sono incominciati i movimenti contro il carovita a Novara. Novara è provincia produttiva, non tributaria. Un bel mattino sul mercato di Novara i prodotti di prima necessità, soprattutto i grassi e le uova, non vennero portati. I grossisti di Novara non negarono alle Commissioni inviate sul luogo dal Comune e dalle organizzazioni sindacali, che i prodotti esistevano nei magazzini; ma apertamente, sfacciatamente, bestialmente dichiararono che questi prodotti non sarebbero stati portati, perché essi intendevano far aumentare i prezzi. Si ebbe come conseguenza la sospensione del lavoro per due ore da parte delle maestranze di Novara, con una manifestazione davanti alla Prefettura, che ebbe qualche punta di eccesso che noi abbiamo riprovata. Questo sciopero ha deciso le autorità ad intervenire, ha deciso il prefetto a fissare quel calmiere che tutti sappiamo essere un palliativo, ma che, nel caso concreto, ha determinato l’afflusso delle merci al mercato a prezzi accessibili alle masse popolari. L’aspetto politico di questo episodio, il quale poi si riprodusse con caratteristiche diverse nelle provincie di Milano, di Torino, di Vercelli e altrove, è dato dal fatto che le masse intervengono direttamente ed escogitano, nel loro intervento, delle misure e delle iniziative di fronte alle quali le autorità locali restano interdette, ma che finiscono per accettare.
Il calmiere nelle regioni dell’Italia settentrionale, la cui iniziativa è partita, se non erro, dal prefetto di Milano in una riunione alla quale vennero invitati tutti i prefetti dell’Alta Italia, non è stata una misura appoggiata dal Governo, e perciò limitata nella sua efficacia. C’è stato assenteismo del centro nel momento in cui la periferia tentava con mezzi inadeguati di salvare la situazione. C’è stato assenteismo da parte dell’Alto Commissario all’alimentazione, al quale da Torino un gruppo di Deputati, sollecitati dal prefetto, telegrafava per ottenere l’autorizzazione di acquistare merci fuori dei limiti territoriali, senza ottenere nessuna risposta.
Io so che l’onorevole De Gasperi, il quale si trovava a Milano il giorno stesso in cui avvenne in Prefettura la riunione dei prefetti e alla Camera del lavoro la riunione di tutti i segretari delle Camere del lavoro dell’Italia settentrionale, assicurò una delegazione delle Camere del lavoro di aver convocato telefonicamente il Comitato centrale dei prezzi a Roma. L’onorevole De Gasperi non poteva tornare a Roma, perché era chiamato ad altra missione, non meno grave e non meno importante: stava per partire per Parigi. Il Comitato centrale dei prezzi si è forse riunito…
DE GASPERI, Presidente, del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri. Sì!
NEGARVILLE. … ha preso probabilmente delle decisioni; ma è certo che il Comitato centrale dei prezzi non è riuscito a svolgere un’azione che venisse incontro a quella che era l’azione delle Prefetture dell’Italia settentrionale che avevano stabilito il calmiere e che, proprio per aver stabilito il calmiere, vedevano, dopo otto giorni, la merce sfuggire dai mercati, senza che il Comitato centrale dei prezzi facesse in altre provincie e in altre regioni un’azione corrispondente per evitare il defluire della merce.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri. Sono i prefetti che hanno bloccato le merci nella maggior parte delle provincie. Questo è il disordine che è avvenuto. Io ho dovuto richiamarli. (Interruzioni – Commenti).
NEGARVILLE. Abbiamo avuto 15 o 20 prefetti, i quali hanno deciso di stabilire il calmiere nelle loro provincie e questi prefetti sapevano e sanno, come lo sanno le organizzazioni sindacali che hanno appoggiato il calmiere – il quale si presentava soprattutto come una misura di ordine pubblico – che questo non avrebbe avuto efficacia alla lunga e che, al contrario, dopo alcuni giorni non poteva che determinare una rarefazione delle merci; tutti sapevano questo. E penso che la delegazione che è venuta da Lei, onorevole Presidente del Consiglio, il giorno in cui il prefetto di Milano ebbe l’iniziativa del calmiere interprovinciale, anzi interregionale, è venuta per dirle: fate applicare il calmiere in altre parti d’Italia, oppure fate qualche altra cosa la quale eviti a noi, che abbiamo avuto l’iniziativa, dei risultati negativi, o addirittura catastrofici. La sua assicurazione di convocare il Comitato centrale dei prezzi – riunione che, apprendo, è avvenuta – era un’assicurazione abbastanza incoraggiante, perché le delegazioni che sono andate a vederla si sono dette: non agiamo più da soli, non ci siamo più soltanto noi, c’è anche il Governo. Comprendo che il Presidente del Consiglio era in quel giorno preoccupato di cose più gravi; condivido e riesco a comprendere il suo stato d’animo. Ma è un fatto che la sua partenza ha determinato una stasi. L’unica cosa che abbiamo conosciuto è che il Governo non era orientato, e non è orientato, a stabilire il calmiere nazionale.
Noi non chiediamo il calmiere nazionale. Se il calmiere nazionale ci portasse alla soluzione del problema, soprattutto in vista dell’inverno, il quale si presenta con aspetti ancor più angosciosi di quelli che stiamo attraversando, se vedessimo nel calmiere nazionale la possibilità di uscire da una situazione difficile e penosa, lo richiederemmo. Ma sappiamo che questa misura, nell’attuale situazione, non è atta a risolvere i problemi che bisogna risolvere. Ciò che è indispensabile è un’azione che colpisca almeno le punte più avanzate della speculazione, con le conseguenze che ho cercato di indicare.
Noi siamo d’accordo con i provvedimenti annunziati dal Presidente del Consiglio: Consorzi comunali e provinciali per l’acquisto diretto, magazzini di vendita come organismi calmieratori, ecc. Nella provincia di Torino agisce una grande cooperativa, l’Alleanza cooperativa torinese, patrimonio della classe lavoratrice, che esercita in larga misura questa azione; ma l’A.C.T. ha bisogno di essere aiutata dagli organi di Governo, non può risanare da sola l’ambiente che è dominato dagli speculatori. Bisogna uscire dall’inerzia, prendere rapidamente delle iniziative, tenendo conto che le misure che si impongono saranno tanto più efficaci se sapranno utilizzare quegli organi di controllo popolare che sono sorti nel Nord e che possono portare un grande contributo alla lotta contro il caro vita.
In sostanza si tratta di battere la speculazione nei suoi aspetti più scandalosi, che non sono soltanto dati dalla abbondanza nelle vetrine di ogni ben di Dio, a disposizione dei pochi privilegiati, mentre i lavoratori sono quasi ridotti alla fame, o dai ristoranti di lusso, o dalle automobili che costano 2 milioni; si tratta di batterla anche sul suo terreno più clandestino, di scoprirla nella sua attività losca e nelle sue organizzazioni ben congegnate e ben coperte; si tratta di riuscire a raggiungere una stabilizzazione nei prezzi che dia respiro alla gente, la quale guarda con angoscia ai prossimi mesi invernali.
Lo sforzo comune delle organizzazioni sindacali, dei prefetti, dei sindaci e dei partiti di massa può portare un contributo efficace (sempre che tutto sia fatto sul serio) alla stabilizzazione dei prezzi dei generi di prima necessità. Altre misure sarebbero da suggerire, altre misure sono forse per essere prese; ma mi pare che l’essenziale sia di vedere il problema nel suo aspetto essenziale: bloccare la corsa all’aumento dei prezzi.
Se riusciremo in questo, si porrà il problema della tregua sulle questioni salariali, dopo però che i salari saranno stati adeguati a quel livello dei prezzi che vogliamo raggiungere e sul quale vogliamo fermarci. Io non credo che la frase del Presidente del Consiglio a proposito della tregua salariale debba essere interpretata nel senso immediato. Il Presidente del Consiglio sa che vi sono industriali i quali proprio in questo momento concedono aumenti salariali, ad esempio i tessili, che hanno concordato un aumento del 30 per cento. Gli stessi chimici credo stiano trattando. A Torino gli industriali metalmeccanici sono tendenzialmente favorevoli ad una concessione di aumenti. Si tratta quindi di una tregua da realizzarsi dopo che questi aumenti saranno stati fatti. L’adeguamento dei salari e degli stipendi al costo della vita, tenuto conto della necessità di una scala mobile che deve essere perfezionata nella sua tecnica e resa più efficace, va incontro ad un bisogno non soltanto del futuro e del presente, quanto del passato. A Torino tutte le famiglie operaie si sono indebitate o presso qualcuno che aveva maggiori possibilità, oppure portando masserizie al Monte di pietà. I dati sull’afflusso delle merci ai Monti di pietà sono sconcertanti. Vi si portano perfino lenzuola e materassi. L’altro giorno l’onorevole Carmagnola parlava di malati visitati da medici e trovati su giacigli privi di lenzuola. Badate che si tratta di gente non appartenente agli strati sociali più bassi, non si tratta di mendicanti; sono operai qualificati, i quali hanno quasi sempre avuto un tenore di vita civile, decente, che tengono ad avere un vestito nuovo per la festa, e che oggi non hanno più le lenzuola nel letto. Bisogna dunque favorire le trattative che sono in corso e che stanno per iniziarsi fra la Confìndustria e la Confederazione del lavoro per adeguare i salari al reale costo della vita.
Il disagio delle classi lavoratrici non può non sfociare in quel disagio politico, che tutti sentiamo. Dal 2 giugno in poi sono andate decrescendo in Italia le grandi speranze che la propaganda elettorale e le elezioni avevano determinate nel popolo italiano. Si ha l’impressione che il Paese non abbia ancora imbroccato la via giusta. Non si sa perché, ma il senso di sfiducia dopo la proclamazione della Repubblica assume a volte degli aspetti così preoccupanti, che bisogna per forza concentrare l’attenzione su di essi, vedere se certi episodi non siano da inquadrare in una situazione generale che può diventare molto grave.
Disagio economico, disagio morale, disagio politico.
Io vorrei qui fermarmi brevemente sull’episodio dei partigiani di Asti, che è stato citato dal Presidente del Consiglio. (Interruzioni – Commenti).
È stato ricordato dal Presidente del Consiglio come un caso di indisciplina di un funzionario della polizia ausiliaria. Il fatto del capitano Lavagnino mi ha procurato una smentita dell’ufficio Stampa della Presidenza del Consiglio per una mia interpretazione pubblicata sull’Unità, smentita che non diceva però dove sta la verità. Neanche il Presidente del Consiglio ci ha detto perché il capitano Lavagnino è stato destituito.
Io so che questo valoroso ex partigiano, inquadrato nelle forze ausiliarie della polizia, stimato dal prefetto e dal questore di Asti, ha ricevuto, ad un certo momento, la comunicazione che era destituito dalle sue funzioni di capitano della polizia ausiliaria. A questa comunicazione, Lavagnino ha opposto una resistenza, anche perché a sostituirlo veniva mandato un ex ufficiale della P.A.I., la quale si è particolarmente distinta in Piemonte, e nell’Italia settentrionale, come corpo di polizia che ha collaborato, e strettamente collaborato, con i tedeschi e con i fascisti durante la repubblichetta di Salò.
Comunque l’episodio non ha valore in sé. Quello che è importante è che attorno a questa resistenza offerta dal Lavagnino all’ordine telegrafico di andarsene si sono raccolti 30 ex partigiani, militi della polizia ausiliaria. Quelli che hanno vissuto in Piemonte quelle settimane sanno che attorno ai trenta si è determinato immediatamente un profondo alone di simpatia, simpatia che tendeva a tradursi in azione di solidarietà da parte di tutti gli appartenenti alle ex formazioni partigiane.
Una voce. Non è vero!
NEGARVILLE. Vedo qui vicino a me l’onorevole Foa, il quale non appartiene al mio partito e non ha fatto parte delle formazioni garibaldine. Mi sono incontrato a Torino con Foa e con un suo compagno di partito. Assieme abbiamo esaminato la situazione, perché non soltanto i partigiani comunisti tendevano a solidarizzare con Lavagnino, ma anche i partigiani della Matteotti, di Giustizia e Libertà e di quelle formazioni autonome, che qualcuno intende rappresentare in questa Assemblea. Tutti i rappresentanti dei partiti politici di Torino, Asti, Alessandria, Cuneo, si sono sforzati, ed abbiamo l’orgoglio di essere riusciti a contenere l’agitazione. Avevamo abbastanza senso di responsabilità per comprendere che se il movimento si allargava, le cose potevano diventare molto più gravi di un semplice conflitto tra il capitano Lavagnino e il Ministero dell’interno. Noi tutti abbiamo sentito che l’episodio Lavagnino era solo la goccia che fa traboccare il vaso; ci siamo resi conto che l’esasperazione dei partigiani sorgeva da una situazione scandalosa per l’atteggiamento di inerzia del Governo nei confronti delle legittime rivendicazioni dei valorosi volontari della libertà. Ed abbiamo regolato la nostra azione per richiamare l’attenzione del Governo, evitando che il movimento si allargasse. Qualcuno, al Ministero dell’interno, pensava che per salvare l’autorità dello Stato bisognava fare intervenire i carabinieri per ristabilire l’ordine. Ci sono state anche delle direttive in questo senso, ed i prefetti del Nord erano seriamente preoccupati di fronte a certi telegrammi draconiani. Per fortuna l’onorevole Nenni ha avuto tanta sensibilità da comprendere che non si trattava di agire come si agisce con un ufficiale insubordinato. È il quadro nel quale si inserisce il movimento partigiano di Asti che è importante considerare; il movimento era limitato nelle sue forme, ma assai profondo nelle sue ripercussioni. Esso va giudicato come lo scoppio del malcontento che assume a volte il carattere del disinganno, e questo malcontento, diciamocelo pure, era legittimo.
L’onorevole Nenni, che ha dato un contributo efficace alla soluzione di un così difficile problema, facendosi interprete presso il Governo delle richieste della commissione dei partigiani del Nord venuti a Roma, che ha difeso le rivendicazioni sacrosante dei partigiani e che conosce i fatti, dovrebbe dirci qual è la sua opinione. Troppo si è speculato attorno all’agitazione dei partigiani di Asti; è indispensabile un chiarimento.
La situazione interna non è grave per l’episodio di Asti e neanche per l’episodio, che non conosco bene, dei contadini che hanno occupato le terre. La situazione è grave perché noi siamo del parere, onorevole Nitti, che il pericolo del fascismo c’è in Italia. Da troppi sintomi, da troppi fatti, questo pericolo è reso manifesto. Il fascismo non è stato un fenomeno personale di Mussolini, come ha detto l’onorevole Nitti, con una frase troppo spiritosa, per essere interessante, per essere politicamente profonda. Il fascismo è stato un fenomeno più complesso. Mussolini è stato, caso mai, l’interprete di questo fenomeno sociale, profondamente legato ad una situazione di sconquasso, di disorganizzazione della società italiana. Le bande fasciste agivano con la bestiale violenza che è nota, ma qualcuno, qualche gruppo sociale, aveva in mano i fili che facevano muovere quelle bande.
Noi siamo preoccupati della gravità della situazione interna, perché il pericolo che il fascismo possa risorgere è dato soprattutto dall’atteggiamento di certi industriali e di certi agrari, i quali non vogliono capire che la ricostruzione del Paese si deve fare col principio della solidarietà nazionale, in modo che il fardello dei sacrifici non ricada sulle spalle delle masse lavoratrici. La rinascita del fascismo è voluta da costoro, i quali fanno illimitati guadagni, in una congiuntura così tragicamente sfavorevole per il popolo italiano.
Da chi è sovvenzionata quella stampa che pullula dappertutto, che a Roma dà lo spettacolo più scandaloso, ma che comincia a sorgere anche in altre provincie d’Italia e dimostra di avere saldi finanziamenti alle spalle?
Da chi sono finanziate quelle organizzazioni neofasciste, le quali agiscono con una larghezza di mezzi, che noi, quando lavoravamo a Roma durante l’occupazione tedesca, eravamo ben lungi dal possedere? Troppo grandi sono i mezzi finanziari e tecnici a disposizione di queste bande neofasciste per non essere indotti a pensare che dietro questo movimento ci sono dei gruppi sociali economicamente potenti. Assistiamo a spostamenti di uomini, che la polizia non riesce mai a catturare, ed a volte ci domandiamo perché non riesca. Noi, che avevamo una certa esperienza e molte precauzioni, ci siamo tuttavia caduti quasi tutti durante il fascismo. Costoro non cadono mai. Il questore di Torino mi diceva 20 giorni fa: «Sono sicuro che Scorza è stato a Torino». Eppure quel questore, che è un ottimo funzionario, non è riuscito a prenderlo. Vi sono delle solidarietà che offrono possibilità di rifugio ben più larghe di quelle che avevamo noi; che coprono, aiutano e sostengono l’attività del neofascismo. Vediamo dunque operare delle squadre neofasciste, vediamo operare una stampa apertamente o subdolamente fascista, vediamo giornali che utilizzano le possibilità legali che offre la democrazia per fare la lotta contro la democrazia.
Il problema della stampa è forse il più preoccupante, perché troppa stampa si propone in modo fin troppo evidente di diffondere la sfiducia verso la Repubblica e la democrazia. Il problema richiede, per la sua soluzione, criteri più rigidi di quelli proposti dall’onorevole Nitti. Non si tratta soltanto di denunciare alla Magistratura le intemperanze. Occorre una legge sulla stampa che controlli il finanziamento e la ragione di essere dei giornali neo-fascisti, che controlli la composizione del personale dei consigli d’amministrazione di questi giornali che sorgono, e non si sa come sorgano, che fanno campagne le quali svalutano lo sforzo della Nazione, che moltiplicano le loro edizioni fino a diventare delle grosse imprese di affari. Ne abbiamo uno, che non vorrei citare, perché ho una certa ripugnanza a queste citazioni. Si tratta del Tempo, il quale si è arricchito di una edizione a Milano notoriamente passiva e pensa di farne un’altra in Sicilia…
Una voce. Perché è un buon giornale!
NEGARVILLE. Il Tempo è un giornale che, dopo aver amoreggiato, da indipendente, con tutti i partiti politici, è ora organo di quelle forze monarchiche che tendono alla rinascita fascista.
Questo della stampa è un problema che non si può risolvere soltanto attraverso la Magistratura, la quale in queste questioni dimostra una tale larghezza di vedute che ci fa pensare all’incapacità di colpire il male alla radice. Bisogna escogitare delle misure per stroncare il pericolo del neofascismo. Ma io non voglio drammatizzare; so bene che quelli che io indico non sono che dei sintomi, e che non ci troviamo ancora di fronte ad un’organizzazione fascista bene articolata. Ci troviamo però di fronte ad una azione abbastanza precisa da parte di coloro che vorrebbero spezzare la schiena al regime democratico repubblicano, e soprattutto alle sue avanguardie proletarie. (Rumori).
Bisogna escogitare una politica che venga incontro prima di tutto ai bisogni più impellenti delle masse, in modo da evitare la possibilità di movimenti che nessuno potrebbe più controllare, in modo da poter dare a queste masse la certezza che la loro azione democratica è seguita, accompagnata, agevolata da quel Governo della Repubblica democratica che esse hanno voluto con le elezioni del 2 giugno. Le masse popolari vogliono che il regime repubblicano sia consolidato, e a questo consolidamento esse vogliono partecipare.
Bisogna che gli aspetti fondamentali della vita economica del Paese, che investono i problemi della ricostruzione, siano affrontati con spirito nuovo e non più alla giornata. Bisogna imprimere un «nuovo corso» a tutta l’economia italiana. Questo noi abbiamo chiesto e questo chiediamo. Si tratta di dare un giusto orientamento alla nostra economia, la quale deve essere impostata sul principio che la ricostruzione va fatta nell’interesse della collettività. Di qui l’esigenza di misure le quali pongano lo Stato nella posizione di chi guida, coordina, disciplina lo sforzo economico della nazione. Non si tratta di nazionalizzare tutto, anzi nel quadro del «nuovo corso» che esige la nostra economia deve avere una larga parte l’iniziativa privata, stimolata ed orientata dallo Stato, ma non più abbandonata alla ricerca delle attività speculative ed altamente redditizie che impediscono la marcia in avanti della ricostruzione.
Noi pensiamo che questo sforzo ricostruttivo debba riuscire a mobilitare tutti i gruppi sociali che partecipano alla produzione, di fronte ai quali però debbono essere posti gli interessi della nazione e non l’avidità di immensi profitti, che vanno di pari passo con una miseria sempre maggiore dei lavoratori.
Io mi domando perché certe iniziative, certi spunti di iniziativa di cui si è parlato nel passato non sono stati spinti avanti per trovare questa strada nuova. Perché, per esempio, il Governo non prende l’iniziativa di una conferenza economica nazionale, la quale, lasciando da parte il Comitato interministeriale per la ricostruzione, che è un organismo un po’ troppo pesante, affronti i problemi della ricostruzione con un’impostazione più larga, più concreta, cioè secondo un piano. A tale conferenza economica dovrebbero partecipare, con la Confederazione generale italiana del lavoro, la Confederazione dell’industria, i rappresentanti dei partiti di massa, i tecnici (cosi indispensabili in questo sforzo ricostruttivo che ha nella tecnica il suo strumento più efficace) e tutte quelle forze economiche organizzate su cui lo Stato può contare, in primo luogo i consigli di gestione, a proposito dei quali il Governo ha promesso il riconoscimento giuridico.
Perché non si convoca questo convegno di tutte le forze produttive?
DE GASPERI, Presidente del Consiglio, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri. Già deciso.
NEGARVILLE. La ringrazio. Noi siamo lieti di questa decisione e vorrei che questa iniziativa si realizzasse il più presto possibile, per dare al Paese la sensazione che il Governo non è qui soltanto per fare dei telegrammi che destituiscano gli ufficiali di polizia ausiliaria.
Io sono lieto della interruzione del Presidente del Consiglio, che mi assicura che questa decisione è stata presa. So che Nenni ha avuto l’iniziativa e ne ha parlato; non sapevo che fosse stata accolta.
Sono molto lieto, perché penso che questo disagio nazionale, di cui ho esaminato alcuni aspetti, e che si riflette nella politica interna, nei rapporti fra le classi, nei rapporti fra gli uomini, esiste anche, direi soprattutto, perché la Repubblica non è ancora riuscita a dire una parola nuova capace di suscitare volontà ed entusiasmo, capace di aprire al popolo una prospettiva.
Imprimere un nuovo corso alla nostra economia significa non soltanto accelerare la ricostruzione, ma anche dare un nuovo impulso alla democrazia. Perché dobbiamo arrivare ad un corso nuovo anche nella vita politica. Il Governo ha avuto il nostro consenso e la nostra partecipazione: noi siamo per collaborare non soltanto nelle piccole, ma anche nelle grandi cose, e vorremmo che il Governo affrontasse i problemi grandi, le grandi cose. Il popolo italiano deve sentire che la Repubblica non è stata una conquista inutile, ma che i suoi vantaggi si riflettono in tutti i campi della vita sociale. Noi sappiamo che le difficoltà da affrontare sono enormi, e che saranno forse maggiori domani dopo quel trattato di pace che ci sta davanti come un incubo; ma siamo certi che, in uno sforzo comune, il popolo italiano potrà affrontare le difficoltà, superare gli ostacoli. Certo, questo sforzo per essere efficace deve liquidare lo spirito di sabotaggio e la resistenza che si manifesta tra i gruppi plutocratici nostalgici del fascismo.
Noi comunisti abbiamo l’orgoglio di aver dato una formula alla lotta per la liberazione. Abbiamo detto allora: «Mettiamo da parte tutte le questioni particolaristiche; in questo momento quello che conta è cacciare i tedeschi ed eliminare i fascisti».
Abbiamo lanciato la formula dell’unità nazionale per scacciare i tedeschi ed eliminare i fascisti; ci siamo attenuti a questa formula finché non abbiamo conseguito la vittoria e l’abbiamo conseguita con tutte le forze politiche e sociali sane della democrazia italiana.
Noi vorremmo che il nostro appello ad uno sforzo per accelerare la ricostruzione del Paese, dando allo Stato la possibilità di coordinare e guidare l’attività produttiva per evitare che la ricostruzione si faccia contro gli interessi della Nazione, venga raccolto da tutti gli italiani di buona volontà, così come ieri è stata accolta la nostra parola d’ordine di unità nazionale per la liberazione della Patria. Tutte le forze sane, tutte le energie che vogliono veramente lavorare per ricostruire l’Italia, e quindi dare la possibilità al popolo italiano di risorgere, devono unirsi. Noi lealmente diciamo come ieri: mettiamo da parte le questioni particolaristiche, tendiamo tutti i nostri sforzi verso un unico obiettivo. Questo obiettivo deve essere la ricostruzione dell’Italia mediante un nuovo corso della nostra economia, condizione della rinascita nazionale, condizione per aprire al popolo italiano le strade dell’avvenire. (Vivi applausi a sinistra).
Presidenza del Vicepresidente TERRACINI
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Ministro Nenni. Ne ha facoltà.
NENNI, Ministro senza portafoglio, Vice Presidente del Consiglio. Onorevoli colleghi, l’interpretazione che una parte del Paese e che probabilmente una parte dei membri di questa Assemblea ha dato agli incidenti provocati nel momento in cui il Presidente del Consiglio era a Parigi, e che hanno avuto come causa determinante l’incidente di Asti, è stata certamente una interpretazione sbagliata.
C’è una vecchia tendenza che consiste nel ricercare, di fronte ai fatti sociali e ai fatti politici, la mano del sobillatore.
All’indomani della fondazione dell’unità d’Italia il sobillatore, nella storia del nostro Paese, si chiamava Andrea Costa, si chiamava Enrico Malatesta; più tardi il sobillatore nella storia del nostro Paese si chiamò Filippo Turati, nonostante la passione di giustizia umana e di libertà politica che animava la sua concezione del socialismo.
Oggi gli si danno nomi diversi; l’errore di giudizio è sempre lo stesso, è quello di cercare la responsabilità di un uomo dove si tratta di risalire a cause di ordine sociale e politico. (Applausi a sinistra).
Nell’occasione che ci interessa, il sobillatore non è stato il capitano il cui nome è salito improvvisamente agli onori della cronaca politica. Se non fosse esistito fra i partigiani, per cause molteplici, un sentimento di insoddisfazione e di irritazione, il caso del capitano di Asti sarebbe caduto nella disattenzione generale. Se attorno a questo caso si è creata un’agitazione è perché, al di là del caso individuale, esisteva un caso politico.
Per cause molteplici, dovute probabilmente al modo un po’ tumultuoso con il quale il Governo del nostro Paese ha lavorato in questi ultimi tempi ed al quale si riferiva ieri il collega La Malfa, quelle misure di equità e di giustizia che erano accettate, nei confronti dei partigiani, da tutta la Nazione, con la sola distinzione di coloro che hanno ragione di detestare i partigiani perché in essi vedono lo strumento della rinascita democratica e nazionale del nostro Paese (Applausi a sinistra – Rumori a destra), quelle misure, dicevo, erano rimaste più del necessario negli uffici ministeriali e negli uffici dell’alta burocrazia del nostro Paese. Così, quando il caso Lavagnino è scoppiato, il Governo ha avuto immediatamente la sensazione di non esser di fronte ad un caso personale di ribellione all’autorità dello Stato, né ad un caso di ammutinamento di qualche diecina di suoi dipendenti, ché in questo caso sarebbe stato molto semplice e molto facile il puro e semplice richiamo alla inesorabilità della legge,…
GIANNINI. Come si doveva fare!
NENNI, Ministro senza portafoglio, Vice Presidente del Consiglio… ma di esser di fronte ad un caso politico, di fronte ad una agitazione determinata da moventi ai quali bisognava dare soddisfazione. Ecco perché, signori, invece di fare semplicemente appello al feticcio insanguinato dell’autorità dello Stato, concepito come un puro rapporto di forze materiali, noi abbiamo in quel momento fatto appello alla ragione, al sentimento, alla fede democratica di coloro stessi che si erano posti in agitazione. Ed invece di telefonare e di telegrafare soltanto ai prefetti, abbiamo telefonato e telegrafato alle sezioni dell’A.N.P.I., alle sezioni socialiste, alle sezioni comuniste, domandando ai dirigenti di queste organizzazioni di associarsi ai prefetti per evitare il disordine e far tornare la calma e la serenità. (Applausi a sinistra).
Signori, io penso che la democrazia si onora, quando fa appello agli argomenti della ragione piuttosto che a quelli della forza e che non c’è disonore, quando un Governo chiama a collaborare alla restaurazione della pace interna i partiti e le forze politiche e sociali dalle quali trae la sua investitura.
Che chiedevano i partigiani? In primo luogo l’equiparazione ai volontari e il riconoscimento dei loro gradi, delle loro ferite, con tutti i diritti di ordine sociale, politico ed economico inerenti a tale riconoscimento. Vecchia questione, signori, che nel Parlamento subalpino oppose tragicamente un giorno due fra i più grandi degli italiani: Cavour e Garibaldi; vecchia questione che si trascina di fronte al fenomeno, pure limitato nel numero, dei garibaldini del Risorgimento fino al 1880 ed anche più tardi; questione che doveva inevitabilmente risorgere, oggi che il fenomeno dei partigiani si estende a decine di migliaia di cittadini che costituiscono l’avanguardia della Nazione. (Applausi a sinistra).
Quale era la seconda rivendicazione? Era l’assunzione in pianta stabile degli ausiliari che sono entrati nei corpi della polizia o nei vari corpi amministrativi dello Stato. E anche questa rivendicazione non poteva che essere presa in considerazione, col desiderio di risolverla il più sollecitamente possibile, fondata com’era su un principio indiscutibile di giustizia e di equità.
Infine c’era una causa di malcontento e di irritazione in mezzo ai partigiani, della quale bisognava ricercare le cause per rimediare agli effetti. L’amnistia, nella sua applicazione, aveva profondamente ferito questi uomini. E perché? Non per il principio dell’amnistia, che noi non ripudiamo, convinti come siamo che non si crea niente di durevole nella vita e nella storia, se non si trova il modo di non lasciare dietro di sé un corteo di vittime e di risentimenti. (Approvazioni), ma perché i partigiani avevano visto che, mentre l’amnistia liberava automaticamente coloro che erano stati i nemici della indipendenza e della libertà del nostro Paese, lasciava in carcere proprio i partigiani, i quali, mescolati in reati ipotetici compiuti nel periodo della lotta e della guerra civile, dovevano attendere una lunga istruttoria prima di poter godere il beneficio della libertà.
Una voce. Attendono ancora!
NENNI, Ministro senza portafoglio, Vicepresidente del Consiglio. Signori, non c’è nessuno in mezzo a voi che, uomo fra uomini, non senta che cosa può aver significato, in una prigione d’Italia, per uomini che avevano combattuto la lotta della nostra liberazione, vedere i fascisti uscire dal carcere e apprendere che per essi erano necessarie lunghe istruttorie e lunghe indagini.
Il Governo ha rimediato con uno dei suoi decreti a questo errore, o a questa ingiustizia, ed è bastato chiamare a Roma i rappresentanti dei partigiani, è bastato parlare a loro il linguaggio della responsabilità, perché essi immediatamente rientrassero nelle loro case. E questo movimento, in cui era un po’ il ricordo romantico di un periodo che per coloro che hanno fatto la guerra partigiana resterà la cosa più bella della loro vita, questo movimento immediatamente ha preso fine.
Io non credo, signori, che ci sia stata in questa occasione né umiliazione della autorità dello Stato…
Una voce. Che non c’è più!
NENNI, Ministro senza portafoglio, Vicepresidente del Consiglio. …né diminuzione del prestigio del Governo. C’è stato un Governo che è andato fraternamente incontro a coloro che stavano per commettere un grave errore e che ha impedito loro di compierlo, non ricorrendo alla forza della legge, ma ricorrendo alla persuasione. In tali condizioni, l’episodio non meritava quanto di allarmistico si è scritto in Italia: quanto, sulla base delle deformazioni interne, si è scritto all’estero, nel momento in cui il Presidente del Consiglio trattava e discuteva i problemi della politica estera a Parigi. (Interruzioni – Rumori).
L’episodio al quale ci si è riferiti in questa discussione dimostra agli occhi miei una cosa sola: che c’è un’autorità morale del Governo democratico, più valida ed efficace della forza materiale ed alla quale si ha il dovere di appellarsi ogni qualvolta non si sia di fronte a nemici aperti e dichiarati in armi contro l’indipendenza del Paese e le istituzioni democratiche. (Vivi applausi – Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Giannini. Ne ha facoltà.
GIANNINI. Mi sia concesso di ringraziare il Presidente del Consiglio della sua presenza in quest’Aula mentre io parlo. La volta scorsa non ebbi questo onore, e il risultato fu questo, che nella risposta che il signor Presidente del Consiglio diede a tutti coloro che volenterosamente avevano tentato di contribuire con la discussione alla sua immane fatica, noi fummo completamente dimenticati, fummo come inesistenti, pur essendo allora trentadue, mentre adesso siamo in qualcuno di più.
Il tema obbligato di questa discussione è stato la crisi e la stabilizzazione della lira. È lei che ha dato questo tema, onorevole Presidente del Consiglio, e tutti quanti, salvo oggi l’onorevole Negarville, si sono attenuti a questo tema; dimodoché sembra davvero, per chi ascolta queste nostre discussioni, che al centro della crisi non ci sia che la stabilizzazione della lira.
Non siamo d’accordo, onorevole Presidente del Consiglio. Noi abbiamo assistito a questa dotta disputa fra grandi economisti con curiosità, con passione di spettatori nuovi ad uno spettacolo nuovo, ed abbiamo acquistato la certezza che tutti i professori di economia, compresi i nostri illustri maestri, che veneriamo, tutti i competenti di economia, hanno tutti ragione quando sono al banco dell’opposizione; ma quando trasferiscono i loro programmi al banco del Governo le loro ragioni si polverizzano a contatto della realtà, e fanno fiasco. Ciò è sempre avvenuto: è avvenuto anche in questa occasione. L’onorevole Corbino si è dimesso per un articolo, per un comizio, per un cartellone che ha eccitato la sua sensibilità. Dovessi dimettermi io per tutti i cartelloni e per tutte le caricature che mi fanno! (Ilarità).
Però l’onorevole Corbino si è dimesso, ma non è successo niente di quello che era logico aspettarsi dopo le sue dimissioni. Si è dimesso perché la sua politica – monetaria e non economica, come si dice cadendo in un errore che io, povero letterato, riesco a rilevare ad onta della mia incompetenza – la sua politica monetaria è stata attaccata in tutti i modi, è stata discussa in tutte le forme, ed è stata trasferita nelle piazze con quei famosi cartelli sui quali il nostro amico Corbino lo abbiamo visto pendulo. Ma la crisi è stata risolta senza che si cambiasse la politica del Governo. A noi non risulta che un uomo eminente del partito comunista abbia raccolto sotto di sé il Ministero del tesoro e il Ministero delle finanze, e tutti gli altri Ministeri che riguardano la finanza italiana. Noi sappiamo soltanto che un democristiano, l’onorevole Bertone, (di cui abbiamo un buon ricordo, perché ne abbiamo letto il nome molti anni fa quando, per fortuna, non ci occupavamo di politica) siederà a quel banco, siederà alla scrivania dell’onorevole Corbino e farà la di lui politica. E allora ci domandiamo: è giusto mettere a soqquadro il Paese soltanto per cambiare un uomo? Politicamente noi non vediamo chi possa giovarsi di questo soqquadro. Elettoralmente giova a noi più che a tutti voi. (Commenti). Elettoralmente giova a noi soltanto, in quanto che noi soli potremo dire di non aver deluso mai! (Commenti).
Realisticamente questo soqquadro giova solamente agli speculatori di borsa nera e di valuta. Noi lo sappiamo, signori: ogni volta che si parla di cambio della moneta, ogni volta che all’orizzonte si presenta la possibilità di una crisi finanziaria, vediamo i titoli salire e scendere, non per poche decine di lire, ma per centinaia e migliaia di lire; e chi ci guadagna in questo? La classe lavoratrice? Io? (Commenti). Chi ci guadagna? Ci guadagna chi ha decine di miliardi per fare queste speculazioni. Ci guadagna non chi può comprare trenta, quaranta sterline, ma chi ha un milione di sterline. Ed allora, poiché noi dobbiamo escludere che nel mondo politico e nel mondo parlamentare ci sia chi beneficia di questi turbamenti del mercato italiano… Badate, lo dico con sincerità, perché siamo qui tutti degli ingenui, siamo qui tutte persone più o meno fornite di ingegno (Commenti – Interruzioni alla estrema sinistra) – ed io ne ho di più e tu di meno – che se amassimo la ricchezza non staremmo qui a dilaniarci, ma faremmo il mercato nero e del cambio della moneta, per cui la decima parte della nostra intelligenza sarebbe più che sufficiente. Dunque, noi che siamo dei grandi ingenui, che perdiamo la nostra vita e il nostro tempo, forse per cercare una distrazione a preoccupazioni maggiori e a dolori che non riusciamo a dimenticare, riteniamo che la colpa comune a tutti noi, forse, signori, è di offrire questi ottimi pretesti ad una speculazione, che non interessa nessuno fra noi.
Perciò devo dire all’onorevole Presidente del Consiglio che al centro della crisi non c’è la stabilizzazione della lira, ma l’omogeneità del Governo. E bisogna parlare di questo, che è l’argomento principale.
La crisi Corbino pareva dovesse portare una chiarificazione. Non l’ha portata. Perché? Perché «essi», i capi dei tre partiti di massa, tre uomini, si sono messi d’accordo per tutti noi.
Ad un certo punto la mancanza di omogeneità porta ad un urto, porta a quelle differenze di interpretazione, segnalate per esempio dall’onorevole Negarville e dall’onorevole Nenni. Ossia in un Ministero c’è chi crede che il capitano Lavagnino abbia torto; c’è chi crede che il capitano Lavagnino abbia ragione. Questo è un urto.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri. Hanno tutti torto.
GIANNINI. Questo è un cozzo. Allora vuol dire che non c’è omogeneità nel Governo. Questa mancanza di omogeneità porta all’urto, al cozzo, alle polemiche sulla stampa, alle dimissioni di qualche Ministro. Tutti si aspettano che succeda chissà quale disastro. Poi non succede niente. (Interruzioni).
Non interrompetemi. Vi abbiamo lasciato parlare. È anche cattiva educazione.
Tutto questo baccano deve succedere, ma poi non succede niente. Perché? Perché «essi», i tre, non tenendo conto di 470 deputati, si sono chiusi in una stanza ed hanno deciso.
È bene però che il Governo sappia che questo giuoco puerile è stato capito da tutti in Italia: dai professori universitari, dagli spazzini, dai tranvieri, dalle levatrici. Non c’è chi non lo capisca, chi non lo veda. Tutti sanno che la politica italiana è nelle mani di tre persone.
L’opposizione che noi tentiamo di esercitare non impressiona il Governo; non lo impressionerà mai quello che noi tenteremo di fare o di dire sulla nostra stampa. La quale, onorevole Negarville, ha i propri registri di amministrazione a sua personale disposizione e a disposizione di quel ragioniere che lei vorrà mandare, nel giorno che lei sceglierà, per vedere come la nostra stampa si mantiene, come vive e con quale abilità professionale è portata avanti da quella azienda editoriale che è. Se la nostra stampa potesse stampare dei titoloni a 18 colonne, anziché a nove, contro il Governo, questo non si impressionerebbe lo stesso. Una critica nostra, una critica del gruppo liberale, una critica di un altro gruppo, anche meno numeroso del nostro, per quanto possa essere fondata, per quanto possa essere importante, non impressiona il Governo.
Basta invece un corrugar di ciglio del sorridente onorevole Togliatti, per mettere in imbarazzo tutto il Governo.
FEDELI ARMANDO. Non siamo mica pecore come voi. La democrazia vi garantisce.
GIANNINI. Senta, la prova che non siamo pecore è che siamo qui; se fossimo pecore, saremmo fuori. Prenda esempio da quelli che ne sanno più di lei nel suo gruppo, per non fare brutta figura! (Applausi a destra).
Allora noi ci domandiamo: a che serve il nostro atteggiamento di singolare oppositore in quest’Aula, dove il Governo non ascolta che la propria opposizione, in una autarchia politica che veramente sbalordisce e spaventa, perché le autarchie – è stato dimostrato – finiscono tutte male?
Una voce a sinistra. E chi le fa finir male?
GIANNINI. Noi che eravamo in Italia… (Interruzione del deputato Molinelli). Non parli di me, onorevole Molinelli, non faccia confusioni. (Interruzione del deputato Molinelli).
PRESIDENTE. Onorevole Molinelli, la invito formalmente a non interrompere.
GIANNINI. Non risponderò più a nessuna interruzione. Dunque, siccome questa nostra opposizione si trova ad essere così estraniata da quello che è il corpo della opposizione parlamentare, noi ci domandiamo, onorevole Presidente del Consiglio – e siamo in molti a domandarcelo – se facciamo bene o male a rimanere in questa Camera, dove noi, con la nostra presenza, confermiamo la esistenza di una democrazia e di una prassi democratica che non esiste, di un Governo democratico che fondamentalmente non c’è. E se non ci arrestasse il timore della fine che fece l’altro Aventino, del danno che l’altro Aventino produsse all’Italia, probabilmente in questo momento io avrei l’onore di riverirla in altra sede e non certamente qui nella Camera italiana. E forse qui c’è il fondamento della questione, onorevole De Gasperi.
Noi siamo tutti quanti le vittime, noi e i nostri avversari (i quali se ci leggessero meglio vedrebbero che in fondo siamo d’accordo con loro e in molte cose siamo anche avanti a loro), noi siamo forse le vittime di quello che si può dire un luogo comune, di cui facciamo un enorme abuso. E io vorrei proprio scagliarmi contro questo che mi pare sia il solo nostro nemico, il solo degno di essere rovesciato e calpestato.
Indubbiamente il primo luogo comune è la parola democrazia. Ho detto la «parola», signori, appunto perché non voglio dire il fatto. L’onorevole Togliatti, che io cito perché ho viva simpatia per lui e lo leggo con grande attenzione… (Commenti).
Una voce. Ahi, ahi!
TOGLIATTI. Chissà che non le serva!
GIANNINI. Mi serve, mi serve! L’onorevole Togliatti ci ha, non più tardi di ieri mattina, insegnato qualche cos’altro di nuovo circa la democrazia nel suo articolo «Tre colonne di piombo», che forse involontariamente rivela la simpatia che il nostro eminente collega ha per quel pesante metallo.
In quell’articolo egli ci ha detto che le democrazie sono quattro; ci ha spiegato che la democrazia sovietica non è totalitaria, ci ha rivelato l’esistenza di una democrazia parlamentare, di una democrazia diretta, di una democrazia borghese e di una democrazia operaia.
Mi permetterò di aggiungere che esiste anche una democrazia progressiva, oggi molto in onore, ma che a leggere un altro giornale, anche questo di stamattina, pare che sia stata partorita per la prima volta dal cervello dell’enfant terrible del fascismo, Peppino Bottai.
Sono dunque sei le democrazie di fronte alle quali ci troviamo. È lecito domandare a chi vuol risponderci, e se non c’è nessuno che ci vuol rispondere domandare a noi stessi, se abbiamo o non abbiamo il diritto di scegliere fra queste sei democrazie! Tutte e sei non le possiamo accettare.
C’è poi un altro luogo comune (per cui sarei tanto grato al settore comunista se non volesse interrompermi subito), che è questo: la classe lavoratrice. Finché questa espressione figura sulle labbra della sinistra e dell’estrema sinistra, ci sono ragioni per consentirlo; ma io l’ho sentita perfino nella destra. Credo di aver sentito parlare di classe lavoratrice, non dico l’onorevole Bergamini, ma almeno qualche collega della stessa tendenza. Da ciò si evince che in Italia non c’è che «una» classe che lavora; tutto il resto che fa? Niente. Una classe lavoratrice che poi, nella accezione comune di questa Camera, è costituita dalla classe dei lavoratori manuali. Ho l’impressione che ci siano varie aliquote, forti di milioni, che vanno escluse da questa classe lavoratrice e allora, poiché io non sono uno zolfaro, non sono uno spaccapietre, non sono che un povero scrittore che da qualche anno non può rappresentare i suoi lavori perché non ci sono teatri, io mi domando: ma allora io non faccio parte della classe lavoratrice? La cosa mi spaventa, perché io credevo di farne parte; credevo di avere un diritto e, in certo senso, un dovere di offrire a questa classe lavoratrice quel poco che posso dare di opera e di pensiero. Ma se voi mi escludete, io non so dove andare a finire, perché al di fuori della classe lavoratrice in Italia non ci sono che i miliardari, fra i quali io, disgraziatamente, con tutta la mia buona volontà, non ho fatto a tempo ad entrare.
Rappresentanti di questa classe lavoratrice sono degli intellettuali, alcuni dei quali veramente notevoli, che tengono a soqquadro l’Italia, e che hanno dato la misura della loro insofferenza per quella che è la trattazione dei problemi politici fuori del Comitato dei tre, nelle trattative e nella risoluzione della crisi Corbino. Ora io mi domando, nella mia ignoranza di uomo qualunque, capace solamente di creare spettacoli di bellezza, perché altro non so fare, non essendo neanche un attore – e prego chi è convinto del contrario di ricordarsi che non ho mai recitato e la prima volta che mi capita è qui dentro (Si ride) – e allora io mi domando: quando questi intellettuali hanno condotto la battaglia contro Corbino e contro la sua politica in nome della classe lavoratrice e dei suoi sacrosanti diritti, per quale ragione non hanno reclamato per sé il posto di responsabilità di Corbino? Spero che non avranno temuto il nostro voto contrario, anche perché avremmo potuto darlo favorevole, poiché un esperimento simile ci interessava enormemente. Perché non hanno assunto questa responsabilità? Chi è che non l’ha voluto? Non l’hanno voluto i democratici cristiani? Non l’hanno voluto i comunisti? Noi non sappiamo che pensare, perché le discussioni avvengono fra i tre; a noi non si dice mai niente; a noi ci si chiama semplicemente per dire… che dico! A «voi», accade che vi si chiami per dire: «Sapete, si è stabilito questo, e quindi voterete in questo modo». (Commenti – Interruzioni al centro).
DE GASPERI. Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro per l’interno e, ad interim, degli affari esteri. Non è così semplice!
GIANNINI. Beh, lasciate dire qualche inesattezza anche a me; tutti hanno il diritto di dirle.
Noi abbiamo allora questa sensazione, netta e precisa, che l’omogeneità nel Governo non c’è, che l’accordo fra i tre partiti non c’è; che non c’è che un solo accordo fra loro: quello di rimanere al potere. E mi pare che ciò sia troppo poco per costruire un programma.
Altro luogo comune gravissimo – che io spero sia davvero un luogo comune, che sia davvero detto con ingenuità, ché io di solito non credo mai al partito preso, alla malvagità di nessuno: sono troppo forte, io, fisicamente, non credo al serpe; credo che siano tutti buoni – questo luogo comune si chiama lo «Stato». Si pretende il controllo dello Stato. A sentire certuni, lo Stato dovrebbe diventare l’imprenditore, dovrebbe sostituire l’iniziativa privata, la quale è privata di ogni iniziativa; lo Stato dovrebbe essere produttore, commerciante e via di seguito. Ma dov’è lo Stato? Se si arriva al punto che, per sostituire un ex brigadiere dei carabinieri, autopromosso al grado di capitano delle truppe ausiliarie di polizia, si è dovuto incomodare un Governo! E a sentire ciò che ha detto l’onorevole Nenni – ciò che io non credo, perché so che non è vero – si è creata una enorme agitazione. Ma che cosa deve fare questo povero Stato? Che cosa può fare, se può contare fino a un certo punto sui suoi questori, se può contare fino a un certo punto sui suoi agenti di polizia, se può contare fino a un certo punto sui suoi organi esecutivi? Gli volete far controllare che cosa? Ma non vi accorgete che non riesce nemmeno a venderci le sigarette, che dobbiamo comprare in borsa nera, con i banchetti che stanno davanti ai monopoli dello Stato? Dov’è lo Stato? Che cosa gli fate controllare? È un luogo comune anche questo. E così io penso che por sottrarre all’iniziativa privata tutta la sua iniziativa per darla allo Stato, si finisce per non far fare niente né ai privati né allo Stato.
L’onorevole Scoccimarro, il quale non mi querela da molto tempo, e gliene sono enormemente grato (Ilarità), si propone un programma tributario spettacoloso. Ma è certo d’avere il personale necessario che poi gli occorrerà per metterlo in atto? (Segni di assenso dell’onorevole Ministro delle finanze). No, no, onorevole Scoccimarro, non faccia così con la testa: lei non ce l’ha questo personale!
SCOCCIMAFIRO, Ministro. delle finanze. Ci sarà!
GIANNINI. Lei non sarà in grado di riscuotere queste tasse; non avrà alcuna possibilità di riscuoterle, e le spese di riscossione si mangeranno tutto il riscosso. Del resto a me non importa; a me, che mi leva? (Ilarità). Assolutamente nulla.
Dunque, il nostro compito, onorevoli colleghi di tutte le parti, non è quello di invitare il Governo a fare i mestieri degli italiani. Vorrei vedere se volesse fare il mio! Se l’onorevole De Gasperi formasse un Comitato di Ministri per scrivere uno spettacolo giallo, chissà che bella roba farebbe! (Si ride).
Noi dobbiamo mettere in grado ogni italiano di poter esercitare il «suo» mestiere. Economicamente noi non siamo nella situazione rovinosa di cui molti parlano: i tessili lavorano; gli armatori italiani oggi sono in condizione di lavorare quattro anni, se vogliono. Ci sono a Genova, a Napoli, nei cantieri, armatori di tutte le nazioni che piangono per avere un contratto di fabbricazione di navi; ci sono norvegesi, svedesi, argentini, qui da noi, a chiedere di essere serviti e non possono essere serviti, perché non si possono fare due navi sullo stesso scalo; bisogna che sia varata una nave per poterne impostare un’altra.
Noi, economicamente, ci troviamo in condizioni non cattive; non splendide; ma certamente non inferiori – e, per molti punti, superiori – a quelle di altre nazioni sedicenti vincitrici in Europa. Noi dobbiamo ricostruire il nostro Paese con «questo» lavoro, perché questo nostro lavoro è la moneta più certa, è l’unica moneta sulla quale non si potrà mai discutere.
C’è, disgraziatamente, anche nella parte che non è del tutto estrema sinistra, gente che pensa all’eventualità di una guerra per poter assestare le nostre cose. Evidentemente, questa buona gente si illude che in un conflitto fra il mondo slavo e il mondo anglo-americano noi potremo mandare una bella carta da bollo a tutti e due questi mondi, diffidandoli a non invaderci e minacciandoli di far loro una causa per danni ed interessi se lo facessero. Se scoppierà questa guerra – di cui, chiunque conosce il mio cuore di padre e ha letto il mio libro, sa come giudico – se scoppierà questa guerra, signori, non scoppierà per noi, non sarà da noi evitata, non sarà da noi evitabile. Noi non potremo sottrarvici; il meglio che potremo fare sarà di esservi preparati con un’attrezzatura di lavoro, di pensieri, di opere, di uomini, che devono venire da tutti i settori per evitare che il nostro Paese diventi niente altro che un campo di battaglia, come potrebbe essere una prateria americana o un lembo desertico del Sudan.
Bisogna che noi ci facciamo trovare efficienti; ed invece, sia su questioni di lana caprina o «corbina», si impiantano questioni, si creano drammi e tragedie, si creano colpe alle quali si vuole assolutamente trovare un responsabile, non perché si debba punire questo responsabile, ma perché si pensa che nell’indicarlo diminuisca la nostra responsabilità. E così c’è nelle destre chi pensa che il disordine sia provocato dai partigiani, nelle sinistre chi dice che il disordine è provocato dai fascisti! Sento ancora parlare della questione monarchica e repubblicana; sento riaffiorare l’anticlericalismo; tutti temi, tutti luoghi comuni nei quali noi speriamo di nascondere quelle che sono le nostre terribili responsabilità, che affrontiamo, purtroppo, con una grande leggerezza. Ho udito dire qui da un eminente collega che ci sono delle classi abbienti – beate loro! – le quali non sentono il dovere di investire il loro danaro per scopi patriottici, per aiutare le classi lavoratrici. Crede quell’eminente collega che l’investimento di miliardi si faccia per sentimento, per favorire una classe anziché un’altra? Crede che il giuoco degli interessi, il quale è superiore perfino alle ambizioni degli uomini, sia tale da poter essere governato da una considerazione pietistica? Se crede questo, rimpiango il tempo che egli ha speso a studiare economia; se non lo crede e lo dice lo stesso, non so che cosa dire di lui.
Il nodo della questione sta nel conflitto dei tre partiti di massa. Altro luogo comune! Perché le masse sono fuori dai partiti. (Commenti). Eh sì! E noi ne siamo la prova evidente.
Noi abbiamo bisogno di qualcuno che governi e tutti i partiti che sono qui possono governare in base ai loro programmi che sono tutti più o meno uguali, perché sono tutti democratici, tutti vogliono il benessere del popolo, tutti sono contro le classi abbienti. Di aristocratici non ci sono più nemmeno il marchese Lucifero, né il marchese Negarville. (Si ride).
Uno di questi partiti, il comunista, ha un programma di ricostruzione sociale che presuppone una disciplina sociale che noi non intendiamo accettare. Non c’è offesa nel dire questo, perché si può essere persuasi di un’idea e si può essere persuasi del suo contrario. Noi siamo persuasi che non è possibile amministrare più una nazione con i criteri del vecchio Stato liberale, agnostico e imbelle; non è più permesso che ci sia una politica del lasciar fare e del lasciar andare; non è più possibile non tener conto di quanto avviene oltre le nostre frontiere, perché significherebbe volere ignorare l’esistenza della Russia, dell’America, dell’Inghilterra e ciò sarebbe assolutamente imbecille. Noi ci rendiamo perfettamente conto che è necessario governare con il criterio di dirigere l’economia, di dirigere la vita di un paese da parte dello Stato, ma innanzi tutto noi chiediamo che «ci sia uno Stato» e poi chiediamo che questo controllo si svolga nella massima libertà e sotto l’alta tutela di una Suprema Corte costituzionale che nei loro programmi elettorali tutti i partiti, ad eccezione del partito comunista, hanno accettato. Questo è quello che sostanzialmente ci divide…
COCCIA. Noi l’abbiamo chiesta.
GIANNINI. L’abbiamo chiesta noi prima di tutti. Legga i giornali, onorevole Coccia; non dica bugie, un democristiano non deve dirle. (Si ride – Commenti).
PRESIDENTE. Onorevole Giannini…
GIANNINI. Onorevole Presidente, scusi; le chiedo perdono.
PRESIDENTE. Glielo concedo! (Si ride).
GIANNINI. Grazie. A rigor di termini possiamo dire che ci sono tutti i partiti, meno uno, che convengono su questa idea dello Stato liberale, ossia dello Stato che deve, nel regime della libertà, controllare nei limiti del possibile – e dopo essere diventato Stato ed aver creato i suoi organi – l’economia del Paese.
Vi è una concezione differente, ed è la concezione che l’onorevole Togliatti non vuole che si dica totalitaria, e che io dirò democratica progressiva, ma che è all’incirca la stessa cosa. Ora noi notiamo questo: che tutti i partiti presenti in questa Camera, anche purtroppo qualcuno non di massa, non si preoccupano che della volontà, dei desideri del partito comunista. Tutti gli fanno la corte. Quasi quasi gliela sto facendo anch’io. (Si ride).
Ma io la faccio per mera simpatia, perché non ho nulla da sperare. Ora, sta in fatto che in Italia ci sono stati 28 milioni di elettori iscritti. Hanno votato 24 milioni e 975 mila, quasi 25 milioni. Il partito comunista ha raccolto un sesto di questi suffragi, ed allora non ha il diritto di imporci il suo programma; deve e può, al massimo, aderire, col suo, al nostro. Se nelle prossime elezioni di questi 25 milioni di voti esso ne prenderà almeno 13, ci imporrà il suo programma e noi lo accetteremo. Adesso no.
Una voce. Accetteremo il suo!
GIANNINI. È un programma anche il mio. (Commenti).
Una voce. È un programma qualunque.
GIANNINI. Ora io dico questo. Nelle elezioni s’è affermato un grande partito, che è la democrazia cristiana. Questo partito ha raccolto 8 milioni di voti. Non solamente per merito suo (Ilarità), per quanto io abbia in questo partito molti amici simpatici, molta gente stimabile, anzi tutti stimabili, molta gente, voglio dire, con cui sono in ottimi rapporti. Questo partito ha raccolto buona parte di voti di elettori che non erano democratici cristiani.
Una voce. Anche lei…
GIANNINI. Anche io; ma se io avessi 207 deputati qui dentro, le farei vedere! (Rumori – Commenti). Ora, questi 207 o 217 deputati che sono stati eletti, lo sono stati non con voti di democratici cristiani, ma principalmente con voti di una categoria di italiani, la quale, non fidandosi della democrazia progressiva (Ilarità), non sentendosi molto rassicurata, ad onta degli articoli dell’onorevole Saragat, del partito socialista, non volendo votare per le destre – io poi un giorno vi spiegherò che non sono destro – ha votato per la democrazia cristiana. È dunque la democrazia cristiana che ha cristallizzato intorno a sé la massa maggiore e più omogenea della fiducia…
Una. voce. Meritatamente!
GIANNINI. Meritatamente, sissignori, ma aspetti, che viene il resto! (Ilarità). La democrazia cristiana, dicevo, che ha raccolto la massa più omogenea del corpo elettorale italiano, ha dunque il diritto e il dovere di governare e di difendere gli italiani da qualsiasi rischio e da qualsiasi pericolo.
Una voce. Lo faremo.
GIANNINI. Se la democrazia cristiana non fa questo, tradirà i voti di coloro che le hanno dato il proprio suffragio, non perché democristiani, non per spirito di disciplina di partito, ma perché convinti di trovare in questo partito di centro, in questo partito moderato, una garanzia, una protezione, una tranquillità.
Voi avete il dovere di dare questa tranquillità all’Italia, perché, se non la darete, pagherete questo vostro peccato nell’ora della morte elettorale. (Ilarità – Commenti – Interruzioni), e lo pagherete senza misericordia e senza remissioni. (Interruzioni al centro).
Onorevoli colleghi, avrò finito fra pochissimo. Volevo dirvi questo: noi non abbiamo ambizioni, noi siamo quasi tutti uomini – almeno io – venuti alla politica in larda età, in seguito a forti scosse. Non abbiamo che il desiderio di ritornare al nostro piacevole lavoro. Non crediate che, per quanto ci onori, per quanto ci insuperbisca il piacere di stare in mezzo a voi, che questo orgoglio sia tale da non farci rimpiangere la tranquillità meno brillante, ma, consentitemi di dire, forse più bella. Noi non abbiamo nessuna ambizione, e il giorno in cui fossimo costretti a sobbarcarci a una fatica di Governo, a vedere l’onorevole De Gasperi su questo banco a raccontarci tutto quello che noi gli daremmo il motivo di raccontarci, questa sarebbe una cosa la cui sola idea mi fa rabbrividire. È necessario che voi troviate un accordo fra voi, lasciando fuori noi che non vogliamo entrarci. Voi dovete accordarvi perché il nostro Paese sia amministrato e diretto, perché sia governato senza questo baccano, senza questo chiasso, senza questo disordine che oggi si verifica.
Una voce. Parla come se parlasse ad un comizio!
GIANNINI. Nenni ha parlato come un oratore di comizio, non io! Noi vi scongiuriamo di fare questo accordo fra voi, ma sinceramente, in modo che non si ricominci dopo sei mesi, dopo tre mesi, dopo due, un mese, o per il caso Corbino o per un altro caso, a rifare questi pettegolezzi da servi, dopo di che in tre si chiudono in una stanza e tutti gli altri votano «Sì». Noi vi scongiuriamo di cercare e trovare questo accordo anche ad esclusione nostra: e badate che nel chiedervi questo accordo noi chiediamo la nostra fine, la nostra sconfitta, perché la nostra vittoria sta e starà nel vostro disaccordo. La vittoria elettorale che noi avemmo, e che certamente avremo prossimamente, l’avremo basandoci e speculando sul vostro disaccordo. Quindi, il giorno in cui voi vi accorderete, saremo noi che ne soffriremo.
Noi siamo 35. Ci accontenteremo di tornare in quest’Aula in dieci, in due, in uno, o anche di non tornarci affatto, purché voi vi accordiate e salviate il nostro Paese, che solo di questo ha bisogno. (Vivi applausi a destra – Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Damiani. Ne ha facoltà. (Molti Deputati lasciano l’Aula).
Prego gli onorevoli colleghi di non abbandonare l’Aula e di riprendere i loro posti.
DAMIANI. Il Presidente ha richiamato l’attenzione degli onorevoli colleghi sul fatto certamente non bello, né cortese, che un Deputato chiamato per ultimo a parlare, dopo altri quattro o cinque, debba vedere una massa di colleghi che si allontana dall’Aula.
Ha fatto bene perciò il Presidente a richiamare i Deputati perché stiamo qui, tutti quanti, a rappresentare il popolo italiano, per discutere questioni che interessano la vita della Nazione, e solo discutendole, noi possiamo salvare il nostro Paese. (Applausi).
Quando vi è seduta, tutti dovrebbero essere presenti, avendo tutti la responsabilità, in questo momento, di studiare i problemi nazionali e di trovarne la soluzione.
Io sarò breve, perché ho preparato un discorso e perché leggerò invece di parlare a braccio, poiché ritengo che dovendo parlare a questa Assemblea e quindi al paese, quel che si dice bisogna che sia ben ponderato.
Non voglio in questa occasione parlarvi di quanto era mio desiderio esporre sui caratteri psicologici e morali della crisi grave e profonda, che affligge il nostro Paese e il mondo intero, e non voglio illustrare per ora, a tale riguardo, il punto di vista del Movimento Unionista Italiano, di cui sono in questa Assemblea l’unico rappresentante. Mi riservo di far ciò in sede di discussione dei problemi di politica estera. Tuttavia mi è gradito rilevare un pensiero di Benedetto Croce che ho letto nel Messaggero del 19 settembre: «Un sogno della mia vita», egli dice, «fu che l’intensificato scambio di pensieri, di libri, di opere d’arte, tra nazione e nazione, accrescesse la reciproca conoscenza, abolisse le borie nazionalistiche, unisse i popoli nell’opera della civiltà, della sua conservazione, del suo incremento; e ciò non soltanto in Europa, ma nel mondo, fino al Giappone. Un dì questo sogno sarà realtà».
A queste felici parole di Benedetto Croce si possono collegare le altre recentissime del signor Churchill che invoca una «famiglia europea», facendo notare come le armi di oggi e di domani non permetteranno al mondo di sopravvivere ad una nuova guerra. Quindi all’unione dei popoli si deve arrivare, sia per il ritorno fervido verso gli alti principî di umanità e di solidarietà che rendono la vita un dono di Dio, da accettare come missione di bene, sia per legittima difesa di fronte ai pericoli e alla minaccia di una apocalisse, inevitabile, qualora gli uomini impazzissero di odio. Questi giudizi di eminenti personalità, tra cui possiamo ricordare Baruch, Einstein, Borgese, sono, ancora una volta, la prova che il mondo potrà salvarsi soltanto se la sua marcia sarà diretta verso la fratellanza dei popoli.
Ed è di alto significato che questa suprema esigenza dell’umanità sia ugualmente sentita, sia pure per diversi richiami, da apostoli del pensiero come da uomini d’azione.
Perciò nell’opera di difesa e di ricostruzione che dobbiamo compiere, dobbiamo pur sempre avere di mira la mèta luminosa dell’unità mondiale. E questo, per fortuna, è l’anelito più chiaro di tutti i popoli ed è quindi la grande forza positiva che può riportare equilibrio, ordine e saggezza in tutto il mondo.
E il Movimento Unionista Italiano è stata la prima organizzazione politica che abbia assunto, come programma, questa urgente aspirazione dei popoli.
E se il Movimento unionista propugna che, come primo passo verso gli Stati Uniti del mondo, debba sollecitarsi l’unione italo-americana, ciò è per i tanti vincoli di parentela esistenti tra noi e l’America, che nel suo seno ha già mirabilmente realizzato l’affratellamento di genti tanto diverse per razza, per indole e per caratteri etici.
Ma il Movimento Unionista non ha preconcetti contro alcun Paese, e tutti sollecita a tradurre, nel campo pratico e politico, questa ormai chiara volontà dei popoli stessi, che, stanchi di guerre, ardentemente anelano a un mondo rasserenato e unito.
Ma, come ho premesso, non ho preso la parola per trattare proprio questo argomento e pertanto, attenendomi al carattere della discussione attuale, voglio parlare di un fatto specifico e molto importante di politica interna.
Tutti siamo d’accordo nel riconoscere che il corpo dell’Italia è afflitto da molteplici malattie; però l’esame clinico di esse, finora, è stato condotto con metodi troppo empirici, che ricordano più la dottrina di Esculapio e degli alchimisti medioevali, che i metodi scientifici della tecnica moderna.
Pertanto è necessario che il problema venga affrontato razionalmente, seguendo la via logica che il progresso scientifico e sociale suggerisce.
I mali sociali, per essere curati, devono essere bene conosciuti e nella natura e nella qualità e nella misura, e tale conoscenza può essere fornita solo dalla osservazione concreta dei fenomeni.
Per arrivare al nocciolo della questione, bisogna che il Governo imposti il programma, che intende realizzare, su una sufficiente documentazione qualitativa e quantitativa della situazione di fatto. Tale documentazione non può aversi che attraverso un organico sistema di rilevazioni statistiche dei vari fenomeni economici e sociali, sistema che, allo stato attuale delle cose, è da ritenere del tutto inadeguato alle esigenze del Paese.
Per soddisfare tali esigenze esiste l’organo tecnico appropriato: l’istituto Centrale di Statistica, al quale mi onoro appartenere.
L’opera di detto Istituto deve essere perciò sollecitata, potenziata e valorizzata, ai fini della giusta via da seguire per la ricostruzione fisica, economica e morale dell’Italia.
Con ciò non voglio dire che finora l’Istituto non abbia esplicato una intensa attività per fornire al Paese dati che costituiscono preziosi elementi di giudizio e di orientamento; ma tra quello che ha potuto fare e quello che potrebbe fare per il bene dell’Italia, il divario è ancora molto grande. Tale affermazione può essere facilmente compresa e giustificata, ove si consideri la lacunosità delle documentazioni statistiche relative a tutti i più aspri problemi che sono stati evocati in questa Assemblea, quali: la disoccupazione, la indigenza delle classi lavoratrici, il depauperamento fisico e morale del popolo, umiliato, offeso e tradito, la morbilità infantile e giovanile, i perturbamenti demografici causati dalla guerra, il disordine industriale e il conseguente collasso in altri settori economici, il caos monetario e finanziario.
Tutti questi, ed altri fenomeni che non enumero, necessitano di un’esatta misura statistica. Allora soltanto il Governo, avendo davanti agli occhi il quadro completo dei mali da curare, può provvedere con la dovuta energia e cognizione di causa.
Attualmente possiamo disporre di statistiche complete, aggiornate e attendibili soltanto per alcuni fondamentali, ma limitati settori, quali il movimento naturale e sociale della popolazione (matrimoni, nascite, morti, emigrati e immigrati), l’agricoltura, il commercio con l’estero, i prezzi, il costo della vita, la pubblica istruzione, ed altre minori; tali statistiche sono quelle relative ai settori sui quali l’Istituto, in base al vigente ordinamento dei servizi statistici nazionali, può esplicare direttamente la propria attività.
Per quanto riguarda le statistiche agrarie, non solo sono disponibili i dati delle produzioni correnti, ma disponiamo anche di attendibili previsioni sulla produzione futura. Circa il soddisfacente grado di precisione di queste nuove indagini, che non avevano precedenti in Italia, basti rilevare, a titolo di esempio, che le iniziali previsioni della produzione di frumento, effettuata alla fine di febbraio, presentano uno scarto, in meno, dell’ordine appena del 6 per cento della produzione definitivamente accertata al termine del raccolto, che è risultato, come è noto, di oltre 61 milioni di quintali; questo lievissimo scarto era andato, poi, riducendosi nelle successive previsioni.
Le statistiche del commercio con l’estero, delle quali l’Istituto ha ripreso la regolare rilevazione e pubblicazione mensile dei dati, consentono di conoscere, con la maggiore tempestività, l’andamento dei nostri traffici con l’estero.
In base ai risultati delle citate statistiche, nei primi sette mesi del corrente anno, il volume delle importazioni ha raggiunto i 5.300.000 tonnellate per un valore di oltre 45 miliardi di lire; il volume delle nostre esportazioni è stato invece di poco inferiore alle 380.000 tonnellate per un valore di circa 25 miliardi e mezzo. È interessante rilevare che questi traffici si sono svolti, sia pure in varia misura, con quasi tutti i Paesi del mondo, sebbene al primo posto, e distanziando di gran lunga gli altri, figurino gli Stati Uniti d’America, dai quali, nel suddetto periodo, abbiano importato merci per oltre 30 miliardi di lire (al cambio ufficiale) e verso i quali abbiamo esportato per oltre 6 miliardi.
Nel campo delle statistiche dei prezzi la documentazione risponde pienamente a tutte le esigenze pratiche, estendendosi esse alle varie fasi di scambio delle merci dalla produzione al consumo.
Sulla base di tali elementi vengono calcolati i numeri indici dei prezzi all’ingrosso e del costo della vita; questi ultimi vengono elaborati secondo criteri accuratamente vagliati da apposita Commissione, della quale fanno parte esperti e rappresentanti delle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori, nonché delle Amministrazioni statali più direttamente interessate. Questi indici sul costo della vita presentano la massima garanzia dal duplice punto di vista dell’attendibilità delle basi di calcolo e della tecnicità delle elaborazioni.
A tale proposito è importante notare che se le organizzazioni sindacali si fossero affidate all’Istituto centrale di statistica per le questioni relative alle modalità tecniche di attuazione della scala mobile dei salari, anziché imbarcarsi direttamente in elaborazioni di indici affidate ad incompetenti, non si sarebbero verificati i paradossali contrasti che resero quegli indici stessi sfavorevoli alle parti che più li avevano propugnati, e per essere più chiari, alle categorie dei lavoratori.
Cioè, gli organizzatori sindacali, per difendere gli interessi dei lavoratori avevano proposto e fatto accettare indici del costo della vita che all’atto pratico andavano a tutto vantaggio dei datori di lavoro. Cosicché, per errori dovuti ad incompetenza tecnica, si ottenevano risultati completamente opposti a quelli desiderati. Quindi ecco la necessità che queste complesse elaborazioni siano affidate agli organi tecnici appositamente creati. Purtroppo il campo di attività dell’Istituto centrale di statistica, in alcuni importantissimi settori delle rilevazioni statistiche, è limitato dal fatto che le rilevazioni stesse vengono effettuate da altre Amministrazioni, senza alcuna garanzia dal punto di vista del sistematico controllo dei dati e senza che venga assicurata dalle Amministrazioni stesse la regolarità e la tempestività delle rilevazioni. Fra altri, è questo il caso delle statistiche industriali e del lavoro; e ciò costituisce la ragione per cui allo stato attuale delle cose non è possibile disporre di dati che sarebbero essenziali per le opportune e più avvedute azioni del Governo nel campo economico e sociale. Così ad esempio, come ho già accennato, non abbiamo dati attendibili e recenti sull’andamento della produzione industriale, sul numero degli stabilimenti attivi e inattivi nei vari settori dell’industria, sul grado di utilizzazione degli impianti, sui salari, sull’occupazione operaia effettiva e sulla effettiva disoccupazione nei vari settori economici.
Su tutte queste questioni di fondamentale importanza si procede a tentoni o in base a grossolane valutazioni, determinando così una situazione talmente disordinata da paralizzare qualsiasi razionale e positiva misura di Governo. Il Governo, per agire con tempestivi e illuminati provvedimenti, deve conoscere perfettamente la natura del male da curare e degli organismi da sanare. Questa conoscenza non può derivare che da una accurata, continua e razionale indagine statistica su tutti i fenomeni economici e sociali.
Perciò bisogna dare all’organo statale, appositamente creato per rilevare tutti i fenomeni sociali, farne la diagnosi, stabilirne la misura esatta è indicarne conseguentemente, ove occorra, i rimedi tecnici idonei, mezzi e ampie possibilità di svolgere la propria attività in tutti i campi di rilevazione. E tutto ciò risponde ad una esigenza fondamentale per il miglior Governo del Paese. Senza dire che un efficace coordinamento delle rilevazioni statistiche condurrebbe a sensibili economie sul bilancio dello Stato, attraverso la eliminazione della molteplicità di organi che effettuano le stesse rilevazioni in concorrenza tra loro, con difformità di criteri e senza giungere a concreti, attendibili e tempestivi risultati.
A parità di spesa, d’altra parte, si potrebbero avere risultati di gran lunga più completi e precisi, tali da porre il nostro Paese non alla retroguardia, come si trova ora, ma all’avanguardia di quelli più progrediti, i quali consacrano ai servizi statistici nazionali cure e spese a fronte delle quali sono ben misera cosa gli irrisori contributi statali per il funzionamento della nostra statistica ufficiale.
Fra tali paesi, che sono in primo piano nel campo delle rilevazioni statistiche, troviamo non soltanto grandi e ricche Nazioni come gli Stati Uniti d’America, la Gran Bretagna, l’Unione sovietica, ma anche paesi come la Svizzera, la Svezia, l’Olanda e l’Ungheria.
Bisogna tener conto, altresì, che l’esigenza di una completa ed esauriente documentazione statistica non si limita al campo della politica interna, ma investe anche i rapporti internazionali del nostro Paese. Basta a tale riguardo citare gli obblighi che vengono imposti ai paesi aderenti al «Fondo Monetario Internazionale» stabilito negli accordi di Bretton Woods, i quali contemplano, tra l’altro, la comunicazione periodica della situazione della bilancia dei pagamenti internazionali, cioè la situazione del dare e dell’avere dell’Italia nei confronti dell’estero, quale risulta non soltanto dagli scambi commerciali, ma dai noli, dalle rimesse degli emigrati, dai conti bancari, ecc.
Inoltre gli stessi accordi prevedono la periodica comunicazione dei dati riguardanti l’ammontare e la composizione del reddito nazionale e le sue variazioni nel tempo, nonché altri dati economici e finanziari atti a lumeggiare la situazione economica e le necessità del Paese, ai fini interessanti i rapporti internazionali. Per effettuare i suddetti calcoli occorre la disponibilità di adeguate statistiche per le quali necessita la massima cura tecnica.
Il Governo non deve dunque disinteressarsi delle proposte che gli vengono fatte per colmare le accennate gravissime lacune delle nostre documentazioni statistiche, ma deve provvedere a rendere possibile all’Istituto Centrale di Statistica le varie rilevazioni periodiche sull’andamento della vita economica e finanziaria del Paese e l’esecuzione dei censimenti sia demografici che economici, dei quali è così vivamente sentita la necessità, non solo per fare il punto della nostra situazione, ma per dirigere e utilizzare a ragion veduta, come ho già detto, tutte le forze positive sociali, ai fini della più rapida ed economica rinascita del Paese. (Applausi – Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Patrissi. Ne ha facoltà.
PATRISSI. Onorevoli colleghi, ieri l’onorevole La Malfa ha fatto in quest’aula una dichiarazione estremamente importante. Egli ha affermato che nel periodo in cui ebbe la direzione del dicastero del commercio estero, comunque nel periodo che ha coinciso con la sua collaborazione al Governo, mai gli si è presentata l’occasione di discutere in Consiglio dei Ministri la politica del suo dicastero.
Nell’ultima decade di gennaio la Consulta nazionale, in seguito alle dichiarazioni del Ministro Corbino, per effetto di due interpellanze congiunte, ebbe ad occuparsi dell’argomento della politica del Tesoro. Nelle presenti circostanze, in seguito cioè all’ultima crisi, alla cosiddetta crisi Corbino, l’argomento si è ripresentato all’esame, questa volta dei rappresentanti del popolo democraticamente eletti. Sia nel corso della discussione in seno alla Consulta nazionale, sia nel corso di questa discussione, noi abbiamo purtroppo assistito alla osservazione personale di quasi tutti gli oratori, movendo da un punto di vista ugualmente personale; ma la visione di insieme di tutto il problema fino a questo momento, mi pare, – non ho la presunzione di avviluppare per tangenti il problema stesso – non sia stata fatta. Enrico Heine ebbe a dire che non resiste al tempo ciò che non soddisfa al senso della logica. Ora, nessuno ha osservato che il programma che ha presieduto alla sostituzione dell’onorevole Corbino e all’insediamento dell’onorevole Bertone, quale completamento del programma più vasto proposto a base della presente coalizione ministeriale, non è un programma di politica economica. Il Ministro del tesoro può prestare il fianco, non dico a giudizi, ma ad apprezzamenti diversi di ordine squisitamente ed esclusivamente tecnico per quanto riguarda la politica monetaria, la politica di tesoreria del Paese, ma non sono certo imputabili al Ministro Corbino – che peraltro io non ho alcuna intenzione di difendere – tutte le mende, tutte le colpe che viceversa sono imputabili all’attuale situazione di disagio e di equivoco che travaglia il Paese.
Il Paese non ha avuto e non ha una organica politica economica. In seno alla Consulta io ebbi a riferirmi a concetti elementari – parendomi necessario il richiamo dinanzi ai miei colleghi di allora, e purtroppo mi accorgo che è necessario questo richiamo anche in questa sede – di politica economica e monetaria.
Noi siamo in una situazione di inflazione relativa, definita in base al paragone tra il volume della circolazione monetaria e il volume della circolazione dei beni; siamo cioè in una fase che può essere di pre-inflazione assoluta, in una situazione in cui una oculata politica monetaria ed economica può ancora fermare l’economia del Paese sulla china sdrucciolevole e pericolosa che si chiama annullamento del potere d’acquisto della moneta.
Ho notato che con una leggerezza veramente degna di miglior causa, in questa Assemblea sono stati fatti dei discorsi, le cui ripercussioni sull’economia del Paese sono già in atto.
Sarebbe desiderabile che, da uomini responsabili quali dovremmo essere o presumiamo di essere, si fosse più controllati nel trinciare giudizi, meno aspri negli attacchi personali, soprattutto più cauti nell’esprimere apprezzamenti che il mercato sconta subito. Abbiamo sentito, per esempio, riparlare del cambio della moneta. Ebbi ad occuparmene prendendo la parola alla Consulta: non voglio fare qui apprezzamenti pro o contro il cambio della moneta; tuttavia è elementare – e uno studente del secondo corso dell’istituto tecnico sezione ragioneria se ne rende conto – che ogni qual volta l’argomento del cambio della moneta, minacciato da alcuni, promesso da altri, avversato da altri ancora, fa capolino sulla nostra ribalta politica, il mercato subisce delle scosse e risente delle conseguenze.
Nella situazione di inflazione relativa, o di pre-inflazione assoluta, nella quale il Paese versa, discorsi di questo genere sono di una leggerezza deplorevole, dirò di più, criminale, se pronunciati in mala fede.
Ho fatto un riferimento alla mancanza di logica. Ebbene, signori, se vogliamo che questo nostro assetto politico, questo nostro regime, che non avrò l’impudenza altrui di definire compiutamente democratico – si affermi, si rassodi, si infuturi, noi dobbiamo essere logici e conseguenti nell’escogitare gli istituti nuovi che dovranno reggere e guidare le sorti del Paese. Fino a questo momento provo serie in tale direzione il Paese non ne ha avute.
La realtà, ci dice che esiste un incremento nel volume della circolazione monetaria, un decremento nel volume della circolazione dei beni. Quando queste due circolazioni sono in stato di equilibrio, cioè è costante il loro rapporto, la situazione monetaria si chiama normale ed è elastica. Il divergere di questi due termini implica spostamenti nel potere d’acquisto della moneta, che variano secondo il prodotto delle differenze tra i valori nuovi e vecchi, in senso assoluto. Ora, noi dobbiamo contemporaneamente ridurre il volume della moneta in circolazione e sviluppare il volume delle merci circolanti. La parte che riguarda la riduzione del volume della moneta, e i modi di acquisizione dei mezzi di pagamento necessari a fronteggiare le esigenze di tesoreria è quella che più specialmente si chiama «politica monetaria» o finanziaria o del tesoro.
La parte relativa all’aumento della circolazione dei beni onorevoli colleghi, si chiama «politica economica».
Una politica economica allo scopo di ottenere lo sviluppo del volume dei beni in circolazione si concreta nel produrre di più, nel migliorare la situazione dei trasporti o quella creditizia.
Vediamo un poco cosa è stato fatto in tanto blaterare, in tanto accanirsi di giudizi, in tanti conflitti di tecniche contrapposte, in tanta rivalità di scuole, tutte egualmente autorevoli e rispettabili, ma spesso in antitesi tale da non consentire il conseguimento di proficui risultati. Cosa abbiamo fatto?
Osserviamo i campi principali nei quali si attua e si realizza il processo produttivo. Devo anzitutto riferirmi ad una frase dell’onorevole Carmagnola, di cui ho apprezzato la serenità, per quanto nei concetti informatori noi si dissenta. Egli ha detto che il Governo si è preoccupato eccessivamente di non spaventare i ricchi trascurando le esigenze dei poveri. Ebbene, onorevoli colleghi, questo è già un peccato contro la logica perché – e premetto che non sono né agricoltore, né industriale, né stipendiato dal mio partito, ma semplicemente un deputato che vive dello stipendio e quindi non ho nessun interesse da difendere – bisogna tranquillizzare i ricchi affinché i poveri possano avere lavoro e pace. (Si ride).
Voi da due anni a questa parte non avete fatto altro che spaventare, senza riuscire per questo a realizzare le vostre minacce, la classe che manovra le fonti del danaro, che sono poi le fonti stesse della produzione. Se ragioniamo senza la demagogia, senza la faziosità settaria, di questa nostra strana democrazia, dobbiamo trovarci d’accordo su una così semplice impostazione fondamentale. In realtà, sono due anni che si minaccia l’imposta sul patrimonio, e gli effetti di questa imposta sono in gran parte scontati. È dell’altro giorno la pubblicazione di un progetto di legge elaborato dal Ministro Scoccimarro; il Ministero delle finanze si affretta a farci sapere che è un progetto relativo agli ultimi mesi del 1945 e non c’è ancora l’edizione definitiva. Ma credete veramente che coloro che detengono il danaro consentano al Governo di giuocare con essi come il gatto gioca con il topo? Questo, oltre un peccato contro la logica elementare, è un eccesso di ingenuità!
Ora, quando sentiamo dai banchi della estrema sinistra la difesa, che dobbiamo ritenere sincera e che appare comunque accorata, degli interessi della classe lavoratrice, noi non possiamo non pensare – noi che tra ricchi e poveri preferiamo i secondi ai primi – che mal si servono gli interessi del popolo parlando vanamente in suo nome ed agendo soltanto allo scopo di sovvertire l’ordine costituito. Nel disordine non c’è ricostruzione di economia; la produzione rifugge dal disordine (Applausi – Commenti). In queste condizioni il Paese rischia di morire d’inopia totale. Non ho bisogno di richiamarmi alla affermazione politica del mio amico Giannini; la concordia noi la stiamo predicando da un anno e mezzo a questa parte. Ragionando per assurdo – come tutto è assurdo oggigiorno – possiamo ritenere, sia pure non compiutamente, che i presupposti di una relativa concordia siano stati stabiliti. Ebbene, procurate di realizzare, sul piano politico-tecnico, un programma concorde tra i Ministeri economici; altrimenti non esisterà logica democratica nella vostra azione, mentre il popolo italiano possiede squisito il senso della logica e vi giudicherà come già vi giudica inesorabilmente. Un altro errore di logica è ciò che è accaduto nel settore dell’agricoltura: si è estorto al Governo, attraverso le agitazioni di piazza, quel provvedimento legislativo della concessione di terre ai contadini. Era senza dubbio una situazione di urgenza, lo sbocco di una situazione politica, il riflesso di un disagio diffuso che comunque doveva formare oggetto di cure da parte del Governo. Ma io vorrei chiedere a coloro che in quest’aula mostrano di ritenersi gli unici rappresentanti autorizzali della classe lavoratrice: credete che i contadini, invocando e pretendendo quel provvedimento volessero avere la terra, così come in realtà gliel’avete data?
Voi non avete appagato questo inesausto desiderio di tutte le plebi da millenni ad oggi.
Una voce a sinistra. Ci arriveremo.
PATRISSI. Risponderò anche a questo. Volevate diminuire la disoccupazione delle campagne? Non avete adottato la forma migliore. Potevate fare qualche cosa di meglio e, se me lo consentirete, vi spiegherò la mia opinione in proposito. Volevate incrementare la produzione agricola del Paese? Non avete raggiunto lo scopo, perché gli indici di produzione dei terreni che sono stati dati in concessione a cooperative di contadini nell’annata decorsa hanno registrato un rendimento medio inferiore del 50 per cento rispetto a quello degli altri appezzamenti delle aziende. (Interruzioni a sinistra). Avete voluto forse alleggerire la pesantezza della distribuzione dei generi alimentari? Non siete riusciti nemmeno in questo, perché non ha avuto luogo il ritiro delle carte annonarie ai nuovi produttori cooperatori.
E allora, se è vero, come io credo che sia vero, che la vostra principale preoccupazione è il benessere della classe lavoratrice, voi avreste dovuto ricorrere a forme migliori, a forme che avrebbero assicurato, nello svolgimento del processo produttivo, una partecipazione spirituale decisa ed entusiastica del lavoratore, che deve sentirsi non odiato sulla terra sulla quale lavora. Potevate instaurare una effettiva collaborazione tra il proprietario retrivo e conservatore e il lavoratore ansioso di lavoro. In che modo? La proprietà agricola italiana si aggira intorno ai 31 milioni e mezzo di ettari. La classificazione di questa proprietà per taglio di aziende l’amico Damiani, che ha dimostrato di essere un arcicompetente in materia statistica, potrebbe esporvela in termini più precisi e dettagliati. Il concetto che debbo enunciare è questo. Esistono grosse aziende in conduzione diretta da parte dei proprietari. Si poteva, da parte del Ministro dell’agricoltura, fissare la percentuale di ettarato per cui era consentita la conduzione diretta ed imporre, per l’altra parte, la conduzione in compartecipazione. In questo modo avreste dato ai lavoratori un rapporto corrente e già scontato dalla evoluzione dei tempi e avreste certamente stabilito i presupposti per una collaborazione sincera e praticamente efficiente tra il lavoratore e il proprietario della terra. La compartecipazione avrebbe potuto rappresentare, in prosieguo di tempo, una conquista progressiva da parte del lavoratore compartecipante, e avrebbe potuto presto, relativamente presto, portare all’affrancamento della terra.
Il contadino chiede di essere effettivamente proprietario per lavorare la terra con la passione e con l’amore che la terra richiede, e in virtù delle quali soltanto offre dovizia dei suoi prodotti. Ma quando alla base del rapporto di lavoro si pone l’odio, si pone il malinteso, si pone lo scontento, allora (colleghi comunisti e socialisti, in questo momento non parlo da agrario perché non lo sono, ma parlo da consumatore) allora ne deriva un danno al lavoratore stesso e in definitiva alla collettività di cui tutti siamo parte. (Interruzioni a sinistra). Forse c’è qualcuno di voi che si sente aristocratico. La cosa non mi riguarda. Io sono figlio di contadini. (Interruzioni a sinistra).
Il provvedimento della concessione di terre ai contadini, posto in essere sotto il pungolo delle agitazioni di piazza, avrà conseguenze deleterie sul patrimonio zootecnico del Paese. Assistiamo quotidianamente alla contrazione progressiva dei pascoli. Ebbene, noi abbiamo bisogno del nostro patrimonio zootecnico. È per questo necessario assicurare i proprietari di terre, altrimenti non avremo più pascolo per il nostro bestiame.
Invito pertanto il Ministro dell’agricoltura, che non è presente né rappresentato, a prendere atto di questa umile raccomandazione; umile, dappoiché viene dai banchi dell’opposizione.
Il nostro patrimonio zootecnico va difeso, perché le lesioni che ha riportato dal passaggio della guerra sul nostro territorio, grazie alla Provvidenza, non sono state gravi. Possiamo, nel giro di due anni, portare il nostro patrimonio zootecnico ad un livello superiore a quello dell’ante-guerra.
Questo provvedimento può avere conseguenze nefaste. L’altro giorno, su un giornale della Capitale, abbiamo visto per la prima volta, da quando abbiamo l’uso della ragione, un annuncio economico: «Pascolo di x ettari: in questa zona si procede all’affitto per licitazione». È chiaro che lo speculatore proprietario si prepara a trarre il maggior profitto dal pascolo suddetto. Questo è un altro incentivo alla speculazione. Ora, se è vero che siete contro la speculazione, non potete dissentire dal mio assunto.
E passiamo al settore dell’industria.
Anche in questo campo, da quando ho l’onore di partecipare ai lavori di Assemblee nazionali, sento continuamente minacciare provvedimenti drastici, provvedimenti decisivi nei confronti delle grosse concentrazioni industriali ed in genere nei confronti delle imprese industriali di qualsiasi taglio. (Interruzioni – Commenti). Siete voi che avete partecipato al Governo, non noi, se responsabilità c’è, quindi, non è imputabile a noi.
Tali minacce non si sono mai tradotte in pratica. Avete fatto sì che l’organismo industriale del Paese, che per noi rappresenta un certo privilegio nei confronti di tutte le altre Nazioni europee, in quanto è uscito intatto dalla «buriana» della guerra, si sia progressivamente anemizzato.
La politica monetaria del Ministro Corbino, fondata esclusivamente sulla fiducia del popolo nell’azione del Governo, sulla concordia dei partiti costituenti la maggioranza del Governo, presupponeva una coerente politica economica, la quale avrebbe affidato la rinascita dell’organismo economico a quelle facoltà, a quelle possibilità di recupero, che in un grande organismo economico sono naturalmente insite. Con la vostra politica faziosa e demagogica, l’organismo economico nazionale si comporta come un fisico tarato. Noi riteniamo praticamente impossibile la ripresa spontanea del corpo economico della Nazione e, nel campo più direttamente specifico, della situazione del lavoro. Io vorrei chiedervi se in coscienza potete affermare di aver servito, come meritava per sacrosanto diritto, la classe lavoratrice di cui assumete di essere paladini e patroni. Fino a questo momento esistono categorie di lavoratori nei vari tipi di industria, che, a parità di occupazione, denunciano sperequazioni così profonde e così immorali di salario che è veramente impressionante constatare come in un Paese in cui 8 milioni di elettori socialcomunisti hanno mandato all’Assemblea Costituente 220 deputati, si possa consentire una situazione di questo genere.
Viceversa procediamo alla giornata. È di questa mattina la convocazione a Genova dei segretari delle Camere del lavoro per chiedere il raddoppio dei salari. È giusto, perché questa povera gente che vive in stato di perpetuo disagio, in quanto l’inflazione ha tutti i sintomi di una malattia organica che si appalesa attraverso il mal di testa o con la febbre pomeridiana, ha diritto al raddoppio del salario. Il lavoratore è in questa condizione: avverte di essere truffato da qualcuno o da qualche cosa.
Sono insomma in atto i presupposti perché determinati elementi (che io voglio credere, come credo, non appartengano alle vostre file), speculando su questa mania di persecuzione giustificata nel lavoratore, che riceve nei periodi di inflazione i cosiddetti salari adulterati, faccia di questo malcontento uno strumento di violenza politica e di rivolta potenziale. Più che vivere alla giornata, così come si fa, e mi auguro che ne prendiate atto, sarebbe stato moralmente giusto ottenere o imporre agli industriali la perequazione dei salari. Esiste un settore dell’industria italiana, di cui non voglio far cenno in termini specifici, ma che prima di me è stato citato da altri, (e non ne faccio cenno perché non si possa dire che voglio fare una speculazione elettoralistica o di cassetta), nel quale gli imprenditori guadagnano un miliardo al mese (rettifico la cifra dell’onorevole Nitti), ed hanno impegni di lavorazione in conto estero fino al 1948: i salari di quei lavoratori sono ancora inadeguati al livello del costo della vita. Esistono altre categorie in seno alle quali la perequazione è necessaria, perché innanzitutto è un fatto di giustizia sociale, è un atto di moralità del Governo. Ma se è vero che la parte più nobile del nostro patrimonio nazionale, salvatasi dal disastro, è la forza del nostro lavoro, è pur vero che tutto si fa per impoverire, nel suo complesso e nelle spiccate qualità che lo contraddistinguono, questo patrimonio nobile ed immenso di cui noi siamo stati dotati. In questo campo, il principio comunista è già in atto. È un principio come un altro e mi riferisco in questo senso a quanto ha affermato il mio collega Giannini. Se la maggioranza del popolo italiano si fosse pronunziata in favore del comunismo, sarebbe logico regolare i rapporti di lavoro in base al concetto che il salario deve essere commisurato ai bisogni del lavoratore. Ma così non è. Ed allora sarebbe più logico, in base alla concezione socialista, che, in sostanza, sul piano economico sociale è la nostra stessa concezione, regolare il salario in base alla quantità ed alla qualità del lavoro prodotto. Ebbene, noi stiamo arrivando al livellamento delle mercedi, annullando quell’incentivo al proprio perfezionamento che è la forza potente che sospinge dalla massa amorfa e grigia della manovalanza quei campioni di lavoratori specializzati che sfociano nell’artigianato e che sono vanto d’Italia ed invidia di tutti gli altri popoli.
Ora, se è vero che una delle fonti prime della nostra rinascita economica può e deve essere l’emigrazione, io mi auguro che veramente, ed al più presto, la Confederazione del lavoro, siccome la più cospicua, la più forte rappresentante degli interessi dei lavoratori, sul serio prenda la difesa della mano d’opera che noi mandiamo all’estero. Non è consentito, in periodo di democrazia, permettere l’emigrazione dei lavoratori come gregge senza guida e senza meta. (Interruzioni a sinistra).
In occasione della prima riunione della Commissione dei trattati, ebbi personalmente a far rilevare al Presidente De Gasperi lo sconcio che si verificava al nostro confine alpino. La Francia, che ha bisogno in questo dopoguerra di circa 25 miliardi di giornate lavorative, cioè più del triplo di quanto gliene occorressero nell’altro dopo guerra, ha bisogno di almeno due milioni di lavoratori.
Ebbene, sarebbe augurabile che queste trattative venissero condotte su basi di parità, per dire il meno, e che si assicurasse ai nostri lavoratori una sorte meno infame di quella garantita ai minatori, che abbiamo mandato nel Belgio.
Relativamente alla Francia, devo fare una breve divagazione.
Come dalla Francia, attraverso il confine, sono venuti in Italia reclutatori clandestini di mano d’opera, così la «Securité militaire française» viene in territorio italiano ed effettua degli arresti.
Ne faccio formale accusa al Governo, assente.
Però, il Ministro Scoccimarro ed i suoi colleghi prendano atto di questa dichiarazione formale: poliziotti francesi arrestano cittadini italiani su territorio italiano. Sono in grado di precisare dei nomi.
E ritorniamo in argomento: questa nostra ricchezza, che è per noi tanto più cara, in quanto è carne della nostra carne, questi nostri lavoratori, cui è commessa ed affidata la rinascita del Paese, bisogna che si rechino all’estero attraverso garanzie precise, preventive; bisogna che siano curati ed assistiti; bisogna, comunque, che non siano abbandonati alla mercé dei negrieri stranieri, che sono forse anche peggiori dei negrieri nostrani.
Ed in questo senso io potrei anche finire.
Sarebbe stato difficile con uno sguardo panoramico toccare contemporaneamente gli aspetti più salienti di questa disfunzione dei nostri dicasteri tecnici, la quale disfunzione ci rende impossibile l’attuazione di una organica politica economica. Potrei anche finire, limitandomi ad enunciare, come ho fatto gli aspetti più notevoli e più evidenti; ma non dobbiamo dimenticare che alla base di questo disagio economico, dovuto all’inflazione, alla scarsa produzione, alla disoccupazione, c’è un disagio politico profondo. Questo disagio politico deriva da una deficienza del nostro ambiente politico.
Sono due anni che la politica italiana si attua sotto il segno dell’equivoco, e quello che è peggio, sotto il segno della paura reciproca. Perché tutto questo? Perché, in realtà, nessuno di noi si è presentato, non dico all’Assemblea, ma al Paese, col suo vero volto.
Assistiamo, per cominciare, alla edizione 1946 del partito comunista, che è indubbiamente una edizione democratica, sia pure democratica progressista. Ma è fuori discussione che questa edizione 1946 ha pochi punti di contatto con la concezione leninista.
TOGLIATTI. Era quello che dicevano i fascisti.
PATRISSI. Onorevole Togliatti, io mi limito a dire cose che possono coincidere forse con quelle che dicevano i fascisti, ma dalla sua interruzione devo ritenere che lei le conosca meglio di me. In ogni caso, se io ne ripeto le parole, altri ne imita i sistemi peggiori.
Ora, questa edizione di democrazia progressiva si distacca molto dal famoso Manifesto istituzionale.
I socialisti, che potrebbero essere il nerbo fondamentale della nuova democrazia italiana, nei compromessi e nelle dialettiche di parte sciupano quella forza affascinante, che potrebbe essere elemento chiarificatore della politica del Paese.
I democristiani stessi, por evitare situazioni peggiori, effondono nel compromesso l’entusiasmo di 8 milioni e mezzo di elettori. Non ho bisogno di ripetere ad essi l’esortazione dell’amico Giannini. Dirò una sola cosa, in nome del comune sentimento religioso: che la Divina Provvidenza illumini le vostre coscienze, induca nei vostri cuori più profondo, più largo senso di umanità e più disinteressato amore di Patria. (Commenti). Se ciò sarà, noi avremo stabilito le premesse sicure per risolvere senza infingimenti e, grazie a Dio, senza compromessi, i problemi che travagliano la vita del nostro sventurato Paese. (Applausi a destra).
PRESIDENTE. Il seguito di questa discussione è rinviato a martedì 24.
Interrogazioni e interpellanze.
PRESIDENTE. Comunico che l’onorevole Bellavista ha presentato la seguente interpellanza, rivolta al Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per la quale ha chiesto l’urgenza:
«Per conoscere se rientreranno nella disciplina del recente decreto sulla attribuzione delle terre incolte quei terreni nei quali i mezzadri, sulla istigazione della Federterra, abbiano, senza giustificato motivo, interrotto o non iniziate le colture autunnali al solo scopo fazioso di creare artificiosamente una situazione di fatto che, cogliendo di sorpresa i proprietari, possa determinare i presupposti per la spoliazione e l’annullamento del diritto di proprietà.»
Chiedo al Governo quando intende rispondere a questa interpellanza.
SCOCCIMARRO, Ministro delle finanze. Il Governo si riserva di fissare la data di svolgimento nella prossima seduta.
PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni e di un’altra interpellanza pervenuto alla Presidenza.
DE VITA, Segretario, legge:
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere se non possa il Governo prendere in esame l’esecuzione del progetto già esistente per la costruzione del doppio binario sulla Foggia-Benevento-Napoli e sulla Bari-Brindisi-Lecce, contribuendo così ad alleviare la disoccupazione in Puglia, che attualmente costa miliardi alle classi abbienti locali, senza che questo denaro sia investito in opere di alcuna utilità.
«Cicerone».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Governo, per sapere quante vittime risultino dalla liberazione in poi ad opera e per colpa degli Alleati in Italia, come siano suddivise e se siano previste sanzioni e quali a carico dei responsabili. Chiedo in particolare se siano risarcibili e per quali vie e con quali procedure i danni conseguenti e relativi.
«Braschi».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere come l’Alto Commissario dell’alimentazione intenda distribuire i duecentocinquantamila quintali di granone avariato destinato ad uso zootecnico e ciò al fine di evitare illecita speculazione privata.
«Di Giovanni».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro del tesoro, per sapere perché non è stata ancora data risposta al Ministero dell’agricoltura e delle foreste, Divisione pesca, e cioè alla giusta richiesta di prolungare ancora di un decennio il credito peschereccio, che va incontro alle necessità e ai bisogni dei marinai meno abbienti pel miglioramento dei loro attrezzi da pesca.
«La domanda venne inoltrata il 21 gennaio 1946, col n. 506 e sollecitata il 17 maggio col n. 4457, ed ancora il 19 agosto col n. 7646.
«Natoli».
«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per chiedere se – in considerazione del fatto che il decreto legge luogotenenziale in data 22 settembre 1945, n. 624, il quale, modificando la denominazione dell’Opera nazionale dopolavoro in Ente nazionale assistenza lavoratori, sanzionava la sopravvivenza d’un ente di carattere squisitamente monopolistico e ne confermava, attribuendogli una personalità giuridica privilegiata, il diritto all’uso di beni di proprietà di tutto il popolo e il godimento di particolari privilegi, con gravissimo danno di altre organizzazioni aventi uguali scopi, è assolutamente incompatibile colla libertà d’associazione e con la parità di diritti fra libere associazioni richieste dalla natura stessa del regime democratico – non ritenga di provvedere all’abrogazione del decreto stesso e, in conseguenza, di addivenire – per quanto riguarda i beni – alla nomina d’un commissario che, in tempo determinato, provveda alla liquidazione dei beni già di proprietà dell’ex Opera nazionale dopolavoro – con la cura ch’essi vengano attribuiti con criteri di assoluta equità ad associazioni che si propongano fini educativi, ricreativi e assistenziali per le classi lavoratrici, e, per quanto riguarda i privilegi – alla sostituzione degli stessi con particolari facilitazioni a tutte le associazioni aventi i requisiti di cui sopra.
«Rumor, Belotti».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se non intenda disporre che i professori che sono stati nominati presidi e direttori reggenti e che abbiano dato buona prova nell’ufficio di presidenza e di direzione possano essere ammessi ai concorsi per gli uffici direttivi, indipendentemente dal grado o dall’anzianità di ruolo, ovvero non intenda bandire un concorso speciale per i reggenti a prescindere dai requisiti richiesti per la partecipazione al normale concorso.
«Rumor».
«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro degli affari esteri, e il Ministro della guerra, per conoscere quali sanzioni disciplinari siano state prese contro il maresciallo Messe per l’articolo da lui pubblicato sul Tempo del 15 settembre 1946, articolo di insulti volgari contro il popolo russo, e contro uno dei Paesi a cui l’umanità è debitrice della distruzione dell’hitlerismo e del fascismo.
«Per conoscere inoltre se non ritengano che energiche sanzioni contro il maresciallo Messe per questo suo articolo si impongano anche per il motivo che il Messe, il quale ora insulta il popolo russo, è uno dei responsabili principali della morte di decine di migliaia di giovani, ufficiali e soldati italiani, da lui stesso, in qualità di mercenario di Hitler, portati a combattere in Russia, in una campagna che egli, come capo militare, doveva sapere che anche solo per l’equipaggiamento assolutamente inadeguato delle truppe, non poteva concludersi altro che con una ecatombe dei nostri connazionali.
«Togliatti, Terracini».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere i motivi dell’enorme ritardo nella definizione delle pratiche di riassunzione e ricostruzione di carriera di agenti e funzionari delle ferrovie dello Stato esonerati per motivi politici, risultando all’interrogante che oltre tremilacinquecento domande di interessati attendono invano la decisione della Commissione unica.
«De Caro Raffaele».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’industria e del commercio, per sapere se è vero che il Ministero competente ha in animo di stabilire un prezzo unico per il cemento prodotto in tutto il territorio dello Stato; e, nella affermativa della proposizione che precede, se non ritenga equo, doveroso ed opportuno, stabilire prezzo diverso per il cemento prodotto dalle fabbriche siciliane, in vista della accertata pluralità e diversità dei costi di produzione. Il costo di produzione del cemento siciliano è, infatti, maggiorato, nella comparazione nazionale, di circa lire duecento per quintale per i maggiori costi relativi alla energia elettrica, carbone, trasporti. Dato che altre particolari situazioni di costi impongono accurato esame casistico, appare opportuno affidare ancora, come per il passato, ai Comitati provinciali per i prezzi la determinazione dei medesimi per quanto attiene alla produzione cementizia siciliana. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Bellavista».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’industria e del commercio, per conoscere la quantità di pneumatici e di permessi di circolazione accordati a ciascuna provincia.
«Tanto perché si nota una grande disparità di trattamento tra provincia e provincia, non giustificata da diversa esigenza economica, ed un assurdo sistema di distribuzione dei pneumatici. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Cicerone».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per conoscere se non possa prendere in esame la situazione dei pensionati delle Casse comunali, i quali non hanno mai fruito di aumenti ed adeguamenti, e versano in condizione pietosa di miseria. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Cicerone».
«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri di grazia e giustizia e del tesoro, per sapere se non ritengano opportuno, giusto e necessario adeguare, almeno parzialmente, i supplementi di congrua dei beneficî ecclesiastici congruati, in relazione allo spostamento già avvenuto dei prezzi e dei salari. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Braschi».
«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dei trasporti, dei lavori pubblici e del tesoro, per sapere se non ritengano opportuno dare immediata approvazione ed esecuzione al progetto da tempo in esame riguardante lo spostamento a monte della ferrovia di Rimini. L’opera risponde ad una vitale necessità e rappresenta un lavoro pregiudiziale alla ricostruzione della città martoriata, centro ferroviario e turistico di primo ordine sul piano nazionale. Da osservare che i mezzi finanziari richiesti sarebbero in gran parte ricuperabili per l’alienazione e utilizzazione del vecchio piano stradale (immensa area fabbricabile) e per l’impiego delle ingenti somme che, comunque, sarebbero richieste per la riparazione e ricostruzione della vecchia zona stradale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Braschi».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno, e i Ministri dei lavori pubblici, del tesoro e di grazia e giustizia, per sapere – premesso che nel paese di Codigoro (Ferrara) veniva distrutta molti anni fa la chiesa parrocchiale, talché la popolazione di oltre 13.000 anime dovette servirsi, da allora, di una chiesetta posta fuori del paese, insufficiente ed oggi gravemente danneggiata dalla guerra – se non ritengano giusto e necessario provvedere alla ricostruzione della vecchia chiesa, dato che si tratta di parrocchia povera e congruata e di popolazione rimasta, anche per la guerra, in condizioni miserrime. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Braschi».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro del tesoro, per sapere – premesso che nelle zone più danneggiate dalla guerra le autorità alleate assegnavano e consegnavano ai comuni più disastrati, per i più essenziali servizi logistici (alimentazione, approvvigionamento, trasporto materiali, ecc.), automezzi di vario tipo e portata – se non ritengano giusto e opportuno sanare o, comunque, regolare tali concessioni, dispensando i comuni beneficiari da qualsiasi pagamento, o riscatto o autorizzando l’acquisizione definitiva a condizioni di particolare favore. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Braschi».
«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se intenda sistemare in ruolo gli idonei nei concorsi magistrali già espletati, e più specificamente, se almeno intenda assumere in ruolo coloro che conseguirono la idoneità partecipando al concorso magistrale nazionale per le scuole rurali, bandito con Regio decreto 26 marzo 1940, ed espletato il 1942.
«Pare infatti che ciò già fosse nei propositi del Ministero medesimo, come dimostra l’assunzione, a suo tempo, di un certo numero di idonei non vincitori, proposito non portato completamente ad attuazione per gli eventi successivi al 1943. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).
«Sullo Fiorentino, Cremaschi»
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere se non creda dare immediata esecuzione ai lavori di sistemazione montana del Rio Gercia in comune di Pinzano al Tagliamento, per un importo di 1.210.000 lire, in considerazione della forte disoccupazione esistente in quel comune la cui popolazione, avanti il fascismo, dava un forte contingente all’emigrazione. I relativi progetti definitivi sono pronti presso il Corpo forestale di Udine. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Piemonte».
«I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri della guerra e del tesoro, per conoscere se non ritengano opportuno sospendere l’attività degli uffici staccati mobili per il ricupero dei quadrupedi, dipendenti dai Comandi militari territoriali, intesa a valutare ed assegnare gli animali ricuperati dai comuni e dai C.L.N. del Veneto e dell’Emilia in seguito al loro abbandono da parte delle truppe tedesche in ritirata, e se non intendano sanzionare le distribuzioni fatte a suo tempo dagli enti suddetti a famiglie di militari che maggiormente hanno sofferto danni e sinistri per cause di guerra, concedendo ampio respiro per il pagamento o comunque ritenendo il valore di detti animali quale anticipo sui danni sofferti. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).
«Cimenti, Ferrarese, Burato, Pat, Garlato, Zaccagnini».
«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere quali provvedimenti ritenga di adottare con tutta urgenza affinché sia posto fine al gravissimo disagio determinato dal fatto che un numero elevatissimo di dipendenti dello Stato, allontanati dall’impiego per i loro sentimenti antifascisti e che da tempo hanno presentato domanda di riassunzione a sensi di legge, non siano ancora stati reintegrati nei loro diritti. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).
«Battisti, Mariani Francesco».
«I sottoscritti chiedono di interrogare, il Ministro dell’interno (Alto Commissariato per l’igiene e la sanità), per sapere per quale motivo non viene dato corso alla pratica di riconoscimento giuridico con creazione in Ente morale, richiesta in data 7 maggio 1945 e 30 settembre 1945, dall’Associazione volontari del sangue di Milano, che coi suoi 8500 iscritti e con le 44.000 prestazioni di sangue che provocò si è resa così altamente benemerita.
«Il ritardo di tale pratica provoca grave disagio morale e danno materiale all’Associazione stessa e reca serio pregiudizio alla scienza medica. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).
«Fornara, Cavallotti»
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere se non ritenga opportuno provvedere alla nomina del titolare della pretura di Frosinone. Questa importante sede, alla quale sono assegnati, per organico, due magistrati di carriera, è priva del suo titolare dal novembre 1944.
«I pretori di altri mandamenti, successivamente applicati a dirigerla, sono costretti, malgrado la loro buona volontà, a prestare opera discontinua con danno del servizio e degli interessi dei cittadini. (Il sottoscritto chiede la risposta scritta).
«De Palma».
«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dell’assistenza post-bellica, per sapere come intenda provvedere al risarcimento dei danni per coloro che – per ragioni politiche – furono, nel periodo nazifascista, deportati od internati, licenziati o comunque dovettero abbandonare il lavoro per evitare l’arresto e per i quali è noto che da troppo tempo è in corso di studio uno schema di provvedimento. (Gli interroganti chiedono la risposta, scritta).
«Mariani Francesco, Battisti».
«I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno, per sapere se – in vista del profondo turbamento e disagio che l’eventuale sblocco degli affitti al 31 dicembre 1946 determinerebbe negli animi e nelle situazioni economiche di tanta parte degli italiani – non ritenga urgente prorogare i termini del decreto luogotenenziale 12 ottobre 1945, n. 669, fino a quando sia predisposto ed applicabile il piano organico che – coordinando la tutela degli inquilini con le opere della ricostruzione – deve assicurare la casa a tutti i lavoratori e cittadini non abbienti, nello spirito della solidarietà nazionale.
«Vigorelli, Cairo, Treves, Mariani Francesco, Cavallotti, Pajetta Gian Carlo, Malagugini, Alberganti, Scotti».
PRESIDENTE. Le interrogazioni testé presentate saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.
Così pure le interpellanze saranno iscritte all’ordine del giorno, qualora i Ministri interessati non vi si oppongano nel termine regolamentare.
La seduta termina alle 19.50.
Ordine del giorno per la seduta di martedì 24.
Alle ore 16:
- – Domande di autorizzazione a procedere in giudizio contro il deputato Gallo. (Doc. I, n. 1, n. 1-bis e n. 2).
- – Seguito della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.