ASSEMBLEA COSTITUENTE
LXXV.
SEDUTA DI MARTEDÌ 25 MARZO 1947
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI
INDICE
Congedo:
Presidente
Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana:
Presidente
Della Seta
Lami Starnuti
Gabrieli
Basso
Patricolo
Pajetta Giancarlo
Lucifero
Grilli
De Gasperi
Nenni
Bonomi Ivanoe
Togliatti
Corbino
Sforza
Bergamini
Molè
Cianca
Calosso
Gasparotto
Pacciardi
Selvaggi
Crispo
Caroleo
Scotti Alessandro
Bruni
Tonello
Bordon
Calamandrei
Ruggiero
Rodinò Mario
Bassano
Nobili Tito Oro
Gronchi
Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione
Fabbri
Leone Giovanni
Pellizzari
Votazione nominale:
Presidente
Risultato della votazione nominale:
Presidente
La seduta comincia alle 16.
RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della seduta precedente.
(È approvato).
Congedo.
PRESIDENTE. Ha chiesto congedo l’onorevole Rodinò Ugo.
(È concesso).
Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.
Dobbiamo esaminare l’articolo 5 del progetto, che diventerà l’articolo 7 del Testo definitivo.
«Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.
«I loro rapporti sono regolati dai Patti lateranensi. Qualsiasi modificazione dei Patti, bilateralmente accettata, non richiede procedimento di revisione costituzionale.
«Le altre confessioni religiose hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano. I rapporti con lo Stato sono regolati per legge, sulla base di intese, ove siano richieste, con le rispettive rappresentanze».
A questo articolo sono stati presentati numerosi emendamenti, dei quali i seguenti sono stati già svolti:
«Sostituirlo col seguente:
«Tutte le confessioni religiose sono eguali di fronte alla legge.
«I rapporti fra lo Stato e la Chiesa cattolica sono regolati in termini concordatari in armonia con la presente Costituzione.
«Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno il diritto di organizzarsi secondo propri statuti. I rapporti con lo Stato, ove queste confessioni lo richiedano, sono regolati per legge sulla base di intese con le rispettive rappresentanze.
«Calamandrei, Cianca, Lussu, Schiavetti, Foa, Codignola, Mastino Pietro, Lombardi Riccardo, Valiani».
«Far precedere al primo comma il seguente:
«La religione cattolica è la religione professata dalla enorme maggioranza del popolo italiano.
«Rodinò Mario, Coppa Ezio».
«Prima delle parole: Lo Stato e la Chiesa cattolica, aggiungere le parole: Tutte le confessioni religiose sono uguali di fronte alla legge.
«Ruggiero».
«Sostituire i primi due commi col seguente:
«Lo Stato riconosce l’indipendenza della Chiesa cattolica, con la quale continuerà a regolare i suoi rapporti per mezzo di patti concordatari.
«Qualora il secondo comma sia mantenuto nel testo attuale, dopo le parole: Patti lateranensi, aggiungere le seguenti: in quanto non sono contrari alla Costituzione.
«Crispo».
«Sostituire il primo e il secondo comma con i seguenti:
«L’Italia riconosce la sovranità della Santa Sede nel campo internazionale come attributo inerente alla sua natura, in conformità alla sua tradizione ed alle esigenze della sua missione nel mondo.
«I rapporti fra lo Stato e la Chiesa cattolica continueranno ad essere regolati da patti concordatari.
«Bassano».
Trasferire il terzo comma, opportunamente coordinato, all’articolo 14, in funzione di garanzia della libertà religiosa.
«Nobili Tito Oro».
L’onorevole Della Seta ha presentato il seguente emendamento:
«Sostituirlo col seguente:
«Lo Stato e le singole Chiese sono, ciascuno nel proprio ordine interno, indipendenti e sovrani.
«I rapporti tra lo Stato e ogni singola Chiesa sono disciplinati per legge.
«Per i rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica potranno essere mantenute, in termini di concordato, quelle norme dei Patti lateranensi che, nello spirito e nella lettera, non contrastino con le norme fondamentali della Costituzione repubblicana».
Ha facoltà di svolgerlo.
DELLA SETA. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, l’emendamento a quello che fu l’articolo 5 e che oggi è divenuto l’articolo 7, l’emendamento, che, più che a nome del mio Gruppo, mi onoro di presentare a nome della scuola repubblicana italiana, non è certo un emendamento che, lasciando immutato il concetto, si limiti a sostituire una qualche parola ad un’altra, una qualche locuzione ad altra locuzione; ma è un emendamento – per chi voglia e sappia leggerlo senza prevenzioni – che, in fondo, non tende ad annullare radicalmente quanto è consacrato nell’articolo 5 del progetto di Costituzione.
È superfluo che io faccia una personale dichiarazione. Non parlo né come apologeta di questa o di quella confessione religiosa, né come difensore di questa o di quella Chiesa; parlo per rivendicare la bellezza morale di un principio, che io, per il primo, rivendicherei in difesa degli stessi cattolici, se ai cattolici, qualora fossero in minoranza, venisse fatto quel trattamento che ancora oggi, in Italia, è fatto alle minoranze religiose. Conforme ai principî della pura democrazia, conforme a quelli che sono i pronunciati ultimi della scienza giuridica e politica, conforme soprattutto al dettato della coscienza morale, di quella coscienza, che moralmente, giuridicamente e politicamente, rivendica, come sua conquista immarcescibile, il risultato di tutto il processo storico, io intendo solamente riportare sopra un piano spirituale più alto, sopra un piano più squisitamente etico – più alto che non sia quello unilateralmente ed egoisticamente confessionale – il fondamento della soluzione del formidabile e secolare problema dei rapporti fra la Chiesa e lo Stato.
In verità, un popolo che, nel pieno esercizio della sua sovranità, si accinge a dare a se stesso la propria Costituzione repubblicana, non dovrebbe sentire alcun bisogno di consacrare nella Costituzione la sovranità dello Stato; al modo stesso che una più alta educazione morale e civile e un più alto grado di maturità politica dovrebbero non far sentire alcuna necessità di consacrare nella Costituzione la indipendenza e la sovranità della Chiesa.
Verrà un tempo nel quale i tardi nepoti – salvo l’interessamento che potranno avere come documento storico – si meraviglieranno di queste nostre discussioni, come noi oggi ci meravigliamo che vi sia stato un tempo nel quale spiriti illuminati abbiano potuto seriamente discutere se l’uomo per natura nasca libero o schiavo.
Ma una Costituzione è una Costituzione. Non può non riflettere il momento storico nel quale viene elaborata; e troppe, in Europa, in ogni paese civile, e, per ragioni particolari, in questa nostra Italia, troppe sono state e sono le preoccupazioni da parte dello Stato di una possibile invadenza della Chiesa e da parte della Chiesa di una possibile invadenza dello Stato, perché non siasi potuto ritenere naturale e legittima la necessità di consacrare nella Costituzione l’indipendenza e la sovranità dello Stato, nonché l’indipendenza e la sovranità della Chiesa.
Ora, poiché il problema specifico, che con l’articolo 5 del progetto si è posto, non è quello generico della libertà religiosa, ma bensì il problema dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa, mi sia permesso di fare talune dichiarazioni che non rispondono ad espedienti tattici suggeriti dalla contingenza del momento, ma si riferiscono a principî fondamentali che fanno parte della dottrina di tutta la scuola repubblicana.
La critica religiosa, in sede teologica e filosofica, può discutere tutti i dogmi; ma la Chiesa – ogni Chiesa – è libera, liberissima di considerare quei dogmi di cui essa si ritiene depositaria come l’assoluta verità religiosa; col conseguente diritto – un diritto però pericoloso perché radice di tutte le intolleranze – di condannare quelle opinioni, quelle dottrine che, a suo insindacabile giudizio, essa ritiene eterodosse, ereticali.
In sede morale e giuridica si può discutere l’ordinamento istituzionale di una data Chiesa; si può valutare se, con spirito più o meno democratico o aristocratico, un dato ordinamento ecclesiastico sia più o meno conforme al codice religioso di cui essa, la Chiesa, si dichiara depositaria. Ma la Chiesa – ogni Chiesa – è libera, liberissima di dare a se stessa quell’ordinamento istituzionale che ritiene il migliore.
Si potrà, al modo stesso, valutare quanto una data liturgia abbia, più o meno, di materialismo o di spiritualismo; ma la Chiesa – ogni Chiesa – è libera, liberissima di disciplinare, come crede, l’esercizio del culto.
Dico di più. La Chiesa, ogni Chiesa, dovrebbe essere spiritualmente così gelosa della propria indipendenza da non volere essere sussidiata dallo Stato, da dovere essere solo sorretta dal contributo spontaneo, generoso e davvero religioso, dei suoi fedeli.
In tutto questo campo, piena indipendenza dunque della Chiesa, di ogni Chiesa. Lo Stato non ha qui nessun titolo per nessuna ingerenza. Esso non ha che il dovere di vigilare onde, sotto la maschera della religione, non si professino principî e non si celebrino riti contrari all’ordine pubblico e al buon costume.
Tutto questo, salvo errore, sancisce l’articolo 5 del progetto nei riguardi della Chiesa cattolica. E noi ce ne compiacciamo; noi teniamo che sia riconosciuta per la Chiesa cattolica questa indipendenza, questa sovranità; se fosse disconosciuta saremmo noi i primi a rivendicarla.
Quale la differenza allora tra l’articolo 5 ed il primo comma del nostro emendamento?
Noi affermiamo che quella indipendenza e quella sovranità che sono riconosciute per la Chiesa cattolica, debbono del pari essere riconosciute per tutte le altre Chiese, per le Chiese cui appartengono le minoranze religiose. Questo il punto.
Anche le altre Chiese, cui appartengono le minoranze religiose, noi consideriamo istituti originari e non derivati. Il loro essere non deriva dal riconoscimento dello Stato; sono in quanto anche esse sentono il loro fondamento mistico in Dio; sono per la stessa libera volontà dei credenti di associarsi.
La Chiesa valdese, ad esempio, ha un suo statuto, che non può non essere riconosciuto e rispettato.
Anche le comunità israelitiche hanno norme istituzionali e disciplinari che hanno sfidato i secoli attraverso tutte le persecuzioni; anche queste debbono essere riconosciute e rispettate.
Se poi, sottilizzando, si vuol fare la distinzione tra una questione di fatto ed una questione di principio, rispondo che questi statuti, quando nel fatto esistono, debbono essere riconosciuti come già consacranti la indipendenza e la sovranità di queste Chiese; quando non esistono, rimane il principio, che non può non essere consacrato nella Costituzione, come diritto potenziale per ogni comunità religiosa costituita o costituenda.
Questo, dunque, e non altro, il significato del primo comma del mio emendamento: «Lo Stato e le singole Chiese sono, ciascuno nel proprio ordine interno, indipendenti e sovrani».
Nessun disconoscimento, teniamo a ripeterlo, della indipendenza e della sovranità della Chiesa cattolica; ma come attuazione, anche in questo campo, del principio democratico della eguaglianza, riconoscimento della indipendenza e della sovranità delle altre Chiese, delle Chiese cui appartengono le minoranze religiose.
Il secondo comma si ispira ad una constatazione di fatto di ordine etico e sociologico; ad una constatazione per cui, a meno di non peccare di astrazione, non possono i due attributi della indipendenza e della sovranità essere considerati come un qualcosa di assoluto.
Voi, democristiani, avete, nella discussione, troppo accentuato la esigenza della separazione e della distinzione. Voi dovreste essere con me nel riconoscere che la nota seducente formula cavouriana: «libera Chiesa in libero Stato», con la successiva immagine delle due parallele che si prolungano senza incontrarsi mai, sono formule e immagini contingenti, esprimenti un periodo di transizione e di transazione, per cui la separazione poteva presentarsi come la soluzione più prudente e più pratica, nel momento nel quale i due istituti, la Chiesa e lo Stato, erano in aperto e forte contrasto.
Ma ben altra è la realtà etica e sociologica. V’è una interdipendenza insopprimibile tra i due istituti, non solo esplicabile col fatto che la loro attività si esplica, simultaneamente, sullo stesso territorio. La interdipendenza è spirituale. Al modo stesso che non è dato all’individuo, se ha una fede, di operare in sé uno sdoppiamento della personalità, onde se si conforta in una visione religiosa della vita non può non trasfondere questa sua religiosità in ogni campo della sua attività, onde non riuscirete mai a disgiungere, ad esempio, il credente dal legislatore e dall’educatore, così, quando una Chiesa sia una vera Chiesa, cioè una Chiesa docente e non politicante, così lo Stato non può non avvantaggiarsi del magistero spirituale della Chiesa, la di cui funzione pedagogica si risolve, dovrebbe risolversi, in un maggiore potenziamento del senso etico, al modo stesso che una Chiesa si avvantaggia nel compimento del suo magistero spirituale, se questo può svolgersi in uno Stato rettamente ordinato, in una società non turbata da continui mutamenti e sconvolgimenti.
Tra i due istituti, lo Stato e la Chiesa, non possono quindi non stabilirsi continui contatti e rapporti. E se rapporti vi sono, non possono non essere disciplinati. E poiché una tale disciplina non può trovare la sua particolare formulazione nella Costituzione, essa non può non essere disciplinata per legge.
Legge, teniamo a ripeterlo, che non è il titolo legittimante la ragion d’essere delle diverse Chiese, delle diverse comunità religiose. Ma legge che esprime la necessità di precisare e di garantire, in termini giuridici, in norme di diritto pubblico interno, quei rapporti tra i due istituti che ritrovano il loro fondamento in più alte esigenze di ordine etico e spirituale.
Non è in contrasto col principio democratico il ritenere che questa disciplina dei rapporti per mezzo della legge non è una facoltà lasciata all’arbitrio delle parti, ma è una necessità di ordine morale, giuridico e politico, nella quale i due istituti ritrovano, ciascuno, una maggiore garanzia di vita e di un più sereno e sano svolgimento.
Tutto questo, e nulla più, vuol significare il secondo comma del mio emendamento: i rapporti tra lo Stato e ogni singola Chiesa sono disciplinati per legge.
Ma questo principio di eguaglianza che, di fronte allo Stato, precisamente rivendichiamo per tutte le Chiese, non ci porta, come politici e come legislatori, a chiudere gli occhi alla realtà.
Non possiamo disconoscere che in Italia v’è una Chiesa che vanta una tradizione secolare; una Chiesa che, come tante altre Chiese, se ha avuto pagine oscure, altre ne possiede, luminosissime, esprimenti tutta una civiltà; una Chiesa che, nella patria nostra, accoglie nel suo grembo la maggioranza dei credenti.
È per questo che, nel terzo comma del mio emendamento, si afferma che i rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica siano disciplinati in termini concordatari.
Ma al termine «concordato» noi diamo un significato non solo giuridico e politico, ma anche psicologico e morale. Un concordato non si riduce all’incontro di due volontà; queste volontà debbono essere animate da verace spirito di concordia.
Sulle stesse labbra di coloro che, come, l’onorevole Tupini e l’onorevole Riccio, hanno difeso, con recisa intransigenza, i Patti lateranensi, più volte abbiamo colta l’affermazione che la Chiesa cattolica è cristiana ed umana, che essa non intende irrigidirsi nelle sue posizioni, che essa è disposta a rivedere, a integrare, a correggere.
Coraggio, dunque! Che uomini di buona volontà, nella reciproca comprensione e nel rispetto reciproco, si pongano attorno ad un tavolo per stipulare il nuovo Concordato!
E si cominci a non più parlare di Patti lateranensi. Questi Patti, per calcolo machiavellico, sono stati firmati dal dittatore e non dal popolo nel pieno esercizio della sua sovranità. Questi Patti portano, esplicito, il riconoscimento dell’istituto monarchico e la loro inserzione nella Costituzione repubblicana non è una garanzia sufficiente per l’atteggiamento della Chiesa. Questi Patti sono indissolubilmente legati al periodo più tragico e ignominioso dalla nostra storia. Non è interesse della Chiesa che un tale ricordo rimanga.
Si stipuli, dunque, il nuovo accordo. Ma sia un accordo leale che, nei rapporti tra Chiesa e Stato, sancisca principî ispirati ad un alto senso di giustizia.
E noi, repubblicani storici che, sui più alti principî ideali e morali, non conosciamo atteggiamenti ambigui, non ammettiamo mercanteggiamenti politici, non siamo turbati da preoccupazioni elettorali, noi, con piena lealtà, dichiariamo categoricamente: noi non accettiamo lo Stato confessionale. Esso ci riporta allo Stato paternalistico o dittatoriale. Esso, su questo punto, ci riporta alla Costituzione napoletana di borbonica memoria; alla Costituzione austriaca, ancor di memoria più esecrabile; ci riporta allo Statuto albertino, nonché ad un patto che porta il marchio del fascismo. È per questo suo retrocedere a posizioni dalla coscienza moderna ormai superate, che io, nel mio antecedente discorso, dichiarai che questa del progetto è una Costituzione anacronistica, è una Costituzione bifronte.
Noi siamo contro la confessionalità dello Stato. Siamo per la libertà di coscienza sancita, nella Costituzione, come la prima, la fondamentale tra le pubbliche libertà. La libertà di coscienza è più ampia della semplice libertà religiosa. Questa ci fa pensare più ai credenti di date religioni storiche, tradizionali, più agli appartenenti ad una data Chiesa; la libertà di coscienza, nello stesso campo religioso, rivendica un diritto che non può non essere riconosciuto anche a favore dei liberi credenti, cioè di quelli che, al di fuori di ogni Chiesa costituita, celebrano la loro religiosità nel mistico immediato rapporto della loro anima con Dio.
Noi siamo contro la confessionalità dello Stato. Ed esserlo non è rivelare sentimenti ostili alla religione, tanto meno è mostrarsi ostili alla Chiesa cattolica. Stato laico, quello che noi rivendichiamo, non significa affatto, come una certa interpretazione tendenziosa vorrebbe far credere, non significa Stato ateo, irreligioso o antireligioso. Noi, per un alto sentimento di educazione civile, non ci siamo mai macchiati di certe forme volgari di anticlericalismo. Più di una volta, con la parola e con la penna, nella stessa Voce repubblicana, abbiamo richiamato al rispetto verso i sacerdoti. Stato laico per noi è quello nel quale, in piena libertà e nel rispetto reciproco, tutti i credenti, senza mortificanti discriminazioni confessionali, possono, individualmente e collettivamente, privatamente e pubblicamente, testimoniare la loro fede.
Supponiamo che, per un sentimento generoso, per un omaggio alla religione della maggioranza, noi consentissimo a che tale religione venisse riconosciuta come religione di Stato. Non potremmo, nostro malgrado, consentire perché non possiamo non temere le illazioni che, per logica istituzionale, dal confessionalismo dello Stato ineluttabilmente derivano.
È questo confessionalismo che fa della contraddittorietà una delle note più salienti, deprecabilissima, di questo progetto di Costituzione.
È questo confessionalismo che risolve in un’amara ironia, se non in una beffa, il principio della eguaglianza così solennemente sancito nel progetto di Costituzione.
Che vale il principio della eguaglianza sancito nell’articolo 7 e il diritto riconosciuto, per ogni cittadino, nell’articolo 48, di accedere ai pubblici impieghi e aver proclamato, nell’articolo 27, la libertà dell’insegnamento, se poi, per l’articolo 5 del Concordato, la Chiesa, non paga della condanna ecclesiastica, chiede dallo Stato, dal braccio secolare, la condanna civile per un cittadino ex-sacerdote, peccatore per esser venuto, nella indagine scientifica, nella indagine storica e filosofica, a conclusioni diverse da quelle che la Chiesa dogmaticamente sostiene, la condanna, dico, vietandogli il pubblico insegnamento, alla interdizione perpetua dai pubblici uffici, cioè ad una pena che il Codice penale aggiunge ad una pena più grave, alla pena dell’ergastolo, per i reati più infamanti?
C’è di più. Si ha un bell’affermare, con l’articolo 28 del progetto, il diritto dei cittadini all’istruzione, il diritto a frequentare la scuola pubblica. Come conciliare questo diritto con l’articolo 36 del Concordato, per cui la Chiesa, non paga di avere, come suo legittimo diritto, le proprie scuole private confessionali; non paga di avere inserito nella scuola pubblica l’insegnamento religioso, esige anche che tutto, tutto l’insegnamento, nella scuola elementare e nella scuola media, abbia come fondamento e come coronamento l’insegnamento della dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica? Gli accattolici, sia come insegnanti, sia come discepoli, dovranno astenersi dal frequentare la scuola pubblica, a meno di non dover subire una violenza alla propria coscienza religiosa?
C’è di più ancora. Noi abbiamo un Codice penale – dedico queste mie parole a lei, onorevole Ministro della giustizia – noi abbiamo un Codice penale che costituisce questa mostruosità morale: un Codice che si fa istigatore del reato che si prefigge di reprimere; un Codice che, pel reato di offesa al sentimento religioso, commina una pena diversa, secondo la confessione religiosa dell’offeso. Pena più grave, se l’offesa ferisce il sentimento religioso della maggioranza, meno grave se ferisce il sentimento religioso delle minoranze. Anzi vi è un’azione, il pubblico vilipendio, che viene punita solo se va ad offendere la religione dello Stato, cioè il sentimento religioso della maggioranza.
Tutto questo – come già si è fatto per la pena di morte – tutto questo, non solo a rispetto delle minoranze, ma a difesa del buon nome della patria, deve essere dalla legge abolito.
Noi non conosciamo che una norma. Lo Stato, quale istituto giuridico e politico, rappresenta tutti i cittadini. I cittadini riconoscono se stessi nello Stato; lo Stato riconosce se stesso nei cittadini. Se volete ricercare un motivo etico-religioso nello Stato, questo lo ritroverete nel principio della giustizia. Giustizia che, come sua prima attuazione, reclama il rispetto del principio della eguaglianza. Eguaglianza intesa non come utopistico egalitarismo livellatore, ma come negazione di ogni privilegio. In vera democrazia, come non si ammettono privilegi di casta, di classe, di partito o di censo, così non si possono ammettere privilegi confessionali.
A parità di doveri, parità di diritti. Quando lo Stato, senza discriminazioni confessionali, chiama ogni cittadino ad alimentare con le proprie ricchezze il pubblico erario; quando, per testimonianza inoppugnabile, vi sono stati appartenenti alle minoranze religiose che, col loro nome, nelle arti, nelle scienze, nelle lettere, hanno tenuto alto il nome della patria all’estero; quando lo Stato, senza discriminazioni confessionali, chiama ogni cittadino a difendere la patria, a versare il suo sangue per essa – e quanti e quanti, nella prima guerra mondiale, accorsero volontari e caddero sul campo dell’onore e si distinsero in fulgidi episodi di eroismo! – quando tanti e tanti degli appartenenti alle minoranze religiose caddero in quelle Fosse Ardeatine, che Ella, ieri, onorevole Presidente, con sì nobili parole ha rievocate, in quelle fosse ove, nella comunanza del martirio, fu celebrata la comunione della fede in un sacro ideale di giustizia e di libertà, quando tutto questo avviene, allora, lasciatemelo dire, non è umana, non è cristiana, non è giusta una legge la quale basa il privilegio e il prestigio di una Chiesa sulla mortificazione morale e sulle menomazioni giuridiche delle minoranze religiose.
Se voi cattolici mi obiettate che giusto è il privilegio della vostra Chiesa, perché la vostra fede rappresenta la verità religiosa e quella degli altri è l’errore, allora non risponderò che l’argomento si potrebbe facilmente ritorcere, ma dirò che in voi, senza condividerlo, rispetto il dogma come un punto della vostra fede, ma che non v’invidio questo atto di presunzione spirituale.
Se poi mi obiettate che democrazia è rispetto della maggioranza, che voi nel paese siete la maggioranza e che perciò, rivendicando il privilegio della Chiesa, siete dei perfetti democratici, vi risponderò che certi problemi dello spirito non si risolvono a colpi di maggioranza o di minoranza; e che c’è una logica più logica della logica ed è quella che, come premessa maggiore del sillogismo, ha il principio supremo del giusto e dell’onesto.
Questi i principî che hanno indotto a formulare il terzo comma del mio emendamento, nel quale si afferma che, nel nuovo Concordato tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica potranno essere conservate dei Patti lateranensi quelle norme che non contrastino con le norme fondamentali della Costituzione repubblicana.
PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Della Seta.
DELLA SETA. Concludo rilevando che la pace religiosa, che in quest’aula dai vari settori è stata tante volte invocata e in nome della quale si son volute legittimare le prese di posizione le più antitetiche, non è quella che, incuneando un elemento disgregatore, divide la nazione in reprobi ed in eletti, ma quella che trova la sua garanzia in quel sentimento così mirabilmente espresso nel Nathan il Savio, nel capolavoro di Ephraim Lessing. Esso dice ai credenti: ricordatevi che siete tutti figli dello stesso Dio e che primo articolo di ogni fede sinceramente e onestamente professata è il rispetto della fede altrui. Esso dice ai cittadini: ricordatevi – e quanto alla educazione di questo sentimento deve contribuire la scuola! – ricordatevi che, al di sopra di tutte le divergenze confessionali, siete tutti figli della stessa Madre, della Patria comune, cui avete il dovere, con spirito di dedizione, di offrire il contributo della vostra opera.
Onorevoli colleghi, questa discussione non si svolge esclusivamente entro il recinto di quest’aula e neppure entro la cerchia tra le nostre Alpi e il nostro mare. Il mondo ci guarda. Esso attende dal risultato della nostra votazione un criterio per giudicare se la nostra sia o non sia una vera democrazia, e quale il grado della nostra educazione civile, della nostra maturità politica.
Cancellando dalle leggi una qualsiasi discriminazione giuridica tra le varie confessioni religiose, consacrando nella Costituzione il grande principio della libertà di coscienza, non solo contribuiremo ancor più a cementare la unità spirituale e morale della patria, ma saremo ancor più stimati e rispettati nel consesso delle nazioni. (Applausi a sinistra).
PRESIDENTE. L’onorevole Lami Starnuti ha presentato il seguente emendamento, firmato anche dagli onorevoli Carboni, Preti, Binni, Bennani, Piemonte, Persico, Fietta, Villani, Vigorelli:
«Sostituirlo col seguente:
«La Repubblica riconosce la Chiesa cattolica, nel suo ordine, indipendente e sovrana.
«La condizione giuridica della religione cattolica è disciplinata mediante concordati con la Chiesa.
«La condizione giuridica delle altre confessioni religiose è disciplinata per legge, previe intese, ove richieste, con le rispettive rappresentanze».
L’onorevole Lami Starnuti ha facoltà di svolgerlo.
LAMI STARNUTI. Onorevoli colleghi, l’emendamento che il Gruppo socialista dei lavoratori italiani ha presentato, a modifica dell’articolo 5 del progetto di Costituzione, non avrebbe bisogno di illustrazione o di commento. Esso è semplice è chiaro: determina la posizione, l’atteggiamento del Gruppo socialista rispetto all’inserzione, nella legge fondamentale della Repubblica, dei Patti lateranensi.
Non è molto diverso dagli emendamenti proposti dai gruppi parlamentari vicini e amici, dai quali diversifica soltanto per parole e accenti estrinseci, tanto che io mi auguro, iniziando questa mia breve illustrazione, che gli emendamenti, a discussione conclusa, trovino una sola formulazione ed un accento solo per attestare la solidarietà dell’unità di pensiero e di sentimenti di questa parte dell’Assemblea, in difesa della libertà di pensiero e della libertà di coscienza.
L’articolo 5 del progetto di Costituzione è stato proposto e redatto nella onesta e lodevole intenzione di non riaprire – si è detto – in Italia quelli che furono i contrasti in materia religiosa.
Dubito, e ho ragione di dubitare, che l’altissimo scopo possa essere raggiunto. Penso che quell’articolo 5, anziché concludere una situazione politica, che di fatto è inesistente, riaprirà dissensi che parevano, e credevamo, superati, ed invece di chiudere, darà inizio ad una serie di agitazioni per modificare la Costituzione repubblicana e rivendicare la libertà di pensiero e di coscienza del popolo italiano. (Applausi a sinistra).
L’emendamento proposto dal Gruppo socialista dei lavoratori italiani, nella sua prima parte non si discosta, direi, dall’articolo 5 del progetto; la modificazione non è sostanziale. Quello che nel progetto è affermazione di duplice indipendenza e di duplice sovranità noi lo abbiamo ridotto, ed esattamente a me pare, ad un’affermazione unica. Nella Carta costituzionale è lo Stato che parla, ed esprime le linee fondamentali delle sue leggi. Dichiarare in essa che lo Stato è indipendente e sovrano a noi è parso un non senso. Lo Stato non ha bisogno di una dichiarazione formale propria per dar vita a quello che è l’attributo fondamentale suo dell’indipendenza e della sovranità. Il capoverso del nostro emendamento è invece sostanziale: modifica profondamente l’articolo 5 del progetto di Costituzione. Dico profondamente, perché è dovere di onestà e di lealtà non infingere quelli che sono i nostri sentimenti, i nostri pensieri. Noi avevamo pensato e avevamo sperato che su questa materia ardente vi fosse stata la possibilità di una intesa che garantisse tutte le fedi, tutti i pensieri, tutti i sentimenti religiosi.
L’onorevole Nitti e l’onorevole Orlando, i quali pure avevano censurato il progetto di Costituzione ritenendolo un compromesso fra i partiti che dominano questa Assemblea Costituente, avevano inteso la necessità, la lodevole opportunità di un onesto compromesso in questa materia.
La Democrazia cristiana è rimasta intransigente nelle sue posizioni: o tutto l’articolo 5 nella sua forma intera e con tutto il suo contenuto, o la battaglia per la vittoria dell’uno o dell’altro principio.
La prima parte del nostro emendamento risponde in certo senso a quella che è la sfida della Democrazia cristiana al pensiero laico e libero della democrazia italiana. (Applausi). Nella discussione generale del progetto di Costituzione, l’onorevole Togliatti, dichiarando che sarebbe ritornato sulla materia in sede particolare, tenne quel giorno a dichiarare che i Patti del Laterano offendevano la coscienza civile degli italiani.
Noi siamo ancora di questo stesso pensiero e di questo stesso sentimento, e poiché crediamo che i Patti lateranensi offendano la coscienza civile degli italiani, contro la formulazione dell’articolo 5 del progetto abbiamo redatto la nostra formulazione, la quale dice anticipatamente che l’articolo 5 noi non lo voteremo, dice anticipatamente che l’articolo 5 noi lo combatteremo, dice anticipatamente che se con una occasionale maggioranza voi riuscirete (Si rivolge al centro) ad includere l’articolo 5 nella legge fondamentale, voi aprirete fra qualche mese la battaglia politica per la revisione della Carta costituzionale. (Applausi a sinistra – Proteste al centro – Commenti prolungati).
Onorevoli colleghi, perché noi rifiutiamo il nostro voto all’articolo 5 del progetto? Perché diciamo che i Patti lateranensi non possono essere inclusi nella nostra Carta costituzionale? Per due ragioni: per una ragione formale, cui accennerò appena, e per una ragione sostanziale.
La ragione formale è quella già detta da altri oratori in questa Assemblea, che cioè nella Carta costituzionale non si richiamano i trattati internazionali stipulati dallo Stato italiano con altre persone giuridiche di diritto internazionale.
La ragione sostanziale per il Trattato è che esso sta a sé e vivrà senza bisogno di questo richiamo. Sta a sé e vivrà, nel senso che nella sua essenza non è più discusso o minacciato da alcuno. Il Trattato, in quella parte che risolve la questione romana, lo consideriamo anche noi definitivo.
Una voce. Perché questo vi fa comodo.
LAMI STARNUTI. Non è vero che a noi faccia comodo, o se più vi piace, ciò non fa comodo soltanto a noi, ma fa comodo anche agli amici della Democrazia cristiana. (Proteste al centro – Interruzione dell’onorevole Cingolani). Gli amici della Democrazia cristiana non rinuncerebbero mai a quella che è la sostanza di quel Trattato. Ma del Trattato noi non possiamo accettare né l’articolo 1 né l’articolo 5, perché in contrasto con i nostri sentimenti e i nostri pensieri.
Per il Concordato dirò che tutte le domande rivolte agli amici della Democrazia cristiana, perché ne legittimassero in qualche modo l’inclusione nella Carta costituzionale, sono rimaste, in verità, lettera morta.
Una spiegazione e una giustificazione convincenti non ci sono mai venute da quei banchi. Si è detto, da parte di oratori della Democrazia cristiana, che il Concordato veniva richiamato perché le relazioni tra lo Stato e la Chiesa cattolica trovano in quel Concordato la loro disciplina. Ma il Concordato sopravvive anche alla non inclusione nella Carta costituzionale e sopravviverà finché le parti non lo modificheranno, o una parte sola non crederà di denunciarlo considerando mutata la situazione di fatto e la situazione politica dalle quali era sorta nel 1929 la necessità del Concordato.
Ma noi aggiungiamo che il richiamo al Concordato nella Costituzione avrebbe come conseguenza che nessuna modifica sarebbe possibile portare al Concordato medesimo senza la revisione della Carta costituzionale e che questa necessità costituirebbe una intollerabile limitazione della libertà e della sovranità dello Stato italiano.
A superare questa obiezione ha dato opera, in seno alla prima Commissione, il collega onorevole Lucifero, con la proposta di dichiarare che le modificazioni al Concordato, bilateralmente accettate, non importano necessità del procedimento di revisione costituzionale. Ma la proposta da un lato costituisce la conferma della nostra obiezione, e la prova che l’articolo del progetto limita veramente la libertà e la sovranità dello Stato italiano, perché, senza accordi bilaterali, nessuna modificazione al Concordato sarebbe possibile, e da un altro lato toglie al popolo italiano quelle che sono le garanzie offerte dalla Carta costituzionale per la revisione della Costituzione, demandando la revisione di una legge dichiarata costituzionale all’attività del solo Governo italiano e della Santa Sede. Per gli amici della Democrazia cristiana aggiungerò, che se noi rifiutiamo e respingiamo gli accordi così come furono firmati nel 1929, perché lesivi dei diritti dello Stato e della libertà di coscienza e di pensiero di tanti italiani, non respingiamo però l’idea e il fatto che le relazioni tra lo Stato e la Chiesa siano regolate da Concordato. Noi non vogliamo ritornare al sistema della separazione tra la Chiesa e lo Stato, non vogliamo ritornare ad un sistema giurisdizionalistico.
Noi accettiamo la collaborazione e gli accordi, ma questa collaborazione e questi accordi debbono avvenire a parità di diritti ed a parità di autorità e di libertà. Non vogliamo che la Repubblica sia vincolata e imprigionata dagli accordi precedenti e dalla legge costituzionale.
Questo, onorevoli colleghi, è, in sostanza, lo scopo dell’emendamento che noi sottoponiamo alla vostra attenzione ed al vostro voto, animati soltanto, come siamo, dal desiderio di difendere l’autorità della Repubblica e la libertà di coscienza e di religione in Italia e dal desiderio di non mantenere privilegi strappati allo Stato italiano (Interruzioni – Commenti al centro), quando lo Stato italiano era dominio d’un pugno di avventurieri. (Vivi applausi a sinistra).
PRESIDENTE. L’onorevole Gabrieli ha presentato il seguente emendamento, che ha facoltà di svolgere.
«Sostituire il primo comma col seguente:
«Lo Stato e la Chiesa cattolica sono due ordinamenti indipendenti e sovrani».
GABRIELI. Non insisto nel mio emendamento.
PRESIDENTE. L’onorevole Basso ha proposto il seguente emendamento, firmato anche dagli onorevoli Dugoni, Vigna, Malagugini, De Michelis, Giua, Targetti, Merlin Angelina, Costantini, Fedeli:
«Sostituire i commi primo e secondo con i seguenti:
«La Chiesa cattolica è, nell’ambito suo proprio, libera ed indipendente.
«I rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica sono regolati in termini concordatari».
L’onorevole Basso ha facoltà di svolgerlo.
BASSO. Onorevoli colleghi, su questo argomento io credo non ci siano più molte cose da dire, essendo stato già sviscerato, sul piano giuridico, sul piano ideologico e dottrinario; non vorrei ripetere cose già dette.
Mi limiterò, quindi, a svolgere, soprattutto da un punto di vista politico, l’emendamento, che ho presentato a nome del Gruppo parlamentare socialista.
Il Gruppo parlamentare socialista ha avuto sempre in questa discussione una grande preoccupazione, che ho già fatta presente in sede di discussione generale. La preoccupazione fondamentale nostra era quella che non si facesse una Costituzione di parte; che nessun gruppo approfittasse d’una esigua e passeggiera maggioranza per imporre le proprie vedute particolari, per imprimere un suggello di parte alla nostra Costituzione.
Ora, in questa specifica materia, pare a noi che quello che veramente esprime la coscienza popolare, quello che interessa l’immensa maggioranza degli italiani, sia che non venga turbata in nessun modo la pace religiosa.
Non desiderano certamente turbarla i partiti di sinistra, preoccupati di fondare una Repubblica che risponda a quello che abbiamo scritto nei nostri primi articoli costituzionali, cioè una Repubblica che sia veramente democratica, che sia veramente aperta alla partecipazione dei lavoratori; non desiderano turbarla, ripeto, i partiti di sinistra che sono essenzialmente preoccupati di indirizzare in questo senso lo sforzo degli italiani.
Per quanto riguarda poi l’opinione dei colleghi democratici cristiani, l’onorevole Dossetti l’altro giorno diceva nel suo discorso che essi hanno una preoccupazione fondamentale, quella di fare in modo che lo Stato italiano non solo riconosca che la Chiesa ha un proprio ordinamento che non può essere manomesso dallo Stato, ma desiderano altresì la garanzia che questa situazione sancita nei Patti lateranensi non possa essere mutata, se non attraverso una modifica della Costituzione.
Noi non vogliamo inserire nella Carta costituzionale – diceva l’onorevole Dossetti – i Patti lateranensi; per noi questo articolo 5 ha soltanto un valore strumentale, quello cioè d’impedire che domani, con una semplice legge, possa lo Stato italiano interferire nell’indipendenza interna della Chiesa.
Ora, io penso che il nostro emendamento risponda appunto a questa esigenza. Esso dice infatti nel suo primo comma che la Chiesa cattolica è nel proprio ambito libera è indipendente; quindi ripete l’enunciazione formulata nell’articolo proposto dalla Commissione, sopprimendo solo la parte che riguarda la sovranità dello Stato, in quanto la ritiene superflua, essendo essa già implicita nella Costituzione che è proprio, di per se stessa, il primo atto di sovranità dello Stato.
Questo primo comma dunque, così come noi l’abbiamo formulato, risponde in pieno alla richiesta dei democratici cristiani.
Per quello che riguarda poi il secondo comma, l’emendamento da noi presentato risponde pure a quelle che sono le richieste avanzate dalla Democrazia cristiana perché, quando noi affermiamo che i rapporti fra la Chiesa e lo Stato sono regolati in termini concordatarî, diamo ai cattolici italiani precisamente la garanzia che lo Stato italiano non possa ritornare, senza una modifica costituzionale, ad un atto di intervento unilaterale nella disciplina dei rapporti tra la Chiesa e lo Stato.
Non v’è dunque nulla, nel nostro emendamento, che non possa essere accettato dalla Democrazia cristiana, se quanto essa ha dichiarato per bocca dell’onorevole Dossetti risponde veramente alla sua posizione al riguardo. Se infatti qui si ricerca soltanto uno strumento per questi fini, è evidente che il nostro emendamento offra questo strumento e che la menzione specifica dei Patti nulla aggiungerebbe.
Ma è stato detto ed è stato scritto dall’onorevole Romano che il non accettare l’articolo 7, così come è stato proposto, potrebbe turbare la pace religiosa, riaprendo in Italia una controversia in tal senso: ebbene, io credo che ciò non risponda a verità. L’onorevole Nenni vi dirà per quali ragioni non possiamo votare l’articolo 7 così com’è; ma per quello che attiene all’emendamento da noi presentato, io debbo insistere nel dire che la pace religiosa non può essere turbata in Italia, per questo fatto, perché io dico che la pace religiosa raggiunta non è la conseguenza degli Accordi lateranensi.
La pace religiosa in Italia si è raggiunta perché la democrazia italiana si è fatta più moderna, si è fatta più cosciente di quelle che sono oggi le preoccupazioni fondamentali della nuova democrazia; la pace religiosa italiana si è conseguita attraverso un lungo processo di decenni, via via che ci si allontanava dall’epoca in cui la controversia era aperta, soprattutto sul tema del potere temporale soppresso nel 1870. E che la pace religiosa fosse già maturata nel clima spirituale d’Italia è stato confermato dagli onorevoli Nitti e Orlando, quando hanno dichiarato che nel 1917 e nel 1919 sarebbe stato possibile raggiungere un’intesa con la Chiesa cattolica. Non è vero quindi che la pace religiosa, che noi oggi dobbiamo difendere, nasca dai Patti lateranensi: essa nasce e si fonda sulla coscienza democratica italiana, ed è in questa coscienza democratica che noi dobbiamo trovarne il presidio. Ecco perché abbiamo preferito, e preferiamo ancora, anziché un voto di parte, che riaprirà una polemica religiosa, che per noi era chiusa, e di cui la responsabilità non sarà nostra, un voto unanime che – come nel nostro ricordo il nome di Don Minzoni si associa a quelli di Amendola, di Gramsci, di Matteotti, e il sangue versato dai partigiani socialisti e comunisti si confonde con quello versato dai partigiani democratici cristiani – rappresenti la volontà di tutti gli italiani per significare che veramente la democrazia italiana ha superato da un lato i vecchi schemi dell’anticlericalismo e si è aperta ad orizzonti più vasti, e per significare d’altra parte che la Chiesa cattolica ha appreso dalla propria esperienza che le religioni non si difendono e non si fortificano con articoli di legge, con delle concessioni strappate a regimi dittatoriali, ma si difendono e fortificano in un regime di libertà e di rispetto della persona umana. (Vivi applausi a sinistra).
Abbiamo offerto all’Assemblea questa possibilità: sta ai colleghi della Democrazia cristiana dirci se anch’essi hanno, come noi, a cuore l’unità morale del popolo italiano, o se preferiscono una Costituzione di parte che rappresenta un pericolo per questa unità.
Quanto a noi, faremo il nostro dovere. Al di là di quest’aula, al di là degli articoli che noi stiamo per votare, al di là del risultato dei voti, vi sono dei valori morali profondi, difendere i quali è come gettare un seme al popolo italiano, che frutterà nelle coscienze italiane. Noi difenderemo questi valori morali. (Vivi applausi a sinistra).
PRESIDENTE. L’onorevole Patricolo ha presentato il seguente emendamento, che ha facoltà di svolgere:
«Sostituire il primo e il secondo comma con i seguenti:
«La Religione cattolica è la religione ufficiale della Repubblica italiana.
«I rapporti tra la Chiesa cattolica e lo Stato sono regolati dal Concordato lateranense».
PATRICOLO. Onorevoli colleghi, l’esperienza della mia partecipazione alla Commissione dei 75 potrebbe indurmi a tacere di fronte all’evidente determinazione di una evidente maggioranza ad accettare la formulazione dell’articolo 5 – oggi articolo 7 – della nostra Costituzione.
È così difficile ad un deputato della minoranza far valere oggi una sua opinione, una sua idea, la formulazione di un suo concetto; le maggioranze penso che si ritengano infallibili in questo campo, e probabilmente questa infallibilità è oggi ancora più sostanziata dalla partecipazione di una Democrazia cristiana a questa stessa maggioranza. Però io sento in coscienza di prendere la parola per dire quello che penso e ciò che il Gruppo dell’Uomo Qualunque pensa a proposito di questo articolo 5.
Comunque possa sembrare dalla prima lettura del mio emendamento, questo non ha che un valore puramente giuridico ed è frutto di lunga meditazione scientifica.
L’articolo 5, quale è stato a noi presentato, secondo la nostra convinzione non può essere accettato; né per la forma né per la sostanza. L’articolo 5 è il risultato di un compromesso.
Altra volta, in seno alla Commissione, io espressi il mio parere circa l’affrettata soluzione di problemi importantissimi della nostra Costituzione, e mi opposi a questa affrettata soluzione che dava alla Costituzione che noi stavamo facendo un contenuto spesso antigiuridico e non rispondente alla realtà della vita politica italiana, e nello stesso tempo alla realtà e alla necessità giuridica di una Costituzione. La norma che noi inseriamo nell’articolo 5 esprime il nostro pensiero e la nostra volontà con lealtà, senza infingimenti e senza ricorrere a vie tortuose.
Tutti i deputati di questa Assemblea, in ogni settore, hanno più volte manifestato il loro sentimento religioso. Da ogni parte di questa Assemblea si è levata l’affermazione che il popolo italiano è un popolo di credenti, di cattolici, ed io non vedo perché questo sentimento che noi professiamo e che professa il popolo che noi rappresentiamo, non si debba, nella realtà della nostra Costituzione, tradurre con una norma precisa, netta ed inequivocabile.
Questo principio che noi desideriamo introdurre nell’articolo 5 e che afferma esattamente il pensiero del popolo italiano, deve portare al riconoscimento della religione cattolica come religione degli italiani.
L’importanza dei Patti lateranensi, onorevoli colleghi, secondo me, perde di valore di fronte all’importanza di una tale affermazione. Passerò ad illustrare brevemente l’articolo 5 per chiarire il nostro pensiero su quelli che noi consideriamo i caratteri della sua inaccettabilità. Per maggiore comprensione, però, di quanto dirò mi sia permesso soffermarmi brevemente sul concetto prettamente giuridico che regola la doppia personalità della Santa Sede e del Vaticano. Ritengo che questo sia necessario, non solo per la comprensione delle ragioni che noi addurremo, ma anche per trovare una via più adeguata a risolvere il problema che oggi ci prospettiamo. Dall’esame della storia della Chiesa cattolica nei rapporti internazionali noi rilevano un doppio ordine di rapporti, che nasce dalla storia del periodo medievale, dopo di che la Chiesa Cattolica ha avuto le prime concessioni di Stato temporale da un imperatore francese nel 750. Fino all’epoca della prima concessione territoriale l’ordinamento giuridico della Chiesa cattolica, per quanto originario, e divino nella sua origine, non aveva ancora manifestato la sua volontà di affermazione nel campo internazionale, tanto che i concordati vennero alla luce dopo i primi trattati nella storia della Chiesa.
Il primo Concordato di cui si parla, onorevoli colleghi, è il Concordato di Worms del 1122, dopo quattro secoli che la Chiesa aveva ottenuto un potere temporale. Il Concordato di Worms e tutti i concordati che ad esso seguirono, indicano un fatto essenziale per la nostra discussione: che la Chiesa cattolica ha una personalità giuridica internazionale assolutamente distinta dalla personalità politica dello Stato Vaticano oggi, dello Stato Pontificio ieri; e i rapporti tra Santa Sede e i vari Stati del mondo si svolgono attraverso due organi, attraverso due strumenti di accordi internazionali: il concordato e il trattato; concordato e trattato che riguardano due dominî assolutamente indipendenti, due sovranità assolutamente indipendenti.
Detto questo, possiamo senz’altro passare all’esame dell’articolo 5 e vedremo come quanto ho detto può avere ripercussioni nella critica che intendo fare a questo articolo.
L’articolo 5 afferma nel suo primo comma: «Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani». A prescindere da una osservazione fatta da vari deputati in questa Assemblea, per cui tale formula implica un riconoscimento bilaterale che troverebbe benissimo inserimento in un trattato ma non in una Costituzione, osservo che questa definizione data dal primo comma riguarda la Chiesa cattolica in quanto potere spirituale, e non lo Stato Vaticano. Ed è evidente anche dal fatto che, diversamente, non si potrebbe fare l’affermazione della coesistenza di due sovranità sullo stesso territorio dello Stato italiano.
Ma, a parte questa osservazione, ce n’è un’altra che ritengo inaccettabile nella Costituzione. Gli amici della Democrazia cristiana mi facciano credito della mia profonda fede e soggezione alla Chiesa e al Sommo Pontefice; ma io ritengo che, in una Costituzione, uno Stato non possa riconoscere per vera una affermazione che ancora non ha fondamento giuridico, ma che ha soltanto fondamento teologico e dogmatico: l’affermazione della indipendenza e della sovranità della Chiesa cattolica è una affermazione, oggi, di carattere teologico e dogmatico. Questa affermazione la troviamo in tutti i trattati di teologia; ma questa affermazione non è stata ancora consacrata sia dai giuristi, sia nel diritto pubblico, né interno né internazionale. Questa affermazione deriva da una certa Enciclica di Leone XIII, che ho qui davanti e che vi risparmio di leggervi, in quanto è un’affermazione di carattere spirituale, che viene ancora oggi elaborata dai giuristi del Vaticano e dalla Chiesa, ma che ancora non è stata accettata universalmente.
A conferma di questo posso leggervi quanto un eminente giurista della Chiesa scrive oggi in Civiltà Cattolica; consentitemi di leggerlo, perché è una affermazione interessante per la nostra discussione:
«Come spiegare la coesistenza di quelle due sovranità, non subordinate ma veramente, totalmente, indipendenti l’una dall’altra? Questo è, in fondo, il problema che la presenza della Chiesa ha posto allo Stato fin dal suo ingresso nella storia. Da un lato quel diritto è inalienabile; dall’altro, la situazione, che ne risulta, sembra superare le attuali possibilità della scienza».
Quindi noi abbiamo un giudizio, di un giurista cristiano e cattolico, il quale ci dice che ancora oggi non è nella possibilità della scienza di provare la ragione della coesistenza di queste due sovranità né di giustificarle. È importante che questa dichiarazione venga dal padre Lener di Civiltà Cattolica.
Ed ancora un’altra osservazione.
Questo primo comma si riferisce al potere spirituale della Chiesa, potere spirituale che deriva dall’indipendenza e sovranità della Chiesa cattolica, che non ha niente a che vedere con lo Stato del Vaticano; indipendenza e sovranità che, noi cattolici, riconosciamo in pieno, ma dobbiamo ammettere che possano in qualunque momento venire in contrasto con la sovranità dello Stato. La loro coesistenza è quindi ammissibile, non in forza di un riconoscimento che la Costituzione può farne in questo articolo, ma in forza di un Concordato perché, per quanto noi possiamo ammettere che esista un campo diverso di attività dell’ordinamento giuridico della Chiesa e dello Stato, ci sono materie di diritto canonico e di diritto civile per cui, ad un dato momento, se non vi è un Concordato, se non vi è un accordo fra lo Stato e il potere ecclesiastico, il conflitto è inevitabile, ed in questo caso, lasciatemelo dire, per quanto ci troviamo in uno Stato cattolico come l’Italia, deve essere la sovranità dello Stato ad avere la prevalenza.
Ma noi dobbiamo evitare questo conflitto, perché buoni cattolici e buoni italiani; e per evitarlo non credo che si adatti la dizione dell’articolo 5.
Se passiamo al secondo comma dell’articolo 5, il quale afferma che «i loro rapporti sono regolati dai Patti lateranensi», devo ancora richiamare la mia distinzione fra i due soggetti al diritto internazionale.
Come si può parlare di rapporti fra lo Stato e la Chiesa cattolica fondati sui Patti lateranensi?
I Patti lateranensi constano di un Trattato e di un Concordato. Il Trattato riguarda i rapporti fra lo Stato italiano e lo Stato del Vaticano; il Concordato riguarda i rapporti tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica.
Se noi al primo comma affermiamo che la Chiesa cattolica, nel suo ordine, è indipendente e sovrana, non è vero che i rapporti fra lo Stato e la Chiesa cattolica sono regolati anche dal Trattato; lo sono in quanto, per una erronea – lasciatemelo dire – compilazione del Trattato, nell’articolo primo di esso si fa riferimento a materia concordataria.
Ma questo che può essere un errore di dizione, un errore di compilazione, non deve portarci a fare confusione fra quello che è il Trattato e quello che è il Concordato.
Quindi, primo errore nel secondo comma è quello di affermare che i rapporti fra lo Stato e la Chiesa cattolica siano regolati insieme e dal Trattato e dal Concordato.
Ma andiamo avanti: il Concordato riguarda i rapporti fra lo Stato e la Chiesa. Il Trattato riguarda i rapporti fra lo Stato e la Città del Vaticano.
La Commissione, che ha inserito questo comma, si preoccupava evidentemente di fare entrare nella Costituzione insieme il Trattato ed il Concordato.
Perché? Potremmo fare delle illazioni. Una delle ragioni potrebbe essere data dal fatto che nel primo articolo del Trattato si afferma, richiamandosi allo Statuto albertino, che la religione cattolica sia la sola religione dello Stato.
Ora io non penso che oggi, dopo la caduta dello Statuto albertino, una disposizione del genere possa rientrare nella Costituzione italiana per vie traverse. Se questa affermazione noi dobbiamo fare, dobbiamo farla apertamente, lealmente, chiaramente nella Costituzione; ma ammettere che questa affermazione possa entrare implicitamente nella Costituzione trovo che sia un errore, sia di carattere giuridico, sia di carattere politico.
Quanto alle sorti del Trattato, devo dirvi che non mi pare che esso possa prendere posto in questo articolo 5, ma piuttosto nell’articolo 76 della Costituzione, dove si parla dei trattati che lo Stato italiano può stipulare con gli altri Stati stranieri. In questo articolo 5, in cui ci preoccupiamo esclusivamente di stabilire i rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica, non può esser fatta menzione di trattati, ma solamente di concordati.
E a quei deputati o alla Commissione che si preoccupava dell’inserimento, attraverso i Patti lateranensi, dell’articolo 1 del Trattato, noi diciamo che a questa preoccupazione si può rispondere inserendo nella Costituzione l’articolo 1 del Trattato in una forma più realistica, più moderna, meno assoluta di quella che non fosse stata fatta nel 1848.
Andiamo avanti nell’esame di questo secondo comma. Troviamo un’altra affermazione: «Qualsiasi modificazione dei Patti, bilateralmente accettata, non richiede procedimento di revisione costituzionale».
Io chiedo ai giuristi qui presenti, alla Commissione, se esiste in un patto bilaterale, in un contratto bilaterale, la possibilità di modifiche senza il consenso delle parti. Io ritengo che questo non sia possibile, ed insisto su questo perché so chiaramente, conosco esattamente quale ragione abbia potuto indurre la Commissione, ed i giuristi che ne fanno parte, a quello che potrebbe essere considerato un errore di diritto: la preoccupazione cioè di inserire, attraverso queste espressioni, un concetto che fa capolino attraverso l’articolo, ma che non è chiaramente espresso: il concetto della denuncia o della violazione del patto.
Non può esserci altra modifica nei Patti lateranensi, non bilateralmente accettata, che o la denuncia o la violazione.
Ma allora, in questo caso, il trattamento deve essere diverso per la denuncia e per la violazione, perché mentre la denuncia del Patto può essere veramente fatta secondo le esigenze della riforma costituzionale, il caso della violazione del Patto non può entrare in quest’ordine di idee, ma deve essere considerato come violazione espressa alla Costituzione. Quindi, di fronte a queste difficoltà, diverso doveva essere l’accorgimento della Commissione per la Costituzione.
E d’altra parte io chiedo se derivi di diritto che una modificazione non apportata col consenso bilaterale possa essere fatta secondo le norme costituzionali, se esplicitamente non si inserisce il concordato nella nostra Costituzione; poiché dalla dizione del secondo comma, soprattutto per il carattere negativo dell’ultima frase, noi non vediamo che ne derivi per forza che la revisione dei Patti lateranensi debba esser fatta secondo le norme di revisione costituzionale. Nel caso positivo si dice: se bilateralmente accettate, non occorre il riesame costituzionale; nel caso negativo, sì. E qui devo rilevare un’osservazione fatta dall’onorevole Lami Starnuti, che mi sembra veramente obiettiva. Noi ci preoccupiamo di inserire questo comma, nell’idea che un Governo possa, contrariamente alla volontà del popolo, portare la decadenza dei Patti lateranensi; ossia, ci preoccupiamo di tutelare la volontà e le esigenze del popolo italiano; ma queste esigenze del popolo italiano dobbiamo tutelarle anche nell’altro senso, nel senso cioè che un Governo, nel portare modifiche ai Patti lateranensi, debba veramente interpretare la volontà del popolo italiano. Io non arrivo a dire che un Governo potrebbe fare delle munifiche elargizioni alla Chiesa che il popolo italiano sarebbe poi costretto ad accettare. No. Ma io dico: se la sostanza di un Concordato è talmente importante per il nostro Stato da consigliare la sua inserzione nella Costituzione, è bene che qualsiasi modifica si faccia al Concordato – sia che si tratti di modifiche bilateralmente accettate, sia che si tratti di modifiche originate da violazione – avvenga con tutte le garanzie di ordine costituzionale.
Non voglio dilungarmi. Giungo alle conclusioni, ed insisto col dire che il primo comma non è accettabile perché, in se stesso, non può impedire i conflitti che noi dovremmo evitare fra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica. I conflitti si possono evitare soltanto in quanto esiste un Concordato. Ma, poiché noi ammettiamo che il Concordato possa essere denunciato, dobbiamo ammettere, in linea di diritto, che il primo comma non garantisce affatto la pace religiosa in Italia, poiché, domani, se non avessimo un Concordato, nel conflitto fra la sovranità territoriale dello Stato italiano e una sovranità di ordine spirituale come quella della Chiesa cattolica, dovrebbe essere la sovranità dello Stato italiano a prevalere, e, quindi, il conflitto sarebbe inevitabile.
Non è accettabile il secondo comma, perché non serve a garantire vita al Concordato, né serve a riconoscere quella che è la volontà degli italiani di proclamare che la religione cattolica è la religione dello Stato, poiché quando noi inseriamo un Trattato ed un Concordato nella Costituzione, dimostriamo di preoccuparci di quello che è uno strumento e non di quella che è una idea che vogliamo affermare e proclamare di fronte agli italiani e di fronte al mondo.
Il mio emendamento, sul quale insisto, ha, invece, secondo me ed il mio Gruppo, dei grandi vantaggi. Il primo è quello di dare valore giuridico e politico al riconoscimento della potestà ecclesiastica e implicitamente viene a riconoscere quella indipendenza e sovranità che, se non è di ordine giuridico, è di ordine morale e che noi tutti cattolici accettiamo. In secondo luogo afferma costituzionalmente una aspirazione, un diritto spirituale del popolo italiano. In terzo luogo evita l’equivoco e l’inesattezza dell’articolo 5 quale noi abbiamo veduto ed esaminato. Afferma, ancora, il valore costituzionale del Concordato e lo pone alla pari di ogni altra norma costituzionale.
Se poi gli onorevoli colleghi, preoccupati di questo mio emendamento, volessero inserire nella Costituzione un nuovo comma per il quale si affermi che il Concordato fa parte integrante dell’ordinamento giuridico italiano, io non ho niente di meglio da chiedere. Sarebbe un rafforzare le affermazioni fatte dal mio emendamento.
Ed ancora io faccio una formale proposta perché le modalità di modifica dei Patti lateranensi, sia del Concordato che del Trattato, vengano inserite nell’articolo 76 della Costituzione, articolo sul quale richiamo l’attenzione degli onorevoli colleghi, perché è un articolo che dal punto di vista giuridico è inadatto a tutelare la materia che dovrebbe disciplinare. Si pensi soltanto a questo, che nell’articolo 76…
PRESIDENTE. Onorevole Patricolo, dell’articolo 76 parleremo il prossimo mese.
PATRICOLO. Onorevole Presidente, è così collegata la questione che non posso non parlarne.
PRESIDENTE. L’accenni soltanto.
PATRICOLO. Due parole. Si pensi soltanto a questo, che nell’articolo 76 sono date le norme per la ratifica dei trattati e non quelle per la loro denuncia; cosicché nella Costituzione non sappiamo in quali forme debbono avvenire le denunce.
Nell’articolo 76 si parla di trattati di commercio, di trattati politici, non si parla di Concordato, mentre è necessario che vi prenda posto anche la regolamentazione del Concordato ai fini delle modifiche eventuali che ad esso si possano portare.
Onorevoli colleghi, noi abbiamo fatto nella Costituzione affermazioni sui diritti sociali, politici ed umani del cittadino italiano. Io mi richiamo alla vostra coscienza di cattolici per chiedervi che nella Costituzione si faccia anche posto per un’affermazione dei diritti sacri del cittadino italiano, di veder riconosciuta nella Costituzione la religione cattolica come religione dello Stato, come religione di questo Paese che ha avuto tanti martiri e tanti santi e che accoglie la Cattedra di Pietro, il Vicario di Cristo in terra. (Applausi a destra).
PRESIDENTE. L’onorevole Badini Confalonieri ha presentato i seguenti emendamenti:
«Sostituire il secondo comma col seguente:
«I loro rapporti continueranno ad essere regolati da patti concordatarî».
«Sostituire il terzo comma col seguente:
«Le altre confessioni religiose hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordine pubblico o con il buon costume. I rapporti con lo Stato sono regolati per legge, sulla base di intese, ove siano richieste, con le rispettive rappresentanze».
Non essendo presente l’onorevole Badini Confalonieri, s’intende che vi abbia rinunciato.
L’onorevole Pajetta Giancarlo ha presentato il seguente emendamento, firmato anche dagli onorevoli Laconi e Mattei Teresa:
«Al terzo comma, nella prima parte, sopprimere le parole: in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano».
«Sostituire la seconda parte con la seguente:
«I rapporti con lo Stato sono regolati, ove sia richiesto, per legge, sulla base di intese con le rispettive rappresentanze».
L’onorevole Pajetta Giancarlo ha facoltà di svolgerlo.
PAJETTA GIANCARLO. Abbiamo presentato un emendamento al terzo comma dell’articolo 7, perché sia chiara non soltanto la necessità del rispetto assoluto della coscienza dei fedeli a qualsiasi Chiesa appartengano, ma sia esplicitamente dichiarata l’eguaglianza e la libertà di tutte le Chiese di fronte allo Stato. Per quello che riguarda la prima parte del nostro emendamento noi chiediamo che sia tolta la dichiarazione: «In quanto non contrastino cori l’ordinamento giuridico italiano», facendosi riferimento alla organizzazione delle confessioni religiose non cattoliche. Pensiamo che, quanto poteva essere richiesto dallo Stato onde cautelarsi, per quello che si riferisce all’ordine pubblico e al buon costume, è previsto a sufficienza dall’articolo 14. Mantenere la dizione proposta nel progetto di Costituzione, vorrebbe dire porre in una condizione particolare le altre confessioni religiose, sarebbe creare per le altre Chiese una sorta di discriminazione che apparirebbe come un ingiusto sospetto o almeno come una minorazione che non può essere certo opportuna. Poiché qui da tutte le parti si è dichiarato di non voler fare riferimento all’articolo primo del vecchio Statuto albertino, e poiché non si è voluto parlare di culti tollerati od ammessi ma enunciare un’esplicita eguaglianza, pensiamo che questo nostro emendamento possa essere accettato.
Per quello che riguarda la seconda parte, nel progetto è detto che «i rapporti con lo Stato sorto regolati per legge, sulla base di intese, ove siano richieste, con le rispettive rappresentanze».
Ora, pare a noi che la necessità della richiesta non si debba riferire alle intese, ma debba riferirsi invece alla stessa legge che, per essere di tipo concordatario, deve essere richiesta e accettata dalle parti. Diciamo questo non soltanto perché non intendiamo che lo Stato possa ingerirsi e intervenire con la legge anche contro la volontà dei fedeli, ma perché ci sono comunità religiose che non intendono che sia fatta una legge nei loro confronti, mentre altre non soltanto accettano, ma desiderano avere statuti giuridici riconosciuti dallo Stato. Proponiamo quindi che si dichiari che ci sarà la legge qualora sarà richiesta e che sempre – la conseguenza è naturale – quando ci sarà la legge, essa debba essere preceduta da un’intesa con la comunità religiosa alla quale si riferisce.
Permettetemi di rivolgere qui, mentre si tratta di questo argomento, un pensiero alle minoranze religiose italiane. In quest’aula si è fatto più di una volta riferimento alla unità della nazione e alla necessità della pace religiosa. Ebbene, io credo che nessuno abbia voluto che quel riferimento all’unità della Nazione e alla pace religiosa fosse dettato dal calcolo di quanti sono i cittadini di questa o di quella fede, che possono essere chiamati domani a dare il loro voto a quelli che sono oggi i deputati, che stabiliscono la nuova Costituzione italiana.
È certo che noi non intendiamo fare un calcolo di quantità, ed è per questo che vogliamo siano riconosciuti i diritti delle confessioni religiose che rappresentano piccole minoranze; ma che hanno legato la loro vita e la loro storia alla vita e alla storia del nostro Paese, anche nei momenti più difficili.
Ricordiamo i Valdesi, una piccola minoranza. Ma non può il nostro pensiero riconoscente non andare agli abitanti di quelle valli del Piemonte, che, quando i tedeschi scesero nel nostro Paese, accesero per quelle valli la guerriglia partigiana, rifacendosi non soltanto al sentimento nazionale di tutti gli italiani, ma riallacciandosi alla loro tradizione religiosa di ribelli, di ribelli in nome della giustizia e della libertà, e alle loro lotte gloriose contro i duchi di Savoia.
E vogliamo ricordare qui la sofferenza ed il martirio degli israeliti italiani i quali, nella persecuzione prima e nella tragedia poi, non sono stati soltanto testimoni, al modo antico, della loro fede, ma hanno dato una più alta testimonianza. Gli israeliti italiani sono stati primi ad essere colpiti quando alla tirannia nostrana si aggiunse la tirannia straniera. Essi, con la sofferenza, col martirio, hanno ammonito, hanno messo in guardia, hanno fatto aprire gli occhi anche a coloro che prima non vedevano ancora che cosa il fascismo rappresentasse, anche a coloro che non avevano inteso appieno cosa avrebbe significato per un Paese perdere la sua indipendenza nazionale.
Perciò appunto – per questo ricordo di lotte, di resistenza e di martirio – noi chiediamo che sia dato il riconoscimento dovuto a queste minoranze.
Quando si tratta di fede, di libertà e di coscienza non è il numero, ma la qualità che conta.
Per questo ci rivolgiamo a tutti gli italiani, perché sentano italiani, come gli altri, questi nostri fratelli. (Applausi a sinistra).
PRESIDENTE. L’onorevole Lucifero ha presentato il seguente emendamento:
Trasferire l’ultimo comma dell’articolo 14, sostituendo le parole: Le altre confessioni, con le seguenti: Tutte le confessioni.
L’onorevole Lucifero ha facoltà di svolgerlo.
LUCIFERO. Onorevoli colleghi, dopo una discussione così profonda e così elevata, come quella sentita finora, il mio emendamento può apparire, ed è effettivamente, cosa molto modesta.
Ma io ripropongo in questa sede un emendamento già proposto in sede di Commissione per la Costituzione.
Questo ultimo capoverso dell’articolo 5 trae origine da un emendamento aggiuntivo presentato dal nostro Presidente, onorevole Terracini.
In quella sede io proposi – per le ragioni che esporrò – che l’emendamento fosse spostato, come secondo comma, all’articolo 14.
La Commissione all’unanimità quella sera approvò e l’emendamento e la mia proposta, che l’onorevole Terracini aveva accettato.
Per una evidente omissione, io devo pensare, ritrovo il capoverso in questa sede. Ora, io penso, dopo la discussione che abbiamo sentita, dopo tutto quello che si è letto sulla stampa e le polemiche fatte anche fuori di quest’aula, che il collocamento di questo capoverso debba andare all’articolo 14, dove si parla di libertà religiosa.
Quale che possa essere il giudizio sul contenuto dell’articolo, non vi è dubbio che i rapporti tra Santa Sede e Stato italiano non sono soltanto di natura confessionale, ma sono anche rapporti di natura politica. L’articolo 7 quindi, a parer mio, regolarizza, chiarisce i rapporti politici fra la Chiesa cattolica, la Santa Sede e lo Stato italiano.
La libertà che hanno le altre confessioni di organizzarsi e di svolgere la loro attività entra indubbiamente nelle libertà religiose e non è un rapporto politico che esse costituiscono con lo Stato italiano, anche allorquando le loro rappresentanze con lo Stato italiano prendono degli accordi.
È evidente allora che l’articolo 14, il quale stabilisce la libertà di professione e di associazione religiosa per il singolo, debba contenere, nella sua seconda parte, la libertà anche delle organizzazioni e le modalità per cui queste organizzazioni possano vivere e svolgersi. Prego quindi, per la chiarezza della Costituzione, di voler spostare nuovamente al secondo comma dell’articolo 14 quanto erroneamente oggi vediamo al terzo comma dell’articolo 7.
PRESIDENTE. L’onorevole Grilli ha proposto un emendamento inteso a sopprimere tutto l’articolo 7. (Commenti al centro). Ha facoltà di svolgerlo.
GRILLI. Rinunzio all’emendamento e aderisco a quello svolto dall’onorevole Lami Starnuti. Nel caso che questo emendamento non abbia fortuna, mi riservo di fare una dichiarazione in sede di votazione dell’articolo 7.
PRESIDENTE. Onorevole Grilli, mi permetto però di farle presente che per manifestare la volontà di sopprimere un articolo basta votare contro l’articolo stesso. Desidero fare questa precisazione in ordine alla riserva da lei fatta.
GRILLI. Onorevole Presidente, forse non mi sono bene espresso. Ho detto soltanto che mi riserbo di fare una dichiarazione di voto, quando si porrà in votazione l’articolo 7.
PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento degli emendamenti.
Si tratta ora di raggrupparli per facilitare le successive votazioni.
Fra gli emendamenti ve ne sonò tre, quelli degli onorevoli Della Seta, Calamandrei e Lami Starnuti, che sono sostitutivi dell’intero articolo.
Quelli proposti dagli onorevoli Crispo, Basso, Bassano e Patricolo sono sostitutivi dei primi due commi.
L’onorevole Lucifero e l’onorevole Nobili Tito Oro hanno invece proposto di trasferire all’articolo 14 il terzo comma dell’articolo, salvo alcune piccole modificazioni del testo.
Vi sono poi le proposte degli onorevoli Ruggiero e Rodinò Mario, le quali hanno un carattere esclusivamente aggiuntivo, trattandosi di premettere ai tre commi, dell’articolo 7, un altro comma.
Infine i due emendamenti dell’onorevole Pajetta Giancarlo contengono proposte soppressive e sostitutive di una. parte del terzo comma.
Io credo che dovremo anzitutto votare sulle proposte aggiuntive, quelle cioè degli onorevoli Rodinò Mario e dell’onorevole Ruggiero. Esse, se accettate, modificherebbero l’impostazione generale del testo proposto dalla Commissione.
A proposito degli emendamenti sostitutivi di tutto il comma, vi è tuttavia qualche cosa in comune fra le proposte stesse ed il testo della Commissione, ed è che questi stessi emendamenti sostitutivi si dividono ciascuno in tre commi in correlazione col testo della Commissione; sicché sarà opportuno votarli comma per comma, contrapponendo i testi sostitutivi a quelli della Commissione; per valutare meglio le diversità sostanziali delle proposte.
Comunque, prima di passare alle votazioni, darò la parola a coloro che la richiedono per fare delle dichiarazioni di voto le quali, onorevoli colleghi, per facilitare il nostro lavoro e per la sua maggiore chiarezza e dato che le proposte sono numerosissime e si intrecciano fra loro, potrebbero essere opportunamente raggruppate, mano mano che i singoli emendamenti e le diverse formulazioni saranno poste in votazione.
D’altra parte, dai discorsi che abbiamo udito nei giorni passati e dallo svolgimento degli emendamenti, abbiamo tutti compreso che il centro di equilibrio di questo articolo è costituito da una o due questioni fondamentali e ritengo (può essere una supposizione errata) che i colleghi che chiederanno di parlare, per dichiarazione di voto, intenderanno essenzialmente riferirsi a questi problemi centrali.
È iscritto a parlare, per dichiarazione di voto, l’onorevole De Gasperi. Ne ha facoltà.
DE GASPERI (Segni di attenzione). Onorevoli colleghi, parlando per la prima volta in questa Assemblea, al di fuori dei limiti posti dalla solidarietà ministeriale con uomini di diverso pensiero, sento che questo, su cui votiamo, è un argomento intimamente legato alla nostra personale concezione della vita.
Diceva, a ragione, Dostojewski che la questione principale, la questione cruciale per il mondo moderno è di sapere se quella lontana, remota figura di profeta, ignorato dai grandi uomini politici e storici di Roma antica, sia stato veramente, sia il Cristo che ha fondato una comunità religiosa universale, che nutre ancora oggi della sua linfa vitale, eterna. Se per effetto della nostra educazione familiare o per le conquiste fatte attraverso il pensiero e la critica giungiamo ad una risposta affermativa su questa questione cruciale, nessuna diffidenza, nessun sospetto è possibile in confronto di una collaborazione con la Chiesa.
Però, anche coloro che si arrestano sulla soglia dei misteri della fede e si preoccupano sostanzialmente della morale sociale, sentono (e qui è una questione di esperienza di tutti gli uomini che sono al Governo), che lo Stato non ha la forza, l’autorità di afferrare e dirigere la coscienza della singola persona e sentono il bisogno dell’apporto dell’insegnamento della morale evangelica che viene dalla Chiesa, che sul Vangelo si fonda. (Commenti a sinistra).
Innegabilmente è opinione comune, ormai, che questa morale evangelica sia necessaria per la fermentazione sociale della giustizia nelle masse popolari.
Ma, supponiamo pure che in alcuni o molti di noi non esista nessun vincolo interiore né con la fede della Chiesa, né con la sua morale; sta però il fatto storico: primo, delle proporzioni; secondo, di una millenaria tradizione.
Si parla spesso di maggioranza di cattolici in Italia; forse non si pensa alla statistica. Se applichiamo ai dati del 1942 le proporzioni del 1931 (per il 1942 non si hanno delle statistiche) troviamo che su 45.526.770 abitanti, 45.349.221 si sono dichiarati cattolici. (Commenti a sinistra).
I protestanti sono il due per mille; gli israeliti sono il mezzo per mille, o meglio, erano, perché, per le persecuzioni, si sono ridotti da 54.000 a circa 30.000. I senza religione, che si sono dichiarati tali, sono il 0,4 per mille; 18.000. Questo è un fatto di cui, comunque si possa pensare delle origini e del pensiero che lo motivano, non si può non tener conto quando si decide, o si amministra, o si governa.
II secondo fatto è che siamo dinanzi non ad una improvvisazione della storia, ad una passione popolare, ad una superstizione nata in un momento di suggestione particolare nei secoli; ma dinanzi ad un istituto millenario, che ha resistito a tanti colpi, a tante discussioni, a tante scissioni, istituto plurisecolare che ha sempre seguito un metodo nei rapporti con gli Stati: quello degli accordi e dei concordati. (Commenti a sinistra).
Dal 1080 al 1914 si calcolano in numero di 74 i concordati, e dal 1914 in poi in numero di altri 25, per non tener conto delle numerosissime convenzioni che non passano sotto il titolo solenne di concordato, e che sono da contarsi nell’ordine di migliaia.
Ora voi in questi concordati notate una evoluzione caratteristica: essi subiscono un progresso verso il distacco da tutto ciò che è contingente, temporale. Alcuni punti rimangono sostanzialmente eguali, ma tutto ciò che è contingente a mano a mano viene abbandonato nei secoli. Ed è innegabile che vi è in questa evoluzione un progresso verso una più chiara distinzione della sfera d’influenza della Chiesa nei confronti dello Stato, verso il riconoscimento di una diarchia che garantisca la volontà delle due parti.
È innegabile, non è detto che questa evoluzione sia chiusa: la storia a questo riguardo non è mai definitiva per tutto quello che riguarda il contingente, il temporale.
E, d’altro canto, forse che noi, in questo momento vogliamo arrestare la storia? Forse che noi vogliamo inchiodare, attraverso l’articolo 5, i nostri rapporti, in tutte le forme, a quelli che erano ieri o diventarono nel 1929?
La Costituzione mette per base i Patti lateranensi, ma nel contempo dichiara che sono modificabili, e dice che sono modificabili con la semplice maggioranza parlamentare, non attraverso quelle garanzie maggiori e più solenni che la Costituzione stabilisce per molte cose anche meno importanti (Commenti).
Io credo, dunque, che anche da un punto di vista semplicemente storicista il voto nostro si possa accettare e dimostrare plausibile e nell’interesse del popolo italiano.
Vi aggiungo – ed è l’unico riferimento che faccio alla mia carica di Governo – che io mi sento portato e deciso a votare anche per l’impegno che ho dato, che ho preso, di consolidare, di universalizzare, di vivificare il regime repubblicano. (Commenti).
Non potete negare, amici, che mentre in gran parte del clero c’era la preoccupazione che si avessero anche in Italia esperimenti anticlericali, come in qualche altra Repubblica, e mentre si esercitarono su larga scala delle pressioni, la Chiesa di Roma, il Pontificato rimase neutrale (Commenti), seguendo una linea di saggezza che non sempre in altri paesi fu mantenuta dai rappresentanti ecclesiastici locali.
Oggi nella Costituzione, secondo il Concordato, i vescovi vengono chiamati a giurare e giurano con questa formula: «Davanti a Dio e sui Santi Evangeli io giuro e prometto, siccome si conviene ad un Vescovo, lealtà allo Stato italiano. Io giuro e prometto di rispettare e di far rispettare dal mio Clero il capo della Repubblica italiana e il Governo stabilito secondo la legge costituzionale dello Stato». (Commenti).
Amici, non siamo in Italia così solidificati, così cristallizzati nella forma del regime da poter rinunziare con troppa generosità a simili impegni così solennemente presi.
Alla lealtà della Chiesa, io credo che la Repubblica debba rispondere con lealtà. Devo osservare, poi, che non è vero quello che è apparso da certi discorsi, che il Trattato sia semplicemente una manomissione della Chiesa sullo Stato.
Leggete gli articoli 19 e 21, dove si stabilisce la procedura per la scelta dei Vescovi e per la nomina ai beneficî ecclesiastici, e voi vedrete che anche la Chiesa ha fatto la parte sua per riconoscere una influenza politica nel settore politico dello Stato, anche in riguardo al clero.
E non dico che molti cattolici possano essere del pensiero che sia preferibile il sistema di Weimar, dove la Chiesa, completamente autonoma nella sua amministrazione, pensa al suo clero e lo Stato non si intromette né nelle nomine, né nelle miserabili integrazioni che diamo oggi noi.
Certo, la Costituzione di Weimar è stata inattuabile per la situazione finanziaria della Germania, perché essa presupponeva la restituzione dei beni sequestrati alle Chiese perché potessero vivere autonomamente. E lo stesso sarebbe oggi in Italia. Quindi, sogni lontani, su cui non possiamo assolutamente contare! Che volete, che noi potessimo prendere un simile impegno quando non siamo nemmeno in grado di applicare l’articolo 19 del Concordato, il quale stabilisce che lo Stato debba corrispondere al clero quelle integrazioni cui ho accennato, in misura non inferiore al valore reale di quello stabilito dalla legge attualmente in vigore? Hanno diritto nella forma, senza dubbio! Ma invano si può richiamare a questo, quando lo Stato non è in grado di farlo. Ed infatti dobbiamo riconoscere che oggi la maggioranza del clero fa la fame. Oggi non si insiste sul Trattato per l’applicazione letterale di questa formula: esempio chiaro e caratteristico della comprensione, della moderazione con cui si supera la lettera del Trattato per tener conto delle sue finalità.
Del pari, non è vero, amico Nenni, che si tratti di una specie di armatura di ferro imposta dalla Chiesa – questo non lo hai detto, ma si poteva pensare – a soffocazione dello spirito nel corpo italiano. Credo che tu e io saremo d’accordo nel desiderare che, nei futuri Trattati, vi siano delle formule consimili, elastiche, di revisione, come vi sono in questo Trattato. All’articolo 21 è prevista una Commissione paritetica per tutte le questioni riguardanti le nomine di vescovi e le nomine del clero che non fossero solubili fra i primi fattori diretti. E poi all’articolo 44, c’è questa clausola revisionista, che io mi auguro possiamo riuscire ad immettere anche nel Trattato, nel duro Trattato che ci viene imposto: «Se in avvenire sorgesse qualche difficoltà, la Santa Sede e l’Italia procederanno di comune intelligenza ad una amichevole soluzione».
Mi pare con ciò di aver risposto anche a parecchie obiezioni fatte durante il dibattito. La questione non è, onorevole Lami, di una o dell’altra delle disposizioni non essenziali del Concordato legate a contingenze storiche, che sono modificabili senza affrontare la revisione costituzionale, anzi, come taluno ha detto, addirittura con lo scambio di lettere, tanto elastica è la materia. Non si tratta, dunque, né di questo né di quell’articolo che avete criticato o che potete sottoporre alla vostra censura. Si tratta della questione fondamentale: se la Repubblica, cioè, accetta l’apporto della pace religiosa che questo Concordato offre; badate bene, Concordato che nella premessa è dichiarato necessario complemento del Trattato che chiude la «Questione romana».
Politicamente, comunque la pensiate sul contenuto, è questa la questione che dovete decidere e che di fatto si decide votando sì, non per un emendamento o per l’altro. Votando favorevolmente all’articolo 7, a questa questione rispondiamo sì; votando contro – non so chi l’abbia detto, mi pare l’onorevole Lami Starnuti – votando contro, non siamo noi, egregi colleghi, che apriamo una battaglia politica, ma la aprite voi, o meglio, aprite in questo corpo dilaniato d’Italia una nuova ferita che io non so quando rimarginerà. (Applausi al centro). Auguro presto, ma non so. Evidentemente, aggiungiamo ai nostri guai un ulteriore guaio, il quale non può rafforzare il regime repubblicano.
Prima di passare alle minoranze, devo dire che l’emendamento Basso, nella sua sostanza, è naturalmente accettabile per noi, ma non basta (Commenti): forse sarebbe stato accettabile se fosse stato votato in Commissione, se non fosse avvenuta questa discussione, se ci fossimo fermati alla discussione formale. (Rumori). Ma qui disgraziatamente si è entrati nel merito della questione, si sono espressi dei giudizi sul Concordato, sulle relazioni fra Stato e Chiesa, ed è impossibile ormai evitare la questione attraverso una formula.
TONELLO. Siete voi che lo volete. (Rumori – Commenti – Interruzioni).
DE GASPERI. E veniamo alla questione delle minoranze. È stato parlato di menomazione morale di minoranze religiose. Noi, se è necessario, al momento opportuno siamo disposti a votare con voi per togliere dal Codice penale qualsiasi umiliazione alle minoranze. (Applausi al centro).
Riguardo ai cosiddetti culti minoritari, aggiungo che non solo aderisco al pensiero di decozione e di ammirazione per le vittime delle minoranze, sia israeliti, sia valdesi, pensiero espresso dall’onorevole Pajetta Giancarlo, ma dico che questo non è un pensiero di tolleranza, di collaborazione con le minoranze che mi viene in questo momento per ragioni di opportunità, ma è mia profonda convinzione.
L’onorevole Calamandrei si è riferito al mio viaggio in America e alle dichiarazioni che ho fatto, o che avrei fatto, al Direttorio delle Chiese protestanti o delle Chiese non cattoliche. Difatti, in una riunione importante, questi venerandi signori mi espressero la loro preoccupazione, chiedendo se noi intendevamo di inserire nella Costituzione la garanzia della libertà religiosa per il culto delle minoranze. E, poi, mi aggiungevano, con molta cortesia, alcune obiezioni riguardo al Trattato, dicendo: ma, come fate a garantirci questa libertà? Ed io ho detto, e mi pareva in quel momento essere interprete, più di quello che non sono, del Paese: badate, in Italia vi sono molti che criticano sia il contenuto sia l’origine del Trattato; però esso ha rappresentato la chiusura di un periodo che è costato all’Italia tante umiliazioni e tante rovine, e anche coloro che non sono d’accordo voteranno e accetteranno.
Una voce a sinistra. No, no. (Commenti).
DE GASPERI. Mi sono sbagliato se ho abbondato; però credo di averlo fatto con senno politico, ed aggiungo che oggi ai protestanti d’America deve giungere la nostra nuova assicurazione che in quest’articolo e nell’articolo 16 è garantita piena libertà, piena eguaglianza, e che non vi è da temere, da parte nostra, nessuna persecuzione, nessun ritorno ai tempi superati.
I Patti lateranensi tengono conto della realtà storica, ma non limitano la libertà per i non cattolici.
Alla fine della discussione, un venerando pastore, rettore di una Chiesa vicina, che si vedeva dal grattacielo, mi disse: «Ho sentito il suo discorso. Quando passa dinanzi a quella Chiesa ricordi che là dentro c’è un’anima che prega per lei e per l’Italia». Ho sentito profonda commozione da questa promessa di preghiera che veniva al Padre comune da uno che non è legato dal vincolo di religione con la Chiesa cattolica. E mi sono detto, perché è la verità, che tollerante è e deve essere chi crede. Lo scettico non dà nulla, non sacrifica nulla del suo per la convivenza sociale e per la carità cristiana. (Applausi al centro – Commenti a sinistra – Interruzione dell’onorevole Tonello). Credo solo di poter pronunciare con la stessa forza le convinzioni mie che sono venute non soltanto dalla educazione familiare, ma attraverso una lotta per riconquistare la fede; e venute soprattutto dall’esperienza di uomo politico e di uomo di Stato. Su questa esperienza fatta qui e in altri paesi mi sono fatta la convinzione che senza la fede e senza la morale evangelica le nazioni non si salvano, siano o non siano socialiste. (Vivissimi applausi al centro e a destra – Commenti a sinistra).
TONELLO. Cosa c’entra questo col Vangelo? (Commenti – Rumori).
DE GASPERI. Amici, siamo in un momento di grande solennità e di grande responsabilità, che non può venire menomato da qualche benevola interruzione dell’amico Tonello; siamo in un momento in cui noi costituenti della Repubblica italiana dobbiamo votare nell’interesse della Nazione e nell’interesse della Repubblica. Dobbiamo votare in modo che sia fatto appello al mondo libero degli Stati, al mondo che anche io so e dico che ci guarda. Il mondo che ci guarda si preoccupa che qui si crei una Costituzione di uomini liberi; il grande mondo cattolico si preoccupa che qui la Repubblica nasca in pace e in amicizia col Pontefice romano, il quale durante la guerra rivendicò la dignità umana contro la tirannia e stese le mani protettrici sui perseguitati di tutte le nazioni e di tutte le fedi e in modo particolare su coloro a cui si è riferito l’amico Lami Starnuti. (Vivissimi applausi al centro – Interruzioni a sinistra).
Amici, si è accennato qui alla comunanza che ci ha uniti nel momento del combattimento tra uomini di diversi partiti e qui ci sono parecchi che con me hanno trascorso un periodo insieme nel sottosuolo, come si usava dire. Ma c’è un fatto ancora più grandioso, ed è che nei momenti più difficili, nei momenti delle persecuzioni, soprattutto il Capo della Religione cattolica ci ha aiutato a salvare protestanti e israeliti. Ma c’è ancora di più: in certi conventi erano ammassati e nascosti cattolici, protestanti ed ebrei insieme. Si trovavano uniti la sera, nei momenti tragici e nei momenti delle minacce, da una preghiera suprema che è quella del Padre nostro comune. Questa è la nostra forza: se in Italia creeremo una norma di tolleranza per tutti, ma soprattutto una norma in cui si riconosca questa paternità comune che ci protegge e che protegga soprattutto la Nazione italiana. (Vivissimi, prolungati applausi al centro e a destra).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare, per dichiarazione di voto, l’onorevole Nenni. Ne ha facoltà.
NENNI. Onorevoli colleghi, l’appello che l’onorevole De Gasperi ha rivolto a tutti i repubblicani, perché meditino sulle conseguenze che un voto negativo all’articolo che stiamo discutendo potrebbe avere sulla pace, non soltanto religiosa, ma politica del Paese, non modifica la decisione che il Partito socialista italiano ha preso fin dal primo momento nei confronti di quello che fu l’articolo 5, ed è oggi l’articolo 7 del progetto di Costituzione.
Con la coscienza di fare il nostro dovere verso la Nazione e verso la Repubblica, noi voteremo contro l’articolo 7, per ragioni, ad un tempo, di principio e di coscienza.
Le ragioni di principio si richiamano alla nostra concezione dello Stato laico.
Siamo profondamente convinti che la pace religiosa è un bene altamente apprezzabile, ma per noi, la garanzia della pace religiosa è nello Stato laico, nella separazione delle responsabilità e dei poteri, per cui lo Stato esercita la sua funzione sovrana nel campo che gli è proprio, e garantisce alla Chiesa la sovranità della sua funzione nel campo che le è proprio.
Fuori di questo principio c’è la lotta, la lotta che noi non cerchiamo, non accettiamo, anche se convinti che, nell’intransigenza di cui ha dato prova la Democrazia cristiana nel corso di questa discussione, vi è un invito esplicito alla lotta. (Applausi a sinistra – Rumori al centro).
Il nostro caso di coscienza si pone in rapporto alle origini, al contenuto e all’interpretazione del Concordato. Per quanto si riferisce alle origini dei Patti lateranensi, sono convinto che non vi è nessun Deputato cattolico disposto a trovare un motivo di soddisfazione, nel fatto che sotto il Trattato del Laterano, vicino alla firma del Sommo Pontefice, vi è quella di Benito Mussolini, che non fu mai una cauzione di libertà e di democrazia. (Applausi a sinistra – Rumori al centro).
Sempre per quanto si riferisce alle origini dei Patti, nessuno ha in quest’aula approfondito l’analisi storica delle cause per cui il Trattato, che non si poté concludere nel 1917, nel 1919, nel 1920, lo fu nel 1929, accompagnandosi al sospetto di una collusione che pesa ancora sulla coscienza di molti italiani, come una macchia ed una vergogna. (Commenti al centro e a destra).
Circa il contenuto dei patti, noi avevamo preso l’impegno al nostro Congresso di Firenze del 1946 di non farci promotori di una denunzia globale o parziale del Concordato, almeno finché, nella coscienza del Paese non si sia formata la convinzione che, nel Trattato e nel Concordato, qualche cosa vi è che deve essere aggiornato e modificato.
Però, onorevoli colleghi della Democrazia cristiana, quando voi ci chiedete di consacrare la validità dei Patti lateranensi nel testo stesso della Costituzione, allora ci costringete ad aprire Trattato e Concordato, per vedere se in essi siano stipulate convenzioni che offendano la nostra coscienza di uomini, decisi sì a rispettare la vostra libertà di coscienza, ma anche a chiedervi di rispettare la nostra libertà di pensiero. (Applausi a sinistra).
E allora ci imbattiamo subito nell’articolo 1 del Trattato che noi non possiamo approvare, e al quale, forse, voi stessi oggi neghereste il vostro consenso. Dice l’articolo 1: «L’Italia riconosce e riafferma il principio consacrato nell’articolo 1 dello Statuto del Regno 4 marzo 1848, pel quale la religione cattolica, apostolica e romana è la sola religione dello Stato». Con ciò lo Stato italiano è abbassato al livello di Stato confessionale e chiesastico.
Se d’altro canto apriamo il Concordato, ci imbattiamo nell’articolo 36 che dice: «L’Italia considera fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica l’insegnamento della dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica». Noi non vogliamo aprire in sede di Costituzione la discussione su questo articolo assurdo. Nella vita è saggio e prudente sforzarsi di risolvere soltanto i problemi di maggiore urgenza; ed ho già detto da questo banco, nella discussione generale, come in questo momento la nostra maggiore sollecitudine sia indirizzata verso le questioni sociali della riforma agraria e della riforma industriale, senza perciò negare l’importanza dei problemi in discussione, sui quali a suo tempo ritorneremo. (Commenti al centro).
Può darsi, onorevoli colleghi, che sia proprio in considerazione delle discussioni future che voi cerchiate oggi di introdurre di soppiatto i Patti nella Costituzione. Ma allora, signori, voi elevereste contro la storia una barriera di carta pesta. La storia, se deve passare, passa anche al di sopra delle disposizioni scritte in una Carta costituzionale per sua natura contingente e non eterna. (Approvazioni a sinistra – Rumori al centro).
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, mi pare che se c’è una discussione in cui la tolleranza è d’obbligo, è proprio questa.
NENNI. Permettetemi di constatare, onorevoli colleghi del centro, che nessun argomento di carattere irrefutabile è stato addotto a sostegno della vostra tesi. L’argomento più debole, caro De Gasperi, è fornito delle tue statistiche. Appunto perché le statistiche sono quello che sono, appunto perché la religione cattolica abbraccia la quasi totalità del nostro popolo, voi non avete bisogno di particolari garanzie giuridiche a sostegno della garanzia di libertà per la Chiesa rappresentata dal vostro numero e dalla forza morale delle vostre conclusioni.
Del resto, anche su un altro punto l’argomentazione dell’amico De Gasperi è venuta incontro alle nostre preoccupazioni, ed è quando egli ha riconosciuto che l’emendamento Basso poteva essere accettato. Io dico che poteva e doveva essere accettato, e benché non abbia più speranza che alla fine di questo lungo dibattito si possa ritornare sulle decisioni prese, aggiungo che chi vuole sinceramente chiudere la questione religiosa, chi vuole assidere su basi incrollabili la pace religiosa, dovrebbe votare con noi l’emendamento Basso, il quale fu a suo tempo presentato alla Commissione e respinto dalla stessa maggioranza che si prepara stasera a votare l’articolo 7.
Come non ci ha convinto De Gasperi, così non ci avevano convinto le argomentazioni giuridicamente assai sottili dell’onorevole Dossetti. Anzi il tentativo di ridurre al minimo il settore d’attrito, senza la volontà positiva e concreta di cercare una formula di conciliazione, ci rende pensosi e perplessi. Noi siamo allora costretti a chiederci da dove viene, che cosa alimenta l’intransigenza cattolica.
Abituato a dire le cose come le penso, anche se ciò ha qualche volta degli inconvenienti, esprimo molto lealmente la convinzione che l’origine dell’intransigenza che ha reso impossibile fra di noi un onesto compromesso, che non fosse la rinuncia né da parte degli uni né da parte degli altri alle proprie convinzioni di principio, si deve ricercare nella pressione esercitata dall’Azione Cattolica e dall’Osservatore Romano. Nel corso delle polemiche di questi giorni l’Osservatore Romano ha sospeso sul nostro capo la minaccia che un voto contrario all’articolo 7 possa non soltanto turbare la pace religiosa, ma addirittura riaprire la questione romana. È l’Osservatore Romano che, ricollegandosi all’interpretazione data da Pio XI al nesso fra Trattato e Concordato (considerati in funzione l’uno dell’altro) e all’interpretazione fanaticamente confessionale che del contenuto del Concordato fu data nelle discussioni del 1929, ha smisuratamente allargato il campo del dibattito e riproposto il problema della questione romana che l’immensa maggioranza degli italiani considera chiuso e che resterà chiuso qualunque sia il voto che stiamo per dare.
Onorevoli colleghi, per queste ragioni noi voteremo contro l’articolo 7. Ma teniamo a riaffermare che la nostra concezione dello Stato laico e della scuola laica non costituisce una minaccia, una offesa, una menomazione per la libertà di coscienza e per i principî morali del cristianesimo.
Lo Stato laico considera la religione come un problema individuale di coscienza; esso non vuole né distruggere la religione né puntellarla, ma si mantiene nella sfera della sua sovranità senza invadere il campo delle filosofie e delle religioni.
In questo senso, noi abbiamo coscienza di contribuire – votando contro l’articolo 7 – alla pace religiosa del Paese.
Vi è poi, onorevoli colleghi, un elemento del dibattito che trascende il tema dei rapporti giuridici dei quali stiamo parlando da tanti giorni ed investe il principio stesso della vitalità dello Stato. L’onorevole De Gasperi ha detto che, sollecitandoci a votare l’articolo 7, aveva in animo il consolidamento della Repubblica. Non metto in dubbio la sincerità delle sue parole, ma penso che, per consolidare la Repubblica, bisogna fondare lo Stato e lo Stato non si fonda sul principio di una diarchia di poteri e di sovranità.
La Repubblica che abbiamo fondato avrà un senso ed un significato se continuerà, superandolo, il Risorgimento, non se tornerà indietro su quello che è stato acquisito dal Risorgimento.
Noi stiamo tornando indietro, cosa di cui siamo preoccupati come socialisti, ma soprattutto come italiani. Signori, umiliando lo Stato, voi umiliate la Repubblica e la Nazione, che noi vogliamo forti perché possano assolvere alla loro missione sociale e politica. (Vivi applausi a sinistra).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare, per dichiarazione di voto, l’onorevole Bonomi Ivanoe. Ne ha facoltà.
BONOMI IVANOE. La mia dichiarazione di voto sarà brevissima, ma è necessario che sia fatta anche a conclusione dei tentativi di conciliazione fra le parti politiche, fatti da me insieme agli amici Nitti ed Orlando.
Si sono pronunziati molti discorsi di critica alla formulazione dell’articolo in votazione, e si è anche rilevata la incompatibilità di talune disposizioni dei Patti lateranensi con talune proposte della nuova Costituzione.
Io dichiaro subito che non entro in questo vasto dibattito pur non disconoscendone l’importanza. Ma qui, lasciatemi dire, per l’ampiezza della discussione, per la sua impostazione, e per le stesse parole che si sono dette oggi nell’aula, non si tratta di tecnica costituzionale e di questioni meramente giuridiche: si tratta di un voto politico sui Patti del Laterano.
Ora nessuno può mettere in dubbio che quei Patti, che prima ancora che il fascismo li concludesse per i suoi fini particolari erano già in germe nel pensiero del liberalismo italiano – e le rivelazioni fatte dagli onorevoli Nitti ed Orlando ne sono prova inconfutabile – hanno portato a due risultati di rilevanza eccezionale.
Anzitutto essi hanno chiuso per sempre la questione romana che, sorta e agitata durante il nostro Risorgimento, s’era trascinata per mezzo secolo, dalle cannonate di Porta Pia alle sempre reiterate proteste della Santa Sede.
In secondo luogo quei Patti hanno posto i rapporti fra lo Stato e la Chiesa cattolica, Chiesa che raccoglie la grande maggioranza degli italiani, sulla base salda di accordi bilateralmente concordati.
Questo è, o signori, il significato storico dei Patti lateranensi, significato che tutti i partiti hanno riconosciuto, giacché rilevo, e la constatazione ha per me una importanza decisiva, che nessuna delle parti politiche che sono in quest’aula ha chiesto la revoca di quei Patti, i quali, eliminando un motivo storico di dissidio, hanno assicurato all’Italia la pace religiosa.
È per questa considerazione politica che, superando le critiche che sono state mosse all’articolo in votazione, dichiaro, anche a nome dei miei amici, di votare l’articolo stesso così come ci viene proposto dopo i faticosi dibattiti della nostra Commissione.
Però, nel dare il mio voto favorevole, desidero mettere in rilievo, anche a nome di molti colleghi che hanno il mio medesimo pensiero, che l’articolo 7, nella sua lettera e nel suo spirito, come del resto ha detto l’onorevole De Gasperi, non ostacola quelle eventuali modificazioni delle norme concordatarie che le Alte Parti contraenti ritenessero di comune accordo necessarie al fine di mantenere ai patti stessi una vitalità conforme al nuovo spirito della Repubblica italiana.
Onorevoli colleghi, riconosciamo e confermiamo ciò che la storia ha creato, ma lavoriamo concordi perché nel solco tracciato dal passato sorga e si svolga l’avvenire. (Applausi).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Togliatti. Ne ha facoltà.
TOGLIATTI. (Segni di attenzione). Signor Presidente, signore, onorevoli colleghi. Siamo giunti al termine, non di una lotta, ma di un dibattito, di una discussione elevata, ardente, appassionata, la quale ha profondamente interessato non soltanto questa Assemblea, ma tutto il Paese.
Arrivati a questo punto, una dichiarazione, non direi di voto, ma tale che precisi la posizione politica dei differenti partiti, è doverosa, e noi ringraziamo il nostro Presidente di averci permesso di fare questa dichiarazione in questo modo, affinché essa possa essere abbastanza ampia e motivata, tale da non lasciare nessun dubbio in nessuno.
Doverosa è la dichiarazione di voto, da parte nostra, di fronte all’Assemblea, doverosa di fronte al nostro partito, doverosa di fronte alle masse di lavoratori e cittadini che ci seguono, che ci hanno dato la loro fiducia, mandandoci qui come rappresentanti della Nazione.
L’articolo che sta davanti a noi consta di tre parti. A proposito della terza, il nostro Gruppo ha presentato degli emendamenti, anzi un emendamento, il quale potrà essere concordato e posto ai voti insieme con l’emendamento presentato da altri autorevoli colleghi.
Non abbiamo avuto nessuna difficoltà, sin dall’inizio, ad approvare la prima parte dell’articolo, quella nella quale si dice che lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.
Non solo non abbiamo avuto difficoltà, ma i colleghi della prima Sottocommissione ricordano senza dubbio che questa formulazione è stata data da me stesso.
E qui permettetemi un ricordo.
L’onorevole Dossetti, riferendosi a questa prima parte dell’articolo che stiamo discutendo, cercando di darne una giustificazione dottrinaria, diceva che questa si può trovare in un corso di diritto ecclesiastico, tenuto precisamente nel 1912, all’università di Torino, dal senatore Francesco Ruffini.
Voi mi consentirete di ricordare all’onorevole Dossetti che sono stato allievo di quel corso, che l’ho frequentato quel corso, che ho dato l’esame di diritto ecclesiastico su quelle dispense che egli ha citato e lodato. È, forse, per questo che non ho trovato difficoltà a dare quella formulazione. Ricordo però anche che quelle lezioni non erano frequentate soltanto da me. Veniva alle volte e si sedeva in quell’aula, un uomo, un grande scomparso, amico e maestro mio, Antonio Gramsci, e uscendo dalle lezioni e passeggiando in quel cortile dell’università di Torino, oggi semidistrutto dalla guerra, egli parlava con me anche del problema che ci occupa in questo momento, del problema dei rapporti fra la Chiesa cattolica e lo Stato italiano. Eravamo allora entrambi giovanissimi, entrambi all’inizio della nostra vita politica e ci sforzavamo di individuare quali erano le origini e quali avrebbero potuto essere le sorti future di quel contrasto tra lo Stato e la Chiesa che allora era ancora per gran parte in atto in Italia, ma che in parte era superato o si stava superando, e ricordo che Gramsci mi diceva che il giorno in cui si fosse formato in Italia un governo socialista, in cui fosse sorto un regime socialista, uno dei principali compiti di questo governo, di questo regime, sarebbe stato di liquidare completamente la questione romana garantendo piena libertà alla Chiesa cattolica.
Ripeto che la prima parte di questo articolo non offre per noi nessuna difficoltà.
E vengo alla seconda parte, che è quella a proposito della quale hanno avuto luogo i più ampi dibattiti ed avrà luogo lo schieramento più importante in quest’aula. Qui si tocca il fondo del problema dei rapporti fra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica. Ora, di questo problema noi non ci siamo interessati soltanto oggi né soltanto nel corso delle discussioni della prima Sottocommissione e della Commissione dei 75. Fin dall’inizio del 1946, quando si tenne in Roma il V Congresso del nostro Partito, dedicammo una parte non trascurabile dei nostri dibattiti all’esame di questo problema, e la nostra posizione venne allora definita così nel rapporto che io tenni al Congresso. Permettetemi di citare.
«Poiché l’organizzazione della Chiesa, dicevo io allora, continuerà ad avere il proprio centro nel nostro Paese e poiché un conflitto con essa turberebbe la coscienza di molti cittadini, dobbiamo regolare con attenzione la nostra posizione nei confronti della Chiesa cattolica e del problema religioso. La nostra posizione è anche a questo proposito conseguentemente democratica. Rivendichiamo e vogliamo che nella Costituzione italiana vengano sancite le libertà di coscienza, di fede, di culto, di propaganda religiosa e di organizzazione religiosa. Consideriamo queste libertà come le libertà democratiche fondamentali, che devono essere restaurate e difese contro qualunque attentato da qualunque parte venga. Oltre a questo però esistono altre questioni che interessano la Chiesa e sono state regolate coi Patti del Laterano. Per noi la soluzione data alla questione romana è qualcosa di definitivo, che ha chiuso e liquidato per sempre un problema. Al Trattato del Laterano è però indissolubilmente legato il Concordato. Questo è per noi uno strumento di carattere internazionale, oltre che nazionale, e comprendiamo benissimo che non potrebbe essere riveduto se non per intesa bilaterale, salvo violazioni che portino l’una parte o l’altra a denunciarlo. Questa nostra posizione è chiara e netta. Essa toglie ogni possibilità di equivoco e impedisce che fondandosi sopra un equivoco si possano avvelenare o intorbidare i rapporti fra le forze più avanzate della democrazia, che seguono il nostro partito, e la Chiesa cattolica».
Come vedete, vi sono qui alcune affermazioni fondamentali, alle quali abbiamo il dovere di rimanere coerenti, alle quali ci siamo sforzati di rimanere coerenti, alle quali credo che siano rimasti coerenti fino ad ora.
Prima affermazione fondamentale: la rivendicazione delle libertà di coscienza, di fede, di culto, di propaganda religiosa e di organizzazione religiosa. Il progetto di Costituzione, per questa parte, ci sodisfa. Noi appoggeremo tutte quelle proposte le quali tenderanno a rendere sempre più tranquille le coscienze di tutti i credenti di tutte le fedi, garantendo loro tutte le libertà di cui hanno bisogno per esplicare il loro culto e svolgere la loro propaganda.
Seconda affermazione: consideriamo definitiva la soluzione della questione romana, e non vogliamo in nessun modo riaprirla.
Terza affermazione: riteniamo che il Concordato sia uno strumento bilaterale e che solo bilateralmente potrà essere riveduto.
Nel corso dei dibattiti della prima Sottocommissione e della Commissione dei Settantacinque, ci siamo costantemente attenuti a questi principî, ed anche nel mio intervento, e negli interventi degli altri colleghi del mio Gruppo, nel dibattito generale sulla Costituzione e nel dibattito su questa parte della Costituzione stessa, queste sono le posizioni che noi abbiamo affermate.
Abbiamo, però, sollevato, in pari tempo, alcune questioni che ci preoccupavano e che ci hanno incominciato a preoccupare particolarmente – ed in questo concordo col giudizio dato dal collega Nenni – quando ci si chiese di inserire come tali, e il Trattato e il Concordato, nella nostra nuova Costituzione attraverso un esplicito richiamo.
Precisamente, le questioni che ci preoccupavano erano quella della firma e quella di alcune determinate norme, sia del Trattato sia del Concordato, in cui trovavamo un contrasto con altre norme della Costituzione, da tutti noi insieme volute e approvate preliminarmente nelle Commissioni. Questa contradizione apriva un problema; poneva un interrogativo. Mai abbiamo parlato di una denuncia o dell’uno o dell’altro dei due strumenti diplomatici che sono legati insieme in quel complesso che viene chiamato «Patti del Laterano». Le stesse preoccupazioni nostre, del resto, in maggiore o minore misura, abbiamo sentito esprimere da tutti, anche dai colleghi di parte democristiana, quando sono intervenuti nel dibattito. Tutti hanno riconosciuto, credo senza eccezioni, per quanto con maggiore o minor vigore, la fondatezza almeno di una parte delle esigenze presentate sia da noi che da altri colleghi di questa parte. In pari tempo abbiamo affermato sin dall’inizio, raccogliendo un appello venuto dal Presidente Orlando, il nostro desiderio che si trovasse di tutta questa questione una soluzione attorno alla quale potesse venire realizzata, se non l’unanimità, per lo meno la grande maggioranza di questa Assemblea. Questo infatti ritenevamo fosse necessario, anzi quasi indispensabile, per consolidare la pace religiosa del nostro Paese. In questo senso ci siamo mossi nelle conversazioni e trattative che hanno avuto luogo negli scorsi giorni tra noi e i rappresentanti di altri Gruppi dell’Assemblea. Diverse formule sono state presentate e vagliate nel corso di queste conversazioni. Una di esse, la quale aveva l’autorevole appoggio dell’onorevole Orlando, passava dall’affermazione: «i rapporti ecc. ecc. sono regolati» all’affermazione: «la Repubblica riconosce e conferma i Patti lateranensi». Questa formula, pur essendo per determinati aspetti più tassativa, direi anche più impegnativa dell’altra, pure sodisfaceva una delle nostre esigenze, quella del cambio della firma. Al posto di quella del fascismo, subentrava la firma della Repubblica. Non siamo però riusciti a venire all’accordo su questa formula, così come non eravamo riusciti precedentemente a trovare un accordo sopra altre formule le quali tenevano conto di esigenze allacciate, come ho detto, da tutte le parti, anche dalla parte democristiana.
Ho sentito testé l’onorevole De Gasperi affermare che per lo meno una di queste formule, quella sostenuta dall’onorevole Basso, avrebbe potuto essere accettata, se non si fosse impegnata su di essa una discussione impegnativa prima che la cosa venisse davanti all’Assemblea. Mi permetta, onorevole De Gasperi, ma ciò che ella ha detto è una svalutazione diretta dell’Assemblea. I dibattiti che precedono preparano i dibattiti nell’Assemblea; ma qui si decide ogni questione, qui ogni formula deve essere pesata, valutata, accettata o respinta. In questo sta la sovranità della nostra Assemblea. (Applausi).
Da ultimo, quando vedemmo che nessuna delle formule presentate era tale che, essendo accettata dalla parte democristiana, ci consentisse di avere quella larga maggioranza o di raggiungere anche quell’unanimità che avremmo voluto si raggiungesse nell’interesse del Paese, si discusse della possibilità di presentazione di un ordine del giorno il quale, a conclusione del dibattito, mettesse in valore l’importanza, il peso di esso nella vita nazionale, pur non dicendo in sostanza nulla di più e nulla di meno di quanto diceva l’articolo 7 e di quanto nel corso del dibattito quasi concordemente era stato detto da tutti.
L’ordine del giorno venne formulato da un autorevole parlamentare e sodisfaceva molti di noi. Anche esso, però, alla fine venne respinto. Nemmeno in quella direzione trovammo quella via di uscita che stavamo cercando, e ciò non ostante avessimo affermato – e tutti lo riconoscevano insieme con noi – che l’approvazione di un simile ordine del giorno, pur non aggiungendo e non togliendo nulla all’articolo, sarebbe stata un atto politico importante, che avrebbe facilitato l’opera necessaria a raggiungere i più larghi consensi possibili e forse l’unanimità.
In nessun modo, dunque, siamo riusciti a metterci d’accordo. Perché? Perché ci siamo trovati ad un certo momento e ci troviamo ora in una specie di vicolo cieco? Perché il nostro dibattito è arrivato a questo punto di evidente drammaticità?
Onorevoli colleghi, qui si pone un problema profondo, che io formulerei a questo modo: in sostanza con chi è il dibattito? Fra noi e i colleghi di parte democristiana? Non credo.
I colleghi di parte democristiana alle volte parlano presentandosi come unici difensori della libertà della coscienza religiosa delle masse cattoliche. Non credo che alcuno dei partiti di sinistra voglia lasciare loro la esclusività di questa funzione.
Anche nel nostro partito esistono, e credo per la maggioranza degli iscritti, i cittadini cattolici e noi siamo assertori e difensori della libertà della loro coscienza religiosa. È vero, noi difendiamo questa libertà come partito democratico, moderno, progressivo, comunista, se volete; ma, ad ogni modo, la difendiamo. Non lasciamo a voi la esclusività di questa funzione.
Anzi, mi pare che il dibattito sia stato un po’ viziato dal fatto di esser diventato un dibattito con voi, colleghi democristiani, mentre non lo è. In fondo, il dibattito è tra Assemblea Costituente italiana e un’altra parte, l’altra parte contraente e firmataria dei Patti del Laterano. Questa è la realtà, che dobbiamo guardare in faccia se vogliamo comprendere bene di che si tratta e quello che dobbiamo fare.
Qui è avvenuto però un fatto spiacevole. È avvenuto che da tutti i settori dell’Assemblea, compreso il vostro, si è detto che un determinato ritocco di alcune norme dei Patti, in un momento determinato, con le forme opportune, sarebbe desiderabile e dovrebbe potersi fare. Ecco una voce unanime, o quasi, che esce dal luogo dove siedono i rappresentanti della Nazione. Questa voce, però, non è andata più in là.
Onorevole De Gasperi, qui è mancato qualcosa, è mancato, più che l’intermediario, il rappresentante autorizzato di questa voce, che è la voce della Nazione, che si sia presentato all’altra parte, le abbia significato quello che qui si pensa e sia in grado ora di significare a noi quello che da noi quest’altra parte richiede. Non siamo infatti autorizzati a credere che la vostra opinione di partito sia opinione autorizzata dall’altra parte.
In questo dibattito, insomma, abbiamo sentito l’assenza, quell’assenza che lamentava anche l’onorevole Orlando, del governo. La democrazia italiana in questa occasione non è stata guidata da un governo, il quale si sentisse legittimo rappresentante di quella opinione democratica e repubblicana, che qui in modo unanime espresse una stessa esigenza, pure con sfumature diverse riguardo all’intensità. E forse questo è il male che succede in tutti i Paesi, quando si agitano questioni di questa natura e il partito dirigente è il Partito democristiano. (Commenti).
L’onorevole De Gasperi ha parlato, ed io mi aspettavo parlasse come Capo del governo. Se avesse parlato come Capo del governo dicendoci: «Così si pone il problema; questo è da farsi nell’interesse nazionale», lo avrei applaudito. Egli ha avuto invece, come uomo di governo, un unico accenno alla necessità di consolidare il regime repubblicano.
Onorevole De Gasperi, questo accenno l’abbiamo compreso; l’avevamo anzi già compressi prima.
Ripeto: avremmo voluto che l’onorevole De Gasperi non parlasse qui, come ha parlato, quale esponente del Partito democristiano o, ancora di meno, come esponente della coscienza cattolica, la quale non si estrinseca né si può estrinsecare in un solo partito; ma che, per tramite suo, tutto il nostro dibattito fosse guidato da un rappresentante autorizzato di tutta la Nazione, cioè dal nostro governo, democratico e repubblicano.
Questo non è avvenuto; e dobbiamo dolercene. Siamo dunque costretti, per conoscere la posizione dell’altra parte, a leggere il suo organo autorizzato ufficiale l’Osservatore Romano.
L’onorevole Nenni ne ha parlato come d’un giornale tra gli altri. No, questo non è esatto e questo non basta. Permettetemi di parlare dell’Osservatore Romano come dell’esponente autorizzato dell’altra parte. Esso è l’unica voce, l’unico mezzo che abbiamo per conoscere che cosa pensa la Santa Sede, la quale è firmataria, insieme con i rappresentanti di allora dello Stato italiano, degli atti di cui stiamo discutendo.
Orbene, le affermazioni a questo proposito dell’organo ufficiale autorizzato della Santa Sede non sono equivoche. Prendo soltanto quattro degli articoli consacrati, in date diverse, alla trattazione di questo problema dall’Osservatore Romano e vi trovo le stesse affermazioni.
Il 13 di marzo: «Simile omissione (l’omissione del richiamo al Trattato e al Concordato nella Costituzione) significherebbe nella realtà… non un silenzio, non una lacuna, ma una minaccia, un pericolo. La minaccia alla pace religiosa, il pericolo di vederla turbata per la possibilità che lo sia».
lì 19 dello stesso mese: «Questo eventuale diniego (si tratta sempre del diniego del richiamo esplicito ai Patti), il sostenerlo necessario, il presagirlo possibile, turba già la pace e l’unità spirituale del popolo, il quale può ben pensare fin d’ora che tale pace, tale unità è minacciata per l’avvenire, se al suo unico fondamento si vuol… togliere la sicurtà costituzionale».
Il 20 e il 21 dello stesso mese: «Per quanto si protesti fin d’ora di non voler cadere nell’anticlericalismo di maniera, né in una lotta contro la religione, tuttavia (se si esclude dall’articolo 5 il richiamo costituzionale ai Patti lateranensi), pace religiosa… certissimamente non sarà, purtroppo».
Il 22 di marzo: «Se realmente si vuole che nessuna lotta a carattere religioso turbi il faticoso rinnovamento della Patria, perché mai così manifesto timore di riaffermare, in un momento e in un documento solenne, l’efficacia di Patti sottoscritti non soltanto tra un governo ed altro governo, tra uno Stato ed altro Stato, bensì tra il popolo italiano e la sua fede e la sua Chiesa?».
Non vi è dubbio che ci troviamo di fronte a un’esplicita manifestazione di volontà dell’altra parte, della Chiesa cattolica, della Santa Sede. Ed è questo il punto da cui dobbiamo partire, onorevoli colleghi, nel determinare la nostra posizione. Questo è il punto da cui dobbiamo partire, dal momento che tutte le questioni da noi precedentemente sollevate sono state sempre subordinate a una esigenza fondamentale, quella di non turbare la pace religiosa del nostro Paese.
Esisteva o no la pace religiosa prima di oggi, prima del crollo del fascismo, prima della disfatta? Si può discutere, si può vedere come sono andate le cose storicamente.
Nel 1929, quando i Patti lateranensi furono firmati, non c’è dubbio che, nonostante tutto il precedente lavorio preparatorio compiuto da uomini politici di marca democratica e di fede liberale, non c’è dubbio che quell’accordo, concluso in quel momento, fece veramente pesare sul nostro Paese – permettetemi l’espressione romantica – l’ombra funesta del triste amplesso di Pietro e Cesare. Lo sentimmo chiaramente noi, che dirigevamo la lotta antifascista della parte avanzata del popolo italiano. Sentimmo che, nonostante che oggi si interpreti l’espressione «uomo della Provvidenza» dicendo che si trattava di riferirsi a quella virtù che la Provvidenza ha di mandare uomini buoni e uomini cattivi, allora «uomo della Provvidenza» fu inteso come uomo «provvidenziale»
Poi le cose cambiarono, senza dubbio. Questa prima impressione si attutì; qualche posizione fu conquistata e consolidata da noi; qualche posizione fu perduta dal fascismo; la nostra lotta per la democrazia, per la libertà contro la tirannide si sviluppò; gli uomini si svincolarono da quella primitiva impressione. Arrivammo così alla guerra di liberazione, nella quale avemmo profonda l’impressione che la pace religiosa veramente ci fosse. Vedemmo infatti nelle nostre unità partigiane operai cattolici affratellati con militanti comunisti e socialisti; vedemmo nelle unità comandate dai migliori tra i nostri capi partigiani, i cappellani militari, sacerdoti, frati, accettare la stessa nostra disciplina di lotta. Tutto questo ci permetteva di ritenere che la pace religiosa fosse stata raggiunta. Per questo chiudemmo quella pagina; né avevamo alcuna intenzione di riaprirla. Non solo, ma arrivammo a quel grande successo, a quella grande vittoria che è stata l’unità sindacale, giungemmo alla conclusione di un patto di unità sindacale fra le grandi correnti tradizionali del movimento operaio italiano: la corrente comunista, la corrente socialista e la corrente cattolica. Poi ci fu il 2 giugno, che segnò senza dubbio un passo addietro, per gli episodi di cui tutti fummo testimoni; per i motivi che tutti sappiamo. E ora siamo di fronte all’avvenire e a difficoltà nuove per il nostro Paese: siamo di fronte a problemi economici e politici che si stanno accumulando e intrecciando l’uno con l’altro. In questa situazione, abbiamo bisogno della pace religiosa, né possiamo in nessun modo consentire a che essa venga turbata.
Ora, il contrario del termine «pace» è «guerra.» È vero che per fare la guerra bisogna essere in due e che una delle parti può sempre dichiarare – come fai tu, compagno Nenni – «noi la guerra non la vogliamo»; ma per dichiararla, la guerra, basta uno solo. Di questo bisogna tener conto.
Questa è la situazione reale, di fatto, che oggi esiste, e noi, Partito comunista, che dal momento in cui abbiamo incominciato ad agire legalmente nel Paese, sempre abbiamo avuto tra i nostri principali obiettivi quello di mantenere la pace religiosa, non possiamo trascurare questa situazione, anzi dobbiamo tenerne conto e adeguare ad essa la nostra posizione e, di conseguenza, il nostro voto.
E qui la mia dichiarazione di voto potrebbe trasformarsi in un appello: potrei rivolgermi ai colleghi socialisti, ai colleghi di altre parti, invitandoli a votare con noi, a votare come noi voteremo. (Interruzioni – Commenti). Essenzialmente però noi votiamo tenendo conto della nostra responsabilità; e comprendiamo benissimo che la responsabilità nostra è più grave forse di quella di qualsiasi altro membro di questa Assemblea: è certamente più grave di quelli che posso considerare come degli isolati, dell’onorevole Lussu, dell’onorevole Crispo, o dell’onorevole Condorelli, che non sono a capo di grandi partiti; anche, vorrei dire, dell’onorevole Benedetto Croce, che è passato in quest’aula come un’ombra, l’ombra di un passato molto lontano! La nostra responsabilità è più grande, in sostanza, anche di quella dei colleghi socialisti, perché non siamo soltanto partito della classe operaia, ma siamo considerati come il partito più avanzato dei lavoratori, e in sostanza la maggioranza della classe operaia orienta la sua azione a seconda del modo come il nostro partito si muove.
Per questo non è soltanto alla nostra coscienza e convinzione personale, individuale che noi ci richiamiamo, come si richiamano altri colleghi, nel decidere il nostro voto. Essenzialmente facciamo appello a questa nostra responsabilità politica, e al modo come noi realizziamo la linea politica che ci siamo tracciata nella attuale situazione del nostro Paese.
La classe operaia non vuole una scissione per motivi religiosi, così come non vuole la scissione fra noi e i socialisti. Noi siamo dunque lieti, anche se voteremo differentemente dal partito socialista, che questo fatto non apra un contrasto fra di noi. In pari tempo però sentiamo che è nostro dovere fare il necessario perché una scissione e un contrasto non si aprano tra la massa comunista e socialista da una parte e i lavoratori cattolici dall’altra.
Abbiamo avuto stamane i risultati della votazione svoltasi in preparazione del congresso confederale alla Camera del lavoro di Milano. Si sono avuti 327.000 voti per i comunisti, 152.000 per i socialisti e 106.000 per i democristiani. Orbene, vogliamo noi che tra questa massa di 106.000 operai che segue la democrazia cristiana e la rimanente massa di tre o quattrocento mila operai che non seguono la Democrazia cristiana, ma di cui molti sono cattolici, si apra un contrasto proprio oggi, in un momento in cui questioni così gravi sono poste davanti a noi, in cui è soprattutto necessario che le forze del lavoro siano unite? (Commenti). Non solo, ma io ritengo che la classe operaia, che noi qui rappresentiamo, o almeno quella parte di lavoratori che è rappresentata da noi, sia interessata a che sia mantenuta e rafforzata la unità morale e politica della Nazione, sulla base di una esigenza di rinnovamento sociale e politico profondo. Anche di questo interesse e di questa esigenza noi teniamo conto.
E qui avrei finito, onorevoli colleghi; avrei finito se la posizione assunta dal nostro Partito in questa discussione, e soprattutto nelle conversazioni che hanno avuto luogo nei giorni scorsi, non fosse stata al centro di una particolare attenzione e nella stampa e nell’Assemblea.
Forse mi permetterete di dedicare qualche minuto ancora all’esame delle critiche e delle obiezioni che ci sono state fatte, tanto più in quanto ciò mi permetterà di chiarire ancora meglio la nostra posizione e trarne tutto il succo.
Lascerò da parte le volgarità, gli articoli come quelli che scriveva l’altro giorno un illustre camaleonte, il signor Mario Missiroli, domandandosi che cosa c’è sotto all’atteggiamento dei comunisti, eventualmente favorevole al voto dell’articolo 5 o dell’articolo 7, nella forma in cui questo articolo viene presentato. L’autore di questo scritto argomenta lungamente e argomenta, naturalmente, in termini di hegelismo. Ma l’hegelismo l’abbiamo studiato anche noi, anche noi ce la sappiamo cavare con queste formulette, e soprattutto sappiamo come molte volte esse vengano adoperate esclusivamente per coprire una specie di cinismo, come quello di cui dà prova questo signore che accusa noi di non avere una coscienza etica dello Stato, perché saremmo disposti anche ad accettare la formula dell’articolo 5 così come ci è stata presentata: proprio lui che, per esaltare i Patti del Laterano, scrisse un intero volume che, si dice, ebbe il personale plauso di Mussolini!
È evidente che lezioni di etica da un camaleonte non le prendiamo.
Ma, eleviamoci in un’atmosfera superiore: paullo majora canamus.
Anche in quest’aula, la questione del nostro atteggiamento è stata posta, e prima di tutto dall’onorevole Orlando, il quale ha detto: «Non vorrei collocarmi più a sinistra dei comunisti». Che cosa è destra e che cosa è sinistra non sempre è facile dirlo in politica, onorevole Orlando. Ad ogni modo, non ho ben capito se, quando ella usava quella espressione, intendeva esprimere una perplessità sua circa la posizione che ella doveva prendere, oppure se avesse voluto che noi ci collocassimo un po’ più a sinistra per far posto a lei. (Si ride). Insomma, vi è qualcuno che avrebbe voluto ad ogni costo che fossimo noi a condurre questa battaglia. No, signori: noi conduciamo le battaglie che sembra a noi debbano essere combattute, e quando riteniamo che per consolidare l’unità politica e morale della Nazione debba essere presa una determinata posizione, la prendiamo, lo diciamo chiaramente e ci assumiamo tutte le responsabilità che ne derivano.
Ma anche l’onorevole Nitti ci ha fatto oggetto della sua critica e delle sue benevole osservazioni. L’onorevole Nitti si è lusingato di darci una piccola lezione di interpretazione del marxismo. Onorevole Nitti, siamo sempre disposti ad accogliere tutte le lezioni. Però, quando si tratta di una interpretazione del marxismo, diretta allo scopo di determinare la nostra politica, questa lezione ce la diamo fra noi. La sede di essa è il nostro Comitato centrale, sono gli organi dirigenti del nostro Partito. Se ella crede di entrare nel nostro Partito (Ilarità), forse potrà anche collaborare alla elaborazione della dottrina marxista nei riflessi e nelle applicazioni che questa comporta nella vita politica di oggi. La porta non è chiusa per nessuno, e non è detto che ella non possa rapidamente superare i gradini che portano anche alle più alte cariche del Partito, in modo che ella possa dare il suo contributo alle direttive di azione di un Partito che si sforza di applicare alla situazione attuale precisamente i principi del marxismo. (Si ride).
Ma lasciamo giù scherzi, onorevole Nitti, ella ha detto una cosa che io non accetto: ella ha detto che i regimi socialisti non si conciliano con l’esistenza della religione. Non è vero: e questo è il punto che desidero chiarire meglio, perché illumina nel modo migliore la nostra posizione di oggi.
Vi è una sola esperienza in proposito, l’esperienza dell’Unione Sovietica. È evidente che nel corso della sua esistenza, l’Unione Sovietica ha dovuto attraversare differenti periodi, anche per questo riguardo. Ma che cosa avvenne in quel paese? Avvenne che la Chiesa cristiana ortodossa, l’unica Chiesa ivi esistente, per il suo orientamento politico e per il tipo stesso della organizzazione, era strettamente vincolata al vecchio regime zarista, a quel regime di oppressione economica, politica e sociale, a quel regime di tirannide che era uno dei più arretrati, inumani e barbari di quei tempi.
Gli esponenti della Chiesa ortodossa ritennero di dover prendere la difesa del regime zarista e delle forze sociali che esso esprimeva, contro le masse di operai, di contadini, di intellettuali avanzati, che volevano rinnovare profondamente, su una base socialista, il loro Paese, e adempivano questo compito edificando un nuovo Stato, uno Stato socialista. Ebbene, il nuovo Stato accettò la lotta e vinse. Vinse, e non poteva non vincere, come non possono non vincere tutti i regimi che attuano profonde trasformazioni politiche e sociali, quando queste sono mature nella coscienza popolare e nello sviluppo stesso delle cose. Vinse, e la Chiesa ortodossa ne subì, per un periodo di tempo abbastanza lungo, le conseguenze.
Però noi vedemmo, già prima dell’ultima guerra, che la situazione era cambiata; e nel corso della guerra non soltanto funzionarono regolarmente, liberamente le istituzioni religiose, ma il sentimento religioso agì come stimolo alla lotta eroica delle grandi masse della popolazione di tutte le parti della Russia per la difesa della patria socialista minacciata nella sua esistenza dalle orde dell’invasione tedesca e fascista. Oggi esiste in Russia un regime di piena libertà religiosa (Commenti), e il regime socialista si rivela perfettamente conciliabile con questa libertà.
Questo, colleghi democristiani, è il punto al quale io volevo arrivare, perché da esso traggo due insegnamenti: il primo è che non vi è contrasto fra un regime socialista e la coscienza religiosa di un popolo; il secondo è che non vi è nemmeno contrasto fra un regime socialista e la libertà religiosa della Chiesa, e in particolare di quella cattolica.
Questa è la posizione di principio più profonda, che non solo giustifica, ma spiega la posizione che noi prendiamo in questo voto. Vogliamo rendere sempre più evidente al popolo italiano questa verità. Quindi è inutile che vi poniate delle domande superflue: è inutile vi domandiate cosa c’è sotto. Non c’è sotto nient’altro che questo: il nostro voto sarà dato secondo convinzione e per disciplina: per disciplina a una linea politica, secondo la convinzione che questa politica è quella che meglio corrisponde agli interessi della Nazione italiana.
Si dice che verrà chiesto un voto segreto, oppure che voteremo pubblicamente per appello nominale. Il nostro voto non cambierà, sia che si voti in segreto, sia che si voti apertamente. Non vi sono in noi preoccupazioni elettorali se non nel senso di tener fede alle assicurazioni che abbiamo dato agli elettori che hanno votato per noi… (Commenti animati – Interruzioni).
Una voce. Non ci crediamo!
TOGLIATTI. Onorevoli colleghi della Democrazia cristiana, la vostra intolleranza è utile. (Commenti). Essa serve a dimostrare la validità delle argomentazioni dei vostri contradittori. Ho cercato di dimostrare prima che è stato un inconveniente per noi aver dovuto trattare con voi e non direttamente con altre parti. Voi mi state dando la prova che ho ragione. Sono convinto che in un consesso di prelati romani sarei stato ascoltato sino alla fine con più sopportazione di quanto voi non mi abbiate ascoltato. (Commenti prolungati al centro).
PRESIDENTE. Mi sembra che i commenti siano già stati troppo lunghi. Permettano che l’onorevole Togliatti riprenda il suo discorso.
TOGLIATTI. Si è anche parlato di una eventuale minaccia di un appello al Paese, attraverso un referendum, o un plebiscito, minaccia che determinerebbe il nostro atteggiamento. Anche questo non è vero. Qualora noi ritenessimo che vi è una questione o un dissenso che bisogna portare dinanzi al popolo, noi stessi chiederemmo il referendum. E del resto, colleghi di parte monarchica, abbiamo vinto già una volta un referendum: siamo disposti a vincerne un altro. (Commenti).
Una voce a destra. Bene, si faccia il referendum!
CONDORELLI. Ne prendiamo atto.
TOGLIATTI. I motivi per i quali, visti fallire i nostri tentativi per arrivare attraverso una modificazione delle formule presentate o attraverso la presentazione di un ordine del giorno successivo al voto dell’articolo, i motivi per i quali, visti fallire questi tentativi, il Gruppo parlamentare comunista ha deciso di votare per la formula che viene presentata, sono dunque motivi profondi, che investono tutto l’orientamento politico del nostro Partito.
La nostra lotta è lotta per la rinascita del nostro Paese, per il suo rinnovamento politico, economico e sociale. In questa lotta noi vogliamo l’unità dei lavoratori, prima di tutto, e attorno ad essa, vogliamo si realizzi l’unità politica e morale di tutta la Nazione. Disperdiamo le ombre le quali impediscono la realizzazione di questa unità! Dando il voto che diamo, noi non sacrifichiamo, dunque, nulla di noi stessi; anzi, siamo coerenti con noi stessi sino all’ultimo. Siamo oggi quello che siamo stati in tutta la lotta di liberazione e in tutto il periodo di profonda crisi e di ricostruzione, apertosi dopo la fine della guerra. Siamo oggi quel che saremo domani, nella lotta che condurremo insieme a voi, accanto a voi – se volete – o in contrasto con voi, per la ricostruzione, il rinnovamento, la rinascita d’Italia.
Siamo convinti, dando il nostro voto all’articolo che ci viene presentato, di compiere il nostro dovere verso la classe operaia e le classi lavoratrici, verso il popolo italiano, verso la democrazia e la Repubblica, verso la nostra Patria! (Vivi applausi all’estrema sinistra – Commenti animati).
PRESIDENTE. Desidero far presente all’Assemblea alcune brevi considerazioni.
Questa discussione finale ha assunto un carattere ampio e credo che nessuno mi possa far colpa di aver ciò consentito. La discussione, ad ogni modo, egregi colleghi, deve finire questa sera (Applausi). Ritengo che i nostri lavori, per concludersi, richiederanno ancora almeno quattro ore. (Commenti).
Non si tratta di una opinione avventata e credo che tutti i colleghi che hanno assistito a questa prima parte della discussione ed hanno compreso la necessità di una certa larghezza di dichiarazioni, converranno che occorrono forse più di quattro ore se io dirò loro che vi sono ancora undici iscritti per dichiarazione di voto e non è chiusa l’iscrizione. Aggiungo che ho già sul tavolo tre domande di votazione per appello nominale su tre diverse proposte. Ed allora io credo che sia opportuno sospendere la seduta per un’ora e mezzo e poi riprenderla alle 21.30 e continuarla finché l’articolo 7 non sarà approvato. (Approvazioni).
(Così rimane stabilito).
(La seduta, sospesa alle 20, è ripresa alle 21.40).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare, per dichiarazione di voto, l’onorevole Corbino. Ne ha facoltà.
CORBINO. Onorevoli colleghi, dopo i discorsi degli onorevoli De Gasperi, Nenni e Togliatti che rappresentano, il primo ed il terzo i due gruppi più importanti dell’Assemblea, il secondo uno dei gruppi più importanti, si potrebbe quasi considerare come nettamente delineato quello che sarà il risultato della nostra discussione, dal punto di vista della votazione. E, quindi, le nostre dichiarazioni di voto non possono avere, né del resto credo che l’avrebbero avuto anche senza le precedenti dichiarazioni, lo scopo che ogni oratore si propone, quando parla, cioè di convincere l’avversario; esse non possono avere altro significato che quello di stabilire la propria responsabilità personale e politica di fronte alla deliberazione che noi andremo a prendere.
Io parlo a nome del gruppo liberale, gruppo così poco numeroso nei confronti di quelli rappresentati dagli oratori che mi hanno preceduto, che sarebbe una eccessiva pretesa, da parte mia, pensare che il nostro intervento nella votazione, in un senso o nell’altro, potrebbe spostarne il risultato. E la pretesa sarebbe tanto meno logica in quanto che di fronte a questo problema il Gruppo liberale ha deciso di lasciare a ciascuno dei suoi componenti la facoltà di votare secondo quanto gli detti la sua coscienza. È un problema di estrema gravità che importa valutazioni di ordine politico immediato, valutazioni del peso di considerazioni di ordine politico nel futuro, influenza della tradizione. Ed allora, per quella indisciplina che è caratteristica del nostro Gruppo, abbiamo finito col dire: ciascuno si regoli come crede. Ed io parlo per quel gruppo di liberali che, per varie ragioni, o di carattere giuridico, o di carattere filosofico, o per problemi di coscienza, o per circostanze di carattere politico in senso stretto, che ora rapidissimamente enumererò, hanno deciso di votare a favore dell’articolo 5 del progetto, che diventerà l’articolo 7 del testo definitivo.
Io ho la convinzione, onorevoli colleghi, che rispetto a questo problema abbiamo fatto una discussione che, per il contenuto e per la forma, è quanto di più elevato si poteva attendere da un’Assemblea Costituente, nata in un Paese che ha avuto tanti anni di oscuramento delle libertà; ma non ho l’impressione che il Paese abbia sentito il problema come lo abbiamo sentito noi; ed in questo dissento dall’onorevole De Gasperi e un po’ anche dall’onorevole Togliatti. La mia impressione è che il Paese questo problema non lo ha avvertito con la stessa nostra sensibilità politica, perché nel Paese c’è il travaglio di varie crisi che colpiscono più direttamente gli individui, le famiglie, le stesse organizzazioni o formazioni sociali. C’è un travaglio così profondo, c’è un turbamento così forte che non so se molti di coloro che sapevano delle nostre discussioni ci hanno considerato dei bizantineggianti di fronte alle realtà concrete di tanti altri problemi sui quali noi per ragioni complesse, che qui non è il caso di accennare, non abbiamo ancora portato l’attenzione che essi meriterebbero.
C’è in fondo, nel nostro atteggiamento, un complesso di elementi che lo hanno determinato, e primi fra tutti gli elementi di carattere giuridico. Abbiamo sentito tutte le tesi pro e contro; abbiamo sentito giuristi che ci hanno detto che succederanno guai se includeremo i Patti lateranensi nella Costituzione o che succederanno guai se non li includeremo; abbiamo sentito giuristi che ci hanno detto che non succederà niente sia che li includiamo, sia che non li includiamo. Conclusivamente, se dovessi applicare un linguaggio matematico all’aspetto giuridico del problema, io direi che si ha la somma algebrica di più uno e meno uno che, come voi sapete, è uguale a zero. E allora prendo l’aspetto giuridico del problema e lo metto da parte e dico: perché stiamo discutendo tanto a lungo? Perché non abbiamo ancora trovato una formula risolutiva?
Entriamo allora nel secondo ordine di fatti, cioè a dire l’ordine, chiamiamolo così, filosofico. Io non sono filosofo, ma credo di poter constatare un fatto, e cioè che noi discutiamo ancora, nel 1947, dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa con una mentalità che risente dell’esperienza passata, come se la situazione del 1947 fosse la stessa di quella di un secolo fa, di due o tre secoli fa; ed abbiamo paura di un eventuale predominio spirituale della Chiesa perché presentiamo chissà quali pericoli nel complesso delle altre libertà. Certo, storicamente ci sono degli esempi che giustificano le nostre apprensioni; ma io mi domando: potete concepire oggi una Chiesa cattolica o di altra natura che faccia un processo a Galileo perché afferma che la terra gira? Potreste indicarmi oggi una Chiesa che arresti la mano di un fisico, per esempio di Enrico Fermi, nel momento in cui col bombardamento mediante la particella alfa arriva a scomporre il nucleo e a determinare una rivoluzione nel campo della ricerca scientifica, di cui non possiamo prevedere gli sviluppi futuri?
Voi potrete vedere, invece, domani un Sommo Pontefice levare la sua voce in nome dell’umanità per invocare che la bomba atomica non sia usata contro le popolazioni civili. Un intervento di questo genere sarà possibile. Ma un intervento che vincoli le nostre coscienze, che possa creare un ambiente contrario allo sviluppo di tutte le altre libertà inviolabili, che noi abbiamo assicurato nella Costituzione, questo no, non riesco a vederlo.
Ed allora, anche il terreno filosofico deve essere sgomberato per esaminare la portata della disposizione, sulla quale noi dobbiamo votare. La quale disposizione ha un carattere nettamente e spiccatamente politico.
Il primo giorno in cui noi abbiamo affrontato la vera discussione dell’articolo 5 o 7 è stato oggi, quando per la prima volta ci siamo guardati in faccia, gli uni cogli altri, senza reminiscenze o conoscenze giuridiche, senza apprezzamenti di carattere filosofico, ma soltanto con una valutazione netta di carattere politico; valutazione che, una volta impostato il problema, non poteva farci arrivare a conclusioni diverse di quelle alle quali noi arriveremo. Perché certe questioni si possono in un’Assemblea politica non sollevare; e se restano nei retroscena, se fanno materia soltanto di pourparlers, di chiacchiere nel «Transatlantico» o in seno ai singoli Gruppi, purché non vengano all’Assemblea, qualunque sia la loro sorte, l’aspetto politico non appare. Ma, quando entrano qui, in quest’aula, i problemi non diventano che problemi politici.
Ed è alla stregua delle esigenze politiche di questo momento, contemperate, nei limiti in cui la nostra facoltà di previsione si può spingere nell’avvenire, colle esigenze politiche del futuro, che noi dobbiamo prendere le nostre deliberazioni.
Perché noi siamo per approvare l’articolo 7? Che i Patti lateranensi siano inseriti nella Costituzione risponde probabilmente ad un desiderio di quella parte mancante, alla quale alludeva l’onorevole Togliatti e di cui egli ci ha letto alcune manifestazioni, non, diciamo così, ufficiali, ma ufficiose, attraverso brani dell’organo della Santa Sede. Si può anche ammettere nell’altra parte il desiderio di vedere confermato dalla nuova Assemblea politica italiana un complesso di accordi, che avrebbe potuto essere inficiato, o per ragioni collegate alle loro origini o per ragioni di altra natura.
Ma siamo veramente convinti che questo, dal punto di vista politico, rappresenti un serio pericolo per il nostro Paese, dal punto di vista immediato? Io mi sento, in tutta coscienza, di rispondere negativamente e per darvi l’elemento fondamentale della mia convinzione, non ho bisogno di fare altro che invitarvi ad esaminare quello che è successo negli ultimi anni. Signori, è da cinque anni per lo meno che noi viviamo in clima rivoluzionario. Noi abbiamo abbattuto il fascismo. (Rumori a sinistra). Vi ho contribuito anch’io! (Rumori a sinistra – Interruzioni).
Noi abbiamo abbattuto il fascismo; noi abbiamo affrontato e risolto il problema istituzionale in un momento estremamente delicato, senza gravi complicazioni nell’assetto politico; noi siamo arrivati, attraverso una votazione liberamente fatta, alla proclamazione della Repubblica. Noi stiamo creando il nuovo ordinamento dello Stato: io vi domando se, in questo periodo, ciascuno di voi, nella sua azione contro il fascismo, nella sua opera per mantenere quell’organo istituzionale di transizione che furono i Comitati di liberazione nazionale ed anche dopo, abbia sentito intorno a sé qualche legame o impaccio che provenisse dai Patti lateranensi.
E se non l’abbiamo sentito in questo periodo, pensate se potremo sentirlo negli anni prossimi! Io mi auguro che noi usciremo, o prima o poi, da questa fase di carattere rivoluzionario politico, sia pure per entrare in quella tale fase rivoluzionaria economico-sociale, alla quale faceva allusione l’amico Nenni, quando ci spiegava il significato della sua espressione «dal Governo al potere». Di maniera che, se dobbiamo rientrare in una normalità politica, sia pure una normalità alquanto turbata dai postumi dei movimenti rivoluzionari precedenti, non vedo perché i Patti lateranensi ci debbano essere di maggior fastidio nel futuro di quanto non ci siano stati nel periodo in cui è stata fatta veramente la rivoluzione.
Aggiungete poi che, per quanto concerne le eventuali differenze formali, e talvolta anche sostanziali, fra il contenuto dei Patti concordatari e le formule che noi andremo ad approvare, a Costituzione completamente approvata, potranno esservi delle eventuali contradizioni che il tempo e la stessa situazione politica del Paese elimineranno.
La stessa saggezza dell’altra parte, alla quale ha fatto esplicita allusione, in uno dei suoi discorsi, un autorevole esponente della Democrazia cristiana, l’onorevole Tupini se non ricordo male, e quel senso di elasticità che hanno tutti i patti internazionali quando, da una parte e dall’altra, non si voglia arrivare ad una rottura, consentiranno di sperare che eventuali difficoltà potranno essere superate. Ed allora, se non ci sono necessità immediate di rinunciare all’articolo 7, se non vi sono pericoli futuri nel proposto inserimento dei Patti nell’articolo 7 della Costituzione, perché noi dovremmo rinunciare oggi ad una affermazione che, a giudizio di una delle due parti, riafferma la pace religiosa nel nostro Paese? Ecco perché, a parte quella che può essere la visione politica della Democrazia cristiana, io trovo perfettamente logica la presa di posizione dell’onorevole Togliatti e del suo partito; e la trovo tanto più logica (Commenti a sinistra – Rumori) in quanto che, come egli bene ha spiegato, fra tutti i partiti di sinistra quello che più degli altri aveva in un certo senso il dovere di prendere un’iniziativa in questo senso era proprio il partito comunista. (Commenti a sinistra). Io vorrei soltanto che questo atto di concordia, del quale come italiano e come cristiano do pubblico ringraziamento all’onorevole Togliatti e ai suoi amici… (Commenti a sinistra).
Una voce a sinistra. E come liberale?
CORBINO. E anche come liberale; perché no?
Una voce a sinistra. Non va d’accordo.
CORBINO. No, guardi, che le concezioni del liberalismo vanno molto al di là di quello che ella non pensi, onorevole collega. Vedete, io ho una grande stima per i musicisti; sapete perché? Perché uno dei più grandi capolavori della musica è dovuto a Schubert, che ha scritto la celebre Sinfonia Incompiuta, che nessun musicista dopo di lui ha mai osato completare.
Una voce a sinistra. Lei ha completato il liberalismo.
CORBINO. Noi abbiamo spesso l’abitudine di dire: Cavour avrebbe fatto così; Mazzini avrebbe fatto così. E non sappiamo come si sarebbero regolati Cavour e Mazzini in condizioni come quelle nelle quali oggi ci troviamo. (Rumori a sinistra – Applausi al centro e a destra).
Ecco perché io affermo a noi liberali il diritto di votare l’articolo 5 in perfetta concordanza con lo spirito liberale. Non ci trovo nulla di strano; non ci trovo nulla di inconciliabile con la dottrina della libertà. E, del resto, io mi auguro, come liberale (Rumori a sinistra) che nella Costituzione, in fatto di limitazioni eventuali della libertà, non vi sia altro che quella che può nascere dall’articolo 7; perché io sono sicuro che purtroppo ne metteremo delle altre, e di assai più gravi e tangibili. Ieri voi, votando l’articolo 3, avete aperto la porta, non alle sopraffazioni teoriche di una Chiesa che non ha nessuna voglia di farle, ma alle sopraffazioni possibili di una classe, se questa classe – qualunque essa sia – domani si dovesse impadronire del potere con qualunque mezzo.
TONELLO. La classe lavoratrice si impadronirà dell’Italia! (Rumori a destra).
CORBINO. Io non devo fare che una dichiarazione di voto; anzi, credo che ho superato i limiti che alla dichiarazione di voto sono abitualmente consentiti. (Rumori – Interruzioni).
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, io richiamo il senso di compostezza che questa discussione richiede. Abbiamo fatto questa seduta appunto perché abbiamo avvertito la grande importanza dell’argomento. La seduta non può assumere l’aspetto di una serata allegra. Vi prego di continuare con la serietà con cui la seduta si è iniziata.
CORBINO. Non credo che nelle nostre deliberazioni (nostre nel senso non del mio partito, ma nel senso generale) siano del tutto estranee le preoccupazioni di ordine elettorale. Ma io non trovo niente di strano che noi ci si preoccupi anche dell’esame che dovremo fare di fronte ai nostri elettori, che in fondo sono i nostri giudici. E, se noi pensiamo di poterci per conto nostro allontanare da quelle che sono le direttive che i nostri elettori vorrebbero che noi seguissimo, noi mancheremmo al nostro dovere di rappresentanti.
Quindi, quando ciascun partito dice di non avere preoccupazioni di carattere elettorale, o dice una ipocrisia (scusate se sono molto esplicito nei termini che adopero) o dice una cosa che non corrisponde al dovere politico.
Ora, considerata la questione anche dal punto di vista elettorale, lo schieramento che si viene a determinare ha una importanza notevole; perché noi veniamo a determinare uno schieramento in cui, a fianco del gruppo della Democrazia cristiana (che è il più forte), si schiera oggi il gruppo comunista, che è il secondo in ordine di grandezza.
RUGGIERO. Non importa.
CORBINO. Non importa, lo so, e non importa soprattutto per me, dato che noi siamo quasi l’ultimo gruppo in ordine di grandezza, e non credo che potremo farci delle illusioni di poter migliorare un gran che la nostra posizione. Io faccio questa osservazione dal punto di vista generale, e non dal punto di vista dei singoli gruppi. Noi determiniamo quasi uno schieramento di forze che corrisponde ad una combinazione dei due più forti partiti dell’Assemblea Costituente, e probabilmente ad una combinazione dei due più forti partiti del Parlamento di domani, anche se per avventura la cifra delle forze relative dovesse domani subire qualche piccolo mutamento in più o in meno.
Evidentemente, badate bene, la responsabilità di questa situazione può in parte risalire (come ha fatto rilevare l’onorevole Togliatti) agli amici della Democrazia cristiana, ad una loro assoluta rigidità su certe posizioni.
Ma se la realtà delle cose è quella che io mi sono sforzato di lumeggiare, badate che la responsabilità di questa situazione potrà in parte risalire anche all’atteggiamento dei gruppi intermedi, i quali non hanno mostrato di avere quel senso di adattabilità alla situazione politica generale che molto opportunamente ha mostrato di possedere il partito di estrema sinistra.
Ora, noi che siamo forza di conservazione – sì, lo dico apertamente, non ho nessuna paura di dire che siamo forza di conservazione, perché crediamo che nessuna rivoluzione possa avere probabilità di successo se non consolidi bene quello che dei vecchi sistemi merita di essere conservato; ed è per questo che siamo conservatori – noi che siamo conservatori, ed abbiamo il coraggio di dirlo, vogliamo partecipare a questo aggruppamento di forze. Vogliamo partecipare con gli amici della Democrazia cristiana ed anche con i colleghi del partito comunista. Vi partecipiamo con due fini: primo, quello di dare alla Democrazia cristiana la solidarietà di un altro partito rispetto ad un problema che, come osservava benissimo all’onorevole Nenni l’onorevole Togliatti, può non avere in questo momento l’importanza reale che noi vorremmo adesso attribuirgli, ma potrebbe averla domani; e, quindi, per superare possibilità di attriti, mantenendo fin dove sarà possibile l’unità spirituale di tutti gli italiani.
Ma una seconda considerazione ci spinge a questo; e questa volta la considerazione si rivolge agli amici del partito comunista: è che il problema della futura sistemazione del nostro Paese – badate bene – non è un problema che si possa risolvere a colpi di maggioranza, perché un Paese che soffre, un Paese che ha tante ferite quante il nostro, non può essere curato solamente da una parte e con un metodo soltanto. L’Italia si potrà salvare solo quando tutte le forze politiche, che questa salvezza fortemente desiderano, riusciranno a trovare un qualche cosa che le faccia amalgamare, che le induca a mettersi sul serio a tavolino e a dire: adesso lavoriamo per risollevare questo Paese.
Se noi dalla votazione di oggi potessimo trarre l’auspicio di una futura realizzazione in questo senso, la lunga discussione dell’articolo 5 potrebbe trovare un largo compenso nel beneficio infinito che al Paese deriverebbe dalla concordia degli intenti, per la soluzione di tutti gli altri problemi che oggi incombono sulla vita nazionale. (Vivi applausi al centro e a destra).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare, per dichiarazione di voto, l’onorevole Sforza. Ne ha facoltà.
SFORZA. Onorevoli colleghi, sarò brevissimo perché parlo a titolo esclusivamente personale, benché sicuro della liberale tolleranza dei miei amici politici. E sarò brevissimo perché credo – nel caso mio – che più si è brevi, più si è chiari.
Ciò che occorre al Paese il quale, come tutti i Partiti hanno lealmente riconosciuto, aspira unanime alla pace religiosa, è la certezza che le forme dall’apparenza più solide non celino nel loro seno causa o pretesti di lotta futura che tutti deprechiamo. Questa certezza la mia coscienza l’ha trovata nelle dichiarazioni del relatore della maggioranza della Commissione per la Costituzione, che per di più è un autorevole rappresentante non solo della Democrazia cristiana, ma della tendenza che in quel partito si è rivelata per sostenere la formulazione dell’articolo 7.
Nel discorso, che ho ascoltato con grande attenzione, l’onorevole Dossetti ha dichiarato, con quella autorità che gli viene dalla sua posizione di relatore e dalla sua rara dottrina in materia, che, col riferimento esplicito ai Patti lateranensi, non si è voluto costituzionalizzare l’enorme contenuto del Trattato e del Concordato, ma stabilire solo, per la pace morale degli italiani, la cui grande maggioranza è cattolica, qual è il regime scelto dalla Costituzione per quanto riguarda il regolamento dei rapporti fra Stato e Chiesa.
Ho citato fin qui l’onorevole Dossetti. È chiaro, dunque, che un giorno potrà serenamente venire in cui lo Stato e la Chiesa si accordino per eliminare o migliorare certe clausole, quali, per esempio, da parte della Chiesa talune che conservano dei resti, a mio giudizio superflui, di giurisdizionalismo dinastico. Ai discendenti di repubblica e ai mazziniani di oggi non dispiacerà quel giorno di scoprire che un altro ardente repubblicano e mazziniano votò questo articolo perché sentì nel profondo della sua coscienza che i vantaggi di votarlo, vantaggi nazionali e anche, assicuro, internazionali, saranno di gran lunga superiori ai pericoli che, ne sono certo, l’avvenire mostrerà quanto sono vani. (Vivi applausi al centro).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare, per dichiarazione di voto, l’onorevole Bergamini. Ne ha facoltà.
BERGAMINI. Semplice e brevissima dichiarazione di voto, perché io non rappresento nessun partito. Il mio partito, del resto, è esile, almeno qui, nel quasi deserto mio settore, come vedete: ad ogni modo non posso arrogarmi l’onore di rappresentarlo. Io sono un isolato, un solitario nella mia fede, che coltivo da tanti anni e non muta. Chiedo alla cortesia del Presidente e dell’Assemblea di ricordare che quando i Patti lateranensi vennero dinanzi al Senato io votai contro. (Approvazioni a sinistra). Aspettate! Non sapete ancora come finirà. (Si ride).
Fummo sei a votare contro: sei su 323 senatori. (Commenti).
Io fui molto urlato, in quell’aula severa e, per solito, composta: urlato più del grande maestro Benedetto Croce, che aveva pronunciato un discorso alto di dottrina e acuto di pensiero, più di Albertini, più di Ruffini e più degli altri due, Paternò e Sinibaldi. Non ho mai saputo il motivo di questo speciale riguardo, che mi usarono i miei colleghi.
Ora io desidero dire qui che votai contro per due motivi: il primo, che io avevo il proposito fermo, irriducibile, inflessibile di non votare mai per Mussolini, che aveva calpestato la libertà, e per venti anni ho seguito questo deliberato principio di massima.
È una teorica discutibile e fu discussa ed ebbi anche osservazioni e rampogne da amici e colleghi.
Nonostante ciò, ho persistito nella mia linea.
Il secondo motivo per il quale votai contro gli accordi del Laterano fu questo: io vedevo bensì la bellezza e il beneficio della pace religiosa data all’Italia dopo un lungo travaglio della sua coscienza, ma pensavo che un grande prestigio sarebbe derivato a Mussolini, come un’aureola, dal vanto di aver fatto finalmente la Conciliazione fra lo Stato italiano e la Chiesa, e questo prestigio maggiore risonante in Italia, in Europa, nel mondo, avrebbe cresciuto il potere di Mussolini: e ne sarebbe derivato un male che avrebbe forse annullato il beneficio della pace religiosa. Pur troppo il male c’è stato, superiore ad ogni previsione.
Onorevoli colleghi, nei discorsi di questa lunga ed appassionata e nobile discussione, la quale onora l’Assemblea, io ho sentito una nota viva uguale insistente, cioè il desiderio che la pace religiosa non sia turbata, sia anzi consolidata. Questa nota è vibrata specialmente nei discorsi degli oratori dei grandi partiti di massa, ha dominato dal settore dell’onorevole De Gasperi, e si spiega, al settore per esempio dell’onorevole Togliatti, e si spiega meno, specialmente per gli spiriti semplici, non adusati a penetrare nei misteri eleusini della politica.
Comunque la nota, che ha vibrato come un desiderio, come una speranza, come una necessità, è stata la pace religiosa. Orbene, perché essa sia meglio assicurata, perché sia elemento e auspicio di unità, di concordia nazionale, d’unione di forze tese alla rinascita dell’Italia, così dilaniata e infelice, per questo io voterò l’articolo 5 diventato 7 della Costituzione. E per un’altra ragione personale. In un’ora difficile, in cui io ero riuscito a fuggire da un luogo non piacevole, domandai asilo al Vaticano. Questo ben sapeva che io avevo votato contro i Patti dei Laterano, ma non esitò ad accogliermi in un primo asilo, poi in un secondo, a mano a mano che si palesava qualche pericolo, poi in un terzo dove trovai uomini politici di opposta tendenza, anche anticlericale. Per tutti fu uguale la protezione della Chiesa. Voterò dunque l’articolo 7, anche perché noblesse oblige. (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare, per dichiarazione di voto, l’onorevole Molè. Ne ha facoltà.
MOLÈ. Non avrei voluto parlare. Non ne avevo sentito prima il bisogno, perché, attraverso le fasi del fervido ma sereno dibattito, ascoltando gli oratori dell’una e dell’altra parte, in qualche momento in cui sembrava che si accorciassero le distanze, avevo sperato che si potesse giungere a una formula dei rapporti fra la Chiesa e lo Stato, capace di soddisfare le esigenze dell’Assemblea e di raccoglierne il voto unanime.
E tanto meno avrei preso ora la parola, dopo l’intervento dei grossi calibri, dopo aver inteso proclamare, nelle orgogliose dichiarazioni di coloro che conducono le grandi masse e si vantano – e hanno ragione – di poter determinare o risolvere le situazioni, la inutilità della partecipazione di coloro che hanno dietro di sé i piccoli partiti o che sono addirittura isolati e pare che ripetano qui dentro la frasetta melodrammatica: «io canto per me solo».
Ma tacere non è più possibile.
Dovessi parlare per me solo, sarebbe ora doveroso e necessario. Ma io non parlo per me solo, parlo per me e per gli amici che, dopo le dichiarazioni dell’onorevole De Gasperi, completate e ribadite dalle dichiarazioni dell’onorevole Togliatti, sentono il bisogno di una precisazione indispensabile.
L’onorevole De Gasperi ha posto un problema di coscienza: e quando si pongono problemi di coscienza, non ci sono né masse né partiti, né maggioranze né minoranze: ognuno ha la sua coscienza e ha il dovere di ubbidire al comando della sua coscienza e il diritto di rifiutare quel che la sua coscienza rifiuta.
L’onorevole De Gasperi, che tante volte ho ammirato per la serenità dello spirito e il senso di equilibrio ch’egli suole portare nelle discussioni, mi pare che oggi abbia sforzato il tono delle sue dichiarazioni, che hanno assunto un carattere veramente grave, quando ha spostato il dibattito, che si era mantenuto finora sul terreno giuridico, e l’ha portato sul terreno arroventato della impostazione religiosa. L’onorevole De Gasperi ha, in fondo, diviso l’Assemblea fra quelli che votano a favore e quelli che votano contro l’articolo 7, facendone due schiere: i reprobi e gli eletti. Ha posto alla base del voto non una concezione giuridica o un criterio politico, ma la esistenza o la inesistenza del sentimento religioso: un proposito di lotta fra cristiani e anticristiani. L’onorevole De Gasperi, rivolgendosi a questi settori, ha posto il problema in questi termini: ma insomma che cosa volete? Siete religiosi o atei? Riconoscete o disconoscete la validità del messaggio cristiano? Intendete o non intendete la importanza del problema religioso? Vi ponete o non vi ponete in opposizione col Pontefice? Ricordate o dimenticate che in Italia quaranta milioni di cittadini sono cattolici? No. Voi disconoscete questi valori che sono essenziali per la coscienza del popolo italiano. E allora che cosa volete? Volete riaprire la questione romana? Volete iniziare di nuovo la lotta religiosa? Votando contro l’articolo 7, voi accendete le fiamme malefiche di una guerra di religione.
Più grave è stato l’intervento dell’onorevole Togliatti, perché ha dato riconoscimento a questa impostazione pericolosa.
Rispondendo all’onorevole De Gasperi l’onorevole Nenni aveva detto: «Che cosa è questa dichiarazione? Una dichiarazione di lotta? Io non l’accetto». Il duello è infatti come il matrimonio. Si fa in due. Non consente il monologo. Ma l’onorevole Togliatti, dopo aver ammesso che il duello ha bisogno di due contendenti, ha ricordato che la guerra si può proclamare da uno solo e l’altro finisce con l’accettare. E appunto per evitare questa dichiarazione di guerra e perché pensa che questa guerra sarebbe perniciosa per il nostro Paese, mentre tanti problemi urgono e affaticano gli uomini responsabili, l’onorevole Togliatti ha dichiarato che voterà a favore dell’articolo 7 (mentre egli è contrario all’articolo 7) proprio come l’onorevole Nitti, cui aveva poco prima rivolto la punta di un’ironica critica, e che come lui aveva affermato, sia pure con una frase meno felice, di votare contro coscienza.
Ebbene, onorevole De Gasperi, noi ci rifiutiamo di accettare questa impostazione del dibattito, anche se essa viene indirettamente ribadita dall’onorevole Togliatti. E tanto meno possiamo accettare il significato che voi attribuite al nostro voto contrario.
Io non intendo – di questo voto – ripetere i motivi assolutamente estranei a ogni contrasto religioso. Sarebbe inutile e ozioso, dopo che tanto si è discusso. Abbiamo ascoltato eloquenti discorsi giuridici, appassionati discorsi politici: questo argomento è stato sviscerato in ogni sua parte dalle due correnti in contrasto. Io mi limito, onorevoli colleghi della Democrazia cristiana, a dirvi, con assoluta convinzione e onestà di coscienza, che alcuni emendamenti, come quello dell’onorevole Basso, avrebbero potuto essere votati da tutti: da voi e da noi, perché soddisfacevano le vostre e le nostre esigenze.
L’emendamento Basso dice: «La Chiesa cattolica è, nell’ambito suo proprio, libera e indipendente. I rapporti fra lo Stato e la Chiesa cattolica sono regolati in termini concordatari». Approvandolo, avremmo, con particolare solennità, proclamato la situazione di assoluta autonomia e libertà della Chiesa cattolica. E senza inserire unilateralmente nella Costituzione i Patti lateranensi, avremmo riaffermato il principio del regime concordatario che non è più la separazione della Chiesa dallo Stato – secondo la classica dottrina liberale delle parallele che s’incontrano all’infinito – ma la conciliazione della Chiesa con lo Stato: è, cioè, in armonia con la storia, lo sviluppo ulteriore dei rapporti fra le due potestà, autonome e collaboranti, ma senza sovrapposizioni pericolose per l’una e per l’altra.
Perché non l’avete accettato? Nessuna questione, come questa, esigeva, da parte di tutti, la ricerca e l’approvazione unanime di una formula che impedisse, a quelli che sono dentro o fuori di quest’aula, la speculazione ai beneficî di una o di un’altra corrente politica. È avvenuto quello che non doveva avvenire, ed io ne sono particolarmente dolente, avendo fatto invano opera di mediazione e di persuasione.
Ma, poiché siamo arrivati a questo punto, dichiaro che non possiamo accettare la interpretazione che voi date al nostro sentimento e il valore che volete dare al nostro voto contrario. L’interpretazione del nostro voto la facciamo noi, autenticamente, non l’accettiamo dagli altri.
Parlo per me e non solo per me. Io non sono democratico cristiano, ma sono cristiano e democratico, come cristiani e cattolici sono molti socialisti, repubblicani, azionisti, laburisti in questi settori di sinistra, i quali intendono l’importanza del fattore religioso, l’universalità del messaggio cristiano e non pensano di riaprire la sepolta questione romana o di disconoscere la maggioranza dei cattolici che sono in Italia.
Appunto per questo con la Chiesa cattolica abbiamo accettato l’affermazione del regime concordatario. Sarebbe ridicolo porre sullo stesso piano quaranta milioni di italiani – siamo d’accordo, onorevole De Gasperi – con una setta di mormoni. Ma se intendiamo tutto il valore di questo problema, non intendiamo – votando contro l’articolo 7 – di offendere il sentimento cattolico. E ricordo a voi che, se noi votiamo in questa maniera, muoviamo nel solco di uomini politici che erano cattolici come voi. Un nome: Emanuele Gianturco. Egli era una fervida coscienza di cattolico osservante e fu insieme uno dei più alti esemplari del liberalismo italiano. Egli disse: «nessuna abdicazione dei diritti dello Stato, ma nessuna persecuzione, nessuna provocazione, nessuna menomazione della fede nel cuore degli italiani. Il nostro Stato è laico, non ateo. Ed io vi dico che fra tante cose che facciamo qua dentro e che il Paese non capisce, quello che il Paese capirebbe meno sarebbe appunto la lotta religiosa».
Noi procediamo in questo solco. E col nostro voto contrario non vogliamo iniziare nessuna guerra religiosa, esiziale pel nostro Paese; né voi avreste, pel nostro voto contrario, il diritto di dichiararcela.
Vi auguro, onorevole De Gasperi, che tutti i persecutori, tutti quelli che intendono di perseguitare la religione cattolica, siano come noi. (Applausi a sinistra).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare, per dichiarazione di voto, l’onorevole Cianca. Ne ha facoltà.
CIANCA. L’onorevole Calamandrei ha spiegato, attraverso i suoi interventi, nelle discussioni che hanno preceduto questo voto, le ragioni per cui il gruppo autonomista negherà la sua approvazione all’articolo 7. Dobbiamo aggiungere che alcuni dei discorsi pronunciati oggi nella seduta pomeridiana ci hanno ancor più convinti che questo nostro atteggiamento risponde non solo alla necessità di rispettare veramente il principio della libertà di coscienza, che implica l’uguaglianza di tutte le fedi, ma al dovere di difendere la sovranità integrale dello Stato nel quadro della situazione creata dalla liquidazione definitiva della questione romana e la stessa pace religiosa.
L’onorevole De Gasperi, come l’onorevole Molè ha testé rilevato, ci ha posto dinanzi ad una alternativa che giudichiamo, se ci permette, artificiosa. Respingere l’inserzione dei Patti lateranensi nella Costituzione equivarrebbe per lui a compiere un atto di ostilità contro la fede cattolica. È facile replicare che qui la fede e la morale evangelica non sono in giuoco. Un buon cattolico rimane tale anche se postula l’esigenza che i Patti concordatari siano messi in armonia con la Costituzione, legge fondamentale dello Stato repubblicano. Se mai, l’atto di guerra è venuto, come l’onorevole Togliatti ha documentato con i suoi ricordi e con le sue citazioni, dall’altra parte; della quale l’onorevole Togliatti dichiara di accettare, o meglio di subire, la volontà per motivi di cui francamente noi non siamo persuasi.
Ma l’onorevole De Gasperi ha anche fatto accenno all’esistenza di un rapporto che, secondo lui, legherebbe l’approvazione dell’articolo 7 al consolidamento delle istituzioni repubblicane. Ci consentirà di dirgli che il tono di queste sue dichiarazioni ci pare alquanto diverso da quello che animava altre dichiarazioni da lui fatte quando dal banco del Governo esaltava giustamente la Repubblica come conquista di popolo. Comunque noi abbiamo compreso, allo stesso modo con cui ha compreso l’onorevole Togliatti, e diciamo che questa conquista popolare è irrevocabile e non sottoposta a limitazioni estranee e a condizioni. (Interruzioni al centro).
Una voce al centro. Ha compreso male.
CIANCA. Ho ascoltato con molta attenzione e credo di avere una facoltà di capire per lo meno uguale alla sua.
Potremmo ricordare, senza meschino spirito polemico, che nei Patti lateranensi è almeno acquisito che la capitale dello Stato italiano è Roma e non la Città del Vaticano. Ed è precisamente in rapporto alla sovranità e alla responsabilità dello Stato che noi, tenendo conto della realtà storica per cui la fede cattolica è professata dalla grande maggioranza dei cittadini, nel nostro emendamento abbiamo riconosciuto l’opportunità di regolare, anche in avvenire, i rapporti tra la Chiesa cattolica e lo Stato in termini concordatari, i quali però siano in armonia con le disposizioni della Costituzione che noi, rappresentanti del popolo, stiamo deliberando.
L’onorevole Togliatti e altri oratori hanno rimproverato alla Democrazia cristiana di essersi irrigidita su una linea di intransigenza. Il rimprovero giova a precisare le rispettive responsabilità rispetto all’atto che oggi si compie e alle conseguenze che se ne temono. Ma noi pensiamo, in verità, che l’ostinazione democristiana, ponendo e affrontando il problema nei suoi termini duri, serva a stabilire in modo netto le posizioni reciproche, evitando reticenze ed equivoci.
La nostra posizione risulta chiaramente dall’emendamento, sul quale insistiamo.
L’onorevole Togliatti ci ha detto oggi, come l’onorevole Nitti ci aveva detto in una precedente seduta, che l’inserzione dei Patti lateranensi nella Costituzione, pur da essi negativamente giudicata, deve essere accettata per non assumersi la corresponsabilità di compromettere la pace religiosa.
L’onorevole Calamandrei ed altri oratori hanno spiegato come la pace religiosa, la quale preesisteva ai Patti lateranensi, sia piuttosto minacciata da quella inserzione.
Comunque, noi pensiamo che la difesa della pace religiosa non presuma né richieda la unanimità dei consensi.
Noi crediamo nella funzione della democrazia ed è proprio della democrazia fondare la stabilità degli ordinamenti politici sul gioco fecondo delle maggioranze e delle minoranze; giuoco nel quale si compongono i dissensi, che in ogni regime democratico derivano dal pieno esercizio della libertà di opinione.
Chi mira a soluzioni unitarie delle grandi contese politiche ha un concetto della democrazia diverso dal nostro.
Di fronte al voto, che raggrupperà intorno all’articolo 7 forze politiche di origine e di finalità assolutamente diverse, le formazioni parlamentari della democrazia aconfessionale si schierano in atteggiamento compatto ed omogeneo per la difesa di fondamentali valori morali e politici, di cui nessuna tattica potrebbe giustificare la rinunzia. (Applausi a sinistra).
Esse – e qui mi rivolgo ad alcuni colleghi liberali – sentono di assumersi legittimamente anche la eredità del pensiero più prezioso di Cavour e di Spaventa.
È così, onorevole De Gasperi, che noi ci proponiamo di compiere il nostro dovere per il consolidamento della Repubblica, al di sopra d’ogni spirito di parte e d’ogni calcolo contingente.
Voteremo contro l’articolo 7, proposto dalla Commissione; manterremo il nostro emendamento, e, se questo sarà, come è facile prevedere, respinto, daremo il nostro consenso a quelli che si avvicinano, in forma e in misura diverse, al nostro emendamento, e che saranno anch’essi naturalmente respinti.
Di là dai risultati di questo voto, noi rivendichiamo per il fronte democratico, che si è costituito in questa occasione, il compito di creare, come forze di riserva, le basi per una pace religiosa, che non sia fondata sul compromesso politico, ma sulla matura coscienza democratica del popolo italiano. (Applausi a sinistra).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare, per dichiarazione di voto, l’onorevole Calosso. Ne ha facoltà.
CALOSSO. Vi prego di scusarmi; sarei lieto di essere interrotto amichevolmente, se il Regolamento lo permettesse.
Credo che il nostro voto di opposizione sia in armonia con le regole organiche di una sana opposizione, perché anche e sostanzialmente vuole essere un aiuto alle maggioranze, per quei valori cristiani che la maggioranza sostiene. Ora, noi sinceramente crediamo in quei valori di libertà di coscienza che hanno la loro radice nel Cristianesimo.
A questo nostro proposito, parlamentarmente sano, non crediamo veramente che la maggioranza abbia risposto venendoci incontro con eguale atteggiamento. Guardate: l’articolo 7 non ha, in fondo, alcuno dei requisiti di una buona Costituzione. Quale è, infatti, il principio di una buona Costituzione? Quello di trattare soltanto dei problemi che la realtà pone; porre cioè delle pezze, dei rammendi a ciò che la realtà storica, in pratica il fascismo, ha rivelato. Fuori di lì siamo nell’utopia, cioè nella reazione. Ora, questo articolo 7 nasce dal nulla; i Patti lateranensi stipulati da Mussolini chiudevano un secolo di lotta contro l’unità d’Italia, contro i clericali.
Ora, non erano una cosa elegante, io credo, questi Patti; nessuno di voi affermerebbe, io credo, che fossero una cosa elegante. Ebbene, quando è venuta la liberazione, noi socialisti, e la sinistra in genere, non mettemmo alcun accento su questo fatto. Il Trattato era fuori discussione per tutti e anche sul Concordato si chiudeva un occhio, lasciandolo dormire, poiché si sperava che arrivasse un giorno in cui la questione si potesse manifestare in modo più profondo.
Ora, così, dal niente, la Democrazia cristiana ha tirato fuori il problema; non è bastato risuscitarlo, ché non esisteva; essa ha voluto una legge; non è bastata una legge, essa ha voluto includerlo nella Costituzione. Io vorrei che anche coloro i quali lo votano ammettessero che c’è una punta di eccesso in questo, una punta di fanatismo, una oscura coscienza che ciò non ha radici; io non so se vi sia uno qui dentro che possa non darmi ragione.
Di che cosa avete paura? Del laicismo? Parola quasi abbandonata: laico, che cosa vuol dire? Uomo comune. Eppure il cristiano non ha mai abbandonato questo odio verso tale parola. Quando una legge non risponde ad una necessità immediata, anche grossolana, ma evidente, notate sempre – c’è l’esempio di mille Costituzioni – non manca mai di creare i problemi che si illude di poter risolvere; è una regola assoluta questa.
Ora, la nostra paura quale è? Che questo articolo, 5 o 7 che dir si voglia, sia una bandiera, in fondo, per il risorgere dell’anticlericalismo. Non c’è bisogno, infatti, di essere figli di profeti par dire che l’avete fatto rinascere voi l’anticlericalismo. Vi valga di testimonianza quella del compagno Nenni il quale, nel giornale che dirigeva e che anche oggi dirige, prevedeva questo fatto e vi disse appunto come voi facciate rinascere l’anti-clericalismo e come dobbiate assumervene la responsabilità.
Che cosa vogliamo noi? Togliere la religione dal campo polemico, politico. È un desiderio autentico, perché siamo interessati a vincere una grande battaglia: quella di togliere il popolo italiano dalla miseria; e noi pensiamo che solo il socialismo potrà veramente risolvere questa questione, come diceva Gramsci, che fu anche mio compagno in quell’università di cui parlava Togliatti. Egli appunto diceva: questa è una verità; perché? Perché il problema religioso in Italia non può essere messo più nei limiti delle parole di quelli che l’onorevole Corbino chiama conservatori, non può essere messo dai cavouriani.
In America, per esempio, dove la Chiesa è trattata liberalmente – e benissimo trattata – si presuppone la ricchezza, il liberalismo, cioè che la Chiesa sia mantenuta dai fedeli. Ciò non potrà essere in una società ordinata, dove la Chiesa in futuro non potrà reggersi su questa forma liberale e capitalistica, ma dovrà entrare in una forma di socializzazione. Come il socialismo ha socializzato la medicina, perché non dovrebbe essere possibile socializzate economicamente anche il servizio religioso? (Commenti al centro). Non c’è dubbio, il socialismo garantirà la libertà di tutte le opinioni, e smentirà quella che è in fondo una leggenda assai diffusa: che la Chiesa sia ricca. La Chiesa è povera. Il parroco di campagna, e più ancora quello di città, è di solito un uomo povero. E questo genere di problemi mi pare possa essere trattato in quest’aula. Perché? Perché sono problemi unicamente economici e politici che non toccano la coscienza. Il prete cattolico, il pastore valdese, il rabbino, l’apostolo del libero pensiero rendono anche essi un servizio: diminuiscono le spese di polizia. (Commenti al centro).
Ora, questo articolo 7 è fondamentalmente corrotto. Perché? Perché non nasce da un accordo sostanziale. Esso implica la divisione della Nazione. Voi avete fatto un atto di forza. L’onorevole De Gasperi ha contato dei numeri, che noi non ignoriamo. Però in questo genere di cose, dove la coscienza è implicata – ho letto una volta una lettera di un certo Pietro, che è sepolto qui a Roma, in cui si dice: «Dinanzi a Dio, uno è come mille» – in questo genere di cose non possiamo contare i numeri. Possiamo contarli quando trattiamo di problemi economici; non possiamo contarli in questa materia. Voi riducete lo spirito a materia; siete in fondo materialisti. (Applausi a sinistra – Commenti al centro).
Quale sicurezza avrà il vostro articolo 7? Vediamo la questione in spiccioli: la sicurezza in fondo ve la dà Togliatti. Io auguro a Togliatti di essere immortale; ma anche se egli sarà immortale, potrebbe forse morire l’idea; e un accordo basato su queste radici mi pare assolutamente non pratico. Da che cosa nasce questo accordo della maggioranza? Nasce dall’interesse comune che in fondo la religione va lasciata a dei corpi tecnici. L’ho letto su un giornale democristiano; me l’ha detto più volte l’onorevole Quarello. Voi ci tenete a che noi facciamo soltanto della politica; e non sentite in quest’aula una parola, dall’accento autenticamente religioso, che è la preghiera della Costituente, anche se dice il Pater noster e impone il Veni Creator. Questo vostro accordo e questa vostra azione nasce dal sottinteso, scettico, in fondo, o bigotto, che è lo stesso, che la religione non conta un gran che. Voi ci domandate di tener poco conto del Cristianesimo…
FUSCHINI. Questo non è serio!
CALOSSO. Volete che vi diamo il voto all’articolo 7 su questa base di disprezzo del Cristianesimo? Eppure è la base sulla quale voi avete una maggioranza! Noi non crediamo di essere autorizzati dalla nostra coscienza a darvi questo voto.
Uscendo dall’aula alle 20, ho avuto l’impressione – posso sbagliarmi, ma ditela la verità – che eravamo tutti un po’ scandalizzati, ed ho sentito dire: qui c’è un’atmosfera di gesuitismo in giro (Commenti – Proteste al centro); perché quello che abbiamo dato, in fondo, è uno spettacolo di gesuitismo ed uso questa parola nel senso che ha comunemente per noi italiani. (Interruzioni dell’onorevole Micheli).
II gesuitismo ha sempre vinto le sue battaglie da trecento anni a questa parte; ma ha perduto tutte le guerre. Se la Chiesa potesse tornare indietro di cento anni muterebbe certamente il suo atteggiamento, perché noi oggi facciamo un’altra politica.
Noi diciamo: fate un’altra politica, non date scandalo al Paese. Noi sentiamo che da questa maggioranza il Paese è scandalizzato. (Approvazioni a sinistra – Proteste al centro).
Noi abbiamo il dovere di educare il popolo, di educare il Paese, e nessuno può dire che lo stiamo educando con questo spettacolo. Perché voi avete commesso questo errore? (Commenti). Io credo che sia per un eccesso di senso legale, perché voi avete un eccesso del senso della legge. Voi credete che la legge sia qualche cosa di essenziale. Questo concetto legale della religione, questo atteggiamento per cui voi avete voluto, con affanno ed ingordigia, mettere questa legge addirittura nella Costituente, potrà chiamarsi un atteggiamento musulmano, che è un atteggiamento pure religioso, ma non è cristiano, perché il popolo italiano è ancora cristiano e non è musulmano fino a questo punto! Il vostro compito storico di cattolici…
FUSCHINI. Non ce lo faremo insegnare da lei! Non aspettiamo che lei ci faccia scuola!
CALOSSO. Voi uscite da venti anni di dittatura e da una guerra. Anche in un altro dopo guerra, nel dopoguerra napoleonico, vi fu un’ondata di religiosità, in Francia. Anche questo sorgere degli stessi partiti democristiani, anche se non troppo cristiani, è una prova di questo fatto.
Noi avevamo visto anche in Ispagna cos’è questo anticlericalismo, o questo clericalismo, che sono poi la stessa cosa rovesciata.
Noi non siamo tattici, diciamo le cose alla buona. Voi non avete saputo cogliere questa occasione, come non avete saputo coglierla nel dopo-guerra napoleonico, nel quale, pure, era sorto un uomo: il Manzoni. La maggioranza dei cattolici seguì allora l’altra strada, per cento anni: avete quindi fallito, in fondo, il vostro scopo storico, avete creato, state creando un anticlericalismo. Noi faremo di tutto per impedirlo. (Rumori – Proteste al centro). Non credo che lo faremmo dandovi un voto: voi credete che vi aiutiamo di più, noi, o l’onorevole Togliatti? Ditelo voi, chi aiuta di più il Paese in questo momento! Io disapprovo l’atteggiamento dei comunisti in questo caso; lo sento estraneo al mio spirito, perché ritengo che un’opposizione del nostro tipo sia profondamente migliore di un voto puramente tattico che vi disprezza, in fondo. (Approvazioni a sinistra – Vivaci proteste al centro).
Il discorso di Togliatti è un’umiliazione per tutti i cattolici italiani! (Applausi a sinistra – Vivaci proteste al centro).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare, per dichiarazione di voto, l’onorevole Gasparotto.
Ne ha facoltà.
GASPAROTTO. Per debito di sincerità, che è comune a tutti, e per quanto particolarmente mi riguarda, per dovere di coerenza alle idee costantemente professate nella ormai lunga mia vita, dichiaro che, ove fosse mantenuto e posto in votazione l’articolo 7 come formulato dalla Commissione, mio malgrado dovrei votare contro.
Sarei invece lieto di dare il mio voto favorevole ad un emendamento chiarificatore, come quello presentato, ad esempio, dall’onorevole Bassano, inquantoché con esso si fissa irrevocabilmente nella Costituzione della Repubblica il riconoscimento giuridico e politico della sovranità della Santa Sede nell’ordine internazionale, a suggello della pace religiosa già lealmente accettata dal Paese, mentre si ammette la eventuale rivedibilità dei patti concordatari.
Secondo questa interpretazione e seguendo questi intendimenti, io ritengo che si chiuderebbe in piena concordia di spiriti e per libero voto di Parlamento la cosiddetta «questione romana» che ha travagliato la nostra giovinezza – per lo meno la mia giovinezza – ed ha ritardato di tanti anni l’affermazione dell’unità morale degli italiani.
E l’anticlericalismo, nel quale molti di noi abbiamo militato, si riconosce, indipendentemente dai Patti del Laterano, superato di fronte alla Chiesa di Roma che nei giorni più difficili per le libertà europee ha difeso tutte le libertà, anche e soprattutto di quelli che militavano fuori della Chiesa, conquistando di fronte alla storia una benemerenza che è superiore a qualsiasi vittoria militare.
Onorevole De Gasperi, malgrado la mia personale deferenza; onorevole Togliatti, malgrado la mia personale simpatia, credo che un voto in questo senso non attenterebbe alla pace religiosa, ma le darebbe il prestigio di più largo consenso. (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare, per dichiarazione di voto, l’onorevole Pacciardi.
Ne ha facoltà.
PACCIARDI. Onorevoli colleghi, non era previsto dal mio gruppo che io prendessi la parola in questo dibattito, un dibattito elevato, altissimo, che purtroppo, dopo l’abbraccio ideale fra l’onorevole Togliatti è l’onorevole Corbino, per l’occasione disceso dalla forca, per l’educazione politica del Paese che ne ha tanto bisogno, per i principî di cui il Paese nella sua ricostruzione morale ha ugualmente tanto bisogno, è finito in un modo strano, per non dire mortificante.
Avremmo preferito, noi del gruppo repubblicano, e l’avevamo già designato, come l’onorevole Presidente sa, che parlasse non un repubblicano tradizionale, sospetto quindi quale io sono, ma un cattolico professante che fa parte, col vostro permesso, come altri cattolici professanti fanno parte, del nostro gruppo, per dire le ragioni per le quali noi voteremo contro l’articolo 7.
Ma i riflessi politici che questo dibattito ha avuto, forse imponeva che anche il rappresentante del gruppo repubblicano dicesse la sua parola ed esprimesse il suo pensiero.
Noi ci domandiamo ancora perché – ce lo domandiamo sinceramente, quasi ansiosamente – si è provocato questo dibattito. Chi ha attentato, chi voleva attentare, chi aveva messo in discussione i Patti del Laterano?
Nessuno. Anche noi che siamo i discendenti di quella scuola, di quella milizia che, me lo concederete, ha un poco contribuito a fare l’Italia così com’è, gelosa della libertà di coscienza, anche noi non avevamo mai espresso il desiderio di discutere in questo momento i Patti Lateranensi.
L’onorevole Cingolani sa perfettamente che, salutandolo con grande affetto in una grande manifestazione cui prese parte due anni fa, al Gianicolo, in commemorazione della Repubblica romana del 1849, io dichiarai a nome del Partito repubblicano solennemente – solennemente per la circostanza, per la data – che nel nostro Paese l’anticlericalismo era morto, e non sarebbe risorto, se la Chiesa non avesse voluto che fosse risorto. Questa dichiarazione noi abbiamo ripetuto spesso e vi abbiamo uniformato la nostra condotta.
Ci pareva che un Paese, uscito da questa disfatta e che brancola ancora fra i suoi cimiteri, fra le sue rovine, un Paese che ha ancora 7.000.000 di vani distrutti, oltre 1300 miliardi di debito pubblico, un Paese che ha 2.000.000 di disoccupati, avesse altri problemi da risolvere, anziché questi problemi che potevano essere rimandati senza danno.
Perché dunque voi avete provocato questo dibattito? Perché avete insistito che i Patti del Laterano venissero inclusi nella Costituzione dello Stato italiano?
Questa pretesa non l’aveste nemmeno col fascismo che era disposto a concedere tutto. La Chiesa non ha preteso che i Patti del Laterano fossero inclusi nello Statuto del regno di allora. (Commenti). Non c’è stata mai questa pretesa, per nessuno Stato del mondo, nemmeno per la cattolicissima Irlanda. Perché con la forza del numero avete imposto questa pretesa alla nascente Repubblica italiana? Perché, dite, avete sollevato questo dibattito?
Io spero che la risposta non sia sottintesa nelle dichiarazioni che abbiamo testé ascoltato dall’onorevole De Gasperi, che in forma molto velata e molto serena, almeno apparentemente, come egli sa fare, associava stranamente questo voto con la sicurezza e la stabilità della Repubblica.
Noi voteremo contro l’articolo 7, e diamo a questo voto un significato che elude da preconcette avversioni o adesioni ai Patti del Laterano ed al Concordato, che non vogliamo discutere in questo momento, e tanto meno vuol suonare offesa alla pace religiosa del nostro Paese. Noi vogliamo semplicemente per ora che i Patti del Laterano e il Concordato non vengano inclusi nella nostra Costituzione, ed in fondo, se vi devo dire tutto il mio pensiero, non ci dispiace questo accostamento, questa collusione, tra la estrema destra e l’estrema sinistra (Commenti).
Già vi annunziavo nel discorso di risposta alle dichiarazioni del Presidente del Consiglio che si sarebbe determinato nel Paese e anche nell’Assemblea un vasto schieramento democratico, sociale, sanamente repubblicano, e voi lo avete visto in atto, in molte votazioni, in questa Assemblea.
Io credo che la stabilità e la sicurezza della Repubblica siano più garantite da questo schieramento che si va sviluppando nel Paese, piuttosto che dai Patti del Laterano che vi accingete a votare senza il nostro consenso. (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare, per dichiarazione di voto, l’onorevole Selvaggi. Ne ha facoltà.
SELVAGGI. La mia dichiarazione di voto sarà breve, perché non ritengo che occorra un lungo discorso per tentare di dimostrare, se pure con molta abilità, che non vi è contradizione fra un voto e la linea di condotta politica di un partito.
Non nascondo che provo un senso di emozione, e credo che molti colleghi qui dentro provino, di fronte a questo atto al quale ci apprestiamo, una emozione, che credo naturale, perché il problema è soprattutto un problema di coscienza che investe la nostra coscienza religiosa.
L’articolo 5, oggi articolo 7, ha infatti per noi questo particolare carattere, carattere di coscienza che va al di fuori di questa stessa Assemblea ed investe la coscienza, religiosa di tutto il Paese: al di fuori e al di sopra del giuoco politico dei partiti. Si è invece cercato, si è tentato di trasformare questo problema in problema politico, si è cercato cioè di insinuare nella nostra coscienza quella passione naturale alla politica, alle ideologie e ai programmi politici. Dopo l’elevato dibattito che si è svolto su questo articolo fino a ieri, oggi per primo l’onorevole De Gasperi ha portato il problema nel campo politico. Egli ha parlato a nome del suo partito ed egli stesso ha detto di non parlar come Presidente del Consiglio. Se così avesse fatto avrebbe dato al problema un altro carattere, che avrebbe dovuto chiarire molti rapporti ed avrebbe posto le nostre persone di fronte ad un problema squisitamente politico.
Forse, me lo consenta l’onorevole De Gasperi, anche parlando a nome del suo Partito avrebbe fatto meglio a non usare delle parole poco generose non solo per i monarchici, ma anche per gli stessi repubblicani; perché le sue parole, con argomenti che non lasciano alternative, suonano un po’ come una legge eccezionale per un rafforzamento della Repubblica ed al tempo stesso dimenticano i dodici milioni di monarchici che ci sono in Italia.
Abbiamo dovuto così sentire qui dentro richiamare la Chiesa cattolica come parte in causa, mentre si tratta di un problema che investe la nostra coscienza e la coscienza religiosa degli italiani. Abbiamo dovuto sentire parlare di schiaffo e di disprezzo ai cattolici per il voto tattico dei comunisti.
Noi del Gruppo liberale democratico dell’Uomo qualunque guardiamo questo problema soprattutto dal punto di vista della coscienza religiosa, constatando lo stato dei fatti e la realtà spirituale del popolo italiano. Ecco il significato degli emendamenti da noi proposti al comma 1 e al comma 2 dell’articolo 5, oggi articolo 7: un significato molto chiaro, lineare, anche dal punto di vista giuridico, perfettamente coerente a quella tolleranza di cui la Santa Madre Chiesa ha dato sempre, e soprattutto negli ultimi tempi, ampia prova. Se questo emendamento non dovesse essere approvato, noi voteremmo l’articolo 7 dando ad esso questo preciso duplice significato: che la religione cattolica professata dalla maggioranza del popolo italiano è la religione dello Stato italiano e che per Patti lateranensi si intende soprattutto il Concordato lateranense. Ora, io ritengo che questo articolo sarebbe stato approvato, indipendentemente e al di fuori di quel trasformistico adattamento che l’abilità polemica e dialettica dell’onorevole Togliatti dà al Partito comunista, per il voto dei cattolici, veramente coerenti a loro stessi e alla loro coscienza al di fuori di ogni e qualsiasi speculazione politica.
Una voce all’estrema sinistra. Le dispiace se saranno in molti?
SELVAGGI. No, mi fa anzi piacere, perché questo fornisce il carattere politico che noi diamo all’articolo 7. Cioè, noi ci auguriamo che questa consacrazione della pace religiosa, conquista del popolo italiano, nella Costituzione del nuovo Stato italiano, attraverso un voto di molti, significhi una maggiore, una più ampia pacificazione, un accordo fra tutti gli italiani di buona volontà per la ricostruzione della nostra Patria e voglia anche significare un monito ed un insegnamento al mondo intero al di sopra di ogni fede religiosa. (Applausi a destra).
PRESIDENTE. È inscritto a parlare, per dichiarazione di voto, l’onorevole Crispo. Ne ha facoltà.
CRISPO. Onorevoli colleghi, anche a nome dei colleghi liberali onorevoli Villabruna, Fusco e Bellavista, riassumo in una breve dichiarazione le ragioni per le quali noi, anche in disaccordo con gli altri colleghi del Gruppo liberale, respingeremo l’articolo 7. Premesso che il nostro voto non vuole avere alcun significato antireligioso, e non è informato a spirito di avversione alla Chiesa cattolica; considerato:
- a) che i Patti lateranensi non sono materia costituzionale;
- b) che la inserzione di essi nella Costituzione è in funzione di immutabilità, sia per la impossibilità di revisione costituzionale di Patti bilaterali, sia per la impossibilità di revisione concordata, non consentita, ove l’accordo si raggiungesse, dal carattere rigido della Costituzione;
- c) che non poche delle disposizioni contenute nei Patti sono in contrasto con lo spirito e con alcune norme della Costituzione;
- d) che la concezione di uno Stato confessionale cattolico, pone gli acattolici, e, in genere, gli agnostici in una condizione di evidente inferiorità;
- e) che l’articolo 7 riconduce i rapporti tra il nuovo Stato italiano e le Chiese entro lo spirito superato dell’articolo 1 dello Statuto albertino, del quale, sin dal 10 marzo 1848, Cavour auspicava la revisione, o una evoluzione che lo informasse al principio della libertà e della eguaglianza religiosa;
- f) che l’articolo 7 imprime un carattere retrivo all’atto di costituzione della Repubblica italiana, ed incide sulla sovranità dello Stato, menomandola;
- g) che del tutto immaginario è il pericolo della disgregazione morale del popolo italiano, e meno ancora sussiste quello di un conflitto religioso, già da tempo felicemente superato e composto;
per questi motivi dichiariamo di votare contro l’articolo. (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare, per dichiarazione di voto, l’onorevole Grilli. Ne ha facoltà.
GRILLI. Il Gruppo al quale io appartengo voterà contro l’articolo 7. Questa notizia non è destinata a fare colpo, come quella data dall’onorevole Togliatti. Noi non siamo degli uomini che guardano profondo; siamo meno complicati, più semplici, e ci piace la coerenza, anche se questo sentimento oggi incomincia a passare di moda.
Noi voteremo contro l’articolo 7 per diversi motivi, che non sto a spiegare specificatamente, perché sono stati già spiegati da molti altri oratori; mi limiterò quindi a riassumerli. Motivi di carattere giuridico: i Patti lateranensi non hanno carattere di legge costituzionale. La Carta costituzionale regola i rapporti interni dello Stato e non i rapporti tra Stato e Stato. Si tratta di principî di carattere elementare che non so come si possano trascurare. Vi sono poi motivi di ordine politico: la laicità dello Stato, prima del fascismo, costituiva una conquista definitiva del progresso civile e politico del popolo italiano. Il fascismo, che voleva stroncare soprattutto ogni possibilità di risveglio e di emancipazione della classe lavoratrice, ben sapendo che il socialismo ha bisogno soprattutto di un clima di libertà, soppresse tutte le libertà, rinnegando i principî della Rivoluzione francese e del Risorgimento italiano.
E per completare questo programma di reazione volle distruggere anche la libertà e l’uguaglianza dei culti, riesumando, coi Patti lateranensi, il privilegio dell’articolo primo dello Statuto albertino. Raggiunse così due obiettivi: completò lo sfacelo di tutte le libertà e si conquistò, non dico la solidarietà, ma un’indulgenza plenaria per le sue malefatte politiche. Ora che l’Italia è uscita, col sacrificio dei suoi figli migliori, dalla tirannia fascista, ha il dovere di cancellare ogni ricordo di quella politica che la condusse al disastro e di riconquistare tutte le libertà antiche per aprire la strada alle libertà nuove. Perché, io domando, come sarà possibile conquistare le libertà nuove, quelle che debbono favorire la realizzazione delle aspirazioni di giustizia sociale delle classi lavoratrici, se non riusciamo prima a riconquistare le vecchie libertà che costituiscono il fondamento della nostra vita civile? Sicché è necessario che lo Stato ritorni libero di correggere o modificare, quando sia necessario, i Patti che oggi lo legano alla Chiesa, il che sarebbe impossibile se i Patti lateranensi rimanessero inseriti nella Carta costituzionale. Ecco perché sentiamo l’imperativo categorico di votare contro l’articolo 7.
Ci si preoccupa della pace religiosa; ma perché la pace religiosa sia rotta, occorre che ci sia chi dichiara la guerra. Ora, io vorrei sapere chi dichiarerà la guerra religiosa nel caso, per esempio, in cui, invece dell’articolo 7 proposto dalla Commissione, venisse votato l’emendamento dell’onorevole Lami Starnuti o l’emendamento dell’onorevole Basso. Il popolo no, perché nessuno gli toglierebbe la sua libertà religiosa. Dovrebbe dunque essere la Chiesa; ma io sono troppo rispettoso della Chiesa per pensare che la dichiarazione di guerra dovesse venire di là. A mio parere è stata imprudente la parola che è venuta da quella parte dell’Assemblea, che cioè tra il sì e il no di questa votazione sta il sì e il no di una guerra religiosa; parola imprudente, a meno che non sia sorta per conquistare Togliatti. Se non c’è questo pericolo di una guerra religiosa, non c’è nessuna ragione perché noi dobbiamo sacrificare il nostro pensiero laico e la nostra passione per il trionfo di tulle le libertà. Ma questa ormai è discussione accademica, perché sappiamo tutti come andrà a finire questa votazione. Indubbiamente l’articolo 7 proposto dalla Commissione passerà e con esso i Patti lateranensi – frutto, nessuno si abbia a male delle mie parole, d’una specie di circonvenzione di incapace – passeranno trionfalmente nella legge fondamentale della Repubblica italiana.
Auguriamoci che questa notizia giunga più tardi possibile laddove riposano i numi tutelari della Patria, Garibaldi e Mazzini.
(Applausi a sinistra).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare, per dichiarazione di voto, l’onorevole Caroleo. Ne ha facoltà.
CAROLEO. La mia è una voce isolata di indipendente; rappresento soltanto me stesso ed i cittadini cattolici, che hanno creduto di mandarmi in questa Assemblea, e dei quali in questo momento sento il dovere di interpretare gli intimi sentimenti, votando a favore dell’articolo 7 nella dizione del progetto di Costituzione.
In questa Assemblea si è fatto appello, in un certo momento, alla sensibilità, alla coerenza degli uomini di legge. Ed io sono uno dei tanti, indubbiamente il più modesto, a cui si è pure presentato quest’aspetto giuridico del problema, al quale forse non è stata data quella importanza, che avrebbe in concreto. Perché le gravi ragioni politiche, che militavano a favore dell’articolo 7, si sono, in certo qual modo, superate, a mio parere, con una superflua disamina dell’aspetto giuridico.
Mi sembra, colleghi, che, facendo ricorso ai fondamentali canoni che presiedono la prassi legislativa e la cui imperatività si accentua nella materia costituzionale, sia facile avvertire che il richiamo dei Patti lateranensi nella Costituzione non possa significare contrasto, incoerenza, discordia con quei precetti di libertà, che sono sanciti nella nuova carta, non soltanto di fronte ai cittadini d’Italia, ma dinanzi ai cittadini di tutto il mondo e di qualsiasi confessione religiosa.
Quel richiamo, come è stato largamente esposto e spiegato da parte democristiana, significa soprattutto riconferma solenne d’un principio di fedeltà ai patti, che, se doveroso nelle relazioni giuridiche comuni, maggiormente si impone in quei superiori rapporti, che attengono la parte migliore e più nobile della personalità umana, al disopra e al difuori, mi si permetta, di qualsiasi riforma industriale o agraria. (Applausi a destra).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare, per dichiarazione di voto, l’onorevole Scotti Alessandro. Ne ha facoltà.
SCOTTI ALESSANDRO. Vi parlo, onorevoli colleghi, quale rappresentante del partito dei contadini, certo di interpretare il sentimento di questa grande classe, la quale desidera di unire la fede alla Chiesa cattolica, alla quale crede, l’amore della patria che vive, l’amore del lavoro, votando per i Patti lateranensi inclusi nella Costituzione, Patti lateranensi che hanno dato la pace religiosa all’Italia, augurando che questa pace religiosa sia auspicio della pace sociale della nuova Repubblica, la quale deve trovare in questa pace sociale la prosperità e il benessere. (Applausi al centro).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare, per dichiarazione di voto, l’onorevole Bruni. Ne ha facoltà.
BRUNI. Farò una brevissima dichiarazione, a nome del Partito cristiano sociale. Su di me non ha fatto nessuna presa né il discorso dell’onorevole Dossetti, di alcuni giorni fa, né quello dell’onorevole Togliatti di questa sera. Dichiaro perciò di votare contro l’articolo 7, per le ragioni già da me largamente esposte il 14 corrente, e più precisamente contro il secondo comma, in quanto la menzione dei Patti lateranensi quivi fatta senza discriminazioni e senza sufficienti chiarimenti e precisazioni, non costituisce affatto una dizione talmente chiara da assicurare tutti i cittadini che non saranno turbati nel godimento dei loro inalienabili diritti di uguaglianza; né la giudico sufficiente a saldare l’unità spirituale di tutti gli italiani.
Ho ritirato l’emendamento già da tempo proposto al secondo comma dell’articolo 7, perché lo giudico in parte riassorbito nell’articolo sostitutivo proposto dall’onorevole Calamandrei. Ma, fedele alla sostanza del mio emendamento, debbo d’altronde dichiarare che non accetterei neanche l’articolo sostitutivo dell’onorevole Calamandrei, se non con un’aggiunta alla fine del secondo comma, la quale dicesse: «sulla base dei Patti lateranensi», in modo che tutto il comma venisse a suonare così: «I rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica sono regolati mediante concordati, in conformità con i principî della presente Costituzione, sulla base dei Patti lateranensi».
Benché d’accordo, in linea teorica e giuridica, con tutto l’articolo sostitutivo dell’onorevole Calamandrei, ritengo tuttavia che una menzione dei Patti sia, oggi, politicamente una necessità, un atto di saggezza politica. Senza questa menzione, sarei costretto ad astenermi quando si voterà questo articolo sostitutivo e tutti gli altri che gli assomigliano.
I cristiano-sociali, fedeli alle loro convinzioni più profonde, non vogliono nessuna legislazione, neppure l’ombra di una legislazione, che possa impedire o intralciare, o semplicemente turbare, sia pur minimamente in una sola anima, la sua continua ricerca della verità e il suo diritto a liberamente propagandarla.
Ciò costituisce il loro più profondo e caratteristico impegno d’onore.
Una volta salva questa loro esigenza (e l’articolo sostitutivo dell’onorevole Calamandrei la salva egregiamente), penso che sia mio preciso dovere di dichiarare che con l’escludere ogni e qualsiasi menzione dei Patti lateranensi dal testo costituzionale, dopo che essi furono accolti nel progetto, potrebbe servire ad incolparci di voler riaprire perfino la «Questione romana» e di voler tutto sovvertire, unilateralmente, nell’attuale sistema dei rapporti tra Chiesa cattolica e Stato italiano; il che è lontano dalle intenzioni di tutti in Italia. Potrebbe servire a rimproverarci di non aver fatto tutto ciò che era onesto fare per non turbare la pace religiosa.
Io non intendo illustrare ulteriormente la mia posizione che, purtroppo, resta solo di mediazione intellettuale, tra le parti avverse, che ormai non sono più in grado di conciliarsi.
Democristiani e comunisti si sono ormai decisi per la via più facile, per la via che comporta meno rischi.
Ma dubito assai ch’essi abbiano saputo scegliere la via più educativa per il popolo italiano.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare, per dichiarazione di voto, l’onorevole Tonello. Ne ha facoltà.
TONELLO. Onorevoli colleghi, ho preso la parola per dichiarare che voterò contro l’articolo 7, tanto più che sui giornali mi si è fatto l’onore di dipingermi come la bestia nera dei preti. Hanno detto anche che sono di religione protestante; no, sono di famiglia cattolicissima. Se tutti quelli che attraverso i secoli hanno detto male dei preti fossero dei peccatori, immaginatevi come dovrebbe esser popolato l’inferno, cominciando da padre Dante fino agli ultimi poeti del Risorgimento italiano; perché, questa di criticare il clero, la funzione del clero, fu la manifestazione letteraria e anche poetica di tutti gli scrittori italiani. Leggete…
Una voce al centro. Il Manzoni!
TONELLO. Sì, anche il Manzoni, che nel 1848 diceva: «Pio IX ha benedetto l’Italia, e poi l’ha mandata a farsi benedire». Tutti; e del Manzoni si possono citare pagine realmente anticlericali, non anticattoliche o anticristiane. Perché io faccio una grande distinzione fra cattolico e cristiano. Il cattolico appartiene ad una confessione religiosa organizzata, che si esprime attraverso una gerarchia, alla quale obbedisce. «Cristiano» è un termine più comprensivo; vuol dire l’uomo che ha assorbito da Cristo e dalla tradizione cristiana quelle che sono le verità dello spirito. Orbene, io non sono un anticattolico: in cinquantadue anni di battaglie e di propaganda non ho mai detto una parola che offendesse la religione di mia madre; fui sempre rispettoso di questo sentimento santo e nobile che è nel cuore e nella mente dei veri credenti; ma fui contro gli intolleranti, specialmente quando portavano la veste nera. Perché si può pensare che in una data religione, in una data professione filosofica o altro, predomini talvolta la forma dell’intransigenza; non si può pensare che nella religione cristiana vi siano ancora tanti uomini intolleranti. E guardate che il gesto vostro sarà dannoso soprattutto per il popolo italiano, perché voi, qui dentro, avete espresso il vostro pensiero, ma domani, in ogni paese dove suona una campana, si farà credere al popolo che si voleva sopprimere la religione, abbattere il papato; mentre noi non ci siamo mai sognato tutto questo.
Bisogna che il proletariato sappia che noi, se ci siamo opposti all’articolo 7 della Costituzione, l’abbiamo fatto perché sognavamo e sogniamo ancora una Repubblica di libertà, che porti tutti i cittadini allo stesso livello, e che non ci sia nella Repubblica nuova una classe privilegiata per il fatto che dei cittadini sono cattolici, anziché appartenere ad un’altra confessione religiosa o politica. Ecco perché diciamo che non avete combattuto una battaglia religiosa voi, ma avete fatto una battaglia puramente politica ed elettorale. Avete voluto prepararvi alle elezioni, e si capisce; ma badate che questa volta avete molti concorrenti, avete anche concorrenti dalla parte di Togliatti, dei compagni comunisti; ma credete che il proletariato sentisse la impellente necessità dei Patti lateranensi nella Costituzione?
Sono altri i bisogni e le aspirazioni del proletariato italiano. Noi, socialisti della vecchia guardia, pensiamo che il proletariato italiano debba risorgere attraverso una evoluzione politica, economica e morale, e pensiamo che è il problema della terra che bisogna risolvere per la classe lavoratrice, lasciando agli uomini di tutte le fedi e di tutte le religioni che possano liberamente campare nei loro mondi del pensiero.
Ho sentito l’onorevole De Gasperi, per il quale pare che tutti quelli che non la pensano come lui e che non sentono questo palpito religioso nell’animo, siano quasi delle anime dannate; ma noi non siamo delle anime dannate, perché se ci fosse un Dio, questo Dio riconoscerebbe che noi siamo galantuomini perché combattiamo per le nostre idee. L’Italia si è fatta attraverso una lotta costante contro il clericalismo e contro l’azione clericale. Voi vedrete, sfogliando i libri della storia, che qualunque movimento politico e miglioramento economico, qualunque innovazione nel campo sociale, non è che il risultato di quelle minoranze che si chiamavano una volta liberali, e che adesso si chiamano con altri nomi, perché ci sono anche qui dentro dei liberali, che non hanno più spina dorsale, dei liberali che all’ultimo momento si sono accorti di venire con voi per seguire la stessa causa, e non la stessa fede, alla quale si è convertito l’onorevole Togliatti. (Si ride).
Bisogna dunque dare al proletariato l’esempio di una vita dignitosa. Il proletariato, anche quello che crede effettivamente, ammira più gli uomini sinceri, che non nascondono il proprio pensiero, mentre ha schifo di quegli uomini che l’ingannano e che dimostrano di avere una fede e ne hanno un’altra, che hanno un programma di chiacchiere e ne hanno un altro ben differente di fatti. (Commenti – Rumori).
È tempo che la Camera italiana abbia ancora degli uomini di carattere perché, se noi abbiamo avuto durante il Risorgimento pagine gloriose che hanno segnato una marcia in avanti per il proletariato, le abbiamo avute perché questi uomini dettero l’esempio della fierezza, della coerenza, della dignità anche intellettuale.
Siamo passati per 20 anni attraverso la diseducazione della dignità intellettuale; abbiamo visto una borghesia italiana piegarsi al fascismo, uomini che erano puri di pensiero e di fede che si sono piegati alla tirannide del fascismo. Ebbene, ora il fascismo è cessato, signori! Bisogna che l’Italia vera, l’Italia del proletariato, riprenda in pieno il suo cammino.
Pochi o molti, compagni socialisti della vecchia guardia, noi sventoleremo ancora la nostra bandiera di fede nell’avvenire del proletariato, contro tutti i sofismi e tutti gli imbrogli degli ultimi venuti! (Applausi a sinistra).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare, per dichiarazione di voto, l’onorevole Bordon. Ne ha facoltà.
BORDON. Onorevoli colleghi, la mia dichiarazione di voto sarà brevissima, poiché già è stata lunga la discussione, cui abbiamo assistito. Ho sentito in questa aula parlare di Stato laico o non laico, di pace religiosa, di concordia e altre cose. Ma permettetemi, onorevoli colleghi, che io ricordi che i termini della questione non sono questi.
Noi non siamo chiamati qui per emettere un giudizio di merito sulla fondatezza o opportunità degli atti, di cui si chiede l’inclusione nella Costituzione, ma siamo chiamati qui a pronunciarci sull’inclusione, o meno, dei medesimi nella Carta costituzionale. Questo è il problema di cui esclusivamente dobbiamo occuparci.
Ora, per ragioni morali e per ragioni giuridiche evidenti, ritengo che questa inclusione non sia possibile. Per questi motivi voterò contro l’articolo 7, mentre mi associo all’emendamento proposto, a detto articolo, dall’onorevole Calamandrei.
PRESIDENTE. Prima di passare alle votazioni chiederò ai presentatori dei singoli emendamenti se essi, dopo udite le dichiarazioni di voto, intendano di mantenere integralmente o in parte i loro emendamenti.
Onorevole Della Seta, ella mantiene il suo emendamento?
DELLA SETA. Ho voluto, col mio emendamento, porre una questione di principio; ma, dopo il carattere che ha assunto questa discussione, ritiro il mio emendamento (Approvazioni), associandomi al mio Gruppo e votando contro l’articolo 7; dando a questa parola «contro» il significato della necessità, inderogabile e improrogabile di assicurare alle minoranze religiose quella disciplina giuridica che risponda ad un alto principio di giustizia.
PRESIDENTE. Onorevole Lami Starnuti, ella mantiene il suo emendamento?
LAMI STARNUTI. Onorevole Presidente, in conformità agli accordi intervenuti fra i vari gruppi noi ritiriamo il nostro emendamento; ma, coerentemente alla sostanza di esso, voteremo contro l’articolo 7 del progetto.
PRESIDENTE. Onorevole Calamandrei, ella mantiene il suo emendamento?
CALAMANDREI. Ritiriamo l’emendamento e votiamo contro l’articolo 7.
PRESIDENTE. Onorevole Basso, ella mantiene il suo emendamento?
BASSO. Anche noi ritiriamo l’emendamento e votiamo contro.
PRESIDENTE. Onorevole Crispo, ella mantiene i suoi emendamenti?
CRISPO. Ritiro il primo e mantengo il secondo.
PRESIDENTE. Onorevole Ruggiero, ella mantiene il suo emendamento?
RUGGIERO. Ritiro l’emendamento, dichiarando di votare contro.
PRESIDENTE. Onorevole Rodinò Mario, ella mantiene il suo emendamento?
RODINÒ MARIO. Dichiaro di ritirare l’emendamento, in quanto l’affermazione storica che esso enuncia è la base della dichiarazione che costituisce il primo comma dell’emendamento Patricolo, emendamento a favore del quale il nostro gruppo voterà.
PRESIDENTE. Onorevole Bassano, ella mantiene il suo emendamento.
BASSANO. Ritiro l’emendamento; voterò contro l’articolo 7.
PRESIDENTE. Onorevole Patricolo, ella insiste nel suo emendamento?
PATRICOLO. Insisto.
PRESIDENTE. Onorevole Nobili Tito Oro, ella mantiene il suo emendamento?
NOBILI TITO ORO. Lo ritiro.
PRESIDENTE. Onorevole Pajetta Giancarlo, ella mantiene il suo emendamento?
PAJETTA GIANCARLO. Mantengo il mio emendamento e, se non sarà accolto, farò mia la terza parte dell’emendamento dell’onorevole Calamandrei che, simile nella sostanza, mi pare migliore per la forma.
PRESIDENTE. Onorevole Lucifero, ella mantiene il suo emendamento?
LUCIFERO. Mantengo il mio emendamento e chiedo che l’articolo 7 sia votato per divisione, separando l’ultimo comma dai due precedenti.
PRESIDENTE. Dobbiamo ora procedere alla votazione dell’emendamento Patricolo, sul quale è stata chiesta la votazione per appello nominale degli onorevoli Selvaggi, Cicerone, Puoti, Coppa, Perugi, Penna Ottavia, Colitto, Rodinò Mario, Marina, Maffioli, De Falco, Miccolis, Corsini, Mazza, Vilardi.
Onorevole Selvaggi, mantiene tale richiesta?
SELVAGGI. La ritiriamo.
GRONCHI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Eravamo restati d’intesa che le dichiarazioni amplissime già fatte dovevano valere come dichiarazione di voto per tutti gli emendamenti.
Comunque, se lei insiste, ha facoltà di parlare.
GRONCHI. Una brevissima dichiarazione, per osservare che l’emendamento dell’onorevole Patricolo, ove non abbia un intento politico, che potrei dire di concorrenza, il che non voglio supporre, è da collocare sulla stessa linea di quello dell’onorevole Rodinò, il quale aveva un puro e semplice valore di constatazione statistica. Esso per noi è irrilevante, dato lo spirito e la lettera dell’articolo 7, quale è proposto dalla Commissione. Pertanto, noi ci asterremo nella votazione di questo emendamento.
SELVAGGI. Chiedo di parlare per fatto personale.
PRESIDENTE. Non vedo assolutamente un fatto personale.
SELVAGGI. Come Vicepresidente del Gruppo parlamentare dell’«Uomo Qualunque» credo di avere il diritto di parlare per una frase detta dall’onorevole Gronchi.
PRESIDENTE. L’onorevole Gronchi ha dichiarato perché il suo Gruppo si asterrà dalla votazione.
SELVAGGI. L’onorevole Gronchi ha parlato di concorrenza politica.
PRESIDENTE. I fatti personali si riferiscono alla persona e non ai Gruppi. Se lei fosse stato nominato, avrebbe avuto diritto di parlare per fatto personale.
SELVAGGI. Tutti hanno compreso il riferimento dell’onorevole Gronchi.
PRESIDENTE. È stata una dichiarazione di voto senza richiamo a persona; altrimenti, tutti i componenti del suo Gruppo dovrebbero prendere la parola per fatto personale. Ad ogni modo, mi mostro arrendevole e le consento una breve dichiarazione.
SELVAGGI. Desidero chiarire che la posizione del Gruppo parlamentare del Fronte liberale democratico dell’Uomo Qualunque è nei confronti di questo emendamento esclusivamente rispondente ad un problema di coscienza di cattolici e di italiani. Non vi è nessun problema politico o di concorrenza politica o elettoralistica. (Applausi a destra).
PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma dell’emendamento Patricolo:
«La Religione cattolica è la religione ufficiale della Repubblica italiana».
(Non è approvato).
Pongo in votazione il secondo comma dell’emendamento Patricolo:
«I rapporti tra la Chiesa cattolica e lo Stato sono regolati dal Concordato lateranense».
(Non è approvato).
Vorrei chiedere ora alla Commissione il suo avviso a proposito dei due emendamenti presentati dall’onorevole Pajetta Giancarlo ed altri, relativi al terzo comma del testo proposto dalla Commissione, poiché dalle dichiarazioni degli onorevoli Deputati, che hanno parlato anche favorevolmente al testo dell’articolo, mi è parso comprendere che non sarebbero forse contrari a che tali emendamenti possano essere presi in considerazione.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Le proposte presentate divergono dal testo della Commissione in questo: mentre conservano l’affermazione fondamentale che le altre confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, sopprimono con l’emendamento Pajetta l’espressione «in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano». La Commissione aveva ritenuta necessaria questa espressione, che non intacca il rispetto agli ordinamenti giuridici interni delle singole confessioni, e si limita a richiedere che non vi sia contradizione con l’ordinamento giuridico dell’Italia. Non è da dimenticare che oltre alle confessioni – venerate, rispettabilissime, che tutti conosciamo – potrebbero sorgere culti strani, bizzarri (l’America insegna) che non corrispondessero all’ordinamento giuridico italiano. Mi pare che la frase non ferisca la dignità ed il rispetto per i culti tradizionali. La seconda variante sposta una frase. La Commissione aveva ritenuto di stabilire che i rapporti fra queste confessioni e lo Stato «sono regolate con legge, sulla base di intese, ove siano richieste, con le rispettive rappresentanze». Le richieste riguardano le intese, non la regolazione per legge. Si propone ora, spostando al principio «ove siano richieste», di subordinare appunto la emanazione della legge alla richiesta delle rappresentanze.
La variante desta fondati dubbi. Bisogna bensì andare incontro ai desideri delle minori confessioni, ed assicurarne la libertà. La Commissione non ritiene che debbano sempre, nei loro rapporti con lo Stato, essere regolate da legge. In molti casi non occorrerà che intervenga una legge: le confessioni saranno lasciate interamente libere. Ma il giudizio e la decisione se si debba o no provvedere con legge, non può essere rimesso alla rappresentanza della confessione: spetta logicamente e necessariamente allo Stato; che ha tuttavia il dovere di procedere, ove sia richiesto, a trattative con tali rappresentanze. Questo sembra il sistema, indubbiamente migliore fra tutti, che risponde al pensiero della Commissione. La sua applicazione potrà aver luogo con piena soddisfazione delle Chiese interessate.
PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo emendamento dell’onorevole Pajetta Giancarlo:
«Al terzo comma, nella prima parte, sopprimere le parole: in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano».
(Dopo prova e controprova, l’emendamento non è approvato).
Pongo in votazione ora il secondo emendamento dell’onorevole Pajetta Giancarlo.
Il testo della Commissione è così concepito:
«I rapporti con lo Stato sono regolati per legge, sulla base di intese, ove siano richieste, con le rispettive rappresentanze».
L’onorevole Pajetta propone la seguente formula:
«I rapporti con lo Stato sono regolati, ove sia richiesto, per legge, sulla base di intese con le rispettive rappresentanze».
Si tratta di una piccolissima differenza. Praticamente l’emendamento mira a che queste intese fra lo Stato e le confessioni religiose, che non siano la Chiesa cattolica, debbano essere regolate con legge solo se le confessioni ne fanno richiesta, mentre, a tenore dell’articolo proposto dalla Commissione, lo Stato deve sempre regolare per legge i rapporti.
FABBRI. La differenza non risulta dalle due formule. L’interpretazione del testo della Commissione data dall’onorevole Presidente sarà stata nelle intenzioni di chi l’ha redatta.
PRESIDENTE. Ho partecipato anch’io alle discussioni sia della prima Sottocommissione come della Commissione plenaria ed ho inteso bene il significato del comma. D’altra parte, confesso che il tesato è stato redatto anche da me in concorso coll’onorevole Dossetti.
Ha chiesto di parlare l’onorevole Presidente della Commissione. Ne ha facoltà.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Desidero chiarire che il testo della Commissione «sono regolati» è diverso da «possono» come da «devono» essere regolati. Se si fosse voluto stabilire l’obbligo che fossero sempre regolati, si sarebbe detto «devono».
«Sono» significa che, quando occorre, i rapporti vengono regolati per legge, ma non è prescritto in modo tassativo.
Questa è l’interpretazione che io do, e che è conforme allo stile della tecnica giuridica e legislativa. Si possono dare interpretazioni diverse. Ma la Commissione col suo testo intendeva ed intende che non è obbligo tassativo di regolare per legge le confessioni religiose.
LEONE GIOVANNI; Chiedo di parlare per mozione d’ordine.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LEONE GIOVANNI. A me sembra che, prima di votare una legge, se ne debba chiarire l’interpretazione, ove questa risulti equivoca. Chiederei pertanto alla Commissione che, prima della votazione, chiarisca se il «sono» significhi «debbono» o «possono».
PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ruini a manifestare se la Commissione ritenga di poter risolvere subito la questione.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La Commissione, per decidere, dovrebbe raccogliersi e non lo può fare improvvisamente. Ripeto, onorevole Leone, che a mio avviso «sono» si possa interpretare correttamente e tecnicamente nel senso che ho spiegato poc’anzi. Se l’Assemblea vorrà dire invece «possono» io e, credo, la Commissione non ne faremo questione. La sostanza è insomma nel fatto che il giudizio se le confessioni debbano essere regolate per legge spetti allo Stato o alle confessioni stesse.
PELLIZZARI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PELLIZZARI. Se lei, onorevole Presidente, lo permette, vorrei osservare che, così in questo caso come in tutti i consimili, il verbo «sono» costituisce una affermazione perentoria. (Rumori). Quindi se noi voteremo il verbo «sono», vorremo intendere che «debbono».
LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Non è necessario, onorevole Leone che lei sostenga quanto ha già chiaramente espresso, con nuovi argomenti. Mi permetto inoltre di osservarle che, per tutte le leggi che si votano, possono sempre sussistere delle diversità di interpretazione; ma tutti i lavori preparatori – e lei sa quanti volumi abbiano riempito i lavori delle Sottocommissioni – servono appunto a spiegare il significato che si è voluto conferire alle formule adottate. Se comunque ella desidera di presentare una proposta formale, ha facoltà di farlo.
LEONE GIOVANNI. Io non desidero, onorevole Presidente, di presentare una proposta formale; desidererei solo che si concedesse qualche minuto di tempo per potere addivenire ad una soluzione di questa questione.
PRESIDENTE. Onorevole Leone, lei ha troppa esperienza di queste cose per poter ritenere che in pochi minuti si possa risolvere una questione di questo genere.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. È bene distinguere sostanza e forma. Di comune, fra la interpretazione che la Commissione dà al suo testo, e la nuova formula Pajetta, è il punto che le confessioni possano anche non essere regolate per legge. La differenza sta se a decidere che occorre la legge sia lo Stato o la confessione.
Come forma, non si tratta, onorevole Pellizzari, di questione grammaticale, ma di tecnica e consuetudine giuridica.
A me pare che il «possono» non sia necessario e forse sia meno corretto; ma se lo preferite per togliere ogni dubbio, potete adoperare questa o altra dizione diversa dalla nostra, purché ne convalidi il concetto.
PRESIDENTE. A me pare che, anche accettando quanto ha detto ora l’onorevole Ruini – e certamente, se la Commissione è di questo avviso, credo che si debba senz’altro modificare in tal senso il testo – non sia risolto il problema della diversità del concetto espresso dalla Commissione rispetto a quello che costituisce l’emendamento dell’onorevole Pajetta.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Certamente.
PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Pajetta Giancarlo.
(Non è approvato).
PAJETTA GIANCARLO. Non insisto nella proposta di far mio il terzo comma dell’emendamento Calamandrei.
PRESIDENTE. C’è ora da risolvere la questione relativa alla proposta dell’onorevole Lucifero, il quale ha proposto di trasferire l’ultimo comma all’articolo 14, sostituendo le parole: «Le altre confessioni» con le seguenti: «Tutte le confessioni».
Ma per ora si potrebbe restare al problema dell’emendamento dell’articolo.
LUCIFERO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUCIFERO. Ho fatto quella variazione del testo, perché è necessaria se il capoverso è trasportato alla fine dell’articolo 14.
Qui invece si crea una voluta distinzione fra la religione cattolica e le altre confessioni, che io col mio emendamento tendevo ad eliminare.
PRESIDENTE. Allora bisognerebbe mettere in votazione la proposta dell’onorevole Lucifero di trasferire il terzo comma dell’articolo 7 all’articolo 14. Qual è il parere della. Commissione?
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Credo che si possa prendere nota di questo desiderio dell’onorevole Lucifero, ma non sia inopportuno, per decidere definitivamente al riguardo, attendere che sia esaminato ed approvato l’articolo 14.
PRESIDENTE. Secondo le dichiarazioni dell’onorevole Lucifero, in tanto il trasferimento è giustificato, in quanto sia accettato l’emendamento; perché appunto con l’emendamento e con il trasferimento si mira ad impostare in maniera diversa il problema del terzo comma dell’articolo 7. Pertanto la questione del trasferimento deve essere risolta immediatamente.
LUCIFERO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUCIFERO. Mi permetto di ricordare all’onorevole Ruini che già la Commissione dei Settantacinque alla unanimità deliberò questo spostamento; e poi in sede di coordinamento la deliberazione non ebbe seguito.
Dato che io credo si tratti di una questione sostanziale, perché si tratta di distinguere determinati rapporti da altri rapporti, devo insistere nel mio emendamento.
PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Lucifero di trasferire l’ultimo comma dell’articolo 7 all’articolo 14.
(Dopo prova e controprova, è approvata).
L’emendamento proposto dall’onorevole Lucifero al testo del terzo comma trasferito sarà discusso e votato quando esamineremo l’articolo 14.
Pertanto anche il seguente emendamento presentato dagli onorevoli Dugoni, Basso, Vigna e De Micheli, si intende rinviato:
«Al terzo comma, sopprimere l’ultimo periodo:
I rapporti con lo Stato sono regolati per legge, sulla base di intese, ove siano richieste, con le rispettive rappresentanze».
Votazione nominale.
PRESIDENTE. Passiamo ora alla votazione dei primi due commi dell’articolo 7:
«Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.
«I loro rapporti sono regolati dai Patti lateranensi. Qualsiasi modificazione dei Patti, bilateralmente accettata, non richiede procedimento di revisione costituzionale».
Comunico che è stata chiesta la votazione per appello nominale dagli onorevoli Pertini, Lopardi, Pistoia, Foa, Mastino Pietro, Binni, Bernini, Calamandrei, Cianca, Bruni, Codignola, Lombardi Riccardo, Veroni, Valiani, Cevolotto.
Estraggo a sorte il nome del Deputato dal quale comincerà la chiama. Comincerà dall’onorevole Longo.
Invito l’onorevole Segretario a fare la chiama.
SCHIRATTI, Segretario, fa la chiama.
Rispondono sì:
Abozzi – Adonnino – Alberganti – Alberti – Aldisio – Allegato – Ambrosini – Andreotti – Angelini – Angelucci – Arcaini – Arcangeli – Assennato – Avanzini – Ayroldi.
Bacciconi – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Bastianetto – Bazoli – Bei Adele – Bellato – Belotti – Bencivenga – Benedetti – Benvenuti – Bergamini – Bernamonti – Bertini Giovanni – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Bitossi – Boldrini – Bolognesi – Bonino – Bonomi Paolo – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bosi – Bovetti – Braschi – Brusasca – Bubbio – Bulloni Pietro – Burato.
Caccuri – Caiati – Campilli – Camposarcuno – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Caprani – Capua – Carbonari – Carignani – Carìstia – Caroleo – Caronia – Carratelli – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Castiglia – Cavallari – Cavalli – Cavallotti – Cerreti – Chatrian – Chieffi – Ciampitti – Ciccolungo – Cicerone – Cifaldi – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Colonna di Paliano – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corbìno – Corsanego – Corsini – Cortese – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo.
D’Amico Michele – De Caro Gerardo – De Falco – De Filpo – De Gasperi – Del Curto – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Michele Luigi– De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Di Vittorio – Dominedò – D’Onofrio – Dossetti – Dozza.
Ermini.
Fabriani – Falchi – Fanfani – Fantoni – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Ferreri – Firrao – Flecchia – Foresi – Franceschini – Froggio – Fuschini.
Gabrieli – Galati– Gallico Spano Nadia – Garlato – Gatta – Gavina – Germano – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Giacchèro – Giolitti – Giordani – Gonella – Gorreri – Gortani – Gotelli Angela – Grassi – Grieco – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto.
Iotti Leonilde.
Jacini – Jervolino.
Laconi – La Gravinese Nicola – Lagravinese Pasquale – Landi – La Pira – La Rocca – Lazzati – Leone Francesco – Leone Giovanni – Lettieri – Li Causi – Lizier – Longo – Lozza – Lucifero.
Maffi – Maffioli – Magnani – Maltagliati – Malvestiti – Mannironi – Manzini – Marazza – Marconi – Marina Mario – Marinaro – Martinelli – Marzarotto – Massini – Massola – Mastino Gesumino – Mastrojanni – Mattarella – Mattei Teresa – Mazza – Meda Luigi – Medi Enrico – Mentasti – Merlin Umberto – Mezzadra – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molinelli – Montagnana Mario – Montagnana Rita – Montalbano – Monterisi – Monticelli – Montini – Moranino – Morelli Luigi – Moro – Mortati – Moscatelli – Mùrdaca – Murgia – Musolino.
Negarville – Negro – Nicotra Maria – Nitti – Nobile Umberto – Notarianni – Novella – Numeroso – Orlando Camillo – Orlando Vittorio Emanuele.
Pajetta Gian Carlo – Pajetta Giuliano – Pallastrelli – Pastore Giulio – Pastore Raffaele – Pat – Patricolo – Pecorari – Pella – Pellegrini – Pellizzari – Penna Ottavia – Perlingieri – Perrone Capano – Perugi – Pesenti – Petrilli – Piccioni – Pignedoli – Platone – Pollastrini Elettra – Ponti – Pratolongo – Preziosi – Proia – Pucci – Puoti.
Quarello – Quintieri Adolfo – Quintieri Quinto.
Raimondi – Rapelli – Ravagnan – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Rescigno – Restagno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodinò Mario – Romano – Roselli – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Roveda – Rubilli – Ruggeri Luigi – Ruini – Rumor.
Saccenti – Saggin – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sartor – Scalfaro – Scarpa – Scelba – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Scotti Francesco – Secchia – Segni – Selvaggi – Sereni – Sforza – Sicignano – Siles – Silipo – Spataro – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.
Tambroni Armaroli – Taviani – Terranova – Tessitori – Tieri Vincenzo – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Togni – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Trimarchi – Tripepi – Tumminelli – Tupini – Turco.
Uberti.
Valenti – Vallone – Valmarana – Vanoni – Venditti – Viale – Vicentini – Vigo – Vilardi – Volpe.
Zaccagnini – Zerbi – Zotta.
Rispondono no:
Amadei – Arata – Azzi.
Barbareschi – Bassano – Basso – Bellavista – Bellusci – Bennani – Bernabei – Bernini Ferdinando – Bianchi Bianca – Binni – Bocconi – Bonomelli – Bordon – Bruni – Buffoni Francesco.
Cacciatore – Cairo – Calamandrei – Caldera – Calosso – Camangi – Candela – Carnepa – Canevari – Caporali – Carboni – Carpano Maglioli – Cartìa – Cevolotto – Chiaramello – Chiostergi – Cianca – Codignola – Conti – Corsi – Cosattini – Costa – Costantini – Crispo.
Damiani – D’Aragona – Della Seta – De Mercurio – De Michelis Paolo – Di Giovanni – Di Gloria – Dugoni.
Fabbri – Facchinetti – Faccio – Fedeli Aldo – Fietta – Filippini – Fiorentino – Fioritto – Foa – Fornara – Fusco.
Gasparotto – Ghidini – Ghislandi – Giacometti – Giua – Grazi Enrico – Grazia Verenin – Grilli – Gullo Rocco.
Jacometti.
Lami Starnuti – Lizzadri – Lombardi Riccardo – Lombardo Ivan Matteo – Longhena – Lopardi – Luisetti – Lupis.
Macrelli – Magrini – Malagugini – Mancini – Mariani Enrico – Martino Enrico – Mastino Pietro – Matteotti Carlo – Matteotti Matteo – Mazzei – Merighi – Merlin Angelina – Molè – Momigliano – Montemartini – Morandi – Morini – Musotto.
Nasi – Natoli Lamantea – Nenni – Nobili Oro.
Pacciardi – Paolucci – Paris – Parri – Pera – Perassi – Persico – Pertini Sandro – Piemonte – Pignatari – Pistoia – Pressinotti – Preti – Priolo.
Romita – Rossi Paolo – Ruggiero Carlo.
Salerno – Sansone – Santi – Saragat – Sardiello – Schiavetti – Silone – Spallicci – Stampacchia.
Taddia – Targetti – Tega – Tomba – Tonello – Tonetti – Tremelloni.
Valiani – Varvaro – Vernocchi – Veroni – Vigna – Vigorelli – Villabruna – Villani – Vinciguerra – Vischioni.
Zagari – Zanardi – Zannerini – Zappelli – Zuccarini.
Sono in congedo:
Cappugi.
D’Amico Diego.
Martino Gaetano.
Rodinò Ugo.
Spano Velio.
Treves.
PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione nominale e invito gli onorevoli Segretari a fare il computo dei voti.
(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).
Risultato della votazione nominale.
PRESIDENTE. Annuncio il risultato della votazione nominale:
Presenti e votanti 499
Maggioranza 250
Hanno risposto sì 350
Hanno risposto no 149
(L’Assemblea approva).
Avverto che l’onorevole Crispo mi ha comunicato di rinunciare al suo emendamento.
Non essendo presente l’onorevole Nobili Tito Oro, il suo emendamento, tendente a modificare il titolo delle Disposizioni generali, si intende ritirato.
Il seguito di questa discussione è rinviato alle 15 di oggi 26 marzo.
La seduta termina alle 1.30.
Ordine del giorno per la seduta di mercoledì 26.
Alle ore 15:
Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.