Come nasce la Costituzione

POMERIDIANA DI VENERDÌ 11 APRILE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

LXXXIV.

SEDUTA POMERIDIANA DI VENERDÌ 11 APRILE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedi:

Presidente                                                                                                        

Progetto di Costituzione della Repubblica Italiana (Seguito della discussione):

Presidente                                                                                                        

Maffi                                                                                                                

Chiostergi                                                                                                        

Tonello                                                                                                            

Tupini, Presidente della prima Sottocommissione                                                 

Andreotti                                                                                                        

Conti                                                                                                                

Rossi Paolo                                                                                                      

Bettiol                                                                                                             

Perassi                                                                                                              

Corsanego                                                                                                       

Caroleo                                                                                                           

Di Gloria                                                                                                          

Cappi                                                                                                                 

Della Seta                                                                                                       

Lucifero                                                                                                           

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

Cappa, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri             

La seduta comincia alle 16.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE comunica che hanno chiesto congedo i deputati Bucci, Cacciatore, Carpano Maglioli, D’Amico Michele, Fiore, Gavina, Li Causi, Montalbano, Nenni, Orlando Vittorio Emanuela, Saccenti, Selvaggi e Togliatti.

(Sono concessi).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: «Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana».

La discussione e lo svolgimento degli emendamenti all’articolo 11, si sono conclusi nella seduta antimeridiana. Dobbiamo ora procedere alle votazioni.

Al primo comma dell’articolo, l’onorevole Patricolo ha proposto di sopprimere la seconda parte, ed ha chiesto che si proceda alla votazione per divisione di questo primo comma.

Pertanto, pongo in votazione la prima parte del primo comma:

«La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge».

(È approvata).

Il testo della Commissione aggiunge:

«in conformità delle norme e dei trattati internazionali».

L’onorevole Patricolo ha già proposto la soppressione di questa seconda parte del comma.

Pongo ai voti questa proposta di soppressione.

(Non è approvata).

Pongo ai voti la seconda parte del primo comma:

«in conformità delle norme e dei trattati internazionali».

(È approvata).

Al secondo comma sono stati presentati emendamenti dall’onorevole Ravagnan ed altri; dall’onorevole Basso ed altre dall’onorevole Patricolo. Avverte, poi, che gli onorevoli Trevs, Bulloni e Cappi, che avevano presentato emendamenti per loro conto, li hanno sostituiti con il seguente, accettato dalla Commissione:

«Lo straniero, al quale sia impedito l’effettivo esercizio dei diritti derivanti dalle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto di asilo nel territorio della Repubblica italiana».

Chiedo intanto all’onorevole Nobile se insiste ancora nel suo emendamento.

NOBILE. Non insisto.

PRESIDENTE. Di questi emendamenti si allontana di più dal testo della Commissione quello presentato dagli onorevoli Ravagnan, Laconi e Grieco. Esso ha, d’altra parte, un carattere più ampio degli altri emendamenti. Mentre, infatti, negli altri si fa richiamo espresso ai diritti di libertà garantiti dalla Costituzione, nell’emendamento Ravagnan è soppresso ogni richiamo alla Costituzione italiana.

Esso è del seguente tenore:

«Lo straniero perseguitato per avere difeso i diritti della libertà e del lavoro ha diritto di asilo nel territorio italiano».

MAFFI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAFFI. Tengo a dichiarare che voterò per l’emendamento Ravagnan, perché sono d’avviso che esso significhi e riproduca nella forma più completa il testo stesso della Commissione, poiché la Costituzione della Repubblica italiana è la Costituzione di una Repubblica «fondata sulla libertà e sul lavoro», (come è detto nella formula ormai adottata per la nostra Costituzione). Il diritto di asilo che ha ogni straniero perseguitato per aver difeso i diritti della libertà e del lavoro, equivale all’espressione usata dalla Commissione; ma si espone in una forma immensamente più esatta, più conforme al concetto fondamentale espresso nel testo della Commissione stessa.

Non solo; la formula dell’emendamento proposto dal compagno Ravagnan ha, per conto mio, un grande vantaggio, quello di liberare il nostro Paese dalle immigrazioni indesiderabili.

Badate che la perorazione e la contro-orazione Ravagnan da una parte e Tonello dall’altra hanno forse peccato per una eccessiva asprezza di tono.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. È sempre dolce l’onorevole Tonello! (Si ride).

MAFFI. Ci sono sostanze dolci che allo stomaco possono sembrare irritanti: sentiremo cosa pensa delle dichiarazioni Tonello lo stomaco svizzero. Ma questo è un particolare. Dicevo che l’onorevole Ravagnan e l’onorevole Tonello hanno posto in evidenza i gravi pericoli costituiti per lo Stato dall’avere ospiti indesiderati, che rappresentano elementi di conflitto nella vita della Nazione, e che dobbiamo cercare di eliminare.

Per queste ragioni, allo scopo di eliminare l’arrivo in Italia di elementi che siano contrari ai concetti della libertà e dei diritti del lavoro, voterò per l’emendamento Ravagnan.

CHIOSTERGI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CHIOSTERGI. Durante lunghissimi anni sono stato ospite della libera Elvezia, e non ho personalmente che da lodare l’atteggiamento tenuto verso di me dalle autorità e dalla popolazione. Però ho potuto constatare, a più riprese, quando ho dovuto occuparmi di espulsioni di miei connazionali, che c’era in Svizzera, come in altri Paesi, una tendenza ad interpretare il diritto di asilo non come un diritto dello straniero, ma come un diritto dello Stato verso gli altri Stati, il che permetteva, in realtà, di sopprimere nel fatto il diritto di asilo.

Per questa ragione, e solo per questa ragione, voterò l’emendamento Ravagnan, perché mi pare sia quello che giustifica meglio di ogni altro il diritto del singolo al diritto di asilo, senza trasferirne il riconoscimento ad uno Stato nei confronti di altri Stati.

TONELLO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. È bene che io precisi il mio concetto, forse non chiaramente espresso stamane.

Io dissi che quasi tutti gli Stati che hanno nelle loro Costituzioni il diritto di asilo, in pratica non lo realizzano, sicché il diritto di asilo diviene una menzogna.

Fortunato il collega che ha parlato, il quale, da buon figliuolo, non ha avuto noie, ma vicino a lui c’è l’onorevole Rodolfo Pacciardi. Ora, se noi abbiamo combattuto contro il fascismo nella Svizzera, se abbiamo dato dei fastidi alla Svizzera, ciò è dovuto al fatto che Motta era un noto fascista. (Interruzioni Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Tonello, la prego di considerare che siamo in tema di discussione sulla nostra Costituzione, e che non è questa la sede per esprimere giudizi sopra Paesi che hanno sempre dimostrato la loro amicizia verso la nostra Nazione. (Vivi applausi).

TONELLO. Anch’io posso gridare «Viva la Svizzera», perché se vado in Svizzera ho molti amici, anche tra quelli che sono nelle vostre file. Io combattevo il fascismo in Svizzera, perché dovevamo difenderci contro tutte le spie che il fascismo aveva sparse anche in quel Paese.

Ora, non voglio che si creda che in Svizzera io sia stato un rompicollo ed abbia voluto dare fastidio ad un Paese che mi dava ospitalità. Ho semplicemente scritto una poesia contro Dollfuss e il Papa che avevano fatto perire la Repubblica austriaca. (Proteste Rumori al centro).

TUPINI. Presidente della prima Sottocommissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Dichiaro che la Commissione, alla quasi unanimità, è contraria all’emendamento Ravagnan.

ANDREOTTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANDREOTTI. Questa mattina ho presentato una richiesta di votazione per appello nominale sull’emendamento dell’onorevole Treves. Analoga richiesta presento ora per la votazione nell’emendamento Ravagnan. Essa porta le firme anche degli onorevoli Orlando Camillo, Cremaschi, Quintieri Adolfo, Tambroni, Leone Giovanni, Valenti, Dominedò, Maffioli, Tosi, De Palma, Zerbi, Bubbio, Marazza e Castelli Avolio.

PRESIDENTE. Mi consentano i colleghi di far presente una considerazione che può valere per valutare pienamente le conseguenze eventuali della richiesta di votazione nominale. Nella ipotesi che l’Assemblea non risulti in numero legale quando si procederà all’appello nominale, si verrebbe ad immobilizzare per 24 ore il nostro lavoro, a termini del Regolamento.

Se l’Assemblea non è in numero, il Regolamento prescrive, infatti, che il Presidente possa rinviare la seduta ad altra ora dello stesso giorno, con un intervallo di tempo non minore di un’ora, oppure scioglierla. In quest’ultimo caso l’Assemblea s’intende convocata per il prossimo giorno non festivo all’ora medesima del giorno prima, il che significherebbe domani alle ore 17,30.

Se i presentatori della richiesta di appello nominale ritengono che abbiamo molto tempo a disposizione per i nostri lavori, oppure ritengono che la votazione abbia una tale importanza da giustificare la loro richiesta, io darò ad essa senz’altro corso.

ANDREOTTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANDREOTTI. Io insisterei nella richiesta di votazione per appello nominale, anche perché mi pare che sia veramente deplorevole il fatto che numerosi nostri colleghi non sono presenti alle sedute dell’Assemblea. D’altra parte, non mi sembra serio votare articoli della Costituzione, che sono tutti importanti, con la presenza nell’Aula di non più di un quinto dei membri dell’Assemblea Costituente.

PRESIDENTE. Desidero far presente all’onorevole Andreotti che nessuno più di me è già intervenuto, e più d’una volta, per lamentare questo spiacevole assenteismo dei membri della nostra Assemblea. Mi sembra, però, che vi siano due fatti da tener separati: l’assenza di molti dei membri di questa Assemblea e la necessità che l’Assemblea svolga i suoi lavori. Ed io ritengo che sarebbe una doppia responsabilità quella che ci assumeremmo, se, oltre a dover constatare l’assenza di tanti colleghi dalle sedute, non giungessimo a terminare il nostro lavoro entro il tempo che la legge ha stabilito. (Commenti).

Io sono contento di constatare che nessuno pensa alla possibilità di non tener fede al termine stabilito. D’altra parte, non ritengo che facilitiamo il nostro lavoro se ci obbligheremo per 24 ore a restare inattivi.

Comunque, poiché la domanda è mantenuta, passerò senz’altro alla votazione per appello nominale.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. L’Assemblea ha già sottolineato in modo abbastanza eloquente la proposta dell’onorevole Andreotti, con la quale egli ha inteso di deplorare l’assenteismo dei nostri colleghi, che il 2 giugno furono eletti essenzialmente, se non esclusivamente, per fare la Costituzione dello Stato. Poiché siamo tutti consenzienti con lo spirito della proposta e con il fine cui essa tende, mi associo all’onorevole Presidente nell’invito all’onorevole Andreotti a voler recedere dalla richiesta di appello nominale.

Valga questa presa di posizione dell’Assemblea a deplorare l’assenteismo dei colleghi che non sono presenti, e ad invocare il loro intervento; e, soprattutto, a richiamare l’Ufficio di Presidenza alla constatazione di quelle assenze che, come tutti sanno, sono produttive di qualche conseguenza.

PRESIDENTE. L’onorevole Tupini sa che l’Ufficio di Presidenza si è già posto il problema, ed io credo che l’appello dell’onorevole Tupini voglia significare che egli ritiene giunto il tempo – e tutti noi lo riteniamo, con lui – di passare a delle forme di controllo le quali significhino che la fiducia che si poteva in precedenza porre sullo spirito di diligenza dei nostri colleghi può forse cominciare ad attenuarsi.

Di questo parleremo nella prossima seduta dell’Ufficio di Presidenza.

Per ora, prego l’onorevole Andreotti di rispondere all’appello rivoltogli dall’onorevole Tupini.

ANDREOTTI. Mi dispiace di non poter aderire (Rumori Interruzioni) all’appello che viene sia dal Presidente dell’Assemblea, sia dall’onorevole Tupini, ma ritengo che per le ragioni sostanziali che ho detto prima, forse ai colleghi che non sono intervenuti, pur potendo intervenire, sia alla seduta di stamane che a questa, può giungere come un richiamo efficace quello di una constatazione fatta attraverso un appello nominale della loro assenza formale da questa seduta. L’onorevole Presidente può, avvalendosi del Regolamento, stabilire che la seduta possa riprendersi fra un’ora. Noi faremo il possibile affinché un certo numero di Deputati, che sono in Roma e che potrebbero venire alla seduta, siano presenti fra un’ora. Se ciò non avvenisse, l’onorevole Presidente potrebbe rinviare la seduta a domani. In questa maniera noi potremmo avere forse una partecipazione che renda, mi pare, degna l’adesione ad una formula o all’altra degli articoli che stiamo votando.

CONTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONTI. Ho chiesto la parola per rilevare che la proposta dell’onorevole Andreotti non può essere accolta. Se egli si fosse limitato a chiedere la votazione per appello nominale per stabilire una maggioranza e una minoranza sul testo dell’emendamento del collega Ravagnan, egli avrebbe perfettamente ragione e non gli si potrebbe opporre nessun diniego. Ma l’onorevole Andreotti ha spiegato qual è lo scopo: egli ha richiesto l’appello nominale per constatare l’assenteismo dei nostri colleghi. Ora, è evidente che per questo scopo non può essere indetta la votazione per appello nominale. Io chiedo al Presidente di respingere la domanda.

PRESIDENTE. Onorevole Conti, le faccio presente, per spiegarle le ragioni per le quali, nonostante le sue osservazioni, nel merito comprensibili, dispongo di passare all’appello nominale, che ogni membro dell’Assemblea, quando riesca a trovare nove colleghi che concordino con lui, può chiedere la constatazione del numero legale, in occasione di ogni votazione che si debba eseguire; e, ciò può giovare a sottolineare il numero degli assenti. Dato ciò, la richiesta dell’onorevole Andreotti avrà seguito. (Interruzione dell’onorevole Conti).

Si dà inizio all’appello nominale sull’emendamento proposto dagli onorevoli Ravagnan, Laconi e Grieco così formulato:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Lo straniero perseguitato per aver difeso i diritti della libertà e del lavoro ha diritto di asilo nel territorio italiano».

Estraggo a sorte il nome del Deputato dal quale comincerà la chiama.

(Esegue il sorteggio).

Comincerà dall’onorevole Cappa.

Si faccia la chiama.

RICCIO, Segretario, fa la chiama.

Rispondono sì:

Alberganti – Allegato – Amadei – Amendola – Assennato.

Baldassari – Barbareschi – Bardini – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Bellusci – Bianchi Bruno – Bibolotti – Bitossi – Bonomelli – Buffoni Francesco.

Caldera – Camangi – Carmagnola – Cavallari – Cerretti – Cevolotto – Chiostergi – Cianca – Conti – Corbi – Costa – Costantini – Cremaschi Olindo.

Della Seta – De Michelis Paolo – Di Vittorio – D’Onofrio.

Facchinetti – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Ferrari Giacomo – Flecchia – Fogagnolo – Fornara.

Gervasi – Ghidetti – Giua – Grazi Enrico – Grieco – Gullo Fausto.

Imperiale – Iotti Nilde.

Jacometti.

Laconi – La Malfa – Landi – La Rocca – Lizzadri – Lombardi Carlo – Longo – Lopardi – Lozza.

Macrelli – Maffi – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Mancini – Marchesi – Mariani Francesco – Massini – Massola – Mattei Teresa – Merighi – Merlin Angelina – Modigliani – Moranino – Moscatelli – Musolino.

Negro – Nobile Umberto – Nobili Oro – Noce Teresa.

Pacciardi – Paolucci – Paris – Pastore Raffaele – Pertini Sandro – Pieri Gino – Platone – Pressinotti – Preziosi – Priolo.

Ravagnan – Reale Eugenio – Ricci Giuseppe – Romita – Roveda – Ruggieri Luigi.

Schiavetti – Scoccimarro – Scotti Francesco – Secchia – Sereni – Silipo – Spallicci – Stampacchia.

Targetti – Tega – Tonello – Tonetti.

Vernocchi – Vischioni.

Zuccarini.

Rispondono no:

Andreotti – Angelucci – Arcaini.

Badini Confalonieri – Balduzzi – Bassano –Bastianetto – Belotti – Bencivenga – Benedetti – Bergamini – Bertini Giovanni – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchini Laura – Bocconi – Bonomi Ivanoe – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Braschi – Bubbio – Bulloni Pietro – Buonocore – Burato.

Cairo – Calosso – Campilli – Canevari – Cappa Paolo – Cappi Giuseppe – Cappugi – Capua – Carbonari – Carignani – Caroleo – Carratelli – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Chatrian – Chiaramello – Chieffi – Cifaldi – Coccia – Colitto – Colonna di Paliano – Conci Elisabetta – Condorelli – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbino – Corsanego – Corsini – Cremaschi Carlo.

De Caro Gerardo – De Falco – Del Curto – De Martino – De Michele Luigi – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Di Gloria – Dominedò.

Ermini.

Fabbri – Fabriani – Fanfani – Federici Maria – Ferrario Celestino – Firrao – Foresi – Franceschini – Fresa– Fusco.

Gabrieli – Garlato – Geuna – Ghidini – Giacchèro – Giannini – Giordani – Gotelli Angela – Grassi – Grilli – Gronchi – Guariento – Guerrieri Filippo.

Jervolino.

Lazzati – Leone Giovanni – Lettieri – Lucifero.

Maffioli – Mannironi – Marazza – Marconi – Marina Mario – Marinaro – Marzarotto – Mastrojanni – Mazza – Merlin Umberto – Miccolis – Micheli – Montini – Morelli Luigi – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati – Murgia.

Nitti – Notarianni.

Orlando Camillo.

Paratore – Pastore Giulio – Patricolo – Pecorari – Pella – Perugi – Piccioni – Piemonte – Ponti – Proia.

Quintieri Adolfo – Quintieri Quinto.

Recca – Restagno – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rognoni – Rossi Paolo – Rubilli – Ruggiero Carlo – Ruini.

Salizzoni – Sampietro – Sartor – Scalfaro – Scelba – Schiratti – Spataro – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Taviani – Titomanlio Vittoria – Togni – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Tremelloni – Treves – Tumminelli – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Venditti – Veroni – Vicentini – Vilardi.

Zerbi.

Si sono astenuti:

Binni – Bruni.

D’Aragona.

Lombardo Ivan Matteo.

Martino Enrico.

Perassi – Preti.

Zanardi.

Deputati in congedo:

Bucci, Cacciatore, Carpano Maglioli, D’Amico Michele, Fiore, Fuschini, Gavina, Li Causi, Mastino Pietro, Montalbano, Nenni, Orlando Vittorio Emanuele, Pallastrelli, Parri, Penna Ottavia, Selvaggi, Simonini, Saccenti, Togliatti.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione nominale e invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Comunico il risultato della votazione nominale:

Presenti e votanti   289

Maggioranza         145

Hanno risposto sì  112

Hanno riposto no   169

Astenuti    8

(L’Assemblea non approva l’emendamento Ravagnan).

Dobbiamo ora procedere all’emendamento sostitutivo del secondo comma proposto dall’onorevole Basso ed altri.

ROSSI PAOLO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROSSI PAOLO. Dichiaro che voteremo contro, per la stessa ragione che ci ha indotti a votare contro l’emendamento Ravagnan: intendiamo votare l’emendamento Treves.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento proposto dall’onorevole Basso ed altri:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Lo straniero, che sia perseguitato nel proprio paese per aver difeso i diritti della libertà e del lavoro garantiti dalla Costituzione italiana, ha diritto di asilo nel territorio della Repubblica».

(Non è approvato).

Pongo ora in votazione l’emendamento sostitutivo del secondo comma presentato dall’onorevole Patricolo ed altri:

«Lo straniero perseguitato nel proprio paese per azioni commesse in difesa delle libertà garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto di asilo nel territorio italiano».

(Non è approvato).

Pongo ora in votazione l’emendamento presentato dagli onorevoli Treves, Bulloni, e Cappi, che la Commissione ha dichiarato di accettare:

«Lo straniero, al quale sia impedito l’effettivo esercizio dei diritti derivanti dalle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto di asilo nel territorio della Repubblica italiana».

(È approvato).

Pongo in votazione l’emendamento proposto dall’onorevole Perassi, fatto proprio dall’onorevole Conti e accettato dalla Commissione:

«Al secondo comma, aggiungere le parole: «nelle condizioni stabilite dalla legge».

(È approvato).

Dobbiamo ora procedere alla votazione dell’emendamento presentato dall’onorevole Corsanego:

«Dopo il secondo comma, aggiungere il seguente:

«Non è ammessa l’estradizione del cittadino, salvo che sia espressamente consentita da convenzioni internazionali».

La Commissione ha accettato l’emendamento ed ha proposto di sostituire alla parola: «convenzioni» l’altra: «trattati», e di trasferire il comma, se approvato, all’articolo 10.

L’onorevole Corsanego ha accettato la modificazione e la nuova collocazione.

Pongo in votazione l’emendamento così modificato.

(È approvato).

Si passa ora al terzo comma:

«Non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici».

A questo comma sono stati presentati alcuni emendamenti. L’onorevole Corsanego ha proposto che dopo la parola: «estradizione» si aggiunga: «del cittadino e». Dopo l’approvazione della precedente proposta dello stesso onorevole Corsanego, questo emendamento si intende assorbito.

Vi è poi un emendamento proposto dagli onorevoli Bettiol, Leone Giovanni, Benvenuti:

«All’ultimo comma, aggiungere le parole: e in nessun caso quella del cittadino».

Poiché, in seguito alla votazione precedente, sono state trasferite all’articolo 10 tutte le disposizioni relative al cittadino, anche questo emendamento dovrebbe considerarsi assorbito.

BETTIOL. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BETTIOL. Mi pare vi sia un equivoco, perché il mio emendamento ha una sua logica ed un suo spirito ben precisi, e non consente in nessun caso l’estradizione del cittadino, mentre, con l’emendamento dell’onorevole Corsanego, questa estradizione è possibile.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Mi pare che qui vi siano due questioni nettamente diverse. Vi è, cioè, la questione se si debba ammettere l’estradizione del cittadino o no: su questo punto l’Assemblea ha già votato l’emendamento dell’onorevole Corsanego, nel senso che essa non è ammessa, salvo che sia espressamente consentita nelle convenzioni internazionali. La seconda questione riguarda l’affermazione nella Costituzione del principio che in nessun caso è ammessa l’estradizione del cittadino per reati politici. Ora, siccome ciò è stato affermato per lo straniero nell’articolo 11, e siccome, in seguito all’emendamento votato, si è parlato dell’estradizione del cittadino nell’articolo 10, è evidentemente necessario che nell’articolo 10 si aggiunga che l’estradizione del cittadino in nessun caso è ammessa per reati politici.

PRESIDENTE. Lei ha parlato, onorevole Perassi, a nome proprio o della Commissione?

PERASSI. A nome mio.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Questa mattina la Commissione che ha esaminato la proposta, ha deciso, come ho risposto tanto all’onorevole Corsanego che all’onorevole Bettiol, di non accettare la proposta di emendamento dell’onorevole Bettiol.

PRESIDENTE. L’onorevole Perassi ha sottolineato che si tratta di due questioni diverse, per modo che la votazione avvenuta poco fa dell’emendamento Corsanego non esclude la possibilità della votazione dell’emendamento Bettiol.

Vi è poi la dichiarazione dell’onorevole Tupini, a tenore della quale, la Commissione, nel merito dell’emendamento Bettiol, si è dichiarata contraria, cioè la Commissione ritiene che non si possa affermare, in maniera assoluta, che non può concedersi la estradizione al cittadino in relazione ai reati di carattere politico.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE; Ne ha facoltà.

PERASSI. Se non mi inganno, la proposta dell’onorevole Bettiol era nel senso di escludere in via assoluta l’estradizione del cittadino. Era la riaffermazione del principio del Codice penale del 1889. L’Assemblea ha già votato, a maggioranza, a questo riguardo un emendamento nel senso di riprodurre nella Costituzione la disposizione dell’articolo 13 del Codice penale vigente, secondo la quale «non è ammessa l’estradizione del cittadino, salvo che sia espressamente consentita nelle convenzioni internazionali». Ma questa formula non dice nulla circa i reati politici. Conseguentemente, resterebbe aperta la possibilità che in una Convenzione internazionale venisse prevista anche la estradizione del cittadino per reato politico. Ora, a me pare che la Costituzione debba in maniera espressa escludere questa possibilità, ristabilendo un principio nettamente affermato nel Codice del 1889. Il Codice fascista lo aveva soppresso. Per fortuna, però, tutte le convenzioni internazionali che sono state stipulate, anche durante il regime fascista, hanno escluso l’estradizione per reato politico. Ora, essendosi stabilito nell’articolo 11 che lo straniero che si trova in Italia non potrà mai essere estradato per reato politico, mi pare che sia una necessità logica e politica che questo principio si affermi, anche e soprattutto, per il cittadino.

Siccome nell’articolo 10 è stata aggiunta quella disposizione, che è stata già votata, al fine di coordinare i due articoli, mi sembra necessario che nell’articolo 10, ossia nel comma votato si dica: «Non è ammessa l’estradizione del cittadino, salvo che sia espressamente consentita nelle convenzioni internazionali, ma in nessun caso per reato politico».

CORSANEGO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORSANEGO. Io mi associo alle osservazioni fatte dall’onorevole Perassi, perché coincidono con la proposta del mio secondo emendamento; cioè si tratta in realtà di dichiarare nettamente nella nostra Costituzione, dopo di avere negata l’estradizione allo straniero per reati politici, che a maggior ragione questa estradizione debba essere negata al cittadino, ed è per questo motivo che io avevo proposto un emendamento apposito.

PRESIDENTE. Vi è dunque un emendamento all’emendamento.

Abbiamo votato l’emendamento dell’onorevole Corsanego, da trasferire all’articolo 10, che suona così: «Non è ammessa l’estradizione del cittadino, salvo che sia espressamente consentita da trattati internazionali». Si tratta ora di aggiungere le parole: «ma in nessun caso per reati politici».

Pongo in votazione questa formulazione aggiuntiva.

(È approvata).

Rimane, pertanto, assorbito il terzo comma dell’emendamento Patricolo ed altri.

L’articolo 11 resta pertanto così formulato:

«La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali.

«Lo straniero, al quale sia impedito l’effettivo esercizio dei diritti derivanti da libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto di asilo nel territorio della Repubblica nelle condizioni stabilite dalla legge».

Abbiamo poi approvato il seguente comma da inserirsi all’articolo 10:

«Non è ammessa l’estradizione del cittadino, salvo che sia espressamente consentita da trattati internazionali ma in nessun caso per reati politici».

Passiamo all’esame dell’articolo 12:

«Tutti hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi.

«Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso.

«Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle per comprovati motivi di sicurezza e di incolumità pubblica».

L’onorevole Mastino Pietro ha proposto di sopprimere l’articolo; ma non essendo egli presente, l’emendamento si intende decaduto. L’onorevole Caroleo ha presentato i seguenti due emendamenti:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Tutti hanno diritto di riunirsi dovunque senz’armi».

«Sopprimere il secondo comma».

L’onorevole Caroleo ha facoltà di svolgerli.

CAROLEO. Poiché si riconosce, in via di regola, il diritto di riunione in senso generale, penso che basterà aggiungere al primo comma l’avverbio «dovunque», per affermare senza limitazioni questa regola generale. L’eccezione è una sola; che delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso.

E allora, facendo la rettifica accennata al primo comma, può, in conseguenza, sopprimersi il comma secondo, e così si evita anche la preoccupazione che ha suggerito l’altro emendamento dell’onorevole Lami Starnuti, a proposito della esclusione espressa del preavviso per le riunioni private.

Vi è poi l’eliminazione dell’avverbio «pacificamente», che mi sembra per una parte superfluo e d’altro lato eccessivo. Superfluo, se si intende riferirsi alla necessità che la riunione sia tranquilla e non dia luogo a preoccupazioni per l’ordine pubblico, in quanto dei cittadini a cui si riconosce il diritto di riunirsi senz’armi non possono dare preoccupazione di questa indole; eccessivo, se si intende fare riferimento alle intenzioni, perché non possono introdursi limitazioni di questo genere.

Che se poi si intendesse fare riferimento a quelle manifestazioni sediziose, di cui si occupano il testo unico della legge di pubblica sicurezza e gli articoli 654 e 655 del Codice penale, mi sembra che anzitutto il «pacificamente» non esprimerebbe appieno il significato delle disposizioni legislative indicate; e poi non sarebbe ciò materia della Costituzione, ma delle norme particolari, che già si occupano di questi fatti, i quali costituiscono reato e sono perseguibili specificamente, a termini delle leggi penali.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Lami Starnuti, Tremelloni e Carboni, hanno presentato il seguente emendamento:

«Al secondo comma, sostituire alla parola: anche, le altre: private o».

DI GLORIA. Fo mio l’emendamento e chiedo di svolgerlo.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DI GLORIA. La dizione dell’articolo 12, che cioè: «per le riunioni anche in luogo pubblico non è richiesto preavviso», contiene implicitamente, a fortiori, anche il diritto di tenere riunioni private senza preavviso. Tuttavia è preferibile sostituire la dizione seguente:

«Per le riunioni private o in luogo aperto al pubblico non è richiesto preavviso».

In fatto di chiarezza non si è mai chiari abbastanza!

D’altra parte, se sarà accolto l’emendamento Caroleo, noi siamo disposti a ritirare il nostro; ma finché non lo sappiamo, insistiamo in quello che abbiamo presentato.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Mazzei e Santi hanno presentato i seguenti emendamenti:

«Aggiungere al primo comma:

«In nessun caso la legge può limitare questa libertà per ragioni politiche».

«Sostituire l’ultimo comma col seguente:

«Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso all’autorità, che può, con provvedimento motivato, vietarle per ragioni di sicurezza e di incolumità pubblica».

Non essendo gli onorevoli Mazzei e Santi presenti, gli emendamenti si intendono decaduti.

Parimenti s’intende decaduto, per l’assenza dell’onorevole Crispo, il seguente emendamento da lui presentato e già svolto:

«Al terzo comma, dopo le parole: in luogo pubblico, aggiungere le seguenti: o esposto al pubblico».

L’onorevole Cappi ha ora proposto di fondere gli articoli 12 e 13 nella seguente formulazione:

«I cittadini sono liberi di riunirsi pacificamente e senza armi e di associarsi per fini che non siano penalmente illeciti.

«Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare».

L’onorevole Cappi ha facoltà di svolgere l’emendamento.

CAPPI. Il mio emendamento ha un lato che si riferisce alla forma e un lato che si riferisce alla sostanza.

Per la forma, mira ad una maggiore concisione dei due articoli: li riduce presso a poco alla metà. Mi sembra, infatti, che per omogeneità di materia, ciò che riguarda il diritto di riunione e quello di associazione possa essere compreso in un unico articolo.

Quanto alla sostanza, riconosco che si va contro i criteri generali adottati dalla Commissione, perché si tratta di omettere nell’articolo le particolari condizioni alle quali si vuole subordinare il diritto di riunione, cioè il preavviso, la possibilità di proibizione e via dicendo.

Pare a me, che si dovrebbe affermare il diritto di riunione, di associazione e che le eventuali limitazioni, per ragioni di incolumità pubblica o altre, si debbano rimettere a quella che sarà la legge di pubblica sicurezza, la quale potrà con maggiore concretezza disciplinare questo diritto.

Ad ogni modo, se questa seconda parte sostanziale non è accettata dalla Commissione, io insisto almeno per la parte formale, per dare maggiore stringatezza e brevità ai due articoli.

PRESIDENTE. Prego la Commissione per la Costituzione di esprimere il proprio parere sugli emendamenti.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Comincio dall’emendamento proposto dall’onorevole Cappi, il quale involge una questione di carattere generale, cioè la fusione in uno degli articoli 12 e 13. La Commissione non accetta questo emendamento, che lo stesso onorevole Cappi ha dichiarato di valore soltanto formale. Anche per questa ragione prego l’onorevole Cappi di non insistervi. I due articoli devono rimanere distinti per meglio accentuare gli elementi specifici del loro contenuto.

Altro è dire riunione, altro dire associazione. Una riunione può avvenire anche tra cittadini, che non sono associati tra di loro in partiti o in speciali organizzazioni. Le riunioni poi hanno finalità contingenti e distinte da quelle permanenti delle associazioni.

Quanto all’emendamento di carattere sostanziale proposto dall’onorevole Cappi allo stesso articolo, potremo riservarci di discuterlo nel merito quando verrà il turno dell’articolo 13.

CAPPI. D’accordo.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Allora esaminiamo gli emendamenti proposti per l’articolo 12.

Basta leggere quelli degli onorevoli Lami Starnuti e Caroleo, per capire subito che essi hanno valore puramente formale. Vogliamo proprio insistere in queste modificazioni di forma?

L’onorevole Caroleo propone:

«Tutti hanno diritto di riunirsi dovunque senz’armi».

Faccio notare all’onorevole Caroleo che tutte le Costituzioni (e ciò senza volere essere pedissequi imitatori) che hanno trattato il diritto di riunione, si esprimono allo stesso modo, cioè nel senso di riconoscere il diritto stesso ai cittadini che intendano riunirsi, purché lo facciano pacificamente e senz’armi.

Sopprimere il «pacificamente» e lasciare soltanto «senz’armi», mi pare che costituisca una mutilazione impropria e, quindi, inaccettabile, come inaccettabile è l’altro emendamento aggiuntivo dello stesso onorevole Caroleo, relativamente all’avverbio «dovunque». Insisto, dunque, nella formula del progetto. La legge penserà al resto.

Circa l’emendamento dell’onorevole Lami Starnuti: «Per le riunioni private o in luogo aperto al pubblico», ritengo che anch’esso sia di valore formale e peggiori, piuttosto che migliorare, la nostra formula. Prego perciò l’onorevole Lami Starnuti di volerlo ritirare. E poiché l’onorevole Mazzei ha già ritirato il suo, e l’onorevole Cappi ha aderito alla mia proposta di mantenere distinti i due articoli, penso che si potrà senz’altro addivenire alla votazione della nostra formula.

PRESIDENTE. Onorevole Caroleo, ella mantiene i suoi emendamenti?

CAROLEO. Non mi oppongo a che sia mantenuto l’avverbio «pacificamente», ma insisterei per la soppressione del secondo comma.

PRESIDENTE. Onorevole Di Gloria, ella mantiene il suo emendamento?

DI GLORIA. Noi possiamo votare senz’altro l’emendamento dell’onorevole Caroleo.

PRESIDENTE. Onorevole Cappi, ella mantiene il suo emendamento?

CAPPI. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Pongo ai voti il primo comma nella formula proposta dall’onorevole Caroleo, il quale ha accettato di mantenere la parola: «pacificamente»:

«Tutti hanno diritto di riunirsi dovunque pacificamente e senz’armi».

(Non è approvato).

Pongo in votazione il primo comma nel testo della Commissione: «Tutti hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi».

(È approvato).

Dobbiamo ora votare la proposta dell’onorevole Caroleo di sopprimere il secondo comma.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. A maggior ragione insisto perché l’onorevole Caroleo ritiri il suo emendamento.

CAROLEO. Vi rinuncio.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il secondo comma nel testo proposto dalla Commissione: «Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso».

(È approvato).

Pongo in votazione il terzo comma:

«Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso all’autorità, che possono vietarle per comprovati motivi di sicurezza e di incolumità pubblica».

(È approvato).

Il testo dell’articolo 12 è, quindi, nel suo complesso il seguente:

«Tutti hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi.

«Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso.

«Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle per comprovati motivi di sicurezza e di incolumità pubblica».

Passiamo all’articolo 13.

«I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale.

«Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono anche indirettamente scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare».

Sono stati presentati a questo articolo alcuni emendamenti. L’onorevole Mastino Pietro, ha proposto di sopprimere il primo comma.

Non essendo egli presente, l’emendamento che aveva già svolto, si intende decaduto.

L’onorevole Corsanego ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma, alle parole: che non sono vietati, sostituire: che non siano vietati».

Ha facoltà di svolgerlo.

CORSANEGO. Non è necessario svolgere questo emendamento, perché basta leggerlo: è soltanto una garbata ribellione all’eccessivo amore che l’illustre Presidente della nostra Commissione ha per il modo indicativo.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Della Seta:

«Sostituire il secondo comma con i seguenti:

«Sono proibite quelle associazioni che, per tener celata la loro sede, per non compiere nessun pubblico atto che accerti della loro esistenza, per tener celati i principî che esse professano, debbono considerarsi associazioni segrete e, come tali, incompatibili in un disciplinato regime di libertà.

«Sono proibite, altresì, quelle associazioni che perseguono anche indirettamente scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare».

L’onorevole Della Seta ha facoltà di svolgerlo.

DELLA SETA. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi; in tempi oscuri, sotto i dispostici regimi, le associazioni segrete sorgono per generazione spontanea; e non v’è occhio scaltro di polizia, non ferocia di reazionario Governo, che valga a scoprirle o a sopprimerle.

Quando la libertà è un mito, quando un delitto è il pensiero, quando anche uno sguardo, anche un sospiro è sospetto, allora le anime fiere e generose si raccolgono nell’ombra e da quell’ombra scaturiscono le prime luci annuncianti l’aurora della libertà.

Noi italiani non possiamo dimenticare che con i primi moti carbonari del 1820 e del 1821 l’Italia ha dato i primi fremiti per la propria indipendenza, per la propria unità, per la propria libertà. E noi legislatori non dobbiamo dimenticare che, come sospetto di appartenere alla Carboneria, fu denunciato e vessato il principe della scienza giuridica italiana; colui il cui libro postumo, meraviglioso, sulla «Scienza delle Costituzioni» dovrebbe oggi essere presente ad ognuno di noi, a quanti qui siamo per elaborare una Costituzione; colui che ebbe come discepolo prediletto, come «pupilla dei suoi occhi » Carlo Cattaneo; colui che ancora oggi, dopo morto, è più vivo di prima, intendo Gian Domenico Romagnosi.

Ma quando siamo in democrazia, quando la libertà non è un mito, quando libera la parola può farsi ascoltare dalla cattedra, dalla tribuna, nel foro, quando la stampa su tutto e su tutti può esercitare il suo diritto di critica, allora le associazioni segrete, di qualsiasi colore e di qualsiasi genere, rosse o nere, laiche od ecclesiastiche, non hanno alcuna ragione di essere. Se sono, solo una cosa testimoniano, cioè che un qualcosa di poco onesto e di poco confessabile in esse e per esse si compie.

E, perciò, io mi spiego il divieto che, per le associazioni segrete, nell’articolo 13 è stato consacrato. Si potrà discutere, in linea teorica, sulla opportunità o meno di rendere esplicito quanto è già implicito nello spirito di una Costituzione repubblicana; ma se il divieto è stato consacrato nella Costituzione, rimanga pure; rimanga, ma senza equivoci. Questo il punto.

Si è detto da taluno che con questo articolo si è voluto colpire di traverso, senza nominarla, una qualche associazione ritenuta erroneamente segreta. Io non do credito a questo giudizio. Se così fosse, dovrei ripetere quanto, per altro argomento, già dissi, cioè essere questa una Costituzione reticente, e, in quanto reticente, mortificante. Dovrei dire essere questa anche una Costituzione poco cauta, perché riaprirebbe, nel Paese, la discussione su quali sono e non sono le organizzazioni veramente segrete, che, operando nell’ombra, minano la struttura democratica e repubblicana del nuovo Stato.

Ma io, ripeto, non posso dar credito a questo giudizio. Preferisco, prendendone atto, ricordare a me stesso quello che con tanta insistenza e con tanto fervore è stato ricordato dall’onorevole Ruini, Presidente della Commissione, e anche ieri dallo stesso onorevole Tupini; cioè che questa nostra Costituzione non è, e non vuole essere, una semplice platonica affermazione di principî, ma ha un carattere storico, nel senso che una qualche parola, una qualche locuzione, una qualche affermazione, una qualche norma suonano come negazione, come condanna di quanto, sotto il passato regime dittatoriale, è stato, per mire reazionarie e liberticide, perpetrato.

Quindi, ad impedire che taluno – e questo taluno potrebbe essere un uomo di Governo, un uomo di parte, un partito o una chiesa – sotto la maschera di fare appello al rispetto della Costituzione, possa domani farsi iniziatore, in pieno regime repubblicano, di una nuova azione reazionaria e liberticida, la triplice necessità, morale, giuridica e politica, di ben precisare quali siano le note, onde una data associazione possa o no ritenersi segreta.

È un’associazione che tiene celata la sua sede o si trasferisce di sede in sede per sfuggire al controllo della pubblica autorità? È, senza dubbio, un’associazione segreta. Se riuscite a scoprirla, cada sotto la sanzione della legge.

È un’associazione che non ha una persona o più persone, degne moralmente e intellettualmente, che la rappresentino e ne assumano, pubblicamente, di ogni suo atto la piena responsabilità? È un’associazione che nessun atto compie che sia reso di pubblica ragione? È anche questa un’associazione segreta. Se riuscite a scoprirla, cada pur essa sotto la sanzione della legge.

È un’associazione che si fa assertrice di taluni principî? Ed allora, prima di condannarla, si ha il dovere di esaminare e di valutare questi principî, cioè se siano contro il sentimento religioso o se, nel rispetto di tutte le fedi, siano per la libertà di coscienza; se siano per la patria o contro la patria; se siano a favore o contro la democrazia, a favore o contro l’ordinamento repubblicano; se favoriscano il divampare del più esasperante nazionalismo o siano invece per l’armonia tra gli Stati, per la fratellanza tra i popoli.

Tutto questo, onorevole Presidente e signori della Commissione, ho voluto significare col mio emendamento, onde non si abbia, nell’articolo 13, questa latente, patente contradizione: mentre nel primo comma si ha il riconoscimento pieno della libertà di associazione, col secondo comma, per una troppo generica dizione, si apre la via a possibili deprecabili violazioni di quella libertà anteriormente, esplicitamente consacrata.

PRESIDENTE. Vi è, infine, l’emendamento degli onorevoli Bellavista e Candela:

«Al secondo comma, alle parole: Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, sostituire le altre: Sono proibite le associazioni che perseguono».

Non essendo presenti gli onorevoli presentatori, l’emendamento s’intende decaduto.

Prego la Commissione di esprimere il suo parere sugli emendamenti Corsanego e Della Seta.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Credo che l’onorevole Corsanego, per la motivazione stessa che verbalmente ha dato del suo emendamento, non vi insisterà e accetterà la formulazione indicativa che è così cara – come egli diceva – al Presidente della nostra Commissione e, quindi, rinuncerà a far mettere ai voti la sua proposta. Eventuali perfezionamenti di forma e di stile potranno essere fatti dopo che avremo approvato l’intero progetto.

Così pure mi dichiaro contrario all’emendamento dell’onorevole Della Seta. Io sono un grande estimatore dell’onorevole Della Seta, e penso che mi crederà sulla parola se gli dico che nella nostra formula non si annida alcuno dei sottintesi da lui temuti e denunciati. È evidente che le associazioni previste dall’articolo in esame sono quelle veramente segrete, e non quelle che per caso avessero i requisiti illustrati dall’onorevole Della Seta. Nessuno di noi pensa di sancire cose contrarie alla libertà e alla democrazia.

Ma l’onorevole Della Seta vorrà convenire che proprio nell’interesse della libertà e della democrazia non sono tollerabili e nemmeno concepibili delle associazioni con fini occulti ed inconfessabili. Prego, perciò, l’onorevole Della Seta di volersi appagare della nostra formula e ritirare il suo emendamento.

Quello dell’onorevole Bellavista deve intendersi decaduto per l’assenza del suo proponente. Non avrei, quindi, da rispondere ad altri colleghi, e mi pare che si possa procedere senz’altro alla votazione.

PRESIDENTE. Onorevole Corsanego, ella aderisce alla richiesta della Commissione?

CORSANEGO. Non è il caso di insistere per un verbo; però mi permetto di raccomandare che tutte le volte, in cui stilisticamente il modo soggiuntivo esprima meglio il pensiero del legislatore, sia adoperato.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. È una questione grammaticale; me lo ha insegnato Gianturco, che se ne intendeva più di lei e di me.

PRESIDENTE. L’onorevole Della Seta insiste sul suo emendamento?

DELLA SETA. Io sono sempre per la massima concisione, lapidaria, tacitiana; ma questa volta la concisione potrebbe tradire un po’ quella che è la sostanza. Io debbo riferirmi a quel senso storico a cui lei ieri s’è riferito…

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Non lo tradisco.

DELLA SETA. Se lei accetta il divieto, non dovrebbe aver nulla in contrario ad accettare quelle note particolari per cui le associazioni segrete si distinguono da quelle non segrete. È per quel senso storico cui ella stessa ha fatto appello. Noi stiamo legiferando dopo il regime dittatoriale. Quindi, ad eliminare ogni equivoco, credo necessario porre quelle note.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Mi permetto di insistere, onorevole Della Seta.

DELLA SETA. Se avessimo legiferato in altro momento, consentirei con lei pienamente.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Proprio perché deliberiamo in questo momento.

DELLA SETA. Mi duole molto, ma debbo insistere nell’emendamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Cappi propone che l’articolo 13 si inizi con le parole: «Tutti» in luogo di: «I cittadini», in armonia con la dizione usata nell’articolo precedente.

Qual è il parere della Commissione su questo emendamento?

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Vorrei fare una domanda all’onorevole Cappi. Egli ha proposto di sostituire il termine: «tutti» alle parole: «i cittadini». Poiché alcuni dei colleghi della Commissione hanno dei dubbi al riguardo, propongo che, per la migliore intelligenza dell’Assemblea, l’onorevole Cappi illustri il suo emendamento. Si potrà così addivenire al voto con maggiore chiarezza.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Cappi.

CAPPI. Non comprendo, finché non mi sia spiegata, la discriminazione fra i cittadini e gli stranieri. Gli stranieri, infatti, che hanno diritto di soggiorno nel nostro territorio, perché non potrebbero associarsi, per fini leciti, in associazioni di studio o culturali in genere?

TUPINI. Presidente della prima Sottocommissione. Ma ci insiste proprio, onorevole Cappi? Guardi che sorge in taluno il dubbio che consentire agli stranieri di associarsi per fini politici propri, i quali potrebbero anche evidentemente essere in contrasto con i fini politici italiani, possa costituire un pericolo per il Paese. Prego, quindi, l’onorevole Cappi di voler apprezzare questa considerazione.

CAPPI. Rinunzio.

PRESIDENTE. Devo avvertire che pervengono ancora alla Presidenza emendamenti all’articolo 13, che non possono prendersi in considerazione, sia pure a malincuore, perché presentati in ritardo.

Ricordino gli egregi colleghi, che gli emendamenti non fioriscono all’ultimo minuto. I numerosi presentatori di questi emendamenti li avranno, presumo, meditati da parecchi giorni e avrebbero almeno potuto presentarli all’inizio della seduta.

Una voce a sinistra. La discussione può farli sorgere.

PRESIDENTE. Sì, può farli sorgere, ma relativamente agli emendamenti in discussione, non già rispetto al testo originario.

Pongo in votazione il comma nel testo della Commissione:

«I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale».

(È approvato).

Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Della Seta, non accettato dalla Commissione:

«Sostituire il secondo comma con i seguenti:

«Sono proibite quelle associazioni che, per tener celata la loro sede, per non compiere nessun pubblico atto che accerti della loro esistenza, per tener celati i principî che esse professano, debbono considerarsi associazioni segrete e, come tali, incompatibili in un disciplinato regime di libertà.

«Sono proibite, altresì, quelle associazioni che perseguono anche indirettamente scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare».

Avverto che per questa votazione è stato chiesto l’appello nominale dagli onorevoli Andreotti, Camposarcuno, Gotelli Angela, Carignani, Biagioni, Grilli, Gabrieli, Mannironi, Zerbi, Conti, Paolucci, Tozzi Condivi, Magrini, Bellusci, Zuccarini, Cappi, Firrao, Marazza, Taviani, Dominedò, Spallicci.

CAPPI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAPPI. Voterò contro l’emendamento Della Seta, sia per le ragioni dette dall’onorevole Tupini, sia perché trovo incompleta la elencazione delle note caratteristiche della segretezza di un’associazione, perché mi sembra che la nota più caratteristica di una associazione segreta sia quella di non rendere pubblico l’elenco dei propri soci.

LUCIFERO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCÌFERO. Dichiaro che voterò a favore dell’emendamento proposto dall’onorevole Della Seta, perché sono favorevole a qualunque disposizione che chiarisca quali sono gli intendimenti del legislatore e renda, pertanto, impossibile arbitrî successivi che vadano al di là delle sue intenzioni.

PRESIDENTE. Procediamo alla votazione per appello nominale. Estraggo il nome del Deputato dal quale essa dovrà cominciare.

(Esegue il sorteggio).

Comincerà dalla onorevole Delli Castelli Filomena.

Si faccia la chiama.

RICCIO, Segretario, fa la chiama.

Rispondono sì:

Azzi.

Bassano – Bernabei – Bocconi – Buffoni Francesco.

Cairo – Carmagnola – Cevolotto – Chiaramello – Chiostergi – Cianca – Costantini.

D’Aragona – De Caro Raffaele – Della Seta.

Fabbri – Faccio – Fusco.

Ghidini – Giua – Grilli.

Labriola – Lombardi Riccardo – Lopardi – Lucifero.

Macrelli – Merighi.

Pacciardi – Paolucci – Paris – Pieri Gino – Pignatari.

Rodi – Rossi Paolo – Ruggiero Carlo.

Schiavetti – Spallicci.

Taddia – Tonello.

Vischioni.

Zanardi.

Rispondono no:

Allegato – Amadei – Amendola – Andreotti – Angelini – Angelucci – Arcaini – Arcangeli – Assennato.

Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Barbareschi – Bardini – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Bastianetto – Bellusci – Belotti – Benedetti – Bergamini – Bernini Ferdinando – Bertini Giovanni – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Binni – Bonomelli – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Braschi – Brusasca – Bubbio – Bulloni Pietro – Burato.

Camangi – Camposarcuno – Cappa Paolo – Cappi Giuseppe – Capua – Carbonari – Carignani – Caroleo – Carratelli – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavallari – Cavalli – Chatrian – Chieffi – Cicerone – Cifaldi – Coccia – Colitto – Colonna di Paliano – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsanego – Corsini – Costa – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo.

D’Amico Diego – De Caro Gerardo – De Gasperi – Del Curto – De Martino – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Di Gloria – Dominedò – D’Onofrio – Dossetti.

Ermini.

Fabriani – Fanfani – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Federici Maria – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Ferreri – Firrao – Flecchia – Fogagnolo – Foresi – Fornara – Franceschini.

Gabrieli – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gatta – Germano – Gervasi – Ghidetti – Giacchèro – Giannini – Gonella – Gotelli Angela – Grassi – Grazi Enrico – Grieco – Gronchi – Guariento – Guerrieri Filippo – Gullo Fausto.

Imperiale – Iotti Nilde.

Jacometti – Jervolino.

Laconi – La Rocca – Leone Giovanni – Lettieri – Lombardi Carlo – Lozza.

Maffi – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Mancini – Mannironi – Marazza – Marchesi – Marinaro – Martino Enrico – Marzarotto – Massini – Massola – Mastrojanni – Mattei Teresa– Mazza – Merlin Angelina – Merlin Umberto – Miccolis – Micheli – Monticelli – Montini – Morini – Moro – Mortati – Murgia – Musolino.

Nobile Umberto – Nobili Oro.

Pastore Giulio – Pastore Raffaele – Pella – Perassi – Pertini Sandro – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Platone – Ponti – Preti – Preziosi – Priolo – Proia – Puoti.

Ravagnan – Reale Eugenio – Recca – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rognoni – Romita – Rubilli – Ruggeri Luigi – Ruini.

Sampietro – Sartor – Scalfaro – Scelba – Schiratti – Secchia – Silipo – Spataro – Stampacchia – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Targetti – Taviani – Tega – Titomanlio Vittoria – Togni – Tonetti – Tosato – Tozzi Condivi – Treves – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Venditti – Vernocchi – Viale – Vicentini – Villabruna.

Zerbi – Zuccarini.

Si sono astenuti:

Canevari.

Patricolo.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione nominale e invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Comunico che dalla numerazione dei voti risulta che l’Assemblea non è in numero legale. Pertanto, valendomi della facoltà concessami dall’articolo 36 del Regolamento, rinvio la seduta, con l’intervallo di un’ora, alle 20,30.

(La seduta, sospesa alle 19,30, è ripresa alle 20,30).

PRESIDENTE. Domando agli onorevoli firmatari se insistono nella loro richiesta di votazione per appello nominale.

ANDREOTTI. Rinunziamo.

PRESIDENTE. Sta bene.

Si procede allora alla votazione dell’emendamento Della Seta di cui precedentemente è stata data lettura.

(Non è approvato).

Passiamo alla votazione del secondo comma dell’articolo nel testo della Commissione:

«Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono anche indirettamente scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare».

(È approvato).

Il testo dell’articolo 13 risulta, quindi, nel suo complesso, così formulato.

«I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale.

«Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono anche indirettamente scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare».

Il seguito della discussione è rinviato a domani.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta di urgenza:

«Al Presidente del Consiglio, perché dica se il Governo, di fronte alla decisione di serrata presa dai conduttori dei pubblici esercizi di Roma, alla minaccia analoga agitata dai commercianti di Torino, alla deliberazione dei proprietari di case di Milano di rifiutare il pagamento delle tasse, tipici esempi di una mentalità avida e incapace di comprendere le necessità del momento, atteggiamenti che nettamente contrastano con quelli delle masse lavoratrici che, sopportando da anni i durissimi pesi della sventura nazionale, danno diuturno spettacolo di rinuncia e di sacrificio, non ritenga di dovere immediatamente disporre le misure più severe consentite dalla legge per punire tanta manifestazione di chiuso egoismo ed ammonire ognuno della sua ferma volontà di svolgere senza esitazione il programma annunciato in materia economica e finanziaria.

«Massini, Farini, D’Onofrio, Pertini, Barbareschi, Grieco».

«Al Ministro dell’interno, sulle violenze commesse il 7 aprile in Guastalla contro il deputato Alberto Simonini per impedirgli di pronunciare un discorso politico.

«Grilli, Badini Confalonieri, Bonomi Ivanoe, Cifaldi, Tremelloni, Chiaramello, Calosso, Ghidini, Canevari, De Caro Raffaele, Ruggiero, D’Aragona, Cairo, Rossi Paolo, Di Gloria, Veroni».

Chiedo al Governo quando intende rispondere.

CAPPA, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Domani il Governo risponderà o comunicherà quando potrà rispondere.

PRESIDENTE. Avverto che domani vi sarà seduta alle 10 e alle 16.

La seduta termina alle 20.40.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 10:

  1. – Interrogazioni.
  2. – Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Alle ore 16:

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 11 APRILE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

LXXXIII.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 11 APRILE 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

indi

DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Interrogazioni (Svolgimento):

Presidente                                                                                                        

Cifaldi                                                                                                              

Carpano Maglioli, Sottosegretario di Stato per l’interno                                   

Silipo                                                                                                                

Mancini                                                                                                            

Lupis, Sottosegretario di Stato per gli italiani all’estero                                        

Togni, Sottosegretario di Stato per il lavoro e la previdenza sociale                      

Sullo Fiorentino                                                                                             

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente                                                                                                        

Condorelli                                                                                                      

Marinaro                                                                                                         

Nobile                                                                                                               

Cairo                                                                                                                

Mastrojanni                                                                                                    

Dominedò                                                                                                         

Tupini, Presidente della prima Sottocommissione                                                 

Bulloni                                                                                                            

Cappi                                                                                                                 

Preziosi                                                                                                            

Guerrieri Filippo                                                                                             

Rossi Paolo                                                                                                      

Ravagnan                                                                                                        

Treves                                                                                                              

Tonello                                                                                                            

Conti                                                                                                                

Corsanego                                                                                                       

Bettiol                                                                                                             

Patricolo                                                                                                         

Leone Giovanni                                                                                                

Per la discussione sulla situazione finanziaria:

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri                                                

La Malfa                                                                                                          

Corbino                                                                                                            

Labriola                                                                                                          

Barbareschi                                                                                                       

Gronchi                                                                                                            

Scoccimarro                                                                                                    

D’Aragona                                                                                                       

Natoli                                                                                                              

Cianca                                                                                                              

Marinaro                                                                                                         

Chiostergi                                                                                                        

Interrogazioni ed interpellanza con richiesta d’urgenza:

Presidente                                                                                                        

Galati, Sottosegretario di Stato per le poste e telecomunicazioni                          

Ghidetti                                                                                                            

Sullo Fiorentino                                                                                             

Geuna                                                                                                               

Fogagnolo                                                                                                       

Interrogazioni ed interpellanze (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

La sedata comincia alle 10.

BERTOLA. Il Segretario, legge il processo verbale della seduta antimeridiana del 29 marzo.

(È approvato).

Interrogazioni.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca le interrogazioni.

La prima è quella dell’onorevole Geuna, al Presidente del Consiglio dei Ministri ed al Ministro, delle finanze e tesoro, «per conoscere quali provvedimenti il Governo intenda prendere a favore dei pensionati che versano nelle più gravi condizioni di stenti e di fame e che, senza agitazioni inconsulte, con alto senso di civismo, attendono legalmente giustizia».

Non essendo presente l’onorevole interrogante, si intende che vi abbia rinunciato.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Franceschini, al Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno, ed ai Ministri dei lavori pubblici, dell’assistenza post-bellica e del tesoro, «per conoscere se non ritengano rispondente a giustizia, oltreché conforme all’universale aspettazione, inserire opportunamente nel prossimo decreto, che regola il vasto piano della ricostruzione edilizia, una disposizione che distingua i sinistri per causa di rappresaglia da tutti gli altri considerati comunque effetto di eventi bellici; e conceda ai primi speciali condizioni di favore, sia quanto alla misura del risarcimento, che dovrebbe essere in buon numero di casi anche totale, sia quanto alla precedenza ed alla procedura nel vaglio dei progetti, nelle anticipazioni e nella esecuzione dei lavori. Il criterio discriminatorio per l’invocato provvedimento è imposto soprattutto dalla considerazione che, mentre i danneggiati da bombardamento o da altre operazioni belliche furono passivi verso l’azione causa di sinistro, i rappresagliati invece, nella loro quasi totalità, determinarono direttamente l’atto di devastazione nei propri riguardi col rendersi attivi nei confronti della lotta clandestina, per efficace partecipazione ad essa o per vario favoreggiamento, sì da incorrere coscientemente nelle barbare misure di repressione o di intimidazione, singole come collettive. Tali specifiche benemerenze, frutto di amore, di fede, di sacrificio, non possono non essere ritenute sacrosanto motivo per il riconoscimento d’un particolare debito della Patria».

Non essendo presente l’onorevole interrogante, si intende che vi abbia rinunciato.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Bonomi Paolo, al Ministro degli affari esteri, «per conoscere se risponda al vero che sia stato in questi giorni concluso un accordo suppletivo per l’invio in Francia di 10.000 bieticultori con arruolamento sottratto alla diretta funzione degli Uffici del lavoro e riservato soltanto ad alcune province; per sapere in pari tempo quali precise ragioni impediscano ancora di mettere in applicazione gli accordi per l’emigrazione in Argentina e facciano preferire, accordandole precedenza, l’emigrazione in Paesi che non possono offrire le condizioni e i vantaggi dell’emigrazione in Argentina».

Non essendo presente l’onorevole interrogante, si intende che vi abbia rinunciato.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Cifaldi, al quale però debbo rivolgere una preghiera a nome dell’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno il quale, dovendo tra breve assentarsi, desidererebbe fosse data la precedenza alle interrogazioni degli onorevoli Silipo e Mancini, così da potervi rispondere subito. L’onorevole Cifaldi acconsente?

CIFALDI. Acconsento.

PRESIDENTE. Si procede dunque allo svolgimento delle seguenti interrogazioni che, trattando lo stesso argomento, possono essere svolte congiuntamente:

Silipo, Bosi, Musolino, al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’interno, «per sapere quali provvedimenti intendano prendere nei riguardi del prefetto di Cosenza e del comandante la stazione dei carabinieri della medesima città, i quali, imponendo al dottor Valente Erminio di Fuscaldo, a mezzo di diffida, di cessare dalla sua attività sindacale e politica, hanno violato i diritti più sacri ed inalienabili dei cittadini italiani, agendo secondo i sistemi di un regime tirannico e dittatoriale. Gli interroganti segnalano la gravità dell’abuso commesso e la necessità di eliminarlo al più presto possibile.

Mancini, al Ministro dell’interno, «per conoscere se abbia emanato disposizioni agli organi dipendenti, tali da consentire il provvedimento della diffida, a modo del passato regime, nei confronti di un’attivista sindacale; e, in caso negativo, per conoscere quale provvedimento abbia l’onorevole Ministro adottato per la revoca della diffida arbitrariamente comminata dal maresciallo dei carabinieri della stazione di Cosenza, Polito Ricciotti, contro il dottor Erminio Valente; e quali misure crede di prendere a carico di costui, responsabile di tale atto lesivo della libertà politica e sindacale e dei diritti del cittadino perpetrato con verbale del 4 marzo».

CARPANO MAGLIOLI, Sottosegretario di Stato per l’interno. Ringrazio per la cortesia della precedenza e prometto che sarò brevissimo. Spero anche che gli interroganti possano dichiararsi sodisfatti, perché il provvedimento di diffida a carico del dottor Erminio Valente di Fuscaldo è stato revocato dal prefetto di Cosenza, a seguito delle risultanze di nuovi accertamenti. Confido che questa precisazione valga a sodisfare gli onorevoli interroganti.   

PRESIDENTE. L’onorevole Silipo ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

SILIPO. Ringrazio l’onorevole Sottosegretario delle spiegazioni che ha fornite e soprattutto lo ringrazio della notizia della revoca del provvedimento. Intendo, però, dire qualche cosa intorno al maresciallo dei carabinieri. Quale provvedimento è stato preso contro questo messere, il quale crede ancora di essere nei tempi per lui belli, quando era possibile ogni abuso e sopruso, e non già in quelli della Repubblica italiana? Questo maresciallo, che pare abbia ingannato anche il prefetto, si crede ancora una potenza e, come lui, quasi tutti i marescialli che si trovano in Calabria.

È precisamente su questo stato di cose che richiamo l’attenzione dell’onorevole Sottosegretario; perché i marescialli e i brigadieri dei carabinieri – salve le debite eccezioni – quando devono prendere provvedimenti contro i fascisti, allora diventano le «vestali della libertà», mentre, quando debbono prendere provvedimenti contro gli antifascisti, allora sono i «rigidi tutori dell’ordine». Non ho altro da aggiungere.

PRESIDENTE. L’onorevole Mancini ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MANCINI. Ringrazio l’onorevole Sottosegretario per l’interno della cortese risposta data alla mia interrogazione, e mi dichiaro completamente sodisfatto. Faccio mia anche la preghiera rivolta dal compagno Silipo, che sarebbe opportuno che al più presto possibile si prendessero provvedimenti per allontanare tutti i marescialli dei carabinieri dalla provincia di Cosenza. Essi infatti vi hanno fatto lor nido da parecchi lustri e vi imperversano nello stesso modo come vi imperversavano ai tempi fascisti, con questa differenza: che allora naturalmente era compatibile ed era garantita la loro attività. Oggi tutti i sovversivi sono dichiarati fascisti. Fu dichiarato fascista questo giovanetto di 22 anni, il dottor Valente, laureato in scienze politiche e sociali, il quale ai tempi in cui è caduto il fascismo, aveva 16 anni.

Mi auguro che il Sottosegretario per gli interni terrà presente la nostra preghiera e la farà presente al Comandante la Legione di Catanzaro, il quale è un ufficiale che sa fare il suo dovere ed intende quali sono i doveri dei suoi subordinati.

PRESIDENTE. Passiamo ora all’interrogazione degli onorevoli Cifaldi, Corbino, Cortese, Badini Confalonieri, ai Ministri degli affari esteri e del lavoro e previdenza sociale, «per conoscere le ragioni della ritardata esecuzione degli accordi conclusi fra l’Argentina e l’Italia per l’emigrazione di nostri lavoratori».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per gli italiani all’estero ha facoltà di rispondere.

LUPIS, Sottosegretario di Stato per gli italiani all’estero. Il Governo italiano non ha opposto, né ha intenzione di opporre, il minimo ostacolo all’emigrazione in Argentina, essendo, anzi, suo vivo desiderio che tale emigrazione sia svolta con la maggiore ampiezza in corrispondenza delle richieste che potranno pervenire dalla nazione amica.

Il Ministero degli esteri e quello del lavoro si tengono a stretto contatto con la Delegazione argentina, e stanno svolgendo con essa conversazioni conclusive su tutti i particolari, che dovranno prolungarsi di qualche giorno, ma non ritarderanno in alcun modo l’inizio delle partenze che dovrebbe aver luogo l’8 maggio, se le date di arrivo dei vapori argentini resteranno, come è da sperare, inalterate.

Per quanto si riferisce ai reclutamenti, la Delegazione argentina ha promesso di comunicare tra breve la composizione professionale dei primi trasporti. Appena in possesso di tali informazioni, le amministrazioni competenti prenderanno le disposizioni del caso.

È infine da tener presente che, mentre è da sperare per l’anno prossimo una larga corrente emigratoria verso la Repubblica argentina, le effettive possibilità di trasferimento in quei territorio, tenuto conto di tutti i mezzi di trasporto che si riuscirà a mobilitare, avranno necessariamente quest’anno limiti piuttosto ristretti, che si pensa possano comprendere da 30 a 40 mila lavoratori. È necessario che ciò si sappia per non alimentare esagerate aspettative e conseguenti disillusioni.

PRESIDENTE. L’onorevole Sottosegretario di Stato per il lavoro e la previdenza sociale, per la parte di sua competenza, ha facoltà di rispondere.

TOGNI, Sottosegretario di Stato per il lavoro e la previdenza sociale. Allo stato attuale, diremo costituzionale italiano, le competenze del Ministero del lavoro e degli uffici da questo dipendenti in materia di emigrazione si limitano unicamente a provvedere al reclutamento dei lavoratori che desiderano emigrare, operando le opportune selezioni dal punto di vista tecnico-professionale e dal punto di vista sanitario.

A tal proposito, anche con riferimento a molte notizie inesatte comparse sulla stampa, la quale purtroppo devesi rilevare come sia molto prodiga di spazio verso certe notizie che sostanzialmente dovrebbero avere meno interesse, mentre è molto parca nel concedere spazio a comunicati e notizie di organismi responsabili che interessano veramente gran parte del popolo italiano, ricordo che il 12 marzo il Ministero del lavoro emanò un comunicato col quale si precisava la situazione effettiva ed aggiornata dei rapporti e delle condizioni relative all’emigrazione argentina.

Nello stesso giorno, con circolare 12 marzo, indirizzata a tutti gli Uffici del lavoro, il Ministero del lavoro emanò le norme che determinano la procedura per la raccolta delle domande di emigrazione e per il compimento delle operazioni di reclutamento dei lavoratori emigranti. Tali norme prevedono una stretta collaborazione fra gli uffici del lavoro e tutti gli altri enti e organizzazioni a carattere sia sindacale che assistenziale, direttamente o indirettamente interessati all’emigrazione dei nostri lavoratori. Tali norme di carattere generale sono state poi integrate con altre dettate con circolare del 25 marzo 1947, non appena cioè abbiamo avuto dal Ministero degli esteri gli elementi del caso, con la quale è stato stabilito che, in attesa che da parte argentina vengano indicate le categorie professionali definitivamente desiderate come numero e come destinazione, gli uffici provinciali del lavoro devono senz’altro iniziare la raccolta delle domande e provvedere alla prima istruttoria delle stesse, avendo cura di informare i singoli interessati che l’accettazione di tali domande è per ora effettuata al solo fine di guadagnare tempo rispetto al momento in cui si potrà dar corso all’avviamento dell’emigrazione stessa. Non appena avremo da parte argentina, tramite il Ministero degli esteri, gli elementi definitivi, gli uffici del lavoro saranno in grado di completare in breve termine la compilazione delle liste di emigrazione e dar, quindi, attuazione pratica agli accordi stessi.

PRESIDENTE. L’onorevole Cifaldi na facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

CIFALDI. Sono riconoscente agli onorevoli Sottosegretari per gli italiani all’estero e per il lavoro delle notizie che hanno avuto la bontà di riferire, perché è esatto il rilievo dell’onorevole Sottosegretario per il lavoro di una larga diffusione fatta dalla stampa di notizie che hanno creato, specie in vaste zone del Mezzogiorno, speranze di possibili e facili emigrazioni in Argentina. Noi conosciamo la situazione in cui si trova tanta parte della nostra popolazione agricola e riceviamo – dico così perché credo che come me molti altri colleghi di questa Assemblea le ricevano – continue domande e premure per sapere qualche cosa di concreto in ordine alla possibilità di emigrazione verso questa nazione amica. Ritengo, perciò, essere opportuno poter fare intendere quelli che sono i limiti effettivi e le difficoltà vere che si frappongono a questa emigrazione. Praticamente mi pare di aver capito che sarà possibile cominciare con l’8 maggio, come diceva l’onorevole Sottosegretario per gli italiani all’estero, i primi viaggi verso l’Argentina, mentre sembrerebbe, non dico una contraddizione, ma per lo meno una differente interpretazione, quanto detto dall’altro Sottosegretario, che cioè ogni possibilità pratica è ancora sospesa dipendendo dalle ulteriori notizie che l’Argentina deve far conoscere a noi, circa la qualifica degli operai o degli emigranti che desidera e preferisce; onde sembrerebbe che allo stato attuale non ci sia nessuna concreta possibilità di emigrazione verso l’Argentina.

Ora, io mi permetto di chiedere che si voglia eventualmente sollecitare perché questa emigrazione abbia corso. Certo non è possibile far alcunché che non sia più che conveniente e utile da parte nostra, ma bisognerebbe rimuovere anche con buona volontà gli ostacoli che si possono frapporre. Credo che ciò sia giovevole agli interessi collettivi, perché sono proprio di pochi giorni or sono e la voce raccolta dagli onorevoli Mancini e Sardiello a proposito dei moti nelle Calabrie e le notizie relative ai fatti di Taranto e quelle relative alle agitazioni di Gioia del Colle e di altri paesi. Indubbiamente il substrato di queste agitazioni è economico. Se possiamo avviare all’emigrazione i lavoratori che sono disoccupati e soffrono la fame nel nostro paese, potremo raggiungere l’intento che tutti desideriamo. E ritengo che anche la Confederazione generale del lavoro voglia adoperarsi affinché siano agevolate le possibilità di questa emigrazione. Credo che il problema debba essere inteso in un senso morale e in un senso pratico; credo che dobbiamo cercare di spezzare questo cerchio di isolamento in cui tutt’ora è costretto il nostro paese. Riallacciando i rapporti con le Nazioni che si dimostrano verso di noi più amiche e benevole, possiamo più facilmente avere la possibilità di riprendere queste file così proficue per il lavoro italiano.

L’Argentina mi sembra la nazione che, sia per il suo clima, sia per le larghissime possibilità di lavoro, sia per la buona volontà dimostrata verso la nostra Nazione, possa accogliere larghe masse di nostri lavoratori, di quei lavoratori che nelle difficoltà dell’ultima guerra hanno saputo mantenere la fiaccola del rispetto dovuto alla nostra Italia, e del prestigio del nostro lavoro.

Spero, quindi, che il Ministro del lavoro e quello degli esteri possano accogliere queste mie premure e vogliano rimuovere le difficoltà che ancora ostacolano il rapido avviamento di questa nostra emigrazione verso l’Argentina. (Approvazioni).

PRESIDENTE. È così trascorso il tempo assegnato alle interrogazioni.

SULLO FIORENTINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SULLO FIORENTINO. Desidero domandare quando il Ministro dell’Agricoltura vorrà rispondere ad una mia interrogazione, di cui già è stata riconosciuta l’urgenza.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro dell’agricoltura non è presente. Ella potrà ripetere la sua richiesta in fine di seduta.

Presidenza del Presidente TERRACINI

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Procediamo all’esame dell’articolo 9, così concepito:

«La libertà e la segretezza di corrispondenza e di ogni forma di comunicazione sono garantite. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria, nei casi stabiliti dalla legge».

A questo articolo sono stati presentati vari emendamenti, fra i quali il seguente, già svolto, dell’onorevole Mastino Pietro:

«Sostituirlo col seguente:

«L’inviolabilità della persona e del domicilio, le libertà di circolare e di soggiornare nel territorio della Repubblica, di associazione, di parola, di propaganda, di stampa, di fede e di culto religiosi ed ogni forma di corrispondenza e di comunicazione sono garantite dalla legge».

Seguono altri emendamenti non ancora svolti. Il primo è quello dell’onorevole Ruggiero Carlo, del seguente tenore:

«Sostituirlo col seguente:

«Il segreto della corrispondenza è inviolabile. Può essere fatta deroga solo in forza di atto motivato dell’autorità giudiziaria, nei casi stabiliti dalla legge».

Non essendo presente l’onorevole Ruggiero Carlo, s’intende che vi abbia rinunziato.

Segue l’emendamento degli onorevoli Condorelli e Bellavista, così formulato:

«Sopprimere la seconda parte.

«Nel caso in cui tale emendamento venga respinto, alla fine dell’articolo aggiungere: ed in pendenza di procedimento penale».

L’onorevole Condorelli ha facoltà di svolgerlo.

CONDORELLI. Onorevoli colleghi, è stato reiteratamente osservato da varie parti come in questa nostra Costituzione avvenga molto spesso che si enunci un principio ritenuto evidente, ma che poi viene svuotato di contenuto, ammettendo la possibilità di larghe e illimitate eccezioni da parte del legislatore.

Ciò si ravvisa in moltissimi articoli compreso questo. Ieri l’onorevole Tupini, rispondendo ad analoghe osservazioni fatte da altri colleghi, disse che, quando questa possibilità di deroga è attribuita al potere legislativo o al potere giudiziario, non è vulnerata la libertà del cittadino, perché la massima fiducia in uno Stato civile e libero va accordata a questi poteri.

Però, io osservo che ciò non vale gran che laddove si cerca di creare una Costituzione rigida, la quale ha la principale funzione di indirizzare l’attività del legislatore.

Ora, una Costituzione rigida non è tanto diretta a limitare il potere esecutivo, che è limitato dalla legge, quanto a limitare il potere legislativo.

Enunciare un principio e poi aprire un amplissimo ambito, muovendosi nel quale il potere legislativo può anche distruggere il principio stesso, è indubbiamente un errore di tecnica.

Questo errore si presenta particolarmente grave in rapporto alla disposizione in esame, nella quale è affermato un principio, ormai indiscutibile: la libertà e la segretezza della corrispondenza e delle comunicazioni, salvo però, si dice, i casi previsti dalla legge come eccezionali.

Ora, a me pare che questo principio vada affermato assolutamente, senza limitazioni di sorta.

Può essere limitata la libertà e la segretezza di corrispondenza, in conseguenza necessaria delle limitazioni della libertà personale e della libertà domiciliare, nei casi in cui la Costituzione prevede che queste libertà, personale e domiciliare, possano essere limitate.

Aggiungere particolari limitazioni alla libertà e alla segretezza della corrispondenza mi pare non giustificato in nessun modo.

Io, perciò, col mio emendamento propongo la soppressione della seconda parte dell’articolo.

Bisogna affermare pienamente ed illimitatamente questa libertà e segretezza di corrispondenza, senza aggiungere altre limitazioni a quelle necessariamente derivanti dalle limitazioni previste alla libertà personale e domiciliare.

Io trovo che, in sostanza, i redattori di questo articolo della Costituzione si sono preoccupati della opportunità di non limitare eccessivamente l’attività dell’Autorità giudiziaria nella scoperta dei reati. Ma osservo che, data la redazione attuale della seconda parte dell’articolo, basterebbe supporre o inventare il sospetto di un reato o di una responsabilità per distruggere totalmente la libertà e la segretezza della corrispondenza: basterebbe che l’Autorità giudiziaria avesse il sospetto d’un reato, per limitare questa libertà.

Se poi si vuole prevedere questo, si faccia quello che io propongo nell’emendamento che presento in via subordinata; si dica che l’Autorità giudiziaria con un provvedimento può limitare questa libertà personale ad una determinata persona «in pendenza di procedimento penale». È questa una preoccupazione avvertita anche dal collega Bulloni, il quale in un suo emendamento vorrebbe sostituire l’inciso «nei casi stabiliti dalla legge» con l’altro «nei casi di inchiesta penale».

Io lascio la decisione ai tecnici del diritto processuale penale; ma ritengo che la mia formulazione «in pendenza di procedimento penale» sia esatta, perché inchiesta penale potrebbe aversi, io penso, anche al di fuori d’un procedimento penale.

L’inchiesta penale può essere anche condotta dalla polizia, salvo poi fare una denuncia all’Autorità giudiziaria. Accettando la dizione dell’emendamento dell’onorevole Bulloni ne deriverebbe che si potrebbe avere la limitazione di questo diritto gelosissimo anche durante una semplice inchiesta di polizia. Mi sembra più logico che questa limitazione, se ci deve essere, ci sia soltanto quando è aperto il procedimento penale, altrimenti mi pare che si verrebbe ad introdurre una eccezione che vuoterebbe di ogni contenuto pratico il principio. Sia chiaro che il legislatore potrà limitare la libertà e la segretezza della corrispondenza soltanto per le necessità del procedimento penale ed in pendenza di esso.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento a firma degli onorevoli Bulloni, Benvenuti e Avanzini:

«Alle parole: nei casi stabiliti dalla legge, sostituire le altre: nei casi di inchiesta penale».

Non essendo presenti i firmatari, l’emendamento s’intende decaduto. Come pure è decaduto, per la stessa ragione, l’emendamento dell’onorevole Mastino Pietro, di cui ho già dato lettura.

Rimane, quindi, soltanto l’emendamento degli onorevoli Condorelli e Bellavista sul quale chiedo alla Commissione di esprimere il proprio parere.

MARINARO. A nome della Commissione, dichiaro di non accettare l’emendamento.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la prima parte dell’articolo nella formulazione proposta dalla Commissione:

«La libertà e la segretezza di corrispondenza e di ogni forma di comunicazione sono garantite.

(È approvata).

Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Condorelli di sopprimere la seconda parte dell’articolo.

(Non è approvata).

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Vorrei chiedere un chiarimento: nel caso di guerra, la censura deve essere certamente ammessa. Chiedo se questo è considerato in qualche altro articolo.

PRESIDENTE. Sono già stati presentati degli articoli aggiuntivi che prevedono questa possibilità. L’onorevole Crispo ha presentato appunto un articolo aggiuntivo che prevede modificazioni alle modalità stabilite in questo articolo in caso di guerra, di stato d’assedio, ecc. L’onorevole Nobile, comunque, non ha presentato nessun emendamento su questo punto.

NOBILE. Ne parlerò in occasione dell’emendamento Crispo.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la seconda parte dell’articolo 9 nel testo della Commissione:

«La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’Autorità giudiziaria, nei casi stabiliti dalla legge».

(È approvata).

Pongo ora in votazione l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Condorelli così formulato:

«ed in pendenza di procedimento penale».

(È approvato).

L’articolo 9, nel suo complesso, risulta così formulato:

«La libertà e la segretezza di corrispondenza e di ogni forma di comunicazione sono garantite. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’Autorità giudiziaria, nei casi stabiliti dalla legge ed in pendenza di procedimento penale».

Passiamo all’esame dell’articolo 10:

«Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio italiano, nei limiti e nei modi stabiliti in via generale dalla legge per motivi di sanità o di sicurezza. In nessun caso la legge può limitare questa libertà per ragioni politiche.

«Ogni cittadino ha diritto di emigrare, salvo gli obblighi di legge.

«La Repubblica tutela il lavoro italiano all’estero».

A questo articolo sono stati presentati vari emendamenti. Il primo è quello, già svolto, dell’onorevole Mastino Pietro:

«Sostituirlo col seguente:

«Ogni cittadino ha diritto di emigrare salvo gli obblighi di legge».

Segue l’emendamento degli onorevoli Cairo, Di Gloria, Rossi Paolo, Pera, Persico:

«Sostituirlo col seguente:

«Tutti i cittadini possono trasferirsi e dimorare in qualsiasi parte del territorio italiano, ove non facciano ostacolo motivi generali di sanità e di sicurezza determinati dalla legge.

«L’emigrazione all’estero è libera.

«La Repubblica protegge ed assiste i cittadini emigrati per ragione di lavoro».

L’onorevole Cairo ha facoltà di svolgerlo.

CAIRO. Il nostro emendamento, mira soprattutto a sostituire alcune espressioni che, a nostro avviso, sono imprecise.

Nel testo della Commissione, infatti, si parla di circolazione. Abbiamo preferito la dizione «trasferirsi», poiché sembra a noi che la parola usata nel progetto abbia un che di tecnico e di scientifico che male si riferisce agli uomini, e che fa pensare alla circolazione monetaria, alla circolazione sanguigna, alla circolazione dei veicoli; abbia, insomma, un sapore per così dire regolamentare che non è, a nostro avviso, conforme a quella che dovrebbe essere l’espressione anche linguistica e lessicale del testo costituzionale; tanto più che nel concetto di trasferimento c’è qualche cosa di permanente e di positivo che sfugge al concetto di circolazione.

E questo è così vero, a nostro avviso, che in un altro emendamento suggerito da altro collega, per intensificare questo concetto di circolazione, si è arrivati persino ad affermare la libertà di movimento; il che – è lapalissiano il dirlo – non è possibile ammettere. Quindi, ritengo che la parola «trasferimento» traduca meglio e meglio concreti il pensiero anche dei colleghi che hanno proposto l’articolo.

Abbiamo sostituito, poi, nel nostro emendamento, la parola «dimora» alla parola «soggiorno», in quanto riteniamo che con la parola «dimora» si faccia ricorso ad un preciso istituto giuridico previsto dalla nostra legislazione, mentre l’istituto del «soggiorno» non esiste. L’espressione, oltre a non essere perfettamente giuridica, fa pensare a qualcosa di fiscale; io penso, in questo momento, alla «tassa di soggiorno». Quindi, il far riferimento all’istituto della dimora credo non sia solo questione linguistica, ma anche questione di un certo contenuto giuridico.

Nel testo proposto da noi si afferma sic et simpliciter che l’emigrazione all’estero è libera, e si toglie l’espressione «salvo gli obblighi di legge». Qui il pensiero va a quello che riguarda specialmente il dovere militare, e cioè alla coscrizione. A questo proposito noi abbiamo il nostro pensiero, che svolgeremo a suo tempo. Comunque, noi riteniamo, fautori come siamo di quella nazione armata, che potrebbe diventare una realtà storica, suggerita dalle nostre condizioni storiche in questo momento, noi riteniamo che liberi come saremo dai vincoli di questa obbligatorietà del servizio militare, noi potremo affermare finalmente il grande principio, che è principio di civiltà socialista, del libero trasferimento di tutti i popoli e della libera emigrazione da una parte all’altra dei territori del mondo.

Il «salvo gli obblighi di legge» ci sembra una di quelle limitazioni, che purtroppo abbondano in questo testo costituzionale, per le quali concetti che dovrebbero apparire come dichiarazioni di principio trovano poi subito delle limitazioni, talvolta anche ingiustificate, in questo ricorso perenne alla legge. Il dire, a nostro avviso, che «l’emigrazione all’estero è libera» è affermare uno di questi principî fondamentali. Il sopprimere la frase «salvo gli obblighi di legge» non può significare senz’altro che l’emigrazione non possa essere regolata dalla legge. Il principio affermato dalla Costituzione è un principio fondamentale e generale e non toglie al legislatore la possibilità di una limitazione che non vada a violare il principio, ma che sia un’applicazione del principio stesso. Noi riteniamo che sia assolutamente necessario affermare solennemente questo principio di libertà che riguarda il nostro avvenire, che riguarda l’avvenire pacifico, che noi abbiamo in cima a tutti i nostri pensieri, dell’Europa e del mondo.

Al terzo ed ultimo comma il nostro emendamento sostituisce le parole «protegge ed assiste» alla parola «tutela». Nella tutela è parso ai proponenti dell’emendamento che fosse insito un concetto paternalistico che avesse, direi quasi, un richiamo nostalgico alla protezione paterna, a quella specie di tutela che faceva della nazione una specie di pupilla, che fu del fascismo ma che non deve essere della Repubblica italiana. Si aggiunge la parola «assiste» perché noi riteniamo che il dovere della Repubblica non sia solo quello di proteggere, ma anche quello di prestare assistenza effettiva agli emigranti. Il concetto di assistenza troverà poi il suo sviluppo e il suo svolgimento in quella sede sindacale, la quale darà, d’accordo con gli organi del Governo della Repubblica, il continuo sussidio, il costante sostegno a questi nuovi emigranti, che non dovranno essere più le turbe cenciose di un tempo, ma i cittadini nuovi della vera civiltà italiana, la civiltà del lavoro, e che porteranno il contributo prezioso della loro preziosissima opera all’estero. Questi ambasciatori di civiltà, come furono sempre e come dovranno essere ancora i nostri emigranti, dovranno godere non solamente della tutela, ma della protezione, la quale importa assistenza materiale e morale da parte della Repubblica italiana.

Per riassumere noi chiediamo: l’affermazione del concetto di «trasferimento» che, per nostro conto, meglio sostituisce il vago concetto di «circolazione»; il richiamo all’istituto della «dimora» al posto del «soggiorno» che non ha chiaro profilo giuridico; che l’emigrazione, come diritto e come libertà, venga affermata senza alcuna limitazione; che si faccia luogo al concetto di protezione e di assistenza che è molto più lato e deve essere sostituito alla parola paternalistica «tutela» che male può riferirsi ai nuovi nostri emigranti. (Applausi).

PRESIDENTE. Segue l’emendamento, già svolto, dell’onorevole Nobile:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Ogni cittadino può circolare, soggiornare ed esercitare liberamente la propria arte, professione o mestiere, in qualsiasi parte del territorio italiano, salvo le restrizioni imposte dalla legge per motivi di sanità pubblica o di sicurezza. In nessun caso la legge può limitare questa libertà per ragioni politiche».

Segue l’emendamento dell’onorevole Ruggiero Carlo:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Ogni cittadino ha diritto di muoversi e soggiornare sul territorio italiano, salvo i limiti imposti dalla legge per motivi di sanità e di sicurezza pubbliche».

Non essendo presente l’onorevole proponente, l’emendamento si intende decaduto.

Segue l’emendamento dell’onorevole Mastrojanni:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio italiano. Qualsiasi limitazione non può derivare che dalla legge, che provvede per motivi di sanità o di sicurezza, esclusa comunque la ragione politica».

L’onorevole Mastrojanni ha facoltà di svolgerlo.

MASTROJANNI. Il mio emendamento ha un valore più formale che sostanziale, dividendo in due distinti periodi la intera dizione dell’articolo.

Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio italiano (primo periodo). Nel secondo periodo sono contenute le limitazioni relative alle ragioni di sanità e di sicurezza; e l’esclusione delle limitazioni del diritto per ragioni politiche ho ritenuto che dovesse essere affermata in modo più evidente e più soddisfacente. Sostanzialmente, il mio emendamento riproduce il contenuto dell’articolo già proposto dalla Commissione per il progetto di Costituzione, ma lo esprime con una dizione che corrisponda meglio alle necessità di distinguere la parte positiva (diritto) da quella negativa (limitazione del diritto).

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Dominedò:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«L’emigrazione è libera, salvi gli obblighi imposti dalla legge per i casi di guerra o di emergenza».

L’onorevole Dominedò ha facoltà di svolgerlo.

DOMINEDÒ. Lo spirito del mio emendamento è quello di far sì che la libertà dell’emigrazione, sancita in sede costituzionale, non sia ad un tempo rimessa alla possibilità di subire obblighi o limiti incondizionati in sede legislativa e in ciò convengo nella sostanza delle considerazioni svolte dal precedente collega di parte socialista.

Ora, io vorrei chiedere alla Commissione se non ritenga conveniente, in relazione anche a quanto già considerammo in sede di terza Sottocommissione, che la disciplina dell’emigrazione, così intimamente connessa ai problemi del lavoro e così strettamente attinente all’espansione della personalità umana sul piano economico-sociale, non debba essere opportunamente trasferita sotto il titolo dei «Rapporti sociali». Se la Commissione credesse di venire incontro a questa mia proposta, non avrei motivo di insistere adesso nello svolgere il mio emendamento.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Senz’altro; siamo d’accordo. Vi sono anche altri emendamenti conformi alla sua richiesta, degli onorevoli Roselli e Ruggiero.

DOMINEDÒ. Allora, non ho altro da aggiungere, in questa sede.

PRESIDENTE. L’onorevole Roselli ha presentato il seguente emendamento:

«Trasferire gli ultimi due commi, in apposito articolo, al Titolo III (Rapporti economici), dove la materia dell’emigrazione ha sede più opportuna».

Non essendo l’onorevole Roselli presente, l’emendamento si intende decaduto.

L’onorevole Ruggiero Carlo ha presentato un secondo emendamento:

«Trasferire l’ultimo comma all’articolo 30».

Non essendo presente, l’emendamento si intende decaduto.

Sono stati ora presentati, dagli onorevoli Bulloni e Schiratti, i seguenti emendamenti:

«Sostituire ai due ultimi commi dell’articolo 10 del testo della Commissione, il seguente:

«Ogni cittadino è libero di uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi, salvo gli obblighi di legge».

«Trasferire i due ultimi commi del testo della Commissione al Titolo terzo sui rapporti economici».

L’onorevole Bulloni ha facoltà di svolgerli.

BULLONI. Mantengo l’emendamento, rinunciando a svolgerlo.

PRESIDENTE. L’onorevole Cappi ha proposto la soppressione di parecchi articoli, fra i quali l’articolo 10 in esame. Ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

CAPPI. Ho proposto la soppressione degli articoli 9, 10, 17, 18; ma insisterei soprattutto sulla soppressione degli articoli 17 e 18.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Cappi di voler fare riferimento, per ora, all’emendamento all’articolo 10. Gli emendamenti agli altri articoli potrà svolgerli a suo tempo.

CAPPI. Ho proposto la soppressione dell’articolo 10 che mi sembrava superfluo, in quanto la materia è già compresa nell’articolo 8 che garantisce la libertà personale, dizione così larga che mi sembrava potesse comprendere anche la libertà di uscire e rientrare nel territorio dello Stato. Comunque, se la Commissione non accetta la proposta, non insisto.

PRESIDENTE. Vi è, infine, l’emendamento dell’onorevole Preziosi, così formulato:

All’ultimo comma aggiungere: istituendo presso le proprie rappresentanze diplomatiche uffici speciali di assistenza per i lavoratori».

L’onorevole Preziosi ha facoltà di svolgerlo.

PREZIOSI. Mantengo l’emendamento, rinunziando a svolgerlo

PRESIDENTE. Invito la Commissione a esprimere il suo parere sugli emendamenti.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Dichiaro innanzitutto che la Commissione accetta gli emendamenti proposti dagli onorevoli Bulloni e Schiratti. A proposito dell’emendamento dell’onorevole Mastino Pietro, che riguarda il diritto all’emigrazione, faccio presente che, siccome il concetto in esso contenuto è stato ripreso sia dalla proposta di emendamento dell’onorevole Dominedò, sia da quella degli onorevoli Roselli e Ruggiero che, per quanto decadute per l’assenza dei proponenti hanno trovato tuttavia altri colleghi che si sono ritenuti sostanzialmente d’accordo, che del diritto di emigrazione potrà parlarsi senz’altro nella parte relativa ai rapporti economici. In quella sede potremo discutere gli emendamenti che già sono stati presentati o che comunque saranno presentati al riguardo.

Circa l’emendamento presentato dall’onorevole Cairo ed altri per la sostituzione del verbo «dimorare» a quello del progetto «soggiornare», osservo che quest’ultimo è comprensivo del primo. La Commissione quindi vi insiste, perché è convinta che esso meglio sancisca il diritto del cittadino a stabilirsi nei luoghi che preferisce.

Faccio inoltre osservare all’onorevole Cairo che tutta la materia riguardante l’emigrazione forma già oggetto dei «rapporti economici» e che pertanto noi potremo rimandarla in quella sede.

Anche l’emendamento dell’onorevole Nobile, relativo all’esercizio dei commerci e delle professioni, può rientrare nei rapporti economici e precisamente nell’articolo 31 del progetto. Prego pertanto l’onorevole Nobile di rinviare a quella sede l’esame della questione da lui sollevata.

L’emendamento dell’onorevole Mastrojanni mi sembra di natura formale e, coerentemente con quanto ho avuto l’onore di proporre a chiusura della discussione generale del primo capitolo, non mi pare che valga la pena di insistervi e prego perciò l’onorevole Mastrojanni di ritirarlo.

Analogamente la Commissione non è d’accordo con l’onorevole Mastrojanni circa il suo emendamento soppressivo, perché distruttivo di una garanzia di libertà per il cittadino.

C’è infine l’emendamento dell’onorevole Preziosi. Prego il collega di volerne rinviare l’esame al capitolo dei rapporti economici, e specificamente agli articoli che riguardano l’emigrazione.

GUERRIERI FILIPPO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GUERRIERI FILIPPO. Io non ho fatto nessuna proposta di emendamento, ma vorrei, se fosse possibile, proporre alla Commissione una semplice posposizione di parola, e cioè che invece di dire «ogni cittadino può circolare e soggiornare», si dica: «ogni cittadino può soggiornare e circolare». È una inezia, ma mi pare che risponda di più ad un concetto logico, in quanto il fatto di soggiornare precede il circolare.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Questa appartiene a quella serie di proposte che io considero di natura stilistica. Risciacqueremo in Arno tutto il contesto del progetto dopo che sarà divenuto definitivo.

PRESIDENTE. Dopo le dichiarazioni della Commissione, domando ai presentatori di emendamenti se li mantengono.

Non essendo presente l’onorevole Mastino Pietro, il suo emendamento s’intende decaduto. L’onorevole Cairo mantiene il suo emendamento?

ROSSI PAOLO. Quale firmatario dell’emendamento Cairo, dichiaro di mantenerlo.

PRESIDENTE. Non essendo presente l’onorevole Mastrojanni, il suo emendamento s’intende decaduto.

L’onorevole Dominedò mantiene il suo emendamento?

DOMINEDÒ. Ho fatto richiesta alla Commissione, che ha accettato, di rinviare la materia al titolo dei rapporti sociali.

PRESIDENTE. Allora si intende che, in sede di articolo 10, l’emendamento dell’onorevole Dominedò è ritirato.

L’onorevole Preziosi mantiene il suo emendamento?

PREZIOSI. Accetto senz’altro quanto è stato dichiarato dall’onorevole Tupini, e cioè che l’emendamento sarà preso in esame in sede di rapporti economici.

PRESIDENTE. S’intende che l’onorevole Bulloni mantiene i suoi emendamenti, già accettati dalla Commissione.

L’onorevole Cappi ritira la proposta di soppressione dell’articolo 10?

CAPPI. La ritiro.

PRESIDENTE. L’onorevole Nobile mantiene il suo emendamento?

NOBILE. Consento al suggerimento dell’onorevole Tupini di presentare l’emendamento in altra sede.

PRESIDENTE. Rimane, dunque, l’emendamento Cairo e altri, non accettato dalla Commissione, del quale pongo in votazione il primo comma:

«Tutti i cittadini possono trasferirsi e dimorare in qualsiasi parte del territorio italiano, ove non facciano ostacolo motivi generali di sanità e di sicurezza determinati dalla legge».

(Non è approvato).

Pongo ai voti il primo periodo del primo comma nel testo della Commissione:

«Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio italiano, nei limiti e nei modi stabiliti in via generale dalla legge per motivi di sanità o di sicurezza».

(È approvato).

Pongo ai voti il secondo periodo dello stesso comma:

«In nessun caso la legge può limitare questa libertà per ragioni politiche».

(È approvato).

Pongo ai voti il secondo comma dell’emendamento Cairo e altri:

«L’emigrazione all’estero è libera».

(Non è approvato).

Pongo ai voti la proposta degli onorevoli Bulloni e Schiratti, accettata dalla Commissione, di sostituire gli ultimi due commi dell’articolo 10 col seguente:

«Ogni cittadino è libero di uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi salvo gli obblighi di legge».

(È approvata).

Pongo ai voti la proposta degli stessi onorevoli Bulloni e Schiratti, che la Commissione ha accettato, di trasferire i due ultimi commi dell’articolo del testo della Commissione al Titolo terzo sui rapporti economici.

(È approvata).

Decade, pertanto, il terzo comma dell’emendamento Cairo e altri, per quanto riguarda l’art. 10, il quale resta approvato in questa formulazione definitiva:

«Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio italiano, nei limiti e nei modi stabiliti in via generale dalla legge per motivi di sanità o di sicurezza. In nessun caso la legge può limitare questa libertà per ragioni politiche.

«Ogni cittadino è libero di uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi salvo gli obblighi di legge».

Passiamo all’esame dell’articolo 11:

«La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali.

«Lo straniero al quale siano negate nel proprio paese le libertà garantite dalla Costituzione italiana ha diritto di asilo nel territorio italiano.

«Non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici».

A questo articolo sono stati presentati alcuni emendamenti.

Il primo è quello, già svolto, dell’onorevole Mastino Pietro:

«Sostituirlo col seguente:

«Lo straniero a cui siano negate nel proprio Paese le libertà garantite dalla Costituzione italiana ha diritto di asilo nel territorio italiano. Non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici».

Non essendo presente il proponente, l’emendamento si intende decaduto.

Segue l’emendamento, già svolto, dell’onorevole Ruggiero Carlo:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Lo straniero al quale sono negati i diritti e le libertà garantiti da questa Costituzione ne ha diritto di asilo nel territorio della Repubblica».

Non essendo presente il proponente, l’emendamento si intende decaduto.

Segue l’emendamento degli onorevoli Bulloni e Avanzini:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Lo straniero al quale siano negate le libertà garantite dalla presente Costituzione ha diritto di asilo nel territorio della Repubblica».

L’onorevole Bulloni ha facoltà di svolgerlo.

BULLONI. Rinuncio all’emendamento.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento degli onorevoli Ravagnan, Laconi, Grieco:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Lo straniero perseguitato per aver difeso i diritti della libertà e del lavoro ha diritto di asilo nel territorio italiano».

PRESIDENTE. L’onorevole Ravagnan ha facoltà di svolgerlo.

RAVAGNAN. Onorevoli colleghi, noi abbiamo presentato questo emendamento perché riteniamo che esso corrisponda ad una esigenza di chiarezza del testo costituzionale.

Anzitutto noi pensiamo che non vi è dubbio che la Costituzione che si va elaborando sia una Costituzione antifascista. Non vi è dubbio che il Comitato di redazione, presentandoci questo articolo, abbia avuto l’intenzione di affermare che il diritto di asilo è concesso in Italia a coloro che hanno combattuto all’estero per la libertà contro il fascismo, e che sono perseguitati per questa lotta. Siamo certi che questo è il concetto che anima la Commissione.

Riteniamo tuttavia che questo concetto sia troppo generico, sia troppo poco concreto e la formula che proponiamo vale appunto a dare a questo concetto una concretezza e una precisione maggiore.

Per dare un esempio: si usa dire oggi in Italia che noi abbiamo dei detenuti politici. Ora, i detenuti politici che abbiamo oggi in Italia sono di natura tutt’affatto opposta di quelli che esistevano prima della caduta del fascismo. E se ci si presenta alle frontiere un individuo che dice di essere perseguitato politico, e lo è della stessa natura di quelli che sono in carcere in Italia, come possiamo permettere che egli abbia diritto di asilo?

È necessaria dunque una discriminazione. Non possiamo concedere in tal caso il diritto di asilo, non possiamo ammettere una Costituzione che rischi di concedere il diritto di asilo ad elementi che si trovino sullo stesso piano di quelli che noi riteniamo in Italia pericolosi per l’ordine pubblico e per le istituzioni del nostro Paese.

Analogamente, se in un paese straniero sono negate le libertà di organizzazione a determinati gruppi che hanno condotto una lotta analoga a quella che è stata svolta nel nostro Paese da gruppi messi sotto la sanzione delle nostre leggi, come possiamo poi ammettere il diritto di asilo per gli esponenti di tali organizzazioni? Certamente non è possibile. Ecco la necessità di introdurre nella Costituzione una formulazione più precisa, e non credo che alcuno possa essere contrario a che essa sia introdotta, perché si tratta di una formulazione più restrittiva non della libertà, ma della possibilità che la libertà sia intaccata.

Oggi nel nostro Paese si ha da fare con molti e molti stranieri che non possono rientrare nel loro paese perché hanno condotto colà un’azione analoga a quella che svolge oggi il neo-fascismo e il neo-nazismo. Ci sono stati colleghi che in sede di commissione plenaria a questo proposito hanno affermato astrattamente il principio che si devono considerare in generale i perseguitati politici per qualsiasi idea. Nella pratica, altra è la vita che hanno condotto i combattenti della libertà in terra straniera, una vita di povertà decorosa e onorata, e altra è la vita che conducono in Italia questi elementi, i quali si sono abituati alla morale fascista e nazista all’estero, di rapine e di delitti, e compiono rapine e delitti in Italia, e si dedicano ad attività ignobili di trafficanti di valute e di qualcosa di peggiore. Questo non è ammissibile che avvenga nel nostro Paese.

Per questo ci permettiamo di richiamare l’attenzione dell’Assemblea sulla necessità che la formulazione sia del tipo che noi proponiamo.

Io osservo ancora che la nostra formula si discosta anche da quelle presentate da altri gruppi, nel senso che noi non facciamo accenno ai diritti di libertà garantiti dalla Costituzione italiana.

Questa non è un’omissione; noi pensiamo che se facciamo esplicito riferimento soltanto ai diritti garantiti dalla nostra Costituzione, implicitamente siamo obbligati ad istituire dei raffronti colle altre Costituzioni.

Una voce. No, no.

RAVAGNAN. A noi sembra così. Questo raffronto ci sembra superfluo e non opportuno.

Dobbiamo semplicemente stabilire una norma, una indicazione, per cui sia obbligatoria la valutazione dell’attività del profugo politico straniero, poiché oggi e successivamente – in un periodo che non sappiamo quanto possa durare – evidentemente la lotta ci divide in due campi; e questi campi non si possono astrattamente considerare alla stessa stregua.

Per queste ragioni, insistiamo perché il nostro emendamento sia posto in votazione e ci auguriamo che sia approvato.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Treves, Cairo, Grilli, Canevari, Bocconi, Morini, Carboni, D’Aragona, Preti, Chiaramello hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Lo straniero, al quale sia negato l’effettivo esercizio dei diritti di libertà garantiti dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica».

L’onorevole Treves ha facoltà di svolgerlo.

TREVES. Onorevoli colleghi, il nostro emendamento mira soprattutto a precisare un dato di fatto in un articolo che ci sta molto a cuore.

Effettivamente tutte le Costituzioni moderne contengono un articolo sul diritto di asilo per i perseguitati politici. Sia la Costituzione russa che quella jugoslava, sia il primo progetto di Costituzione francese all’articolo 6 e ora nel proemio, accolgono questa disposizione, ma in termini diversi da quello che è il testo suggerito dalla nostra Commissione. In quelle Costituzioni mi sembra seguito un altro procedimento, più esemplificativo. Si dice che gli stranieri perseguitati per avere compiuto determinati atti in favore della libertà e dei diritti del lavoro, hanno diritto di asilo nel territorio.

Il testo della Commissione è più comprensivo, senza scendere ad esemplificazioni.

Ma il nostro emendamento mira a precisare la portata della disposizione e perciò le parole chiave – diciamo così – a noi sembrano «l’effettivo esercizio dei diritti di libertà», ecc.

Quello che a noi preme di stabilire è se lo straniero può avere l’effettivo esercizio di questi diritti, e non che questi diritti siano astrattamente incorporati nella Carta costituzionale del paese cui lo straniero appartiene. Si tratta di vedere in pratica se lo straniero ha l’effettivo esercizio di quei diritti a cui noi soprattutto teniamo. In questo senso, proprio per precisare e completare il testo della Commissione, noi abbiamo formulato il nostro emendamento.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Basso, Nobili Tito Oro, Giua, Pieri, Costantini, Grazi, Merighi, Tonello, Tega, De Michelis, hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Lo straniero, che sia perseguitato nel proprio paese per aver difeso i diritti della libertà e del lavoro garantiti dalla Costituzione italiana, ha diritto di asilo nel territorio della Repubblica».

L’onorevole Tonello, firmatario dell’emendamento, ha facoltà di svolgerlo.

TONELLO. Onorevoli colleghi, ho considerato le ragioni addotte dall’onorevole Ravagnan, tendenti a limitare in un certo modo il diritto di asilo allo straniero, ed ho provato una istintiva avversione dell’animo mio nel sentire enunciare il principio della limitazione del diritto di asilo.

Io ebbi la sventura di sopportare oltre venti anni di amaro esilio e so come la libertà concessa agli stranieri nel campo del pensiero non sia che una menzogna, anche se stampata nella Carta costituzionale di un Paese libero. E nella Svizzera, che i miei amici repubblicani hanno il torto di dipingere come la terra promessa della libertà, nella Svizzera questo diritto di asilo non è che una ipocrisia borghese e capitalistica. Erano favoriti tutti i commendatori ladri, tutti gli affaristi, tutti i banchieri falliti; ma i galantuomini, quelli che hanno lottato e che lottano e che soffrono per una idea, erano continuamente tormentati, come continuamente tormentato fu colui che vi parla. Ricordo di essere stato espulso dalla Svizzera per una poesia scritta prima dell’assassinio di Dolfüss e riguardante il passato Pontefice. Dissero che avevo offeso dei capi di Stato, cosicché dovetti fare il mio fardello e continuare il mio calvario in altra terra. Mi recai in Francia, e vidi che anche lì era problematico il diritto di asilo, benché il trinomio di libertà, fratellanza ed eguaglianza fosse sulla bocca di tutti. La verità è che quando un povero operaio, un cittadino straniero, capitava sotto le grinfie della polizia era perseguitato senza pietà.

Ed allora, dobbiamo proprio noi mettere delle limitazioni a questo riguardo nella nostra Costituzione? Dobbiamo noi proprio inserire nella Costituzione queste restrizioni di libertà al diritto di asilo? Io credo di no. Io non mi sento di approvarle, benché riconosca che le ragioni addotte dall’onorevole Ravagnan sono buone ed oneste, e mi ripugni il pensare che in Italia tutti i persecutori, tutti gli aguzzini di altri popoli sono liberi di ricoverarsi. Ma io penso che vi è il Codice penale, e che nella Costituzione non dobbiamo ammettere questo principio. Oggi vi è la Costituente. V’è un’aria di libertà, ma non sappiamo quali Governi e quali maggioranze si avranno domani, e quali uomini politici interpreteranno le limitazioni che includiamo nella nostra Costituzione. Basterà che venga un eresiarca qualunque da un altro Paese perché si trovi nella Costituzione le ragioni per mettergli la corda al collo o per esiliarlo un’altra volta.

Io vi invito, onorevoli colleghi, a rimanere fermi nel concetto espresso nell’emendamento presentato dal compagno Basso, da me e da altri compagni. Esso dice: «Lo straniero che sia perseguitato nel proprio Paese per aver difeso i diritti della libertà e del lavoro garantiti dalla Costituzione italiana ha diritto di asilo nel territorio della Repubblica». Qui è precisamente segnato il limite di questa libertà, cioè questa libertà è ammessa per coloro che hanno difeso nel loro Paese le libertà che sono sancite nella nostra Costituzione.

Questo emendamento può essere adottato anche dagli amici comunisti, in quanto ribadisce il concetto espresso anche dall’onorevole Ravagnan, ma in una forma più precisa che ci rende più tranquilli. Esso ci fa capire che domani un agitatore operaio, un organizzatore di masse, venendo in Italia, troverà la difesa del suo diritto di asilo e nessuno lo espellerà.

Aspettiamo a marciare verso l’aria grigia della palude e della reazione e ci troveremo benissimo. Anche dieci anni fa, quando il Presidente della Repubblica svizzera mi mandò lo sfratto, nel Parlamento svizzero disse: «Noi riconosciamo teoricamente che gli esiliati hanno diritto di esprimere il loro pensiero e la loro anima nella nostra terra ospitale, ma…», ed i «ma» seguiranno sempre quando si vuole perseguitare lo straniero che sia incomodo non solo allo Stato, ma anche alle classi borghesi e abbienti dello Stato in cui si è ricoverato.

Non bisogna mettere limitazioni. Vi è il Codice penale ed in esso potrete mettere tutte le limitazioni che vorrete, ma nella Costituzione no. Nella Costituzione deve essere messo limpido il concetto che sacra deve essere l’ospitalità.

Onorevoli colleghi, pensate che questo fatto ha una grande importanza, anche perché può darsi che noi socialisti abbiamo ancora bisogno di chiedere ospitalità ai Paesi stranieri; ma può darsi che lo abbiate anche voi, amici della destra, questo bisogno. Oggi a me, domani a te, dice il proverbio. Badate, questo negare ogni concetto largo di libertà, può colpire non solo i vostri avversari, ma anche voi stessi se l’ora della lotta suona. Ebbene, io vi dico che farete il vostro dovere, onorevoli colleghi, se voterete l’emendamento da noi proposto. Noi vogliamo che i combattenti onesti di una idea trovino aperte le vie del mondo e che la Costituzione affermi questo diritto sacro di ospitalità, senza limitazioni. Le limitazioni saranno fatte nei Codici penali dei singoli Stati, ma non devono apparire nella Costituzione. Qui in Italia devono poter venire tutti i combattenti onesti di una idea, tutti gli assertori di un nuovo mondo di libertà e di pace; essi devono poter vivere indisturbati e fare la loro propaganda, senza che trovino un intralcio nella Costituzione italiana.

Sarebbe doloroso e anche vile che proprio noi nella nostra Costituzione mettessimo una norma che contrasti con questo concetto. Ne abbiamo già messe delle limitazioni alla libertà negli articoli che abbiamo approvato, onorevoli colleghi, e non occorre che ne mettiamo ancora altre per incatenare noi stessi.

Ai colleghi democratici cristiani io dico che noi proponiamo questo emendamento per uno spirito di conciliazione, per non avere delle noie con gli stranieri coi quali dobbiamo vivere in pace. Se voi mettete limitazioni nella Costituzione, un Governo potrebbe domani applicare a suo capriccio e interpretare a modo suo la Costituzione e voi potrete anche ingaggiare nuove lotte politiche dannose al nostro Paese che deve marciare invece verso la libertà.

Domando quindi che sia accettato l’emendamento Basso per l’avvenire stesso del nostro Paese, per potere anche dire al mondo che l’Italia è diventata non soltanto il Paese dell’articolo 7, ma anche il Paese dell’articolo 11. (Commenti).

PRESIDENTE. Segue l’emendamento, giù svolto, dell’onorevole Nobile:

«Al secondo comma, aggiungere le parole: salvo le restrizioni imposte dalla legge sull’immigrazione».

Segue l’emendamento dell’onorevole Perassi:

«Al secondo comma, aggiungere le parole: nelle condizioni stabilite dalla legge».

CONTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONTI. In assenza dell’onorevole Perassi, fo mio l’emendamento e rinunzio a svolgerlo.

PRESIDENTE. L’onorevole Corsanego ha presentato i seguenti emendamenti:

«Dopo il secondo comma, aggiungere il seguente:

«Non è ammessa l’estradizione del cittadino, salvo che sia espressamente consentita da trattati internazionali».

«All’ultimo comma, dopo la parola: estradizione, aggiungere: del Cittadino e».

L’onorevole Corsanego ha facoltà di svolgerli.

CORSANEGO. Il primo emendamento da me proposto è simile a quello proposto dai miei amici Bettiol, Leone Giovanni e Benvenuti, con una piccola differenza, cioè che mentre nell’emendamento Bettiol si esclude in ogni caso l’estradizione del cittadino, nel mio emendamento si ammettono delle eccezioni.

Lo svolgimento di questo emendamento può essere brevissimo, perché si tratta di materia cognita a tutti i giuristi. Tutti sanno che quasi tutte le legislazioni vietano l’estradizione dei loro concittadini e il divieto si fonda su motivi notissimi, perché il cittadino e lo Stato sono uniti da vincoli tali che non implicano soltanto degli obblighi da parte del cittadino di pagare le tasse, di prestare servizio militare, ecc., ma, in contrapposto agli obblighi, il cittadino ha dei diritti e tra questi il diritto di essere protetto dal proprio Stato sia all’interno che all’estero. Un secondo motivo è che, di solito, i giudici sono portati ad essere molto più severi verso lo straniero e la stessa opinione pubblica, lo stesso pubblico che assiste ad un dibattimento penale, sono sempre più ostili verso l’imputato straniero. Vi è poi un altro motivo fondamentale: ci sono molte nazioni le quali conservano delle pene barbare ed hanno una procedura difettosa.

Per tutti questi motivi, la maggior parte delle Costituzioni e la maggior parte delle legislazioni penali vietano l’estradizione dei propri cittadini. Ma se questo principio si trova consacrato nella maggior parte delle Costituzioni e si trova ripetuto nella maggior parte dei Trattati di diritto internazionale, la dottrina moderna e la prassi contemporanea hanno portato dei temperamenti al principio stesso: cioè la tendenza moderna è diretta a rendere meno assoluto il divieto di estradizione dei cittadini. Per esempio, c’è la grande eccezione degli Stati Uniti d’America e dell’Inghilterra, i quali concedono anche l’estradizione del proprio cittadino, perché dicono che non concepiscono che un colpevole possa essere legittimamente sottratto alla giurisdizione dello Stato di cui ha violato le leggi. Quindi l’Inghilterra e l’America concedono l’estradizione del cittadino anche quando non vi sia reciprocità.

Nel 1921 vi fu una convenzione fra l’Estonia, la Lettonia e la Lituania, per cui fu concessa in qualche caso l’estradizione dei propri cittadini, con questa esatta formula: L’extradition des propres citoyens peut être niée, cioè: può essere negata; ma può anche essere ammessa. E in certi casi è ammessa l’estradizione del cittadino dalle legislazioni del Brasile, del Perù e dell’Uruguay.

Perciò il mio emendamento ha un duplice scopo: anzitutto di affermare il principio, che non si trova formulato nell’articolo così com’è proposto, del divieto di estradizione del cittadino; e in questo concordo perfettamente coi miei colleghi e amici. Però, aggiungo che è possibile – per eccezione, quando ci sia la reciprocità di un’altra Nazione – concedere l’estradizione del cittadino. Perciò il mio emendamento dice appunto: «Non è ammessa l’estradizione del cittadino, salvo che sia espressamente consentita da trattati internazionali».

C’è poi un secondo mio emendamento allo stesso articolo, che consiste in una piccola aggiunta che si rende necessaria: laddove si dice che non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici, se si accetterà l’emendamento del collega Bettiol, allora si dirà: «in nessun caso quella del cittadino»; ma, se si accettasse per avventura il mio emendamento, bisognerebbe aggiungere all’ultimo comma la parola «cittadino»; cioè: non è ammessa l’estradizione del cittadino e dello straniero per reati politici. Bisogna, in sostanza, tener ben fermo il principio che mai, in nessun caso, può avvenire la mostruosità giuridica che un cittadino debba essere estradato per motivi politici.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento, già svolto, dell’onorevole Preziosi:

«All’ultimo comma, dopo la parola: ammessa, aggiungere le parole: in nessun caso».

Non essendo egli presente, l’emendamento si intende decaduto.

Gli onorevoli Bettiol, Leone Giovanni e Benvenuti hanno presentato il seguente emendamento:

«All’ultimo comma, aggiungere le parole: e in nessun caso quella del cittadino».

L’onorevole Bettiol ha facoltà di svolgerlo.

BETTIOL. Col collega Leone e col collega Benvenuti noi insistiamo sul nostro emendamento, il quale è diretto a porre in sede costituzionale un divieto assoluto per quanto riguarda l’estradizione del cittadino. Io mi rendo conto che molte obiezioni assennate possono esser fatte contro il principio che noi vorremmo vedere sancito nella Costituzione; ma però ci richiamiamo al fatto che ogni Costituzione è storicamente condizionata, quindi sorge in un determinato momento storico che ha caratteristiche, peculiarità tutte sue. Questa nostra Costituzione – è stato detto già da più parti in questa Assemblea – sorge dopo la tirannia del ventennio. In quel periodo il principio dell’estradabilità del cittadino è stato nuovamente riaffermato, mentre nella nostra tradizione giuridica e politica, anteriore alla instaurazione del regime dittatoriale in Italia, era sancito il principio che il cittadino mai poteva venire estradato.

C’è, quindi, questa esigenza di carattere politico che, in questo momento, urge alle porte della Costituzione e fa sì che il principio della non estradizione del cittadino sia da considerarsi come degno di essere sancito espressamente negli articoli costituzionali.

Badate bene poi che la regola stessa per cui il cittadino non può essere estradato si può anche riferire, grosso modo, alla regola che nessuno può essere distolto dai propri giudici naturali; principio che è stato già accolto nel progetto di Costituzione. E qual è il giudice più naturale, se non il giudice del Paese, se non il giudice dello Stato cui il cittadino stesso appartiene? È soltanto il giudice del Paese cui appartiene il cittadino che può infatti valutare, nei momenti o nelle situazioni di fatto, tutto quello che attiene all’azione delittuosa commessa dal cittadino stesso.

Le azioni delittuose perpetrate dal cittadino all’estero possono trovare in Italia una valutazione e un giudizio diversi da quelli che si possono avere all’estero, in quanto il nostro giudice ha una sensibilità diversa da quella del giudice che vive sotto altro clima, in altra situazione sociale e politica.

Noi crediamo che, per queste ragioni ed anche per altre cui per brevità ometto di accennare, l’emendamento debba esser posto in votazione.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Ruggiero Carlo:

«Trasferire l’articolo dopo l’articolo 22 alla fine del Titolo».

Non essendo presente l’onorevole proponente, l’emendamento si intende decaduto.

L’onorevole Patricolo ha ora presentato il seguente emendamento, firmato anche dagli onorevoli Colitto, Perugi, Mazza, De Falco, Miccolis, Corsini, Tumminelli, Marinaro e Rodi:

«La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge.

«Lo straniero perseguitato nel proprio paese per azioni commesse in difesa delle libertà garantite dalla Costituzione italiana ha diritto di asilo nel territorio italiano.

«Non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici».

L’onorevole Patricolo ha facoltà di svolgerlo.

PATRICOLO. Il mio emendamento nasce da una preoccupazione non solo di carattere giuridico, ma anche di carattere politico. Per quanto poi tale mio emendamento sia molto vicino a quello presentato dai settori di sinistra, le preoccupazioni di carattere politico che mi muovono sono completamente opposte a quelle indicate dall’onorevole Tonello e dall’onorevole Basso.

Io direi, comunque, di esaminare l’articolo 11, così come esso si presenta. Si legge nel primo comma: «La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali».

Il mio emendamento tende a togliere completamente la seconda proposizione del primo comma, giacché noi abbiamo già inserito nell’articolo 3 del progetto di Costituzione un principio per cui l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. Non vedo, quindi, perché, in questa precisa materia, si debba sottolineare che tale condizione giuridica è subordinata alle norme del diritto internazionale.

Noi dobbiamo riferirci al diritto italiano e, d’altronde, la nostra legge si adatterà sempre alle norme internazionali.

Trovo, pertanto, superflua l’affermazione contenuta in questa seconda parte del primo comma.

Veniamo ora al secondo comma: «Lo straniero al quale siano negate nel proprio paese le libertà garantite dalla Costituzione italiana ha diritto di asilo nel territorio italiano».

Questa affermazione mi sembra di una grande gravità per la Costituzione italiana; richiamo pertanto l’attenzione degli onorevoli colleghi sul fatto che, secondo me, qualsiasi delinquente comune, di qualsiasi Stato, può avere il diritto di asilo in Italia, in quanto che, secondo la dizione giuridicamente ferrea di questo secondo comma, non è escluso che i delinquenti comuni possano essere ricevuti in Italia e soggetti al diritto di asilo, poiché nel secondo comma manca il titolo giuridico perché lo straniero non abbia rifiutato il diritto di asilo.

Quando si dice che «Lo straniero, al quale sono negate nel proprio paese le libertà garantite dalla Costituzione, ecc.», non si dice: «Lo straniero che ha compiuto determinati atti, lo straniero che ha compiuto determinati reati», ma si fa riferimento allo straniero che si trova in uno Stato in cui non esistono le nostre libertà e, quindi, ha il diritto di asilo.

Io dico alla Commissione che se un delinquente comune di un altro Stato viene in Italia, perseguito dalla legge del suo paese e chiede il diritto di asilo, allora noi non possiamo assolutamente negarlo, perché lo straniero ci dimostrerà che nel suo paese non sono rispettate le nostre libertà ed è soltanto questo il titolo che lo autorizza ad avere il diritto di asilo in Italia. D’altra parte il diritto di asilo è un istituto vecchio nel diritto internazionale e si riferisce principalmente al diritto comune.

Il diritto di asilo era dato dalla Chiesa cattolica principalmente; quindi il delinquente comune, rifugiatosi in una Chiesa, non poteva essere preso. Ora, se vogliamo modificare questo diritto di asilo e dargli una nuova configurazione giuridica, occorre esprimerlo esplicitamente nella Costituzione, o aggiungendo la parola «politiche» alla «libertà», ed allora si comprenderà che soltanto coloro i quali sono, secondo il loro paese, nell’impossibilità di godere delle libertà politiche italiane, possono essere ricevuti in Italia; oppure bisognerà modificare secondo l’emendamento mio.

D’altra parte il mio emendamento tende a precisare la questione delle azioni commesse dallo straniero, perché lo stesso diritto di asilo implica la persecuzione da parte di uno Stato straniero in un ordinamento giuridico estraneo al nostro verso un cittadino. Non basta dire che un cittadino spagnolo, inglese, russo o tedesco non goda delle sue libertà per ammetterlo in Italia e concedergli il diritto di asilo. Il diritto di asilo presuppone che questo cittadino sia un perseguitato, oppure sia stato condannato in contumacia, o voglia sfuggire ad una legge che vuole punirlo. Se, invece, ammettiamo chiunque appartenga ad un Paese ove non esistono le libertà di cui si gode in Italia, allora andiamo incontro ad una immigrazione in massa da parte di certi paesi, dove le nostre libertà non sono conosciute, all’immigrazione di delinquenti comuni, i quali pretenderebbero di avere sempre il diritto di asilo.

L’ultimo comma, pel quale è detto che non è ammessa l’estradizione per reati politici, non risolve nulla, perché rimane sempre il dubbio, essendo per gli altri reati ammessa l’estradizione. Dico ancora che il comma secondo dell’articolo 11 non ci dice se per i reati comuni è ammessa l’estradizione. Politicamente, non credo sia il caso di preoccuparci che dall’estero possano venire degli uomini perseguitati per antifascismo o fascismo, per monarchismo o per essere repubblicani – io mi riferisco all’onorevole Tonello il quale ha detto delle parole sagge: oggi a me domani a te – perché non possiamo ipotecare il futuro. Facciamo sì che la nostra Costituzione sia affermazione di libertà vere, e poi quale che sia l’indirizzo politico del Governo italiano, esso potrà garantire coloro che seguono le correnti politiche della maggioranza del Governo italiano. Questa è una preoccupazione che, io direi all’onorevole Tonello, non è il caso di avere. Guardiamo alla Costituzione come a un fatto puramente giuridico. Facciamo in modo che questo nuovo statuto in Italia garantisca le libertà con formule pienamente giuridiche. (Approvazioni).

PRESIDENTE. L’onorevole. Cappi ha presentato il seguente, emendamento, firmato anche dagli onorevoli Castelli, Schiratti, Tosato, Recca, De Palma, Bastianetto, Bulloni, Chieffi e Lettieri:

«Modificare il secondo comma come segue:

«Lo straniero al quale nel proprio paese sia impedito di diritto o di fatto l’esercizio delle libertà garantite dalla presente Costituzione, ha diritto di asilo nel territorio italiano».

L’onorevole Cappi ha facoltà di svolgerlo.

CAPPI. Desidero dire una parola sola sul mio emendamento che riguarda il primo capoverso dell’articolo 11. L’emendamento sostanzialmente si ispira al concetto che ha ispirato l’emendamento dell’onorevole Treves; si tratta di sostituire ad un criterio astratto un criterio concreto, perché è difficile oggi che in un Paese di una certa civiltà si neghino espressamente nella Costituzione alcune libertà civili o politiche. È difficile che tali libertà si trovino negate in una Costituzione, ma purtroppo non è difficile che di fatto l’esercizio di quelle libertà sia limitato. Perciò a me pare che la formula «negare l’esercizio delle libertà» sia più corretta e concreta che «negare le libertà». Osservo che sarebbe anche superfluo l’inciso «di diritto o di fatto» perché potrebbe bastare «al quale nel proprio paese sia impedito l’esercizio delle libertà».

E giacché ho la parola, mi sembra eccessivo il timore dell’onorevole Patricolo che, mantenendo il comma così com’è, si corra il rischio di vedere invasa l’Italia dai delinquenti comuni. In Italia, nella nostra Costituzione, non vi è libertà per i rapinatori, gli assassini, i delinquenti comuni. Quindi, se un delinquente comune venisse in Italia non potrebbe appellarsi a questa norma, perché la libertà per i delinquenti comuni non è sancita dalla nostra Costituzione.

Ad abundantiam si potrebbe aggiungere: «a cui sia impedito l’esercizio delle libertà politiche e civili», ma mi sembra superfluo.

Per queste ragioni insisterei sul mio emendamento.

PATRICOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PATRICOLO. Vorrei chiarire brevissimamente il concetto. Io non dico che nella nostra Costituzione siano riconosciute le libertà riguardo al delitto comune, ma la dizione, quale noi presentiamo nel secondo comma, non dà il titolo per il quale lo straniero possa godere del diritto di asilo, perché lo straniero che non abbia determinate libertà, indipendentemente dai reati commessi, sia politici o non, secondo la dizione del secondo comma avrebbe diritto di asilo. È una questione sottile di diritto, ma invito l’onorevole Cappi, illustre giurista e maestro, di badare bene a questa dizione. Noi andremmo incontro domani a sorprese molto gravi se adottassimo la dizione del secondo comma.

PRESIDENTE. Qual è il parere della Commissione sugli emendamenti?

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Non essendo presenti gli onorevoli Mastino Pietro e Ruggiero Carlo si intende che abbiano rinunciato ai loro emendamenti.

Mi riferirò, quindi, subito all’emendamento proposto degli onorevoli Ravagnan, Laconi e Grieco. I colleghi Laconi e Grieco fanno parte della Commissione dei settantacinque e la presentazione stessa del loro emendamento dimostra che non siamo tutti d’accordo nel testo dell’articolo.

Osservo, comunque, agli onorevoli proponenti la soverchia genericità e latitudine del loro emendamento. Infatti, essi propongono che: «Lo straniero perseguitato per aver difeso i diritti della libertà e del lavoro ha diritto di asilo nel territorio italiano». Qui non trovo alcun accenno specifico ai diritti di libertà garantiti dalla nostra Costituzione. Un riferimento ai diritti di libertà e del lavoro, genericamente intesi senza un accenno specifico ai diritti di libertà garantiti dalla nostra Costituzione, mi pare che sia un emendamento così esteso, da superare, se non addirittura da contradire allo spirito e alla sostanza delle nostre esigenze nazionali.

Nel merito faccio osservare che, quando il nostro testo dice che è garantito il diritto di asilo a coloro ai quali siano negate nel proprio Paese le libertà garantite dalla Costituzione italiana, in questa dizione sono comprese tutte le libertà presso di noi garantite, e, quindi, anche il diritto del lavoro e di libertà sindacale. Se precisiamo in modo particolare la libertà del lavoro, corriamo il rischio che questa distinzione escluda altri diritti che non siano quelli specifici del lavoro.

Per queste ragioni la maggioranza della Commissione si dichiara contraria all’emendamento Ravagnan, Laconi e Grieco.

L’onorevole Treves ha presentato un emendamento che si avvicina molto a quello dell’onorevole Cappi, come questi testé riconosceva.

Per mio conto non sarei alieno dall’accettare l’emendamento Treves o Treves-Cappi.

Sarei tuttavia del parere di dire invece che: «Lo straniero al quale sia negato»; «Lo straniero al quale sia «impedito» l’effettivo esercizio dei diritti di libertà, ecc.», perché, come giustamente osservava l’onorevole Cappi, è difficile che in teoria sia negato l’esercizio di un diritto. È molto più probabile che l’esercizio del diritto sia impedito praticamente.

TREVES. Onorevole Tupini, c’è un emendamento che stiamo concordando.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Benissimo, avevo io stesso proposto di trovare una formula d’accordo tra i vari presentatori.

Le stesse ragioni da me opposte all’emendamento Ravagnan e le riserve per talune delle considerazioni illustrative degli emendamenti Treves e Cappi valgono anche per l’emendamento degli onorevoli Basso, Nobili Tito Oro, Giua, Tonello ed altri, che dichiaro – perciò – di non accettare.

Per quanto poi riguarda l’emendamento proposto dall’onorevole Nobile, ricordo quello che già ho detto a proposito dell’emendamento da lui presentato all’articolo 10, cioè che trattandosi di restrizioni imposte dalla legge sull’immigrazione, ne riparleremo in sede di discussione dei rapporti economici. In altri termini l’emendamento Nobile rimane impregiudicato, ma la sede in cui lo si esaminerà sarà quella del capitolo terzo.

Per quanto attiene all’emendamento Perassi, fatto proprio e svolto dall’onorevole Conti, io ed alcuni della Commissione non siamo contrari.

Riguardo all’emendamento proposto dall’onorevole Corsanego, dichiaro di essere d’accordo sul merito, salvo una mia proposta personale di emendamento all’emendamento.

La prima considerazione riguarda il collocamento di questo emendamento per quanto attiene alla estradizione del cittadino.

Se il Presidente consente, io direi che la sede opportuna sia l’ultima parte dell’articolo 10.

Prego l’onorevole Corsanego e gli onorevoli Bettiol ed altri, i quali, sia pure con termini diversi, aderiscono all’emendamento, di prendere atto di questo: che dobbiamo, sì, considerare l’estradizione del cittadino e l’estradizione dello straniero; ma, per quanto attiene all’estradizione del cittadino, collocare il concetto nell’articolo 10, e per quanto attiene all’estradizione dello straniero parlarne in sede di articolo 11, ora diventato 12.

Però, nel momento stesso in cui dichiaro di accettare l’emendamento Corsanego, nella speranza che egli concordi con me circa la sede più opportuna, prego di volere consentire che la formula da lui adoperata «consentita da trattati internazionali» sia sostituita da questa «consentita dalle convenzioni internazionali».

Ne ho già espresso le ragioni all’onorevole Corsanego e mi pare che egli non abbia opposto difficoltà.

L’onorevole Corsanego propone ancora altro emendamento e cioè di aggiungere all’ultimo comma, dopo la parola «estradizione» le parole «del cittadino e».

Naturalmente, avendo egli aderito alla mia proposta di collocamento, l’emendamento stesso deve ritenersi assorbito in quella.

Credo di aver così implicitamente risposto anche agli onorevoli Bettiol ed altri, dai quali spero avere eguale consenso.

Onorevole Bettiol, è necessario aggiungere «e in nessun caso quella del cittadino»?

Quando non è consentita l’estradizione del cittadino e quando noi disgiungiamo l’estradizione dello straniero, collocandola all’articolo 11, e quella del cittadino, collocandola all’articolo 10, viene meno la ragione del suo emendamento.

Se fossero stati uniti i due concetti, avrei compreso il motivo rafforzativo della sua proposta, ma ora non più.

Ritengo, perciò, che l’onorevole Bettiol possa aderire.

L’onorevole Ruggiero Carlo non è presente. Comunque la sua proposta è fatta propria dalla Commissione. Evidentemente è opportuno che questo articolo, che riguarda lo straniero – e che per ragioni di logica è stato collocato nel capitolo dei diritti di libertà – sia trasferito in fondo al capitolo, e quindi è la Commissione stessa che crede opportuno di proporre alla Assemblea che questo articolo 11 sia votato, sì, ma poi sia collocato in fondo al capitolo riguardante i rapporti civili. E così mi pare di avere risposto a tutti. Vi sarebbe poi l’emendamento dell’onorevole Preziosi, che s’intende decaduto poiché il presentatore è assente.

Comunque anche qui siamo di fronte alla stessa questione da me sollevata a proposito dell’emendamento dell’onorevole Bettiol; e mi pare, anche per quanto riguarda l’articolo 12, di avere esaminato e detto il mio pensiero su tutte le proposte di emendamento. Ora vorrei conoscere il testo definitivo dell’emendamento presentato dall’onorevole Treves.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Treves, Bulloni e Cappi hanno proposto di sostituire il secondo comma col seguente: «Lo straniero al quale sia impedito l’effettivo esercizio dei diritti derivanti dalle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana ha diritto di asilo nel territorio della Repubblica italiana».

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Io però direi: «dei diritti di libertà democratiche» anziché «dei diritti derivanti, ecc.».

PRESIDENTE. Comunque, sulla forma definitiva, ci si potrà mettere d’accordo successivamente.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Fatto salvo, naturalmente, il pensiero dell’onorevole Laconi, che deve dirci se io posso esprimere il pensiero dell’intera Commissione. Molti di noi sono d’accordo, comunque, sul testo presentato dagli onorevoli Treves e Cappi.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Ravagnan se mantiene il suo emendamento.

RAVAGNAN. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Tonello se mantiene l’emendamento di cui è firmatario.

TONELLO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Nobile, ella insiste nel suo emendamento?

NOBILE. Ho riflettuto sulla proposta fatta dall’onorevole Tupini e mi son persuaso che il posto migliore per inserire il mio emendamento e discuterlo è proprio qui.

Che il diritto di asilo debba concedersi a rifugiati politici isolati è cosa fuor di questione; ma domani potrebbero battere alle nostre porte migliaia di profughi politici di altri paesi, e noi saremmo costretti a dar loro asilo senza alcuna limitazione, quando restrizioni potrebbero venir consigliate anche da ragioni di carattere economico.

Severe limitazioni a questo riguardo vi sono perfino in un paese ricco come gli Stati Uniti di America, dove si richiede che vengano soddisfatte le prescrizioni della legge sulla immigrazione. Pregherei, perciò, il Presidente di porre in votazione il mio emendamento.

TUPINI. Presidente della prima Sottocommissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Nella eventualità che sia posta ai voti la proposta di emendamento dell’onorevole Nobile, faccio osservare che bisognerebbe collegarla con l’emendamento presentato dall’onorevole Perassi «nelle condizioni stabilite dalla legge». Però, senza entrare nel merito, insisto nel dire che la sede adatta è quella dei rapporti economici. Quanto al merito, mi riservo di spiegarmi al momento opportuno e pertanto non si deve ritenere pregiudicato. L’onorevole Nobile la pensa diversamente; vuol dire che l’Assemblea deciderà. Ricordo infine all’onorevole Presidente e all’Assemblea che ove questi due emendamenti venissero approvati dovrebbero essere collegati fra di loro, per trarne una formula chiara e intelligibile.

PRESIDENTE. Onorevole Conti, conserva il suo emendamento?

CONTI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. E lei, onorevole Corsanego?

CORSANEGO. Accetto la proposta della Commissione.

PRESIDENTE. E lei, onorevole Bettiol?

LEONE GIOVANNI. Come firmatario dell’emendamento vorrei osservare che siamo d’accordo per la trasposizione del principio nell’articolo precedente, perché quella è la sede più opportuna. Ci sembra, poi, che vada messo in rilievo il divario fra la nostra formula e quella dell’onorevole Corsanego, in quanto noi non vorremmo consentire che neppure in caso di convenzione o trattato internazionale l’estradizione possa essere concessa. E a fondamento di questo nostro emendamento poniamo l’esperimento attuale di un trattato che ci viene imposto. In avvenire, potrebbe accadere qualcosa di. analogo.

PRESIDENTE. Onorevole Patricolo, insiste nel suo emendamento?

PATRICOLO. Insisto.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione: Onorevole Patricolo, le chiedo scusa se ho omesso di portare il mio esame sul suo emendamento che non avevo trovato tra quelli stampati. La prego però ugualmente di non insistervi perché le preoccupazioni che vi si esprimono non mi sembrano fondate e, in ogni modo, possono sentirsi soddisfatte dalle limitazioni del diritto di asilo previste nell’emendamento Treves e altri. Infatti abbiamo già accolto il concetto di assicurare il diritto di asilo a coloro ai quali sia impedito effettivamente l’esercizio di quei diritti di libertà che sono garantiti dalla nostra Costituzione. Mi oppongo perciò all’emendamento Patricolo.

PATRICOLO. Allora, io chiederò che il mio emendamento sia votato per divisione.

PRESIDENTE. La votazione sugli emendamenti e il seguito della discussione sono rinviati alla seduta pomeridiana.

Per la discussone sulla situazione finanziaria.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Il Governo è a piena disposizione dell’Assemblea per promuovere e partecipare alla discussione sulla situazione finanziaria, nel momento in cui l’Assemblea lo crederà opportuno, senza trincerarsi dietro disposizioni o restrizioni di poteri o di forme procedurali. Detto ciò, il Governo prega l’Assemblea, nella sua responsabilità, di considerare lo stato di fatto. Il Governo ha fatto una relazione ampia, dettagliata, diffusa dalla stampa in tutto il Paese, sullo stato presente delle finanze e del bilancio. In sede propria ha preso i provvedimenti finanziari annunciati – in parte presi e in parte in corso di attuazione – che dovrebbero rimediare alla situazione. Lo scopo fondamentale è, da una parte, di combattere la speculazione e, dall’altra, di abbassare e comprimere i prezzi, di controllare il credito, di introdurre viveri e tessuti e di disporre e preparare economie sul bilancio. Queste singole disposizioni sono oggetto di elaborazione – se non sono già oggetto di decreto – da parte di diverse Commissioni di Ministri. I Ministri sono ora impegnati in questo lavoro.

La discussione più impegnativa e più utile per l’Assemblea e per il Governo sarebbe, naturalmente, quella da fare nel momento della presentazione dei bilanci preventivi, perché in quel momento, accanto alla situazione attuale, il Governo è in grado di precisare i provvedimenti presi e quindi la situazione che potrà disegnarsi per il prossimo avvenire. Questa descrizione e questa discussione panoramica potrebbero esser fatte non prima della fine del mese; e questo sarebbe normale. Ma il ritmo dei tempi e le preoccupazioni generali fanno desiderare che l’Assemblea sia investita prima del problema, o della parte essenziale del problema finanziario.

Secondo me e secondo quello che pensa il Governo, è nel momento in cui la Commissione presenterà alla Camera la relazione sopra l’imposta patrimoniale, che è uno degli elementi fondamentali nella politica finanziaria del Governo, che sarà giunta l’opportunità di completare questa relazione con altri elementi a sua disposizione di carattere finanziario, per estenderla anche ai problemi di carattere economico con la relazione del Ministro dell’industria e commercio. Pare al Governo che quello sarà il momento opportuno per una discussione utile e per uno scambio di idee fra l’Assemblea e i rappresentanti del Governo.

C’è però un problema di economia di tempo, se non erro, e qui non vogliamo comportarci come degli estranei. Il Governo ha le sue responsabilità particolari, s’intende; l’Assemblea Costituente ha le sue. Tuttavia i membri del Governo sono membri della Costituente e il lavoro che il Governo fa e che presenta all’Assemblea va inquadrato in un problema di economia di tempo e di distribuzione di lavoro che interessa entrambi. Permettetemi allora di dire, come membro dell’Assemblea, che questa non deve e non può dimenticare la necessità di coordinare la discussione sui problemi finanziari ed economici col suo compito fondamentale, che è quello di votare la Costituzione. Noi pensiamo che, a parte la discussione generale che si dovrebbe fare in occasione della presentazione della relazione sull’imposta patrimoniale, ci sia tutto un programma di lavori da combinare fra le proposte del Governo e il tempo di cui dispone l’Assemblea. Sarebbe, a tal fine, opportuno che la Presidenza dell’Assemblea, insieme con la Presidenza del Consiglio, forse consultando – se ciò pare utile – i capi-gruppo, stabilisca un programma di lavori che vada al di là dell’urgenza dell’attuale discussione e che ci garantisca di poter assolvere tutti i nostri compiti. Ora è da considerare che se è utilissima la discussione, più utile ancora è l’azione; e il tempo è disgraziatamente limitato. Accanto ai compiti normalmente amministrativi, il Governo ha una certa parte di legislazione di urgenza cui deve provvedere; e questa parte di legislazione di urgenza si riferisce proprio ai problemi immediati che riguardano l’alimentazione, e l’attuazione di tutto il programma economico e finanziario del Governo.

Il Governo interviene tutti i giorni dinanzi ai riflessi di questa politica che esso fa; e quindi il Governo ha bisogno di una certa possibilità di azione, che deve essere svolta, naturalmente, al di fuori dell’Assemblea. C’è quindi un senso di responsabilità comune e un senso di solidarietà nei compiti, che in fondo deve tendere a dimostrare che il regime democratico vuole e sa superare, queste difficoltà gravissime che sono sopra di noi. C’è in questo senso di responsabilità, in questa volontà comune, anche il criterio dell’economia del tempo che dobbiamo dividere e suddividere fra noi e i nostri compiti, in modo che non si intralcino e tutti possiamo fare il massimo sforzo per superare le difficoltà presenti.

Devo dire subito che, a parte ogni dichiarazione di carattere generale di governo, il Consiglio dei Ministri – che ho momentaneamente disertato, ma che è ancora riunito – ha di nuovo oggi ribadito la sua unanime convinzione di marciare sulla strada che si è iniziata, di continuare in un’azione economica per la compressione dei prezzi, di fare appello a tutte le forze del Paese, perché dallo sforzo comune si riesca prima a contenerli e poi a comprimerli; e a questo riguardo svolgerà un’azione concentrica, anche al di fuori dell’Assemblea, e punterà con tutte le forze alla soluzione di quei problemi di struttura e di organizzazione economica che riescano a dominare quel larghissimo margine di speculazione illecita, che è una delle cause principali dell’aumento dei prezzi.

Questo è il nostro programma; in questo chiediamo l’appoggio, il consiglio e la sanzione dell’Assemblea Costituente.

LA MALFA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA. Ho il dovere di informare l’Assemblea che la relazione al progetto di legge sull’imposta straordinaria è pervenuta ai membri della Commissione mercoledì scorso a mezzogiorno. La Commissione si è riunita alle ore 16 e ha fatto un primo generale esame del provvedimento, ascoltando sul provvedimento stesso la relazione del Ministro Campilli e alcune spiegazioni particolari del Sottosegretario Pella.

La Commissione si riunirà mercoledì in mattinata e inizierà l’esame approfondito del progetto. Io ho dovuto dar tempo ai colleghi di prendere conoscenza della relazione e del progetto. Spero che sabato venturo la Commissione sia in grado di presentare la relazione all’Assemblea Costituente, e quindi di consentire la discussione in Assemblea, a partire da quest’altro lunedì.

La Commissione ha preso accordi con il Ministro per iniziare i lavori preparatori dei bilanci preventivi 1947-48; essa pensa che, in tutto questo periodo tanto la Commissione quanto l’Assemblea, saranno impegnate nell’esame dei problemi finanziari del nostro Paese.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Desidero far rilevare, senza voler creare dei fastidì al Governo per lo svolgimento della sua politica, che noi, come Assemblea, ci. troviamo in una situazione molto curiosa. Quindici giorni fa, dai banchi di vari settori fu avanzata la proposta di una discussione immediata della situazione economica e finanziaria del Paese. Soltanto motivi collegati agli impegni che molti di noi avevano assunto e all’imminenza delle feste pasquali ci indussero a rimandare la discussione.

Durante questo periodo, uno dei gruppi che allora non vollero accedere all’idea di fare subito la discussione, è venuto nell’ordine di idee di farla, e anzi ha addirittura chiesto di anticipare la data di convocazione, già prestabilita, dell’Assemblea.

Non credo che in questi quindici giorni le cose siano così migliorate da rendere inutile una discussione che noi allora ritenevamo necessaria.

Il Governo sta emanando dei provvedimenti; esso è entrato in quella che si potrebbe chiamare, in termini vulcanologici, una fase eruttiva; e non tutto quello che viene fuori in questa fase può avere, non dirò l’assenso a posteriori, ma neanche l’assenso preventivo di alcuni settori di questa Assemblea.

Ma è proprio sull’indirizzo di tutti questi provvedimenti che noi dovremmo avere il coraggio di affrontare i problemi e di arrivare ad una conclusione se non di carattere politico, anche soltanto di carattere tecnico, nei limiti in cui in questa materia la tecnica si può distinguere dalla politica. Attendere la presentazione del progetto relativo all’imposta sul patrimonio ed i bilanci significa non fare più la discussione economica e finanziaria: la qual cosa l’Assemblea è padronissima di decidere, assumendone intiera la responsabilità; ma non so quale figura noi faremmo di fronte al Paese, dopo aver detto quindici giorni fa: «Dobbiamo discutere questo problema», come se oggi le cose fossero andate tanto bene da poter dire: «Aspettiamo che vengano i bilanci».

Io non credo che l’Assemblea, con il calendario dei lavori che ha in vista, avrà il tempo di discutere i bilanci. Se noi dobbiamo finire, come tutti ci auguriamo che avvenga, per il 24 giugno, la Costituente non potrà, entro quel termine, prendere anche in esame i bilanci dei Ministeri, i quali potrebbero del resto andare avanti con l’esercizio provvisorio o con una legge che li approvi in blocco; perché non è in sede di bilanci di previsione che si può effettuare il controllo dell’Assemblea sulla spesa pubblica in un periodo in cui tra la previsione e il relativo consuntivo esistono scarti che possono essere superiori al 100 per 100.

Ecco perché io dico: ci troviamo in un periodo in cui siamo in molti, e siamo relativamente freschi perché abbiamo avuto dieci giorni di vacanza, e siamo anche in condizioni, non dirò di perfetto idillio, ma di armonia, di concordia, perché il problema che ci interessa ci potrà prospettare delle soluzioni differenti dal punto di vista politico, ma tutti vogliamo che si ricorra a quei mezzi che consentano di tirar fuori il Paese dalla situazione attuale.

A mio giudizio, dunque, tutto sarebbe in favore di una discussione immediata di carattere generale. Le discussioni di carattere tecnico sull’imposta e sugli altri provvedimenti del Governo, o si faranno in seno alla Commissione o, se ci sarà tempo, si faranno in seno all’Assemblea.

Io non voglio – ripeto – creare fastidî al Governo. È lungi da me qualsiasi proposta intesa a mettere il Governo in un imbarazzo politico. Io pongo il problema di fronte all’Assemblea per quelli che sono i precedenti della questione e per il giudizio che il Paese può dare di una Assemblea che, di fronte ad una situazione economica di una certa gravità, continua ad occuparsi di tante altre cose, anche se importanti.

Se l’Assemblea ritiene di rimandare, rimandi; da parte nostra insistiamo nel ritenere urgente ed improrogabile la discussione.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Desidero osservare che forse non ho rilevato abbastanza – ma la risposta dell’onorevole Corbino me ne dà occasione – che l’Assemblea, rappresentata in quattro Commissioni riunite, ha discusso per tre giorni sopra la relazione Campilli ed ha votato anche un ordine del giorno; così che si può dire che l’Assemblea stessa ha avuto occasione di esprimere una direttiva generica e un pensiero anche di critica sopra lo stato di fatto delle finanze. Altro è se si parla dei provvedimenti che sono in corso. Ma vi prego anche di considerare che si tratta di provvedimenti ancora in corso, alcuni parzialmente in corso, altri non ancora del tutto deliberati ed in elaborazione presso il Governo. Quindi, in questo momento, si possono dare indicazioni generali, ma non si può fare una critica circa provvedimenti concreti, i quali arrivano, del resto, per la maggior parte, alle Commissioni dell’Assemblea.

Se l’onorevole Corbino, o qualche altro, all’infuori delle dichiarazioni generiche fatte nella Commissione, ha un pensiero taumaturgico, una soluzione, noi siamo i primi a desiderare che siano suggeriti in modo che ci possano togliere dall’imbarazzo. E ci sono cento forme per cui l’Assemblea questo pensiero ci può trasmettere e questo controllo può esercitare. Ma io mi domando che cosa farete in una discussione generale nella quale il Governo vi può dire che non ha ancora perfezionato i suoi provvedimenti e non vi può offrire un quadro completo per quanto riguarda l’avvenire.

Io mi rimetto di nuovo alla decisione dell’Assemblea per quanto riguarda il Governo, ma ritengo e confermo che l’opportunità maggiore sarebbe quella della presentazione della relazione sulla patrimoniale. Il Governo, per conto suo, e credo anche la Presidenza dell’Assemblea, non intendono limitare le discussioni di carattere tecnico, ma vorrei che si tenesse presente che la discussione in sede delle quattro Commissioni riunite, e quindi in una adunanza di notevole importanza, è stata tale che il Governo ne ha preso atto nelle sue decisioni per frenare le spese, e ridurre soprattutto le spese di bilancio.

LABRIOLA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LABRIOLA. Ricordo che l’Assemblea, quando l’onorevole Nitti parlò, a proposito dell’articolo 5, della leggenda di Bisanzio, applaudì. L’onorevole Nitti, che aveva torto dal punto di vista storico perché la storia reale è diversa, ricordò la vecchia leggenda che mentre Bisanzio stava per essere occupata dai Turchi, nella città si discuteva intorno a problemi teologici, cioè se la seconda persona della Trinità fosse stata creata per mezzo del Padre oppure avesse un’esistenza prima del Padre. E l’Assemblea applaudì. L’Assemblea volle dire che quando la casa brucia non è il caso di occuparsi di altre faccende. L’Assemblea assunse che i problemi pratici debbono avere il primo posto nelle sue discussioni. Adesso, il Presidente del Consiglio, in quel suo discorso un po’ sparso che, a dire la verità, non sono riuscito nel mio spirito a rimettere tutto bene insieme, non si sa se ci venga a proporre di rinviare qualsiasi discussione sull’argomento o lasci all’Assemblea la responsabilità di fissare la discussione sugli argomenti finanziari ed economici del Paese.

A me basta rilevare semplicemente che i Paese – e purtroppo la parola non è una esagerazione – arde: dimostrazioni in ogni luogo, agitazioni in ogni parte, discussioni in seno a tutte le assemblee e per condire l’insieme anche qualche omicidio. Per esempio, qui a Roma non sappiamo se oggi potremo andare a far colazione. In queste condizioni noi ci occuperemmo, se si vuole, del divorzio, l’unico argomento sul quale potremo per adesso richiamare la nostra attenzione, per completare la stesura della Costituzione.

Bella cosa la Costituzione! Noi comporremo un bellissimo documento da tramandare ai posteri, ma è cosa infinitamente più grave occuparci delle condizioni del nostro Paese.

Diceva il Presidente del Consiglio: ma che cosa farete se non possiamo proporre nulla di concreto?

Onorevole De Gasperi, possiamo fare una cosa molto semplice e naturale per noi: potremo dire che il Governo non conosce i suoi doveri, che pensa troppo tardi ai problemi che interessano tutto il Paese e poi cerca di differirne l’esame da parte dell’Assemblea. Quindi il Governo, se così si continua, deve cedere ad altri il proprio ufficio, il proprio compito e la direzione degli affari. Ad un Governo si chiede una consapevole direzione della cosa pubblica. Non è da oggi soltanto che accadono tumulti e si hanno invasioni di terre, non è da oggi soltanto che i dimostranti invadono gli uffici delle prefetture non sono di oggi soltanto i tumulti che si verificano in tanti centri del nostro Paese. Accadono da vari mesi faccende di un simile genere, ed il disordine economico di tutta la nazione avrebbe dovuto preoccupare il Governo.

E dovremo noi occuparci di simili cose, soltanto quando verranno presentati i bilanci o avremo più esatte notizie della patrimoniale?

Ci sono delle responsabilità del Governo e delle responsabilità dei Deputati. Noi siamo stati eletti dagli elettori, ed è agli elettori che dovremo render conto del nostro mandato. Il nostro è un mandato essenzialmente di controllo dell’opera del Governo. Il Governo ha il compito di iniziare e di indirizzare: ma i Deputati hanno il compito di porre in esame l’azione del Governo e vedere se esso assolve i propri doveri.

Ne viene di conseguenza che se il Governo crede di dovere aspettare ancora e di avere innanzi a sé il tempo per assolvere ai propri doveri, noi questo tempo possiamo pensare di non averlo.

Obbligo del Governo era di venire innanzi all’Assemblea con un lavoro preparato; e se preparato non è, peggio per esso, e noi ne trarremo le illazioni necessarie.

Concludo perciò che la questione di discutere la situazione economica e finanziaria è urgentissima. Avrei desiderato che l’onorevole Presidente del Consiglio, dati i precedenti che sono stati invocati da varie parti dell’Assemblea e quello che l’onorevole Corbino ricordava, fosse venuto qui a dirci: discutete di questa materia e in queste condizioni. Il Governo non l’ha fatto. L’Assemblea si trarrà d’impaccio a modo suo: non avremo delle dotte relazioni elaborate dal Governo, avremo delle semplici informazioni, quali risultano ai Deputati. Ma potremo almeno dire: bisogna distinguere le responsabilità del Governo da quella dell’Assemblea. Preciseremo che la responsabilità della situazione presente non tocca all’Assemblea: lo preciseremo perché il Paese sappia cosa dovrà fare nelle prossime elezioni politiche. (Applausi).

BARBARESCHI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BARBARESCHI. Quando alla vigilia di Pasqua abbiamo chiesto la convocazione urgente della Camera pensavamo di dare la nostra collaborazione al Governo per quei provvedimenti che oggi si stanno prendendo. Ci fu risposto allora che la discussione sulla situazione economico-finanziaria avrebbe potuto essere fatta oggi; o al massimo domani. Ci spiace che per ragioni tecniche questo non sia possibile.

Aderiamo alla richiesta del Presidente del Consiglio con questa chiara intesa, del resto ammessa dallo stesso Presidente, che in sede di discussione per la ratifica del decreto per l’imposta patrimoniale si farà anche la discussione completa sulla situazione finanziaria ed economica del paese.

Aderiamo a questa proposta e ci permettiamo di rivolgere viva preghiera ai componenti la Commissione esaminatrice del decreto perché, sollecitando i suoi lavori, possa dare più presto di sabato la sua relazione all’Assemblea.

GRONCHI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRONCHI. Dopo le dichiarazioni dell’onorevole Barbareschi ho poco da aggiungere. Vorrei dire all’onorevole Labriola che la sua memoria è alquanto labile, se non ricorda che avrebbe avuto la più ampia occasione di discutere la politica economico-finanziaria del Governo – anziché spaziare nei vasti cieli della dottrina politica – in occasione della discussione generale sulle comunicazioni del Governo, avvenuta lo scorso gennaio.

Comunque, non mi pare che si possa giudicare come inopportuna la proposta dell’onorevole Presidente del Consiglio, di porre l’Assemblea di fronte ad una serie di provvedimenti, a cominciare da quello, in certo senso fondamentale, dell’imposta straordinaria sul patrimonio, quando ci separano pochi giorni dalla presentazione della relazione sui provvedimenti medesimi.

Perciò, noi siamo del parere, espresso anche a nome del Partito socialista italiano dall’onorevole Barbareschi, che la presentazione della relazione sull’imposta straordinaria sul patrimonio fornisca occasione abbastanza prossima e, comunque, opportuna per una discussione sulla politica finanziaria ed economica del presente momento.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Mi associo alle dichiarazioni degli onorevoli Gronchi e Barbareschi.

Noi riteniamo utile che una discussione su tutta la politica economica e finanziaria del Governo venga fatta in questa Assemblea, dopo la preventiva discussione avvenuta nelle quattro Commissioni riunite.

Però, noi riteniamo pure utile lasciare al Governo la possibilità di concretare in provvedimenti definiti il programma che si è proposto di attuare. Tanto più utile sarà la discussione quanto più si baserà su provvedimenti concreti; e tanto meglio se questi provvedimenti potranno essere accompagnati da dichiarazioni del Governo, non solo sugli elementi della situazione economica e finanziaria contingente, ma anche sulle prospettive che il Governo ha per il prossimo avvenire.

All’onorevole Labriola desidero far osservare che questa non è un’Assemblea legislativa normale, ma un’Assemblea Costituente, la quale entro il 24 giugno deve dare la nuova Costituzione al Paese. (Interruzioni Commenti). Se è vero che noi abbiamo il dovere del controllo sull’azione governativa, però è anche vero che abbiamo concordemente stabilito che in questo periodo di eccezione i rapporti fra l’Assemblea ed il Governo necessariamente sono regolati in modo diverso da quello normale e tradizionale d’un regime parlamentare.

Questo mi permetto ricordare agli onorevoli colleghi.

Per queste ragioni concordo con la dichiarazione del Presidente del Consiglio, quando dice di considerare un po’ anche l’economia del tempo e di ciò che dovremo fare.

Ritengo che il problema dell’imposta straordinaria sul patrimonio può dare occasione ad una discussione su tutta la politica finanziaria ed economica del Governo.

Poiché oggi è venerdì, e quand’anche decidessimo di iniziare subito la discussione, potremmo avere solo domani o lunedì la relazione del Ministro Campilli e poi quella del Ministro Morandi; quindi potremmo incominciare a discutere mercoledì o giovedì. Per la fine della settimana prossima la Commissione del Tesoro sarà in condizione di presentare la relazione sull’imposta straordinaria sulla quale si inizierà la discussione; quindi tutta la divergenza si riduce ad una questione di 4-5 giorni, una settimana.

Io non credo che un così breve ritardo nella discussione su tali problemi possa avere conseguenze negative: se così fosse direi di non perdere nemmeno un’ora di tempo, di discutere subito, di giorno e anche di notte. Comunque questo giudizio spetta al Governo, e se il Governo dice di ritenere opportuno che la discussione si inizi con la presentazione della relazione sull’imposta straordinaria, noi non abbiamo motivo di avere parere diverso od opposto a quello espresso dal Presidente del Consiglio.

D’ARAGONA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

D’ARAGONA. Comprendo che il rinviare la discussione di qualche giorno non dovrebbe pregiudicare la situazione: però mi pare che quando un problema di questo genere è stato posto, il Paese ha il diritto di esserne informato il più sollecitamente possibile.

Non credo che il fatto che noi siamo un’Assemblea Costituente e non un’Assemblea legislativa ci esoneri dall’obbligo di tener conto della situazione economica e finanziaria del nostro Paese, di esaminarla e di vedere se possiamo trovare soluzioni che possano finalmente mettere il nostro Paese su una strada di vera ricostruzione. Ecco perché ci auguriamo che il Governo senta il bisogno di sollecitare questa discussione. Il fatto che dovremmo chiudere i nostri lavori il 24 giugno non ha importanza agli effetti di questa discussione, perché se noi facciamo la discussione una settimana prima oppure dopo, indubbiamente del tempo ce ne vorrà, e questo dovrà essere inevitabilmente tolto ai lavori sulla Costituzione. Se sarà necessario noi dovremmo sentire il dovere di fare delle sedute anche notturne, perché dobbiamo fare la Costituzione; ma nello stesso tempo non possiamo trascurare i problemi più urgenti che il Paese deve risolvere.

Che la Commissione finanziaria debba esaminare il progetto sulla imposta patrimoniale è un fatto che non credo possa impedire all’Assemblea di discutere il problema generale sulla questione economica e finanziaria. L’imposta patrimoniale è uno degli aspetti che eventualmente potrà esser preso in esame nella discussione generale sulla economia del nostro Paese. Quindi insisto, a nome del mio gruppo, perché questa discussione sia portata dinanzi all’Assemblea il più sollecitamente possibile, perché soltanto così daremo al Paese la sensazione esatta che sentiamo i bisogni che il Paese ha e cerchiamo di risolverli nel miglior modo possibile.

NATOLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NATOLI. Il Gruppo repubblicano avrebbe desiderato che la discussione fosse avvenuta prima; ma, di fronte alle dichiarazioni del Governo, che si assume la responsabilità di portarla all’Assemblea, non si oppone. La situazione del Paese non è lieta, poiché vi è uno stato di agitazione anche provocato. Comunque, il Gruppo repubblicano è d’accordo che la questione sia portata in Assemblea.

CIANCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIANCA. Quando la questione venne la prima volta dinanzi alla riunione dei Presidenti dei Gruppi, noi sostenemmo che l’iniziativa e la responsabilità di questa discussione spettavano al Governo. Rimaniamo, dunque, coerenti alla posizione che assumemmo allora ed accettiamo la proposta che è stata formulata, a nome del Governo, dal Presidente del Consiglio. Ci dispensiamo dal ripetere ragioni note a tutti per cui affrontare i problemi finanziari è uno dei doveri essenziali dell’Assemblea; ma, tenendo conto che il rinvio è breve e preoccupati soprattutto della serietà, della concretezza e della efficacia del dibattito, aderiamo alla proposta del Presidente del Consiglio, augurandoci che nella prossima settimana possa essere iniziata la discussione sulla situazione finanziaria.

MARINARO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARINARO. Indipendentemente dall’avviso manifestato dal Presidente del Consiglio sulla opportunità di abbinare la discussione sulla situazione generale finanziaria con quella sullo stato di previsione dell’esercizio futuro, io penso che un’utile discussione sulla situazione finanziaria non si possa fare se prima la Commissione di finanza e tesoro non abbia ultimato i suoi lavori sui provvedimenti testé adottati dal Governo. Posso essere d’accordo con l’onorevole Corbino, che alcuni punti della situazione finanziaria possono essere esaminati indipendentemente dai provvedimenti adottati dal Governo recentemente; ma non c’è dubbio che specialmente il provvedimento riguardante l’imposta straordinaria sul patrimonio ha una influenza decisiva sulla situazione finanziaria, specialmente quando si tenga conto che il Ministro del tesoro alla stessa Commissione di finanza e tesoro fece dichiarazioni che riguardano un piano di risanamento generale della finanza dello Stato.

Ora, siccome la Commissione di finanza e tesoro è riconvocata per mercoledì prossimo, e in quell’occasione si esamineranno tutti i problemi relativi ai provvedimenti finanziari, e siccome prevedo che i lavori della Commissione potranno essere ultimati probabilmente per la fine della settimana ventura, io proporrei che la discussione sulla situazione finanziaria fosse stabilita a data fissa, cioè il 21 aprile prossimo.

LA MALFA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA. Come Presidente della Commissione finanze e tesoro, sento il dovere di dichiarare che la Commissione si è tenuta al di fuori di qualsiasi orientamento e indirizzo politico ed ha considerato i suoi lavori dal punto di vista strettamente tecnico.

Il progetto di imposta straordinaria ci è stato presentato mercoledì. Noi ne abbiamo fatto un primo esame mercoledì stesso; naturalmente, abbiamo potuto considerare il solo aspetto generale della questione.

Stabilendo come termine massimo per i nostri lavori sabato venturo, riteniamo di aver fatto uno sforzo, perché questi non sono problemi che la Commissione può considerare da un giorno all’altro. Adesso, ci investite di una responsabilità più delicata, nel senso che ci esortate a sollecitare i nostri lavori, onde permettere il dibattito in seno all’Assemblea. Noi faremo il possibile, ma non credo che possiamo anticipare la conclusione dei nostri lavori prima di sabato, in modo che l’Assemblea possa discutere lunedì la situazione finanziaria generale, in base al progetto di legge.

PRESIDENTE. Vi è dunque la proposta del Presidente del Consiglio, riecheggiata da taluni oratori, perché la discussione circa la situazione economica e finanziaria abbia luogo in occasione della presentazione, da parte della Commissione finanze e tesoro, della relazione sull’imposta straordinaria sul patrimonio. Questa proposta sottopongo all’approvazione dell’Assemblea.

CORBINO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Per le ragioni da me precedentemente espresse, dichiaro che noi votiamo contro.

PRESIDENTE. Metto ai voti la proposta. (È approvata).

CHIOSTERGI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CHIOSTERGI. Domando che, nel frattempo, la Presidenza distribuisca il resoconto delle discussioni avvenute in seno alle quattro Commissioni riunite, affinché vi sia la preparazione necessaria alle discussioni che dovremo fare in Assemblea.

PRESIDENTE. Per quanto le discussioni che avvengono in seno alle Commissioni normalmente non diano luogo ad una documentazione da distribuire ai membri dell’Assemblea, accedendo al desiderio espresso oggi dall’onorevole Chiostergi, e già manifestato in precedenza da altri colleghi, disporrò che siano stampati e distribuiti i verbali delle sedute delle Commissioni riunite. (Approvazioni).

Interrogazioni ed interpellanza con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Sono pervenute alla Presidenza le seguenti interrogazioni per le quali è stato chiesto lo svolgimento d’urgenza:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro delle finanze e tesoro, per sapere se non ritengano giunto il momento, a due anni di distanza dalla fine della guerra, di prendere finalmente a cuore le disgraziate condizioni dei sinistrati di guerra e di affrontare – con una legge di emergenza – il problema del risarcimento dei danni, liquidando totalmente i più modesti e accordando acconti sufficienti per i danni più rilevanti; se non credano giusto e morale stabilire che le leggi emanande in tema di risarcimento per la ricostruzione siano basate sui principî di solidarietà e di mutualità, per cui tutta la ricchezza nazionale debba concorrere alla rinascita del nostro Paese; se a tale scopo non siano anche da facilitare gli Istituti di credito fondiario ad istituire immediatamente speciali sezioni, autorizzate ad emettere cartelle per le opere di ricostruzione a favore di privati e di enti pubblici.

«Fogagnolo».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere quali difficoltà si frappongono al sollecito espletamento delle indagini in corso nei confronti dell’ufficio annonario comunale di Ancona per le gravissime irregolarità da esso commesse continuamente nelle assegnazioni dei generi tesserati, spesso arbitrarie o addirittura apparenti, e nella mancata tenuta dei libri contabili. Poiché queste ed altre concomitanti irregolarità ed arbitri sono stati documentatamente accertati da una diligente inchiesta del sindaco di Ancona, e poiché la giustificata indignazione della cittadinanza è accresciuta dal sospetto diffuso nell’opinione pubblica locale che la lentezza delle indagini dipenda, oltre che da difficoltà tecniche, anche da pressioni di natura politica da parte di coloro che hanno l’interesse di mettere tutto a tacere, l’interrogante chiede altresì di conoscere quali misure l’onorevole Ministro intenda adottare e quali istruzioni intenda emanare per dissipare i gravi sospetti della popolazione, per accertare rapidamente e compiutamente tutte le responsabilità e per assicurare la conseguente applicazione delle sanzioni previste dalle leggi.

«Badini Confalonieri».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare la Presidenza del Consiglio dei Ministri, per conoscere quale sia l’atteggiamento che il Governo intende assumere nei confronti delle ultime arbitrarie occupazioni di terre verificatesi nei giorni scorsi nelle provincie calabresi e determinatesi in seguito ad agitazioni fomentate da elementi estremisti, contrarie al rispetto e allo spirito della legge e lesive di ogni principio di proprietà privata.

«Capua».

 

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Governo, per sapere se abbia nulla da dire o da fare per il disservizio giudiziario rassegnatamente cronico e portato ora alla esasperazione dall’agitazione di giusta protesta dei magistrati e degli avvocati; e se, in attesa di esaminare innanzi alla Costituente i nuovi ordinamenti su questo argomento, non creda di dare una precisa assicurazione circa il trattamento proporzionato da fare ai magistrati e circa la pienezza dei mezzi atti a porre l’Amministrazione giudiziaria nella dignità ed efficienza proprie di uno Stato libero, consapevole del dovere di rendere a tutti giustizia.

«Bertini».

«II sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, perché voglia informare l’Assemblea del punto a cui si trova l’agitazione dei magistrati che rende ancora più grave e dannoso per la collettività, nelle più importanti città d’Italia, il disservizio giudiziario e di ciò che il Governo si propone di fare per risolvere tale grave questione, in modo da assicurare al Paese una giustizia sollecita illuminata e serena.

«Targetti».

Comunico inoltre che è pure pervenuta alla Presidenza la seguente interpellanza per la quale è stato chiesto lo svolgimento d’urgenza:

«Il sottoscritto chiede d’interpellare i Ministri del lavoro e previdenza sociale, dell’interno, della difesa, dell’agricoltura e foreste e dei lavori pubblici, per conoscere se e quali provvidenze abbiano escogitato a favore della popolazione di Campobasso, privata del suo territorio agricolo per la costituzione di un lago artificiale, che dà vita ad una grandiosa centrale elettrica.

«Rivera».

Chiedo al Governo quando intende rispondere.

GALATI, Sottosegretario di Stato per le poste e telecomunicazioni. Il Governo si riserva di comunicane se e per quali di queste interrogazioni ed interpellanza accetta l’urgenza.

GHIDETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GHIDETTI. Nella seduta del giorno 27 marzo, il Governo ha riconosciuto il carattere di urgenza ad un’interpellanza da me presentata, relativa alla situazione dei lavoratori italiani infortunati sul lavoro in Germania e vorrei pregare il Presidente di invitare il Governo a stabilire la data di discussione.

PRESIDENTE. Il problema difficile delle interpellanze – anche di quelle di carattere urgente – è fissarne la data di svolgimento nel quadro dei lavori dell’Assemblea. Non è il Governo, infatti, che la stabilisce: è l’Assemblea che deve dedicare qualche seduta alle interpellanze. Mi sembra, però, che col programma di lavori poco fa stabilito non ci siano molte prospettive di avere una seduta a questo scopo. Se l’Assemblea ritiene che si debba interrompere la discussione sul progetto di Costituzione o sul problema economico-finanziario, per dar luogo a quella delle interpellanze, la Presidenza accederà alla richiesta; ma allo stato di fatto, temo che tale possibilità non sia molto vicina. II Governo risponderà invece alle interrogazioni.

SULLO FIORENTINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SULLO FIORENTINO. Poiché da ventun giorni il Ministro dell’agricoltura e delle foreste ha riconosciuto l’urgenza di una mia interrogazione, pregherei il Presidente di sollecitarne lo svolgimento.

PRESIDENTE. Vorrei far presente agli onorevoli colleghi che sarebbe forse anche opportuno ricorrere alle interrogazioni con risposta scritta. Proprio nella giornata di ieri mi sono rivolto, in maniera questa volta ufficiale, ai singoli Ministri per ricordar loro la norma del Regolamento che fissa un limite, entro il quale deve esser data risposta scritta alle interrogazioni.

GEUNA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GEUNA. Avevo presentato un’interrogazione concernente i pensionati, che questa mattina era la prima nell’ordine del giorno; ma, per un disguido ferroviario, non sono stato presente. Vorrei chiedere che sia inserita nell’ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Sarà tenuto conto della sua richiesta.

FOGAGNOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FOGAGNOLO. Desidero far presente che l’onorevole Sottosegretario alla guerra mi ha dichiarato che non ha difficoltà a riconoscere l’urgenza per l’interrogazione, testé letta, sui sinistrati di guerra da me presentata.

PRESIDENTE. Il Governo sarà interpellato al riguardo.

Interrogazioni ed interpellanze.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni e delle interpellanze pervenute alla Presidenza.

CHIEFFI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, ed i Ministri dei lavori pubblici e dell’agricoltura e foreste, per sapere:

1°) se è a conoscenza del Governo lo stato di grave disagio nel quale si dibatte l’agricoltura e quindi tutta l’economia dei comuni situati nella piana di Oristano in seguito ai danni provocati dalle continue alluvioni dovute all’illegale funzionamento delle opere di scarico del lago Omodeo che, creato come opera di trattenuta delle piene del fiume Tirso, è invece diventato causa principale degli allagamenti delle campagne sottostanti ed impedimento alla esecuzione delle opere di bonifica e di trasformazione fondiaria nei terreni più fertili della Sardegna;

2°) le ragioni per le quali il Governo non ha finora raccolto le proteste delle popolazioni colpite, proteste che tendono a fare cessare l’attuale stato di asservimento di tutta l’economia di una vasta e fertile regione agli interessi della società concessionaria del bacino, asservimento che dura dal 1924, malgrado le vive proteste delle popolazioni danneggiate;

3°) le ragioni per le quali il Governo non ha finora ritenuto opportuno applicare l’articolo 30 dei disciplinari di concessione 17 marzo 1914 (legge 11 luglio 1913, n. 985) dichiarando la decadenza della concessione stessa dato che l’esercizio del serbatoio è così difettoso ed irregolare da richiedere provvedimenti nel pubblico interesse.

«Laconi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se non ritenga che quelle medesime considerazioni che hanno giustamente indotto il Governo a provvedere perché sia garantita una certa qual dignità di vita e serenità di spirito ai magistrati, valgano anche per i professori universitari, il cui attuale stato di disagio economico si ripercuote dolorosamente sulle sorti stesse della ricerca scientifica e della cultura nazionale.

«Colonnetti».

 

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere se creda che la Direzione generale delle ferrovie dello Stato abbia provveduto secondo legge e giustizia, escludendo dalle promozioni per gli anni 1944 e 1945 tutti gli impiegati sottoposti a giudizio di epurazione, per i quali il Consiglio di Stato dichiarò non esser luogo a irrogazione di sanzioni disciplinari, e se non pensi che l’illegittima esclusione violi le disposizioni del decreto legislativo 9 novembre 1945, n. 702.

«Abozzi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per conoscere se non intenda prorogare i termini utili per la presentazione delle domande di risarcimento di danni subìti per rappresaglia, ai 180 giorni concessi quale termine delle domande relative ai danni derivanti da esplosioni e ordigni di guerra, a decorrere dall’entrata in vigore del decreto legislativo 6 settembre 1946, n. 226, che statuì l’equiparazione delle formazioni partigiane alle Forze armate, ai fini del risarcimento dei danni di guerra.

«Selvaggi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri del lavoro e previdenza sociale e dell’industria e commercio, sulle misure che intendono adottare allo scopo di evitare l’estendersi del sistema di lotta sindacale attuato in alcuni importanti stabilimenti dell’Italia settentrionale e centrale, sistema diretto a «rallentamenti» della produzione, che incidono in modo grave sulla già ridotta produzione industriale ed impediscono ogni efficace azione di compressione dei prezzi, in aperta contraddizione con la politica annunziata dal Governo.

«Marinaro».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e foreste, per conoscere se e come intenda accogliere i ripetuti voti dei Sindacati forestali di tutta Italia, i quali reclamano:

1°) che vengano restituiti alla Direzione dei servizi forestali: organicità, attività, spirito di iniziativa, nominando il capo del Corpo delle foreste ed eliminando le due attuali discordi direzioni;

2°) che vengano adottati i numerosi provvedimenti reclamati dai forestali per le promozioni, le reintegrazioni nel grado, l’esaurimento delle pratiche di epurazione, il decoroso armamento e la vestizione del personale, il trattamento di assistenza, il prelevamento dei viveri, la corresponsione delle competenze arretrate ed insomma per tutto quanto valga a dimostrare ai dipendenti l’equo interessamento della Direzione alle loro più elementari esigenze;

3°) che sia comunque creata e ricostituita quella armonia e corrispondenza di scopi e di azioni fra Direzione e personale, senza le quali è vano sperare in un soddisfacente andamento delle importanti, delicate attribuzioni affidate al Corpo delle foreste.

«Santi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere l’esatta versione dei fatti ai quali diede luogo l’agitazione popolare del 10 aprile culminata con l’invasione della Prefettura di Torino, specie in riferimento alla causale che provocò l’agitazione stessa e ai provvedimenti adottati al riguardo.

«Badini Confalonieri».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere quando intenda disporre che siano sostituite le intitolazioni a non insigni nomi della decaduta dinastia nelle scuole italiane, nelle quali dovranno educarsi le nuove generazioni repubblicane.

«Camangi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e foreste e l’Alto Commissario per l’alimentazione, per sapere se non intendano subito emanare disposizioni affinché agli olivicoltori e ai frantoiani dei comuni delle provincie che hanno per intero soddisfatto il contingente comunale di olio da conferire agli oleari del popolo, venga concessa l’autorizzazione a commerciare l’olio loro rimasto sia nell’ambito della provincia che in altre, limitatamente per ora a quantitativi pari a quelli conferiti agli ammassi, subordinando il trasferimento del prodotto alla emissione di una regolare bolletta di accompagnamento, da rilasciarsi dalla Sepral o dalla Upsea. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Pera».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere quale fondamento abbiano le voci di cui si è fatta eco recentemente la stampa di Ferrara, circa trattative in corso per l’assorbimento del plurisecolare Ateneo estense da parte della Università cattolica di Milano. E per conoscere, inoltre, se a tale Ateneo sarà conservata la stessa autonomia e indipendenza, di cui godono tutte le altre Università di Stato, e se gli sarà garantito il funzionamento con mezzi adeguati, così come avviene per gli altri Atenei. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bosi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere – premesso che a parità di grado e di categoria di mutilazione, o inabilità a causa di servizio non di guerra, corrispondono pensioni, che per i dipendenti vincolati da rapporto di impiego assommano alla misura annua, per esempio, di lire 16.480, mentre per coloro che contrassero lo stesso grado di invalidità o mutilazione, a causa di servizio di guerra, corrispondono assegni pari a lire 242.647 – se non ritenga equo ed opportuno un provvedimento legislativo, atto ad equiparare le mutilazioni e le invalidità derivate da servizio in guerra con quelle di categoria identica contratte in servizio non di guerra, estendendo agli ultimi l’indennità di super invalidità, di cura ed assistenza. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Mastrojanni».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere se non creda opportuno esaminare la situazione degli agenti di pubblica sicurezza richiamati in servizio in forza del decreto-legge 1° settembre 1940 e di quelli richiamati in servizio in seguito a propria domanda, al fine di stabilire:

  1. a) il regime della indennità di pensione per questi richiamati;
  2. b) il loro diritto ad avere effetti di vestiario;
  3. c) la possibilità di chiedere trasferimenti, con diritto a rimborso, spese trasporto masserizie;
  4. d) la tessera definitiva per tutti; e, in generale, un trattamento pari a quello che viene concesso ai richiamati dei carabinieri, ai quali vengono riconosciuti diritti pari a quelli dei carabinieri in servizio permanente. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Grieco».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per sapere se non creda opportuno bandire un concorso per sottotenente in servizio permanente effettivo nell’arma dei carabinieri cui possano partecipare gli ufficiali che hanno superato il 28° anno di età, già dichiarati idonei al concorso dell’aprile 1943 per sottotenente di complemento dei carabinieri, che si rifiutarono di partecipare ai corsi indetti a Firenze, partecipando invece alla lotta partigiana. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Basile».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro dei lavori pubblici, per sapere se non ritengano doveroso ed utile:

1°) provvedere al passaggio in ruolo dei dipendenti del Ministero dei lavori pubblici, che per provata capacità e lodevole servizio compiuto come avventizi per oltre dieci anni risultino meritevoli di tale trattamento, destinato anche a rendere più tranquillo e più proficuo il loro lavoro;

2°) ammettere un regolare contratto di impiego per il rimanente personale avventizio con meno di dieci anni di servizio. Ciò si chiede in deroga alle disposizioni generali in vista della enorme mole di lavori pubblici per la ricostruzione e le riparazioni e dei conseguenti compiti delicati riservati agli Uffici del Genio civile. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Guariento».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del commercio con l’estero, per conoscere:

1°) per quali motivi il contingente di importazione di gomma grezza, chiusosi ad iniziativa della Direzione delle importazioni il 31 gennaio 1947, è stato portato da diecimila tonnellate, come convenuto con il Ministero dell’industria, a diecimilaseicento tonnellate, ed in favore di quali ditte;

2°) se, in relazione al fatto che molte licenze risultano concesse a ditte non qualificate, l’onorevole Ministro non creda voler rendere pubblico l’elenco nominativo delle ditte preferite, ed i criteri che hanno guidato la Direzione delle importazioni in tale circostanza;

3°) se sia vero che la percentuale assegnata a ditte meridionali, del contingente in questione, sia minima e lesiva dello sviluppo commerciale e degli interessi del Mezzogiorno;

4°) se, per la chiarezza e salvaguardia della pubblica amministrazione, in un Dicastero di delicata struttura come è quello del commercio con l’estero, l’onorevole Ministro non ritenga opportuno dare pubblicazione periodica e regolare dell’elenco nominativo delle ditte, cui vengono concesse licenze di importazione, esportazione, e compensazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Cicerone».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per conoscere se sia vero che si vuol trasferire il deposito del 47° reggimento fanteria da Lecce, ove da moltissimi anni è di stanza, dando lavoro ad un ingentissimo numero di persone, a Bari, ove già hanno sede oltre una ventina di enti militari. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Cicerone».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per conoscere i motivi per i quali si indugia nel riconoscere a tutti gli effetti il «Gruppo patrioti della Maiella», eroica formazione volontaria di combattenti della guerra di liberazione che, operando dapprima come banda partigiana e, poi, come unità militare alle dipendenze della 209a divisione italiana (P.M. 185) sino al 10 ottobre 1944 e della 228a divisione. I.F.A.HQ (P.M. 16) successivamente, s’è coperta di gloria dal fiume Sangro (5 dicembre 1943) ad Asiago (1° maggio 1945) e si impone, oggi, alla riconoscenza ed all’ammirazione degli italiani con questo suo stato di servizio che è luminoso esempio del patriottismo indomito dei montanari d’Abruzzo, purissimi eredi delle tradizioni garibaldine: caduti in combattimento 54; mutilati, invalidi e feriti 200; decorati al valore 206. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Paolucci».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere i motivi per i quali – pur dopo innumerevoli richieste, sollecitazioni e proteste, anche dell’interrogante – le popolazioni dei 23 comuni della Maiella sinistrati dalla guerra vengono lasciate da mesi senza soccorso alcuno e costrette ad una esasperazione senza limiti, che da un momento all’altro può provocare gravi incidenti: la Sezione distaccata dell’assistenza post-bellica di Torricella Peligna, preposta alla loro assistenza, fin dal mese di febbraio doveva ricevere circa 12 milioni per provvedere al rimborso dei ruoli, alla erogazione di sussidi, alle spese di assistenza sanitaria, ecc., e finora non ha ricevuto nulla! Si invita ancora una volta il Ministero a provvedere d’urgenza all’invio di tali fondi direttamente alla predetta Sezione per evitare che vengano stornati, per altre esigenze, dalla Prefettura di Chieti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Paolucci».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dei lavori pubblici, della marina mercantile e delle finanze e tesoro, per sapere se non ritengano che sia giunto il momento di riesaminare la questione degli Enti autonomi portuali, allo scopo di giudicare e decidere se non sia il caso di ripristinare – nell’interesse economico e politico della Nazione, ai fini della sollecita ricostruzione dei porti danneggiati dalla guerra, nonché dell’inizio del decentramento delle funzioni statali – gli Enti predetti che furono soppressi in blocco, nel 1923, dal governo fascista. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Paolucci».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per sapere se non ritenga opportuno, oltreché giusto, per alleviare in minima parte i sacrifici e gli stenti della martoriata classe dei funzionari statali, promuovere l’emanazione di un decreto legislativo che estenda fino al limite di 25 anni di età per ogni figlio a carico, la corresponsione ai predetti funzionari dell’aggiunta di famiglia che, in base alle vigenti, vecchie disposizioni, cessa al compimento del 21° anno di età, quando, cioè, maggiori e più gravi diventano gli oneri del capo famiglia per il proseguimento degli studi e per la sistemazione dei figli. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Paolucci».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere se non ritenga opportuno, oltreché giusto, promuovere l’emanazione di un decreto legislativo il quale – riparando alle dannose conseguenze del Regio decreto 1° giugno 1933, n. 641, che per l’ammissione agli impieghi presso gli enti locali e parastatali richiedeva tassativamente l’iscrizione al partito fascista – sopprima il limite massimo di età per quegli aspiranti a tali impieghi che, non potendo oggi partecipare ai relativi pubblici concorsi per aver superato il limite predetto, siano in grado di dimostrare che per deliberato proposito mai hanno chiesto la tessera fascista. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Paolucci».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere se non ravvisi l’urgente necessità di trarre dal loro completo isolamento i numerosi comuni delle vallate del Sangro e dell’Aventino (molti dei quali sono stati gravemente danneggiati dalla guerra), disponendo che, in attesa della ricostruzione della linea ferroviaria Sangritana che da Crocetta si svolgeva fino a Castel di Sangro, sia istituito al più presto un servizio automobilistico per passeggeri e per merci, che giornalmente, con varie corse di andata e ritorno, compia, press’a poco, lo stesso percorso per ridare la vita a quei comuni ristabilendone i collegamenti ed i traffici. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Paolucci».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dei lavori pubblici e delle finanze e tesoro, per sapere se non ravvisino la necessità di aggiornare, in materia di valori e di prezzi, le varie provvidenze legislative emanate a suo tempo per la ricostruzione dei paesi della Marsica distrutti o danneggiati dal terremoto del 13 gennaio 1915. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Paolucci».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’industria e del commercio, per conoscere se non ravvisi la necessità, vivamente sentita nel Mezzogiorno d’Italia, di promuovere l’emanazione di un decreto legislativo, il quale – considerato che la legge 5 dicembre 1941, n. 1572, sul decentramento degli stabilimenti industriali, in connessione ai nuovi impianti idroelettrici dell’Italia centrale, meridionale ed insulare, fu promulgata in un tempo (Gazzetta Ufficiale del 4 febbraio 1942, n. 28) in cui, per le vicende belliche, nessuno poteva trarne vantaggio, e ritenuto che essa non poté ricevere applicazione nel limite di tempo all’uopo stabilito (fino al 31 dicembre 1946) a causa delle difficoltà, tuttora fortissime, per le attrezzature e le materie prime – rimetta in vigore, con le innovazioni di forma richieste dall’attuale regime repubblicano, la legge suindicata e ne proroghi l’efficacia almeno pel decennio 1947-56. Dalla realizzazione di tale voto – espressamente formulato dalla Camera di commercio e industria di Teramo con apposita deliberazione – deriverebbe sicuro beneficio alle provincie dell’Italia centro-meridionale ed alle isole e più particolarmente all’Abruzzo, povero di industrie, specie in relazione al grande impianto idroelettrico del Vomano in corso di costruzione, con contributo notevole alla ricostruzione della vita economica nazionale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Paolucci».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per conoscere se non ritenga assolutamente necessario ed urgente annullare ogni effetto del decreto del 1923 con cui vennero lesi i diritti e le aspettative di migliaia di operai statali a matricola arbitrariamente retrocessi in una posizione di instabilità e di precarietà economica. Alla soglia o già in piena vecchiaia questi operai oggi debbono poter fruire della pensione cui avrebbero avuto diritto se non fosse intervenuto il deprecato decreto. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Andreotti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere se non ritenga indispensabile ed urgente:

  1. a) disporre che si proceda alla ricostruzione dell’edifizio della importante stazione ferroviaria di Francavilla a Mare, una delle pochissime, di quelle distrutte sul litorale adriatico, che non siano state ancora riedificate;
  2. b) ordinare che fin d’ora servizi automobilistici sussidiari delle ferrovie dello Stato compiano più volte al giorno, per viaggiatori e per merci, il percorso Francavilla-Chieti;
  3. c) disporre che vengano migliorate le comunicazioni automobilistiche tra il capoluogo di Chieti ed i vari centri della provincia mercé l’uso di maggior numero di veicoli ed ordinandosi alle società concessionarie delle varie linee di distinguere con apposite vetture, in determinati punti di più intenso traffico come Lanciano, San Vito, Ortona e Francavilla, il servizio per Chieti da quello per Pescara, al fine di evitare che viaggiatori da e per Chieti o centri di detta provincia siano costretti a compiere inutilmente un maggior percorso, con notevole aggravio di spese, transitando per Pescara. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Paolucci».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per conoscere quale fondatezza abbia la progettata istituzione nella piana di Gela di un aeroporto civile, il cui approntamento importerebbe una spesa di circa 750 milioni di lire, mentre esiste nel territorio di Comiso un aeroporto militare in ottime condizioni, fornito di acqua, luce, alloggi, rimesse e materiale vario recuperabile ed utilizzabile, che potrebbe essere con minima spesa trasformato in aeroporto civile. E ciò a prescindere dalla considerazione che la piana di Gela è zona malarica ed acquitrinosa, che l’area, in cui dovrebbe o potrebbe sorgere il progettato campo di Gela, riveste carattere di maggiore ubertosità rispetto a quello dove attualmente sorge l’aeroporto di Comiso, tanto più che tale fertilità sarà maggiormente potenziata dalle costruende dighe del Disueri, mentre l’aeroporto di Comiso non potrebbe, in ogni caso, altro che con enormi dispendiosissime opere, riportarsi allo statu quo ante per uno sfruttamento agricolo. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Cannizzo».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dei trasporti e dell’agricoltura e foreste, per conoscere se non ravvisino la necessità improrogabile di adottare provvedimenti di urgenza, atti a rimuovere le difficoltà che si frappongono alla concessione di carri ferroviari, per trasportare dalle zone di produzione a quelle di consumo rilevanti quantitativi di paglia e di foraggio, destinati agli allevamenti stabulanti e semi-stabulanti dell’Italia settentrionale. Ogni ulteriore ritardo si rifletterà sugli allevamenti, sulla ricostruzione del patrimonio zootecnico e sulla produzione letamica. Le merci sopraindicate sono in sofferenza da molti mesi, pur essendo state acquistate per il consumo dalle zone degli allevamenti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Scotti Alessandro».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per conoscere:

1°) quali provvedimenti intenda prendere nei riguardi dell’esattore delle imposte di Roma, che dal 1944 – in dispregio delle chiare disposizioni di legge – notifica le cartelle di pagamento delle imposte senza indicare le aliquote per ogni cento lire di rendita, o di reddito imponibile, colle quali si determinano le somme dovute allo Stato, alla provincia, al comune, ponendo così il contribuente nella condizione di non poter rilevare gli eventuali errori materiali, per i quali è ammesso ricorso entro tre mesi dalla pubblicazione del ruolo;

2°) se intenda disporre che – venuti a mancare ai contribuenti gli elementi necessari per rilevare gli errori materiali – i ricorsi prodotti per questa ragione siano considerati in termini – ove non lo fossero – per i casi in cui l’ignoranza delle aliquote non avesse loro consentito di conoscerne la sussistenza. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Santi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se non ritenga opportuno, accogliendo i voti più volte espressi dal Sindacato magistrale e dall’Associazione nazionale reduci, di immettere nei ruoli, previo concorso per soli titoli, gli insegnanti elementari reduci, i quali non abbiano potuto partecipare per ragioni di servizio militare a regolari concorsi nazionali banditi durante la guerra. Tale beneficio potrebbe essere eventualmente limitato solo a coloro che abbiano riportato la qualifica di «buono» nel servizio prestato da incaricati. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Martino Gaetano».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere con urgenza se, accogliendo i voti dell’Unione nazionale ferrovieri e in attesa che sia approvato il nuovo regolamento del personale ferroviario che dovrà dare ai ferrovieri che prestano servizio negli uffici un trattamento giuridico ed economico pari a quello degli altri impiegati dello Stato, non ritenga giusto e doveroso sospendere immediatamente i provvedimenti di collocamento a riposo del personale degli uffici per limite d’età inferiore a quello applicato dalle altre Amministrazioni dello Stato. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Cifaldi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere quali ostacoli si frappongono alla sollecita sistemazione, più volte richiesta dall’Unione nazionale ferrovieri, del personale contrattista dipendente dall’Amministrazione ferroviaria e specialmente di coloro che abbiano le qualifiche di combattente, di reduce e di partigiano. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Cifaldi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per sapere se gli sembri giusto che – come avverte una sua recente circolare telegrafica ai prefetti – agli impiegati degli Enti locali e parastatali che prestano servizio nei centri sinistrati dalla guerra venga negata l’indennità di disagiata residenza a causa delle difficoltà di bilancio di quegli stessi Enti; e se non ritenga opportuno – per riparare a così grave ingiustizia ed alla sperequazione, che ne deriva, tra le predette categorie di impiegati e quella dei dipendenti statali – promuovere l’emanazione di un decreto legislativo che, a modifica delle disposizioni richiamate nella circolare succitata, ponga l’onere della indennità in oggetto a carico dello Stato od autorizzi la integrazione, da parte dello Stato, di quei bilanci, per far fronte al pagamento della indennità medesima, in considerazione del fatto che nella generalità dei casi non possono essere attivi i bilanci di Enti dei centri sinistrati dalla guerra e tali ufficialmente classificati. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Paolucci».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere se non crede opportuno di impartire energiche disposizioni agli agenti di polizia affinché sia evitato lo sconcio di sistemi adottati da strilloni, incaricati della vendita di certi giornali, che si permettono di gridare notizie non contenute nei giornali stessi o deformate tendenziosamente. A Roma, in questi ultimi giorni, senza il minimo intervento degli agenti di polizia, gli strilloni hanno annunziato fra l’altro, «la svalutazione della moneta» e la «fuga di Parri». Il malcostume contribuisce a diffondere allarmismo nel Paese e uno scandalismo diffamatorio irresponsabile. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Natoli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere se non ritenga urgente promuovere la emanazione delle nuove norme per le proroghe dei contratti agrari, tenendo conto della particolare situazione di determinate regioni come la Riviera Ligure, ove la maggior parte delle affittanze dei terreni adibiti a colture floricole scadono il 30 giugno prossimo venturo.

«L’attuale periodo di incertezza nuoce alla produzione delle prossime annate in coltura che alimenta una forte corrente di esportazione, particolarmente interessante per la nostra bilancia commerciale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Pera».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per conoscere :

1°) i motivi che provocano il ritardo della concessione dell’aumento del 120 per cento di indennità carovita agli impiegati statali e parastatali dei paesi della Penisola Sorrentina e dei comuni di Bacoli, Monte di Procida, Nola, centri nei quali il costo della vita è superiore a quello del capoluogo e che sono collegati ad esso, oltre che per continuità quasi assoluta di abitato, anche da rapidi mezzi di trasporto;

2°) i motivi per cui non viene pagata la indennità di presenza agli insegnanti della provincia di Napoli da moltissimi mesi;

3°) i motivi per cui agli impiegati statali con sede di servizio in Napoli, ma domiciliati in provincia per l’assoluta mancanza di abitazioni, non viene pagata l’indennità di città sinistrata, mentre è evidente che detti funzionari devono subire aggravi fisici ed economici non indifferenti.

«La necessità di venire incontro ai bisogni degli impiegati statali e parastatali della provincia di Napoli deve essere onestamente ed accuratamente vagliata dal Ministro del tesoro. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Mazza».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri della pubblica istruzione e dei lavori pubblici, per conoscere se sono a conoscenza che i locali delle scuole elementari in taluni paesi della Calabria, come Bianconuovo, Mammola, Brancaleone, per non dire di molti altri, sono dei veri tuguri e perfino delle stalle, i cui miasmi rendono irrespirabile l’aria agli alunni e agli insegnanti con grave nocumento della salute di questi, costretti talvolta a sospendere la scuola.

«Se, in considerazione di questa grave situazione, non si ritiene necessario dichiarare urgenti i lavori per la costruzione degli edifici scolastici e provvedere al finanziamento dei molti progetti approvati, esistenti presso il Genio civile, in attesa di essere eseguiti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Musolino».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro dell’agricoltura e foreste, per sapere se non ritengano, nell’interesse dei fittavoli o coloni dei fondi olivetati, emettere un decreto che confermi, sani e ratifichi il decreto ministeriale 19 ottobre 1945 (Gazzetta Ufficiale del 26 ottobre 1945, n. 127), dai tribunali dichiarato incostituzionale, per analogia, in seguito a sentenza della Cassazione 25 maggio 1946, che dichiarò illegittimo il decreto Gullo del 26 luglio 1944, emesso per il grano, allo scopo di difendere i suddetti coltivatori diretti dalla richiesta poco onesta di proprietari dei fondi olivetati, i quali, avvalendosi dell’adesione della Magistratura, pretendono ed ottengono in via giudiziaria la restituzione del premio percepito per la coltura degli oliveti per l’annata agraria 1945-46.

«L’interrogante fa presente che il Presidente del Consiglio dei Ministri, per riparare all’ingiustizia derivata dalla sentenza della Cassazione succitata, beneficiante i ricchi proprietari e dannosa ai lavoratori della terra, emise un decreto-legge, in data 22 giugno 1946, n. 44, con effetto retroattivo, per il pagamento del premio ai coltivatori del grano, e la questione fu definitivamente risolta.

«Altrettanto chiedesi oggi per i coltivatori dell’olio per l’annata 1945-46.

«Fa presente ancora l’interrogante che il Comitato interministeriale dei prezzi, in data 18 ottobre 1946, adottò il provvedimento che, «anche per l’olio, nel determinare il prezzo, debbasi, come già per i cereali, assegnare una terza parte a chi provvede alla coltura dei fondi, cioè al fittavolo». (Vedere il Tempo e il Globo del 19 ottobre 1946). (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Musolino».

«Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro della difesa, perché consideri se non sia il caso di apportare al decreto legislativo luogotenenziale 23 novembre 1944, n. 401, opportune modifiche, perché esso comprenda anche i sottufficiali dei carabinieri, che, per essere arrivati all’apice della carriera, non possono, pur trovandosi nelle condizioni previste dall’articolo 2, conseguire la promozione straordinaria per «benemerenze d’istituto». Non è giusto che un brigadiere possa essere promosso maresciallo ed un maresciallo maggiore debba conservare il suo grado. Ben si potrebbe, invece, andare incontro anche ai marescialli, promovendoli, ove concorrano altre condizioni, sottotenenti.

«Colitto».

«I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei Ministri ed il Ministro delle finanze e tesoro, per conoscere le ragioni per le quali viene ancora ritardato il pagamento delle lettere di credito rilasciate dagli alleati ai nostri soldati che hanno lavorato in prigionia alle loro dipendenze.

«Il ritardo è tanto più inescusabile, in quanto risulta che in molti casi i Comandi alleati hanno già provveduto al ritiro delle lettere di credito contro versamento delle intere somme dovute.

«E mentre dagli Alleati fu praticato il cambio di lire 225 per dollaro, i distretti militari italiani praticarono, nei pochi casi in cui effettuarono i pagamenti, il cambio di lire 100 e, come se non bastasse tale patente ingiustizia, venne persino richiesto il rimborso della differenza, in quanto per successivo pentimento non avrebbero voluto praticare nemmeno il cambio a lire 100, ma a lire 18.

«Tale incresciosa situazione genera notevole disagio ai reduci che, in gran parte disoccupati, si vedono privati di somme che potrebbero utilizzare per iniziare nuove produttive attività.

«Coccia, Carignani».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi. ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

Così pure le interpellanze saranno iscritte nell’ordine del giorno, qualora i Ministri interessati non vi si oppongano, nel termine regolamentare.

La seduta termina alle 13.15.

GIOVEDÌ 10 APRILE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

LXXXII.

SEDUTA DI GIOVEDÌ 10 APRILE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedi:

Presidente                                                                                                        

Comunicazione del Presidente:

Presidente                                                                                                        

Sulla comunicazione alla Camera dei Comuni del Canadà del messaggio del Presidente dell’Assemblea:

Presidente                                                                                                        

Dichiarazione del deputato Russo Perez circa un’accusa mossagli:

Russo Perez                                                                                                      

Presentazione di una relazione:

Vernocchi                                                                                                        

Presidente                                                                                                        

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente                                                                                                        

Basso, Relatore                                                                                                  

Tupini, Presidente della prima Sottocommissione                                                 

                                                                                                                          

Nobili Tito Oro                                                                                                

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione                                      

Patricolo                                                                                                         

Bulloni                                                                                                            

Costantini                                                                                                        

Bettiol                                                                                                             

Gabrieli                                                                                                            

Caroleo                                                                                                           

Murgia                                                                                                             

Lucifero                                                                                                           

Crispo                                                                                                               

Preziosi                                                                                                            

Grilli                                                                                                                

Veroni                                                                                                              

Cifaldi                                                                                                              

Tonello                                                                                                            

Russo Perez                                                                                                      

Baldini Confaloneri                                                                                       

Laconi                                                                                                              

Rossi Paolo                                                                                                      

Maffi                                                                                                                

Codacci Pisanelli                                                                                            

Sui lavori dell’Assemblea:

Barbareschi                                                                                                     

D’Aragona                                                                                                       

Corbino                                                                                                            

Tupini                                                                                                                

Galati, Sottosegretario di Stato per le poste e telecomunicazioni                          

La seduta comincia alle 16.

SCHIRATTI, Segretario, legge il processo verbale della seduta pomeridiana del 28 marzo.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati: Parri, Fuschini, Pallastrelli, Penna Ottavia, Simonini e Mastino Pietro.

(Sono concessi).

Comunicazione del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che ho chiamato a far parte della Commissione per la Costituzione l’onorevole Bettiol, in sostituzione dell’onorevole Froggio.

Sulla comunicazione alla Camera dei Comuni del Canadà del messaggio del Presidente dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Il Presidente della Camera dei Comuni del Canadà, signor Gaspard Fauteux, ha informato il Rappresentante diplomatico italiano ad Ottawa di aver dato conoscenza ai capi dei partiti politici, rappresentati in quel Parlamento, del messaggio inviato a nome dell’Assemblea Costituente italiana.

Nella sua comunicazione, ispirata a viva cordialità verso l’Italia, il signor Fauteux dice fra l’altro:

«Credo di rispecchiare i sentimenti che animano i membri della Camera dei Comuni, assicurandovi della profonda simpatia e dell’ammirazione del Canadà verso i vostri compatrioti, perché non ignoriamo le sofferenze morali e fisiche del popolo italiano, nonché lo sforzo supremo dell’Italia per migliorare la sorte della sua popolazione e riprendere il posto che dovrebbe occupare nel mondo internazionale».

La risposta della Camera dei Comuni canadese conferma che la voce dell’Assemblea Costituente va trovando sempre maggiormente eco nei più alti consessi del mondo; fatto di cui abbiamo ragione di compiacerci non solo per il prestigio dell’Assemblea, ma anche e specialmente per il bene del Paese. (Vivissimi, generali applausi).

Auguri dell’Assemblea al Capo dello Stato.

PRESIDENTE. Dopo la sospensione dei lavori, ho inviato al Capo dello Stato, onorevole Enrico De Nicola, il seguente telegramma:

«Sicuro di esprimere il sentimento unanime dell’Assemblea Costituente, i cui rappresentanti d’ogni Gruppo già vollero, recentemente, farsi interpreti diretti, presso di Lei, del rispetto, della fiducia e della simpatia di tutte le correnti politiche, Le invio, in occasione delle festività pasquali, annunciatrici del sereno e pacifico risveglio delle feconde forze del creato, auguri di felicità personale, intimamente connessa con le sorti della rinascita della Nazione».

Il Capo dello Stato ha risposto nei termini seguenti:

«La ringrazio vivamente del cortese telegramma augurale che in occasione della Pasqua ha voluto inviarmi e formulo i voti più fervidi per la prosecuzione degli storici lavori dell’Assemblea Costituente, da Lei autorevolmente presieduta». (Vivissimi, generali applausi).

Dichiarazione del deputato Russo Perez circa un’accusa mossagli.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Russo Perez. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Se fossero in giuoco solo il mio interesse e la mia dignità, non prenderei la parola per smentire certe voci calunniose messe in giro a mio danno da avversari poco scrupolosi, dato che il Governo, per bocca dell’onorevole Carpano, ha già dichiarato che le accuse sono senza fondamento. Ma parmi che sia in giuoco anche la dignità dell’Assemblea, perché da tempo assistiamo con dolore al dilagare di un malcostume, per cui uomini facenti parte di questo Consesso, non solo non si attengono alle regole di cortesia che una volta (e vi sono autorevoli colleghi che ricordano, incarnano e rimpiangono quel tempo) erano vanto del Parlamento italiano, ma spesso trascendono a ingiurie e arrivano alla diffamazione non documentata né documentabile, e anche alla calunnia ed alla istigazione al delitto, come è avvenuto a mio danno.

Quando si pone in questa Assemblea il dilemma «o un cospiratore o un calunniatore», e sia stato dimostrato che non vi è un cospiratore, occorre che vi sia una sanzione contro il calunniatore, ove si voglia veramente riparare l’offesa e il danno e, nello stesso tempo, tutelare la dignità di questa Assemblea, che dovrebbe accogliere il fior fiore del popolo italiano, non soltanto per intelligenza e cultura, ma anche per onestà e buone maniere.

Quello che stava contro di me nelle interrogazioni che mi riguardavano era la difficoltà, per una persona normale, di ammettere che un giornalista, un uomo politico possa, pur di far male al proprio avversario, attribuirgli dei fatti assolutamente inesistenti.

Eppure il caso non è nuovo.

Durante la scorsa campagna elettorale, a Castronovo di Sicilia, vi furono dei fatti di sangue ed io, che avevo tenuto un comizio in quella città esortando il popolo alla tolleranza ed alla concordia, fui accusato dal giornale diretto dal deputato Li Causi di avere eccitato il popolo alla reazione e quindi indirettamente al misfatto. Si noti che la stessa sera si era acclarato, e il detto giornale ne faceva cenno, che dal fatto esulavano i moventi politici.

E, per i fatti ultimi, dopo che il Sottosegretario di Stato agli interni dichiarò che le accuse a me rivolte erano prive di fondamento, lo stesso giornale ha osato scrivere che io sono stato «pubblicamente svergognato alla Costituente».

Si tratta di una invincibile tendenza alla invenzione e alla diffamazione. Pensate che, alla sola Procura della Repubblica di Palermo, sono annotate 27 querele per diffamazione contro l’onorevole Li Causi, il doppio o il triplo di quante, in un’intera legislatura burrascosa, se ne possono addensare sul capo di 500 deputati. E pensate che vi sono altre otto provincie in Sicilia. In una di queste, perché un pretore emise una sentenza che non garbava all’onorevole interrogante, egli additò tutta la Magistratura al disprezzo dei suoi elettori e fu denunciato per vilipendio delle istituzioni.

L’articolo del giornale del deputato Li Causi, di cui le proteste e le interrogazioni non sono che amplificazioni, minimizzazioni o svolgimenti, porta la data del 25 marzo e mi accusa, anzitutto, di eccitamento alla guerra civile. Come sarà certamente risultato dalle indagini fatte, io ho eccitato i miei ascoltatori, come sempre, alla tolleranza. L’Umanità ha scritto recentemente che gli iscritti al Partito socialista lavoratori italiani debbono provvedere energicamente alla loro difesa personale. Io ho detto di meno. Non «energicamente reagire», ma nei limiti che la legge assegna al diritto di difesa, e rimanendo piuttosto al di qua che al di là di essi.

Che la data in cui parlavo fosse una data importante per il caduto regime potrei dire che lo ignoravo, tanto ciò era lontano dalla mia mente. Chi scelse quella data fu il Presidente del Comitato elettorale, che non appartiene al nostro partito.

Mi si accusò di apologia del fascismo. Mi è penoso discolparmi da una accusa che offende soprattutto la mia intelligenza, una accusa contro cui sono insorti migliaia di cittadini anche di altri partiti, che, in nome della verità, in nome dell’onestà, hanno inondato il mio studio di proteste, alcune delle quali troppo vivaci per essere lette in questa Assemblea. Eccone una firmata da 22 ufficiali superiori, quasi tutti mutilati e decorati al valore.

Si è chiesto un rapporto alla polizia. Io mi permetto di trovare un po’ strano il procedimento. Alla fine di ogni comizio elettorale il funzionario di servizio riferisce al superiore su quanto è accaduto. E così avvenne a Palermo. Se nulla di illegale fu rilevato, nulla di illegale avvenne. Bisognava chiedere quel rapporto. Chiederne uno nuovo avrebbe potuto essere interpretato da un funzionario timido come desiderio di ottenere una nuova versione dei fatti. Comunque l’onestà dei funzionari, anche col secondo rapporto, smentì in pieno gli interroganti circa l’apologia, circa i monumenti e circa la bandiera.

Ma debbo fermarmi un istante sull’episodio della bandiera, perché voi possiate esser certi che l’incredibile può esser vero: che, cioè, un mio atto di lealismo è stato trasformato dai calunniatori in un atto di ribellione. Prima che si iniziasse il comizio mi si disse che vi era disponibile una sola bandiera, ma con lo stemma sabaudo. Proibii che la si esponesse, preferendo la critica degli amici monarchici alla speculazione degli avversari, nel desiderio di evitare atti ed atteggiamenti contrari alle direttive del mio partito e alle idee già manifestate su tale materia dal Ministro dell’interno onorevole Scelba. Mentre io parlavo, alcuni amici coprirono tutta la parte centrale della bandiera con l’insegna dell’«Uomo Qualunque», e allora soltanto la bandiera fu esposta sul tavolo degli oratori. Ecco una dichiarazione rilasciatami sull’argomento. Ebbene, il giornale del deputato Li Causi afferma che fu esposta la bandiera col «ranocchio» sabaudo tra gli applausi delle «pervertite» dame della aristocrazia palermitana. Per tutte le accuse fattemi ho già presentato querela per diffamazione con facoltà di prova. Ma chiamo anche giudice dei fatti questa alta Assemblea.

Il deputato Montalbano ha svolto l’interrogazione. Alle risposte dell’onorevole Carpano avrebbe dovuto dichiararsi lieto che i fatti non si fossero svolti nel modo immaginato dagli interroganti. Ebbene, l’onorevole Montalbano, imperterrito, cocciuto e assurdo rispose: «Sta di fatto che lo stemma c’era e che Russo Perez ha fatto l’apologia del fascismo, ha proposto erezione di monumenti ai giustiziati di Dongo»… e simili castronerie.

Cosicché, se io faccio una interrogazione per sapere se sia vero che egli esercita la tratta delle bianche e che tutte le case di piacere del nord-Africa siano gestite da lui, e se le informazioni della polizia smentiscono in pieno l’assunto, io, dato il sistema inaugurato dall’onorevole Montalbano, posso dire: Sta di fatto che egli gestisce quelle case.

Ebbene, con lo stesso, anzi con minor fondamento, egli ha osato dire che da diversi mesi io cerco di riorganizzare su larghe basi il disciolto partito fascista per il ritorno della monarchia e sa perfino chi sarà il mio Ministro dell’interno, risum teneatis: l’ispettore generale di polizia Messana.

Che io non riorganizzo nessun partito egli lo sa bene, lo sanno le Autorità, lo sanno tutti. E, se quanto ha detto il deputato Montalbano non fosse assolutamente fanciullesco, potrei dire che egli ha mentito sapendo di mentire.

Ma poiché i fatti attribuitimi, se fossero veri, costituirebbero reato, ed egli ha lanciato le sue stolte accuse sotto l’usbergo dell’immunità parlamentare, che fa lecito, di questi tempi, come ho già lamentato, diffamare e indicare al pubblico odio e al pubblico disprezzo ogni Deputato che non appartenga al gruppo degli intoccabili, io penso che il deputato Montalbano, se vuole aspirare ad essere considerato un galantuomo; ha due sole vie dinanzi a sé: o ritrattare quanto ha detto, e la ritrattazione, per le persone a modo, non è vergogna, ma onore, ove sia caduto in errore; oppure denunziarmi al magistrato. Io lo querelerò subito per calunnia.

Ma, onorevoli colleghi, questa è la mia azione. Se voi volete che il sistema della diffamazione e della calunnia contro gli avversari politici sia bandito da questo consesso, avete i mezzi per farlo. Ho finito. (Applausi a destra).

Presentazione di una relazione.

PRESIDENTE. L’onorevole Vernocchi ha facoltà di recarsi alla tribuna per presentare una relazione.

VERNOCCHI. Mi onoro di presentare all’Assemblea la relazione sul disegno di legge relativo all’ordinamento della cinematografia nazionale.

PRESIDENTE. Do atto all’onorevole Vernocchi della presentazione della relazione sul disegno di legge relativo all’ordinamento dell’industria cinematografica nazionale. Sarà stampata e distribuita.

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Non essendovi altri oratori iscritti a parlare sul Titolo I, darò la parola all’onorevole Basso, Relatore su questo Titolo, e all’onorevole Tupini, Presidente della prima Sottocommissione.

Ha facoltà di parlare l’onorevole Basso.

BASSO, Relatore. Onorevoli colleghi, parlando a nome della Commissione e per esporre un suo pensiero collettivo, io sarò ancora più sobrio del solito, perché cercherò di eliminare da queste mie brevi dichiarazioni qualunque posizione di partito o qualunque considerazione di carattere personale. E sarò sobrio anche perché la discussione generale, cui dovrei rispondere, non ha offerto, per la verità, molti spunti di carattere generale, che rendano possibili dei chiarimenti approfonditi. Quasi tutti gli oratori – direi, tutti gli oratori – che sono intervenuti nella discussione generale su questo Titolo hanno in realtà trattato ciascuno argomenti speciali, attinenti a determinati articoli, hanno svolto in precedenza emendamenti, o hanno criticato e difeso singoli testi, più che enunciare dei criteri di carattere generale. E poiché la Commissione si riserva, in sede di discussione e votazione dei singoli emendamenti, di esprimere su ciascuno il proprio punto di vista, dichiaro che non farò in questo mio breve intervento riferimenti specifici alle cose che sono state dette in ordine ai singoli articoli, limitandomi quindi a dei concetti generali.

Non ho molte cose da aggiungere a quello che il nostro Presidente Ruini ha già detto nella sua Relazione relativamente a questo Titolo.

Con quali criteri noi abbiamo cercato di elaborare questi articoli sulle libertà civili che oggi sono in discussione, e di cui il collega La Pira ed io siamo stati relatori davanti alla prima Sottocommissione?

Dalle osservazioni che sono state fatte e dagli emendamenti che sono stati presentati, io vedo che i colleghi si sono indirizzati verso due forme di osservazioni assolutamente opposte. Vi sono coloro i quali propongono di semplificare, di scarnire al massimo questi articoli, limitandosi quasi senz’altro ad un semplice rinvio alla legge; vi sono altri, viceversa, che trovano che i nostri articoli sono insufficienti e che occorrerebbe maggiormente precisare, maggiormente inserire particolari nella Costituzione, per dare il massimo possibile di garanzie sui temi delle libertà individuali.

Io credo che noi ci siamo attenuti ad una giusta via di mezzo, preoccupati di evitare da un lato il semplice rinvio alla legge; abbiamo, cioè, pensato che il tipo di norme, come, per esempio, quella dell’articolo dello Statuto albertino relativo alla stampa – «La stampa sarà libera, ma una legge ne reprime gli abusi» – un tipo cioè di norma costituzionale che si limita semplicemente al rinvio ad una legge futura – come parecchi emendamenti presentati in questa sede ci richiedono ancora oggi – sia un tipo di norma vuota, assolutamente da scartare in questa nostra Carta costituzionale. Noi non abbiamo, purtroppo, nella nostra storia recente, una tradizione di libertà e di democrazia che abbia creato un costume politico nel nostro Paese; usciamo, al contrario, da un periodo di dittatura e di larghi abusi, proprio nel campo delle violazioni della libertà individuale. Quindi un semplice rinvio alla legge, senza che nella Costituzione siano indicati per lo meno i limiti entro cui il legislatore si può muovere, senza che nella Costituzione siano affermati i fondamenti delle garanzie che devono essere date al cittadino, sembrava veramente – e sembra ancora oggi – alla Commissione (la quale in questo difenderà i proprî testi nelle linee generali, salvo emendamenti particolari) una cosa impossibile. Sembra sia assolutamente da evitare, dall’altro lato, che si debba inserire nella Costituzione tutto ciò che rivesta carattere di eccessiva particolarità: una disciplina integrale non può essere fatta nella Costituzione; ed in tale ordine di idee abbiamo appunto cercato di costruire questi articoli relativi alla difesa delle libertà fondamentali.

Un altro inconveniente è che si tratta di norme contenute in disposizioni ormai tradizionali le quali, dalla Magna Carta inglese, ci derivano attraverso le Costituzioni più moderne. Non c’è, in fondo, mentalità più conservatrice di quella del giurista, il quale continua a ripetere le formule più vecchie e più logore per disciplinare una materia che, più di qualsiasi altra, è nuova e cambiata.

Noi troviamo che quasi tutti i giuristi, e comunque tutti coloro che si accingono a discutere ed a vagliare norme in questo campo, non riescono mai a distaccarsi da quelli che sono i testi e le forme tradizionali. È quindi molto difficile incapsulare in questa formula una realtà nuova, che abbraccia situazioni giuridiche e politiche e di fatto completamente diverse.

La stessa concezione dello Stato tende oggi, direi, ad essere diversa. Noi cerchiamo oggi infatti di avere uno Stato che sia veramente democratico, cioè del popolo; ed evidentemente, nella misura in cui cerchiamo di realizzare una Costituzione che risponda a questi criteri, e che sia veramente una Costituzione di tutto il popolo italiano, non possiamo conservarvi immutata la mentalità che inspirava determinati articoli, i quali nascevano da una situazione storica diversa, in cui i singoli cittadini si dovevano difendere da un potere esecutivo che era loro nemico.

Noi ci riferiamo oggi a poteri pubblici che sono emanazione del popolo, e non dobbiamo concepire in partenza gli atti di questi poteri pubblici come arbitri di un potere tradizionale monarchico contro cui i cittadini debbano difendersi; è evidente quindi che oggi sono da ricercarsi formule rispondenti a questa esigenza di una società che non è più quella di un tempo. Ed in questo senso credo che gli articoli, così come la Commissione li ha elaborati attraverso una serie di discussioni, possano, salvo marginali emendamenti, rispondere alle esigenze della nostra Costituzione.

Ma si è detto da taluno che la libertà individuale e personale vi risulta scarsamente tutelata e che il rinvio alla legge delle disposizioni particolari non può essere ritenuto sufficiente. Sotto tale punto di vista, però, noi abbiamo cautelato queste nostre norme in un triplice modo: con il rinvio alla legge generale, cioè con il rinvio alla volontà popolare consacrata in norme giuridicamente valide, senza lasciare margini alla discrezionalità del potere esecutivo; con l’intervento dell’autorità giudiziaria la quale controlli che l’applicazione di queste norme sia fatta in modo legale, e con quelle determinate limitazioni e criteri generali che abbiamo stabilito nella Costituzione, a cui anche la legge dovrà informarsi.

Noi abbiamo pertanto affermato dei concetti che riteniamo rispondano veramente alla difesa dei diritti del cittadino. Non abbiamo infatti soltanto fissato nella Costituzione dei principî fondamentali, quali la necessità dell’intervento dell’autorità giudiziaria e la necessità di rispettare determinati termini, ma abbiamo fissato altresì qualche cosa di nuovo, che cioè, non potendosi disconoscere il diritto della pubblica sicurezza di intervenire in determinati casi di necessità e di urgenza, debba esservi l’obbligo non solo di denunziare tali casi per averne la convalida da parte dell’autorità giudiziaria quando si voglia mantenerli, ma anche di denunciarli all’autorità giudiziaria, pur se la stessa pubblica sicurezza rinunzi all’arresto o al fermo operato. Ossia, non che l’Autorità di pubblica sicurezza debba chiedere all’Autorità giudiziaria di intervenire soltanto per mantenere l’arresto o la conferma del provvedimento, ma debba anche far conoscere all’Autorità giudiziaria tutti i casi in cui essa ha proceduto a questo determinato fermo o arresto, perché l’Autorità giudiziaria si pronunzi, in ogni caso, sulla legalità del provvedimento. Abbiamo pensato che questa norma, collegata a quella dell’articolo 22, che stabilisce la responsabilità personale dei funzionari che violino le norme e i diritti di libertà sanciti da questa Costituzione, dovrebbe dare al cittadino una sufficiente garanzia che i suoi diritti saranno rispettati.

È stata fatta da qualcuno l’osservazione che questo articolo 8, così come formulato, non tutelava abbastanza la libertà del domicilio, e la Commissione è d’accordo nello staccare da questo articolo 8, secondo le proposte già pervenute, l’articolo 9, nel quale si parlerà della inviolabilità di domicilio in modo espresso. Anche qui ci siamo trovati di fronte alla necessità di tener conto della vita moderna, diversa da quella di sei o sette secoli fa, ed un articolo – come da taluno è stato proposto – che dicesse che il domicilio è inviolabile sarebbe insufficiente, perché paralizzerebbe alcuni aspetti della vita del giorno d’oggi, in cui bisogna riconoscere che pubblici ufficiali debbono avere, in determinati casi, il diritto di entrare nel domicilio privato per ragioni diverse da quelle di polizia, e, per esempio, anche per ragioni fiscali.

Ma queste norme le abbiamo circondate da alcune necessarie cautele, perché la libertà del cittadino sia garantita e soprattutto non sia trascurato il punto fondamentale per cui questi articoli furono dettati e devono essere mantenuti, cioè la garanzia contro l’arbitrio della pubblica sicurezza, stabilendo che leggi speciali potranno dettare norme nei casi in cui questi interventi saranno consentiti e solo per quei casi speciali.

Abbiamo cercato, nel limite di queste considerazioni, che sono essenzialmente tecniche per la formazione di questi articoli, di ampliare più che possibile i diritti di libertà del cittadino, anche per reazione a quello che è il periodo da cui usciamo.

Ed abbiamo fatto innovazioni che rappresentano un progresso della nostra Carta costituzionale rispetto ad altre; abbiamo riconosciuto, per esempio, il diritto di associazione, in una forma sconosciuta non solo nello Statuto albertino, che non lo menzionava, ma anche in altre Costituzioni. Abbiamo detto che il diritto di associazione è riconosciuto senza limitazione per fini che non sono vietati ai singoli da leggi penali, cioè tutto quello che un cittadino può fare da solo, che può compiere senza urtare i precetti della legge penale, può essere oggetto e scopo di associazione ed è la forma più ampia che si trovi in qualsiasi Costituzione. È un passo avanti per noi; e anche in ordine al diritto di riunione, essendosi affermato che non è soggetto a preavviso, quando si tratta di luogo di riunione aperta al pubblico, abbiamo esteso lo stesso diritto di riunirsi senza preavviso per la riunione privata e per quella fatta in luogo privato, ma aperta al pubblico.

Sono state mosse critiche in vario senso all’articolo relativo alla libertà di stampa. È questo un articolo su cui la Commissione si è più a lungo soffermata, perché ha sentito che era più che mai necessario soppesare le singole parole. Noi ritorneremo su questo articolo e diremo quali sono gli emendamenti che accettiamo e quelli che respingiamo. Un punto fermo, comunque, è che qualche principio limite debba essere inserito nella Carta costituzionale e che non si possa in questa delicatissima materia fissare semplicemente il rinvio ad una legge che possa poi disciplinare la stampa senza un controllo costituzionale.

È stato in modo particolare criticato l’istituto del sequestro preventivo, che la Commissione ha ammesso. Io credo che vi siano dei casi in cui non vi dovrebbe essere nessuna possibilità di discutere sull’opportunità di questo sequestro preventivo, e sono i casi in cui vi è una violazione delle norme amministrative sulla pubblicazione della stampa; quando, ossia, si pubblica il giornale, la rivista, la pubblicazione periodica senza l’indicazione del gerente responsabile, quando si stampa qualsiasi cosa senza l’indicazione del tipografo, quando cioè ci sia in chi stampa il desiderio di sottrarsi alla responsabilità che deve assumere. Evidentemente in tali casi è giusto che la legge intervenga ed ordini l’immediato sequestro di questa stampa, perché se noi vogliamo difendere la libertà dei cittadini e della stampa, la vogliamo però difendere nella stessa misura in cui colui che ritiene di valersi di questa libertà, si assume la responsabilità relativa; e sarebbe veramente un non senso che difendessimo la libertà di stampare da parte di colui che non si assume la responsabilità delle cose che dice e che stampa. Vi è quindi una connessione fra il principio di responsabilità e il principio di libertà, e giustamente, io credo, la Commissione ha ritenuto che nei casi di violazione di norme amministrative si possa introdurre il sequestro preventivo.

Riguardo al sequestro preventivo per reati che siano il risultato del contenuto di quello che si è stampato, la cosa evidentemente è più delicata e potrebbe prestarsi più facilmente ad arbitrio.

Io credo – ed esprimo qui un mio parere strettamente personale – che in questa materia sia bene affidarsi soltanto al magistrato; naturalmente ad un magistrato che abbia questa specifica funzione di sorveglianza sulla stampa, che possa intervenire prontamente contro i reati di stampa e il cui intervento costituisca senz’altro l’inizio di un procedimento contro colui che si è reso responsabile del delitto.

Ma quello che bisogna distinguere sono le due ipotesi: quella di violazione delle norme amministrative e quella del reato contenuto nel testo che si stampa. In questa materia vi è una norma che è stata oggetto di critiche ed è quella relativa al comma ove si dice che la legge può stabilire dei controlli sulle fonti di finanziamento e di informazioni. Io credo che questa norma vada collegata nel quadro accennato di un rapporto fra il senso di responsabilità e la libertà dei cittadini. È giusto che sia riconosciuta la libertà di stampa; è giusto però che questa libertà sia accompagnata dalle responsabilità che non sono soltanto le responsabilità di colui che firma, ma sono anche le responsabilità di colui che finanzia e di colui che dà le notizie che si pubblicano. Credo che questa sia una nuova conquista della libertà di stampa. Ma qui rientreremmo in norme particolari, sulle quali ci ritroveremo a parlare quando discuteremo dei singoli articoli.

Quello che la Commissione ritiene dover riaffermare è soltanto che essa ha creduto di mantenere nella formulazione che ha dato e che sostanzialmente risponde anche al pensiero della Commissione, un giusto equilibrio fra la necessità della libertà personale e l’autorità dello Stato, fra la necessità di dare alla Costituzione alcune direttive fondamentali e la necessità di non scendere a particolari, che avrebbero inutilmente appesantito il testo della Costituzione.

In tali limiti, credo che, senza gravi difficoltà per questi articoli, potremo senz’altro procedere rapidamente; e che la grande maggioranza degli emendamenti presentati potrà essere facilmente superata, senza discussioni, perché non vi sono in giuoco, per la maggior parte di essi, preoccupazioni politiche, ma è in tutti noi la preoccupazione tecnica di formulare articoli, che rispondano nel modo migliore alle esigenze, che ho affermate.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Presidente della prima Sottocommissione.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Onorevoli colleghi, più che per necessità sostanziali, per onore di firma prendo la parola. Dopo le delucidazioni e le spiegazioni date dal Relatore onorevole Basso, anche a nome del collega onorevole La Pira, a me non rimane che rilevare come tutti coloro che sono intervenuti nella discussione (ben 20 o più colleghi) si siano, in via di massima, pronunziati favorevolmente all’insieme degli articoli che vanno dall’8 al 22.

Dovrei, anzi, ringraziare di questa adesione gli onorevoli colleghi, i quali l’hanno data, talvolta, anche con un certo fervore di esaltazione, che ha fatto piacere a tutti noi della Commissione che abbiamo elaborato e formulato questi articoli.

Naturalmente ci riserviamo, in sede di discussione degli emendamenti, di precisare in modo concreto e specifico il nostro pensiero, anche perché la stessa discussione, che abbiamo chiamata generale, è stata generale per modo di dire, poiché ciascuno degli oratori non ha fatto che abbordare ed esaminare l’uno o l’altro degli articoli del primo capitolo, la cui formulazione sarà da noi difesa nei confronti degli emendamenti da varie parti presentati e che sono – a mio avviso – di tre ordini: stilistici, formali e sostanziali.

Mentre per i primi due sarà facile intenderci, per quelli di sostanza ci consentirete una maggiore intransigenza.

Alcuni colleghi, infine, sono intervenuti nella discussione senza presentare emendamenti. A questi io debbo qualche risposta fin da questo momento e in modo particolare all’onorevole Tieri, il quale ha investito il capitolo ora in esame e – si può dire – l’intero progetto con particolare accento di critica negativa.

In fondo egli si è espresso nei seguenti termini: «Ciascun articolo ha in comune con i precedenti il pregio di cominciare bene e di terminare male». E ancora: «Comincia bene l’articolo allorquando fa delle affermazioni fondamentali, sostanziali di diritto, e finisce male quando si riferisce o alla legge o al magistrato».

Faccio osservare all’onorevole Tieri (a parte le risposte che hanno già dato a lui gli onorevoli Bettiol e Leone Giovanni) che il riferimento alla legge o al magistrato è una necessità in un progetto costituzionale, che non può esaurire una serie di casi, e che la legge ed il magistrato, in un paese democraticamente organizzato, rappresentano appunto la garanzia della libertà e della democrazia. Il nostro sforzo è stato precisamente quello di sottrarre all’arbitrio del potere esecutivo ogni possibilità di menomare la libertà dei cittadini, preferendo così la garanzia della legge e della magistratura, che non dovrebbero preoccupare lo spirito libero e democratico dell’onorevole Tieri.

Ci sono poi alcuni colleghi che hanno domandato la soppressione di alcune disposizioni. Mi riferisco agli onorevoli Mastino Pietro, Grilli, Veroni e Carboni, i quali hanno criticato l’ultima parte dell’articolo 8, che prevede la punizione di ogni violenza fisica o morale a danno delle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà.

Noi, invece, teniamo in modo speciale a questa disposizione, che del resto altri colleghi hanno giustamente apprezzata ed esaltata, e desideriamo che rimanga così com’è nel testo della nuova Costituzione per ragioni di umanità e anche a titolo di condanna di un periodo nefasto della nostra storia politica, durante il quale la polizia, o giudiziaria o politica o carceraria, ha creduto di servire la tirannide con sistemi tutt’altro che rispettosi della dignità dell’uomo e del cittadino.

Ecco perché vogliamo dare al legislatore futuro una direttiva precisa, al fine di assicurare ai cittadini, qualunque sia il motivo della loro detenzione, il pieno rispetto della loro integrità e dignità personale. (Interruzione dell’onorevole Grilli).

Onorevole Grilli, so benissimo che ella condivide questi miei apprezzamenti, ma allora non insista nella domanda di soppressione della norma da noi proposta.

All’onorevole Basile, che, pur limitando il tema delle sue critiche, si è mostrato tutt’altro che tenero verso l’insieme del nostro progetto, rispondo di non poter consentire con lui nella proposta di soppressione di quella parte dell’articolo 8 che si riferisce alle misure provvisorie.

Ci sono dei casi veramente eccezionali di necessità, di urgenza, di sanità e incolumità pubblica, di flagranza di reato, ecc., in cui l’adozione di misure provvisorie si manifesta estremamente opportuna. L’importante è che queste misure siano veramente provvisorie e durino il minor tempo possibile. Perciò le abbiamo limitate a 48 ore. Un tale limite mi sembra così modesto da garantire ogni possibilità di arbitrio e di trattamento vessatorio.

Dopo ciò non credo di dover aggiungere altro. L’onorevole Basso ha già dato uno sguardo di insieme ed ha reso edotta l’Assemblea dei motivi ispiratori di questo titolo del progetto, i quali hanno trovato già, attraverso la vostra elevata e approfondita discussione, il generale consentimento che non rimane oscurato né diminuito da qualche critica di dettaglio.

E io sono particolarmente lieto di fare questo rilievo che reputo di buon auspicio per la definitiva approvazione dei singoli articoli, per il cui eventuale affinamento la Commissione darà tutto il suo appoggio e la più schietta collaborazione. (Applausi).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la discussione generale sopra il primo titolo del progetto di Costituzione.

Dobbiamo ora passare allo svolgimento degli emendamenti.

Penso che ogni collega abbia esaminato con una certa preoccupazione il fascicolo degli emendamenti, che sono ben 116 per 15 articoli; anzi 117 poiché in questo momento ne è stato presentato un altro.

Di questi 117 emendamenti, 39 sono già stati svolti. Ne restano ancora da svolgere 78, e se ogni presentatore si varrà della facoltà riconosciuta di parlare per 10 minuti, abbiamo una prospettiva di giornate e giornate esclusivamente dedicate allo svolgimento degli emendamenti.

Prima di passare a questa fase, tuttavia necessaria, del nostro lavoro, desidero pregare ancora una volta gli onorevoli colleghi di non voler presentare gli emendamenti all’ultimo momento. Questo pone delle difficoltà al lavoro della Commissione, la quale deve esaminarli, se desideriamo che essa dia, prima che si passi alla votazione, il proprio parere, in una forma ponderata e ragionata, e non si esprima succintamente e con improvvisazione.

Pregherei anche gli onorevoli colleghi di evitare di presentare emendamenti di carattere puramente stilistico o addirittura grammaticale, poiché una revisione finale, da questo punto di vista, dovrà essere fatta. Ora, non c’è nulla di male nel segnalare alcune di queste modificazioni necessarie; ma è anche necessario non appesantire eccessivamente i lavori.

Rammento che i presentatori di emendamenti possono parlare per dieci minuti, e desidero preannunciare che sarò molto severo nel richiamare gli oratori a questa norma.

Molti onorevoli colleghi hanno presentato emendamenti su vari articoli. Penso che sia opportuno che essi li svolgano tutti insieme nel modo più succinto possibile, per economizzare del tempo.

Vi sono emendamenti che mirano a mutare di sede un determinato articolo. Questa discussione, a mio parere, si potrebbe fare alla fine, quando si tratterà di dare la forma conclusiva al complesso della Costituzione.

Vi sono emendamenti che propongono di sdoppiare o di riunire articoli; ma ritengo che sia soprattutto essenziale soffermarsi a definire quali principî devono essere contenuti nella Costituzione, rinviando a un lavoro successivo le questioni di forma.

L’onorevole Nobili Tito Oro ha presentato, dopo la chiusura della discussione generale, il seguente ordine del giorno, che pertanto non può essere svolto ma sarà posto in votazione a suo tempo:

«L’Assemblea Costituente, sciogliendo la riserva concordata in sede di discussione generale, delibera di rinviare a un Proemio la riconsacrazione delle libertà già acquisite per le conquiste storiche del secolo passato e di sostituire in conseguenza la enunciazione, che ne è contenuta nel Titolo I di questa Parte, con un richiamo generico accompagnato dalla riaffermazione delle garanzie ad esse dovute».

Ha poi presentato anche i seguenti emendamenti:

Sostituire il titolo: Diritti e doveri dei cittadini, con l’altro: Il Popolo.

Premettere all’attuale Titolo «Rapporti Civili» un nuovo Titolo I che, sotto la intestazione «Diritti essenziali della Personalità», riporti, nel testo già approvato, gli ex articoli 6 e 7, ora 2 e 3.

Sopprimere gli articoli 8, 9, 10, 12, 13 e 16 e sostituirli col seguente:

Art. 8. – La Repubblica garantisce con apposite leggi la più ampia tutela delle libertà storicamente acquisite e riconsacrate in Proemio, nonché i diritti che ne discendono.

Quando l’esercizio di tali diritti ponga in pericolo l’ordine pubblico, la pubblica salute o il buon costume, il magistrato o il funzionario di polizia che, in virtù delle leggi speciali, ne abbia determinata la sospensione o la restrizione, risponderà penalmente di ogni arbitrio e di ogni eccesso.

È punita ogni violenza fisica o morale a danno delle persone comunque sottoposte a restrizione di libertà.

L’onorevole Nobili Tito Oro ha facoltà di svolgerli.

NOBILI TITO ORO. Il primo emendamento riguarda la proposta di sostituire il titolo di questa parte. Aderendo alla raccomandazione dell’onorevole Presidente e a quella già fatta dall’onorevole Tupini, accetto di rinviare questa proposta alla Commissione di redazione.

Per quanto riguarda l’emendamento relativo al collocamento in questa sede di quelli che furono inizialmente gli articoli 6 e 7, che poi furono trasferiti ai numeri 2 e 3, mi rimetto parimenti alla proposta dell’onorevole Presidente di parlarne alla fine.

Viene pertanto in esame l’emendamento sull’articolo 8, emendamento, onorevoli colleghi, che presuppone necessariamente la risoluzione della questione da me posta con l’ordine del giorno, che non è una questione nuova che si presenta in questo momento, ma che è stata sollevata fin dal primo discorso pronunciato in questa Aula in sede di discussione generale: la proposta, cioè, di redigere un Proemio (o Preambolo, come si è chiamato) ove si tratti delle libertà e ciò per un complesso di ragioni che potrò esporre brevemente, ma che furono già esposte in questa Assemblea.

PRESIDENTE. Permetta, onorevole Nobili, se lei svolge, sia pure brevemente, il suo ordine del giorno, evidentemente la preghiera che ho fatta in principio non verrebbe esaudita.

NOBILI TITO ORO. Questo potrebbe portare in certo qual modo anche all’abbreviazione del nostro lavoro perché, qualora quell’ordine del giorno non dovesse essere approvato, dichiaro subito che cadrebbe l’emendamento relativo al trasferimento degli articoli 6 e 7, ora 2 e 3, sotto un titolo nuovo di questa parte, da intestarsi ai «Diritti essenziali della personalità», nonché quello da me proposto sull’articolo 8 per sopprimere gli articoli 9 e 10, 12, 13 e 16, non in quanto ne escluderebbe il contenuto dal Progetto, ma in quanto la parte relativa alle «libertà» dovrebbe essere trasferita nel Preambolo e solo sommariamente richiamata nel testo.

Siccome l’onorevole Presidente della Commissione dichiarò alla chiusura della discussione generale che egli non avrebbe avuto niente in contrario a formulare questo Preambolo e che se ne sarebbe parlato proprio alla fine della discussione sulla parte introduttiva, mi pare che la sede opportuna per risolvere la questione sia proprio questa.

PRESIDENTE. E quindi ha presentato l’ordine del giorno che l’Assemblea voterà e, approvandolo, ne accetterà il concetto.

NOBILI TITO ORO. Allora, ammesso che l’ordine del giorno sia approvato, svolgo l’emendamento all’articolo 8 che non è emendamento a questo articolo, ma è anche emendamento sostitutivo degli articoli 8, 9, 10, 12, 13 e 16, cioè è un articolo che riassume sostanzialmente il contenuto di tutti gli articoli che riguardano le varie libertà contemplate negli articoli da me richiamati; che prevede in un comma successivo le restrizioni rese indispensabili da ragioni di ordine pubblico, di pubblica salute, di buon costume, ma prevede anche un’altra necessità – quella sulla quale insisto in questo emendamento – di rendere penalmente responsabili i magistrati, gli ufficiali di polizia, che col pretesto o in occasione dell’applicazione delle disposizioni eccezionali, abbiano commesso arbitrii o siano caduti in eccessi. Questo è il mio emendamento. Non ho altro da dire. Si discute male, quando si sa che c’è un presupposto sospeso.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Tupini. Ne ha facoltà.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Se non c’è altri che parli in sostegno della proposta dell’onorevole Nobili Tito Oro, faccio osservare al collega che il suo ordine del giorno, presentato dopo la chiusura della discussione, press’a poco ha dei punti di contatto con la proposta di sopprimere gli articoli che vanno dall’8 al 16, sostituendovi un solo articolo. Sono due proposte che hanno molti punti di contatto fra di loro, perché entrambe parlano della eventualità di portare in un proemio le disposizioni contenute in ciascuno di questi articoli, come pure di riportare senz’altro ad un proemio tutte le dichiarazioni dei diritti e dei doveri dei cittadini.

Ricordo all’onorevole Nobili Tito Oro e all’Assemblea che la Commissione è contraria a questo ordine del giorno, come all’emendamento; ed è contraria per le ragioni che già il Presidente della Commissione, onorevole Ruini, ha esposto nella sua relazione, che l’onorevole Basso ha ribadito poc’anzi e che io stesso ho accennato nel mio intervento a chiusura della discussione generale, allorquando ho detto che una Costituzione la quale si basa sulla legge, sulla razionalità della legge – perché questo è il concetto fondamentale che anima le Costituzioni moderne – ha per ciò stesso una garanzia indistruttibile delle libertà umane. Che la garanzia sia sempre completa ed esauriente non si può pretendere. Meglio sarebbe che la legge esaminasse tutti i casi, ma ove questo non sia possibile, meglio è appagarsi di quanto finora abbiamo conseguito. Volere di meno, cioè rimandare il tutto a una generica dichiarazione di principio da inserire in un proemio o in un articolo unico, significherebbe venir meno a quelle esigenze fondamentali postulate da tutte le Costituzioni moderne e a maggior ragione dalla nostra, se si vuole tener conto del momento storico speciale nel quale si forma e si realizza il processo costituente della Repubblica italiana.

Ciò premesso, onorevoli colleghi, vi domando di voler respingere la proposta dell’onorevole Nobili Tito Oro e di passare senz’altro alla discussione del titolo, cominciando dall’articolo 8.

NOBILI TITO ORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILI TITO ORO. Mi trovo di fronte ad una situazione completamente diversa da quella che avevo considerato nel momento in cui formulai l’ordine del giorno, che costituisce il presupposto necessario del mio emendamento all’articolo 8; completamente diversa, perché se si voglia richiamare il resoconto sommario, l’unico che abbiamo fino ad ora, mi pare, della seduta del 12 marzo, vi troveremo proprio la dichiarazione esplicita del Presidente della Commissione che egli non sarebbe stato contrario all’introduzione del Proemio di cui all’ordine del giorno che mi è interdetto di illustrare..

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Glielo confermo.

NOBILI TITO ORO. Ora, non contesto il diritto della Commissione di mutare avviso; ma bisognerà pure che io sia messo in condizioni di poter rispondere a quella che è stata l’ultima opinione di chi per essa ha parlato.

Per quali motivi infatti è stato chiesto che si inserisse anche nella nostra Costituzione un Proemio? Non già per ispirito di imitazione di quanto fatto in Francia, ma perché ricorrono da noi circostanze analoghe? Per un motivo semplicissimo: la Costituzione è atto storico che non può conservare come proprio ciò che è stato oggetto di conquista di altri tempi. Queste libertà erano state già conquistate; esse appartenevano già al patrimonio morale, politico e sociale del nostro popolo: questo potrà essere chiamato responsabile di non averle difese, ma ciò non toglie che esse costituissero già una sua precedente conquista.

Non siamo noi dunque, onorevoli colleghi, non è questa Assemblea che possa proclamarle e conferirgliele.

Questo va evitato; altrimenti andiamo incontro ad un plagio storico. D’altra parte, queste libertà, dopo il periodo tenebroso che le sommerse, vanno pure riconsacrate; ed a ciò non potrebbe meglio provvedersi che mediante un Proemio.

Orbene, la Relazione dell’onorevole Presidente della Commissione, che ha pregi notevolissimi e che ricorda le pagine poderose degli statisti e dei giuspubblicisti del Risorgimento che illustrarono gli istituti fondamentali del nuovo Stato, la relazione, dicevo, dell’onorevole Ruini, là dove si occupa di questa parte del progetto di Costituzione, accenna a questo problema e vi accenna in senso opposto a quello or ora enunciato…

PRESIDENTE. Mi perdoni, onorevole Nobili, ma tutta la discussione sul proemio è già stata fatta. Lei, in questo momento, ha presentato la proposta di sciogliere una riserva. Ciò non significa però che si possa rifare una discussione sul proemio. C’è un ordine del giorno, e lo voteremo. La Commissione aveva il diritto di dichiarare, come ha dichiarato, che in questo momento non aveva la possibilità di prendere una deliberazione.

NOBILI TITO ORO. Mi limiterò allora a rispondere alle osservazioni specifiche che l’onorevole Ruini ha fatto al mio emendamento.

PRESIDENTE. Onorevole Nobili, lei ha fatto una proposta; l’onorevole Tupini le ha risposto e la discussione è finita.

NOBILI TITO ORO. Mi perdoni, onorevole Presidente. Lei avrà notato che, mentre io parlavo, l’onorevole Tupini è intervenuto, credendo che io avessi finito. Per rispetto alla sua autorità, io allora ho taciuto, anche per conoscere il suo pensiero sull’argomento.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Chiedo scusa, onorevole Nobili: non avevo compreso che lei non avesse finito.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Spero che, quando avrò dato alcuni chiarimenti all’onorevole Nobili, egli comprenderà che non c’è nessuna ragione di dissenso e che il suo ordine del giorno può essere, per il momento almeno, sospeso.

Le dichiarazioni che feci a nome della Commissione sono le seguenti. Nella discussione generale era stato da varie parti, fra gli altri dall’onorevole Calamandrei, dall’onorevole Cevolotto, dall’onorevole Lucifero, proposto che la Costituzione si aprisse con un preambolo. Il Comitato – ed io ne fui fedele eco all’Assemblea Costituente – ritenne che la questione del preambolo poteva essere più opportunamente decisa quando sarebbe stata esaurita la discussione della prima parte della Costituzione sui diritti e doveri dei cittadini, e non soltanto delle disposizioni generali. L’Assemblea consentì.

Senza anticipare ogni decisione, che deve essere rinviata, dissi che la Commissione era favorevole, in linea di massima, ad un preambolo di natura storico-espositiva. Vi erano invece dissensi se e quali dichiarazioni contenute nel progetto possano e debbano collocarsi nel preambolo. Per mio conto, non l’ho mai nascosto, sono favorevole al preambolo anche non soltanto storico-espositivo. L’Assemblea deciderà a suo tempo.

Debbo però fare osservare all’onorevole Nobili che altra è la questione da lui sollevata; e cioè di imitare l’ultima Costituzione francese, non limitandosi a trasferire alcune dichiarazioni generali che possono trovare posto più opportuno nel preambolo, ma di eliminare dal testo metà della Costituzione, tutta la parte che riguarda i diritti e doveri, riassumendo nel preambolo pochi cenni di diritti di libertà, perché è già materia acquisita alla storia costituzionale. La Commissione fu unanime nello scartare questa tesi. L’ho detto nella relazione che l’onorevole Nobili è stato così benevolo di ricordare in modo troppo lusinghiero.

NOBILI TITO ORO. Adesso l’avrei criticata.

RUINI, Presidente della Commissione. Nella mia relazione è detto questo: la Francia nella sua seconda Costituzione, non nella prima, ha rinviato in poche parole al preambolo tutta la parte dei diritti e dei doveri, la parte economica, la parte sociale. Si è limitata soltanto a mettere nella Costituzione l’ordinamento costituzionale. Perché ha fatto questo? Ha accolto la proposta di Herriot, che era risuonata nella prima discussione e che fu respinta, ma poi implicitamente accolta con la reiezione che il plebiscito fece di quel primo testo. La Francia ritiene di avere già, nelle sue anteriori Costituzioni, posto in modo lapidario la tavola dei valori fondamentali di libertà dei cittadini. La Francia non ha bisogno di ripetere oggi l’affermazione di diritti che sono acquisiti dalla famosa dichiarazione settecentesca in poi. Basta richiamarli. L’esempio non può aver seguito da noi, perché non abbiamo quei precedenti. La tradizione repubblicana è stata quella che è stata. Quali sono i precedenti? Forse lo Statuto albertino? Parlando, della stampa esso dice semplicemente che la stampa è libera e la legge ne reprime gli abusi. Tace sul diritto di associazione. Non abbiamo un documento nel quale siano acquisiti i diritti di libertà cui l’onorevole Nobili allude.

La Commissione è stata unanime nel riconoscere che non si può rinunciare a mettere nel testo i diritti e doveri dei cittadini (salvo poi vedere se alcuni principî generali potranno o no collocarsi nel preambolo). Non si può dimenticare che non abbiamo i precedenti costituzionali che ha la Francia. Né possiamo dimenticare che usciamo da un grande tormento e che un anelito di libertà deve essere rispecchiato nella Costituzione.

Ho ascoltato con molto piacere quello che hanno detto il Relatore Basso ed il Presidente della Sottocommissione Tupini. Noi abbiamo affermato qui alcuni principî – lo ha già riconosciuto qualcuno anche all’estero – come quello sulla garanzia per le limitazioni della libertà personale da parte della pubblica sicurezza (ogni atto della quale deve essere convalidato dall’autorità giudiziaria) e quello che vi è diritto d’associazione per ogni attività che sia concesso di svolgere come diritto individuale. Principî nuovi, che non vi sono in nessuna Costituzione. Perché dobbiamo rinunciarvi?

L’onorevole Nobili, così acuto e sagace, si accontenti di questa impostazione. Sulla questione concreta della natura e del contenuto del preambolo decideremo poi. Diciamo intanto qui le parole di libertà che il Paese attende.

PRESIDENTE. Credo che questa discussione abbia messo in chiaro che sarebbe unanime intendimento votare senz’altro sull’ordine del giorno dell’onorevole Nobili Tito Oro, perché, nel caso che fosse accolto dall’Assemblea, non sarebbe più necessario discutere poi su tutta una serie di articoli successivi e quindi numerosi emendamenti non avrebbero ragion d’essere. Nell’ipotesi contraria, noi seguiteremo nell’ordine lo svolgimento degli emendamenti.

Metto pertanto ai voti l’ordine del giorno Nobili Tito Oro:

«L’Assemblea Costituente, sciogliendo la riserva concordata in sede di discussione generale, delibera di rinviare a un Proemio la riconsacrazione delle libertà già acquisite per le conquiste storiche del secolo passato e di sostituire, in conseguenza, la enunciazione, che ne è contenuta nel Titolo I di questa Parte, con un richiamo generico accompagnato dalla riaffermazione delle garanzie ad esse dovute».

(Non è approvato).

Passiamo all’esame dell’articolo 8, al quale sono stati presentati i seguenti emendamenti già svolti:

Sostituirlo col seguente:

La persona umana è inviolabile.

Mastino Pietro.

Al secondo comma, dopo la parola: domiciliare, aggiungere le seguenti: sequestro di cose o atti.

Crispo.

Al terzo comma, sostituire le parole: autorità di pubblica sicurezza, con le seguenti: autorità di polizia.

Crispo.

Al terzo comma, sopprimere l’ultimo periodo: Se questa non le convalida nei termini di legge, sono revocate e restano prive di ogni effetto, sostituendolo col seguente: La quale ha l’obbligo di provvedere alla convalida di esse entro le successive quarantotto ore, altrimenti si intendono revocate e prive di ogni effetto.

Preziosi.

Sopprimere l’ultimo comma.

Grilli.

All’ultimo comma, alle parole: È punita, sostituire le parole: È repressa e punita.

Veroni.

All’ultimo comma, aggiungere: È assolutamente vietato privare della libertà personale chiunque sia estraneo al fatto pel quale l’autorità di polizia procede.

Crispo.

Procediamo ora all’esame degli emendamenti non ancora svolti.

L’onorevole Patricolo ha presentato i seguenti emendamenti:

Raggruppare gli articoli 8, 17, 18, 21, 20, 19, 22 nell’ordine.

Raggruppare gli articoli 10, 12, 13, 14, 15 nell’ordine.

Raggruppare gli articoli 16, 9 nell’ordine.

Porre in ultimo l’articolo 11.

La disposizione degli articoli sarebbe, pertanto, la seguente: 8 (8), 9 (17), 10 (18), 11 (21), 12 (20), 13 (19), 14 (22), 15 (10), 16 (12), 17 (13), 18 (14), 19 (15), 20 (16), 21 (9), 22 (11).

Trasferire l’ultimo comma dell’articolo 8 all’articolo 22, quale ultimo comma.

PRESIDENTE. Ha la parola l’onorevole Patricolo per svolgere il suo emendamento.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Se ella mi consente, onorevole Patricolo, desidererei premettere alcune dichiarazioni.

PATRICOLO. Senz’altro.

TUPINI. Presidente della prima Sottocommissione. Ella sa che io l’ho incoraggiata anche quando ha chiesto il nostro parere in merito al suo emendamento, e quindi conosce che io, in fondo, ho guardato con simpatia, almeno personale, l’ordine di posizione degli articoli da lei previsto. La Commissione, però, nel prendere in esame il suo emendamento, ha ritenuto di doverle sottoporre, a mio mezzo, alcune considerazioni d’ordine pregiudiziale.

Nel merito potremmo essere d’accordo con lei. Senonché, una discussione in questo momento potrebbe portarci troppo lontani, perché si dovrebbe dare uno svolgimento adeguato alle ragioni per le quali, sul filo logico del suo pensiero, si dovrebbe accogliere la sua proposta. La prego perciò di voler rinviare la presentazione e l’illustrazione del suo emendamento alla fine della discussione del capitolo. In quella occasione, la Commissione di coordinamento terrà un’apposita seduta per la posizione definitiva degli articoli ed anche lei vi potrà intervenire. Potremo allora stabilire di comune accordo se e in quali limiti potrà essere accolta la sua proposta.

PATRICOLO. Ringrazio l’onorevole Tupini delle sue dichiarazioni. Senz’altro potrei accedere alla sua richiesta; ma occorrerebbe che quanto egli ha detto si facesse veramente al più presto; perché il mio emendamento, nel trasporre gli articoli secondo una linea logica, come l’onorevole Tupini ha affermato, tende a far sì che alcuni emendamenti di carattere sostanziale siano discussi in precedenza per determinati articoli, onde evitare che si debba tornare indietro sulla discussione, dopo aver accettato una dizione che dovrebbe essere modificata.

TUPINI. Presidente della prima Sottocommissione. Domani stesso, se possibile.

PATRICOLO. Su questa assicurazione, aderisco senz’altro alla sua richiesta.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Cairo, Persico, Di Gloria, Rossi Paolo e Pera hanno proposto di sostituire l’articolo 8 col seguente:

La libertà personale è inviolabile.

Solamente la legge, nei casi, nei modi e nei termini da essa espressamente previsti, può limitarla.

Non essendo presente nessuno dei firmatari, l’emendamento s’intende decaduto.

Segue l’emendamento presentato dagli onorevoli Bulloni ed Avanzini:

Sostituire l’articolo 8 col seguente:

La libertà personale è inviolabile.

Nessuno può esserne privato, salvo flagranza di reato, ovvero per atto dell’Autorità giudiziaria, e nei modi previsti dalla legge.

Il fermo di polizia non è ammesso che per fondato sospetto di reato o di fuga.

Il fermo e l’arresto di polizia non possono durare più di quarantotto ore.

Decorso tale termine, la persona fermata o arrestata deve essere rimessa in libertà, a meno che nel frattempo sia intervenuta denuncia all’Autorità giudiziaria, o questa abbia, nei termini di legge, convalidato il provvedimento.

È punita ogni violenza fisica o morale nei confronti delle persone comunque sottoposte a restrizioni della libertà.

L’onorevole Bulloni ha facoltà di svolgerlo.

BULLONI. Onorevoli colleghi, il mio emendamento all’articolo 8 del progetto muove da una duplice preoccupazione: quella, innanzi tutto, di rendere più effettiva la tutela della libertà personale del cittadino, e l’altra, di garantire la difesa della società dagli attacchi della delinquenza.

Alla prima preoccupazione la sodisfazione è data dalla indicazione precisa dei casi, nei quali il cittadino può essere privato della libertà personale: cioè, soltanto nel caso di flagranza di reato o di provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria, in relazione a inchiesta, che abbia dato risultati, per l’accertamento d’un reato per cui il cittadino possa essere privato della libertà personale.

Di fatti, è espressamente detto nell’emendamento:

«Nessuno può esserne privato, salvo flagranza di reato, ovvero per atto dell’autorità giudiziaria, e nei modi previsti dalla legge».

Fuori di questi casi, la necessità pratica ha posto ai legislatori precedenti ed ai giuristi il caso del «fermo di polizia».

È bene, per l’abuso che dell’istituto è stato fatto, che una parola chiara e precisa sia detta nella Carta fondamentale dello Stato italiano in relazione al fermo di polizia, che non deve essere ammesso, se non per fondato sospetto di reato o di fuga.

Si rende in tal modo effettiva la tutela della libertà del cittadino ed a questo riguardo si è proposto il termine di 48 ore. Decorso questo termine, il provvedimento restrittivo della libertà personale, attraverso il fermo o l’arresto della polizia, resta senza effetto ed il fermato deve essere senz’altro rimesso in libertà, a meno che non sia intervenuta, nel termine delle 48 ore, la denuncia alla autorità giudiziaria, nel qual caso l’autorità stessa provvede a norma di legge, o a meno che non sia intervenuta la convalida del fermo ad opera dell’autorità giudiziaria.

In questo si manifesta la preoccupazione di difendere la società. Chi ha la conoscenza pratica dell’attività giudiziaria si rende conto di questa fondamentale esigenza per cui, in omaggio a supremi principî, non si violino anche altri supremi interessi.

Il termine delle 48 ore indicato dal progetto non sodisfa a queste necessità; nelle 48 ore l’autorità giudiziaria deve essere informata e deve dare la possibilità alla polizia di svolgere e di completare quelle ulteriori indagini che verranno a concludere la denuncia all’autorità stessa. Per cui è bene chiarire che il provvedimento di convalida dell’autorità giudiziaria deve avvenire nel termine espressamente indicato dalla legge con la larghezza che la necessità pratica suggerisce in materia.

Propongo poi, insieme con i colleghi Avanzini, Bettiol, Benvenuti, Leone Giovanni, un articolo 8-bis:

«Il domicilio è inviolabile.

«Nessuno vi si può introdurre senza ordine dell’autorità giudiziaria. Solo in casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, la forza pubblica può disporre sequestri di cose, ispezioni o perquisizioni personali o domiciliari. Tali provvedimenti devono essere comunicati entro quarantotto ore all’Autorità giudiziaria».

All’attenzione del legislatore deve porsi un limite ai facili sequestri, che troppo spesso finiscono per violare anche la proprietà, come in questi ultimi tempi si è verificato.

Il provvedimento del sequestro di cose, la perquisizione domiciliare o personale, debbono e possono essere eseguite dalla forza pubblica in casi di urgenza, ma immediatamente, nel termine di 48 ore, devono essere comunicati all’autorità giudiziaria, la quale deve avere il controllo su questi atti che ledono una libertà fondamentale del cittadino, ad ogni fine; perché, quando si dice che, se l’autorità giudiziaria non convalida il provvedimento, questo rimane senza effetto, non si dice ancora che l’autorità giudiziaria, attraverso la segnalazione che è resa obbligatoria, deve svolgere i controlli necessari per giudicare dei motivi e della condotta che la pubblica forza ha seguito nei determinati casi tassativamente indicati dalla legge.

Dissento dal criterio che sarebbe stato adottato con lo stabilire questa specie di istituto della convalida da parte dell’autorità giudiziaria degli atti della pubblica forza. In modo particolare, per quanto si riferisce ai provvedimenti relativi alla libertà personale, tutti questi provvedimenti dovrebbero essere comunicati all’autorità giudiziaria e sottoposti alla convalida della medesima.

Se, come ho detto, i provvedimenti di urgenza relativi a sequestro di cose e ad ispezioni domiciliari e personali devono essere comunicati, non tutti quelli relativi alla libertà personale devono essere comunicati. Chi non sa, per esempio, che la polizia talvolta finge di operare dei fermi di persone precedentemente da lei scelte, per svolgere opera di collaborazione attraverso la confidenza, che è uno strumento essenziale della attività e dell’indagine poliziesca? Non è forse una ingenuità od una incongruenza pretendere che la polizia debba dare notizia all’autorità giudiziaria dei fermi, quali quelli per il caso che in via di esemplificazione ho accennato? Perché non varrà la semplice segnalazione; la segnalazione dovrà essere corredata da una motivazione, da una esposizione, che contrasta con la natura e con le necessità del fermo al quale ho fatto riferimento.

Garanzia del cittadino per quanto ha tratto alla libertà personale è questa: il fermo non può durare più di 48 ore, a meno che non sia intervenuta la denunzia alla autorità giudiziaria, che svolgerà la sua azione a termini di legge, o a meno che l’autorità giudiziaria, informata del fermo stesso, non abbia convalidato, nei termini indicati dalla legge, il provvedimento. Questa segnalazione, invece, si rende senz’altro necessaria per le ispezioni personali e domiciliari di cui ho fatto cenno nell’emendamento proposto sotto l’articolo 8-bis.

Propongo inoltre un altro emendamento, firmato anche dal collega Mortati:

«Misure di polizia restrittive della libertà personale a carico di persone socialmente pericolose possono essere disposte solo per legge e sotto il controllo dell’Autorità giudiziaria.

«In nessun caso la legge può consentire tali misure per motivi politici».

La società deve difendersi dagli oziosi, dai vagabondi, dai senza mestiere, dalle persone socialmente pericolose.

Abbiamo ora considerato i casi della limitazione della libertà personale in relazione all’accertamento del reato in una fase pre-processuale, si potrebbe dire. Dobbiamo noi considerare il caso che il cittadino possa essere sottoposto a misure restrittive della libertà personale, quando egli rappresenti un pericolo per la società? Riteniamo debba affermarsi che misure di polizia restrittive della libertà personale a carico di persone socialmente pericolose possono essere disposte solo per legge e sotto il controllo dell’autorità giudiziaria, ed aggiungere che in nessun caso la legge può consentire tali misure per motivi politici.

Erano già sufficientemente indicati la ragione e il titolo per cui si possa procedere a misure restrittive della libertà personale anche fuori dell’accertamento di reato a carico di persona socialmente pericolosa; ma, a dirimere ogni legittima preoccupazione fatta sorgere dalla tragica e dolorosa esperienza che molti di noi abbiamo vissuto, è ben chiaro che questi provvedimenti, in ogni caso, non possono essere adottati per motivi politici; che i casi di misure restrittive della libertà nei confronti di persone socialmente pericolose devono essere tassativamente indicati dalla legge, ed il controllo per l’applicazione di queste misure è riservato esclusivamente all’autorità giudiziaria, e non anche all’autorità di polizia.

Continuando nello svolgimento degli emendamenti presentati, mi soffermerò brevemente su quello proposto, insieme con i colleghi Benvenuti e Avanzini, all’articolo 9:

«Alle parole: nei casi stabiliti dalla legge, sostituire le altre: nei casi di inchiesta penale».

Il progetto dice che la libertà e la segretezza di corrispondenza e di ogni forma di comunicazione sono garantite e che la loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria, nei casi stabiliti dalla legge. È un diritto, quello della segretezza della corrispondenza, cui dobbiamo assicurare una garanzia di tutela e di difesa. Non possiamo, quindi, non considerare nella Carta costituzionale le limitazioni che questo diritto può subire. La sua limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria, nei casi stabiliti dalla legge. Il legislatore futuro può fare una casistica che sostanzialmente ferisca e vulneri lo spirito che ha determinato la formulazione dell’inviolabilità di questo diritto. È necessario dire nella Carta costituzionale che tale diritto può essere sospeso soltanto nel caso di inchiesta penale; ed anche qui per provvedimento dell’autorità giudiziaria.

All’uopo mi permetto di sottoporre alla considerazione del Comitato di redazione che un altro caso deve essere previsto nella limitazione dell’esercizio del diritto di segretezza di corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione: caso di inchiesta penale, ma altresì caso di stato di guerra. Si dovrà necessariamente formulare un articolo aggiuntivo nel quale si dica che determinati diritti considerati nella Carta costituzionale saranno sospesi nel caso di guerra.

PRESIDENTE. Onorevole Bulloni, mi permetta. Per non allungare troppo la materia nello svolgimento degli emendamenti, possiamo restare a quelli che lei ha già svolto.

BULLONI. Avevo raccolto l’invito del Presidente di esaurire tutti gli emendamenti in una sola volta.

PRESIDENTE. Siccome ho visto che è difficile tenere dietro a tutte queste varie argomentazioni, possiamo fermarci per adesso agli articoli che lei ha trattato. A suo tempo avrà facoltà di svolgere gli altri emendamenti.

BULLONI. Va bene.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Costantini e Fedeli Aldo hanno proposto di sostituire l’articolo 8 col seguente:

«La libertà personale ed il domicilio sono inviolabili, salvo le limitazioni tassativamente fissate dalla legge.

«Nei casi di necessità ed urgenza o flagranza di reato, gli organi di pubblica sicurezza possono adottare misure provvisorie, soggette alla convalida dell’Autorità giudiziaria entro le quarantotto ore, a pena di decadenza».

L’onorevole Costantini ha facoltà di svolgere l’emendamento.

COSTANTINI. Le ragioni che mi hanno determinato a presentare l’emendamento sostitutivo all’articolo 8, possono trovarsi nella relazione dell’onorevole Presidente della Commissione dei Settantacinque, là dove egli afferma, e condivido la sua opinione, che la Costituzione deve essere il più possibile breve, semplice, chiara e accessibile a tutto il popolo. Sembra a me che le disposizioni contenute nell’articolo 8 possano trovare, sotto l’aspetto formale più che sostanziale, un’espressione più concisa e più accessibile al popolo, cioè meglio rispondente a quei principî che l’onorevole Presidente della Commissione ha enunciati quasi come presupposto di ogni norma costituzionale.

Mi permetto di richiamare l’attenzione degli onorevoli colleghi sulla prima parte dell’articolo 8, in cui si dice che la libertà personale è inviolabile, che non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale o domiciliare, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. Oso ritenere che quando noi affermassimo nella Carta costituzionale, come io ho proposto, che la libertà personale e il domicilio sono inviolabili, salvo le limitazioni tassative fissate dalla legge, avremmo stabilito i presupposti fondamentali delle norme contenute nei primi due commi dell’articolo 8. Invero, tutto ciò che riguarda la libertà della persona e non soltanto l’arresto o il fermo, ma anche la perquisizione, la ispezione personale, ecc., entra nel concetto lato del diritto alla libertà e alla protezione o tutela della personalità umana, diritto o tutela della libertà, in senso assoluto, che noi intendiamo proteggere.

Nella seconda parte, cioè col terzo comma dell’articolo 8, il progetto determina quelle che noi potremmo chiamare le eccezioni alla norma generale, e che sono dettate – come ha osservato esattamente il Relatore della Commissione, onorevole Basso – dalle necessità dello svolgersi della vita quotidiana, dalle necessità di operare degli organi di pubblica sicurezza. Si tratta di limitazioni, oltre che provvisorie, eccezionali. Ciò nonostante, seguendo il concetto espresso nell’articolo 8 come è formulato dalla Commissione, ho ritenuto di dire che nei casi di necessità e urgenza o flagranza di reato gli organi di pubblica sicurezza possono adottare misure provvisorie, soggette alla convalida dell’autorità giudiziaria entro le 48 ore a pena di decadenza. Decadenza, si intende, che colpirà quelle misure provvisorie ed eccezionali che l’autorità di pubblica sicurezza avesse ritenuto necessario di adottare in determinate circostanze, tra le quali specificamente è indicata anche la flagranza del reato.

Ritengo, come qualche collega che mi ha preceduto nella discussione generale, che debba essere soppresso l’ultimo capoverso dell’articolo 8. A mio avviso, è ben vero che noi usciamo dalla tragica situazione causata da un regime il quale ha violato tutte le libertà e la dignità umana, per cui anche gli organi di polizia non potevano che risentire e riflettere questa situazione particolarissima, ma non è men vero che quel regime è stato una eccezione, e non costituisce un’abitudine; che è stato un regime di sopraffazione della volontà popolare e non un regime sentito e voluto dal popolo italiano. Non possiamo dimenticare altresì che le leggi ordinarie, il codice penale, il regolamento di polizia e il regolamento carcerario stabiliscono quale debba essere la tutela del detenuto e dell’arrestato, stabiliscono altresì le sanzioni punitive nei riguardi di chi manchi di rispetto all’integrità fisica e morale, alla dignità personale del detenuto. Pertanto che da noi si debba, come ha detto l’onorevole Tupini, «per ricordare il periodo nefasto, durante il quale abbiamo personalmente pagato lo scotto della violazione di codesta norma», inserire nella Carta costituzionale del nostro Paese – che non è neanche una Carta limitata ad uso interno, ma è destinata alla diffusione anche all’estero – una disposizione che offende i principî fondamentali delle tradizioni di civiltà, della dignità e della libertà umane, e quindi stabilire nella Costituzione stessa che gli agenti della pubblica sicurezza, i tutori dell’ordine in generale, i custodi delle carceri, non devono maltrattare i detenuti, mi sembra significhi andare un po’ al di là delle nostre colpe recenti, a tutto danno della nostra tradizione civile.

Ecco perché, onorevoli colleghi, oltre che per la questione di forma, che interessa i primi commi dell’articolo 8, io credo di dover richiamare la vostra attenzione sull’ultimo comma, perché dissento profondamente da quanto ha detto l’onorevole Tupini. Se il fascismo è passato come una bufera, noi vogliamo dimostrare – perché è vero, e noi tutti lo sappiamo – che esso non ha lasciato traccia nell’animo dei cittadini e che bastano le leggi ordinarie per assicurare il massimo rispetto dei detenuti, senza che debba formare oggetto della nostra Carta costituzionale questa garanzia, la quale è talmente elementare da considerarla soltanto i popoli che sono di civiltà embrionale e non appartengano a quel grado avanzato di civiltà che l’Italia ha diritto ed orgoglio di rivendicare per sé. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Gli onorevoli Bettiol, Leone Giovanni e Meda hanno proposto di sostituire l’articolo 8 col seguente:

La libertà personale è inviolabile.

Nessuno può esserne privato, salvo il caso di flagranza di reato, se non per atto dell’autorità giudiziaria nei casi e nei modi previsti dalla legge.

Il fermo di polizia non è ammesso che per fondato sospetto di reato e di fuga. Il fermo e l’arresto di polizia non possono durare più di quarantotto ore.

Decorso tale termine, la persona fermata o arrestata deve essere rimessa in libertà, a meno che l’Autorità giudiziaria, informata del caso, non abbia convalidato il provvedimento.

È vietata ogni violenza fisica o morale nei confronti delle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà.

L’onorevole Bettiol ha facoltà di svolgere l’emendamento.

BETTIOL. Vorrei chiedere all’onorevole Presidente se mi è concesso di parlare su tutti gli emendamenti presentati, che sono quattro o cinque, o soltanto sugli emendamenti dell’articolo 8.

PRESIDENTE. Soltanto sugli emendamenti all’articolo 8. Lei, oltre ad aver presentato quello testé letto, ha firmato l’articolo 8-bis, già svolto dall’onorevole Bulloni.

BETTIOL. Ho presentato un emendamento, e poi ho firmato un secondo emendamento, i quali tendono a sbloccare l’articolo 8 dal progetto costituzionale, in nome più che di un’esigenza logica astratta, di un’esigenza logica concreta, cioè di quella esigenza logica che porta a distinguere i beni giuridici che vengono ad essere tutelati e che formano l’anima dei diritti qui riconosciuti e categoricamente affermati.

Col mio emendamento all’articolo 8, firmato anche dai colleghi Leone Giovanni e Meda, dopo avere affermato che la libertà personale è inviolabile, vengo a considerare due casi nettamente distinti: il caso in cui la limitazione o la privazione della libertà personale sia conseguenza di un atto o di un provvedimento dell’autorità giudiziaria; il caso, in cui questa limitazione avvenga per opera della polizia: è il famoso «fermo» di polizia.

Mi sono preoccupato di espressamente richiamare nella Costituzione questo istituto, il quale ormai esiste nella nostra prassi; non è stato affatto una creazione ibrida o perniciosa del ventennio, ma già esisteva prima che il fascismo venisse a travolgere le libertà fondamentali dell’individuo, come necessità concreta, pratica della società, come strumento di difesa per fermare, bloccare, colpire i più pericolosi delinquenti. Ora, mi pare che anche sul terreno costituzionale questo istituto debba ottenere un riconoscimento e debba essere anche limitato in modo chiaro e preciso, nel senso che per il fermo di polizia sia necessario che sussista un fondato sospetto di reato e di fuga; non basta soltanto il sospetto di reato, né è sufficiente il puro e semplice sospetto di fuga, ma devono concorrere entrambi perché questo provvedimento possa essere preso dall’autorità di polizia. Naturalmente, tanto il fermo, quanto l’arresto di polizia, non possono durare più di. 48 ore, perché, se il provvedimento non è poi convalidato dall’autorità giudiziaria, la persona deve essere immediatamente rimessa in libertà.

Ho voluto poi, con l’ultimo comma dell’emendamento, ribadire categoricamente il principio che ogni violenza fisica o morale, nei confronti di persone comunque sottoposte a restrizione di libertà, deve essere, vietata. Prego di fare attenzione sulla scelta di questa espressione: «vietata». Nel progetto di Costituzione, si dice «punita». Ma il termine «punita» richiama troppo da vicino il Codice penale; è, un’espressione tecnica, propria della legislazione penale e, come tale, presupporrebbe la previsione d’una sanzione specifica che non può essere invece prevista nella Carta costituzionale. Meglio dunque, dal punto di vista tecnico, usare l’espressione «vietata».

Concordo poi perfettamente con l’onorevole Tupini sulla necessità di mantenere fermo quest’ultimo comma dell’articolo, e dissento al riguardo da quanto l’onorevole Costantini ha testé affermato. La nostra Costituzione deve essere, infatti, una Costituzione antipoliziesca, in quanto è antifascista; e, purtroppo, sino a tanto che non verrà meno quel diaframma, quella diffidenza reciproca che c’è tra polizia da una parte e cittadini dall’altra, io credo sia opportuno che tale divieto sia espressamente e categoricamente sancito nella Carta costituzionale.

PRESIDENTE. L’onorevole Gabrieli ha proposto di sostituire il terzo comma col seguente:

«L’arresto di una persona senza ordine o mandato dell’Autorità giudiziaria può avere luogo nei soli casi contemplati dalla legge e con le garanzie ch’essa stabilisce».

L’onorevole Gabrieli ha facoltà di svolgere l’emendamento.

GABRIELI. L’emendamento muove dal proposito di rendere più rigorosa la garanzia della libertà umana, di limitare ogni forma di restrizione della libertà personale, senza l’intervento dell’autorità giudiziaria, a casi tassativamente indicati dalla legge.

Come è noto, l’arresto senza ordine o mandato dell’autorità giudiziaria ha luogo solamente nei casi di flagranza del reato. E a tali casi conviene si limiti l’attenzione del legislatore. Il fermo, così come è stato previsto dall’articolo 238 del Codice di procedura penale e dalla legge di pubblica sicurezza, va abolito. Esso, nel ventennio fascista, servì a legittimare lunghi periodi di detenzione in carcere di innocenti, vittime dei sospetti e delle apprensioni della polizia. Né vale il dire che le misure provvisorie debbono essere convalidate dal giudice nelle 48 ore. Chi ha pratica degli affari giudiziari sa quanto siano scarsamente rispettati tali termini e come spesso le misurò provvisorie si convertano in misure permanenti.

Il comma 3° non può essere perciò approvato; la sua redazione non sodisfa le esigenze di una legislazione informata all’assoluto rispetto della libertà personale, né le esigenze di una precisa terminologia giuridica.

I casi di necessità e di urgenza richiamati nel comma rispondono a concetti vaghi ed indeterminati, praticamente affidati all’arbitrio di chi deve applicarli. I soli casi di necessità e di urgenza, in un Codice ispirato a criteri di libertà, sono quelli determinati dalla flagranza del reato; ed in presenza di essi può essere autorizzato l’immediato intervento della polizia.

L’espressione poi «misure provvisorie» ci lascia ancor più perplessi, in quanto si tratta di un termine generico, che non ha, nella dottrina e nella pratica del diritto, un significato preciso ed un contenuto determinato. La formulazione del comma è anche imperfetta, perché prevede l’ipotesi che la limitazione della libertà personale è eseguita solo dalla pubblica sicurezza, mentre, come è noto, l’articolo 242 del Codice di procedura penale prevede la limitazione della libertà personale, ed aggiunge che può essere compiuta anche dal privato in caso di flagranza di reato perseguibile d’ufficio.

Per questa ragione chiedo che il mio emendamento venga a sostituire il 3° comma dell’articolo 8.

PRESIDENTE. L’onorevole Caroleo ha presentato il seguente emendamento.

«Al terzo comma, alle parole: misure provvisorie, premettere: prestabilite; inserire la parola: immediatamente, tra le parole: sono e revocate; sopprimere le parole: e restano prive di ogni effetto».

Ha facoltà di svolgerlo.

CAROLEO. Il mio emendamento si fonda sul presupposto che resti ferma la formulazione del progetto di cui stiamo discutendo, e si rivolge a premettere alle parole «misure provvisorie», per cui si lascerebbe un certo potere discrezionale all’Autorità di pubblica sicurezza, la parola «prestabilite», perché quello che preme in questa materia è soprattutto di disciplinare l’eccezione alla regola generale. È un luogo comune, onorevoli colleghi, che la eccezione confermi la regola, e questo principio è esatto; però, ad una condizione, che l’eccezione sia tassativamente e rigorosamente disciplinata. Nello statuto albertino noi avevamo una formulazione rigorosa, pressoché identica nella prima parte a quella del nostro progetto di Costituzione: «La libertà personale è garantita. Nessuno può essere arrestato o tradotto in giudizio, se non nei casi previsti dalla legge e nelle forme che essa prescrive».

Però noi sappiamo che cosa di questo principio si è fatto durante il regime fascista, attraverso quella legge di pubblica sicurezza vigente, che dall’articolo 1, in cui si autorizza l’Autorità di pubblica sicurezza ad ingerirsi anche nelle materie di diritto privato dei cittadini, va ai pieni poteri dell’articolo 5, che stabilisce una sanzione di arresto contro chi non adempia all’invito di comparizione, fino ad un articolo 170, nel quale si concedono i pieni poteri ad una Commissione di ammonizione, e ad un articolo 173, in cui quei pieni poteri non si limitano neppure nel caso di un errore al fatto della Commissione stessa. Quindi, dove si parla di misure provvisorie, poiché abbiamo dei precedenti, che non si devono dimenticare, è bene premettere la parola «prestabilite».

In altri termini, devono cessare i poteri dispotici degli organi di polizia ed anche del Pubblico Ministero, cui dovranno segnarsi dei limiti anche per l’emissione di quei mandati, per i quali non può consentirsi un potere discrezionale, non può ammettersi il così detto mandato di cattura facoltativo, di cui si abusa nella pratica di tutti i giorni.

Un’altra aggiunta va fatta fra le parole «sono» e «revocate», inserendovi l’avverbio «immediatamente».

Penso che ciò sarebbe opportuno per evitare il verificarsi dei soliti palleggiamenti burocratici. Chi dovrà provvedere per la revoca? Quando si dovrà provvedere? In altri termini, quell’«immediatamente» serve a stabilire che ci sarà una decadenza di diritto e di fatto immediata, se la convalida di quella tale misura provvisoria prestabilita non interverrà nei termini fissati dalla legge.

E da ultimo, mi pare che non sia utile mantenere le parole «restano prive di ogni effetto», perché quando le misure provvisorie, che possono essere una perquisizione, un’ispezione o un arresto, si sono tradotte praticamente nella realtà, non c’è nessuno che le possa togliere ed il dire «restano senza effetto» potrebbe significare ciò che la nostra Costituzione non vuole e che non vuole l’ultimo capoverso dello stesso articolo, cioè un esonero o una limitazione della responsabilità della pubblica sicurezza per tutto quello che si traduce in una violazione dei diritti del cittadino.

Perciò io mi auguro che l’onorevole Commissione voglia accettare questo mio emendamento, e l’Assemblea ne voglia confermare l’accettazione.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Murgia, Avanzini e Benvenuti hanno proposto di aggiungere alla fine dell’articolo 8:

«La legge determina i limiti massimi della carcerazione preventiva».

L’onorevole Murgia ha facoltà di svolgere l’emendamento.

MURGIA. La ragione del mio emendamento è quasi ovvia. Non esiste, infatti né nella Costituzione, né nel Codice di procedura penale alcun principio o norma che fissi un limite all’attesa dell’imputato detenuto. La ragione unica e sola della privazione della libertà di un cittadino è quella di una presunzione di colpevolezza. E qui due sono i casi: o tale presunzione ha a sostegno una prova sicura di responsabilità dell’imputato, e in tal caso esso deve essere rinviato a giudizio senza ritardo, o tale prova difetta o vi sono soltanto degli indizi che non assurgono a serietà di prova e in tal caso l’imputato deve essere scarcerato per assoluzione, o quanto meno deve essergli concessa la libertà provvisoria, la quale non è assoluzione; libertà provvisoria che è legittimata dalla vaghezza degli indizi e sancita dalle più grandi Costituzioni, da quella degli Stati Uniti a quella inglese.

Nella formulazione originaria del mio emendamento avevo, anzi, stabilito in 90 giorni il limite massimo della custodia preventiva per i reati di competenza del Tribunale; ciò in considerazione che la legge del 1944 fissa in sei mesi tale limite e in otto per alcuni reati di competenza della Corte di assise; termini troppo lunghi, se si pensa che essi segnano non la data della scarcerazione o della fissazione del dibattimento, ma quella della chiusura dell’istruttoria, dal quale termine decorrono, come si sa, dei mesi e talvolta anche, per reati di Corte di assise, qualche anno, prima che sia effettivamente celebrato il dibattimento.

Quindi, poiché, come ho detto, solo la prova di colpevolezza e quindi la previsione della condanna può giustificare la carcerazione preventiva, ragioni di giustizia e di umanità comandano che sia fissato un limite insuperabile, entro il quale devono essere raccolte le prove e chiusa l’istruttoria, o, in difetto, concessa la libertà provvisoria.

Ritengo, quindi, che per queste ragioni, che non illustro ulteriormente per aderire all’invito dell’onorevole Presidente che ci ha raccomandato il massimo della brevità e concisione, la Commissione debba riconoscere opportuno l’emendamento.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Lucifero, Russo Perez, Corbino, Condorelli, Colonna, Bellavista, Quintieri Quinto, Perrone Capano, Cortese e Badini Confalonieri hanno presentato il seguente emendamento all’articolo 8-bis proposto dall’onorevole Bulloni ed altri:

«Il domicilio è inviolabile.

«Nessuno vi si può introdurre o eseguirvi ispezioni o perquisizioni o sequestri, se non nei casi di legge o per ordine dell’Autorità giudiziaria, salvo quanto previsto dalla legge per esigenze di sanità o di pubblica incolumità.

«Solo in casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l’Autorità di pubblica sicurezza può prendere misure provvisorie che debbono essere comunicate entro quarantotto ore all’Autorità giudiziaria. Per la convalida valgono le disposizioni dell’articolo precedente.

«Gli ufficiali della pubblica sicurezza potranno introdursi nel luogo o nei luoghi, diversi dall’abitazione, ove la persona esplichi la sua attività, per i soli accertamenti previsti dalla legge in materia economica e fiscale».

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Onorevoli colleghi, l’onorevole Lucifero mi consenta di prendere la parola prima di lui per una mozione d’ordine. Viene proposto un articolo 8-bis a titolo di sdoppiamento dell’articolo 8 e al fine di dare un rilievo speciale alla libertà del domicilio.

La Commissione è favorevole a questo emendamento e se del pari vi consentirà l’Assemblea, l’articolo 8-bis potrà diventare l’articolo 9 della Costituzione.

Se l’onorevole Presidente consente, potrei, a questo punto, rispondere a tutti coloro che hanno parlato sull’articolo 8, eccettuata la questione riguardante il domicilio.

PRESIDENTE. Onorevole Tupini, alcuni presentatori di emendamenti hanno già trattato di questo particolare problema. Ora l’onorevole Lucifero presenta un suo emendamento in materia. Il primo emendamento, quello dell’onorevole Bulloni, è già stato svolto, e quindi, il parere che ella potrebbe pronunciare in merito a nome della Commissione sarebbe tardivo.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Vi è la proposta di un articolo 8-bis anche da parte dell’onorevole Basso e altri.

PRESIDENTE. Questa proposta mi è pervenuta adesso. Ad ogni modo penso che siccome la proposta di redigere separatamente un articolo 8-bis è sorta nell’esame dell’articolo 8, si possono esaminare insieme i due articoli che disciplinano la stessa materia.

L’onorevole Lucifero ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

LUCIFERO. Volevo dire la stessa cosa. Il mio emendamento, come quelli dell’onorevole Bulloni e dell’onorevole Basso, si riferisce all’articolo 8. Esso consiste innanzitutto nella proposta di sdoppiare nell’articolo 8 quello che riguarda la libertà personale da quanto riguarda la libertà domiciliare; e in secondo luogo nel contenuto dell’emendamento stesso.

Non mi soffermo sull’opportunità dello sdoppiamento, perché già è stata illustrata.

La libertà di domicilio era già stata accennata di striscio in una parola «o domiciliare», mentre invece noi troviamo che il domicilio è una cosa talmente sacra e così integrante della persona umana che non possiamo non garantirlo in modo particolare ed evidente.

Non m’intratterrò nemmeno sui primi tre commi del mio emendamento, i quali più o meno corrispondono a quelli presentati da altri colleghi.

Ho tenuto solamente a chiarire che non costituisce violazione di domicilio la penetrazione in esso, quando si faccia in applicazione di leggi dettate per esigenze di incolumità o sanità pubblica.

È evidente che, se ufficiali sanitari, in caso di epidemia, fanno visite domiciliari, per constatare l’esistenza di ammalati o di condizioni sanitarie adeguate, questo non può considerarsi violazione di domicilio.

Io richiamo l’attenzione dell’Assemblea sull’ultimo comma del mio emendamento:

«Gli ufficiali di pubblica sicurezza potranno introdursi nel luogo o nei luoghi diversi dall’abitazione, ove la persona esplichi le sue attività, per i soli accertamenti previsti dalla legge in materia economica e fiscale».

Io mi riporto ad una frase detta dal relatore onorevole Basso, cioè: Vi sono degli urti, certe volte, tra le formule tradizionali e le realtà nuove.

Ora, l’inviolabilità del domicilio ha qualcosa di sacro, di religioso nelle sue origini. Ma la vita moderna, ha sempre dovuto porre a questo asilo, che è la casa dell’uomo, nuovi limiti, per le necessità della vita sociale e collettiva.

Oggi siamo arrivati ad un punto, in cui veramente la casa e l’ufficio non sono più la stessa cosa per il cittadino. Ed allora, di fronte a questa nuova realtà, dobbiamo anche avere il coraggio, non solo di pensare in termini nuovi, ma di parlare in termini nuovi. Cioè: visto che questa realtà c’è, che casa ed ufficio non sono più la stessa cosa, visto che l’uomo svolge una quantità di attività nel suo ufficio, sulle quali lo Stato deve esercitare sorveglianza e controllo per ragioni fiscali e per l’applicazione di leggi economiche, è evidente che dobbiamo garantire questa distinzione fra casa ed ufficio.

E noi possiamo garantire la inviolabilità del domicilio, che è il tetto del cittadino e della sua famiglia, soltanto quando avremo chiarito che per questo non valgono le stesse norme che valgono per il suo ufficio, dove egli tiene le sue carte.

Né si dica che, alla fine, questa differenziazione potrebbe facilitare l’evasione del cittadino a determinati obblighi, trasportando dall’ufficio a casa quello che non vuole sia visto; perché, anzi, accadrà proprio il contrario. Quando il cittadino saprà che, se nel suo ufficio la «tributaria» non trova quel tale registro, non solo gli appioppa una multa, ma viene a frugargli dentro casa, il registro sarà tenuto in ufficio.

Sarà un incentivo per obbligare il cittadino a fare il suo dovere.

D’altra parte io, conservatore, sono del parere che dobbiamo avere il coraggio di adattare ai tempi alcune formule tradizionali.

Oggi i tempi sono quelli che sono e l’evoluzione ha portato a questo: che il domicilio comprende la casa e l’ufficio; la casa privata del cittadino ed anche l’ufficio dell’ente e delle società.

Se vogliamo garantire la casa, dobbiamo distinguerla dall’ufficio. È una cosa nuova che introduciamo nella Costituzione.

D’altra parte, le Costituzioni si fanno per introdurre novità; e delle novità quando sono sagge, non bisogna aver paura.

Noi, conservatori, amiamo certe novità, perché esse rinverdiscono e garantiscono gli istituti.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Basso, Laconi, Mortati e Perassi hanno presentato la seguente formulazione dell’articolo 8-bis, che rinunciano ad illustrare:

«Il domicilio è inviolabile.

«Nessuno vi si può introdurre o eseguirvi ispezioni o perquisizioni o sequestri, senza ordine motivato dall’Autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.

«Per i casi eccezionali di necessità e di urgenza valgono le disposizioni dell’articolo precedente a tutela della libertà della persona.

«Gli accertamenti e le ispezioni per motivi di sanità, di incolumità pubblica o per scopi economici e fiscali sono regolati da leggi speciali».

Sono stati così svolti tutti gli emendamenti relativi agli articoli 8 e 8-bis. Dobbiamo ora passare alla votazione sugli emendamenti stessi.

Alcuni di essi si contrappongono comma per comma, altri in una maniera non così precisa.

Vi è anzitutto l’emendamento dell’onorevole Mastino Pietro, che tende a sostituire l’articolo 8 col seguente:

«Sostituire col seguente:

«La persona umana è inviolabile».

Non essendo presente l’onorevole Mastino Pietro, l’emendamento si intende decaduto.

Chiedo alla Commissione di esprimere il suo avviso sugli emendamenti.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Faccio notare prima di tutto all’onorevole Bulloni che, come già si è detto in precedenza, la Commissione è stata favorevole ad accogliere, non già il testo dell’emendamento che riguarda la inviolabilità del domicilio, ma l’idea che per quanto attiene al domicilio si debba fare un articolo a parte. Questo emendamento è stato già proposto da vari oratori e l’onorevole Lucifero ha proposto a sua volta un emendamento all’emendamento, ma di questo parleremo dopo.

Per ora io mi limiterei a proporre alla Assemblea, per la regolarità della discussione dei vari emendamenti, che, poiché si è deciso di accettare l’idea dello sdoppiamento dell’articolo 8 per fare un posto speciale alla questione della libertà e della inviolabilità del domicilio, l’articolo così come è presentato dalla Commissione rimanesse integro, meno l’inciso «o domiciliare» alla terza riga del primo capoverso.

Riprendendo quindi in esame l’emendamento dell’onorevole Bulloni, mi affretto a dire al collega che le idee in esso contenute non ci trovano sostanzialmente avversi; ma noi riteniamo che il concetto espresso nel suo emendamento sia meglio formulato nell’articolo del progetto dove, quando si dice che non è ammessa alcuna forma di detenzione o qualsiasi altra restrizione della libertà personale, intendiamo riferirci anche a quel fermo di polizia, o arresto di polizia, che non vorremmo nemmeno vedere onorato di menzione in un articolo di Costituzione, in quanto che ci basta, con termine più tecnico e più appropriato, comprendervi anche il fermo, quando diciamo «detenzione o qualsiasi altra restrizione».

Quanto poi al resto dell’emendamento, faccio osservare all’onorevole Bulloni che, in fondo, la preoccupazione di che è saturo tutto l’articolo del progetto è quella che io ho avuto l’onore di svolgere poc’anzi e cioè di fissare dei punti fermi di garanzia della libertà del cittadino. Ed è perciò che l’articolo del progetto fa continuo riferimento alla legge e all’autorità del magistrato.

Crediamo, con questa formula, di avere esaurito e di avere anche accolto tutte le preoccupazioni di cui si è fatto eloquente interprete l’onorevole Bulloni allorquando ha svolto il suo emendamento; per cui io, arrivato a questo punto, mi permetto di pregare l’onorevole Bulloni di non insistere nella sua proposta e l’Assemblea di votare l’articolo così come è stato da noi presentato.

Segue nell’ordine l’emendamento dell’onorevole Costantini. Valgono per questo, a me sembra, le considerazioni che ho avuto l’onore di svolgere a proposito dell’emendamento dell’onorevole Bulloni. Solo faccio osservare all’onorevole Costantini che la sua preoccupazione di stringatezza, che rappresenta il criterio direttivo del suo emendamento, potrebbe essere pericolosa, dato che si parla soltanto della flagranza e non si precisa, così come noi abbiamo creduto – sia pure in limiti il più possibile concisi – questa esigenza razionale di tutela della libertà personale. Noi crediamo che queste esigenze siano meglio sodisfatte dalla nostra formula, anche se all’onorevole Costantini sembra troppo ridondante. L’onorevole Costantini sa che sono affiorate nella discussione generale delle preoccupazioni di carattere opposto: che fossimo stati, cioè, troppo stringati; e noi abbiamo detto le ragioni per cui crediamo che si possano vedere esaudite e sodisfatte tanto le esigenze di coloro che vorrebbero dire di meno, quanto le esigenze di coloro che vorrebbero dire di più.

Analoga considerazione devo fare all’onorevole Bettiol. In fondo, egli riproduce, quasi negli stessi termini, quello che l’onorevole Bulloni ha compreso nel suo emendamento. Valgano anche per lei, onorevole Bettiol, le considerazioni da me svolte a sostegno della formulazione presentata dalla Commissione.

Circa l’emendamento aggiuntivo proposto dall’onorevole Crispo in ordine al sequestro di cose o atti, faccio osservare che la Commissione è disposta ad accettarlo, ma con riserva di proporne il collocamento nel comma dell’articolo 8-bis relativo alla libertà del domicilio.

L’emendamento dell’onorevole Gabrieli si esprime in termini così concisi e stringati da superare quelli stessi dell’onorevole Costantini. Devo osservare all’onorevole Gabrieli che a voler essere troppo brevi si rischia di diventare oscuri, e perciò lo invito a non insistere per le stesse ragioni che mi hanno indotto a respingere l’emendamento dell’onorevole Costantini, tanto più che la formula del progetto può sodisfare, a mio avviso, le nobili preoccupazioni dell’onorevole Gabrieli.

All’onorevole Caroleo osservo, a proposito del suo emendamento, col quale propone di premettere alle parole «misure provvisorie» l’altra «prestabilite», che ove la nostra formula fa riferimento alla legge, il concetto di prestabilito o di previsto è implicito. Si tratta quindi di un’aggiunta superflua o pleonastica e perciò lo preghiamo di non insistervi. Quanto poi all’emendamento dello stesso onorevole Caroleo, col quale si propone la soppressione delle parole «e restano prive di ogni effetto», osservo che la formula del progetto contempla due ordini di casi: il caso di privazione della libertà personale ed il caso di perquisizione di carattere personale.

Ella comprende, onorevole Caroleo, che se togliamo le parole «restano prive di ogni effetto», rimane senza senso la conservazione dell’ipotesi di perquisizione che, quando è avvenuta, almeno nella sua materialità, non può rimanere priva di effetto. Non si può revocare ciò che è irrevocabile. La perquisizione quando è fatta è fatta. Il più che possiamo dire è che le misure provvisorie restano prive di ogni effetto giuridico. Ed è per questa ragione, proprio in relazione al valore che questa formulazione ha ed al concetto a cui si riferisce, che noi preghiamo l’onorevole Caroleo di non insistere nel suo emendamento. E così pure di ritirare il terzo emendamento diretto ad aggiungere «immediatamente» alla parola «revocate». Evidentemente nella parola «revocate» è implicito il concetto dell’immediatezza. Ogni aggiunta inutile è superflua e perciò confido nel consentimento dell’onorevole Caroleo.

CAROLEO. È per chiarire: immediatamente se non avviene la convalida.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Questo lo dice la legge: quindi «immediatamente» può effettivamente essere anche qui un termine pleonastico, perché è automatico che vengano revocate di diritto. Se mai potremmo dire «di diritto». Proponga, se crede, onorevole Caroleo, un emendamento in questo senso.

CAROLEO. Lo propongo senz’altro.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. All’onorevole Crispo rivolgo la preghiera di voler ritirare il suo emendamento che sostituisce «autorità di polizia» ad «autorità di pubblica sicurezza». Noi abbiamo sempre parlato in tutti questi articoli di autorità di pubblica sicurezza che riteniamo sia più proprio. Questa è veramente una questione che potrebbe rientrare in quelle di stile e che hanno quindi un valore formale e non sostanziale. Comunque, onorevole Crispo, per noi «autorità di pubblica sicurezza» è preferibile all’altra «autorità di polizia» da lei proposta.

CRISPO. L’autorità di pubblica sicurezza è un corpo determinato, e ciò potrebbe dar luogo ad equivoci. Potrebbe far pensare che non comprende anche i carabinieri.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. No, è più estesa, perché l’autorità di pubblica sicurezza comprende tutta la forza pubblica.

CRISPO. Il mio concetto è che questa dizione potrebbe dare luogo ad equivoco.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. L’onorevole Grilli propone la soppressione dell’ultima parte dell’articolo 8. Altrettanto vorrebbe l’onorevole Costantini. Altri colleghi hanno sostenuto il pensiero opposto. Noi siamo con questi ultimi, non soltanto per le ragioni già dette, ma anche per un’altra ragione, cioè per il senso di umanità che vi si afferma e che rappresenta un titolo d’onore, un sigillo speciale di questa nostra Costituzione. Spero che l’onorevole Grilli vorrà condividere questo apprezzamento, nel quale la Commissione è stata e si mantiene unanime.

L’onorevole Patricolo vorrà consentire di rinviare la sua proposta di trasferimento di questo articolo a quando dovremo prendere in esame i suoi precedenti emendamenti che riguardano l’intero capitolo.

L’onorevole Murgia desidera stabilire i limiti massimi della carcerazione preventiva. A ciò, io penso, dovrà provvedere la legge. In sede costituzionale mi sembra sufficiente il costante riferimento del progetto alla legge e all’autorità giudiziaria. Noi diamo le direttive generali, dalle quali il legislatore non potrà né dovrà mai allontanarsi. Domando perciò all’onorevole Murgia di non insistere nel suo emendamento, la cui esigenza mi sembra sodisfatta dalla nostra formula.

L’onorevole Veroni ha proposto un emendamento che vorrei chiamare formale, non sostanziale. Esso riguarda l’ultima parte dell’articolo 8, perché alle parole: «È punita» si premetta «repressa» e precisamente: «È repressa e punita».

Onorevole Veroni, nell’affermazione di punizione, mi pare sia implicito il concetto di repressione. Se è punita, è evidentemente repressa. Noi crediamo che il suo emendamento sia pleonastico e preferiamo perciò la nostra formula.

Preferiamo del pari questa formula anche nei confronti di coloro che hanno domandato nei loro emendamenti di sostituirla con l’altra: «è vietata». Noi abbiamo fatto oggetto, in sede di Commissione, di attento esame anche questo emendamento ed abbiamo ritenuto che fosse più fortemente espresso il concetto nel verbo: «è punita», cioè è repressa con punizione.

Credo così di avere risposto a tutti coloro che sono intervenuti nella discussione, o che hanno presentato emendamenti.

PREZIOSI, Non ha risposto al mio.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Scusi, onorevole Preziosi, non l’avevo veduta.

L’onorevole Preziosi ha proposto di sostituire l’ultimo periodo del terzo comma col seguente:

«La quale ha l’obbligo di provvedere alla convalida di esso entro le successive quarant’otto ore, altrimenti si intendono revocate e prive di ogni effetto».

Lei, onorevole Preziosi, ha pratica forense, forse anche più di me, perché esercita la professione legale con maggiore intensità di quello che non faccia io, almeno in questi momenti: lei sa quanto sia difficile in un termine così breve, tassativamente stabilito – nientemeno! – dalla Costituzione, di poter fare tutti quegli accertamenti che possono portare ratione cognita, o cognita causa, a un provvedimento successivo dell’autorità giudiziaria. Abbiamo esaminato con molta attenzione questa sua proposta in sede di Commissione, e ci siamo resi conto della difficoltà di dover fissare nella Costituzione un termine così perentorio, soprattutto per questo ordine di considerazioni: se questo termine è possibile mantenerlo, sarebbe facile anche accoglierlo; ma, come noi siamo convinti che non è possibile esaurire in così breve termine l’intervento dell’autorità giudiziaria, allora possono derivarne due conseguenze opposte: o che il termine cada in desuetudine, o che occorra prorogarlo mediante una modifica della Costituzione. L’onorevole Preziosi vorrà quindi rendersi conto della gravità delle conseguenze, ad evitare le quali non c’è che da tener ferma la formula del progetto. Naturalmente il legislatore futuro non potrà non attenersi a termini brevi in omaggio alle considerazioni espresse dall’onorevole Preziosi, e che sono da noi tutti condivise, ma volerli fissare fin da ora mi sembra imprudente e pericoloso. Lo stesso onorevole Veroni, nel richiamare i provvedimenti legislativi da me a suo tempo adottati come Ministro di grazia e giustizia, ha voluto associarsi alle stesse mie preoccupazioni. Del che lo ringrazio, mentre prego l’onorevole Preziosi di non voler insistere nel suo emendamento.

L’onorevole Crispo, a sua volta, ha presentato il seguente emendamento: «All’ultimo comma, aggiungere: È assolutamente vietato privare della libertà personale chiunque sia estraneo al fatto pel quale l’autorità di polizia procede».

Rispondo che l’esigenza manifestata dall’onorevole Crispo può essere sodisfatta dal primo comma dell’articolo 21. Se mai, potremo meglio chiarire, nel senso da lui indicato, la portata di questo comma.

CRISPO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. Desidero dare solo un chiarimento. L’articolo 21 si riferisce ad un concetto di diritto penale. L’articolo 8, col comma che io proponevo di aggiungere, si riferisce, invece, ad un provvedimento di polizia, e precisamente a quel caso frequentissimo di persone di famiglia che vengono fermate allo scopo di indurre gli indiziati a presentarsi. È noto che ciò avviene ogni giorno: si ferma il padre, si ferma il fratello, si fermano i familiari del prevenuto.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Onorevole Crispo, le rispondo subito. Quando lei tiene fermo il concetto fondamentale che la responsabilità è personale, è evidente che la legge non potrà se non adottare criteri idonei al fine da lei desiderato, e ciò anche in relazione ai procedimenti di polizia.

Giunti a questo punto, credo di avere esaurito le mie risposte ai vari emendamenti, e perciò potremo, dopo la votazione di questo articolo, passare all’esame del successivo.

PRESIDENTE. Credo che, per prima cosa, dobbiamo decidere se il testo dell’articolo 8, così come è stato inizialmente proposto dalla Commissione, debba essere sdoppiato o no, dato che la Commissione ha dichiarato di aderire al concetto dello sdoppiamento.

Pongo pertanto in votazione il principio della separazione della materia dell’articolo 8 in due articoli, che per adesso chiameremo 8 e 8-bis, salvo poi a mutare la numerazione, tenendo presente che la Commissione ha aderito al principio dello sdoppiamento.

(È approvato).

BULLONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BULLONI. Convengo con l’onorevole Tupini che, in sostanza, l’emendamento da me formulato trova corrispondenza nell’articolo proposto dall’onorevole Commissione. È però su una questione di tecnica giuridica che mi permetto richiamare l’attenzione dell’onorevole Commissione e la benevolenza degli onorevoli colleghi. Non è ammessa alcuna restrizione della libertà personale se non per atto motivato dell’Autorità giudiziaria. Ma noi dobbiamo avere presente il caso di flagranza del reato. Pretendere la motivazione dell’Autorità giudiziaria per limitare la libertà personale nel caso di flagranza è un assurdo. (Commenti).

Si dice che l’arresto in flagranza potrebbe rientrare nei casi eccezionali di necessità e di urgenza e quindi tassativamente indicati dalla legge. Ed ecco la questione di tecnica giuridica che io ho fatto, perché l’arresto in flagranza non è un caso eccezionale, di necessità e di urgenza: è un caso normale che legittima la limitazione della libertà personale; per cui ritengo che l’articolo proposto dalla Commissione possa essere accettato, purché si aggiungano, alla fine del secondo comma, le parole: «salvo il caso di flagranza di reato».

È la tecnica giuridica che vuole questa aggiunta, onde chiarire meglio il concetto. Il caso di flagranza non è un caso eccezionale, che richieda misure provvisorie.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Non possiamo accedere alla proposta dell’onorevole Bulloni, perché la sua esigenza è sodisfatta dalla formulazione contenuta nel secondo capoverso dell’articolo. Tutt’al più, per quelle esigenze di tecnica giuridica alle quali tanto tiene l’onorevole Bulloni, potremmo consentire di togliere la parola «eccezionali» e lasciare solo «in casi di necessità e di urgenza», che contemplino anche il caso di flagranza. Se questo sodisfa meglio lo squisito senso di tecnica giuridica al quale si riferisce l’onorevole Bulloni, noi saremmo disposti a togliere la parola «eccezionali».

PRESIDENTE. Allora s’intende tolta la parola eccezionale.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. D’accordo.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Ritengo invece che la parola «eccezionali» sia necessaria e ne spiego le ragioni.

Essa era nel testo. La Commissione della quale faccio parte l’ha ritirata. Credo di dover illustrare qui brevissimamente le ragioni per le quali ritengo di mantenerla, perché in questo capoverso, che è inspirato proprio da quei sentimenti di reazione legislativa ai fatti che si sono svolti precedentemente, l’accento era proprio sulla parola «eccezionali», e noi adesso verremmo a togliere la parola che intendevamo porre in evidenza. Quindi sono del parere che la soppressione di questa parola muti profondamente il significato di quel capoverso. Ecco la ragione per la quale sostengo che la parola «eccezionali» debba restare.

Il caso di flagranza è un caso di legge, non è un caso eccezionale. Quindi noi parliamo di casi eccezionali: cioè, questa facoltà che noi, obtorto collo, abbiamo dato alla polizia di provvedere al fermo, la consentiamo solo in casi eccezionali. La parola «eccezionali» è la parola sulla quale tutto il capoverso regge.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Mi consenta l’onorevole Presidente di rispondere brevemente all’onorevole Lucifero, il quale ha compreso che solo per condiscendenza verso l’onorevole Bulloni la Commissione era disposta a sopprimere la parola «eccezionali». Se l’onorevole Lucifero, al contrario, v’insiste e l’Assemblea è del suo parere, noi non ce ne dorremo.

Mi permetto di ricordare la fine del secondo capoverso, dopo la modifica accolta dalla Commissione, verrebbe modificata così: «restano prive di effetti giuridici» invece di «prive di ogni effetto».

PRESIDENTE. Onorevole Caroleo, ella insiste sull’emendamento?

CAROLEO. Io, dopo quanto ha spiegato e in parte ammesso il Presidente della Sottocommissione, non insisto. Però vorrei domandare all’onorevole Tupini un chiarimento, che egli non mi ha dato, a proposito delle conseguenze della frase: «Restano prive di ogni effetto» che è divenuta ora «prive di effetti giuridici», in relazione a quel sospetto, che potrebbe sorgere, di esonero di responsabilità dell’agente resosi colpevole di violazione di diritti, in contrasto con quanto è detto nell’articolo 22. La mia preoccupazione è suggerita principalmente dal fatto che nel vigente testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, all’articolo 7, è stabilito l’esonero completo. Vi sono stati casi molto gravi, finiti con la liberazione totale dei funzionari e dello Stato.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Questo si riferisce soltanto alla persona per la quale si fosse addivenuti a misure di prevenzione, ma l’articolo 22 resta fermo. Siamo perfettamente d’accordo.

BETTIOL. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BETTIOL. Dopo lo sdoppiamento dell’articolo 8 sono venute in gran parte meno le ragioni che mi avevano portato a formulare il mio articolo; per cui ritiro il mio emendamento, insistendo soltanto sulla formula: «È vietata ogni violenza fisica o morale», perché dal punto di vista costituzionale è il termine più appropriato. Qui non siamo in sede di Codice penale, ma siamo in sede costituzionale, dove deve essere posta la norma fondamentale che poi, in sede penale, deve trovare la sua specificazione.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. La Commissione mantiene la parola «punita» perché contiene anche il concetto del divieto.

PRESIDENTE. L’onorevole Costantini mantiene il suo emendamento?

COSTANTINI. Si, lo mantengo.

PRESIDENTE. L’onorevole Crispo rimette il suo primo emendamento all’articolo 8-bis. Però l’altro suo emendamento lo mantiene o lo ritira?

CRISPO. Lo mantengo, perché ritengo sia un concetto del tutto diverso da quello espresso nell’articolo 21.

PRESIDENTE. L’onorevole Gabrieli mantiene il suo emendamento?

GABRIELI. Dopo le dichiarazioni dell’onorevole Tupini, non insisto e ritiro l’emendamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Preziosi mantiene il suo emendamento?

PREZIOSI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. L’onorevole Grilli mantiene la sua proposta?

GRILLI. Io avevo presentato la mia proposta, non perché fossi contrario al principio contenuto nel capoverso dell’articolo 8, ma perché la norma è già contenuta nel Codice penale e mi sembra inutile. Comunque rinuncio all’emendamento, augurandomi che la nuova parola della Costituzione sia più efficace della vecchia parola del Codice penale.

PRESIDENTE. Onorevole Veroni, ella insiste nel suo emendamento?

VERONI. Non insisto.

PRESIDENTE. Onorevole Murgia, ella insiste nel suo emendamento?

MURGIA. Io voglio precisare che se il mio emendamento fosse respinto nessun limite vi sarebbe alla carcerazione preventiva degli imputati. Il 20 per cento dei detenuti sono assolti in istruttoria dopo lunghissima carcerazione, talvolta anche di anni; escono dal carcere semidistrutti nel fisico e nello spirito e molte volte anche economicamente rovinati, senza che nessuna seria prova abbia legittimato tale lunga carcerazione. E ciò per qual motivo? Per il fatto che nessuna norma di legge né principio costituzionale imponevano al giudice, fino alla legge, inadeguata però, del 1944, un limite alla carcerazione preventiva. La Commissione pare – da ciò che ha affermato l’onorevole Presidente – che non ritenga materia costituzionale, ma di legislazione ordinaria il mio emendamento. Ma se ciò è, cito a sostegno della mia tesi la Costituzione degli Stati Uniti d’America e l’Habeas Corpus inglese, che impongono tassativamente non solo dei limiti alla custodia preventiva, ma sanciscono l’obbligo della concessione della libertà provvisoria ad eccezione di reati gravissimi come l’omicidio e qualche altro. Questo principio, che è insieme una garanzia fondamentale dell’imputato e un’alta esigenza di umanità, deve essere sancito nella Costituzione per far trovare al giudice il tempo onde chiudere entro il più breve termine l’istruttoria. Sono dunque costretto a mantenere il mio emendamento e sottoporlo al voto dell’Assemblea. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Onorevole Bulloni, ella mantiene il suo emendamento?

BULLONI. Rinunzio, alla condizione che si aggiungano, come ho già detto, alla fine del secondo comma, le parole: «salvo il caso di flagranza di reato».

PRESIDENTE. Poiché la Commissione ha dichiarato che non accetta questa sua aggiunta, ella insiste soltanto su di essa o su tutto l’emendamento?

BULLONI. Soltanto sull’aggiunta.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Domando un chiarimento per evitare forse una votazione. L’onorevole Tupini mantiene al terzo comma l’espressione: «in casi eccezionali»?

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. La mantengo.

LUCIFERO. Allora non ho bisogno di insistere.

PRESIDENTE. Tutti gli emendamenti presentati mantengono la dizione del primo comma, e pertanto metto in votazione il primo comma dell’articolo:

«La libertà personale è inviolabile».

(È approvato).

Nell’emendamento proposto dall’onorevole Costantini si unisce il primo al secondo comma. Si tratta di vedere se l’Assemblea accetta questo criterio.

Pongo pertanto ai voti la proposta di fusione dei primi due commi dell’articolo.

(Non è approvata).

Si passa, quindi alla votazione del secondo comma.

L’onorevole Costantini intende che il secondo comma assuma la formula sintetica: «Le limitazioni sono tassativamente fissate dalla legge»?

COSTANTINI. Essendosi già fatta la votazione, ritengo sia inutile.

PRESIDENTE. Desidero chiarire che la votazione fatta non influisce assolutamente sulla formula da lei proposta, che potrà esser messa in votazione. Ritiene che la votazione già fatta assorba il suo emendamento?

COSTANTINI. Per me, sì.

PRESIDENTE. Resta, dunque, la formulazione nel testo della Commissione, salvo a votare successivamente la proposta Bulloni.

Pongo ai voti il secondo comma nel testo della Commissione, salvo la soppressione delle parole «o domiciliare»:

«Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge».

(È approvato).

Dobbiamo ora votare l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Bulloni:

«salvo il caso di flagranza di reato».

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Onorevole Bulloni, noi potremmo accogliere il suo emendamento e metterlo in testa al secondo capoverso, senza togliere quella euritmia dell’articolo, che noi vogliamo conservare, e ciò anche al fine di una maggiore garanzia.

VERONI. Ma la flagranza è un caso di legge…

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Noi siamo disposti ad accettare l’emendamento Bulloni, che riguarda i casi di flagranza di reato e inserirlo nel primo rigo del secondo capoverso dell’articolo, dicendo perciò: «In casi eccezionali di necessità ed urgenza, ed in casi di flagranza di reato».

BULLONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BULLONI. Si tratta di una misura provvisoria. L’esigenza del rispetto della tecnica giuridica non è però soddisfatta. L’arresto in flagranza è un caso normale. È poi una incongruenza dire che nel caso di arresto in flagranza si possono prendere delle misure provvisorie. Un’altra osservazione è questa: all’arresto in flagranza non deve seguire la segnalazione all’autorità giudiziaria, ma deve seguire la denuncia. Io mi domando: a che scopo portare nella prima parte del terzo comma ciò che logicamente si fa a chiusura del secondo comma?

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. La ragione è evidente: perché nel primo caso abbiamo soltanto contemplata la ipotesi di competenza dell’autorità giudiziaria. Le misure provvisorie si riferiscono solo ai casi di flagranza. Comunque la Commissione mantiene il testo proposto.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Bulloni di aggiungere alla fine del secondo comma le parole: «salvo il caso di flagranza di reato».

(Non è approvata).

Passiamo alla votazione del 3° comma. Gli emendamenti degli onorevoli Gabrieli e Caroleo sono stati ritirati.

Restano i seguenti emendamenti:

Al terzo comma, sostituire le parole: autorità di pubblica sicurezza, con le seguenti: autorità di polizia.

Crispo.

Al terzo comma, sopprimere l’ultimo periodo: Se questa non le convalida nei termini di legge, sono revocate e restano prive di ogni effetto, sostituendolo col seguente: La quale ha l’obbligo di provvedere alla convalida di esse entro le successive quarantotto ore, altrimenti si intendono revocate e prive di ogni effetto.

Preziosi.

Pongo in votazione il primo periodo del terzo comma nel testo della Commissione:

«In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l’autorità di pubblica sicurezza può prendere misure provvisorie, che devono essere comunicate entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria».

(È approvato).

Pongo ora in votazione l’emendamento proposto dall’onorevole Crispo:

«Al terzo comma, sostituire le parole: autorità di pubblica sicurezza, con le seguenti: autorità di polizia».

CIFALDI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIFALDI. Ritengo che sia opportuno aderire alla richiesta avanzata dall’onorevole Crispo, perché non si tratta di una questione di forma, ma di sostanza.

L’onorevole Tupini, a mio parere, non ha dato chiarimenti sufficienti: ha solo affermato che la Commissione era attaccata a quella forma.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Ho detto che l’espressione «autorità di pubblica sicurezza» comprende sia la polizia che ogni altro ramo o settore dì forza pubblica.

CIFALDI. A mio avviso, sembra che si faccia più che altro riferimento a quel corpo speciale che si chiama Corpo di pubblica sicurezza. Quando, invece, si vuol dire che tutte le autorità hanno questa facoltà, bisogna usare una frase più lata, diversamente andremmo a provocare delle interpretazioni che potrebbero lasciare gravi dubbiezze.

In effetti, i carabinieri possono essere autorità di polizia, così come, nei casi specifici, la «Celere» o qualunque altra forma di Corpo di polizia costituito.

E allora, quali possono essere le autorità che hanno questa facoltà? La forma più lata di «autorità di polizia» renderebbe indiscutibilmente più chiara la dizione.

Dichiaro quindi che voterò a favore della proposta Crispo.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento proposto dall’onorevole Crispo.

(È approvato).

Passiamo ora alla votazione della seconda parte del terzo comma. Vi è a questo proposito l’emendamento Preziosi che tende a sostituire l’ultimo periodo col seguente: «La quale ha l’obbligo di provvedere alla convalida di esse entro le successive quarantotto ore, altrimenti si intendono revocate e prive di ogni effetto». La diversità sostanziale dell’emendamento Preziosi sta nello stabilire un limite entro il quale deve avvenire la convalida da parte dell’autorità giudiziaria.

LUCIFERO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Voteremo a favore dell’emendamento Preziosi, perché se non stabiliamo un termine, daremo la possibilità al legislatore o di non stabilirne nessuno o di stabilire quello che vuole. La passata esperienza ci impone di stabilire dei limiti alla detenzione dell’individuo il quale non sia colpevole di un fatto specifico, ma sia tenuto, per semplice sospetto, in carcere.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento Preziosi.

(Dopo prova e controprova è approvato).

Vi è la proposta dell’onorevole Caroleo – cui la Commissione ha dichiarato di accedere – di aggiungere al terzo comma, dopo le parole: «sono revocate» le altre: «di diritto».

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. È pleonastico mettere «di diritto», perché, quando non si impone nessuna motivazione al provvedimento, si intende ché esso è di diritto. Non ripetiamo parole inutili.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo «di diritto».

(Dopo prova e controprova non è approvato).

Vi è poi la formula proposta dalla Commissione, di sostituire nel terzo comma all’espressione «prive di ogni effetto» l’altra «prive di effetti giuridici». L’emendamento è stato accettato dalla Commissione.

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. A me sembra più ampia la dizione «prive di ogni effetto», piuttosto che la dizione «prive di effetti giuridici». Mi pare che questa ultima formula sia limitata e circoscritta al solo campo legale o giuridico. Io proporrei quindi che si lasciasse il testo attuale: «prive di ogni effetto», nel quale è incluso anche l’effetto giuridico.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. La Commissione non insiste in questa formulazione.

PRESIDENTE. Allora la proposta decade. Il terzo comma resta pertanto così formulato:

«In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l’autorità di polizia può prendere misure provvisorie, che devono essere comunicato entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria, la quale ha l’obbligo di provvedere alla convalida di esse entro le successive quarantotto ore, altrimenti si intendono revocate e prive di ogni effetto».

Vi è poi l’ultimo comma dell’articolo:

«È punita ogni violenza fisica o morale a danno delle persone comunque sottoposte a restrizione di libertà».

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Penso che sia opportuno che l’Assemblea si pronunci sulla questione se il comma stesso debba o non rimanere.

PRESIDENTE. Mi permetta, onorevole Costantini, di dirle che v’era una proposta di soppressione dell’onorevole Grilli, la quale è stata ritirata. Non so quindi su quale base si possa mettere ai voti la soppressione.

COSTANTINI. Anche nel mio emendamento vi è in sostanza la proposta di soppressione dell’ultimo comma, in quanto si domanda di sostituire l’articolo 8, come è formulato dalla Commissione, con un altro articolo che non contiene la disposizione dell’ultimo comma. Senza dirlo espressamente quindi, se ne domanda la soppressione.

PRESIDENTE. Onorevole Costantini, si può anche accedere alla sua interpretazione, ma lei aveva presentato il testo di un articolo completo ed è evidente che è soltanto su quello che si vota. In ogni modo, avendo l’onorevole Grilli ritirato la sua proposta di soppressione, lei può farla sua.

COSTANTINI. Allora faccio mia la proposta dell’onorevole Grilli per la soppressione dell’ultimo comma dell’articolo 8.

PRESIDENTE. Metto ai voti l’emendamento soppressivo dell’onorevole Costantini.

(Non è approvato).

Vi è ora da porre ai voti la proposta dell’onorevole Bettiol e altri tendente a sostituire alle parole: «È punita» le altre: «È vietata».

LUCIFERO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Noi voteremo a favore della proposta dell’onorevole Bettiol, perché pensiamo che «vietata» sia una dizione tecnicamente più esatta.

TONELLO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Mi pare che sia bene lasciare la dizione «È punita», in quanto in essa è implicito anche il divieto.

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Ritengo che si debba dire «È vietata», nella Costituzione; la pena poi sarà stabilita dalla legge.

PRESIDENTE. Metto ai voti la proposta dell’onorevole Bettiol, di sostituire: nell’ultimo comma dell’articolo 8 alle parole: «È punita» le altre: «È vietata».

(È approvata).

Pongo ai voti l’ultimo comma così modificato: «È vietata ogni violenza fisica o morale a danno delle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà».

(È approvato).

Dobbiamo ora procedere alla votazione dell’emendamento presentato dall’onorevole Crispo:

«All’ultimo comma aggiungere: È assolutamente vietato privare della libertà personale chiunque sia estraneo al fatto per il quale l’autorità di polizia procede».

BADINI CONFALONIERI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BADINI CONFALONIERI. Ritengo che sia opportuno votare l’emendamento dell’onorevole Crispo per la seguente considerazione: Noi abbiamo adesso approvato una limitazione all’autorità di polizia. L’emendamento dell’onorevole Crispo costituisce altra opportuna limitazione ad eventuali arbitrî della polizia. Chiunque abbia esperienza di prassi giudiziaria sa che talora la polizia, non trovando l’inquisito, arresta i familiari nella speranza che l’inquisito si presenti. Questo si vuole vietare con l’emendamento dell’onorevole Crispo.

Mi pare che l’osservazione fatta dal Relatore della Commissione, cioè che l’articolo 21 stabilisce che la responsabilità penale è personale, sia un fuor di luogo, perché l’articolo 21 è una norma di carattere penale, mentre nella fattispecie ci troviamo di fronte – ripeto – ad una limitazione ed inibizione contro possibili arbitrî della polizia.

PRESIDENTE. Metto ai voti l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Crispo.

(È approvato).

Vi è ora l’emendamento proposto dagli onorevoli Murgia, Avanzini, Benvenuti:

Aggiungere in fine:

«La legge determina i limiti massimi della carcerazione preventiva».

LACONI. Chiedo di parlare por dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Dichiaro che voteremo contro questo emendamento, per quanto ci rendiamo perfettamente conto dell’esigenza contenuta nella proposta. L’esigenza è giusta, però l’emendamento non dice nulla; è così vago e generico che il suo contenuto può ritenersi già implicito. Ed è una questione, soprattutto, che deve essere trattata dal Codice di procedura penale, non dalla Costituzione. Per tutte queste ragioni noi voteremo contro.

ROSSI PAOLO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROSSI PAOLO. Personalmente voterò l’emendamento, perché è difficile che la Costituzione prestabilisca i termini della carcerazione preventiva. Ma se la Costituzione non li stabilisce, il Codice di procedura penale può stabilirli a sua volta. Una delle cose veramente gravi della riforma penale fu precisamente l’abolizione dei termini della carcerazione preventiva. Se noi, pertanto, non stabiliamo indiscutibilmente questo principio nella Costituzione, può darsi che il legislatore lo dimentichi. È per questo che io voterò a favore.

LUCIFERO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Noi voteremo a favore della proposta di emendamento presentata dall’onorevole Murgia. È necessario, infatti, che un limite sia stabilito: tutti gli emendamenti che stiamo votando sono nello stesso spirito; un limite ci deve essere, così che noi non apprenderemo più che degli innocenti vengano assolti dopo 16 o 20 mesi di detenzione.

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Vorrei ricordare che in alcuni nostri Codici, come in quello anteriore alla legge del 1913, i limiti della carcerazione preventiva non esistevano; ed accadeva così che un individuo facesse mesi ed anche anni di carcerazione preventiva per poi sentirsi dichiarare innocente.

Se, quindi, nella Carta costituzionale non venga stabilito che i limiti della carcerazione preventiva debbono essere fissati dalla legge, il Codice di procedura penale potrebbe farne a meno.

BETTIOL. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BETTIOL. Il Codice di procedura penale stabilisce i termini delle istruttorie, che vengono calpestati, per garantire la libertà individuale. Credo sia opportuno di fissare limiti precisi di là dai quali non si possa andare. Dichiaro pertanto di votare a favore.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Murgia: «La legge determina i limiti massimi della carcerazione preventiva».

(È approvato).

Con ciò è stato approvato tutto il testo dell’articolo 8, di cui do lettura nella sua formulazione complessiva:

«La libertà personale è inviolabile.

«Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’Autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.

«In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l’autorità di polizia può prendere misure provvisorie, che devono essere comunicate entro quarantotto ore all’Autorità giudiziaria, la quale ha l’obbligo di provvedere alla convalida di esse entro le successive quarantotto ore, altrimenti si intendono revocate e prive di ogni effetto.

«È vietata ogni violenza fisica o morale a danno delle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà.

«È assolutamente vietato privare della libertà personale chiunque sia estraneo al fatto per il quale l’Autorità di polizia procede.

«La legge determina i limiti massimi della carcerazione preventiva».

Vi è ora da esaminare l’articolo 8-bis, per il quale la Commissione accetta il testo proposto dall’onorevole Basso e da altri che è del seguente tenore:

«Il domicilio è inviolabile.

«Nessuno vi si può introdurre o eseguirvi ispezioni o perquisizioni o sequestri, senza ordine motivato dell’Autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.

«Per i casi eccezionali di necessità ed urgenza valgono le disposizioni dell’articolo precedente a tutela della libertà della persona.

«Gli accertamenti e le ispezioni per motivi di sanità, di incolumità pubblica, o per scopi economici e fiscali sono regolati da leggi speciali».

Vi è poi il testo proposto dagli onorevoli Bulloni, Avanzini, Bettiol, Benvenuti, Leone Giovanni:

«Il domicilio è inviolabile.

«Nessuno vi si può introdurre senza ordine dell’autorità giudiziaria. Solo in casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, la forza pubblica può disporre sequestri di cose, ispezioni o perquisizioni personali o domiciliari. Tali provvedimenti devono essere comunicati entro quarantotto ore all’Autorità giudiziaria».

Chiedo all’onorevole Bulloni se lo mantiene.

BULLONI. Rinunzio.

PRESIDENTE. Vi è, infine, il testo proposto dagli onorevoli Lucifero, Russo Perez, Corbino, Condorelli, Colonna, Bellavista, Quintieri Quinto, Perrone Capano, Cortese e Badini Confalonieri:

«Il domicilio è inviolabile.

«Nessuno vi si può introdurre o eseguirvi ispezioni o perquisizioni o sequestri se non nei casi di legge o per ordine dell’Autorità giudiziaria, salvo quanto previsto dalla legge per esigenze di sanità o di pubblica incolumità.

«Solo in casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l’Autorità di pubblica sicurezza può prendere misure provvisorie che debbono essere comunicate entro quarantotto ore all’Autorità giudiziaria. Per la convalida valgono le disposizioni dell’articolo precedente.

«Gli ufficiali della pubblica sicurezza potranno introdursi nel luogo o nei luoghi, diversi dall’abitazione, ove la persona esplichi la sua attività per i soli accertamenti previsti dalla legge in materia economica o fiscale».

Chiedo all’onorevole Lucifero se lo mantiene.

LUCIFERO. Mantengo il mio emendamento per due ragioni: innanzi tutto, perché nella formulazione Basso non si parla delle leggi sanitarie.

PRESIDENTE. Se ne parla all’ultimo comma.

LUCIFERO. In secondo luogo trovo che è troppo generico rimandare alla legge per avere la bella cosa che, quello che abbiamo vietato ai carabinieri, si consente alle guardie di finanza.

PRESIDENTE. Abbiamo, quindi, un testo proposto dall’onorevole Basso, ed accettato dalla Commissione, ed un testo dell’onorevole Lucifero che, sostanzialmente, è un emendamento al testo proposto dall’onorevole Basso.

Le due proposte sono costituite da quattro commi i quali trattano approssimativamente la stessa materia. Il primo comma è comune ed è del seguente tenore: «Il domicilio è inviolabile».

Lo metto ai voti.

(È approvato).

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. La Commissione ha già esaminato questa mattina, sia il testo Basso-Mortati che l’aggiunta dell’onorevole Lucifero, e si è pronunziata, in via di massima, favorevole al testo Basso-Mortati per la ragione che vedeva in esso sodisfatte, non solo le esigenze della inviolabilità del domicilio, ma anche quelle di cui si è reso interprete con la sua proposta l’onorevole Lucifero. Questi, infatti, si preoccupa di salvaguardare. gli studi dei liberi professionisti, le sedi delle società legali, limitandovi le possibilità di accesso degli ufficiali di pubblica sicurezza ai soli casi di accertamenti finanziari o fiscali.

Il testo dell’emendamento dell’onorevole Lucifero è, infatti, il seguente: «Gli ufficiali di pubblica sicurezza potranno introdursi nel luogo o nei luoghi diversi dall’abitazione dove la persona esplichi la sua attività per i soli accertamenti previsti dalla legge in materia economica e fiscale». Io comprendo la ragione di questa formula e la condivido, ma penso che ove fosse adottata ne deriverebbero conseguenze diverse o addirittura contrarie a quelle volute dall’onorevole Lucifero. Infatti, questi vorrebbe declassare i domicili legali e professionali in confronto di quelli personali e familiari. Ma il risultato si risolverebbe in un privilegio a favore dei primi.

Per queste ragioni noi ci dichiariamo contrari all’emendamento Lucifero, mentre accettiamo la formula Basso-Mortati. In base a quest’ultima il legislatore avrà una sicura direttiva, perché gli accertamenti domiciliari saranno condizionati dal fine che essi si propongono, e speciali corpi di polizia saranno utilizzati a seconda che si tratti di indagini fiscali, edilizie, sanitarie o di qualsiasi altra natura.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. L’onorevole Tupini mi ha già esposto questa sua strana teoria questa mattina. Confesso che non l’ho capita, stamane e che ancor meno la capisco ora. Io creo un privilegio per la casa di abitazione per la semplicissima ragione che mentre resta uguale per tutti i domicili (cioè tanto per il domicilio di abitazione, quanto per il domicilio di affari) il principio dell’inviolabilità, e solo nei termini stabiliti dal terzo comma l’uno e l’altro possono essere visitati dalla polizia, per le case invece di abitazione si crea effettivamente un privilegio in quanto, mentre l’Autorità di polizia tributaria (e veda, onorevole Tupini, che io parlo di ufficiali e non di agenti, il che stabilisce che per queste operazioni devono essere scelti corpi e persone che diano determinate garanzie), mentre quest’Autorità, dicevo, potrà senz’altra particolare autorizzazione visitare gli uffici o le sedi di società o le sedi di affari o i magazzini ove possono essere nascosti materiali ammassati, ecc.; per fare eguale verifica in una abitazione privata dovrà chiedere l’autorizzazione dell’Autorità giudiziaria, cioè bisogna che ci sia un fondato sospetto. Quindi, è vero che si costituisce un privilegio; ma si costituisce proprio per le case di abitazione.

Devo poi rilevare che l’onorevole Tupini ha proprio ragionato e parlato in quei termini tradizionali che in questa sede dobbiamo abbandonare. Io ho cercato di parlare in termini nuovi, come si è espresso l’onorevole Basso, e noi dobbiamo trarre da ciò le conseguenze, perché la situazione nella vita moderna è questa, che le case e gli uffici hanno un carattere diverso e, quindi, la legge le deve tutelare in modo diverso; Noi non possiamo restare nell’800 mentre siamo in pieno 1947.

PRESIDENTE. Io penso che forse introducendo alcune parole si chiarirebbe il concetto dell’ultimo comma, perché le confesso, onorevole Lucifero, che io stesso, alla prima lettura, avevo avuto l’impressione che con questo suo emendamento si creasse una situazione di privilegio nei confronti di luoghi diversi dall’abitazione.

LUCIFERO. Sono ben lieto se si potrà chiarire il concetto.

PRESIDENTE. Credo che si potrebbe dire così: «Gli ufficiali di pubblica sicurezza potranno, senza l’autorizzazione di cui al primo comma, introdursi nei luoghi diversi dall’abitazione, ove la persona esplichi la sua attività, ma solo per gli accertamenti previsti dalla legge in materia economica e fiscale.

LUCIFERO. Accetto questa formula.

CRISPO. Chiedo di parlare;

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. A proposito dell’ultimo comma, che demanda a leggi speciali di regolare le perquisizioni e le visite domiciliari per accertamenti fiscali, riterrei opportuno, per evitare che l’arbitrio fosse domani consacrato nelle leggi speciali – perché la Costituzione non dà alcuna norma al legislatore per disciplinare questa eventuale misura – che si aggiungesse che la legge speciale, stabilirà apposite sanzioni per i casi arbitrari.

BASSO. V’è un articolo in proposito nella Costituzione.

CRISPO. Bisogna evitare che sia preso a pretesto il caso di un qualunque malato per dar luogo a perquisizioni domiciliari, perché altrimenti rientrerebbe dalla finestra l’arbitrio che si è voluto cacciare dalla porta.

E sarebbe un arbitrio sconfinato se mancasse una precisa direttiva al legislatore per regolare la materia.

Dichiaro che se l’ultima parte resta così com’è, io voterò contro.

BADINI CONFALONIERI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BADINI CONFALONIERI. Desidero chiedere alla cortesia del Presidente di voler interpellare gli onorevoli proponenti se non convenga sostituire alle parole «ufficiali di pubblica sicurezza» l’espressione «ufficiali di polizia», in conformità, del resto, a ciò che già è stato approvato dalla maggioranza dell’Assemblea pochi istanti fa.

MAFFI Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAFFI. Osservo che quello che diceva prima l’onorevole Lucifero, a proposito del privilegio che deve garantirsi all’abitazione privata, potrebbe diventare un pericolo in certi casi. Ricordo che nel 1911, in provincia di Bergamo, vi fu un lavoro di occultamento degli ammalati di colera per un pregiudizio che era diffuso nella popolazione. Questo naturalmente rappresenta un gravissimo pericolo.

Io lascio agli uomini di legge il compito di trovare la formulazione adatta per evitare abusi, ma certo non bisogna limitare gli accertamenti sanitari. Occorre che questi siano regolati in modo che non si presenti un privilegio dell’abitazione familiare ad impedire verifiche di importanza sociale.

PRESIDENTE. Onorevole Maffi, sia nel testo proposto dall’onorevole Basso, sia in quello proposto dall’onorevole Lucifero, le sue preoccupazioni trovano un preciso riflesso. Si stabilisce, infatti, la possibilità di norme speciali fissate per legge allo scopo di visite dovute a ragioni sanitarie. Pertanto la disposizione restrittiva del primo comma non vale per i motivi che ella ha fatto presenti.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Dichiaro che voteremo contro la proposta dell’onorevole Lucifero, perché, per quanto la modifica proposta dal Presidente ed accettata dal proponente giovi ad attenuare l’equivoco rilevato dall’onorevole Tupini, rimane un’altra difficoltà sostanziale, che ci impedisce di aderire. La difficoltà consiste in questo: che nella realtà non è possibile stabilire una distinzione in questo articolo, a seconda dei luoghi nei quali le ispezioni o le perquisizioni dovrebbero essere fatte, in quanto vi è tutta una serie di aziende, la cui sede è fusa col domicilio familiare; parlo delle aziende artigiane, di talune aziende agricole, degli studi professionali. Unica distinzione che possa utilmente farsi è quella che si fonda sugli scopi che persegue una determinata indagine, ed è appunto la distinzione che ricorre nell’emendamento accettato dalla Commissione.

Per queste ragioni e perché credo che, in pratica, sia irrealizzabile, in quanto verrebbe a sottrarre alla sorveglianza ed alle ispezioni della pubblica autorità una grandissima parte delle aziende, ritengo non si possa accedere alla proposta Lucifero e dichiaro di votare contro.

CODACCI PISANELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODACCI PISÀNELLI. Sarebbe opportuno tener conto della differenza fra residenza e domicilio, allo scopo di evitare antinomie col Codice civile.

Qui si parla di domicilio; ma, in pratica, parliamo di residenza.

Sottopongo alla Commissione l’opportunità di evitare confusioni.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Quella è un’altra questione.

PRESIDENTE. Rilevo che sia nel testo Basso, sia in quello Lucifero si svolge, al secondo comma, lo stesso concetto, salvo che nel testo Lucifero viene preso in considerazione l’elemento delle esigenze di sanità, di pubblica incolumità, che nella proposta dell’onorevole Basso sono rinviate all’ultimo comma, insieme alle esigenze di carattere economico e fiscale. V’è quindi una parte della proposta dell’onorevole Lucifero che coincide completamente con la proposta dell’onorevole Basso.

Pongo, quindi, in votazione la prima parte del secondo comma nella formulazione dell’onorevole Lucifero.

«Nessuno vi si può introdurre o eseguirvi ispezioni o perquisizioni o sequestri, se non nei casi di legge e per ordine dell’Autorità giudiziaria.

(Non è approvato).

Pongo in votazione il secondo comma nella formulazione dell’onorevole Basso:

«Nessuno vi si può introdurre o eseguirvi ispezioni, perquisizioni o sequestri, senza ordine motivato dell’Autorità giudiziaria nei soli casi e modi previsti dalla legge».

(È approvato).

La seconda parte del comma dell’onorevole Lucifero è così formulata: «salvo quanto previsto dalla legge per esigenze di sanità o di pubblica incolumità».

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Vorrei far notare che intenzionalmente ho diviso i due casi, perché già il fatto di voler confondere insieme l’accertamento fiscale e l’indagine o l’intervento per pubblica incolumità, per epidemie od altro, dimostra il pericolo contenuto nella frase dell’onorevole Basso, cioè una estensione che va al di là delle intenzioni stesse dell’onorevole Basso; questo è un articolo che dà la possibilità ad una qualunque maggioranza di fare il comodo proprio, facendo la legge come vuole ed intervenendo come vuole.

La funzione limite della Costituzione, che è la sua funzione fondamentale, con quell’articolo e con quella formulazione verrebbe a cessare. Ritengo quindi che i due casi debbano essere tenuti distinti.

BASSO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE Ne ha facoltà.

BASSO. Posso rispondere facendo presente che la differenza fra l’articolo che ho proposto insieme con gli onorevoli Mortati, Laconi e Perassi, e l’articolo proposto dall’onorevole Lucifero, non sta in questo. Il concetto nostro è stato già illustrato dall’onorevole Laconi ed è il seguente: che la diversità di garanzia si riferisce alla diversità di materia. Noi ereditiamo delle antiche tradizioni, ed abbiamo degli articoli e delle formulazioni che sono state fatte per difendere il privato cittadino dall’arbitrio poliziesco, in un’epoca in cui vi erano altre esigenze.

Noi non possiamo impedire, per esempio, al fisco di andare a fare degli accertamenti, non possiamo impedire all’autorità di fare accertamenti di natura sanitaria, come quelli ricordati dall’onorevole Maffi.

Ora, noi riteniamo che in questi casi la garanzia debba essere ricercata nella finalità specifica, per cui queste ispezioni sono ammesse e, naturalmente, nella tutela che deriva dal fatto che sono ammesse solo da una legge. Quindi, riconosciamo al legislatore il diritto di fare leggi che permettano all’autorità di far funzionare la vita civile, la quale può funzionare solo con quelle autorizzazioni previste da una legge e limitate a quegli scopi che abbiamo richiamati.

Non c’è nessuna ragione, per questi motivi, di accettare la distinzione tra casa privata ed ufficio: il collega Laconi ricordava già che questo potrebbe dar luogo a confusioni; ma io vorrei aggiungere che, per quanto riguarda gli accertamenti fiscali, se si accettasse la proposta dell’onorevole Lucifero, noi favoriremmo le frodi fiscali, perché basterebbe portare i registri a casa per impedire gli accertamenti.

Ora, ricordo ai colleghi che in un paese che è geloso delle tradizioni di libertà e di difesa della persona, dove queste disposizioni sono nate molti secoli fa, in Inghilterra, il funzionario del fisco – e questo non si ritiene affatto una violazione di nessun diritto riguardante la libertà del cittadino – si installa nella casa del contribuente e va a fare i bilanci, e va a vedere i registri: e questa è una manifestazione di civiltà.

Non dobbiamo ammettere che, sotto il coperto di difendere il domicilio, si favoriscano frodi al fisco.

Ritengo quindi che la formulazione che la Commissione ha approvato questa mattina sia quella che risponda e che contemperi la necessaria difesa dell’individuo e la difesa non solo della sua abitazione, ma anche di tutti i locali che esso occupa a titolo privato. Non dobbiamo difendere soltanto l’abitazione, ma anche, per esempio, l’azienda, la sede di un partito o di un’associazione, da arbitrî polizieschi. Per ragioni di polizia non si può entrare, se non con l’ordine della autorità giudiziaria; ma per ragioni di sanità, di incolumità pubblica, ecc., si deve poter entrare in tutte le case. Naturalmente, la garanzia ai cittadini è data dal fatto che l’ingresso nei domicili privati è in questi casi consentito solo per gli scopi specifici previsti dalle singole leggi.

Per questo insistiamo nel mantenere la nostra formulazione.

PRESIDENTE. Pongo in votazione questa formulazione aggiuntiva dell’emendamento Lucifero al secondo comma:

«salvo quanto previsto dalla legge per esigenze di sanità o di pubblica incolumità».

(Non è approvata).

Passiamo al terzo comma.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Per quanto riguarda il terzo comma, accetto la formulazione Basso.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il terzo comma, nella formulazione proposta dall’onorevole Basso:

«Per i casi eccezionali di necessità e urgenza valgono le disposizioni dell’articolo precedente a tutela della libertà personale».

(È approvata).

Dobbiamo ora procedere alla votazione dell’ultimo comma proposto dall’onorevole Lucifero:

«Gli ufficiali di polizia potranno, senza l’autorizzazione di cui al primo comma, introdursi nel luogo o nei luoghi diversi dall’abitazione ove la persona esplichi la sua attività, ma solo per gli accertamenti previsti dalla legge in materia economica e fiscale».

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Vorrei dare ancora un chiarimento, anche se abuso della vostra tolleranza.

Si tratta di una cosa alla quale annetto grande importanza: sarebbe effettivamente una parola nuova e moderna nella nostra Costituzione. E, dopo le dichiarazioni dell’onorevole Basso, la mia proposta acquista ancora maggiore importanza: l’onorevole Basso ritiene che sia prova di civiltà il fatto che la polizia tributaria possa frugare nei conti di cucina di ogni famiglia; io ritengo che daremo, invece, prova di civiltà il giorno in cui potremo credere alle dichiarazioni del contribuente italiano e non avremo bisogno di mandargli nessuno in casa.

Questa è la differenza fondamentale che ci divide gli uni e gli altri. Io sono del parere che sia giusto che l’ispezione ci sia quando c’è un fondato sospetto; ma non è necessario che sia consentito l’arbitrio, con la scusa dell’accertamento fiscale di entrare, in qualunque momento, nella casa privata del cittadino. Ecco perché, ancora più dopo le dichiarazioni di Basso, sono costretto a richiamare l’attenzione sull’importanza di questa materia.

PRESIDENTE. Pongo ai voti il terzo comma nella formulazione dell’onorevole Lucifero.

(Dopo prova e controprova non è approvato).

Pongo in votazione il terzo comma nella formulazione dell’onorevole Basso.

«Gli accertamenti e le ispezioni per motivi di sanità, di incolumità pubblica, o per scopi economici e fiscali sono regolati da leggi speciali».

(È approvato).

La formulazione dell’articolo 8-bis resta pertanto la seguente:

«Il domicilio è inviolabile.

«Nessuno vi si può introdurre eseguendo ispezioni o perquisizioni o sequestri, senza ordine motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi previsti dalla legge.

«Per i casi eccezionali di necessità e urgenza valgono le disposizioni dell’articolo precedente a tutela della libertà della persona.

«Gli accertamenti e le ispezioni per motivi di sanità, di incolumità pubblica o per scopi economici e fiscali sono regolati da leggi speciali».

Il seguito della discussione è rinviato a domani alle ore 10. Avverto che saranno prima svolte le interrogazioni.

La seduta pomeridiana avrà inizio alle 16.

Sui lavori dell’Assemblea.

BARBARESCHI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BARBARESCHI. In seguito alle agitazioni di numerose categorie di dipendenti dello Stato, agitazioni aggravatesi nei giorni precedenti le festività di Pasqua, il Gruppo parlamentare, al quale appartengo, aveva chiesto l’anticipata convocazione dell’Assemblea per discutere della situazione economico-finanziaria e delle agitazioni dei dipendenti dello Stato.

L’intervento tempestivo della Segreteria della Confederazione del lavoro, ha ottenuto una sospensiva delle agitazioni e, quindi, è mancata la ragione della convocazione urgentissima dell’Assemblea. Tuttavia, data la gravità della situazione, facemmo passi presso la Presidenza dell’Assemblea per chiedere che questa discussione fosse fatta subito dopo le vacanze pasquali. Ottenemmo dalla Presidenza dell’Assemblea, in accordo con la Presidenza del Consiglio dei Ministri, che la discussione avesse luogo nei primi giorni della riapertura dell’Assemblea Costituente. In questi giorni sono stati emanati dal Consiglio dei Ministri provvedimenti per fronteggiare la situazione. Questi provvedimenti noi desideriamo discuterli. A nome del Gruppo parlamentare al quale appartengo, chiedo che questa discussione sia fissata nel più breve termine.

D’ARAGONA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

D’ARAGONA. Naturalmente il mio Gruppo si associa alla proposta dell’onorevole Barbareschi. Ho detto naturalmente, perché noi, ancora prima che l’Assemblea deliberasse la chiusura di propri lavori pasquali, avevamo chiesto che l’Assemblea fosse invitata a discutere i problemi economico-finanziari del Paese. Sono quindi lieto di quanto l’onorevole Barbareschi ha detto a nome del suo Gruppo, aderendo alla proposta che avevamo presentato nell’ultima discussione. Mi associo quindi alla proposta dell’onorevole Barbareschi, anche perché ritengo che se questa discussione fosse stata fatta in precedenza, probabilmente avremmo evitato qualche agitazione nel Paese, e nell’associarmi voglio augurarmi che la proposta sia accettata.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Nell’ultima seduta ero stato il proponente di una discussione immediata e quindi non posso che aderire oggi alla proposta del collega Barbareschi perché la situazione economica e finanziaria sia considerata con la massima urgenza dall’Assemblea. Non credo che ciò si possa rimettere al giorno in cui verrà di fronte all’Assemblea il progetto di imposta sul patrimonio, perché dovremo discutere di molte altre cose che con l’imposta sul patrimonio non hanno niente a che fare e quindi vorrei pregare la Presidenza dell’Assemblea e il Governo di fissare con la data più prossima, possibilmente di sabato, l’inizio della discussione generale sulla situazione economica e finanziaria.

TUPINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TUPINI. Non credo che sia una novità apprendere che anche il nostro Gruppo è dell’ordine di idee che questa questione debba essere discussa e portata dinanzi all’Assemblea con la massima rapidità. Tanto è esatto questo, onorevole Lucifero, che fummo proprio noi l’altro giorno a prendere questa iniziativa… (Interruzioni Commenti).

Una voce. E poi la lasciaste cadere.

TUPINI …la quale se non ebbe seguito, fu per gli ostacoli che furono posti proprio da parte di coloro che poi si sono fatti zelanti per reclamare questa discussione al più presto possibile. E poiché noi siamo coerenti al nostro atteggiamento, diciamo che da parte nostra non solo non abbiamo nulla in contrario, ma intendiamo rivendicare la priorità dell’iniziativa, così come è stata da noi presa nella passata adunanza. (Applausi al centro Commenti).

GALATI. Sottosegretario di Stato per le poste e telecomunicazioni. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GALATI, Sottosegretario di Stato per le poste e telecomunicazioni. Il Governo si riserva di rispondere in proposito nella seduta di domani mattina.

La seduta termina alle 20.15.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 10:

  1. – Interrogazioni.
  2. – Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Alle ore 16:

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

SABATO 29 MARZO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

LXXXI.

SEDUTA DI SABATO 29 MARZO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Sul processo verbale:

Benedettini                                                                                                      

Presidente                                                                                                        

Commemorazione di Filippo Turati:

Canepa                                                                                                              

Maffi                                                                                                                

Gasparotto, Ministro della difesa                                                                     

De Michelis                                                                                                      

Turco                                                                                                               

Tumminelli                                                                                                       

Bellavista                                                                                                       

Bergamini                                                                                                         

Cianca                                                                                                              

Conti                                                                                                                

Cevolotto                                                                                                        

Presidente                                                                                                        

Interrogazioni (Svolgimento):

Pella, Sottosegretario di Stato per le finanze                                                       

Monticelli                                                                                                       

Jervolino, Sottosegretario di Stato per i trasporti                                               

Bellavista                                                                                                       

Gullo, Ministro di grazia e giustizia                                                                   

Montalbano                                                                                                    

Presentazione di un disegno di legge:

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri                                                

Presidente                                                                                                        

Interrogazioni (Seguito dello svolgimento):

Carpano Maglioli, Sottosegretario di Stato per l’interno                                   

Montalbano                                                                                                    

Mariani                                                                                                            

Presidente                                                                                                        

Merlin, Sottosegretario di Stato per la grazia e la giustizia                                  

Targetti                                                                                                           

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Basile                                                                                                               

Veroni                                                                                                              

Interrogazioni con richiesta d’urgenza:

Presidente                                                                                                        

Scelba, Ministro dell’interno                                                                              

Carpano Maglioli, Sottosegretario di Stato per l’interno                                   

Sui lavori dell’Assemblea:

Presidente                                                                                                        

Tonello                                                                                                            

Gronchi                                                                                                            

Cianca                                                                                                              

Corbino                                                                                                            

D’Aragona                                                                                                       

Nenni                                                                                                                

Persico                                                                                                             

Scoccimarro                                                                                                    

Macrelli                                                                                                          

Selvaggi                                                                                                           

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri                                                

Scelba, Ministro dell’interno                                                                              

Lussu                                                                                                                

Orlando Vittorio Emanuele                                                                          

Auguri al Presidente:

Macrelli                                                                                                          

Presidente                                                                                                        

Presentazione di un disegno di legge:

Campilli, Ministro delle finanze e del tesoro                                                       

Presidente                                                                                                        

Interrogazioni e interpellanze (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 10.15.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

Sul processo verbale.

BENEDETTINI. Chiedo di parlare sul processo verbale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BENEDETTINI. Signor Presidente, desidero chiarire qualche cosa circa il discorso che ieri mattina l’onorevole Ministro dell’interno ha fatto sull’incidente verificatosi in via del Mortaro. L’onorevole Ministro ha dichiarato: «Quanto all’aggressione contro l’onorevole Benedettini, i fatti sono di una elementare semplicità. Noi ci troviamo in una riunione in privato in cui si inseriscono e sono notati pacificamente due personaggi, un certo Sbardella e un’altra persona di cui non conosciamo il nome». Il Ministro poi continua dicendo che nella sala c’erano cento persone e nessuna di queste cento persone ha avuto il coraggio di prendere questo messere e trattenerlo.

Tengo a dichiarare che mi sembra che l’onorevole Ministro sia male informato, o voglia fare il male informato. I tre signori non erano pacificamente seduti nella sala stessa, ma vi hanno fatto irruzione a mano armata, violando il domicilio e passando a vie di fatto contro un deputato. Noi avremmo potuto facilmente aver ragione dell’energumeno; avremmo potuto fare quella giustizia sommaria che il signor Ministro ci aveva consigliato (Interruzioni Commenti); ma abbiamo creduto di dar prova della nostra democrazia, appunto per dimostrare che i nostri metodi sono differenti dai metodi di violenza e di terrore che da altre parti sono attuati. (Interruzioni a sinistra).

Comunque, tengo a dichiarare che l’individuo, che, con pistola alla mano, si è presentato nella sala e ha destato naturalmente la giusta reazione, appena mi ha visto mi è venuto incontro, mi ha afferrato per il collo e ci siamo colluttati. (Rumori). Il signore che, secondo le dichiarazioni del signor Ministro, non era stato identificato dalla polizia, è precisamente il signor Antonioli, detto il «Botticella», della sezione comunista «Cola di Rienzo», che ha sede sopra il bar «Palestrina». (Vive interruzioni a sinistra).

FARINI. Lei fa il poliziotto; questa è una provocazione.

PRESIDENTE. Onorevole Farini, non interrompa. Si tratta in fondo di notizie che abbiamo già lette su tutti i giornali.

BENEDETTINI. Questo signore si è avventato contro di me, che ero sulla porta, dicendo: «Ci conosciamo, onorevole Benedettini» – ma io non avevo il piacere di conoscerlo – ed ha minacciato di sparare e di mandare tutto all’aria con bombe a mano, se non avessimo sospeso l’assemblea dell’Unione monarchica italiana, che regolarmente stava svolgendosi in quei locali. Ma questo non è avvenuto ed egli non ha avuto la sodisfazione di veder sospesi i lavori. Durante la colluttazione sono intervenute altre persone che lo hanno staccato da me e mentre lo allontanavano egli mi ha sferrato un calcio che mi ha colpito. È stato poi immobilizzato e consegnato ad un brigadiere dei carabinieri che si trovava nell’anticamera e che ha dichiarato, forse in seguito al parapiglia che era avvenuto, che non poteva far niente, perché era solo e non riteneva di poter intervenire. È anche vero che se noi avessimo voluto, avremmo potuto bastonare quell’individuo; non lo abbiamo fatto per il motivo che ho detto, motivo che abbiamo anche ripetuto nella lettera aperta inviata a Sua Eccellenza il Capo Provvisorio dello Stato, pubblicata sulla Voce Monarchica dell’altro ieri.

Comunque, quei signori intervenuti in quella circostanza si allontanarono e allora la seduta continuò regolarmente. È da tener presente che non è accettabile l’osservazione fatta dal signor Ministro dell’interno che i presenti non hanno avuto il coraggio civile di affrontare questi individui, perché tra i presenti vi erano persone abituate a ben altri pericoli, valorosi decorati che non avevano certo paura di affrontare anche un comunista armato di pistola.

PRESIDENTE. Onorevole Benedettini, la prego, cerchi di concludere.

BENEDETTINI. Concludo, onorevole Presidente, osservando che, oltre al fatto interno, c’è quello esterno. Intendo dire che la questura era al corrente della circostanza per cui, fino dalla mattina, più di 50 persone bivaccavano nelle osterie vicine. Quando pertanto la questura è intervenuta sbarrando gli accessi e i tre individui, di cui ho parlato, sono potuti entrare ugualmente, nonostante le precauzioni della polizia, ha potuto rendersi conto che altre squadre venivano in aiuto, tanto è vero che il commissario si è incontrato con lo Sbardella, che è entrato per chiedere se noi eravamo autorizzati a tenere quella riunione. Il commissario gli ha fatto allora presente che la polizia era stata attaccata, così da indurlo a dare alla «Celere» ordini di reagire. Questa gente era venuta con randelli e ciò è stato riconosciuto anche dal signor Ministro nella sua risposta.

Ora io domando se, mentre si prendono tante misure per impedire la propaganda monarchica, non sarebbe il caso di impedire anche che queste squadre armate continuino a spargere il terrore. Noi non possiamo non chiedere una disposizione del Governo in tal senso.

PRESIDENTE. Mi permetta, onorevole Benedettini: lei aveva chiesto di parlare per una precisazione, mentre così rientra direttamente nel merito, e ciò non è ammesso. Comunque, se lei lo desidera, ripresenti pure l’interrogazione; ma, in questa sede, la prego di restare alle precisazioni.

BENEDETTINI. Sta bene, onorevole Presidente; ma poiché l’onorevole Ministro afferma che, di cento persone, non ce ne è stata nemmeno una capace di inchiodare quell’individuo, noi non accettiamo questo consiglio, perché sarebbe pericoloso per noi, in quanto, una seconda volta, in un incidente di questo genere, se dovessimo prendere in considerazione tale raccomandazione, potremmo metterci in condizioni tali da provocare un incidente, che poi servirebbe facilmente a sopprimere un’organizzazione regolarmente legale, la quale non ha nei propri programmi altro che l’intento di seguire la piena legalità, in piena libertà.

Noi non prendiamo atto di quanto ha detto l’onorevole Ministro; si tenga conto che non intendiamo, in casi analoghi, assolutamente di dover ricorrere a questo sistema. Provveda pertanto il Governo ad evitare questi incidenti. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. Non essendovi altre osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Commemorazione di Filippo Turati.

CANEPA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CANEPA. Oggi compiono quindici anni dal giorno in cui spirava in terra d’esilio la grande anima di Filippo Turati. (Tutta l’Assemblea si leva in piedi). Quando giunse la notizia della sua morte, il regime fascista proibì ai giornali di commemorarlo; oggi non ha bisogno di commemorazione, perché il suo spirito è più vivo e più attuale che mai.

Io mando alla sua memoria, interprete di voi tutti, un reverente saluto; mando all’Italia l’augurio di essere degna di lui. (Vivi, generali applausi).

MAFFI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAFFI. Mi associo alle parole pronunziate dal vecchio compagno Canepa. Noi abbiamo conosciuto Filippo Turati agli inizi del movimento socialista in Italia, ed abbiamo seguito la sua vita, sempre ispirata al pensiero di fedeltà ai principî che fin dall’inizio del movimento socialista avevano diretto l’opera per la resurrezione del proletariato. Dal principio alla fine, anche attraverso agli infiniti dissensi di dettaglio, noi abbiamo ammirato la grandezza d’animo, la forza di volontà, la resistenza, l’altissima fede di Filippo Turati. (Vivi applausi).

GASPAROTTO. Ministro della difesa. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GASPAROTTO, Ministro della difesa.

Il Governo si associa a questa commemorazione, memore della luce di intelligenza che da quei banchi si è sprigionata attraverso l’alta parola di Filippo Turati; del patriottismo disinteressato che ha sempre guardato alla Patria e ai suoi supremi interessi, pur mirando più alto: all’avvenire dell’umanità. (Vivi applausi).

DE MICHELIS. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE MICHELIS. Il Partito socialista si associa commosso alle parole dette dai colleghi. Il Partito socialista ha avuto in Filippo Turati la sua bandiera. Il socialismo italiano si è onorato in Filippo Turati. Figlio spirituale del grande scomparso, affermo che il Partito socialista oggi sente di onorare il Parlamento italiano, onorando i più alti ideali di umanità che da questi banchi hanno avuto un Maestro. (Vivi applausi).

TURCO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TURCO. Onorevoli colleghi, per il triste privilegio dell’età, e per aver appartenuto a legislature nelle quali l’opera parlamentare di Filippo Turati si svolse meravigliosamente, io – anche a nome del gruppo al quale appartengo – sento il gradito dovere di associarmi appassionatamente alla commemorazione di Filippo Turati. (Applausi).

TUMMINELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TUMMINELLI. Legato nella mia giovinezza a Filippo Turati da una cordiale ammirazione e anche da vincoli di filiale affetto, mi associo con profonda commozione alla sua commemorazione. (Applausi).

BELLAVISTA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BELLAVISTA. I liberali si associano alle nobili parole dell’onorevole Canepa e degli altri colleghi, celebrative della immortale figura di Filippo Turati; e ben a ragione, perché Filippo Turati intese il socialismo come democrazia, e la democrazia come socialismo; ma l’uno e l’altra, soprattutto, come libertà; e portò questa parola: «libertà» nel Parlamento ogni volta che essa sembrasse offuscata: e quando sorse a difesa – tra l’attonito silenzio dei puritani e degli scandalisti – anche delle proletarie del lavoro; e quando sorse, sempre limpida e pura la sua fiamma, ad ergersi a favore di ogni urlo di oppressi, contro ogni prepotenza, contro ogni tirannide. E a questo, che fu il viatico della sua vita, non volle rinunciare nemmeno quando della tirannide fu la più illustre vittima, perché disse che «indietro non si tornava» e volle reagire magnificamente e nobilmente ai tentativi della reazione, ai mezzi che la reazione stessa suggeriva. Questo grande pensiero di libertà non è spento, malgrado la morte di Filippo Turati, se il meglio della sua anima potrà essere, non patrimonio particolare del Partito socialista, ma di tutta l’Italia democratica, rinata alla democrazia ed alla libertà. (Applausi).

BERGAMINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERGAMINI. Anche da questo banco, anche da me venga una parola di ricordo e di omaggio reverente alla memoria di Filippo Turati. Anche da me, ho detto, perché nella mia lontana vita giornalistica sono stato testimone quotidiano della sua altezza d’animo, della sua nobiltà e del suo patriottismo, che superava qualsiasi questione di parte: un patriottismo così alto, che egli seppe fare, per l’Italia, il maggiore sacrificio che è quello del proprio ideale politico. Nella guerra del 1914-18 giunse un’ora difficile, amara, in cui la patria sembrava naufragare: Filippo Turati, che aveva avversato la guerra, sentì in quel doloroso momento una sola passione; non quella della sua parte politica, non quella del suo atteggiamento, ma la passione della patria e pronunciò in quest’aula le parole serene, nobili generose che molto giovarono, molto concorsero a formare quella sacra concordia nazionale che condusse alla vittoria. (Applausi).

CIANCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIANCA. A nome del mio gruppo mi associo alla rievocazione che è stata qui fatta di Filippo Turati: di Filippo Turati, di cui noi fummo tra coloro che raccolsero in esilio l’ultimo respiro. Non si tratta, ha detto giustamente l’onorevole Canepa, di fare una commemorazione: noi diamo a questi riti un solo significato altamente politico, quello di riconfermare in noi stessi il proposito di continuare a lottare per il trionfo dei principî e dei valori a cui Filippo Turati dedicò tutta la sua vita. (Applausi).

CONTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONTI. Onorevoli colleghi, i repubblicani si associano alla commemorazione di Filippo Turati. Noi lo avemmo amico, lo avemmo compagno di tante lotte, e sentiamo oggi che il suo alto insegnamento può essere luce in quest’ora. Sentiamo che la sua parola austera e altissima può animare gli italiani a ritrovare la loro via. (Applausi).

CEVOLOTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO. A nome del mio gruppo, mi associo alla commemorazione di Filippo Turati, la cui nobilissima figura è ancora presente in questa Assemblea ed il cui insegnamento è seguito da tutti noi come un faro luminoso che ci può guidare verso l’avvenire. (Applausi).

PRESIDENTE. Credo che non vi sia molto da aggiungere alle parole che da tutti i settori di questa Assemblea sono state, con tanta significativa commozione, pronunziate in questo momento in ricordo di colui, che non soltanto è caro ai nostri cuori, ma ha legato alla democrazia italiana un grande patrimonio di insegnamenti, politici e morali.

Noi vogliamo, non soltanto ricordare le parole che egli ha pronunziate qui dentro, e di cui non sono riuscite a dissolvere l’eco gli schiamazzi, le parole tracotanti, le grida spregevoli, che per troppi lunghi anni hanno dominato in quest’aula; ma desideriamo anche ricordare che la democrazia italiana, appena rinata, ha voluto dimostrare il suo rispetto e la sua venerazione alla memoria di Filippo Turati. Ed il suo busto, che già da parecchio tempo sta nella galleria nella quale la Camera ha voluto tramandare le sembianze di coloro che hanno ben meritato del nostro Paese, è stato appunto posto per significare come la figura di Filippo Turati, così com’è stata nel cuore della prima e non completa democrazia italiana, sta oggi al centro della democrazia nuova che sorge e che si affermerà. (Vivissimi generali applausi).

Interrogazioni.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca le interrogazioni. La prima è quella dell’onorevole Monticelli, al Ministro delle finanze e del tesoro, «per sapere se sia vero che saranno effettuate, da parte degli organi finanziari, perquisizioni domiciliari agli avvocati e procuratori per accertamenti e controlli ai fini dell’imposta sull’entrata, assimilandosi così l’esercizio della professione forense ad attività commerciali e industriali, che con la medesima non hanno e non possono avere nulla in comune».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per le finanze ha facoltà di rispondere.

PELLA, Sottosegretario di Stato per le finanze. Come è noto, gli onorari degli avvocati e procuratori e in genere gli onorari per prestazioni professionali, ai sensi della legge organica dell’imposta generale sull’entrata, sono soggetti a questo particolare tributo. Per aderire ai voti costantemente formulati dalle categorie interessate e per il coordinato disposto dei decreti 27 dicembre 1946 e 18 gennaio 1947, nei confronti delle categorie professionali, come nei confronti di altre categorie, l’imposta viene riscossa sotto forma di abbonamento, applicando l’aliquota del 3 per cento sul totale degli incassi dell’anno precedente.

Ai fini della determinazione di tale canone, è prescritto che entro il 28 febbraio venga presentata la dichiarazione degli incassi relativi all’anno precedente. Sopra la dichiarazione s’innesta un giudizio di congruità da parte dell’amministrazione finanziaria. Ai fini di tale giudizio, naturalmente, l’amministrazione si è riservata e si riserva il diritto di opportune indagini e di opportuni controlli.

Tuttavia, nel caso specifico degli avvocati e dei procuratori e di altre categorie professionali, per motivi di particolare riguardo, specie relativi al segreto professionale, furono date disposizioni perché il controllo delle dichiarazioni, dalle quali le stesse categorie non possono essere esentate, in quanto ciò costituirebbe un privilegio non consentito dalla legge, venga effettuato da funzionari civili di provata capacità e serietà, quali gli ispettori delle tasse del compartimento, con quel tatto che la particolare natura delle categorie interessate richiede e con l’astensione da qualsiasi specifica indagine che possa condurre alla violazione del suddetto segreto professionale.

È quindi estraneo all’intenzione dell’amministrazione di procedere a perquisizioni, come si accenna dall’onorevole interrogante, come è estraneo al desiderio dell’amministrazione di procedere all’esame di fascicoli, di libri, di registri e in genere di carte esistenti negli studi professionali.

Tali indagini documentali evidentemente devono essere fatte per altre categorie industriali e commerciali, non nei confronti, nella fattispecie, degli avvocati e dei procuratori.

Se qualche episodio in senso diverso può essersi verificato, tutto ciò è estraneo alle direttive date dall’amministrazione e prego l’onorevole interrogante, in tal caso, di fare le necessarie segnalazioni.

PRESIDENTE. L’onorevole Monticelli ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MONTICELLI. Sono dolente di non poter essere d’accordo con l’onorevole Sottosegretario, per quanto egli abbia cercato di raddolcire le preoccupazioni ben giustificate della classe forense italiana.

L’importanza del problema che ho sollevato è dimostrata dal fatto che tanto il Consiglio Superiore forense quanto il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Roma, ne hanno fatto oggetto di due ordini del giorno, i quali invitano ed impegnano tutti gli avvocati e procuratori d’Italia alla più intransigente e doverosa resistenza a qualsiasi tentativo di perquisizione domiciliare fatta nei loro studî, minacciando, qualora lo sciopero fosse assolutamente necessario, anche questo mezzo per ottenere un tempestivo intervento del Governo che sospenda l’applicazione, nei loro confronti, di queste perquisizioni.

Purtroppo, quando io feci l’interrogazione si parlava e si ventilava soltanto di perquisizioni che si sarebbero fatte; viceversa, proprio in questi giorni, perquisizioni sono state fatte, qui in Roma, negli studi dei colleghi e soltanto al loro deciso intervento è dovuto se queste perquisizioni non si sono rivolte ai fascicoli di studio.

Il problema sorse due anni fa, quando si ventilò la stessa preoccupazione in seguito alle progettate perquisizioni ed una commissione di avvocati fu ricevuta dall’allora Ministro per le finanze onorevole Pesenti, che rassicurò la classe degli avvocati, tanto che, per due anni, perquisizioni non sono più avvenute.

Oggi il problema si ripresenta di nuovo. Se l’onorevole Sottosegretario ha bisogno di nomi di avvocati presso cui sono state fatte queste perquisizioni, sarò ben lieto di sottoporglieli.

La questione si prospetta in questi precisi termini: se dobbiamo ammettere che organi finanziari, che non sono soltanto ufficiali e funzionari dell’amministrazione finanziaria, ma sono anche guardie di finanza – come è avvenuto tre giorni fa – entrino nello studio degli avvocati e non debbano controllare i fascicoli, allora io non riesco a capire che cosa vadano a fare in tali studi, perché nello studio di un professionista, oltre i libri e le carte scritte, non ci sono che i fascicoli e le posizioni di studio.

Se invece è per accertare la mole del loro lavoro, se è per controllare la concreta efficienza di quello studio legale che si recano a indagare, controllare e verificare questi fascicoli di studio, il provvedimento non solo viene a confondere l’esercizio della professione forense con attività commerciali e industriali che con la professione forense nulla hanno e possono avere in comune, ma soprattutto offendono e vulnerano l’istituto del segreto professionale, disciplinato, dall’articolo 622 del Codice penale.

Non possiamo dimenticare, specialmente in un’Assemblea dove la classe degli avvocati è così degnamente e numerosamente rappresentata, che nei nostri fascicoli vi possono essere, come vi sono, talvolta confessioni giudiziarie, riconoscimenti di paternità, disposizioni testamentarie e tanti altri segreti di cui noi dobbiamo rispondere, non solo di fronte ai nostri clienti, ma soprattutto di fronte alla nostra coscienza. (Approvazioni).

E vorrei ancora aggiungere che queste vessazioni contro la categoria dei professionisti non soltanto degradano l’Italia al rango di un Paese incivile, ma ci ricordano sistemi polizieschi e paternalistici di infausta memoria.

È vero che l’articolo 49 della legge per la imposta sulla entrata concede, in casi gravi di indizi di violazione, agli ufficiali e alle guardie di finanza di fare perquisizioni domiciliari, ma queste perquisizioni devono essere autorizzate dall’autorità giudiziaria e non possono mai avere per oggetto i fascicoli di studio.

Io voglio augurarmi che il problema sia esaminato in seguito alle mie modeste osservazioni e soprattutto che sia garantito l’assoluto rispetto del segreto professionale, così come ha promesso l’onorevole Sottosegretario e come purtroppo non è stato fatto fino ad oggi.

Debbo anche richiamare l’attenzione del Ministro delle finanze e del Sottosegretario sul fatto che non è possibile, per questa calunniata e tartassata classe degli avvocati…

MANCINI. Anche il Consiglio forense se ne è interessato.

MONTICELLI. …valutare i loro compensi ed i loro onorari soltanto facendo il conto o la parcella di quello che risulta in un fascicolo.

Noi sappiamo che, purtroppo, tante volte abbiamo lavorato ed abbiamo profuso fatiche, tempo, studi e spese per clienti ingrati che poi non hanno scrupoli di defraudarci di quanto per giustizia ci spetta, e nessuno ha mai tenuto e tiene conto di tutto questo. Fare quindi i conti soltanto su quelli che possono essere gli onorari che risultano da un fascicolo, o che sono liquidati in sentenza, è un calcolo empirico che non risponde mai alla verità ed alla concreta efficienza delle nostre prestazioni. Occorre, in un momento come l’attuale, in cui si cerca di collocare al giusto posto i valori morali, ricordare a tutti, al Governo, all’Assemblea, a noi stessi che la toga non deve essere considerata quel lurido cencio che talvolta l’usciere mette sulle spalle e noleggia agli avvocati di passaggio, ma è e deve essere considerata come il simbolo di una missione alta e solenne, necessaria e proficua. (Vivi applausi).

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Bellavista e Bonino, al Ministro dei trasporti, «per sapere i motivi per i quali, con grave pregiudizio per la campagna agrumaria siciliana in corso e dell’economia nazionale e regionale, non si restituiscono al compartimento ferroviario di Palermo i carri merce usciti dalla Sicilia con destinazione Continente, attribuendoli a compartimenti che non hanno le attuali improrogabili necessità di esportazione e di deperibilità di prodotto; e per sapere inoltre perché vengano riservate soltanto ai diretti e direttissimi Roma-Milano le vetture di prima classe, totalmente assenti nel traffico ferroviario siciliano da e per il Continente».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per i trasporti, ha facoltà di rispondere.

JERVOLINO, Sottosegretario di Stato per i trasporti. Anzitutto vorrei comunicare agli onorevoli interroganti che l’amministrazione ferroviaria non ha fatto una ripartizione di carri per questo o quel compartimento; quindi non c’è un diritto quesito violando il quale si possa insorgere. Questo come notizia di fatto.

Ad ogni modo, è impossibile che ogni giorno si verifichi il bilancio perfetto tra i carri che entrano in Sicilia e quelli che ne escono. Bisogna esaminare il fenomeno nel suo complesso, cioè entro i limiti di tempo superiori alla giornata.

Prendendo allora in esame le entrate e le uscite dal 1° gennaio al 16 marzo 1947 (i documenti giornalieri debitamente controllati e registrati relativi all’entrata ed uscita non possono arrivare prima di 6 giorni), ho fatto redigere un prospetto, che farò tenere agli onorevoli interroganti.

Da tale prospetto risultano: 1°) i carri entrati; 2°) i carri usciti; 3°) le differenze in più od in meno dei carri entrati su quelli usciti.

Da tali elementi appare che il periodo 1° gennaio-16 marzo si può dividere in tre parti con caratteristiche distinte:

  1. a) 1° gennaio-20 gennaio, in cui si ha una leggera superiorità (61) di carri entrati (3166) su quelli usciti (3105);
  2. b) 21 gennaio-14 febbraio, in cui si ha invece una netta inferiorità (1237) di carri entrati (3437) su quelli usciti (4674);
  3. c) 15 febbraio-16 marzo, in cui si ha una netta superiorità (365) di carri entrati (5321) su quelli usciti (4956).

In totale, nel periodo 1° gennaio-16 marzo, si è avuta una effettiva inferiorità (811) di carri entrati (11924) su quelli usciti (12735), inferiorità che trae origine dal periodo sub b).

Ora, durante il periodo stesso, l’inferiorità in parola fu causata dalle forti nevicate verificatesi nell’Italia del Nord, nevicate che hanno, se non bloccato, certo ostacolato gravemente non solo la circolazione sulle linee, ma, quello che più conta per i carri in questione, anche e specialmente le manovre nei parchi di smistamento.

A questo si aggiungano le frane che hanno inceppato sensibilmente la circolazione dei treni, per cui si è avuto un notevole ristagno nel movimento di tutti i treni ed in particolare anche di quelli da e per la Sicilia.

Con questi chiarimenti penso di aver dato sodisfacente risposta all’onorevole interrogante.

Ma tengo a rammentare che l’Amministrazione delle Ferrovie dello Stato lavora con una notevole deficienza di materiale rispetto alle necessità dei trasporti; e che oltre al trasporto degli agrumi, deve fronteggiare quello del grano e della farina, che si trasportano da un capo all’altro dell’Italia per sopperire alle deficienze che si verificano giornalmente per mancato arrivo di piroscafi là dove si attendevano e per sodisfare quindi le inderogabili necessità di fare affluire dove necessita il grano e la farina per la produzione del pane e della pasta. Inoltre, deve provvedere a qualunque costo a far fronte al traffico in arrivo nei porti (specie carbone, cereali, ecc.), onde evitare il pagamento in valuta pregiata di controstallie agli armatori. Né può trascurare i trasporti di sementi e concimi per la semina primaverile, trasporti che hanno evidentemente carattere indifferibile.

Pure in tali condizioni, la detta Amministrazione si è sempre preoccupata e continua a preoccuparsi del trasporto degli agrumi, per i quali si fanno giornalmente sforzi eccezionali per l’invio di carri vuoti dal Nord, al punto di arrivare, con recenti disposizioni, alla soppressione dell’accettazione dei trasporti a collettame onde avere un maggior numero di carri per sopperire ai bisogni dell’attuale periodo culminante della campagna agrumaria.

Ed inoltre, sempre per favorire i trasporti siciliani, si caricano per la Sicilia in carri chiusi anche le merci che si dovrebbero trasportare in carro aperto, e ciò nonostante la gravissima e ben nota deficienza di carri chiusi.

Per quanto riguarda poi le vetture di la classe, fo presente che tale servizio è attualmente limitato ai treni diretti che hanno vetture in servizio internazionale fra Roma e Parigi, via Torino-Modane, e via Milano-Domodossola.

All’interno esiste un solo servizio di. vetture di la classe in composizione all’unica coppia di treni rapidi in vigore.

Manca la possibilità di estendere per ora servizi del genere per deficienza del materiale adatto; però è da tener presente che sulle linee dove finora non è stato possibile l’impiego di carrozze di la classe, esistono servizi di la classe disimpegnati con mezzi leggeri, elettromotrici ed automotrici, e ciò anche in Sicilia e nei collegamenti fra la Sicilia e il Continente.

PRESIDENTE. L’onorevole Bellavista ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

BELLAVISTA. Devo ringraziare l’onorevole Sottosegretario per la statistica che ha fornito all’Assemblea in merito ai vagoni, statistica che conferma, nelle sue esatte proporzioni, il fenomeno da me denunziato; il quale non investe, però, soltanto l’economia regionale, ma colpisce direttamente l’economia nazionale, perché gli agrumi non vanno soltanto a Milano, ma proseguono oltre il confine, e rappresentano una contropartita di valuta, con la quale l’onorevole Sottosegretario dovrebbe pagare quei vagoni, che ha in animo di commissionare all’estero; cosa della quale ci dobbiamo preoccupare.

Un dato di fatto positivo è questo: che in piena campagna agrumaria, la quale si svolge tra gennaio e maggio, al compartimento di Palermo sono venuti a mancare circa mille vagoni, che dovevano essere destinati all’esportazione di agrumi.

Vero è che non c’è una dote compartimentale di vagoni, ma è pur vero che l’Amministrazione ferroviaria centrale ha un suo piano di distribuzione – e mi meraviglierei se non lo avesse – e deve fare il possibile, perché, in relazione a date esigenze commerciali stagionali, non venga a mancare, proprio nel periodo critico, ai compartimenti interessati, il numero dei vagoni necessari acciocché, quella funzione di mezzo, che l’Amministrazione ferroviaria svolge, possa essere perseguita.

Comunque, poiché l’onorevole Sottosegretario è bonus vir, io intendo per obligatio futura quello che egli ha detto.

Sono sicuro che egli curerà la cosa; abbiamo ancora due mesi di campagna.

Non è soltanto questione di neve.

JERVOLINO, Sottosegretario di Stato per i trasporti. È la causa principale.

BELLAVISTA. Ho attinto le mie informazioni, che non possono essere uguali a quelle del capo dell’Amministrazione ferroviaria, ma che non sono, perciò, meno attendibili.

Avviene una interpolazione durante il passaggio. Per esempio, durante il passaggio per Napoli dei carri vuoti, il capo di quel compartimento, sollecitato da altre legittime necessità (che sfuggono, però, ad un organismo di controllo, che possa giustapporre e comparare, onde dare la precedenza alle necessità più cogenti e trascurare quelle meno impellenti), il capo compartimento, dicevo, blocca un certo numero di vagoni, che andrebbero in Sicilia, e se ne serve per usi legittimi.

Credo che debba intervenire l’Amministrazione centrale, la quale ha visione panoramica e può determinare quale fra le diverse esigenze sia la più impellente e necessaria.

Per quanto riguarda le vetture di prima classe, è certamente come l’onorevole Sottosegretario ha detto; ma è positivo che io ho visto, coi miei occhi, nei treni in partenza da Roma per Milano, la vettura di prima classe.

JERVOLINO, Sottosegretario di Stato per i trasporti. Che va a Domodossola.

BELLAVISTA. Non c’era scritto. Era un treno diretto per Milano. E quando ad un alto funzionario delle ferrovie espressi questa mia risentita doglianza, mi si rispose che nel Sud, in generale, si usa sputare nelle vetture.

Il che può essere parzialmente vero; ma poiché non è ancora dimostrato, statisticamente, che i maleducati abbondino più a Sud che a Nord, ove la risposta di questo alto funzionario non fosse vera, io pregherei di levargli il «permanente» di prima classe, perché egli è certamente un maleducato.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro di grazia e giustizia desidera rispondere alla seguente interrogazione, presentata congiuntamente anche al Ministro dell’interno, dagli onorevoli Montalbano e Li Causi qualche tempo fa e alla quale il Ministro dell’interno, onorevole Scelba, ha già risposto, mentre il Ministro di grazia e giustizia si era riservato di rispondere:

«Ai Ministri dell’interno e di grazia e giustizia, per conoscere quali provvedimenti intendano adottare contro il Capo dell’ispettorato di pubblica sicurezza della Sicilia, dottor Messana, colpevole di non avere osservato per l’assassinio del ragioniere Miraglia da Sciacca, l’articolo 219 del Codice di procedura penale, il quale gli faceva obbligo di «assicurarne le prove, ricercare i colpevoli e raccogliere quant’altro potesse servire all’applicazione della legge penale.

«Invero l’ispettore Messana condusse in quella occasione indagini deliberatamente molto affrettate, allo scopo di rendere impossibile la scoperta della verità e l’attuazione della giustizia».

L’onorevole Ministro di grazia e giustizia ha facoltà di rispondere:

GULLO, Ministro di grazia e giustizia. Quando venne la prima volta all’ordine del giorno questa interrogazione, non potei rispondere perché non mi erano pervenute ancora dalla Procura generale di Palermo le informazioni necessarie per poter render conto dei motivi che avevano spinto l’autorità giudiziaria a procedere alla scarcerazione degli imputati. Queste informazioni mi sono pervenute ora, e in base ad esse si possono ricostruire i fatti come verrò dicendo.

La sera del 4 gennaio, verso le 22, il ragioniere Accursio Miraglia, Segretario della Camera del lavoro di Sciacca, uscito dalla sede della sezione del Partito comunista, rincasava ed era giunto alla porta della sua abitazione, quando fu colpito da una scarica di fucile, probabilmente mitra. I compagni che lo avevano da poco lasciato, tornarono sui propri passi e lo trovarono quasi esanime. Quasi contemporaneamente accorsero alcuni carabinieri e senza indugio furono iniziate le indagini.

Sul posto venivano raccolti dodici bossoli di arma automatica: il delitto apparve subito accuratamente preparato e, per molteplici voci, fu subito collegato all’attività svolta dal Miraglia nella lotta per l’assegnazione delle terre alle Cooperative di contadini. Temperamento energico, il Miraglia aveva sostenuto sempre con passione e veemenza il diritto alle concessioni, riuscendo spesso a farlo affermare; di qui risentimenti e minacce così insistenti da generare in lui stesso la preoccupazione per la propria vita, preoccupazione manifestata ai familiari e agli amici.

In mancanza di altra causale di una qualche consistenza, l’ispettorato di pubblica sicurezza della Sicilia intensificò le proprie investigazioni in questo campo delle lotte agrarie e delle conseguenti inimicizie, e, dopo una serie di interrogazioni e accertamenti, denunciò in stato d’arresto Rossi Enrico, Di Stefano Carmelo e Curreri Calogero.

Secondo il risultato delle indagini e i riferimenti della pubblica sicurezza, il dissidio fra il Miraglia e il Rossi sarebbe stato insanabile.

La decisa azione esplicata dal Miraglia a favore dei contadini non era tollerata dal Rossi; questi, proprietario di feudi, abituato al comando, non poteva acquietarsi ad atti che suonassero offesa alla sua dignità. Il Rossi aveva dovuto sopportare l’imposizione della cessione di sette ettari di un suo terreno, ed il sopralluogo su alcuni suoi fondi, ordinato ed eseguito dalla Commissione di controllo del grano, presieduta dal Miraglia; le sue cognate Tagliavia vedova Martinez e Tagliavia in Pasciuto avevano dovuto fare concessioni su di un loro feudo: di rimando gravi minacce venivano fatte direttamente e indirettamente al Miraglia. In occasione della presa di possesso di un pezzo di terra da parte di una cooperativa, il Rossi a tal Cianamino che lo salutava – più o meno ironicamente – come compagno, rintuzzò che i suoi compagni erano le armi.

Come frequentemente accade nella regione, il Rossi aveva quale dipendente al suo servizio una specie di lancia spezzata, un pregiudicato di gravi delitti contro il patrimonio e la persona, Di Stefano Carmelo, che più di una volta si sarebbe prestato a minacce più o meno dirette contro il Miraglia; e amico indivisibile del Di Stefano era il Curreri, figlio di ergastolano, vissuto in ambiente traviato, abituato a vivere di male azioni. E nel Curreri, sia pure «grosso modo», uno dei compagni del Miraglia credette di poter riconoscere uno degli uccisori di lui: tanto che fu il primo ad essere fermato nella stessa sera del delitto.

La polizia giudiziaria aggiungeva come altro elemento di prova la preoccupazione del Rossi, dopo la uccisione, di esser tenuto al corrente delle reazioni dell’opinione pubblica e la circostanza che il Di Stefano, indicato come organizzatore della uccisione, si fece operare di appendicite tra il 26 e il 27 dicembre, e così proprio nel periodo delle feste di Natale e Capodanno, mentre è accertato che la malattia non richiedeva affatto un urgente intervento chirurgico, dando così ragione a pensare ad una più o meno abile precostituzione di alibi.

Le indagini della pubblica sicurezza furono minute e sollecite come il caso richiedeva, né può affermarsi, allo stato dell’istruttoria e fino a quando questa non sarà chiusa, che esse abbiano seguito una via errata.

L’autorità giudiziaria intervenne fin dai primi momenti per le contestazioni di legge; dopo la denuncia, la istruzione fu avocata alla sezione istruttoria presso la Corte di appello; ma questa, su conforme richiesta del procuratore generale, con ordinanza 22 febbraio 1947, dispose l’escarcerazione di tutti e tre gli imputati, ritenendo insufficienti per un’ulteriore detenzione gli indizi raccolti. Devo senz’altro dichiarare che allo stato degli atti, non saprei dire per quali precisi elementi si sia pervenuti a questa decisione, e ciò perché né la richiesta del procuratore generale, né la conforme ordinanza della Sezione istruttoria risultano sufficientemente motivate.

Devesi rilevare che il 24 gennaio, mentre si eseguiva, a cura dell’ispettorato regionale di pubblica sicurezza, la traduzione dei detenuti dal carcere di Sciacca a quello di Palermo, il Rossi, per grave malore avuto durante il viaggio, ed in base a due referti medici, fu ricoverato, per disposizione dell’ispettore Messana, prima all’Ospedale civico di Corleone e poi in una clinica chirurgica di Palermo.

Secondo certificati sanitari, il Rossi sarebbe stato affetto da grave enteroragia per ulcera duodenale accertata radiologicamente.

Il Ministero, fin dalla prima notizia dell’omicidio, che tanto sdegno e allarme suscitò nell’opinione pubblica, non mancò di richiamare energicamente con telegrammi e lettere l’attenzione della Procura generale sulla gravità del fatto e di sollecitarne l’attività e la dovuta sorveglianza sugli organi di polizia giudiziaria; non mancò neanche di mettere in rilievo come altri delitti del genere, commessi nel territorio di quella stessa Corte di appello e sempre a causa della lotta agraria, fossero e siano tuttora rimasti impuniti. Il Ministero dell’interno ha incaricato l’ispettore Fausto Salvatore per ulteriori indagini di polizia.

L’istruttoria non è ancora chiusa e il Ministero ne seguirà lo sviluppo con quella cura che tali gravi manifestazioni criminose richiedono.

PRESIDENTE. L’onorevole. Montalbano ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MONTALBANO. Con qualche riserva, mi dichiaro sodisfatto della risposta dell’onorevole Ministro della giustizia.

In fondo, la risposta dell’onorevole Gullo è tale da giustificare pienamente l’interrogazione mia e dell’onorevole Li Causi, mossa dalla preoccupazione che ci fossero state delle manchevolezze da parte della polizia o della Magistratura, o di entrambe, per la scarcerazione degli imputati dall’assassinio del ragioniere Miraglia, Segretario della Camera del lavoro di Sciacca.

L’onorevole Gullo ha oggi messo in evidenza tre fatti molto importanti: 1°) il ragioniere Miraglia fu ucciso per volontà degli agrari locali, i quali mal sopportavano che egli difendesse presso le commissioni competenti i contadini, per la concessione delle terre incolte o male coltivate; 2°) che nel rapporto della polizia giudiziaria e negli atti del processo esistono indizi gravi di colpevolezza a carico di tutti e tre gli imputati: vale a dire del Rossi, quale mandante, del Di Stefano e del Curreri, quali organizzatori ed esecutori materiali; 3°) che l’ordinanza della Sezione istruttoria di Palermo non è motivata. Fatto questo gravissimo, in quanto l’articolo 148 del Codice di procedura penale stabilisce l’obbligatorietà della motivazione delle ordinanze, a pena di nullità. Comunque, a parte l’obbligo giuridico, la Sezione istruttoria di Palermo doveva sentire almeno l’obbligo morale della motivazione per un fatto così importante, sia dal lato giuridico, che da quello politico, come l’assassinio del Miraglia. Non avendo fatto ciò, ossia non avendo motivato la sua ordinanza, la Sezione istruttoria di Palermo ha scosso la fiducia nella stessa ordinanza, poiché è la motivazione quella che garantisce tutti i cittadini che sia fatta veramente giustizia.

Quindi, per il fatto che c’era l’obbligo giuridico della motivazione, io ritengo che ora il Ministro della giustizia debba intervenire, perché il Procuratore generale di Palermo possa dichiarare nulla l’ordinanza e procedere immediatamente contro i tre imputati, per i quali già esistono negli atti sufficienti indizi di colpevolezza.

Per quanto riguarda le riserve, debbo dire che l’ispettore Salvatore venne a Sciacca unicamente per due giorni o un giorno e mezzo, e non fu incaricato di sostituire il Messana nell’istruttoria. In secondo luogo debbo dire che, se è vero che nel rapporto della polizia giudiziaria vi sono indizi abbastanza gravi di colpevolezza a carico degli imputati, tuttavia l’ispettore Messana non approfondì le indagini come avrebbe dovuto. E mi riferisco ad un fatto specifico. Pochi giorni dopo che la Commissione di inchiesta si recò a Sciacca – io facevo parte della Commissione d’inchiesta – venne da me un repubblicano, di un paese vicino a Sciacca, e mi disse che egli una decina di giorni prima dell’assassinio di Miraglia era stato chiamato dal Curreri, il quale voleva affidare il mandato di uccidere il Miraglia dietro corrispettivo di lire 100.000. Io informai di questo fatto l’ispettore Messana, dicendo che quel tale individuo non voleva essere conosciuto e nemmeno indicato nel rapporto della polizia giudiziaria, perché temeva che sarebbe stato sicuramente ucciso. L’ispettore Messana mi dette incarico di parlare nuovamente con quella persona dicendo che si impegnava di non fare il suo nome nel rapporto.

Io andai un’altra volta a parlare con quella persona alla quale feci conoscere il proposito del Messana, ma egli non aveva fiducia nel Messana, perché riteneva che il Messana avrebbe egualmente fatto conoscere alla «mafia» locale le rivelazioni che avrebbe fatte. Allora mi sono messo d’accordo con il Messana nel senso che le dichiarazioni, quel tale, le avrebbe dovute fare all’ispettore che sarebbe partito per Sciacca. Questi si impegnò di non consegnare subito il rapporto all’autorità giudiziaria, mentre invece l’ispettore Messana non mantenne questo impegno, ed è di questo che io lo accuso. Egli consegnò subito il rapporto all’autorità giudiziaria, senza approfondire questo punto importantissimo del processo.

Presentazione di un disegno di legge.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Mi onoro di presentare all’Assemblea Costituente il disegno di legge: «Disposizioni sulla stampa».

PRESIDENTE. Do atto all’onorevole Presidente del Consiglio della presentazione di questo disegno di legge. Sarà trasmesso alla Commissione per la Costituzione.

Seguito dello svolgimento delle interrogazioni.

PRESIDENTE. Riprendiamo lo svolgimento delle interrogazioni.

Segue l’interrogazione degli onorevoli: Li Causi, Nasi, Musotto, Montalbano, Adonnino, Volpe, Varvaro, D’Amico Michele, Candela, al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’interno, «per conoscere: 1°) se è vero che a Palermo ed a Comiso elementi qualunquisti hanno pubblicamente celebrato il 23 marzo, facendo l’apologia del fascismo, spingendo le madri dei caduti a portare fiori sulla tomba di Mussolini ed esponendo la bandiera con lo stemma Sabaudo: 2°) in caso affermativo quali provvedimenti intendano adottare, affinché anche in Sicilia vengano applicate le leggi per la difesa delle istituzioni repubblicane, impedendo soprattutto la riorganizzazione del disciolto partito fascista»;

Mariani, Buffoni. Vernocchi, De Michelis, Pressinotti, Jacometti, al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’interno, «per sapere se rispondano a verità le notizie diffuse dai giornali circa una pubblica sfacciata manifestazione fascista, che avrebbe avuto luogo a Palermo per iniziativa di un membro dell’Assemblea Costituente; e, in caso affermativo, se non credano doveroso assicurare il Paese, già profondamente turbato per altre consimili manifestazioni, che interverranno col rigore della legge contro tutti i nostalgici e gli apologeti del passato regime».

Trattandosi di due interrogazioni relative allo stesso argomento, possono essere svolte congiuntamente. L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.

CARPANO MAGLIOLI, Sottosegretario di Stato per l’interno. Non è vero che il giorno 23 marzo in Palermo vi sia stata una vera e propria pubblica manifestazione fascista. In detto giorno, fra gli altri comizi elettorali tenutisi nel capoluogo, al teatro Nazionale, parlarono il colonnello Presti Simone e l’onorevole Russo Perez, del blocco liberale democratico qualunquista. Non esistendo un testo stenografico dei discorsi, ma solo delle relazioni orali, non è possibile dare un giudizio sul contenuto stesso dei discorsi.

Circa la bandiera, risulta che sul tavolo davanti all’oratore fu collocata una bandiera tricolore con nel centro sovrapposto il manifesto del partito qualunquista, il che ha impedito di ravvisare l’eventuale esistenza dell’emblema Sabaudo. Comunque, il questore ha inviato un dettagliato rapporto al Procuratore della Repubblica.

Per quanto riguarda l’episodio di Comiso, si è già precisato che durante un comizio elettorale colà tenuto dai qualunquisti, in seguito a grida di: «Hip, hip, alalà!», si è verificato un tafferuglio e sono state fermate tre persone che sono state poi rilasciate.

Sono state disposte ulteriori indagini, ai fini di procedere alla denunzia per manifestazioni fasciste.

PRESIDENTE. L’onorevole Montalbano ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MONTALBANO. Non posso rimanere sodisfatto della risposta dell’onorevole Sottosegretario di Stato.

Sta di fatto che in Palermo il 23 marzo è stato organizzato un comizio dall’onorevole Guido Russo Perez, qualunquista; che in questo comizio è stata esposta la bandiera con lo stemma Sabaudo e che l’onorevole Russo Perez ha fatto l’apologia del fascismo, affermando che l’attuale regime democratico sarà abbattuto e sarà sostituito da un regime neo-fascista; che i partigiani che a Dongo fucilarono Mussolini saranno passati per le armi; che gli antifascisti saranno puniti, e sarà ritrovata la tomba di Mussolini, dove le madri dei caduti porteranno fiori.

Ma il comizio del 23 marzo a Palermo non è un fatto isolato. Il 24 marzo a Trapani l’onorevole Russo Perez ha fatto nuovamente l’apologia del duce e del fascismo, dicendo che il qualunquismo si batte per il ritorno della monarchia e del fascismo. L’onorevole Guido Russo Perez da diversi mesi cerca di riorganizzare il disciolto partito fascista, che secondo lui dovrebbe, con un colpo di mano, conquistare il potere e restaurare la monarchia.

Né in Sicilia la situazione politica è delineata soltanto dall’attività criminosa dell’onorevole Russo Perez. Vi è un attacco convergente contro le istituzioni repubblicane con la complicità di molti prefetti, questori, ufficiali dell’Esercito, della Marina, dei Carabinieri e qualche volta anche di magistrati. Tipico è, ad esempio, l’episodio di Messina, in cui un capitano dà ordine di sparare contro la folla al grido di: «Avanti Savoia!». Tipico è l’episodio recente di Comiso, in cui gli elementi reazionari fanno violenza contro elementi dei partiti repubblicani, e in cui la forza pubblica arresta alcuni dirigenti dei partiti repubblicani, sottoponendoli a sevizie.

Ma più gravi di tutti sono due complotti monarchici organizzati a Palermo, l’uno prima e l’altro dopo il 2 giugno.

Ci risulta per dichiarazione di elementi dirigenti del Movimento Indipendentista Siciliano, i quali sono disposti a confermare anche al Ministro dell’interno, che in questi complotti è stato, tra l’altro, deciso di restaurare la monarchia nell’Isola proclamando il regno di Sicilia, con la formazione d’un Governo in cui il Ministero dell’interno dovrebbe essere affidato al dottor Messana, attualmente ispettore generale della pubblica sicurezza per la Sicilia.

Tutto ciò dimostra che le cose non possono più rimanere così. La carenza e, qualche volta, la complicità degli organi governativi e provinciali devono assolutamente cessare, se si vuole evitare la guerra civile. Il Governo deve dare disposizioni tassative perché anche in Sicilia la legge sia applicata per la difesa e il consolidamento della Repubblica.

Siccome ieri un Deputato monarchico ha protestato contro l’aggressività del Partito comunista in provincia di Agrigento, fo notare che noi non vogliamo commettere violenze, ma dobbiamo evitare in tutti i modi la guerra civile.

Proprio in provincia di Agrigento sono stati assassinati, in meno di un mese, 8 comunisti, organizzatori di leghe contadine e di camere del lavoro.

La verità è che i partiti reazionari in Sicilia vorrebbero distruggere le nostre organizzazioni e le istituzioni repubblicane con l’appoggio del Governo e degli organi governativi periferici, come avvenne nel 1921-22. Ma il Governo democratico non lo permetterà sicuramente. Comunque, il popolo siciliano, saprà, occorrendo, difendere da se stesso le sue libertà e le sue istituzioni democratiche repubblicane. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. L’onorevole Mariani ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MARIANI. Mi sforzerò di dire soprattutto una parola serena. L’altro ieri, l’onorevole Mario Rodinò ha detto, a proposito di gravi incidenti, che vi è qualche cosa che supera la portata degli incidenti stessi.

Le cause hanno un duplice aspetto: uno economico e l’altro politico, però marciano assieme e molte volte si confondono.

Le cause economiche sono evidenti. Vi sono larghi strati di popolazione, che vivono nell’indigenza, larghi strati che vivono nella miseria.

Non so, onorevoli colleghi, chi di voi abbia provato la miseria. Io ho provato: la miseria e la fame, e so quali sentimenti e quale reazioni determinano nell’animo umano.

Noi assistiamo ogni giorno, nei nostri uffici, ad episodi di partigiani, che esasperati, molte volte con le rivoltelle in pugno, vorrebbero sparare su tutto e su tutti. È la disperazione dell’indigenza e del bisogno!

Molte volte è una donna che accompagna dei bambini e che ci domanda: si possono fracassare tutti i negozi?

Nella domanda vi è tanta disperazione! Sommate le migliaia di queste disperazioni ed esasperazioni individuali ed avrete un quadro di miseria, e comprenderete come possano avvenire molte volte esplosioni, che danno luogo ad incidenti gravissimi, deprecabili.

Sarebbe desiderabile che da tutti, indistintamente, dal Governo a questi settori dell’Assemblea, si riaffermasse la volontà di ricercare le cause di questa situazione, piuttosto che deprecarla. Evidentemente nel nostro Paese vi sono ancora troppi squilibri sociali; c’è troppa gente che accumulava ieri e accumula oggi; vi sono troppi insolenti contrasti che formano, in sostanza, la ragione precipua dei fermenti. Il nostro popolo è buono, ma si dia al popolo esempio di probità…

PRESIDENTE. Onorevole Mariani, vorrei pregarla di attenersi al tema.

MARIANI. È una premessa. Noi deprechiamo la violenza da qualunque parte essa venga. Sappiamo che la violenza non darà mai frutti ai violenti. Il fascismo, purtroppo, ha praticato per venti anni la violenza ed ha messo sull’altare il randello e la bomba a mano e noi ne subiamo tutte le conseguenze. Ne deriva, quindi, che l’aspetto politico che noi dobbiamo affrontare è precisamente questo: ogni risorgere di fascismo è delitto. Se è vero, come è vero, che il fascismo è stato la rovina morale e materiale del nostro Paese, e sono pur vivi nella nostra mente i ricordi tragici delle rovine che da esso sono derivate, ogni gesto e ogni propaganda intesi alla esaltazione di questo regime, sono delitti.

Si parla di libertà. Noi siamo per la libertà: individuale e collettiva. Ma non possiamo esasperare il concetto della libertà dell’individuo.

Non possiamo accettare la libertà di concussione e la libertà di assassinio. Neghiamo, quindi, la libertà alla propaganda fascista, perché il fascismo rappresenta in sé e per sé un delitto. Ce ne ha dato la prova per venti anni.

Assistiamo da troppo tempo ad assassinî di organizzatori di camere del lavoro, e da ciò derivano rappresaglie. Non vogliamo né gli uni, né le altre. Vogliamo l’imperio della legalità ed il Governo deve provvedere. A Milano è stato assassinato un giornalista…

PRESIDENTE. Mi permetta, onorevole. Mariani. La prego di stare al tema dell’interrogazione, non dimenticando che la risposta, a tenore del regolamento, deve essere succinta.

MARIANI. Nella mia interrogazione accenno anche ai precedenti.

PRESIDENTE. Lei ha parlato di molte cose interessanti, ma non ha ancora detto una parola concernente il tema della interrogazione che lei ha posto. Non siamo in sede di interpellanza!

MARIANI. I rigurgiti del fascismo che si verificano a Palermo, come si sono verificati a Milano…

PRESIDENTE. Onorevole Mariani, lei sta parlando degli incidenti di Palermo. Se vuole, presenti un’altra interrogazione sui fatti di Milano; ma, in questa seduta, l’onorevole Sottosegretario ha risposto sui fatti di Palermo. La prego, quindi, di parlare sulla questione di Palermo.

MARIANI. Ed allora, mi riserbo di trasformare l’interrogazione in interpellanza.

PRESIDENTE. Sta bene. Segue l’interrogazione degli onorevoli Targetti, Meda Luigi, Vigorelli, Clerici, al Ministro di grazia e giustizia, «sulla preoccupante situazione che va creandosi a Milano, dove l’agitazione dei magistrati rende ancora più grave la crisi profonda che da lungo tempo vi attraversa l’amministrazione della giustizia per un complesso di ragioni, fra le quali l’assoluta insufficienza numerica del personale oltre la mancanza delle dotazioni strettamente necessarie per il funzionamento dei vari uffici. Si chiede quali provvedimenti di urgenza intenda il Ministero di adottare».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per la grazia e giustizia, ha facoltà di rispondere.

MERLIN UMBERTO, Sottosegretario di Stato per la grazia e giustizia. Il Governo ringrazia gli onorevoli Targetti, Meda, Vigorelli e Clerici di aver presentato la loro interrogazione sulle cause dell’agitazione dei magistrati di Milano, perché, in tal modo, è offerta la possibilità di rendere dichiarazioni pubbliche atte a tranquillizzare – almeno si spera – tutti i magistrati d’Italia.

Il Governo è convinto che le condizioni in cui vive la Magistratura siano gravi ed assillanti ed impongano duri sacrifici. La crisi profonda cui gli interroganti accennano, dipende soprattutto da queste condizioni di vero disagio economico. Pure nel quadro generale delle strettezze in cui vive tutta la classe impiegatizia, la situazione dei magistrati, per ragioni evidenti, presenta una particolare importanza, che impone particolari provvidenze.

Il Governo è convinto che la natura specialissima delle funzioni che i magistrati sono chiamati ad esercitare, esige, in via assoluta, che ad essi sia garantita una dignità di vita ed una serenità di spirito del tutto particolare e principalmente che sia tutelata, sotto ogni profilo, la loro indipendenza.

L’amministrazione della giustizia è invero il cardine della vita dello Stato, e particolarmente di uno Stato democratico, in quanto in essa sta il supremo presidio delle libertà individuali e dell’osservanza della legge.

Il Governo perciò si è sempre posto come fondamentale problema quello della piena indipendenza e del prestigio della Magistratura e, perciò, la necessità evidente di dare ai magistrati la prima libertà che è la libertà dal bisogno.

Tuttavia è chiaro come il Governo, per attuare queste sue intenzioni, trovi dei limiti nelle condizioni del bilancio, che sono una triste eredità del fascismo.

Nonostante queste ristrettezze, poiché i sacrifici che i magistrati avevano sempre sopportato con alto spirito di patriottismo e con profondo senso di responsabilità, erano giunti ad un limite vorrei dire angoscioso, il Governo ha già deliberato degli aumenti particolari delle indennità di toga, già concesse in misura diventata irrisoria. Tale aumento è in media di circa sei volte l’attuale, ma inversamente proporzionale ai gradi, partendo da un massimo di circa dodici volte per i gradi più bassi per giungere gradatamente ad un minimo di circa due volte per quelli più alti. Per essere esatti, la misura mensile lorda dell’indennità di toga, con decorrenza dal 1° febbraio 1947 (e quindi con diritto a percepire gli arretrati), sarà per il grado 1° di lire 6875 – mensili – per il grado 2° di lire 6302, per il grado 3° di lire 5730, per il grado 4° di lire 5385, per il grado 5° di lire 5156, per il grado 6° di lire 4583, per il grado 7° di lire 4239, per il grado 8° di lire 3896, per il grado 9° di lire 3666, per i gradi 10° e 11° di lire 3437.

Contemporaneamente, siccome le norme vigenti prevedevano delle limitazioni per i magistrati e per il personale delle cancellerie e delle segreterie giudiziarie, in deroga al decreto legislativo Presidenziale 27 giugno 1946 n. 19, a tutti i magistrati dell’ordine giudiziario ed a tutto il personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie, indipendentemente dal grado, viene concesso che i compensi per lavoro straordinario possono essere corrisposti in ragione di 60 ore mensili.

Per dare un concetto esatto del sacrificio che lo Stato assume con queste provvidenze, posso anche comunicare che esso toccherà quasi un miliardo e ciascun magistrato avrà un beneficio medio di circa 6.000 lire mensili, cioè annue lire 70.000.

È uno Stato povero, rovinato dalla guerra perduta, che vuol dimostrare con queste provvidenze la sua buona volontà per risolvere l’angoscioso problema dei suoi magistrati.

Voglio anche aggiungere che si era pensato al mio Ministero di andare incontro ai bisogni dei magistrati, con l’istituzione di una Cassa Nazionale dei magistrati alimentata da tasse particolari sugli atti giudiziari.

Ma, a parte la misura delle entrate (molto incerta per la inevitabile contrazione degli affari giudiziari), il progetto si dovette abbandonare, perché fu autorevolmente opposto che tale innovazione era offensiva del principio della unità del bilancio dell’entrata di uno Stato moderno, e per giunta avrebbe potuto trarre con sé altre aspirazioni di altre categorie di funzionari, pur meritevoli di ogni riguardo.

Devo dare una particolare risposta circa la situazione numerica degli uffici giudiziari di Milano.

È perfettamente vero che mancano 5 consiglieri di Corte d’appello su 54, manca un sostituto procuratore generale su 9, mancano 4 presidenti di sezione di tribunale su 14, mancano 33 giudici su 100, mancano 9 pretori su 37.

Sarà cura del Ministero di fare in modo che i posti vacanti siano al più presto coperti.

Si fa osservare al riguardo che i vuoti derivano dalla generale deficienza numerica nei ruoli della Magistratura.

Attualmente su circa 5.000 magistrati, ne mancano 900, senza tener conto dei magistrati o distaccati presso altre amministrazioni, o richiamati alle armi, o sospesi.

E si tenga anche presente che, per il principio della inamovibilità dei magistrati, essi possono essere assegnati ad una determinata sede, soltanto se diano il loro consenso.

A colmare in parte tale deficienza, col decreto luogotenenziale 30 aprile 1946, si è provveduto affidando le funzioni di pretore, di giudice, o di sostituto a vicepretori onorari od a laureati in giurisprudenza, ma meglio si provvederà con i concorsi in via di esperimento. Le condizioni del Tribunale di Milano saranno tenute in particolare considerazione, pur osservandosi che dalla liberazione ad oggi i posti vacanti sono sensibilmente diminuiti.

Si spera quanto prima di arrivare alla normalità e si arriverà se tutti sapranno contenere le pur legittime impazienze.

Devo, a questo punto, di fronte ad ordini del giorno votati ed a minacce che essi contengono, fare una netta dichiarazione.

Il Governo si rifiuta di credere che i magistrati che hanno dato sempre esempio di tanta dignità, di scrupoloso senso del dovere e che per la loro rettitudine sono stati sempre ammirati da tutto il Paese, vogliano, proprio quando il Governo si fa incontro ai loro bisogni, dare un tristo esempio di indisciplina e ricorrere a metodi assolutamente disdicevoli alla loro alta funzione.

Il Governo e i singoli membri di esso non sono affatto insensibili alle richieste pervenute ed hanno ricevuto anche attestazioni da assemblee di magistrati (come per esempio quelle di Roma), che hanno telegrafato al mio Ministro ed a me, manifestando gratitudine per tutto ciò che si è potuto fare.

Gli onorevoli interroganti aiutino il Governo nel suo duro e difficile compito e persuadano tutti che in uno Stato democratico, i magistrati, che costituiscono il terzo potere dello Stato, hanno tutti i mezzi leciti per presentare e far valere le loro giuste domande, senza ricorrere ad atti deprecabili che nuocerebbero al Paese, alla cui rinascita devono tendere invece gli sforzi comuni. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Targetti ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

TARGETTI. A nome degli altri colleghi che hanno presentato con me l’interrogazione debbo dichiararmi in buona parte sodisfatto della risposta dell’onorevole Sottosegretario di Stato alla giustizia, sodisfatto specialmente per alcune dichiarazioni ed alcune comunicazioni. L’egregio Sottosegretario ha comunicato in via ufficiale e, quindi, ha data la certezza di alcuni provvedimenti d’urgenza che il Governo ha deciso di prendere a sollievo delle più strette necessità, che in questo caso andrebbero meglio denominate come vere angosce, che tormentano la vita dei magistrati. Si dice – non so se sia un’esagerata notizia di cronaca e vorrei augurarmi che lo fosse – che il colmo dell’esasperazione a cui sono arrivati i magistrati milanesi abbia avuto come occasione questo episodio: uno di essi, per la necessità di provvedersi di medicine per un figlio ammalato, ripugnando alla sua coscienza integra di magistrato di ricorrere anche alla richiesta di un prestito ad un amico o ad un conoscente, andò in pieno inverno ad impegnare il paletot. Si tratta di episodî che dimostrano come i magistrati italiani condividano la tristissima sorte delle più disgraziate categorie di lavoratori. Mi lasci dire l’Assemblea che a noi socialisti rincresce che, nonostante questa comunanza di tristissima sorte, manchi in gran parte della Magistratura un sentimento di solidarietà con la gente del lavoro, che le consenta di comprenderne e condividerne le aspirazioni.

Noi dobbiamo però osservare che questi miglioramenti non dovrebbero neppure essere considerati come tali, ma solo come provvedimenti d’urgenza, o soccorsi di urgenza, che il Governo, nei limiti molto ristretti delle sue disponibilità, ha deliberati. E l’onorevole Sottosegretario ha fatto molto bene a ricordare che queste gravi ristrettezze, queste gravi difficoltà del bilancio hanno, come prima causa, il passato e deprecato regime fascista, cosa che molti preferiscono dimenticare. Questi soccorsi d’urgenza non portano certo una risoluzione alla questione sostanziale e fondamentale della Magistratura in Italia, questione che dovrà essere affrontata dal Governo in tutti i suoi elementi. A parer nostro, non si tratta soltanto di modificare il trattamento economico dei magistrati, ma di mettere su tutt’altra base il trattamento che i magistrati devono avere dallo Stato e, al tempo stesso, dobbiamo dire sinceramente il nostro pensiero, e io lo dico, se non altro, a nome del mio Gruppo e certamente anche del Gruppo cui appartiene l’amico Vigorelli: il problema della Magistratura dovrà essere risolto in toto, dovrà cioè la Repubblica assicurare ai magistrati un degno trattamento e, d’altra parte, assicurarsi anche di non avere, in una parte della Magistratura, anziché dei sostenitori, dei sabotatori della Repubblica.

Il caso ormai ben noto del Procuratore generale della Cassazione e l’altro recentissimo del Pubblico Ministero nel processo Bardi-Pollastrini, dimostrano la fondatezza di questo problema che io segnalo. Venendo alla questione di Milano, ci rincresce di non poterci dire sodisfatti della risposta dell’onorevole Merlin, perché il problema a Milano si presenta sotto un aspetto di eccezionale gravità. Sono d’accordo che anche in altri grandi centri il problema si imponga come a Torino e a Genova.

I rimedi? Ci si illude che la situazione vada già migliorando; ma io dico che purtroppo non va migliorando. Questi vuoti ci sono; e sono tali che a Milano abbiamo la sensazione che l’Amministrazione della giustizia sia come arrestata. Nel campo penale, si fanno istruttorie per i soli detenuti ed anche queste con una lentezza tale che, mentre lede i diritti dell’imputato, toglie all’azione repressiva gran parte della sua efficacia. Nel campo civile, bisogna avere la fortuna di aver torto perché, se si ha ragione, è difficile che questa possa venir riconosciuta.

Un’ultima considerazione. La difficoltà di colmare questi vuoti deriva in massima parte, come l’onorevole Sottosegretario ha detto, dalla inamovibilità dei magistrati, riconosciuta dal provvido decreto dell’onorevole Togliatti. Ma tutti sanno che, date le ristrettezze economiche entro le quali si dibatte la vita del magistrato, è evidente che queste ristrettezze siano più angosciose a Milano, per esempio, che in una piccola città, donde la riluttanza dei magistrati ad accettare, quale loro residenza, una città come Milano, ove sentirebbero ancora più triste la loro sorte.

Di qui la necessità di fare un più largo uso di quel decreto dell’aprile 1946, il quale provvede alla possibilità di aprire l’accesso per titoli a quei giovani valorosissimi che già in numero di 140 sono entrati, in applicazione di tale decreto, a rinsanguare l’esausto corpo della Magistratura italiana.

Esorto, quindi, il Governo a servirsi ancora di più di questa disposizione; so che, nel concorso di cui ho parlato, si sono scelti questi giovani fra 800 e più…

MERLIN UMBERTO, Sottosegretario di Stato per la grazia e giustizia. Erano mille.

TARGETTI. Tanto meglio: si sono scelti dunque questi giovani fra mille che risultarono tutti forniti di ottimi titoli. Perché dunque il Governo non si serve di questo decreto, per avere subito a sua disposizione dei giovani magistrati i quali non avrebbero niente in contrario e non avrebbero neppure il diritto di fare eccezioni a raggiungere la residenza di Milano?

Io credo che debba essere un sentimento, una convinzione comune a tutti i colleghi dell’Assemblea. Comune a tutti, giacché anche all’estrema destra si fanno continuamente dichiarazioni di lealismo e di volontà di contribuire all’affermarsi, al progredire, del regime monarchico. (Commenti Interruzioni).

Volevo dire, naturalmente, «repubblicano», ma, parlando dell’estrema destra, mi pareva quasi impossibile di poter attribuire a quella parte dell’Assemblea il sentimento repubblicano. Scusatemi il lapsus linguae. È necessità, dicevo, da noi tutti sentita, e desiderio di noi tutti, di assicurare nel nostro Paese almeno un minimo di giustizia, per dare una base solida alla nuova Repubblica. (Vivi applausi a sinistra).

PRESIDENTE. È così trascorso il tempo assegnato alle interrogazioni.

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: «Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana».

È iscritto a parlare l’onorevole Basile. Ne ha facoltà.

BASILE. Onorevoli colleghi, i diritti dell’uomo, i diritti dello Stato: ecco un contrasto formidabile. Uno dei più grandi problemi della civiltà moderna è quello di contemperare e trovare un equilibrio fra questi due termini: sicurezza e libertà; sicurezza della società, libertà del cittadino. Non c’è che una formula: il cittadino si difende contro l’autorità, invocando la legge; l’autorità si difende contro il singolo, osservando la legge.

Noi stiamo facendo la legge, e la legge, su questo punto, è l’articolo 8.

Un delitto è stato commesso; la società deve punire il reo.

Ma l’articolo 21 della Costituzione dice che «l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva». Si sono discussi qui tutti gli articoli, quasi tutte le frasi e quasi tutte le parole del progetto di Costituzione, tutte le critiche e tutte le censure sono state fatte, ma nessuno ha attaccato questo principio dell’articolo 21. È così universale il consenso su questo punto che non si può discuterlo.

E allora si deve arrestare il presunto colpevole di un reato, che ancora non si può considerare colpevole. Qui due tendenze dividono i teorici e i pratici. Volete rafforzare il potere dell’autorità nella lotta contro il delitto? Badate agli abusi. Sì, vi furono abusi; non si possono negare e si devono deplorare gli arbitrî della polizia, del tempo tenebroso, quando tutto era arbitrio, contro cui si levò la parola di Mario Pagano, il martire glorioso della scienza e della libertà.

Ma necessità c’è di raccogliere le tracce, le prove del reato, di fare le prime indagini, non appena il delitto è stato commesso. E non possiamo far passare quell’attimo che fugge, in cui le prove ci sono ancora.

Onorevoli colleghi, non faccio discussioni dottrinali, perché io sono uno di quei pratici, che ritengono che la cultura sia, talvolta, un ingombro, ed è meglio metter da parte questo fastidioso bagaglio. Uno spirito arguto l’ha definita: quello che rimane dopo che si è dimenticato tutto quello che si è appreso.

Dobbiamo fare dunque la raccolta delle prove. Ma, io comincio col dire che non mi trovo d’accordo con la Commissione, quando dice, nel 2° comma dell’articolo 8, che l’autorità di pubblica sicurezza può prendere misure provvisorie. Quali sono queste misure provvisorie?

In un campo così delicato bisogna procedere con criteri sicuri e precisi.

Io rovescerei la dizione dell’articolo, dicendo che l’autorità può prendere soltanto in casi eccezionali le misure provvisorie che sono indicate tassativamente dalla legge; e non dire che nei casi indicati tassativamente dalla legge l’autorità di pubblica sicurezza può prendere misure provvisorie. È mai possibile che all’autorità di pubblica sicurezza siano lasciati poteri così assoluti e illimitati, senza porre dei confini, dei cancelli, delle regole e delle norme giuridiche? Né nella splendida relazione del nostro illustre Presidente, né nella discussione magnifica della Sottocommissione questi limiti furono posti. L’articolo 8 non li contiene.

Intanto l’articolo 8 parla dell’autorità di pubblica sicurezza; a questo proposito io vorrei esprimere l’augurio che venga istituito un organo di polizia giudiziaria che sia in grado, quando arrivi la notizia di un delitto, di inviare sul posto degli agenti che conoscano la tecnica dell’istruttoria giudiziaria.

Si tratti di rilevare delle impronte digitali, di reperire atti o documenti falsi, armi, veleno o mezzi che servirono al delitto, è necessario disporre di agenti che abbiano la capacità e la competenza che si acquistano soltanto attraverso apposite scuole.

Ma la polizia giudiziaria deve dipendere dal procuratore della Repubblica, dal magistrato.

E il magistrato non deve dipendere da nessuno. Lasciare che l’autorità di pubblica sicurezza per la disciplina, per la carriera, per i premi, per le ricompense, dipenda dal questore, il quale dipende dal Ministro dell’interno, significa mettere la libertà del cittadino a discrezione dell’autorità politica, anziché affidarla al potere dell’autorità giudiziaria.

Sento dire: ma l’autorità di pubblica sicurezza deve darne comunicazione entro 48 ore all’autorità giudiziaria. Ma si può consentire la soppressione per 48 ore della libertà personale del cittadino solo per essere stato sospettato dall’autorità di pubblica sicurezza, che ogni ventennio può cambiare la direzione dei suoi sospetti, mentre il sospetto resta la disposizione naturale del suo spirito? Anzitutto l’intervento della pubblica sicurezza non è ammissibile, se non si tratti di un reato, e solo per i reati per cui la regge penale lo consenta e nei casi dalla legge determinati. Sarà la legge che stabilisce i limiti dell’attività della pubblica sicurezza. Io non posso dimenticare che noi discutiamo un testo costituzionale che avrà forza di legge e comanderà alle leggi di domani. Se l’articolo 8 fosse approvato come è stato redatto, voi togliereste, col secondo comma, al cittadino la garanzia che gli è concessa dal primo comma. Un semplice agente di pubblica sicurezza potrebbe sospendere le garanzie che dà la Costituzione al diritto di libertà personale. Quale sarebbe allora lo scopo di tutte queste discussioni così elevate e dotte? Qual è l’effetto che noi speriamo di ottenere?

Io ritengo, contrariamente a quello che diceva ieri un nostro eminente collega, che questo progetto di costituzione non appagherà il paese. Troppe promesse. La Costituzione dice che la Repubblica tutela la salute, promuove l’igiene, riconosce il diritto al lavoro, provvede alla maternità, all’infanzia, alla gioventù, al mantenimento degli inabili sprovvisti dei mezzi necessari alla vita. Non vi sono pleonasmi? L’articolo 27 dice: l’arte e la scienza sono libere. C’è veramente bisogno di proclamarlo nella Costituzione? Più ingiustificate perciò appaiono le lacune e le imprecisioni nel determinare le garanzie.

Vi sono articoli che si prestano al sorriso: non è il caso dell’articolo 46 che dà il diritto di petizione? Tradotto in parole semplici è il diritto di spedire una lettera al Parlamento per chiedere provvedimenti legislativi. Non mi indugio, accenno, sorvolo, concludo.

Se vogliamo fare una costituzione teorica e dottrinaria, in cui avremo promesso tutte le felicità, come Maometto nel Corano promise il paradiso sopprimendo l’inferno, avremo fatto una Costituzione magnifica da conservare negli archivi della storia che verrà, come testimonianza e documento di superbe costruzioni astratte, ma non avremo fatto la Costituzione che il paese reclama. Il Paese vorrà che le promesse siano mantenute. Il cittadino italiano, quando avremo votato l’articolo 8, vorrà garantita la sua libertà di fatto. Ed è inutile illudersi, non chiudiamo gli occhi davanti alla realtà. Rileggete questo articolo 8. Basterà un semplice pretesto perché il cittadino possa esser privato della libertà, senza alcun rimedio giuridico, per 48 ore.

Ho ricordato gli arbitrî della polizia del secolo scorso, ma abbiamo forse dimenticato quelli degli ultimi venti anni? Ora, l’autorità, di pubblica sicurezza avrà il diritto, per l’articolo 8, all’arresto, alla perquisizione, al sequestro, all’interrogatorio dell’imputato, all’escussione dei testimoni, ai confronti, ecc.

Non credo che in un discorso politico in una Assemblea Costituente, si possa esaminare la questione giuridica in tempo brevissimo: mi limito perciò a fare delle osservazioni generali.

Non voglio far qui la storia del processo penale, che è la storia del lento cammino della libertà. Disse il celebre giureconsulto Niccolini che le norme di procedura penale sono il più sicuro termometro della civiltà. Le graduali trasformazioni e gli sviluppi delle garanzie della libertà sono la storia, la storia del mondo, che è la storia degli errori umani. Mostreremmo che venti anni sono passati invano, se non pensassimo al passato, per impedire che si ripeta. Non dimentichiamo che l’Italia ha sempre una gloriosa pleiade di giuristi geniali che ci guardano, che attendono l’opera nostra.

Che direte, che diremo? Che la polizia ha dunque il diritto a raccogliere le testimonianze, a fare l’interrogatorio dell’imputato, mentre la difesa non ha diritto di assistere, e che il magistrato non ha diritto di sapere, niente per 48 ore dell’arresto del cittadino?

L’agente di pubblica sicurezza interroga l’imputato, quando crede di avere scoperto il colpevole. Con questa convinzione, nell’interrogatorio si gioverà delle contradizioni dell’imputato da lui stesso provocate, sia pure nell’intenzione di stabilire la verità, giovandosi dello stato d’animo di chi, sentendosi accusato, si sente perduto, e negando una circostanza vera, è poi tentato ad ammettere, talvolta, una circostanza non vera, che gli si fa credere provata da testimonianze inesistenti, e così stretto nel giuoco del suo inquisitore, per la disperazione di difendersi, l’imputato può anche contraddirsi. Allora egli è ritenuto reo prima di essere giudicato, soltanto perché interrogato anziché da un giudice, da un agente della polizia.

Ora io non contesto alla polizia giudiziaria il diritto di raccogliere le prove del reato, che possa escutere testimoni e fare confronti, raccogliere dichiarazioni e fare atti istruttori. Ma non è per me ammissibile che possa compierli da arbitra e senza direttive e passarli al giudice che non può dare un’altra direzione all’indagine, dopo che il tempo utile è trascorso, l’attimo fuggente è passato e l’istruttoria è difatto esaurita, ed egli non può, talvolta, che sentire gli stessi testimoni che hanno delineato la strada dell’accusa e l’indirizzo della ricerca. Si sa che, se uno prende una strada sbagliata, più cammina e più sbaglia, e dopo, può essere tardi per trovare la vera strada giusta e raccogliere e vedere le tracce, che sono sbiadite, che sono forse sparite e perdute per sempre, con danno irreparabile dell’innocente, cioè della giustizia. E allora che diciamo noi? Faccia la polizia giudiziaria, e non la pubblica sicurezza, le indagini per raccogliere le prove, ma avverta subito il giudice dell’arresto perché noi abbiamo creato il giudice a garanzia del nostro diritto e della nostra libertà.

La polizia giudiziaria è molto migliorata. Noi non abbiamo diffidenza contro alcuno; diciamo però che non è giustificabile che l’autorità di pubblica sicurezza si assuma il compito del giudice istruttore. Non pretendiamo quello che nell’ordine naturale delle cose non è possibile, ma si può, si deve dare al giudice il potere di dirigere e disciplinare le indagini. Il giudice potrebbe, secondo la natura del reato e le modalità del fatto, dare un termine, ed anche prorogarlo, ma entro questo tempo, l’agente di pubblica sicurezza deve presentare la denunzia, perché sia limitato il termine entro il quale il giudice delega il suo potere di istruttore all’agente di pubblica sicurezza, per riprenderlo, per continuarlo, per riassumerlo, prima che sia tardi, nell’interesse dell’accertamento della verità. Nella soluzione di certe questioni è umana, ma è scusabile fino ad un certo punto, la divergenza di opinioni. Il fermo provvisorio è una necessità, ma io limiterei l’arresto preventivo il più possibile ai casi in cui è proprio una necessità.

Ora, noi pratici diciamo: Volete lasciare l’attuale arresto preventivo? Volete negare ancora l’assistenza del difensore all’interrogatorio che invece è consentita in Francia? Volete sopprimere ancora l’intervento del difensore nell’esame dei testimoni, dei confronti, ecc.? Sia pure. Ma non sopprimete l’intervento del giudice per 48 ore, quando l’autorità di pubblica sicurezza ha sospeso i diritti più essenziali della Costituzione, il diritto più fondamentale e più inviolabile del cittadino: la libertà personale. Voi dunque vedete che ci limitiamo a chiedere una cosa ragionevole, che è una esigenza della giustizia. Quando voi date all’agente di pubblica sicurezza il diritto di fare l’interrogatorio e sentire i testimoni, date un diritto che è pericoloso per la libertà del cittadino, perché mette in pericolo chi può essere accusato innocente.

Come dice un grande psicologo, Leonardo Bianchi, non molte sono le testimonianze sincere. È sperimentalmente provato che quando una o più persone assistono ad una scena emozionante, qual è in genere la scena di un delitto, esse non percepiscono che qualche dato, qualche elemento della verità: il resto che si tradurrà nella testimonianza, è una elaborazione del subcosciente, per una legge associativa che è propria della funzione cerebrale. Anche uomini colti si sbagliano nel ricordare quel che hanno visto.

Consentitemi un ricordo personale. Io ho assistito ad una lezione di psicologia sperimentale; ci furono pronunciate ben chiare dieci parole, con l’avvertenza che avremmo dovuto poi ricordarle e scriverle e abbiamo fatto questo esame di memoria scrivendo le parole sùbito, prima della fine della lezione; poi dopo otto giorni, dopo un mese, dopo tre mesi, ed anche alla fine dell’anno. Spuntarono fuori, dopo dieci minuti, parole che non c’erano affatto fra quelle dieci pronunciate con tanta chiarezza. Molti non ricordavano metà delle parole dopo un’ora. E alcuni ricordarono, dopo molto tempo, le parole che la memoria infedele aveva sostituito alle vere; cioè resta talora più tenace la deformazione mnemonica della stessa verità. Si sono fatti esperimenti facendo assistere degli studiosi a scene drammatiche per descriverle. Il numero degli errori è davvero impressionante: un ufficiale dei policemen commise errori che si chiamerebbero divertenti se non fossero allarmanti. Uno studente ricordò come se fosse stato presente un compagno che non aveva neanche risposto all’appello: non c’era. E non parlo delle domande suggestive che falsano la testimonianza. Ora, figurarsi, se sono inevitabili gli errori di studenti e funzionari, educati all’osservazione, gli errori delle donne isteriche, dei minori, dei deboli di mente che hanno una memoria più evanescente! È naturale che un giudice conosca meglio di un agente di pubblica sicurezza la psicologia dei testimoni e possa tradurre meglio, non dico espressioni dialettali, ma il pensiero altrui, che è purtroppo tanto difficile anche pei giudici. Clopéride scrisse che il testimone dovrebbe dire quel che sa, senza essere interrogato: è questione da discutere; non la discuto qui, non voglio in questo momento, in cui ho fretta di concludere, per non tediare l’Assemblea e per mostrarmi grato della benevolenza con cui ancora mi ascolta, esprimere mie opinioni personali e urtarle con quelle degli altri. Ho riportato il pensiero di uomini autorevoli nel diritto penale e così rispondo al rilievo dell’ultimo oratore su questo tema, per concludere che l’articolo 8 non a me, che sono il più oscuro componente di questa Assemblea, ma ai giuristi, ai tecnici del diritto, non potrà soddisfare.

Interessante è uno sguardo alla legislazione comparata. Volete permettermi di leggervi alcuni articoli di altre Costituzioni? La Costituzione del Belgio, all’articolo 7, dice: «Fuori del caso di flagrante delitto, nessuno può essere arrestato che in forza di ordinanza motivata del giudice». E la Costituzione dell’Argentina dice all’articolo 18: «Nessuno può essere arrestato se non in base ad un ordine scritto dell’autorità competente». La Costituzione columbiana, all’articolo 24, dice: «Il delinquente sorpreso in flagranza può essere fermato e condotto davanti al giudice da chiunque…». La Costituzione della Cina del 5 maggio 1936, all’articolo 9, dice: «Quando un cittadino è arrestato o detenuto come sospetto di un reato, l’autorità che ne ha la custodia deve presentarlo entro le 24 ore al giudice competente per l’interrogatorio». Ugualmente è necessario un mandato rilasciato dall’autorità giudiziaria per il progetto di Costituzione del Giappone del marzo 1946, che fa eccezione per la sola flagranza. Simile è la Costituzione del Lussemburgo del 1868, modificata il 15 maggio 1919, e analoga la Costituzione della Lituania del 15 maggio 1918. Prescrivono un ordine motivato dell’autorità giudiziaria le costituzioni della Romania del 1923 (art. 11), della Spagna del 1931 (art. 29), dell’U.R.S.S. del 1936 (art. 127), della Lituania del 15 maggio 1928 (art. 12), di Haiti del 15 luglio 1932, della Grecia (Habeas corpus) del 2 giugno 1927.

L’articolo 136 del Codice francese di procedura penale dice che «se esistono indizi gravi contro il prevenuto questi può essere arrestato». Ma la legge, dice l’art. 136, non autorizza l’ufficiale di polizia giudiziaria a continuare l’istruzione dopo il momento della flagranza («après l’instant du flagrant délit»).

La Costituzione dell’Islanda del 28 febbraio 1920, all’articolo 61, dice: «Ogni persona arrestata sarà senza indugio condotta davanti a un giudice. Se non può essere immediatamente rimessa in libertà, il giudice, prima che siano scadute 24 ore, ordinerà il suo arresto con ordinanza motivata».

Se volete rileggere il testo dell’articolo 8, vi accorgerete ora che anche in Islanda, ed anche in Cina, le garanzie della libertà personale sono maggiori di quelle del progetto italiano della nostra Costituzione. Mi sarà forse permesso di cercare una definizione della libertà. Mi piace quella del Russel, secondo cui la libertà è il diritto di ottenere giustizia dai tribunali e soprattutto il diritto di resistere agli arbitrî del Governo.

Noi vogliamo che siano i giudici, che siano i tribunali e non la polizia giudiziaria, e non l’autorità di pubblica sicurezza a giudicare sulla libertà del cittadino. Bisogna dare i mezzi allo Stato perché la giustizia non sia cara, non sia lenta, come disse Vauvenargues; oggi è troppo cara, come la carne, perché i poveri possano mangiarne. E lentissima è, non solo la giustizia civile, che io vorrei più orale e rapida com’è la giustizia penale nei paesi moderni. Il detenuto da noi attende in carcere non settimane, ma mesi e, talvolta, anni per essere giudicato, mentre qui discutiamo sulle ore di libertà.

Un’altra delle questioni dibattute. Fu criticata la norma dell’articolo 21 sulla pena. Ma noi non possiamo ricondurre la pena alla penitenza, il delitto al peccato. Le due grandi correnti di pensiero scientifico, nel dissidio fra il diritto penale classico e la scuola positiva, mostrano che il risultato della vita pratica è sempre una diagonale. Anche nel dissidio fra le scuole di filosofia, i metafisici trascendentali, a poco a poco, senza saperlo, assimilano i risultati della scienza sperimentale positiva. Per noi la pena dev’essere rieducazione, non espiazione, non castigo. E io plaudo all’art. 21, anche se la dolorosa esperienza della recidiva ci dica che non tutti i colpevoli sono emendabili. Ma ci sono sempre, o ci possono essere, anche fra questi, coloro che si salvino, che si rialzino col rimorso e con la terapia incitatrice e risanatrice del lavoro. Un grande giurista francese, il Saleilles, fa omaggio ai principî della scuola positiva quando parla dell’individualizzazione della pena, che presso altri popoli assume le forme della pena indeterminata e alternativa, su cui sono possibili riserve, critiche, e discussioni appassionanti.

Per non tediare l’Assemblea, aggiungerò una parola sul sistema carcerario. La pena non potrà essere emendatrice, specie pei recidivi, se non riformando le leggi penali, il personale penitenziario e sanitario, di cui bisognerà elevare le condizioni economiche, migliorandone la carriera e il reclutamento, e richiedendo conoscenze nel campo della criminologia e della psicologia giudiziaria. E bisogna abolire il concetto di pena pel minore, a cui si inocula, si innesta, il virus della criminalità, condannandolo al contagio coi peggiori.

Un’ultima parola, avanti di concludere. Prima che io prendessi la parola, il Presidente del Consiglio ha presentato il disegno di legge sulla stampa. Pare che si voglia introdurre il sequestro preventivo sulla stampa, un istituto che è sconosciuto al diritto italiano. Lo discuteremo, ma per discuterlo domandiamo la libertà per i nostri avversari. Un’Assemblea legislativa non è un Parlamento senza questa garanzia per le minoranze. Un Parlamento non si fa senza libertà di stampa. Noi reclamiamo la libertà anche per gli altri.

Non c’è libertà di voto, senza libertà di stampa. Nessuna sanzione deve limitare la libertà della stampa, della parola e della radio. La libertà di stampa esce dal razionalismo cartesiano, dal movimento delle idee dell’89. Ho rievocato alla memoria Mirabeau, il padre di questa libertà. Vi domando il permesso di ricordarvi le frasi da lui indirizzate ai membri degli Stati Generali nel momento in cui si riunivano. Se le parole non sono proprio queste, il senso è questo: Voi che siete riuniti per tutto ricostruire, voi che risponderete non solo a noi, ma a tutta l’umanità di tutto il bene che non avrete procurato alla Patria; che la prima delle vostre leggi consacri per sempre la libertà di stampa, la libertà più inviolabile, più illimitata, la libertà senza la quale le altre non saranno mai conquistate.

Onorevoli colleghi, libertà politica è libertà di stampa. Solo inspirandosi a questi principii di democrazia, noi faremo una Costituzione e delle leggi che siano veramente degne delle gloriose tradizioni giuridiche del popolo italiano. (Vivissimi applausi Molte congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Veroni. Ne ha facoltà.

VERONI. Al punto in cui è arrivata questa discussione sul Titolo I, durante la quale sono stati pronunziati discorsi veramente definitivi, occorre procedere per sintesi.

Abbiamo ascoltato discorsi di natura strettamente dottrinaria, e discorsi di colleghi, i quali hanno inquadrato la trattazione del Titolo I sulla difesa delle libertà essenziali nella critica della parte strettamente politica e giuridica contenuta nella proposta di Costituzione.

E come innanzi la prima Sottocommissione e la Commissione dei Settantacinque si era, con ardente passione, esaminato il problema delle libertà essenziali, così innanzi a questa Assemblea, con la stessa passione, si è approfondito l’esame della difesa e della protezione delle libertà inviolabili della persona. La discussione conclusiva ha condotto a pensare che la formula proposta nell’articolo 8: «La libertà personale è inviolabile», rappresenta un sicuro progresso sulla formula dello Statuto albertino, secondo cui «la libertà personale è garantita». La formula proposta oggi risponde meglio anche al criterio animatore del nuovo legislatore, che nel campo penalistico dovrà poi accingersi a fissare le norme repressive dei delitti contro tutte le libertà.

E mi sia consentito di rilevare che l’onorevole Cavallari aveva ragione ad osservare che, mentre l’articolo 8 provvede a stabilire i! principio: «la libertà personale è inviolabile», quando ha dovuto disporre sulla inviolabilità del domicilio, di essa si è occupato soltanto in maniera indiretta, quando, col primo comma, ha dovuto provvedere alla repressione delle ispezioni e perquisizioni personali arbitrarie. Giova a questo punto ricordare all’Assemblea, che più lapidaria, più rispondente essenzialmente alle finalità della difesa anche della libertà del domicilio è la dizione contenuta nell’articolo 6 della Costituzione della Repubblica romana; nella quale, dopo essersi affermata la inviolabilità della libertà personale, si volle particolarmente aggiungere: «Il domicilio è sacro e non è permesso entrarvi che nei casi e nei modi determinati dalla legge».

E qui occorre ricordare che nel campo della repressione penale il criterio più possibilmente esplicativo e spiccatamente elencativo prevalse in quella che fu la legislazione basilare sulla repressione degli attentati alla menomazione delle libertà; fu Giuseppe Zanardelli che nel Codice del 1889 espresse decisamente il pensiero della rinnovata coscienza penalistica nella parte della riforma che provvide a tutelare tutte le libertà, fra cui la inviolabilità del domicilio, accanto alla protezione delle libertà politiche, dei culti e all’inviolabilità dei segreti e di corrispondenza.

Il Codice fascista del 1930 segnò, com’era da prevedere, un arresto in tema di repressione di delitti contro le libertà, talché, appena liberato il Mezzogiorno d’Italia dalla occupazione nazi-fascista, s’intese il bisogno di modificare gli articoli 224 e 238 del Codice processuale penale: ciò nessuno dei colleghi ha ricordato, mentre il provvedimento adottato dal Governo del tempo segnò l’inizio della riforma penalistica inquadrata nel clima della risorgente democrazia. Intendo riferirmi al decreto-legge del 31 gennaio 1944, che si allontanava decisamente da quelli che erano stati i principî del Codice penale e del Codice di procedura penale del 1930, in tema di limitazione della libertà personale e mentre la legge fascista non poneva quasi limite alla durata del così detto «fermo» di polizia, la nuova legislazione, che prende le mosse dal decreto da me ricordato, determina il controllo dell’autorità giudiziaria su quella di polizia.

Fu innovato così profondamente il principio reazionario contenuto nei Codici del 1930, e si modificarono gli articoli 224 e 238 del Codice di procedura penale, affidando all’autorità giudiziaria il potere di critica e di sindacato sull’operato dell’autorità di pubblica sicurezza, innovando profondamente il sistema e portando criterî di protezione e di sostanziale difesa della libertà del prevenuto o indiziato. Senonché, si dovette constatare che il termine di 7 giorni durante i quali l’autorità giudiziaria avrebbe dovuto decidere sulla convalida o meno del fermo, non poteva ritenersi sufficiente, tenuto conto delle condizioni dei servizi giudiziari e tenendo soprattutto presente che il breve termine fissato poteva spiegarsi allorché il lavoro giudiziario era limitato soltanto all’Italia meridionale liberata. Si ravvisò, così, subito la necessità di prolungare tale termine quando liberata con Roma e Firenze tutta l’Italia centro-meridionale, la vita giudiziaria cominciò a presentare le prime difficoltà. Ricordo, infatti, che collaborando al Ministero della giustizia con l’onorevole Tupini, fu il 31 gennaio 1945 emanato un provvedimento di carattere legislativo, per il quale il termine dei 7 giorni poteva essere prorogato, su istanza dell’autorità di polizia giudiziaria – istanza peraltro motivata – sino a 20 giorni, lasciando all’autorità giudiziaria di decidere sulla eventuale limitazione della nuova proroga.

Il provvedimento che venne allora adottato ha trovato perfetto riscontro nella vita giudiziaria italiana e si può oggi affermare che effettivamente il magistrato è stato posto nella condizione di esercitare un ampio e rigoroso controllo sull’autorità di polizia. Gradualmente si andrà, così, profilando l’attuazione di quella vasta riforma penalistica destinata ad inquadrare nei Codici i principî della Costituzione. Gradualmente, perché, come i due Guardasigilli che crearono e animarono le Commissioni per la riforma – gli onorevoli Tupini e Togliatti coi quali io successivamente mi onorai di collaborare – ad esse ricordarono, il loro compito era di preparare innanzitutto l’eliminazione dal Codice penale e di procedura penale di tutte quelle disposizioni che avevano sapore rigorosamente e piattamente fascista e di voler poi procedere, con gradualità, per poter inquadrare la preparazione della riforma più vasta nel clima politico e giuridico della nuova Costituzione.

E, infatti, le due Commissioni per la riforma del Codice penale e di procedura vanno intonando, man mano, i loro lavori allo spirito della Costituzione del nuovo Stato democratico e sapranno certamente tener presenti i lavori della nostra Assemblea. Talché, quando sento lamentare che nell’articolo 8, inteso alla difesa delle libertà essenziali, non si è provveduto in conformità di leggi, io dico che l’articolo 8 va senz’altro apprezzato, votato, approvato, poiché, nell’articolo 8, si dice che, se da una parte si fissa il potere provvisorio dell’autorità di polizia, esso vien subito sottoposto alla revisione e al controllo dell’autorità giudiziaria.

Cosa vuol dire tutto questo? Vuol dire che la Costituzione è il presupposto cui vorrà e dovrà informarsi la nuova legislazione penale tuttora allo studio e, se i termini entro i quali dovrà esercitarsi il controllo dell’autorità giudiziaria attualmente previsti nel decreto del dicembre 1944, nel decreto del gennaio 1945, dovranno essere rivisti o spostati, diminuiti o accresciuti, a seconda delle esigenze della vita giudiziaria, a ciò provvederà la nuova legislazione, la cui approvazione sarà nei compiti dalla Camera legislativa.

E scendendo all’esame dell’ultimo comma dell’articolo 8, io son di parere conforme a quello che hanno manifestato autorevolmente gli onorevoli Mastino e Grilli; cioè che la dizione: «È punita ogni violenza fisica o morale a danno delle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà», potrebbe essere anche soppresso.

Ed infatti, il voler affermare oggi, in sede di Costituzione, che è punita la violenza fisica o morale che le autorità di qualsiasi genere possano compiere nei confronti di un imputato, di un sospettato, di un indiziato, significa implicitamente ammettere che la legge penale non sia sufficiente e capace a reprimere delitti di tal natura. Sono rimasti per il passato impuniti?

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Purtroppo.

VERONI. L’onorevole Tupini dice «purtroppo» ma, siccome non si può immaginare che ancora oggi debbano restare impuniti come per il passato, e particolarmente durante il tragico regime ventennale, io penso che di questo comma si possa fare a meno. E se proprio non se ne volesse fare a meno, sarà quanto mai opportuno affermare il principio più efficacemente, dicendo: «è repressa e punita», come io ho proposto in un mio emendamento.

Questa dizione potrebbe essere considerata come un’affermazione più drastica e di maggior rigore, per significare la solennità di un’affermazione esplicita che la democrazia intende di fare, nei confronti di quello che è stato il passato.

E consentano gli onorevoli colleghi che da ultimo io accenni a un ricordo personale del mio passaggio al Ministero della giustizia, quando collaborai con l’onorevole Tupini prima e con l’onorevole Togliatti dopo: intendo alludere alle condizioni degli stabilimenti penitenziari.

Se, in questo campo, abbiamo potuto organizzare a Roma qualche cosa di diverso da quella che è la condizione di tutti gli altri stabilimenti penitenziari, lo dobbiamo proprio a due componenti della Commissione: al mio Ministro del tempo, l’onorevole Tupini, e all’onorevole Ruini, che quale ministro dei lavori pubblici ci concesse i primi quaranta milioni occorsi per riprendere i lavori di sistemazione del carcere di Rebibbia, che è veramente uno stabilimento modello, veramente in prima linea tra gli stabilimenti carcerari esistenti in Europa e nel mondo. Ma quello che abbiamo potuto avere allora e più tardi per riprendere la costruzione di questo stabilimento penitenziario quasi perfetto, non è facile che il bilancio dello Stato possa oggi darci, per poter provvedere alle esigenze carcerarie di tutta l’Italia. Io, per ragioni del mio ufficio, ho avuto la possibilità di visitare tutti gli stabilimenti penitenziari esistenti in Italia: ho dovuto constatare che purtroppo le deficienze sono enormi e che le condizioni degli stabilimenti carcerari sono considerevolmente peggiori di quello che il Paese può sapere e conoscere. Ma come provvedere? Ovunque si reclamano costruzioni di nuovi edifici per sostituire quelli fortemente danneggiati dalla guerra o sistemazione di stabilimenti carcerari già esistenti, il che esige, da un conto che avemmo l’occasione di fare, una spesa veramente imponente. Ora, di fronte a questa esigenza di carattere finanziario, assumere che gli stabilimenti carcerari e i servizi penitenziari non funzionano, o sono mal ridotti, significa non aver approfondito e conosciuto il problema in tutta la sua interezza. Chi sa le ansie di chi ha avuto la direzione dei servizi penitenziari durante il periodo immediatamente successivo alla liberazione, non ignora che dall’Amministrazione della giustizia furono realizzati degli autentici miracoli per fronteggiare la situazione veramente paurosa in ogni parte d’Italia. E ciò non solo per le condizioni gravi e di assoluta deficienza in cui si vennero a trovare gli stabilimenti carcerari, ma anche per le condizioni economiche e morali in cui era il personale degli stabilimenti stessi.

Quindi, quando l’onorevole Mastino ha detto: «Migliorate le condizioni degli agenti di custodia», ha detto una cosa che risponde alla coscienza comune; ma bisognava anche dire che molto si è fatto per esaudire le loro richieste e gli agenti non si possono dolere del trattamento che hanno avuto dalla liberazione d’Italia in poi. Essi sanno che, prima dall’onorevole Tupini e più tardi dall’onorevole Togliatti, furono concessi miglioramenti efficienti, miglioramenti che hanno tranquillizzato quel malessere che serpeggiava in seno al loro corpo: per cui è da ritenere che una volta provveduto man mano, gradualmente, alla sistemazione degli stabilimenti carcerari e migliorate ancora le condizioni del personale addetto ai servizi penitenziari, anche questo problema potrà dirsi affrontato e avviato verso la sua soluzione, creando così quella possibilità di ottenere attraverso l’espiazione della pena la rieducazione del colpevole.

Ne vale su ciò quanto autorevolmente diceva l’onorevole Mastino: «Quando avrete un imputato che si sia incallito nel delitto, quando avrete un recidivo reiterato, voi non potrete sperare che la pena lo rieduchi».

Tale enunciato non ha importanza, particolarmente ai fini di quella che deve essere la dizione dell’articolo della Costituzione. Poiché noi non ci possiamo preoccupare di casi specifici; non possiamo mettere nella Costituzione disposizioni di regolamento carcerario o del Codice di procedura penale.

Dobbiamo enunciare il principio generale, secondo cui la pena è intesa a rieducare il reo. Se questo è il principio (che del resto la dottrina ha accolto e che il diritto penale e penitenziario di ogni paese ha consacrato), io trovo che l’articolo 21 del progetto di Costituzione è veramente da approvarsi.

Onorevoli colleghi, entra in questo momento nell’aula Vittorio Emanuele Orlando, mentre io mi accingo a parlare della responsabilità dei pubblici funzionari e di quella dello Stato e degli enti pubblici per fatto e colpa dei proprî dipendenti. Ora, se vi sono pagine veramente definitive sulla responsabilità dei pubblici funzionari e sulla responsabilità dello Stato per gli atti dei propri dipendenti, sono proprio quelle che ha dettato il nostro grande maestro. La nuova Costituzione consacra ora i principî che in tempi lontani, e poi sempre, egli dettò dalla cattedra e consacrò nei suoi scritti, tal che non possiamo non associarsi al ricordo affettuoso che volle fare della sua opera insigne l’onorevole Codacci Pisanelli, tra i più recenti suoi discepoli. È, quindi, da apprezzarsi il principio che il progetto di Costituzione, riconoscendo la responsabilità dello Stato per gli atti dei propri funzionari, e degli enti pubblici in genere per i loro dipendenti, consacra oggi, creando nella realtà costituzionale un punto di vista giuridico e politico lungamente dibattutosi. È naturale che il principio dovrà essere regolato e contenuto dalla legge, cui spetterà di determinare le condizioni in cui potrà essere realizzata la responsabilità dello Stato.

Onorevoli colleghi, vi avevo preannunciato che sarei stato sintetico nel prospettarvi alcuni dei problemi essenziali contenuti nel Titolo primo. Penso di avere mantenuto la promessa e ritengo anche, onorevoli colleghi, che se questo Titolo noi approveremo così come ci viene presentato, giudicando che esso difende e protegge nel miglior modo e con spirito veramente degno della rinnovata democrazia le libertà essenziali del cittadino, noi avremo ben diritto di poter dire di aver servito fervidamente e fedelmente la causa della Repubblica. (Applausi Congratulazioni).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la discussione sul Titolo I della prima parte del progetto di Costituzione. Il Presidente della prima Sottocommissione ed i relatori prenderanno la parola alla ripresa dei lavori dell’Assemblea, prima che si dia inizio allo svolgimento degli emendamenti.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta d’urgenza:

«Al Ministro della difesa, per sapere se risponda a verità che si intenda dare esecuzione ad uno schema di provvedimento per la soppressione del Tribunale militare di Catania, provvedimento che nel dicembre scorso fu saggiamente sospeso sine die dal precedente Ministro della guerra, per molteplici ragioni che tuttora permangono.

«Di Giovanni, Cartia».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’interno, per conoscere quali provvedimenti dì carattere straordinario intendano adottare e promuovere per portare un immediato sollievo alle popolazioni di Massa e Carrara la cui tragica situazione è stata anche recentemente illustrata dal prefetto della provincia, dai sindaci, dai rappresentanti delle organizzazioni dei lavoratori e dai Deputati. La situazione è talmente tesa che è in questi giorni esplosa la manifestazione che ha turbato l’ordine pubblico, e l’interrogante chiede che la situazione di Massa e Carrara sia considerata non da questo o quel Ministro, ma dal Governo nel suo complesso.

«Bibolotti».

Chiedo al Governo quando intende rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Il Governo risponderà al più presto.

PRESIDENTE. Sono state presentate le seguenti altre interrogazioni con richiesta di urgenza:

«Al Ministro dell’interno, per conoscere se ritiene il provvedimento di scioglimento della deputazione provinciale di Ragusa, da lui ordinato senza alcun legittimo motivo, conforme e compatibile con i principî della democrazia e con la politica di concordia, cui il Presidente del Consiglio e il Partito della democrazia cristiana ancora di recente hanno professato ossequio; e quali provvedimenti intenda adottare per porre rimedio all’arbritrio e all’errore commesso.

«Targetti, De Michelis, Giacometti, Vernocchi, Tonello, Pistoia».

«Al Ministro dell’interno, per conoscere quanto ci sia di vero nella notizia oggi pubblicata dal giornale il Momento Sera di Roma, secondo la quale in Gioia del Colle (Bari) un cittadino è stato linciato perché ritenuto qualunquista ed autore di un incendio a quella sede della Camera del lavoro.

«Per conoscere quali sono le cause contingenti, cui il Ministro attribuisce, nella specie, il fatto deprecabile al disopra di ogni ideologia di partito ed offensivo dei più elementari principî di umanità e civiltà.

«Miccolis, Rodi».

«Al Ministro dell’interno, sui gravi fatti di Gioia del Colle: per conoscerne la portata esatta, le cause e i rimedi che il Governo intende adottare per tranquillizzare quella popolazione.

«Perrone Capano, Cifaldi, Badini Confalonieri, Condorelli».

«Al Ministro dell’interno, per sapere i provvedimenti che intende adottare per impedire che delinquenti assoldati da partiti reazionari cerchino ripetere in Puglia le gesta fasciste del 1920.

«Pastore Raffaele».

«Al Ministro dell’interno, per conoscere se abbia emanato disposizioni agli organi dipendenti tali da consentire il provvedimento della diffida, a modo del passato regime, nei confronti di un’attivista sindacale; e, in caso negativo, per conoscere quale provvedimento abbia l’onorevole Ministro dell’interno adottato per la revoca della diffida arbitrariamente comminata dal maresciallo dei carabinieri della stazione di Cosenza, Polito Ricciotti, contro il dottor Ermino Valente; e quali misure crede di prendere a carico di costui, responsabile di tale atto lesivo della libertà politica e sindacale e dei diritti del cittadino, perpetrato con il verbale del 4 marzo.

«Mancini».

Chiedo al Governo quando intende rispondere.

CARPANO MAGLIOLI, Sottosegretario di Stato per l’interno. Il Governo risponderà appena possibile a queste interrogazioni.

Sui lavori dell’Assemblea.

PRESIDENTE. La Presidenza, dell’Assemblea, pur riservando la decisione in merito all’Assemblea stessa, riterrebbe opportuno che la Costituente fosse riconvocata non a data fissa, ma a domicilio: in modo da consentirle la possibilità di stabilire, d’accordo con la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il giorno della riconvocazione in relazione con la minore o maggiore urgenza dei problemi che dovranno essere esaminati.

TONELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Ho sentito una voce vagante, secondo la quale saremmo riconvocati per lunedì. Se questa eventualità c’è effettivamente, è meglio che ci sia detta.

GRONCHI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRONCHI. Non è ignoto all’Assemblea come il mio Gruppo fosse del parere deciso che l’esposizione finanziaria che il Ministro del tesoro farà questa sera alle Commissioni riunite avrebbe avuto la sua sede più naturale e politicamente più opportuna in questa Assemblea.

Per non incorrere in una specie di incriminazione di colpi di mano all’ultimo momento, questa richiesta non viene presentata formalmente. Però io devo porre un quesito all’onorevole Presidente, pregandolo di rispondere; se cioè questa formula della convocazione a domicilio debba essere interpretata anche nel senso che una convocazione eventuale possa essere fatta a distanza di brevi giorni, prima ancora della Pasqua, perché potrebbe accadere che dall’esposizione finanziaria che il Ministro farà questa sera emergessero tali dati e tali elementi da rendere utile, nell’interesse del Paese, che la questione fosse immediatamente presentata all’Assemblea. In questo caso, credo che non vi sarebbe nessun collega, e molto meno nessun Gruppo, che anteporrebbe il desiderio, sia pure legittimo, di non interrompere le sperate vacanze pasquali per porsi ancora una volta al servizio del Paese per una discussione che fosse giudicata urgente. (Applausi al centro e a destra).

CIANCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIANCA. L’onorevole Gronchi ha accennato alla posizione assunta dal suo Gruppo nella riunione tenuta ieri dai Presidenti dei varî Gruppi sotto la presidenza dell’onorevole Terracini.

Tengo anch’io a precisare, per quanto riguarda il mio Gruppo, le responsabilità che ho assunto in quella riunione. Nessuno più di noi ha invocato la discussione finanziaria. Non c’è stata occasione nella quale non abbiamo affermato la necessità che l’Assemblea fosse investita dell’esame della situazione economica e finanziaria; ma ieri, nella riunione dei Presidenti dei Gruppi, si è prospettato il quesito della esposizione fatta dal Governo nel giorno stesso in cui l’Assemblea doveva sospendere i proprî lavori.

Noi abbiamo detto che il Governo solo doveva assumersi la iniziativa e la responsabilità di decidere quando e in quale sede la esposizione finanziaria avrebbe dovuto esser fatta. Abbiamo aggiunto che, nel caso in cui la esposizione finanziaria fosse venuta davanti all’Assemblea, ogni Gruppo e ogni deputato rivendicava per sé, non soltanto il diritto, ma il dovere di dare al dibattito la più ampia estensione, perché si tratta di un dibattito di grande importanza che, secondo il nostro giudizio e non per nostra colpa, arriva troppo tardi.

Al Governo sono state fatte presenti, come i colleghi che hanno partecipato all’adunanza potranno testimoniare, tre prospettive. Il Governo, nella sua responsabilità e nell’esercizio integrale della propria iniziativa, ne ha scelta una. Ciò per quanto riguarda gli atteggiamenti dei Gruppi nella riunione di ieri. Nessuno può assurgersi la prerogativa di aver da solo rivendicato per l’Assemblea il diritto di discutere l’esposizione finanziaria. (Applausi a sinistra).

GRONCHI. Chi lo ha detto? Ma con chi polemizza l’onorevole Cianca?

CIANCA. Non polemizzo: ristabilisco i fatti per evitare che alle parole dell’onorevole Gronchi siano date interpretazioni che sarebbero in contrasto con la verità obiettiva. E credo che l’onorevole Gronchi non mi possa contestare il diritto di far questo.

Riaffermata la necessità di investire l’Assemblea dell’esame della situazione finanziaria, di una cosa soltanto ci siamo preoccupati e ci preoccupiamo: cioè che questa discussione, anche per il numero di coloro che vi parteciperanno o vi assisteranno, sia degna dell’Assemblea e dell’argomento. È chiaro che se questa preoccupazioni potrà essere sodisfatta, noi saremo ben lieti che la questione finanziaria ed economica venga subito portata dinanzi all’Assemblea. Ripeto: se un’accusa di tardività deve essere mossa, questa accusa non riguarda noi.

Rilevo infine che il documento finanziario, che il Governo presenterà. all’Assemblea, deve implicare la responsabilità collettiva del Gabinetto: del Gabinetto nel cui seno devono risolversi eventuali contrasti di tendenze.

E non ho altro da dire. (Applausi).

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Il mio Gruppo avrebbe preso l’iniziativa di chiedere una discussione sulla situazione economica e finanziaria del Paese, ma non lo ha fatto perché siamo così pochi che senza la speranza di aiuti negli altri settori la proposta sarebbe certamente caduta nel vuoto. Dal momento che il Gruppo più numeroso dell’Assemblea fa la proposta di discussione della situazione economica e finanziaria, noi facciamo anche nostra la proposta che è partita dal Gruppo più numeroso dell’Assemblea. Ciò facciamo per due ragioni: non perché si voglia rivendicare a noi il merito di difendere i diritti dell’Assemblea (su questo punto, onorevole Cianca, credo che i rappresentanti dei vari Gruppi siano stati tutti d’accordo nelle riunioni di ieri), ma soprattutto perché noi abbiamo la sensazione, e crediamo di non esser soli ad averla, della gravità reale della situazione del Paese.

Noi discutiamo della Costituzione, ed è bene perché questo è il nostro compito specifico, ma non c’è dubbio che nel Paese molta gente si domanda perché discutiamo tanto su delle eleganti questioni di diritto pubblico e non ci preoccupiamo di problemi scottanti che riflettono la vita di milioni di cittadini, che incidono per la loro mancata soluzione sul tessuto connettivo del Paese, minacciando di determinare delle complicazioni, di cui non è certo il caso di esagerare l’importanza, ma che potrebbero anche diventare preoccupanti.

Io non mi pongo, onorevole Cianca, il problema se nell’Assemblea ci possa essere il numero adeguato di componenti che corrisponda alla serietà dell’argomento ed alla attenzione del Paese sull’argomento stesso. Io non posso neanche pensare che taluno di noi possa considerare come secondario il suo dovere di partecipare a queste discussioni, in confronto di altri impegni, o di carattere politico o di carattere familiare. I provvedimenti che sono collegati alla esposizione finanziaria seguano il loro corso secondo la procedura stabilita dal Regolamento, e lo seguano con la massima urgenza, perché non si debba credere che la richiesta di una pubblica discussione voglia avere carattere dilatorio per la loro applicazione. I provvedimenti dunque camminino il più rapidamente possibile secondo la competenza delle varie Commissioni. Ma c’è un problema di indirizzo generale, vi è un esame da fare della situazione economico-finanziaria e, consentitemi anche di aggiungere, psicologica del Paese, che devono essere portati qui e devono essere affrontati con la massima rapidità, anche se dovessimo tenere seduta il giorno di Pasqua. (Applausi).

Una voce all’estrema sinistra. Propongo di fare la seduta il giorno di Pasqua.

CORBINO. Se non passeremo la Pasqua di Resurrezione a casa, sarà per la resurrezione del Paese! (Applausi).

D’ARAGONA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

D’ARAGONA. Il Gruppo al quale appartengo, circa una decina di giorni fa, ha fatto un passo presso la Presidenza del Consiglio per sollecitare provvedimenti finanziari che sono assolutamente necessari al nostro Paese. Tutti abbiamo la sensazione che noi andiamo un po’ alla deriva. Se non si arriva in tempo, corriamo il rischio di determinare nel Paese una situazione veramente incresciosa. Preoccupati di questo fatto, abbiamo fatto i passi necessari presso la Presidenza del Consiglio.

Noi ci auguravamo che le discussioni sui problemi finanziari ed economici del nostro Paese fossero portate più sollecitamente davanti all’Assemblea. Ho un po’ la sensazione che l’Assemblea, giorno per giorno, vada perdendo i suoi diritti e la possibilità di esercitare i propri doveri. (Commenti a sinistra). Io ricordo che un tempo era l’Assemblea a decidere dei propri lavori, della propria attività, del proprio funzionamento.

SCOCCIMARRO. Quello era il Parlamento, non la Costituente.

D’ARAGONA. È la stessa cosa.

SCOCCIMARRO. Non è la stessa cosa. Ricordatevi della legge, che avete fatto voi.

D’ARAGONA. Noi siamo costituenti, ma siamo anche qualcosa di più, perché quella modificazione deliberata dalla Costituente, su proposta dell’onorevole Calamandrei, ha avocato alla Costituente anche alcune altre funzioni di carattere legislativo, che, fino ad ora, presso a poco, sono state sconosciute alla nostra Assemblea.

Noi siamo ormai, si può dire, alla vigilia del termine dei nostri lavori; abbiamo passato otto mesi di ozio pressoché completo, perché abbiamo incominciato a lavorare veramente, intensamente, in quest’ultimo periodo. (Commenti a sinistra).

Una voce a sinistra. Hanno lavorato le Commissioni.

D’ARAGONA. Hanno lavorato le Commissioni, ma l’Assemblea non ha lavorato. Ed è strano che proprio voi (Accenna all’estrema sinistra) protestiate contro queste forme democratiche che parlano al Paese. (Commenti a sinistra Applausi al centro). Il grande valore dell’Assemblea sta nel fatto che l’Assemblea parla pubblicamente al Paese. Le Commissioni non parlano al Paese. Ecco perché io credo che l’Assemblea ha il dovere di rivendicare le discussioni più ampie sui problemi delicati e importanti che riguardano la vita economica e finanziaria.

Non basta che il Governo sottoponga i suoi provvedimenti alle Commissioni. Bisogna che questi provvedimenti – sono d’accordo con l’onorevole Corbino – siano discussi qui; e reclamiamo che l’Assemblea sia investita dei suoi poteri, dei suoi doveri, che sono quelli di discutere tutto quanto interessa la Nazione italiana e i cittadini italiani. Ecco perché noi dichiariamo di essere pronti a rimanere qui, se è necessario, per discutere questi provvedimenti o a ritornare il più sollecitamente possibile. Mi associo a quanto è stato già detto, che noi dobbiamo sentire il dovere di essere qui, se è necessario, anche il giorno di Pasqua, perché, innanzi tutto, noi, come rappresentanti della Nazione, abbiamo il dovere di rispondere ai nostri elettori della funzione che dobbiamo esercitare.

Siamo qui per servire la Nazione ed innanzi tutto dobbiamo sentire questo dovere. (Applausi).

GRONCHI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRONCHI. Desidero chiarire all’onorevole Cianca che egli, evidentemente, è stato disattento mentre io parlavo. Io mi sono riferito non al mio atteggiamento in seno alla riunione dei Presidenti dei Gruppi parlamentari, ma ad una deliberazione del mio Gruppo, avvenuta fra ieri sera e stamani.

NENNI. Il Presidente del Consiglio non appartiene al vostro Gruppo?

GRONCHI. Non capisco bene il senso politico di questa interruzione. Poiché il Presidente ci ha annunziato che l’Assemblea si sarebbe convocata a domicilio, io gli ho posto il quesito: se questa convocazione a domicilio debba anche intendersi nel senso che possa avvenire a distanza di due o tre giorni, ove alla esposizione di questa sera dinanzi alle Commissioni risultino elementi di tale importanza e gravità, da rendere politicamente doverosa la convocazione. (Interruzioni Commenti).

Ed allora cosa c’entra la contradizione o la contrapposizione con l’onorevole De Gasperi?

SCOCCIMARRO. So benissimo che vuol dire proprio questo. Potremmo anche chiedere che il Governo decida lui.

GRONCHI. ln sostanza, dichiaro che ove l’Assemblea voglia oggi stabilire di convocarsi lunedì o martedì, non solo nessuna opposizione verrà dal nostro Gruppo, ma verrà la più franca e sincera adesione.

NENNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NENNI. Sono sorpreso delle dichiarazioni dell’onorevole Gronchi. Il senso della proposta del Presidente mi pareva d’una chiarezza inequivocabile.

Era stato deciso dalla Presidenza che l’Assemblea si sarebbe riconvocata il 9 aprile, ed è proprio in seguito all’annuncio della presentazione dei provvedimenti finanziari, che si è considerata l’eventualità di una convocazione anticipata; da ciò la proposta della Presidenza. Non vorrei che attorno a questa questione si creassero degli equivoci nel Paese. C’è una responsabilità dell’Assemblea e c’è una responsabilità del Governo. Se il Presidente del Consiglio avesse ieri pensato che la procedura più opportuna per portare a conoscenza del Paese i provvedimenti finanziari (approvati dal Consiglio dei Ministri, ma che fino a questo momento noi non conosciamo) fosse quella di una immediata pubblica discussione in Assemblea, egli avrebbe fatto questa proposta, e nessuno da nessun banco si sarebbe alzato per dire che l’Assemblea preferiva andare in vacanza. Si è deciso invece di lasciare alla Presidenza la decisione circa la convocazione dell’Assemblea, dopo la seduta delle quattro Commissioni di fronte alle quali il Ministro Campilli farà la relazione sui provvedimenti finanziari.

Noi restiamo a disposizione del Presidente dell’Assemblea e del Governo. Ma trovo sorprendente che all’ultimo momento si introduca un dibattito, che involge i poteri in generale di questa Assemblea. C’è stato uno che ha sostenuto sempre in seno ai Governi precedenti, la tesi della piena sovranità legislativa dell’Assemblea, e questo uno non siede sui banchi della Democrazia cristiana. (Interruzioni Commenti). Per avere la Costituente, io ho dovuto accettare una limitazione di poteri dell’Assemblea e l’ho fatto senza rammarico, perché la Costituente ci interessava in se stessa, anche senza i normali poteri legislativi. (Interruzioni).

GRONCHI. Ma chi ha sollevato la questione?

NENNI. È stata sollevata pochi minuti fa. Il Presidente della Costituente ha annunciato che procederà d’accordo col Governo e col Governo valuterà se sia necessario convocare l’Assemblea per martedì, mercoledì o per il giorno di Pasqua. Siamo d’accordo in quanto c’è una responsabilità del Governo che deve restare al Governo, mentre noi dobbiamo tenerci a disposizione della Presidenza.

Noi non condividiamo lo zelo dei colleghi del centro per una discussione precipitata, che allo stato delle cose non è nell’interesse del Paese e neppure del Governo, e rischierebbe di ritardare la emanazione di provvedimenti finanziari, che sono già in ritardo… (Commenti Interruzioni).

Voce al centro. Questa è la vostra interpretazione.

NENNI. …e che noi invece desideriamo siano adottati immediatamente e immediatamente applicati.

Per questa ragione aderiamo alla proposta del Presidente dell’Assemblea e ci rimettiamo a lui e al Governo quanto alla data di convocazione dell’Assemblea per discutere i provvedimenti finanziari. (Applausi a sinistra).

PERSICO. Chiedo di parlare per mozione d’ordine.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Onorevoli colleghi, a me sembra che noi andiamo incontro a un duplice errore di procedura. Anzitutto constatiamo oggi per la prima volta l’esistenza di un organo che non è nella Costituzione, che non è nel Regolamento, che non è nella legge istitutiva dell’Assemblea Costituente, e che non è neanche nelle riforme che furono fatte in seguito alla proposta Calamandrei.

Le quattro Commissioni per l’esame dei disegni di legge hanno ciascuna un compito ben definito. Possono eventualmente riunirsi due Commissioni insieme quando un disegno di legge che deve essere esaminato, per sapere se deve andare all’Assemblea Costituente o se può restare nell’ambito delle facoltà governative, interessa due diversi Ministeri, mettiamo il tesoro e i lavori pubblici, il tesoro e l’agricoltura. Oggi noi creeremmo qualche cosa che non è l’Assemblea Costituente.

PRESIDENTE. Permetta, onorevole Persico; questa non è una mozione d’ordine; lei è entrato nel merito.

PERSICO. No; io dimostro che, quando oggi il Ministro delle finanze verrà a fare la sua esposizione…

PRESIDENTE. Permetta: lei entra nel merito, e allora io devo dare la parola a quelli che erano iscritti prima di lei: lei la riavrà quando verrà il suo turno.

PERSICO, lo volevo soltanto dire che c’è un secondo punto della procedura…

PRESIDENTE: Parli allora di procedura.

PERSICO. È sempre avvenuto così che, al termine di ogni seduta, si è stabilito l’ordine del giorno della seduta successiva: qui ci sono dei vecchi parlamentari, come l’onorevole Orlando, ed io me ne appello a loro. Non so quindi perché si debba oggi ricorrere a questo nuovo sistema consistente o nel rinvio al 9 aprile, o nella convocazione a domicilio.

PRESIDENTE. Lei entra di nuovo nel merito. Le ridarò la parola quando perverremo al suo turno. Ha chiesto di parlare l’onorevole Scoccimarro. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Non posso nascondere la mia più viva sorpresa per questo stranissimo episodio del quale il Paese non può avvertire tutta l’importanza politica: ma noi la conosciamo e la conosce anche lei, onorevole Gronchi. Non le dovrebbe perciò sfuggire la necessità di un po’ più di prudenza.

Ieri sera il Presidente dell’Assemblea ci ha convocato per informarci che l’onorevole Presidente del Consiglio aveva comunicato all’Assemblea che oggi il Ministro delle finanze e del tesoro avrebbe fatto una esposizione finanziaria dinanzi alle quattro Commissioni riunite. A me non interessa, onorevole Persico, la questione della procedura; a me, a noi, interessa la sostanza. (Commenti).

Questa Assemblea è un’Assemblea Costituente, i cui compiti sono definiti dalla legge che noi abbiamo il dovere di rispettare. I rapporti fra l’Assemblea e il Governo sono definiti in un determinato modo che noi possiamo cambiare, se vogliamo, ma che non possiamo mutare a nostro capriccio e in qualsiasi momento secondo il nostro comodo.

Ieri sera è stata presa una decisione; oggi, all’improvviso, si vuole, da parte di un. Gruppo, avocare a sé la prerogativa di presentarsi al Paese come quello che chiede la discussione nell’Assemblea e non nelle quattro Commissioni riunite. (Applausi a ministra).

Vi sono due considerazioni da fare. La prima è che la decisione e l’iniziativa spettano al Governo. Se il Governo pertanto lo desidera, noi siamo pronti; ma se il Governo ritiene utile far precedere la discussione nelle Commissioni, è evidente che noi dobbiamo in questo momento per la delicatezza dei problemi di cui si tratta, aiutarlo e non creargli difficoltà. (Applausi a sinistra Commenti al centro e a destra Interruzione dell’onorevole Corbino).

Onorevole Corbino, è proprio così, perché si tratta di problemi troppo gravi. Onorevole Corbino, lei ieri era di altra opinione. (Commenti).

CORBINO. No, niente affatto.

SCOCCIMARRO. Io devo dire qui che a me è dispiaciuto, quando si è discusso sulle comunicazioni del Governo, che il Presidente del Consiglio non abbia ritenuto – o lui direttamente, o immediatamente dopo di lui il Ministro delle finanze e del tesoro – di discutere le proposte che su questi problemi sono state presentate. Non ha detto una sola parola. Abbiamo atteso invano.

Ora, io non so se il Ministro del tesoro, oltre ai provvedimenti che ha portato in Consiglio dei Ministri ieri e oggi, non abbia anche altre iniziative – che secondo me dovrebbe avere – per le quali una discussione su di esse, oggi, dinanzi all’Assemblea potrebbe fermargli la mano e paralizzare l’attività che intende svolgere. Io non lo so, ma lascio lui arbitro di decidere se per l’azione che intende svolgere è utile, conveniente una discussione qui, oppure se sia utile farla precedere da una discussione nelle Commissioni.

Io penso che oltre ai provvedimenti tributari oggi siano urgenti anche dei provvedimenti finanziari. Ma non conosco ciò che il Ministro del tesoro si propone di fare e non vorrei, impegnandolo in una discussione in questa Assemblea, obbligarlo a rinviare iniziative e decisioni che potrebbero essere utili se prese immediatamente e tempestivamente. Il Governo ha acceduto all’idea di una esposizione finanziaria dinanzi alle quattro Commissioni riunite. Si può sempre chiedere una discussione pubblica in piena Assemblea; ma non vedo perché, nel momento proprio in cui l’Assemblea sta per chiudersi, noi dobbiamo assumere atteggiamenti che possano dare al Paese l’impressione di un allarmismo non giustificato. (Applausi a sinistra Commenti al centro).

Voi, oggi, ponendo il problema in questo modo, date a tutta l’Italia l’impressione che nel giro di pochi giorni ci siamo trovati dinanzi ad un baratro, a qualche cosa di insuperabile. (Commenti al centro). È questa l’impressione che date al Paese.

Io chiedo al Ministro del tesoro se egli ritiene utile una discussione immediata nell’Assemblea. A nome del Gruppo comunista dichiaro che se il Governo lo richiede, noi siamo pronti a discutere. Ci rammarichiamo che ciò non sia avvenuto due mesi fa. Oggi siamo già in ritardo di almeno due o tre mesi: perciò non vorrei che si creasse una situazione che portasse ad ulteriori mesi di ritardo nelle misure che bisogna prendere. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Macrelli. Ne ha facoltà.

MACRELLI. Nella riunione di ieri il nostro rappresentante ha fatto conoscere quello che era ed è il pensiero del Gruppo repubblicano. Questa mattina il Gruppo si è riunito ed ha votato un ordine del giorno da sottoporre all’Assemblea Costituente, nel quale si invitava il Governo a fare una esposizione chiara, precisa, profonda della situazione finanziaria. Ad un certo momento, però, prima di prendere la parola qui, abbiamo avuto un momento di riflessione, che ci ha portato alle dichiarazioni che faccio ora. Una duplice preoccupazione si è affermata. Anzitutto il timore che una discussione davanti all’Assemblea Costituente potesse fermare o rallentare l’applicazione di quei provvedimenti annunciati dal Ministro del tesoro.

Noi, intendiamoci bene, se desideriamo e vogliamo, come rappresentanti del Paese, esaminare in questa Assemblea la situazione, discutere l’azione del Governo, fissare le responsabilità, non vogliamo e non pretendiamo che si fermi, neanche per un istante, l’applicazione di quei provvedimenti.

Altra preoccupazione; la proposta che ci è venuta dalla Presidenza. Sta bene, noi accettiamo. Si convochi pure l’Assemblea a domicilio; ma ci auguriamo che questa convocazione avvenga fra breve tempo. Siamo pronti a discutere. Assuma però il Governo le sue responsabilità. Noi diciamo che questo episodio ha un grande significato politico, ed è, amico Gronchi ed amici della Democrazia cristiana, un implicito rimprovero da parte vostra al Governo, che non ha sentito il dovere di venire prima davanti all’Assemblea Costituente a rendere conto di quelli che sono i suoi propositi e per risolvere una situazione grave e delicata come questa, che pure dovremo una buona volta affrontare.

GRONCHI. Questo lo spiegheremo a suo tempo.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Selvaggi. Ne ha facoltà.

SELVAGGI. Onorevoli colleghi, ho la sensazione che qui si siano dette molte cose, ma non si sia entrati nel vivo del problema. Sono state ricordate le due riunioni che hanno avuto luogo ieri. Da queste riunioni è venuta fuori una alternativa, che è basata su tre possibilità che sono state poste al Governo: cioè, o rimettere alle quattro Commissioni questi problemi di carattere economico-finanziario, o convocare d’urgenza l’Assemblea, anzi oggi stesso, e far fare l’esposizione da parte del Governo all’Assemblea, oppure rinviare a dopo il 9, cioè alla riapertura delle nostre discussioni.

Il Governo ieri sera, tramite il nostro Presidente, ci ha fatto conoscere di avere scelto la prima delle alternative ponendo i problemi davanti alle Commissioni. Nella discussione in sede di partito repubblicano, l’onorevole Facchinetti domandò se questo significava che non sarebbe stata portata poi la discussione in Assemblea, al che fu risposto che le Commissioni potevano sempre ed avevano il dovere di fronte a provvedimenti di tale importanza, di portarli dinanzi alla Assemblea, in seduta plenaria.

Quindi c’era sempre la possibilità che i provvedimenti venissero portati dinanzi alla Costituente. È stato rimproverato al Governo che questa esposizione finanziaria avrebbe dovuto esser fatta da molto tempo. Parliamoci chiaro: sappiamo che l’Assemblea Costituente deve giudicare. Per questa ragione evidentemente il Governo non ha adottato i provvedimenti.

Si sente oggi l’impellente necessità di decidere se portare o non portare in discussione questi problemi.

Evidentemente il problema va distinto in tre punti di vista. C’è innanzi tutto un problema tecnico che riguarda i provvedimenti che il Governo ha preso e che devono andare avanti perché sono nell’interesse del Paese, per l’aumento delle entrate, di cui il Governo, e il Paese in modo particolare, hanno bisogno. Questo è un problema tecnico che può essere affrontato da parte delle Commissioni.

C’è poi un altro problema, e mi riferisco alle parole dette ieri dall’onorevole Gronchi, al quale io posi una domanda specifica. Disse l’onorevole Gronchi che non si tratta di entrate, ma di spese. Questo è un problema politico: io credo che riguarda il modo come meglio spendere il denaro che entra nelle casse dello Stato. E allora il problema è esclusivamente di carattere politico e investe la responsabilità del Governo e dei partiti che sono al Governo, perché sono loro che si sono assunti questa responsabilità.

C’è infine un terzo aspetto, ed è quello che riguarda la linea di condotta della politica monetaria, che ancora il Governo non ha esposta, almeno nei suoi dettagli, all’Assemblea.

Sta al Governo di decidere se questi tre problemi debbano essere riuniti in uno solo, se debbano essere affrontati d’urgenza, o comportino una dilazione. Sta al Governo di decidere se i problemi tecnici riguardanti i provvedimenti che il Governo ha preso in questi giorni debbano continuare con la massima celerità il loro corso o se debbano essere portati all’Assemblea.

In sostanza, si tratta di questo; e vi meraviglierete forse che una parola conciliatrice venga oggi da questo settore dell’Assemblea che è ritenuto come la punta estrema dell’opposizione; ma c’è di mezzo l’interesse del nostro Paese, e non si possono certo dimenticare le agitazioni determinate in tutto il Paese dall’aumento del costo della vita e da altre ragioni che è inutile ora rilevare.

Come andare incontro a questa situazione è ancora un problema che soltanto il Governo può decidere. Una volta deciso se in luogo di una soluzione immediata, una tregua possa essere raggiunta, allora evidentemente il problema può essere rinviato nella discussione. Se questa tregua non è possibile raggiungere, allora sorge la possibilità di un altro nome: crisi politica, di fronte alla quale l’Assemblea Costituente ha non solo il diritto ma anche il dovere dinanzi al Paese di discutere in tutti i dettagli il problema, ed ogni partito ha il dovere di prendere le proprie precise responsabilità. (Applausi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Persico. Ne ha facoltà.

PERSICO. Potrei rinunciare, ma vorrei insistere su questo punto. Siccome il Governo non ha ancora detto la sua opinione, io credo che si potrebbero conciliare tutti i desideri facendo oggi seduta e ascoltando l’esposizione finanziaria del Ministro del tesoro (Commenti), rinviando l’eventuale discussione ad un altro momento, ma intanto tranquillizzando subito il Paese che è ansioso di avere una parola che lo rassicuri. Il problema oggi è quello della madre di famiglia, che la mattina non sa come provvedere ai bisogni alimentari; il problema è quello del rincaro dei prezzi che sono diventati fantastici, sicché gli impiegati, i professionisti, i pensionati si trovano in condizioni tragiche. Bisogna rassicurare queste masse di popolo che sono agitate ed esasperate. Una parola del Ministro delle finanze potrebbe raggiungere questo scopo e noi l’attendiamo con fiducia. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Presidente del Consiglio. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Non vorrei intervenire in questa discussione, che considero di competenza dell’Assemblea, perché si tratta del suo ordine del giorno (Commenti), ma, poiché si è fatto ripetutamente accenno alle decisioni del Governo, devo dire qualche cosa.

È già stato detto che il ritardo degli ultimi giorni – se volete, delle ultime settimane – è dovuto a questioni, diciamo così, di riguardo personale, ovvie, e su queste non ritorno. Ciò non toglie, naturalmente, la responsabilità dei mesi di ritardo. Questa è un’altra questione su cui l’Assemblea potrà discutere. (Commenti).

Il Governo si è assunto le sue responsabilità, e gravissime, perché la patrimoniale è un’imposta veramente grave, che è stata stabilita con decreto-legge del Governo ed entra quindi in azione. Noi ripresenteremo la patrimoniale come disegno di legge all’Assemblea, per darle quello stesso diritto che una volta i Parlamenti avevano per la convalida di un decreto-legge.

Quindi non è che vogliamo sfuggire alla responsabilità. Ciò riguarda anche altri provvedimenti finanziari che hanno il carattere di catenaccio e altri deliberati con urgenza, il che vuol dire che entro cinque giorni si richiede il parere alla rispettiva Commissione.

Quindi va delineata chiaramente la nostra procedura, che ha seguito quell’intesa di carattere politico, più che giuridico, raggiunta in Assemblea, in seguito alla proposta Calamandrei.

Ma c’era un’altra questione. Si trattava della situazione finanziaria generale; si trattava di tener conto del desiderio giusto e legittimo espresso dall’Assemblea di veder chiaro quale era la nostra situazione e le nostre speranze avvenire. Ed allora questa doveva essere l’oggetto principale dell’esposizione finanziaria del Ministro del tesoro, che avendola già fatta al Consiglio dei Ministri, sappiamo benissimo quanto essa sia esauriente, profonda, piena di dettagli, che fino ad ora non si era avuto occasione di dare.

Ora è chiaro che noi non abbiamo pensato nel primo momento a procedure straordinarie. Abbiamo detto di chiedere di fare all’Assemblea questa esposizione.

Appena abbiamo saputo che la Commissione d’indagine aveva concluso la sua istruttoria, abbiamo fatto la proposta. Ho pregato il Presidente dell’Assemblea il quale ha cortesemente annuito, di sentire il parere e la opinione dei rappresentanti dei Gruppi. Noi sappiamo che queste riunioni, naturalmente, non sono impegnative, ma sono molto giovevoli, perché danno il polso dell’Assemblea.

Qui si sono fatte delle obiezioni che hanno questo carattere: per l’Assemblea è possibile riunirsi qualche giorno di più; ma la discussione ampia che si dovrà fare, data l’importanza della materia, potrà aver luogo entro il prossimo periodo delle vacanze previste?

Qui vi sono state delle obiezioni. Potremo esaurire la discussione in due o tre giorni? Impossibile.

Ed allora queste considerazioni di opportunità, che non impediscono in nessuna forma i diritti dell’Assemblea, ma li differiscono in quanto a discussioni e non in quanto a controlli, sono state poste da parecchi rappresentanti dei Gruppi e sono state riferite al Governo, il quale ha detto: «Se l’esposizione non si può fare in Assemblea, facciamola in altra forma». E dalla parte della Presidenza si è proposta questa riunione di maggiore solennità coi rappresentanti di tutti gli interessati dinanzi ai quali verrebbe fatta la relazione che parla non soltanto all’Assemblea, ma al Paese, a tutte le categorie, a tutti gli interessati, in modo, che il Paese sia informato, più di quello che sia stato fino adesso, sulla situazione finanziaria. Noi non abbiamo previsto se questa riunione darà luogo anche ad una discussione; lo supponiamo; non diciamo che darà luogo a conclusioni, perché l’onorevole Persico potrebbe dirmi che questo non è prevedibile.

Questo era il mezzo di esprimere pareri ed opinioni. Siccome c’è stato garantito che verrebbero fatti il resoconto stenografico dei discorsi e il resoconto sommario, come si fa per l’Assemblea, e quindi la stampa e il Paese avrebbero comunicazione di ciò, ci è sembrato che questo fosse un espediente sufficiente per questo scopo, senza togliere all’Assemblea nessun diritto, perché evidentemente se l’Assemblea è di parere diverso, noi siamo a disposizione, senza dire che ci resta l’obbligo della discussione all’Assemblea nelle deliberazioni, quando l’Assemblea troverà l’opportunità di riconvocarsi, oppure quando il Presidente crederà di riconvocarla.

Quindi non si tratta di decisioni del Governo su questa procedura. Si tratta di accedere, da parte del Governo, a considerazioni che naturalmente non sono state fatte senza qualche fondamento e che hanno connessioni con il calendario, con l’impegnò preso prima con certi atteggiamenti dei Gruppi, che presupponevano di avere a disposizione qualche giorno.

Vorrei, dunque, concludere in questo senso: non si ritarda niente in quanto ad applicazione di decreti. Nessun ritardo è possibile.

Per quanto riguarda la patrimoniale, su cui desideriamo e sappiamo che l’Assemblea ha il diritto di dire la sua opinione nel dettaglio, abbiamo dovuto fare una specie di catenaccio per quella parte che si riferisce alla denuncia e alle sue forme. Abbiamo detto: il 28 marzo si fa la fotografia per avere la situazione patrimoniale in Italia. Questo si sarebbe dovuto fare anche se fossimo stati in piena libertà di discussione da parte dell’Assemblea.

Concludendo; se le Commissioni riunite intendono sentire la relazione e credono di poter assumere la responsabilità di una sospensione o meno della discussione, il Governo è a questo banco. Se si accetta l’altro espediente, devo dire che il Governo lo considera sufficiente per mettere dinanzi al Paese tutta la gravità della situazione lasciando intatta all’Assemblea la responsabilità delle decisioni; tanto più che questo mi pare sia il senso della proposta Gronchi, il quale dice: in ogni caso interpreto il suggerimento del Presidente che se dalla esposizione e dalle conseguenti spiegazioni risultasse la necessità di una riconvocazione dell’Assemblea, il Presidente ha la facoltà di convocarla a domicilio ed il Governo, naturalmente, sarà lieto di accedere al parere del Presidente.

PRESIDENTE. Onorevole Persico, ella aveva accennato ad una sua proposta; la presenti in modo formale.

PERSICO. Rinuncio.

PRESIDENTE. Ed allora, non devo che rispondere all’onorevole Gronchi. La convocazione a domicilio significa che per qualsiasi eventualità resta sempre aperta la possibilità, della convocazione dell’Assemblea Costituente.

E di più non posso dirgli, perché non posso anticipare le decisioni che solo le Commissioni possono prendere; perché, onorevole D’Aragona, le Commissioni sono quelle che sono, ma nel momento in cui seggono, sono l’Assemblea Costituente, naturalmente nei limiti del potere che l’Assemblea ha ad esse delegato. L’Assemblea ha deciso di delegare alle Commissioni, singolarmente prese, le decisioni, in seguito alle quali eventuali misure del Governo debbono venire all’Assemblea o devono ritornare al Governo, e con ciò implicitamente ha delegato ad esse una parte dei propri poteri. E, pertanto, mi pare che il deprezzare in questa occasione contingente quegli uomini ai quali da molti mesi l’Assemblea affida un compito così delicato forse non sia opportuno, perché questi uomini hanno ancora molti mesi di lavoro.

Mi permetta, onorevole Gronchi, io non posso dire sì o no alla sua richiesta, perché, in generale, non ho la consuetudine di fare argomento di pubblica discussione ciò che è stata materia di intesa privata e amichevole: le intese amichevoli hanno valore anche se non sono portate al crisma di una discussione come quella che stiamo facendo in questo momento.

Prima di chiudere, credo che sia mio dovere, riferendomi ad alcune osservazioni dell’onorevole D’Aragona, dire i titoli di merito che l’Assemblea Costituente, così come ha lavorato fino ad oggi, può vantare di fronte al Paese. Ed è veramente strano sentire un membro di questa Assemblea, che l’Assemblea ha avuto di fronte a sé anche seduto al banco del Governo, considerare quisquilie e cosa disprezzabile ciò che nel corso di questi otto mesi è stato fatto. (Vivi generali applausi).

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Non posso rinunciare alla proposta che era stata avanzata dall’onorevole Gronchi e che avevo fatto mia. L’onorevole Gronchi aveva accennato all’eventualità di una convocazione, anche immediata, dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Onorevole Corbino, senza richiamare cose dette da altri, se ha proposte da fare, le faccia.

CORBINO. Vorrei fare la proposta che l’esposizione finanziaria sia fatta oggi, o lunedì, all’Assemblea e che sia immediatamente seguita da un dibattito.

SELVAGGI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SELVAGGI. Visto che siamo in tema di proposte, vorrei farne una concreta anche io, e cioè seguire quello che ha proposto il Governo; ossia che oggi, dinanzi alle Commissioni riunite, vengano discussi i provvedimenti che sono stati presentati. Con questo non viene escluso il fatto che il Governo, alla riapertura dell’Assemblea, faccia l’esposizione della sua linea di condotta politica, economica e finanziaria, sulla quale vi dovrà essere la discussione.

PRESIDENTE. Vi sono due proposte: quella dell’onorevole Corbino, che l’Assemblea senta l’esposizione finanziaria del Governo e la faccia seguire dalla discussione; e l’altra dell’onorevole Selvaggi, che si segua la procedura decisa, non escludendosi l’esposizione finanziaria e la conseguente discussione alla riapertura dell’Assemblea.

Il Governo fa propria la proposta Selvaggi; cioè che, secondo la decisione presa, nel pomeriggio di oggi si faccia dinanzi alle Commissioni riunite l’esposizione finanziaria e che le Commissioni, nell’ambito dei loro poteri, ne traggano le conseguenze.

GRONCHI. Quella dell’onorevole Selvaggi è una proposta nuova. (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Gronchi, mi pare che, dopo le cose abbondantemente dette, in realtà quella stessa procedura, che era stata decisa, abbia bisogno, di fronte alle critiche che ha subito, di una riconferma da parte dell’Assemblea, affinché nessuno possa poi sollevare l’eccezione che essa è stata seguita mentre l’Assemblea avrebbe voluto altrimenti.

Pongo in votazione la proposta che si segua la procedura prestabilita: cioè che nella seduta del pomeriggio si senta dinanzi alle Commissioni riunite l’esposizione finanziaria da parte del Ministro delle finanze e del tesoro e che le Commissioni decidano, in conseguenza, sulla base delle norme che regolano il loro lavoro, determinate a suo tempo dalla Assemblea; facendo salva la facoltà dell’Assemblea, nella pienezza dei suoi poteri, di chiedere al Governo, alla ripresa dei lavori, l’esposizione in materia finanziaria e la facoltà del Governo di essere udito dall’Assemblea.

CORBINO. Ritengo che la mia proposta debba essere votata prima; nel caso in cui sia respinta, potremo discutere quale altra soluzione si debba adottare.

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. In una parte di questa Assemblea vi è la preoccupazione che la situazione finanziaria esposta davanti alla Commissione possa richiedere un intervento da parte dell’Assemblea. (Interruzioni).

Una voce a sinistra. Ma perché parla il Ministro dell’interno? (Commenti).

SCELBA, Ministro dell’interno. Ne ho avuto l’incarico; del resto potrebbe anche parlare un altro membro del Governo. (Commenti).

PRESIDENTE. Ho dato la parola all’onorevole Scelba e prego i colleghi dì volerlo ascoltare.

SCELBA, Ministro dell’interno. Si vuole rivendicare all’Assemblea il diritto di discutere l’esposizione finanziaria che farà il Ministro davanti alle Commissioni. Ora, il Governo è d’accordo in questo senso con la proposta formulata dal Presidente dell’Assemblea di poterla convocare se il Governo lo ritiene o se la Commissione ne farà proposta; questa esigenza viene sodisfatta con la procedura fissata dal Presidente della Costituente, nel senso che la convocazione a domicilio non solo non esclude, ma garantisce la possibilità per il Governo di chiedere la convocazione dell’Assemblea per trattare la situazione finanziaria, se si imponesse la necessità di fare questa discussione pubblica.

Questo è il pensiero del Governo e questo può dare, quindi, garanzia a quella parte dell’Assemblea, la quale desidererebbe la discussione immediata e l’esposizione davanti all’Assemblea per salvaguardare i diritti e le possibilità dell’Assemblea stessa.

LUSSU. Ma che cosa c’entra il Ministro dell’interno? (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Lussu, la prego di rivolgere a me questa obiezione.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Credo che nessuno dei colleghi troverà strano che io parli in questo momento, dopo che ha parlato a nome del Governo il Ministro dell’interno su una questione finanziaria. (Commenti). Ritenevo più semplice e logico che in questa materia dovesse parlare o il Presidente del Consiglio o il Ministro delle finanze e tesoro.

SCELBA, Ministro dell’interno. Si tratta di una semplice questione di procedura.

LUSSU. E poiché ho la parola mi consentano i colleghi di aggiungere brevissime considerazioni.

Io appartengo a quel numero di uomini politici i quali, essendo amici dell’onorevole De Gasperi, diffidano di lui cordialmente quando è Presidente del Consiglio, aspirante o effettivo. (Si ride). Ora, io trovo oggetto di meditazione il fatto che si presenti all’Assemblea la questione finanziaria in un momento che non ci appare estremamente calmo.

È stata prospettata la possibilità che si discuta in seno all’Assemblea: e qui abbiamo visto opporsi, uno di fronte all’altro, e il rappresentante della Democrazia cristiana e il rappresentante del Partito comunista, proprio nel periodo che potremo chiamare di luna di miele (Si ride), dopo un matrimonio così pudicamente celebrato, di fronte all’articolo 7. (Si ride).

E allora io dico seriamente che qui ci troviamo di fronte ad un dissenso politico; ora, questo dissenso politico si chiarisca prima fra i partiti di coalizione governativa, perché è evidente che, se si porta in seno a questa Assemblea – si è già, come giustamente ha detto l’onorevole Selvaggi, in un periodo che si può chiamare di crisi, ed io penso che il giorno di Pasqua non dovrebbe essere dedicato a nessuna riunione di carattere politico – una discussione di questo genere, può determinarsi anche una crisi: non è il caso dunque di farla nel periodo che precede la Pasqua. (Commenti Rumori).

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. In questa discussione si sono incrociate tante proposte, sono stati esposti tanti punti di vista, sono state invocate tante autorità diverse, che si prova un certo disorientamento. Sarà bene dunque, rifarci al principio, anche se ciò possa sembrare un formalismo. Ora, qual è il principio? Noi abbiamo un ordine del giorno che reca: «Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana». A questo punto, il Presidente dell’Assemblea propone di sospendere le sedute o di prendere le vacanze, come volgarmente si dice, ed eventualmente, di fronte ad una grave emergenza del Paese, di riconvocare l’Assemblea. Si tratta di una proposta netta, chiara, sulla quale si può dire e si può dire no. Il no che cosa significa? Significa continuare i nostri lavori lunedì, con un ordine del giorno che dovremo stabilire noi stessi.

Ho sentito fare, invece, delle proposte che non esiterei a definire strabilianti: «Ci riuniremo più tardi» «Più tardi verrà il Governo». Ma questo è il sovvertimento di tutti i principî parlamentari; è – se volete – il sovvertimento della forma, ma il diritto parlamentare – ripeto – vive di forme, e la forma è un contenuto di esperienze, che bisogna rispettare.

Un punto che tocca, precisamente, la forma e che è venuto in questione è costituito da queste benedette Commissioni. Io credo che, in questo campo, ci siamo messi veramente su una linea di degenerazione parlamentare. Noi abbiamo creato, cioè, una terza specie: c’è un Parlamento, diciamo, di festa, e un Parlamento di giorno di lavoro (Commenti). Comunque, le Commissioni derivano dall’Assemblea; non sono un quid che preceda l’Assemblea. Si può ammettere che vi sia un qualche cosa che dall’Assemblea vada alla Commissione; non è possibile l’inverso: che si proceda, cioè, dalla Commissione per giungere all’Assemblea. Dovetti, a suo tempo, sostenere questo concetto in forma pregiudiziale nella Commissione per i trattati internazionali; ed ero risoluto a lasciare la Commissione, se la mia pregiudiziale non fosse stata accettata. Poi si venne ad un compromesso. La Commissione per i trattati stava, infatti, per divenire un organo al quale il Governo faceva delle dichiarazioni e domandava persino dei consigli (ci si chiedevano, in realtà, dei pareri consultivi, come se si fosse trattato di una Sezione del Consiglio di Stato. Era evidente che noi non avevamo nessuna competenza per una funzione siffatta!).

Badate, tutto ciò diminuisce l’autorità e la responsabilità di un Governo – cioè le due forze di cui esso appunto dispone – ma diminuisce anche l’autorità dell’Assemblea. Ho sentito tante volte dire: «L’Assemblea ha questa o quest’altra responsabilità». E, invece, l’Assemblea non è responsabile: un collegio di cinquecento persone non può assumere una responsabilità verso un’azione od una omissione. Avrà le sue responsabilità dinanzi alla storia, avrà le sue responsabilità dinanzi al popolo, dunque in un senso etico-politico; ma dinanzi al fatto dannoso, la responsabilità giuridica e costituzionale non può essere che del Governo. Ora, questo incrociarsi di Commissioni, di riunioni dei capi-gruppo, di pareri, di dichiarazioni, tutto ciò indebolisce l’autorità del Parlamento di cui frantuma l’unità, ma soprattutto – e ciò mi preoccupa di più – indebolisce l’autorità del Governo e per ciò stesso che la rende irresponsabile.

Questo è quello che vi può dire un – se volete – pedante formalista. E, per tornare al punto di partenza, noi qui non possiamo che tenerci alla proposta del Presidente: vacanze o non vacanze. Coloro i quali credono che una discussione immediata debba farsi, votano contro la proposta; e allora l’Assemblea stabilirà il suo ordine del giorno per lunedì o, magari, per domani. Non è ammissibile, infatti, che su una questione, che importa indiscutibilmente una responsabilità per il Governo, si possa dire al Governo – come qualcuno ha proposto – di venire, qui, alle 18 a fare le sue dichiarazioni. Noi non possiamo citare il Governo dinanzi a noi. Il Governo ha sempre diritto di fare le comunicazioni che vuole; quindi, in un certo senso, potrebbe chiedere anche ora di farle. Ma, badate, queste comunicazioni non possono non dar luogo ad una discussione, perché quando all’ordine del giorno vi saranno le comunicazioni del Governo, bisogna che segua una discussione. Non c’è altra via di uscita; e non c’è, anche se continueremo a discutere sino a mezzanotte, tra l’incrociarsi delle diverse proposte e delle recriminazioni da una parte e dall’altra.

La proposta del Presidente è che l’Assemblea prenda o non prenda le vacanze. La parola può essere antipatica, in questo momento così tragico del Paese. Di fronte ad una necessità di procedura parlamentare, l’Assemblea rinvia le sue sedute; potrà essere riconvocata d’urgenza anche domani, se occorre, o dopo domani, o comunque, quando il Presidente dell’Assemblea che ha tutta la nostra. fiducia, presi accordi col Presidente del Consiglio – che ha, indiscutibilmente, non dirò la fiducia di tutti, perché ci sono i partiti di opposizione, ma ha indiscutibilmente la fiducia della maggioranza – crederà di riconvocarci.

Chi accetta questa proposta, la vota, secondo la richiesta del Presidente; chi sostiene altre soluzioni, la respinge. Mi pare che non vi sia altra via di mezzo. (Vivi applausi).

PRESIDENTE. Credo che nessuno esiti a seguire il consiglio della saggezza e della esperienza e che, pertanto, la nostra votazione può procedere nel modo così chiaramente esposto dall’onorevole Orlando. E, pertanto, io pongo in votazione la proposta che inizialmente avevo fatto, cioè che i lavori dell’Assemblea siano rinviati e che la riconvocazione avvenga a domicilio, allo scopo di permettere, se la necessità si presenterà, che l’Assemblea sia investita dell’esame di quei problemi che il Governo riterrà di sottoporle.

(La proposta è approvata).

Auguri al Presidente.

MACRELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MACRELLI. Io non so quando si convocherà ancora l’Assemblea Costituente. Comunque, credo d’interpretare i sentimenti dell’Assemblea se, ricollegandomi ad una vecchia e cara tradizione, rivolgo un saluto augurale al Presidente onorevole Terracini. (Vivissimi generali applausi).

Questo saluto vuol dire anche ringraziamento per il modo come ha diretto i lavori, dimostrando la sua perizia, la sua intelligenza e soprattutto la sua imparzialità. (Nuovi generali vivissimi applausi).

PRESIDENTE. Contraccambio all’onorevole Macrelli le sue cordiali ed amichevoli parole, ed estendo il mio augurio e i miei ringraziamenti a tutta l’Assemblea, perché è ben certo che qualunque perizia di Presidente, qualunque esperienza e buona volontà sarebbero rese nulle, se non vi fosse la collaborazione continua e cordiale di tutta l’Assemblea; la quale, in definitiva, si presiede da sé e porta da sé innanzi i suoi lavori. (Vivissimi generali applausi).

Presentazione di un disegno di legge.

CAMPILLI, Ministro delle finanze e del tesoro. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAMPILLI, Ministro delle finanze e del tesoro. Mi onoro di presentare il disegno di legge:

«Istituzione dell’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio».

PRESIDENTE. Do atto all’onorevole Ministro delle finanze e tesoro della presentazione di questo disegno di legge. Sarà trasmesso alla Commissione competente.

Interrogazioni ed interpellanze.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni e delle interpellanze pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri degli affari esteri e del lavoro e previdenza sociale, sui motivi che determinano un grave ritardo nell’emigrazione di lavoratori italiani in Francia, in Argentina ed in altri Paesi.

«Di Vittorio, Lizzadri».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere se egli sia edotto – e come voglia provvedere – del fatto che, nonostante l’amnistia elargita col decreto presidenziale del 22 giugno 1946, sono ancora in carcere molti imputati dei disordini – senza uccisioni – verificatisi il 14 dicembre 1944 a Palma Montechiaro e che il relativo processo si trova ancora presso il giudice istruttore del Tribunale di Agrigento per l’espletamento dell’istruzione, non ultimata dopo due anni e tre mesi dalla denunzia, con grave violazione dell’articolo 298 del Codice di procedura penale.

«Montalbano, D’Amico Michele».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro dell’interno, per sapere se siano per prendere delle risoluzioni dirette a venire sollecitamente ed efficacemente incontro ai sinistrati dalla recente eruzione dell’Etna.

«L’apprezzabile iniziativa di un primo immediato soccorso promesso dal Ministro dell’interno sarebbe insufficiente nei limiti segnalati dal Ministro in occasione della sua visita sul posto.

«Si chiede perciò se sia all’esame la esigenza di un più idoneo urgente intervento, considerando che i danni, oltre che riguardare dei beni comunali del comune di Castiglione di Sicilia per cospicuo ammontare, e fra l’altro due strade che urge ricostruire, investono modesti appezzamenti di terra appartenenti a piccoli coltivatori, ridotti ora in condizioni di miseria.

«Cartia, Di Giovanni».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dei lavori pubblici e dei trasporti, per sapere:

1°) a quali necessità di traffico nazionali o locali siasi inteso soddisfare con la progettata linea ferroviaria Udine-Portogruaro;

2°) se non ravvisino che gli stanziamenti per la sua costruzione – testé intrapresa – siano in stridente contrasto con le esigenze ben più imperiose della generale restaurazione delle comunicazioni spesso deluse e con le penose deficienze della ricostruzione edilizia;

3°) se, infine, non ritengano urgente disporre che sia quantomeno riveduto il tracciato di fronte alle vive proteste delle popolazioni e ai contrari unanimi voti delle rappresentanze delle amministrazioni locali. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Cosattini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere quali provvedimenti intenda prendere per sollecitare le numerosissime pratiche inevase da parte dell’ex Ministero delle colonie, e relative a personale militare e civile catturato in Africa Orientale.

«La mancata conclusione di dette pratiche provoca ritardo al pagamento di assegni ai militari e militarizzati, con gravi conseguenze di ordine morale e materiale e suscita discredito verso il Governo. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Mastrojanni».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dei lavori pubblici e della difesa, per richiamare la loro attenzione sul fatto che il tempio-ossario di Bassano del Grappa, che custodisce le salme di seimila caduti nella guerra 1915-18 è ancora – dopo due anni – con i loculi sconvolti dai bombardamenti aerei e con il tetto in rovina.

«Anche il Sacrario di Cima Grappa – diecimila eroi – e più specialmente le opere annesse subirono gravi distruzioni ed incendi nei rastrellamenti perpetrati dai nazi-fascisti.

«Il ritardo nelle riparazioni potrebbe pregiudicare la stabilità degli immobili. L’interrogante chiede se e quali provvidenze gli onorevoli Ministri intendano tempestivamente di prendere. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Marzarotto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per conoscere quali provvedimenti riparatori siano stati adottati o si intendano adottare a favore di un numero non indifferente di funzionari delle Amministrazioni provinciali delle dogane, che l’ordinamento finanziario attuato con la legge n. 4 del 25 gennaio 1940, in vigore dal 1° febbraio 1940, ha defraudati dei diritti precedentemente acquisiti.

«Si impone una pronta giustizia riparatrice per questi funzionari illegalmente privati dei loro sacrosanti diritti e pertanto si chiede venga sancito, in attesa della generale riforma della pubblica amministrazione attualmente allo studio, il rispetto dei diritti acquisiti a favore di tutti i funzionari in servizio alla data di entrata in vigore della legge medesima e non di quelli soltanto che erano in servizio prima del 1923.

«Ciò può agevolmente concretarsi con una norma provvisoria a complemento della stessa legge n. 4, che conferisca alla medesima normale efficacia giuridica relativamente al tempo avvenire: provvedimento riparatore al quale potrà seguire, senza impazienze, la riforma generale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bonfantini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere se il decreto legislativo del 23 novembre 1946, n. 463, che autorizza l’Amministrazione dei lavori pubblici a far luogo alla revisione dei prezzi per i lavori appaltati o concessi dopo il 15 aprile 1946, è estensivo ai lavori appaltati per conto degli Istituti autonomi delle case popolari, il cui finanziamento è predisposto dal Ministero dei lavori pubblici.

«Poiché i lavori appaltati dagli Istituti autonomi delle case popolari, oltreché essere finanziati dall’Amministrazione dei lavori pubblici sono approvati e vigilati dai competenti Provveditorati per le opere pubbliche, chiede che venga emanato un chiarimento di efficacia giuridica, che consideri tali lavori alla stregua di quelli appaltati dal Ministero dei lavori pubblici agli effetti della revisione di cui trattasi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Cimenti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri delle finanze e tesoro, della difesa e dell’interno, per conoscere quali provvedimenti intendano adottare in merito alla revisione dei prezzi delle opere, dei servizi e delle forniture da essi appaltate, in analogia a quanto ha disposto il Ministro dei lavori pubblici con il decreto legislativo 23 novembre 1946, n. 463.

«Non può essere discussa l’esistenza di circostanze eccezionali, che apportano notevoli oscillazioni di costo della mano d’opera, dei materiali e dei servizi e costituiscono un onere, che supera i limiti ragionevoli dell’alea normale che può sopportare l’impresa.

«Il provvedimento si rende estremamente necessario ed urgente, affinché la precitata revisione sia applicata ai lavori ed ai servizi appaltati o concessi dopo il 15 aprile 1946.

(L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Cimenti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere l’applicazione pratica del decreto legislativo 23 novembre 1946, n. 463, laddove stabilisce che la revisione dei prezzi dei lavori appaltati, o concessi dopo il 15 aprile 1946, potrà essere operativa:

  1. a) successivamente all’aggiudicazione, nel caso di gara;
  2. b) alla stipulazione del contratto, nel caso di trattativa privata;
  3. c) alla presentazione dell’offerta, nel caso di appalto concorso.

«Fa presente che per l’appalto concesso a trattativa privata, la cui eventuale revisione decorre dalla data di stipulazione del contratto, gli assuntori dei lavori vengono ad essere ingiustamente danneggiati in quanto, nella maggior parte dei casi, i contratti sono stipulati dagli uffici competenti con notevole ritardo sulla data di inizio dei lavori.

«Si rende pertanto necessario, per ragioni di equità e di giustizia, un chiarimento di efficacia giuridica, che precisi come, nel caso di trattativa privata, la revisione dei prezzi in questione debba riferirsi alla data del verbale di consegna dei lavori e non del contratto. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Cimenti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri della difesa e delle finanze e tesoro, per sapere se non credano opportuno modificare la indennità di pubblica sicurezza ai carabinieri ed ai sottufficiali dell’Arma in servizio d’ordine pubblico fuori residenza, che viene corrisposta attualmente in misura assolutamente irrisoria e del tutto inadeguata alle difficoltà del servizio che è disimpegnato prevalentemente proprio dagli stessi sottufficiali e militari di truppa dell’Arma. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Camangi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del commercio con l’estero, per sapere se non creda conveniente togliere il veto all’importazione di colofonia, di cui hanno forte bisogno diverse industrie nazionali, fra le quali importantissima quella del sapone, mentre il veto suddetto favorisce il mercato nero, danneggia i consumatori, contribuisce all’aumento dei prezzi e provoca la contrazione del lavoro industriale favorendo la disoccupazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Carbonari».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare l’Alto Commissario per l’alimentazione, per sapere se intenda intervenire affinché all’industria molitoria del Trentino venga assegnata per la macinazione la quota proporzionata di grano destinato al consumo, di quella provincia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Carbonari».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere se gli consta che la Federazione italiana della caccia propugna la soppressione dei diritti comunali e degli usi civici in materia di caccia e uccellagione e specialmente dell’articolo 67 del testo unico, che nella zona delle Alpi, riconfermando le vecchie libertà comunali, dà ai Comuni la facoltà di «costituire in riserva di caccia tutto il territorio della circoscrizione del Comune, a condizione che le riserve siano cedute in gestione alle rispettive sezioni della F.I.D.C. a vantaggio di tutti gli iscritti»; e considerato che i provvedimenti invocati dalla F.I.D.C., ove fossero attuati, provocherebbero un grave danno finanziario ai Comuni alpini e un’ingiustizia sociale a favore dei ricchi e un conseguente malcontento della popolazione indigena, che si tradurrebbe in una distruzione irrazionale di selvaggina; se non creda necessario rispettare le vigenti libertà comunali e subordinare ogni disposizione in materia alla futura legislazione in materia di autonomia comunale e regionale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Carbonari».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare i Ministri degli affari esteri e del lavoro e previdenza sociale, per sapere se è a loro conoscenza che l’emigrazione degli operai subisce enormi ritardi per l’arenamento delle pratiche presso il Ministero del lavoro e presso la Direzione degli italiani all’estero; che, in particolare, quando il pagamento delle rimesse degli emigrati avviene con l’equivalente di merce da importarsi dal paese di immigrazione, il permesso di passaggio all’estero e il pagamento delle rimesse alle famiglie dipende da cinque Ministeri: commercio con l’estero, lavoro, industria, affari esteri e finanze; che alle ripetute richieste di emissione del parere rivolte al Ministero del lavoro e alla Direzione italiani all’estero, si risponde col più lungo e inspiegabile silenzio, ottenendo l’effetto di aumentare il disagio interno, arrestando l’emigrazione, rispettivamente impedendo il pagamento delle rimesse alle famiglie rimaste in patria; e come intendano provvedere. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Carbonari, Fantoni».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere se non ritengano, nell’interesse dei fittavoli o coloni dei fondi olivetati, emettere un decreto che confermi, sani e ratifichi il decreto ministeriale 19 ottobre 1945 (Gazzetta Ufficiale 26 ottobre 1945, n. 127), dai tribunali dichiarato incostituzionale, per analogia, in seguito a sentenza della Cassazione 25 maggio 1946, che dichiarò illegittimo il decreto Gullo del 26 luglio 1944, emesso per il grano, allo scopo di difendere i suddetti coltivatori diretti dalla richiesta poco onesta di proprietari dei fondi olivetati, i quali, avvalendosi dell’adesione della Magistratura, pretendono ed ottengono in via giudiziaria la restituzione del premio percepito per la cottura degli oliveti per l’annata agraria 1945-46.

«L’interrogante fa presente che il Presidente del Consiglio dei Ministri, per riparare all’ingiustizia derivata dalla sentenza della Cassazione succitata, beneficiante i ricchi proprietari e dannosa ai lavoratori della terra, emise un decreto-legge, in data 22 giugno 1946, n. 44, con effetto retroattivo, per il pagamento del premio ai coltivatori del grano e la questione fu definitivamente risolta.

«Altrettanto chiedesi oggi per i coltivatori dell’olio per l’annata 1945-46.

«Fa presente, ancora, l’interrogante che il Comitato interministeriale dei prezzi, in data 18 ottobre 1946, adottò il provvedimento che, «anche per l’olio, nel determinare il prezzo, debbasi, come già per i cereali, assegnare una terza parte a chi provvede alla coltura dei fondi, cioè al fittavolo». (Vedere il Tempo del 19 ottobre 1946 e il Globo dello stesso giorno). (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Musolino».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri della pubblica istruzione e dei lavori pubblici, per conoscere se sono a conoscenza che i locali delle scuole elementari in taluni paesi della Calabria, come Bianconuovo, Mammola, Brancaleone, per non dire di molti altri, sono dei veri tuguri e perfino delle stalle, i cui miasmi rendono irrespirabile l’aria agli alunni e agli insegnanti con grave nocumento della salute di questi, costretti talvolta a sospendere la scuola.

«Se, in considerazione di questa grave situazione, non si ritiene necessario dichiarare urgenti i lavori per la costruzione degli edifici scolastici e provvedere al finanziamento dei molti progetti approvati esistenti presso il Genio civile in attesa di essere eseguiti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Musolino».

«I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere se non ritenga necessario addivenire al più presto possibile, compatibilmente alle esigenze dell’alimentazione, alla soppressione del sistema degli ammassi dei cereali e segnatamente del grano, causa di ingenti spese, di gravi complicazioni e di crescente malcontento; se nell’attesa di questo auspicato evento, indipendentemente dalle provvidenze per aumentare la produzione cerealicola e le imputazioni, non ritenga improrogabile già per il prossimo raccolto 1947 adottare i seguenti provvedimenti atti ad eliminare almeno in parte i gravi inconvenienti attuali:

1°) sostituire all’ammasso il sistema del contingentamento territoriale comunale;

2°) determinare tempestivamente il prezzo del grano in senso economico;

3°) aumentare la quota di esenzione per i diretti coltivatori.

«Bubbio, Balduzzi, Sampietro, Bovetti, Gortani, Quarello, Stella, Baracco, Burato, Giacchero, Raimondi, Belotti, Bellato, Tozzi Condivi, Ferrario Celestino».

«I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro dell’interno, per sapere quali provvedimenti siano stati ordinati e quali intendano ordinare per stroncare definitivamente ogni manifestazione fascista, come è avvenuto recentemente a Milano in ispregio alla legge, manifestazioni tendenti all’esaltazione di uomini e di un regime condannato dalle coscienze dei popoli civili.

«Ciò ad evitare la legittima reazione delle masse popolari e dei cittadini, gelosi delle riconquistate libertà.

«Mariani Francesco, De Michelis Paolo, Pistoia, Fedeli Aldo, Vischioni, Bianchi Costante».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

Così pure le interpellanze saranno iscritte all’ordine del giorno, qualora i Ministri competenti non vi si oppongano nel termine regolamentare.

La seduta termina alle 14.15.

POMERIDIANA DI VENERDÌ 28 MARZO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

LXXX.

SEDUTA POMERIDIANA DI VENERDÌ 28 MARZO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Votazione a scrutinio segreto sul disegno di legge: Modifiche al testo unico della legge comunale e provinciale, approvato con regio decreto 5 marzo 1934, n. 383, e successive modificazioni:

Presidente                                                                                                        

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Codacci Pisanelli                                                                                            

Schiavetti                                                                                                        

Della Seta                                                                                                       

Chiusura della votazione segreta:

Presidente                                                                                                        

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana:

Fusco                                                                                                                

Risultato della votazione segreta:

Presidente                                                                                                        

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana:

Mortati                                                                                                            

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 16.

AMADEI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Votazione a scrutinio segreto sul disegno di legge: Modifiche al testo unico della legge comunale e provinciale, approvato con regio decreto 5 marzo 1934, n. 383, e successive modificazioni.

PRESIDENTE. Si procede alla votazione a scrutinio segreto sul disegno di legge: Modifiche al testo unico della legge comunale e provinciale, approvato con regio decreto 5 marzo 1934, n. 383, e successive modificazioni.

Si faccia la chiama.

SCHIRATTI, Segretario, fa la chiama.

(Segue la votazione).

PRESIDENTE. Le urne resteranno aperte, proseguendosi nello svolgimento dell’ordine del giorno.

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

È iscritto a parlare l’onorevole Codacci Pisanelli. Ne ha facoltà.

CODACCl PISANELLI. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, nel prendere a parlare per la prima volta a questa Assemblea sul progetto di Costituzione, mi sia consentito rivolgere un pensiero deferente al mio primo maestro di diritto costituzionale, di cui abbiamo pochi giorni fa celebrato le nozze d’oro con la politica.

Ritengo non sia inutile questo saluto, che non rivolsi l’altro giorno e che intendo rivolgere oggi, perché vedo in lui il genio tutelare della Costituzione italiana. Uno dei suoi meriti, spesso riaffermati, è stato quello di aver ricondotto l’Italia dagli amari giorni del 1917 alla vittoria del 4 novembre 1918, che non fu solo vittoria di armi, ma soprattutto successo ottenuto nel pieno rispetto della Costituzione.

Sembrò per alcuni giorni, per alcuni anni, che questo vanto fosse superfluo. Gli eventi hanno dimostrato che il rispetto per la Costituzione porta a successi, come quello cui ho accennato, mentre il dispregio della legge fondamentale dello Stato porta, come abbiamo veduto, alla catastrofe.

Ed io completo questo saluto, accennando a quelle parole, che il Presidente disse con accorato accento l’altro giorno: «Che a lui era stata riservata l’amara sorte di vivere tanto a lungo da vedere la rovina della Patria».

Se ancora ha vissuto, ritengo che ciò sia perché a lui è riservata la sodisfazione di vedere come, nel pieno rispetto della nuova Costituzione, la Patria possa risorgere. Ed allora a lui rivolgo l’augurio che vigili appunto fra noi e per tutto il tempo necessario per la non breve nostra ripresa, vigili a lungo tra noi, genio tutelare della Costituzione italiana, il Presidente di Vittorio Veneto!

E se a queste mie parole dovessi dare un titolo, penserei di accennare alle conquiste dei giuristi nel campo della vita sociale, ed in particolare nel campo della giustizia amministrativa. Si è discusso a lungo sopra i difetti e i meriti dei giuristi. Forse le accuse non sono state del tutto infondate, perché essi, nella ricerca della certezza, che è uno dei loro scopi, hanno spesso dimenticato come uno dei loro scopi sia anche la ricerca della verità, verità che per essi è la giustizia. Vi sono stati, però, coloro che non hanno dimenticato questa mèta; e nel perseguirla sono stati raggiunti alcuni risultati non trascurabili, che mi propongo di mettere in evidenza, sia pure nel circoscritto ambito al quale mi riferisco, per dimostrare come alle conquiste dei movimenti politici italiani facciano riscontro le conquiste dei movimenti giuridici.

Mi soffermerò in particolare sopra la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi e sopra la responsabilità dei pubblici impiegati e delle pubbliche amministrazioni. In altri termini, mi occuperò del 1° capoverso dell’articolo 19 e del 1° capoverso dell’articolo 22. L’uno e l’altro rappresentano profonde innovazioni; ma, nella rinnovazione del nostro sistema, ritengo che gli autori del progetto siano rimasti fedeli ai principî della nostra migliore scuola giuridica.

Per quanto riguarda la formulazione degli articoli, qualche ritocco sarà necessario: le parole non sempre riescono ad esprimere completamente i concetti che vorremmo formulare, ma questi concetti ormai già sono compresi nel progetto della Costituzione, e spetta a noi esprimerli con la maggior precisione possibile.

Quanto ai diritti e agli interessi, è notevole il fatto che sia stata mantenuta una delle distinzioni teoriche, le quali hanno, anche nel campo pratico, conseguenze non indifferenti. Come è noto, specialmente nel campo del diritto pubblico, non sempre ad ogni dovere fa riscontro un diritto. L’ordinamento raggiunge i suoi scopi imponendo doveri ai quali non sempre fa riscontro una pretesa di altri e protetta in maniera così completa come avviene per il diritto. Mi basta accennare all’esempio dei doveri che vengono imposti dalla pubblica amministrazione, per esempio nei procedimenti che debbono precedere la emanazione degli atti amministrativi, procedimenti che implicano la osservanza di doveri e dal cui rispetto derivano per alcune persone particolari vantaggi, che non possono però essere considerali veri e propri diritti.

Si è notato in passato che il limitare la difesa giurisdizionale ai soli diritti non accordava una sufficiente protezione ai cittadini, e allora si è cercato di giungere a proteggere anche queste aspettative, che dovevano rappresentare semplici vantaggi; vantaggi innegabili, ma che non potevano essere trascurati, se si fosse voluto raggiungere l’ideale della giustizia a cui uno Stato, che voleva ispirarsi al rispetto del diritto, doveva pur aspirare.

L’articolo dice che «tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi». In questa maniera, si è provveduto ad assicurare la tutela giurisdizionale degli interessi, che trovano la loro protezione nella legge. Ma, forse, l’espressione non è del tutto completa, perché vi sono anche alcuni vantaggi, alcune utilità particolari dei singoli, i quali non trovano la loro protezione in una vera e propria norma giuridica, ma nel buon uso del potere discrezionale.

A questi particolari vantaggi è stata già accordata la tutela giurisdizionale e non ritengo che l’articolo abbia voluto toglierla.

Per esprimere con maggiore chiarezza il mio pensiero, richiamo la diversa gradazione di proiezione che l’interesse può avere nel campo giuridico: dal diritto incondizionato – come per esempio il diritto al nome – passiamo al diritto condizionatamente protetto – come il diritto di proprietà, che può venir meno di fronte al pubblico interesse – per arrivare poi a interessi, la cui protezione giuridica è innegabile, senza che essi possano essere classificati come veri e propri diritti soggettivi.

E in questi interessi noi distinguiamo quelli legittimi, che trovano la protezione in una norma giuridica, da quelli discrezionalmente protetti, i quali non vengono tutelali da una vera e propria norma giuridica, ma dai principî cui deve ispirarsi il buon uso del potere discrezionale, potere e principî di cui lo stesso ordinamento impone il rispetto. Finalmente, abbiamo interessi di carattere generale che non si impersonano in alcun soggetto e quindi non possono essere muniti di tutela giurisdizionale; non sono cioè azionabili, come normalmente si dice.

Da questa classificazione è derivato l’articolo cui accenno. Specialmente nei confronti della pubblica amministrazione è frequente l’esempio di doveri, cui non fanno riscontro veri e propri diritti da parte dei singoli. Ma anche queste utilità, che tuttavia esistono nei singoli, hanno trovato adeguata protezione nel nostro sistema amministrativo e non è stato inutile accennarvi espressamente, anche per sanzionare nella Carta costituzionale i risultati innegabili che sono stati raggiunti.

Senza dubbio, in questa materia entrano dei criteri strettamente giuridici, che hanno però la loro importanza pratica e che hanno consentito, in particolare, la difesa del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione.

È noto, infatti, che se la Rivoluzione francese è riuscita a liberare il cittadino dalle degenerazioni del feudalesimo, dalla prepotenza che il signore feudale poteva esercitare nei confronti del singolo, viceversa non è riuscita ad evitare che il posto del signorotto feudale fosse preso da un altro soggetto, che molte volte non era meno prepotente del primo. Alludo allo Stato e agli inconvenienti della statolatria.

Come un tempo non era accordata la difesa nei confronti del signore feudale, così, dopo la Rivoluzione francese, rimasero in gran parte senza difesa i vari diritti e interessi che potevano accamparsi nei confronti dello Stato. A questo inconveniente si giunse per un duplico ordine di considerazioni: da una parte per la concezione del diritto esclusivamente come volontà dello Stato, ed è stata questa una delle più gravi conseguenze della statolatria, di cui a lungo si è parlato nei giorni scorsi. Ma dall’altro lato, una seconda ragione di questa sostituzione della prepotenza dello Stato alla prepotenza del signorotto feudale deve ricercarsi nel principio della divisione dei poteri rigidamente e meccanicamente concepito. Secondo la concezione del Montesquieu, il giudice non poteva immischiarsi in quel che riguardava l’amministrazione, o per conseguenza l’amministrazione finiva per essere completamente sottratta al sindacato giurisdizionale. L’attività da essa svolta non aveva altri limiti oltre i cosiddetti criteri di discrezione, che molte volte era discrezione indiscreta.

Di fronte a questi inconvenienti che avevano posto il cittadino in una posizione non molto dissimile da quella in cui si trovavano gli individui nei confronti dei signori feudali, fu necessario promuovere adeguati rimedi. Tali rimedi si ricercarono appunto nella istituzione di ricorsi giurisdizionali e di controlli, i quali garantissero con sufficienti cautele d’imparzialità i singoli nei confronti dello Stato, soprattutto dello Stato in quanto amministratore.

Accenno semplicemente a questo problema, che è soprattutto un problema di giuristi e che conferma l’idea a cui mi sono ispirato fin dall’inizio, cioè l’apporto dei giuristi alle conquiste nel campo sociale. Accenno a questo proposito e ricordo il celebre discorso di Silvio Spaventa sulla giustizia nell’amministrazione.

In base a questo principio, dopo avere assicurato al diritto soggettivo adeguata tutela da parte dell’autorità giudiziaria ordinaria, ci si accorse che rimanevano sprovviste di protezione adeguata altre utilità dei singoli, e precisamente gli interessi.

Si provvide allora a dare a tali interessi una tutela adeguata e si discusse sulla natura giurisdizionale o amministrativa di essa. A tale scopo furono istituite la quarta e poi la quinta sezione del Consiglio di Stato, appunto per la protezione delle particolari utilità predette, la cui protezione permetteva di conseguire una maggiore giustizia nel campo amministrativo.

Ma, considerando i concetti elaborati da questo ramo del diritto, che ha vita relativamente giovane, perché risale a poco più di un secolo – di fronte alla vita plurisecolare degli altri rami del diritto – ci si è accorti che potevano trovare applicazione anche in altri rami dell’ordinamento. Ci si è accorti che, anche nel diritto privato, esiste qualche cosa di analogo a quello che in diritto amministrativo è stato chiamato interesse legittimo.

Accenno semplicemente a quello che avviene, per esempio, in materia di invalidità; per quanto riguarda le invalidità, esse possono essere fatte valere, specialmente in relazione ad alcuni negozi giuridici, da parte di tutti coloro che vi abbiano interesse. Non si ha un diritto a far valere questa invalidità, ma un interesse ed anche questo interesse trova protezione nel campo della giurisdizione.

Degli uni e degli altri, cioè dei diritti e degli interessi in ogni ramo del sistema, ci si è occupati nell’articolo qui considerato, ma, ritengo, non in maniera completa, perché mentre si parla soltanto di interessi legittimi, penso che non si siano voluti escludere anche quegli altri interessi che trovano tutela giurisdizionale; benché il loro riconoscimento non derivi direttamente da una norma giuridica, ma soltanto dal buon uso del potere discrezionale.

La tutela degli interessi nel campo del diritto privato si riscontra ancora in un’altra figura che consente di passare ad un ulteriore principio, che già si intravede nella Costituzione, ma che forse dovrebbe essere meglio formulato.

Accenno al divieto dell’abuso del diritto. Tra gli esempi di interessi protetti giuridicamente nel campo del diritto, si ricorda il divieto degli atti emulativi. È noto che per molto tempo si ritenne impossibile giungere fino al divieto degli atti che il proprietario compie, disponendo del proprio bene in maniera per lui inutile e per gli altri dannosa. Si è ritenuto, secondo i principî della legislazione più remota, che la concezione individualista della proprietà non consentisse di giungere ad un divieto di questi atti, benché essenzialmente contrari alle esigenze della vita sociale. A poco a poco, però, nei vari sistemi legislativi d’Europa, si riscontrò come l’ammissione di questi atti emulativi fosse del tutto incompatibile col nuovo svolgimento che ogni nuova società andava compiendo, e fu stabilito, prima nel codice germanico, e poi in quello svizzero, che gli atti emulativi fossero vietati.

La tendenza trovò riscontro nella preparazione del nostro Codice civile vigente, preparazione che durò vari decenni e alla quale presero parte i nostri migliori giuristi. In tale occasione, il problema fu riesaminato. Si vide come l’ammissibilità completa degli atti emulativi ed in genere dell’abuso del diritto fosse in contrasto sempre maggiore con le nuove esigenze sociali.

Già nel Codice civile vigente è sancito il divieto dell’abuso del diritto per quanto riguarda la proprietà. In altri termini, non è possibile usare di questo diritto in maniera contrastante con la utilità sociale. È una prima affermazione giuridica della funzione sociale della proprietà, ma in quei lavori preparatori si nota che, secondo il desiderio di coloro che vi parteciparono, sarebbe stato necessario giungere ancora più oltre. Si riteneva, cioè, necessario sancire in genere il divieto dell’abuso del diritto.

Ritengo che in questa prima parte del nostro progetto e della Costituzione che dovremo completare sarebbe opportuno sancire, in tema di diritti e di doveri civici, questo principio del divieto dei diritti. Nell’articolo in cui ci si occupa della possibilità di tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi giuridicamente protetti non starebbe male una premessa nella quale fosse appunto stabilito che non è ammesso l’abuso del diritto.

Anche a questo proposito può essere interessante notare come al divieto dell’abuso del diritto si è giunti, utilizzando principî che erano stati affermati in un altro ramo dell’ordinamento. La teoria relativa all’abuso del diritto ha tratto, cioè, nuova luce dai principî che già nel campo della giustizia amministrativa si erano andati svolgendo a proposito dell’eccesso di potere e della sua particolare figura costituita dallo sviamento di potere.

Come nel campo del diritto pubblico, ogni autorità deriva il suo potere in relazione a un fine determinato, così si è arrivati a concludere che quando l’autorità pubblica si serve del proprio potere per un fine diverso da quello per cui le è stato conferito, l’atto emanato deve ritenersi viziato. Nello stesso modo, applicando questi principî nel diritto privato, si è visto come ogni facoltà, ogni interesse protetto in modo particolare ed attribuito ai singoli, venga attribuito e tutelato in vista di uno scopo determinato.

Quando il diritto viene usato per uno scopo diverso da quello per cui è stato attribuito, evidentemente si commette un abuso dannoso alla società, che sarebbe opportuno fosse vietato in genere proprio nella Costituzione.

Per tale ragione propongo il seguente mandamento alla prima parte dell’articolo 19: «Nessuno può esercitare il proprio diritto per uno scopo diverso da quello per il quale gli è stato attribuito».

E quanto alla formula del primo comma propongo che venga così corretta: «Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi giuridicamente protetti». In tal modo ci si occupa anche di quegli interessi detti semplici, i quali trovano anche oggi un’adeguata tutela giurisdizionale.

E passo ad occuparmi della responsabilità dei pubblici impiegati per gli atti che essi abbiano compiuto nell’esercizio delle loro funzioni.

Si tratta di un articolo veramente innovatore, di un articolo contro il quale non sono mancati gli strali della critica.

TUPINI. Non tanti.

CODACCl PISANELLI. L’articolo evidentemente rappresenta una profonda innovazione nel nostro campo, ma non è inutile che si costituisca in un certo senso una sanzione, una conferma costituzionale di principî che già in altri campi hanno trovato accoglimento. L’articolo stabilisce, in primo luogo, la responsabilità dei dipendenti dello Stato e degli enti pubblici per gli atti da essi compiuti. La formulazione non può dirsi assolutamente precisa, perché non si intende bene se si tratta soltanto degli atti compiuti nell’esercizio delle pubbliche funzioni attribuite a questi pubblici dipendenti, o se si tratti invece di qualunque atto da essi compiuto.

Evidentemente gli autori del progetto hanno voluto alludere semplicemente al primo significato. Ma, l’articolo non esclude anche per la seconda ipotesi la responsabilità dello Stato e degli enti pubblici; dice, anzi, che essi sono garanti per l’adempimento dell’obbligo di risarcire i danni causati dai loro dipendenti. Sono due principî di particolare interesse perché, in tal modo, viene risolto nella Costituzione il problema della responsabilità dei dipendenti pubblici e della responsabilità dello Stato, in particolare della pubblica Amministrazione.

Nei giorni scorsi ci si è occupati, soprattutto, della difesa dei diritti del cittadino nei confronti dello Stato come giudice, nei confronti dello Stato come legislatore, perché, sancendo i diritti inviolabili dell’uomo e le libertà fondamentali dell’uomo, si è voluto assicurare che il cittadino venga tutelato nei confronti della legislazione, nei confronti della giurisdizione.

Mi sto soffermando, oggi, in particolare, sulla tutela del cittadino nei confronti della pubblica Amministrazione, nei confronti, in generale, della terza funzione sovrana, di quella funzione di Governo che comprende l’attività politica e l’attività amministrativa.

L’affermazione relativa ai diritti e agli interessi, contenuta nell’articolo 19, è interessante, anche perché, secondo me, risolve taluni problemi i quali erano stati finora risolti in termini del tutto diversi da quanto sarà consentito quando sarà approvato un simile articolo. In altri termini, mentre in passato si riteneva che di fronte all’attività politica non vi fosse alcun rimedio giurisdizionale – per quanto alcuni tentassero di ammettere, se non altro, il ricorso all’autorità giudiziaria ordinaria – oggi può ritenersi che una simile affermazione della tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi non escluda neppure la possibilità di far valere i diritti dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria e di far valere la tutela degli interessi, ove sia necessario, dinanzi alle magistrature amministrative, delle quali ci occuperemo in seguito perché il progetto ne prevede la conservazione.

Accenno semplicemente al problema dell’atto politico. È noto che bastava la possibilità di qualificare come politico un determinato atto della pubblica Amministrazione, perché i rimedi contro questi atti fossero gravemente limitati, se non addirittura soppressi. Soppressi per quanto riguarda il ricorso al Consiglio di Stato, cioè soppressi per quanto riguarda la tutela degli interessi; ma non completamente soppressi, almeno secondo alcuni, qualora l’atto politico avesse leso diritti. Senonché molti rispondevano a questa affermazione che l’atto politico era essenzialmente discrezionale e che di fronte all’atto discrezionale non potevano sussistere diritti. In dottrina e nella stessa giurisprudenza si è tentato di replicare a questa affermazione, si è tentato di dimostrare che anche contro l’atto politico, qualora avesse leso diritti, dovrebbe ammettersi, se non altro, la possibilità di ricorso all’autorità giudiziaria ordinaria.

Ritengo che la disposizione del progetto esaminata, sancendo in generale la possibilità di difesa giurisdizionale per i diritti e per gli interessi, consente anche di risolvere l’annoso problema della tutela del cittadino di fronte ai cosiddetti atti politici.

E, sempre in tema di diritti e di interessi, ritengo che sia ancora utile accennare a una delle questioni che abbiamo risolto questa mattina, cioè alla possibilità di esercizio dell’azione popolare. Nelle modificazioni alla legge comunale e provinciale è stato questa mattina riammesso il principio dell’azione popolare e siccome si tratta di un interesse che appartiene al singolo, in quanto membro di una collettività, ritengo che questo principio sia stato esattamente riaffermato in una Costituzione che si ispira alla concezione della società come solidarietà.

Ma, tornando ai principî della responsabilità, mi permetto di richiamare quali erano i risultati a cui si era giunti secondo il sistema vigente. Non si ammetteva la responsabilità dello Stato, non si ammetteva in passato, per varie ragioni e soprattutto perché si diceva che lo Stato, essenzialmente inspirato al diritto, non poteva commettere atti tali da far sorgere una responsabilità. Si è arrivati a fare la distinzione tra la personalità giuridica cosiddetta privata e la personalità giuridica pubblica dello Stato, tra il fisco e lo Stato propriamente detto, e si ammetteva la responsabilità dello Stato in quanto fisco, mentre la si escludeva in quanto esso agisse quale persona giuridica pubblica.

Successivamente si cominciò a pensare che l’assoluta irresponsabilità dello Stato di fronte al danno eventualmente derivante dall’attività dei suoi dipendenti non poteva essere ammessa, e per varie strade si cercò di giungere a riconoscere la responsabilità della pubblica Amministrazione per i danni arrecati dall’attività dei suoi dipendenti.

PRESIDENTE. Onorevole Codacci Pisanelli, l’avverto che ha già superato il tempo concesso.

CODACCI PISANELLI. Ho quasi finito. Si arrivò in tal modo ad ammettere questa responsabilità della pubblica Amministrazione e vi si arrivò ritenendo che gli organi dello Stato esplichino attività pubblica e che questa attività è pubblica e resta attività dello Stato, anche se viziata. Si pensò quindi che gli atti, rimanendo sempre atti statali e in particolare rimanendo atti amministrativi, dovevano far sorgere quell’obbligazione di risarcire i danni derivanti dal proprio operato in cui consiste in fondo la responsabilità.

Fatto questo passo, che portò a riconoscere, in linea generale, la responsabilità della pubblica Amministrazione, si giunse a concludere che, anche nei confronti dei pubblici impiegati, doveva ammettersi il principio della responsabilità e l’obbligo di risarcire i danni derivanti dalla loro attività. Senonché, quest’obbligo incombeva non sopra un singolo dipendente dallo Stato, almeno per quanto riguarda i terzi, ma sulla stessa Amministrazione. Gli impiegati poi, a loro volta, erano responsabili nei confronti della pubblica Amministrazione per i danni derivanti dalla loro attività.

In base ai principî accolti nel progetto, si ha al riguardo una notevole innovazione, perché gli impiegati non sono soltanto responsabili nei confronti dello Stato o dell’ente pubblico, da cui dipendono, ma sono responsabili nei confronti dei terzi, ai quali siano derivati danni dalla loro attività.

È un principio dalle gravi conseguenze, senza dubbio, ma la gravità delle conseguenze deve essere valutata in relazione al fatto che non si tratta d’una innovazione radicale. Anche per altri impiegati esiste già qualcosa di simile. Non dobbiamo dimenticare che per i dipendenti dello Stato, i quali esplicano la funzione giurisdizionale, cioè per i magistrati, per i cancellieri e per gli stessi ufficiali giudiziari, è stabilita anche oggi la responsabilità personale. Lo stesso principio vale per taluni organi dell’Amministrazione finanziaria, come i conservatori dei registri immobiliari; il conservatore delle ipoteche, ad esempio, è personalmente responsabile. Si è detto che si tratta di ragioni storiche, ma, in ogni modo, si è di fronte a un’ampia categoria di dipendenti dello Stato, i quali sono personalmente responsabili per i danni derivanti dalla loro attività.

Col nuovo sistema non bisogna pensare che venga abbandonato il principio delle responsabilità dello Stato o della pubblica Amministrazione per atti compiuti dai suoi dipendenti; viceversa, il principio viene integrato con l’altro della responsabilità estesa anche alle persone fisiche preposte ai pubblici uffici.

A questo proposito può essere interessante osservare come, per quanto riguarda la responsabilità nel campo del diritto pubblico, si sia arrivati ad ammettere anche la responsabilità per atti legittimi. Cioè: non soltanto dalla iniziale esclusione completa d’una responsabilità degli organi statali si è arrivati ad ammettere questa responsabilità in caso di atti illegittimi, ma si è giunti fino ad ammettere la responsabilità per atti legittimi.

Basti pensare alla espropriazione per pubblica utilità, un istituto che potrà esserci molto utile per gli sviluppi ai quali si presta; basti pensare che in questo campo abbiamo, in fondo, atti senza dubbio legittimi, perché previsti dalla legge, dai quali deriva, però, un danno per i singoli, danno che deve essere risarcito.

È il principio, appunto, della responsabilità per atti legittimi.

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Codacci Pisanelli…

CODACCl PISANELLI. Completo subito; purtroppo i due argomenti che ho toccato sono abbastanza complessi. Si tratta qui di un principio abbastanza nuovo, che mi proporrei di illustrare.

PRESIDENTE. Non c’è argomento trattato dai colleghi che non sia molto importante; tuttavia, ciascuno deve cercare di svolgere il proprio argomento entro i limiti di tempo stabiliti.

CODACCl PISANELLI. Sto per concludere. Per quanto riguarda la responsabilità personale degli impiegati, non dobbiamo meravigliarci. Teniamo presente che qualcosa di simile avviene anche in sistemi diversi dal nostro.

In Inghilterra da secoli si applica questo principio, fin da quando, nel 1763 ci fu il famoso contrasto tra Giorgio III ed uno dei deputati, il Wilkes, il quale scrisse un articolo contro il re. Il re dispose, attraverso il primo ministro, perquisizioni domiciliari e arresti; il Parlamento insorse; l’autorità giudiziaria dichiarò la incostituzionalità della esecuzione dell’ordine impartito di eseguire quei sequestri e condannò colui il quale aveva eseguito l’ordine al risarcimento dei danni.

Risale a questo tempo l’affermazione del principio della responsabilità personale dei pubblici impiegati per gli atti da essi compiuti. Il sistema anglo-sassone è rimasto completamente diverso dal nostro. Secondo tale sistema, non deve ammettersi un diritto amministrativo, in quanto si ritiene che questo sistema giuridico serva a garantire quasi una tirannia della pubblica amministrazione; e si ritiene preferibile estendere a tutti il solo diritto privato, detto «legge comune». Le necessità storiche hanno però imposto anche in quel sistema l’adozione di principî analoghi ai nostri, per cui si è venuto a formare un diritto amministrativo, tanto che vi sono oggi anche in Inghilterra cattedre universitarie di diritto amministrativo.

Ma il nostro sistema, senza dubbio evoluto, perché (cosa che non si riscontra in altri ordinamenti) consente persino la tutela degli interessi discrezionalmente protetti, può essere opportunamente integrato con il principio della responsabilità personale dei pubblici impiegati di fronte ai cittadini; principio non nuovo, perché, come ho già detto, esiste già nell’amministrazione della giustizia.

Integrando i due principî, ritengo che noi otterremo di migliorare il nostro sistema di giustizia amministrativa, il quale ha fatto molti passi avanti; ma che, come la realtà ci dimostra, non è ancora sufficiente ad assicurare quella giustizia sociale alla quale aneliamo.

Ho voluto volgere uno sguardo al passato, esponendo quello che è lo stato della nostra legislazione e quelli che sono i risultati raggiunti dalla nostra dottrina. E questo ho fatto, non già per ammirazione verso il passato, ma solo per far notare a quali risultati fossero giunti coloro che ci hanno preceduto e perché sia in tal modo maggiore la spinta che deve animarci verso ulteriori conquiste per l’attuazione di quell’ideale della giustizia nell’amministrazione, perseguito con tanto entusiasmo nel secolo scorso e che noi dobbiamo perseguire oggi con non minor decisione.

Ad ogni modo, da queste mie considerazioni, ritengo si possa trarre la conclusione che molte conquiste sociali sono dovute ai giuristi, i quali, anche lontani dalla vita normale, perché spesso rinchiusi nelle biblioteche, non cessano di rappresentare un anelito verso quella ricerca della verità che per loro è la giustizia di cui non debbono mai dimenticarsi, anche se preoccupati soprattutto di stabilir la certezza.

All’aspirazione della giustizia noi dobbiamo ispirarci, ed a tali principî si ispira la nostra Costituzione; la quale, appunto con la tutela dei diritti e degli interessi, con l’assicurazione della responsabilità personale dei pubblici impiegati, tende a realizzare il nostro ardente anelito di giustizia che, secondo la divina promessa, sarà certamente appagato. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Schiavetti. Ne ha facoltà.

SCHIAVETTI. Onorevoli colleghi, è stato giustamente osservato in una delle passate sedute che questa discussione sul Titolo I costituisce una specie di beneficiata degli avvocati e dei cultori di discipline giuridiche, che sono numerosissimi in questa Assemblea. È inutile dirvi che io, occupandomi dell’articolo 16, il quale regola il regime di stampa, mi porrò invece da un punto di vista prevalentemente politico e in un certo senso professionale.

Le Costituzioni sono per solito elaborate dopo dei profondi sconvolgimenti politici e sociali. E in ognuna di queste elaborazioni è quasi sempre evidente una doppia ispirazione: c’è la preoccupazione di redigere una Charta che possa valere per i tempi di normalità e c’è l’esigenza di redigere una Charta che serva anche a difendere i valori politici e morali che sono stati affermati nello sconvolgimento da cui ha tratto origine la Costituzione stessa. Un caso storico tipico di questa doppia ispirazione nell’elaborazione delle Costituzioni è quello famoso della Costituzione francese dell’anno I, durante la grande rivoluzione, la quale assicurava le più ampie autonomie ai francesi – era una di quelle Costituzioni che noi diremmo oggi « autonomistiche » – e tuttavia, poche settimane dopo averla votata, la Convenzione dovette rinviarla indefinitamente, appunto perché obbediva a questa seconda esigenza di tutti i costituenti, obbediva cioè all’esigenza di difendere i valori politici, i valori storici che la Rivoluzione francese doveva opporre in quel momento a tutta l’Europa che si era coalizzata contro di lei.

Leggendo i resoconti delle riunioni della Commissione preparatoria di questo progetto, ho notato, per quel che riguarda l’articolo 16, appunto la presenza di questa duplicità di ispirazione. E ne è venuto fuori il testo che è sottoposto oggi al nostro esame; un testo nel quale, mentre da una parte si afferma e si esalta la libertà assoluta della stampa, da un’altra parte invece, al capoverso quarto, si tollera l’intervento della polizia, l’intervento del potere amministrativo per disciplinare gli eventuali eccessi della stampa. Si consente, in altre parole, il sequestro preventivo della stampa periodica, operato per via amministrativa con l’intervento della polizia.

Ora, onorevoli colleghi, io appartengo ad un partito il quale sente molto profonda l’esigenza di difendere i valori politici che sono emersi nella lotta contro il fascismo e nella rivoluzione – o, per meglio dire, nella mezza rivoluzione – che si è affermata il 25 aprile 1945 a Milano. Tuttavia, nonostante il sentimento di questa profonda esigenza, noi non intendiamo in nessun modo di valerci, al di sopra dello strettamente necessario, dell’intervento della polizia per quello che riguarda la disciplina della stampa. Il nostro punto di vista – io non so se posso impegnare anche l’opinione dei miei colleghi – è che la stampa, qualora se ne debba consentire il sequestro preventivo, debba essere sottoposta all’esclusiva vigilanza del potere giudiziario. Del resto, questa opinione l’afferma pure, con alcune cautele, il Presidente della Commissione, onorevole Ruini. Egli dice ad un certo punto della sua relazione: «È da sperare che si realizzi un assetto tale da offrir il modo al magistrato di intervenire sempre tempestivamente». Questo è ciò che noi ci auguriamo: che si trovi cioè il modo di costituire un organo, affidato all’autorità giudiziaria, il quale possa, qualora sia necessario, intervenire per sequestrare immediatamente quei giornali, che si presume possano portare un turbamento all’ordine pubblico o alla pubblica morale.

Questo monopolio affidato alla magistratura, per quello che riguarda la disciplina della stampa, ci garantisce che non si verificheranno i soliti casi di sconfinamento, che sono estremamente graditi al potere esecutivo. Quando il sequestro preventivo di un giornale dovrà essere non più affidato ad un funzionario di pubblica sicurezza, ma ad un magistrato, il quale dovrà giustificarlo con una sua ordinanza, noi crediamo che le garanzie per la tutela della libertà della stampa saranno maggiori. Noi diffidiamo a questo proposito della iniziativa del potere esecutivo e della fertilità della sua fantasia: quelli che hanno vissuto venticinque anni or sono la lotta di ogni giorno contro il fascismo, ricorderanno a quale artificio ricorresse l’onorevole Federzoni nel 1925 per giustificare la soppressione della libertà della stampa, allorché ricorse all’articolo 19 della legge provinciale e comunale. Era un arbitrio totale. La sua naturale ipocrisia non consentì al Ministro Federzoni di assumere un atteggiamento aperto e chiaro, come in una circostanza di ben altro rilievo ebbe ad assumere nel 1914 il Ministro tedesco Bethmann Hollweg, quando giustificò l’invasione del Belgio con il motto: «Not kennt kein Gebot», la necessità non conosce legge.

Nei rapporti interni il potere esecutivo non può assumere un atteggiamento così brutale e così sfrontato come i Governi assumono spesso nei rapporti internazionali, facendosi usbergo delle necessità superiori dello Stato e della Nazione.

Recentemente qui a Roma noi abbiamo assistito, ad esempio, al sequestro di un foglio anticlericale, sotto il pretesto che questo foglio facesse della pornografia; ma il processo che ne è seguito alcune settimane or sono ha portato ad una assoluzione totale dell’imputato dalla accusa di pornografia, mentre è rimasta l’altra accusa, dal punto di vista morale molto più lieve, dell’offesa al Pontefice. Evidentemente la polizia aveva agito qui a Roma per ordine superiore ed aveva pensato che il solo pretesto valido per poter sequestrare quel giornale, che dava fastidio da un punto di vista politico, fosse di accusarlo di fare della pornografia.

Ora, noi non vogliamo dar modo per l’avvenire al potere amministrativo della polizia di adottare provvedimenti di questo genere. Vogliamo che la libertà della stampa, la vigilanza sulla stampa, sia affidata esclusivamente al potere giudiziario.

Una voce a destra. Siamo d’accordo.

SCHIAVETTI. Noi sappiamo benissimo che la Repubblica ha bisogno di difendersi: è una necessità che noi sentiamo altissima. Ma pensiamo che si possa difendere anzitutto con le leggi. In un certo senso, la Repubblica si difende con l’azione, con la volontà, con lo spirito di sacrificio, con l’iniziativa dei repubblicani; ma, sul terreno giuridico, si difende con le leggi.

Noi dobbiamo fare il minor uso possibile degli interventi di polizia. È naturale che, da un punto di vista astratto, vi sia un regime di libertà della stampa che può apparire il più perfetto: è il regime per cui si può intervenire contro un giornale soltanto in seguito ad una sentenza irrevocabile dell’autorità giudiziaria. È il regime che ho sentito esaltato recentemente da quei banchi, il regime che in questo momento fa molto comodo ai nostri avversari dell’estrema destra.

Permettete che io vi dica che quando sentivo uno dei nostri colleghi difendere in questo modo l’assoluta libertà della stampa, non potevo fare a meno di ricordare tutto quello che molti di noi hanno sofferto 20 e 25 anni or sono per la difesa della libertà di stampa. E vorrei che tutti coloro che in questo momento si entusiasmano per l’assoluta libertà di stampa potessero vantare nel loro passato delle battaglie per la difesa di questa libertà che si avvicinino a quelle combattute dai socialisti, dai repubblicani e dai comunisti! (Applausi a sinistra).

Non è la prima volta, onorevoli colleghi, che il sacro nome della libertà è usato per manovre politiche di questo genere: basti ricordare che, quando nel 1920 le squadre fasciste cominciavano a scorrazzare per il nostro Paese – e trovavano allora il conforto e l’aiuto da parte dei giornali di quella parte là – esse parlavano in nome della libertà. E c’era anche nell’inno fascista un appello, appunto, alla difesa della «nostra» libertà.

Per tanti anni abbiamo sentito parlare in questo senso di libertà e i nostri colleghi di quella parte dell’Assemblea ci consentiranno, quindi, di essere alquanto diffidenti quando essi fanno queste esaltazioni della libertà.

Per quello che riguarda il regime della stampa, un regime di assoluta libertà in questo periodo dello sviluppo economico e sociale del nostro paese non mi pare possibile, soprattutto per due ordini di motivi. Voglio spiegare che quando parlo di assoluto regime di libertà della stampa intendo dire regime di libertà per cui il sequestro dei giornali sia consentito soltanto in seguito a sentenza irrevocabile dell’autorità giudiziaria.

Vi sono dunque due ordini di motivi per i quali non si può consentire la formazione di un regime di questo genere. Innanzitutto, e questo lo dico con profondo dolore, per lo scarso livello di educazione politica di una parte dei giornalisti italiani; e non solo dei giornalisti italiani, ma anche dei giornalisti di altri paesi. Le peripezie politiche di questi ultimi decenni hanno mostrato in Italia una classe giornalistica la quale non ha saputo resistere con dignità e con fermezza agli assalti della reazione e della dittatura. Io non parlo di quei giornalisti che erano giovani quando il fascismo s’impadronì del potere. Per molti di quelli noi possiamo avere della simpatia e quasi un senso umano di pietà e di comprensione. Ma parlo soprattutto di quegli avanzi della vecchia classe politica italiana i quali si piegarono e si afflosciarono come cani davanti alla frusta del dittatore. Molti di quegli elementi sono ancora rimasti. Possiamo dire che molti di essi ricoprono ancora nel giornalismo dei posti di alta responsabilità. In seguito alla recente amnistia molti di quei giornalisti sono tornati in circolazione e hanno ripreso la loro opera di avvelenamento della vita italiana.

E allora bisogna, onorevoli colleghi, tener conto di questo fatto, che è un fatto altamente triste per il nostro paese. Bisogna tenerne conto, perché l’assoluta libertà richiede anche la massima educazione politica e il più alto senso di responsabilità. Se avessimo nel nostro passato esempi sicuri di coscienza civile e di educazione politica, noi potremmo fare oggi l’esperimento di un’assoluta libertà nella stampa. Ma poiché questi esempi non li abbiamo, noi siamo costretti a tenere un contegno di realistica prudenza.

A proposito di questa indegnità di una parte dei giornalisti italiani e perché voi non crediate che vi sia della avventatezza da parte mia, voglio leggervi alcune poche righe di una pubblicazione recente – in certo senso non recente, perché si tratta in gran parte di una ristampa – dovuta ad uno dei nostri maestri in giornalismo, maestri non solo dal punto di vista professionale ma anche dal punto di vista morale. Intendo parlare di Mario Borsa. Nella ristampa del suo volumetto sulla libertà di stampa Mario Borsa scrive ad un certo punto queste parole nei riguardi del giornalismo italiano:

«Bisognerà dire cosa che sanno tutti. La maggior parte dei giornalisti di questa stampa asservita al regime non era in buona fede!… Presi ad uno ad uno i giornalisti dicevano corna del regime e del loro «duce». E vada per quei poveri diavoli che dovevano stare attaccati ai seggiolini per poter mangiare, loro e le loro famiglie; ma i denigratori – a quattr’occhi e molto sottovoce – del regime dell’amato «duce» erano in molti casi i giornalisti che andavano per la maggiore, direttori di quotidiani e di riviste; burattini che passavano come i più fervidi sostenitori della politica pazza e rovinosa che doveva portare l’Italia al disastro! Gli uomini sono responsabili della sincerità e del disinteresse delle loro opinioni, non della loro giustezza.

«Si può essere nel vero o nel falso, pur di esservi in buona fede e non per calcolo. Ora la cosa più obbrobriosa ed insieme più odiosa, più umiliante, più grave, dell’epoca ignominiosa attraverso cui è passata la stampa italiana, è che molti, troppi giornalisti non credevano affatto in ciò che scrivevano e non avevano alcuna fede nell’uomo e nel regime che sostenevano. Questo è il vero, il grande avvilimento; perché tutto si può scusare, meno la insincerità e la mancanza di carattere».

Vi è poi un secondo ordine di considerazioni per cui non riteniamo possibile un regime di assoluta libertà, ed è il formidabile pauroso potere che è venuto ad assumere in questi ultimi tempi la stampa periodica. Essa è venuta ad assumere questo potere a causa del suo progresso tecnico, ma soprattutto a causa dell’enorme ed accresciuta moltitudine dei lettori ai quali essa si rivolge.

Bisogna, onorevoli colleghi, tener sempre presente, nell’esame di molti dei fenomeni più caratteristici di questo nostro tempo e di questa nostra società, le enormi conseguenze che sono state prodotte e che continueranno a esser prodotte nel Paese dalla inserzione nella vita politica nostra d’una moltitudine enorme di italiani, che prima ne erano assenti e lontani.

Prima del 1882, il paese legale, costituito dagli italiani che avevano facoltà di nominare i loro rappresentanti e di governare il Paese attraverso i loro rappresentanti, era rappresentato, su 27 milioni di abitanti, soltanto da 570.000, da poco più di mezzo milione. Il paese legale era dunque circa un cinquantesimo del paese reale. Dopo la riforma elettorale del 1882, realizzata dall’avvento della sinistra al potere, gli elettori furono da 2 a 3 milioni: il paese legale fu portato da un cinquantesimo ad un decimo. Trent’anni dopo, nel 1912, con la famosa riforma del suffragio universale voluto da Giolitti, gli elettori divennero 8.000.000 su 40.000.000 di abitanti. Il paese legale passava da un decimo ad un quinto. E finalmente nel 1946, con le ultime elezioni, su una popolazione di circa 45.000.000 si sono avuti oltre 22.000.000 di elettori: siamo a metà; il paese legale è la metà del paese reale.

Ho voluto ricordare queste cifre perché voi possiate comprendere quale profondo cambiamento sia avvenuto nella vita politica del nostro Paese. E notate che la inserzione di questa vasta moltitudine di italiani nella vita politica attiva, è avvenuta attraverso due cataclismi successivi, quali sono quelli rappresentati dalle due ultime guerre mondiali.

Ora voi capite benissimo che il giornalismo, il quale parla a questa moltitudine di italiani, ha un potere enormemente più forte e più penetrante di quello che non potesse avere il giornalismo di 60-70 anni fa, giornalismo che parlava a mezzo milione di italiani, i quali rappresentavano una piccola minoranza del Paese, una minoranza che, dal punto di vista della cultura e della preparazione politica, aveva senza dubbio un livello maggiore di quello che non abbia oggi questa vasta moltitudine di 22-23 milioni d’italiani.

Il giornalista oggi, quando scrive una sola parola nel suo giornale, dovrebbe sempre tener presente questo infinito potere che ha nelle sue mani. Il giornalista dovrebbe esser consapevole del fatto che ha, in un certo senso, cura di anime.

Orbene, io vi posso dire che nel costume della pratica quotidiana si è ancora lontani dall’affermazione di questa coscienza.

COSATTINI. Solo la libertà può sanarla.

SCHIAVETTI. Siamo d’accordo, ma vi sono delle necessità politiche per cui si può graduare la libertà, soprattutto quando questa graduazione non avviene da parte di un potere paternalistico o esterno al popolo, ma da parte dei rappresentanti stessi della volontà popolare.

Il potere di questa stampa è un potere enorme ed è naturale quindi che vi siano delle cautele di ordine legislativo e di ordine giuridico per cui in una situazione come l’attuale non si possa consentire un regime di assoluta libertà della stampa. È necessario che ci sia una tutela più vigile della stampa, una tutela che può essere esercitata in certi casi dagli stessi organismi del giornalismo organizzato. È necessario anche che vi sia una difesa della indipendenza e della dignità del giornalismo da un altro punto di vista. La stampa deve infatti difendere la propria indipendenza e la propria dignità anche contro la potenza del denaro, contro le minoranze plutocratiche faziose le quali si vogliono servire della stampa per introdurre dei veleni nel cuore del Paese, per giovare a interessi particolari sotto la veste, come avviene sempre, di una difesa degli interessi nazionali. Ed è a questa necessità che si ispira il capoverso dell’articolo 16, là dove dice che la legge può stabilire controlli per l’accertamento delle fonti di notizie e dei mezzi di finanziamento della stampa periodica. Una proposta di questo genere ha provocato una reazione netta e precisa da parte di un oratore dell’estrema destra…

BADINI CONFALONIERI. …che ricordava il discorso del senatore Ruffini in difesa della libertà di stampa del 1926, ed il senatore Ruffini era liberale e non azionista.

SCHIAVETTI. Questa è, se è riferita esattamente, un’opinione del senatore Ruffini. Non è la mia. La cosa non mi fa né caldo né freddo.

Si tratta dunque di esercitare il controllo finanziario sulle fonti di certi giornali, un controllo che purtroppo è di una efficacia relativa, perché è impossibile, per ragioni pratiche, di esercitare un controllo assoluto; ma è un controllo il quale, ad ogni modo, porrà a disposizione della pubblica opinione delle cifre e dei dati per mezzo dei quali sarà più difficile, a coloro che vogliono compiere queste specie di manovre, di muoversi a loro piacimento.

Questo controllo non significa affatto che si voglia impedire a certi interessi particolari di farsi valere.

Purtroppo, data la società attuale e la sua organizzazione economica, non è assolutamente pensabile che si possa togliere il diritto ad un interesse particolare di creare un giornale e di affermarsi in mezzo al Paese sotto veste di difendere l’interesse generale. Ma quello che importa è che la buona fede del pubblico possa essere difesa, quello che importa è porre a disposizione del pubblico il maggior numero possibile di dati per cui esso possa sapere di che genere è il giornale che legge. Quando si saprà, ad esempio, come è avvenuto nel passato, che un giornale finanziato dagli industriali dello zucchero difende delle tesi protezionistiche e anti-liberistiche, allora il pubblico saprà orientarsi e capirà benissimo quale valore morale e politico si possa attribuire agli argomenti di quel giornale; oppure quando si saprà che gli industriali siderurgici finanziano un certo giornale, il pubblico apprezzerà con precisione quale è il grado di moralità e dì sincerità che si possa dare agli argomenti del giornale che sostiene una politica nazionalistica e di provocazione alla guerra. (Interruzioni a destra).

Nessun giornale può sostenere e difendere, da un punto di vista obiettivo, gli interessi generali, perché è soltanto Iddio, in un certo senso, che può difendere gli interessi generali. Ciascuno di noi, in un giornale, difende i propri interessi particolari; ma vi è una bella differenza fra gli interessi particolari di un partito politico, il quale esprime gli interessi di alcuni ceti della popolazione, e gli interessi invece di un giornale, dietro cui ci sono dei gruppi finanziari e degli uomini i quali ogni giorno, si può dire, cercano di frodare la semplicità e la buona fede del pubblico, affermando di parlare per degli interessi generali, mentre difendono esclusivamente degli interessi particolari, interessi che sono spesso in contrasto con quelli generali è preminenti della nazione.

BELLAVISTA. La libertà vigilata del giornalismo!

SCHIAVETTI. Noi ci auguriamo, in ogni modo, che vi possa essere un regime, la cui attuazione è riservata all’avvenire, in cui la stampa divenga una specie di servizio pubblico e ogni partito possa vedersi attribuire dallo Stato una quota parte di questa possibilità di esprimere la propria opinione.

L’organizzazione attuale della nostra società non permette una cosa di questo genere; ma voi consentirete, io spero, che vi esprima la speranza che si possa addivenire, in un futuro più o meno prossimo, ad una riforma di questo genere.

Il fatto che i partiti politici vengono ad assumere, nella evoluzione dei nostri costumi democratici, un’importanza sempre maggiore, e che possano esser loro attribuite delle funzioni di carattere costituzionale, mi fa pensare che una riforma di questo genere possa essere meno lontana di quella che alcuni non vogliono vedere.

Prima di finire, vorrei accennare ad un aspetto di questo problema il quale, credo, ci troverà tutti consenzienti. Finora io ho parlato della stampa come portatrice di valori politici; ora intendo parlare della stampa come portatrice di valori, in un certo senso, morali. Voi sapete che ci sono delle preoccupazioni gravissime per i turbamenti che la stampa, una certa stampa, può portare alla moralità e al buon costume.

È una cosa di cui abbiamo parlato più volte e su cui io credo tutti siamo d’accordo. A questo proposito vorrei notare che l’articolo 16 del nostro progetto di Costituzione parla quasi esclusivamente di libertà di stampa e dei problemi della stampa, mentre vi sono altre Costituzioni, come quella di Weimar del 1919 e quella irlandese del 1937, in cui si parla non soltanto della stampa ma, tenuto conto dei progressi tecnici di questi ultimi decenni, si parla anche del cinema e della radio, di questi mezzi potentissimi di avvicinamento al pubblico e di propaganda.

Orbene, noi vogliamo considerare un aspetto della libertà di stampa che deve trovarci tutti consenzienti: l’aspetto per cui questa libertà di stampa ci preoccupa dal punto di vista della morale pubblica e soprattutto dal punto di vista della difesa e della protezione della gioventù. Ho visto che questa preoccupazione è apparsa nelle discussioni della Commissione; ma poi, nell’ultimo capoverso di questo articolo 16, non si è voluto parlare di protezione della gioventù. Badate, onorevoli colleghi, che questo è uno dei problemi più gravi del nostro tempo: questa gioventù è insidiata o, per meglio dire, la rinascita, la risurrezione morale di questa gioventù è insidiata non soltanto – e credo, in un certo senso, in minima parte – dalle pubblicazioni di carattere pornografico, ma anche da altre pubblicazioni. Quando vedo dei settimanali i quali hanno per unico scopo della loro pubblicazione l’illustrazione e lo sfruttamento dei fatti di cronaca nera per presentarli dinanzi ai giovani, e in generale dinanzi ai loro lettori, in modo affascinante e tale da esercitare una specie di suggestione sullo spirito, quando penso che, nella stessa letteratura dedicata ai ragazzi, vi sono dei periodici, dei piccoli giornali, i quali esaltano continuamente gli istinti di violenza, gli istinti della forza cieca e brutale, l’istinto in una parola, e cercano di suscitare il bisogno di eroismo nei ragazzi, facendo appello a imprese che non hanno nulla di eroico e nulla dì morale, quando penso a tutto questo, e vedo che nel nostro Paese si consentono simili pubblicazioni, credo che fatti di questo genere debbano interessare e preoccupare profondamente l’Assemblea Costituente italiana. (Applausi al centro).

Io ritengo che, pur tutelando sempre la libertà della stampa, noi dobbiamo trovare il modo per difendere la nostra gioventù dalle insidie di questi veleni che le sono quotidianamente propinati. È una cosa assolutamente necessaria; è un provvedimento che si impone e il fatto che noi ci manteniamo sul terreno dell’intervento esclusivo dell’autorità giudiziaria nella disciplina della stampa ci permette di pensare che si possa trovare facilmente la possibilità di rimediare a questo gravissimo inconveniente e di difendere l’anima, difendere la vita morale dei nostri figli e di tutta la gioventù italiana.

Onorevoli colleghi, vorrei ripetervi, a chiusura del mio intervento, l’abusata frase carducciana «Noi troppo odiammo e soffrimmo»; e ancora odiamo e soffriamo perché è necessario odiare e continuare a soffrire; tuttavia permettete che aggiunga che noi vogliamo preparare ai nostri figli una vita migliore, se non proprio dal punto di vista economico e materiale, almeno dal punto di vista della atmosfera morale che essi saranno destinati a respirare. (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Della Seta. Ne ha facoltà.

DELLA SETA. Onorevole presidente, onorevoli colleghi, nel mio primo discorso su tutto il testo del progetto di Costituzione e nel mio secondo discorso sulle disposizioni generali e, in modo speciale, sul famoso articolo 5, non ho potuto non esprimere alcune critiche; critiche dettate da nessuna prevenzione, ma dall’intima coscienza, per fedeltà a quei principî, che ritengo fondamentali per la retta vita dello Stato e della Nazione.

E perciò sono tanto più lieto oggi di esprimere alla Commissione il mio compiacimento, per avere non equivocamente affermate, in questo titolo primo della parte prima del progetto, le pubbliche libertà; libertà che tanto più oggi apprezziamo dopo avere sperimentato l’amarezza della loro perdita, sotto la insolenza di un regime che non si peritò di definire la libertà un cadavere putrefatto.

Non terrò, per esteso, sopra un dato argomento, un vero e proprio discorso; ma seguirò il testo, fedelmente, articolo per articolo, limitandomi ad alcune osservazioni, che, più che critiche, vogliono essere suggerimenti e richieste di chiarimenti. Qualcuno della Commissione gentilmente vorrà darmeli.

Articolo 8. – Nulla ho da eccepire. Molto bene è stata affermata la inviolabilità della libertà personale, la quale non può essere limitata da arbitrarie perquisizioni o restrizioni di polizia; né tanto meno, in caso di detenzione, può essere offesa da violenze fisiche o morali. Una tale libertà è la esplicazione del valore della personalità umana, al cui riconoscimento tutto il progetto si ispira.

Articolo 10. – Qui si parla della libertà di circolazione del cittadino nel territorio italiano. In verità, vedere consacrato in una Costituzione il diritto della libertà di circolazione mi fa quasi la stessa impressione come se fosse consacrato il diritto del cittadino a respirare; ma poiché nel testo una tale libertà è consacrata non posso non rilevare che, là dove dice: «In nessun caso la legge può limitare questa libertà per ragioni politiche», dovrebbe aggiungersi che, per ragioni politiche, non può neppure essere limitato il diritto del cittadino non solo di emigrare, come poi si dice nel testo, ma anche di trasferirsi momentaneamente all’estero, per ragioni turistiche, commerciali o di studio.

Quante volte – e più d’uno di noi lo ha esperimentato – è stato, per ragioni politiche, limitato questo diritto! Ecco, perché desidererei che in questo articolo si avesse la seguente dizione: «Né per ragioni politiche può essere negato al cittadino il diritto di emigrare o di trasferirsi momentaneamente all’estero».

MORO. Siamo d’accordo: abbiamo già pensato a fare quest’aggiunta.

DELLA SETA. Speriamo poi che giunga un tempo nel quale non si dovrà più parlare di passaporti. Mi sembra ad ogni modo necessaria, per ora, quest’aggiunta che ho proposto.

Passo all’articolo 11. Questo reca al primo comma: «La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali». Io peccherò, onorevoli colleghi, di soverchio idealismo; ma desidererei che questa «condizione giuridica» non fosse condizionata dalla reciprocità. Se venisse in Italia uno straniero, vorrei che a questo straniero noi riconoscessimo quegli stessi diritti, che noi riconosciamo ad altri stranieri di altre nazioni, quand’anche la nazione dalla quale lo straniero proviene non riconoscesse per noi quei diritti che noi allo straniero riconosciamo. Roma si dice, è madre del diritto: cominciamo noi, dunque, a dare agli altri una lezione di diritto, anzi, di una maggiore civiltà.

MORO. Sì, sì.

DELLA SETA. Con ciò naturalmente non intendo escludere che una tale materia possa essere disciplinata da accordi internazionali: dico che in tale materia dovrebbe predominare un criterio etico molto più alto che non sia quello della reciprocità. Criterio etico, cui s’inspira anche il terzo comma dello stesso articolo 11, consacrante una norma ormai consacrata dalla morale internazionale, cioè la non concessione della estradizione dello straniero per reati politici.

MORO. Era precisamente questo ih senso della disposizione.

DELLA SETA. Articolo 12. Diritto di riunione. Ho qui bisogno di un chiarimento. C’è un comma che non soltanto a me, ma a parecchi colleghi dei vari settori, è riuscito alquanto oscuro. Si fa distinzione, nell’articolo 12, fra riunioni in luogo aperto al pubblico e riunioni in luogo pubblico. Addurrò un esempio: se io vado a tenere un discorso politico in un teatro o in un cinema, lo terrò in luogo pubblico o in luogo aperto al pubblico?

MORO. In luogo aperto al pubblico.

DELLA SETA. Se invece io parlo in un comizio nella pubblica piazza, parlo evidentemente in luogo pubblico. Ora, questo articolo dice che, se la riunione si svolge in luogo pubblico, allora ci vuole il preavviso; se invece si svolge in luogo aperto al pubblico, allora non. è richiesto alcun preavviso. Io vi dirò, onorevoli colleghi, che, per democraticissimo che io mi senta, non posso non fare una distinzione: cioè trovo strano, trovo anzi poco convenevole e molto imprudente che, se domani si intendesse di tenere in un teatro, cioè in luogo aperto al pubblico, una grande manifestazione politica, non si ritenesse doveroso dare il tempestivo preavviso all’autorità di pubblica sicurezza, non certo perché questa intervenga per proibire o per vessare poliziescamente, ma per essere presente e provvedere immediatamente in caso di gravi turbamenti dell’ordine pubblico. E questo sia detto per confermare ancora una volta che quando noi diciamo Repubblica non diciamo anarchia: diciamo un regime più dì qualsiasi altro fondato sull’ordine e sulla disciplina. Mi sembra, quindi, necessaria una distinzione. Si dovrebbe distinguere tra riunioni di carattere culturale, per le quali, certo, non occorrerà il preavvisò e riunioni politiche, per le quali non può la pubblica autorità non essere tempestivamente preavvisata.

MORO. La questione era già stata sollevata.

DELLA SETA. E vengo all’articolo 13. Su questo articolo, onorevole Presidente, io ho presentato un emendamento. Desidererei dalla sua gentilezza un chiarimento: posso, non parlandone ora, svolgere la mia proposta in sede di emendamenti?

PRESIDENTE. Onorevole Della Seta, poiché ha la parola, parli anche del suo emendamento.

DELLA SETA. Ma posso svolgerlo dopo, non parlandone ora?

PRESIDENTE. A rigor di termini, lei ha diritto di parlare in sede di emendamenti.

DELLA SETA. Allora abbrevio, riservandomi di parlarne a suo tempo.

PRESIDENTE. Sta bene.

DELLA SETA. Ed eccomi all’articolo 14.

Se nell’articolo 5, o meglio nell’articolo 7, il problema specifico è quello dei rapporti tra la Chiesa e lo Stato, qui si parla in genere di libertà religiosa, qui si riconosce, per tutti, il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa, in qualsiasi forma individuale o associata, di farne propaganda e di esercitare in privato ed in pubblico atti di culto. La norma, nella formulazione, concerne tutti i cittadini; ma, in realtà, qui si hanno presenti le minoranze religiose. E per questo, come già è stato osservato, anch’io non trovo troppo rispettosa verso le minoranze la restrizione espressa nell’inciso: «purché non si tratti di principî o riti contrari all’ordine pubblico o al buon costume». Non che la restrizione, in sé, non sia giusta; è ingiusto riferirla solo alla fede religiosa delle minoranze. Degenerazioni, sotto la parvenza della spiritualità, del sano sentimento religioso, con credenze superstiziose e riti paganeggianti, se ne possono avere in tutte le fedi, in tutte le Chiese. E perciò, ripeto, questo inciso dovrebbe essere eliminato, in quanto riferito esclusivamente, alla religione delle minoranze.

MORO. Questo va coordinato con l’ultima parte dell’articolo 7, che deve essere trasferita qui.

DELLA SETA. Per quanto per noi rimanga sempre in piedi la pregiudiziale dell’articolo 5 del progetto, di quell’articolo che, in attesa della ineluttabile revisione, ha ormai consacrato, nella Costituzione, la confessionalità dello Stato e con questa, rispetto alla maggioranza dei credenti, una innegabile inferiorità, morale e giuridica, negli istituti e nelle leggi, delle minoranze religiose; per quanto la legge che disciplina la vita di queste minoranze sia sempre la legge del 24 giugno 1929 sui culti ammessi, tuttavia non possiamo non esprimere il nostro compiacimento pel fatto che in questo articolo 14 non è dato trovare né la espressione offensiva di culti tollerati, né la espressione ambigua ed insidiosa di culti ammessi, poiché ciò che oggi si ammette si potrebbe domani, accampando chi sa quali misteriose ragioni politiche, non ammettere. Ciò che vale in questo campo è che i giusti principî consacrati nella Costituzione non siano, subdolamente, smentiti da violazioni di fatto che risolvono la conclamata libertà religiosa in una ironia, se non in una beffa. Non debbono ripetersi fatti, che i veri e buoni cattolici saranno i primi a deplorare, fatti di cui noi abbiamo la prova inoppugnabile.

Io non sono un evangelico; ma dico che, in una fiera del libro, non deve essere proibito agli evangelici di avere anch’essi un loro banco per vendere le loro Bibbie. Si teme forse la diffusione della Bibbia? Io dico che non si deve rinnovare la beffa di autorizzare gli evangelici a costruire un tempio, e, dopo che questo è stato costruito, proibire l’apertura del tempio per l’esercizio del culto, costringendo i fedeli, per la celebrazione del rito, a riunirsi nel sottosuolo. Non si deve impedire ad un pastore evangelico di accorrere a presenziare un rito funebre, adducendo il pretesto che egli non può varcare il territorio della propria giurisdizione. Fatti deprecabilissimi, che i buoni cattolici, ripeto, saranno i primi a condannare e che io ricordo non a scopo di recriminazione, ma perché desidero che non abbiano più a rinnovarsi, offendendo, non solo le minoranze religiose, ma la nostra stessa civiltà e il nostro buon nome presso gli altri popoli civili.

Nulla dirò sull’articolo 16, per quanto concerne la libertà della stampa. Chi si è dibattuto, come scrittore, sotto il passato regime, tra gli artigli della censura, sa quale valore debba attribuirsi a questa libertà, con la quale si immedesima lo spirito stesso della democrazia. Ne ha parlato, or ora, ampiamente ed eloquentemente, l’amico onorevole Schiavetti, e tornerà a parlarne un collega del mio Gruppo, l’onorevole Facchinetti, quale relatore della nuova legge sulla stampa. La stampa è davvero il quarto potere, come espressione dell’opinione pubblica, di quella opinione, che il vero uomo di governo, lungi dal disprezzare, ascolta, vigila e segue, come il pilota tien d’occhio la bussola nella non facile navigazione. Tutto è questione di misura. Né illegittimi interventi, da una parte, dell’autorità giudiziaria e tanto meno degli ufficiali di polizia giudiziaria, che sappiano di reazione e di vessazione; né, dall’altra, una libertà che non è libertà, in quanto si identifica con la licenza. Licenza tanto più condannabile quando, in nome di una presunta libertà dell’arte, si vorrebbero autorizzare spettacoli, pubblicazioni e illustrazioni, che sono contrarie al buon costume. L’articolo 16 bene ha fatto ha consacrare tutto questo nella Costituzione.

Ma l’articolo 16 ha un’ombra o, per meglio dire, si proietta sulla sua luce l’ombra di un altro articolo ormai famoso. L’articolo 16 proclama la libertà del pensiero. La libertà del pensiero è diritto di ogni libera critica. Critica religiosa, filosofica, scientifica, letteraria, storica e via dicendo. Oh, se io non fossi in un’Assemblea vorrei innalzare un cantico alla gloria di questa libertà! Ma come armonizzare con questa libertà di pensiero, come armonizzare con la libertà dell’insegnamento, sancita nell’articolo 27 del progetto e che con l’altra è strettamente connessa, come armonizzare con queste due libertà – è la terza volta che lo pongo in rilievo – il famoso articolo 5 del Concordato (Commenti al centro), cioè con l’articolo che pone il divieto, nella scuola pubblica, del pubblico insegnamento ad un uomo, al quale si fa una colpa di essere giunto, nelle sue indagini, serenamente, obiettivamente, a date conclusioni scientifiche? Qui emerge, chiara, quella contraddittorietà, che già rilevai, nel mio primo discorso, come una nota negativa di questo progetto di Costituzione. (Commenti al centro Interruzione dell’onorevole Micheli).

Quanto all’articolo 17 due brevi osservazioni: io non accennerei solo al fatto della privazione, ma anche alla semplice menomazione di certi diritti; inoltre, avendo presenti troppo recenti amarissime esperienze, non limiterei ai motivi politici quei motivi che non possono legittimare menomazioni o privazioni della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome; ma direi esplicitamente: nessuno può essere menomato o privato, per motivi razziali, religiosi o politici, della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome.

Quanto all’articolo 21, superfluo dire che concordiamo pienamente sul fine educativo che debbono avere le pene. Queste, oltre ad una necessità di difesa sociale, oltre il richiamare il colpevole alla responsabilità espiatrice delle proprie azioni, obbediscono anche all’esigenza etica di riabilitare, se possibile, il condannato, attraverso un lavoro che, oltreché riabilitazione, sia in certo qual modo riparazione del danno, del turbamento che all’ordine sociale ha apportato il fatto delittuoso. Fine pedagogico della pena che determina, naturalmente, tutto un nuovo orientamento dell’ordinamento penitenziario. Ed è necessario, dopo questo, il dichiarare che anche noi siamo, incondizionatamente, per i delitti comuni, per l’abolizione della pena di morte? Se anche ragioni umane già per sé stesse non esistessero, la irreparabilità dell’errore giudiziario è tale un argomento che dovrebbe far tacere i più tenaci fautori di questa pena.

Quanto alle pene, di cui si parla nell’articolo 21 del progetto, mi si consenta un’ultima osservazione.

Voi ricordate, onorevoli colleghi, la storica seduta del 25 marzo. Voi ricordate come il Presidente del Consiglio, il Ministro De Gasperi, pur difendendo, come democristiano, i Patti lateranensi, dichiarò, in risposta al mio discorso poco prima pronunciato, dichiarò, fra il consenso unanime dell’Assemblea, che avrebbe assunto, dopo maturo esame, formale impegno di fare eliminare dal Codice penale vigente quelle disposizioni che, in rapporto al reato di offesa al sentimento religioso, comminano pene diverse secondo il contenuto teologale della religione dell’offeso; pena più grave se l’offeso è cattolico, meno grave se viene offesa la religione delle minoranze.

Orbene, come buono auspicio a più ampie rivendicazioni, perché non consacrare, nell’articolo 21, la promessa solenne del Presidente del Consiglio e lì dove si parla di pene non aggiungere un inciso che dica: le pene – eguali nella qualità e nella gradualità, pel medesimo reato, senza discriminazioni confessionali – devono tendere alla rieducazione del condannato, ecc.?

Ho finito. Concludo augurando che la patria abbia dei reggitori che rispettino e sappiano far rispettare le pubbliche libertà. Auguro che la patria abbia dei cittadini che queste libertà sappiano gelosamente custodire e, se manomesse, strenuamente difendere. Auguro che da una scuola che sappia non solo informare le menti, ma anche formare le coscienze, escano uomini capaci di sentire e di intendere che la prima difesa, la prima vera garanzia della libertà sta nell’ordine e nella disciplina, in quella disciplina, individuale e collettiva, che sola può salvare la nazione dall’avventura di ogni dittatura e nella quale la patria, perduta la libertà, perduta la sua dignità, tornerebbe ad essere travolta in nuove rovine, in nuove irreparabili catastrofi. (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Montagnana Mario. Non essendo presente, s’intende che vi abbia rinunziato.

(La seduta, sospesa alle 18,20 è ripresa alle 18,45).

Presidenza del Vicepresidente CONTI

Chiusura della votazione segreta.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione segreta e invito gli onorevoli segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli segretari numerano i voti).

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica Italiana.

PRESIDENTE. Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

È iscritto a parlare l’onorevole Fusco. Ne ha facoltà.

FUSCO. Farò delle brevi dichiarazioni sul titolo primo della parte prima, senza eccessive prolissità, anche perché questo titolo è stato considerato largamente e molto autorevolmente commentato, in modo che agli oratori che parlano alla fine della discussione poco è avanzato da dire.

Io sono in linea di massima favorevole al contenuto delle disposizioni del titolo primo, e innanzitutto lodo la Commissione, che al titolo di «libertà civili» abbia sostituito l’altro «rapporti civili», perché «libertà civili» era espressione troppo indeterminata, mentre la dizione «rapporti civili» riconsacra, rinnuova, rinverdisce le civiltà basate sul criterio della coesione, dell’associazione, dell’integrazione; ed è inutile ricordare ancora una volta quello che era accaduto durante il periodo nefasto della dittatura, quando gli italiani sembravano che non fossero più degli uomini capaci di socievolezza, ma fossero addirittura un’accozzaglia di gruppi sbandati e sopra di essi stava il dominio di una masnada di avventurieri.

Questo titolo di «rapporti civili», vale a significare l’ardente desiderio di uno sviluppo democratico, l’ansia di un perfezionamento integrale della personalità umana, ed il bisogno di creare quel rinnovamento spirituale cui abbiamo anelato per lunghissimi anni: anche se non si è avuto il triste destino di stare in carcere o al confino, vivendo però in un carcere spirituale che talvolta è stato peggiore dello stesso carcere fisico. Ecco perché noi non possiamo non lodare l’intento determinato ed appassionato dei componenti la Commissione, che hanno cercato di far rivivere i rapporti civili fra questo nostro popolo che è stato sempre squisitamente civile e che soltanto in un momento fosco e sventurato ha avuto una frattura ed una intermittenza, dalla quale fortunatamente siamo usciti.

Ma, egregi colleghi, io trovo che se un tenue torto può ravvisarsi in questa stesura del titolo primo, è soltanto quello di un certo arresto di slancio democratico.

Io sono liberale, ma non sono né reazionario, né conservatore e tanto meno un ostinato custode di un passato politico cristallizzato e stagnante. Mi vanto di essere stato in una democrazia liberale, a capo della quale era Giovanni Amendola, al cui fianco ho combattuto la battaglia elettorale del 1924, che fu utile, perché schietta e coraggiosa. Ed ho avuto un compito: quello di rimanere a questo posto, perché quando baciai le ferite sanguinanti di Giovanni Amendola, Egli mi lasciò un testamento spirituale che ho religiosamente rispettato.

Dicevo, dunque, che nella formulazione di questo titolo primo vi è un tenue peccato. Alcuni slanci democratici – (e cito, ad onore loro, Pietro Mancini ed il compianto professore Giovanni Lombardi di Napoli) – diretti a consacrare riforme democratiche più radicali, sia dal punto di vista giuridico che da quello politico, furono spenti dalla indecisione e dalla perplessità di quanti temettero di arrischiarsi troppo in articoli costituzionali di nuova creazione. Perché, o signori, io non riesco a comprendere che cosa valga l’articolo 8 di fronte al criterio di libertà ed al criterio di democrazia, come non riesco a comprendere che cosa sia il capoverso dell’articolo 16, in materia di stampa libera e schiettamente democratica.

L’articolo 8 infatti, se da una parte tende a sottrarre l’indiziato che eventuali abusi della polizia giudiziaria, affidandolo senz’altro alla serena imparzialità del magistrato, per via di necessità e di urgenze, poco chiare e molto equivoche e pericolose, lo riconsegna sconsigliatamente nelle mani dell’ufficiale di polizia giudiziaria: mettendo così egualmente in discussione l’inviolabilità della libertà personale. Né vale osservare che l’ufficiale di polizia giudiziaria può prendere soltanto delle misure provvisorie, e che quelle vanno comunicate nelle 48 ore all’autorità giudiziaria, che non le convaliderà se non le avrà trovate giuste. A parte che l’espressione «misure provvisorie» non è felice, né dal punto di vista filologico né da quello giuridico, non si capisce in che cosa consistano: tanto esse sono generiche, indeterminate, elastiche e perciò eventualmente pericolose e talvolta anche perniciose. Né tanto meno può essere invocata, a sostegno ed a difesa della libertà, quella «convalida» che dovrebbe fare da schermo all’indiziato.

«Convalida» innanzitutto non mi pare che sia anche esso un vocabolo esattamente giuridico. Mi appello all’autorità di Pietro Mancini che, come sapete, oltre ad essere un filosofo, un professore, è un giurista esimio, il quale ha fatto rilevare, proprio durante i lavori della Commissione, l’inesattezza della usata terminologia. Ma vi ha di più e di peggio: la convalida per me non ha nessun valore e non ha nessuna importanza, né pratica né giuridica. Non pratica, perché, come è stato già osservato, conosciamo quale sarà l’atteggiamento del nostro magistrato di fronte alla richiesta della convalida: non sarà altro che un atteggiamento formale, che non varrà a sottrarre l’indiziato a quella mancanza di garanzie che noi invece vogliamo accordargli. Non giuridica, perché l’intervento del giudice o arriva troppo tardi o arriva senza efficacia di sorta.

Io credo che questo non sia un articolo di Costituzione, ma un articolo che oscilla fra una legge di pubblica sicurezza ed un Codice di procedura penale. Che l’indiziato possa rimanere 48 ore alla mercé della pubblica sicurezza e poi debba aspettare la convalida o meno da parte del magistrato, questo, signori, credo che non debba far parte di una Costituzione. E faccio appello all’autorità del presidente della Commissione, onorevole Ruini, perché egli riesamini la questione per tentare di risolverla in una forma più concreta, più adeguata, più rispondente a quelle che sono le vere necessità alle quali vogliamo provvedere: cioè alla effettiva, concreta e sicura tutela della libertà personale.

Preoccupandomi poi dell’ultima parte dell’articolo 8, trovo molto a ridire sull’opportunità o meno di inserire nella Costituzione l’ultimo comma del detto articolo. Che bisogno abbiamo noi di stabilire nella Costituzione la punizione della violenza fisica, usata contro l’indiziato, se essa è punita dal Codice penale? Ci dobbiamo preoccupare della violenza morale, che eventualmente sia esercitata dall’ufficiale di polizia giudiziaria sul disgraziato che capita nel suo ufficio. Noi dobbiamo trovare un mezzo – ed io presenterò in proposito degli emendamenti – per far sì che questo infelice che capita nelle unghie della polizia (questo lo dico non per ingiuriare la pubblica sicurezza e gli ufficiali di polizia giudiziaria, ma per correggere quei casi isolati che pur si sono verificati) possa avere la sua difesa e le sue garanzie. Il magistrato che interroga l’imputato ha il dovere, cioè per legge, di farsi assistere dal cancelliere; e si tratta di un magistrato!

L’ufficiale di polizia giudiziaria, cioè il brigadiere dei carabinieri, l’agente investigativo, un sottufficiale qualsiasi della pubblica sicurezza, invece, stanno da soli a contatto con l’indiziato ed hanno questo privilegio singolare che quello che essi consacrano nel verbale si imponga come frutto della verità, anche se incontrollata ed incontrollabile. Questo contatto tra l’ufficiale di polizia giudiziaria e l’indiziato, questo colloquio a due, senza alcuna garanzia e senza alcun controllo, deve essere assolutamente eliminato dalla Costituzione, e se deve esservi inserita una formula veramente etica e di orientamento per quelle che dovranno essere le disposizioni legislative, tutto ciò deve essere subordinato a un concetto solo: che si trovi il modo per cui l’ufficiale di polizia giudiziaria non debba essere il solo, dispotico ed arbitrario, investigatore di una verità talvolta molto discutibile. Badate che abbiamo al riguardo un’esperienza molto notevole e molto sconfortante. Che cosa, per esempio, sono le confessioni rese all’ufficiale di polizia giudiziaria? Chi le garantisce? La Corte di cassazione ha insegnato che le confessioni fatte dinanzi all’ufficiale di polizia giudiziaria non sono prove, sono soltanto indizi, che il magistrato può utilizzare; mentre la confessione resa spontaneamente dinanzi al magistrato, con le garanzie di legge, è prova completa e definitiva. Dunque, neppure la Corte di cassazione ha fiducia nell’opera del potere esecutivo, dell’ufficiale di polizia giudiziaria. Onde abbiamo il diritto di dichiarare che tra l’arrestato od il fermato che parla, e l’ufficiale di polizia giudiziaria, che lo interroga, sia pure senza alcuna fraudolenza, per solo amore del mestiere, o per una visione erronea dell’evenienza e del fatto delittuoso, bisogna frapporre una garanzia ed un controllo che non potrà determinare la Costituzione, ma dovranno opportunamente e convenientemente fissare le leggi penali.

Né diversamente è a dire della libertà di stampa, di cui nella seconda parte dell’articolo 16: sostengo che la stampa deve veramente riacquistare, se non l’ha già riacquistata, piena libertà, intesa e diretta ad una funzione di educazione, di critica, di controllo e di vigilanza.

Ma che la stampa possa anche essa cadere sotto l’arbitrio dell’ufficiale di pubblica sicurezza, o dell’ufficiale di polizia giudiziaria, il quale non ha sempre la visione giusta della stampa delittuosa, vuoi per incompetenza, vuoi per ignoranza, quando non lo animi il capriccio o l’eccesso di zelo, è una stortura giuridica e politica. La stampa va invece interamente affidata alla imparzialità del magistrato, se essa sconfina dai suoi limiti e dalla sua funzione.

Le osservazioni fatte ex adverso non hanno, a mio modo di vedere, una opportunità vincolante di orientamento. Quando si dice, per esempio, che in casi di delittuosità della stampa periodica sia necessario l’intervento (sequestro) della polizia, perché potrebbe scomparire il corpo del reato, non solò si afferma cosa assurda in via di fatto, ma non si oppone che una parvenza di argomento.

Vuole l’ufficiale di polizia giudiziaria compiere il suo dovere? Raccolga la copia di un giornale e la consegni al magistrato; provvederà il magistrato a tutto il resto, magari cominciando con un atto di sequestro.

Io certo non difendo la stampa oscena e desidero che ossa sia subito sottratta alla malsana curiosità del pubblico, e non avrei alcuna difficoltà che ciò avvenisse per mezzo dell’ufficiale di polizia giudiziaria, per impedire la diffusione dell’oscenità, ma si dica che il sequestro della polizia è facultato quando la stampa è palesemente oscena. Può darsi che l’ufficiale di polizia giudiziaria scambi come osceno un nudo artistico: una stampa riproducente un amplesso carnale non può dar certo luogo a dubbi ed in questo caso ognuno intende che l’intervento della polizia sequestrante è non solo giustificato, ma logico e doveroso.

Per quanto riguarda l’abolizione definitiva della pena di morte, si è osservato che non sarebbe questo il luogo della statuizione: l’ha sostenuto un mio illustre amico e valoroso penalista, l’onorevole Giovanni Leone. Ebbene, io mi permetto di dissentire. La pena di morte, per noi, è definitivamente soppressa; è così sacro il rispetto della vita umana, che noi intendiamo sia consacrato, con la più esplicita e incondizionata esclusione dell’abominevole pena, soprattutto nella nostra Costituzione. E ci teniamo perché, quando l’onorevole Giovanni Leone avverte che potrebbero sorgere della possibilità, in tempi futuri, per le quali potrebbe essere ristabilita la pena di morte, io – che vivamente mi auguro che tali possibilità non siano per sorgere mai – vorrei sapere quali siano, secondo lui, queste possibilità, e perché e come dovrebbero sorgere.

O si è favorevoli alla pena di morte, o si è contrarî: io sono decisamente contrario. E me ne sono convinto non già per ragioni di carattere dottrinario, né per le grandi ed ammonitrici voci del passato, a cominciare da Cesare Beccaria, e del presente (la più recente è stata quella dell’onorevole Paolo Rossi); ma soprattutto per quello che è stato l’esperimento della pena di morte nel periodo fascista. Noi non potremo, infatti, se non inorridire di fronte al caso Sbardellotto, che va a morire, sotto il piombo del plotone di esecuzione, non per altro che per avere avuto l’intenzione di uccidere Mussolini. E l’episodio dei due condannati di Caltanissetta? Qualche ora prima del momento fissato per l’esecuzione della sentenza, il duce comunicò che ad uno dei due condannati era stata accordata la grazia. Colui che ricevette l’ordine perdette la bussola e non comprese quale dei due era stato graziato. E la sentenza si doveva eseguire di lì a qualche ora. La situazione drammatica fortunatamente si risolse per l’intervento di un funzionario che aveva seguito lo svolgimento della domanda di grazia, ma intanto – chi me l’ha raccontato è un ufficiale di polizia che merita tutta la credibilità – ma intanto, dicevo, fu tale il terrore di quel povero funzionario, il quale, neanche a farlo apposta, si chiamava Capobianco, che tornato alla propria casa, si vide respingere dalla propria moglie che non lo riconosceva, perché tutti i capelli gli erano diventati bianchi in quella tragica notte.

E il caso Uras, chi non lo ricorda? Gennaro Escobedo ne fece l’ultima grande battaglia della sua carriera professionale; strappandolo alla morte, cui era stato condannato. E la storia di quell’imputato che fu condannato a morte dalla Corte d’Assise di Udine e che fu invece posteriormente assolto, perché alla Corte d’Assise di Trieste venne fuori una prova lampante di innocenza?

Io non so quanto sia esatto e quanto voi lo apprezziate quello che un componente della Commissione disse: che in definitiva lo Stato, uccidendo un condannato, commette un altro assassinio. Questa non è, s’intende, che un’opinione, la cui responsabilità va tutta a chi l’ha formulata. Si può anche quindi dissentire da essa. Ma è certo che la persona umana deve essere tutelata nella sua integrità fisica: la persona umana, voluta dal Creatore, deve morire quando è destinato che muoia: non un minuto prima.

E dirò di più: io non mi accontento dell’abolizione della pena di morte in periodi normali; non la vorrei, questa pena, neppur nei periodi di guerra. C’è stato l’onorevole Cevolotto che ha detto, durante i lavori preparatori della Commissione, che essa è assolutamente necessaria in periodi di guerra.

Io non mi sono convinto di questa necessità. Valga quel che valga la mia opinione, io dico e sostengo che proprio durante il periodo di guerra, per quello spirito di tumultuosità, di confusionismo, per quella che è la frettolosità del contenuto dei provvedimenti, senza pacatezza, senza calma, senza la tranquillità che è necessaria in giudizi di così grande importanza e che possono avere conseguenze letali, io dico che proprio durante i periodi di guerra è ancora più pericolosa la condanna a morte. Si potrebbero segnare dei confini, dei limiti; si potrebbero stabilire con precisione quali sono i casi nei quali questa pena di morte è un’espressione di giustizia vera e propria: il delitto di lesa Patria, l’aiuto al nemico, o un’altra di queste circostanze. Ma lasciate che io pensi che sia un paradosso che colui che uccide il proprio padre, magari con sevizie e brutalità, non sia più passibile della pena di morte, ma della condanna all’ergastolo, mentre il soldato che si renda colpevole di una insubordinazione, con vie di fatto, verso un superiore, debba andare alla morte.

E da ultimo io domando che sia consacrata nella Costituzione che noi andiamo formando una garanzia, che ci è stata negata nella maniera più astiosa e velenosa durante il periodo fascista.

Intendo parlare della difesa processuale. Chi non ricorda che cosa era diventata la difesa in quel periodo? Non parlo della difesa dinanzi al tribunale speciale, dove era una mortificazione quando dovevamo parlare in difesa dei nostri amici o dei nostri clienti, che avevano sacrificato la loro esistenza per un ideale politico, avendo alle spalle otto carabinieri od otto militi fascisti, i quali misuravano fìnanco il nostro atteggiamento. Non ricorderò che cosa era il nostro calvario, allorquando partivamo dalle provincie e venivamo a Roma, per andare a quel maledetto tribunale speciale sul Lungotevere Mellini; e salivamo dall’illustre segretario generale – che è stato amnistiato per grazia di Dio e non per volontà della Nazione – per chiedergli notizie intorno ai processi, mentre avevamo intorno dei parenti piangenti e lacrimanti. Credevamo che dovesse essere la nostra funzione più importante quella di informarci circa la sorte incombente su quei disgraziati. Dopo che eravamo passati sotto il controllo del carabiniere, del caporale, del maresciallo, quell’illustre segretario generale, dopo averci chiesto nome e cognome – il nostro – e dopo averci fatti accomodare, sapete che cosa rispondeva: «Lei vuole sapere a che punto è il processo, ecc. È in istruttoria!» – «Possiamo parlare con qualcuno?» – «È severamente proibito!».

Ecco a che cosa era ridotta la nostra difesa! Con l’aggiunta che nel tribunale speciale il presidente era libero, ad un certo momento del dibattimento, quando non gli garbava un avvocato o una difesa, di mandarlo via, lasciando l’imputato senza difensore.

Io non parlo di questi tribunali speciali, caduti sotto l’infamia e che saranno completamente estirpati per quella specifica accezione della nostra Costituzione; che non sorgeranno mai più e staranno soltanto a rappresentare quelle che furono le nefaste ore di quel triste periodo. Io parlo del magistrato ordinario.

Ora, signori, è nota la dizione dell’articolo 19: «La difesa è diritto inviolabile, in ogni stato e grado del procedimento».

Io mi permetterò di suggerire un’altra formula: «La difesa è garantita a tutti in modo inviolabile ed in ogni stato e grado del procedimento». Perché, me lo consentano, i colleghi, altrimenti noi faremmo un’affermazione un po’ troppo empirica, filosofica ed indeterminata, mentre noi vogliamo essere più vicini alla realtà, stabilendo che la difesa sia garantita a tutti, in modo inviolabile ed in ogni stato e grado del procedimento.

Durante il periodo del fascismo, noi che abbiamo fatto gli avvocati, abbiamo ancora nella nostra gola le parole che non potemmo dire, abbiamo ancora l’impressione di avere la lingua a metà legata, così fu lungo il tempo nel quale non ci fu possibile scioglierla, e perché talvolta non potemmo seguire il nostro impeto e emettere il nostro grido… (Interruzioni a sinistra). Io intendo per impeto e per grido l’estremo coraggio del difensore, che durante il fascismo spesso rimase dentro di noi, a stento contenuto.

Ma a me non basta la dizione: «in ogni stato e grado del procedimento». Reclamo di più. Comprendo l’osservazione che mi si potrà fare: abbiamo un Codice di procedura basato sul sistema inquisitorio, e molte sue norme dovranno essere riformate per mezzo della Camera legislativa. Me ne rendo conto, ma mi rendo anche conto che quando noi diciamo «ogni stato e grado del procedimento», non abbiamo esaurito tutti i bisogni ed i diritti della difesa. Vorrei far presente che fra il Codice del 1913 ed il Codice del 1930 c’è stato un peggioramento graduale a danno della difesa, peggioramento evidente ed iniquo. Lasciamo stare il Codice del 1930, che era astioso e che era più contro gli avvocati che contro gli imputati, e che ci mise in questa condizione: ogni magistrato era anche nostro giudice disciplinare, dimodoché in udienza il magistrato, a torlo o a ragione, poteva sospenderci, infliggerci dei castighi e poteva fare quello che voleva a nostro danno. Questa subordinazione dell’avvocato al magistrato soltanto dal Codice fascista fu posta in essere.

Noi invece vorremmo non solo che fossimo equiparati nella dignità, compostezza e collaborazione al magistrato, ma soprattutto che la nostra opera a vantaggio dell’imputato cominciasse non già quando credesse il magistrato, ma piuttosto, secondo il sistema francese ed il sistema inglese, fin dall’interrogatorio dell’imputato stesso. Propongo, perciò, che si dica: «La difesa è garantita a tutti in modo inviolabile, in ogni stato e grado del procedimento, a cominciare dall’inizio della processura fino alla sua conclusione».

Non sto a dirvi i torti che ci sono stati fatti: negazione del diritto di partecipare all’ispezione dei luoghi, di partecipare alle osservazioni peritali, ai confronti, al riconoscimento delle persone, alla ricognizione delle cose. Tutto ciò forma materia di Camera legislativa. Ma, signori, un punto vorrei che fosse consacrato in questo articolo: che, cioè, la difesa non solo sia garantita in modo inviolabile in ogni stato e grado del procedimento, ma che soprattutto questa difesa abbia inizio fin da quando l’imputato sia tratto davanti al magistrato e fino alla conclusione del processo.

In ultimo, signori, io vi domando che per davvero l’articolo che riguarda il trattamento umano da fare ai condannati sia tale; e sia tale in maniera efficiente, non in maniera soltanto empirica ed astratta; perché noi conosciamo che non si può raggiungere una rieducazione del reo, se non lo si mette in una condizione in cui egli non senta ogni giorno la desolazione, e l’asprezza di un sistema carcerario che in Italia deve essere modificato alle fondamenta.

Non ho altro da dire. Altri argomenti hanno interessato altri oratori; io ho creduto soltanto di dare un indirizzo per gli articoli di cui ho parlato.

Io sono convinto che, con questi ristabiliti rapporti civili, incomincia in Italia quella ricostruzione morale, quella coesione e socievolezza che sono necessarie per lo sviluppo democratico della Repubblica, la quale, oggi accettata da tutti, deve essere feconda di bene e di felici risultati per i cittadini che ad essa appartengono. (Applausi).

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto sul disegno di legge: Modifiche al testo unico della legge comunale e provinciale approvato con regio decreto 3 marzo 1934, n. 383, e successive modificazioni:

Presenti e votanti       360

Maggioranza  181

Voti favoreli  328

Voti contrari  32

(L’Assemblea approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Adonnino – Amadei – Ambrosini – Andreotti – Arcangeli – Avanzini – Azzi.

Badini Confalonieri – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basile – Bassano – Basso – Bazoli – Bellato – Bellavista – Bellusci – Belotti – Bencivenga – Benedetti – Benedettini – Benvenuti – Bergamini – Bernabei – Bernamonti _– Bertola – Bertone – Bettiol – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Bianchi Costantino – Bianchini Laura – Bibolotti – Binni – Bitossi – Bocconi – Boldrini – Bonomelli – Bonomi Ivanoe – Bordon – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bruni – Brusasca – Bubbio – Bulloni Pietro – Burato.

Caccuri – Cairo – Camangi – Camposarcuno – Canepa – Canevari – Caporali – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Caprani – Capua – Carbonari – Carboni. – Carignani – Caroleo – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Cartia – Caso – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Castiglia – Cavallari – Cevolotto – Chatrian – Chiaramello – Chieffi – Chiostergi – Cianca – Ciccolungo – Cifaldi – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Colonna di Paliano – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsanego – Corsi – Corsini – Cosattini – Costantini – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo.

Damiani – D’Aragona – De Caro Gerardo – De Falco – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Mercurio – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Di Gloria – Di Vittorio – Dominedò – D’Onofrio – Dossetti – Dugoni.

Fabbri – Fabriani – Facchinetti – Falchi – Fantoni – Fantuzzi – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrario Celestino – Ferreri – Filippini – Fiorentino – Fioritto – Flecchia – Foa – Fornara – Franceschini – Fuschini – Fusco.

Gabrieli – Garlato – Gavina – Germano – Gervasi – Geuna – Ghidini – Ghislandi – Giacchero – Giacometti – Giolitti – Giordani – Giua – Gortani – Gotelli Angela – Grassi – Grieco – Grilli – Gronchi – Guariento – Guerrieri Filippo – Guidi Cingolani Angela – Gullo Rocco.

Imperiale.

Jacini – Jacometti – Jervolino.

Laconi – La Gravinese Nicola – Lagravinese Pasquale – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Rocca – Leone Francesco – Lizier – Lizzadri – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo – Lombardo Ivan Matteo – Longhena – Longo – Lozza – Lucifero – Luisetti – Lupis – Lussu.

Macrelli – Maffi – Maffioli – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Mancini – Mannironi – Marazza – Mariani Francesco – Marina Mario – Marinaro – Martinelli – Martino Enrico – Marzarotto – Massini – Massola – Mastino Pietro – Mattarella – Mattei Teresa – Mazza – Meda Luigi – Medi Enrico – Merighi – Merlin Umberto – Miccolis – Micheli – Modigliani – Molè – Molinelli – Momigliano – Montalbano – Montemartini – Monterisi – Monticelli – Montini – Morelli Luigi – Morini – Moro – Mortati – Murgia – Musolino – Musotto.

Nasi – Natoli Lamantea – Nenni – Nicotra Maria – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Oro – Notarianni – Numeroso.

Orlando Vittorio Emanuele.

Pacciardi – Pallastrelli – Paris – Parri – Pastore Giulio – Pastore Raffaele – Pat – Patricolo – Pecorari – Penna Ottavia – Pera – Perassi – Perrone Capano – Persico – Pertini Sandro – Piccioni – Piemonte – Pignatari – Pignedoli – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Porzio – Pratolongo – Pressinotti – Preziosi – Priolo – Proia – Puoti.

Quarello – Quintieri Adolfo – Quintieri Quinto.

Raimondi – Rapelli – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Restagno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodinò Mario – Romano – Roselli – Rossi Giuseppe – Rossi Paolo – Roveda – Rubilli – Ruggiero Carlo – Ruini.

Saggin – Salizzoni – Sampietro – Saragat – Sardiello – Scalfaro – Scarpa – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Secchia – Selvaggi – Siles – Silipo – Silone – Simonini – Spallicci – Spataro – Stampacchia –Stella – Sullo Fiorentino.

Taddia – Tambroni Armaroli – Targetti – Taviani – Tega – Terranova – Tieri Vincenzo – Titomanlio Vittoria – Togni – Tonello – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Tremelloni – Trimarchi – Tumminelli – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Vallone – Valmarana – Venditti – Vernocchi – Veroni – Viale – Vicentini – Vigorelli – Vilardi – Villani – Vischioni.

Zagari – Zanardi – Zannerini – Zerbi – Zotta – Zuccarini.

Sono in congedo:

Cappugi.

Martino Gaetano.

Rodinò Ugo.

Spano Velio.

Treves.

Si riprende la discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Riprendiamo la discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

È iscritto a parlare l’onorevole Mortati. Ne ha facoltà.

MORTATI. Mi propongo di parlare brevemente sull’articolo 14, che riguarda la libertà religiosa.

A proposito di questo articolo, bisogna tener presente una recente deliberazione dell’Assemblea con la quale fu disposto lo spostamento dell’ultima parte dell’articolo 7 e l’inserimento di essa in questo articolo 14.

Desidererei preliminarmente fermarmi in breve, precisamente su questa deliberazione dell’Assemblea, perché mi pare che essa non sia stata sufficientemente meditata, talché la sua attuazione potrebbe portare a qualche disarmonia nel sistema che stiamo fissando.

Lo stesso onorevole Ruini, nell’esprimere il parere della Commissioni su questa proposta di spostamento, dichiarò che era opportuno sospenderla; invece l’Assemblea procedette alla sua deliberazione senza, ritengo, sufficiente meditazione.

Infatti, l’articolo 14 riguarda i rapporti dei cittadini come tali, nei riguardi della loro libertà di esplicazione di sentimenti e di fede religiosa; invece l’ultimo comma dell’articolo 7 riguarda una materia diversa, cioè riguarda le confessioni, viste nella loro organizzazione, e i rapporti di queste confessioni organizzate verso lo Stato. Quindi la sede opportuna della disciplina di questa materia mi pare sia proprio quella delle disposizioni generali e precisamente della parte che riguarda i rapporti fra lo Stato e gli altri ordinamenti.

L’onorevole Lucifero, nel presentare la proposta di spostamento, poi approvata dall’Assemblea, foce riferimento ad una deliberazione della Commissiono dei Settantacinque in questo senso. Ma in realtà una deliberazione di tal genere non ci fu; anzi si deliberò la sospensiva sul collocamento dell’ultima parte dell’articolo 7.

Ilo voluto richiamare l’attenzione sull’opportunità dello spostamento deliberato, perché penso che si possa tornar sopra alla decisione, la quale riguarda non il merito degli articoli, ma solo la loro coordinazione.

Propongo pertanto il riesame della questione e questa proposta io affido al Presidente perché sia presa in considerazione.

Venendo al merito dell’articolo 14, è da mettere in rilievo come le garanzie di libertà religiosa in esso contenute siano fra le più ampie di quante siano disposte nelle Costituzioni moderne.

L’onorevole Preti, che si è occupato di questo argomento, pur ammettendo che il contenuto dell’articolo 14 sia in sé liberale, ha osservato come su questa disposizione gravi l’ombra dell’articolo 7, cioè ha sostenuto che il carattere confessionale derivante allo Stato dai Patti del Laterano influisce dannosamente sull’attuazione della libertà religiosa consacrata dall’articolo 14.

Non mi fermo sull’inesattezza della tesi che fa derivare il carattere confessionale dello Stato dai rapporti con la Chiesa cattolica, quali sono consacrati nel Concordato del Luterano, perché già in sede di discussione nell’articolo 7 essa è stata dimostrata abbondantemente. Mi pare di poter osservare che se una correlazione volesse farsi fra le situazioni che verranno a determinarsi in virtù delle due disposizioni, deve ritenersi che essa operi in senso inverso a quello affermato dall’onorevole Preti, cioè nel senso che lo spirito liberale che informa l’articolo 14 offra una riprova del carattere non confessionale dello Stato, e del proposito del costituente di porre i vari culti in posizione di parità fra di loro.

L’esattezza di tale affermazione può desumersi da una breve analisi delle disposizioni contenute nell’articolo 14, che considerano la libertà religiosa sotto tre aspetti.

In primo luogo, esse concedono la libera professione della propria fede ad ogni cittadino e in questa libera professione di fede si devono ritener comprese tutte le manifestazioni del pensiero e della convinzione religiosa. Questa libertà implica l’attribuzione di diritti in senso negativo, cioè nel senso di potere respingere coazioni da parte di altri, o comunque di non subire limitazioni nella fede professata; implica altresì una serie di diritti positivi di esplicazione della propria opinione religiosa, in tutto le forme, sia individuali, sia associate.

In secondo luogo esse concedono libertà di propaganda, innovando in ciò alla legge del 1929 sui culti ammessi, la quale ne taceva.

In terzo luogo, infine, concedono piena libertà di esercizio degli atti di culto. Come si vede, non vi è nessun lato della libertà religiosa che venga trascurato, nessuna espressione che non venga espressamente tutelata.

Forse, per eliminare ogni dubbiezza di interpretazione, sarebbe opportuno (e mi riservo di presentare un emendamento in questo senso) di trasferire l’inciso «in qualsiasi forma individuale e associata» subito dopo la parola «tutti», nel senso che sia chiaro che questa libertà di esercizio, in qualsiasi forma individuale e associata si riferisce a tutte le estrinsecazioni della libertà religiosa. Un rimprovero che ha mosso l’onorevole Preti all’articolo 14, e che mi pare sia stato richiamato stasera anche dall’onorevole Della Seta, si riferisce al limite che l’ultima parte dell’articolo stesso pone per quanto riguarda i principî, o i riti contrari all’ordine pubblico o al buon costume.

L’onorevole Preti ha affermato che le sue indagini di legislazione comparata lo hanno portato alla conclusione che limiti del genere non si rinvengono nelle Costituzioni moderno liberali, mentre invece essi si troverebbero o in Costituzioni antiche o in Costituzioni moderne di spirito antiliberale.

Ma, evidentemente, le indagini dell’onorevole Preti non sono state molto diligenti, perché altrimenti esse lo avrebbero portato a rilevare che anche le Costituzioni più moderne e più democratiche contengono limitazioni di questo genere e anche più gravi.

Ne cito alcune. Quella cecoslovacca, agli articoli 122 e 125, fa riferimento non solo alla pubblica moralità, ma anche ai regolamenti; la Costituzione della Repubblica socialista della Spagna del 1931 subordina all’articolo 27 il riconoscimento della libertà religiosa, al rispetto della pubblica moralità; del pari la Costituzione Svizzera e così ancora quella di Weimar che all’articolo 135 poneva come limite la legge generale dello Stato, nella quale dizione devono ritenersi compresi anche il limite relativo all’ordine pubblico.

Non cito poi la Costituzione russa moderna che mentre afferma, in genere, la libertà di coscienza, limita poi la propaganda ammettendola solo in senso antireligioso.

Bisogna aggiungere che il limite posto dall’articolo 14 relativo all’ordine pubblico sarebbe operante di per sé, anche nel silenzio della Costituzione, e quindi la proposta che vedo enunciata in un emendamento dell’onorevole Binni, in cui si tace di questo limite, anche se fosse accolta, non muterebbe la situazione, perché il limite dell’ordine pubblico è imminente a ciascun ordinamento e la ragione è ovvia. Il limite dell’ordine pubblico trova la sua giustificazione in quelle esigenze di conservazione dell’assetto costituzionale dello Stato, che non potrebbe attuarsi se non con la conservazione dei principî fondamentali dell’ordinamento stesso.

Si tratta di un principio generale, un’esplicazione del quale si trova nelle disposizioni preliminari del Codice civile, secondo cui tutti gli atti delle autorità straniere sono subordinati a questo limite, che opera sempre nel senso di circoscrivere l’ambito delle autonomie concesse dallo Stato.

È però da rilevare che l’ammissione di tale limite non importa la conseguenza che ne faceva derivare l’onorevole Preti. Ossia, non è vero che per esso la libertà religiosa sarebbe affidata all’arbitrio della polizia. È ovvio che il giudice dell’esatta osservanza di questi limiti non può essere in ultima istanza se non il magistrato, al quale, del resto, è affidata la tutela di ogni altra forma di libertà. Ed allora la preoccupazione deve essere quella di formare una magistratura che sia veramente capace di esprimere quello che è il sentimento popolare; ed appunto a questo scopo è diretto il nuovo ordinamento che alla magistratura dà questo progetto di Costituzione. Attraverso un’interpretazione delle leggi in materia, che traduca fedelmente lo spirito di libertà, che ha mosso i compilatori del progetto, si potrà far valere in pratica la parità dei culti, parità che però non potrà non incontrarsi in certi limiti naturali che derivano dalla situazione di fatto, e che neppure il legislatore può eliminare. Questo si dica, per esempio, nei confronti della proposta, segnalata ai membri della Costituente dal Consiglio delle Chiese evangeliche, con cui chiede di osservare le festività e il riposo festivo non secondo il calendario e le prescrizioni della Chiesa cattolica ma secondo le prescrizioni dei vari culti e quindi consentire agli appartenenti dei vari culti di godere del riposo festivo disposto dal proprio culto. Evidentemente una norma del genere sarebbe di impossibile applicazione, date le esigenze del coordinamento delle attività lavorative, che implicano la contemporaneità del lavoro.

Ho voluto citare questo esempio, ma se ne potrebbero citare altri precisamente per dimostrare come quella disparità che si rimprovera al nostro legislatore è, a volte, una disparità che nasce dalla situazione di fatto, e che non è modificabile. Così anche il rilievo che si è fatto della disuguaglianza dell’applicazione delle pene per quanto riguarda le offese ai vari culti, non tiene conto del principio, secondo cui le pene sono graduate in relazione a quella che è la gravità del danno arrecato: proporzionate alla reazione della pubblica opinione, del sentimento pubblico. Ed è evidente che questa reazione, quest’offesa è più grave quando tocca le convinzioni della grande maggioranza dei cittadini ed è meno grave negli altri casi.

Non potrebbe a questo proposito invocarsi quanto affermava l’altro giorno l’onorevole Calosso, circa la parità del valore spirituale del singolo rispetto alla moltitudine, poiché il diritto penale, per sua natura, procede alla sua tutela in base a considerazioni di media.

In ogni caso, è da notarsi che la Costituzione non impone nessun principio in ordine alla graduazione delle pene, e su questo problema si potrà decidere in modo diverso quando il futuro legislatore si convinca che sia opportuno tutelare allo stesso modo le offese alle varie fedi.

Quello che importa rilevare – e con questo concludo – è che la Democrazia cristiana non porrà mai ostacolo ai provvedimenti che saranno proposti allo scopo di attuare una sempre maggiore uguaglianza di trattamento fra i vari culti, nei limiti in cui tale uguaglianza sarà resa possibile dalla situazione di fatto.

Essa rifugge dall’invocare un intervento dello Stato, diretto a comprimere il sentimento e l’attività delle confessioni diverse dalla cattolica. Ciò non solo perché tale intervento urta contro un sentimento profondamente radicato nella coscienza moderna, ma altresì per il pericolo che esso può presentare di attenuare lo slancio combattivo dei cattolici, nell’azione diretta all’espansione dell’idea che li muove. Tale espansione deve essere assicurata solo dal fervore dell’apostolato, esplicato in tutte le direzioni della vita associata, per recare in tutte, attraverso la libera discussione e la spontanea adesione, la luce e l’ispirazione del messaggio evangelico. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. Poiché gli onorevoli Codignola, Nobili Oro e Pignatari non sono presenti, s’intendono decadute le loro iscrizioni a parlare.

Il seguito della discussione è rinviato a domani allo 10.

La seduta termina alle 19.40.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 10:

  1. – Interrogazioni.
  2. – Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 28 MARZO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

LXXIX.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 28 MARZO 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Interrogazioni (Svolgimento):

Cerreti, Alto Commissario per l’alimentazione                                                   

Mancini                                                                                                            

Sardiello                                                                                                         

Carpano Maglioli, Sottosegretario di Stato per l’interno                                   

Perrone Capano                                                                                              

Rodinò Mario                                                                                                   

Covelli                                                                                                               

Jacometti                                                                                                         

Scelba, Ministro dell’interno                                                                             

Benedettini                                                                                                      

Modifiche al testo unico della legge comunale e provinciale, approvato con regio decreto 5 marzo 1934, n. 383, e successive modificazioni (Seguito e fine della discussione):

Presidente                                                                                                        

Molinelli                                                                                                         

Carboni, Relatore                                                                                              

Scelba, Ministro dell’interno                                                                              

Fuschini                                                                                                            

Zotta                                                                                                                

Villani                                                                                                             

Camangi                                                                                                           

Dozza                                                                                                               

Mannironi                                                                                                        

Caroleo                                                                                                           

Castelli Avolio                                                                                               

Persico                                                                                                             

Fedeli                                                                                                               

Cosattini                                                                                                          

Cingolani                                                                                                         

Chiostergi                                                                                                        

Interrogazioni con richiesta d’urgenza:

Presidente                                                                                                        

Scelba, Ministro dell’interno                                                                              

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 10.

SCHIRATTI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Interrogazioni.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Interrogazioni. Le prime due, relative ad argomento analogo, possono essere svolte congiuntamente:

Mancini, al Ministro dell’interno, «sulla situazione alimentare della provincia di Cosenza, che ha determinato gli incidenti di Bonifati e Diamante e potrebbe provocarne altri più gravi».

Sardiello, al Presidente del Consiglio dei Ministri (Alto Commissariato per l’alimentazione) e ai Ministri dell’interno e dei trasporti, «per sapere se sono a conoscenza delle frequenti recenti agitazioni in parecchi paesi della provincia di Reggio Calabria per la mancanza di pane verificatasi e che tuttavia si lamenta in molti Comuni della Provincia suddetta (Palizzi, Varapodio, Ardore, Caulonia, Bova, ecc.) ed in un Comune (Gioia Tauro) per la mancata assegnazione di carri ferroviari destinati all’esportazione degli agrumi, che è una delle poche ed importanti industrie che danno lavoro in quelle zone; e come intendono provvedere – con impegno che sia mantenuto – ai legittimi reclami di quelle popolazioni calabresi».

L’onorevole Alto Commissario per l’alimentazione ha facoltà di rispondere.

CERRETI, Alto Commissario per l’alimentazione. Il rifornimento delle province calabresi ha presentato negli ultimi tempi difficoltà varie, derivanti soprattutto dai notevoli ritardi negli arrivi dei piroscafi dall’estero e dalla carenza di carri ferroviari. Oltre a ciò va posto in rilievo l’impossibilità di fare approdare ai porti di Crotone e Reggio Calabria navi a carico completo per deficienza di pescaggio e, d’altra parte, non si può usufruire di detti porti per scarichi parziali, poiché l’U.N.R.R.A. ha dato disposizioni che le navi debbano sbarcare l’intero carico in un solo porto.

Furono sempre prese tutte le diposizioni per fronteggiare, di volta in volta, le situazioni emergenti, e se i piani di manovra non ebbero sempre successo ciò fu dovuto a fatti accidentali quali quello del motoveliero Tirana, che, partito da Venezia il 5 marzo con 4110 quintali di farina destinati a Crotone, in seguito ad avaria non è giunto nell’anzidetto porto che solo il 18, con oltre 10 giorni di ritardo; si fa presente inoltre che il Floyd Bennett, sul cui carico erano stati assegnati 30.000 quintali per le provincie calabresi, è giunto a Messina il 15 marzo anziché il 10.

Allo stato attuale delle assegnazioni si può assicurare che il fabbisogno in pane delle Calabrie è garantito a tutto il 26 corrente mese.

Tuttavia, dalle informazioni fornite all’Alto Commissariato dell’alimentazione dai direttori delle Sepral calabresi, non sembrano esatte le dichiarazioni e le notizie riguardanti prolungate sospensioni nella distribuzione della razione pane in molti comuni delle tre provincie calabre.

Effettivamente vi sono state sospensioni, ma limitate a due o tre giorni alla settimana.

L’assoluta impossibilità, per ragioni logistiche, di costituire scorte nella regione calabra, ha obbligato l’Alto Commissario a rifornimenti successivi di mano in mano che se ne presentava la possibilità.

La Calabria è stata, infatti, approvvigionata con cereali dalle Marche e dall’Emilia; con l’invio, via mare, dal Veneto; con avviamento ferroviario dalla Liguria, Toscana, ferroviario e marittimo da Civitavecchia, Bari e Napoli e, recentemente, con l’avviamento persino dalla Sicilia.

Da quando l’U.N.R.R.A. ha vietato i due porti per ciascuna nave in arrivo, non è stato più possibile avviare neppure su Crotone e Reggio Calabria il mezzo piroscafo, come si soleva fare fino a qualche mese fa.

Da questa situazione è derivato molto spesso il ritardo dell’approvvigionamento della Calabria, essendosi dovute scaricare le navi a Napoli e Bari e disporre i successivi avviamenti, resi spesso intempestivi per la grave scarsezza di materiale rotabile nei due compartimenti di Napoli e Bari, e per il fatto che non sempre riesce di dare la necessaria precedenza alle località più lontane da approvvigionare, quando anche la regione che riceve il piroscafo è ormai giunta al limite massimo della propria copertura.

L’Alto Commissariato dell’alimentazione ha cercato di fare quanto era possibile; e lo dimostrano tutti gli accorgimenti adottati per far giungere i cereali in Calabria, i contatti giornalieri con quelle Sepral e coll’Ispettorato regionale dell’alimentazione di Reggio Calabria, ma le difficoltà sopra elencate hanno determinato la grave situazione alla quale si riferiscono gli onorevoli interpellanti.

Per il programma futuro sono stati assegnati alla Calabria i seguenti quantitativi di cereali: quintali 20.000 farina alleata dal piroscafo Pacific Victory atteso a Catania il 28 corrente; quintali 23.000 di grano sul piroscafo Edwin Markam atteso a Bari il 28-29 corrente.

In aggiunta ai suddetti quantitativi è stato programmato l’invio a Reggio Calabria del piroscafo Winslo Homer, atteso a Cagliari 1’8 aprile 1947 con tonnellate 8.946 di grano, di cui 5.000 da sbarcarsi a Cagliari e tonnellate 3.946 che dovranno proseguire per Reggio Calabria. Con tale quantitativo l’approvvigionamento delle provincie calabre per la razione di pane e di grammi 500 di generi da minestra si può considerare coperto sino oltre il 20 aprile 1947.

Infine è stato predisposto l’invio a Crotone del piroscafo Nazim, atteso a caricare imminente in Turchia tonnellate 4.500 di grano che verranno destinate a Crotone e che saranno assegnate alle provincie calabre in conto degli arretrati. Tale nave si presume possa essere in arrivo in Crotone entro il 15 aprile 1947.

Contemporaneamente è stato disposto l’avviamento di una tradotta da Venezia con quintali 4.000 di grano.

Per quanto si riferisce, infine, ai comuni di Bonifate e Diamante della provincia di Cosenza, risulta che dal 1° marzo ad oggi i due comuni hanno avuto la integrale copertura delle razioni e sono anche essi coperti fino al 4-5 aprile.

Gli arretrati lamentati per questi due comuni si riferiscono al mese di febbraio che ha rappresentato, come è noto, il periodo più difficile del nostro approvvigionamento cerealicolo.

Il direttore della S.E.P.R.A.L. di Cosenza ha peraltro comunicato che con i nuovi arrivi la situazione è tranquillante e rende perfino possibile di pastificare.

Ritengo, pertanto, che con i provvedimenti suesposti le popolazioni della Calabria potranno essere sodisfatte, poiché, malgrado il difficile momento e le particolari difficoltà di approvvigionamento presentate da quella regione, i servizi centrali dell’alimentazione hanno dato prova di venire incontro alle loro necessità con particolari e costanti premure.

PRESIDENTE. L’onorevole Mancini ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MANCINI. Debbo dichiarare che non sono sodisfatto della risposta data dall’egregio Alto Commissario, ma debbo ringraziarlo per la gentilezza usatami di aver dato queste notizie per telefono l’altro giorno, in modo che ho potuto farle sapere agli interessati e calmare quelle agitazioni che si erano iniziate e di cui si prevedeva il grave sviluppo. Vorrei però far notare all’egregio Alto Commissario che quella insufficienza di pescherecci del porto di Crotone di cui parla non risponde pienamente a verità. Il porto di Crotone, che è il porto più vicino a Cosenza, sarebbe il più adatto per le rotte dei piroscafi portatori di grano. In tal modo si potrebbe ovviare al ritardo ferroviario dovuto alla deficienza dei vagoni.

Mi auguro che, iniziata la buona via, non venga più interrotta; perché quelle popolazioni, non seconde a nessuna, non possono essere trascurate.

PRESIDENTE. L’onorevole Sardiello ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

SARDIELLO. Io mi trovo di fronte a due realtà che debbo riconoscere fondate: anzitutto la risposta dell’onorevole Alto Commissario; il quale dice che tutto va bene, riecheggiando le risposte avute da parte dei prefetti delle varie provincie; ma mi trovo anche di fronte ad un’altra realtà: le notizie cioè che mi vengono di laggiù. Ho raccolto a questo riguardo un fascio di giornali (tra i quali ho scelto quelli che sono espressione dei partiti che fanno parte del Governo, appunto per escludere ogni supposizione di alterazioni della verità per non lodevoli finalità politiche) e questi deplorano una situazione che giorno per giorno si aggrava. Ho indicato molti comuni nella mia interrogazione, ed è proprio di ieri una lettera che ho ricevuto da un altro Comune, nella quale, con un risentimento spiegabile, si dice: «Onorevole Deputato, ancora deve arrivare la farina per la distribuzione del mese di febbraio, in questa maniera non possiamo vivere». Reca la data del 21 marzo di quest’anno.

Noi siamo perfettamente a posto per la distribuzione, ha detto l’Alto Commissario, però egli non ha potuto non riconoscere che vi sono comuni ai quali non è giunta la farina; ed allora il problema si sposta: perché non giunge a destinazione la farina o il grano? Si è detto che si tratta di comuni montani; ma in realtà moltissimi sono comuni di marina. La disponibilità c’è, e la popolazione non può usufruirne, il che è ancora più deplorevole.

È colpa delle autorità e degli enti locali? Ma allora siano richiamati energicamente all’impiego di tutti i mezzi disponibili per esercitare un’azione decisa. Non a caso la mia interrogazione è rivolta anche all’onorevole Ministro degli interni.

Si dice: è difetto di trasporti. Ma, effettivamente nei porti di Reggio e Crotone, vi è la possibilità che arrivino i piroscafi e non persuade questa deficienza segnalata. A Reggio i piroscafi che non hanno possibilità di scaricare nel porto attraccano al largo ed eseguono gli scarichi senza grandi difficoltà.

Ma, se anche non potesse giungere fino al porto di Reggio, il carico potrebbe giungere a località vicine. Ecco perché ho rivolto altresì questa interrogazione all’onorevole Ministro dei trasporti per richiamarne l’attenzione sulle deficienze che riguardano il suo Ministero. Il Governo riconosce in sostanza che si è in difetto. Ma bisogna anche provvedere d’urgenza. Le condizioni di quei paesi sono tali – e credo di averne dato sufficienti indicazioni – da esigere il massimo zelo, la più ardente buona volontà, il proposito più fermo di restituire a quelle popolazioni non soltanto la calma, ma anche la fiducia che esse saranno sempre trattate con giustizia piena, condizione prima della saldezza degli ordinamenti democratici.

C’è un giornale che dice (e questo è grave, e meglio non fosse detto): «Che cosa si aspetta? La situazione è grave. Il Governo non perda tempo aspettando che lo sveglino le campane a stormo e il gracchiare delle mitragliatrici».

Sono brutte frasi, e visioni deprecabili. Ma, appunto per questo occorre che il Governo accetti la mia interrogazione come un richiamo di allarme. E vi prego vivamente di considerare che questo richiamo non viene da una parte che sia interessata a scuotere la fede del popolo negli ordinamenti nuovi democratici dello Stato, ma da chi ha il proposito fermo che la vita nazionale riprenda il suo ritmo normale nell’interesse di tutta l’Italia.

Il problema, come vedete, ha due facce: la necessaria sodisfazione da dare a queste giuste esigenze delle popolazioni meridionali, e la giusta risoluzione di un problema di ordine pubblico. Confido che il Governo vorrà interessarsene, mantenendo le promesse che ha fatto.

Di queste promesse io sono grato all’Alto Commissario, ed è questa la sola parte in cui posso dichiararmi sodisfatto, augurandomi vivamente che gli inconvenienti deplorati non abbiano a ripetersi.

PRESIDENTE. Seguono ora quattro interrogazioni che, essendo tutte rivolte al Ministro dell’interno, ritengo possano essere senz’altro svolte congiuntamente:

Perrone-Capano, al Ministro dell’interno, « sull’incidente verificatosi in danno dell’onorevole Benedettini, terzo entro brevissimo tempo di una serie analoga di episodi, la quale rivela da parte di taluni ambienti politici una sistematica e preordinata intolleranza dell’altrui libertà di opinione e di riunione e un diffuso spirito di violenza, assolutamente incompatibili con un regime democratico; e per conoscere, sia i motivi per i quali la forza pubblica si è trovata sul posto soltanto dopo che l’incidente si era già svolto, sia i criteri in base ai quali il Governo intende porre fine ad un simile increscioso stato di cose»;

Rodinò Mario, Colitto, Rognoni, Mazza, al Ministro dell’interno, «per conoscere quali provvedimenti sono stati disposti in relazione ai gravi incidenti verificatisi nel comune di Serradifalco in provincia di Caltanissetta, dove un comizio qualunquista che si svolgeva nella massima tranquillità è stato proditoriamente e violentemente interrotto da elementi facinorosi individuabili, mentre i dirigenti del qualunquismo locale sono stati minacciati di morte nel caso continuino la loro propaganda»;

Covelli, al Ministro dell’interno, «per sapere quali provvedimenti intende adottare contro le persone che devastarono la sede della sezione del Partito nazionale monarchico di Agrigento, usando violenza sui soci presenti; come intenda provvedere in avvenire, onde evitare il ripetersi di simili episodi delittuosi e provocatori, che causano viva agitazione nelle popolazioni e che potrebbero degenerare inevitabilmente in giustificate ritorsioni»;

Jacometti, Musotto, al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’interno, «per conoscere se non credano che sia più opportuno e umano provvedere allo stato di bisogno delle popolazioni e al mantenimento dell’ordine pubblico con assegnazioni di lavori o stanziamenti di soccorsi a tempo debito, anziché con il fuoco degli agenti di pubblica sicurezza. A Taranto il 18 corrente sono avvenuti sanguinosi incidenti; altri potrebbero intervenire se non si provvede; né il deprecare le intemperanze di una massa esasperata dall’estremo bisogno riscatterebbe la colpa di chi non ha saputo prevedere».

PRESIDENTE. L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.

CARPANO MAGLIOLI, Sottosegretario di Stato per l’interno. L’incidente occorso all’onorevole Benedettini, cui si riferisce l’onorevole interrogante, si è verificato la sera del 21 corrente, in occasione di un’assemblea dell’Unione monarchica italiana, che si teneva nei locali di via del Mortaro, n. 19. In vista della riunione, regolarmente autorizzata dalla Questura, il Commissario di pubblica sicurezza di Trevi aveva disposto un servizio d’ordine.

Verso le ore 18, il dirigente del Commissariato, avuto sentore che gruppi, evidentemente male intenzionati, si recavano verso la sede della riunione, intervenne personalmente sul posto, conducendo adeguati rinforzi, tratti anche dal servizio d’ordine di Montecitorio.

Con tale complesso di forze fu respinta una massa di oltre 200 individui, improvvisamente sopraggiunta in Via del Tritone, che tentava di invadere i locali. Ma, frattanto, due o tre individui erano penetrati nei locali stessi ed uno di essi sarebbe l’autore delle violenze usate all’onorevole Benedettini.

Nonostante le indagini disposte non è stato, peraltro, possibile identificarlo.

Circa l’interrogazione dell’onorevole Rodinò ed altri, risulta che durante il comizio elettorale che si svolgeva a Serradifalco, in provincia di Caltanissetta, la sera del 19 corrente mentre parlava un oratore del Blocco liberale democratico qualunquista, elementi socialisti e comunisti lo interrompevano con fischi. Erano presenti sette carabinieri col comandante la stazione locale che intervenivano prontamente ed energicamente, in conformità alle istruzioni che, come è noto, sono state impartite in proposito da questo Ministero, perché fosse evitata qualsiasi violenza e perché fosse garantita la libertà di parola.

L’oratore poté continuare il suo discorso e gli autori dell’interruzione, identificati, sono stati diffidati.

Le notizie di ulteriori incidenti risultano assolutamente infondate.

All’onorevole Covelli posso dire che l’incidente verificatosi presso la sede della sezione del Partito nazionale monarchico italiano di Agrigento, dove ad opera di certo Taglialavori Alfonso furono lacerate stampe raffiguranti l’ex re, è stato superato con una bonaria composizione tra i rappresentanti di detto Partito e quelli del Partito comunista, che hanno deplorato l’autore dell’incidente stesso, inscritto a detto Partito. Il medesimo, latitante, venne ricercato dalla polizia quale responsabile di violazione di domicilio e di danneggiamenti e minacce ai danni dell’inserviente della sezione stessa.

Sui provvedimenti che il Governo ha preso per evitare e reprimere il verificarsi di episodi di violenza ed attentati all’espressione delle fondamentali libertà di parola e di riunione, sono state fatte recentemente opportune dichiarazioni, e non abbiamo che da richiamarci al resoconto sommario del 18 marzo corrente, a proposito dell’interrogazione degli onorevoli Selvaggi, Villabruna, Benedettini, e del 21 corrente a proposito dell’interrogazione dell’onorevole Perrone Capano.

In risposta all’interrogazione dell’onorevole Jacometti e Musotto, risulta che il 18 corrente a Taranto, circa 400 disoccupati si recarono a protestare innanzi al Municipio, agli Uffici dell’assistenza post-bellica, del lavoro, alla Camera del Lavoro, all’Arsenale, chiedendo l’immediata occupazione. La manifestazione ha assunto carattere di violenza dinanzi all’Arsenale, perché i disoccupati tentarono di entrare nello stabilimento dove si trovavano raccolti gli operai che fin dal mattino avevano iniziato lo sciopero bianco per ottenere la paga festiva del 19.

L’opera di persuasione, nonché l’invito rivolto dai funzionari di pubblica sicurezza ai manifestanti, riuscirono purtroppo vani. La forza pubblica, sebbene sospinta violentemente contro i cancelli, riuscì, peraltro, a sbandare i dimostranti. Senonché alcuni elementi, riparati da un muro, iniziavano una fitta sassaiola contro le guardie, che, visto un compagno ferito, sparavano in aria riuscendo così a disperdere i dimostranti. Non si sono avuti feriti fra i dimostranti; solo un ragazzo è rimasto lievemente contuso. Tre agenti invece sono stati feriti dai sassi. I responsabili sono stati identificati e deferiti all’Autorità giudiziaria.

Per quanto riguarda il provvedimento invocato dall’onorevole interrogante a sollievo della disoccupazione locale, il Ministero dei lavori pubblici ha già predisposto l’appalto di lavori per l’importo di 50 milioni, ed è stato assegnato un contribuito straordinario all’E.C.A. per l’assistenza ai bisognosi. Sono state inoltre rivolte particolari premure alle altre amministrazioni interessate per le provvidenze di competenza.

PRESIDENTE. L’onorevole Perrone-Capano ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

PERRONE-CAPANO. Non posso dichiararmi sodisfatto della risposta data dall’onorevole Sottosegretario per varie ragioni, che indicherò brevemente. Innanzi tutto rilevo che l’onorevole Sottosegretario in sostanza si è limitato a raccontare come i fatti si sarebbero svolti, mentre la mia interrogazione riguarda anche la loro cornice: la situazione generale, cioè, in cui i fatti si sono prodotti. A questo riguardo, anzi, l’onorevole Ministro dell’interno aveva promesso che egli avrebbe risposto più a questa seconda parte che alla prima, in quanto nei riflessi della prima avrebbe potuto dare subito notizie, mentre nei riflessi della seconda avrebbe dovuto effettuare una compiuta e chiara discussione.

CARPANO MAGLIOLI, Sottosegretario di Stato per l’interno. Ha già risposto il Ministro nelle sedute del 18 e 22 corrente.

PERRONE-CAPANO. Disse di essere pronto a rispondere, ma in realtà non rispose perché avrebbe voluto parlare di tutta la situazione questa mattina riunendo, con la mia, le altre interrogazioni che avevano riguardo allo stesso oggetto. Debbo poi osservare che le notizie riferite per una parte non sono esatte, mentre per un’altra parte sono esatte, ma nella loro esattezza rivelano la gravità degli incidenti e la bontà dei rilievi che con la mia interrogazione sono stati presentati. Perché sono inesatte? Perché, per esempio, risulta a noi che l’autore dell’aggressione contro la persona dell’onorevole Benedettini è stato finalmente riconosciuto, ed è stato identificato esattamente in un comunista detto «Il Botticello», appartenente alla cellula comunista della sezione sita sopra il cinema «Palestrina», dal quale cinema «Palestrina» ebbe a partire la prima squadra che dette luogo alle violenze e ai lamentati episodi.

Il Sottosegretario ha fatto sapere che circa 200 persone si portarono sul posto, e che i servizi di polizia erano stati disposti in precedenza. Noi abbiamo il diritto di pensare che, per quanto disposti in precedenza, i servizi di polizia si compirono con notevole ritardo, perché essi cominciarono a spiegare la loro azione quando la prima aggressione in persona dell’onorevole Benedettini si era già verificata, quando cioè già tre individui erano saliti nella sala dell’Associazione, nella quale era riunita l’Assemblea, ed avevano apertamente pronunciato e compiuto minacce verbali e con i fatti, a mano armata.

Ora, se il servizio di pubblica sicurezza fosse stato quello che doveva essere, questo non sarebbe avvenuto; se il servizio di pubblica sicurezza in particolare fosse stato tempestivamente messo in essere, l’incidente non si sarebbe verificato. Sta poi in fatto che queste 200 e più persone che, come l’onorevole Sottosegretario ammette, si portarono a disturbare quella riunione, sapevano perfettamente che non si trattava di una riunione di fascisti, ma di una riunione di appartenenti ad una determinata associazione autorizzata. Essi partirono a scaglioni e si portarono sul posto perfettamente attrezzati per un’azione di violenza, in quanto erano visibilmente armati di mazze e di randelli.

Ora è qui che voglio richiamare l’attenzione del Governo (Commenti a sinistra), ed entro subito nella seconda parte dell’interrogazione che svolgerò rapidamente. Si tratta, dunque, di episodi a catena, con gli identici elementi, che si ripetono con una costanza davvero riprovevole ed allarmante. La situazione richiama ogni giorno di più l’attenzione e l’allarme di vasti strati del Paese, e reclama ogni giorno maggiormente, da parte del Governo, un’azione sagace e, al tempo stesso, energica. Dopo i fatti del Viminale, dopo quelli dell’Emilia (Vivaci proteste a sinistra), dopo le aggressioni e le agitazioni… (Interruzioni a sinistra).

MUSOLINO. Siete voi che provocate.

PRESIDENTE. Onorevole Musolino, non interrompa!

PERRONE-CAPANO …dopo queste violenze e le agitazioni mezzadrili per assicurare agli agitatori i 2/7 degli utili, dopo tutte le altre agitazioni a catena che rivestono tutte gli stessi caratteri, e partono tutte dalla stessa parte politica, abbiamo avuto il famoso discorso dell’azione diretta e, dopo questo discorso, sono intervenuti l’assassinio del giornalista De Agazio e, poi, le aggressioni in danno degli onorevoli Mastrojanni, Lucifero e Benedettini, di colleghi ai quali deve andare, sincera e vibrata… (Interruzione dell’onorevole Molinelli).

PRESIDENTE. Non interrompano!

PERRONE-CAPANO …la parola di solidarietà di tutta l’Assemblea. (Interruzioni a sinistra) Le parti oggi sono invertite e voi manifestate la stessa intolleranza che in altri tempi fu manifestata contro di voi.

PRESIDENTE. Onorevole Perrone Capano, concluda.

PERRONE CAPANO. Ora, di fronte a tutti questi fatti constatiamo che, da un lato i partiti al Governo, dall’altra il Governo svolgono sistematicamente un’azione diretta ad aggravare la situazione (Interruzioni). La Democrazia cristiana ed il Partito comunista si abbracciano ogni giorno più teneramente (Interruzioni a sinistra Commenti Proteste al centro); i socialisti discutono tra loro di questioni interne; i vari giornali estremisti non fanno altro che lanciare contro gli esponenti avversari attributi ed epiteti che invitano all’odio ed alla violenza contro i rappresentanti… (Interruzioni). Il Governo insabbia le inchieste e liquida i magistrati che intendono fare il loro dovere. (Rumori, proteste). Esso deve sentirsele dire queste cose qui dentro…

PRESIDENTE. Onorevole Perrone-Capano, concluda.

PERRONE-CAPANO. Concludo. Bisogna finalmente, onorevoli colleghi, che i partiti al Governo da un lato e il Governo dall’altro si rendano conto che di questo passo non si va avanti; in questa maniera è il fascismo che si afferma, non la democrazia e la libertà. (Applausi a destra Rumori Commenti).

Una voce a sinistra. Siamo stati in galera!

PERRONE-CAPANO. Anche i nostri sono andati in galera. E questa non è una buona ragione per delinquere.

PRESIDENTE. Prego i colleghi di mantenere la calma, perché la nostra seduta stamane deve essere dedicata alla conclusione della discussione sulla legge comunale e provinciale. Se si continua così, lo svolgimento delle interrogazioni dovrà essere sospeso.

PRESIDENTE. L’onorevole Rodinò Mario ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

RODINÒ MARIO. Ringrazio l’onorevole Sottosegretario per le assicurazioni fornite e la narrativa dei fatti, che ci è stata confermata dagli amici dì Serradifalco.

Però, più che la semplice assicurazione che l’ordine è stato ristabilito a Serradifalco ed altrove, noi ci aspettavamo dal Governo qualcosa di più importante, di più essenziale, qualcosa che investisse anche l’avvenire. Noi desideriamo sapere che, più che del semplice ordine pubblico a Serradifalco e nelle altre zone d’Italia, il Governo si sta preoccupando di ristabilire nell’animo dei cittadini la fiducia e la sicurezza che libere assemblee e nuove riunioni democratiche saranno tutelate, che ci sarà l’energia, la decisione di impedire che nuovi incidenti possano turbare manifestazioni del genere. Perché a noi sembra evidente che in tutto questo insieme di inconvenienti che si sta verificando in questi ultimi giorni c’è qualcosa che supera i confini delle singole zone nelle quali gli inconvenienti stessi si sono verificati, qualcosa che va al di là delle conseguenze deplorevolissime che si sono avute, e cioè i maltrattamenti subiti dai nostri colleghi e l’interruzione di manifestazioni regolarmente indette, che non si sono potute completare. Questo qualcosa, che veramente ci preoccupa, è il tentativo, è la speranza, è l’attesa di evitare, con incidenti del genere, la partecipazione alla vita politica del paese di una determinata classe di cittadini che si cerca di spaventare e di arrestare sulla soglia, e si tratta di quella numerosissima classe di cittadini che fino ad ora ha guardato alla partecipazione alla vita politica con indifferenza e con diffidenza e che oggi sente che è necessario, per la sua salvezza, di. prendervi parte.

Noi ci preoccupiamo che gli avvenimenti e gli inconvenienti che vanno svolgendosi possano essere il preludio ed i prodromi di una campagna elettorale nella quale si cercherà, usando minacce, percosse, bastonate e uccisioni, se sarà necessario, di impedire la partecipazione di alcune determinate categorie di cittadini alla prossima lotta elettorale ed alla vita politica del Paese.

Ora, questo a noi sembra gravissimo errore e costituisce argomento di grande preoccupazione, perché la nostra classe non è vile, e, se ama la tranquillità e la pace, oggi ha capito che, appunto per tutelare questa tranquillità e questa pace, è necessario in certi momenti rinunciarvi.

Se non vogliamo avviarci verso una paurosa lotta civile, noi dobbiamo insistere nell’esigere che il Governo abbia la possibilità e la volontà di tutelare i diritti e le libertà di tutti e di ognuno, ed abbia la possibilità di garantire tutte le manifestazioni democratiche regolarmente indette nell’ambito delle disposizioni della legge.

Avrei preferito, quindi, che il Sottosegretario agli interni, più che limitarsi alla relazione degli avvenimenti, avesse fornito l’assicurazione che sono allo studio provvedimenti e disposizioni atti ad evitare che inconvenienti del genere possano ripetersi ed a garantire che la vita politica del Paese possa svolgersi in quella atmosfera di tranquillità e di fiducia, che è necessaria per il consolidamento di ogni democrazia. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. L’onorevole Covelli ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

COVELLI. Mentre ci compiaciamo per la soluzione degli incidenti intercorsa tra il Partito comunista e il Partito nazionale monarchico in sede di Agrigento, non abbiamo motivo di compiacerci per quanto ci è stato detto dall’onorevole Sottosegretario di Stato all’interno, e in generale per quanto ha fatto o per quanto fa il Governo in questi casi. Dirò di più che, proprio per i motivi per cui ci compiaciamo, dobbiamo riprovare l’azione del Governo. Il Governo, cioè, preferisce, anche in questo senso, l’azione diretta. Non è il primo caso – e dalle avvisaglie che si vanno constatando e che si vanno profilando potrebbe non essere l’ultimo – in cui i comunisti partono lancia in resta e, manco a farlo apposta, la polizia e le autorità di pubblica sicurezza arrivano sempre dopo. Questa volta con un’aggravante, ci dicono i nostri amici di Agrigento, e cioè che le autorità di pubblica sicurezza conoscevano già la sera precedente l’azione dei comunisti che si sarebbe svolta all’indomani.

A questo proposito noi riteniamo che il Ministero dell’interno, e precisamente il Ministro dell’interno, abbia un po’ facilitato questi incidenti in Sicilia quando, lungi dall’essere sicuri e lungi dall’essere tutelati, siamo minacciati anche dalle affermazioni inesatte che il Ministro dell’interno ha potuto fare in quest’Assemblea. Se, per esempio, soltanto in virtù di un motivo di parte o di una errata interpretazione del sentimento della sua terra il Ministro dell’interno afferma che la Sicilia è in maggioranza repubblicana, è ovvio che le autorità di pubblica sicurezza della Sicilia, per essere ligie al pensiero del loro Ministro, quanto meno, se non debbono favorire le manifestazioni a danno dei monarchici, debbono tollerare che queste si facciano in assoluta serenità. Per cui raccomandiamo al Ministro dell’interno prima di tutto di esimersi dal fare delle dichiarazioni inesatte per quanto riguarda la Sicilia la quale – siamo già generosi – è in maggioranza monarchica, per non dire quasi totalitariamente monarchica. (Commenti).

È la verità. Richiamo quindi il Ministro dell’interno a fare meno poesia in proposito, a non richiamarsi alle affermazioni fatte in precedenti verbali, perché se dovessimo rifarci soltanto alle affermazioni di non intervenire, allora potrebbe verificarsi non solo la minaccia, egregi amici, ma l’inevitabile ritorsione. Questo non è avvenuto e, per quanto ci riguarda, cureremo che non avvenga, perché vorremmo essere l’esempio della democrazia, vorremmo essere quelli che veramente capiscono la legge e quindi la sanno interpretare in tutte le sue conseguenze. Ma ove mai la legge debba avere due significati, cioè uno per voi e l’altro per noi, cercheremo di rifarci alla vostra interpretazione, ma non subire sempre la vostra violenza. (Commenti).

Raccomandiamo inoltre al Ministro dell’interno che, per fortunata coincidenza, è siciliano, di tener ben presente che questi episodi costituiscono la preparazione, la migliore preparazione, alla battaglia elettorale per le elezioni regionali in Sicilia. Una sola debolezza del Governo, e in Sicilia si potrebbero verificare episodi veramente gravi. Nella lotta elettorale, gli animi si riscaldano; nella lotta elettorale, si può pervenire facilmente a delle affermazioni che possono suonare, anche quando non lo siano, offesa ai principî di questo o quel partito.

E siccome il partito comunista, prima ad Enna, poi ad Agrigento, poi a Comiso, poi a Serradifalco, ha dimostrato di voler impiantare la campagna elettorale sul piano della violenza (Rumori a sinistra), noi raccomandiamo al Governo di tener presente questa esigenza (Interruzioni a sinistra), perché, se il Partito comunista si avvia a questi sistemi, il Partito monarchico non potrà essere da meno, per non essere impedito nelle sue manifestazioni. (Applausi a destra Rumori Commenti a sinistra).

PRESIDENTE. L’onorevole Jacometti ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

JACOMETTI. Ringrazio l’onorevole Sottosegretario per la sua risposta, che però non mi convince, o almeno non mi convince completamente. L’episodio di Taranto è uno dei tanti episodi della miseria. I fatti si sono svolti in questo modo: il 17 c’era stata la prima dimostrazione; i dimostranti avevano conferito con il prefetto e l’ammiraglio Oliva. Il 18 si recavano all’ufficio del lavoro, quindi in municipio e all’arsenale. L’arsenale era chiuso. Ci fu allora qualcuno che si avvicinò alle sbarre scuotendole. Un vigile urbano sparò due colpi di rivoltella in aria; gli agenti della «Celere» spararono, non in alto ma, per terra, di modo che dei proiettili, di rimbalzo, ferirono tre dimostranti che furono condotti all’ospedale.

In quel momento, gli operai dell’arsenale che erano in isciopero sarebbero potuti uscire, se non vi fosse stato l’intervento del vicesegretario della Federazione comunista il quale fece opera di moderazione. Se fossero usciti, gli incidenti sarebbero certamente, stati più rilevanti.

Ci sono a Taranto 103 arsenalotti i quali, avuta la promessa di ingaggio, non sono poi stati presi. Essi sono della classe del 1923 e precedenti; hanno già fatto un anno di servizio all’arsenale; sono state fatte loro promesse formali, però l’arsenale non ha lavoro.

La commissione interna, d’accordo con lo stesso comando dell’arsenale, dichiara che ci sono circa 200 operai, i quali in realtà non sono operai, ma benestanti, assunti in tempo di guerra in seguito a pressioni. Ora, la commissione interna domanda che essi vengano licenziati e sostituiti con dei veri operai.

A Taranto vi sono 11.000 disoccupati. C’è un cantiere grande che occupa circa 3000 operai, ma si trova senza lavoro, in più ci sono una dozzina di cantieri minori, per la maggior parte chiusi. Potrebbero lavorare per le ferrovie o per la riparazione di navi, ma non hanno ordinazioni. Tutte le ordinazioni affluiscono ai cantieri dell’Italia settentrionale. Da tener presente che Taranto è la sola città meridionale che possiede un numero rilevante di operai metalmeccanici.

Erano stati decisi lavori per il bacino di carenaggio del Mar Grande. E anche questi lavori sono completamente arenati. Erano stati decisi poi altri lavori per l’allargamento del piazzale della stazione, ai quali erano stati destinati centocinque milioni. Però questi lavori sono stati interrotti perché i danari assegnati non sono pervenuti. II fatto è che questi undici mila disoccupati premono, perché hanno bisogno e hanno fame. Gli incidenti possono moltiplicarsi. E per questo io dico nella mia interrogazione che non si tratta di provvedere dopo con i fucili, ma di prevedere prima, dando lavoro là dove è possibile. E questo è possibile, se noi facciamo una specie di perequazione, mandando anche al Sud un po’ di lavoro. Bisogna che il lavoro sia distribuito in modo adeguato. Per questo io insisto. (Applausi).

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. Eravamo rimasti d’accordo che tutte queste interrogazioni sarebbero state esaminate in una seduta da dedicare appositamente alla politica interna; e questa seduta doveva essere tenuta dopo l’approvazione della legge comunale e provinciale. Non so perché sono state messe all’ordine del giorno di oggi.

Comunque, non posso lasciar passare inosservate le affermazioni degli onorevoli Perrone Capano e Covelli, perché i fatti sono quelli che sono, e dai fatti nascono anche le deduzioni logiche.

Quanto all’aggressione contro l’onorevole Benedettini, i fatti sono di una elementare semplicità. Noi ci troviamo in una riunione in privato, in cui si inseriscono, e sono notati, pacificamente due personaggi: un certo Sbardella e un’altra persona, di cui non conosciamo il nome. La polizia aveva predisposto un modesto servizio d’ordine, modesto con riferimento alla manifestazione, perché si trattava appunto di una manifestazione di un centinaio di persone. Appena è stata avvertita che c’era movimento e si avvicinava gente a questa località, sono stati sbarrati gli accessi, e nessuno dei duecento dimostranti è penetrato nella casa. I due personaggi erano entrati prima. Si dice, anzi è risultato provato che vi fossero un centinaio di persone che partecipavano a questa riunione. Una di queste si alza, minaccia l’onorevole Benedettini. Sono cento persone; nessuna di queste cento persone ha avuto il coraggio di prendere questo messere, di inchiodarlo lì e di aspettare…

COVELLI. Chiedo di parlare per una precisazione.

SCELBA, Ministro dell’interno. Abbia pazienza; riferisco quello che è stato accertato dall’altissimo funzionario che ha partecipato subito dopo – un generale dei carabinieri – all’inchiesta sul modo come si sono svolti i fatti. Anche egli è rimasto sorpreso che tra cento persone non si sia trovato chi sia riuscito a prendere questo signore che ha minacciato l’onorevole Benedettini e rinchiuderlo in una stanza per consegnarlo ai carabinieri.

La polizia ha certamente il dovere di intervenire e di evitare tutti gli incidenti; ma non si può pensare anche a questi casi. La polizia non poteva prevedere e mettersi nella sala per impedire l’aggressione di uno contro cento persone. Ma in quanto a manifestazioni esterne, cioè a dire a violenze che potevano venire da parte di squadre che si erano organizzate, nessuna delle duecento persone presenti è penetrata nella sala.

L’episodio di Agrigento è analogo. Una sola persona si è introdotta nella sede monarchica; è andata a sfasciare il ritratto dell’ex re Umberto II. Non c’è stata una manifestazione pubblica; non c’è stato un tentativo di turbare l’ordine pubblico: vi è stata una sola persona, che, approfittando del fatto che non era presente nessuno – o solo il guardiano – ha buttato giù dal muro la fotografia dell’ex re.

Dire che il Governo non è capace di mantenere l’ordine pubblico, non è giusto od opportuno. (Interruzioni Commenti a destra).

Noi abbiamo molti episodi per cui possiamo dichiarare che l’ordine pubblico viene veramente turbato, abbiamo molte manifestazioni di intolleranza, e ne abbiamo abbastanza per dover intervenire, ma non sono i casi specifici che costituiscono oggi oggetto della interrogazione tali da assurgere a speculazione politica per accusare il Governo di incapacità!

PERRONE CAPANO. Questo dicevano alla sinistra i fascisti nel 1924. Questa è debolezza del Governo…

SCELBA, Ministro dell’interno. Le assicuro, onorevole Perrone Capano, che non è un mestiere molto facile quello del Ministro dell’interno in questo periodo, e chiunque si renderebbe conto che non è umanamente possibile di impedire delle aggressioni singole.

Il dovere del Governo è di punire comunque severamente ogni atto di violenza e di questo il Governo si rende garante.

PERRONE. CAPANO. Bisogna eliminare le cause.

SCELBA, Ministro, dell’interno. Lei, onorevole Perrone Capano, mi deve dare atto che in questi ultimi tempi tutte le persone che si sono rese responsabili di violazione della libertà di riunione o di parola sono state o arrestate o denunciate. Se vuole, onorevole Perrone Capano, le posso dare anche l’elenco. E non è soltanto dalla estrema sinistra che si turba l’ordine pubblico; perché, quando a Comiso, in Sicilia – per citare un fatto a cui ha fatto riferimento l’onorevole Covelli in una interrogazione – si finiscono le manifestazioni qualunquiste al grido di «hip hip alalà», voi non potete impedire l’intervento della forza pubblica con la dovuta energia. (Applausi a sinistra).

PERRONE CAPANO. Allora alla polizia l’energia non manca.

SCELBA, Ministro dell’interno. Io voglio accennare a questi episodi per dirvi che sono stati arrestati coloro che hanno commesso delle aggressioni in queste manifestazioni, e tra questi vi sono anche un democristiano e un socialista.

La polizia agisce, come vedete, per la tutela delle riunioni, anche dei qualunquisti, ma non può ammettere delle provocazioni continue in questo senso da parte di elementi che hanno perduto qualsiasi senso di responsabilità e soprattutto di responsabilità storica.

Debbo anche dire che fortunatamente la lotta elettorale in Sicilia si sta svolgendo regolarmente. E di fronte a modesti episodi, che sono fatali in qualsiasi lotta politica, non soltanto in Sicilia, ma in tutta Italia, non dobbiamo esagerare, a meno che non ne vogliamo trarre un motivo di speculazione politica.

Perché, onorevoli colleghi, alla Costituente vengono soltanto i più modesti, i pochi, i limitatissimi incidenti che sono attinenti alla libertà di parola, ma non si tiene conto che sono centinaia i comizi che si tengono in Sicilia e in tutta Italia indisturbatamente. Non possiamo esagerare episodi come quelli di Agrigento per denunziare l’incapacità del Governo a tutelare l’ordine pubblico.

Tengo, anche di fronte a queste manifestazioni, ad affermare che il Governo è assolutamente deciso a mantenere questa fondamentale libertà, e che agirà, come ha agito perché, ripeto, nessuno dei responsabili esca esente da denunzia all’autorità giudiziaria. Spetterà poi a questa di fare il suo dovere e di condannare i colpevoli. Ma nessuna delle persone che si è resa responsabile di attentati alla libertà di parola e di associazione è rimasta tranquillamente a casa sua: tutte sono state regolarmente denunziate. D’altra parte, bisogna rendersi conto che in piccoli paesi, dove vi sono soltanto tre o quattro carabinieri, mentre i comizi raccolgono migliaia di persone, non sempre i carabinieri sono in grado di prevenire tutti gli attentati. Ma una garanzia è certo questa, che nessuno rimarrà impunito per attentati fatti alla libertà di parola o di associazione. (Vivi applausi al centro e a sinistra Commenti a destra).

BENEDETTINI. Chiedo di parlare per fatto personale.

PRESIDENTE. Indichi il fatto personale.

BENEDETTINI. Devo rettificare una dichiarazione dell’onorevole Ministro sull’episodio che ha citato e che riguarda me personalmente.

PRESIDENTE. Mi dispiace, onorevole Benedettini, ma lei sull’interrogazione non può più parlare.

BENEDETTINI. Ma il Ministro ha parlato di viltà, e io ho il diritto di rettificare. È inutile parlare di democrazia se ci si vuole impedire di parlare. (Commenti Rumori).

Non è vero che lo Sbardella sia entrato e che un signore era già dentro. Sono venute dal di fuori tre persone a mano armata minacciando che se non si fosse sospesa immediatamente l’assemblea avrebbero sparato e distrutto tutto a bombe a mano. L’individuo che si è scagliato contro di me è stato fermato, e allora mi ha sferrato un calcio. Potevamo accopparlo, ma abbiamo voluto dimostrare come i monarchici non ricorrano a questi sistemi.

PRESIDENTE. Onorevole Benedettini, non posso consentire che ella prosegua.

BENEDETTINI. Lo Sbardella è venuto in un secondo momento, ed è venuto dicendo che se ci fossero i fascisti…

PRESIDENTE. Onorevole Benedettini, la invito a tacere. Qui si svolgono le interrogazioni secondo il Regolamento!

BENEDETTINI. Ma questo è un fatto personale. Comunque, se non mi è consentito di parlare ora, mi riservo di parlare sul processo verbale. Faccio intanto osservare che il fatto che le 200 persone fossero inquadrate dimostra che si trattava di gente bene organizzata. (Interruzioni Scambio di apostrofi fra l’estrema sinistra e l’estrema destra).

PRESIDENTE. Onorevole Benedettini, io debbo far rispettare il Regolamento, il quale stabilisce che dopo la risposta del Ministro l’interrogante si dichiara o meno sodisfatto, senza, però, terminato lo svolgimento dell’interrogazione, diritto a replica.

COVELLI. Il Ministro ha riaperto la discussione e se il Ministro ha il diritto di replicare, anche noi lo abbiamo. (Interruzioni).

CONDORELLI. In questo caso un deputato è stato accusato di viltà.

PRESIDENTE. Onorevole Condorelli, mi sembra strano che io debba rivolgermi ad un giurista come lei, che conosce esattamente il Regolamento, per ricordargli che in sede di interrogazioni non si può andare al di là delle norme del Regolamento stesso.

CONDORELLI. Come giurista devo dichiarare che un membro della Costituente, che è stato accusato di indegnità e di viltà, ha il diritto di rispondere. (Rumori Commenti).

PRESIDENTE. È così trascorso il tempo assegnato alle interrogazioni.

Seguito della discussione del disegno di legge: Modifiche al testo unico della legge comunale e provinciale, approvato con regio decreto 5 marzo 1934, n. 383, e successive modificazioni.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge: Modifiche al testo unico della legge comunale e provinciale, approvata con regio decreto 5 marzo 1934, n. 383, e successive modificazioni.

Nella seduta di ieri abbiamo esaurito l’esame dell’articolo 12 e in tal modo abbiamo definita tutta la materia riguardante i controlli. Passiamo all’articolo 13. Io spero che i proponenti degli emendamenti vogliano esaminare se sia il caso di ritirarli. Avverto i colleghi che il testo che si deve tener presente per la nostra discussione è quello della Commissione, perché alcuni emendamenti sono stati proposti sul testo governativo e ciò naturalmente comporta la decadenza di essi.

Do lettura dell’articolo 13 nel testo proposto dalla Commissione:

«Gli articoli 230 e 231 del testo unico predetto, modificati dall’articolo 1 della legge 27 giugno 1942, n. 851, sono abrogati e sostituiti dai seguenti:

Art. 230. – «Per gli impiegati dei comuni e della provincia, la Commissione di disciplina, per ciascuna provincia, è presieduta dal Presidente del Tribunale civile e penale sedente nel capoluogo della provincia o da un giudice da lui delegato, ed è composta di due impiegati in pianta stabile dei comuni o della provincia e di due rappresentanti dell’Amministrazione interessata, delegati, caso per caso, dal rispettivo Consiglio.

«Entro il 15 dicembre, il Presidente della Deputazione provinciale ed i sindaci dei comuni trasmettono al prefetto le schede, ciascuna in busta chiusa, contenenti le designazioni fatte dai singoli impiegati per la scelta dei propri rappresentanti, accompagnandole con l’elenco degli impiegati che non abbiano preso parte alla votazione.

«Ciascun impiegato scrive sulla scheda due nomi: sono dichiarati eletti come effettivi i due candidati che ottengono maggior numero di voti e supplenti quelli che li seguono immediatamente.

«Se, per qualsiasi causa, durante il biennio, venga a mancare taluno degli eletti, i supplenti prendono il posto degli effettivi e coloro che ottennero maggior numero di voti sono nominati supplenti.

«Lo scrutinio è fatto dal prefetto, con l’intervento del consigliere di Prefettura addetto al servizio dei comuni e del segretario del comune capoluogo della provincia, o, in caso di assenza o di impedimento, di altro impiegato del comune capoluogo designato dal sindaco.

«I rappresentanti degli impiegati non possono partecipare alle Commissioni di disciplina, quando si proceda a carico di impiegati delle Amministrazioni presso le quali essi stessi prestano servizio».

Art. 231. – «Per i salariati, la Commissione di disciplina è costituita, oltreché del presidente e di due rappresentanti della Amministrazione interessata, come all’articolo precedente, di due rappresentanti dei salariati dei comuni e della provincia eletti da costoro con le modalità stabilite nello stesso articolo».

Art. 231-bis. – «Qualora, per qualsiasi causa, le Amministrazioni comunali o provinciali non provvedono alla nomina dei propri delegati a sensi degli articoli precedenti, tali nomine sono fatte dal prefetto.

«Fino a quando non sarà possibile provvedere alla relativa elezione, in luogo dei rappresentanti degli impiegati o dei salariati saranno chiamati a far parte delle Commissioni provinciali, di cui agli articoli 230 e 231, due impiegati o due salariati dei comuni o della provincia, di grado non inferiore a quello degl’incolpati ed estranei all’Amministrazione interessata, nominati dal prefetto».

A questo articolo gli onorevoli Dozza, Molinelli, Platone, Ravagnan e Ruggeri hanno presentato i seguenti emendamenti:

Al secondo comma, alle parole: Per gli impiegati dei comuni aventi una popolazione di almeno 15.000 abitanti, sostituire le seguenti: Per gli impiegati o salariati dei comuni aventi una popolazione di almeno 10.000 abitanti.

Allo stesso comma, rigo 11°, alle parole: fra gli impiegati aventi, sostituire le seguenti: fra gli impiegati o salariati aventi.

Sostituire il terzo comma col seguente:

Art. 231. – «Per gli impiegati o salariati dei comuni non contemplati nel precedente articolo, la Commissione di disciplina, per ciascuna provincia è presieduta dal sindaco del capoluogo e composta di due impiegati o salariati dei predetti comuni in pianta stabile e di due rappresentanti del: comune interessato, delegati caso per caso, dal rispettivo Consiglio comunale».

Al quarto comma, rigo 4°, alle parole: impiegati per la scelta, sostituire le seguenti: impiegati o salariati per la scelta.

Allo stesso comma, rigo 6°, alle parole: degli impiegati che non abbiano, sostituire le seguenti: degli impiegati o salariati che non abbiano.

Al quinto comma, alle parole: Ciascun impiegato scrive, sostituire le parole: Ciascun impiegato e salariato scrive.

All’ottavo comma, alle parole: I rappresentanti degli impiegati non possono partecipare alle Commissioni di disciplina, quando si proceda a carico di impiegati dei comuni, sostituire le seguenti: I rappresentanti degli impiegati o salariati non possono partecipare alle Commissioni di disciplina, quando si proceda a carico di impiegati dei comuni.

Sopprimere il nono comma.

All’ultimo comma, rigo 3°, alle parole: rappresentanti degli impiegati, sostituire: rappresentanti degli impiegati e dei salariati.

Allo stesso comma, rigo 5°, alle parole: due impiegati, sostituire: due impiegati o due salariati.

Aggiungere, in fine, il comma seguente: «In ogni caso, il Consiglio di disciplina si pronuncerà dopo sentito il parere della Commissione interna del personale».

Gli onorevoli Numeroso, Rodinò Ugo e De Michele hanno presentato i seguenti emendamenti:

Al primo comma dell’articolo 230 sostituire alle parole: presieduta dal presidente del tribunale civile e penale sedente nel capoluogo della provincia, le seguenti: presieduta dal presidente del tribunale civile è penale, alla cui giurisdizione appartiene il capoluogo di provincia.

«All’articolo 231 aggiungere il seguente comma:

«Anche per i salariati si applica l’ultimo comma dell’articolo precedente».

MOLINELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MOLINELLI. Onorevole Presidente, a nome anche degli altri firmatari, dichiaro di mantenere soltanto l’emendamento al terzo comma dell’articolo 231 relativo alla Commissione di disciplina la quale, invece che dal presidente del tribunale civile, dovrebbe essere, a nostro avviso, presieduta dal sindaco del capoluogo della provincia o una da persona da lui delegata.

Manteniamo anche il comma aggiuntivo: «In ogni caso, il Consiglio di disciplina si pronuncerà dopo sentito il parere della Commissione interna del personale».

PRESIDENTE. Quale è il parere della Commissione?

CARBONI, Relatore. La Commissione ha proposto che alla presidenza delle commissioni di disciplina sia destinato un magistrato dell’ordine giudiziario allo scopo di affidare la presidenza ad un elemento tecnico ed imparziale, estraneo sia all’amministrazione e sia alla classe dei salariati e degli impiegati.

La proposta degli onorevoli Dozza, Molinelli e altri ha, secondo la Commissione, anche il difetto di violare quella pariteticità di rappresentanza degli interessi delle amministrazioni da un lato e dei salariati e degli impiegati dall’altro, che si è invece ottenuta con un presidente estraneo alle due parti.

La Commissione accetta, invece, l’emendamento presentato dagli onorevoli Numeroso e altri, i quali propongono che la Commissione sia presieduta dal presidente del tribunale civile e penale, alla cui giurisdizione appartiene il capoluogo di provincia. La Commissione era caduta, nel suo testo, in una inesattezza, dimenticando che vi sono capoluoghi di provincia che non sono sede di tribunale. E consente pure la Commissione all’altro emendamento, presentato dagli stessi onorevoli Numeroso e altri, di aggiungere il seguente comma all’articolo 231:

«Anche per i salariati si applica l’ultimo comma dell’articolo precedente», essendo indubbiamente opportuno stabilire, per le commissioni di disciplina per i salariati, che delle medesime non possano far parte salariati della stessa amministrazione alla quale appartengono i sottoposti alla procedura disciplinare, come già si è stabilito per le commissioni per gl’impiegati.

PRESIDENTE. Chiedo al Governo di esprimere il proprio pensiero su questi emendamenti.

SCELBA, Ministro dell’interno. Insisto per il testo proposto dal Governo. A me pare che, riproducendosi la vecchia disposizione del testo unico del 1915 – disposizione che in passato non ha dato luogo ad inconvenienti di sorta – non vi sia alcuna giustificazione per introdurvi modificazioni.

FUSCHINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUSCHINI. Aderiamo alle dichiarazioni del Governo e voteremo il testo ministeriale.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento mantenuto dagli onorevoli Dozza, Molinelli, Platone, Ravagnan e Ruggeri, non accettato né dal Governo, né dalla Commissione:

«Sostituire il terzo comma col seguente:

«Art. 231. – Per gli impiegati o salariati dei comuni non contemplati nel precedente articolo, la Commissione di disciplina, per ciascuna provincia è presieduta dal sindaco del capoluogo e composta di due impiegati o salariati, dei predetti comuni in pianta stabile e di due rappresentanti del comune interessato, delegati caso per caso, dal rispettivo Consiglio comunale».

(Non è approvato).

Passiamo ora alla votazione dell’emendamento proposto dagli onorevoli Numeroso, Rodinò Ugo, De Michele:

Al primo comma dell’articolo 230 sostituire alle parole: presieduta dal presidente del tribunale civile e penale sedente nel capoluogo della provincia, le seguenti: presieduta dal presidente del tribunale civile e penale, alla cui giurisdizione appartiene il capoluogo di provincia.

La Commissione ha dichiarato di accettare questo emendamento. Il Governo mantiene il testo governativo.

ZOTTA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ZOTTA. Mi sembra che per l’ordine bisognerebbe stabilire se un magistrato dovrà far parte della Commissione. Successivamente si potrà decidere se il magistrato debba essere presidente della Commissione.

PRESIDENTE. È il testo della Commissione che deve essere considerato, onorevole Zotta. Il Governo si è riferito al suo testo per ragioni sue proprie, ma nel nostro procedimento noi dobbiamo tenere presente l’articolo 230 formulato dalla Commissione.

ZOTTA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ZOTTA. Non abbiamo posto la questione se debba essere votato l’articolo proposto dal Governo o quello della Commissione.

PRESIDENTE. Onorevole Zotta, la discussione ha luogo, e non può essere diversamente, sul testo della Commissione. Quindi è perfettamente inutile che lei si richiami al testo del Governo.

ZOTTA. Bisognerebbe prima stabilire, in seguito ad una votazione sul testo della Commissione, se il Presidente deve essere un magistrato.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento degli onorevoli Numeroso, Rodinò Ugo e De Michele, accettato dalla Commissione, ma non dal Governo.

(È approvato).

Passiamo ora al comma aggiuntivo mantenuto dagli onorevoli Dozza, Molinelli e altri:

«In ogni caso il Consiglio di disciplina si pronuncerà dopo sentito il parere della commissione interna del personale».

ZOTTA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ZOTTA. A proposito di questo emendamento, io domando se esso sia stato presentato sul dubbio che le norme vigenti, integrate da quelle che andiamo approvando quotidianamente, non garantiscano l’impiegato dell’ente locale. Non mi sembra che questo dubbio sia fondato. Quando la Commissione, come abbiamo testé approvato, è costituita da due rappresentanti dell’ente e da due rappresentanti della classe impiegatizia, mi sembra che vi siano sufficienti garanzie di giustizia e di equità. La classe impiegatizia può far sentire la sua voce nel seno della Commissione di disciplina e lo fa appunto attraverso questi due rappresentanti che fanno parte della Commissione stessa. Non mi sembra opportuno che sia sentita questa voce stessa in forma consultiva, quando essa è stata efficacemente espressa nel seno della Commissione di disciplina. D’altronde la rappresentanza paritetica dell’ente e della classe impiegatizia soddisfa armonicamente e le esigenze di autarchia e le esigenze di giustizia sociale che sono i due fondamenti dell’ordinamento democratico che andiamo costituendo.

Dunque, se è vero che gli impiegati hanno diritto ad ottenere nella Commissione di disciplina i giudici che siano loro simili, e in questa maniera realizzano un’antica aspirazione, non bisogna però trascurare gli interessi pubblici, che si concretano nell’ente autarchico, il quale appunto si impersona in quegli impiegati e, impersonandosi così, determina il buono o il cattivo andamento dell’amministrazione a seconda del buono o cattivo andamento dell’impiegato stesso. In altri termini noi non abbiamo, parlando di commissione interna di personale, la solita posizione del datore di lavoro e del prestatore d’opera, così come avviene nei rapporti privatistici, nei quali si crea una posizione di antitesi, di diffidenza o di preoccupazione perché non avvenga lo sfruttamento e la vessazione da parte dell’uno verso l’altro. Qui il datore di lavoro è l’ente pubblico, il quale non mira a interessi personali, ma mira a interessi collettivi nei quali si confondono gli stessi interessi dell’impiegato. Quindi non vi è una posizione di diffidenza che possa giustificare l’esistenza di una commissione interna di personale; ma vi è una posizione di perfetta armonia. A sostenere questa perfetta armonia appare idonea e sufficiente la struttura paritetica della commissione di disciplina, la quale è costituita da una parte da due rappresentanti dell’Ente, dall’altra da due rappresentanti della classe impiegatizia.

Al di sopra vi sono gli organi della giustizia amministrativa. Numerosi precetti sono dettati a garanzia del buon funzionamento delle commissioni e a tutela della giustizia. Tutti debbono osservarsi sotto pena di nullità.

Peraltro, sul piano logico e dommatico, riesce difficile a concepirsi un organo consultivo, che presti il suo ausilio ad un altro organo consultivo. Sarebbe il primo caso – se non erro – nella nostra legislazione. Invero le punizioni disciplinari sono inflitte dal capo dell’Amministrazione. La Commissione di disciplina ha solo il compito di dare il parere motivato. E allora non ha essa pure una funzione consultiva? Si tratta dunque di un procedimento strano e del tutto nuovo nell’amministrazione.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Relatore a manifestare il pensiero della Commissione al riguardo.

CARBONI, Relatore. La Commissione non ha nulla da opporre alla proposta aggiuntiva per la quale si rimette all’Assemblea, osservando che, trattandosi di un semplice parere, le eccezioni sollevate dall’onorevole Zotta non sembrano fondate.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Ministro dell’interno di manifestare al riguardo il pensiero del Governo.

SCELBA, Ministro dell’interno. Il Governo non accetta l’emendamento dell’onorevole Dozza, perché la Commissione interna, che si dovrebbe per esso introdurre, non è prevista da alcuna legislazione. Bisognerebbe, pertanto, introdurre le norme che ne regolassero la costituzione.

Non entro quindi neppure nel merito sull’opportunità di riconoscere in avvenire il vantaggio dell’esistenza di queste commissioni interne e mi dichiaro contrario all’emendamento dell’onorevole Dozza.

MOLINELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MOLINELLI. Noi abbiamo proposto questo ultimo periodo aggiuntivo all’articolo 13 del progetto per la ragione che le commissioni, così come sono proposte tanto nel testo del Governo, quanto in quello della Commissione, hanno una durata di due anni e debbono pronunziarsi su fatti che accadono di volta in volta in comuni che sono estranei a quelli di cui fanno parte i membri della Commissione. Avviene allora che il parere della commissione interna viene a costituire l’elemento di giudizio su cui bisogna pronunziarsi.

PRESIDENTE. Metto in votazione l’emendamento aggiuntivo Dozza, non approvato dal Governo e per il quale la Commissione ha dichiarato di rimettersi all’Assemblea.

(Non è approvato).

Segue un emendamento proposto dall’onorevole Costa:

«Al sub-articolo 231, alla fine del primo comma, alle parole: Consiglio comunale, sostituire: Giunta comunale».

Trattandosi di emendamento al testo del Governo, non può essere discusso.

Passiamo all’altro emendamento a firma Numeroso, Rodinò Ugo e De Michele:

«All’articolo 231 aggiungere il seguente comma:

«Anche per i salariati si applica l’ultimo comma dell’articolo precedente».

La Commissione ha dichiarato di accettarlo. Qual è il pensiero del Governo?

SCELBA, Ministro dell’interno. Il Governo lo accetta.

PRESIDENTE. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Pongo in votazione l’articolo 13 nel suo complesso:

«Gli articoli 230 e 231 del testo unico predetto, modificati dall’articolo 1 della legge 27 giugno 1942, n. 851, sono abrogati e sostituiti dai seguenti:

Art. 230. – «Per gli impiegati dei comuni e della provincia, la Commissione di disciplina, per ciascuna provincia, è presieduta dal presidente del Tribunale civile e penale, alla cui giurisdizione appartiene il capoluogo della provincia o da un giudice da lui delegato, ed è composta di due impiegati in pianta stabile dei comuni o della provincia e di due rappresentanti dell’Amministrazione interessata, delegati, caso per caso, dal rispettivo Consiglio.

«Entro il 15 dicembre, il presidente della Deputazione provinciale ed i sindaci dei comuni trasmettono al prefetto le schede, ciascuna in busta chiusa, contenenti le designazioni fatte dai singoli impiegati per la scelta dei propri rappresentanti, accompagnandole con l’elenco degli impiegati che non abbiano preso parte alla votazione.

«Ciascun impiegato scrive sulla scheda due nomi: sono dichiarati eletti come effettivi i due candidati che ottengono maggior numero di voti e supplenti quelli che li seguono immediatamente.

«Se, per qualsiasi causa, durante il biennio, venga a mancare taluno degli eletti, i supplenti prendono il posto degli effettivi e coloro che ottennero maggior numero di voti sono nominati supplenti.

«Lo scrutinio è fatto dal prefetto, con l’intervengo del consigliere di Prefettura addetto al servizio dei comuni e del segretario del comune capoluogo della provincia, o, in caso di assenza o di impedimento, di altro impiegato del comune capoluogo designati dal sindaco.

«I rappresentanti degli impiegati non possono partecipare alle Commissioni di disciplina, quando si proceda a carico di impiegati delle Amministrazioni presso le quali essi stessi prestano servizio».

Art. 231. – «Per i salariati, la Commissione di disciplina è costituita, oltreché del presidente e di due rappresentanti dell’Amministrazione interessata, come all’articolo precedente, di due rappresentanti dei salariati dei comuni e della provincia eletti da costoro con le modalità stabilite nello stesso articolo.

«Anche per i salariati si applica l’ultimo comma dell’articolo precedente».

Art. 231-bis. – «Qualora, per qualsiasi causa, le Amministrazioni comunali o provinciali non provvedono alla nomina dei propri delegati a sensi degli articoli precedenti, tali nomine sono fatte dal prefetto.

«Fino a quando non sarà possibile provvedere alla relativa elezione, in luogo dei rappresentanti degli impiegati o dei salariati saranno chiamati a far parte delle Commissioni provinciali, di cui agli articoli 230 e 231, due impiegati o due salariati dei comuni o della provincia, di grado non inferiore a quello degli incolpati ed estranei all’Amministrazione interessata, nominati dal prefetto».

(È approvato).

Passiamo all’articolo 14.

«Il secondo comma dell’articolo 284 del testo unico predetto è abrogato e sostituito dal seguente:

«Quelle per lavori od acquisti devono anche indicare il modo di esecuzione ed essere corredate di appositi progetti, perizie o preventivi; questi ultimi possono anche essere redatti in forma sommaria, quando trattasi di forniture o di lavori di lieve importanza, la cui spesa presunta non superi le lire 50.000».

A questo articolo sono stati presentati i seguenti emendamenti:

Al secondo comma sostituire il seguente:

«Quelle per lavori od acquisti devono anche indicare il modo di esecuzione ed essere corredate di appositi progetti, perizie o preventivi; questi ultimi possono anche essere redatti in forma sommaria, quando trattasi di forniture o di lavoro di lieve importanza, la cui spesa presunta non superi le lire 100.000».

Preti, Villani.

«Al secondo comma, sopprimere le parole: di lieve importanza».

Costa.

Qual è il parere della Commissione?

CARBONI, Relatore. La Commissione accetta tanto l’emendamento Preti-Villani, quanto quello Costa.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Ministro dell’interno di esprimere il parere del Governo.

SCELBA, Ministro dell’interno. Il Governo è d’accordo con la Commissione e dichiara di accettare i due emendamenti.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento Preti-Villani.

(È approvato).

Pongo in votazione l’emendamento Costa.

(È approvato).

Pongo in votazione l’articolo 14 nel suo complesso:

«Il secondo comma dell’articolo 284 del testo unico predetto è abrogato e sostituito dal seguente:

«Quelle per lavori od acquisti devono anche indicare il modo di esecuzione ed essere corredate di appositi progetti, perizie o preventivi; questi ultimi possono anche essere redatti in forma sommaria, quando trattasi di forniture o di lavoro, la cui spesa presunta non superi le lire 100.000».

(È approvato).

Passiamo ora all’articolo 15.

«Il quarto comma dell’articolo 285 del testo unico predetto è abrogato e sostituito dal seguente:

«I progetti di massima ed esecutivi di opere pubbliche dei comuni, delle provincie e dei consorzi, d’importo superiore a lire 5.000.000, quando all’esecuzione dei lavori si provveda con asta pubblica o licitazione privata, ovvero d’importo superiore a lire 2.500.000, quando alla esecuzione dei lavori si provveda a trattativa privata o in economia, devono riportare il parere favorevole del Consiglio superiore dei lavori pubblici».

«L’ultimo capoverso dello stesso articolo è abrogato e sostituito dal seguente:

«I progetti di massima ed esecutivi di opere pubbliche dei comuni, delle provincie è dei consorzi devono riportare il parere favorevole dell’ingegnere capo del Genio civile:

  1. a) se il loro importo superi le lire 100.000, quando si tratti di comuni con popolazione non superiore ai 100.000 abitanti, o di consorzi di comuni con popolazione complessiva non superiore a 100.000 abitanti;
  2. b) se il loro importo superi le lire 250.000, quando si tratti di provincie, di comuni con popolazione superiore a 100.000 abitanti o di consorzi di comuni con popolazione complessiva superiore a 100.000 abitanti».

A questo articolo gli onorevoli Lami Starnuti, Gullo Rocco, Rossi Paolo, Di Giovanni, Persico, Morini avevano proposto il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«Il quarto comma e l’ultimo capoverso dell’articolo 285 del testo unico predetto sono abrogati e sostituiti dal seguente:

«I progetti di massima ed esecutivi di opere pubbliche dei comuni, delle provincie e dei consorzi devono riportare il parere favorevole dell’ingegnere capo del Genio civile:

  1. a) se il loro importo superi le lire 100.000, quando si tratti di comuni con popolazione non superiore ai 100.000 abitanti;
  2. b) se il loro importo superi lire 250.000, quando si tratti di comuni con popolazione superiore ai 100.000 abitanti o di consorzi di comuni con popolazione complessiva superiore a 100.000 abitanti».

Nella seduta antimeridiana del 22 scorso l’onorevole Lami Starnuti ha dichiarato di ritirarlo.

Allo stesso articolo sono. stati presentati i seguenti emendamenti:

Sostituirlo col seguente:

«Il quarto comma dell’articolo 285 del testo unico predetto è abrogato e sostituito dal seguente:

«I progetti di massima ed esecutivi di opere pubbliche dei comuni, delle provincie e dei consorzi di un importo superiore a lire 10,000,000, quando all’esecuzione dei lavori si provveda con asta pubblica o licitazione privata, ovvero di importo superiore a lire 5,000,000, quando alla esecuzione dei lavori si provveda a trattativa privata o in economia, devono riportare il parere favorevole del Consiglio Superiore dei lavori pubblici».

«L’ultimo capoverso dello stesso articolo è abrogato e sostituito dal seguente:

«I progetti di massima ed esecutivi di opere pubbliche dei comuni, delle provincie e dei consorzi devono riportare il parere favorevole dell’ingegnere capo del Genio civile:

  1. a) se il loro importo superi le lire 250.000, quando si tratti di comuni con popolazione non superiore ai 100.000 abitanti o di consorzi di comuni con popolazione complessiva non superiore ai 100.000 abitanti;
  2. b) se il loro importo superi le lire 500.000, quando si tratti di provincie, di comuni con popolazione superiore a 100.000 abitanti o di consorzi di comuni con popolazione complessiva superiore a 100.000 abitanti;
  3. c) se il loro importo superi le lire 1.250.000, quando si tratti di provincie, di comuni con popolazioni superiori a 500.000 abitanti;
  4. d) se il loro importo superi le lire 2.500.000, quando si tratti di provincie o di comuni con popolazione superiore ad 1 milione di abitanti».

Meda, Fuschini.

Sostituirlo col seguente:

«Il quarto comma dell’articolo 285 del testo unico predetto è abrogato e sostituito dal seguente:

«I progetti di massima ed esecutivi di opere pubbliche dei comuni, d’importo superiore a lire 20.000.000, quando all’esecuzione dei lavori si provveda con asta pubblica o licitazione privata, ovvero d’importo superiore a lire 10.000.000, quando all’esecuzione dei lavori si provveda a trattativa privata o in economia, devono riportare il parere favorevole del Consiglio Superiore dei lavori pubblici».

«L’ultimo capoverso dello stesso articolo è abrogato e sostituito dal seguente:

«I progetti di massima ed esecutivi di opere pubbliche dei comuni, delle provincie e dei consorzi devono riportare il parere favorevole dell’ingegnere capo del Genio civile:

  1. a) se il loro importo superi le lire 400.000, quando si tratti di comuni con popolazione non superiore ai 100.000 abitanti, o di consorzi di comuni con popolazione complessiva non superiore ai 100.000 abitanti;
  2. b) se il loro importo superi le lire 1.000.000, quando si tratti di provincie, di comuni con popolazione superiore ai 100.000 abitanti o di consorzi di comuni con popolazione complessiva superiore ai 100.000 abitanti».

Preti, Villani.

Sostituirlo col seguente:

«Il quarto comma dell’articolo 285 del testo unico predetto è abrogato e sostituito dal seguente:

«I progetti di massima ed esecutivi di opere pubbliche dei comuni, delle provincie e dei consorzi, di importo superiore a lire 10.000.000, quando all’esecuzione dei lavori si provveda con asta pubblica o licitazione privata, ovvero d’importo superiore a lire 5.000.000, quando alla esecuzione dei lavori si provveda a trattativa privata o in economia, devono riportare il parere favorevole del Consiglio superiore dei lavori pubblici».

«L’ultimo capoverso dello stesso articolo è abrogato e sostituito dal seguente:

«I progetti di massima ed esecutivi di opere pubbliche dei comuni, delle provincie e dei consorzi devono riportare il parere favorevole dell’ingegnere capo del Genio civile:

  1. a) se il loro importo superi le lire 200 mila, quando si tratti di comuni con popolazione non superiore ai 100.000 abitanti, o di consorzi di comuni con popolazione complessiva non superiore a 100.000 abitanti;
  2. b) se il loro importo superi le lire 500 mila, quando si tratti di provincie, di comuni con popolazione superiore a 100.000 abitanti o di consorzi di comuni con popolazione complessiva superiore a 100.000 abitanti».

Camangi.

Sostituirlo col seguente:

«Il quarto comma dell’articolo 285 del testo unico predetto è abrogato e sostituito dal seguente:

«I progetti di massima ed esecutivi di opere pubbliche dei comuni, delle provincie e dei consorzi devono riportare il parere favorevole:

  1. a) del Genio civile, se il loro importo superi le lire 1,000,000 e non oltrepassi le lire 5,000,000;
  2. b) del Provveditorato per le opere pubbliche, se il loro importo superi le lire 5,000,000 e non oltrepassi le lire 30,000,000;
  3. c) del Consiglio Superiore dei lavori pubblici, se il loro importo superi le lire 30,000,000».

Dozza, Ravagnan, Platone, Molinelli, Ruggeri.

All’ultimo comma, dopo le parole: con popolazione superiore a 100.000 abitanti, aggiungere: o di comuni capoluoghi di provincia.

Mannironi.

Chiedo all’onorevole Relatore di esprimere su di essi il parere della Commissione. Ha facoltà di parlare l’onorevole Carboni, Relatore.

CARBONI, Relatore. La Commissione accetta sostanzialmente l’emendamento Meda-Fuschini, coordinato con quello Preti-Villani; e quindi, per il secondo comma dell’articolo, dove si parla di importo superiore a 10 milioni propone che si dica «20 milioni», e dove si dice: «ovvero d’importo superiore a lire 5 milioni» la Commissione propone di dire: «10 milioni».

Per quanto riguarda l’ultimo capoverso, la Commissione propone che i valori indicati nell’emendamento Meda-Fuschini siano sostituiti con quelli indicati nell’emendamento Preti-Villani, dicendo quindi alla lettera a) lire 400.000 invece di lire 250.000, e alla lettera b) lire 1 milione invece di 500.000.

L’emendamento Meda-Fuschini distingue, poi, a differenza della legge vigente, due nuove categorie: cioè alla lettera c) prevede i comuni e le provincie con popolazione superiore a 500 mila abitanti; e nella lettera d) prevede comuni e provincie con popolazione superiore ad 1 milione di abitanti.

Ora la Commissione ritiene che, dal momento che con le precedenti deliberazioni dell’Assemblea si è creata una sola categoria per i comuni con popolazione superiore, ai 500 mila abitanti, per una ragione di euritmia legislativa, non possiamo costituire ora un’altra categoria a parte per i comuni con più di 1.000.000 di abitanti, i quali comuni avrebbero trattamento speciale solo nella materia dell’articolo ora in esame.

La Commissione propone di accettare la lettera c) dell’emendamento Meda-Fuschini che dice: «se il loro importo superi le lire 2.000.000» (e in questo si va incontro al desiderio degli onorevoli Meda e Fuschini) «quando si tratti di provincie o comuni con popolazioni superiori a 500.000 abitanti». Ma poi bisogna aggiungere, perché questo era stato dimenticato dagli onorevoli Meda e Fuschini: «o di consorzi di comuni con popolazione complessiva superiore ai 500.000 abitanti».

Ora devo tornare un passo indietro, per aggiungere che relativamente alla lettera b), è necessaria una correzione. La lettera b) deve essere formulata in questi termini: «b) se il loro importo superi le lire 1000.000, quando si tratti di comuni con popolazione superiore a 100.000 abitanti, o, che pur non avendo popolazione superiore ai 100.000 abitanti siano capoluoghi di provincia, o di consorzi di comuni con popolazione complessiva superiore a 100.000 abitanti».

Detto questo, è chiaro che l’emendamento Preti-Villani viene accettato in parte e per il resto viene assorbito. Anche l’emendamento Camangi è assorbito, e non ha più ragion d’essere l’emendamento Dozza, Ravagnan, Platone, Molinelli, Ruggeri.

Qui voglio dichiarare che la Commissione era entrata nell’ordine di idee prospettato in uno degli emendamenti, di chiedere cioè, invece del parere del Consiglio Superiore dei lavori pubblici, il parere del Provveditorato alle opere pubbliche. Ma, interpellato il Ministero dei lavori pubblici, esso ha fatto sapere che in pratica il parere viene dato dai Provveditorati; ma che non è opportuno legiferare in questo senso perché i comitati tecnici attualmente funzionanti presso i Provveditorati sono di esistenza transitoria e di prossima soppressione.

Devo aggiungere ancora che l’emendamento Mannironi è assorbito per quanto ho detto precedentemente.

PRESIDENTE. Chiedo agli onorevoli presentatori degli emendamenti, se aderiscono alle proposte della Commissione.

FUSCHINI, VILLANI, CAMANGI, DOZZA, MANNIRONI. Aderiscono.

PRESIDENTE. Domando al Governo se accetta le proposte della Commissione.

SCELBA, Ministro dell’interno. Il Governo le accetta.

PRESIDENTE. Pongo in votazione gli emendamenti accettati dalla Commissione e dal Governo.

(Sono approvati).

PRESIDENTE. Metto ai voti l’articolo 15 nel suo complesso.

«Il quarto comma dell’articolo 285 del testo unico predetto è abrogato e sostituito dal seguente:

«I progetti di massima ed esecutivi di opere pubbliche dei comuni, delle provincie e dei consorzi di un importo superiore a lire 20.000.000, quando all’esecuzione dei lavori si provveda con asta pubblica o licitazione privata, ovvero di importo superiore a lire 10.000.000, quando alla esecuzione dei lavori si provveda a trattativa privata o in economia, devono riportare il parere favorevole del Consiglio Superiore dei lavori pubblici».

«L’ultimo capoverso dello stesso articolo è abrogato e sostituito dal seguente:

«I progetti di massima ed esecutivi di opere pubbliche dei comuni, delle provincie e dei consorzi devono riportare il parere favorevole dell’ingegnere capo del Genio civile:

  1. a) se il loro importo superi le lire 400.000, quando si tratti di comuni con popolazione non superiore ai 100.000 abitanti o di consorzi di comuni con popolazione complessiva non superiore ai 100.000 abitanti;
  2. b) se il loro importo superi le lire 1.000.000, quando si tratti di provincie, di comuni con popolazione superiore ai 100.000 abitanti o che, pur non avendo popolazione superiore ai 100.000 abitanti, siano capoluoghi di provincia, o di consorzi di comuni con popolazione complessiva superiore a 100.000 abitanti;
  3. c) se il loro importo superi le lire 2.000.000, quando si tratti di provincie o di comuni con popolazione superiore a 500.000 abitanti o di consorzi di comuni con popolazione complessiva superiore ai 500.000 abitanti».

(È approvato).

Segue l’articolo 16:

«II primo comma dell’articolo 296 del testo unico predetto è abrogato e sostituito dal seguente:

«I contratti che eccedono i limiti entro i quali, ai sensi degli articoli 87 e 140, è consentito procedere a trattativa privata senza preventiva autorizzazione prefettizia, non sono impegnativi per l’ente senza il visto del prefetto, il quale deve accertarsi che siano state osservate le forme prescritte».

A questo articolo l’onorevole Caroleo ha presentato il seguente emendamento:

«Premettere alle parole: Il primo comma dell’articolo 296, le altre: Ferme le successive disposizioni».

Domando il parere della Commissione.

CARBONI, Relatore. Sembra alla Commissione che sia superfluo, perché, modificandosi soltanto il primo comma, non c’è bisogno di premettere: «ferme le successive disposizioni».

PRESIDENTE. Qual è il parere del Governo?

SCELBA, Ministro per l’interno. Anche il Governo lo ritiene superfluo.

PRESIDENTE. Domando all’onorevole Caroleo se insiste nel suo emendamento.

CAROLEO. Un semplice chiarimento: dopo l’approvazione dell’emendamento agli articoli 1 e 9, effettivamente questa disposizione non avrebbe più importanza. Però mi pare che solo per errore materiale sia nel testo del Governo, sia nel testo della Commissione, non si sia fatto riferimento ai contratti per licitazione privata, perché l’articolo 296 del testo unico del 1934 contemplava l’eventualità di contratti stipulati per licitazione e trattativa privata con superamento dei limiti di valore segnati per gli stessi contratti; e, per questa ipotesi di contrattazioni viziate da evidente violazione di legge, si dettava un controllo successivo non soltanto di legittimità, ma anche di merito per il prefetto.

Ora bisogna tener conto dello spirito di questo articolo 296 che, se eliminato, nelle modifiche proposte dal disegno di legge, finirebbe col sottrarre a qualunque esame dell’autorità tutoria tutti i contratti dei comuni e delle provincie non perfezionati per asta pubblica. Mentre le deliberazioni comunali e provinciali di qualunque specie passano ad un esame dell’autorità tutoria, i contratti, viceversa, di regola (e, fatta eccezione per quelli anticipatamente trasfusi in apposite deliberazioni), non sono soggetti a questo esame ed allora contro quelli che risultassero in definitiva viziati da violazione di legge o non fossero convenienti agl’interessi dell’ente, non ci sarebbe che il sindacato generale dell’articolo 6 del testo unico del 1934 e quel controllo improprio che forse finiremo col ripristinare approvando la proposta di articolo aggiuntivo dell’onorevole Persico.

Se dobbiamo ritornare a quella che era la sistemazione legislativa del 1915, dobbiamo tener presente che a tutto questo nel testo precedente si ovviava, in quanto con l’articolo 184 del testo unico del 1915 tutti i contratti, per diventare esecutivi, dovevano essere sottoposti al preventivo visto prefettizio.

Eliminata questa disposizione e sostituita sia nel testo del 1923, sia nel testo del 1934 dalla disciplina dell’articolo 296, occorre intendersi bene sulle conseguenze della proposta soppressione. È certo che per i contratti a trattativa privata la questione non può più sorgere perché noi abbiamo eliminato, con l’approvazione di un emendamento precedente, la possibilità di qualsiasi violazione di legge da parte dei comuni, ma non abbiamo eliminato invece e non elimineremo questa eventualità per i contratti a licitazione privata.

Se sembrassero bastevoli ad allontanare ogni equivoco i chiarimenti che intervengono nel corso di questa discussione, allora potrebbe anche addirittura sopprimersi l’articolo 16 del disegno di legge, così come è stato proposto dal Governo e dalla Commissione. Ma se dovesse intendersi che per i contratti stipulati a licitazione privata, anche se eccedenti i limiti di valore segnati dalla legge, non occorra nemmeno quella sanatoria prevista dall’articolo 296, mi pare che faremmo cosa contraria agl’interessi generali.

Non va dimenticato che, secondo le regole della legge sulla contabilità generale dello Stato, i verbali di deliberamento nelle licitazioni private sono titoli autentici e hanno immediata efficacia esecutiva.

PRESIDENTE. Qual è il pensiero della Commissione?

CARBONI, Relatore. Dopo le osservazioni dell’onorevole Caroleo, devo riconoscere che indubbiamente, con la soppressione del comma dell’articolo 1 e dell’articolo 9, nel quale si prevedeva la trattativa privata, la disposizione dell’articolo 296 non ha più ragione d’essere per i contratti a trattativa privata, salvo che non ci si riferisca all’ipotesi eccezionale prevista nell’ultimo capoverso dell’articolo 1 e dell’articolo 9, per la quale le preoccupazioni dell’onorevole Caroleo non appaiono giustificate, essendo richiesta la preventiva autorizzazione prefettizia.

CAROLEO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAROLEO. La Commissione non ha espresso il suo avviso per quanto riguarda la licitazione privata. Siamo d’accordo che, dopo l’abolizione della trattativa privata, non ha più ragion d’essere quell’articolo; ma resta il quesito per la licitazione privata. I contratti stipulati in questa forma sarebbero completamente sottratti non solo al sindacato, ma anche al semplice esame dell’autorità tutoria. In sostanza, i comuni stipulerebbero i contratti senza far vedere niente ad alcuno; resterebbe soltanto il sindacato successivo, di cui all’articolo 6 del testo unico del 1934.

Comunque, attraverso le relazioni del Governo e della Commissione mi sono convinto che si è trattato soltanto di un errore materiale, perché non c’era ragione di eliminare dal testo del primo comma dell’articolo 296 la licitazione privata.

PRESIDENTE. Chiedo alla Commissione di esprimere il proprio parere.

CARBONI, Relatore. Se non ci fosse l’urgenza del tempo, se non dovessimo deliberare oggi stesso, io chiederei di essere autorizzato a rispondere domani. Ma, se ragioni superiori vogliono che la discussione si concluda oggi, osservo che il problema si potrebbe risolvere sostituendo alle parole: «a trattativa privata» le altre: «a licitazione privata». D’altro canto, questo è un articolo sul quale la Commissione non ha proposto nessun emendamento; sarebbe quindi opportuno che il Ministro esprimesse il suo pensiero sull’emendamento Caroleo che si riferisce direttamente al testo governativo.

PRESIDENTE. Onorevole Ministro dell’interno, qual è il suo parere?

SCELBA, Ministro dell’interno. Il Governo dichiara di accettare la sostituzione della parola «trattativa» con l’altra: «licitazione».

PRESIDENTE. Onorevole Caroleo, dopo la proposta dell’onorevole Relatore, ella insiste nel suo emendamento?

CAROLEO. Non insisto.

PRESIDENTE. L’onorevole Colitto ha presentato il seguente emendamento:

«Alle parole: Il primo comma dell’articolo 296, sostituire: L’articolo 296».

Non essendo presente l’onorevole Colitto, si intende che vi abbia rinunziato.

Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Relatore, accettata dal Governo, di sostituire alla parola: «trattativa» l’altra: «licitazione».

(È approvata).

Pongo ai voti l’articolo 16 così modificato: «Il primo comma dell’articolo 296 del testo unico predetto è abrogato e sostituito dal seguente:

«I contratti che eccedono i limiti entro i quali, ai sensi degli articoli 87 e 140, è consentito procedere a licitazione privata senza preventiva autorizzazione prefettizia, non sono impegnativi per l’ente senza il visto del prefetto, il quale deve accertarsi che siano state osservate le forme prescritte».

(È approvato).

Passiamo all’articolo 17.

«L’articolo 343 del testo unico predetto è abrogato e sostituito dal seguente:

«Le deliberazioni dei comuni, delle provincie e dei consorzi, integrate, ove occorra, con le prescritte approvazioni o comunque divenute esecutive, sono provvedimenti definitivi.

«Agli atti, con i quali viene dalle competenti autorità negata l’approvazione delle deliberazioni, ed ai decreti prefettizi che ne pronunciano l’annullamento è applicabile il disposto dell’articolo 5.

«Resta salva, in ogni caso, la facoltà conferita al Governo con l’articolo 6».

Su questo articolo non è stato presentato alcun emendamento. Lo metto in votazione.

(È approvato).

Segue l’articolo 18:

«La legge 10 giugno 1937, n. 1402, è abrogata».

Anche su questo articolo non è stato presentato nessun emendamento. Lo metto in votazione.

(È approvato).

Segue l’articolo 19:

«L’articolo 2 del decreto legislativo luogotenenziale 17 novembre 1944, n. 426, è abrogato e sostituito dal seguente:

«Le deliberazioni dell’amministrazione comunale, non soggette a speciale approvazione, divengono esecutive dopo la pubblicazione nell’albo pretorio e l’invio al prefetto, che dovrà essere effettuato entro otto giorni dalla data delle deliberazioni stesse.

«È data facoltà al prefetto di pronunciarne l’annullamento per motivi di legittimità, entro venti giorni dal ricevimento».

A questo articolo sono stati presentati diversi emendamenti. Il primo è quello dell’onorevole Mannironi, che propone la soppressione dell’articolo.

Ella insiste, onorevole Mannironi?

MANNIRONI. Non insisto.

PRESIDENTE. Sta bene. Segue l’emendamento dell’onorevole Perassi:

Sostituirlo col seguente:

L’articolo 2 del decreto legislativo luogotenenziale 17 novembre 1944, n. 426, è abrogato.

CARBONI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARBONI, Relatore. Poiché l’onorevole Perassi non è presente, dichiaro che la Commissione fa proprio l’emendamento.

PRESIDENTE. Sta bene.

Segue l’emendamento degli onorevoli Castelli Avolio, Stella, Tambroni, Tozzi Condivi, Cremaschi Carlo, Bubbio, Guerrieri Filippo, Belotti.

Sostituirlo col seguente:

L’articolo 2 del decreto legislativo luogotenenziale 17 novembre 1944, n. 426, è abrogato e sostituito dal seguente:

«Le deliberazioni dell’Amministrazione comunale, non soggette a speciale approvazione, divengono esecutive dopo la pubblicazione per quindici giorni all’albo pretorio e l’invio al prefetto, che dovrà essere effettuato entro otto giorni dalla data delle deliberazioni stesse.

«Nel caso di urgenza, le deliberazioni possono essere dichiarate immediatamente eseguibili col voto espresso di due terzi dei componenti l’Amministrazione.

«Entro dieci giorni dal ricevimento, il prefetto deve pronunciare l’annullamento delle deliberazioni che ritenga illegittime.

«Nel caso di mancato invio delle deliberazioni al prefetto nel termine stabilito nel primo comma del presente articolo, le medesime s’intendono decadute.

Chiedo all’onorevole Castelli Avolio se mantiene questo emendamento.

CASTELLI AVOLIO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Qual è il parere della Commissione?

CARBONI, Relatore. Desidero fare delle dichiarazioni che forse indurranno l’onorevole Castelli Avolio a non insistere nel suo emendamento. Nel decreto legislativo 17 novembre 1944 che disciplina l’amministrazione comunale di Roma, è stabilito che per tutto quello che non è disciplinato dal decreto stesso, si applicano all’amministrazione comunale di Roma le disposizioni della legge comunale e provinciale. Quindi l’articolo 3, approvato dall’Assemblea sulla base dell’emendamento dell’onorevole Castelli Avolio per i comuni in genere, si applica automaticamente anche al comune di Roma, senza bisogno di ripetere per questo la norma già deliberata. Per questa ragione soltanto prego l’onorevole Castelli Avolio di non insistere nel suo emendamento, che diventa superfluo.

CASTELLI AVOLIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CASTELLI AVOLIO. Nell’articolo 19 sono inserite le disposizioni che regolano il controllo di legittimità pel comune di Roma. Col decreto legislativo luogotenenziale 17 novembre 1944 vennero emanate le disposizioni speciali per il comune di Roma, l’ex Governatorato. Noi abbiamo così un unico contesto legislativo. Vero è che, per quanto non è contemplato in questo decreto, si applicano le altre disposizioni della legge comunale e provinciale. È vero anche che abbiamo sostituito il sistema dei controlli con l’articolo 3 e con l’articolo 11 del nostro progetto; però ritengo che, siccome abbiamo per Roma un contesto unico di disposizioni e il sistema dei controlli fa parte del complesso delle disposizioni più importanti, sia opportuno riprodurre espressamente la disposizione, così come già era nelle intenzioni della stessa Commissione. Probabilmente non guasterebbe che ci fosse la disposizione espressa e non si dovesse ricorrere ad un rinvio al testo della legge comunale e provinciale.

PRESIDENTE. Qual è il pensiero del Governo?

SCELBA, Ministro dell’interno. Non si tratta di un contrasto sostanziale, ma di una semplice questione di forma. L’onorevole Castelli Avolio desidera che la disposizione sia espressamente posta nella legge, mentre il Relatore ritiene che questa disposizione non sia strettamente necessaria. Io potrei concordare col Relatore perché anche a me sembra superfluo; comunque mi rimetto all’Assemblea.

CASTELLI AVOLIO. Allora rinuncio all’emendamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Mazzei ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il primo e il secondo comma col seguente:

«Il prefetto è il rappresentante del potere esecutivo nella provincia».

L’onorevole Colitto ha proposto il seguente emendamento:

«Sostituire alle parole: È data facoltà al prefetto di pronunciarne, le altre: Il prefetto può pronunciarne.

Infine L’onorevole Costa ha proposto il seguente emendamento:

«Aggiungere il seguente comma:

«Le rispettive competenze del Consiglio comunale e della Giunta comunale sono regolate dal regio decreto 30 dicembre 1923, n. 2839».

Non essendo presenti gli onorevoli Mazzei, Colitto c Costa, gli emendamenti si intendono decaduti.

Pongo ai voti l’emendamento Perassi, fatto proprio dal Relatore:

«Sostituire l’articolo 19 col seguente:

«L’articolo 2 del decreto legislativo luogotenenziale 17 novembre 1944, n. 426, è abrogato».

(È approvato l’articolo 19 così modificato).

Passiamo ora all’esame degli articoli aggiuntivi.

Il primo è quello, presentato dall’onorevole Zotta:

Premettere all’articolo 1 il seguente articolo:

«Il quinto comma dell’articolo 19 del testo unico della legge comunale e provinciale, approvato con regio decreto 3 marzo 1934, n. 383, è abrogato e sostituito dal seguente:

«In caso di urgenza il prefetto fa i provvedimenti, che crede indispensabili, nei diversi rami di servizio».

Onorevole Zotta, ella lo mantiene?

ZOTTA. Lo ritiro e desidero dichiarare che ho preso atto delle dichiarazioni dell’onorevole Ministro, il quale ha riconosciuto la pericolosità dell’articolo 19; e faccio affidamento appunto in una prossima revisione organica di tutta la materia. L’onorevole Ministro ha, d’altronde, assicurato che, allo stato attuale, non si fa cattivo uso. dell’articolo 19, a seguito di una sua circolare. Prendo atto di ciò e soprattutto mi compiaccio del fatto che anche le leggi cattive diventino buone, quando vi sono persone di buona volontà.

PRESIDENTE. Sta bene. Gli onorevoli Lami Starnuti, Gullo Rocco, Rossi Paolo, Persico, Morini, avevano presentato i seguenti articoli aggiuntivi che, nella seduta antimeridiana del 22 scorso, l’onorevole Lami Starnuti dichiarò di ritirare:

«Nei comuni capoluoghi di provincia o con popolazione superiore ai 30.000 abitanti, il Consiglio comunale nella sessione di primavera nomina, scegliendola fra i consiglieri estranei alla Giunta municipale, la Commissione del bilancio, alla quale spetta la revisione e l’approvazione dei conti per l’anno corrente.

«La Commissione è composta di 7 membri nei comuni, la cui popolazione non supera i 60.000 abitanti e di 9 nei comuni con popolazione superiore.

«Per la nomina della Commissione del bilancio ogni consigliere potrà votare non più di 5, 7 nomi.

«La relazione e le decisioni della Commissione del bilancio saranno comunicate al Consiglio comunale e potranno essere oggetto di discussione da parte del Consiglio medesimo».

Art. …

«II segretario comunale è nominato dal Consiglio comunale o dall’Assemblea consorziale con l’intervento della maggioranza assoluta dei componenti e acquista carattere di stabilità dopo un quadriennio di esperimento.

«I segretari attualmente in carica passano di diritto alle dipendenze delle amministrazioni comunali. Il trattamento e i diritti da loro acquisiti sono mantenuti e rispettati.

«Sono richiamati in vigore gli articoli dal 161 al 169 inclusi del testo unico 4 febbraio 1915, n. 148, e sono abrogate tutte le disposizioni di legge incompatibili o contrarie alla presente».

L’onorevole Mazzei ha proposto di sopprimere il comma quinto nell’articolo 19 del testo unico 1934.

Non essendo egli presente, l’emendamento s’intende decaduto.

Segue l’articolo aggiuntivo presentato dall’onorevole Persico:

È richiamato in vigore l’articolo 140 del testo unico 4 febbraio 1915, n. 148:

«La Giunta prende sotto la sua responsabilità le deliberazioni che altrimenti spetterebbero al Consiglio, quando l’urgenza sia tale da non permetterne la convocazione, e sia dovuta a causa nuova e posteriore all’ultima adunanza consigliare.

Di queste deliberazioni è data immediata comunicazione al prefetto e ne è fatta relazione al Consiglio nella sua prima adunanza, al fine di ottenerne la ratifica.

Ad esse sono applicabili le disposizioni relative alla pubblicazione nell’albo».

Prego l’onorevole Persico di dichiarare se lo mantiene.

PERSICO. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Sta bene. Segue un altro articolo aggiuntivo presentato dall’onorevole Persico:

Il presidente della Deputazione provinciale prende sotto la sua responsabilità le deliberazioni, che altrimenti spetterebbero alla Deputazione, quando l’urgenza sia tale da non permettere la convocazione della Deputazione stessa e sia dovuta a causa nuova e posteriore all’ultima adunanza.

Di queste speciali deliberazioni è fatta relazione dal presidente alla prima adunanza della Deputazione al fine di ottenere la ratifica.

Ad esse sono applicabili le disposizioni relative alla pubblicazione nell’albo.

Prego l’onorevole Persico di dichiarare se lo mantiene.

PERSICO. Ritiro anche questo.

PRESIDENTE. Sta bene. Segue un articolo aggiuntivo presentato dallo stesso onorevole Persico:

È richiamato in vigore l’articolo 62 del testo unico 3 marzo 1934, n. 383, con l’aggiunta dell’ultimo capoverso:

«Ogni comune deve avere un albo pretorio per la pubblicazione delle deliberazioni, delle ordinanze, dei manifesti e degli atti che devono essere portati a conoscenza del pubblico.

Le deliberazioni del Consiglio comunale devono essere pubblicate almeno per estratto contenente il riassunto della parte narrativa e l’integrale parte dispositiva mediante affissione all’albo pretorio nel primo giorno festivo o di mercato successivo alla loro data.

I regolamenti comunali, dopo intervenuta la prescritta approvazione, devono essere pubblicati all’albo pretorio per quindici giorni consecutivi.

II    segretario comunale è responsabile delle pubblicazioni.

Ciascun contribuente del comune può aver copia integrale di tutte le deliberazioni del Consiglio comunale e della Giunta municipale previo pagamento dei relativi diritti di segreteria.

La raccolta dei regolamenti comunali e delle relative tariffe deve essere tenuta a disposizione del pubblico perché possa prenderne cognizione.

Ogni contribuente ha diritto di richiedere ed ottenere copia dei regolamenti comunali e relative tariffe previo pagamento dei diritti di segreteria».

Prego l’onorevole Persico di dichiarare se lo mantiene.

PERSICO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Prego la Commissione e il Governo di pronunziarsi al riguardo.

CARBONI, Relatore. La Commissione lo accetta.

SCELBA, Ministro dell’interno. Lo accetta anche il Governo.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo aggiuntivo accettato dalla Commissione e dal Governo.

(È approvato).

Segue un altro articolo aggiuntivo presentato dall’onorevole Persico:

È richiamato in vigore l’articolo 131 del testo unico 3 marzo 1934, n. 383:

«Ogni provincia deve avere un albo pretorio per la pubblicazione delle deliberazioni e degli altri atti che devono essere portati a cognizione del pubblico.

Le deliberazioni delle Deputazioni provinciali, tranne quelle relative alla mera esecuzione di provvedimenti già deliberati ed approvati nelle forme di legge, devono essere pubblicate, almeno per estratto contenente la parte dispositiva, mediante affissione all’albo pretorio nel primo giorno festivo o di mercato successivo alla loro data.

I regolamenti provinciali, dopo intervenuta la prescritta approvazione, devono essere pubblicati all’albo pretorio per quindici giorni consecutivi.

Il segretario provinciale è responsabile delle pubblicazioni.

I contribuenti, ed in genere qualsiasi interessato, possono avere copia integrale delle deliberazioni e dei regolamenti, previo pagamento dei relativi diritti.

La raccolta dei regolamenti provinciali e delle relative tariffe deve essere tenuta dall’ufficio provinciale a disposizione del pubblico, perché possa prenderne cognizione».

L’onorevole Persico lo mantiene?

PERSICO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Qual è il parere della Commissione e del Governo?

CARBONI, Relatore. La Commissione lo accetta.

SCELBA, Ministro dell’interno. Il Governo lo accetta.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo aggiuntivo accettato dalla Commissione e dal Governo.

(È approvato).

Segue un altro articolo aggiuntivo presentato dall’onorevole Persico:

È richiamato in vigore l’articolo 225 del testo unico 4 febbraio 1915, n. 148:

«Ciascun contribuente può, a suo rischio e pericolo, con l’autorizzazione della Giunta provinciale amministrativa, far valere azioni che spettino al comune o ad una frazione del comune.

La Giunta, prima di concedere l’autorizzazione, sente il Consiglio comunale, e, quando la concede, il magistrato ordina al comune di intervenire in giudizio. In caso di soccombenza, le spese sono sempre a carico di chi promosse l’azione.

Quando una frazione di comune avesse da far valere un’azione contro il comune o contro altra frazione del comune, la Giunta provinciale amministrativa, sull’istanza almeno di un decimo degli elettori spettanti a quella frazione, può nominare una Commissione di tre o di cinque elettori per rappresentare la frazione stessa».

Onorevole Persico, lo mantiene?

PERSICO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. La Commissione lo accetta?

CARBONI, Relatore. Anche questo terzo articolo aggiuntivo dell’onorevole Persico è stato accettato dalla Commissione; e ne dissi le ragioni in una precedente seduta.

PRESIDENTE. Il Governo lo accetta?

SCELBA, Ministro dell’interno. Il Governo lo accetta.

PRESIDENTE. Metto in votazione l’articolo aggiuntivo accettato dal Governo e dalla Commissione.

(È approvato).

Segue un altro articolo aggiuntivo presentato dall’onorevole Persico:

Gli articoli 40 e 114 del testo unico 3 marzo 1934, n. 383; e 3 del decreto legislativo luogotenenziale 17 novembre 1944, n. 426, sono abrogati e sostituiti dal seguente:

«Al sindaco, agli assessori, al presidente della Deputazione provinciale, al vicepresidente della Deputazione stessa, qualora sia stato nominato, ed ai componenti di essa sarà assegnata una indennità mensile di carica gravante sul bilancio rispettivamente del comune e della provincia e dell’importo che sarà fissato con deliberazione dei rispettivi Consigli.

Spetta ai Consiglieri comunali e provinciali, per ogni seduta del rispettivo Consiglio alla quale prenderanno parte, una medaglia di presenza, dell’importo che verrà fissato dai Consigli stessi».

Onorevole Persico, lo mantiene?

PERSICO. Dopo le dichiarazioni dell’onorevole Ministro dell’interno, che ha promesso di presentare una legge ad hoc, lo trasformo in raccomandazione.

PRESIDENTE. Segue un altro articolo aggiuntivo presentato dall’onorevole Persico:

«Il Governo è autorizzato a riunire e coordinare in testo unico, entro tre mesi dall’entrata in vigore della presente legge, le disposizioni in essa contenute con quelle della legge comunale e provinciale, testo unico approvato con regio decreto 3 marzo 1934, n. 383, con le leggi successive che l’hanno modificata e con le altre leggi che vi abbiano attinenza.

«Entro lo stesso termine il Governo provvederà a pubblicare il Regolamento di esecuzione del nuovo testo unico della legge comunale e provinciale».

Qual è il parere della Commissione?

CARBONI, Relatore. Pare alla Commissione che non sia il momento per un coordinamento. Questa legge avrà breve durata: questa è la speranza di tutti noi. Quindi, la formazione di un nuovo testo unico, che forse non troverà neppure il tempo per l’applicazione, non appare opportuna.

PRESIDENTE. Qual è il parere del Governo?

SCELBA, Ministro dell’interno. Il Governo potrebbe accettarlo; ma sarà una realtà piuttosto platonica. Si associa quindi alla Commissione.

PRESIDENTE. Onorevole Persico, lei insiste nel suo articolo?

PERSICO. No, lo ritiro.

PRESIDENTE. Segue un altro articolo aggiuntivo presentato dall’onorevole Persico:

L’articolo 9 del regio decreto-legge 4 aprile 1944, n. 111, è abrogato e sostituito dal seguente:

«La Giunta provinciale amministrativa si compone del prefetto, o di chi ne fa le veci, che la presiede, dell’intendente di finanza, di due consiglieri di Prefettura e due supplenti, designati al principio di ogni anno dal Prefetto, del ragioniere capo della Prefettura, di sei membri effettivi e tre supplenti, scelti fra persone esperte in materia giuridica, amministrativa e tecnica e nominati con deliberazione della Deputazione provinciale, approvata dal prefetto.

«Il prefetto, il ragioniere capo della Prefettura, l’intendente di finanza designano rispettivamente come supplenti un viceprefetto o un consigliere di Prefettura, un funzionario di ragioneria della Prefettura e un funzionario dell’intendenza.

«I supplenti non intervengono alle sedute della Giunta, se non quando mancano i membri effettivi della rispettiva categoria.

«Per la validità delle deliberazioni della Giunta in sede amministrativa è sufficiente l’intervento di sei membri. A parità di voti prevale il voto del presidente».

Onorevole Persico, lo mantiene?

PERSICO. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Segue un articolo aggiuntivo presentato dall’onorevole Camangi:

L’articolo 195 della legge 27 giugno 1942, n. 851, è abrogato e sostituito dal seguente:

«Per l’assegnazione o il trasferimento di sede dei segretari comunali e provinciali il Ministro per l’interno provvederà su richiesta o previo parere favorevole delle Amministrazioni interessate».

L’onorevole Camangi ha facoltà di svolgere il suo emendamento,

CAMANGI. Io mi rendo conto della impostazione di massima e del carattere limitato che si è voluto dare a questa legge. Comunque insisto sul mio articolo aggiuntivo, perché credo che con esso si venga ad ovviare ai molti inconvenienti che si sono verificati e si verificano a proposito di trasferimenti ed assegnazioni dei Segretari comunali, rimediando sia pure in via transitoria e senza modificare in niente, per ora, lo stato giuridico dei segretari comunali. Si stabilisce soltanto, con questo mio articolo, l’obbligo da parte del Ministero dell’interno di provvedere ai trasferimenti od alle assegnazioni predette, o su richiesta dell’amministrazione comunale, o comunque sentito il parere dell’amministrazione interessata.

Si metteranno così le amministrazioni nella condizione di poter esprimere, almeno in parte, la loro opinione su un provvedimento che è fondamentale per la loro vita, perché evidentemente il Segretario comunale rappresenta il funzionario più importante della amministrazione. Mi pare che questo sia il minimo che, in attesa del meglio, si possa chiedere in questo momento.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Relatore di esprimere il parere della Commissione.

CARBONI, Relatore. In una precedente seduta venne esaminata la questione dei segretari comunali e si disse che non sembrava opportuno risolvere ora il problema. Perciò l’onorevole Lami Starnuti ritirò il suo emendamento.

Oggi l’onorevole Camangi propone un emendamento che, così com’è proposto, non può essere accettato. In esso si dice che per l’assegnazione o il trasferimento occorre la previa richiesta od il previo parere favorevole dell’amministrazione. Richiedere il previo parere favorevole dell’amministrazione interessata significa subordinare il trasferimento o l’assegnazione alla volontà della amministrazione, cioè mettere nel nulla la legge attualmente vigente.

La Commissione potrebbe accettare l’emendamento, qualora venisse soppressa la parola «favorevole», con che si darebbe al parere un carattere non impegnativo.

PRESIDENTE. Chiedo al Governo di esprimere il proprio parere al riguardo.

SCELBA, Ministro dell’interno. Siamo tutti consci della necessità di risolvere al più presto possibile il problema riguardante i segretari comunali, ed il Ministero dell’interno sente questa necessità, perché si trova spesso di fronte a resistenze da parte delle amministrazioni comunali a questo riguardo; ma ritengo che questo problema, che è stato già affrontato, e che l’Assemblea è stata concorde nel rinviare, non può essere riportato di straforo attraverso l’emendamento dell’onorevole Camangi.

Concordo col Relatore, nel senso che qualche cosa possiamo fare, ma non possiamo esprimere parere decisamente favorevole a questo riguardo. Comunque, se l’onorevole Camangi intende sopprimere la parola «favorevole», sono disposto ad approvare l’emendamento, nel senso che il Ministero dell’interno sentirà il parere, prima di procedere a queste nomine, dell’amministrazione interessata, ma senza che questa debba rappresentare una procedura vincolante per il Governo.

PRESIDENTE. Onorevole Camangi, ella accetta la modifica proposta dal Relatore?

CAMANGI. Accetto di togliere la parola «favorevole».

PRESIDENTE. Metto allora ai voti l’articolo aggiuntivo Camangi così modificato:

«L’articolo 195 della legge 27 giugno 1942, n. 851, è abrogato e sostituito dal seguente:

«Per l’assegnazione o il trasferimento di sede dei segretari comunali e provinciali il Ministro per l’interno provvederà su richiesta o previo parere delle Amministrazioni interessate».

Passiamo ora all’articolo aggiuntivo presentato dagli onorevoli Numeroso, Rodinò Ugo, De Michele:

«Le attribuzioni ed il funzionamento dei Consigli e delle Giunte comunali sono regolati dal testo unico della legge comunale e provinciale, approvata con regio decreto 4 febbraio 1915, n. 148, e dalle modifiche contenute nel regio decreto 30 dicembre 1923, n. 2839».

Avverto che gli onorevoli Costa e Fedeli, hanno presentato il seguente articolo aggiuntivo:

«Le attribuzioni ed il funzionamento dei Consigli e delle Giunte comunali sono regolati dal testo unico della legge comunale e provinciale approvata con regio decreto 4 febbraio. 1915, n. 148, quale modificato dal regio decreto 30 dicembre 1923, n. 2839, sostituendosi nell’articolo 25, n. 1, di quest’ultimo, alle parole «che non eccedano il valore di lire 5.000» le parole «che non eccedano la competenza del Pretore».

Invito l’onorevole Relatore a esprimere il pensiero della Commissione.

CARBONI, Relatore. La Commissione accetta l’articolo aggiuntivo proposto dagli onorevoli. Numeroso, Rodinò Ugo, De Michele, e l’emendamento proposto dagli onorevoli Costa e Fedeli.

PRESIDENTE. Invito il Governo a esprimere il suo parere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Accetto gli emendamenti nella sostanza. Proporrei, però, che l’emendamento Costa-Fedeli fosse formulato in un articolo aggiuntivo del seguente tenore: «All’articolo 25, n. 1, del regio decreto 30 dicembre 1923, n. 2839, alle parole: «Che non eccedono il valore di lire 5000», sono sostituite le altre: «che non eccedano la competenza del pretore».

PRESIDENTE. L’onorevole Fedeli accetta la proposta dell’onorevole Ministro dell’interno?

FEDELI. Aderiamo alla proposta dell’onorevole Ministro.

PRESIDENTE. Metto in votazione l’articolo aggiuntivo proposto dagli onorevoli Numeroso, Rodinò Ugo, De Michele, accettato dalla Commissione e dal Governo.

(È approvato).

Metto in votazione l’articolo aggiuntivo proposto dagli onorevoli Costa e Fedeli, nella formulazione dell’onorevole Ministro dell’interno:

«All’articolo 25, n. 1, del regio decreto 30 dicembre 1923, n. 2839, alle parole «che non eccedano il valore di lire 5000», sono sostituite le altre: «che non eccedano la competenza del pretore».

(È approvato).

Segue altro articolo aggiuntivo proposto dagli onorevoli Cosattini, Grazia, Costantini, Zanardi, Fedeli Aldo, Faccio, Piemonte, Fietta, Tonello, Luisetti, Merighi, Cairo, Costa:

«I comuni possono nei modi stabiliti dal testo unico delle leggi sull’assunzione diretta dei pubblici servizi 15 ottobre 1925, n. 2378, assumere l’impianto e l’esercizio di farmacie.

«L’autorizzazione prefettizia, ferme le disposizioni sanitarie sull’esercizio delle farmacie, sarà data in deroga alle limitazioni previste dall’articolo 104 all’articolo 118 del testo unico 27 luglio 1943, n. 1265, delle leggi sanitarie.

«Il numero di dette farmacie e le modalità di apertura saranno sottoposte all’approvazione prefettizia sentito il Consiglio provinciale di sanità».

Chiedo il parere della Commissione.

CARBONI, Relatore. La Commissione accetta l’articolo aggiuntivo a complemento dell’emendamento Cosattini già approvato in precedente seduta.

Qualche dubbio potrebbe sorgere sull’opportunità del richiamo agli articoli dal 104 al 118 della legge sanitaria, dato che alcuni di essi, più che vere e proprie limitazioni, stabiliscono delle condizioni relative al modo di esercizio ed anche norme di carattere patrimoniale, ma la Commissione crede che, poiché nell’articolo aggiuntivo si parla di deroga alle limitazioni, la formulazione possa ritenersi sodisfacente, in quanto che, così dicendo, gli articoli dal 104 al 118 s’intendono derogati solo relativamente alle limitazioni stabilite per l’apertura di farmacie e non pure per le norme dettate a garanzia del buon funzionamento, che dovranno essere osservate, soprattutto nell’interesse della sanità pubblica.

Con questo chiarimento la Commissione aderisce all’articolo aggiuntivo proposto dall’onorevole Cosattini.

PRESIDENTE. Comunico che gli onorevoli Molinelli, Dozza, Platone, Bardini, Rossi Giuseppe, Colombi Arturo, Montagnana Rita, Cremaschi Olindo, Fantuzzi, Flecchia hanno presentato il seguente articolo aggiuntivo riguardante la stessa materia:

«I comuni possono, nei modi stabiliti dal testo unico delle leggi sull’assunzione diretta dei pubblici servizi 15 ottobre 1925, n. 2578, assumere l’impianto e l’esercizio di farmacie.

«L’autorizzazione prefettizia, ferme le disposizioni sanitarie sull’esercizio delle farmacie, sarà data, sentito il Consiglio provinciale di sanità, in deroga alle limitazioni di numero e di ubicazione previste dall’articolo 104 del testo unico 27 luglio 1934, n. 1265, delle leggi sanitarie».

Penso che sia necessario concordare questi due articoli aggiuntivi.

MOLINELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MOLINELLI. Se permette il Presidente desidererei chiarire perché abbiamo presentato il secondo emendamento. Siccome l’onorevole Cosattini poco fa non era presente quando il Relatore mi faceva le obiezioni all’articolo successivo al 104, ho pensato che, dato che si parlava di limitazioni nel senso di numero e ubicazione, bastavano i limiti del 104. Se l’onorevole Cosattini dà ragione del suo emendamento, il mio non ha ragion di essere.

COSATTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSATTINI. Conservo la dizione del mio emendamento, perché nell’articolo successivo al 104 vi sono anche disposizioni in ordine alle modalità di concorso e quindi questa limitazione esclude che la deroga debba essere concepita anche in questo caso.

L’ispettore superiore della Sanità ha dichiarato di accettarlo, anzi domandava qualche cosa di più, cioè che fosse fatto obbligo a tutti i comuni di aprire delle farmacie.

PRESIDENTE. Onorevole Molinelli, dopo questi chiarimenti mantiene l’emendamento?

MOLINELLI. Lo ritiriamo e aderiamo a quello Cosattini.

PRESIDENTE. Qual è il parere del Governo sull’emendamento Cosattini?

SCELBA, Ministro dell’interno. Dichiaro di non poter accettare l’articolo aggiuntivo Cosattini per le ragioni esposte in occasione dell’approvazione dell’altro emendamento. L’onorevole Cosattini ha ritenuto opportuno sentire il parere dell’ispettore di Sanità, ma mi pare che avrebbe fatto cosa gradita chiedendo il parere del Ministro dell’interno, perché è il Governo che deve assumere le sue responsabilità in questa materia. Quindi, io non mi sento in questo momento di risolvere un problema di così fondamentale importanza. Siccome viene presentato il testo di questo articolo aggiuntivo dopo che la legge è stata approvata in tutti i suoi articoli, dichiaro di non poterlo accettare.

COSATTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSATTINI. Tre giorni or sono parlai con l’ispettore superiore di Sanità, il quale mi assicurò che avrebbe comunicato al Ministro il testo dell’articolo aggiuntivo. Se questo non è avvenuto, non dipende da me.

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Desidero dichiarare che voterò a favore, anche perché all’emendamento Cosatimi ho apposto la mia firma; ma voglio fare osservare al Ministro dell’interno che la questione è stata già dibattuta ed approvata dall’Assemblea in sede di deliberazioni che vanno sottoposte al parere della Giunta provinciale amministrativa. Quindi, noi adesso avremmo nella legge un moncone, che non ha pratica attuazione, in quanto manca l’affermazione del diritto. L’Assemblea si è già manifestata in proposito, quindi oggi sarebbe strano che votasse in modo diverso.

Piuttosto vorrei aggiungere, al secondo comma dell’articolo aggiuntivo, dopo le parole: «sull’esercizio delle farmacie» le parole: «in quanto occorra».

PRESIDENTE. L’onorevole Cosattini aderisce a questa aggiunta?

COSATTINI. Aderisco.

PRESIDENTE. Procediamo alla votazione dell’emendamento aggiuntivo accettato dalla Commissione e non accettato dal Governo.

CARBONI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARBONI, Relatore. Tengo a chiarire che non ho avuto e non ho modo di consultare la Commissione; perciò quanto ho detto poco fa esprime la mia opinione personale.

CINGOLANI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CINGOLANI. Noi di questa parte dell’Assemblea voteremo contro l’emendamento, non per la sua sostanza, alla quale potremmo anche aderire, ma per un senso di responsabilità e di solidarietà dopo le dichiarazioni del Ministro dell’interno.

CHIOSTERGI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CHIOSTERGI. Noi voteremo a favore dell’emendamento per la semplice ragione che già c’è un voto dell’Assemblea, e per il fatto che il Governo non ne fa una questione di prestigio.

PRESIDENTE. Pongo ai voti l’articolo aggiuntivo nel seguente testo:

«I comuni possono nei modi stabiliti dal testo unico delle leggi sull’assunzione diretta dei pubblici servizi 15 ottobre 1925, n. 2378, assumere l’impianto e l’esercizio di farmacie.

«L’autorizzazione prefettizia, ferme le disposizioni sanitarie sull’esercizio delle farmacie, sarà data, in quanto occorra, in deroga alle limitazioni previste dall’articolo 104 all’articolo 118 del testo unico 27 luglio 1943, n. 1265, delle leggi sanitarie.

«Il numero di dette farmacie e le modalità di apertura saranno sottoposte all’approvazione prefettizia sentito il Consiglio provinciale di sanità».

(È approvato).

Pongo ai voti l’articolo 20, ultimo del disegno di legge:

«La presente legge entrerà in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale».

(È approvato).

Propongo ora, che l’Assemblea autorizzi l’Ufficio di presidenza a coordinare il testo del disegno di legge testé approvato.

Pongo ai voti tale proposta.

(È approvata).

Propongo che la votazione a scrutinio segreto di questo disegno di legge sia effettuata nella seduta pomeridiana.

(Così rimane stabilito).

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Sono state presentate alcune interrogazioni con richiesta di urgenza.

La prima è quella degli onorevoli Mariani, Buffoni, Vernocchi, De Michelis, Pressinotti e Jacometti:

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’interno, per sapere se rispondano a verità le notizie diffuse dai giornali circa una pubblica sfacciata manifestazione fascista, che avrebbe avuto luogo a Palermo per iniziativa di un membro dell’Assemblea Costituente; e, in caso affermativo, se non credano doveroso assicurare il Paese, già profondamente turbato per altre consimili manifestazioni, che interverranno col rigore della legge contro tutti i nostalgici e gli apologeti del passato regime».

Chiedo al Governo quando intende rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Il Governo risponderà domani, abbinando l’interrogazione con quella analoga dell’onorevole Li Causi.

PRESIDENTE. È stata presentata la seguente altra interrogazione dall’onorevole Marinaro:

«Al Ministro delle finanze e del tesoro, sulla opportunità di un immediato intervento del Governo per evitare lo sciopero che il personale della Banca d’Italia, con l’appoggio della Confederazione generale del lavoro, ha deciso di attuare da sabato 29 marzo. Tale intervento, specialmente se diretto a superare la tenace resistenza del Governatore della Banca alle richieste del personale, che ha dato sempre prova di grande disciplina, in un costante proficuo lavoro, eviterebbe un sicuro e pericoloso perturbamento della vita economica del Paese».

Chiedo al Governo quando intende rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. L’interrogazione si riferisce ad un problema attualmente all’esame del Governo, il quale si riserva di precisare quando risponderà.

PRESIDENTE. Segue la interrogazione degli onorevoli Gullo Rocco, Cevolotto, Lombardi Riccardo e Lombardo Ivan Matteo:

«Al Ministro dell’interno per conoscere se è vero quanto è stato riferito dalla stampa in ordine al sequestro del giornale La Nazione Italiana. E cioè che l’autorizzazione alla pubblicazione – già concessa all’editore – fu revocata alla vigilia della pubblicazione con decreto del prefetto di Firenze; che contro tale decreto fu prodotto ricorso, accolto in seguito dal Consiglio di Stato, e che la relativa decisione fu notificata al prefetto prima che questi emettesse il provvedimento di sequestro, che apparirebbe perciò del tutto illegale.

«Poiché il fatto può dare l’impressione – che gli interroganti si augurano erronea – di una violazione dei diritti comuni del cittadino e della libertà di stampa, si chiede la risposta d’urgenza».

Chiedo al Governo quando intende rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Il Governo risponderà nella prossima seduta antimeridiana.

PRESIDENTE. Segue la interrogazione dell’onorevole Perrone Capano:

«Ai Ministri dell’interno, dei lavori pubblici e dell’agricoltura e foreste, sui recenti incidenti di Bari e provincia e sui motivi per i quali si indugia nella impostazione e nella attuazione di un organico piano di lavori pubblici e di distribuzione della mano d’opera per la Regione pugliese, che potrebbe sollevare sotto ogni aspetto quelle province».

Chiedo al Governo quando intende rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Interesserò gli altri Ministri interrogati per concordare il giorno in cui dare la risposta.

PRESIDENTE. Due interrogazioni con richiesta d’urgenza, sono state presentate dall’onorevole Persico:

«Al Ministro dell’interno, per sapere per quali inammissibili e inconfessate ragioni l’autorità di pubblica sicurezza di Roma non dia corso alla escarcerazione di un suddito straniero (il giornalista Krivoshein) prosciolto in istruttoria fin dal 25 marzo dal giudice istruttore di Roma e che dopo 120 giorni di ingiustificata e tormentosa prigionia avrebbe dovuto essere immediatamente rimesso in libertà».

«Al Ministro dei lavori pubblici, per conoscere quali provvedimenti intenda prendere per assicurare il maggiore incremento possibile all’attività dell’Ente UNRRA-CASAS in vista dell’imminente ripresa stagionale dei lavori edilizi».

Chiedo al Governo quando intende rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Il Governo si riserva di rispondere, dopo assunte le informazioni del caso, alla prima interrogazione.

Quanto alla seconda interrogazione, assicuro che il Governo risponderà in una delle prossime sedute, abbinandola con quella già presentata sul medesimo argomento dall’onorevole Dugoni.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«La sottoscritta chiede d’interrogare il Ministro degli affari esteri, per sapere se agli insegnanti all’estero, internati nei campi di concentramento per non aver voluto aderire alla Repubblica di Salò, non debba essere considerato come servizio attivo, agli effetti delle competenze loro dovute (stipendi, assegni di sede, ecc.), il tempo passato in detti campi di concentramento.

«Federici Maria».

«I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri degli affari esteri e della difesa, sulla situazione al confine orientale: per conoscere se è vero che sono in corso intorno a Gorizia ammassamenti di truppe slave e che si succedono dichiarazioni minacciose contro gli italiani della Venezia Giulia e del Friuli per il tempo in cui gli alleati avranno lasciata Trieste e la cosiddetta zona A e per sapere inoltre se, in vista di ciò, il Governo ha predisposta la necessaria azione diplomatica e le misure precauzionali del caso.

«Perrone Capano, Badini Confalonieri, Lucifero».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dell’industria e commercio e delle finanze e tesoro, per conoscere:

  1. a) quale politica è stata seguita dalla liberazione in poi nei riguardi delle imprese statali in generale e dell’I.R.I. in particolare;
  2. b) se sia vero che il Governo intenda seguire nei riguardi dell’I.R.I. una politica tale da costringerlo a procedere a smobilizzi;
  3. c) quale politica. il Governo intende seguire nel futuro nei confronti delle imprese dipendenti o collegate all’I.R.I. e come intenda attuare tale politica.

«Zagari».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per conoscere se, a seguito delle conformi proposte presentate dal Comando piemontese del movimento partigiano, non si ravvisi doveroso sollecitare la concessione di ricompensa al valore alla città di Alba, che durante la lunga ed aspra lotta combattuta nelle sue mura e nella regione, con i sanguinosi eroismi dei suoi partigiani e con i sacrifici di ogni specie dei suoi abitanti, senza distinzione di ideale politico e di grado sociale, ha affermato la sua fede nella libertà e nella giustizia.

«Bubbio».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere se non si ravvisi la necessità di idonee provvidenze per aiutare concretamente la ricostituzione dei vigneti fìllosserati da parte specialmente dei piccoli proprietari diretti coltivatori, che non possono usufruire del decreto legislativo 1° luglio 1946, n. 31, in quanto prescrive l’esecuzione dei lavori a mezzo salariati da assumersi per tramite degli uffici di collocamento.

«Bubbio».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dell’agricoltura e foreste e della marina mercantile, per conoscere se non ritengano doveroso vietare che enti locali ed associazioni si arroghino il potere di riscuotere contributi, mediante trattenute percentuali praticate dalle Casse dei mercati all’ingrosso del pesce e gravanti su tutta la produzione peschereccia.

«Si fa presente che la vigente legislazione fissa in modo tassativo i diritti al mercato, che possono essere riscossi, e la loro misura massima, escludendo che mediante detta Cassa si possano imporre trattenute di altro genere, che non hanno attinenza ai servizi dei mercati.

«Si indica il caso del mercato del pesce di San Benedetto del Tronto, ove si impone, complessivamente, una trattenuta del 7,75 per cento sull’importo del prodotto che passa da quel mercato, trovando il modo di riscuotere persino 1’1,30 per cento a favore della locale Associazione sindacale dei lavoratori della pesca ed il 0,70 per cento a favore della locale Associazione armatori di motopescherecci. Queste Associazioni usufruiscono, così, di contributi sindacali, resi arbitrariamente obbligatori e che, anziché essere a carico soltanto delle categorie professionali interessate, sono effettivamente a carico di tutti i consumatori. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Cimenti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per sapere come egli intenda provvedere nei riguardi dei dipendenti statali in servizio in Moncalieri (Torino), i quali sin dal 5 luglio 1946, a mezzo del prefetto di Torino, hanno richiesto l’applicazione dell’articolo 1 del regio decreto-legge 29 maggio 1946, n. 488, in quanto il comune di Moncalieri deve annoverarsi tra quei centri che per la loro vicinanza a comuni con popolazione superiore ai 500.000 abitanti hanno diritto alla quota di caroviveri spettante ai dipendenti statali residenti in detti maggiori comuni.

«È richiesta l’urgenza e la decorrenza del provvedimento dal 1° gennaio 1946 ad evitare lo stato di disagio creatosi nei dipendenti di comuni viciniori a Torino, dopo che con decreto del Ministro del tesoro 22 ottobre 1946, n. 3514 (Gazzetta Ufficiale n. 258) detto trattamento già fu concesso per i comuni viciniori a Milano (Rho, Monza, Sesto San Giovanni, ecc.) con siffatta decorrenza. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Badini Confalonieri».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per sapere se non ritenga opportuno emanare istruzioni per precisare quale sia l’esatta interpretazione dell’articolo 18 del regio decreto-legge 27 maggio 1946, n. 436 (Gazzetta Ufficiale n. 133, I, del 10 giugno 1946), tenuto presente che l’ufficio delle imposte di Napoli ha fatto uso di questa disposizione di legge per colpire indiscriminatamente, con l’avocazione integrale dei profitti – accertandoli, per di più, in modo arbitrario – quasi tutte le industrie di fabbricazione di liquori sorte in Napoli e provincia in seguito all’occupazione nazista dell’Italia centrale e settentrionale, che determinò l’interruzione degli scambi commerciali fra nord e sud. Tanto più che trattasi di aziende, che esercitarono ed esercitano alla luce del sole la loro normale e legittima attività industriale con regolari licenze rilasciate dagli organi competenti e con tutti i controlli stabiliti dalla legge. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Varvaro».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, sull’obbligo di leva per i figli unici di madre vedova con ferma di 18 mesi.

«Essendo il caso senza precedenti e tale da generare una grave situazione di disagio per le famiglie dei giovani chiamati alle armi, l’interrogante chiede che il problema sia preso in sollecita ed attenta considerazione e, quindi, sia emanato un provvedimento d’urgenza per il pronto ritorno in seno alle famiglie di coloro che già sono stati chiamati in servizio. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bonfantini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro delle finanze e del tesoro, per chiedere se l’assegno di accompagnamento concesso dal decreto legislativo presidenziale 11 novembre 1946, n. 408, ai soli grandi invalidi militari, che beneficiano di pensione privilegiata di guerra, non debba venire esteso a tutti gli sfortunati civili che, a causa di eventi bellici, riportarono gravi mutilazioni tanto da aver bisogno di continua assistenza, e se ad essi non debbano venir concessi anche gli altri benefici finora riservati esclusivamente ai mutilati militari, come: la riversibilità della pensione; gli assegni a favore dei figli, le agevolazioni ferroviarie. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bruni».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 13.

POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 27 MARZO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

LXXVIII.

SEDUTA POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 27 MARZO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Sul processo verbale:

La Malfa                                                                                                          

Presidente                                                                                                        

Verifica di poteri:

Presidente                                                                                                        

Grilli                                                                                                                

Bertini, Presidente della Giunta delle elezioni                                                     

Giua                                                                                                                  

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana:

Di Gloria                                                                                                          

Leone Giovanni                                                                                                

Grilli                                                                                                                

Cavallari                                                                                                        

Mastino Pietro                                                                                                

Trimarchi                                                                                                         

Nobile                                                                                                               

La seduta comincia alle 16.

AMADEI, Segretario, legge il processo verbale della seduta pomeridiana precedente.

Sul processo verbale.

LA MALFA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA. Per cause indipendenti dalla mia volontà, sono rimasto assente dalla seduta dell’altro ieri ed anche dalla lettura del processo verbale di ieri. Dichiaro che, se fossi stato presente, avrei votato contro l’articolo 7 della Costituzione.

PRESIDENTE. A questo proposito, l’onorevole Rognoni mi ha inviato un telegramma da Padova, pregandomi di comunicare che, se fosse stato presente alla seduta di martedì, avrebbe votato favorevolmente all’articolo 7 della Costituzione.

Se non vi sono altre osservazioni, il processo verbale s’intende approvato.

(È approvato).

Verifica di poteri.

PRESIDENTE. La Giunta delle elezioni, nella sua riunione di ieri, ha verificato non essere contestabili le elezioni dei Deputati: Carmelo Caristia, Orazio Condorelli e Umberto Fiore, per la circoscrizione di Catania (XXIX); e, concorrendo negli eletti i requisiti previsti dalla legge elettorale, ne ha dichiarata valida l’elezione.

Do atto alla Giunta di questa sua comunicazione, e salvo i casi di incompatibilità preesistenti e non conosciuti sino a questo momento, dichiaro convalidate queste elezioni.

GRILLI. Chiedo la parola.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRILLI. Ho una curiosità legittima che vorrei sodisfare, ed è questa: se non erro, i casi sottoposti alla Giunta delle elezioni per la provincia di Catania, erano tre. Due sono stati risolti; vorrei sapere perché non è stato risolto il terzo caso ed a che punto si trova questa procedura; vorrei anche sapere, se è lecito, quanto ci sia di vero nella notizia, pervenutami in questo momento, che due membri della Giunta delle elezioni hanno, per protesta, rassegnate le loro dimissioni.

Chiedo al Presidente che si compiaccia di interrogare il Presidente della Giunta delle elezioni.

PRESIDENTE. Onorevole Grilli, io non interrogherò il Presidente della Giunta delle elezioni, perché, se mi facessi mediatore verso di lui di queste sue richieste, mi farei esecutore di un intervento presso la Giunta delle elezioni, che né il Regolamento permette, né – e lei me lo insegna da ottimo avvocato quale è – in qualunque procedura, di fronte a qualunque magistratura, sarebbe permesso ed ammesso.

La Giunta delle elezioni è una magistratura e non è permesso porle questioni prima che essa abbia deposto, di fronte all’Assemblea, le conclusioni delle indagini sui singoli casi che essa esamina. Pertanto vorrà scusarmi se non mi faccio interprete dei suoi desideri presso la Giunta delle elezioni e se non do a nessun rappresentante della Giunta stessa la parola su questo argomento.

Posso aggiungere, tuttavia, a titolo di spiegazione che può servire ai due colleghi, che si dice – lei lo afferma – abbiano voluto o intendano presentare, in forma di protesta, le dimissioni, che, a norma del Regolamento, non sono ammesse dimissioni dalla Giunta delle elezioni, come nessun magistrato può rinunciare alla sua funzione, una volta che l’ha assunta. La Giunta delle elezioni è nominata e resta in carica con tutti i suoi membri sino alla fine del suo mandato. E, se dimissioni mi perverranno, io risponderò in questo senso ai colleghi che le presentassero.

BERTINI, Presidente della Giunta delle elezioni. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTINI, Presidente della Giunta delle elezioni. Rispetto la massima stabilita dal nostro onorevole Presidente, perché è quella che regola i rapporti tra la Giunta delle elezioni e l’Assemblea Costituente. Peraltro, entro questi limiti, vorrei pregare l’onorevole Presidente di permettermi di dare ai colleghi qualche brevissima comunicazione di questo fatto; il che vorrei fare non soltanto con piena spontaneità, ma anche col desiderio che si sappia da tutti con quale indipendenza e con quale imparzialità hanno proceduto e procedono i lavori del consesso che mi onoro di presiedere. Se il signor Presidente crede, a questo solo fine, di permettermi di parlare, io assolverò con molta delicatezza e con molta brevità il mio compito.

PRESIDENTE. In questa maniera si aprirebbe la discussione. Ritengo veramente che non sia possibile, perché in fondo – diciamo le cose nei loro termini più espliciti – si tratterebbe di una discussione la quale ha in sé elementi di carattere politico, e si può comprendere facilmente come su un procedimento che ha carattere giudiziario, debba evitarsi ogni interferenza di elementi non direttamente connessi che possano esercitare sul giudizio una certa influenza. Guai a quei magistrati sulle cui operazioni potesse esercitarsi anche indirettamente una certa influenza di carattere politico! E poiché noi sappiamo quale è la caratteristica di questa controversia che attualmente affatica la Giunta delle elezioni, credo veramente che sia opportuno, onorevole Bertini, che ella non sodisfi la legittima curiosità di molti colleghi. D’altra parte, essi l’hanno già sodisfatta perché, se pongono la questione, vuol dire che sanno che esiste, e se sanno che esiste ne conoscono già completamente il contenuto.

BERTINI, Presidente della Giunta, delle elezioni. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTINI, Presidente della Giunta delle elezioni. Io non so se posso addirittura esorbitare dai limiti del mandato a cui autorevolmente ella, signor Presidente, mi richiama. Tuttavia lascio a lei la valutazione dell’opportunità e della legittimità o meno di fare queste dichiarazioni, nel senso a cui ho accennato.

PRESIDENTE. Onorevole Bertini, le riconfermo che ritengo non opportuno e, a rigore di termini, che non sia neanche legittimo che ella parli. Credo, peraltro, che non esista una particolare ragione, perché ella debba dare all’onorevole Grilli la risposta al quesito che ha posto, e penso altresì che è assolutamente da escludere un avvio alla risoluzione della questione in seno all’Assemblea, prima che essa sia stata risolta in seno alla Giunta delle elezioni. Penso poi – come d’altra parte tutti i precedenti confermano – che la Giunta delle elezioni deve giungere qui con una proposta precisa, ed è solo in quel momento che l’Assemblea può discuterla e anche eventualmente respingerla. Ma sino a quel momento ritengo che l’Assemblea non possa dire nulla sui problemi connessi alla verifica di una elezione.

GIUA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIUA. Come membro della Giunta delle elezioni, e dato l’intervento del Presidente di questa Giunta, rivolgo preghiera al signor Presidente perché chieda al Presidente della Giunta delle elezioni se egli intendeva parlare come Presidente o come membro di una minoranza che si è stabilita nell’ultima votazione avvenuta. (Commenti).

PRESIDENTE. Sono grato all’onorevole Giua del suo intervento, perché sta a dimostrare dove andremmo se l’onorevole Bertini prendesse la parola e avessimo quindi, inevitabilmente, una discussione. Pertanto, ritengo di rispondere alla convinzione della maggior parte dei membri dell’Assemblea, pregando i colleghi di rinunciare a trattare questa questione e di attendere che la Giunta delle elezioni ci dia le sue conclusioni definitive.

BERTINI, Presidente della Giunta delle elezioni. Chiedo di parlare per fatto personale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTINI, Presidente della Giunta delle elezioni. Si è accennato, da parte dell’onorevole Giua, al dilemma se io avessi avuto intenzione di parlare come Presidente, o come membro in minoranza della Giunta: io sono Presidente, ma non so ancora se sono in minoranza nella Giunta, per la semplice ragione che non feci qualunquesiasi cosa che rappresentasse una proposta mia. Io semplicemente informai la Giunta di elementi di fatto su cui essa doveva riferire; non vi era, quindi alcun riferimento alla condizione mia di Presidente.

GIUA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Su che cosa, onorevole Giua? La prego, risponda all’onorevole Bertini nel Transatlantico: penso che le darà in quella sede la migliore sodisfazione. (Si ride).

GRILLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Su che cosa?

GRILLI. Per osservare questo; non intendo fare una discussione di regolamento con l’onorevole Presidente; ho per l’onorevole Presidente una grande ammirazione ed una grande considerazione, e mi sottopongo ben volentieri ai suoi consigli ed ai suoi desideri. Ma volevo semplicemente osservare che non chiedevo al Presidente della Giunta delle elezioni che ci svelasse i suoi segreti di magistrato: per l’amor di Dio!, la Giunta delle elezioni faccia quello che vuole. Desideravo solo sapere, come deputato, se è vero che due magistrati della Giunta delle elezioni abbiano rassegnato le loro dimissioni per protesta.

A me non importa se essi lo potessero o non lo potessero fare e se, di conseguenza, le loro dimissioni abbiano ad essere accettate o meno. A me interessa il fatto in sé; mi pare che si possa chiedere se questo fatto sia vero o no, senza con questo turbare il giudizio che sarà per dare la Giunta delle elezioni, perché l’Assemblea ha diritto di sapere se questa Giunta funziona regolarmente o no.

PRESIDENTE. Onorevole Grilli, l’articolo 20 del Regolamento stabilisce che quand’anche, nonostante che non lo possano, dei membri della Giunta diano le dimissioni, il Presidente dell’Assemblea non le deve comunicare: figurarsi quindi se debba farlo il Presidente della Giunta delle elezioni! Pertanto una comunicazione ufficiale in proposito, per confermare o per smentire, costituirebbe un atto nettamente contrario al Regolamento.

GRILLI. Mi dispiace per il Regolamento. (Si ride).

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito delia discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

È iscritto a parlare l’onorevole Di Gloria. Ne ha facoltà.

DI GLORIA. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, si è già parlato in modo abbastanza esauriente, dal punto di vista tecnico-giuridico, intorno al primo titolo della prima parte del progetto di Costituzione. Sono state fatte molte acute osservazioni su tutta quanta l’articolazione della materia e non desidero ripetere quanto è stato già detto. D’altra parte, il primo titolo, nel suo insieme, contiene delle verità inconcusse; e l’unico modo per onorare la verità è quello di prenderne atto.

Cercherò di dare all’argomento in discussione un’impostazione prevalentemente politica; tanto più che l’amico onorevole Bettiol me ne ha dato lo spunto quando ha affermato solennemente ed efficacemente che gli articoli contenuti nel primo titolo della prima parte del progetto di Costituzione sono stati scritti con il sangue del popolo italiano.

Il diritto, come è noto, è un’attività relazionale, fondata cioè sulla coesistenza di più soggetti. Il diritto, quindi, mira – come ci ha insegnato un illustre uomo di pensiero, il Del Vecchio – ad instaurare la coordinazione obiettiva delle azioni che sono possibili fra più soggetti. È naturale, quindi, che i diritti civili, ossia in senso lato le libertà personali, siano e rimangano il fondamento della società, rendendo possibile quella coesistenza di arbitri di cui parla Emanuele Kant e quella realis et personalis proportio hominis ad hominem, di cui discorre l’Alighieri nel suo «De Monarchia».

L’Inghilterra, che ha una lunga e gloriosa tradizione costituzionale – anche se non raccolta in un tutto organico – proclamò nell’Habeas corpus le guarantige della libertà personale. La Francia, che nel 1789 dichiarò solennemente i principî della democrazia politica, non ha ritenuto opportuno inserire questi principî nella sua Carta costituzionale. In Francia, evidentemente, non si può ammettere, neppure in via di ipotesi, che qualcuno debba o possa violare questi principî; e la mancata inserzione di essi nella Carta costituzionale suona come una piena fiducia della loro pratica osservanza. Felice la Francia se può contare su tanto!

Questo episodio mi ricorda quegli antichi legislatori, i quali non vollero dettare nessuna punizione per il parricidio, poiché pensavano che un simile delitto non sarebbe mai stato compiuto dai propri cittadini, dai propri sudditi. Del resto, il fatto che questi principî sono ormai acquisiti anche dal punto di vista storico, lo dimostra anche questa osservazione: tutti gli Stati, persino gli Stati totalitari, hanno sentito e sentono il bisogno di proclamare e di sancire questi principî nelle loro Carte costituzionali, più o meno mendaci.

E noi, come dobbiamo comportarci? Dobbiamo e possiamo comportarci come la Francia? L’onorevole Ruini pensa di no, ed io sono pure del suo avviso. Il fascismo, se anche ha fatto comprendere il valore di questi principî a molti italiani, li ha fatto cadere in desuetudine presso la maggioranza del popolo. Un giorno l’onorevole Nitti, parlando, in quest’aula, sulle dichiarazioni del Governo, disse che in Italia non c’è il pericolo che il fascismo ritorni. Io invece penso che in Italia ci sia il pericolo che il fascismo non se ne vada. E che cosa è il fascismo? Basta negare al popolo i diritti di cui al titolo I della prima parte del progetto di Costituzione; basta impedire il godimento di questi principî, e si è già dato vita ad una nuova forma di fascismo. Guy Mollet, socialista francese, in un mirabile articolo: «Chi sono i fascisti?», si esprime press’a poco così: «Si è fascisti quando si vuole imporre o con la forza o con l’inganno il nostro modo di pensare e di vivere agli altri. Si è fascisti, quando si auspica la scomparsa o l’annientamento di tutti coloro che non la pensano come noi, per il solo fatto che non la pensano come noi. Si è fascisti quando si applica nella nostra vita il motto machiavellico: «Il fine giustifica i mezzi».

«Si è fascisti, – prosegue il Mollet – quando si lascia ad altri la preoccupazione di pensare in nostra vece e si è, nello stesso tempo, pieni di quell’insensato orgoglio che ci fa credere di essere i detentori di tutta la verità di quella vile insufficienza che ci fa proni alla volontà dei capi.

«La storia altro non è che il racconto della lotta tra fascismo e afascismo, tra tolleranza e intolleranza. Tutte le religioni, tutte le filosofie, tutte le grandi idee hanno avuto le loro vittime del fascismo e i loro fascisti militanti. Se si vuole che il nostro pensiero sia rispettato, bisogna incominciare col rispettare il pensiero altrui. Uccidiamo, quindi, il fascista che sonnecchia in noi! Uccidiamolo!».

Se in Italia si vuol distruggere veramente il fascismo, occorre che gli articoli 12, 14 e 16, quelli che riaffermano il diritto dell’uomo alla libertà di pensiero, alla libertà di culto e di religione, alla libertà di stampa, alla libertà di organizzazione, diventino norme di vita costante del popolo, di tutti noi, e che siano integrati, completati, sostanziati da tutta la possibile giustizia economica.

Il fascismo ha fatto adorare alle masse la forza bruta; ha posto a fondamento del diritto la sola forza bruta. Noi dovremo insegnare e con la parola e con i fatti che il diritto non è la forza, anche se ha bisogno di una certa forza, e che coloro che credono nella forza, in definitiva non credono in nulla, poiché la forza è un fatto e i fatti si constatano e non possono essere oggetto di culto.

Una tipica manifestazione di fascismo l’abbiamo avuta anche alcuni giorni fa in Italia, quando molti giornalisti, facendo eco agli attacchi di Finocchiaro Aprile contro alcuni colleghi di questo consesso, hanno creduto di poter ricoprire di fango il volto della rinata democrazia. (Approvazioni).

Si ricordino questi giornalisti che la democrazia si difende e si fortifica facendo piena luce sulle malefatte, quando ci sono, e non cercando di nasconderle per una malintesa ragione di Stato.

Ad un saggio fu domandato un giorno cosa pensasse su siffatta questione. Gli fu detto: «Ci sono due paesi. In uno si sa che gli uomini commettono delle colpe, e gli uomini che commettono queste colpe possono essere chiamati a giudizio per risponderne. Nell’altro paese, invece, non si sa nulla; sembra che tutto proceda bene. In quale dei due paesi vorresti andare?».

Il saggio, che non a torlo era un saggio, rispose: «Nel primo».

Fortunati quei paesi dove avvengono gli scandali!

Anche pochi giorni fa in quest’Aula si è vista calare una tenue ombra di fascismo quando si è innalzata la tattica sugli altari della quasi generale devozione. Meglio, molto meglio, affrontare l’impopolarità di tutto il Paese per la difesa di quello che crediamo giusto, piuttosto che sacrificare il nostro intimo convincimento per fini non confessati! E poi io penso che quando si è costretti a servirci di mezzi poco onesti per raggiungere determinati fini, ci sono o ci possono essere serie ragioni da farci dubitare della bontà stessa dei fini proposti.

L’inganno e la fede sono termini contradittori.

Fra i diritti di libertà, particolarmente importante mi sembra quello proclamato dall’articolo 17, che suona così: «Nessuno può essere privato per motivi politici della capacità giuridica».

In tutti i Paesi dove la democrazia non è pratica di vita cresce rigogliosa la viltà. Tutti gli uomini sono costretti a nascondere le proprie idee perché non si dia corso, a loro pregiudizio, a quello che gli americani chiamano lo spoils system.

È sommamente necessario che in Italia il carcere, l’esilio, l’estromissione dall’impiego sieno punizioni riservate solamente ai delinquenti. Non si devono più prendere a fucilate le idee perseguitando i loro onesti e coraggiosi seguaci! Nessun cittadino quindi, d’ora innanzi, dovrà temere né per sé né per i suoi nessuna rappresaglia per il solo fatto di seguire una determinata idea politica, filosofica, scientifica, religiosa.

Se ciò non sarà, non meriteremo mai il nome di popolo civile, anche se i principî di libertà figureranno, come figurano, nella nostra Carta costituzionale.

Una disposizione interessante, molto interessante, è contenuta nell’articolo 11, il quale fa dell’Italia, in determinate condizioni, un sicuro asilo per i perseguitati politici. Trovo nobile tutto questo, specialmente se si pensa alle benemerenze che si sono conquistate nella storia civile dei popoli la piccola Olanda nel Seicento e la Francia e l’Inghilterra dal Settecento in poi.

Circa gli articoli 20 e seguenti, quelli che riaffermano il principio del nullum crimen sine lege, della nulla poena sine lege, della non retroattività della legge ed altro, io penso che si tratta di materia incostituzionale e che questi articoli troverebbero meglio il loro posto nel Codice penale, nel Codice di procedura penale e nei regolamenti di diritto penitenziario.

Perciò mi associo fin da ora a coloro che faranno formale richiesta di soppressione di questi articoli. Perché non sembri esagerata la richiesta, basterà osservare che si tratta di semplici corollari dei già proclamati diritti dì libertà personale.

Rispetto poi al diritto di cui all’articolo 14, voglio sperare che la Democrazia cristiana, e parlo da cristiano sincero nonostante che io militi in campo politico avverso, dimostri tutta la sua buona volontà nell’assicurare la più ampia libertà d’azione a tutte le confessioni religiose acattoliche. Quindi sono d’avviso che si tolga dal testo dell’articolo la proposizione limitativa: «purché non si tratti di principî o riti contrari all’ordine pubblico o al buon costume».

Prima di chiudere questa mia breve esposizione, desidero fare ancora un’osservazione.

Nella vita politica si possono seguire due strade: o si segue la strada di coloro che vogliono essere sempre sinceri con se stessi e con gli altri; oppure si segue la strada di coloro che si compiacciono degli astuti e squisiti espedienti machiavellici. Chi segue la prima strada viene considerato come un ingenuo e come un predestinato alla rovina. Si può ricordare a questo proposito l’avvertimento del Machiavelli: «L’uomo che voglia fare continue professioni di onestà infra coloro che tali non sono è giocoforza che ruini».

Coloro che seguono la seconda strada sono ritenuti dei furbi e degli intelligenti. Orbene, se è una ingenuità il volere essere sempre sinceri, è spesso una maggiore ingenuità il voler fare i furbi e pensare che gli altri non se ne accorgano.

Noi cercheremo sempre di disprezzare questa specie di furberia, tanto più che osiamo convinti che il popolo italiano farà tesoro della massima aristotelica la quale dice che uno Stato è governato meglio da un ottimo uomo che non da un’ottima legge.

Quindi io auguro al popolo italiano che, d’ora innanzi, possa trovare dei reggitori che garantiscano la Costituzione, anziché dei reggitori contro i quali si debbano invocare le garanzie della Costituzione.

Se ognuno di noi, se ogni italiano considererà, e nei propri riguardi e nei riguardi altrui, la persona umana come fine e mai come mezzo, noi riusciremo a dare forza al diritto contro i diritti della forza.

A ciò giungeremo tanto più facilmente quanto più volentieri riconosceremo le ragioni dei nostri avversari quando essi avranno ragione. L’uomo deve essere sacro per l’altro uomo: questo è l’insegnamento che la commissione dei Settantacinque ci ha dato con la solenne riaffermazione dei principî della libertà personale.

La funzione dello Stato in questa materia è una funzione più negativa che positiva, di riguardosa astensione, più che di intervento facoltizzante. Anzi, se lo Stato domani dovesse essere costretto ad intervenire in questo campo, in difesa della libertà, proprio intervenendo, mortificherebbe alquanto quelle libertà stesse. Quindi dipenderà da noi, soprattutto da noi, se le parole che l’Assemblea Costituente riuscirà ad inserire in questo primo titolo non saranno state scritte sulla sabbia (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Leone Giovanni. Ne ha facoltà.

LEONE GIOVANNI. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, io penso che del primo titolo della parte prima del progetto di Costituzione vadano segnalati quelli che a me sembrano i tre aspetti centrali.

Primo aspetto: aspirazione a fondare un compiuto equilibrio, una compiuta sintesi fra le libertà (ovvero i diritti naturali, innati, di libertà) e l’autorità (ovvero il complesso degli interessi necessari alla vita ed allo sviluppo della società organizzata).

Mi meraviglio pertanto che da due parti opposte, cioè dall’onorevole Tieri e dall’onorevole Preziosi, ieri si sia messo in evidenza che, subito dopo la proclamazione delle fondamentali libertà, il progetto si sia affrettato a stabilirne i limiti.

Quello che occorre indagare, invece, è se nell’ansia verso questa sintesi e verso questo equilibrio, si siano rispettate due esigenze. La prima è quella segnalata ieri dal collega Bettiol: la prevalenza cioè della legalità sulla discrezionalità. È a questo punto che alle osservazioni fatte dal collega Tieri agli articoli 12 e 13 circa la mancanza di una tutela del cittadino nei confronti dell’arbitrio statale si può, a mio avviso, sufficientemente rispondere che spetta alle leggi particolari, ed in concreto alla legge di pubblica sicurezza, disciplinare quel complesso regolamento di norme atte a garantire la libertà del cittadino di fronte agli eventuali arbitri della autorità.

Seconda esigenza: assodare se sia realizzato questo equilibrio, senza cioè che si ponga l’accento né eccessivamente sul concetto di libertà che, individualisticamente inteso, vuole essere fondamento del regno dell’arbitrio individuale e quindi del caos, né eccessivamente sul concetto di autorità, che potrebbe condurre alla fondazione di un ordinamento costituito sull’arbitrio e sul prepotere statali. A questo fine io penso che possono esser prese in breve esame le varie critiche che sono state prospettate ieri e stamani nei confronti degli articoli che sono sottoposti al nostro esame e alla nostra approvazione.

Per quanto concerne la critica all’articolo 8, terzo comma – mi riferisco in particolare alla osservazione del collega Preziosi per la mancata prefissione, oltre il termine minimo di 48 ore imposto all’autorità di polizia perché la misura provvisoria cautelare sia comunicata all’autorità giudiziaria di un ulteriore termine perché l’autorità giudiziaria provveda alla convalida o meno delle misure cautelari privative della libertà o di altri diritti del cittadino – io penso che questa critica non sia fondata, soprattutto per un principio di opportunità pratica. Noi dobbiamo renderci conto della difficile, complicata organizzazione attuale della vita giudiziaria. Mentre ci auguriamo che questo ordinamento della vita giudiziaria possa sveltirsi e possa soprattutto portare ad una maggiore aderenza del magistrato all’attività di polizia, dobbiamo stabilire che a questa necessità debba provvedere il legislatore futuro in sede di Codice penale o di procedura penale od in sede applicativa di questi Codici. Questo è un rilievo pratico che sottopongo alla Commissione perché, ove si stabilisse un termine all’autorità giudiziaria, ed uno stretto termine, come si chiede da altre parti, perché convalidi o meno la misura provvisoria adottata dalla autorità di polizia, noi porteremmo a questa grave conseguenza: che l’autorità giudiziaria, nell’impossibilità di rendersi conto in così breve tempo della fondatezza della notitia criminis, potrebbe introdurre la prassi, sia pure condannevole, di convalidare alla cieca l’arresto e il fermo, salvo, dopo una più meditata valutazione degli elementi di accusa, emanare un provvedimento di libertà provvisoria o di revoca del mandato di cattura.

Ed è opportuno, giacché ci troviamo ad occuparci di questo articolo 8, sottolineare l’importantissima innovazione posta nel comma tre, che cioè anche la misura dell’arresto in flagranza debba essere sottoposta a convalida del magistrato, perché il concetto di flagranza e la sua applicazione pratica non sono sempre facili a stabilire; ed è quindi necessario, per evitare che la polizia, allargando questo concetto di flagranza, possa violare la libertà fondamentale del cittadino, che il magistrato riesamini se sussistano le condizioni della flagranza e quindi la legittimità dell’arresto.

Passando all’articolo 9, io trovo che, a parte la necessità di stabilire alcuni limiti per il tempo di guerra (e qui, a tal fine, dirò in parentesi che forse è opportuno, come si delineò in sede di Commissione e poi non si attuò, stabilire una norma generale circa i limiti che si possono imporre all’esercizio dei diritti di libertà del cittadino in tempo di guerra od imminente pericolo di guerra), convenga riesaminare serenamente l’opportunità di precisare più rigorosamente la formulazione delle eccezioni alla libertà di corrispondenza mediante emendamenti da studiare. Penso pertanto, che la critica fatta ai limiti posti circa l’esercizio della libertà, consacrato nell’articolo 9, debba probabilmente dar luogo ad una revisione, ad un riesame, perché è consigliabile che, sotto tale aspetto, il limite sia maggiormente e più rigorosamente configurato mediante il richiamo alle indagini concernenti un reato. È a tal fine che io ricordo alla Commissione gli articoli 226 e 338 del Codice di procedura penale, nei quali i limiti sono configurati e delimitati nel quadro delle esigenze delle indagini attinenti ad un reato.

Forse è opportuna anche una maggiore specificazione per quanto attiene al limite imposto nell’articolo 10 in quanto concerne – ed il rilievo risale all’onorevole Tieri – il concetto di sicurezza, come limite alla libertà di soggiorno e di circolazione. Vero è che nello stesso articolo è stabilito che mai per motivi politici può essere limitato questo diritto di libertà di circolazione e di soggiorno; ma io non so se la formula giuridica possa rimanere così com’è espressa. Forse è opportuno che quel concetto di sicurezza trovi una ulteriore specificazione limitativa.

Non ha fondamento invece, a mio avviso, la critica mossa da alcuni colleghi – ed in particolare dagli onorevoli Tieri e Carboni – all’articolo 16, per quanto concerne il sequestro di polizia determinato dalla urgenza. Qui bisogna rendersi conto proprio di quello che osservavo poco fa a proposito di altre norme del progetto, cioè della difficoltà, per lo meno nell’attuale sistema di organizzazione giudiziaria, per il magistrato di stabilire un immediato contatto con le esigenze della vita collettiva, onde la necessità di stabilire la possibilità per l’organo di polizia di provvedere al sequestro. E per quanto concerne il pericolo degli arbitrî, devo a questo punto segnalare agli onorevoli colleghi la norma importantissima del primo comma dell’articolo 22, che è norma veramente nuova, originaria, rivoluzionaria direi dell’ordinamento giuridico; ed è quella norma nella quale si stabilisce che i dipendenti dello Stato e degli altri enti pubblici sono responsabili personalmente, in linea penale, civile ed amministrativa, degli atti di violazione di libertà.

Io penso che, a parte il fondamento giuridico nuovo della norma, questa vada segnalata come una valvola di garanzia, una valvola di sicurezza, del cittadino nei confronti dell’arbitrio del funzionario, il quale, ogni volta che si trova ad usare del potere che gli viene conferito dalla legge, deve sapere che corre il rischio, ove questo potere sia esercitato illegittimamente, cioè per uno scopo non conforme all’interesse pubblico generale, di dover rispondere anche in sede penale del suo atto illecito.

E sempre a proposito dell’articolo 16, non condivido – come mi permisi di far osservare ieri con l’interruzione, della quale chiedo scusa all’onorevole Tieri – non condivido la sua critica circa il riferimento dell’articolo 16 alla legge sulla stampa. Egli avrebbe preferito che il riferimento si volgesse verso il Codice penale. Io dirò che, a parte il fatto che il Codice penale, come la legge sulla stampa, è una legge di ordinaria produzione giuridica, vi è qualche elemento a favore della formula adottata dalla Commissione. Ed è questo: che mentre le leggi, e la legge sulla stampa in particolare, vengono prodotte attraverso un normale procedimento legislativo, cioè partecipazione di tutte le Camere all’attività legislativa, i Codici, di regola, vengono prodotti attraverso una legge delegata e, pertanto, alla formazione dei Codici il potere legislativo partecipa soltanto nel momento in cui conferisce al Governo la delega, ma non partecipa in concreto all’esame, al giudizio ed alla approvazione delle singole norme di legge.

In più, sempre per quanto riguarda l’articolo 16, va sottolineato che non si stabilisce la possibilità del sequestro per qualsiasi reato o per qualsiasi violazione amministrativa; ma questa possibilità di sequestro viene delimitata per quei reati e per quelle violazioni amministrative che siano specificatamente, tassativamente delineate e configurate nella legge sulla stampa. Una critica che ci induce, ci obbliga ad un riesame veramente sereno e legittima le nostre riserve, è quella che concerne il comma quinto dell’articolo 16. Io penso che quel comma, così come è formulato, non dovrebbe indurre in equivoci o in errori, in quanto esso sta a stabilire – come vi dimostrerò attraverso un breve riferimento ai lavori preparatori del progetto – il solo potere del Governo di assodare le fonti finanziarie e di informazioni degli organi della stampa; ma non potrebbe mai legittimare, come conseguenza di questa attività informativa, un qualsiasi provvedimento del potere esecutivo atto a reprimere o a comprimere la libertà di stampa.

A questo proposito ricorderò che quando si discusse questo comma fu proprio il Presidente della prima Sottocommissione, onorevole Tupini, che propose una nuova formula, che in sostanza è il nucleo della formula che ci viene presentata oggi, con questo intervento: «Osserva il Presidente Tupini –seduta del 27 settembre 1946 – che con una formula così ampia si corre il pericolo di superare i limiti in cui tutti si sono trovati d’accordo, col rischio di autorizzare implicitamente il potere esecutivo a destinare un funzionario di pubblica sicurezza a far parte dell’amministrazione del giornale; propone perciò che si dica »; e propose un’altra formula. E qui intervenne in sede di voto il collega Cevolotto per dichiarare di non opporsi a questa formula, ma che «desiderava che restasse a verbale che con questo non intendeva aderire ai principî esposti dall’onorevole Togliatti e che in materia di libertà di stampa restava fedele ai principî democratici dell’assoluta libertà».

Tuttavia, ad onta che, a mio avviso, quel quinto comma dell’articolo 16 non possa prestarsi a ingenerare equivoci interpretativi, penso che la Commissione si sia resa conto di questa mia riserva, di questa mia preoccupazione, di questa mia ansia. Io penso che sarebbe opportuno procedere ad una nuova formulazione, nella quale, modificandosi quella attuale, si chiarisca in maniera ancora più esplicita di quella che attualmente non sia adesso, che quella riserva, quel limite, quel potere stabilito dal quinto comma dell’articolo 16 mira soltanto a stabilire che il Governo può indicare al Paese che un certo organo di stampa attinge a certi elementi la sua consistenza finanziaria e attinge a certi circoli più o meno attendibili le sue notizie.

Il secondo di quelli, che all’inizio di questo mio breve e modesto intervento, ho chiamato gli aspetti centrali del primo titolo di questa parte del progetto, è l’ispirazione ad un’alta, umana e universale coscienza politica. Espressione di questa tendenza, di questa coscienza, in cui il senso della carità e della fraternità cristiana si salda al geloso sentimento di tutela del cittadino, sono il diritto di asilo contenuto nell’articolo 11 e la non estradabilità dello straniero per reati politici, a cui bisogna aggiungere – secondo un emendamento che sarà sottoposto al vostro esame dall’onorevole Bettiol e da me – la dichiarazione di riconsacrazione della non estradabilità del cittadino. Ora, per quanto concerne queste due garanzie, anzi, questi due magnifici riconoscimenti della libertà consacrati in questo progetto di Costituzione, mentre ritengo che non occorra la formula aggiuntiva («in nessun caso») proposta dal collega Preziosi – perché è sufficientemente palese e chiaro che in nessun caso è ammessa la estradizione dello straniero per reati politici – ritengo che non occorra neppure stabilire, come invece chiedeva il collega Tieri, la reciprocità nei confronti dello straniero, condizione questa che certamente abbasserebbe e offuscherebbe la bellezza del principio posto a base di questa norma.

Il terzo aspetto centrale di questo primo titolo è la sensibilità del progetto all’aspetto umano del problema penale. Espressione di questa ansia, di questa nobile ansia ad umanizzare il magistero penale, possono indicarsi i seguenti punti.

Innanzitutto mi riferisco alla norma che riconferma i due principî della legalità e tassatività della norma penale ed a quella che concerne l’irretroattività della norma penale. Non sono d’accordo con il collega Di Gloria, che ha testé parlato, circa la non necessità di riconsacrare nella Carta costituzionale questo che è uno dei principî fondamentali, non solo del diritto penale, democratico, liberale, ma uno dei principî fondamentali della civiltà del mondo.

Non sono d’accordo, perché, come osservava ieri il collega Bettiol, bisogna ricordare che, in altri Paesi, di recente il principio della legalità e quello dell’irretroattività sono stati solennemente violati. Vogliamo ricordare qui la massima nazista del diritto penale che si attinge solo alla sana coscienza del popolo, di cui (si soggiungeva) unico interprete era il Führer; vogliamo riferirci al principio della rispondenza ai fini configurato nel diritto sovietico; e, in contrapposto, riconsacrare il principio della legalità e della irretroattività in conformità della nostra tradizione per impedire pericolosi ritorni nostalgici verso concezioni penali che sarebbero il fallimento della nostra tradizione che è stata continuata in maniera decisa e coraggiosa da tutti i giuristi.

E qui sento il bisogno di associarmi all’elogio che l’onorevole Bettiol ha fatto della scienza giuridica italiana, la quale, con fermezza, con coraggio e talora ricorrendo anche al doppio giuoco, nel ventennio, ha resistito all’inserimento di principî politici totalitari nella legislazione positiva. Questo principio deve restare fermo nella Costituzione, come uno dei pilastri delle garanzie della libertà del cittadino.

Su questo primo punto osservo che mi pare esatto il rilievo fatto dal collega onorevole Crispo circa la necessità di tenere conto delle leggi penali eccezionali e temporanee ai fini del principio della retroattività della legge più favorevole.

Il secondo aspetto di questa aspirazione, di quest’ansia all’umanizzazione del magistero penale, è l’affermazione della non presunzione di colpevolezza dell’imputato. Di fronte a tale problema, la Commissione si è posta, con sano criterio di equilibrio, nel giusto mezzo. Di fronte, pertanto, al principio di presunta innocenza del reo, che il compianto nostro collega Giovanni Lombardi dichiarava principio esclusivamente politico, e di fronte all’avverso principio che quello aveva sostituito, non già, intendiamoci, dal punto di vista legislativo, ma soltanto da quello dottrinale, ad opera di qualche autore un po’ più degli altri sensibile alla ideologia fascista, cioè il principio della presunzione di colpevolezza, la Commissione, come ho già detto, si è posta giustamente nel mezzo, stabilendo la non presunzione di colpevolezza fino al momento della sentenza di condanna definitiva; e qui «definitiva» è ben detto, perché il principio deve investire tutto il rapporto processuale, fino a quando la sentenza sia diventata irrevocabile, sia passata in giudicato, stabilendosi quindi l’estinzione dell’azione e del rapporto processuale.

È necessario che questa presunzione si tenga ferma; presunzione necessaria, sì, perché, mentre il principio di innocenza era di natura romantica, il principio attuale costituisce un’espressione di alcune esigenze concrete; ed in particolare dell’esigenza che sia mantenuta la regola in dubio pro reo, e siano bandite le presunzioni nel campo del processo penale, e di una ulteriore esigenza diretta a delimitare la carcerazione preventiva. E a questo proposito, pur non ripresentando l’emendamento che nella Commissione dei Settantacinque non ebbe fortuna, vorrei segnalare la necessità di limitare la carcerazione preventiva che Francesco Carrara chiamava una immoralità necessaria; necessaria sì, ma immoralità che lo Stato deve limitare, deve configurare in limiti di necessità assoluta, sicché non si possa stabilire, con un arbitrio, sia pure illuminato dal senso di giustizia, degli organi di polizia e del magistrato, che un cittadino, fino a quando non sia definitivamente dichiarato colpevole, possa vedere ristretta la sua libertà personale.

Un altro aspetto di quest’ansia e aspirazione all’umanizzazione della giustizia penale è il principio della personalità della responsabilità penale, che io e Bettiol speriamo di far correggere con un emendamento che abbiamo proposto, in cui si parla di responsabilità per fatto personale. Nessun dubbio che la responsabilità sia personale; ma il dubbio può sorgere circa il fondamento della responsabilità. E qui conviene stabilire che la responsabilità penale è sempre per fatto proprio, mai per fatto altrui; così delimitandosi quell’arbitraria inaccettabile configurazione di responsabilità presuntiva in materia giornalistica, e impedendosi per le future legislazioni, sia pure coloniali o sia pure di diritto penale militare di guerra, ogni e qualsiasi configurazione di responsabilità collettive.

Un altro aspetto di questa tendenza all’umanizzazione è quello che riguarda l’esecuzione della pena. È l’affermazione dell’articolo 21 che bisogna segnalare, ponendola in relazione con l’articolo 8: «È punita ogni violenza fisica o morale a danno delle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà».

Ora, su questo punto noi vorremmo esprimere, in conformità di un emendamento che vi sarà presentato, una riserva: noi siamo convinti – come risulta anche dai lavori preparatori della Commissione – che con quella formula che ci è presentata non si è tentato neppure di risolvere il problema della funzione della pena: problema che, a parte la necessità di lasciarlo al suo naturale giudice, il legislatore penale, è quasi insolubile. Vorrei ricordarvi l’interrogativo drammatico e assillante, che pose Emanuele Kant, quando si occupò della pena. Scriveva il filosofo: «Se dopo aver commesso un delitto, l’uomo che lo commise fosse abbandonato dal suo popolo, sicché rimasto solo non ne potesse più commettere, qualcosa in noi dice che dovrebbe essere ancora punito. Ma perché? L’enigma del diritto penale sta tutto in questo perché». Ora questo enigma non l’avete inteso risolvere; voi avete voluto risolvere un altro aspetto: quello dell’umanizzazione dell’esecuzione della pena.

Io qui riaffermo la mia concezione, conseguente alla concezione cristiano-sociale, che la pena ha un duplice fine: la conservazione dell’ordine etico vigente nella società – funzione preventiva – e la restituzione dell’ordine violato –funzione vendicativa o satisfattoria –. L’emenda per noi è un fine complementare della pena, ed è un fine che nella concezione cristiana si radica nella carità, mentre il fine principale si riallaccia alla giustizia su cui si fonda una ordinata convivenza sociale. Ma noi non pretendiamo di imporre, né di far discutere la nostra concezione penale. Intendiamo, però, stabilire questo: voi non avete voluto individuare, identificare nella vostra definizione la funzione della pena. Non avete inteso risolvere – e sarebbe stato da parte vostra un atto di leggerezza – il problema della funzione della pena. Avete voluto stabilire che la pena debba sollecitare, agevolare, favorire, realizzare, se volete, il fine della rieducazione morale, del ricupero morale del delinquente. Noi siamo d’accordo con voi: questa è l’ansia di tutte le coscienze civili e cristiane. La pena, se obbedisce a criteri di giustizia, deve anche obbedire a criteri di carità, di fraternità. Ed è bene che la società, nel momento in cui toglie il più alto bene al cittadino, quello della libertà, gli possa tendere la mano caritatevole, perché sia ricuperato, restituito al consorzio umano; e sia ricuperato non solo il delinquente occasionale, come diceva l’onorevole Crispo, ma anche il delinquente per tendenza; anche il delinquente più feroce, perché, per noi cristiani, l’anima è un bene che può essere sempre recuperato e la coscienza umana può sempre risollevarsi alla visione dei problemi soprannaturali. Non vi è creatura umana che possa subire da parte della società una condanna fine a se stessa, che pertanto ripudi ogni riflesso di rieducazione.

Questo è il concetto che vogliamo esprimere e che si esprime con una formula che non pregiudichi, non risolva, non delimiti la funzione della pena, sulla quale neppure il Codice penale potrà facilmente dire una parola definitiva; perché è un problema eterno, è il problema di Emanuele Kant, che resterà forse sempre senza risposta.

Si dica, però, questa nostra ansia nella Costituzione per l’umanizzazione della pena e si esprima anche in questa sede la nostra aspirazione immediata ad un regime penitenziario più umano.

Perché tra i tanti miliardi che si dedicano alle opere pubbliche in Italia non si trova qualche miliardo per costruire case di pena più decenti, più umane? Questo è il concetto che noi vogliamo esprimere e questo avete espresso voi.

Il regolamento penitenziario italiano è già una magnifica pagina in questo senso: voglia il legislatore futuro continuare l’opera di realizzazione di questa nobile ansia. (Applausi). Altro aspetto di questa tendenza all’umanizzazione della giustizia penale è l’abolizione della pena di morte.

È vero – e lo ha dimostrato il nostro collega Paolo Rossi – è vero che la pena di morte in Italia è compagna di tutti i regimi autoritari ed è per questo che il nostro Tupini, nella sua veste di Guardasigilli, sentì l’ansia urgente e si affrettò ad abolire la pena di morte in Italia, togliendo dal corpo giuridico italiano questa espressione di una mentalità autoritaria e dittatoriale.

Noi desideriamo che sia ricordato questo: non solo è merito dell’uomo, ma merito del Governo di cui egli faceva parte. Sotto questo aspetto politico l’abolizione della pena di morte non trova riserve.

Ma consentitemi che, sotto l’aspetto tecnico o della politica criminale, io esprima non un dissenso, ma una personalissima riserva. La pena di morte è già caduta dal nostro ordinamento giuridico. Dobbiamo stabilire nella Costituzione che la pena di morte è abolita, oppure dobbiamo lasciare al legislatore di domani la facoltà – sulla quale non mi pronunzio, perché anche questo è un problema che potrebbe occupare intere sedute, intere legislature della Camera – la possibilità di poterla ripristinare? (Commenti).

Sotto questo aspetto vorrei segnalarvi solamente la questione: è un problema che pongo, è una riserva che sorge dal mio animo, di carattere personale. Io vi pongo una domanda: successivamente all’abolizione della pena di morte il Governo italiano ha sentito la necessità di ripristinarla con una legge eccezionale per alcune forme di reati, come la rapina a mano armata con arresto in flagranza (è una legge la cui procedura è la negazione del sistema giuridico italiano, perché la pena di morte è affidata ad un tribunale militare straordinario, senza nessun diritto di impugnazione dinanzi alla Corte di cassazione); ma a questo punto vorrei osservare una cosa che riguarda il Governo: la legge sta per cadere; ed è vero che il Governo si decide a prorogarla?

Il Governo ha sentito dunque questo bisogno; ma io mi auguro che domani non si debba sentire ancora il bisogno di ricorrere a questo pauroso sistema di pena. Mi auguro che l’Italia possa continuare anche in questa via il suo risanamento morale, oltre che materiale e possa veramente non sentire più la nostalgia di questa pena. Ma ove sorgesse questa necessità, questo bisogno di un popolo, perché, attraverso la Carta costituzionale, impedire che il legislatore esamini il problema?

Con ciò, non intendo criticare l’atteggiamento assunto dalla Commissione, anzi intendo esprimere il mio apprezzamento per l’alta ispirazione politica, sociale, umana, a cui hanno obbedito i compilatori del progetto; e spero ed auguro che l’Italia, risorgendo spiritualmente, non senta il bisogno in avvenire di ricorrere a tali misure tremende di prevenzione e di repressione.

Rilevo infine nel progetto, come una delle principali tendenze all’umanizzazione della giustizia penale, la norma sulla riparazione alle vittime degli errori giudiziari. Il significato di quel comma è altissimo. Io condivido col collega Preziosi l’ansia che questa tendenza si traduca in una legislazione corrispondente. Si era fatto un timido passo negli articoli 551 e seguenti del Codice di procedura penale, disciplinando la facoltà di chiedere una riparazione pecuniaria «a titolo di soccorso». Come è umiliante, come è triste, come è deprimente per la dignità della personalità umana, questa espressione consacrata in una norma di legge!

Ma si trattava sempre di un passo che stabiliva il principio della riparazione alle vittime degli errori giudiziari, a titolo di obbligo di pubblica assistenza. Un più deciso passo può farsi accettando la teoria di Santi Romano che ha, in contrapposto a questa concezione, affermato il principio della riparazione dei danni derivanti da ingiuste condanne come responsabilità dello Stato per atti illegittimi; la riparazione dei danni nascenti dalla preventiva detenzione dell’innocente, come responsabilità dello Stato per atti illegittimi.

Ma anche per questo istituto è necessario rispettare determinati limiti: non si può allargare troppo l’istituto, costringendo il magistrato a tenerne conto nelle formule del giudicato. Se il magistrato sa che dal suo giudicato consegue l’obbligo allo Stato di risarcire il danno, agirà con eccessiva cautela, forse con un ingiusto rigore, nella scelta della formula di assoluzione.

Quindi si allarghi l’istituto, ma si tenga conto della necessità di taluni limiti, si tenga conto di una necessità di equilibrio: al concetto umiliante del soccorso si sostituisca il principio della responsabilità dello Stato e la possibilità del cittadino di richiedere la riparazione in più ampi limiti.

Onorevole Presidente e onorevoli colleghi; scrisse Mario Pagano, luminoso martire della libertà: «Se ti sospinga mai la fortuna sui lidi di un popolo ignoto e se brami conoscere se il brillante giorno della cultura ivi attardi la sua luce benefica oppure se le tenebre dell’ignoranza e della barbarie lo ingombrino di errori, apri il suo Codice penale e se vi trovi le sue libertà civili garantite, la sicurezza e la libertà dei cittadini coperte dalla prepotenza e dagli insulti, francamente concludi che esso sia popolo colto e polito».

Conceda Iddio, onorevoli colleghi, che l’umanità risospinta sui lidi di questo popolo, la cui missione fu oscurata per breve periodo di tempo, possa nelle nostre leggi, e nella fondamentale fra esse, trovare espressi nella tutela e nella garanzia di tutti i diritti di libertà del cittadino i segni secolari della nostra civiltà. (Vivi applausi Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Grilli. Ne ha facoltà.

GRILLI. Dopo la vasta dissertazione dell’onorevole Leone, se io vi prometto che sarò brevissimo me ne sarete grati. Io mi occuperò soltanto di una piccola parte di questo titolo e precisamente dell’ultimo capoverso dell’articolo 8, per il quale ho proposto, a titolo di emendamento, né più né meno, che la soppressione.

Ieri l’onorevole Carboni ha accennato alla inutilità di questo capoverso, perché lo riteneva perfettamente inutile dopo che al precedente comma si è assicurata la libertà e si sono assicurati gli altri diritti dei cittadini.

Ma io credo che si possa dire qualcosa di più: anzitutto questo capoverso, che contempla la punizione delle violenze commesse in danno di detenuti o di arrestati, contiene materia che è di esclusiva spettanza del Codice penale e perciò è inutile che sia inserita nella Costituzione. La Costituzione deve limitarsi ad enunciare un principio, a proclamare un diritto, ad imporre un divieto; spetta poi al legislatore penale di proclamare reato la violazione di quel diritto e stabilire la pena.

Questo concetto fu già espresso, davanti alla prima Commissione, dagli onorevoli Basso, Cevolotto, Lombardi, Mancini, Moro ed anche indirettamente dall’onorevole Tupini, il quale aveva proposto una formula che è molto più adatta per una Costituzione, cioè: «Alla persona fermata o arrestata è garantito un trattamento umano».

Prevalse il concetto dell’onorevole La Pira, il quale disse che bisognava specificare, data la dura esperienza fatta da gran parte dei componenti la Commissione durante il periodo fascista. Ma, onorevoli colleghi, durante il periodo fascista non soltanto il diritto all’incolumità dell’arrestato o del detenuto fu manomesso, ma furono manomessi molti altri diritti che oggi la Costituzione rivendica. Se si seguisse il concetto dell’onorevole La Pira, bisognerebbe, ad ogni articolo che proclama un diritto, aggiungere che la violazione di quel diritto è punita, nel qual caso la Costituzione diventerebbe un surrogato del Codice penale.

Per esempio, l’articolo 9 garantisce la libertà e la segretezza della corrispondenza; ma nessuno ha pensato di aggiungere un capoverso in cui si dica che la violazione della libertà e della segretezza della corrispondenza deve essere punita. All’articolo 13 si proibiscono le associazioni segrete, ma non si aggiunge che chi organizza un’associazione segreta è punito. All’articolo 16 si vietano le pubblicazioni scandalose e contrarie al buon costume, ma non si aggiunge che sarà punito chi farà queste pubblicazioni. E via dicendo fino all’articolo 38 che garantisce la proprietà privata, ma nessuno ha pensato di aggiungere che il ladro sarà punito.

Si potrebbe consentire l’inserzione di una norma penale nella Costituzione quando si trattasse di un reato nuovo, ossia di un fatto che fino a ieri non fu considerato reato e non fu punito, ma che si vuole che da qui innanzi sia punito. Sarebbe sempre un di più, un superfluo, sarebbe sempre una di quelle cose vane dalle quali bisogna ripulire le leggi secondo l’insegnamento di Giustiniano, che ci fu ricordato qui dall’onorevole Nitti. Sarebbe sempre superfluo; ma si potrebbe consentire, se non fosse altro, per impegnare più categoricamente il legislatore penale. Ma noi non ci troviamo di fronte ad un reato nuovo, perché qualsiasi violenza materiale o morale, commessa in danno di arrestati e di detenuti, costituisce vecchio reato previsto e punito dal Codice penale.

Senza fare una disamina particolareggiata di questo Codice, basterà ricordare l’articolo 605, che punisce il sequestro di persona e aggrava la pena contro il pubblico ufficiale che abusa del suo potere; l’articolo 608, che punisce l’abuso di autorità contro arrestati o detenuti e le misure di rigore non consentite dalla legge nei confronti di persone arrestate o detenute; l’articolo 613, che comprende anche la suggestione ipnotica cui fu sottoposta la Fort e di cui ci parlò l’onorevole Pertini. Ma ad ogni modo tutte le violenze materiali e morali, che sono punite se commesse da un privato qualunque contro un altro privato, sono punite anche più gravemente quando sono commesse dal pubblico ufficiale contro arrestati o detenuti, perché le pene dell’articolo 581, che prevede le percosse, dell’articolo 582, lesioni, dell’articolo 594, ingiurie, dell’articolo 610, violenza privata, dell’articolo 612, minacce, sono aggravate, se commesse da pubblico ufficiale, da due precise aggravanti previste dall’articolo 61, e precisamente, al n. 5 per la minorata difesa in cui indubbiamente si trova la persona arrestata nelle grinfie della polizia, e al n. 9 che prevede il fatto commesso con abuso dei poteri e con violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o a un pubblico servizio. Sicché anche se non ci fosse che questo argomento della superfluità della ripetizione della norma, sarebbe sempre sufficiente a giustificare la mia proposta.

Ma c’è di più, ed è che io credo che questo capoverso dell’articolo 8 sia, sotto un certo aspetto, anche pericoloso. E mi spiego: le persone che non sono addentro al Codice penale – e ce ne sono tante, sebbene il Codice penale pretenda che tutti lo abbiano a conoscere – il cosiddetto uomo della strada, a cui si riferiva ieri l’onorevole Bettiol, potrebbero pensare che fino a ieri queste violenze fossero commesse perché non punite dalla legge, e illudersi che da qui innanzi non siano più possibili perché ormai vietate e punite da questo articolo 8. In questa illusione sembra che sia caduto anche l’onorevole Merlin, Sottosegretario alla giustizia, il quale, rispondendo all’interrogazione dell’onorevole Pertini, assicurava trionfalmente che la Commissione dei Settantacinque aveva già approvato il capoverso terzo dell’articolo 8. Illusione, badate, che sarebbe destinata a diventare presto delusione perché, se queste violenze contro gli arrestati e i detenuti si sono commesse fino a ieri, nonostante il Codice penale, non c’è ragione che non possano essere commesse anche domani, nonostante questo capoverso dell’articolo 8, perché il male non sta nella mancanza di una legge punitiva, ma nel difetto del costume.

Alcuni commissari hanno fatto un esperimento personale di violenze durante il fascismo, il che ha giustamente commosso l’onorevole La Pira. Questa commozione giustissima mi convince sempre più come sarebbe opportuno quel tal provvedimento proposto da un illustre giurista, che cioè si sottoponessero tutte le persone che aspirano a diventare magistrati o funzionari di pubblica sicurezza ad un certo periodo di carcerazione perché costatino, loro che son destinati a mandare la gente in prigione, che cosà sia veramente la prigione, perché gli esperimenti personali insegnano più dei libri e delle lezioni e non si dimenticano più.

Noi avvocati vi possiamo dire che questa famosa tortura, non la tortura dei tempi barbari, non la tortura del Santo Uffizio, ma un avanzo di quella tortura, una specie di ultimo rampollo di quell’aborrito sistema, si adoperava in parte anche prima del fascismo, la si è adoperata durante il periodo fascista, ma quel che conta è che si continua ad adoperare anche oggi che il fascismo dovrebbe essere finito da qualche anno.

Io uso fare il novanta per cento di tara alle dichiarazioni degli imputati; ma qualche volta mi è accaduto di constatare coi miei occhi i segni della violenza sul corpo dell’imputato. Gli avvocati penalisti possono controllare se esagero. Da un pezzo in qua, specialmente nei casi in cui bisogna far presto, come nei processi annonari, gli arrestati confessano immediatamente. In troppi processi noi avvocati troviamo che l’imputato, non appena arrestato, ha confessato. I non arrestati non confessano, l’arrestato confessa immediatamente. È strano, perché urta contro il senso della difesa, che è istintivo nell’uomo. E spesso accade che, quando sono interrogati dal Giudice istruttore o al processo, ritrattano la prima confessione e la spiegano colla tortura: interrogatori estenuanti, percosse, schiaffi, inganni, come quello del «se tu confessi ti rimetto in libertà» e, giù, giù, fino allo scarafaggio di cui ci ha parlato l’onorevole Gallo.

Ricordo un processo dinanzi alla Corte d’assise di Firenze, e l’onorevole Targetti che era con me nel collegio di difesa può confermare, nel quale risultò che certi fratelli Torricini avevano finito per confessare di aver ucciso una guardia regia, dopo un interrogatorio durato 48 ore da parte di funzionari che si succedevano dinanzi ai due fratelli ritti al muro, in piedi, senza mangiare, senza bere e con condimento di schiaffi e pugni. Io voglio anche ammettere che ci sia dell’esagerazione, ma c’è anche tanta verità! Ebbene, a me non è mai accaduto di vedere un funzionario sotto processo per violenze commesse in danno di un detenuto o di un arrestato. Ho voluto domandarne ad un illustre avvocato romano che di processi ne ha fatti più di me, e mi ha risposto che in tutta la sua carriera professionale, due volte soltanto gli era accaduto di leggere nella sentenza che non si credeva alla prima confessione dell’imputato perché vi era ragione di credere che fosse stata estorta con la violenza; ma nemmeno lui aveva mai visto un funzionario sotto processo per queste violenze.

A me è successo invece questo: che il presidente del tribunale, ascoltato l’imputato che diceva di essere stato costretto alla confessione, e mostrava sulla faccia i segni delle violenze, domandò: chi è stato il funzionario che vi ha battuto? L’imputato rispose: quello là e indicò un poliziotto che si trovava nell’aula. Il presidente chiama il poliziotto e gli chiede: Avete sentito? È vero quello che dice l’imputato? E il poliziotto: Signor presidente, ma le pare che io possa fare queste cose! E il presidente allora rivolto all’imputato: Ringraziate Iddio che il pubblico ministero non proceda contro di voi per calunnia. L’imputato che era accusato di furto, mi chiamò e mi disse: Io sarò un ladro, ma questa gente è peggio di me. E io non potei dargli torto.

Non è dunque la norma penale che è mancata o che manca, ma è l’applicazione di essa e l’applicazione dipende dalla polizia e dall’autorità giudiziaria che, in questa materia, non funzionano a dovere. I commissarî di pubblica sicurezza non si scandalizzano troppo di certi sistemi adoperati dai loro agenti; i questori non si scandalizzano dei loro commissarî e i procuratori della Repubblica – una volta procuratori del regno – che hanno sempre i fulmini pronti quando si tratta di colpire il privato cittadino, ritirano questi fulmini, quando si tratta di colpire gli agenti di polizia giudiziaria, per timore di screditarne la funzione.

Quell’avvocato, di cui vi parlavo dianzi, mi raccontava anche di un procuratore generale di una delle più importanti Corti d’appello, che non nomino perché è morto, che, parlando del famoso scarafaggio applicato sull’ombelico dell’accusato per farlo cantare e, badate, o signori, non per fargli confessare la verità vera, ma per fargli confessare quello che al funzionario interrogante sembra essere la verità, diceva che si trattava di una piccolezza che non merita tanto scalpore. Come vedete, è tutta una mentalità, è tutta una educazione che bisogna rifare, è tutto un costume che bisogna modificare, è una malattia che bisogna curare. Il legislatore ha fatto tutto quello che poteva fare; ha dettato gli articoli del Codice penale.

Non c’è bisogno di incomodare la Costituzione. Spetta al potere esecutivo richiamare l’attenzione degli organi che debbono applicare la legge.

L’onorevole Scelba, rispondendo all’interrogazione dell’onorevole Pertini, diceva di considerare barbarici il sistema e la concezione secondo cui, purché il reo non si salvi, periscano il giusto e l’innocente. Il rispetto della personalità umana, egli soggiungeva, deve essere tenuto nel massimo ossequio dalla polizia; egli assicurava inoltre che disposizioni perentorie erano state date in tal senso. Egli raccomandava infine che è necessario però creare intorno alla polizia un’atmosfera di fiducia. Ebbene, onorevole Ministro dell’interno, questa atmosfera di fiducia è anche nell’aspirazione del popolo italiano, il quale non attende altro se non che la polizia meriti questa fiducia. E la potrà meritare soltanto quando la storia e la cronaca di queste violenze commesse nel segreto delle caserme e delle questure saranno definitivamente liquidate. E sarà bene che venga richiamata anche l’attenzione dei procuratori della Repubblica, ai quali non basta ricordare l’articolo 83 dell’ordinamento giudiziario, come ha promesso l’onorevole Merlin; ma occorre ricordare il Codice penale che punisce le violenze dei pubblici ufficiali.

Io ho finito. Qualunque sia per essere la fortuna che sarà riserbata alla mia proposta, sono lieto di aver potuto affrontare la realtà di questo problema che è, ripeto, problema di costume, non problema di norma giuridica, ed è anche un problema importantissimo, perché possiamo fare quante Costituzioni democratiche vogliamo; ma finché il cittadino non sarà tranquillo per la sua incolumità personale quando è chiamato a render conto alla giustizia, non avremo il diritto di appellare il nostro Paese un Paese civile. (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Cavallari. Ne ha facoltà.

CAVALLARI. Per entrare nel vivo dell’argomento, così come si conviene a chi, come me, ha deciso di rimanere a tutti i costi entro i limiti di mezz’ora opportunamente fissati dall’onorevole Presidente di questa Assemblea, io debbo dichiarare che, in complesso, le norme, così come sono state compilate nel primo titolo del progetto di Costituzione, mi sembrano buone sia nella forma che nella sostanza.

Ritengo però che sia utile ed anzi necessaria una discussione generale su tutto il primo titolo di questo progetto, per poter mettere in luce quelli che sono i punti più salienti ai quali aderiamo e per sollevare anche quelle critiche che per noi è doveroso sollevare.

Dichiaro subito che io non farò qui una disquisizione di carattere giuridico; non mi lancerò in speculazione di carattere filosofico e filologico: noi abbiamo, da parte di alcuni oratori che ci hanno preceduto, assistito a bellissime lezioni di procedura e di diritto penale, lezioni fatte con oratoria travolgente; abbiamo ascoltato con grande interesse i concetti scientifici esposti con termini così appropriati. Però io ritengo prima di tutto che non sarei capace di fare una lezione di diritto penale, di procedura civile o penale; e poi suppongo che vi saranno certamente coloro che si dilungheranno in questo argomento, perché giuristi non mancano nella nostra Assemblea. Anzi, se potessi fare un’osservazione in merito a questo argomento, direi quasi che vi è qui un’inflazione di giuristi, in quanto dal giovanissimo laureato in giurisprudenza fino al più autorevole professore di Università nelle materie di diritto, tutti qui noialtri, per il fatto di essere deputati, molto spesso, veniamo chiamati con l’eufemismo di giuristi.

Ma non è questo lo scopo che io mi prefiggo, né voglio fare questa indagine di carattere scientifico. Io penso che il metro col quale noi potremo misurare questa parte del progetto di Costituzione – che del resto è anche il metro col quale potremo misurarne anche le altre parti – è il metro politico; è cioè un’indagine politica quella che dobbiamo compiere sopra il primo titolo del progetto di Costituzione della Repubblica italiana. E questa indagine politica come dobbiamo compierla? La dobbiamo compiere dando uno sguardo a quelle che sono state le nostre esperienze passate, considerando l’attuale momento politico e avendo di mira quelle che sono le mète alle quali la democrazia italiana e la Repubblica italiana vogliono arrivare.

Quali sono i precedenti storici dell’attuale momento politico? Da quale periodo usciamo noi in queste giornate, in questi mesi? Noi usciamo da un periodo di schiavitù; usciamo da un periodo di oscurantismo, nel quale tutte le libertà furono conculcate, ma specialmente quelle di cui oggi discutiamo nel primo titolo della Costituzione. Noi usciamo da un periodo terribile, che trasse a rovina il nostro Paese, rovina dalla quale riuscimmo a rialzarci, oscurantismo dal quale riuscimmo a trarci fuori, per mezzo e per merito della lotta partigiana, della lotta popolare, della lotta delle classi lavoratrici italiane contro il fascismo e contro i tedeschi.

Questa lotta ci ha dato modo di conseguire determinate mète; ci ha dato modo di attuare finalmente quelle che sono state le aspirazioni di tutti i cittadini italiani durante quegli anni tristissimi: quello cioè di poter dire finalmente di vivere in un clima di libertà. Qual è il compito, rispetto a questo passato, che attende noi che dobbiamo compilare questa Costituzione? È quello di perfezionare, attraverso i lavori della nostra Costituzione, questa lotta che da parte del popolo italiano è stata condotta contro il fascismo e contro i tedeschi, di consolidare quelle conquiste che mercé questa lotta noi abbiamo conseguite, di scolpire nella Carta fondamentale della Repubblica italiana i principî che nel modo qui accennato sono stati conquistati.

È per questa ragione, onorevoli colleghi, che noi approviamo in larga misura il dettato degli articoli che stiamo esaminando.

Noi pensiamo che effettivamente debba essere nella misura più larga possibile concesso ai cittadini il diritto alla libertà personale, alla libertà di riunione, alla libertà di religione, alla libertà di associazione. Noi di questo ci facciamo paladini convinti e sostenitori convintissimi, come abbiamo dimostrato in passato, allorquando il nostro partito, proprio per queste libertà, si gettò nella lotta e sacrificò i suoi uomini migliori. Noi oggi su ciò possiamo esigere di essere creduti; possiamo asserire che nessuno può essere più di noi convinto della santità di queste garanzie e della necessità che esse vengano proclamate lapidariamente nella Costituzione italiana.

Ma l’inserzione di questi articoli nella Costituzione italiana è sufficiente, perché ci riteniamo sodisfatti? È questo l’unico scopo al quale noi pensiamo si debba arrivare mediante i nostri lavori?

Penso che questo non sia l’unico scopo; penso che non basti, in altre parole, enunciare queste libertà, fissare anche lapidariamente questi risultati e queste mète che abbiamo raggiunto. Non basta fare questo, ma occorre invece fare in modo che le libertà così restaurate non possano più venire conculcate. Noi vogliamo che nella Costituzione siano sanciti dei principî per cui coloro che vogliono, per mezzo della libertà loro immeritatamente concessa grazie all’opera eroica di altre persone, sopprimere la libertà altrui, vengano dichiarati al di fuori e contro la legge costituzionale dello Stato italiano.

Noi, in particolare, vogliamo che la libertà sia concessa a tutti, ma non vogliamo che si conceda la libertà di restaurare in Italia un altro movimento fascista.

Ieri, da parte di un collega, è stata fatta una critica a questi articoli di Costituzione: è stato rilevato come essi comincino bene e, invece, finiscano male. È stato cioè rilevato che questi articoli contengono all’inizio una dichiarazione di un principio di libertà, ma nel contesto dello stesso articolo si avanzano tali riserve da far temere che rimanga vuota di senso l’enunciazione stessa.

Ebbene, a parte l’esagerazione contenuta in queste parole, noi diciamo che in un certo senso così deve essere. Noi diciamo che così deve essere, perché il principio di libertà personale, il principio di libertà di corrispondenza, di circolazione, tutti questi principî – nessuno escluso – devono essere condizionati al rispetto delle libertà democratiche. Noi vogliamo la libertà che tenda alla riaffermazione ed al rafforzamento continuo e progressivo della democrazia italiana.

Non vogliamo che la libertà vada contro la riaffermazione, contro il rafforzamento della democrazia italiana. (Applausi a sinistra).

Non siamo chiamati, onorevoli colleghi, a fare la Costituzione per la Città del Sole o per un’altra Repubblica dell’Utopia; siamo chiamati a fare la Costituzione dell’Italia in questo particolare momento storico, coi precedenti che abbiamo avuti nella nostra storia, con tutto quell’insieme di condizioni sociali ed economiche proprie di questo periodo.

E allora queste considerazioni che sono andato esponendo finora vorranno sempre più confermate nella nostra mente e anche, io penso, nella mente di molti di voi che mi ascoltate, se pensiamo che cosa succede proprio in questi giorni in cui parliamo di queste libertà.

La libertà di circolazione, per esempio. In questo momento in Italia molto spesso la libertà di circolazione serve per riannodare le sparse file del movimento fascista. L’asilo agli stranieri molto spesso in questo momento serve proprio per dar modo agli stranieri e ai fascisti venuti nel nostro territorio dalle più svariate parti d’Europa di ritrovarsi e di congiurare contro la libertà dell’Italia, la libertà delle altre potenze europee e del mondo.

La libertà di riunione in questi giorni, purtroppo, ha dato luogo ad episodi, per i quali abbiamo visto manifestazioni pubbliche per le strade, nelle quali non si è esitato ad esaltare idee, uomini, date della storia fascista e del regime fascista.

La indipendenza della magistratura: cosa santa e altissima. Noi in questi giorni, però, abbiamo visto a che cosa ci ha portato. Abbiamo visto in alcuni casi, da parte di alcuni magistrati, che indegnamente indossano la toga, che ci si è serviti di questa indipendenza della magistratura per liberare i fascisti che invece meritavano, per le loro azioni passate, di rimanere in istato di detenzione, mentre invece sono stati arrestati, per un motivo o per un altro, gli antifascisti, che non avevano fatto nulla per incappare nelle norme del Codice penale.

Nel procedere alla breve indagine particolareggiata dei molti articoli contenuti nel titolo 1° del progetto di Costituzione, io desidero riferirmi specificatamente al 2° capoverso dell’articolo 8, nel quale è detto che non è ammessa «forma alcuna di detenzione, ispezione o perquisizione personale o domiciliare, se non per atti, ecc.».

Ora in questo secondo comma si unisce, si fa tutto uno della detenzione, della ispezione e della perquisizione personale e domiciliare. Io penso che sarebbe stato forse più opportuno fare due articoli, in modo da mettere giustamente in evidenza e bene in risalto l’importanza della libertà di domicilio, alla quale, in questo secondo comma, ci si riferisce solamente parlando delle perquisizioni, ma ignorando che la libertà di domicilio può essere violata anche in altre occasioni che non siano quelle nelle quali la forza pubblica ha un mandato per compiere una perquisizione in casa del cittadino.

Sull’ultimo capoverso dell’articolo 8 molte parole sono state ormai spese. Tutto ciò che c’era da dire, penso che sia stato detto; ma qui vorrei far notare solamente una cosa. Da parte di alcuni oratori che mi hanno preceduto è stato dichiarato che l’ultimo comma è pleonastico, cioè che non importa metterlo nell’articolo 8, in quanto è un corollario logico del principio di libertà che emana da tutto l’articolo 8, anzi da tutta la Costituzione italiana.

Orbene, io penso che, dati gli episodi ai quali abbiamo assistito ed assistiamo continuamente, episodi che con parola così viva sono stati messi in risalto da parte dell’onorevole Grilli, e dato questo malcostume che è invalso nel nostro Paese da parte di molti agenti, che dovrebbero essere agenti tutori dell’ordine ma che molto spesso non lo sono, penso che sia opportuno mantenere questo articolo, anche se può essere pleonastico, in modo da consacrare solennemente, altamente e senza possibilità di equivoci, questa aspirazione del popolo italiano, sì che ci si astenga finalmente dall’uso di quelle violenze che non disonorano solamente coloro che le compiono, ma tutta una civiltà e tutto un popolo.

L’articolo 11, nel secondo capoverso, contiene una norma che ha una notevole rilevanza: «Lo straniero al quale siano negate nel proprio paese le libertà garantite dalla Costituzione italiana ha diritto di asilo nel territorio italiano».

Orbene, onorevoli colleghi, io richiamo la vostra attenzione su questo argomento. Tutti siamo persuasi e convinti, che il diritto di asilo sia uno dei più alti e sacri. Tutti lo sanno, ma lo sanno bene specialmente molti componenti del nostro partito, dei partiti di sinistra, i quali hanno passato all’estero lunghi anni, i quali andando all’estero hanno potuto sottrarsi alla cattura o alla morte o alla lunga detenzione da parte del regime fascista, i quali dall’estero hanno potuto continuare a dirigere il movimento di resistenza contro il fascismo, con un’attività della quale noi siamo loro immensamente grati. Essi hanno dovuto all’estero condurre spesso una vita dura, ben lontana da quella vita comoda che mendacemente alcuni giornalisti del nostro Paese hanno voluto descrivere.

Sanno quindi, i comunisti, quanto sia prezioso e quanto sia nobile il diritto di asilo; ma non sembra che sia opportuno configurare questo diritto di asilo, così come è stato configurato nel secondo comma di questo articolo, perché in tal modo un giorno o l’altro, allorché per esempio, dalla Spagna franchista il regime di soggezione e di dittatura se ne sarà andato, speriamo il più presto possibile, correremmo il rischio di vedere arrivare nel nostro Paese tutti i fascisti spagnoli, tutti coloro che nel loro Paese hanno congiurato ed hanno operato contro le libertà degli spagnoli, contro le libertà dei loro concittadini.

Orbene, noi vogliamo evitare questo articolo che arrecherebbe anche del danno al nostro Paese.

Una voce a sinistra. La nuova Costituzione spagnola garantirà tutte le libertà.

CAVALLARI. La Costituzione spagnola garantirà tutte le libertà; però potrà darsi che il Governo spagnolo perseguiterà coloro che sono stati seguaci di Franco come in Italia sono stati perseguitati coloro che sono stati seguaci faziosi di Mussolini; e come dall’Italia sono usciti i seguaci faziosi di Mussolini, così pensiamo che dalla Spagna usciranno i seguaci faziosi di Franco e verranno in Italia.

Perciò io ritengo che questo capoverso sarebbe più indicato concepirlo in questo modo: «Ogni persona la quale è perseguitata a causa della sua azione a favore della libertà, ha diritto di asilo nel territorio della Repubblica».

Queste sono le persone alle quali noi italiani dobbiamo dare tutto il nostro asilo e tutta la nostra solidarietà. Coloro che hanno combattuto per la libertà del loro Paese noi dobbiamo riceverli con animo fraterno, con animo da compagni, e dobbiamo riceverli prodigando loro tutta l’attenzione e tutte le cure che si possono prodigare; ma non dobbiamo ricevere nel nostro suolo coloro che si sono schierati contro la libertà di altre persone anche se queste persone non sono italiane e sono spagnole o appartenenti a qualsiasi altro Paese.

L’articolo 19 mi fornisce materia per una brevissima osservazione: «La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento». Questa è una formulazione ottima, ma che io ritengo incompleta, in quanto non dice esplicitamente che tale principio vale anche per i tribunali militari, per quei tribunali militari nei quali tuttora non è permessa durante la fase istruttoria l’assistenza da parte del difensore. Ed effettivamente non si vede come mai vi debba essere questa differenziazione, questa ingiustizia, questa iniquità, per la quale colui che viene accusato a norma del Codice penale ordinario deve avere, sia pure limitata, anche durante la fase istruttoria, l’assistenza del difensore, mentre invece, colui che cade sotto l’inquisizione dei tribunali militari deve essere sfornito di questo suo legittimo diritto.

TUPINI. È inesatto; intendiamo riferirci a tutte le giurisdizioni, compresa quella militare. Se lei leggerà quello che ha formato oggetto di discussione, vedrà che ci si è preoccupati anche di questo. Comunque, per sua tranquillità, le dico che intendiamo riferirci a tutte le giurisdizioni.

CAVALLARI. Prendo atto.

L’ultimo articolo sul quale intendo brevemente soffermarmi è l’articolo 22, articolo che per parte mia approvo in quanto nella mia carriera professionale ho avuto modo di constatare che numerosissime e gravissime sono state le ingiustizie, le iniquità commesse da parte di enti e di amministrazioni. Noi sappiamo che diverse persone sono state condannate innocentemente. Ebbene, queste persone – che io non vorrei far credere che siano troppe, ma che esistono – hanno sofferto anni di galera e si sono trovate nell’impossibilità di mantenere le proprie famiglie e di mantenere il posto nel quale lavoravano. Costoro, da questo errore hanno avuto un nocumento indiscutibile, nocumento che speriamo possa venire riparato in base all’articolo 22. Molti danni sono stati arrecati anche in circostanze meno gravi, per esempio nei casi di sequestro di beni deperibili, prolungato anche oltre quel termine che comporterebbe lo svolgersi ordinario dell’azione giudiziaria.

Questo sequestro prolungato ha portato a molte persone dei danni sensibili. E, poi, in ultimo, onorevoli colleghi, voglio riferirmi anche ad una categoria di persone alle quali giustizia sarebbe stata resa, per lo meno in una certa piccola parte, se già fosse stato in vigore questo articolo 22 del progetto di Costituzione della Repubblica italiana, cioè agli antifascisti, i quali hanno lottato contro il fascismo e sono stati condannati ingiustamente, iniquamente. Non vi è stata una iniquità maggiore della sentenza che ha condannato gli antifascisti che lottavano per il bene, per la giustizia e per la libertà del Paese, cioè coloro che sono stati costretti ad abbandonare le loro famiglie, a far mancare alle loro famiglie i mezzi di sussistenza più indispensabili, coloro che sono stati costretti ad emigrare all’estero, coloro che hanno sopportato lunghi anni di confino. Queste persone che oggi sono ritornate in Italia, che non hanno potuto certamente specializzarsi in un mestiere, che hanno lavorato ora qui ora là, dove potevano, perché la vita dell’esule non è una vita facile e non dà garanzie di lavoro continuo, sono persone che oggi si trovano molto spesso in condizioni economiche disagiate ed alle quali si sarebbe dovuto venire incontro per mezzo di questo articolo 22,

Io finisco con questo articolo in quanto sono sicuro che esso interpreta il sentimento di gratitudine che promana da tutto il popolo italiano verso coloro che hanno dato modo al nostro Paese di liberarsi dal nemico, verso coloro che hanno dato modo a noi di sedere oggi qui per discutere e dibattere la Costituzione della Repubblica italiana. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Mastino Pietro. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Onorevoli colleghi, io penso che sia miglior discorso in questa materia quello che, abbandonando le disquisizioni sui criteri filosofici, tenti di portare un contributo concreto di chiarificazione di idee e di precisione nella formulazione degli articoli, in rapporto alla Costituzione della Repubblica italiana.

Noi non abbiamo bisogno di definire i diritti di libertà, di stabilire in che consista l’inviolabilità della persona umana. Ciascuno di noi, durante il recente ventennio, ha personalmente sentito che cosa, in concreto, la violazione di quei principî abbia rappresentato. Ed io mi permetto di dire che oggi la discussione su questa materia ha un’importanza speciale, per le violazioni di libertà dall’Italia patite nel ventennio.

In una delle ultime sedute taluno accennò a Francesco Ruffini, ed io credo opportuno ricordare una pagina veramente fulgida del suo volume sui diritti di libertà; quella pagina in cui egli già dal 1926, nel volume allora pubblicato da Piero Gobetti, vaticinava una Italia in cui, superato il periodo fascista, l’amore per la libertà risorgesse forte e violento, violento in ragione diretta dei patimenti subiti, degli avvenimenti passati. La discussione di oggi ha, quindi, anche una speciale solennità; ma noi non abbiamo bisogno di fissare i concetti dei diritti di libertà, di domicilio non violabile, di circolazione, di soggiorno, di libertà di stampa. Sono concetti sui quali penso siamo tutti d’accordo. Piuttosto è necessario che alla discussione e poi, soprattutto, alla formulazione, degli articoli si provveda, partendo da un presupposto chiaro, di fronte al quale non vi possano essere incertezze o tentennamenti e il presupposto deve essere questo: che l’Assemblea si propone di impedire la possibilità di nuove violazioni dei diritti di libertà della persona umana. È una conquista che noi riaffermiamo non nel campo filosofico o nel campo giuridico, ma nel campo politico. In questo specialmente sta la necessità dell’odierna discussione, e della formulazione degli articoli della nuova Costituzione della Repubblica.

Io ho presentato, onorevoli colleghi, degli emendamenti al progetto, i quali affermano soprattutto questo fondamentale concetto: come sia bene indicare nella Costituzione le libertà individuali che non possono essere menomate; ma che la loro regolamentazione debba essere, poi, contenuta nei singoli codici: Codice penale, Codice di procedura, e anche la legge e il regolamento di pubblica sicurezza. Mi è parso che lo stesso concetto e lo stesso criterio abbiano affiorato nei discorsi di taluni di quelli che hanno parlato prima di me, e soprattutto oggi nel discorso tenuto dall’onorevole Grilli. Certo si è questo che – se anche voi non riteniate opportuno giungere alla conclusione cui io sono giunto e che ha determinato la presentazione di questi emendamenti, secondo i quali si dovrebbero indicare i principî generali nello Statuto e si dovrebbe invece passare la regolamentazione alle leggi specifiche – se anche, dicevo, questo concetto non dovesse valere e prevalere, parecchi degli articoli contenuti nel progetto attuale non possono essere inclusi nella Costituzione. Basti per tutti indicare l’articolo 12, nel suo primo e nel suo secondo capoverso, in cui si dice che le riunioni in luogo aperto al pubblico non richiedono necessità di preavviso e che delle riunioni in luogo pubblico deve esser dato preavviso alle autorità che possono vietarle per comprovati motivi di sicurezza e di incolumità pubblica. Si trascrive nella Costituzione un disposto preciso non solo dell’attuale legge di pubblica sicurezza, ma dell’apposito regolamento. Si abbassa – direi – il tono del nostro Statuto fondamentale, il quale, a mio avviso, dovrebbe contenere dei principî chiari, non equivocabili, espressi possibilmente in una forma priva di retorica e direi, lapidaria, sì che costituiscano veramente i principî sui quali si innestino poi tutte le leggi successive.

Questo è l’importante. I Codici integreranno e completeranno lo Statuto; Statuto e Codici costituiranno veramente l’insieme fondamentale di quelle regole che presiederanno alla nostra vita pubblica e regoleranno i rapporti fra i cittadini e lo Stato.

Ciò premesso, io debbo però anche partire dal concetto che i miei emendamenti non vengano presi in considerazione ed intraprendere perciò l’esame degli articoli con un criterio pratico. Debbo però, prima, far mio un accenno dell’onorevole Grilli, il quale ha detto che le disposizioni della nuova Carta costitutiva furono violate, per quanto già contenute nello Statuto albertino e per quanto il Codice penale già punisca quanti usino violenze verso i sottoposti a misure di sicurezza che ne restringano la libertà personale.

Diceva l’onorevole Grilli come l’inanità, la mancata pratica applicazione di quelle disposizioni contenute nei Codici penali, renderebbe, in certo senso, vano ed inutile lo sforzo cui siamo intenti quest’oggi. Dico all’onorevole Grilli che questa sua affermazione contiene una parte di verità amara, ma non ci deve scoraggiare ad avere fiducia nella vita della nuova Italia repubblicana.

Non basterà certo lo Statuto a mutare l’ambiente: è negli spiriti che si deve verificare la riforma; nel costume e nella vita, tutto, dal basso verso l’alto, dev’essere innovato. Quando parliamo di Italia nuova, quando parliamo di Repubblica, noi dobbiamo pensare che non basta intitolare la forma dello Stato dalla repubblica anziché dalla monarchia, ma occorre pensare e volere uno Stato reso più alto nelle coscienze e nella vita dei cittadini.Posso quindi passare, onorevoli colleghi, senz’altro, all’esame dei singoli articoli. È così che, parlandovi dell’articolo 8 dovrò ripetervi alcune cose che già sono state dette da altri. Tenterò però servirmi di quella esperienza, la quale non mi deriva solo, come altri per proprio conto hanno detto, dall’esercizio professionale, ma dall’avere condotto quell’esercizio in un ambiente ben diverso.

Quando io leggo, nell’articolo 8, che, in determinati casi di necessità e di urgenza, l’autorità di pubblica sicurezza può prendere misure provvisorie, da comunicare, entro 48 ore, all’autorità giudiziaria e sento dire che questo termine è eccessivamente lungo, io concordo mentalmente con questo argomento che è una specie di protesta di chi vorrebbe che neanche un minuto possa trascorrere prima che l’autorità giudiziaria intervenga; ma quando penso poi al desolato mio ambiente, in cui le possibilità telefoniche mancano spesso, in cui spessissimo l’autorità è rappresentata da un posto fisso di carabinieri sperduti nelle campagne, riconosco che questo termine di 48 ore diventerà un’affermazione platonica che rimarrà come tale nella legge.

Non è – badate – onorevoli colleghi, che io intenda, proporre un allargamento del termine sopradetto; intendo unicamente presentare alla Commissione e a quelli che dovranno ancora in materia discutere e decidere, una difficoltà di indole pratica, perché l’articolo 8 sia formulato con riferimento preciso alla sua pratica applicazione. Solo se in pratica potranno essere vitali, gli articoli dello Statuto meriteranno approvazione. È, quindi, necessario riferirsi alla possibilità della loro applicazione in tutti gli ambienti delle varie regioni.

Nel secondo capoverso dello stesso articolo invece che «l’autorità di pubblica sicurezza può prendere misure provvisorie», io scriverei: «la polizia giudiziaria», termine più comprensivo.

Nell’articolo 9 è stabilita la libertà e la segretezza di corrispondenza e la necessaria limitazione, nei casi stabiliti dalla legge, con provvedimento motivato dall’autorità giudiziaria. La frase «casi stabiliti dalla legge» è troppo generica. L’autorità giudiziaria può essere troppo corriva a stabilire e praticare eccezioni nel campo del segreto epistolare animata dall’onesto proposito di conseguire fini di giustizia. Ed io non voglio contrastare a tali fini. Ma occorre trovare una formula, per quanto ciò sia molto difficile, che concilii l’interesse e le necessità delle istruttorie penali col concetto di libertà e segretezza della corrispondenza; si potrebbe tentare di fare un passo innanzi, aggiungendo un avverbio, dicendo cioè all’articolo 9 che la loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dall’autorità giudiziaria nei casi «rigorosamente» stabiliti dalla legge.

Nell’articolo 10 è detto che ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio italiano; e poi si aggiunge che ha anche, come cittadino, diritto di emigrare. A me non piace quel termine «circolare»; mi dà l’impressione che un commissario di pubblica sicurezza inviti quanti affollano una piazza, costituendo quello che, comunemente, si dice un assembramento, a sfollare, ripetendo il verbo circolare. Non è facile trovare un altro termine. Si potrebbe forse dire: «ogni cittadino può viaggiare nel territorio dello Stato».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. È un’altra cosa.

MASTINO PIETRO. È un argomento dia esaminare. Ogni cittadino ha diritto di emigrare, si dice e si è voluto per l’appunto riconoscere il diritto all’emigrazione. Ma, se l’andata all’estero fosse determinata non dal proposito di emigrare, ma da una ragione di altro genere? Penso che nessuno di noi possa interpretare l’articolo 10 come diretto alla esclusione di cotesto diritto; ma è un fatto che l’aver usato il termine «emigrare» unicamente in rapporto alla possibilità del trasferirsi all’estero per ragione di lavoro limita la portata dell’articolo, che bisogna formulare in modo più chiaro e comprensivo.

L’articolo 20, che riguarda la libertà di Stampa sarà sottoposto ad esame da un altro collega del gruppo autonomista e, quindi, io non ne devo parlare. Osservo solo che, in base a tale articolo, nei casi d’assoluta urgenza, l’autorità di pubblica sicurezza può sostituirsi all’autorità giudiziaria, che non possa intervenire, sequestrando il giornale, e che però tale disposizione si manifesterà insufficiente in qualche altro caso. Si potrà, ad esempio, ingiuriare ed oltraggiare altrui con un’insegna luminosa senza che il disposto dell’articolo 20, così com’è ora formulato, consenta alcuna facoltà d’intervento. Presento il caso all’attenzione della Commissione.

Sopprimerei l’articolo che stabilisce la libertà di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi; nessuno ha mai pensato a negare la possibilità di agire in giudizio. Nessuna delle disposizioni fasciste ha nemmeno mai pensato a ciò. Importante sarebbe, invece, rendere veramente pratico ed attuabile il contenuto del capoverso dello stesso articolo; secondo il quale: «La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento»; intendendo questo non nel senso che ciascuno abbia diritto ad essere assistito e difeso, ma che anche il povero abbia la possibilità di essere effettivamente assistito e veramente difeso. Le attuali norme in materia di gratuito patrocinio non ci danno questa garanzia; e lo scrivere «tutti possono agire in giudizio» potrebbe avere quindi un sapore, direi, di amara ironia; non ultimo motivo, questo, perché l’articolo 19 venga eliminato dal progetto della nuova Costituzione.

Pena di morte. Io sono rimasto sorpreso nel sentire quanto l’onorevole Leone ha detto oggi all’Assemblea in materia di pena di morte, perché egli ha premesso di essere contrario a tale pena. Quindi avrei creduto che, se non avesse sciolto un inno all’articolo che ne consacra l’abolizione, lo avrebbe, per lo meno, approvato. Senonché egli ha continuato dicendo che sarebbe opportuno che su una così importante materia non ci pronunciassimo, perché nuove situazioni e casi speciali potrebbero consigliare la pena di morte.

Noi non possiamo seguire una linea amletica, ma dobbiamo ricollegarci con la scuola e col pensiero italiano.

L’insegnamento luminoso di Cesare Beccaria ci ammonisce a respingere la pena di morte. Ciò che è strano però nell’onorevole Leone è che egli ha sciolto un inno alla riparazione degli errori giudiziari. Relativamente alla pena di morte, mi sono sempre chiesto, onorevoli colleghi, se uno dei maggiori argomenti contro di essa non sia dato proprio dalla possibilità dell’errore giudiziario. Quando una condanna alla pena di morte sia stata eseguita, qualunque pretesa riparazione dell’errore sarebbe un’ironia raccapricciante.

La rieducazione del reo. Io ho in materia le mie idee e penso che molti dei colpevoli possano veramente essere capaci di umana redenzione. Ma nego che tutti, assolutamente tutti, siano in grado di redimersi. Quando leggemmo nei giornali, poco tempo fa, un fatto accaduto a Milano che fece rabbrividire ciascuno di noi, l’eccidio d’una intera famiglia consumato da una donna, noi pensammo ad una pazza o ad una criminale nata: ed in verità la distinzione fra le due situazioni è difficile. Ora, io non vedo come si possa parlare di una possibilità di redenzione in un caso di questo genere. Ma l’onorevole Leone parla in ogni caso dell’anima del colpevole, che merita di essere rieducato, e che merita una pena umana La pena dev’essere umana certo, per rispetto a noi stessi, per la dignità del nostro consorzio civile. Ma la motivazione non può essere quella data dall’onorevole Leone.

Miglioriamo le carceri ed i penitenziari. Spendiamo quel che è necessario per le carceri e anche per gli agenti di custodia, e allora potremo avere praticamente l’applicazione dei principî contenuti in questo articolo.

Si dice all’articolo 22 che i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono personalmente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. Qui si codifica quanto già la giurisprudenza prevalente nel campo civilistico e amministrativo aveva riconosciuto.

Si aggiunge: «Lo Stato e gli enti pubblici garantiscono il risarcimento dei danni arrecati dai loro dipendenti».

Sono d’accordo soprattutto in quest’obbligo fatto allo Stato di garantire il risarcimento dei danni. Si stabiliranno così un legame e un rapporto, soprattutto di vigilanza, assidua, quotidiana, fra Stato e dipendenti.

L’onorevole Cavallari ha accennato, in ultimo, ad un argomento che è presente a tutti noi, e precisamente al pericolo che la libertà, interamente intesa e il diritto di asilo, riconosciuto senza eccezioni, possa riempire l’Italia di elementi che un tempo si dicevano indesiderabili.

Preoccupazione giusta, sentita da quanti paventano le conseguenze alle quali l’onorevole Cavallari ha accennato in modo specifico.

Io penso però che nell’articolo 11 sia detto in certo senso quanto è necessario dire per ovviare al pericolo; si specifica in esso che è concesso asilo allo straniero al quale siano negate nel proprio Paese le libertà garantite dalla Costituzione italiana. Questi, e questi solo, avrà diritto di asilo in Italia. Quando sia uno straniero che non abbia rispettato quelli che sono i principî di libertà contenuti nelle nostre norme statutarie, quello straniero non avrà diritto di asilo in Italia.

Penso d’altra parte che si possa venire ad una formulazione giuridica di norme di diritto internazionale, che riguardino tutti i criminali di guerra. Sotto questo punto di vista, a mio parere, la questione dovrà essere esaminata e dobbiamo augurarci possa essere decisa.

Ho finito. Nel chiudere una discussione di questo genere non possiamo che inspirarci al concetto religioso della libertà; concetto da noi sempre nutrito nell’animo, il cui ritorno abbiamo sempre auspicato e che, oggi, praticamente, viviamo; quello stesso che inspira e presiede questi nostri lavori: una libertà in cui i diritti dell’individuo trovino un limite nei diritti dello Stato e questo esplichi la propria vita senza violarla. Dalla vita armonica degli uni e dell’altro, la Repubblica italiana potrà avere quel sicuro avvenire che è nei nostri cuori e che ciascuno di noi le augura. (Applausi).

(La seduta, sospesa alle 18,50, è ripresa alle 19,15.)

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Trimarchi. Ne ha facoltà.

TRIMARCHI. Onorevoli colleghi, una delle caratteristiche fondamentali di questa Costituzione che ci stiamo accingendo a preparare per la nostra Nazione è quella dell’aver riconosciuto in modo esplicito, chiaro, i diritti fondamentali della persona umana, è quella di voler che la Costituzione abbia il suo fulcro sulla persona umana, sulla sua dignità, sui suoi diritti essenziali.

Ed è con piacere che vediamo nelle singole parti, nei singoli titoli, affermati in tutta la loro portata, i più importanti diritti della persona umana.

Nell’articolo 8 del titolo primo vediamo garantita in modo chiaro e preciso dalla Costituzione la libertà personale, e nei successivi articoli 26 e 32 vediamo sanciti gli altri due diritti fondamentali della persona umana, cioè il diritto all’integrità corporale dell’individuo ed il diritto al lavoro.

Qualcuno dei giuristi si è domandato: è opportuno inserire nella legge e nelle costituzioni questi diritti, che sono più propriamente gli attributi della persona umana, o non è meglio che la definizione di questi attributi sia lasciata alla scienza sociale? Ciò sarebbe stato possibile, onorevoli colleghi, se nella nostra società non ci fossero pericoli di attentati a queste fondamentali libertà, se non uscissimo purtroppo da una dolorosa esperienza che ci ha detto come certe dottrine moderne sullo Stato e sulla concezione sociale hanno menomato, calpestato, eliminato del tutto, talvolta, i diritti della persona umana.

Ed è per questo che noi vogliamo che in questa Costituzione che si va facendo in un periodo così triste per la nostra storia, questi diritti vengano riconosciuti e garantiti, che il principio della libertà personale sancito nell’articolo 8 resti nella sua formula precisa, a garantire la libertà contro gli attacchi che certe dottrine, che certi Stati, che poggiano le loro concezioni sociali su esse, possano fare.

È bene che i diritti della persona vengano definiti nella Costituzione, per evitare che domani, in una collisione fra la persona e lo Stato, la persona non abbia la sufficiente garanzia dei suoi diritti, che sono diritti primarî, fondamentali, giustamente diceva il collega Bettiol, naturali della persona umana. Dicevo che corriamo il pericolo di gravi dottrine e correnti sociali moderne che vorrebbero conculcare e menomare questi diritti. Intendo riferirmi principalmente a quella nefasta dottrina del collettivismo di Stato che fu applicato, fin nelle sue estreme conseguenze, nella Germania nazista. Voi ricorderete che nel 1939 Hitler in un discorso affermò che ogni anno la Germania era costretta a spendere centinaia di milioni di marchi per mantenere alcune migliaia di esseri ammalati, di esseri ammalati di malattie incurabili, di esseri socialmente pericolosi, perché delinquenti abituali o delinquenti per tendenza. Hitler applicando rigorosamente la dottrina collettivistica, trasse queste conseguenze: questi esseri importavano allo Stato una forte spesa, questi esseri erano improduttivi e distoglievano dai fini fondamentali della Nazione, della collettività, una somma notevole; ebbene, per eliminare tali spese improduttive era necessaria la soppressione di questi esseri ritenuti socialmente pericolosi, e ammalati di malattie incurabili. Hitler non esitò a ordinarla.

Fu allora la dottrina sociale cristiana, fu allora la Chiesa, che ha sempre sostenuto l’inviolabilità, la naturalità dei diritti della persona, la loro primarietà di fronte allo Stato, che denunciò Hitler come assassino, come omicida. E ricordo le nobili parole del vescovo di Münster che allora disse, insorgendo contro questo grave delitto della umanità, che l’uomo non può essere considerato dallo Stato alla stregua di un aratro che quando è inservibile si getta via, o alla stregua di una vacca che quando non produce più latte si manda al macello, perché l’uomo non è mezzo per i fini dello Stato, ma è fine a sé stesso, salva la dipendenza da Dio, è persona a sé stante soggetto di diritti primari che lo Stato deve riconoscere e garantire, e che mai può violare, menomare, impedire.

Noi vogliamo che questo principio sia chiaramente definito e plaudiamo di tutto cuore alla Commissione che ha voluto esplicitamente sancire i diritti fondamentali della persona umana, perché noi diciamo che al di sopra di tutti gli interessi economici, contingenti dello Stato, al di sopra di tutti i fini della collettività, vi è la persona, questo essere perfettissimo, come lo definì San Tommaso, questo microcosmo, come lo definirono gli antichi pagani, in una parola questo spirito immortale che per noi, anche se esso è in un corpo malato, in un corpo improduttivo ai fini della Nazione, vale in sé più che tutti gli interessi economici di questo mondo, vale più che tutti gli interessi collettivi, economici o sociali, contingenti di una determinata società.

Ed è perciò che plaudiamo pure a quella parte dell’articolo 8, che sancisce la punizione di ogni violenza fisica o morale a danno delle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà. Noi vogliamo che anche quando l’individuo debba essere fermato per motivi di pubblica sicurezza, per essere sospetto di un reato gli venga usato quel trattamento che comporta la dignità dell’essere umano, la nobiltà di questo essere superiore a tutti gli esseri della natura, la nobiltà di una persona che ha un cuore e un’anima.

Consentitemi adesso di dire una parola sugli articoli che trattano delle libertà politiche: libertà di stampa, libertà di propaganda, libertà di pensiero, libertà di associazione, libertà di religione. È stato qui detto che questa parte della Costituzione, mentre da un lato riconosce questo diritto alle libertà politiche, dall’altro, con le limitazioni che pone, in pratica, restringe e menoma le libertà stesse.

Onorevoli colleghi, è bene che noi abbiamo ben chiaro il concetto della libertà, ben chiaro il fine per cui la libertà è concessa e deve essere consentita nell’ambito sociale. Certo, noi vogliamo che la libertà individuale concepita come libertà dell’individuo di poter liberamente pensare, di poter seguire liberamente l’ascesa del suo pensiero, di poter seguire liberamente la determinazione della sua coscienza, sia intesa in senso assoluto. Nessuno può inibire la libertà dell’intimo pensiero dell’individuo, nessuno può penetrare nel santuario della coscienza. Ma quando la libertà si riferisce alla propaganda, alla stampa, alle manifestazioni comunque del pensiero umano nell’ambito sociale, quando cioè il pensiero dell’individuo va a trasferirsi negli altri membri della società attraverso la propaganda, della parola e della stampa, attraverso le manifestazioni pubbliche, allora, onorevoli colleghi, è necessario – dico è necessario – che venga posto un limite chiaro e preciso per salvaguardare i beni morali della società, per impedire che l’uso di questa libertà possa pervertire le coscienze, portare al male, condurre al vizio; perché, onorevoli colleghi, se questa libertà dovesse essere consentita per il male, consentitemi di dirlo, non potrebbe, non dovrebbe essere concessa. Perciò è bene che il limite ci sia e il limite è quello della morale, del buon costume, dell’ordine pubblico, limite che risponde – come dicevo – a questa esigenza: di salvaguardare il complesso sociale dal male. Ci sono alcuni che dicono che nella libertà di tutte le opinioni si raggiunge più facilmente la verità, si formano meglio gli istituti sociali. Ebbene, onorevoli colleghi, quando si tratta di materia opinabile, cioè quando si tratta di discutere su verità che non toccano la morale e che non sono sicuramente acquisite, onde si richiede l’apporto degli ingegni migliori della Nazione e delle varie opinioni, perché dal contrasto nasca meglio quello che possa essere comunemente accettato, allora, siamo perfettamente d’accordo, la libertà deve essere assoluta. Ma quando si tratta di stampe, di parole, di spettacoli che contrastano con l’ordine morale, con le più certe verità morali, in modo da ingenerare male nelle coscienze, allora la libertà deve essere limitata, perché, se il male, se l’idea cattiva si diffonde in mezzo a coscienze sicuramente formate, allora è chiaro che queste coscienze sono in grado di farvi fronte; ma quando il male si diffonde in mezzo a coscienze non sufficientemente preparate, in mezzo a coscienze giovanili le quali non hanno ancora l’esperienza della vita e la necessaria maturità, allora il male agisce, le perverte e rovina, perché trova il terreno adatto.

E noi l’abbiamo visto con la stampa immorale e pornografica che, dopo questa triste guerra, è una delle cose più deplorevoli che dobbiamo oggi constatare. Giovani, giovanette, ancora non completamente maturi, leggendo questa stampa che esalta il vizio e si compiace delle più oscene turpitudini, hanno procurato alle loro anime, alle loro coscienze inesperte mali irreparabili.

Se noi crediamo che sia compito dello Stato impedire la diffusione del male e la propagazione del vizio, è necessario appunto che la stampa abbia questo limite del buon costume.

Una parola sul sequestro. L’articolo 16 parla di questo benedetto sequestro. Effettivamente, quando noi leggiamo «sequestro», pensiamo facilmente al regime fascista che si servì di quest’arma, insieme con la censura preventiva, per togliere le libertà politiche.

Quando il fascismo, infatti, introdusse nella stampa il sequestro e la censura preventiva, intese, con questi due mezzi, impedire la libertà politica, togliere la libertà di stampa. E da allora in Italia non vi fu più opposizione. Pertanto, noi dobbiamo richiedere che di quest’arma si faccia l’uso giusto; vogliamo che il sequestro sia usato semplicemente per prevenire il buon costume, per prevenire la propaganda immorale, la propaganda pornografica.

In questi soli casi è legittimo usare questi mezzi che sono purtroppo tanto odiosi. In questi casi perché, onorevoli colleghi, quando si rifletta bene, vediamo che allora il sequestro è assolutamente necessario.

Si dice: Ma non vi sono le leggi penali che puniscono il reato di stampa? Non bastano le leggi penali per punire coloro che diffondono oscenità e idee contro il buon costume? Ebbene, io vi faccio questa domanda: ritenete voi che, quando il male si possa prevenire con un provvedimento preventivo, oppure si possa contemporaneamente reprimere quando sia stato commesso, non sia più conveniente reprimerlo sul nascere, anziché prima consentirlo per punirlo più tardi?

La risposta è ovvia. Oltre la pena che si commina al responsabile del reato di stampa, vi deve essere questo mezzo preventivo, onde far sì che il reato venga impedito. E crediamo che in tal modo si sodisfi interamente all’esigenza, al diritto che ha l’anima, che ha la coscienza di vedere salvaguardati i suoi valori morali e sociali.

Poche parole per l’articolo 21. Questo articolo sancisce, come hanno opportunamente notato altri onorevoli colleghi, il principio che la pena deve tendere alla rieducazione del condannato, e non può consistere in trattamenti contrari al senso di umanità. Ebbene, onorevoli colleghi, io mi rendo perfettamente conto di questa esigenza, che sentiamo tutti, di vedere umanizzata la pena, di vedere attuato nel sistema penitenziario italiano un trattamento più umano, più confacente alla dignità della persona umana che viene condannata. Ma è bene che le idee su questo punto siano ben chiare. Io non vorrei che dalla dizione, quale risulta attualmente dell’articolo 21, si possa trarre un’interpretazione restrittiva di tale articolo. Infatti, tale articolo dice semplicemente che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato. A noi sembra che questa dizione, in questa forma, possa domani prestarsi ad un’interpretazione restrittiva, che potrebbe portare come conseguenza l’applicazione nel nostro sistema penale della cosiddetta teoria positivistica della pena, che è una teoria rispettabilissima, ma per la scienza giuridica non risponde completamente alle vere esigenze, alle vere finalità della pena. Sì, noi ammettiamo che la pena ha, tra i suoi fini, l’emenda, ma vi sono altri fini, quali quello della giustizia, della prevenzione generale, della remunerazione, ecc., che esigono che le pene siano giuste e agiscano come controspinta al delitto.

Ove si ritenesse esclusivo il fine della emenda, noi creeremmo uno strumento di pena che invece di agire per il bene della collettività, potrebbe agire per il male della collettività; perché, onorevoli colleghi, io mi domando che cosa avverrebbe se invece delle carceri, che servono appunto ad attuare il primo fine della pena, quello dell’espiazione nei limiti di giustizia, noi approntassimo semplicemente delle case di cura, dove il condannato sarebbe sicuro che invece di soffrire le privazioni che la pena necessariamente comporta, verrebbe rieducato, verrebbe trattato con tutti i riguardi. Io credo che in questo caso la pena, piuttosto che agire come controspinta al delitto, potrebbe agire come spinta al delitto. Ed è, perciò, bene che nella Costituzione, risulti chiaramente che la pena deve prima sodisfare alle esigenze della giustizia, della remunerazione, della prevenzione generale, e debba anche tendere alla rieducazione del reo, dopo che la giustizia sia stata sodisfatta; perché solo allora la pena risponde alle esigenze per cui essa si giustifica negli ordinamenti civili.

TUPINI. L’un fine non esclude l’altro, onorevole collega.

TRIMARCHI. Sì, onorevole Tupini, l’un fine non esclude l’altro; ma io desidererei che la formulazione dell’articolo 21 fosse più esplicita nel dichiarare, nell’affermare che questo fine non esclude gli altri, perché potrebbe sembrare dalla dizione letterale: «le pene devono tendere alla rieducazione del condannato» che unico fine debba ritenersi l’emenda. Perciò preferirci una formula che chiarisse bene che l’emenda è solo uno dei fini della pena.

Onorevoli colleghi, ho finito. Voglio semplicemente ancora rilevare quello che ho detto al principio di questo mio breve discorso, cioè che opportunamente la nostra Costituzione ha stabilito che i diritti della persona sono il fulcro dei diritti del nostro ordinamento sociale moderno. Se noi vogliamo costruire una società migliore in un ordine più giusto, più umano, più cristiano di quello in cui attualmente si vive nel mondo, è necessario che da noi venga sancito questo principio del rispetto dei diritti della persona e che noi, soprattutto, attuiamo nella pratica questi diritti in modo che ai cittadini siano garantiti la libertà, l’integrità corporale, il diritto al lavoro, che consentano all’individuo una vita conforme alla sua dignità di persona.

Perciò appunto vogliamo che questi principî vengano proclamati ed attuati; perché crediamo che così solo si potranno risolvere integralmente i problemi sociali che attualmente travagliano la nostra esistenza. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. Non essendo presenti gli onorevoli Einaudi e Zotta, la loro iscrizione a parlare s’intende decaduta.

È iscritto a parlare l’onorevole Nobile. Ne ha facoltà.

NOBILE. Onorevoli colleghi, mi spettava di parlare nella seduta di sabato, ma non ho avuto difficoltà ad aderire alla preghiera rivoltami dal Presidente di parlare questa sera, prendendo il posto dell’amico Targetti, perché le cose che ho da dire si riferiscono a questioni concrete e non richiedono, perciò, speciale preparazione. Del resto la mia mentalità ed educazione di tecnico mi fanno rifuggire da discorsi aventi carattere troppo generale. Dopo le dotte disquisizioni giuridiche di alcuni dei nostri colleghi, ascolterete da me solo alcune brevi osservazioni, dirette più che altro ad illustrare concisamente gli emendamenti che ho proposto.

Comincio dall’articolo 10 che nel primo comma proclama il diritto di ogni cittadino a circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio italiano.

Appare veramente strano, a prima vista, che un tale elementare diritto, che nessuno oserebbe porre in dubbio. debba essere affermato con tanta solennità nella Costituzione, quasi si temesse che esso possa venire negato. Ancora più strano deve apparire a quelli della mia generazione che ricordano come, fino allo scoppio della prima guerra mondiale, si poteva liberamente circolare, non solo in Italia, ma in tutta Europa, senza bisogno di passaporto.

La verità è che oggi, coll’ordinamento regionale che malauguratamente si vuol dare alla Repubblica italiana, il pericolo che sorgano ostacoli alla libera circolazione dei cittadini e delle cose perfino entro il territorio nazionale, sussiste realmente; tanto vero che la seconda Sottocommissione sentì il bisogno di inserire un apposito articolo per vietare alle Assemblee legislative regionali di porvi ostacoli. È giustificata, quindi, pienamente la disposizione dell’articolo 10. Ma, a mio avviso, essa non è sufficiente: bisogna completarla, aggiungendo che ogni cittadino ha il diritto di esercitare la propria professione, arte o mestiere in qualsiasi parte del territorio nazionale. Quest’aggiunta non apparirà superflua, quando si rifletta che già oggi in qualcuna delle regioni mistilingue di confine si manifesta la tendenza ad allontanare i professionisti originari di altre regioni che, già da anni, vi esercitavano la professione. L’emendamento aggiuntivo da me presentato servirà ad impedire così mostruosi attentati all’unità nazionale.

Un emendamento restrittivo ho proposto per il diritto di asilo contemplato nell’articolo 11. Affermare che i perseguitati politici hanno il diritto di rifugiarsi nel nostro Paese è cosa nobilissima; ma un tale diritto non può venir concesso senza alcun limite. Le osservazioni fatte in proposito dall’onorevole Cavallari mi sembrano giuste; ed a me piacerebbe vedere emendato l’articolo in questione, nel senso che la Repubblica italiana garantisce l’asilo a tutti coloro che, per aver combattuto in difesa di quelle stesse libertà che la Costituzione italiana garantisce ai propri cittadini, siano stati costretti ad abbandonare il loro Paese di origine. Con ciò una restrizione già vi sarebbe; ma se il comma dì cui parlo non sarà emendato in quel senso, sarò costretto a mantenere l’emendamento con cui ho proposto che il diritto di asilo sia subordinato alle restrizioni della legge sull’immigrazione. Un paese povero come il nostro ha ben il diritto di imporre qualche limitazione, quando paesi ricchi e prosperi quali gli Stati Uniti d’America pongono tanti ostacoli alla immigrazione anche di rifugiati i politici.

L’articolo 14 stabilisce che tutti hanno diritto di esercitare in privato od in pubblico atti di culto, purché non si tratti di principî o riti contrari al buon costume o all’ordino pubblico. Sono, naturalmente, d’accordo; però badate, onorevoli colleghi, che vi sono sètte religiose, i cui riti, pur non essendo contrari all’ordine pubblico od al buon costume, costituiscono, per la loro stravaganza, intollerabili aberrazioni. Sètte di tal genere sono numerose specialmente in America. A me stesso è capitato di assistere a taluni dei loro riti. Nulla in essi vi era che offendesse il buon costume o potesse turbare l’ordine pubblico; ma erano per se stessi talmente ridicoli che mi sembrerebbe davvero inconcepibile che, in un paese di antica civiltà come il nostro se ne potesse tollerare l’esistenza. Mi sembra, perciò giusto che l’articolo 14, insieme con i riti che offendono la morale, proscriva anche quelli stravaganti. (Interruzione dell’onorevole Tonello).

Mi spiegherò, caro Tonello, con esempi concreti. Ho vissuto alcuni anni negli Stati Uniti, e mi è capitato varie volte di sentir parlare di alcuni strani culti che colà allignano. Una volta presso Chicago ho assistito, sebbene di lontano, ad una cerimonia religiosa in cui gli adepti si contorcevano, come fra convulsioni, sul pavimento della cosiddetta chiesa fra le alte grida dei fedeli. Nulla contro il buon costume, nel senso che ordinariamente si dà a questa espressione, ma non credo che in un paese civile si debbano tollerare siffatti degenerazioni del sentimento religioso. L’America del Nord, purtroppo, abbonda di tali culti stravaganti. Basti citare per tutti quello del Father Divine, di cui forse avrete sentito parlare non fosse altro che per la villa che, a spese di suoi creduli seguaci, riuscì a costruirsi sulle rive dell’Hudson di fronte a quella di Roosevelt. Nel Tennessee esiste una setta religiosa, i cui ministri celebrano i loro riti maneggiando serpenti che portano cinti al collo. Solo in questi giorni, e lo apprendiamo dalle riviste americane, una legge di quello Stato ha proibito l’uso dei serpenti, dopo che due ministri erano morti a causa dei loro morsi.

Dopo il contatto che abbiamo avuto con truppe straniere di ogni razza e colore, non mi par fuor di luogo che siano prese misure per impedire che culti stravaganti del genere che ho accennato possano propagarsi anche fra noi. Mi direte che ciò è estremamente improbabile, e sono di accordo; ma altrettanto improbabile è, allora, che possano attecchire fra noi culti che offendano il buon costume. Perciò, visto che nella Costituzione si parla di questi, ritengo necessario aggiungere nel divieto anche quelli.

All’articolo 16 non ho da fare alcuna osservazione. Alcuni colleghi si sono scandalizzati della disposizione contenuta nel quinto comma, che dà facoltà al legislatore di stabilire controlli per accertare i mezzi di finanziamento nella stampa periodica, facoltà che a me pare, invece, indispensabile. Mi sarà permesso in proposito richiamarmi al pericolo che è derivato, e tuttora deriva, dalla stampa che è asservita all’industria degli armamenti. Questa stampa, speculando sui sentimenti nazionalistici, ed eccitando questi in tutti i modi, spinge l’opinione pubblica verso gli armamenti, additando quelli degli altri Stati. Con ciò essa costituisce uno dei pericoli più gravi alla pace tra i popoli, e perciò il controllo anzidetto è oggi indispensabile.

Un’osservazione ancora vorrei fare circa l’ultimo comma dell’articolo 16, concernente il divieto delle pubblicazioni a stampa, degli spettacoli e di tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume.

Sono perfettamente di accordo; e mi piace ricordare, che a tale divieto ho io stesso contribuito con un emendamento presentato alla Commissione dei Settantacinque, che anche porta la firma del nostro caro Presidente.

In quell’occasione ricordai che in questi anni di dopoguerra si è avuto in Italia un dilagare di stampa pornografica (giornali, riviste, libri), il cui successo commerciale è basato sull’attrazione maggiore o minore che essa esercita sugli istinti umani più bassi. Una parte della cellulosa che importiamo dall’estero è destinata a tale ignobile industria, mentre la valuta necessaria per acquistarla potrebbe adoperarsi per altre cose essenziali alla nostra ricostruzione, come il carbone, o alla nostra alimentazione, come il grano. Ricordavo in quell’occasione che è davvero mortificante per un Paese di millenaria civiltà, quale il nostro, dover prendere in questo campo lezioni da altri paesi di più recente storia, come la Russia sovietica, dove (e ne feci io stesso l’esperienza) nessuna pubblicazione o manifestazione del genere è permessa. È assurdo pensare che i fautori della libertà di iniziativa industriale o commerciale vogliano estenderla al punto da permettere che loschi speculatori si arricchiscano corrompendo la gioventù. La Costituzione della Repubblica deve con le sue disposizioni proclamare la necessità di un profondo rinnovamento anche nel campo morale.

Da ultimo, onorevoli colleghi, permettetemi una breve osservazione circa il terzo comma dell’articolo 21, secondo il quale le pene devono tendere alla rieducazione del condannato.

Su questo alcuni colleghi giuristi hanno espresso il loro avviso in senso contrario. In materia sono, assolutamente incompetente, ma a me pare che una Costituzione moderna non possa non contenere un accenno alla necessità che il sistema penitenziario venga riformato nel senso che debba tendere alla rieducazione dei detenuti. È il meno che si possa fare. In questo campo vi è molto da innovare, e consentitemi notare che anche qui l’esempio ci viene dalla Russia, dove ai criminali comuni si dà la possibilità di una completa riabilitazione, che annullando completamente il loro passato li mette in condizioni di aspirare alle più alte posizioni sociali. Ben per questo, in sede di Commissione plenaria, l’onorevole Terracini ed io presentammo un emendamento, che tendeva a limitare le pene restrittive della libertà personale a 15 anni. L’emendamento fu respinto. La maggioranza della Commissione non credette di poter introdurre nella Carta costituzionale un principio così rivoluzionario che, in misura anche più ampia, è già in atto nell’Unione sovietica. Ma un progetto di Costituzione che, come quello che abbiamo davanti, contiene giustamente tanti riferimenti ai diritti della persona umana, deve, sia pure con un’espressione generica, garantire quei diritti anche a chi ha violato la legge, violazione la cui responsabilità pur ricade in gran parte sul nostro cattivo ordinamento sociale.

Un’ultima parola, ed ho finito, circa la pena di morte di cui si propone la soppressione. Per mio conto la vorrei abolita perfino nei codici militari di guerra. Ma, allora, perché conservare quella morte in vita che è la pena dell’ergastolo? (Applausi).

PRESIDENTE. Il seguito di questa discussione è rinviato a domani alle 16.

Avverto che domani si terrà seduta anche alle 10.

La seduta termina alle 20.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 10:

  1. – Interrogazioni.
  2. – Seguito della discussione del disegno di legge:

Modifiche al testo unico della legge comunale e provinciale, approvato con regio decreto 5 marzo 1934, n. 383, e successive modificazioni. (2).

Alle ore 16:

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 27 MARZO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

LXXVII.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 27 MARZO 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

 

Sul processo verbale:

Bubbio                                                                                                              

Interrogazioni (Svolgimento):

Cappa, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio                               

Presidente                                                                                                        

Pajetta Giuliano                                                                                             

Gasparotto, Ministro della difesa                                                                     

Cortese                                                                                                            

Perrone Capano                                                                                              

Capua                                                                                                               

Gortani                                                                                                            

Covelli                                                                                                             

Rodinò Mario                                                                                                  

Pellizzari                                                                                                         

Modifiche al testo unico della legge comunale e provinciale, approvato con regio decreto 3 marzo 1934, n. 383, e successive modificazioni (Seguito della discussione):

Presidente                                                                                                        

Bellavista                                                                                                       

Mannironi                                                                                                        

Dozza                                                                                                               

Carboni, Relatore                                                                                              

Scelba, Ministro dell’interno                                                                              

Molinelli                                                                                                         

Persico                                                                                                             

Villani                                                                                                             

Sicignano                                                                                                         

Benedetti                                                                                                         

Fuschini                                                                                                            

Bubbio                                                                                                              

Basile                                                                                                               

Cifaldi                                                                                                              

Cosattini                                                                                                          

Numeroso                                                                                                         

Tozzi Condivi                                                                                                   

Zotta                                                                                                                

Interrogazioni e interpellanze con richiesta d’urgenza:

Presidente                                                                                                        

Scelba, Ministro dell’interno                                                                             

Cairo                                                                                                                

Gortani                                                                                                            

Pellizzani                                                                                                        

Silipo                                                                                                                

Mozione (Annunzio):

Macrelli                                                                                                          

Scelba, Ministro dell’interno                                                                             

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 10.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

Sul processo verbale.

BUBBIO. Chiedo di parlare sul processo verbale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BUBBIO. Dichiaro che, se fossi stato presente nella precedente seduta antimeridiana, avrei votato contro l’emendamento presentato dall’onorevole Cosattini.

PRESIDENTE. Non essendovi altre osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Interrogazioni.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Interrogazioni.

La prima è quella dell’onorevole Pajetta Giuliano, firmata anche dagli onorevoli Mattei Teresa, Marchesi, al Presidente del Consiglio dei Ministri, «per conoscere i motivi dell’avvenuta sostituzione del Commissario nazionale alla Gioventù Italiana, professore Giorgio Candeloro, con un funzionario della pubblica istruzione, ed in particolare, per sapere se con tale nuova nomina si voglia avviare la ripartizione dei compiti e quindi del patrimonio dell’ex G.I.L., bene comune della gioventù e del popolo italiano, nei termini previsti dal decreto-legge 2 agosto 1943, affidando cioè questi beni ai Ministeri della difesa e della pubblica istruzione, che non possono soddisfare le giuste esigenze delle organizzazioni giovanili e sportive, le quali vedono, in una diretta assegnazione in uso alla gioventù ed allo sport dei beni dell’ex G.I.L., una forma di concreto aiuto dello Stato alla vita ed allo sviluppo dello sport e delle organizzazioni giovanili. Gli interroganti chiedono quindi all’onorevole Presidente del Consiglio se non ritiene necessario di invitare, innanzi tutto, il nuovo Commissario della G.I. a non pregiudicare, con alcuna ripartizione, la situazione patrimoniale dell’ex G.I.L., e di provvedere immediatamente alla destinazione definitiva del patrimonio e dell’attività dell’ex G.I.L., attraverso l’emanazione di un nuovo decreto-legge, alla elaborazione del quale siano messi in grado di partecipare, oltre ai competenti organi governativi, anche, in veste di tecnici, gli esponenti delle organizzazioni giovanili nazionali democratiche e del C.O.N.I., affinché questo decreto possa nel miglior modo corrispondere alle aspirazioni ed agli interessi della gioventù e dello sport».

L’onorevole Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio ha facoltà di rispondere.

CAPPA, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio. In risposta all’interrogazione presentata riguardo alla sostituzione del commissario della G.I., professore Giorgio Candeloro, con un funzionario della pubblica istruzione, la Presidenza del Consiglio tiene ad assicurare gli onorevoli interroganti che il cambio è stato determinato unicamente dalla necessità di avvalersi dell’opera di funzionari, per affrettare la preparazione di nuovi provvedimenti che si rendono ormai indilazionabili perché l’antica istituzione fascista possa essere trasformata. Non si è inteso, quindi, affatto di pregiudicare gli interessi di quel patrimonio dell’ex G.I.L., che, come gli onorevoli interroganti affermano, è bene comune della gioventù e di tutto il popolo.

L’opera del nuovo commissario, col quale collabora un commissario designato dal Ministero della difesa, per quanto riguarda gli interessi di questo Dicastero, sarà rivolta soltanto ad avviare a pratica soluzione i problemi per i quali si sono già raccolti elementi necessari.

L’opera del Commissariato non impegna per nulla la definitiva assegnazione dei beni che devono rimanere affidati alle Organizzazioni giovanili tutte. In particolare, si tratta dei problemi riguardanti la sistemazione degli insegnanti di educazione fisica e del residuo personale della G.I., il controllo dei beni patrimoniali dell’ente e l’esame delle domande che insistentemente rivolgono Patronati scolastici e Amministrazioni comunali perché vengano loro restituiti quei titoli e quei beni che l’Opera balilla prima e la G.I.L. dopo, avevano incamerato e per i quali tali enti rivendicano legittimi titoli di proprietà.

Sono mansioni queste di carattere puramente amministrativo, che non possono e non devono avere alcun riferimento politico e che è bene, quindi, siano trattati e risolti da commissari che non appartengono ad alcun partito.

Per quanto riguarda, invece, la definitiva ripartizione del patrimonio proprio dell’ex G.I.L., il commissario si limiterà a presentare all’esame ed al giudizio della Presidenza le domande e le proposte delle assegnazioni patrimoniali, le quali dovranno, in ogni caso, rispondere ai fini assistenziali ed educativi della gioventù.

Questa Presidenza anzi, per maggior garanzia di imparzialità e serenità di giudizio, sta studiando le modalità per la costituzione di una Commissione la quale, tenuto conto dei vari interessi delle associazioni giovanili, possa compiere i necessari accertamenti in merito alla devoluzione di un così cospicuo patrimonio. Ma ogni definitivo provvedimento sarà adottato soltanto con norme di legge e dovrà quindi essere sottoposto al Governo e alla competente Commissione di questa Assemblea Costituente.

Gli onorevoli interroganti possono essere sicuri che, sia in seno a tale Commissione, sia in sede di elaborazione di ogni eventuale progetto di legge, saranno tenute presenti ed equamente valutate le aspirazioni di quelle organizzazioni giovanili e sportive le quali abbiano giusto titolo alla rivendicazione di quei beni che devono essere destinati allo sviluppo dello sport e delle organizzazioni giovanili stesse.

A risparmiare delle repliche polemiche in conseguenza di pubblicazioni giornalistiche, farò alcune altre dichiarazioni in proposito.

Quanto è stato pubblicato a proposito di una recente circolare del commissario nazionale della G.I., che ripeto non è iscritto ad alcun partito politico, sull’organizzazione delle colonie estive, è frutto di un grosso equivoco, per il quale si confonde e identifica la concessione in uso di edifici della G.I. a quegli enti che intendono promuovere la costituzione di colonie estive e il loro possesso.

Poiché la G.I., che ricorda un periodo di dannoso accentramento di opere e di iniziative a favore della gioventù, deve avviarsi al suo scioglimento; si ravvisa opportuno cominciare seriamente ad alleggerirne i compiti e gli oneri, mercé un benefico decentramento. Le colonie estive così non diventano feudo di nessuno, ma saranno gestite da tutti quegli enti che ne hanno la capacità finanziaria e tecnica e saranno sempre sottoposte al vigile controllo del commissario.

Tra essi primeggiano indubbiamente i Patronati scolastici. Non si vede quindi come i provvedimenti in corso possano essere dipinti come una manovra elettorale. Chiunque abbia i mezzi necessari e viva sollecitudine per la fanciullezza, può assumere lodevoli iniziative che mirino ad assicurare ad essa i benefici di un periodo estivo al mare o ai monti.

Altri beni della G.I., come palestre e cinematografi, sono tutt’ora in uso alle più svariate organizzazioni, che hanno concluso o stanno per concludere col Commissariato regolari convenzioni. L’appunto che si è voluto formulare contro il tentativo del Commissariato non ha fondamento alcuno e mi auguro che gli onorevoli interroganti vogliano lealmente riconoscerlo.

PRESIDENTE. Prima di dare la parola all’onorevole Pajetta Giuliano, raccomando a tutti gli onorevoli interroganti di tenere presente che non posso loro concedere più dei cinque minuti regolamentari.

L’onorevole Pajetta Giuliano ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

PAJETTA GIULIANO. Onorevole Presidente, il nostro collega onorevole Scelba, Ministro dell’interno, non mi ha concesso sabato di parlare all’Esquilino su queste cose. Mi consenta quindi di parlarne qui un po’ diffusamente.

PRESIDENTE. Cerchi, in ogni modo, di essere il più breve possibile.

PAJETTA GIULIANO. Non si può essere soddisfatti della risposta dell’onorevole Sottosegretario di Stato perché, prima di tutto, per quanto concerne la sostituzione del professor Candeloro come commissario io potrei citare – sarebbe forse una indiscrezione – una frase pronunciata da un Ministro torinese in Consiglio dei Ministri a questo proposito, quando disse all’onorevole Presidente del Consiglio, che, come torinese, lo ringraziava per avere liberato Torino da quel provveditore agli studi. Come figlio di una maestra elementare torinese potrei anche io aderire ad un simile apprezzamento.

CAPPA, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio. Io non ho sentito questa frase in Consiglio dei Ministri.

PAJETTA GIULIANO. Il professor Tortonese non è forse un uomo di partito per la tessera che non ha in tasca, ma è certo un uomo di parte per quanto ha fatto a Torino quando vi è arrivato, liquidando tutto quanto era stato fatto dal precedente provveditore agli studi, nominato dal C.L.N. della scuola, e l’attività iniziata in questi giorni e nei giorni che vanno da quando, insieme con ì colleghi onorevoli Mattei e Marchesi, abbiamo presentato la nostra interrogazione, non ha fatto purtroppo che riaffermare quei dubbi e quelle preoccupazioni, che avevamo in parte espresso nell’interrogazione stessa.

Il commissario ed anche i due vice commissari nominati al suo fianco, non so se siano dello stesso partito, ma è certo che agiscono in nome della stessa parte. Non si tratta di poca cosa, quando si parla dei beni della ex G.I.L.: quando altri colleghi, in altra occasione, mi pare l’onorevole Faralli, l’onorevole Bianca Bianchi ed altri, hanno rivolto interrogazioni su queste questioni, è stato loro risposto: si vedrà nel quadro generale.

Oggi invece, nella risposta dell’onorevole Cappa, si afferma che non si fa se non studiare la cosa, senza praticamente pregiudicarla in nulla. Noi crediamo invece che l’azione che ha iniziato il professor Tortonese ed anche le stesse dichiarazioni generali da lui pronunciate quando egli ha assunto questa carica, tendano a pregiudicare le cose perché, quand’anche facessimo poi una legge, se questi beni saranno già andati a destra e a sinistra, evidentemente non vi sarà più nulla.

Faccio presente che vi sono 155 case della ex G.I.L., 224 colonie di educatori, 29 impianti sportivi isolati, di cui alcuni molto importanti, e il grande complesso di Roma, il Foro italico. Si è parlato implicitamente, nell’operazione di insediamento del professor Tortonese, della legge Badoglio dell’agosto del 1943, sulla sistemazione dei beni presso i Ministeri della guerra e della pubblica istruzione; ma il problema, io credo, sta in ciò: se noi ci dobbiamo semplicemente orientare verso una ripartizione del patrimonio purché sia, o verso l’intento di fare qualche cosa per la gioventù.

Però io credo che si debba tener conto anche delle proposte formulate da varie associazioni giovanili, anche assai importanti. Si parla di Patronati scolastici: ma che cosa sono essi, ad eccezione che nelle grandi città? Sono degli enti senza mezzi, senza possibilità di utilizzazione di questi beni. Noi diamo poi questi mezzi ai Patronati scolastici che si occupano solo dei bimbi: e chi si occuperà di coloro che non vanno più a scuola, della gioventù delle classi lavoratrici dai 14 ai 17 anni, che forse più ha bisogno dell’assistenza materiale e soprattutto morale da parte dello Stato? A chi daremo le colonie della Riviera Ligure e dell’Adriatico? Noi pensiamo che al Ministero della pubblica istruzione debbano andare i collegi, le palestre e così via. Noi pensiamo che, per quanto riguarda le case della ex G.I.L. affidate ai comuni, esse, pur rimanendo di proprietà dello Stato, debbano essere utilizzate per tutta la gioventù e le organizzazioni giovanili.

Però noi pensiamo, nello stesso tempo, che l’insieme del patrimonio non possa essere sparpagliato e sminuzzato. È stato detto che il commissario studia soltanto i problemi; ma a me pare che non si sia fatto soltanto uno studio; ma che si siano anche compiute alcune operazioni molto precise. Nei pochi giorni da che il commissario è insediato, egli ha proceduto alla liquidazione dell’ufficio studî, al licenziamento di alcuni funzionarî: la dottoressa Russo, il dottor Gervasi e il dottor Pironti.

L’Italia Libera dava la lista di altri cinque licenziamenti. Il commissario ha inoltre liquidato la Commissione consultiva, ha sciolto la Commissione di liquidazione del personale della ex G.I.L. E quella stessa circolare del 18 marzo non tutti noi interpretiamo nel modo così benigno e particolare con cui l’ha interpretata l’onorevole Cappa. Ci risulta, per esempio, che a Catanzaro è già intervenuto un caso concreto di rottura degli accordi presi fra il commissario provinciale della G.I. e l’Ufficio provinciale dell’antico Ministero dell’assistenza post-bellica, per cui i fondi e anche i locali sono passati al vescovo di quella città. Ci risulta che, per esempio, a Udine, l’importante centro della ex G.I.L. di Lignano sia stato passato alla Commissione Pontificia di assistenza locale. D’altra parte, è innegabile che non si possa trovare normale la situazione di Roma dove di tutti i numerosissimi impianti ieri a disposizione della gioventù, oggi tutti, tranne alcuni locali di impianti secondari, sono a disposizione di istituzioni, probabilmente, rispettabilissime religiose. In quanto al Foro Italico le smentite non sono molto convincenti. Sembra che gli americani tendano a farsene il loro campo sportivo di soggiorno, e poiché in una città come la nostra capitale, in cui abbiamo grandi associazioni sportive che fanno onore al mondo sportivo, non abbiamo uno stadio presentabile, la cosa sarebbe molto grave. Se i nostri amici d’oltre Atlantico ci tengono a portarsi via l’obelisco, lo facciano pure: però ci sono altre cose cui noi teniamo.

Si dice oggi che si studierà in contatto con le associazioni giovanili, senza tener conto dei voti espressi dai giovani. E io mi richiamo, in primo luogo, al voto espresso già in sede di Consulta nazionale dal nostro collega Giulio Andreotti, sulla proprietà dei beni della ex G.I.L., ecc., l’uso dei quali deve essere consentito a tutte le organizzazioni giovanili. In questo voto si dice che vi è stato un Consiglio nazionale della gioventù, «che però è stata una manovra abortita, perché qualcuno intese mettere in minoranza le associazioni cattoliche». Pregherei l’onorevole collega Andreotti di consigliare l’amico che scrive sul giornale, di cui egli si onora di essere un collaboratore, di contare almeno fino a cinque, se ci può arrivare… (Interruzioni Commenti al centro).

PRESIDENTE. Concluda, onorevole Pajetta.

PAJETTA GIULIANO. Su nove associazioni ve ne sono cinque, compresa la G.I. e le Associazioni cattoliche…

PRESIDENTE. Se mai, questo può essere oggetto di discussione col Sottosegretario. La prego di concludere.

PAJETTA GIULIANO. Concludendo, noi preghiamo vivamente che di fatto e non solo a parole, l’attività del professor Tortonese resti un’attività amministrativa e che praticamente vi sia la sospensiva di certe misure che non possono certo calmare le nostre apprensioni. In secondo luogo che si tenga conto nell’elaborazione della nuova legge – e io prendo atto delle dichiarazioni, che in linea di massima sono benigne verso la gioventù, dell’onorevole Cappa – dei voti già espressi dai giovani, e soprattutto delle loro necessità.

PRESIDENTE. Sono state presentate le seguenti interrogazioni urgenti alle quali il Ministro della difesa intende dare subito una risposta.

«Al Ministro della difesa, per conoscere:

  1. a) se, ad onta della smentita pubblicata dall’agenzia Tass, egli conferma quanto dichiarò circa la sorte dei prigionieri italiani in Russia rispondendo ad una sua precedente interrogazione;
  2. b) per conoscere quali passi siano stati svolti dal Governo italiano, per lo meno al fine di accertare come mai vi sia così grande disparità fra il numero dei prigionieri italiani che il Governo dell’Unione Sovietica assume di avere restituito e quello dei prigionieri effettivamente rimpatriati.

«Cortese».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro della difesa, per sapere:

1°) se e che cosa ci sia di attendibile nelle notizie divulgate oggi a Roma da un numero unico stampato a Milano, circa la sopravvivenza in Russia di ventimila prigionieri italiani (per duecento dei quali si indica il nome e il paese di origine);

2°) quali passi intenda fare il Governo onde appurare la verità di questa e di altre consimili affermazioni, apparse anche sulla stampa quotidiana;

3°) quali provvedimenti intenda prendere il Governo per avocare a sé questa grave e dolorosa materia, ed evitare che una incontrollata libertà di stampa possa eventualmente portare nuove sofferenze atroci ai congiunti degli ottantamila dispersi nella terra sovietica.

«Gortani».

«Al Ministro della difesa, sulla situazione reale dei prigionieri in Russia in merito alle pubblicazioni recenti fatte all’estero.

«Covelli».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri degli affari esteri e dell’assistenza post-bellica, per sapere con urgenza se essi sono a conoscenza che in Russia, contrariamente a quanto è stato dichiarato, vi sono ancora dei prigionieri italiani, tra cui alcuni ufficiali e due cappellani, e se intendono svolgere la doverosa azione per il rimpatrio.

«Riccio».

L’onorevole Ministro della difesa ha facoltà di rispondere.

GASPAROTTO, Ministro della difesa. Dichiaro di dare piena e precisa conferma a quanto ebbi a comunicare, com’era mio dovere, non a giornali, ma al deputato Cortese nella risposta all’interrogazione rivoltami a mezzo del Presidente dell’Assemblea Costituente.

La questione è circoscritta, come è detto nella risposta, alla situazione dei prigionieri caduti sul fronte russo in mano dei russi, e in essa è detto testualmente così:

«In base ai dati in possesso del Ministero, i militari rimpatriati dalla prigionia in Russia, già appartenenti all’A.R.M.I.R., sono 12.513, dei quali 656 ufficiali e 11.857 sottufficiali e militari di truppa».

Tale notizia corrisponde a quanto ebbi a dichiarare alla Consulta nazionale nella pubblica seduta del 5 marzo 1946, quando presiedevo il Ministero dell’Assistenza post-bellica, e a quanto ebbi a ripetere e documentare nella conferenza alla stampa estera tenuta nel palazzo di Montecitorio la sera stessa del 5 marzo predetto.

Queste dichiarazioni, fino da allora precise, e subito largamente e ripetutamente diffuse dalla stampa, non furono mai smentite. In allora – marzo 1946 – i prigionieri dell’A.R.M.I.R. rientrati in patria, contati e identificati uno per uno ai posti di ricevimento, e denunciati ufficialmente all’Assemblea della Consulta e alla stampa estera ed italiana, erano 11.150. Dopo quell’epoca è notorio che non rientrarono da noi che 1363, in modo da raggiungere il totale precitato di 12.513.

Dichiaro che questi accertamenti sono stati fatti con scrupolosa diligenza negli uffici competenti del Ministero della guerra, e sono confermati da documentazione fornita dal Ministero degli esteri, documentazione che sono pronto ad offrire all’esame dell’Assemblea. Alla quale mi permetto di far presente ancora quanto fu pubblicato, e ne darò notizia un po’ più dettagliata in appresso, nel n. 1 del 10 febbraio 1943 del giornale Alba diffuso in Russia per i nostri prigionieri, e nel n. 2 del 20 febbraio dello stesso anno.

Come si spiega, dunque, il divario fra la versione italiana e quella recata dal giornale russo? È probabile che nella cifra di 19.640 segnalata dai russi nel novembre 1945 sia considerata l’aliquota dei prigionieri italiani fatti dai tedeschi e successivamente liberati dai russi e trasferiti, dalla Germania occupata, nei loro territori. Ma questi non sono i soldati dell’A.R.M.I.R. dei quali abbiamo sempre parlato, e in tal caso verrebbe, purtroppo, ad essere notevolmente diminuito il numero dei superstiti dell’armata infelice.

Non credo di avere, con le dichiarazioni del marzo 1946 e con quelle dei giorni scorsi, e cioè nella risposta all’interrogazione Cortese, non credo di avere dimostrato animo e spirito men che amichevoli verso la grande Repubblica dei Sovieti, perché i liberi governi sono sempre amici della verità e perché il Ministro di un libero Paese non può essere insensibile al grido delle madri che chiedono disperatamente che cosa sia avvenuto dei loro figli.

Questi figli – ecco l’amara verità – sono morti per la maggior parte, morti prima di tutto a causa dei tedeschi che, tradendo fin da allora gli alleati italiani, hanno, con atti di tradizionale ferocia, impedito loro, nella tragica sacca del Don, di profittare dei convogli; in secondo luogo per l’orrido clima, per gli stenti, per le malattie.

Il Governo ha fatto quanto era in lui per alleviare tante sventure, e, finché un lume di speranza lo sorregga, farà fino all’ultimo il dovere suo, nella coscienza di difendere e dire la verità, e di recare conforto a chi osi ancora sperare, aspettando.

Che se ci verrà ufficialmente confermato, che nel territorio russo non ci sono più prigionieri italiani ancora in vita, a noi, che non potremmo mettere in dubbio la parola del Governo di un grande Paese, non resterebbe che la tristezza di ritenere chiusa anche questa pagina di una guerra, che ha causato tanti danni e tanti dolori al popolo italiano.

Questa la risposta, che spero sia giudicata chiara e precisa alle interrogazioni dell’onorevole Cortese e dei colleghi che lo hanno seguito.

Però, non più a loro, ma a tutta l’Assemblea devo dare l’assicurazione e la prova documentata che non vi è nel Governo italiano un Ministro che abbia mentito.

Onorevoli colleghi, ecco qui il resoconto stenografico della seduta alla Consulta del 25 marzo 1946 (oltre un anno di distanza, dunque!), nel quale si legge che dalla Russia erano tornati 11.150 prigionieri e vi si trovavano tuttora, allora, 8.490; ecco il resoconto della precedente seduta 4 marzo, in cui il Ministro che oggi è dipinto come uomo ostile ad un Governo estero, ebbe a dare la spiegazione dell’immenso disastro che ha colpito l’A.R.M.I.R., dichiarando: «mai forse potranno essere identificati gli infelici sorpresi nella sacca di Stalingrado, dove gli italiani sono stati abbandonati e traditi, a dispetto dell’alleanza, dai tedeschi, e dal governo fascista, servile all’alleato. Non sono stati mai vendicati».

Ed ecco anche l’originale della lunga relazione che io ho letto ai giornalisti italiani ed esteri nella seduta intervenuta qui, nella vicina sala della Presidenza al Palazzo di Montecitorio, la sera stessa del 5 marzo 1946, dove le cifre sono riportate e illustrate, cifre che sono state larghissimamente e ripetutamente diffuse da tutta la stampa italiana senza che mai abbiano trovato smentita. Ho qui, in questo momento, come vedete, una raccolta esuberante di giornali dell’epoca che parlano di ciò. Ma preferisco dare piuttosto parziale lettura (omettendo i brani che potrebbero sollevare troppa angoscia in cuori già desolati) della relazione finale presentata dai competenti uffici sulla bruciante situazione:

«I mancanti del nostro corpo di spedizione in Russia (A.R.M.I.R.) – vi è scritto – si calcolano a circa 100.000. Si ritiene che circa 20.000 di essi fossero morti durante la tragica ritirata del dicembre 1942 e gennaio 1943 e che circa 80.000 fossero stati catturati dalle truppe sovietiche.

«A conferma di ciò valgano le dichiarazioni del giornale Alba, pubblicato in Russia per i nostri prigionieri, al n. 1 del 10 febbraio 1943 e al n. 2 del 20 febbraio dello stesso anno».

Leggiamo: Giornale Alba del 10 febbraio 1943, pag. 2: «L’Armata italiana operante in Russia – sono parole scritte in Russia per i prigionieri italiani – non esiste più. L’offensiva dell’esercito rosso ha travolto anche l’8a Armata italiana; dal 16 al 30 dicembre le Divisioni Ravenna, Cosseria, Pasubio, Torino, Sforzesca, Celere, furono disfatte, insieme con alcuni battaglioni di camicie nere sul medio Don. Più di 50.000 soldati e ufficiali italiani vennero fatti prigionieri. Nel gennaio le Divisioni alpine Julia, Tridentina e Cuneense e la 156a Divisione fanteria Vicenza sono state a loro volta disfatte sul fronte di Voronez, e altri 33.000 fra soldati e ufficiali, tra cui tre generali di divisione, catturati».

Dunque, 50.000 prima, 33.000 dopo: arriviamo a 83.000 italiani, prigionieri e viventi. «Nonostante le nostre richieste, fino a quel momento non era giunta alcuna comunicazione ufficiale sulla situazione dei nostri prigionieri, sia dopo l’armistizio, sia immediatamente dopo la cessazione delle ostilità in Europa.

«Però nel settembre del 1945 le autorità sovietiche ebbero a comunicare ufficialmente, tramite la nostra Ambasciata a Mosca, il numero dei prigionieri italiani esistenti in Russia, ammontante a 19.640. Tale cifra, segnalata senza altre spiegazioni, è stata per noi una sorpresa, ed ha creato uno stato d’animo nella opinione pubblica e nelle migliaia di famiglie tale da fare aumentare l’angosciosa attesa, nella speranza che essa non fosse vera e che altri italiani si trovassero sbandati nell’immenso territorio russo.

«Da notizie avute da reduci si è potuto conoscere che tra il 1943 e la primavera del 1944 diecine di migliaia di prigionieri italiani sarebbero morti in Russia nei campi di prigionia per malattie, stenti, esaurimento, e molti subito dopo la cattura durante le marce di trasferimento ai campi, sulle strade coperte di neve e di gelo.

«Non sarebbe pertanto errato il calcolo fatto inizialmente dalle autorità italiane sul numero dei prigionieri catturati in Russia. La conferma data dal giornale «Alba», messa in relazione alla situazione in seguito fornita dal Governo sovietico del numero di 19.640, devono far ritenere attendibili le informazioni dei reduci che oltre 60.000 italiani sarebbero morti in Russia durante la cattività. La decisione del rimpatrio per i nostri prigionieri venne presa dal Governo sovietico nel novembre 1945. Il numero di essi ammontava soltanto a 19.640.

«Nonostante le non poche pressioni anche della nostra Ambasciata, non si è potuto avere notizia sui rimanenti dispersi.

«I rimpatri sospesi durante la stagione invernale vennero (giova riconoscerlo, dico io) ripresi nella primavera del 1946. Tutti i rimpatriati vennero censiti accuratamente per controllarne il numero, dalle competenti autorità italiane, all’arrivo in Patria. Alla data odierna, dei 19.640 risultano tornati soltanto (come ho già detto) 12.513. Un comunicato diramato il 31 maggio 1946 dall’Ambasciata sovietica a Roma alla stampa dà i seguenti dati in contrasto con quelli ufficiali in nostro possesso: 21.193 cifra iniziale (e non quella di 19.640); 20.096 rimpatriati in due blocchi fino all’aprile, 937 ancora da rimpatriare. Dopo tale comunicato, i rimpatriati ammontano a 887 che, aggiunti agli 11.626 in precedenza, fanno appunto 12.513, come ho precisato nella risposta all’onorevole Cortese. È probabile, dice l’ufficio e lo ripete, che nella cifra di cui sopra i sovietici abbiano considerato anche i prigionieri italiani liberati in Germania e trasportati nel territorio russo.

In tal caso il numero degli scomparsi verrebbe a diminuire notevolmente mancando ancora oltre 7000 sulla cifra di 19.640 inizialmente segnalata».

Vi sono ancora prigionieri in Russia? mi si domanda da ogni parte. Secondo recentissime comunicazioni, delle quali il Ministro della guerra ha dato notizia alla Presidenza del Consiglio ed al Ministro degli affari esteri, per dar modo a loro di intervenire in via diplomatica, è accertato che vi sono ancora in Russia 34 italiani, dei quali io ho tutti i nomi, e fra essi vi sono un generale di divisione e due generali di brigata. Avverto che, consapevole dell’importanza e della delicatezza che in simili argomenti deve usare un Ministro in carica nel rendere pubbliche dichiarazioni, fin da quando ho radunato i giornalisti esteri e italiani per la conferenza stampa, ho messo in evidenza un particolare, che confermo, e che fortunatamente dimostra che vi sono sentimenti di pietà e di solidarietà umana che vanno in tutto il mondo e che avvicinano anche coloro che si sono trovati in campi opposti sul campo di battaglia.

Le popolazioni della Russia hanno cercato di dare asilo e conforto più che fosse possibile, ai nostri prigionieri, e verso di esse io stesso ho appreso dai reduci parole di viva simpatia.

Onorevoli colleghi, con questo io credo di aver fatto il mio dovere, e di aver dato a voi la dimostrazione che non vi è al Governo un Ministro italiano che abbia mentito. (Vivi applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Cortese ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto. Io spero che la risposta dell’onorevole Ministro sia stata considerata esauriente dal collega interrogante.

CORTESE. Rendo omaggio al Ministro e gli sono davvero grato per l’ampia risposta e per la prova che egli ha dato del suo grande interessamento. Ma io devo rilevare che la sua risposta, purtroppo, non dico non plachi quel grido delle madri cui egli ha fatto accenno, ma non porta nemmeno quel piccolo conforto che può anche entrare in una casa da lungo tempo abitata dal dolore, quando si riceve per lo meno una notizia che dica come e quando è morto il proprio caro.

Vi è qui una contabilità di vite umane che noi abbiamo oggi ascoltato. (Interruzioni a sinistra).

GIUA. Non è l’unica. Siamo in parecchi. Io vorrei sapere dove è sepolto mio figlio in Spagna. (Commenti Interruzioni a destra).

CORTESE. Parliamo per tutti. Non credo che in questo argomento ci possa essere divisione, non credo che ci possa essere una distinzione in questo dolore, non credo che ci possa essere una distinzione fra i morti. Non vi sono distinzioni. (Interruzioni a sinistra).

Una voce a sinistra. Non dovete però farne una speculazione. (Interruzioni a destra Commenti).

PRESIDENTE. Non è questo un argomento che possa suscitare dissensi.

Una voce a destra. I dissensi sono dall’altra parte. (Interruzioni e proteste a sinistra).

PRESIDENTE. Onorevole Cortese, contenga il suo intervento nei limiti necessari.

CORTESE. Signor Presidente, la prego di notare che non ho potuto neanche iniziare il mio intervento. Non si tratta di contenerlo. Alle prime parole, che non credevo dovessero suscitare reazione di nessuno, sono stato violentemente interrotto e si è insinuato che si voglia fare una speculazione, mentre qui non si parla che di un sentimento di solidarietà nazionale, al di sopra delle parti e delle fazioni. (Interruzioni a sinistra).

PRESIDENTE. Continui pure, onorevole Cortese.

CORTESE. Dicevo, signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, che la risposta non ha placato quelle ansie. Ella, signor Ministro, ci ha ricordato che i prigionieri italiani dell’A.R.M.I.R. sono da presumere, con una certa approssimazione, quasi con certezza, nel numero di circa 80-83 mila. Ella ci ha ricordato che rimpatriati ne sono soltanto dodici mila, ed è perciò che noi chiediamo che si faccia qualche cosa, si insista, si svolgano delle indagini per conoscere appunto come, quando, in che mese, in che anno, in quale luogo, per quale causa, siano morti circa 70 mila italiani che erano in custodia delle autorità sovietiche. Non può ammettersi che venissero trattati come balle ammonticchiate; vi dovevano essere degli elenchi nominativi, vi dovevano essere delle liste nelle quali si segnava chi moriva, quando moriva, come moriva. Non è molto chiedere questo piccolo conforto in nome delle madri, in nome dei genitori, di tutti i partiti, in nome dei genitori italiani, i cui figli sono scomparsi in Russia.

L’ultima cifra ci ha dato veramente un senso di stupore, perché si dice ufficialmente dalle autorità sovietiche che sono stati restituiti 22 mila e più prigionieri. Effettivamente invece ne sono rimpatriati 12 mila. Gli altri 10 mila si sono forse perduti durante il viaggio? Sono forse caduti dal treno? Si dice: ma, forse, nel computo c’erano anche i prigionieri in Germania. Ma allora accertiamolo, perché quando voi pubblicamente fate sapere che 22 mila sono i prigionieri che la Russia assume di aver restituiti all’Italia, ciò significa far sperare a diecine di migliaia di madri che forse i loro figli sono ancora vivi, che forse in quei diecimila che si dicono ancora vivi, ma che non sono ancora arrivati in Italia, può esserci anche il proprio figlio del quale da cinque anni non si hanno notizie. Ecco perché dicevo che queste indagini vanno condotte innanzi e hanno bisogno di avere un esito sicuro. C’è stato forse un errore: forse nei 22 mila si computavano anche i prigionieri in Germania, come dice giustamente il signor Ministro; ma quelli non sono i prigionieri dell’A.R.M.I.R., quelli sono altri prigionieri di un altro triste capitolo della nostra tragedia.

Io insisto quindi presso l’onorevole Ministro – il quale d’altra parte non ha bisogno della mia insistenza – perché egli continui, con l’ausilio del Ministro degli esteri e del Presidente del Consiglio, in queste indagini; e se noi dovremo accertare che italiani vivi in Russia non ve ne sono più, almeno non si avrà più questa incertezza tormentosa, questa alternativa di speranze e di delusioni. Noi diremo che il destino ha voluto che questa catastrofe sia stata veramente inenarrabile, al punto che ci è anche toccata l’immensa sciagura di non veder ritornare da un Paese civile il 94 per cento dei nostri prigionieri. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. Essendo trascorso il tempo assegnato dal Regolamento allo svolgimento delle interrogazioni, le altre interrogazioni iscritte all’ordine del giorno saranno svolte nella seduta antimeridiana di domani. Credo che nessuno degli onorevoli interroganti si dorrà dell’anticipato svolgimento dell’interrogazione dell’onorevole Pajetta Giuliano.

PERRONE CAPANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERRONE CAPANO. Onorevole Presidente, lei, in principio di questa seduta, ha molto opportunamente richiamato il Regolamento: vorrà ora pertanto perdonarmi se, con il massimo rispetto per lei e per l’Assemblea, io le osservi che, se il Regolamento deve essere rispettato, deve esserlo da tutti e per tutti; e non invece soltanto da qualcuno e per qualche interrogazione.

Ora, io ho constatato che, in questa nostra seduta di oggi, il Regolamento non è stato molte volte osservato. Si è avuto infatti innanzitutto il seguente episodio che non debbo commentare: mentre c’è una tassativa disposizione regolamentare – lei me lo insegna – la quale dice che le interrogazioni debbono essere lette e discusse secondo la successione con cui sono indicate nell’ordine del giorno, si è viceversa questa mattina incominciato dalla penultima.

Si chiede inoltre che sia rispettato il termine massimo dei cinque minuti stabiliti per le repliche degli interroganti, e questo termine non è da tutti rispettato. Osservo, inoltre, che il Governo ci costringe a presentare delle interrogazioni, là dove dovremmo presentare delle interpellanze, perché, dell’articolo 120 del Regolamento, relativo allo svolgimento delle interpellanze, non si fa alcuna applicazione.

Dovremmo infine, una volta per sempre, metterci d’accordo sulle interrogazioni che sono presentate con richiesta d’urgenza. Quando infatti il Governo accetta l’urgenza e le interrogazioni sono poste all’ordine del giorno, queste dovrebbero avere un loro ordine progressivo per essere discusse.

Io non mi dolgo certo che si sia parlato poc’anzi dei nostri prigionieri in Russia, anziché della politica interna, sulla quale l’onorevole Ministro ci aveva pure promesso per ieri, e poi per oggi, un esame ed una risposta esauriente come l’argomento comporta, ma mi dolgo che delle interrogazioni di urgenza siano state poste all’ordine del giorno fra altre presentate senza urgenza, e che se ne siano fatte discutere altre di urgenza che non erano all’ordine del giorno, mentre sono state pretermesse…

PRESIDENTE. Concluda, onorevole Perrone Capano!

PERRONE CAPANO. Concludo affermando che non sono stati rispettati i diritti dell’opposizione. (Commenti).

PRESIDENTE. Facciano silenzio! (Rumori). Onorevole Perrone Capano, è stato lei a non rispettare il Regolamento.

PERRONE CAPANO. No, signor Presidente.

PRESIDENTE. Onorevole Perrone Capano, ella non ricorda bene il Regolamento. L’articolo 118 del Regolamento dice: «Quando il Governo riconosca che una interrogazione ha carattere di urgenza, potrà, dopo l’annunzio fattone dal Presidente, rispondere subito o nella tornata successiva in principio di seduta».

Ora, il Governo ha desiderato di rispondere subito, per il carattere di urgenza che le ha attribuito, all’interrogazione dell’onorevole Pajetta Giuliano.

PERRONE CAPANO. La stessa promessa aveva fatta a me.

PRESIDENTE. Ella non ha la facoltà di parlare.

L’onorevole Ministro della difesa… (Interruzione dell’onorevole Covelli).

Faccia silenzio! Non posso ammettere che si violi il Regolamento e si manchi di rispetto alla Presidenza! (Rumori a destra – Interruzioni).

L’onorevole Ministro della difesa ha creduto di rispondere alle interrogazioni dell’onorevole Cortese e di altri colleghi data la loro urgenza; con ciò non si è commessa nessuna violazione di Regolamento. (Interruzioni dell’onorevole Perrone Capano).

Onorevole Perrone Capano, lei non ha facoltà di parlare.

PERRONE CAPANO. Mi permetta, signor Presidente…

PRESIDENTE. Non posso concederle di parlare! (Rumori a destra).

CAPUA. Questa è una mancanza di riguardo all’Assemblea.

PRESIDENTE. Lei non ha facoltà di parlare.

CAPUA. Noi siamo qui per parlare.

PRESIDENTE. Sono veramente dolente…

CAPUA. Fa bene ad essere dolente.

PRESIDENTE. La richiamo all’ordine!

CAPUA. Lei manca di riguardo all’Assemblea.

PRESIDENTE. La richiamo all’ordine per la seconda volta! (Vivi commenti).

Non ci troviamo in un comizio. Occorre saper stare qui dentro. (Proteste a destra – Rumori – Interruzioni – Alcuni deputati dei settori di destra escono dall’aula).

GORTANI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GORTANI. Fra le interrogazioni di cui è stata data lettura… (Interruzioni dell’onorevole Covelli).

PRESIDENTE. Faccia silenzio, onorevole Covelli.

GORTANI. Fra le interrogazioni di cui è stata data lettura, e alle quali l’onorevole Ministro della difesa ha dichiarato che avrebbe dato risposta, riconoscendone l’urgenza, vi era anche quella da me presentata, alla quale implicitamente l’onorevole Ministro si è riferito per una parte, ma non per l’altra.

Chiedo pertanto: 1°) se l’onorevole Ministro intende di aver risposto anche alla mia interrogazione; 2°) se l’onorevole Presidente ritiene che io abbia diritto di esprimere se sono o non sono soddisfatto della risposta.

In mancanza di riscontro a questi due quesiti, se devo ritenere che l’onorevole. Ministro abbia inteso rispondere anche alla mia interrogazione, allora devo dichiarare che non ho trovato nelle sue parole quella precisazione che mi attendevo riguardo alle pubblicazioni che vanno pullulando in Italia e nelle quali io non so se sia completamente rispettato il dolore di quanti vivono da cinque anni nella più dolorosa angoscia.

Chiedevo nella mia interrogazione che questa così grave, così dolorosa materia venisse avocata a sé dal Governo, in modo che non possa sorgere il dubbio che la speculazione privata osi interferire in così tormentoso argomento.

Confido che il Governo voglia prestare la sua attenzione a questo punto così doloroso. Confido che la mente e il cuore del Ministro, il quale è friulano e sa il sacrificio di sangue e di valore dato dal Friuli all’A.R.M.I.R., faccia tutto quanto è umanamente possibile perché il quesito atroce, che ci attanaglia l’animo possa finalmente avere quella chiarificazione che il cuore di tutti attende, che l’umanità esige. (Approvazioni).

COVELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COVELLI. Protesto innanzitutto nei confronti…

PRESIDENTE. Si limiti all’interrogazione.

COVELLI. Debbo compiere il dovere, e credo di avere la solidarietà di tutti nel farlo, di protestare per il modo con il quale è stato diretto stamane il dibattito.

PRESIDENTE. Ed io respingo la protesta, e la invito a proseguire.

Voci a sinistra. Nessuna solidarietà! È un’affermazione personale. (Vivi commenti).

COVELLI. La vostra solidarietà poco m’interessa! Ne riparleremo.

Volevo associarmi all’omaggio dell’onorevole Cortese al Ministro della difesa, e questa volta in modo particolare: un uomo dell’opposizione è solidale col Governo, soprattutto in considerazione del fatto che un Ministro del Governo italiano, in maniera ferma e decisa, contesti il diritto di dare del mentitore ad un Ministro d’Italia ad un paese straniero nel quale dire la verità può costare la vita. Rende perciò, quest’uomo di opposizione, omaggio al Ministro e al Governo.

RODINÒ MARIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RODINÒ MARIO. Visto che non sarà svolta la interrogazione che porta la mia firma…

PRESIDENTE. Sono passati i 40 minuti regolamentari.

RODINÒ MARIO. …domando quando sarà discussa.

PRESIDENTE. Nella seduta di domani, se non saranno superati i termini stabiliti dal Regolamento.

RODINÒ MARIO. Avrà almeno la precedenza?

PRESIDENTE. Sarà iscritta all’ordine del giorno allo stesso turno di oggi.

PELLIZZARI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Indichi il motivo.

PELLIZZARI. Ieri io ed altri cinque colleghi di diverse parti dell’Assemblea avevamo presentato sei diverse interpellanze.

PRESIDENTE. L’avverto che l’ordine del giorno si stabilirà alla fine della seduta.

PELLIZZARI. Grazie, onorevole Presidente.

Seguito della discussione del disegno di legge: Modifiche al testo unico della legge comunale e provinciale, approvato con regio decreto 3 marzo 1934, n. 383, e successivo modifiche.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge: Modifiche al testo unico della legge comunale e provinciale, approvato con regio decreto 3 marzo 1934, n. 383, e successive modificazioni.

Come i colleghi ricorderanno, nella precedente seduta è stato esaurito l’esame del testo dell’articolo 5, e degli emendamenti.

Prima di porre in votazione nel suo complesso l’articolo 5, ne do lettura:

«Nei Comuni aventi popolazione superiore ai 100.000 abitanti o che, pur non avendo popolazione superiore ai 100.000 abitanti, siano capoluoghi di provincia, oltre che nei casi indicati ai numeri da 1 a 4 e da 9 a 14 dell’articolo 98-bis, sono sottoposte ad approvazione della Giunta provinciale amministrativa le deliberazioni che riguardino i seguenti oggetti:

1°) liti attive o passive e transazioni per un valore eccedente le lire 1.000.000 o di valore indeterminato;

2°) impieghi di danaro che superano nell’anno le lire 2.000.000, quando non si devolvano alla compra di stabili ed a mutui con ipoteca o a depositi presso gli Istituti di credito autorizzati dalla legge od all’acquisto di titoli emessi o garantiti dallo Stato;

3°) alienazioni di immobili, di titoli del debito pubblico, di semplici titoli di credito o di azioni industriali, quando il valore del contratto non superi la somma di lire 2 milioni, nonché la costituzione di servitù passive o di enfiteusi, quando il valore del fondo ecceda la somma anzidetta;

4°) locazioni e conduzioni di immobili oltre i dodici anni, o quando l’importo complessivo del contratto superi la somma di lire 1.000.000 e apertura di farmacie municipali, deliberata in deroga alle disposizioni vigenti circa l’esercizio delle farmacie».

BELLAVISTA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BELLAVISTA. Alcuni colleghi di questi banchi si sono allontanati. Io non l’ho fatto, e non lo faccio. In quest’aula chi si allontana ha sempre torto, in ogni caso. Vorrei però, adesso che si deve votare, far sì che anche i miei colleghi siano presenti. Io che conosco il Presidente, il quale se qualche volta segue il suo temperamento, è tuttavia obiettivo e sereno, vorrei dire ai miei colleghi che la frase che ha colpito la loro sensibilità altro non voleva essere, almeno nelle intenzioni del Presidente, che un energico richiamo al Regolamento, alle norme cioè di funzionamento dell’Assemblea. (Interruzione a sinistra). Sarò chiaro anche per il collega che interrompe, il quale, nemmeno lui, conosce a fondo l’arte di stare nell’Assemblea, se interrompe quando non ha capito.

PRESIDENTE. Non si preoccupi. Continui.

BELLAVISTA. L’intervento del Presidente rifletteva – io penso – una interpretazione del Regolamento, e in questo senso io non me ne sono sentito offeso. Se il Presidente consente, riferirò questa obiettiva interpretazione delle sue parole ai miei colleghi fuori dell’Aula, sicché essi possano rientrarvi nel momento della votazione: (Approvazioni).

PRESIDENTE. Quando mi sono riferito alla necessità di contenersi in modo corretto, ho voluto precisamente riferirmi al Regolamento. Il mio intervento nei confronti di taluni colleghi è stato proprio in questo senso: richiamarli al rispetto del Regolamento, che è base della discussione, e a norma del quale le proteste mi sembravano fuori di luogo.

Questo, onorevole Bellavista, ella può riferire ai suoi colleghi.

Pongo in votazione l’articolo 5 nel suo complesso.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 6, che è del seguente tenore:

L’articolo 100 del testo unico predetto è abrogato e sostituito dal seguente:

«Nei comuni aventi popolazione superiore ai 20.000 e non ai 100.000 abitanti o che, pur non avendo popolazione superiore ai 20.000 abitanti, siano capoluoghi di provincia, oltre che nei casi indicati ai numeri da 1 a 4 e da 9 a 13 dell’articolo precedente, sono sottoposte all’approvazione della Giunta provinciale amministrativa le deliberazioni che riguardano i seguenti oggetti:

1°) liti attive o passive e transazioni per un valore eccedente le lire 100.000;

2°) impieghi di denaro che eccedono nell’anno le lire 500.000, quando non si devolvano alla compra di stabili od a mutui con ipoteca o a depositi presso gli istituti di credito autorizzati dalla legge od all’acquisto di titoli emessi o garantiti dallo Stato;

3°) alienazioni di immobili, di titoli del debito pubblico, di semplici titoli di credito o di azioni industriali, quando il valore del contratto superi la somma di lire 500.000, nonché le costituzioni di servitù o di enfiteusi, quando il valore del fondo ecceda la somma suddetta;

4°) locazioni e conduzioni di immobili oltre i dodici anni o quando l’importo complessivo del contratto superi la somma di lire 250,000».

Al suddetto articolo sono stati presentati i seguenti emendamenti:

Sostituirlo col seguente:

«Nei comuni con popolazione superiore ai 20.000 abitanti e non superiore ai 100.000 i limiti di valore indicati ai numeri 5°) 6°) 7°) ed 8°) dell’articolo precedente, sono ridotti alla metà».

Mannironi.

Al secondo comma sostituire i numeri 1°),),) e 4°) con i seguenti:

1°) liti attive o passive o transazioni per un valore non eccedente le lire 200.000;

2°) impieghi di denaro che eccedono nell’anno le lire 1.000.000, quando non si devolvano alla compra di stabili od a mutui con ipoteca o a depositi presso gli Istituti di credito autorizzati dalla legge od all’acquisto di titoli emessi o garantiti dallo Stato;

3°) alienazioni di immobili, di titoli del debito pubblico, di semplici titoli di credito o di azioni industriali, quando il valore del contratto superi la somma di lire 1.000.000, nonché le costituzioni di servitù o di enfiteusi, quando il valore del fondo ecceda la somma anzidetta;

4°) locazione e conduzione di immobili oltre i dodici anni, o quando l’importo complessivo del contratto superi la somma di lire 500.000.

Preti, Villani.

Ai numeri 1°),),) e 4°), alle cifre rispettivamente: 100.000, 500.000, 500.000, 250.000, sostituire le cifre: 200.000, 1.000.000, 1.000.000, 500.000.

Dozza, Molinelli, Platone, Ravagnan, Ruggeri.

Al n. 3°), dopo le parole: nonché la costituzione di servitù, aggiungere: passive.

Costa.

Sopprimere al n. 4°) la disgiuntiva: o, e mettere al suo posto una virgola.

Colitto.

Al n. 4°, alle parole: oltre i dodici anni, sostituire le parole: oltre i cinque anni.

Basile.

In fine dell’articolo aggiungere: Le deliberazioni non avranno bisogno di conferma in seconda lettura.

Costa.

Onorevole Mannironi, ella mantiene il suo emendamento?

MANNIRONI. Dichiaro di ritirarlo.

PRESIDENTE. Va bene. Il secondo è quello degli onorevoli Preti e Villani. Il terzo è degli onorevoli Dozza, Molinelli, Platone, Ravagnan e Ruggeri.

DOZZA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOZZA. Ci associamo all’emendamento Preti, Villani, ritirando il nostro.

PRESIDENTE. Sta bene. Qual è il pensiero della Commissione sugli emendamenti?

CARBONI, Relatore. La Commissione, come per gli altri articoli, ha accettato l’emendamento Preti-Villani che assorbe quello Dozza.

Il primo emendamento Costa è stato già approvato dall’Assemblea in occasione dell’articolo 4-bis, ed il pensiero dell’onorevole Costa è stato già introdotto nell’articolo che stiamo discutendo. L’emendamento Basile è allo stato inaccettabile, perché verrebbe a contraddire a quanto l’Assemblea ha già deliberato a questo proposito nell’articolo precedente. Insomma questo emendamento è tardivo.

Infine l’ultimo emendamento dell’onorevole Costa è già stato rinviato in sede di discussione agli articoli aggiuntivi.

PRESIDENTE. Il primo emendamento Costa si intende assorbito e il secondo rinviato.

Non essendo presente l’onorevole Colitto, si intende che abbia rinunciato al suo emendamento.

Onorevole Basile, ella insiste nel suo emendamento?

BASILE. Non insisto.

PRESIDENTE. Pongo ai voti l’emendamento Preti-Villani, accettato dalla Commissione, sostitutivo dei numeri 1°), 2°), 3°) e 4°) del secondo comma.

(È approvato).

Pongo ai voti l’articolo 6 così modificato:

«L’articolo 100 del testo unico predetto è abrogato e sostituito dal seguente:

«Nei comuni aventi popolazione superiore ai 20.000 e non ai 100.000 abitanti o che non siano capoluoghi di provincia, oltre che nei casi indicati ai numeri da 1 a 4 e da 9 a 14 dell’articolo 98-bis, sono sottoposte all’approvazione della Giunta provinciale amministrativa le deliberazioni che riguardano i seguenti oggetti:

1°) liti attive o passive e transazioni per un valore eccedente le lire 200.000, o di valore indeterminato;

2°) impieghi di denaro che eccedono nell’anno le lire 1 milione, quando non si devolvano alla compra di stabili od a mutui con ipoteca o a depositi presso gli istituti di credito autorizzati dalla legge od all’acquisto di titoli emessi o garantiti dallo Stato;

3°) alienazioni di immobili, di titoli del debito pubblico, di semplici titoli di credito o di azioni industriali, quando il valore del contratto superi la somma di lire 1 milione, nonché le costituzioni di servitù passive o di enfiteusi, quando il valore del fondo ecceda la somma suddetta;

4°) locazioni e conduzioni di immobili oltre i dodici anni o quando l’importo complessivo del contratto superi la somma di lire 500.000».

(Dopo prova e controprova è approvato).

Passiamo all’articolo 7:

«L’articolo 101 del testo unico predetto è abrogato e sostituito dal seguente:

«Nei comuni aventi popolazione non superiore ai 20.000 abitanti e che non siano capoluoghi di provincia, oltre che nei casi previsti ai numeri da 1 a 4 e da 9 a 13 dell’articolo 98-bis, sono sottoposte all’approvazione della Giunta provinciale amministrativa le deliberazioni che riguardano i seguenti oggetti:

1°) impieghi di denaro per qualunque somma, quando non si devolvano alla compra di stabili od a mutui con ipoteca o a depositi presso gli istituti di credito autorizzati dalla legge o all’acquisto di titoli emessi o garantiti dallo Stato;

2°) alienazioni di immobili, di titoli del debito pubblico, di semplici titoli di credito o di azioni industriali, qualunque ne sia il valore, nonché costituzioni di servitù o di enfiteusi, qualunque sia il valore del fondo;

3°) liti attive e passive e transazioni per un valore eccedente le lire 50.000;

4°) locazioni e conduzioni di immobili oltre i dodici anni o quando l’importo complessivo del contratto superi la somma di lire 125.000».

A questo articolo gli onorevoli Dozza, Molinelli, Platone, Ravagnan, Ruggeri hanno presentato il seguente emendamento:

Al n. ), alle parole: impieghi di denaro per qualunque somma, sostituire le seguenti: impieghi di denaro che eccedano nell’anno le lire 500.000.

Al n. 2°), sostituire il seguente:

2°) alienazioni di immobili, di titoli del debito pubblico, di semplici titoli di credito o di azioni industriali, quando: il valore per contratto ecceda le lire 500.000, nonché costituzioni di servitù o di enfiteusi, quando il valore del fondo ecceda le lire 500.000.

Al n. 3°) e al n. 4°), al posto delle cifre rispettivamente: 50.000 e 125.000, sostituire: 100.000 e 250.000.

Sono stati inoltre presentati i seguenti emendamenti:

Al secondo comma sostituire i numeri 3°) e ) con i seguenti:

3°) liti attive e passive e transazioni per un valore eccedente le lire 100.000;

4°) la locazione e conduzione di immobili oltre i dodici anni o quando l’importo complessivo del contratto superi la somma di lire 250.000.

Preti, Villani.

Sopprimere al n. 4°) la disgiuntiva: o, e mettere al suo posto una virgola.

Colitto.

Al n. 2°), dopo le parole: nonché la costituzione di servitù, aggiungere: passive.

Costa.

In fine dell’articolo aggiungere: Le deliberazioni non avranno bisogno di conferma in seconda lettura.

Costa.

Al n.), alle parole: oltre i dodici anni, sostituire le parole: oltre i cinque anni.

Basile.

Chiedo alla Commissione il parere su questi emendamenti.

CARBONI, Relatore. Non ho da fare altro che riferirmi a quanto ho dichiarato a proposito dell’articolo precedente aggiungendo che nel testo dell’articolo 7, sottoposto all’approvazione dell’Assemblea, sono state apportate le modificazioni necessarie per adattarlo ai criteri innanzi esposti.

PRESIDENTE. Quale è il parere dell’onorevole Ministro dell’interno?

SCELBA, Ministro dell’interno. Sono d’accordo con quanto ha dichiarato il Relatore.

MANNIRONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MANNIRONI. Volevo far osservare che, come è stato fatto per l’articolo 6, bisognerà sopprimere nell’articolo 7 quell’inciso che dice: «e che non siano capoluoghi di provincia».

PRESIDENTE. Quale è il parere dell’onorevole Relatore?

CARBONI, Relatore. La Commissione invece ritiene che l’inciso debba rimanere, per la stessa ragione della modificazione introdotta nell’articolo 6, nel quale abbiamo sostituito all’inciso «o che, pur non avendo popolazione superiore ai 20.000 abitanti, siano capoluoghi di provincia» con l’altro «e che non siano capoluoghi di provincia». Ora, poiché nell’articolo 7 si prevede il caso dei comuni con popolazione non superiore ai 20.000 abitanti, e ce ne possono essere alcuni che siano capoluoghi di provincia, è necessario dire: «e che non siano capoluoghi di provincia», appunto perché i capoluoghi di provincia sono previsti nella categoria di cui all’articolo 5.

MANNIRONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MANNIRONI. La mia proposta tendeva a far sopprimere questo inciso perché mi sembra pleonastico. Noi abbiamo parificato i capoluoghi di provincia, con qualunque popolazione, ai comuni che abbiano una popolazione superiore ai 100.000 abitanti. Per questo ritenevo inutile il richiamo nell’articolo 7. Ad ogni modo, se la Commissione ritiene di mantenerlo, non insisto.

MOLINELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MOLINELLI. Desidero sapere se al n. 1 dell’articolo rimane l’espressione «qualunque somma», oppure è soppressa o sostituita con altra.

PRESIDENTE. Onorevole Relatore, vuole chiarire?

CARBONI, Relatore. Come ho già detto, precedentemente la Commissione ha accettato l’emendamento Preti-Villani, nel quale non c’è proposta di modificazione a proposito d’impieghi di danaro. Invece, gli onorevoli Dozza, Molinelli e altri hanno proposto di sostituire alle parole: «per qualunque somma» le parole: «per somme eccedenti le 500.000 lire».

La Commissione su questo punto si rimette all’Assemblea.

MOLINELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MOLINELLI. Vorrei osservare che mentre per tutte le altre categorie di comuni si precisa la cifra oltre la quale è necessario avere l’approvazione della Giunta provinciale amministrativa, per i comuni al di sotto dei 20.000 abitanti si dice che qualunque impiego di danaro deve essere preventivamente approvato dalla Giunta provinciale amministrativa, il che mi sembra eccessivo, perché si metteranno tali comuni in condizione di non poter fare la minima politica di spese senza dover ricorrere alla Giunta provinciale amministrativa. Per questo abbiamo proposto che sia fissata una somma, pure inferiore alle lire 500.000, perché anche quei comuni che hanno meno di 20.000 abitanti possano, nell’ambito delle loro possibilità finanziarie, esercitare le loro funzioni come quelli di importanza maggiore.

CARBONI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARBONI, Relatore. Penso che si potrebbe andare incontro al pensiero dell’onorevole Molinelli, correggendo il numero primo, ove è detto «Impieghi di denaro per qualunque somma», con le parole: «Impieghi di denaro per somme non eccedenti le lire 100.000». Dico 100.000 lire, per una ragione di armonia con la stessa somma stabilita nello stesso articolo relativamente alle liti attive e passive e alle transazioni.

MOLINELLI. Sono d’accordo e prego l’onorevole Relatore di pronunziarsi anche sul n. 2, nel quale si ripresenta la stessa questione.

PRESIDENTE. Onorevole Relatore, quale è il suo parere?

CARBONI, Relatore. A proposito del n. 2, consideri l’Assemblea che si tratta di una questione più delicata, perché non si tratta di impieghi di denaro soltanto, ma di alienazione del patrimonio del comune, per cui potrebbe non essere inopportuna la sottoposizione all’approvazione della Giunta provinciale amministrativa, indipendentemente da qualunque limite di valore.

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Vorrei fare un’osservazione che si riferisce a questo articolo, ma che è d’indole generale. Noi stiamo modificando tutte le cifre secondo i varî emendamenti; ora a me pare che non sia questo il sistema giusto. Noi dobbiamo infatti stabilire che il valore anteguerra si moltiplica per un certo coefficiente, rifacendo analogamente lo stesso calcolo tutte le volte che si tratta di cifre. Soltanto in tal modo potrà dirsi che la legge redatta è modificata in modo organico, secondo un unico moltiplicatore: altrimenti la legge sarà assurda e incomprensibile. Adottiamo quindi un criterio fisso e poi applichiamolo a tutti gli articoli.

VILLANI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VILLANI. Riferendomi alle osservazioni fatte dal collega onorevole Persico, tengo a precisare che io e il collega onorevole Preti, proponendo tutta una serie di piccoli emendamenti, ci siamo precisamente attenuti a questa norma, moltiplicando per un coefficiente che si aggira, mi pare, sul rapporto di 1 a 20.

MOLINELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MOLINELLI. Osservo che il rilievo dell’onorevole Persico è giustissimo, tanto vero che noi, nello stabilire le cifre, ci siamo attenuti sempre all’emendamento dell’onorevole Villani, per usare un criterio uniforme. Ma, per quanto riguarda l’articolo 7, facciamo notare che anche ai piccoli comuni, al di sotto dei 20.000 abitanti, si impongono alle volte alienazioni di appezzamenti di terreno od altro che, per il loro valore limitato, debbono rimanere in loro facoltà. Conformemente, dunque, a quanto si è fatto per i comuni superiori, noi desideriamo che sia stabilita una cifra proporzionale, come è stato proposto dall’onorevole Persico, anche per questi comuni. Ecco la ragione dell’emendamento al secondo punto.

CARBONI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARBONI, Relatore. Le dichiarazioni dell’onorevole Villani mi dispensano dal rispondere all’onorevole Persico, perché effettivamente tutti questi emendamenti Preti-Villani sono sulla base del rapporto da uno a venti, e quindi fissano un criterio uniforme per tutti i vari casi considerati.

Per quello che riguarda l’emendamento dell’onorevole Molinelli, ho già espresso la mia posizione personale di dubbio sulla convenienza che i piccoli comuni alienino il loro patrimonio immobiliare o mobiliare, senza autorizzazione della Giunta provinciale amministrativa. Questo è il mio parere personale, perché non ho avuto modo di sentire il pensiero della Commissione. L’onorevole Molinelli faceva cenno all’opportunità di riferirsi anche qui ad un criterio di proporzionalità; ma tale criterio non avrebbe una base, perché nella legge precedente c’era il divieto assoluto. Credo che converrebbe mantenere ferma questa disposizione.

SICIGNANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SICIGNANO. Non mi so spiegare questa differenza di trattamento per i comuni sotto i 20.000 abitanti, che sono forse la maggioranza. Credo che essi debbano essere amministrati con gli stessi criteri e con la stessa qualità di persone dei comuni con popolazione fino a centomila abitanti. Perché vogliamo mettere questi comuni, così numerosi, in condizioni di non poter funzionare come gli altri?

PRESIDENTE. Le fo osservare che lei non ha presentato emendamenti.

SICIGNANO. Credo che debbano essere stabiliti quegli aumenti di cifre proposti nell’emendamento Dozza-Molinelli.

PRESIDENTE. Qual è il parere del Governo?

SCELBA, Ministro dell’interno. Concordo col Relatore: è la qualità dell’atto che in un certo senso ha ricevuto una diversa disciplina. Non si può parlare di impiego di denaro: si tratta di alienare una parte del patrimonio immobiliare del comune. Siccome si tratta di introdurre un elemento nuovo, posso assicurare di avere in corso di costituzione la Commissione che dovrà riesaminare tutto il problema delle autonomie comunali e portare all’Assemblea un nuovo disegno di legge. Rimettiamo a questo nuovo esame la soluzione di questo problema di carattere contingente.

Nel caso che si fosse dell’avviso di dover autorizzare anche i piccoli comuni ad alienare una parte del loro patrimonio, direi che questa facoltà fosse ridotta proprio ai minimi termini, in modo da non pregiudicare effettivamente una certa garanzia, perché nei piccoli comuni è più facile che non si osservi tutta quella obiettività che invece si osserva nei grandi comuni.

Siccome si tratta di introdurre un criterio nuovo di legge, senza riferimento al testo unico del 1915, pregherei l’Assemblea di rimettere la soluzione di questa disciplina particolare alle disposizioni che quanto prima possibile sottoporremo alla sua approvazione.

MOLINELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MOLINELLI. Quanto al n. 2 del nostro emendamento non insisterei, se non si parlasse anche di azioni industriali e di titoli di credito. Soprattutto i piccoli comuni, si trovano alle volte nella condizione di dover alienare una parte dei detti titoli. Insisto perciò sul mio emendamento, riducendo le due cifre contenute in esso da lire 500.000 a lire 100.000.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Relatore di dichiarare il suo parere in proposito.

CARBONI, Relatore. Ho già detto le ragioni di dubbio. Posso soltanto aggiungere, in risposta all’ultimo collega che ha parlato, che una ragione di differenziare i piccoli dai grandi comuni c’è. Nei grandi comuni il controllo dell’opinione pubblica e della stampa funziona come non può funzionare nei piccoli comuni.

PRESIDENTE. Occorre mettere in votazione il n. 1 dell’emendamento Dozza-Molinelli, con le cifre modificate in lire 100.000.

BENEDETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BENEDETTI. Poiché siamo in sede di votazione, mi permetto di domandare alla cortesia del Presidente se l’Assemblea è in numero legale per poter deliberare. (Commenti).

PRESIDENTE. La domanda di constatazione del numero legale deve essere fatta per iscritto a norma del Regolamento.

BENEDETTI. Vorrei far constatare che sono presenti soltanto una cinquantina di deputati, e data l’importanza della discussione in corso, sarebbe bene essere in numero adeguato. Comunque ritiro la mia proposta, ma rimane la mia constatazione che l’Assemblea discute con un numero di deputali non adeguato all’importanza della legge!

PRESIDENTE. I Gruppi sono tutti rappresentati.

CARBONI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARBONI, Relatore. Ho prospettato dei dubbi, circa l’emendamento proposto, ma non ne fo motivo di recisa opposizione.

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. Per la esperienza che si ha delle piccole Amministrazioni e del carattere familiare che spesso assumono nel Mezzogiorno (non per fare un appunto al Mezzogiorno), penso che una qualche garanzia in questa materia sia opportuno mantenerla. Comunque, ripeto, poiché il problema sarà portato presto dinanzi all’Assemblea insieme ad altre questioni, possiamo risolverlo in sede di revisione della legge comunale e provinciale.

Quindi sarei contrario all’emendamento.

PRESIDENTE. Metto ai voti il n. 1 dell’emendamento degli onorevoli Dozza, Molinelli, Platone, Ravagnan e Ruggeri, nel testo modificato dalla Commissione:

Alle parole: impieghi di denaro per qualunque somma, sostituire le seguenti: impieghi di denaro per somme non eccedenti le lire 100.000».

(È approvato).

Pongo ai voti l’emendamento al n. 2°) proposto dagli onorevoli Dozza, Molinelli e altri:

«Al n. 2°), sostituire il seguente:

«2°) Alienazione di immobili, di titoli del debito pubblico, di semplici titoli di credito o di azioni industriali, quando: il valore per contratto ecceda le lire 100.000, nonché le costituzioni di servitù e di enfiteusi quando il valore del fondo ecceda le lire 100.000».

(Non è approvato).

Non essendo presente l’onorevole Colitto, s’intende che abbia rinunziato al suo emendamento.

La Commissione ha accettato l’emendamento Costa:

Al n. 2°) dopo le parole: nonché la costituzione di servitù, aggiungere: passive.

Lo pongo ai voti.

(È approvato).

Onorevole Costa, ella insiste nel secondo emendamento?

COSTA. Non insisto.

PRESIDENTE. Non essendo presente l’onorevole Basile, il suo emendamento si intende decaduto.

Con l’accettazione, da parte della Commissione e del Governo, dell’emendamento Preti-Villani sostitutivo ai numeri 3°) e 4°) l’articolo 7 risulta così formulato:

«L’articolo 101 del testo unico predetto è abrogato e sostituito dal seguente:

«Nei comuni aventi popolazione non superiore ai 20.000 abitanti e che non siano capoluoghi di provincia, oltre che nei casi previsti ai numeri da 1 a 4 e da 9 a 14 dell’articolo 98-bis sono sottoposte all’approvazione della Giunta provinciale amministrativa le deliberazioni che riguardano i seguenti oggetti:

1°) impieghi di denaro per somma non eccedente le lire 100 mila, quando non si devolvano alla compra di stabili od a mutui con ipoteca o a depositi presso gli istituti di credito autorizzati dalla legge o all’acquisto di titoli emessi o garantiti dallo Stato;

2°) alienazioni di immobili, di titoli del debito pubblico, di semplici titoli di credito o di azioni industriali, qualunque ne sia il valore, nonché costituzioni di servitù passive o di enfiteusi, qualunque sia il valore del fondo;

3°) liti attive e passive e transazioni per un valore eccedente le lire 100.000;

4°) locazioni e conduzioni di immobili oltre i dodici anni o quando l’importo complessivo del contratto superi la somma di lire 250.000».

Lo pongo ai voti.

(È approvato).

Passiamo all’esame dell’articolo 8, il quale nel testo della Commissione è così formulato:

«Il primo e il secondo comma dell’articolo 106 del testo unico predetto sono abrogati e sostituiti dai seguenti:

«Quando la legge non disponga altrimenti, le contravvenzioni alle disposizioni dei regolamenti comunali sono punite con l’ammenda fino a lire 5.000.

«Con la stessa pena sono punite le contravvenzioni alle ordinanze emesse dal sindaco in conformità alle leggi ed ai regolamenti».

A questo articolo sono stati proposti i seguenti emendamenti:

Al secondo comma sostituire il seguente:

Quando la legge non disponga altrimenti, le contravvenzioni alle disposizioni dei regolamenti comunali sono punite con l’ammenda fino a lire 10.000.

Preti, Villani.

Sostituire alle parole: fino a lire 5000, le parole: fino a lire 500.

Colitto.

All’emendamento della Commissione, secondo comma, alla cifra: 5.000, sostituire: 20.000.

Dozza, Molinelli, Platone, Ravagnan, Ruggeri.

Non essendo presente l’onorevole Colitto, si intende che abbia rinunziato al suo emendamento.

Chiedo alla Commissione di esprimere il proprio avviso sugli altri emendamenti.

CARBONI, Relatore. La Commissione è del parere di conservare il testo da essa proposto. Tenuto conto che con disposizione di carattere generale, articolo 3 del decreto legislativo luogotenenziale 5 ottobre 1945, quando la pena pecuniaria, seppure applicata nel massimo, appaia inadeguata alle condizioni economiche dell’imputato, è consentito di aumentarla sino al triplo, le 5.000 lire proposte dalla Commissione possono diventare 15.000.

PRESIDENTE. Chiedo al Governo quale sia il suo pensiero in merito agli emendamenti proposti.

SCELBA, Ministro dell’interno. Il Governo si rimette alla decisione dell’Assemblea.

VILLANI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VILLANI. Ripeto quello che ho già detto. Noi non abbiamo fatto altro che moltiplicare per venti la cifra base.

Ora, per rimanere coerenti a questo nostro modo di vedere, manteniamo l’emendamento.

PRESIDENTE. Onorevole Molinelli, ella mantiene il suo emendamento?

MOLINELLl. Lo ritiro, sempreché l’emendamento Preti-Villani sia mantenuto.

PRESIDENTE. Sta bene. Allora occorre porre in votazione solo l’emendamento degli onorevoli Preti e Villani.

FUSCHINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUSCHINI. Dichiaro che noi accettiamo il testo della Commissione che mantiene ferma l’ammenda a 5.000.

BUBBIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BUBBIO. Dobbiamo anche dire perché siamo favorevoli a mantenere le 5.000 lire. Chi è sindaco può comprendere che l’ammenda è un’arma per taglieggiare talora l’avversario. Noi non lo facciamo per la nostra educazione, ma risulta che in certi comuni, sotto la minaccia di mandare gli atti all’autorità giudiziaria, si impongono queste vessazioni. Questo elemento mi pare che debba essere messo in chiaro dalla nostra Assemblea.

PRESIDENTE. Metto in votazione l’emendamento Preti-Villani, che è del seguente tenore:

«Al secondo comma sostituire il seguente:

«Quando la legge non disponga altrimenti, le contravvenzioni alle disposizioni dei regolamenti comunali sono punite con l’ammenda fino a lire 10.000».

(Non è approvato).

Pongo in votazione l’articolo 8, nel testo della Commissione.

«Il primo e il secondo comma dell’articolo 106 del testo unico predetto sono abrogati e sostituiti dai seguenti:

«Quando la legge non disponga altrimenti, le contravvenzioni alle disposizioni dei regolamenti comunali sono punite con l’ammenda fino a lire 5.000.

«Con la stessa pena sono punite le contravvenzioni alle ordinanze emesse dal sindaco in conformità alle leggi ed ai regolamenti».

(È approvato).

Passiamo all’articolo 9:

«L’articolo 140 del testo unico predetto è abrogato e sostituito dal seguente:

«I contratti di alienazioni, locazioni, acquisti, somministrazioni od appalti di opere devono, di regola, essere preceduti da pubblici incanti con le forme stabilite pei contratti dello Stato.

«È consentito alla provincia di provvedere mediante licitazione privata:

1°) quando si tratti di contratti il cui valore complessivo e giustificato non ecceda le lire 500.000;

2°) quando si tratti di spese che non superino annualmente le lire 100.000 e la provincia non resti obbligata oltre i cinque anni, sempre che per lo stesso oggetto non vi sia altro contratto, computato il quale si oltrepassi il limite anzidetto;

3°) quando si tratti di fondi rustici, fabbricati od altri immobili, se il canone complessivo non superi le lire 500.000 e la durata del contratto non ecceda i nove anni.

«Si può anche procedere alla trattativa privata, quando il valore complessivo dei contratti non ecceda la metà delle cifre suindicate.

«Anche all’infuori dei casi previsti nel secondo comma, il prefetto può consentire che i contratti seguano a licitazione privata, quando tale forma di appalto risulti più vantaggiosa per l’amministrazione.

«Può anche autorizzare la trattativa privata, allorché ricorrano circostanze eccezionali e ne sia evidente la necessità o la convenienza».

A questo articolo sono stati presentati alcuni emendamenti. Il primo è quello dell’onorevole Basile:

Al secondo comma, dopo le parole: I contratti di alienazioni, locazioni, somministrazioni od appalti di opere devono, sopprimere le parole: di regola.

L’onorevole Basile ha facoltà di svolgerlo.

BASILE. Ritengo che sia opportuno sopprimere le parole «di regola», perché se l’articolo fosse votato così, l’asta pubblica potrebbe non farsi mai. Ora, è importante che i comuni, enti autarchici, abbiano la maggiore libertà possibile, ma non possano diventare enti anarchici; insomma devono obbedire non a consigli, ma a norme giuridiche, tanto più quando queste sono stabilite per garanzia di moralità e di buona amministrazione. Quando noi diciamo che i contratti di alienazioni, di locazioni, di acquisti, di somministrazioni od appalti di opere pubbliche devono essere preceduti da pubblici incanti, noi affermiamo una norma che deve essere mantenuta e rispettata. Ma se noi diciamo «di regola», sopprimiamo quest’obbligo, sopprimiamo la norma. Tanto più, onorevoli colleghi, che gli ultimi due commi dell’articolo 9 dicono che anche all’infuori dei casi previsti nel secondo comma, il Prefetto può consentire che i contratti seguano a licitazione privata. Dunque, quando si stabilisce la norma dell’asta pubblica, può venire il prefetto e dire che sia più vantaggiosa la trattativa privata. Badate che abbiamo consentito a questa eccezione che è grave. Ma non, basta, c’è un’altra eccezione. L’ultimo comma dello stesso articolo dice che il prefetto può anche autorizzare la trattativa privata, allorché ricorrano circostanze eccezionali e ne sia evidente la necessità o la convenienza. Dunque, se il prefetto dice che è più conveniente fare la trattativa privata, l’asta pubblica non si farà mai.

Una voce al centro. L’articolo dice: «circostanze eccezionali».

BASILE. Il prefetto può dire che è una circostanza eccezionale l’urgenza e si deve procedere subito all’appalto e non si deve perdere tempo. Ed allora, date queste circostanze eccezionali, io prefetto vi dico: non fate l’asta pubblica. Ora, l’asta pubblica è garanzia, l’asta pubblica significa che tutti, senza tessera, fuori di ogni partito, anche senza essere graditi all’Amministrazione, possono partecipare alla gara di appalto.

Come al tempo delle Pompadour e delle Du Barry i contratti divenivano concessioni delle favorite reali, nel passato ventennio divennero spesso concessioni dei gerarchi.

Ristabiliamo la moralità e la regolarità, l’ordine e la legge nelle pubbliche amministrazioni. L’asta pubblica deve essere la norma; tanto più, ripeto, che sono state introdotte due eccezioni alla norma, dando al prefetto il diritto di autorizzare la trattativa privata. Ma, per lo meno, lasciate che la norma del primo comma resti obbligatoria, e togliete le parole «di regola», che non solo non sono necessarie, ma dannose, e capovolgono il significato della norma, distruggendola. Sarebbe come se in un istituto di educande il regolamento dicesse che le ragazze devono dormire sole nel proprio letto la notte, e si aggiungesse: di regola… (Viva ilarità).

PRESIDENTE. Segue l’emendamento degli onorevoli Dozza, Molinelli, Platone, Ravagnan, Ruggeri:

Al n. 1°), sostituire la cifra: 500.000 con la cifra: 2.500.000.

Al n. 2°), sostituire la cifra: 100.000 con la cifra: 500.000.

Al n. ), alla cifra: 500.000, sostituire la cifra: 2.500.000.

Onorevole Molinelli, ella mantiene l’emendamento?

MOLINELLI. Lo ritiriamo e ci associamo all’emendamento Preti-Villani.

Segue l’emendamento Preti-Villani:

Al terzo comma sostituire i numeri 1°),) e ) con i seguenti:

1°) quando si tratti di contratti il cui valore complessivo e giustificato non ecceda le lire 1.500.000;

2°) quando si tratti di spese che non superino annualmente le lire 250.000 e la provincia non resti obbligata oltre i cinque anni, sempre che per lo stesso oggetto non vi sia altro contratto, computato il quale si oltrepassi il limite anzidetto;

3°) quando si tratti di fondi rustici, fabbricati od altri immobili, se il canone complessivo non superi le lire 1.500.000 e la durata del contratto non ecceda i nove anni.

Onorevole Villani, ella mantiene l’emendamento?

VILLANI. Lo manteniamo.

PRESIDENTE. L’onorevole Caroleo ha proposto di sopprimere il secondo comma.

Qual è il parere della Commissione sugli emendamenti proposti?

CARBONI, Relatore. Per i valori la Commissione ha già accettato l’emendamento Preti-Villani, che assorbe quello Dozza.

Quanto all’emendamento Basile, ne abbiamo già discusso a proposito dell’articolo 1. L’articolo 9 non è altro che la riproduzione dell’articolo primo, con la differenza che l’articolo primo riguarda i comuni e l’articolo 9 le provincie.

Siccome l’Assemblea ha respinto l’emendamento Basile quando ha deliberato sull’articolo primo, non ci dovrebbe essere motivo di tornare sulla questione. Ma poiché l’onorevole Basile ha insistito, io gli debbo una breve risposta, trascurando naturalmente gli accenni alla Pompadour e alla Du Barry. E osservo questo: l’articolo è congegnato in questa maniera: nel primo comma: la disposizione normale, la disposizione che vale per la generalità dei casi, e che fissa l’obbligo dell’asta pubblica; nel secondo comma: la previsione di una ipotesi eccezionale nella quale si può far luogo alla licitazione privata per casi tassativamente indicati. Così essendo, non c’è alcuna contraddizione tra il primo e il secondo comma. L’onorevole Basile avrebbe ragione di preoccuparsi, se tutto si limitasse al primo comma e si dicesse: i comuni di regola debbono procedere all’asta pubblica, perché allora il «di regola» lascerebbe la possibilità di non seguire la regola quando si volesse. Ma poiché il secondo comma stabilisce i casi nei quali si fa eccezione alla regola, questa conserva il suo pieno valore. Per queste ragioni io non vedo, come non l’ha visto l’Assemblea quando ha approvato l’articolo primo, la contraddizione denunciata dal collega onorevole Basile.

Circa l’emendamento soppressivo dell’onorevole Caroleo, osservo che è stato già tenuto presente dalla Commissione.

PRESIDENTE. Vi è, infine, l’emendamento presentato dall’onorevole Bubbio:

Prima del penultimo comma aggiungere il seguente:

Quando si tratti di acquisti di derrate, di combustibili, di carburanti e di simili generi di consumo si potrà procedere alla trattativa privata, qualunque sia il loro importo, nonché gli acquisti stessi siano fatti in base ai prezzi desumibili da mercuriali e bollettini ufficiali ed i quantitativi siano limitati al fabbisogno di un quadrimestre.

Onorevole Bubbio, ella lo mantiene?

BUBBIO. Siccome è aumentato il minimo delle licitazioni private secondo l’emendamento Preti-Villani, lo scopo del mio emendamento viene a cessare e quindi non insisto.

PRESIDENTE. Invito il Governo a manifestare il proprio pensiero.

SCELBA, Ministro dell’interno. L’emendamento dell’onorevole Basile deriva forse dall’equivoco da cui parte che le eccezioni che seguono all’espressione «di regola» non siano tassative. In sostanza, si potrebbero anche togliere le parole «di regola», quando però si aggiungesse sotto: «tuttavia è consentita la licitazione privata».

Si tratta, più che altro, di una questione di forma. Dal contesto di tutto l’articolo, appare chiaro il significato. Credo, pertanto, che l’emendamento sia superfluo.

PRESIDENTE. Dobbiamo procedere alla votazione dell’emendamento Basile.

BASILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Non posso concederle di parlare sull’emendamento da lei presentato.

BASILE. Vorrei motivare il mio voto.

PRESIDENTE. Non è assolutamente possibile. Lei vota naturalmente per il suo emendamento. La dichiarazione di voto l’ha quindi già fatta implicitamente.

BASILE. Vorrei dichiarare che l’articolo 1 fu approvato perché io non potei rispondere.

PRESIDENTE. Se lei ritira l’emendamento, ha diritto di parlare per cinque minuti, per spiegare le ragioni per cui lo ritira. Se lei non lo ritira, non ha più diritto di parlare per dichiarazione di voto.

CIFALDI. Chiedo di parlare, per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIFALDI. Credo che si possa accettare l’emendamento proposto dall’onorevole Basile, specie dopo i chiarimenti dati dall’onorevole Relatore e dall’onorevole Ministro dell’interno, perché in definitiva questi sono d’accordo coll’onorevole Basile, nel senso che il «di regola» deve essere interpretato con quanto è detto in seguito. Consegue che la norma è quella del primo comma; l’eccezione è al secondo. Quando si dice: «i contratti, ecc. devono essere preceduti da pubblici incanti» si afferma la norma generale; onde si può lasciare inalterato il secondo comma.

In questa maniera si evita una dubbia interpretazione: invece di ricorrere all’interpretazione autentica o agli atti parlamentari, già leggendo l’articolo si saprebbe qual è la norma precisa. In ogni modo questa discussione ha consentito di stabilire l’esatta portata dell’articolo in discussione.

Io voterò quindi a favore dell’emendamento.

PERSICO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Voterò contro l’emendamento, perché la spiegazione data dall’onorevole Cifaldi complica, invece di chiarire, le cose. Il «di regola» è già stato votato all’articolo 1. Quindi occorre ripeterlo, anche per la necessaria euritmia giuridica. Sarebbe infatti strano che quando si riproduce una stessa disposizione, la si riproducesse in forma diversa: cioè all’articolo 1 con l’espressione «di regola» e all’articolo 9 senza.

D’altra parte, metterlo o no – come diceva l’onorevole Ministro dell’interno – non serve a nulla. Comunque, per euritmia giuridica, dobbiamo qui mantenere la stessa norma dell’articolo 1.

BASILE. Allora, in questo modo, non vi sarebbero più pubblici incanti: questa sarebbe la conseguenza.

PRESIDENTE. Metto ai voti l’emendamento dell’onorevole Basile, non accettato né dalla Commissione, né dal Governo:

«Al secondo comma, dopo le parole: I contratti di alienazioni, locazioni, somministrazioni od appalti di opere devono, sopprimere le parole: di regola».

(Non è approvato).

Comunico che è stato presentato un nuovo emendamento a firma degli onorevoli Cosattini, Buffoni, Tonello, Mariani Francesco, Luisetti, Ghirlandi, Mariani Enrico, Dugoni, Tega, così formulato:

Al penultimo comma, sostituire alla parola: appalto, l’altra: stipulazione.

Invito l’onorevole Relatore a manifestare al riguardo il pensiero della Commissione.

CARBONI, Relatore. Manifesterò soltanto il pensiero mio personale, perché non ho avuto modo d’interpellare i colleghi della Commissione su questo emendamento, presentato ora, e dirò che esso contrasta con gli articoli già approvati, nei quali si parla di «appalto».

PRESIDENTE. Onorevole Cosattini, ella mantiene l’emendamento?

COSATTINI. Lo trasformo in raccomandazione.

CARBONI, Relatore. La Commissione accetta la raccomandazione.

PRESIDENTE. L’accetta anche il Governo?

SCELBA, Ministro dell’interno. Sì, perché non porta pregiudizio sostanziale: è una questione formale.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Caroleo, accettato dalla Commissione e dal Governo.

Sopprimere il secondo comma:

«Si può anche procedere alla trattativa privata, quando il valore complessivo dei contratti non ecceda la metà delle cifre suindicate».

(È approvato).

Passiamo alla votazione dell’emendamento Preti-Villani:

«Al terzo comma sostituire i numeri ), ) e ) con i seguenti:

1°) quando si tratti di contratti il cui valore complessivo e giustificato non ecceda le lire 1.500.000;

2°) quando si tratti di spese che non superino annualmente le lire 250.000 e la provincia non resti obbligata oltre i cinque anni, sempre che per lo stesso oggetto non vi sia altro contratto, computato il quale si oltrepassi il limite anzidetto;

3°) quando si tratti di fondi rustici, fabbricati od altri immobili, se il canone complessivo non superi le lire 1.500.000 e la durata del contratto non ecceda i nove anni».

CARBONI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARBONI, Relatore. All’articolo 4-bis, per le città con popolazione superiore a 500.000 abitanti si è adottato il criterio di fissare la somma di lire 2.500.000. Perciò non sarebbe coerente stabilire, per le province, un limite inferiore. Al n. 1°) e 3°) dell’emendamento bisogna quindi stabilire la cifra di lire 2.500.000.

PRESIDENTE. Pongo ai voti l’emendamento Preti-Villani così modificato dalla Commissione.

(È approvato).

Pongo ai voti l’articolo 9 nel suo complesso:

«L’articolo 140 del testo unico predetto è abrogato e sostituito dal seguente:

«I contratti di alienazioni, locazioni, acquisti, somministrazioni od appalti di opere devono, di regola, essere preceduti da pubblici incanti con le forme stabilite pei contratti dello Stato.

«È consentito alla provincia di provvedere mediante licitazione privata:

1°) quando si tratti di contratti il cui valore complessivo e giustificato non ecceda le lire 2.500.000.

2°) quando si tratti di spese che non superino annualmente le lire 250.000 e la provincia non resti obbligata oltre i cinque anni, sempre che per lo stesso oggetto non vi sia altro contratto, computato il quale si oltrepassi il limite anzidetto;

3°) quando si tratti di fondi rustici, fabbricati od altri immobili, se il canone complessivo non superi le lire 2.500.000 e la durata del contratto non ecceda i nove anni.

«Anche all’infuori dei casi previsti nel secondo comma, il prefetto può consentire che i contratti seguano a licitazione privata, quando tale forma di appalto risulti più vantaggiosa per l’amministrazione.

«Può anche autorizzare la trattativa privata, allorché ricorrano circostanze eccezionali e ne sia evidente la necessità o la convenienza».

(È approvato).

Passiamo all’articolo 10:

«L’articolo 141 del testo unico predetto è abrogato e sostituito dal seguente:

«Sono comunicati al Consiglio di prefettura, per il parere, i progetti di contratto da stipularsi dalla provincia, il cui ammontare superi le lire 1.000.000.

«Il Consiglio di prefettura dà il suo parere tanto sulla regolarità del progetto, quanto sulla convenienza amministrativa».

All’articolo 10 sono stati presentati i seguenti emendamenti:

Sostituirlo col seguente:

L’articolo 141 del testo unico è abrogato.

Mannironi.

Sostituirlo col seguente:

L’articolo 141 del testo unico predetto è abrogato e sostituito dal seguente:

Sono sottoposti all’approvazione della Giunta provinciale amministrativa i progetti di contratti da stipularsi dalla provincia, quando l’ammontare dei medesimi supera le lire 1.000.000.

La Giunta provinciale amministrativa esamina sia la regolarità del progetto, sia la sua convenienza amministrativa.

Numeroso, Rodinò Ugo, De Michele.

Al secondo comma sostituire il seguente:

Sono comunicati al Consiglio di prefettura, per il parere, i progetti di contratto da stipularsi dalla provincia, il cui ammontare superi le lire 3.000.000.

Preti, Villani.

Al secondo comma, alla cifra: 1.000.000, sostituire la cifra: 2.500.000.

Sostituire il terzo comma col seguente:

Entro venti giorni dal ricevimento il Consiglio di prefettura dà il suo parere sulla regolarità del progetto.

Dozza, Molinelli, Platone, Ravagnan, RUGGERI.

Chiedo all’onorevole Mannironi se mantiene il suo emendamento.

MANNIRONI. Lo mantengo, e mi pare che la Camera, in armonia con quanto ha. fatto per i comuni, debba fare altrettanto per le provincie.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Numeroso se mantiene il suo emendamento.:

NUMEROSO. Lo ritiro e mi associo all’emendamento dell’onorevole Mannironi.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Villani se mantiene il suo emendamento.

VILLANI. Lo ritiro e mi associo all’emendamento Mannironi.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Dozza se mantiene il suo emendamento.

DOZZA. Lo ritiro e mi associo all’emendamento Mannironi.

PRESIDENTE. Metto ai voti l’emendamento Mannironi.

(È approvato).

È così approvato l’articolo 10 nel seguente testo:

«L’articolo 141 del testo unico è abrogato».

Passiamo all’articolo 11, nel testo proposto dalla Commissione:

«L’articolo 148 del testo unico predetto è abrogato e sostituito dal seguente:

«Le deliberazioni delle amministrazioni provinciali, non soggette a speciale approvazione, divengono esecutive dopo la pubblicazione nell’albo pretorio e l’invio al prefetto, che dovrà essere effettuato entro otto giorni dalla data delle deliberazioni stesse.

«Il prefetto può pronunciare l’annullamento per motivi di legittimità entro venti giorni del ricevimento».

A questo articolo sono stati proposti i seguenti emendamenti:

Sopprimerlo.

Mannironi.

Sostituirlo col seguente:

«L’articolo 148 del testo unico predetto è abrogato e sostituito dal seguente:

«Le deliberazioni delle amministrazioni provinciali, non soggette a speciale approvazione, divengono esecutive dopo la pubblicazione per quindici giorni all’albo pretorio e l’invio al prefetto, che dovrà essere effettuato entro otto giorni dalla data delle deliberazioni medesime.

«Nel caso di urgenza, le deliberazioni possono essere dichiarate immediatamente eseguibili col voto espresso di due terzi dei componenti le Amministrazioni stesse.

«Entro dieci giorni dal ricevimento, il prefetto deve pronunciare l’annullamento delle deliberazioni che ritenga illegittime.

«Nel caso di mancato invio delle deliberazioni al prefetto nel termine stabilito nel primo comma del presente articolo, le medesime s’intendono decadute».

Castelli Avolio, Stella, Tambroni, Tozzi Condivi, Cremaschi Carlo, Bubbio, Guerrieri Filippo, Belotti.

Sostituirlo col seguente:

«L’articolo 148 del testo unico predetto è abrogato e sostituito dal seguente:

«Le deliberazioni dell’Amministrazione provinciale, che non sono soggette a speciale approvazione, devono essere trasmesse in duplice copia per il visto di esecutività al prefetto.

«Sono esenti dal visto le deliberazioni che importino spese obbligatorie nei limiti dello stanziamento del bilancio e quelle relative alla mera esecuzione di provvedimenti già adottati e perfezionati.

«Il prefetto può annullare per motivi di legittimità.

«Trascorsi venti giorni dalla data di ricezione del verbale, senza che il prefetto abbia comunque interloquito, le deliberazioni diventano esecutive.

«Sono immediatamente esecutive le deliberazioni non soggette a speciale approvazione, quando la maggioranza dei due terzi dei votanti dichiari che vi è evidente pericolo o danno nel ritardarne l’esecuzione.

«La trasmissione, di cui al primo comma del presente articolo, è fatta entro otto giorni dall’adunanza e in nessun caso prima che le deliberazioni siano state affisse all’albo pretorio, in conformità dell’articolo 128 del testo unico della legge comunale e provinciale, approvato con regio decreto 4 febbraio 1915, n. 148».

Zotta.

Alle ultime parole del terzo comma, aggiungere: di cui dà immediato avviso all’Amministrazione provinciale.

Colitto.

Non essendo presente l’onorevole Colitto, si intende che abbia rinunziato al suo emendamento.

Chiedo all’onorevole Mannironi se mantiene il suo emendamento.

MANNIRONI. Lo ritiro.

PRESIDENTE. L’emendamento Castelli Avolio è mantenuto?

TOZZI CONDIVI. Quale firmatario, lo mantengo.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Zotta se mantiene l’emendamento.

ZOTTA. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Chiedo alla Commissione di esprimere il proprio avviso sull’unico emendamento mantenuto, quello dell’onorevole Castelli Avolio e altri.

CARBONI, Relatore. La Commissione accetta questo emendamento, avendo già accettato quello per i comuni, proposto dagli stessi presentatori ed approvato dall’Assemblea. Occorre però coordinare i due emendamenti, e cioè: nel terzo comma sostituire le parole «di due terzi» con le altre «della metà più uno»; sostituire, nel comma successivo, le parole «dieci giorni» con le altre «venti giorni».

PRESIDENTE. Prego il Governo di esprimere il suo avviso sull’emendamento Castelli Avolio, nonché sulle modificazioni propostevi dalla Commissione.

SCELBA, Ministro dell’interno. Il Governo è d’accordo con la Commissione.

PRESIDENTE. Metto ai voti l’emendamento Castelli Avolio, sostitutivo dell’articolo 11 con le modificazioni proposte dalla Commissione:

«L’articolo 148 del testo unico predetto è abrogato e sostituito dal seguente:

«Le deliberazioni delle amministrazioni provinciali, non soggette a speciale approvazione, divengono esecutive dopo la pubblicazione per quindici giorni all’albo pretorio e l’invio al prefetto, che dovrà essere effettuato entro otto giorni dalla data delle deliberazioni medesime.

«Nel caso di urgenza, le deliberazioni possono essere dichiarate immediatamente eseguibili col voto espresso della metà più uno dei componenti le Amministrazioni stesse.

«Entro venti giorni dal ricevimento, il prefetto deve pronunciare l’annullamento delle deliberazioni che ritenga illegittime.

«Nel caso di mancato invio delle deliberazioni al prefetto nel termine stabilito nel primo comma del presente articolo, le medesime s’intendono decadute».

(È approvato Si approva l’articolo 11 così emendato).

Passiamo all’articolo 12:

«L’articolo 149 del testo unico predetto è abrogato e sostituito dal seguente:

«Sono sottoposte all’approvazione della Giunta provinciale amministrativa le deliberazioni delle Amministrazioni provinciali che riguardano i seguenti oggetti:

1°) storni di fondi da una categoria all’altra del bilancio;

2°) applicazione dei tributi e regolamenti relativi;

3°) acquisto di azioni industriali;

4°) impieghi di danaro che eccedono nell’anno le lire 1.000.000, quando non si volgano alla compra di stabili od a mutui con ipoteca o a depositi presso istituti di credito autorizzati dalla legge od all’acquisto di titoli emessi o garantiti dallo Stato;

5°) alienazioni di immobili, di titoli del debito pubblico, di semplici titoli di credito o di azioni industriali, quando il valore del contratto superi la somma di lire 1.000.000, nonché la costituzione di servitù o di enfiteusi, quando il valore del fondo ecceda la somma suddetta;

6°) locazioni e conduzioni di immobili oltre i 12 anni o quando l’importo complessivo del contratto superi la somma di lire 500.000;

7°) assunzione diretta dei pubblici servizi;

8°) regolamenti deliberati a norma di legge ed in particolare regolamenti organici del personale e quelli relativi all’uso dei beni provinciali;

9°) creazione di istituzioni pubbliche a spese della provincia;

10°) liti attive o passive e transazioni, quando il relativo valore ecceda le lire 500.000».

Al suddetto articolo sono stati presentati due emendamenti. Il primo è quello degli onorevoli Dozza, Molinelli, Platone, Ravagnan e Ruggeri:

Al n. 4°), alla cifra: 1.000.000, sostituire: 2.500.000.

Al n. 5°), alla cifra: 1.000.000, sostituire: 5.000.000.

Al n. 6°), alla cifra: 500.000, sostituire: 2.500.000.

Onorevole Dozza, ella lo mantiene?

DOZZA. Ci associamo all’emendamento Preti-Villani.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento degli onorevoli Preti e Villani:

Al secondo comma sostituire i numeri 4°),),) e 10°) con i seguenti:

4°) impieghi di danaro che eccedono nell’anno le lire 2.000.000, quando non si devolvano alla compra di stabili od a mutui con ipoteca o a depositi presso istituti di credito autorizzati dalla legge od all’acquisto di titoli emessi o garantiti dallo Stato;

5°) alienazioni di immobili, di titoli del debito pubblico, di semplici titoli di credito o di azioni industriali, quando il valore del contratto superi la somma di lire 2.000.000, nonché la costituzione di servitù o di enfiteusi, quando il valore del fondo ecceda la somma anzidetta;

6°) locazioni e conduzioni di immobili oltre i 12 anni o quando l’importo complessivo del contratto superi la somma di lire 1.000.000;

10°) liti attive o passive e transazioni, quando il relativo valore ecceda le lire 1.000.000.

PRESIDENTE. Chiedo il parere della Commissione su questo emendamento.

CARBONI, Relatore. La Commissione accetta l’emendamento Preti-Villani. Per quanto riguarda il quarto punto però devo osservare che per coordinare questo articolo alle deliberazioni già adottate dall’Assemblea, bisogna tener conto nel numero 1 – storno di fondi da una categoria all’altra del bilancio – dell’avvenuta approvazione dell’emendamento al riguardo proposto dall’onorevole Costa. Il numero 1 dell’articolo 12 deve essere formulato negli identici termini del numero 1 dell’articolo 4-bis.

Poi, per coerenza col già approvato articolo 5, là dove si parla di servitù, si deve dire «servitù passive». Infine al numero 10 bisogna aggiungere: «Ovvero sia indeterminato».

PRESIDENTE. Quale è il parere del Governo.

SCELBA, Ministro dell’interno. Il Governo è d’accordo con la Commissione.

PRESIDENTE. Pongo ai voti l’emendamento Preti-Villani con le modificazioni proposte dalla Commissione:

«Al secondo comma sostituire i numeri 4°),),) e 10°) con i seguenti:

4°) impieghi di danaro che eccedono nell’anno le lire 2.000.000, quando non si volgano alla compra di stabili od a mutui con ipoteca o a depositi presso istituti di credito autorizzati dalla legge od all’acquisto di titoli emessi o garantiti dallo Stato;

5°) alienazioni di immobili, di titoli del debito pubblico, di semplici titoli di credito o di azioni industriali, quando il valore del contratto superi la somma di lire 2.000.000, nonché la costituzione di servitù passive o di enfiteusi, quando il valore del fondo ecceda la somma anzidetta;

6°) locazioni e conduzioni di immobili oltre i 12 anni o quando l’importo complessivo del contratto superi la somma di lire 1.000.000;

10°) liti attive o passive e transazioni, quando il relativo valore ecceda le lire 1.000.000, ovvero sia indeterminato».

(È approvato).

Pongo in votazione, l’articolo 12 nel suo complesso con gli emendamenti ora approvati:

«L’articolo 149 del testo unico predetto è abrogato e sostituito dal seguente:

«Sono sottoposte all’approvazione della Giunta provinciale amministrativa le deliberazioni delle amministrazioni provinciali che riguardano i seguenti oggetti:

1°) storni di fondi da una categoria all’altra del bilancio;

2°) applicazione dei tributi e regolamenti relativi;

3°) acquisto di azioni industriali;

4°) impieghi di danaro che eccedono nell’anno le lire 2.000.000, quando non si volgano alla compra di stabili od a mutui con ipoteca o a depositi presso istituti di credito autorizzati dalla legge od all’acquisto di titoli emessi o garantiti dallo Stato;

5°) alienazioni di immobili, di titoli del debito pubblico, di semplici titoli di credito o di azioni industriali, quando il valore del contratto superi la somma di lire 2.000.000, nonché la costituzione di servitù passive o di enfiteusi, quando il valore del fondo ecceda la somma anzidetta;

6°) locazioni e conduzioni di immobili oltre i 12 anni o quando l’importo complessivo del contratto superi la somma di lire 1.000.000;

7°) assunzione diretta dei pubblici servizi;

8°) regolamenti deliberati a norma di legge ed in particolare regolamenti organici del personale e quelli relativi all’uso dei beni provinciali;

9°) creazione di istituzioni pubbliche a spese della provincia;

10°) liti attive o passive e transazioni, quando il relativo valore ecceda le lire 1.000.000, ovvero sia indeterminato.

(È approvato).

Il seguito della discussione di questo disegno di legge è rinviato a domani alle ore 10.

Interrogazioni e interpellanze con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. È stata presentata la seguente interrogazione con richiesta di urgenza:

«Al Presidente del Consiglio e al Ministro dell’interno, per conoscere:

1°) se è vero che a Palermo ed a Comiso elementi qualunquisti hanno pubblicamente celebrato il 23 marzo, facendo l’apologia del fascismo, spingendo le madri dei caduti a portare fiori sulla tomba di Mussolini ed esponendo la bandiera con lo stemma sabaudo;

2°) in caso affermativo, quali provvedimenti intendano adottare affinché anche in Sicilia vengano applicate le leggi per la difesa delle istituzioni repubblicane, impedendo soprattutto la riorganizzazione del disciolto partito fascista.

«Li Causi, Nasi, Musotto, Montalbano, Volpe, Varvaro, Candela, D’Amico Michele, Adonnino».

Chiedo al Governo quando intende rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Il Governo potrà rispondere nella seduta di domani, dopo le altre interrogazioni urgenti.

PRESIDENTE. È stata presentata la seguente altra interrogazione con richiesta di svolgimento urgente:

«Al Ministro di grazia e giustizia, sulla preoccupante situazione che va creandosi a Milano dove l’agitazione dei magistrati rende ancora più grave la crisi profonda che da lungo tempo vi attraversa l’Amministrazione della giustizia per un complesso di ragioni, tra le quali l’assoluta insufficienza numerica del personale oltre la mancanza delle dotazioni strettamente necessarie per il funzionamento dei vari uffici.

«Si chiede quali provvedimenti di urgenza intenda il Ministro di adottare.

«Targetti, Meda Luigi, Vigorelli, Clerici».

Informo che il Ministro competente ha annunciato che risponderà nella seduta di domani a questa interrogazione.

Sono pure pervenute alla Presidenza le seguenti altre interrogazioni con richiesta di urgenza:

«Ai Ministri degli affari esteri e del lavoro e previdenza sociale, al fine di conoscere le ragioni del ritardo nella esecuzione degli accordi conclusi fra l’Argentina e l’Italia per l’emigrazione di nostri lavoratori.

«Cifaldi, Corbino, Cortese, Badini Confalonieri».

«Al Ministro degli affari esteri, per conoscere se risponda al vero che sia stato in questi giorni concluso un accordo suppletivo per l’invio in Francia di 10.000 bieticoltori con arruolamento sottratto alla diretta funzione degli Uffici del lavoro e riservato soltanto ad alcune provincie.

«Per sapere in pari tempo quali precise ragioni impediscano ancora di mettere in applicazione gli accordi per l’emigrazione in Argentina e facciano preferire, accordandole precedenza, l’emigrazione in Paesi che non possano offrire le condizioni e i vantaggi dell’emigrazione in Argentina».

«Bonomi Paolo».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro delle finanze e del tesoro, per conoscere quando e quale provvedimento il Governo intenda prendere per il risarcimento di danni per rappresaglie a danno di persone e cose nelle nostre campagne.

«Geuna».

Chiedo al Governo quando intende rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Il Governo potrà rispondere sabato a queste interrogazioni.

PRESIDENTE. È stata presentata la seguente interrogazione con richiesta d’urgenza:

«Al Ministro dell’interno, per conoscere se è fondata la notizia di un prossimo scioglimento del Corpo nazionale vigili del fuoco, con il conseguente passaggio della relativa organizzazione ai Comuni, e se non sia ciò pregiudizievole agl’interessi generali in vista delle pessime condizioni finanziarie dei Comuni e dell’importanza sempre crescente dei servizi affidati ai vigili, anche per le necessità di pronto intervento.

«Cifaldi, Bellavista».

Chiedo al Governo quando intende rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Il problema è allo studio, e pertanto nessuna decisione è stata adottata in merito.

Il Governo, comunque, si riserva di rispondere in una delle prossime sedute.

PRESIDENTE. Sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta d’urgenza:

«Ai Ministri dei lavori pubblici e delle finanze e tesoro, per sapere se intendono continuare ad erogare i fondi necessari a finanziare i programmi di costruzioni degli Istituti case popolari e dell’INCIS secondo quanto dispone il decreto-legge 22 settembre 1945, n. 687, o se sia di prossima emanazione un decreto-legge secondo il quale lo Stato interverrebbe nel finanziamento con metà d’importo a fondo perduto, limitandosi a contribuire per la seconda metà nella misura del 3 per cento dell’interesse del capitale che i suddetti Istituti dovrebbero ottenere presso Enti finanziatori. In tal caso, il canone d’affitto verrebbe ad incidere con una percentuale che oscilla tra il 20 e il 25 per cento sui salari e stipendi, percentuale assai superiore a quella d’anteguerra, sproporzionata nelle condizioni attuali alle possibilità dei lavoratori che abitano tali case.

«E poiché rappresentanti qualificati dei maggiori Enti finanziatori, presso i quali sono state assunte informazioni in merito, hanno dichiarato che sono nell’assoluta impossibilità di concedere finanziamenti di tale mole e di tal genere, si verrebbe ad arrestare immediatamente l’attività dell’INCIS e degli Istituti case popolari aggravando così maggiormente la crisi di alloggi.

«Paris».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, sui provvedimenti da prendere in conformità dei voti espressi dalla Commissione per le cooperative agricole:

  1. a) per assicurare alle cooperative agricole (affittanze collettive) e soprattutto a quelle sorte in base al decreto Segni per la concessione delle terre incolte, un’adeguata assistenza tecnica ed economica;
  2. b) per mettere in grado le cooperative agricole di affrontare il problema della produzione, stabilendo una durata minima di concessione delle terre, che renda possibile l’applicazione della buona tecnica agraria;
  3. c) per offrire alle cooperative agricole la possibilità di utilizzare nel miglior modo le terre ad esse assegnate, assicurando i mezzi meccanici e finanziari occorrenti.

«Canevari».

«Al Presidente del Consiglio, per sapere quando potrà essere emanata la legge che consenta alle cooperative, enti mutualistici, comuni, ecc., il ricupero dei beni di cui furono spogliati dal fascismo, e l’indennizzo dei danni causati dalle violenze fasciste.

«Canevari, Zanardi, Piemonte, Persico, Rossi Paolo, Cairo, Momigliano, Filippini».

Chiedo al Governo quando intende rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Il Governo risponderà in una delle prossime sedute.

PRESIDENTE. È stata presentata la seguente interrogazione con richiesta d’urgenza:

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro delle finanze e tesoro, per sapere se non ravvisino la necessità, assolutamente inderogabile, di procedere, senza ulteriore indugio, a dare finalmente efficiente organizzazione e decoroso assetto ai servizi ed agli uffici delle pensioni di guerra, le cui condizioni di evidente disordine, più volte e inutilmente segnalate, stanno determinando un grave stato di irreparabile disagio e di spiegabile, diffuso risentimento nei larghi strati di quella popolazione indigente, che più ha sofferto ed ancora soffre in causa delle ripetute avventure belliche del nostro triste passato.

«Cairo, Ruggiero Carlo, Vigorelli, Gullo Rocco, Persico, Filippini, Taddia, Di Gloria, Zanardi, Tremelloni, Binni, Grilli, Bocconi, Di Giovanni, Piemonte, Chiaramello, Longhena, Caporali, Pera».

CAIRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAIRO. Fo presente che vi è una analoga interrogazione presentata nel febbraio dall’onorevole Morini.

PRESIDENTE. Chiedo al Governo quando intende rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Il Governo risponderà a questa interrogazione ed a quella dell’onorevole Morini in una delle prossime sedute.

PRESIDENTE. È stata presentata la seguente altra interrogazione con richiesta di urgenza:

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri ed al Ministro delle finanze e tesoro, per conoscere quali provvedimenti il Governo intenda prendere a favore dei pensionati che versano nelle più gravi condizioni di stenti e di fame e che, senza agitazioni inconsulte, con alto senso di civismo attendono legalmente giustizia.

«Geuna».

Chiedo al Governo quando intende rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Questa interrogazione, unitamente a numerose altre già presentate sullo stesso argomento, potrà essere svolta in una delle prossime sedute.

PRESIDENTE. Sono state presentate le seguenti altre interrogazioni con richiesta di urgenza:

«Al Ministro della difesa, per sapere quali provvedimenti intende prendere onde eliminare la situazione anormale ed insostenibile che si è creata a Siena, in seguito al persistente e non giustificato atteggiamento del comandante di territorio di Firenze generale De Simone, il quale si oppone alla rimozione dei poligoni di tiro di Pescaia, situati nell’abitato della città, costituenti continui pericoli, disturbi e malcontento nei cittadini e rendendo tesi i rapporti tra la popolazione e il nuovo esercito repubblicano italiano.

«Tali poligoni possono agevolmente essere trasferiti nei poligoni di Petruccio, Montarioso e Pieve al Bozzone, distanti pochi chilometri di ottime strade.

«L’opposizione del generale De Simone è quanto mai inopportuna, in quanto sembrava che lo stesso Ministero della difesa avesse nel passato riconosciuto giustificate le lamentele del pubblico, ed avesse deciso la rimozione dei poligoni, e tutte le altre autorità italiane ed alleate, civili e militari, si sono espresse in più occasioni favorevolmente ai desideri della popolazione.

«Monticelli, Bardini».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri di grazia e giustizia e dell’agricoltura e foreste, per sapere se non ritengano indilazionabile l’emanazione di un provvedimento legislativo che, prorogando i termini del decreto legislativo luogotenenziale 5 aprile 1945, n. 157, relativo alla scadenza dei contratti di mezzadria e di colonia parziaria, sospenda tempestivamente l’imminente esecuzione degli escomi intimati in base al predetto decreto.

«Gli interroganti ricordando che vi è in proposito un preciso impegno del Governo, chiedono risposta urgente.

«Molinelli, Ravagnan».

Chiedo al Governo quando intende rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Il Governo si riserva di fissare la data di svolgimento di queste interrogazioni.

Fo presente, comunque, che per quanto riguarda i contratti di mezzadria e colonia parziaria, il relativo schema di provvedimento legislativo è pronto per l’esame del Consiglio dei Ministri.

PRESIDENTE. È stata presentata la seguente interrogazione con richiesta d’urgenza:

«Al Ministro delle finanze e del tesoro, per sapere:

1°) le ragioni dell’enorme ritardo nelle liquidazioni delle pensioni di guerra ai mutilati e invalidi ed alle famiglie dei caduti e dispersi;

2°) quali provvidenze intenda prendere:

  1. a) per ripararvi sollecitamente ed efficacemente;
  2. b) per rendere, nell’attesa, meno penosa e grave la condizione degli aventi diritto, ai quali è dovuta tutta la maggiore solidarietà e la più affettuosa considerazione da parte del Governo e dell’intera Nazione.

«Ghislandi, De Michelis, Cosattini, Barbareschi, Buffoni, Vischioni, Bianchi Costante, Pistoia».

GORTANI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GORTANI. Ho presentato da tempo analoga interrogazione.

PRESIDENTE. Chiedo al Governo quando intende rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Il Governo risponderà a questa e ad altre analoghe interrogazioni in una delle prossime sedute.

PRESIDENTE. È stata inoltre presentata alla Presidenza la seguente interpellanza con richiesta d’urgenza:

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro di grazia e giustizia, per conoscere se e quando il Governo intenda prendere provvedimenti per sanare l’attuale indegno e incivile sistema carcerario con particolare riguardo al trattamento dei detenuti non ancora sottoposti a giudizio, accomunati, nel vigente sistema, indiscriminatamente come trattamento morale e materiale, ai più volgari delinquenti già condannati.

«Geuna».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Il Governo si riserva di stabilire la data per lo svolgimento di questa interpellanza.

PRESIDENTE. Sono pervenute alla Presidenza le seguenti altre interpellanze con richiesta d’urgenza:

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri della pubblica istruzione e delle finanze e tesoro, circa le intenzioni del Governo per ovviare alla gravissima crisi che le Università italiane, e con esse la scienza e l’insegnamento superiore attraversano, a motivo della deficienza di personale, della distruzione o del danneggiamento, tuttavia non riparati, dei locali universitari e della mancanza dei mezzi necessari all’indagine scientifica e all’attività didattica. Gli interpellanti invocano, nel nome dei più alti interessi della Patria, una risposta che li assicuri della ferma volontà e della sollecitudine con le quali questo problema è considerato dal Governo nella sua responsabilità collegiale.

«Pellizzari, Leone Giovanni, Mattarella, Ermini, Malvestiti, Caronia, Caristia, Dossetti, Camposarcuno, Medi, Bosco Lucarelli, Lazzati, Corsanego, Fanfani».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri della pubblica istruzione e delle finanze e tesoro, per sapere con quali mezzi intendano provvedere alle urgenti necessità dell’istruzione superiore.

«Marchesi».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri della pubblica istruzione e delle finanze e tesoro, per conoscere con quali urgenti disposizioni intendano provvedere alle condizioni tristissime dell’istruzione superiore italiana, la quale, per assoluta mancanza di mezzi economici, per le avvenute distruzioni, per la dispersione di biblioteche, collezioni, gabinetti scientifici, non è più in grado d’assolvere il suo altissimo compito.

«Rossi Paolo, Lami Starnuti».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro della pubblica istruzione, per conoscere quali provvedimenti pensino di adottare per fronteggiare la gravissima situazione determinatasi nel campo dell’insegnamento universitario per la deficienza numerica del personale insegnante, assistente, amministrativo e subalterno, per la mancata sostituzione della suppellettile scientifica, libraria e di arredamento andata distrutta o dispersa per o durante la guerra, per la esiguità delle dotazioni che inibisce l’attività didattica e scientifica degli istituti e dei laboratori.

«Condorelli, Corbino, Quintieri Quinto, Bonino, Perrone Capano, Galioto, Lucifero, Fabbri, Penna Ottavia, Benedettini, Coppa, Mastrojanni, Marina, Perugi, Vilardi, Colitto».

«Ai Ministri della pubblica istruzione e delle finanze e del tesoro, per sapere se intendono finalmente adottare provvedimenti adeguati allo scopo di consentire alle Università ed agli Istituti di alta cultura di adempiere al proprio ufficio didattico e scientifico con quella dignità che tale ufficio assolutamente richiede.

«Martino Gaetano, Villabruna, Rubilli, La Pira, Grassi, Vallone, Di Gloria, Reale Vito, Nasi, Cortese, Cevolotto, Candela, Della Seta, Varvaro, Persico, Martino Enrico, Mazzei».

«Al Ministro della pubblica istruzione, per conoscere quali provvedimenti intenda prendere per aiutare i laboratori scientifici universitari in questo particolare momento, in cui le dotazioni sono assolutamente insufficienti per una seria ricerca sperimentale.

«Giua, Montemartini, Merighi, Fornara, binni».

PELLIZZARI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLIZZARI. Onorevole Presidente, siamo sei deputati appartenenti a sei gruppi diversi che abbiamo presentato sei diverse interpellanze sopra lo stesso argomento, cioè sulle attuali condizioni dell’insegnamento universitario in Italia e sulle intenzioni del Governo per rimediarvi.

Chiediamo tutti d’accordo che queste interpellanze siano discusse contemporaneamente con procedimento d’urgenza. Devo dire che il Ministro dell’istruzione e il Ministro del tesoro da me sentiti personalmente non hanno nulla in contrario ad accettare il procedimento d’urgenza. Pregherei quindi che fosse fissata per queste interpellanze la data più prossima.

PRESIDENTE. Chiedo al Governo quando intende rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Il Governo si riserva di fissare la data di svolgimento.

PRESIDENTE. Sono state presentate le seguenti altre interpellanze con richiesta di urgenza:

«Ai Ministri del lavoro e della previdenza sociale, delle finanze e tesoro e degli affari esteri, per sapere se non ritengano necessario ed urgente rimuovere ogni ostacolo alla emanazione delle tanto attese disposizioni di legge a favore dei lavoratori italiani infortunati sul lavoro in Germania, prima e durante la guerra, creditori presso Istituti assicuratori tedeschi, avendo presente:

1°) che la cessazione dell’invio degli assegni mensili in Italia, a favore degli assicurati da parte della Germania, risale al 1944;

2°) che la più gran parte di questi minorati del lavoro e delle vedove attualmente vivono in condizioni di indigenza impressionante perché il credito, con umana comprensione spontaneamente accordato dai loro fornitori per l’acquisto dell’indispensabile per vivere, essendosi prolungato per anni, in molti casi è venuto a mancare;

3°) che, infine, non vi è ragione alcuna che giustifichi il disinteressamento del Governo della Repubblica verso tanti infelici – calcolati in alcune migliaia di unità – e pertanto si propone venga loro corrisposto un congruo assegno mensile proporzionato anche alla rendita riconosciuta – debitamente accertata sui documenti di riscossione in possesso dei beneficiari – e che si dovrebbe effettuare senza ulteriore indugio, potendo lo Stato italiano ripetere presso gli Istituti tedeschi l’anticipo di cui trattasi e garantirsene nella negoziazione del trattato di pace con la Germania.

«Ghidetti».

«I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle finanze e del tesoro, sull’opportunità che siano dati al Ministero della pubblica istruzione i mezzi necessari per permettergli di mettere a concorso un numero di cattedre sufficienti alla necessità della Scuola secondaria ed in rapporto con l’esigenza del problema della disoccupazione intellettuale.

«Bertola, Cremaschi Carlo, Lozza, Silipo, Fabriani, Binni, Tonello, Titomanlio Vittoria, Franceschini, Rescigno».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Queste interpellanze potranno essere svolte in una delle prossime sedute dedicate alle interpellanze e interrogazioni.

PRESIDENTE. Infine è pervenuta la seguente altra interpellanza con richiesta di urgenza:

«I sottoscritti chiedono d’interpellare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro dell’interno, per sapere quali provvedimenti intendano prendere nei riguardi del prefetto di Cosenza e del comandante la stazione dei carabinieri della medesima città, i quali, imponendo al dottor Valente Erminio di Fuscaldo, a mezzo di diffida, di cessare dalla sua attività sindacale e politica, hanno violato i diritti più sacri ed inalienabili dei cittadini italiani, agendo secondo i sistemi di un regime tirannico e dittatoriale.

«Data la gravità dell’abuso commesso e la necessità di eliminarlo al più presto possibile, i sottoscritti chiedono che la presente interpellanza sia svolta con carattere di urgenza.

«Silipo, Bosi, Musolino».

SILIPO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SILIPO. Dichiaro di trasformare l’interpellanza in interrogazione urgente.

PRESIDENTE. Chiedo al Governo quando intende rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Il Governo risponderà a questa interrogazione nella seduta di sabato.

Mozione.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Macrelli, Spallicci, Martino Enrico, Parri, Facchinetti, Sardiello, Chiostergi, Camangi, Magrini e De Mercurio hanno presentato la seguente mozione:

«L’Assemblea Costituente invita il Governo a presentare d’urgenza i provvedimenti legislativi atti a consentire la rivendica da parte dei legittimi proprietari dei beni mobili ed immobili passati al partito fascista o alle sue organizzazioni a seguito di violenze morali e materiali o anche ceduti a terzi, e invita intanto il Governo a far sospendere ogni atto di disponibilità degli stessi beni, in parte, ora, assegnati allo Stato».

MACRELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MACRELLI. Già quattro mesi fa come Ministro presentai un disegno di legge ma finora non abbiamo nessuna notizia che esso vada avanti. Intanto le autorità locali procedono ad atti di disponibilità, il che significa che ad un certo momento noi ci troveremo di fronte a dei fatti compiuti.

Ora sarebbe necessario e indispensabile che il Governo presentasse d’urgenza questo provvedimento o che, nell’impossibilità materiale di presentarlo, impartisse disposizioni affinché questi atti di trapasso fossero sospesi od evitati, senza pregiudicare il diritto dei legittimi proprietari.

Per esempio, nelle provincie di Forlì e di Ravenna, le Intendenze di finanza affittano, cedono, consegnano, fanno un poco quello che credono opportuno.

Non so se abbiamo ricevuto istruzioni dal centro, ma comunque, fanno questi atti di disponibilità.

Ora è opportuno, e politicamente e moralmente necessario, che il Governo intervenga con provvedimenti adeguati.

Chiedo che la mozione, comunque, sia discussa al più presto possibile.

PRESIDENTE. Chiedo al Governo di esprimere il suo parere.

SCELBA, Ministro dell’interno. La data di svolgimento di questa mozione sarà fissata a suo tempo.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri degli affari esteri e dell’interno, per sapere se sia vero che la proposta del Governo britannico di abolire il «visto di entrata» fra l’Italia e l’Inghilterra sia stata respinta dal Governo italiano per futili motivi di pubblica sicurezza; e se non credano di dover invece accogliere quella proposta, tanto utile all’incremento del turismo, indispensabile per l’avvenire del nostro Paese, mentre alla sicurezza pubblica si può ben altrimenti provvedere.

«Canepa».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per sapere se non ritenga opportuno spostare dal 1° settembre 1944 al 15 maggio 1944 la data di discriminazione per i reduci dalla Germania.

«L’interrogante fa presente che in diversi campi di concentramento tedeschi fu attuato il lavoro obbligatorio prima del settembre 1944 e già nel maggio dello stesso anno alcune centinaia di ufficiali furono costretti al lavoro.

«Bertola».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, sulla opportunità di riportare a 75 anni il limite di età per il collocamento a riposo dei professori universitari, abolendo la legge De Vecchi, oppure di utilizzare ulteriormente per la ricerca scientifica, senza obbligo di insegnamento, i migliori di coloro che abbiano raggiunto i 70 anni di età.

«Pieri».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere se non intenda promuovere un provvedimento inteso ad estendere le provvidenze assistenziali concesse alla categoria dei rimpatriati dall’Africa, in misura di un sussidio giornaliero di lire 79, oltre al vitto in natura per ciascun componente della famiglia, anche alla categoria dei rimpatriati dall’estero, che usufruiscono attualmente solo di un analogo sussidio di lire 20, che, per di più, sospeso con la circolare n. 159 del 5 gennaio 1946 del Ministero per l’assistenza post-bellica, è ora stato ripristinato solamente a titolo precario e senza diritto ad alcun arretrato.

«Selvaggi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per conoscere se intenda, senza ulteriore ritardo, ordinare ai distretti militari di pagare agli ex prigionieri di guerra le intere somme loro dovute per assegni di prigionia e compensi concessi dai Comandi militari alleati per l’opera prestata quali collaboratori, risultanti dalle lettere di credito loro rilasciate, e se voglia provvedere perché tali somme siano corrisposte in rapporto al cambio esistente all’atto del pagamento e non a quello di anteguerra.

«Tripepi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere il suo pensiero sulla opportunità di ripristinare nella legge penale di rito la «restituzione nel termine» a favore del pubblico ministero e delle parti nei congrui casi d’impossibilità derivata da forza maggiore; istituto largamente accolto dalle leggi penali più progredite e che il legislatore fascista ha eliminato da quella italiana.

«Il che potrebbe esser fatto predisponendo un disegno di legge che abroghi l’ultimo capoverso dell’articolo 498 del Codice di procedura penale vigente e, dopo l’articolo 183 dello stesso, inserisca – coi numeri 183-bis e 183-ter – gli articoli 126 e 127 del Codice di procedura penale del 1913.

«Per i casi di fatti di forza maggiore già verificatisi, si potrebbe provvedere transitoriamente, assegnando per la presentazione della domanda necessaria un termine eccezionale determinato. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Sardiello».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere se è possibile apportare una modifica all’orario del treno Casale-Torino secondo le necessità dei viaggiatori.

«Gli interroganti fanno presente che vi è tutt’ora una massa impiegatizia, operaia e studentesca che si sposta giornalmente verso Torino. Tale massa deve alzarsi verso le tre del mattino da Casale e non può rientrare a casa se non verso le 10 di sera.

«È pertanto assolutamente necessario fare in modo che vi sia un treno da Casale in partenza verso le 7 del mattino ed uno di ritorno da Torino verso le ore 17. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Bertola, Pastore Giulio».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per sapere perché al personale impiegatizio del Tiro a segno nazionale non viene applicato il trattamento economico previsto dal decreto legislativo luogotenenziale del novembre 1945, n. 722, con le successive modifiche, quando per il decreto legislativo 8 luglio 1946, n. 286, il personale del Tiro a segno è posto alla diretta dipendenza del Ministero della guerra, che vi provvede a mezzo di propri organi, per cui tutto il personale della detta istituzione è dipendente a tutti gli effetti dal Ministero della guerra. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bosco Lucarelli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere le ragioni per cui, nell’istituire recentemente corse di automotrici rapide in immediata coincidenza con i rapidi R57 ed R58, provenienti da Roma, si sia stabilita la partenza da Bari e non da Lecce, trascurando così tutta la restante regione pugliese e salentina. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Grassi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per conoscere perché non sia stato fissato un criterio unitario di trattamento economico per il periodo dall’8 settembre 1943 al 25 aprile 1945 nei confronti di quei militari, ufficiali e sottufficiali, che, sbandati alla data dell’8 settembre 1943, si sottrassero alla cattura e non collaborarono col tedesco invasore.

«Ove non sia in corso provvedimento in questo senso, si chiede se vi siano ostacoli a corrispondere a detti militari un trattamento parificato a quello corrisposto alle truppe del Sud che collaborarono con le armate alleate. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Roselli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere dei motivi che ritardano ancora la riassunzione in servizio del dottore Di Carlo Girolamo fu Gioacchino, cancelliere esonerato dal Ministro Rocco il 16 giugno 1926, sotto pretesto di scarso rendimento ed incapacità, ma in realtà per colpire un antifascista vittima di selvaggia aggressione consumata nei locali del Circolo sociale di Ivrea nel 1924, in occasione del delitto Matteotti. In quella occasione il Di Carlo accusò pubblicamente come mandante Mussolini e diede motivo alla reazione brutale ed alla persecuzione inesorabile, che trovò eco nella interrogazione presentata in proposito dal deputato Francesco Termini nel giugno 1924. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bellavista».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro della difesa, per conoscere se non ritenga necessario preparare una legge che riordini il Registro aeronautico italiano in analogia a quanto venne già fatto per il Registro italiano navale con un recente decreto legislativo. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Nobile, D’Onofrio».

«II sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per sapere per qual ragione, dopo aver usato ampie larghezze di vedute sia nel pagamento di assegni alle famiglie dei prigionieri, sia nel riconoscimento delle somme erogate in loro favore dall’Amministrazione della repubblica di Salò, pretenda invece dagli ufficiali delle divisioni «Friuli» e «Cremona», le uniche che abbiano combattuto e vinto contro il nemico tedesco, la restituzione degli assegni che le loro famiglie hanno percepito dalla pseudo repubblica, avendo questa considerato tutti i soldati rimasti al di là del fronte come prigionieri di guerra.

«L’interrogante insiste perché si desista da decisioni inopportune verso combattenti, che, primi fra i primi, hanno esposto le loro vite per la riscossa della Patria. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Biagioni».

«La sottoscritta chiede d’interrogare i Ministri dell’interno, delle finanze e tesoro, e l’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica, per conoscere se non ritengano necessario e doveroso, dopo la constatata inefficienza degli Enti pubblici, appositamente costituiti e largamente finanziati dallo Stato, i quali hanno, senza risultati utili per gli infelici cui avrebbero dovuto provvedere, sperperati i propri fondi – e pende al proposito dinanzi alla Magistratura fiorentina un procedimento penale – di emanare una misura legislativa che assicuri ai ciechi civili una pensione, il cui ammontare vari in rapporto alla situazione eventuale di occupazione rimunerata dagli aventi diritto; misura che graverebbe sull’erario assai meno di quanto non abbiano gravato le sovvenzioni finora corrisposte agli Enti di cui sopra.

«Tale provvedimento ha carattere di urgenza, in vista dell’agitazione da tempo in corso fra i ciechi, già dipendenti dall’Ente nazionale del lavoro per i ciechi, da tempo disoccupati. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Iotti Leonilde».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere se non ritenga giusto, nel fissare il prezzo del grano, sempre che sia mantenuto l’ammasso totale, di considerare l’alto prezzo effettivo dei concimi, cioè quello che pagano gli agricoltori sul mercato nero, dato che i quantitativi di assegnazione sono assolutamente irrisori e il blocco dei concimi non è avvenuto.

« L’interrogante, inoltre, chiede che la distribuzione dei concimi sia effettuata dagli Enti comunali, proporzionandola ai terreni seminativi posseduti dagli agricoltori e questo per evitare speculazioni da parte delle Associazioni che ora provvedono a tale distribuzione, certune delle quali, in alcuni casi, assegnano concimi a chi possiede la tessera e non già il terreno, oppure vendono i buoni di assegnazione a privati speculatori realizzando ingenti guadagni a danno degli agricoltori e della produzione granaria nazionale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Scotti Alessandro».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere qual fondamento abbia la notizia che gli uffici ministeriali competenti starebbero predisponendo gli studi per l’accoglimento del progetto Pasquali sulla irrigazione della Valdichiana con le acque derivate dal Lago Trasimeno.

«Si domanda altresì per quali motivi il Ministero avrebbe scartato il progetto Bellincioni Bonci-Casuccini, che, utilizzando allo scopo le acque dei laghi di Chiusi e di Montepulciano, per l’invaso occorrente ridurrebbe la spesa prevista dal progetto Pasquali di almeno nove volte. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Fanfani».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere quali provvedimenti intenda adottare onde porre termine allo stato di violenza che nel comune di Castiglione del Lago (Perugia) continuamente e da parecchi mesi proditoriamente viene perpetrato ai danni dei locali agricoltori, mentre la forza pubblica del luogo rimane impotente di fronte al continuo dilagare della illegalità. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rodinò Mario».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro degli affari esteri, per sapere quali iniziative intenda prendere perché venga salvaguardato il prestigio nazionale ed il nostro capitale in Svizzera.

«Mentre, infatti, l’Italia ricostruisce le banchine dei porti di Savona e di Genova a sue esclusive spese, vale a dire senza alcun contributo della Svizzera, anzi soprattutto perché anche essa vi scarichi quelle merci che la Francia le inibisce di trasportare attraverso i suoi porti, la Svizzera, paese neutrale, mantiene i beni italiani ancora bloccati, non solo, ma anche depauperati da interessi passivi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«La Gravinese Nicola».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per sapere se non ritenga di modificare – ampliando congruamente il termine – la disposizione contenuta nella circolare del Ministero della guerra, Direzione generale di sanità militare, divisione II, sezione II, n. 1020 di protocollo, in data 13 febbraio 1946, secondo la quale la dipendenza dalla causa di servizio della malattia, agli effetti economici, viene riconosciuta soltanto ai reduci che siano stati ricoverati in Ospedale militare all’atto del rientro in Patria, oppure entro i 60 giorni dal rimpatrio, escludendo in tal modo tutti quei reduci nei confronti dei quali la malattia, specialmente la tubercolosi, non è stata diagnosticata dal medico militare entro i 60 giorni, o si è resa evidente con i suoi sintomi solamente dopo 60 giorni dal rimpatrio. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Balduzzi».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro di grazia e giustizia, per sapere se – nella considerazione che la logica e giuridica discriminazione prevista dall’articolo 6 del regio decreto-legge n. 245 del 22 aprile 1943 è stata abrogata dalle leggi attualmente in vigore – non ritengano opportuno elargire l’amnistia a favore di quei produttori agricoli, contro i quali è stato proceduto o pende procedimento penale per avere contravvenuto alle disposizioni sancite dai decreti legislativi luogotenenziali del 4 luglio 1944, n. 153 e dell’8 giugno 1945, n. 354, e successivo decreto legislativo del 7 maggio 1946, n. 506, per avere omesso di conferire ai granai del popolo irrilevanti quantitativi di cereali, che non furono trattenuti per un illecito profitto, ma solo per integrare il fabbisogno familiare e aziendale. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Bonomi Paolo, Burato, Carbonari, Fabriani, Fanfani, Ferrario Celestino, Giacchero, Stella».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere le ragioni che inducono a differire la adozione del provvedimento relativo alla fusione dell’Istituto nazionale degli orfani e dell’Istituto di assistenza magistrale, provvedimento predisposto dal novembre 1945 e atteso con giustificata impazienza dall’intera classe magistrale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Binni».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e i Ministri dell’agricoltura e foreste e dei lavori pubblici, per conoscere per quale motivo non è stato ancora emanato il decreto istitutivo dell’Ente per l’irrigazione e la trasformazione fondiaria in Puglia e Lucania, già approvato dal Consiglio dei Ministri il 31 dicembre 1946 e dalle competenti Sottocommissioni dell’Assemblea Costituente il 21 gennaio 1947.

«Fin dalla seconda metà del 1945 il Governo ha riconosciuto l’eccezionale importanza del progettato Ente come organo di propulsione del rinnovamento agrario nel Mezzogiorno; non si comprende quali nuovi ostacoli minaccino ora di ritardare ulteriormente l’effettiva esecuzione del progetto al quale manca ormai soltanto la firma del Capo dello Stato. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Lombardi Riccardo, Codignola».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per conoscere se e quali provvedimenti intende adottare, con la sollecitudine e la tempestività che il caso richiede, allo scopo di evitare il ripetersi degli inconvenienti già lamentati per i lavoratori italiani che si recheranno all’estero.

«Chiedono di conoscere particolarmente quali provvidenze saranno adottate a favore dei nostri lavoratori che emigreranno in Argentina, affinché essi possano, anche all’estero, trovare quella necessaria assistenza e quel conforto di cui hanno tanto bisogno principalmente perché son costretti dallo stato di necessità a lasciare le famiglie e vivere in un Paese del tutto nuovo e sconosciuto.

«Puoti, Rodinò Mario».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 13.

MERCOLEDÌ 26 MARZO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

LXXVI.

SEDUTA DI MERCOLEDÌ 26 MARZO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEL VICEPRESIDENTE TARDETTI

INDICE

Sul processo verbale:

Patricolo                                                                                                         

Presidente                                                                                                        

Simonini                                                                                                            

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana:

Presidente                                                                                                        

Tieri                                                                                                                  

Bettiol                                                                                                             

Crispo                                                                                                               

Carboni                                                                                                            

Preziosi                                                                                                            

Bellavista                                                                                                       

Preti                                                                                                                 

La seduta comincia alle 15.

MATTEI TERESA, Segretaria, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

Sul processo verbale.

PATRICOLO. Chiedo di parlare sul processo verbale.

PRESIDENTE. Per quale motivo, onorevole Patricolo?

PATRICOLO. Per rispondere al giudizio contenuto nelle dichiarazioni fatte nella seduta di ieri dall’onorevole Gronchi sul valore giuridico, morale e politico di un emendamento da me presentato all’articolo 7.

PRESIDENTE. Onorevole Patricolo, il processo verbale non è la sede per rispondere a discorsi pronunciati da deputati che hanno avuto regolarmente la parola, e, mi perdoni, non è neanche la sede opportuna per polemizzare con la Presidenza dell’Assemblea. In sede di processo verbale si può parlare o per proporre una rettifica, o per chiarire o correggere il proprio pensiero espresso nella seduta precedente o per fatto personale, quando si è stato chiamato in causa.

PATRICOLO. Io ritengo di essere stato chiamato in causa, se non direttamente, indirettamente dall’onorevole Gronchi.

PRESIDENTE. La chiamata in causa è sempre diretta e si specifica con l’indicazione del nome del deputato. Come avevo già osservato ieri, mi pare sia pacifico che solo se un deputato è designato col proprio nome e cognome sorge il fatto personale. Io le chiedo scusa, ma ritengo che non ci sia la ragione per darle la parola.

PATRICOLO. Pensavo che potesse concedermela; comunque, se non mi concede in modo assoluto di parlare, non insisto.

PRESIDENTE. Il suo intervento significherebbe, non dico riaprire, ma sollevare una ultima, piccola ripercussione di una discussione che ieri sera ha ricevuto la sua conclusione definitiva.

SIMONINI. Chiedo di parlare sul processo verbale.

PRESIDENTE. Per quale motivo?

SIMONINI. Desidero dichiarare che, se fossi stato presente all’appello nominale, avrei votato contro l’articolo 7.

PRESIDENTE. Non essendovi altre osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana. Si dà inizio all’esame del primo titolo della prima parte del progetto di Costituzione: «Rapporti civili».

A questo proposito richiamo gli accordi presi in ordine all’andamento della discussione e, in particolare, al limite di tempo per gli interventi che fu indicato in mezz’ora, limite che è stato frequentemente e notevolmente superato nel corso della discussione generale sulle disposizioni generali. Sarei lieto se, sulla base dell’esperienza fatta, ci convincessimo che è opportuno restare in questo limite, tenendo presente che quella che io mi permetto di chiamare la gerarchia di autorità dei componenti di questa Assemblea, che evidentemente esiste, si stabilisce in relazione al valore di ciò che ciascuno dice sui temi che sono posti in discussione e non in relazione ad altri titoli o ad altri meriti, che ognuno può avere altrimenti conquistati.

Pertanto, vorrei che ciascuno comprendesse la necessità di porsi nel limite di tempo concordato, cercando di restare alla sostanza delle cose da esporre. Fo anche presente che le iscrizioni che decadono o per l’assenza dell’iscritto o per rinuncia spontanea non devono dar motivo ad una reiscrizione, poiché, se continuassimo ad accettare questo sistema, la lista degli iscritti non potrebbe mai considerarsi chiusa.

Infine pregherei i colleghi di evitare di chiedere troppo insistentemente di mutare il loro posto nell’elenco delle iscrizioni, perché l’accettazione che si potesse fare della richiesta significherebbe praticamente la violazione di un diritto di tutti gli altri che sono iscritti e che verrebbero a perdere il posto assicuratosi nel momento della loro iscrizione.

Dopo questa breve premessa dichiaro aperta la discussione generale sul Titolo primo del progetto di Costituzione: Rapporti civili.

Il primo iscritto a parlare è l’onorevole De Vita. Non essendo presente, s’intende che vi abbia rinunziato.

Segue, nell’ordine di iscrizione, l’onorevole Tieri. Ha facoltà di parlare.

TIERI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ciascun articolo di questo primo titolo della prima parte del progetto di Costituzione ha in comune con quasi tutte le altre parti del progetto il pregio di incominciare bene e il difetto di terminare male: desinit in piscem.

Vediamo quindi qualche esempio. L’articolo 8 si apre con la giusta affermazione della inviolabilità della libertà personale e si chiude con la condanna di ogni violenza fisica e morale a danno delle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà in cui quell’avverbio «comunque» fa accapponare la pelle.

L’articolo 9 tutela la libertà e la segretezza della corrispondenza ma, appena finito di tutelare tale libertà e tale segretezza, già si preoccupa del modo di limitarla, fino alla completa soppressione.

L’articolo 10 dà al cittadino il diritto di libera circolazione e di libero soggiorno in qualsiasi parte del territorio italiano e immediatamente dopo, nello stesso periodo in cui si proclama questo diritto, parla di limiti e di modi non soltanto per motivi di sanità – che sono ancora comprensibili – ma anche per imprecisati motivi di sicurezza.

L’articolo 12 e l’articolo 13 sono consacrati al diritto di riunione e di associazione, ma non si capisce di che strano diritto si tratti se le autorità possono contestarlo per i soliti e indeterminati motivi di sicurezza e di incolumità pubblica. E non parliamo, per ora, dell’articolo 16, quello relativo alla libertà di pensiero e di parola che è veramente un esempio insuperabile, un vero e proprio trattato dei temibili mezzi con cui uno Stato può impedire al cittadino di pensare e di esprimersi a modo suo.

Che tutto questo avvenga proprio in sede di definizione giuridica dei rapporti civili fra cittadino e cittadino e tra i cittadini e lo Stato è per lo meno preoccupante.

Dice l’autorevole Relatore che «la regolazione dei diritti e doveri ha luogo non col semplice rinvio alla legge, ma con l’indicazione di criteri, nei quali la legge troverà insieme l’infrangibile limite e le direttive da seguire».

Ma sta di fatto che, con le limitazioni, contradizioni e incongruenze che si trovano in ogni articolo e fra articolo e articolo del titolo primo, si prepara non già il Governo del popolo, cioè la democrazia, sibbene il Governo contro il popolo, vale a dire un Governo che nemmeno l’arbitraria terminologia del visconte di Cormenin, inventore dello strano vocabolo «governocrazia», riuscirebbe in qualche modo a battezzare.

È stato detto che «una Costituzione esprime la formula di un equilibrio delle forze politiche che agiscono nell’ambito di una convivenza statale». Sono parole di Ugo Forti e si leggono nella prefazione al volume primo della relazione all’Assemblea Costituente. Non le diremmo parole felici, pur riconoscendo l’importanza dell’opera alla quale sono state premesse. Comunque è contestabilissima la validità della formula. Si può accettare l’equilibrio, non si può accettare il potere decisivo delle «forze politiche». La massima parte dei cittadini non fa politica; ne subisce, volta a volta, una. Ora una Costituzione deve tener conto della vita di tutti i cittadini, e non soltanto della vita di quelli che fanno politica. Ammettiamo, tuttavia, per un momento, che la formula sia valida. Di quali e di quante forze politiche ha tenuto conto il progetto in esame? Di quelle al potere, evidentemente. Anzi di quella che, fra le forze al potere, domina tutta la vita legislativa italiana nel momento attuale. È una Costituzione di parte, dunque; non è una Costituzione nel senso classico della parola. Non per niente l’onorevole Nitti le ha preannunziato una vita breve, preannunziando implicitamente dominio politico breve ai suoi più prepotenti inspiratori.

Vero è che codesti inspiratori presumono di parlare e dettar leggi non tanto in nome dei loro partiti, quanto in nome del popolo; ma che cosa è mai dunque codesto popolo nel nome del quale essi parlano e dettano leggi? Popolo siamo tutti: io che mi rivolgo a voi, voi che mi ascoltate (o non mi ascoltate), i nostri familiari, i nostri superiori, i nostri amici, i nostri nemici ecc.; e non mi pare che proprio tutti abbiamo dato a quegli inspiratori il mandato di parlare in nostro nome.

È curiosa la manìa che hanno alcuni di riferirsi al popolo come se si riferissero a un complesso di cittadini del quale essi non facessero parte. Ricorda l’abitudine di esprimersi che ha ciascuno spettatore nell’uscire di teatro: «il pubblico ha applaudito, il pubblico ha fischiato», come se lui stesso che parla non fosse pubblico; anzi come se lui fosse al di sopra del pubblico, come se fosse giudice dei giudici, creatura privilegiata e a sé stante. Più proprio sarebbe che ciascuno dicesse «noi pubblico» oppure «quella parte del pubblico che non la pensa come me», e, in terreno politico, parlasse sempre di una parte del popolo, anzi, più precisamente, di quella sola parte di popolo che egli crede di rappresentare o di interpretare.

In ogni modo, che cosa trova il popolo in questo titolo dedicato ai rapporti civili? Trova una serie di sottili e perfide invenzioni intese a limitare per cento vicoli maliziosi le sue libertà fondamentali. Se gli avessero detto, per esempio, che la libertà personale è inviolabile – articolo 8 – meno che nei casi previsti dalla legge, il popolo avrebbe potuto aspettare con qualche fiducia la legge e, per mezzo del suo voto elettorale, fare in modo che la legge rispettasse poi nella massima misura la inviolabilità della libertà personale. Invece all’affermazione di tale libertà seguono immediatamente, nello stesso progetto costituzionale e nel medesimo articolo, le equivoche apparizioni delle misure di polizia; per cui qualsiasi governo futuro, anche un governo dispotico, quale purtroppo può nascere da un momento all’altro negli stessi regimi parlamentari (Commenti a sinistra), avrà il diritto di proclamarsi fedelissimo alla Carta statutaria, perfino se avrà promulgato una legge o emesso un regolamento di polizia, con cui, rispettato il caso eccezionale «di necessità e urgenza» si dia al poliziotto la facoltà di operare fermi, arresti, retate, oggi alla vigilia di una elezione, domani in occasione di un avvenimento politico, posdomani durante un viaggio presidenziale o che so io. Si può anche non condividere la spiritosa opinione napoleonica secondo la quale una Costituzione dev’essere breve e oscura; ma la lunghezza non deve servire a manomettere le libertà subito dopo la loro proclamazione e la volontà di chiarezza non deve armare eccessivamente gli organi dello Stato contro le libertà del cittadino.

Il quale cittadino apprende certamente con gioia dall’articolo 9 che «la libertà e la segretezza di corrispondenza e di ogni forma di comunicazione sono garantite»; ma la sua gioia non dura che un attimo, perché lo stesso articolo prepara già le restrizioni di tale libertà e di tale segretezza; e il pensiero che domani, sia pure per atto motivato dall’autorità giudiziaria, ci si possa sentire spiati anche nelle proprie lettere e nelle proprie telefonate, non contribuisce, oltre tutto, alla educazione del carattere. Non siamo dunque stanchi di gerghi, di cifrari, di segni convenzionali, di doppio, triplo e quadruplo giuoco? Quando ci sarà finalmente data la libertà assoluta di esprimere almeno con i nostri intimi e almeno in forma privata i nostri pensieri e le nostre opinioni? (Interruzioni a sinistra).

Dice l’articolo 10: «Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio italiano, nei limiti e nei modi stabiliti in via generale dalla legge per motivi di sanità o di sicurezza». Va bene la sanità, come abbiamo già osservato. Ma la sicurezza? Qui entriamo in un campo dove le definizioni non sono mai troppe. O in sede costituzionale non se ne parla, e sarebbe meglio non parlarne; o, se se ne vuol parlare in sede costituzionale, bisogna dar lumi al legislatore, delimitare chiaramente i suoi poteri, rassicurare il cittadino sulla impossibilità di sconfinamenti arbitrari. Anche con la successiva precisazione che la libertà di circolazione e di soggiorno non può in nessun caso esser limitata per ragioni politiche, stiamoci attenti ai trucchi e ai tranelli cui possono prestarsi i cosiddetti mezzi di difesa sociale. Né trascuriamo, là dove si parla, nello stesso articolo, della tutela del lavoro italiano all’estero, l’aggiunta di qualche parola che si riferisca agli interessi italiani all’estero. È lo stesso lavoro che crea tali interessi nel senso molteplice della parola, perché giammai il lavoro è fine a se stesso, e sarebbe strano che le leggi della Repubblica, preoccupandosi di alcuni mezzi, non si preoccupassero del fine a cui tali mezzi sono volti.

Sull’articolo 11, che riguarda la condizione giuridica dello straniero, il suo diritto d’asilo nel territorio italiano, la inammissibilità della sua estradizione per reati politici, si potrebbe, in linea di massima, essere tutti d’accordo. Peggio, moralmente parlando, peggio per quei paesi che non accordassero una completa reciprocità. Oltre tutto, l’ospite è sacro, anche quando si tratti di ospite volontario, non sollecitato dalla nostra ospitalità. Ma pensate per un momento agl’innumerevoli e singolari privilegi che sono conferiti generalmente a un uomo per il solo fatto di esser egli uno straniero. Si direbbe che la qualità di straniero sia cosa tanto alta da permettere a chi la possiede, per il solo fatto che la possiede, anche quello che non è consentito ai più probi, ai più meritevoli, ai più illustri nati nel paese. Non basta, dunque, la enorme facilità con cui si distribuiscono fra stranieri quelle stesse onorificenze che spesso e crudelmente si negano a tanti ingenui, seppure avidi, connazionali?

Osservazioni non dissimili da quelle accennate per i primi articoli del titolo in discussione si possono fare per gli articoli 12 e 13, quelli, cioè, dedicati al diritto di riunione e di associazione. La facoltà del potere esecutivo di limitarlo o contestarlo non ha nemmeno, nella espressione adottata, il corrispettivo di una qualsiasi facoltà del cittadino di reclamare contro gli eventuali capricci o abusi delle autorità costituite, e soprattutto di reclamare rapidamente e di rapidamente ottenere giustizia. In un tempo come il nostro, in cui l’attivismo politico è esercitato in larga misura e per varie ragioni anche da esponenti e agenti del potere esecutivo, non si vede come il cittadino possa essere protetto contro il pericolo, tutt’altro che improbabile, delle prepotenze e delle soperchierie di parte.

Dopo di che arriviamo agli articoli 14 e 15, ai quali si dovrà aggiungere il terzo comma dell’articolo 7, già 5, rinviato appunto all’articolo 14. Poiché io sono credente e cattolico secondo la religione cattolica apostolica romana, e lo sono per sentimento, per educazione e anche per ragionamento, senza pensare ad alcuna concorrenza politica, con buona pace del preoccupatissimo onorevole Gronchi, non ho nulla da obiettare ai riconosciuti diritti delle altre religioni, appagandomi oggi del fatto che la mia religione sia già stata riconosciuta, in sede costituzionale, come religione dello Stato al quale appartengo. Ma non posso tacere la mia speranza che intorno a questi due nuovi articoli del progetto di Costituzione non si riaccenda, per qualche mozzicone di sigaretta elettorale rigettato in quest’aula da mano di futuro candidato, quella penosa, per quanto elevata discussione, che negli ultimi due giorni sfiorò il Sacro Collegio. Pareva che nessuna libertà volesse essere più vasta e più incondizionata della libertà religiosa proprio in un paese come il nostro dichiaratamente e quasi completamente cattolico; mentre poi ci si era battuti e ci si batterà in vario modo per circoscrivere, reprimere, annullare tante altre libertà, a cominciare da quelle, veramente essenziali, di pensiero, di parola, di stampa.

Ed eccoci appunto all’articolo 16, all’articolo che può illuminare di sé tutto il titolo in discussione e, vorrei dire, tutta la Carta statutaria, così come può gettare ombre di discredito irreparabile sulla nuova e tanto invocata e tanto decantata democrazia. Dice il primo comma dell’articolo 16: «Tutti hanno diritto di esprimere liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto, ed ogni altro mezzo di diffusione». Gli leverei soltanto quella virgola prima della congiunzione «ed» e alla «ed» leverei la d. Poi non aggiungerei altro.

Invece è uno degli articoli più lunghi di tutta la Costituzione. Si compone di sei commi, dei quali il secondo è inutile – «La stampa non può essere sottoposta ad autorizzazioni o censure» – e ciascuno degli altri quattro è una completa negazione del primo.

Inutile, il secondo, per evidenti ragioni. Se è libero il pensiero, se è libera ogni espressione del pensiero, se libero è ogni mezzo di espressione del pensiero, quindi anche la stampa, perché mai parlare di autorizzazioni o censure della stampa?

La domanda è ingenua, si capisce. È ingenua, perché al secondo comma segue il terzo; e il terzo dice: «Si può procedere al sequestro soltanto per atto dell’autorità giudiziaria nei casi di reati e di violazioni di norme amministrative per i quali la legge sulla stampa dispone il sequestro». Niente autorizzazioni, dunque; niente censure. Ma sequestri sì. E non già sequestri per i casi di reato che il Codice penale può ben prevedere e in ogni tempo ha previsto, o per violazioni di norme amministrative naturalmente e legittimamente contemplate in sede opportuna; ma sequestri per reati e violazioni indicati nella legge sulla stampa. Così, zitti zitti, con un lieve colpo di mano inguantata, l’esistenza, la legittimità, la naturalezza vorrei dire, di una legge sulla stampa sono consacrate nella Carta costituzionale; e una legge sulla stampa, la quale non può essere che una legge speciale, è già, in tal modo, una delle norme fondamentali per la struttura e il funzionamento dello Stato. (Commenti).

LEONE GIOVANNI. La legge sulla stampa ha la stessa genesi del Codice penale.

TIERI. Questa è una sua opinione.

Una legge sulla stampa? Ma nel paese di un popolo veramente libero e veramente moderno, la legge sulla stampa non può consistere che in articolo unico – «La stampa è libera; i reati commessi per mezzo della stampa sono previsti dal Codice penale» – e non ha bisogno di stare a sé, di costituirsi in Codice separato dagli altri Codici, ma può trovar posto in uno dei Codici, e i giuristi potranno dir quale.

Signor Presidente, onorevoli colleghi, si incomincia con una legge sulla stampa e si sa bene dove si va a finire. I dispotismi, i totalitarismi, le tirannie cominciano tutti con una legge sulla stampa. Poi avviene che i giornali clandestini, frutto di tali leggi, diventano presto i più diffusi. Rochefort, mandato in esilio da Napoleone III, riusciva a mandare in Francia il suo proibito giornale La lanterna dentro statue di gesso che figuravano l’imperatore in persona. Le copie della Lanterna di Rochefort passavano di mano in mano, erano lette avidamente, facevano a Napoleone III più male che tutti i suor errori.

TUPINI. Ricorda l’articolo 28 dello Statuto? «La stampa è libera; ma una legge ne reprime gli abusi». Questo è lo Statuto. Tanto per ricordarlo.

TIERI. Me lo ricordo benissimo. Gli Stati, i Governi hanno tutto l’interesse di non limitare la libertà di stampa, perché un popolo che ha libertà di stampa arriva a sopportare ogni atto dei suoi governanti. Gli uomini non si convertono riducendoli al silenzio. (Ma i Governi immaginati, vaticinati dai nostri soloni potranno adottare sul serio certi ironici versi di Wolfango Goethe: «O dolce libertà di stampa! Vieni, e lasciaci stampare tutto e dominare sempre: soltanto non dovrebbe fiatare nessuno che non la pensi come noi»).

Dice il comma quarto: «Nei casi predetti (cioè nei casi di reati e violazioni di norme amministrative), quando vi è assoluta urgenza e non è possibile il tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che debbono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, chiedere la convalida dei loro atti alla autorità giudiziaria». Siamo già al regime poliziesco. Il Ministro dell’interno si sostituisce al magistrato, sia pure per ventiquattro ore. E, poiché è raro che un giornale duri più di ventiquattro ore, quando l’autorità giudiziaria non avesse convalidato l’atto di sequestro, le copie del giornale sequestrato andrebbero a finire nel magazzino delle rese, o dal fruttivendolo, o al macero.

Non dico che il giornale non ci guadagni. Il sequestro è una delle più efficaci pubblicità. Siamo sempre al destino degli atti dispotici, che inevitabilmente si ritorcono contro il dispotismo, che danneggiano il despota prima delle sue vittime.

Ma è il concetto della libertà che ne soffre. Se un governante vuol proprio suicidarsi, s’accomodi; ma scelga mezzi più rapidi, che non diano fastidio al popolo. Noi popolo vogliamo scrivere e leggere quello che ci pare, compatibilmente con i Codici comuni. Almeno scrivere e leggere quello che ci pare.

Né si affaccino le solite, note ragioni del vario danno che può venire al popolo e al paese da una eccessiva libertà di stampa. Governi che sequestrino carta stampata se non per la propria egoistica difesa, non ne conosciamo. Ciascun Governo lascia libera la diffusione di quanto fu proibito dai Governi precedenti di secoli o di mesi. Perfino le offese al buon costume, proibite oggi, tornano sulla stampa, in sede, come dire, storica, domani o domani l’altro. Comunque, anche per le offese al buon costume c’è il Codice penale.

E che dire, poi, del comma quinto di questo sciagurato e mostruoso articolo 16? «La legge – è scritto nel comma quinto – può stabilire controlli per l’accertamento delle fonti di notizie e dei mezzi di finanziamento della stampa periodica».

PAJETTA GIAN CARLO. E questo che vi dispiace!

TIERI. Dispiace più a voi! Vi abbiamo sfidato più volte e non avete mai accettato la sfida. Le sottoscrizioni le sappiamo fare anche noi: facciamo questo mestiere di giornalisti da molti anni.

PAJETTA GIAN CARLO. Allora, se siete d’accordo, lasciate stare.

TIERI. Qui entriamo nel campo del grottesco oltre che del liberticida. «Controllo per l’accertamento delle fonti di notizie». Non solo accertamento; ma controllo per l’accertamento. Di che si tratta? Di una violazione legalizzata del segreto postelegrafonico? Di sistemi inquisitori per indurre il giornalista a svelare i mezzi del suo mestiere? E in quale circostanza, per quali ragioni, a qual fine? Bastano le sole domande a far sorridere, e subito dopo aver fatto sorridere, a far tremare. (Commenti a sinistra).

Quanto ai mezzi di finanziamento, è chiaro che non si tratta di accertamenti legali, alla portata di tutti, da compiersi presso gli uffici ove sono depositati i libri di tutte le società editrici. Si tratta, anche in questo caso, di accertamenti polizieschi, vani da un lato e dall’altro lato iniqui. Vani, perché il finanziatore di un giornale e il giornale finanziato – ove finanziamento esista in luogo di autosufficienza amministrativa – possono nascondere in mille modi l’origine, la quantità, la natura del finanziamento; iniqui, perché siffatti accertamenti dovrebbero poter identificare i legittimi interessi ideali o materiali che un giornale difende, e non si capisce che cosa ci sia di illecito nel fatto che un legittimo interesse materiale o spirituale, quale che esso sia, cerchi e trovi o si crei una sua difesa giornalistica, che è poi una difesa fatta alla luce del sole, identificabile da qualsiasi lettore anche tra i meno esercitati. Bisognerebbe arrivare all’assurdo di proibire la difesa ad alcuni dei legittimi interessi materiali o spirituali dell’uomo; bisognerebbe, in altri termini, privare l’uomo del diritto della difesa legittima che è il più sacro dei suoi diritti. Inaudita soperchieria. (A meno che non si tratti di innocente curiosità da parte del legislatore e del governante; e una tal curiosità innocente, dopo tutto, ogni Governo se la suol cavare per mezzo del capo della polizia).

Altri parlerà certamente del resto di questo strano titolo primo, ch’è un monumento di volontà liberticida. Ma non si può essere, nel giudicarlo, così pessimisti da negargli almeno un merito, che pure ha, e grande: il merito di negare la retroattività della legge. I partiti al potere si son decisi finalmente a questo atto di contrizione. Speriamo che si decidano, durante la discussione e la votazione di tutto il titolo primo della Carta costituzionale, a ricordarsi che l’autorità non guadagna mai niente dal comprimere la libertà e che il popolo è lieto di vivere sotto le leggi che egli stesso abbia fatto o approvato. Se davvero siamo sicuri che il popolo approverà la legge fondamentale che stiamo facendo per lui, promettiamogli di sottoporre la legge, quando sarà fatta, alla sua approvazione. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Bettiol. Ne ha facoltà.

BETTIOL. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, anche chi, come me, è piuttosto scettico sul valore delle formule giuridiche in genere e anche sul valore delle formule giuridiche costituzionali che spesso vivono solo lo spazio di un burrascoso mattino e, più che alla legalità puramente formale dell’azione, crede alla sua moralità; anche chi, come me, non subisce l’incantesimo costituzionale e ha visto, anche se ancora non arrivato alla temuta – o sospirata – vecchiaia, il crollo d’imperi, di regni e di repubbliche, ed è stato dall’onda del tempo sbalestrato da un ordinamento ad un altro: pure, di fronte a questo testo costituzionale, a questo progetto elaborato dai nostri 75 migliori colleghi, è preso come da una specie di timore reverenziale. Di timore reverenziale perché, se anche queste formule non sono ancora state scolpite sul bronzo, non è detto, come diceva l’onorevole Nitti, che siano stampate su carta da giornale che si frantuma e si spappola al primo scroscio di pioggia.

Passati gli dèi falsi e bugiardi, noi ci troviamo di fronte al primo serio tentativo compiuto dal popolo italiano di dare a sé medesimo una costituzione che sia l’espressione di una profonda sanità morale e costituisca la felice sintesi delle forze sociali e politiche operanti in questo momento nel nostro Paese con pieno riconoscimento di tutti i diritti che spettano alle minoranze.

Perché, già venti anni or sono, il professor Merkal dell’università di Vienna, insigne costituzionalista, diceva che le costituzioni sono l’espressione delle forze politiche dominanti in un determinato momento; e sono costituzioni democratiche le moderne, appunto perché, pur essendo l’espressione di concezioni politiche dominanti, riconoscono e garantiscono i diritti politici delle minoranze.

Ora, onorevoli colleghi, parlando dei rapporti civili io non mi posso non inserire nello spirito del discorso che un mio caro collega ha tenuto in quest’aula, l’onorevole Moro, il quale ha voluto sottolineare come questa costituzione esca da un lungo, doloroso, penoso travaglio spirituale e politico, da quel travaglio che ha determinato la nostra guerra di resistenza e tutto lo sforzo per la nostra liberazione dal giogo della dittatura e da quello dello straniero; la nostra Costituzione, in quanto una Costituzione che vive ed è espressione del nostro tempo, non poteva non presentare anche questa caratteristica se è vero che ogni Costituzione, in quanto tale, è un’opera antifascista, dato che il fascismo è quel movimento che nega il legittimo fondamento di ogni Costituzione. La nostra Costituzione deve essere una Costituzione d’impronta nettamente, spiccatamente antifascista, una Costituzione d’impronta nettamente antitotalitaria.

Se, come ha detto l’onorevole Saragat in un suo discorso, in questa Costituzione vi sono delle parti scritte col sangue, proprio gli articoli che vanno dal n. 8 al n. 22, sono articoli scritti col sangue del popolo italiano. Sono proprio articoli che il popolo italiano ha voluto segnare col rosso del suo sangue, nel lungo penoso cammino della sua riscossa.

Guardiamo quindi di che lacrime grondino e di che sangue questi articoli della Costituzione, che disciplinano i rapporti civili! Si tratta della lotta dell’individuo, della lotta del cittadino contro lo strapotere statale, della lotta dell’uomo contro ogni forma di statolatria che vorrebbe soffocare, che vorrebbe strangolare i diritti innati di libertà. Perché, onorevoli colleghi, io credo che in questo titolo della nostra Costituzione siano sanciti proprio dei diritti innati di libertà. C’è qualcuno ancora che irride ai diritti naturali e che crede che ogni diritto così detto naturale sia una pura e semplice attribuzione al cittadino di un diritto da parte dello Stato, mentre invece noi crediamo – in quanto crediamo nel valore della personalità umana – che questa porti con sé, dalla nascita alla bara, dei diritti che non possono assolutamente essere calpestati dal potere statale. Sono i famosi diritti naturali che sono stati strozzati in Europa negli ultimi venti anni dalle dittature che hanno imperversato. Vi sono state delle Costituzioni a sfondo dittatoriale che hanno voluto riconoscere qualche diritto di libertà, ma se noi sfogliamo i lavori preparatori, se noi sfogliamo le motivazioni e leggiamo i discorsi che hanno spiegato il riconoscimento di questi diritti, noi vediamo sempre che si parla di diritti attribuiti dallo Stato all’individuo, non già del riconoscimento di sfere di libertà e di sfere di autonomia, che per diritto di natura appartengono alla persona umana, appartengono all’individuo.

Anche i teorici del nazismo parlavano, 15 o 10 anni fa, di diritti dell’uomo di fronte allo Stato, ma aggiungevano pur sempre che questi diritti sono il frutto e la conseguenza di quella posizione nella quale l’individuo è stato inserito in seno alla comunità popolare per volontà espressa dallo Stato, non già perché a lui competa il riconoscimento di un diritto innato di libertà.

Non condivido la opinione espressa dallo illustre Presidente Orlando, il quale parlando in quest’aula del problema costituzionale ha voluto considerare come pericolose certe enunciazioni di principî che noi troviamo nel titolo primo della parte prima del nostro progetto di Costituzione. E non condivido questa opinione perché in questa opinione si nasconde – e mi scusi l’illustre parlamentare – quel veleno positivista a sfondo liberalistico del secolo scorso, per cui, in sostanza, le Costituzioni dovrebbero limitarsi a prevedere ed a disciplinare puramente dei ganci formali coi quali tenere avvinto il corpo strutturale e politico della Nazione, senza toccare, senza disciplinare, senza sottolineare momenti di carattere meta-giuridico, se così vogliamo dire, momenti di carattere morale, sociale ed economico.

D’altro canto, non posso nemmeno condividere l’opinione del collega Condorelli, il quale, parlando incidentalmente di questi diritti nel corso del suo bel discorso, ha voluto dire che non si tratta già di diritti di natura, ma si tratta soltanto di diritti fondati sulla natura, ma creati dallo Stato, attribuiti all’individuo dallo Stato.

Anche sotto questa affermazione si nasconde quel veleno positivistico, naturalistico, liberaleggiante, che ha permeato di sé l’opera costituzionalistica del secolo scorso e molte Costituzioni che si dicevano liberali ma che nello spirito loro non erano affatto tali.

Non condivido nemmeno quanto incidentalmente ha detto in quest’aula l’onorevole Rubilli, il quale, parlando degli articoli in esame, ha voluto fare del sottile umorismo affermando che molte disposizioni presentano un carattere spiccato di ingenuità, quasi che parlare della pena di morte, quasi che parlare del diritto di difesa che spetta all’imputato in ogni stadio del giudizio, sia fare dello scherzo o sia trattare con argomenti ingenui, che non avrebbero alcun interesse costituzionalistico, quasi che non facessero riferimento ai diritti fondamentali della persona umana.

Onorevoli colleghi, le disposizioni del titolo primo della parte prima di questo progetto di Costituzione rappresentano indubbiamente una garanzia fondamentale di libertà per l’individuo, la quale si inquadra in quella concezione non già individualistica, ma profondamente umana, che sta alla radice di tutto il progetto costituzionale. E come tali, badate bene, queste disposizioni non possono, a mio avviso, nemmeno in parte essere relegate in un fantomatico preambolo col quale dovrebbe aprirsi la nostra Costituzione, perché, a tal proposito, parlando delle libertà fondamentali del cittadino bisogna che siano specificatamente determinati questi diritti di libertà che spettano all’uomo prima e al cittadino poi. Relegare questi principî, o parte di questi principî, in un preambolo vorrebbe dire togliere quel carattere di certezza giuridica che questi principî devono avere come principî giuridici costituzionali che vengono a garantire le libertà fondamentali dei cittadini, dato che i preamboli nelle Costituzioni hanno il puro scopo di inquadrare storicamente le Costituzioni, ma non hanno già un chiaro, decisivo, espresso valore giuridico.

Badate bene, cari colleghi, che queste disposizioni devono essere mantenute e, direi quasi, che devono essere forse in certi casi maggiormente specificate, dettagliate, appunto perché rappresentano una riaffermazione di libertà, dopo la dittatura del ventennio, dopo la dura e fosca dittatura del ventennio fascista, nel quale tutte queste libertà, dalla prima all’ultima, dalla libertà personale alla libertà di emigrare, dalla libertà di stampa alla libertà di associazione e alla libertà religiosa, erano state calpestate sistematicamente. Tutte queste disposizioni si inquadrano bene nel corso della nostra storia e del nostro pensiero di libertà latina e italiana.

Nella relazione l’onorevole Ruini dice che è bene affermare e riaffermare queste libertà perché noi non abbiamo una tradizione in materia. Mi permetto di dissentire decisamente su quanto ha scritto il Relatore perché non è detto che questi diritti fondamentali di libertà rappresentino soltanto una conquista del pensiero illuministico francese del secolo diciassettesimo e del secolo diciottesimo. Se noi andiamo a sfogliare gli Statuti dei nostri comuni medioevali, se noi apriamo gli archivi e studiamo i monumenti storici dei secoli dodicesimo, tredicesimo e quattordicesimo, noi vediamo che già negli Statuti della nostra gloriosa epopea comunale queste libertà fondamentali del cittadino si delineano gradatamente e io posso ricordare l’opera di un illustre giurista italiano, il Niccolini Ugo, il quale di recente ha dimostrato come le libertà fondamentali del cittadino e dell’uomo non siano una scoperta di Gian Giacomo, o di Montesquieu, ma siano una conquista del nostro popolo nella grande magnifica luce del periodo comunale dove veramente si è forgiata la libertà comunale e, con la libertà comunale, le libertà individuali. Tanto vero che noi possiamo assistere a questo processo, a questo fenomeno storico: gradatamente e col venir meno delle libertà comunali, anche le libertà individuali vengono meno, e finiscono per scomparire col sorgere dei Principati, delle Signorie e degli Stati assoluti.

Quindi non è vero che in Italia non ci sia una tradizione di libertà, non è vero che alle fonti del nostro pensiero politico non si ritrovano queste fondamentali libertà, ma era necessario riaffermarle, appunto perché la prima Costituzione del libero popolo italiano deve idealmente ricongiungersi alla prima costruzione dei liberi comuni italiani.

Queste disposizioni dalle quali sono usciti questi diritti fondamentali di libertà rappresentano la riaffermazione di un altro grande principio, vale a dire del principio del trionfo della legalità sulla discrezionalità; perché se la caratteristica della dittatura era fare il «libito licito in sua legge» vale a dire determinare il sopravvento del capriccio sulla norma, caratteristica fondamentale di ogni reggimento democratico è la riaffermazione della legge sull’arbitrio, quindi la riaffermazione della ratio sulla voluntas, quindi un reggimento giuridico che riaffermi i fondamentali valori della ragione sulle passioni umane.

Si tratta di determinare e trovare i primi elementi dell’ordinamento giuridico nella Repubblica italiana, perché ricordiamo, onorevoli colleghi, che la Repubblica è un ordinamento giuridico. La Repubblica è frutto di un atto di riflessione. La monarchia è conseguenza di un mito, di una passione, di un incantesimo, di una magìa; ma la Repubblica è frutto di un atto cosciente e riflesso che impegna realmente tutta la personalità morale, l’intelligenza e la ragione dell’individuo ed è per questo che noi vogliamo che questa nostra Repubblica, creata con le nostre mani, con i nostri sforzi, sia basata, sul piano dei principî giuridici che garantiscono realmente la libertà individuale. Non vogliamo repubbliche da Quartiere Latino o sarabande dove ciascuno può fare quello che vuole, ma vogliamo una repubblica dove i diritti fondamentali di libertà siano garantiti nella Costituzione, per cui la libertà dell’uno possa coesistere con la libertà dell’altro, in un regime di eguaglianza per tutti. E poi questi diritti fondamentali di cui al titolo primo sono diritti azionabili; e questo è molto importante. Si è detto però che non tutti i diritti contemplati in questa Costituzione sono azionabili, perché il paradiso di Maometto deve ancora venire in Italia, perché ancora noi non possiamo garantire a tutti il pane quotidiano.

Ma qui siamo di fronte a situazioni ben precise, ben delineate, a diritti che possono essere resi concreti, e quindi azionabili in ogni momento. Essi rispondono ad una esigenza di logica concreta, non di logica astratta; essi rispondono quindi non già ad esigenze puramente logico-deduttive, ma sono il frutto di un’esigenza di logica concreta, di teleologica: armonizzare la libertà dell’uno con quella degli altri.

La libertà di coscienza e di culto noi la ritroviamo quasi tra le pieghe di questo primo titolo, all’articolo 14. Credo però che la prima libertà sia quella appunto di coscienza e di culto; ed essa è sancita inequivocabilmente negli articoli 14 e 15 di questa Costituzione.

Il principio di confessionalità, anche se dopo l’approvazione dell’articolo 7 può considerarsi vigente – malgrado che l’onorevole Dossetti abbia dei forti dubbi in materia – non esclude il principio della libertà di coscienza e di culto e il principio dell’eguaglianza di tutti davanti alla legge. Si è parlato di Stato musulmano: il collega onorevole Calosso ha fatto dello spirito su ciò; ma il collega Calosso si tranquillizzi, ché, anche dopo l’accoglimento dell’articolo 7, il nostro Stato non è uno stato musulmano, perché nello stato musulmano la religione si identifica con la politica, la religione si identifica con lo Stato, perché lo Stato musulmano è uno Stato religioso e, di fuori da una impostazione religiosa, non è nemmeno uno Stato. (Commenti).

Nessuno tema che in base alla nuova Costituzione possa essere costretto qualcuno a subire, o a credere o ad orientare la propria coscienza verso l’Assoluto in un determinato modo. Di fronte ai problemi dei rapporti tra la nostra coscienza e l’Assoluto, ciascuno di noi è completamente libero. Non c’è disposizione, non c’è norma che possa essere considerata come una violenza fatta alla coscienza individuale perché subisca un determinato orientamento.

Ma vorrei per un momento solo soffermarmi su di un’affermazione che è stata fatta da più parti in quest’Assemblea circa il contrasto che ci sarebbe tra l’articolo 14 e gli articoli 405, 406 e 407 del Codice penale; e mi vi soffermo molto brevemente perché sono penalista e posso dire una parola in materia. È, in vero, un assurdo il voler dire che il principio dell’eguaglianza è intaccato, menomato, solo perché il vilipendio della religione cattolica è punito più gravemente del vilipendio ad altra religione. Il problema del bene giuridico nell’ambito della nozione del reato è un problema che è stato sempre risolto e che va risolto in base a criterio quantitativo, perché il criterio del danno sociale, del pericolo sociale è un criterio puramente quantitativo. Volere, onorevoli colleghi, inficiare il principio dell’eguaglianza di tutti i cittadini, a prescindere dalla loro confessione, solo perché il vilipendio della religione cattolica è punito più gravemente degli altri vilipendi, vorrebbe dire inficiare il concetto di ogni altra circostanza aggravante di reato. Anche il furto a danno di stabilimenti pubblici, a danno dello Stato, è punito più gravemente del furto a danno di privati; anche il parricidio è punito più gravemente del semplice omicidio. E così credo che questo parricidio spirituale, questo vilipendio della religione dei padri, che noi vogliamo trasmettere pure ai nostri figli, abbia pur sempre diritto ad un riconoscimento nelle norme del Codice penale: sarebbe un vero e proprio parricidio spirituale le negazione di quella che è l’atmosfera civile e culturale nella quale noi viviamo e per la quale noi viviamo.

Onorevoli colleghi, io non scendo all’esame di ogni singola particolare disposizione legislativa. Il tempo tra l’altro non me lo consente. Ma debbo fare qualche osservazione a proposito di qualche articolo, nei confronti del quale, insieme con il collega Leone, ho presentato anche qualche particolare emendamento. Per esempio, ho sentito dire in questo momento dal collega Tieri, quasi scandalizzato, che l’articolo 8 prevede anche delle limitazioni alla libertà individuale. Ma da che mondo è mondo, ogni e qualsiasi Costituzione, proprio perché Costituzione, dopo l’affermazione dei diritti fondamentali di libertà, prevede i casi nei quali questa libertà può essere limitata. Ed è bene che questi casi: l’arresto in seguito a mandato del giudice, il fermo di polizia – che già esisteva all’epoca dei vecchi regimi democratici, e che poi è stato consacrato dal Codice di procedura penale – siano oggi anche consacrati nella Costituzione, nell’ambito, nei limiti di tutte le garanzie formali e procedurali di cui fa cenno l’articolo 8.

Però, badate, onorevoli colleghi, che l’articolo 8, come tale, è una specie di groviglio di vipere, perché tre situazioni profondamente diverse sono state raggruppate in una sola norma, molto confusa, affatto chiara, che l’uomo della strada non capisce. Certo, noi dobbiamo cercare di fare una Costituzione non per i giuristi, che hanno la mente già orientata verso l’anatomia delle disposizioni di legge, e sono portati a dividere, a sottolineare, a sottilizzare i concetti giuridici; ma noi abbiamo bisogno di norme chiare, precise, dettagliate, che servano all’uomo della strada il quale deve mandare a memoria – dico a memoria – questi articoli della Costituzione della Repubblica italiana.

Ecco perché io credo che l’articolo 8 debba scindersi almeno in due articoli, in cui sia chiaramente distinto il caso della limitazione della libertà individuale in seguito a mandato dell’autorità giudiziaria, e quello del fermo di polizia; e in secondo luogo sia affermata la libertà di domicilio, che oggi è sparita quasi tra le pieghe di questo articolo 8, o male sottolineata; e sia poi chiaramente affermata la libertà della persona e del domicilio da perquisizioni e da ispezioni non consentite. Qui c’è bisogno di chiarezza; c’è bisogno di precisione; c’è bisogno di usare del ferro anatomico per distinguere, per separare queste tre ipotesi.

Un’altra disposizione da considerare brevemente è quella dell’articolo 11 a proposito della estradizione. Mentre è detto che non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici, nulla si dice circa l’estradizione del cittadino. Ora proprio il Codice penale del 1930, imperniato su concetti politici individualisti e totalitari, cancellò dalla legislazione il divieto di estradare il cittadino. Io penso che in una Costituzione democratica repubblicana questo principio democratico debba essere riconosciuto nuovamente e categoricamente. È vero che noi dovremo subire la estradizione di molti cittadini criminali di guerra ad organi giurisdizionali stranieri, ma è altrettanto vero che, mentre saremo obbligati, alla stregua dei trattati internazionali, a consegnare questi individui, deve pur sempre essere affermato nella Costituzione che il migliore giudice dei propri criminali deve essere lo Stato al quale questi appartengono.

Un altro problema molto importante, che gode della approvazione, credo, di tutta l’Assemblea, è la riaffermazione chiara e precisa del principio di legalità. L’articolo 20 del progetto di Costituzione esprime il principio che nessuno può essere punito, se non in virtù di una legge in vigore prima del fatto commesso e con pena in essa prevista.

Già il Codice penale sottolinea espressamente questo principio, ma dopo venti anni di sofferenze inenarrabili in cui questo è stato violentato, è bene che la nuova Costituzione, la prima Costituzione della Repubblica italiana, sancisca il principio secondo il quale: nullum crimen sine lege, nulla poena sine lege, principio che troviamo già in molti Statuti dei secoli XII e XIII.

Questo principio esclude la possibilità della interpretazione analogica della legge penale e del prevalere dell’arbitrio sulla legge, mentre noi, proprio in materia penale, dove è in giuoco la libertà individuale, vogliamo che questa libertà possa essere compromessa soltanto nei casi espressamente e tassativamente determinati nella legge. I penalisti e gli uomini di scienze italiani a questo riguardo non si sono mai macchiati, come giuristi di altri Paesi europei, quando hanno chiesto a gran voce l’abrogazione del principio di legalità. Nessuno in Italia ha chiesto l’abrogazione di questo principio, la quale avrebbe la conseguenza che tutte le volte che un individuo è nocivo alla categoria può essere punito o eliminato, anche se una espressa disposizione di legge non disciplina il caso o non prevede come reato una determinata condotta dell’individuo stesso. Qui sono in giuoco i destini del futuro diritto penale democratico italiano, perché se noi rimarremo ancorati al principio di legalità così come è espresso in questa Costituzione potremo guardare all’avvenire con serenità e con fiducia; mentre, se dovessimo sacrificare questo principio, il regno dell’arbitrio starebbe davanti a noi con tutte le conseguenze dannose e pericolose.

Io mi rivolgo all’illustre mio collega e caro amico Paolo Rossi, per esprimergli la mia speranza: che nell’ambito di tutte le tendenze politiche rappresentate in quest’Aula il principio di legalità sia considerato un principio cardine per la legislazione futura italiana.

E lo dico perché sono preoccupato da una recente manifestazione di parte socialista, a proposito di un «diritto penale socialista», nel quale, onorevoli colleghi, si ricalcano chiaramente e decisamente i passi segnati dal nazismo in materia penale. Si chiede l’abolizione del principio di legalità; si chiede, in un libro di Giotto Bonini, che il reato sia spostato dall’evento all’azione; si chiede l’eliminazione non già nei confronti di individui colpevoli, ma di individui considerati dannosi; e non soltanto individui dannosi da un punto di vista politico, ma anche da un punto di vista umano, materiale, biologico, come i pazzi, i deformi e via dicendo.

Io sono preoccupato di queste manifestazioni di pensiero.

PRESIDENTE. Perdoni, se le faccio notare che è già trascorsa mezz’ora.

BETTIOL. Il mio discorso sta per morire; anzi so che noi tutti dobbiamo fra tre mesi morire (Commenti Si ride): dobbiamo morire come Assemblea.

Altro principio fondamentale sancito in questa Costituzione è che la responsabilità ha carattere personale. Questo è importante, perché sottolinea la necessità che alla radice del reato, e quindi alla radice degli istituti fondamentali del diritto penale, debba essere ritrovato un atto cosciente e volontario.

Ma c’è anche un’altra esigenza sancita in questa disposizione dell’articolo 21: che la responsabilità deve essere per fatto personale, cioè che non possa essere attribuito un reato commesso da una persona ad un’altra, onde non si verifichi l’ipotesi di una responsabilità penale per fatto altrui e non più per fatto proprio.

Bisognerà cercare di armonizzare questa disposizione della responsabilità penale per fatto proprio con quella che potrà essere la responsabilità del direttore di stampa o di giornali per reati di stampa, onde la presunzione assoluta di colpa juris et de jure si trasformi in presunzione juris tantum.

Una parola sulla pena e poi ho finito. «Le pene devono tendere alla rieducazione del condannato e non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità»: così dice la Costituzione. Questo principio è nobilissimo; però mentre sono d’accordo nel principio qui affermato, non sono però d’accordo sull’inserimento nella Costituzione di quell’inciso che dice: «Le pene devono tendere alla rieducazione del condannato», primo perché nel campo penalistico le dottrine sono quanto mai diverse, e in secondo luogo perché questo potrebbe dar luogo a pericolosi equivoci e da un lato i sostenitori dell’una corrente potrebbero trovarsi in contrasto con l’altra in sede di interpretazione. È auspicabile che a proposito di questo importantissimo argomento non ci sia questo pericolo di violenta scissura; ma deve restare però il principio che la pena deve umanizzarsi, che la pena, particolarmente nel momento della sua esecuzione, deve essere tale da non avvilire, da non degradare l’individuo. Dobbiamo sempre tener presente che anche nel più malvagio carcerario in modo da non ostacolare la riabilitato. Per questo occorre riformare il sistema carcerario in modo di non ostacolare la riabilitazione dell’individuo, in modo che possa, secondo gli uni emendarsi, secondo gli altri essere socialmente recuperato.

Sunt lacrymae rerum. E veramente è il pianto delle cose se si pensa alla situazione dei nostri stabilimenti carcerari, in cui, in condizioni inumane, trova esecuzione la pena. (Vivi applausi).

Una sola parola sulla pena di morte, il grande e lugubre argomento. Onorevoli colleghi, qui la questione è puramente politica e non scientifica. Non è scientifica perché dal punto di vista scientifico le opinioni in pro pareggiano le opinioni contro, e non vi è un’opinione che tagli la testa al toro per cui la pena di morte possa dirsi assolutamente fondata o infondata dal punto di vista scientifico. Malgrado l’opinione diversa che Paolo Rossi ha espresso nel suo bellissimo libro, il problema è insoluto, e forse insolubile.

Ma la questione s’inquadra nell’attuale momento storico e politico, onde, dopo l’inflazione della pena di morte, dopo l’inflazione per cui migliaia e milioni di individui sono morti e le loro ceneri sono ancora calde nei forni crematori, deve essere stabilito il principio che la Costituzione democratica del popolo italiano ripudia la pena di morte, ammettendola solo in casi del tutto eccezionali per quanto riguarda le leggi militari di guerra.

Faccio osservare che anche Cesare Beccaria, che può essere considerato antesignano dell’abolizione della pena di morte, ammise la possibilità di qualche eccezione per casi eccezionali. Ma deve trattarsi veramente di casi eccezionali, e non dobbiamo trovarci di fronte all’inflazione di decreti particolari, per i quali, dopo che nel 1944 fu abolita la pena di morte, essa è stata nuovamente introdotta tre o quattro volte.

Ed ho finito. Io credo che, salvo qualche emendamento in qualche articolo, nel complesso questo titolo del progetto di Costituzione si presenti chiaro, ordinato, ben articolato, preciso.

Noi, a parte gli emendamenti che presenteremo, non possiamo che dichiararci soddisfatti del lavoro fatto dalla Commissione la quale ha stabilito con tanta diligenza ed amore articoli che consacrano nel quadro della Repubblica le libertà fondamentali del cittadino. (Vivi applausi Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Crispo. Ne ha facoltà.

CRISPO. Onorevoli colleghi, io ritengo inutile una discussione astratta sui diritti fondamentali di libertà, poiché essi costituiscono, ormai un patrimonio morale e giuridico acquisito universalmente alla coscienza dei popoli. Penso, peraltro, essere veramente difficile dire qualche cosa di nuovo, perché i diritti fondamentali di libertà hanno un’immensa letteratura secolare. Le mie brevi osservazioni sono intese, adunque, a richiamare l’attenzione dell’Assemblea su qualche manchevolezza che, a mio avviso il progetto di Costituzione presenta, e su qualche enunciazione di principio che, a mio avviso, dovrebbe essere eliminata.

Manchevolezze nel testo del progetto: se, onorevoli colleghi, si leggono le disposizioni dal n. 8 al n. 22 – sono questi gli articoli compresi nel titolo primo – si rileverà che, mentre la Costituzione, riconoscendo e garantendo i diritti fondamentali di libertà, si è preoccupata di determinarne l’eventuale limitazione, non si è preoccupata di prevederne la eventuale sospensione, in alcuni casi eccezionali. E colgo l’occasione per osservare all’onorevole Tieri che deve una Costituzione, dopo la dichiarazione dei diritti, preoccuparsi di determinarne la limitazione e la sospensione. Deve preoccuparsene perché la Costituzione non è il Codice della libertà originaria, intesa come arbitrio assoluto, ma regola, invece, l’eterno conflitto fra l’individuo e lo Stato, fra il principio di libertà e quello di autorità, onde il concetto di libertà non può non essere integrato con quello di tutorità, sì che saranno più civili quei popoli che non incorreranno nell’abuso delle proprie libertà; pei quali, pertanto, non sarà necessaria l’applicazione delle leggi repressive.

Il testo del progetto non prevede, adunque, come dicevo, il caso della necessità di una sospensione dei diritti di libertà. Ora, come ognuno può intendere, questa necessità di sospensione può verificarsi, e se, difatti, si verifica in casi eccezionali, ciò non significa che tali casi non debbano essere preveduti e disciplinati. Mi riferisco alla necessità connessa con lo stato di guerra, o a gravi motivi di ordine pubblico. Nel caso di una guerra, difatti, è facile intendere come l’esercizio dei diritti di libertà, o di alcuni fra essi, come la libertà di stampa, la libertà di parola, la libertà di riunione, possa essere contrario alle esigenze di difesa, o addirittura costituire un’arma nelle mani del nemico. La Costituzione non può ignorare tale stato di necessità e, prevedendo la eventuale sospensione dei diritti di libertà, deve garantirne la cessazione, facendola coincidere con la cessazione delle necessità determinate dalla guerra.

Se il mio ricordo è esatto, nei lavori della prima Sottocommissione non si omise di discutere della sospensione dei diritti, e fu anche formulato un articolo, nel quale tale sospensione si poneva in rapporto con lo stato di pericolo della Repubblica. Questa disposizione venne poi dimenticata e non formò più oggetto di alcun esame. Occorrerà, adunque, provvedere.

Più preoccupante è la necessità connessa con motivi gravi di ordine pubblico, quando al normale ordinamento costituzionale deve sostituirsi quell’ordinamento di eccezione che si conosce col nome di stato di assedio.

Per tale eventualità, è evidente che il potere esecutivo è il solo organo in grado di valutare l’eccezionale situazione del Paese, per decidere se proclamare o non lo stato di assedio; ed è egualmente innegabile che lo stesso potere esecutivo abbia il dovere di provvedere al mantenimento dell’ordine pubblico. Si tratta, adunque, di conciliare siffatte esigenze coi diritti del cittadino, onde la Costituzione deve garantirlo da ogni arbitrio del potere esecutivo. Questa garanzia non può essere che di natura politica.

Come ho detto, l’articolo formulato dalla prima Sottocommissione prevedeva la sospensione dell’esercizio dei diritti fondamentali di libertà quando la Repubblica fosse stata proclamata in istato di pericolo.

Penso che tale formula si presti all’arbitrio e non sia accettabile. Lo Stato di pericolo è espressione assai vaga. Io ritengo (e proporrò un articolo aggiuntivo), che in un solo modo il cittadino possa e debba essere garantito, con l’intervento, cioè, del Parlamento che, senza indugio, deve essere convocato per ratificare o respingere la proclamazione dello stato d’assedio e i relativi provvedimenti del Governo, e deve essere convocato, anche se disciolto, per decidere esclusivamente su detto oggetto.

TUPINI. Questo è previsto. È prevista la prorogatio.

CRISPO. È esatto, ma non sono previsti né il caso della guerra, né il caso dello stato di assedio.

Richiamo ora la vostra attenzione sulla disposizione dell’articolo 20 il quale stabilisce che «nessuno può essere punito se non in virtù di una legge in vigore prima del fatto commesso, e con la pena in essa prevista, salvo che la legge posteriore sia più favorevole al reo». Noi intendiamo per legge più favorevole al reo sia la legge che cancella un fatto dal novero dei reati, sia la legge che attenua la sanzione penale in rapporto alla legge precedente. Tale norma è di facile comprensione. Ma l’articolo presenta una lacuna. Avete, signori della Commissione, voluto comprendere nella legge favorevole successiva anche la legge eccezionale? Anche la legge temporanea, anche la legge di guerra? Evidentemente no, perché è chiaro che una legge eccezionale o temporanea punisce un fatto in base a determinate, particolari condizioni eccezionali, sì che la legge successiva più favorevole non può trovare applicazione in rapporto al fatto previsto e punito con la legge precedente, intesa a provvedere ad una situazione anormale, della quale, intanto, non tennero conto coloro che la legge violarono.

Bisogna, adunque, esprimere tale concetto ed escludere, nel caso di successione di leggi, l’applicazione della legge più favorevole, ove si tratti di leggi temporanee od eccezionali. Altrimenti resterebbe un evidente contrasto tra la disposizione dell’articolo 20 e la disposizione del Codice penale.

Ciò premesso, non basta, a mio avviso, garantire il diritto alla difesa e stabilire il principio nulla poena sine lege e quello della non retroattività. Occorre anche garantire la irretrattabilità della sentenza passata in cosa giudicata.

Mi riferisco, signori, all’esperienza tragica che noi abbiamo vissuto e so benissimo che, se i giudicati sono stati posti nel nulla, questo fatto si è giustificato con un richiamo a quel regime di violenza permanente, a quello spirito di faziosità, al quale per avventura i giudici e le sentenze erano stati ispirati. Ma è chiaro che, nella Costituzione del nuovo Stato italiano, occorre dare al cittadino una garanzia categorica e imprescindibile che, quando egli fu sottoposto già ad un procedimento penale, questo procedimento non può rinnovarsi.

TUPINI. L’articolo 104, onorevole Crispo, dice qualche cosa e può aiutarci nella discussione.

CRISPO. È esatto. Ma l’articolo 104 deve essere collocato nel primo titolo, e deve aggiungersi il divieto di promuovere o proseguire l’azione penale, quando sia intervenuta una causa estintiva del reato. Poiché è anche accaduto che declaratorie di amnistia furono poste nel nulla, e fu ripromossa l’azione anche per fatti estinti per prescrizione. Ciò per l’avvenire non dovrà più verificarsi, onde la necessità di una norma da inserirsi in proposito nella Costituzione.

Nell’articolo 21 è detto al primo capoverso: «L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva».

Tale espressione vorrebbe essere diversa dall’altra per la quale si presume l’innocenza fino alla condanna definitiva. In sostanza, però, le due espressioni si equivalgono. Perché è chiaro che chi non può essere ritenuto colpevole si presume innocente. È questione, adunque, di parole: il concetto rimane identico.

Ora la formula per la quale «l’imputato non è considerato colpevole fino alla condanna definitiva» è, per me, un errore, ed obbedisce soltanto alle esigenze d’uno strano romanticismo in questa materia.

È un errore, perché, se d’una presunzione si dovesse parlare, si dovrebbe presumere non l’innocenza, ma la colpevolezza.

Perché, veda, onorevole Tupini, e mi rivolgo a lei, perché ella mi onora di un’attenzione della quale le sono grato…

TUPINI. Un’attenzione speciale.

CRISPO. È norma generale di tutte le legislazioni penali che una denuncia deve essere archiviata se infondata. Ciò significa che, quando non viene archiviata, la denuncia non si può presumere infondata. Tutte le norme relative ai mandati o alle forme e ai modi di rinviare taluno a giudizio confermano questo concetto.

Si pensi, peraltro, ai casi di flagranza e di quasi flagranza, o a quelli della citazione diretta o della citazione direttissima, procedure che si osservano, quando vi sia o la confessione o una prova «evidente» tale da rendere inutile qualunque altra indagine.

Si può, per tali casi, dire che l’imputato si presume innocente, o non si dovrebbe dire piuttosto che si presume colpevole? Ora il mio pensiero è questo: che l’imputato non si presume colpevole, né innocente: è un indiziato, che la sentenza dichiarerà innocente o colpevole, e non c’è, pertanto, bisogno d’inserire nella Costituzione una formula irrilevante, e che, come dicevo, non aderisce alla realtà.

Vi sono, infine, casi nei quali la sentenza può affermare una responsabilità, e non condannare.

PRESIDENTE. Onorevole Crispo, voglia non dimenticare che ha parlato per più di mezz’ora.

CRISPO. Se vuole, onorevole Presidente, io non continuo.

PRESIDENTE. Non desidero questo, ma, forse, ella può tralasciare questa esemplificazione che allunga, sia pure in maniera molto interessante, la sua esposizione.

CRISPO. Mi permetto rispettosamente farle osservare che il Regolamento non contempla…

PRESIDENTE. Onorevole Crispo, ella si ricorda di fare questa osservazione solo quando parla lei!

CRISPO. Mi preoccupo di rivendicare il mio diritto di parlare. Io credo, difatti, di avere il diritto di discutere queste norme della Costituzione che, per me, sono un errore. Ma se lei mi toglie la parola…

PRESIDENTE. Non tolgo la parola a nessuno. Mi pare che siamo tutti d’intesa su alcune norme. Lei le ha già notevolmente trascurate in occasione del suo intervento in sede di discussione generale sul progetto, in cui ha parlato molto più dei suoi colleghi, che, ritengo, avessero da dire cose interessanti quanto le sue; ma i suoi colleghi si sono anche preoccupati dell’economia del tempo. Non le tolgo la parola, ma le ricordo che ha già parlato per mezz’ora.

CRISPO. Ieri sera, in sede di dichiarazione di voto, vi sono stati oratori che hanno parlato per un’ora e mezzo.

PRESIDENTE. Onorevole Crispo, occorre avere una sensibilità politica! Se ci mettiamo a discutere fra noi due, credo che potremmo anche interessare l’Assemblea; ma la prego di volersi attenere alle norme da tutti seguite.

CRISPO. Voglio esprimere la mia rispettosa protesta, perché ritengo che non possa essere modificato il Regolamento in base all’intesa cui ella si riferisce.

PRESIDENTE. Onorevole Crispo, ci tengo ad avere la parola per ultimo in questa nostra discussione! Prosegua la sua esposizione.

CRISPO. Devo ricordare qualche caso in cui si ha bensì l’affermazione della responsabilità; ma non si ha la pronunzia della condanna. Ciò avviene quando si concede il perdono giudiziale, o quando si chiede l’esame di merito nelle ipotesi di cui all’articolo 152 del Codice, nel rito penale, e il giudice, pur riconoscendo una responsabilità penale, non condanna, ma dichiara estinto il reato, o quando, in seguito all’esame del merito, pur essendo evidente una responsabilità penale, si modifichi il titolo del reato, e si dichiari estinto il reato dichiarato sussistente.

Una osservazione devo fare a proposito del principio affermato nella Costituzione che «le pene devono tendere alla rieducazione del condannato». Se n’è occupato l’onorevole Bettiol, ma io non sono d’accordo con lui. Benedetto Croce, nel suo libro «Etica e politica», ha scritto essere del tutto vano discutere sul carattere utilitario o morale delle leggi, o di questa o quella legge. Lo stesso deve dirsi della pena: deterritio o emendatio?

Qui, accanto alla norma, si pone un concetto filosofico intorno al quale s’è svolta tutta una letteratura secolare. La pena obbedisce a due esigenze di difesa sociale: esigenza preventiva. ed esigenza repressiva. Preventiva, perché altri non incorra nel delitto; repressiva, perché si abbia dai cittadini fiducia nell’intervento dello Stato. Può anche avvenire che la pena sia in funzione di controspinta psichica, e di emenda, sì che il condannato si astenga, per l’avvenire, dal ricadere nel reato, ma non si può in una Costituzione attribuire tale finalità alla pena, e sarà sufficiente dire che le pene non devono consistere in trattamenti contrari al senso d’umanità.

Altrimenti si potrebbe giungere ad attribuire un fine di emenda anche alla pena di morte, e, difatti, qualcuno ha sostenuto, pensando ad un’emenda giovevole per l’al di là, che la pena di morte è emendatrice in quanto concilia con l’idea di Dio. È vano, adunque, pretendere di determinare il contenuto moralistico della pena. Sarebbe come affermare nella Costituzione che, per esempio, il matrimonio deve sempre intendersi come la compenetrazione di due anime, affermare che lo Stato esprime necessariamente l’idea morale d’una convivenza aumentata dallo spirito della solidarietà.

Quando, adunque, ci si pone il quesito se la pena possa avere o debba avere un contenuto moralistico, si può anche rispondere affermativamente, ma tale affermazione non deve essere contenuta nella Costituzione.

Del resto, una tale affermazione non potrebbe essere generalizzata, e sarebbe un errore e una ironia insieme, ove si pensasse al delinquente abituale o professionale o ai casi di recidiva reiterata.

Un’ultima osservazione, sulla pena di morte. D’accordo con voi, d’accordo con tutti, d’accordo, soprattutto, con le nostre tradizioni giuridiche che noi intendiamo rivendicare: d’accordo, nel senso che essa non deve essere contemplata nel nostro Codice. Intanto, la pena di morte è preveduta nell’articolo 4 della legge vaticana del 7 giugno 1929, e ciò rende anche più grave il contrasto tra la Costituzione e i Patti Lateranensi inseriti nella Costituzione stessa.

TUPINI. Ma in Vaticano si applica il Codice Zanardelli che non prevede la pena di morte.

CRISPO. No, onorevole Tupini: per il caso contemplato nell’articolo 4 si applica la pena di morte.

Raccogliendo l’ammonimento dell’onorevole Presidente, concludo rilevando che le osservazioni da me fatte vogliono avere un valore pratico e richiamare l’attenzione dell’Assemblea e della Commissione sulla necessità di integrare, da una parte, il progetto di Costituzione, e di eliminare, dall’altra, alcune enunciazioni di principio, giusta gli emendamenti che saranno da me presentati. (Applausi).

Presidenza del Vicepresidente TARGETTI

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Carboni. Ne ha facoltà.

CARBONI. Il titolo del quale abbiamo oggi iniziato l’esame non offrirà occasione ad un dibattito appassionato e vivace come quello dei giorni scorsi e particolarmente come quello conclusosi questa notte. Tuttavia esso attrarrà la meritata attenzione dell’Assemblea per la sua importanza fondamentale nel quadro della Costituzione.

Se una Costituzione democratica, come vuole e deve essere la nostra, può definirsi la legge delle libertà popolari, indubbiamente spetta in essa un posto preminente a quelle norme che tendono a garantire le libertà civili, quelle libertà che costituiscono un attributo naturale della personalità, il diritto umano per eccellenza.

Questo insopprimibile diritto dell’uomo trova la sua consacrazione nella proclamazione iniziale del titolo: la libertà personale è inviolabile.

La solenne dichiarazione del primo comma dell’articolo 8 non è soltanto una norma, ma, direi, l’affermazione programmatica, il punto di partenza, dal quale derivano tutte le altre proposizioni del titolo. Ed essa imprime al progetto di Costituzione carattere democratico ed anche quel carattere antifascista, di cui parlava poco fa l’onorevole Bettiol, in senso rispondente all’esigenza popolare, specie in questo momento di rinascita della democrazia, dopo venti anni di oppressione, durante i quali della personalità umana, della dignità umana, fu fatto strazio nefando.

I due comma seguenti dell’articolo, il secondo ed il terzo, più che costituire eccezione al principio fissato nel primo, esprimono il bisogno di delimitare costituzionalmente i termini entro i quali la libertà personale potrà soffrire limitazioni. Il carattere costituzionale dei comma secondo e terzo sta appunto nella organizzazione delle garanzie dirette ad impedire la violazione della libertà personale.

Detto questo, desidero di esprimere alla Commissione non una mia avversione, ma uno stato di perplessità dell’animo mio in confronto della disposizione finale dell’articolo 8, là dove si dice: «È punita ogni violenza fisica o morale a danno delle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà». Pure rendendomi conto del motivo che ha determinato la Commissione all’inserzione di questa norma, per giusta reazione all’abuso invalso, ho l’impressione che essa rimpicciolisca la solennità della proclamazione iniziale, che contrasti, per la sua formulazione quasi regolamentare, con la maestà del principio consacrato nel primo comma. E mi pare altresì che la disposizione terminale sia superflua, perché, una volta proclamata l’inviolabilità della libertà personale, qualunque atto violatore sarà illegale, e necessariamente dovrà essere considerata criminale qualsiasi violenza fisica o morale in danno dei detenuti. Perciò, come vi dicevo, mi trovo in uno stato di perplessità di fronte ad una disposizione della quale per ragioni contingenti non mi sento da un lato di poter dire che debba essere soppressa, ma della quale, d’altro lato, non percepisco il carattere costituzionale. E perciò mi limito ad esprimere alla Commissione ed all’Assemblea il mio dubbio.

Un altro punto sul quale farò una brevissima dichiarazione è la disposizione finale: «la Repubblica tutela il lavoro italiano all’estero», che non mi sembra avere nell’articolo 10 la sua giusta collocazione. Non vedo fra questa disposizione del terzo comma e quelle dei due precedenti alcun nesso logico. Nel primo comma si dice che il cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio italiano; nel secondo comma si dice che ogni cittadino ha diritto di emigrare. Quale relazione abbia la tutela del lavoro italiano all’estero con la libertà di circolazione e soggiorno (primo comma) o con il diritto di emigrare (secondo comma), non si comprende. Forse c’è un nesso occasionale. Poiché nel secondo comma si è parlato del diritto di emigrare, la previsione dell’emigrazione ha portato a includere nello stesso articolo la norma sostanzialmente giusta, ma mal collocata, della tutela del lavoro italiano all’estero.

TUPINI. D’accordo, onorevole Carboni.

CARBONI. Penso che questa norma debba essere trasferita nell’articolo 30, nel quale la Repubblica prende impegno di provvedere alla tutela del lavoro e di promuovere e favorire gli accordi internazionali per affermare e regolare i diritti del lavoro. E ringrazio l’onorevole Vice Presidente della Commissione del consenso alle mie osservazioni.

Un punto sul quale desidero trattenere per brevi istanti l’Assemblea per esprimere la piena adesione del mio Gruppo è la disposizione dell’articolo 11, in cui si assicura il diritto di asilo nel territorio della Repubblica a favore dello straniero al quale siano negate nel proprio Paese le libertà garantite dalla Costituzione italiana. Così si pone la Repubblica italiana sul piano di quei Paesi liberi e civili, che diedero ospitalità ai nostri emigrati politici perseguitati dal fascismo.

Insieme con gli amici di questa parte dell’Assemblea approvo pienamente anche il divieto delle associazioni segrete stabilito all’articolo 13. In regime di libertà, tutte le opinioni possono e devono manifestarsi apertamente. Le associazioni segrete che furono necessarie e adempirono un’alta missione nei periodi di oppressioni, oggi non hanno più ragione di esistere. L’onorevole Crispo, che mi ha preceduto nella discussione, ha fatto una lunga trattazione sull’articolo 20. Io mi limiterò a condividere la sua affermazione che quell’articolo – del quale ammetto in pieno l’opportunità quando afferma il principio della irretroattività della legge penale – non appare, così come è formulato, completo. Se è vero che si deve fare eccezione al principio della irretroattività allorquando la legge penale successiva sia più favorevole alla precedente – in quanto sarebbe assurdo condannare per un reato che ha cessato di essere tale o condannare ad una pena che ha cessato di essere considerata giusta – dovrebbe però questa eccezione essere limitata con un’altra eccezione, quella che trova la consacrazione nell’articolo 2 del Codice penale, cioè la preferenza per la norma più favorevole non è applicabile nel caso di disposizioni eccezionali o temporanee.

Un tema che meriterebbe una approfondita trattazione per la sua gravità eccezionale è che a me pare risolto in modo non completamente soddisfacente nel progetto di Costituzione è quello di cui si occupa l’articolo 22. Qui si dice: «I dipendenti dello Stato e degli Enti pubblici sono personalmente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative degli atti compiuti in violazione di diritti». E sin qui nulla da obiettare, anzi adesione completa. Ma poi si soggiunge: «Lo Stato e gli Enti pubblici garantiscono il risarcimento dei danni arrecati dai loro dipendenti»; e questa affermazione, nella sua latitudine, è davvero eccessiva e pericolosa. Non so spiegarmi come non si sia avvertito il bisogno di limitare il principio con la precisazione: danni arrecati dai loro dipendenti nell’esercizio delle proprie incombenze. La norma, come è formulata, potrebbe autorizzare l’interpretazione che anche una violazione commessa al di fuori di qualunque relazione con le incombenze affidate, qualunque violazione commessa dal dipendente, perché, ad esempio, impazzisce e commette un delitto in danno di diritti, importerebbe la garanzia dello Stato per il risarcimento.

È questo un problema di così grave importanza, di così grave entità, che io penso debba essere profondamente ed attentamente meditato. Anzi mi pare che esso non debba costituire materia di una norma costituzionale. Affermata l’inviolabilità dei diritti di libertà, ne deriva, pur necessaria conseguenza, senza obbligo di espressa dichiarazione, la responsabilità dei violatori, e la disciplina dell’eventuale garanzia o dell’eventuale responsabilità indiretta dello Stato e degli enti pubblici deve essere riservata alle leggi, che non potranno essere in contradizione con la Costituzione.

Affermare il principio, con tanta latitudine, in una breve norma costituzionale può essere pericoloso ed offrire l’adito a soluzioni che potrebbero non essere conformi al nostro pensiero.

Altrettanto credo debba dirsi a proposito del secondo comma: « La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari». Il principio risponde ad un concetto di alta moralità, ma affermarlo così ampiamente, per quanto ci sia una riserva alla legge che ne dovrà fare determinazione, non mi pare conveniente, anche perché la formula non fa alcuna discriminazione tra errori giudiziari in materia penale e in materia civile.

Queste sono osservazioni sommarie che ho manifestate così come si sono presentate alla mia mente, ma che assai meglio saranno valutate ed approfondite da voi, onorevoli colleghi. E qualche altra osservazione farò forse in sede di emendamenti per contribuire, nei limiti della mia modestissima capacità, a quello che io credo essere il dovere imperioso di ciascuno di noi: fare cioè in modo che la Costituzione, non soltanto nei principî generali, ma nelle singole enunciazioni, sia la migliore possibile.

Con queste premesse, vengo a quello che è il tema che più mi interessa in questo titolo «Dei rapporti civili», il tema della libertà di stampa, disciplinato dall’articolo 16. Se ne è fatto già qualche accenno; qualche accenno che ha permesso a taluno di affermare addirittura che questa sia una Costituzione liberticida.

Io sono di opinione perfettamente opposta; però non posso tacere la mia opposizione, e quella dei miei amici, opposizione netta, assoluta al quarto comma dell’articolo 16, dove si concede la possibilità del sequestro della stampa periodica da parte degli ufficiali della polizia giudiziaria, nei casi di urgenza.

So che in seno alla Prima Sottocommissione autorevolmente e sottilmente si è cercato di giustificare questo sequestro preventivo con l’intento di difendere la democrazia e la Repubblica dall’assalto della stampa neofascista. So questo, e condivido il pensiero che nell’attuale momento politico ci si debba attentamente e profondamente preoccupare del pericolo costituito da tendenze che rappresentano la negazione delle fondamenta di libertà e di democrazia sulle quali si va costituendo la Repubblica. Però mi permetto di osservare che la Costituzione non è una legge particolare, non è una legge di carattere eccezionale, di carattere temporaneo; non è una legge che possa essere ispirata alle necessità del momento: è una legge che dev’essere riguardata sub specie aeternitatis, e che, traendo ammaestramento dal passato, deve creare uno Stato democratico. E quando diciamo «uno Stato democratico» diciamo uno Stato antifascista, nel senso che antifascismo significa libertà e democrazia. Quindi le considerazioni contingenti non devono tradursi in disposizioni contrarie ai principî essenziali di libertà e di democrazia che devono costituire lo spirito informatore della Costituzione.

Si dice: «Dobbiamo difendere la libertà e la democrazia». Ma quale bene maggiore in un regime di libertà e di democrazia che la libertà di stampa, estrinsecazione necessaria di quella libertà di pensiero che è la caratteristica insopprimibile dell’uomo? di quella libertà di pensiero che in regime fascista era il conforto delle nostre coscienze? Se l’intimo pensiero di alcuno oggi si manifesta in forme patologiche o addirittura criminali, contro queste manifestazioni patologiche e criminali, contro qualsiasi attentato al regime di libertà e di democrazia che noi intendiamo fondare su basi salde, e proprio perché vogliamo fondarlo su basi salde, la Repubblica deve reagire con la repressione punitiva, affidata all’autorità giudiziaria, e non con sistemi polizieschi, che si risolverebbero in una compressione della libertà e in una negazione della democrazia.

Affidare al Governo, attraverso i suoi ufficiali di polizia giudiziaria, la potestà di sequestrare la stampa periodica, significherebbe dare al Governo il mezzo di sopprimere i propri contradittori. Sarebbe dare al Governo il mezzo di sopprimere non soltanto gli attentati alla libertà ma anche quella collaborazione della pubblica opinione che è condizione essenziale, indispensabile, della civiltà moderna e di ogni Stato libero e democratico.

D’altra parte, credete voi che il sequestro preventivo sia veramente un mezzo idoneo ad ottenere il risultato sperato? Il grande numero di giornali, le loro varie edizioni imporrebbero un controllo di difficilissima efficienza ed esecuzione. E comunque il sequestro non riuscirebbe a distruggere la capacità di propaganda di uno scritto incriminato, perché sarebbe impossibile colpire tutte le copie, e quelle sfuggite al sequestro sarebbero ricercate e lette con maggiore avidità, ed intorno al giornale sequestrato si creerebbe una aureola di martirio e di popolarità, che ne farebbe accrescere il credito e la diffusione; per cui i risultati praticamente verrebbero ad essere contrari all’intenzione.

La libertà di stampa è una esigenza fondamentale, alla quale noi non sappiamo rinunciare. Se di questa libertà si abusa criminosamente, si colpiscano i responsabili penalmente. Si tratta spesso di reati non soltanto contro l’individuo, o contro gli esponenti maggiori del Paese o di determinate correnti politiche, bensì contro il potere, contro la personalità dello Stato. Si agisca energicamente, ma nella via maestra della giustizia, con l’intervento del potere giudiziario, nelle forme di procedura apprestate per il rispetto della legge ed a garanzia della libertà e dei diritti dei cittadini.

Il problema della stampa è, come tanti altri che ci angustiano in questo momento, un problema di educazione civile e di educazione morale.

Dobbiamo elevare la stampa; e questo otterremo non con la sanzione del sequestro preventivo, ma con l’esempio e con la pratica di quei principî di libertà e di democrazia che devono essere non solo sulle nostre labbra, ma anche e soprattutto e sempre nei nostri animi e nelle nostre azioni. (Applausi a sinistra).

(La seduta, sospesa alle 17.50, è ripresa alle 18.15).

Presidenza del Presidente TERRACINI

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Preziosi. Ne ha facoltà.

PREZIOSI. Dopo le appassionanti discussioni dei giorni scorsi noi teniamo un poco ad essere più aderenti a quella che è la realtà del nostro progetto di Costituzione, del quale cominciamo a discutere forse la parte più arida, per quanto più importante. In fondo i rapporti civili che sono oggetto del titolo primo del progetto di Costituzione interessano tutto il paese, ma soprattutto noi avvocati, ed oggi è stata un po’ la giornata di gala degli avvocati che fanno parte della Costituente essendo io già il quarto fra essi che prende la parola.

Articolo 8 della Costituzione. L’articolo 8 della Costituzione, così com’è formulato, a me pare che debba essere modificato soprattutto nella parte del terzo comma, subito dopo i casi eccezionali di necessità e di urgenza, indicati tassativamente dalla legge, per cui l’autorità di pubblica sicurezza può prendere misure provvisorie circa la libertà personale. Insomma si dà una facoltà all’autorità di pubblica sicurezza, che indubbiamente anche per i casi eccezionali può essere conferita all’autorità giudiziaria. E non si tiene presente quali sono gli errori che provengono da questa facoltà data all’autorità di pubblica sicurezza, quando essa non trova rispondenza di garanzia in quello che costituisce materia di immediato intervento del magistrato. Perché quando si dice che l’autorità di pubblica sicurezza può prendere misure provvisorie e queste comunicare entro 48 ore all’autorità giudiziaria sembra a prima vista che la garanzia del cittadino esista, che la libertà sia salvaguardata.

E invece, quando si va a leggere ancora il terzo comma dell’articolo 8, apprendiamo dal progetto di Costituzione che, se l’autorità giudiziaria non convalida quelle provvisorie misure di eccezione nei termini di legge, esse sono revocate e restano prive di effetto. Dobbiamo un poco riflettere su questo comma che, a prima vista, dà la sensazione che la libertà dei cittadini sia garantita appieno, mentre invece non è così. Infatti, vediamo un po’ quello che può avvenire se fosse trascritto nella Costituzione il comma così com’è configurato nel progetto. Quando l’autorità di pubblica sicurezza arresta un individuo, che può essere innocente – se è vero che il progetto di Costituzione afferma un principio giuridico di indubbia importanza per cui non si può parlare di reo fino a quando non intervenga una sentenza da parte dell’autorità giudiziaria – deve denunciarlo entro 48 ore all’autorità giudiziaria. Ma cosa fa quest’ultima?

Noi avvocati, che ci occupiamo di cose penali, sappiamo che molte volte un imputato, anche se denunziato per un reato che non esiste, per una misura che sembra di carattere urgente, secondo il ragionamento molte volte errato della pubblica sicurezza o dei carabinieri, sta a marcire nelle prigioni, alcune volte per 10, 20, 30 giorni, senza essere interrogato.

Dunque, allora, bisogna che nel progetto di Costituzione vi sia una vera valvola di sicurezza, per cui la libertà del cittadino sia garantita appieno.

Io dico che se, dopo la denunzia obbligatoria da parte dell’autorità di polizia giudiziaria, fatta entro 48 ore, interviene il magistrato secondo i termini di legge, bisogna intendersi sul significato di questi termini di legge e sulla loro precisa durata.

Bisogna dire, con un emendamento – che io ho presentato e sottoporrò alla vostra considerazione, completando così questa parte di Costituzione che riguarda veramente la parte più sacra del cittadino (la sua libertà individuale) – che l’autorità di polizia giudiziaria può e deve denunziare, entro 48 ore, all’autorità giudiziaria, ma questa ha l’obbligo di provvedere entro le successive 48 ore, altrimenti s’intende revocato e privo di ogni effetto il provvedimento dell’autorità di polizia giudiziaria.

Sarà soltanto così che potremo impedire possibili soprusi, da parte degli organi esecutivi, prevenendo questi col rendere fattivo e attivo l’intervento dell’autorità giudiziaria per ogni caso.

Si potrà opporre, a questo proposito, un ragionamento che, semmai, riguarderà la difficoltà di agire, la difficoltà di speditezza del muoversi dell’autorità giudiziaria. Si potrà dire che non vi sono uffici giudiziari così completamente attrezzati da potere (ricevuta entro le 48 ore la denunzia da parte dell’autorità di pubblica sicurezza, sulla responsabilità di un cittadino) provvedere e vedere se ricorrono estremi tali, elementi tali per cui il processo debba essere avviato verso la sua fase di istruzione sommaria formale.

Ma, allora, si attrezzino uffici speciali presso l’autorità giudiziaria, a capo dei quali siano magistrati esperti in cose penali, i quali, appena saranno pervenute le denunce da parte dell’autorità di polizia giudiziaria, vedranno entro le 48 ore se vi sono, almeno in apparenza, elementi tali che possano autorizzare la permanenza del cittadino nel carcere, o debbano far provvedere ad una immediata escarcerazione.

Invero la prima Sottocommissione nella redazione del progetto, per quanto ho già detto, si accorse del pericolo che incombeva sulla libertà dei cittadini, se è vero che, nella dizione dell’articolo, in un primo momento era detto: «La persona fermata o arrestata deve essere rimessa in libertà a meno che nel frattempo non sia intervenuta denuncia alla autorità giudiziaria e questa entro le ulteriori quarantotto ore abbia emesso ordine o mandato di cattura, ecc.»; la prima Sottocommissione aveva reputato urgente ed indispensabile che la situazione del cittadino arrestato e denunciato fosse esaminata entro le 48 ore dall’autorità giudiziaria ed intervenisse, se mai, in caso di evidente responsabilità, un mandato di cattura. Ognuno di noi avvocati sa che molte volte andiamo in udienza dopo mesi, con un cittadino in istato di detenzione senza che comunque la sua detenzione sia stata perfezionata da un mandato di cattura notificato regolarmente alla parte.

Comunque a me pare che questo mio emendamento – che credo aderente alla realtà pratica dei fatti – (che vuole che assolutamente la libertà del cittadino sia garantita in quei termini voluti dalla legge, per cui l’autorità giudiziaria deve, entro le 48 ore, esaminare i fatti e convalidare quello che è stato l’operato dell’autorità di polizia giudiziaria) risponda assai bene a quella che è la garanzia che ad ogni cittadino italiano deve essere data così come è data ad ogni cittadino di ogni paese dalle libere leggi che vigono in essi.

E passo all’articolo 10 dove si dice: «La Repubblica tutela il lavoro italiano all’estero».

Giustamente il collega onorevole Carboni diceva che questo terzo comma va trasportato nell’articolo 30 del progetto di Costituzione. Ma vorrei che la Commissione procedesse un po’ a quello che è l’esame pratico di questo terzo comma dell’articolo 10 che andrebbe trasportato all’articolo 30, per dire, sia pure con poche battute, in che modo la Repubblica tutela il lavoro italiano all’estero. Secondo me dovrebbe tutelarlo attraverso l’istituzione presso le nostre rappresentanze diplomatiche all’estero di uffici speciali di assistenza per il lavoro. In sede di discussione generale si è parlato tanto di quella che deve essere la tutela a favore dei nostri lavoratori. Noi, alcuni mesi fa, pensavamo che fosse quasi impossibile che i lavoratori della nostra Nazione riavessero le strade aperte verso l’emigrazione. Invece ci accorgiamo che dopo pochi mesi, quando sembrava a noi che queste masse numerosissime di operai dovessero rimanere per forza nella nostra terra, così piena di rovine e così priva di lavoro, i nostri operai sono stati richiesti a centinaia di migliaia dall’Argentina, a centinaia di migliaia dalla Francia e da altri Paesi, il che significa che, ancora una volta, i Paesi che ieri ci erano nemici si sono accorti di quella che è stata sempre, in ogni tempo, la missione di civiltà espletata dal nostro lavoratore all’estero.

Concludo affermando che è necessario che sia configurata nella nostra Costituzione la indispensabilità che i nostri lavoratori, questi nostri magnifici, eroici, sventurati fratelli senza lavoro in Patria, siano tutelati fuori della Patria, là dove vanno a cercare un pane per la propria famiglia e a fare una affermazione di civiltà del nostro Paese.

Articolo 11. In esso si parla dell’estradizione dello straniero per reati politici. Diceva l’onorevole Tieri che egli si meravigliava della condizione dì privilegio che era fatta agli stranieri; ma è la nostra una tradizione di diritto, è la tradizione di diritto di ogni libero Paese, la quale deve dare assolutamente garanzia a coloro i quali sono, a causa della loro fede liberamente espressa, perseguitati nei propri paesi; è la tradizione di ogni paese libero di dare ospitalità a coloro i quali, nel proprio paese, sono condannati solo perché combattono per un grande ideale che dovrebbe essere di grandezza morale e spirituale per la loro Patria. Onorevoli colleghi, io penso che bisogna ovviare alla piccola omissione esistente nella dizione dell’articolo, all’ultimo comma, perché quando si dice che non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici, si lascia un po’ la porta aperta ad equivoci e si fa in modo che il silenzio della legge in proposito possa essere causa di alcune amare sorprese al riguardo.

Se aggiungessimo, dopo le parole «è ammessa l’estradizione» le tre parole «in nessun caso», si eviterebbe, attraverso questo termine coercitivo posto nell’articolo del nostro progetto, che una successiva legge – che potrebbe farsi in tempi non liberi come questi che viviamo – derogasse a quello che è il principio generale della nostra Costituzione; difatti, affermando nella Costituzione che non è ammessa in nessun caso l’estradizione dello straniero per reati politici, si impedisce, comunque, che per l’avvenire si possa formare una nuova legge che, derogando alla Costituzione, possa fare parte di uno scambio di leggi di altri paesi, per un Governo che non fosse un Governo rispettoso della Costituzione.

Articolo 16. Nell’articolo 16 si parla della libertà di stampa. Il collega Carboni ha aderito al concetto della libertà di stampa affermato da colleghi di altri banchi. Ma siamo tutti d’accordo su quella che deve essere la libertà di stampa ed io sono d’accordo con Carboni quando dice: piano con le interferenze del potere esecutivo, con gli immischiamenti da parte della polizia in quello che è un diritto sacrosanto dell’autorità giudiziaria, poiché soltanto essa può difendere al di sopra delle passioni certe inviolabili libertà come quelle di stampa e di opinione.

Trovo strano che un progetto di Costituzione che in un primo momento afferma un principio, quasi sacro, di inviolabilità di un diritto, poi successivamente ponga tutte le premesse e tutte le possibilità perché si possa violarlo.

L’articolo 16 infatti al terzo comma afferma che si può procedere al sequestro nel caso di reati e di violazioni di norme amministrative per i quali la legge della stampa dispone il sequestro, soltanto per atto dell’autorità giudiziaria. Quindi l’articolo fa riferimento ad una legge e poi dice «nei casi predetti, quando vi è assoluta urgenza». Andiamola a pescare, questa assoluta urgenza. È una specie di cosa introvabile, troppo elastica! Non è possibile mai parlare di assoluta urgenza quando non è possibile il tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria.

Quindi, onorevoli colleghi, facendo passare libero l’articolo 16 così com’è, noi sanciremo, in questo nostro progetto di Costituzione, quando esso sarà la legge definitiva dello Stato, un principio che cozza contro tutti i principî di elementare libertà di stampa.

Noi affermiamo che gli ufficiali di polizia giudiziaria, nei casi di urgenza, debbono richiedere all’autorità giudiziaria medesima di procedere al sequestro qualora risulti una violazione contemplata dalla legge. A tal proposito presento un emendamento il quale vuol significare: impedire in ogni caso l’arbitrio da parte degli agenti di pubblica sicurezza e dei carabinieri, perché quando gli agenti di polizia giudiziaria o le autorità del potere esecutivo commettono un’infrazione grave alla nostra libertà si possa subito intervenire presso l’autorità giudiziaria. L’intervento dell’autorità giudiziaria serve ad impedire soprusi e a indicare subito se è il caso o non è il caso di ricorrere al sequestro. Voi direte che può far comodo e non può far comodo, ma qui non si tratta di questo, si tratta di affermare il principio di giustizia e di libertà, affermato il quale non bisogna ricorrere alla scappatoia che si mette in essere molto volentieri per calpestare ogni volontà ed ogni diritto.

E vengo agli ultimi due articoli, i quali devono rendere pensosi i colleghi dell’Assemblea. Specialmente l’articolo 22 che all’ultimo comma dice: «La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari».

Era questa un’affermazione necessaria, secondo la quale la legge interviene, determinando le condizioni per riparare gli errori giudiziari, con ciò significando che un cittadino il quale – non sappiamo se dolosamente o colposamente – è stato privato della libertà personale ha il diritto ad una riparazione pubblica, che si trasforma anche in una riparazione materiale, giustamente dovutagli.

Quante volte infatti ci è capitato che un cittadino sia stato arrestato, sia stato sottoposto a provvedimenti reclusivi, e si è visto che quel cittadino è stato poi giudicato dopo anni, da un tribunale, da una Corte d’assise, ed è stato assolto su richiesta del pubblico ministero, per non aver commesso il fatto!

Ora, io non dico che tutti coloro i quali sono stati assolti per non aver commesso il fatto debbano avere sempre una completa riparazione; ma vi sono casi specifici, nei quali l’errore giudiziario ha colpito in modo tutto particolare il cittadino. Due sono essenzialmente questi casi. Il primo è quello del cittadino il quale, detenuto per anni, ha visto poi riconosciuta la propria innocenza: e questo è un caso da considerare. Ma ce n’è un altro ancora più grave da considerare; ed è quello di un cittadino il quale sia stato condannato perché forse c’erano stati degli elementi di diritto non percepiti dal magistrato. Ora, questo cittadino il quale è stato condannato per un fatto che non è reato e che ha scontato anni di reclusione non deve forse avere una riparazione? È anche il caso vostro, o amici della destra, del centro, della sinistra, che per anni siete stati condannati a cagione di un delitto che non avevate commesso, perché voi avevate compiuto soltanto un dovere, perché voi avevate dimostrato soltanto di amare la vostra Patria, di difendere la libertà della vostra Patria, attraverso i movimenti clandestini, attraverso la propaganda di popolo e in difesa del popolo.

Quando siete usciti dopo anni o decenni di detenzione, non avevate forse il diritto – specialmente molti di voi che hanno visto rovinate le loro famiglie, i loro beni, l’avvenire dei loro figli – di vedere riconosciuto l’errore giudiziario che si era commesso – perché era un errore giudiziario, se pure era un errore politico – che si era commesso nei vostri confronti?

È un interrogativo, onorevoli colleghi, al quale la Commissione dovrà pure rispondere, affermando, confermando e specificando meglio questo principio, che è un principio che davvero risponde ad un’esigenza del nostro spirito.

Ancora qualche osservazione sull’articolo 21 il cui terzo comma suona: «Le pene devono tendere alla rieducazione del condannato e non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità». Onorevoli colleghi, se rimanesse così come è stato configurato nel progetto della nostra Costituzione, questo comma indubbiamente risponderebbe alle esigenze della giustizia: ma esso deve naturalmente essere seguito da provvedimenti conseguenziali. Ve lo accennava l’onorevole Crispo, ve lo diceva l’onorevole Carboni, ve lo aveva annunciato l’onorevole Bettiol ed è un po’ il sentimento di tutti noi che viviamo a contatto con quella che è la miseria quotidiana del condannato e del giudicabile, cioè di colui che può essere assolto, e che tante volte viene assolto. Quando voi affermate nella Costituzione che «le pene devono tendere alla rieducazione del condannato e non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità», non dovete solamente pensare al condannato; dovete pensare anche al giudicando; dovete pensare insomma che in Italia vi è un sistema carcerario che non so quanti epiteti di vergogna meriterebbe; vi è un sistema carcerario in Italia, non solo il più antiquato, ma il più vergognoso.

E qui debbo aggiungere che purtroppo molti dei presenti nell’Aula ne hanno fatto esperienza. Anche lei, onorevole Presidente, ha visto, soffrendo per la libertà del nostro Paese, come vergognoso sia il sistema carcerario vigente in Italia, per cui non vi è nessuna differenza fra il delinquente incallito e il colpevole occasionale e il detenuto politico, tutti sono trattati alla stessa stregua; non vi è nessuna differenza fra colui il quale è stato incarcerato per motivi politici e colui che è stato incarcerato per un bieco assassinio. Ma, comunque, non voglio scendere a questi particolari che richiederebbero molto tempo. Nessuno di noi può precisare che il sistema carcerario italiano possa essere considerato modificato nella sua vergogna soltanto tenendo presente quel nuovo carcere costruito alle porte di Roma, a Ponte Mammolo, che dovrebbe costituire il modello delle carceri italiane. Sarebbe una ironia.

La verità, onorevoli colleghi, è che è necessario arrivare ad una soluzione di questo assillante problema sociale. Noi affermeremo veramente una grande idea, se diremo nella nostra Costituzione che il condannato deve essere trattato in modo tale da poter essere successivamente – se si tratta soprattutto di un delinquente occasionale – riassorbito dalla società; le carceri non debbono diventare le università del delitto, di tutti i delitti, ma debbono essere un luogo dove il reo possa racchiudersi in se stesso, pentirsi del delitto e trovare quelle possibilità, attraverso le innovazioni che si potrebbero apportare nel nuovo ordinamento carcerario, che non gli facciano invece – come avviene oggi – odiare la società che sembra far di tutto per respingerlo da sé.

Onorevoli colleghi, ho finito. Ricordiamo fra noi le pagine di Cesare Beccaria nella sua opera Dei delitti e delle pene e riconosciamo che quelle pagine formulano un augurio per noi stessi, per noi che siamo i nuovi legislatori di questa Italia rinata, di questa Italia sventurata ed eroica, ma libera e democratica. Il nostro dovere lo dobbiamo compiere al di sopra di ogni passione di parte, nell’interesse della libertà, nell’interesse e nella difesa dei diritti di ogni italiano. (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Bellavista. Ne ha facoltà.

BELLAVISTA. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, quinto nel turno di gala (secondo la parola di Preziosi) degli avvocati, non abuserò della legge del tassametro, che il saggio Presidente, in complicità necessaria coi capi gruppo, ha voluto instaurare, in obbedienza del resto ad un principio di economia funzionale dell’Assemblea. Principio che, se ostico può riuscire a chi ha limitata la parola, persegue tuttavia motivi di concentrazione che non possono essere disattesi. Breve sarò anche perché voglio limitare il mio esame soltanto agli articoli 16, 20, 21 e 22 del Titolo 1°. E debbo premettere che aderisco a quelli che sono stati i rilievi svolti dal maestro ed amico onorevole Bettiol, con la competenza che gli è propria, ed in parte ai rilievi mossi dal collega Crispo, sia per quanto riguarda la strana configurazione della inviolabilità del domicilio, sia per quanto riguarda la ancor più strana omissione relativa alla estradizione del cittadino. E, ciò posto, passo direttamente all’esame dell’articolo 16, con un’altra premessa, che vorrei fosse meditata dai colleghi di parte avversaria: se questa è veramente la Magna Charta della Repubblica, questo titolo primo rappresenta la turris eburnea dello Stato di diritto, ed esso è veramente la Magna Charta Libertatum, ed ogni appunto allora che si muova, da qualsiasi settore della Costituente non obbedisce altro che ad una istanza di libertà, che tutti profondamente sentiamo. Perché altrimenti non saremmo in un Parlamento ed in una Costituente che così fisiologicamente e costituzionalmente è legata all’idea della libertà. Non sia frainteso dunque il senso della mia parola, quando io vi dico che bisogna divorziare…

TUPINI. Aspetti a suo tempo, onorevole Bellavista, di parlare del divorzio. (Si ride).

BELLAVISTA. Si rassicuri, l’onorevole interruttore: io non intendo parlare di quel tal divorzio, che desta le sue apprensioni, ma volevo soltanto divorziare il comma 5 dell’articolo 16 della Carta costituzionale. (Commenti).

Dopo una premessa, infatti, che fa onore ai legislatori, dopo avere affermato il principio della libertà di stampa, pure con quelle limitazioni sulle quali ha richiamato la vostra attenzione con tanta autorità il collega onorevole Carboni, al comma 5°, voi, Commissari, avete posto questa norma, avete dato allo Stato questa facoltà: che si possa controllare l’accertamento delle fonti di notizie e dei mezzi di finanziamento della stampa periodica.

La norma è duplice, perché questa potestà di controllo si esercita da una parte sull’attività professionale e dall’altra sulle fonti che eccitano questa attività e la rendono possibile. Fermiamoci a considerare soltanto la prima delle limitazioni di cui trattasi.

Ora, se c’è fra le professioni liberali una attività intimamente connessa e legata alla privata iniziativa, alla privata capacità ed idoneità, non c’è dubbio che questa sia la professione giornalistica. Gli esempi sono numerosissimi ed hanno il dono di quella che Enrico Ferri chiamava la «posterità contemporanea», perché si svolgono più che in Italia all’estero, in modo così manifesto ed eclatante da dimostrare il bene che alla società organizzata a Stato questa attività produce e conferisce.

Un esempio? Domandate alle varie, ben fornite di mezzi finanziari, agenzie americane o inglesi se ce n’è una sola di esse che riesca a battere Drew Pearson che collabora ad una infinità di giornali americani. Egli «sa», ha l’istinto della notizia, sa catturarla, sa anticiparla; sono virtù di intuito che sfuggono alla regolamentazione leguleia, che sfuggono al mediocre controllo della legge che mortificherebbe questa attività, altamente benefica al progresso. E voi volete limitarla, a beneficio di chi, in nome di chi, a vantaggio di chi?

C’è, in verità una diffidenza, nella causa giuridica che inspira la norma, che il giornalismo non merita; parlo del giornalismo onesto che è quello che dice la verità, anche se è amara, soprattutto se è amara, perché così rende il suo servigio alla società. Quel tale altro giornalismo, il disonesto, non può essere né lottato né protetto, perché nella selezione della lotta si discredita, decade, muore.

E i mezzi? Ora, in virtù di quale principio di libertà, che è, e deve essere, di tutti e di ognuno, si può, per esempio (consentite alla verità, che è quella che si impone), impedire ad una data categoria sociale o economica di organizzarsi, in maniera lecita, a difesa di interessi propri? Ma la lotta politica nella democrazia si svolge su un piano dialettico di battaglia di contrari, e voi vorreste conoscere chi sono i fornitori delle armi dei vostri avversari e non dare notizia del marchio di fabbrica dei vostri pugnali e delle vostre spade? Non credo che ciò sia liberale, quindi equo, quindi giusto.

E passiamo ora all’articolo 20. Ma mi consenta l’amico Bettiol – che mi ha direttamente chiamato in causa per la mia appartenenza ad una tradizione ideologica che è stata definita, certo poco propriamente, come residuo di un velenoso liberalismo – che io concordi appieno con lui nel ritenere che molti di questi principî sono immortali, non perché nati sulla Bastiglia in fiamme, ma perché nati con l’uomo: non scriptae sed natae leges, a dirla con Cicerone. Ma sono perciò appunto principî sempre liberali, e non possono non essere liberali. Nell’epoca d’oro della «ragione tutta spiegata», come direbbe Vico, irrompono sulla scena politica del mondo; l’oscurantismo li caccia sotto terra, ma essi risorgono e risorgeranno, come tutte le cose che sono destinate a non perire, e che non appartengono al partito liberale, ma a tutte le classi liberali, finché il liberalismo sarà un verbo comune a tutti i partiti.

Qui vorrei chiedere al buono e paziente Licurgo assente – c’è il vice Licurgo, non meno autorevole – perché si sia preferita, all’articolo 20, alla vecchia (ma, secondo me, esatta per quello che vi esporrò) formulazione dello Statuto Albertino «nessuno può essere sottratto al suo giudice naturale» la dizione presente e diversa, in contrasto con la proposta della Cassazione, che vedo ricordata nelle tavole di raffronto: «nessuno può essere distolto dal giudice naturale che gli è precostituito per legge».

Ora dato che questa è contemporaneamente la Carta della legittima – specialmente dopo il recente passato – diffidenza dell’individuo contro lo Stato sempre potente, e dell’individuo sempre non perfettamente difeso (anche quando relegheremo in soffitta, come altri ha fatto una volta con Carlo Marx, i famosi diritti di supremazia), io osservo: può avvenire il caso che la formula «precostituito per legge» possa prestarsi a questo equivoco interpretativo. Quindi io propenderei per la eliminazione. Tizio commette un determinato reato, e, a rigore giuridico, il suo giudice naturale è quello del luogo dove egli commise il delitto. Ma qui sembra che possa, successivamente alla commissione del reato, essergli precostituito un altro giudice. Noi dovremmo eliminare ogni possibilità di equivoco, che bari e truffi sulle competenze, e si risolva quindi in una lustra, in un tradimento della finalità che la norma stessa si propone. Onde io raccomando la eliminazione.

E non posso fare a meno di sciogliere un inno al secondo comma dell’articolo 20. Anche questa non è una recente importazione di illuminismo, ma continuazione di saggezza romana perché il «nullum crimen sine lege» è nel diritto di Roma: il migliore, il diritto della libertà di Roma classica, di Roma repubblicana.

È stato un bene, ripeto, riaffermare nella nostra Costituzione questo sacro preambolo del nostro Codice penale; è stato un bene perché questa è la maniera con la quale fortificare quel principio e indirizzare ammonimento solenne al legislatore futuro, che da questo principio non si può decampare. E il pericolo di scantonamento c’è stato e c’è ancora.

La costituzione della Germania nazista ammetteva l’estensione analogica della legge penale, e purtroppo il Codice penale sovietico accoglie questo principio, incivile, e lo accoglie giustificandolo con la possibilità dell’estensione analogica qualora il fatto, pur non rivestendo il carattere di reato, offenda «il sano risentimento popolare».

Noi dobbiamo guardarci – e bene ha fatto l’articolo 20 a premunirci in questa materia – da questa possibilità, perché qualsiasi richiamo alla analogia legis, in materia penale, ci porterebbe alle conseguenze di quella cattiva digestione del giudice, che è arbitrio, sopruso, tirannide, di cui alle immortali pagine di Cesare Beccaria.

E dissento dall’onorevole Crispo per quanto riguarda la critica, vivace e distruttiva, che ha fatto del principio della presunzione della innocenza dell’imputato.

I casi che egli vi ha citati sono delle eccezioni, a mio parere, che confermano la regola, che il principio, che al mio amico onorevole Leone sembra romantico, e lo è infatti, obbedisce però anche ad esigenze pratiche alle quali non si può rinunziare nella vita forense, e non vi si può rinunziare in nome dei diritti di libertà.

Il destinatario di queste norme giuridiche è il giudice, il quale, più spesso di quanto purtroppo non si creda, viene alla Magistratura giudicante da quella requirente ed è spesso portato a vedere un colpevole in ogni imputato, e perfino la istruttoria si instrada, incespica e si ingarbuglia in un clima di prevenzione e di ostilità inconsapevole che è bene la legge rimuova, riconfermando il principio che questa è una presunzione, che ha il valore di tutte le presunzioni giuridiche, ma è anche una bandiera di libertà che presidia il processo e che deve essere mantenuta sotto pena di oscurarlo, sotto pena di non servire le vere esigenze della giustizia.

E mi associo anche all’inciso che riflette la emenda come scopo della pena e che vorrei eliminato.

Ora, in realtà, e per le ragioni da altri svolte, e perché la pena, come comunemente si ritiene e s’insegna, non ha un fine unico, ma ne raggiunge altri, sia per questa ragione, sia perché sonerebbe ironia, allo stato della nostra miseria carceraria, parlarne, come l’articolo 21 ne parla, bisognerebbe sopprimere, come si è detto, l’inciso; e mantenere soltanto il principio che le pene non debbono e non possono essere contrarie al senso di umanità.

Sulla pena di morte, onorevoli colleghi, sento doveroso ricordare che la Costituente si onora del nome di un deputato, l’onorevole Paolo Rossi che, all’indomani della promulgazione del Codice Rocco, in pieno regime fascista, scrisse un libro coraggioso: «La pena di morte e la sua critica» nel quale dimostra, anche scientificamente, come questa cosa orrenda fosse soprattutto una bestialità inutile. Noi dobbiamo ancorarci fermamente a questo principio, forse superando anche la limitazione di Beccaria, ma in ogni caso, ricordando, pure nella eccezionalità del diritto di guerra, che non deve ripetersi quella orrenda cosa, che è sì una consuetudine criminale, ma per la quale non c’è pena perché non c’è mai denuncia, che imbratta tanto spesso l’onore dei soldati di tutte le Nazioni, e si chiama la «decimazione». Noi dobbiamo chiaramente affermare che questo è vietato, che questo è un delitto. Che in circostanze estreme nelle quali la Patria è in pericolo si possa arrivare a questa accettata possibilità di errore giudiziario che è la pena di morte, sia: ma questa possibilità di errori sia ridotta al minimo attraverso la garanzia del regolare giudizio e che non sia lecito all’anima prava di un comandante battuto cercare nel sangue degli innocenti la giustificazione dei suoi errori o delle sue codardie! (Applausi).

Onorevoli colleghi, quello che per me rappresenta, se ho interpretato bene, un vero gioiello, come manifestazione liberale della Carta, è il secondo comma dell’articolo 22. Dico se ho interpretato bene, e temo di no, perché, caro collega Preziosi, nell’articolo 20 c’è una «repetitio» magnifica del preambolo dell’articolo 1 del Codice penale. Altre ripetizioni necessarie ed utili ci sono, ma se il secondo comma, onorevole Tupini, dell’articolo 22 vuole essere la ripetizione di quel quasi principio, di quella mortificazione statolatrica contenuta nel Codice di procedura penale, per cui colui che torna dalle patrie Caienne – pensate al caso Dreyfus! – ha soltanto «diritto di istanza» per la riparazione dell’errore che ha sofferto e lo Stato dà, se crede, una somma che non supera le 50.000 lire, allora no. L’epoca, io spero e credo, dell’uomo-mezzo, dell’uomo-bullone, dell’uomo-vite è finita. Ed allora, contro lo Stato che sbaglia per culpa in eligendo, contro lo Stato che comunque sbaglia non devono gli statolatri marciare rostrati di giuristerie che offendono la coscienza popolare ed il sano sentimento della giustizia che vuole sia restituito non solo l’onore, a chi tolto lo ha avuto, ma anche tutto quello che si è perduto, e che è possibile riparare, nel patimento inflitto ingiustamente. Non si può giustificare questo cinismo legislativo con la necessità di procedere a qualunque costo. Si deve riconoscere il diritto subiettivo di pretendere risarcimenti e riparazioni. Questo diritto, evidentemente, deve essere circondato da garanzie; da forme, da modi che lo rendano veramente alta affermazione di giustizia.

TUPINI. Ed è questo lo spirito della Commissione.

BELLAVISTA. Sì, però se io devo interpretare – ed una volta che la legge è fatta si spoglia del pensiero intimo del legislatore – il comma così come esso recita: «La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari», debbo concludere che questo lo fa ancora oggi la legge; tuttavia, lo sapete, questo è un diritto di istanza; la vittima dell’errore giudiziario può chiedere, ma non ha il diritto di ottenere; a questa mia potestà di richiedere non corrisponde un obbligo a darmi; è soltanto un gesto di grazia degno d’un tirannello feudale, che butta, se lo crede, una borsa d’oro alla vittima del suo bieco potere.

È formula che si addice «to the gracious Queen», ma che «the gracious Republic» non può accettare. E non bisogna accettarla, perché non accettando questo principio statolatrico, affermando il diritto alla riparazione, noi affermeremo una cosa veramente grandiosa che supera ogni ideologia particolare, perché investe l’ideologia di tutti: la creatura umana è una cosa sacra e diventa sublime quando è stata ingiustamente calpestata (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Preti. Ne ha facoltà.

PRETI. Intendo limitare la mia trattazione all’argomento della libertà religiosa. Altri del mio gruppo, di me più competenti, hanno detto e diranno quale è il pensiero del Partito socialista dei lavoratori italiani in merito alle altre libertà tutelate nel titolo primo.

Si è, da meno di 24 ore, votato da una coalizione eterogenea di credenti e di miscredenti quell’articolo 7 della Costituzione, il quale…

Una voce al centro. Non vi sapete rassegnare!

PRETI. … il quale, attribuendo la sanzione statutaria ai Patti Lateranensi, non è certo atto a rassicurare in Italia e all’estero coloro che sono gelosi della libertà religiosa. È vero, bensì, che l’articolo 3 della Costituzione, in quanto afferma fra l’altro che i cittadini sono eguali dinanzi alla legge senza distinzione di opinioni religiose, pare ispirarsi al principio della libertà religiosa; ma esso non costituisce se non una premessa generica a quella chiara e specifica dichiarazione che solo nel titolo primo, ora in discussione, può concretarsi.

Del resto, l’accoglimento della proposta dell’onorevole Lucifero di rinviare a questo primo titolo il terzo comma dell’articolo 7, relativo alla disciplina delle confessioni religiose acattoliche, riesce, sotto questo aspetto, assai utile, in quanto concentra in un unico titolo tutte le disposizioni che concernono le minoranze confessionali e le loro libertà.

Se l’Assemblea non avesse votato l’articolo 7 – noi della sinistra democratica non lo abbiamo votato, e ne siamo fieri – e non ci trovassimo di fronte ai precedenti di un articolo 1 dello Statuto, affermante lo Stato confessionale – articolo il quale, andato in desuetudine nell’età liberale, fu richiamato in vigore nel 1929 – noi con un po’ di buona volontà potremmo anche dirci contenti delle garanzie offerte dall’articolo 14 del progetto, le quali, da un punto di vista astratto, potrebbero forse essere atte a tranquillizzare le coscienze.

Ma con questi precedenti, e dopo che la votazione del 25 marzo ha turbato tante libere coscienze italiane e ha indubbiamente messo in allarme l’opinione pubblica delle Nazioni veramente democratiche… (Commenti).

Una voce a destra. Questo lo dice lei.

PRETI. Sì lo dico io, con piena convinzione. (Commenti). … non possiamo dichiararci soddisfatti di quanto dispone il progetto di Costituzione in materia di libertà religiosa. Bisogna che dalla Carta costituzionale si possa chiaramente evincere che i culti non cattolici godranno domani di quella libertà effettiva, che ancora in questo momento – non dimentichiamolo – la legislazione loro nega. Tanto più che la Chiesa cattolica, in quanto si ritiene depositaria della definitiva verità, ha sempre creduto legittimo pretendere dallo Stato delle limitazioni alla libertà di coloro che essa considera i predicatori dell’errore. E se è vero che in più circostanze, sia in passato come di recente, la Chiesa si è mostrata umana e materna nei confronti di quelle confessioni religiose, le quali, come la israelitica, rinunciano a qualunque forma di proselitismo, tenacemente aggressiva essa è sempre stata nei confronti di quelle religioni che fanno del proselitismo un loro imperativo, e in particolare nei confronti dei protestanti la cui predicazione è ritenuta, a ragione, più temibile, in quanto fondata su quei valori cristiani ai quali anche il Cattolicesimo si richiama.

Del resto la non liberale posizione della Chiesa – e a questo proposito io osservo che è difficile farsi liberale per ogni Chiesa o partito che creda di possedere la chiave definitiva della verità – è stata espressa, senza eufemismi, dal defunto Papa Pio XI all’indomani dei Patti Lateranensi, quasi a dare ad essi una interpretazione autentica. Disse in quell’occasione Pio XI: «Culti tollerati e ammessi. Non saremmo noi a fare questione di parole. La questione viene del resto non inelegantemente risolta distinguendo tra testo statutario e testo puramente legislativo, quello per se stesso più teorico e dottrinario e dove sta meglio «tollerati», questo inteso alla pratica e dove può stare pure «ammessi o permessi», purché ci si intenda lealmente, purché sia e rimanga chiaro e lealmente inteso che la religione cattolica è solo essa, secondo lo Statuto e i Trattati, la religione dello Stato, con la logica e giuridica conseguenza di una tale situazione di diritto costitutivo, segnatamente in ordine alla propaganda.

«Più delicata questione si presenta – prosegue Pio XI – quando, con tanta insistenza, si parla della non menomata libertà di coscienza e della piena libertà di discussione. Non è ammissibile che siasi inteso libertà assoluta di discussione, comprese cioè quelle forme di discussione che possono facilmente ingannare la buona fede di uditori poco illuminati e che facilmente diventano dissimulate forme di una propaganda non meno facilmente dannosa alla religione dello Stato e, per ciò stesso, anche allo Stato e proprio in quello che ha di più sacro la tradizione del popolo italiano e di più essenziale, la sua unità.

«Anche meno ammissibile – aggiunge Pio XI – ci sembra che si abbia inteso di assicurare incolume, intatta, assoluta libertà di coscienza; tanto varrebbe dire allora che la creatura non è soggetta al Creatore; tanto varrebbe legittimare ogni formazione, o piuttosto deformazione, delle coscienze anche più criminose e socialmente disastrose.

«Se si vuol dire che la coscienza sfugge ai poteri dello Stato, se si intende riconoscere, come si riconosce, che, in fatto di coscienza, competente è la Chiesa ed essa sola, in forza del mandato divino, viene con ciò stesso riconosciuto che in uno Stato cattolico le libertà di coscienza e di discussione debbono intendersi e praticarsi – e questa è la sua conclusione – secondo la dottrina e la legge cattolica».

Noi siamo certi che dei politici come l’onorevole De Gasperi e dei mistici come l’onorevole La Pira avranno della libertà una concezione più larga e più moderna; ma sta di fatto che, per la Chiesa, vi è una sola vera libertà: quella di assentire liberamente alla sua dottrina. La libertà dei non fedeli, come risulta dalle dichiarazioni di Pio XI, non è che l’errore, il quale si può prudentemente tollerare in omaggio al libero arbitrio umano, ma che bisogna isolare e rendere impotente.

Si spiega così come, con una Chiesa avente tale concezione della libertà, e con uno Stato dominato da un partito il quale, come tutti i partiti unici o aspiranti tali, conosceva solo la libertà di obbedire alle sue direttive, la condizione delle confessioni non cattoliche dedite al proselitismo non sia stata, dal 1929 in poi, delle più brillanti.

Le Chiese protestanti in particolare, qualche volta per sospetti politici, ma assai più sovente per pressioni ecclesiastiche, subirono non poche umilianti limitazioni della propria libertà, in base alla legislazione emanata a seguito dei Patti lateranensi.

L’articolo 5 della legge 26 giugno 1929 affermava che «la discussione in materia religiosa è pienamente libera»; ma nulla diceva in merito alla libertà di propaganda. A proposito della quale viceversa il relatore fascista alla Camera onorevole Vassallo osservava: «In seno alla Commissione si sono ricordati precedenti che pure hanno avuto un’eco nella stampa e nel Parlamento di audace, pretesa propaganda religiosa, da parte di qualche organizzazione protestante, i quali si sono dimostrati insidiosi verso l’unione e la saldezza delle forze spirituali e politiche».

E il Relatore al Senato, senatore Boselli, traendo le conclusioni, precisava che si intendeva, con la legge che si andava a votare, limitare proprio la propaganda dei protestanti. Affermava egli infatti, tra l’altro: «Se fosse vero che una perversa propaganda si aggiri fra le reclute militari, urgerebbe efficacemente reprimerla a salvaguardia della compatta unità religiosa del nostro popolo, unità che è parte somma dell’unità nazionale».

Non stupirà perciò se – cito un esempio ma potrei citarne altri – in data 30 aprile 1936 la Corte d’appello di Roma assolveva un padre gesuita, il quale, in Soriano del Cimino, istigava il popolo contro un venditore di Bibbie evangeliche e faceva dare al rogo tutti i libri sacri che lo stesso possedeva. Ed affermava la sentenza essere illegittimi in uno Stato cattolico la propaganda e il proselitismo evangelico.

Per soffermarmi su un’altra ingiusta disposizione, dirò dell’articolo 1 del regio decreto 28 febbraio 1930, che sottopone l’apertura di un tempio non cattolico al fatto che venga a soddisfare effettivi bisogni di importanti nuclei, dando così praticamente alla polizia la più ampia discrezionalità nel giudicare e nel decidere. Esso ha creato più d’una volta – e non sto qui a citare i casi – notevoli difficoltà agli evangelici italiani, a cominciare dai Valdesi, che pur hanno una tradizione plurisecolare nel nostro Paese.

Senza voler scendere al dettagliato esame delle disposizioni relative ai culti ammessi, dirò che in base ad esse nel Centro-Sud – sono cose non a tutti note – si arrivò a chiudere scuole confessionali protestanti, a proibire a pastori evangelici di esercitare il culto, ad allontanarli addirittura dalle località ove essi evangelizzavano.

E in mancanza di una specifica disposizione di carattere restrittivo, soccorreva sempre l’articolo 1 della legge sui culti ammessi, il quale, con la famosa clausola del «buon costume» e dell’«ordine pubblico» legittimava la più larga applicazione della legge di pubblica sicurezza. Specialmente le ragioni di «ordine pubblico» era facile crearle: bastava che un parroco accusasse i protestanti di mormorazioni antifasciste o, meglio, affermasse che non riusciva più a trattenere gli zelanti cattolici del paese, decisi ad assalire il propagandista evangelico, ed ecco che gli estremi di un intervento per ragioni di ordine pubblico erano creati.

I fatti palesemente incresciosi – noi lo ammettiamo – non furono frequentissimi; né si pretende qui drammatizzare in maniera eccessiva; ma la ragione principale va ricercata probabilmente, anzi certamente, nella circostanza che in Italia i protestanti non hanno mai svolto quella intensa propaganda che invece hanno svolto in altri Paesi pure cattolici. Sta però di fatto che l’unica setta protestante la quale si propose di svolgere una tenace ed attiva propaganda tra le plebi agricole del Mezzogiorno e delle Isole, e cioè la setta pentecostale, fu messa al bando nel 1935, per motivi di sanità pubblica, in relazione al testo unico di pubblica sicurezza ed alla legge sui culti ammessi, in quanto l’esaltazione che si impadronirebbe dei fedeli invocanti la discesa dello Spirito Santo sarebbe pregiudizievole alla salute degli stessi. Chissà allora che cosa avrebbe fatto il Governo se il miracolo di San Gennaro avesse avuto luogo nei templi protestanti!

Neppure dopo la liberazione (e notate questo, colleghi democristiani) questo divieto è stato tolto, tanto che proprio qualche giorno fa è stata ordinata la chiusura di un tempio in provincia di Trapani, che era stato riaperto dopo la liberazione: al quale proposito ha fatto anzi una interrogazione al Governo in questi giorni l’onorevole Gullo Rocco del nostro Partito. Il Governo afferma di attendere sempre i rapporti dell’ambasciatore Tarchiani, incaricato di espletare indagini in America, nazione di origine dei pentecostali, circa la serietà e la consistenza di questa setta. A dire il vero Tarchiani ha già risposto una prima volta favorevolmente, ma il Governo, poco acquisito all’idea di garantire scrupolosamente la libertà di culto, lascia passare il tempo. E all’estero questo lo si sa.

L’articolo 14 della Costituzione ha indubbiamente un merito: quello di affermare esplicitamente la libertà di propaganda religiosa. Ma ha il grave torto di sottoporre ancora l’esercizio dei culti acattolici alle famose limitazioni dell’ordine pubblico e del buon costume.

Si dirà, ex adverso, che è una clausola di stile. Ma sta di fatto che io ho diligentemente consultato le disposizioni in materia di tutte – credo – le carte costituzionali; sicché posso tranquillamente affermare che, in genere, questa clausola o la si trova nelle costituzioni vecchie del secolo scorso, oppure, salvo rare eccezioni, in quelle recenti a tinta conservatrice o addirittura totalitaria. Certo è che né gli Stati Uniti, né l’Inghilterra, né la Francia, né la Russia conoscono clausole limitative di questo genere.

Orbene, se è vero che, scrivendo la nuova Costituzione, dobbiamo in ogni momento e circostanza riferirci a quello che è avvenuto ieri, per meglio affermare la nostra volontà irrevocabile di tagliare i ponti con un passato che non deve più tornare, noi non possiamo adottare una formula di cui si servì il governo fascista, istigatori certi ambienti ecclesiastici, per legittimare i propri soprusi, e che domani – come all’estero, forse anche a torto, in questo momento si dubita – potrebbe eventualmente servire per consimili scopi.

Ormai l’articolo 7 è votato. Si faccia almeno tutto il possibile per evitare di vedere umiliata la Nazione di fronte al mondo intero, con il richiamo che dall’estero ci potesse essere fatto, domani, all’osservanza del famoso articolo 15 del Trattato di pace, che ci impone l’assoluto rispetto della libertà religiosa di tutti i cittadini.

Lasciamo stare dunque le ipocrite clausole dell’ordine pubblico e del buon costume. Ordine pubblico significa, in pratica, arbitrio di polizia; e la clausola del buon costume – a meno che non abbia lo stesso significato della clausola dell’ordine pubblico – è, per lo meno, offensiva nei confronti di un culto religioso. Se proprio dovessero diffondersi culti realmente contrari al buon costume, contro questi culti, che nulla in tal caso conserverebbero della dignità religiosa, lo Stato ha modo di intervenire a norma della legislazione penale.

Ma non basta, signori della Democrazia cristiana: bisogna anche trovare la maniera di affermare nel titolo primo della Costituzione, onde riparare a quello che per noi è il fallo dell’articolo 7…

CINGOLANI. Ma è la quarta volta che lo dice! È proprio inconsolabile! (Rumori Commenti al centro).

PRESIDENTE. Onorevole Cingolani, lasci proseguire, per favore. (Rumori Commenti a sinistra).

MICHELI. È quattro volte che chiama in causa la Democrazia cristiana! Abbiamo il diritto di rispondere.

PRETI. Onorevole Micheli, per favore non si agiti. Se no dicono che è addolorato anche lei di aver votato quel famoso articolo. (Si ride).

MICHELI. Tutt’altro! Sono lieto di averlo votato. Non dica cose che non hanno senso! Questo è proprio voler fare i rompiscatole. (Rumori Vivi commenti Interruzione dell’onorevole Saragat).

PRESIDENTE. Mi sembra che si esageri, da tutte le parti in questo momento! Prego di non interrompere l’oratore.

RUGGIERO. Chi esagera è l’onorevole Micheli, con le sue inammissibili espressioni!

PRESIDENTE. Onorevole Ruggiero, la richiamo all’ordine! (Proteste dell’onorevole Ruggiero Commenti). Onorevole Ruggiero, la richiamo all’ordine per la seconda volta! Spero che si renda conto del valore di questo mio richiamo. Ella è troppo giovane di questa Assemblea: la prego di leggere il Regolamento della Camera. (Interruzione dell’onorevole Ruggiero).

Non prenda più la parola, prego.

Una voce a sinistra. È la legge della maggioranza!

PRESIDENTE. Non è la legge della maggioranza, perché i banchi sono dapertutto quasi vuoti. Prego anche lei di non interloquire. Mi sembra veramente che in fine di seduta troppi deputati perdano il senso del luogo dove si trovano. Da un piccolo incidente provocato da una frase scherzosa mi pare che si traggano conseguenze semi tragiche. Il che è veramente fuor di luogo.

Onorevole Preti, continui.

PRETI. Bisogna trovare la maniera di affermare quell’eguaglianza di tutte le confessioni di fronte alla legge, che nel progetto si è del tutto dimenticata; tanto più che il terzo comma dell’articolo 7, secondo la proposta dell’onorevole Lucifero, votata ieri sera, è stato rimandato al titolo I.

Non dimentichiamo che gli acattolici, ma soprattutto i protestanti di tutto il mondo, guardano ansiosamente a noi e attendono almeno questo.

Noi socialisti, nel limite delle nostre possibilità, difenderemo fino all’ultimo questo concetto della parità di tutte le fedi, per mantenerci appunto fedeli a quella tradizione liberale del Risorgimento che considerò sempre la libertà religiosa la più sacra di tutte le libertà, come quella per cui si sacrificò nel corso della storia il maggior numero di martiri di tutte le nazioni e di tutte le lingue; quella tradizione che è sembrata offuscarsi nel triste compromesso di ieri.

In questo noi ci consideriamo eredi dei valori eterni del liberalismo, di quel liberalismo che la nuova scuola liberale, che ha per leader al Parlamento l’onorevole Corbino e per vice leader l’onorevole Lucifero, ha messo in soffitta confinandolo nel campo economico in funzione conservatrice; di quel vecchio liberalismo ottocentesco di cui ci ha recato l’ultima fiammella Benedetto Croce, che non è affatto comparso in quest’Aula quale evanescente ombra del passato – come ha detto ieri non molto felicemente l’onorevole Togliatti – ma che è venuto a rincuorarci alla vigilia della battaglia. Ed è venuto tra noi solo per questo, perché con il suo appoggio morale combattessimo con coerenza e con fede per la difesa del più vecchio ed attuale di tutti i valori, la libertà; e ciò appunto nell’atto in cui essa veniva insidiata, con la minaccia dell’articolo 7, in una delle sue più pure, anzi nella sua più pura estrinsecazione.

Proprio a questa libertà – permettetemi compagni comunisti l’osservazione – il progressista onorevole Togliatti nella votazione di ieri, mentre uno sparuto gruppo di discepoli di Croce – 4 o 5 – ha votato con noi, ha voltato le spalle. Né so che cosa ne avranno pensato i mani di Mazzini e di Cavour. (Commenti).

Comunque in materia di parità delle confessioni religiose siamo certi di avere al nostro fianco i comunisti, nello spirito dell’emendamento proposto dall’onorevole Giancarlo Pajetta nella seduta di ieri.

La decisione spetta ai democristiani.

Essi hanno colto ieri la vittoria, che più loro premeva, nel modo che noi sappiamo…

CINGOLANI. Nel modo parlamentare.

PRESIDENTE. Lei, onorevole Cingolani, è l’interruttore permanente quando si pongono questi problemi. Se non temessi che l’onorevole Tonello si offenda – ma so che è troppo spiritoso per offendersi – direi che gli fa il pendant. (Si ride).

Prosegua, onorevole Preti, non dimentichi l’ora anche lei.

PRETI. Ma il Presidente De Gasperi ieri ha lasciato sperare che, nello spirito di quanto egli aveva dichiarato ai protestanti d’America, il suo Partito saprà comprendere tutte le esigenze delle minoranze religiose. Noi sappiamo che cominciate a dar prova oggi, signori della Democrazia cristiana, nella votazione di questo titolo, della vostra comprensione degli eterni diritti delle minoranze religiose.

Ricordate che, dando voi prova di intransigenza oggi, questa potrebbe ricadere domani su voi tutti. La libertà si vendica su coloro che in qualunque circostanza le abbiano mancato di fede. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato a domani alle 16.

Desidero leggere l’elenco dei primi inscritti a parlare per la seduta pomeridiana, avvertendo che i deputati inscritti che non saranno presenti decadranno dal diritto della inscrizione.

(Legge l’elenco).

Domani vi sarà anche seduta antimeridiana alle 10.

La seduta termina alle 19.50.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 10:

  1. – Interrogazioni.
  2. Seguito della discussione del disegno di legge:

Modifiche al testo unico della legge comunale e provinciale, approvate con regio decreto 5 marzo 1934, n. 383, e successive modificazioni. (2).

Alle ore 16:

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

 

MARTEDÌ 25 MARZO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

LXXV.

SEDUTA DI MARTEDÌ 25 MARZO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

 

Congedo:

Presidente                                                                                                        

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana:

Presidente                                                                                                        

Della Seta                                                                                                       

Lami Starnuti                                                                                                  

Gabrieli                                                                                                            

Basso                                                                                                                

Patricolo                                                                                                         

Pajetta Giancarlo                                                                                          

Lucifero                                                                                                           

Grilli                                                                                                                

De Gasperi                                                                                                        

Nenni                                                                                                                

Bonomi Ivanoe                                                                                                 

Togliatti                                                                                                          

Corbino                                                                                                            

Sforza                                                                                                              

Bergamini                                                                                                         

Molè                                                                                                                 

Cianca                                                                                                              

Calosso                                                                                                            

Gasparotto                                                                                                      

Pacciardi                                                                                                         

Selvaggi                                                                                                           

Crispo                                                                                                               

Caroleo                                                                                                            

Scotti Alessandro                                                                                          

Bruni                                                                                                                

Tonello                                                                                                            

Bordon                                                                                                             

Calamandrei                                                                                                    

Ruggiero                                                                                                          

Rodinò Mario                                                                                                   

Bassano                                                                                                            

Nobili Tito Oro                                                                                                

Gronchi                                                                                                            

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione                                      

Fabbri                                                                                                               

Leone Giovanni                                                                                                

Pellizzari                                                                                                         

Votazione nominale:

Presidente                                                                                                        

Risultato della votazione nominale:

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 16.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della seduta precedente.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Ha chiesto congedo l’onorevole Rodinò Ugo.

(È concesso).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Dobbiamo esaminare l’articolo 5 del progetto, che diventerà l’articolo 7 del Testo definitivo.

«Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.

«I loro rapporti sono regolati dai Patti lateranensi. Qualsiasi modificazione dei Patti, bilateralmente accettata, non richiede procedimento di revisione costituzionale.

«Le altre confessioni religiose hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano. I rapporti con lo Stato sono regolati per legge, sulla base di intese, ove siano richieste, con le rispettive rappresentanze».

A questo articolo sono stati presentati numerosi emendamenti, dei quali i seguenti sono stati già svolti:

«Sostituirlo col seguente:

«Tutte le confessioni religiose sono eguali di fronte alla legge.

«I rapporti fra lo Stato e la Chiesa cattolica sono regolati in termini concordatari in armonia con la presente Costituzione.

«Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno il diritto di organizzarsi secondo propri statuti. I rapporti con lo Stato, ove queste confessioni lo richiedano, sono regolati per legge sulla base di intese con le rispettive rappresentanze.

«Calamandrei, Cianca, Lussu, Schiavetti, Foa, Codignola, Mastino Pietro, Lombardi Riccardo, Valiani».

«Far precedere al primo comma il seguente:

«La religione cattolica è la religione professata dalla enorme maggioranza del popolo italiano.

«Rodinò Mario, Coppa Ezio».

«Prima delle parole: Lo Stato e la Chiesa cattolica, aggiungere le parole: Tutte le confessioni religiose sono uguali di fronte alla legge.

«Ruggiero».

«Sostituire i primi due commi col seguente:

«Lo Stato riconosce l’indipendenza della Chiesa cattolica, con la quale continuerà a regolare i suoi rapporti per mezzo di patti concordatari.

«Qualora il secondo comma sia mantenuto nel testo attuale, dopo le parole: Patti lateranensi, aggiungere le seguenti: in quanto non sono contrari alla Costituzione.

«Crispo».

«Sostituire il primo e il secondo comma con i seguenti:

«L’Italia riconosce la sovranità della Santa Sede nel campo internazionale come attributo inerente alla sua natura, in conformità alla sua tradizione ed alle esigenze della sua missione nel mondo.

«I rapporti fra lo Stato e la Chiesa cattolica continueranno ad essere regolati da patti concordatari.

«Bassano».

Trasferire il terzo comma, opportunamente coordinato, all’articolo 14, in funzione di garanzia della libertà religiosa.

«Nobili Tito Oro».

L’onorevole Della Seta ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«Lo Stato e le singole Chiese sono, ciascuno nel proprio ordine interno, indipendenti e sovrani.

«I rapporti tra lo Stato e ogni singola Chiesa sono disciplinati per legge.

«Per i rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica potranno essere mantenute, in termini di concordato, quelle norme dei Patti lateranensi che, nello spirito e nella lettera, non contrastino con le norme fondamentali della Costituzione repubblicana».

Ha facoltà di svolgerlo.

DELLA SETA. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, l’emendamento a quello che fu l’articolo 5 e che oggi è divenuto l’articolo 7, l’emendamento, che, più che a nome del mio Gruppo, mi onoro di presentare a nome della scuola repubblicana italiana, non è certo un emendamento che, lasciando immutato il concetto, si limiti a sostituire una qualche parola ad un’altra, una qualche locuzione ad altra locuzione; ma è un emendamento – per chi voglia e sappia leggerlo senza prevenzioni – che, in fondo, non tende ad annullare radicalmente quanto è consacrato nell’articolo 5 del progetto di Costituzione.

È superfluo che io faccia una personale dichiarazione. Non parlo né come apologeta di questa o di quella confessione religiosa, né come difensore di questa o di quella Chiesa; parlo per rivendicare la bellezza morale di un principio, che io, per il primo, rivendicherei in difesa degli stessi cattolici, se ai cattolici, qualora fossero in minoranza, venisse fatto quel trattamento che ancora oggi, in Italia, è fatto alle minoranze religiose. Conforme ai principî della pura democrazia, conforme a quelli che sono i pronunciati ultimi della scienza giuridica e politica, conforme soprattutto al dettato della coscienza morale, di quella coscienza, che moralmente, giuridicamente e politicamente, rivendica, come sua conquista immarcescibile, il risultato di tutto il processo storico, io intendo solamente riportare sopra un piano spirituale più alto, sopra un piano più squisitamente etico – più alto che non sia quello unilateralmente ed egoisticamente confessionale – il fondamento della soluzione del formidabile e secolare problema dei rapporti fra la Chiesa e lo Stato.

In verità, un popolo che, nel pieno esercizio della sua sovranità, si accinge a dare a se stesso la propria Costituzione repubblicana, non dovrebbe sentire alcun bisogno di consacrare nella Costituzione la sovranità dello Stato; al modo stesso che una più alta educazione morale e civile e un più alto grado di maturità politica dovrebbero non far sentire alcuna necessità di consacrare nella Costituzione la indipendenza e la sovranità della Chiesa.

Verrà un tempo nel quale i tardi nepoti – salvo l’interessamento che potranno avere come documento storico – si meraviglieranno di queste nostre discussioni, come noi oggi ci meravigliamo che vi sia stato un tempo nel quale spiriti illuminati abbiano potuto seriamente discutere se l’uomo per natura nasca libero o schiavo.

Ma una Costituzione è una Costituzione. Non può non riflettere il momento storico nel quale viene elaborata; e troppe, in Europa, in ogni paese civile, e, per ragioni particolari, in questa nostra Italia, troppe sono state e sono le preoccupazioni da parte dello Stato di una possibile invadenza della Chiesa e da parte della Chiesa di una possibile invadenza dello Stato, perché non siasi potuto ritenere naturale e legittima la necessità di consacrare nella Costituzione l’indipendenza e la sovranità dello Stato, nonché l’indipendenza e la sovranità della Chiesa.

Ora, poiché il problema specifico, che con l’articolo 5 del progetto si è posto, non è quello generico della libertà religiosa, ma bensì il problema dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa, mi sia permesso di fare talune dichiarazioni che non rispondono ad espedienti tattici suggeriti dalla contingenza del momento, ma si riferiscono a principî fondamentali che fanno parte della dottrina di tutta la scuola repubblicana.

La critica religiosa, in sede teologica e filosofica, può discutere tutti i dogmi; ma la Chiesa – ogni Chiesa – è libera, liberissima di considerare quei dogmi di cui essa si ritiene depositaria come l’assoluta verità religiosa; col conseguente diritto – un diritto però pericoloso perché radice di tutte le intolleranze – di condannare quelle opinioni, quelle dottrine che, a suo insindacabile giudizio, essa ritiene eterodosse, ereticali.

In sede morale e giuridica si può discutere l’ordinamento istituzionale di una data Chiesa; si può valutare se, con spirito più o meno democratico o aristocratico, un dato ordinamento ecclesiastico sia più o meno conforme al codice religioso di cui essa, la Chiesa, si dichiara depositaria. Ma la Chiesa – ogni Chiesa – è libera, liberissima di dare a se stessa quell’ordinamento istituzionale che ritiene il migliore.

Si potrà, al modo stesso, valutare quanto una data liturgia abbia, più o meno, di materialismo o di spiritualismo; ma la Chiesa – ogni Chiesa – è libera, liberissima di disciplinare, come crede, l’esercizio del culto.

Dico di più. La Chiesa, ogni Chiesa, dovrebbe essere spiritualmente così gelosa della propria indipendenza da non volere essere sussidiata dallo Stato, da dovere essere solo sorretta dal contributo spontaneo, generoso e davvero religioso, dei suoi fedeli.

In tutto questo campo, piena indipendenza dunque della Chiesa, di ogni Chiesa. Lo Stato non ha qui nessun titolo per nessuna ingerenza. Esso non ha che il dovere di vigilare onde, sotto la maschera della religione, non si professino principî e non si celebrino riti contrari all’ordine pubblico e al buon costume.

Tutto questo, salvo errore, sancisce l’articolo 5 del progetto nei riguardi della Chiesa cattolica. E noi ce ne compiacciamo; noi teniamo che sia riconosciuta per la Chiesa cattolica questa indipendenza, questa sovranità; se fosse disconosciuta saremmo noi i primi a rivendicarla.

Quale la differenza allora tra l’articolo 5 ed il primo comma del nostro emendamento?

Noi affermiamo che quella indipendenza e quella sovranità che sono riconosciute per la Chiesa cattolica, debbono del pari essere riconosciute per tutte le altre Chiese, per le Chiese cui appartengono le minoranze religiose. Questo il punto.

Anche le altre Chiese, cui appartengono le minoranze religiose, noi consideriamo istituti originari e non derivati. Il loro essere non deriva dal riconoscimento dello Stato; sono in quanto anche esse sentono il loro fondamento mistico in Dio; sono per la stessa libera volontà dei credenti di associarsi.

La Chiesa valdese, ad esempio, ha un suo statuto, che non può non essere riconosciuto e rispettato.

Anche le comunità israelitiche hanno norme istituzionali e disciplinari che hanno sfidato i secoli attraverso tutte le persecuzioni; anche queste debbono essere riconosciute e rispettate.

Se poi, sottilizzando, si vuol fare la distinzione tra una questione di fatto ed una questione di principio, rispondo che questi statuti, quando nel fatto esistono, debbono essere riconosciuti come già consacranti la indipendenza e la sovranità di queste Chiese; quando non esistono, rimane il principio, che non può non essere consacrato nella Costituzione, come diritto potenziale per ogni comunità religiosa costituita o costituenda.

Questo, dunque, e non altro, il significato del primo comma del mio emendamento: «Lo Stato e le singole Chiese sono, ciascuno nel proprio ordine interno, indipendenti e sovrani».

Nessun disconoscimento, teniamo a ripeterlo, della indipendenza e della sovranità della Chiesa cattolica; ma come attuazione, anche in questo campo, del principio democratico della eguaglianza, riconoscimento della indipendenza e della sovranità delle altre Chiese, delle Chiese cui appartengono le minoranze religiose.

Il secondo comma si ispira ad una constatazione di fatto di ordine etico e sociologico; ad una constatazione per cui, a meno di non peccare di astrazione, non possono i due attributi della indipendenza e della sovranità essere considerati come un qualcosa di assoluto.

Voi, democristiani, avete, nella discussione, troppo accentuato la esigenza della separazione e della distinzione. Voi dovreste essere con me nel riconoscere che la nota seducente formula cavouriana: «libera Chiesa in libero Stato», con la successiva immagine delle due parallele che si prolungano senza incontrarsi mai, sono formule e immagini contingenti, esprimenti un periodo di transizione e di transazione, per cui la separazione poteva presentarsi come la soluzione più prudente e più pratica, nel momento nel quale i due istituti, la Chiesa e lo Stato, erano in aperto e forte contrasto.

Ma ben altra è la realtà etica e sociologica. V’è una interdipendenza insopprimibile tra i due istituti, non solo esplicabile col fatto che la loro attività si esplica, simultaneamente, sullo stesso territorio. La interdipendenza è spirituale. Al modo stesso che non è dato all’individuo, se ha una fede, di operare in sé uno sdoppiamento della personalità, onde se si conforta in una visione religiosa della vita non può non trasfondere questa sua religiosità in ogni campo della sua attività, onde non riuscirete mai a disgiungere, ad esempio, il credente dal legislatore e dall’educatore, così, quando una Chiesa sia una vera Chiesa, cioè una Chiesa docente e non politicante, così lo Stato non può non avvantaggiarsi del magistero spirituale della Chiesa, la di cui funzione pedagogica si risolve, dovrebbe risolversi, in un maggiore potenziamento del senso etico, al modo stesso che una Chiesa si avvantaggia nel compimento del suo magistero spirituale, se questo può svolgersi in uno Stato rettamente ordinato, in una società non turbata da continui mutamenti e sconvolgimenti.

Tra i due istituti, lo Stato e la Chiesa, non possono quindi non stabilirsi continui contatti e rapporti. E se rapporti vi sono, non possono non essere disciplinati. E poiché una tale disciplina non può trovare la sua particolare formulazione nella Costituzione, essa non può non essere disciplinata per legge.

Legge, teniamo a ripeterlo, che non è il titolo legittimante la ragion d’essere delle diverse Chiese, delle diverse comunità religiose. Ma legge che esprime la necessità di precisare e di garantire, in termini giuridici, in norme di diritto pubblico interno, quei rapporti tra i due istituti che ritrovano il loro fondamento in più alte esigenze di ordine etico e spirituale.

Non è in contrasto col principio democratico il ritenere che questa disciplina dei rapporti per mezzo della legge non è una facoltà lasciata all’arbitrio delle parti, ma è una necessità di ordine morale, giuridico e politico, nella quale i due istituti ritrovano, ciascuno, una maggiore garanzia di vita e di un più sereno e sano svolgimento.

Tutto questo, e nulla più, vuol significare il secondo comma del mio emendamento: i rapporti tra lo Stato e ogni singola Chiesa sono disciplinati per legge.

Ma questo principio di eguaglianza che, di fronte allo Stato, precisamente rivendichiamo per tutte le Chiese, non ci porta, come politici e come legislatori, a chiudere gli occhi alla realtà.

Non possiamo disconoscere che in Italia v’è una Chiesa che vanta una tradizione secolare; una Chiesa che, come tante altre Chiese, se ha avuto pagine oscure, altre ne possiede, luminosissime, esprimenti tutta una civiltà; una Chiesa che, nella patria nostra, accoglie nel suo grembo la maggioranza dei credenti.

È per questo che, nel terzo comma del mio emendamento, si afferma che i rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica siano disciplinati in termini concordatari.

Ma al termine «concordato» noi diamo un significato non solo giuridico e politico, ma anche psicologico e morale. Un concordato non si riduce all’incontro di due volontà; queste volontà debbono essere animate da verace spirito di concordia.

Sulle stesse labbra di coloro che, come, l’onorevole Tupini e l’onorevole Riccio, hanno difeso, con recisa intransigenza, i Patti lateranensi, più volte abbiamo colta l’affermazione che la Chiesa cattolica è cristiana ed umana, che essa non intende irrigidirsi nelle sue posizioni, che essa è disposta a rivedere, a integrare, a correggere.

Coraggio, dunque! Che uomini di buona volontà, nella reciproca comprensione e nel rispetto reciproco, si pongano attorno ad un tavolo per stipulare il nuovo Concordato!

E si cominci a non più parlare di Patti lateranensi. Questi Patti, per calcolo machiavellico, sono stati firmati dal dittatore e non dal popolo nel pieno esercizio della sua sovranità. Questi Patti portano, esplicito, il riconoscimento dell’istituto monarchico e la loro inserzione nella Costituzione repubblicana non è una garanzia sufficiente per l’atteggiamento della Chiesa. Questi Patti sono indissolubilmente legati al periodo più tragico e ignominioso dalla nostra storia. Non è interesse della Chiesa che un tale ricordo rimanga.

Si stipuli, dunque, il nuovo accordo. Ma sia un accordo leale che, nei rapporti tra Chiesa e Stato, sancisca principî ispirati ad un alto senso di giustizia.

E noi, repubblicani storici che, sui più alti principî ideali e morali, non conosciamo atteggiamenti ambigui, non ammettiamo mercanteggiamenti politici, non siamo turbati da preoccupazioni elettorali, noi, con piena lealtà, dichiariamo categoricamente: noi non accettiamo lo Stato confessionale. Esso ci riporta allo Stato paternalistico o dittatoriale. Esso, su questo punto, ci riporta alla Costituzione napoletana di borbonica memoria; alla Costituzione austriaca, ancor di memoria più esecrabile; ci riporta allo Statuto albertino, nonché ad un patto che porta il marchio del fascismo. È per questo suo retrocedere a posizioni dalla coscienza moderna ormai superate, che io, nel mio antecedente discorso, dichiarai che questa del progetto è una Costituzione anacronistica, è una Costituzione bifronte.

Noi siamo contro la confessionalità dello Stato. Siamo per la libertà di coscienza sancita, nella Costituzione, come la prima, la fondamentale tra le pubbliche libertà. La libertà di coscienza è più ampia della semplice libertà religiosa. Questa ci fa pensare più ai credenti di date religioni storiche, tradizionali, più agli appartenenti ad una data Chiesa; la libertà di coscienza, nello stesso campo religioso, rivendica un diritto che non può non essere riconosciuto anche a favore dei liberi credenti, cioè di quelli che, al di fuori di ogni Chiesa costituita, celebrano la loro religiosità nel mistico immediato rapporto della loro anima con Dio.

Noi siamo contro la confessionalità dello Stato. Ed esserlo non è rivelare sentimenti ostili alla religione, tanto meno è mostrarsi ostili alla Chiesa cattolica. Stato laico, quello che noi rivendichiamo, non significa affatto, come una certa interpretazione tendenziosa vorrebbe far credere, non significa Stato ateo, irreligioso o antireligioso. Noi, per un alto sentimento di educazione civile, non ci siamo mai macchiati di certe forme volgari di anticlericalismo. Più di una volta, con la parola e con la penna, nella stessa Voce repubblicana, abbiamo richiamato al rispetto verso i sacerdoti. Stato laico per noi è quello nel quale, in piena libertà e nel rispetto reciproco, tutti i credenti, senza mortificanti discriminazioni confessionali, possono, individualmente e collettivamente, privatamente e pubblicamente, testimoniare la loro fede.

Supponiamo che, per un sentimento generoso, per un omaggio alla religione della maggioranza, noi consentissimo a che tale religione venisse riconosciuta come religione di Stato. Non potremmo, nostro malgrado, consentire perché non possiamo non temere le illazioni che, per logica istituzionale, dal confessionalismo dello Stato ineluttabilmente derivano.

È questo confessionalismo che fa della contraddittorietà una delle note più salienti, deprecabilissima, di questo progetto di Costituzione.

È questo confessionalismo che risolve in un’amara ironia, se non in una beffa, il principio della eguaglianza così solennemente sancito nel progetto di Costituzione.

Che vale il principio della eguaglianza sancito nell’articolo 7 e il diritto riconosciuto, per ogni cittadino, nell’articolo 48, di accedere ai pubblici impieghi e aver proclamato, nell’articolo 27, la libertà dell’insegnamento, se poi, per l’articolo 5 del Concordato, la Chiesa, non paga della condanna ecclesiastica, chiede dallo Stato, dal braccio secolare, la condanna civile per un cittadino ex-sacerdote, peccatore per esser venuto, nella indagine scientifica, nella indagine storica e filosofica, a conclusioni diverse da quelle che la Chiesa dogmaticamente sostiene, la condanna, dico, vietandogli il pubblico insegnamento, alla interdizione perpetua dai pubblici uffici, cioè ad una pena che il Codice penale aggiunge ad una pena più grave, alla pena dell’ergastolo, per i reati più infamanti?

C’è di più. Si ha un bell’affermare, con l’articolo 28 del progetto, il diritto dei cittadini all’istruzione, il diritto a frequentare la scuola pubblica. Come conciliare questo diritto con l’articolo 36 del Concordato, per cui la Chiesa, non paga di avere, come suo legittimo diritto, le proprie scuole private confessionali; non paga di avere inserito nella scuola pubblica l’insegnamento religioso, esige anche che tutto, tutto l’insegnamento, nella scuola elementare e nella scuola media, abbia come fondamento e come coronamento l’insegnamento della dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica? Gli accattolici, sia come insegnanti, sia come discepoli, dovranno astenersi dal frequentare la scuola pubblica, a meno di non dover subire una violenza alla propria coscienza religiosa?

C’è di più ancora. Noi abbiamo un Codice penale – dedico queste mie parole a lei, onorevole Ministro della giustizia – noi abbiamo un Codice penale che costituisce questa mostruosità morale: un Codice che si fa istigatore del reato che si prefigge di reprimere; un Codice che, pel reato di offesa al sentimento religioso, commina una pena diversa, secondo la confessione religiosa dell’offeso. Pena più grave, se l’offesa ferisce il sentimento religioso della maggioranza, meno grave se ferisce il sentimento religioso delle minoranze. Anzi vi è un’azione, il pubblico vilipendio, che viene punita solo se va ad offendere la religione dello Stato, cioè il sentimento religioso della maggioranza.

Tutto questo – come già si è fatto per la pena di morte – tutto questo, non solo a rispetto delle minoranze, ma a difesa del buon nome della patria, deve essere dalla legge abolito.

Noi non conosciamo che una norma. Lo Stato, quale istituto giuridico e politico, rappresenta tutti i cittadini. I cittadini riconoscono se stessi nello Stato; lo Stato riconosce se stesso nei cittadini. Se volete ricercare un motivo etico-religioso nello Stato, questo lo ritroverete nel principio della giustizia. Giustizia che, come sua prima attuazione, reclama il rispetto del principio della eguaglianza. Eguaglianza intesa non come utopistico egalitarismo livellatore, ma come negazione di ogni privilegio. In vera democrazia, come non si ammettono privilegi di casta, di classe, di partito o di censo, così non si possono ammettere privilegi confessionali.

A parità di doveri, parità di diritti. Quando lo Stato, senza discriminazioni confessionali, chiama ogni cittadino ad alimentare con le proprie ricchezze il pubblico erario; quando, per testimonianza inoppugnabile, vi sono stati appartenenti alle minoranze religiose che, col loro nome, nelle arti, nelle scienze, nelle lettere, hanno tenuto alto il nome della patria all’estero; quando lo Stato, senza discriminazioni confessionali, chiama ogni cittadino a difendere la patria, a versare il suo sangue per essa – e quanti e quanti, nella prima guerra mondiale, accorsero volontari e caddero sul campo dell’onore e si distinsero in fulgidi episodi di eroismo! – quando tanti e tanti degli appartenenti alle minoranze religiose caddero in quelle Fosse Ardeatine, che Ella, ieri, onorevole Presidente, con sì nobili parole ha rievocate, in quelle fosse ove, nella comunanza del martirio, fu celebrata la comunione della fede in un sacro ideale di giustizia e di libertà, quando tutto questo avviene, allora, lasciatemelo dire, non è umana, non è cristiana, non è giusta una legge la quale basa il privilegio e il prestigio di una Chiesa sulla mortificazione morale e sulle menomazioni giuridiche delle minoranze religiose.

Se voi cattolici mi obiettate che giusto è il privilegio della vostra Chiesa, perché la vostra fede rappresenta la verità religiosa e quella degli altri è l’errore, allora non risponderò che l’argomento si potrebbe facilmente ritorcere, ma dirò che in voi, senza condividerlo, rispetto il dogma come un punto della vostra fede, ma che non v’invidio questo atto di presunzione spirituale.

Se poi mi obiettate che democrazia è rispetto della maggioranza, che voi nel paese siete la maggioranza e che perciò, rivendicando il privilegio della Chiesa, siete dei perfetti democratici, vi risponderò che certi problemi dello spirito non si risolvono a colpi di maggioranza o di minoranza; e che c’è una logica più logica della logica ed è quella che, come premessa maggiore del sillogismo, ha il principio supremo del giusto e dell’onesto.

Questi i principî che hanno indotto a formulare il terzo comma del mio emendamento, nel quale si afferma che, nel nuovo Concordato tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica potranno essere conservate dei Patti lateranensi quelle norme che non contrastino con le norme fondamentali della Costituzione repubblicana.

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Della Seta.

DELLA SETA. Concludo rilevando che la pace religiosa, che in quest’aula dai vari settori è stata tante volte invocata e in nome della quale si son volute legittimare le prese di posizione le più antitetiche, non è quella che, incuneando un elemento disgregatore, divide la nazione in reprobi ed in eletti, ma quella che trova la sua garanzia in quel sentimento così mirabilmente espresso nel Nathan il Savio, nel capolavoro di Ephraim Lessing. Esso dice ai credenti: ricordatevi che siete tutti figli dello stesso Dio e che primo articolo di ogni fede sinceramente e onestamente professata è il rispetto della fede altrui. Esso dice ai cittadini: ricordatevi – e quanto alla educazione di questo sentimento deve contribuire la scuola! – ricordatevi che, al di sopra di tutte le divergenze confessionali, siete tutti figli della stessa Madre, della Patria comune, cui avete il dovere, con spirito di dedizione, di offrire il contributo della vostra opera.

Onorevoli colleghi, questa discussione non si svolge esclusivamente entro il recinto di quest’aula e neppure entro la cerchia tra le nostre Alpi e il nostro mare. Il mondo ci guarda. Esso attende dal risultato della nostra votazione un criterio per giudicare se la nostra sia o non sia una vera democrazia, e quale il grado della nostra educazione civile, della nostra maturità politica.

Cancellando dalle leggi una qualsiasi discriminazione giuridica tra le varie confessioni religiose, consacrando nella Costituzione il grande principio della libertà di coscienza, non solo contribuiremo ancor più a cementare la unità spirituale e morale della patria, ma saremo ancor più stimati e rispettati nel consesso delle nazioni. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. L’onorevole Lami Starnuti ha presentato il seguente emendamento, firmato anche dagli onorevoli Carboni, Preti, Binni, Bennani, Piemonte, Persico, Fietta, Villani, Vigorelli:

«Sostituirlo col seguente:

«La Repubblica riconosce la Chiesa cattolica, nel suo ordine, indipendente e sovrana.

«La condizione giuridica della religione cattolica è disciplinata mediante concordati con la Chiesa.

«La condizione giuridica delle altre confessioni religiose è disciplinata per legge, previe intese, ove richieste, con le rispettive rappresentanze».

L’onorevole Lami Starnuti ha facoltà di svolgerlo.

LAMI STARNUTI. Onorevoli colleghi, l’emendamento che il Gruppo socialista dei lavoratori italiani ha presentato, a modifica dell’articolo 5 del progetto di Costituzione, non avrebbe bisogno di illustrazione o di commento. Esso è semplice è chiaro: determina la posizione, l’atteggiamento del Gruppo socialista rispetto all’inserzione, nella legge fondamentale della Repubblica, dei Patti lateranensi.

Non è molto diverso dagli emendamenti proposti dai gruppi parlamentari vicini e amici, dai quali diversifica soltanto per parole e accenti estrinseci, tanto che io mi auguro, iniziando questa mia breve illustrazione, che gli emendamenti, a discussione conclusa, trovino una sola formulazione ed un accento solo per attestare la solidarietà dell’unità di pensiero e di sentimenti di questa parte dell’Assemblea, in difesa della libertà di pensiero e della libertà di coscienza.

L’articolo 5 del progetto di Costituzione è stato proposto e redatto nella onesta e lodevole intenzione di non riaprire – si è detto – in Italia quelli che furono i contrasti in materia religiosa.

Dubito, e ho ragione di dubitare, che l’altissimo scopo possa essere raggiunto. Penso che quell’articolo 5, anziché concludere una situazione politica, che di fatto è inesistente, riaprirà dissensi che parevano, e credevamo, superati, ed invece di chiudere, darà inizio ad una serie di agitazioni per modificare la Costituzione repubblicana e rivendicare la libertà di pensiero e di coscienza del popolo italiano. (Applausi a sinistra).

L’emendamento proposto dal Gruppo socialista dei lavoratori italiani, nella sua prima parte non si discosta, direi, dall’articolo 5 del progetto; la modificazione non è sostanziale. Quello che nel progetto è affermazione di duplice indipendenza e di duplice sovranità noi lo abbiamo ridotto, ed esattamente a me pare, ad un’affermazione unica. Nella Carta costituzionale è lo Stato che parla, ed esprime le linee fondamentali delle sue leggi. Dichiarare in essa che lo Stato è indipendente e sovrano a noi è parso un non senso. Lo Stato non ha bisogno di una dichiarazione formale propria per dar vita a quello che è l’attributo fondamentale suo dell’indipendenza e della sovranità. Il capoverso del nostro emendamento è invece sostanziale: modifica profondamente l’articolo 5 del progetto di Costituzione. Dico profondamente, perché è dovere di onestà e di lealtà non infingere quelli che sono i nostri sentimenti, i nostri pensieri. Noi avevamo pensato e avevamo sperato che su questa materia ardente vi fosse stata la possibilità di una intesa che garantisse tutte le fedi, tutti i pensieri, tutti i sentimenti religiosi.

L’onorevole Nitti e l’onorevole Orlando, i quali pure avevano censurato il progetto di Costituzione ritenendolo un compromesso fra i partiti che dominano questa Assemblea Costituente, avevano inteso la necessità, la lodevole opportunità di un onesto compromesso in questa materia.

La Democrazia cristiana è rimasta intransigente nelle sue posizioni: o tutto l’articolo 5 nella sua forma intera e con tutto il suo contenuto, o la battaglia per la vittoria dell’uno o dell’altro principio.

La prima parte del nostro emendamento risponde in certo senso a quella che è la sfida della Democrazia cristiana al pensiero laico e libero della democrazia italiana. (Applausi). Nella discussione generale del progetto di Costituzione, l’onorevole Togliatti, dichiarando che sarebbe ritornato sulla materia in sede particolare, tenne quel giorno a dichiarare che i Patti del Laterano offendevano la coscienza civile degli italiani.

Noi siamo ancora di questo stesso pensiero e di questo stesso sentimento, e poiché crediamo che i Patti lateranensi offendano la coscienza civile degli italiani, contro la formulazione dell’articolo 5 del progetto abbiamo redatto la nostra formulazione, la quale dice anticipatamente che l’articolo 5 noi non lo voteremo, dice anticipatamente che l’articolo 5 noi lo combatteremo, dice anticipatamente che se con una occasionale maggioranza voi riuscirete (Si rivolge al centro) ad includere l’articolo 5 nella legge fondamentale, voi aprirete fra qualche mese la battaglia politica per la revisione della Carta costituzionale. (Applausi a sinistra Proteste al centro Commenti prolungati).

Onorevoli colleghi, perché noi rifiutiamo il nostro voto all’articolo 5 del progetto? Perché diciamo che i Patti lateranensi non possono essere inclusi nella nostra Carta costituzionale? Per due ragioni: per una ragione formale, cui accennerò appena, e per una ragione sostanziale.

La ragione formale è quella già detta da altri oratori in questa Assemblea, che cioè nella Carta costituzionale non si richiamano i trattati internazionali stipulati dallo Stato italiano con altre persone giuridiche di diritto internazionale.

La ragione sostanziale per il Trattato è che esso sta a sé e vivrà senza bisogno di questo richiamo. Sta a sé e vivrà, nel senso che nella sua essenza non è più discusso o minacciato da alcuno. Il Trattato, in quella parte che risolve la questione romana, lo consideriamo anche noi definitivo.

Una voce. Perché questo vi fa comodo.

LAMI STARNUTI. Non è vero che a noi faccia comodo, o se più vi piace, ciò non fa comodo soltanto a noi, ma fa comodo anche agli amici della Democrazia cristiana. (Proteste al centro Interruzione dell’onorevole Cingolani). Gli amici della Democrazia cristiana non rinuncerebbero mai a quella che è la sostanza di quel Trattato. Ma del Trattato noi non possiamo accettare né l’articolo 1 né l’articolo 5, perché in contrasto con i nostri sentimenti e i nostri pensieri.

Per il Concordato dirò che tutte le domande rivolte agli amici della Democrazia cristiana, perché ne legittimassero in qualche modo l’inclusione nella Carta costituzionale, sono rimaste, in verità, lettera morta.

Una spiegazione e una giustificazione convincenti non ci sono mai venute da quei banchi. Si è detto, da parte di oratori della Democrazia cristiana, che il Concordato veniva richiamato perché le relazioni tra lo Stato e la Chiesa cattolica trovano in quel Concordato la loro disciplina. Ma il Concordato sopravvive anche alla non inclusione nella Carta costituzionale e sopravviverà finché le parti non lo modificheranno, o una parte sola non crederà di denunciarlo considerando mutata la situazione di fatto e la situazione politica dalle quali era sorta nel 1929 la necessità del Concordato.

Ma noi aggiungiamo che il richiamo al Concordato nella Costituzione avrebbe come conseguenza che nessuna modifica sarebbe possibile portare al Concordato medesimo senza la revisione della Carta costituzionale e che questa necessità costituirebbe una intollerabile limitazione della libertà e della sovranità dello Stato italiano.

A superare questa obiezione ha dato opera, in seno alla prima Commissione, il collega onorevole Lucifero, con la proposta di dichiarare che le modificazioni al Concordato, bilateralmente accettate, non importano necessità del procedimento di revisione costituzionale. Ma la proposta da un lato costituisce la conferma della nostra obiezione, e la prova che l’articolo del progetto limita veramente la libertà e la sovranità dello Stato italiano, perché, senza accordi bilaterali, nessuna modificazione al Concordato sarebbe possibile, e da un altro lato toglie al popolo italiano quelle che sono le garanzie offerte dalla Carta costituzionale per la revisione della Costituzione, demandando la revisione di una legge dichiarata costituzionale all’attività del solo Governo italiano e della Santa Sede. Per gli amici della Democrazia cristiana aggiungerò, che se noi rifiutiamo e respingiamo gli accordi così come furono firmati nel 1929, perché lesivi dei diritti dello Stato e della libertà di coscienza e di pensiero di tanti italiani, non respingiamo però l’idea e il fatto che le relazioni tra lo Stato e la Chiesa siano regolate da Concordato. Noi non vogliamo ritornare al sistema della separazione tra la Chiesa e lo Stato, non vogliamo ritornare ad un sistema giurisdizionalistico.

Noi accettiamo la collaborazione e gli accordi, ma questa collaborazione e questi accordi debbono avvenire a parità di diritti ed a parità di autorità e di libertà. Non vogliamo che la Repubblica sia vincolata e imprigionata dagli accordi precedenti e dalla legge costituzionale.

Questo, onorevoli colleghi, è, in sostanza, lo scopo dell’emendamento che noi sottoponiamo alla vostra attenzione ed al vostro voto, animati soltanto, come siamo, dal desiderio di difendere l’autorità della Repubblica e la libertà di coscienza e di religione in Italia e dal desiderio di non mantenere privilegi strappati allo Stato italiano (Interruzioni Commenti al centro), quando lo Stato italiano era dominio d’un pugno di avventurieri. (Vivi applausi a sinistra).

PRESIDENTE. L’onorevole Gabrieli ha presentato il seguente emendamento, che ha facoltà di svolgere.

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Lo Stato e la Chiesa cattolica sono due ordinamenti indipendenti e sovrani».

GABRIELI. Non insisto nel mio emendamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Basso ha proposto il seguente emendamento, firmato anche dagli onorevoli Dugoni, Vigna, Malagugini, De Michelis, Giua, Targetti, Merlin Angelina, Costantini, Fedeli:

«Sostituire i commi primo e secondo con i seguenti:

«La Chiesa cattolica è, nell’ambito suo proprio, libera ed indipendente.

«I rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica sono regolati in termini concordatari».

L’onorevole Basso ha facoltà di svolgerlo.

BASSO. Onorevoli colleghi, su questo argomento io credo non ci siano più molte cose da dire, essendo stato già sviscerato, sul piano giuridico, sul piano ideologico e dottrinario; non vorrei ripetere cose già dette.

Mi limiterò, quindi, a svolgere, soprattutto da un punto di vista politico, l’emendamento, che ho presentato a nome del Gruppo parlamentare socialista.

Il Gruppo parlamentare socialista ha avuto sempre in questa discussione una grande preoccupazione, che ho già fatta presente in sede di discussione generale. La preoccupazione fondamentale nostra era quella che non si facesse una Costituzione di parte; che nessun gruppo approfittasse d’una esigua e passeggiera maggioranza per imporre le proprie vedute particolari, per imprimere un suggello di parte alla nostra Costituzione.

Ora, in questa specifica materia, pare a noi che quello che veramente esprime la coscienza popolare, quello che interessa l’immensa maggioranza degli italiani, sia che non venga turbata in nessun modo la pace religiosa.

Non desiderano certamente turbarla i partiti di sinistra, preoccupati di fondare una Repubblica che risponda a quello che abbiamo scritto nei nostri primi articoli costituzionali, cioè una Repubblica che sia veramente democratica, che sia veramente aperta alla partecipazione dei lavoratori; non desiderano turbarla, ripeto, i partiti di sinistra che sono essenzialmente preoccupati di indirizzare in questo senso lo sforzo degli italiani.

Per quanto riguarda poi l’opinione dei colleghi democratici cristiani, l’onorevole Dossetti l’altro giorno diceva nel suo discorso che essi hanno una preoccupazione fondamentale, quella di fare in modo che lo Stato italiano non solo riconosca che la Chiesa ha un proprio ordinamento che non può essere manomesso dallo Stato, ma desiderano altresì la garanzia che questa situazione sancita nei Patti lateranensi non possa essere mutata, se non attraverso una modifica della Costituzione.

Noi non vogliamo inserire nella Carta costituzionale – diceva l’onorevole Dossetti – i Patti lateranensi; per noi questo articolo 5 ha soltanto un valore strumentale, quello cioè d’impedire che domani, con una semplice legge, possa lo Stato italiano interferire nell’indipendenza interna della Chiesa.

Ora, io penso che il nostro emendamento risponda appunto a questa esigenza. Esso dice infatti nel suo primo comma che la Chiesa cattolica è nel proprio ambito libera è indipendente; quindi ripete l’enunciazione formulata nell’articolo proposto dalla Commissione, sopprimendo solo la parte che riguarda la sovranità dello Stato, in quanto la ritiene superflua, essendo essa già implicita nella Costituzione che è proprio, di per se stessa, il primo atto di sovranità dello Stato.

Questo primo comma dunque, così come noi l’abbiamo formulato, risponde in pieno alla richiesta dei democratici cristiani.

Per quello che riguarda poi il secondo comma, l’emendamento da noi presentato risponde pure a quelle che sono le richieste avanzate dalla Democrazia cristiana perché, quando noi affermiamo che i rapporti fra la Chiesa e lo Stato sono regolati in termini concordatarî, diamo ai cattolici italiani precisamente la garanzia che lo Stato italiano non possa ritornare, senza una modifica costituzionale, ad un atto di intervento unilaterale nella disciplina dei rapporti tra la Chiesa e lo Stato.

Non v’è dunque nulla, nel nostro emendamento, che non possa essere accettato dalla Democrazia cristiana, se quanto essa ha dichiarato per bocca dell’onorevole Dossetti risponde veramente alla sua posizione al riguardo. Se infatti qui si ricerca soltanto uno strumento per questi fini, è evidente che il nostro emendamento offra questo strumento e che la menzione specifica dei Patti nulla aggiungerebbe.

Ma è stato detto ed è stato scritto dall’onorevole Romano che il non accettare l’articolo 7, così come è stato proposto, potrebbe turbare la pace religiosa, riaprendo in Italia una controversia in tal senso: ebbene, io credo che ciò non risponda a verità. L’onorevole Nenni vi dirà per quali ragioni non possiamo votare l’articolo 7 così com’è; ma per quello che attiene all’emendamento da noi presentato, io debbo insistere nel dire che la pace religiosa non può essere turbata in Italia, per questo fatto, perché io dico che la pace religiosa raggiunta non è la conseguenza degli Accordi lateranensi.

La pace religiosa in Italia si è raggiunta perché la democrazia italiana si è fatta più moderna, si è fatta più cosciente di quelle che sono oggi le preoccupazioni fondamentali della nuova democrazia; la pace religiosa italiana si è conseguita attraverso un lungo processo di decenni, via via che ci si allontanava dall’epoca in cui la controversia era aperta, soprattutto sul tema del potere temporale soppresso nel 1870. E che la pace religiosa fosse già maturata nel clima spirituale d’Italia è stato confermato dagli onorevoli Nitti e Orlando, quando hanno dichiarato che nel 1917 e nel 1919 sarebbe stato possibile raggiungere un’intesa con la Chiesa cattolica. Non è vero quindi che la pace religiosa, che noi oggi dobbiamo difendere, nasca dai Patti lateranensi: essa nasce e si fonda sulla coscienza democratica italiana, ed è in questa coscienza democratica che noi dobbiamo trovarne il presidio. Ecco perché abbiamo preferito, e preferiamo ancora, anziché un voto di parte, che riaprirà una polemica religiosa, che per noi era chiusa, e di cui la responsabilità non sarà nostra, un voto unanime che – come nel nostro ricordo il nome di Don Minzoni si associa a quelli di Amendola, di Gramsci, di Matteotti, e il sangue versato dai partigiani socialisti e comunisti si confonde con quello versato dai partigiani democratici cristiani – rappresenti la volontà di tutti gli italiani per significare che veramente la democrazia italiana ha superato da un lato i vecchi schemi dell’anticlericalismo e si è aperta ad orizzonti più vasti, e per significare d’altra parte che la Chiesa cattolica ha appreso dalla propria esperienza che le religioni non si difendono e non si fortificano con articoli di legge, con delle concessioni strappate a regimi dittatoriali, ma si difendono e fortificano in un regime di libertà e di rispetto della persona umana. (Vivi applausi a sinistra).

Abbiamo offerto all’Assemblea questa possibilità: sta ai colleghi della Democrazia cristiana dirci se anch’essi hanno, come noi, a cuore l’unità morale del popolo italiano, o se preferiscono una Costituzione di parte che rappresenta un pericolo per questa unità.

Quanto a noi, faremo il nostro dovere. Al di là di quest’aula, al di là degli articoli che noi stiamo per votare, al di là del risultato dei voti, vi sono dei valori morali profondi, difendere i quali è come gettare un seme al popolo italiano, che frutterà nelle coscienze italiane. Noi difenderemo questi valori morali. (Vivi applausi a sinistra).

PRESIDENTE. L’onorevole Patricolo ha presentato il seguente emendamento, che ha facoltà di svolgere:

«Sostituire il primo e il secondo comma con i seguenti:

«La Religione cattolica è la religione ufficiale della Repubblica italiana.

«I rapporti tra la Chiesa cattolica e lo Stato sono regolati dal Concordato lateranense».

PATRICOLO. Onorevoli colleghi, l’esperienza della mia partecipazione alla Commissione dei 75 potrebbe indurmi a tacere di fronte all’evidente determinazione di una evidente maggioranza ad accettare la formulazione dell’articolo 5 – oggi articolo 7 – della nostra Costituzione.

È così difficile ad un deputato della minoranza far valere oggi una sua opinione, una sua idea, la formulazione di un suo concetto; le maggioranze penso che si ritengano infallibili in questo campo, e probabilmente questa infallibilità è oggi ancora più sostanziata dalla partecipazione di una Democrazia cristiana a questa stessa maggioranza. Però io sento in coscienza di prendere la parola per dire quello che penso e ciò che il Gruppo dell’Uomo Qualunque pensa a proposito di questo articolo 5.

Comunque possa sembrare dalla prima lettura del mio emendamento, questo non ha che un valore puramente giuridico ed è frutto di lunga meditazione scientifica.

L’articolo 5, quale è stato a noi presentato, secondo la nostra convinzione non può essere accettato; né per la forma né per la sostanza. L’articolo 5 è il risultato di un compromesso.

Altra volta, in seno alla Commissione, io espressi il mio parere circa l’affrettata soluzione di problemi importantissimi della nostra Costituzione, e mi opposi a questa affrettata soluzione che dava alla Costituzione che noi stavamo facendo un contenuto spesso antigiuridico e non rispondente alla realtà della vita politica italiana, e nello stesso tempo alla realtà e alla necessità giuridica di una Costituzione. La norma che noi inseriamo nell’articolo 5 esprime il nostro pensiero e la nostra volontà con lealtà, senza infingimenti e senza ricorrere a vie tortuose.

Tutti i deputati di questa Assemblea, in ogni settore, hanno più volte manifestato il loro sentimento religioso. Da ogni parte di questa Assemblea si è levata l’affermazione che il popolo italiano è un popolo di credenti, di cattolici, ed io non vedo perché questo sentimento che noi professiamo e che professa il popolo che noi rappresentiamo, non si debba, nella realtà della nostra Costituzione, tradurre con una norma precisa, netta ed inequivocabile.

Questo principio che noi desideriamo introdurre nell’articolo 5 e che afferma esattamente il pensiero del popolo italiano, deve portare al riconoscimento della religione cattolica come religione degli italiani.

L’importanza dei Patti lateranensi, onorevoli colleghi, secondo me, perde di valore di fronte all’importanza di una tale affermazione. Passerò ad illustrare brevemente l’articolo 5 per chiarire il nostro pensiero su quelli che noi consideriamo i caratteri della sua inaccettabilità. Per maggiore comprensione, però, di quanto dirò mi sia permesso soffermarmi brevemente sul concetto prettamente giuridico che regola la doppia personalità della Santa Sede e del Vaticano. Ritengo che questo sia necessario, non solo per la comprensione delle ragioni che noi addurremo, ma anche per trovare una via più adeguata a risolvere il problema che oggi ci prospettiamo. Dall’esame della storia della Chiesa cattolica nei rapporti internazionali noi rilevano un doppio ordine di rapporti, che nasce dalla storia del periodo medievale, dopo di che la Chiesa Cattolica ha avuto le prime concessioni di Stato temporale da un imperatore francese nel 750. Fino all’epoca della prima concessione territoriale l’ordinamento giuridico della Chiesa cattolica, per quanto originario, e divino nella sua origine, non aveva ancora manifestato la sua volontà di affermazione nel campo internazionale, tanto che i concordati vennero alla luce dopo i primi trattati nella storia della Chiesa.

Il primo Concordato di cui si parla, onorevoli colleghi, è il Concordato di Worms del 1122, dopo quattro secoli che la Chiesa aveva ottenuto un potere temporale. Il Concordato di Worms e tutti i concordati che ad esso seguirono, indicano un fatto essenziale per la nostra discussione: che la Chiesa cattolica ha una personalità giuridica internazionale assolutamente distinta dalla personalità politica dello Stato Vaticano oggi, dello Stato Pontificio ieri; e i rapporti tra Santa Sede e i vari Stati del mondo si svolgono attraverso due organi, attraverso due strumenti di accordi internazionali: il concordato e il trattato; concordato e trattato che riguardano due dominî assolutamente indipendenti, due sovranità assolutamente indipendenti.

Detto questo, possiamo senz’altro passare all’esame dell’articolo 5 e vedremo come quanto ho detto può avere ripercussioni nella critica che intendo fare a questo articolo.

L’articolo 5 afferma nel suo primo comma: «Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani». A prescindere da una osservazione fatta da vari deputati in questa Assemblea, per cui tale formula implica un riconoscimento bilaterale che troverebbe benissimo inserimento in un trattato ma non in una Costituzione, osservo che questa definizione data dal primo comma riguarda la Chiesa cattolica in quanto potere spirituale, e non lo Stato Vaticano. Ed è evidente anche dal fatto che, diversamente, non si potrebbe fare l’affermazione della coesistenza di due sovranità sullo stesso territorio dello Stato italiano.

Ma, a parte questa osservazione, ce n’è un’altra che ritengo inaccettabile nella Costituzione. Gli amici della Democrazia cristiana mi facciano credito della mia profonda fede e soggezione alla Chiesa e al Sommo Pontefice; ma io ritengo che, in una Costituzione, uno Stato non possa riconoscere per vera una affermazione che ancora non ha fondamento giuridico, ma che ha soltanto fondamento teologico e dogmatico: l’affermazione della indipendenza e della sovranità della Chiesa cattolica è una affermazione, oggi, di carattere teologico e dogmatico. Questa affermazione la troviamo in tutti i trattati di teologia; ma questa affermazione non è stata ancora consacrata sia dai giuristi, sia nel diritto pubblico, né interno né internazionale. Questa affermazione deriva da una certa Enciclica di Leone XIII, che ho qui davanti e che vi risparmio di leggervi, in quanto è un’affermazione di carattere spirituale, che viene ancora oggi elaborata dai giuristi del Vaticano e dalla Chiesa, ma che ancora non è stata accettata universalmente.

A conferma di questo posso leggervi quanto un eminente giurista della Chiesa scrive oggi in Civiltà Cattolica; consentitemi di leggerlo, perché è una affermazione interessante per la nostra discussione:

«Come spiegare la coesistenza di quelle due sovranità, non subordinate ma veramente, totalmente, indipendenti l’una dall’altra? Questo è, in fondo, il problema che la presenza della Chiesa ha posto allo Stato fin dal suo ingresso nella storia. Da un lato quel diritto è inalienabile; dall’altro, la situazione, che ne risulta, sembra superare le attuali possibilità della scienza».

Quindi noi abbiamo un giudizio, di un giurista cristiano e cattolico, il quale ci dice che ancora oggi non è nella possibilità della scienza di provare la ragione della coesistenza di queste due sovranità né di giustificarle. È importante che questa dichiarazione venga dal padre Lener di Civiltà Cattolica.

Ed ancora un’altra osservazione.

Questo primo comma si riferisce al potere spirituale della Chiesa, potere spirituale che deriva dall’indipendenza e sovranità della Chiesa cattolica, che non ha niente a che vedere con lo Stato del Vaticano; indipendenza e sovranità che, noi cattolici, riconosciamo in pieno, ma dobbiamo ammettere che possano in qualunque momento venire in contrasto con la sovranità dello Stato. La loro coesistenza è quindi ammissibile, non in forza di un riconoscimento che la Costituzione può farne in questo articolo, ma in forza di un Concordato perché, per quanto noi possiamo ammettere che esista un campo diverso di attività dell’ordinamento giuridico della Chiesa e dello Stato, ci sono materie di diritto canonico e di diritto civile per cui, ad un dato momento, se non vi è un Concordato, se non vi è un accordo fra lo Stato e il potere ecclesiastico, il conflitto è inevitabile, ed in questo caso, lasciatemelo dire, per quanto ci troviamo in uno Stato cattolico come l’Italia, deve essere la sovranità dello Stato ad avere la prevalenza.

Ma noi dobbiamo evitare questo conflitto, perché buoni cattolici e buoni italiani; e per evitarlo non credo che si adatti la dizione dell’articolo 5.

Se passiamo al secondo comma dell’articolo 5, il quale afferma che «i loro rapporti sono regolati dai Patti lateranensi», devo ancora richiamare la mia distinzione fra i due soggetti al diritto internazionale.

Come si può parlare di rapporti fra lo Stato e la Chiesa cattolica fondati sui Patti lateranensi?

I Patti lateranensi constano di un Trattato e di un Concordato. Il Trattato riguarda i rapporti fra lo Stato italiano e lo Stato del Vaticano; il Concordato riguarda i rapporti tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica.

Se noi al primo comma affermiamo che la Chiesa cattolica, nel suo ordine, è indipendente e sovrana, non è vero che i rapporti fra lo Stato e la Chiesa cattolica sono regolati anche dal Trattato; lo sono in quanto, per una erronea – lasciatemelo dire – compilazione del Trattato, nell’articolo primo di esso si fa riferimento a materia concordataria.

Ma questo che può essere un errore di dizione, un errore di compilazione, non deve portarci a fare confusione fra quello che è il Trattato e quello che è il Concordato.

Quindi, primo errore nel secondo comma è quello di affermare che i rapporti fra lo Stato e la Chiesa cattolica siano regolati insieme e dal Trattato e dal Concordato.

Ma andiamo avanti: il Concordato riguarda i rapporti fra lo Stato e la Chiesa. Il Trattato riguarda i rapporti fra lo Stato e la Città del Vaticano.

La Commissione, che ha inserito questo comma, si preoccupava evidentemente di fare entrare nella Costituzione insieme il Trattato ed il Concordato.

Perché? Potremmo fare delle illazioni. Una delle ragioni potrebbe essere data dal fatto che nel primo articolo del Trattato si afferma, richiamandosi allo Statuto albertino, che la religione cattolica sia la sola religione dello Stato.

Ora io non penso che oggi, dopo la caduta dello Statuto albertino, una disposizione del genere possa rientrare nella Costituzione italiana per vie traverse. Se questa affermazione noi dobbiamo fare, dobbiamo farla apertamente, lealmente, chiaramente nella Costituzione; ma ammettere che questa affermazione possa entrare implicitamente nella Costituzione trovo che sia un errore, sia di carattere giuridico, sia di carattere politico.

Quanto alle sorti del Trattato, devo dirvi che non mi pare che esso possa prendere posto in questo articolo 5, ma piuttosto nell’articolo 76 della Costituzione, dove si parla dei trattati che lo Stato italiano può stipulare con gli altri Stati stranieri. In questo articolo 5, in cui ci preoccupiamo esclusivamente di stabilire i rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica, non può esser fatta menzione di trattati, ma solamente di concordati.

E a quei deputati o alla Commissione che si preoccupava dell’inserimento, attraverso i Patti lateranensi, dell’articolo 1 del Trattato, noi diciamo che a questa preoccupazione si può rispondere inserendo nella Costituzione l’articolo 1 del Trattato in una forma più realistica, più moderna, meno assoluta di quella che non fosse stata fatta nel 1848.

Andiamo avanti nell’esame di questo secondo comma. Troviamo un’altra affermazione: «Qualsiasi modificazione dei Patti, bilateralmente accettata, non richiede procedimento di revisione costituzionale».

Io chiedo ai giuristi qui presenti, alla Commissione, se esiste in un patto bilaterale, in un contratto bilaterale, la possibilità di modifiche senza il consenso delle parti. Io ritengo che questo non sia possibile, ed insisto su questo perché so chiaramente, conosco esattamente quale ragione abbia potuto indurre la Commissione, ed i giuristi che ne fanno parte, a quello che potrebbe essere considerato un errore di diritto: la preoccupazione cioè di inserire, attraverso queste espressioni, un concetto che fa capolino attraverso l’articolo, ma che non è chiaramente espresso: il concetto della denuncia o della violazione del patto.

Non può esserci altra modifica nei Patti lateranensi, non bilateralmente accettata, che o la denuncia o la violazione.

Ma allora, in questo caso, il trattamento deve essere diverso per la denuncia e per la violazione, perché mentre la denuncia del Patto può essere veramente fatta secondo le esigenze della riforma costituzionale, il caso della violazione del Patto non può entrare in quest’ordine di idee, ma deve essere considerato come violazione espressa alla Costituzione. Quindi, di fronte a queste difficoltà, diverso doveva essere l’accorgimento della Commissione per la Costituzione.

E d’altra parte io chiedo se derivi di diritto che una modificazione non apportata col consenso bilaterale possa essere fatta secondo le norme costituzionali, se esplicitamente non si inserisce il concordato nella nostra Costituzione; poiché dalla dizione del secondo comma, soprattutto per il carattere negativo dell’ultima frase, noi non vediamo che ne derivi per forza che la revisione dei Patti lateranensi debba esser fatta secondo le norme di revisione costituzionale. Nel caso positivo si dice: se bilateralmente accettate, non occorre il riesame costituzionale; nel caso negativo, sì. E qui devo rilevare un’osservazione fatta dall’onorevole Lami Starnuti, che mi sembra veramente obiettiva. Noi ci preoccupiamo di inserire questo comma, nell’idea che un Governo possa, contrariamente alla volontà del popolo, portare la decadenza dei Patti lateranensi; ossia, ci preoccupiamo di tutelare la volontà e le esigenze del popolo italiano; ma queste esigenze del popolo italiano dobbiamo tutelarle anche nell’altro senso, nel senso cioè che un Governo, nel portare modifiche ai Patti lateranensi, debba veramente interpretare la volontà del popolo italiano. Io non arrivo a dire che un Governo potrebbe fare delle munifiche elargizioni alla Chiesa che il popolo italiano sarebbe poi costretto ad accettare. No. Ma io dico: se la sostanza di un Concordato è talmente importante per il nostro Stato da consigliare la sua inserzione nella Costituzione, è bene che qualsiasi modifica si faccia al Concordato – sia che si tratti di modifiche bilateralmente accettate, sia che si tratti di modifiche originate da violazione – avvenga con tutte le garanzie di ordine costituzionale.

Non voglio dilungarmi. Giungo alle conclusioni, ed insisto col dire che il primo comma non è accettabile perché, in se stesso, non può impedire i conflitti che noi dovremmo evitare fra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica. I conflitti si possono evitare soltanto in quanto esiste un Concordato. Ma, poiché noi ammettiamo che il Concordato possa essere denunciato, dobbiamo ammettere, in linea di diritto, che il primo comma non garantisce affatto la pace religiosa in Italia, poiché, domani, se non avessimo un Concordato, nel conflitto fra la sovranità territoriale dello Stato italiano e una sovranità di ordine spirituale come quella della Chiesa cattolica, dovrebbe essere la sovranità dello Stato italiano a prevalere, e, quindi, il conflitto sarebbe inevitabile.

Non è accettabile il secondo comma, perché non serve a garantire vita al Concordato, né serve a riconoscere quella che è la volontà degli italiani di proclamare che la religione cattolica è la religione dello Stato, poiché quando noi inseriamo un Trattato ed un Concordato nella Costituzione, dimostriamo di preoccuparci di quello che è uno strumento e non di quella che è una idea che vogliamo affermare e proclamare di fronte agli italiani e di fronte al mondo.

Il mio emendamento, sul quale insisto, ha, invece, secondo me ed il mio Gruppo, dei grandi vantaggi. Il primo è quello di dare valore giuridico e politico al riconoscimento della potestà ecclesiastica e implicitamente viene a riconoscere quella indipendenza e sovranità che, se non è di ordine giuridico, è di ordine morale e che noi tutti cattolici accettiamo. In secondo luogo afferma costituzionalmente una aspirazione, un diritto spirituale del popolo italiano. In terzo luogo evita l’equivoco e l’inesattezza dell’articolo 5 quale noi abbiamo veduto ed esaminato. Afferma, ancora, il valore costituzionale del Concordato e lo pone alla pari di ogni altra norma costituzionale.

Se poi gli onorevoli colleghi, preoccupati di questo mio emendamento, volessero inserire nella Costituzione un nuovo comma per il quale si affermi che il Concordato fa parte integrante dell’ordinamento giuridico italiano, io non ho niente di meglio da chiedere. Sarebbe un rafforzare le affermazioni fatte dal mio emendamento.

Ed ancora io faccio una formale proposta perché le modalità di modifica dei Patti lateranensi, sia del Concordato che del Trattato, vengano inserite nell’articolo 76 della Costituzione, articolo sul quale richiamo l’attenzione degli onorevoli colleghi, perché è un articolo che dal punto di vista giuridico è inadatto a tutelare la materia che dovrebbe disciplinare. Si pensi soltanto a questo, che nell’articolo 76…

PRESIDENTE. Onorevole Patricolo, dell’articolo 76 parleremo il prossimo mese.

PATRICOLO. Onorevole Presidente, è così collegata la questione che non posso non parlarne.

PRESIDENTE. L’accenni soltanto.

PATRICOLO. Due parole. Si pensi soltanto a questo, che nell’articolo 76 sono date le norme per la ratifica dei trattati e non quelle per la loro denuncia; cosicché nella Costituzione non sappiamo in quali forme debbono avvenire le denunce.

Nell’articolo 76 si parla di trattati di commercio, di trattati politici, non si parla di Concordato, mentre è necessario che vi prenda posto anche la regolamentazione del Concordato ai fini delle modifiche eventuali che ad esso si possano portare.

Onorevoli colleghi, noi abbiamo fatto nella Costituzione affermazioni sui diritti sociali, politici ed umani del cittadino italiano. Io mi richiamo alla vostra coscienza di cattolici per chiedervi che nella Costituzione si faccia anche posto per un’affermazione dei diritti sacri del cittadino italiano, di veder riconosciuta nella Costituzione la religione cattolica come religione dello Stato, come religione di questo Paese che ha avuto tanti martiri e tanti santi e che accoglie la Cattedra di Pietro, il Vicario di Cristo in terra. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. L’onorevole Badini Confalonieri ha presentato i seguenti emendamenti:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«I loro rapporti continueranno ad essere regolati da patti concordatarî».

«Sostituire il terzo comma col seguente:

«Le altre confessioni religiose hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordine pubblico o con il buon costume. I rapporti con lo Stato sono regolati per legge, sulla base di intese, ove siano richieste, con le rispettive rappresentanze».

Non essendo presente l’onorevole Badini Confalonieri, s’intende che vi abbia rinunciato.

L’onorevole Pajetta Giancarlo ha presentato il seguente emendamento, firmato anche dagli onorevoli Laconi e Mattei Teresa:

«Al terzo comma, nella prima parte, sopprimere le parole: in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano».

«Sostituire la seconda parte con la seguente:

«I rapporti con lo Stato sono regolati, ove sia richiesto, per legge, sulla base di intese con le rispettive rappresentanze».

L’onorevole Pajetta Giancarlo ha facoltà di svolgerlo.

PAJETTA GIANCARLO. Abbiamo presentato un emendamento al terzo comma dell’articolo 7, perché sia chiara non soltanto la necessità del rispetto assoluto della coscienza dei fedeli a qualsiasi Chiesa appartengano, ma sia esplicitamente dichiarata l’eguaglianza e la libertà di tutte le Chiese di fronte allo Stato. Per quello che riguarda la prima parte del nostro emendamento noi chiediamo che sia tolta la dichiarazione: «In quanto non contrastino cori l’ordinamento giuridico italiano», facendosi riferimento alla organizzazione delle confessioni religiose non cattoliche. Pensiamo che, quanto poteva essere richiesto dallo Stato onde cautelarsi, per quello che si riferisce all’ordine pubblico e al buon costume, è previsto a sufficienza dall’articolo 14. Mantenere la dizione proposta nel progetto di Costituzione, vorrebbe dire porre in una condizione particolare le altre confessioni religiose, sarebbe creare per le altre Chiese una sorta di discriminazione che apparirebbe come un ingiusto sospetto o almeno come una minorazione che non può essere certo opportuna. Poiché qui da tutte le parti si è dichiarato di non voler fare riferimento all’articolo primo del vecchio Statuto albertino, e poiché non si è voluto parlare di culti tollerati od ammessi ma enunciare un’esplicita eguaglianza, pensiamo che questo nostro emendamento possa essere accettato.

Per quello che riguarda la seconda parte, nel progetto è detto che «i rapporti con lo Stato sorto regolati per legge, sulla base di intese, ove siano richieste, con le rispettive rappresentanze».

Ora, pare a noi che la necessità della richiesta non si debba riferire alle intese, ma debba riferirsi invece alla stessa legge che, per essere di tipo concordatario, deve essere richiesta e accettata dalle parti. Diciamo questo non soltanto perché non intendiamo che lo Stato possa ingerirsi e intervenire con la legge anche contro la volontà dei fedeli, ma perché ci sono comunità religiose che non intendono che sia fatta una legge nei loro confronti, mentre altre non soltanto accettano, ma desiderano avere statuti giuridici riconosciuti dallo Stato. Proponiamo quindi che si dichiari che ci sarà la legge qualora sarà richiesta e che sempre – la conseguenza è naturale – quando ci sarà la legge, essa debba essere preceduta da un’intesa con la comunità religiosa alla quale si riferisce.

Permettetemi di rivolgere qui, mentre si tratta di questo argomento, un pensiero alle minoranze religiose italiane. In quest’aula si è fatto più di una volta riferimento alla unità della nazione e alla necessità della pace religiosa. Ebbene, io credo che nessuno abbia voluto che quel riferimento all’unità della Nazione e alla pace religiosa fosse dettato dal calcolo di quanti sono i cittadini di questa o di quella fede, che possono essere chiamati domani a dare il loro voto a quelli che sono oggi i deputati, che stabiliscono la nuova Costituzione italiana.

È certo che noi non intendiamo fare un calcolo di quantità, ed è per questo che vogliamo siano riconosciuti i diritti delle confessioni religiose che rappresentano piccole minoranze; ma che hanno legato la loro vita e la loro storia alla vita e alla storia del nostro Paese, anche nei momenti più difficili.

Ricordiamo i Valdesi, una piccola minoranza. Ma non può il nostro pensiero riconoscente non andare agli abitanti di quelle valli del Piemonte, che, quando i tedeschi scesero nel nostro Paese, accesero per quelle valli la guerriglia partigiana, rifacendosi non soltanto al sentimento nazionale di tutti gli italiani, ma riallacciandosi alla loro tradizione religiosa di ribelli, di ribelli in nome della giustizia e della libertà, e alle loro lotte gloriose contro i duchi di Savoia.

E vogliamo ricordare qui la sofferenza ed il martirio degli israeliti italiani i quali, nella persecuzione prima e nella tragedia poi, non sono stati soltanto testimoni, al modo antico, della loro fede, ma hanno dato una più alta testimonianza. Gli israeliti italiani sono stati primi ad essere colpiti quando alla tirannia nostrana si aggiunse la tirannia straniera. Essi, con la sofferenza, col martirio, hanno ammonito, hanno messo in guardia, hanno fatto aprire gli occhi anche a coloro che prima non vedevano ancora che cosa il fascismo rappresentasse, anche a coloro che non avevano inteso appieno cosa avrebbe significato per un Paese perdere la sua indipendenza nazionale.

Perciò appunto – per questo ricordo di lotte, di resistenza e di martirio – noi chiediamo che sia dato il riconoscimento dovuto a queste minoranze.

Quando si tratta di fede, di libertà e di coscienza non è il numero, ma la qualità che conta.

Per questo ci rivolgiamo a tutti gli italiani, perché sentano italiani, come gli altri, questi nostri fratelli. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. L’onorevole Lucifero ha presentato il seguente emendamento:

Trasferire l’ultimo comma dell’articolo 14, sostituendo le parole: Le altre confessioni, con le seguenti: Tutte le confessioni.

L’onorevole Lucifero ha facoltà di svolgerlo.

LUCIFERO. Onorevoli colleghi, dopo una discussione così profonda e così elevata, come quella sentita finora, il mio emendamento può apparire, ed è effettivamente, cosa molto modesta.

Ma io ripropongo in questa sede un emendamento già proposto in sede di Commissione per la Costituzione.

Questo ultimo capoverso dell’articolo 5 trae origine da un emendamento aggiuntivo presentato dal nostro Presidente, onorevole Terracini.

In quella sede io proposi – per le ragioni che esporrò – che l’emendamento fosse spostato, come secondo comma, all’articolo 14.

La Commissione all’unanimità quella sera approvò e l’emendamento e la mia proposta, che l’onorevole Terracini aveva accettato.

Per una evidente omissione, io devo pensare, ritrovo il capoverso in questa sede. Ora, io penso, dopo la discussione che abbiamo sentita, dopo tutto quello che si è letto sulla stampa e le polemiche fatte anche fuori di quest’aula, che il collocamento di questo capoverso debba andare all’articolo 14, dove si parla di libertà religiosa.

Quale che possa essere il giudizio sul contenuto dell’articolo, non vi è dubbio che i rapporti tra Santa Sede e Stato italiano non sono soltanto di natura confessionale, ma sono anche rapporti di natura politica. L’articolo 7 quindi, a parer mio, regolarizza, chiarisce i rapporti politici fra la Chiesa cattolica, la Santa Sede e lo Stato italiano.

La libertà che hanno le altre confessioni di organizzarsi e di svolgere la loro attività entra indubbiamente nelle libertà religiose e non è un rapporto politico che esse costituiscono con lo Stato italiano, anche allorquando le loro rappresentanze con lo Stato italiano prendono degli accordi.

È evidente allora che l’articolo 14, il quale stabilisce la libertà di professione e di associazione religiosa per il singolo, debba contenere, nella sua seconda parte, la libertà anche delle organizzazioni e le modalità per cui queste organizzazioni possano vivere e svolgersi. Prego quindi, per la chiarezza della Costituzione, di voler spostare nuovamente al secondo comma dell’articolo 14 quanto erroneamente oggi vediamo al terzo comma dell’articolo 7.

PRESIDENTE. L’onorevole Grilli ha proposto un emendamento inteso a sopprimere tutto l’articolo 7. (Commenti al centro). Ha facoltà di svolgerlo.

GRILLI. Rinunzio all’emendamento e aderisco a quello svolto dall’onorevole Lami Starnuti. Nel caso che questo emendamento non abbia fortuna, mi riservo di fare una dichiarazione in sede di votazione dell’articolo 7.

PRESIDENTE. Onorevole Grilli, mi permetto però di farle presente che per manifestare la volontà di sopprimere un articolo basta votare contro l’articolo stesso. Desidero fare questa precisazione in ordine alla riserva da lei fatta.

GRILLI. Onorevole Presidente, forse non mi sono bene espresso. Ho detto soltanto che mi riserbo di fare una dichiarazione di voto, quando si porrà in votazione l’articolo 7.

PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento degli emendamenti.

Si tratta ora di raggrupparli per facilitare le successive votazioni.

Fra gli emendamenti ve ne sonò tre, quelli degli onorevoli Della Seta, Calamandrei e Lami Starnuti, che sono sostitutivi dell’intero articolo.

Quelli proposti dagli onorevoli Crispo, Basso, Bassano e Patricolo sono sostitutivi dei primi due commi.

L’onorevole Lucifero e l’onorevole Nobili Tito Oro hanno invece proposto di trasferire all’articolo 14 il terzo comma dell’articolo, salvo alcune piccole modificazioni del testo.

Vi sono poi le proposte degli onorevoli Ruggiero e Rodinò Mario, le quali hanno un carattere esclusivamente aggiuntivo, trattandosi di premettere ai tre commi, dell’articolo 7, un altro comma.

Infine i due emendamenti dell’onorevole Pajetta Giancarlo contengono proposte soppressive e sostitutive di una. parte del terzo comma.

Io credo che dovremo anzitutto votare sulle proposte aggiuntive, quelle cioè degli onorevoli Rodinò Mario e dell’onorevole Ruggiero. Esse, se accettate, modificherebbero l’impostazione generale del testo proposto dalla Commissione.

A proposito degli emendamenti sostitutivi di tutto il comma, vi è tuttavia qualche cosa in comune fra le proposte stesse ed il testo della Commissione, ed è che questi stessi emendamenti sostitutivi si dividono ciascuno in tre commi in correlazione col testo della Commissione; sicché sarà opportuno votarli comma per comma, contrapponendo i testi sostitutivi a quelli della Commissione; per valutare meglio le diversità sostanziali delle proposte.

Comunque, prima di passare alle votazioni, darò la parola a coloro che la richiedono per fare delle dichiarazioni di voto le quali, onorevoli colleghi, per facilitare il nostro lavoro e per la sua maggiore chiarezza e dato che le proposte sono numerosissime e si intrecciano fra loro, potrebbero essere opportunamente raggruppate, mano mano che i singoli emendamenti e le diverse formulazioni saranno poste in votazione.

D’altra parte, dai discorsi che abbiamo udito nei giorni passati e dallo svolgimento degli emendamenti, abbiamo tutti compreso che il centro di equilibrio di questo articolo è costituito da una o due questioni fondamentali e ritengo (può essere una supposizione errata) che i colleghi che chiederanno di parlare, per dichiarazione di voto, intenderanno essenzialmente riferirsi a questi problemi centrali.

È iscritto a parlare, per dichiarazione di voto, l’onorevole De Gasperi. Ne ha facoltà.

DE GASPERI (Segni di attenzione). Onorevoli colleghi, parlando per la prima volta in questa Assemblea, al di fuori dei limiti posti dalla solidarietà ministeriale con uomini di diverso pensiero, sento che questo, su cui votiamo, è un argomento intimamente legato alla nostra personale concezione della vita.

Diceva, a ragione, Dostojewski che la questione principale, la questione cruciale per il mondo moderno è di sapere se quella lontana, remota figura di profeta, ignorato dai grandi uomini politici e storici di Roma antica, sia stato veramente, sia il Cristo che ha fondato una comunità religiosa universale, che nutre ancora oggi della sua linfa vitale, eterna. Se per effetto della nostra educazione familiare o per le conquiste fatte attraverso il pensiero e la critica giungiamo ad una risposta affermativa su questa questione cruciale, nessuna diffidenza, nessun sospetto è possibile in confronto di una collaborazione con la Chiesa.

Però, anche coloro che si arrestano sulla soglia dei misteri della fede e si preoccupano sostanzialmente della morale sociale, sentono (e qui è una questione di esperienza di tutti gli uomini che sono al Governo), che lo Stato non ha la forza, l’autorità di afferrare e dirigere la coscienza della singola persona e sentono il bisogno dell’apporto dell’insegnamento della morale evangelica che viene dalla Chiesa, che sul Vangelo si fonda. (Commenti a sinistra).

Innegabilmente è opinione comune, ormai, che questa morale evangelica sia necessaria per la fermentazione sociale della giustizia nelle masse popolari.

Ma, supponiamo pure che in alcuni o molti di noi non esista nessun vincolo interiore né con la fede della Chiesa, né con la sua morale; sta però il fatto storico: primo, delle proporzioni; secondo, di una millenaria tradizione.

Si parla spesso di maggioranza di cattolici in Italia; forse non si pensa alla statistica. Se applichiamo ai dati del 1942 le proporzioni del 1931 (per il 1942 non si hanno delle statistiche) troviamo che su 45.526.770 abitanti, 45.349.221 si sono dichiarati cattolici. (Commenti a sinistra).

I protestanti sono il due per mille; gli israeliti sono il mezzo per mille, o meglio, erano, perché, per le persecuzioni, si sono ridotti da 54.000 a circa 30.000. I senza religione, che si sono dichiarati tali, sono il 0,4 per mille; 18.000. Questo è un fatto di cui, comunque si possa pensare delle origini e del pensiero che lo motivano, non si può non tener conto quando si decide, o si amministra, o si governa.

II secondo fatto è che siamo dinanzi non ad una improvvisazione della storia, ad una passione popolare, ad una superstizione nata in un momento di suggestione particolare nei secoli; ma dinanzi ad un istituto millenario, che ha resistito a tanti colpi, a tante discussioni, a tante scissioni, istituto plurisecolare che ha sempre seguito un metodo nei rapporti con gli Stati: quello degli accordi e dei concordati. (Commenti a sinistra).

Dal 1080 al 1914 si calcolano in numero di 74 i concordati, e dal 1914 in poi in numero di altri 25, per non tener conto delle numerosissime convenzioni che non passano sotto il titolo solenne di concordato, e che sono da contarsi nell’ordine di migliaia.

Ora voi in questi concordati notate una evoluzione caratteristica: essi subiscono un progresso verso il distacco da tutto ciò che è contingente, temporale. Alcuni punti rimangono sostanzialmente eguali, ma tutto ciò che è contingente a mano a mano viene abbandonato nei secoli. Ed è innegabile che vi è in questa evoluzione un progresso verso una più chiara distinzione della sfera d’influenza della Chiesa nei confronti dello Stato, verso il riconoscimento di una diarchia che garantisca la volontà delle due parti.

È innegabile, non è detto che questa evoluzione sia chiusa: la storia a questo riguardo non è mai definitiva per tutto quello che riguarda il contingente, il temporale.

E, d’altro canto, forse che noi, in questo momento vogliamo arrestare la storia? Forse che noi vogliamo inchiodare, attraverso l’articolo 5, i nostri rapporti, in tutte le forme, a quelli che erano ieri o diventarono nel 1929?

La Costituzione mette per base i Patti lateranensi, ma nel contempo dichiara che sono modificabili, e dice che sono modificabili con la semplice maggioranza parlamentare, non attraverso quelle garanzie maggiori e più solenni che la Costituzione stabilisce per molte cose anche meno importanti (Commenti).

Io credo, dunque, che anche da un punto di vista semplicemente storicista il voto nostro si possa accettare e dimostrare plausibile e nell’interesse del popolo italiano.

Vi aggiungo – ed è l’unico riferimento che faccio alla mia carica di Governo – che io mi sento portato e deciso a votare anche per l’impegno che ho dato, che ho preso, di consolidare, di universalizzare, di vivificare il regime repubblicano. (Commenti).

Non potete negare, amici, che mentre in gran parte del clero c’era la preoccupazione che si avessero anche in Italia esperimenti anticlericali, come in qualche altra Repubblica, e mentre si esercitarono su larga scala delle pressioni, la Chiesa di Roma, il Pontificato rimase neutrale (Commenti), seguendo una linea di saggezza che non sempre in altri paesi fu mantenuta dai rappresentanti ecclesiastici locali.

Oggi nella Costituzione, secondo il Concordato, i vescovi vengono chiamati a giurare e giurano con questa formula: «Davanti a Dio e sui Santi Evangeli io giuro e prometto, siccome si conviene ad un Vescovo, lealtà allo Stato italiano. Io giuro e prometto di rispettare e di far rispettare dal mio Clero il capo della Repubblica italiana e il Governo stabilito secondo la legge costituzionale dello Stato». (Commenti).

Amici, non siamo in Italia così solidificati, così cristallizzati nella forma del regime da poter rinunziare con troppa generosità a simili impegni così solennemente presi.

Alla lealtà della Chiesa, io credo che la Repubblica debba rispondere con lealtà. Devo osservare, poi, che non è vero quello che è apparso da certi discorsi, che il Trattato sia semplicemente una manomissione della Chiesa sullo Stato.

Leggete gli articoli 19 e 21, dove si stabilisce la procedura per la scelta dei Vescovi e per la nomina ai beneficî ecclesiastici, e voi vedrete che anche la Chiesa ha fatto la parte sua per riconoscere una influenza politica nel settore politico dello Stato, anche in riguardo al clero.

E non dico che molti cattolici possano essere del pensiero che sia preferibile il sistema di Weimar, dove la Chiesa, completamente autonoma nella sua amministrazione, pensa al suo clero e lo Stato non si intromette né nelle nomine, né nelle miserabili integrazioni che diamo oggi noi.

Certo, la Costituzione di Weimar è stata inattuabile per la situazione finanziaria della Germania, perché essa presupponeva la restituzione dei beni sequestrati alle Chiese perché potessero vivere autonomamente. E lo stesso sarebbe oggi in Italia. Quindi, sogni lontani, su cui non possiamo assolutamente contare! Che volete, che noi potessimo prendere un simile impegno quando non siamo nemmeno in grado di applicare l’articolo 19 del Concordato, il quale stabilisce che lo Stato debba corrispondere al clero quelle integrazioni cui ho accennato, in misura non inferiore al valore reale di quello stabilito dalla legge attualmente in vigore? Hanno diritto nella forma, senza dubbio! Ma invano si può richiamare a questo, quando lo Stato non è in grado di farlo. Ed infatti dobbiamo riconoscere che oggi la maggioranza del clero fa la fame. Oggi non si insiste sul Trattato per l’applicazione letterale di questa formula: esempio chiaro e caratteristico della comprensione, della moderazione con cui si supera la lettera del Trattato per tener conto delle sue finalità.

Del pari, non è vero, amico Nenni, che si tratti di una specie di armatura di ferro imposta dalla Chiesa – questo non lo hai detto, ma si poteva pensare – a soffocazione dello spirito nel corpo italiano. Credo che tu e io saremo d’accordo nel desiderare che, nei futuri Trattati, vi siano delle formule consimili, elastiche, di revisione, come vi sono in questo Trattato. All’articolo 21 è prevista una Commissione paritetica per tutte le questioni riguardanti le nomine di vescovi e le nomine del clero che non fossero solubili fra i primi fattori diretti. E poi all’articolo 44, c’è questa clausola revisionista, che io mi auguro possiamo riuscire ad immettere anche nel Trattato, nel duro Trattato che ci viene imposto: «Se in avvenire sorgesse qualche difficoltà, la Santa Sede e l’Italia procederanno di comune intelligenza ad una amichevole soluzione».

Mi pare con ciò di aver risposto anche a parecchie obiezioni fatte durante il dibattito. La questione non è, onorevole Lami, di una o dell’altra delle disposizioni non essenziali del Concordato legate a contingenze storiche, che sono modificabili senza affrontare la revisione costituzionale, anzi, come taluno ha detto, addirittura con lo scambio di lettere, tanto elastica è la materia. Non si tratta, dunque, né di questo né di quell’articolo che avete criticato o che potete sottoporre alla vostra censura. Si tratta della questione fondamentale: se la Repubblica, cioè, accetta l’apporto della pace religiosa che questo Concordato offre; badate bene, Concordato che nella premessa è dichiarato necessario complemento del Trattato che chiude la «Questione romana».

Politicamente, comunque la pensiate sul contenuto, è questa la questione che dovete decidere e che di fatto si decide votando sì, non per un emendamento o per l’altro. Votando favorevolmente all’articolo 7, a questa questione rispondiamo sì; votando contro – non so chi l’abbia detto, mi pare l’onorevole Lami Starnuti – votando contro, non siamo noi, egregi colleghi, che apriamo una battaglia politica, ma la aprite voi, o meglio, aprite in questo corpo dilaniato d’Italia una nuova ferita che io non so quando rimarginerà. (Applausi al centro). Auguro presto, ma non so. Evidentemente, aggiungiamo ai nostri guai un ulteriore guaio, il quale non può rafforzare il regime repubblicano.

Prima di passare alle minoranze, devo dire che l’emendamento Basso, nella sua sostanza, è naturalmente accettabile per noi, ma non basta (Commenti): forse sarebbe stato accettabile se fosse stato votato in Commissione, se non fosse avvenuta questa discussione, se ci fossimo fermati alla discussione formale. (Rumori). Ma qui disgraziatamente si è entrati nel merito della questione, si sono espressi dei giudizi sul Concordato, sulle relazioni fra Stato e Chiesa, ed è impossibile ormai evitare la questione attraverso una formula.

TONELLO. Siete voi che lo volete. (Rumori Commenti Interruzioni).

DE GASPERI. E veniamo alla questione delle minoranze. È stato parlato di menomazione morale di minoranze religiose. Noi, se è necessario, al momento opportuno siamo disposti a votare con voi per togliere dal Codice penale qualsiasi umiliazione alle minoranze. (Applausi al centro).

Riguardo ai cosiddetti culti minoritari, aggiungo che non solo aderisco al pensiero di decozione e di ammirazione per le vittime delle minoranze, sia israeliti, sia valdesi, pensiero espresso dall’onorevole Pajetta Giancarlo, ma dico che questo non è un pensiero di tolleranza, di collaborazione con le minoranze che mi viene in questo momento per ragioni di opportunità, ma è mia profonda convinzione.

L’onorevole Calamandrei si è riferito al mio viaggio in America e alle dichiarazioni che ho fatto, o che avrei fatto, al Direttorio delle Chiese protestanti o delle Chiese non cattoliche. Difatti, in una riunione importante, questi venerandi signori mi espressero la loro preoccupazione, chiedendo se noi intendevamo di inserire nella Costituzione la garanzia della libertà religiosa per il culto delle minoranze. E, poi, mi aggiungevano, con molta cortesia, alcune obiezioni riguardo al Trattato, dicendo: ma, come fate a garantirci questa libertà? Ed io ho detto, e mi pareva in quel momento essere interprete, più di quello che non sono, del Paese: badate, in Italia vi sono molti che criticano sia il contenuto sia l’origine del Trattato; però esso ha rappresentato la chiusura di un periodo che è costato all’Italia tante umiliazioni e tante rovine, e anche coloro che non sono d’accordo voteranno e accetteranno.

Una voce a sinistra. No, no. (Commenti).

DE GASPERI. Mi sono sbagliato se ho abbondato; però credo di averlo fatto con senno politico, ed aggiungo che oggi ai protestanti d’America deve giungere la nostra nuova assicurazione che in quest’articolo e nell’articolo 16 è garantita piena libertà, piena eguaglianza, e che non vi è da temere, da parte nostra, nessuna persecuzione, nessun ritorno ai tempi superati.

I Patti lateranensi tengono conto della realtà storica, ma non limitano la libertà per i non cattolici.

Alla fine della discussione, un venerando pastore, rettore di una Chiesa vicina, che si vedeva dal grattacielo, mi disse: «Ho sentito il suo discorso. Quando passa dinanzi a quella Chiesa ricordi che là dentro c’è un’anima che prega per lei e per l’Italia». Ho sentito profonda commozione da questa promessa di preghiera che veniva al Padre comune da uno che non è legato dal vincolo di religione con la Chiesa cattolica. E mi sono detto, perché è la verità, che tollerante è e deve essere chi crede. Lo scettico non dà nulla, non sacrifica nulla del suo per la convivenza sociale e per la carità cristiana. (Applausi al centro Commenti a sinistra Interruzione dell’onorevole Tonello). Credo solo di poter pronunciare con la stessa forza le convinzioni mie che sono venute non soltanto dalla educazione familiare, ma attraverso una lotta per riconquistare la fede; e venute soprattutto dall’esperienza di uomo politico e di uomo di Stato. Su questa esperienza fatta qui e in altri paesi mi sono fatta la convinzione che senza la fede e senza la morale evangelica le nazioni non si salvano, siano o non siano socialiste. (Vivissimi applausi al centro e a destra Commenti a sinistra).

TONELLO. Cosa c’entra questo col Vangelo? (Commenti Rumori).

DE GASPERI. Amici, siamo in un momento di grande solennità e di grande responsabilità, che non può venire menomato da qualche benevola interruzione dell’amico Tonello; siamo in un momento in cui noi costituenti della Repubblica italiana dobbiamo votare nell’interesse della Nazione e nell’interesse della Repubblica. Dobbiamo votare in modo che sia fatto appello al mondo libero degli Stati, al mondo che anche io so e dico che ci guarda. Il mondo che ci guarda si preoccupa che qui si crei una Costituzione di uomini liberi; il grande mondo cattolico si preoccupa che qui la Repubblica nasca in pace e in amicizia col Pontefice romano, il quale durante la guerra rivendicò la dignità umana contro la tirannia e stese le mani protettrici sui perseguitati di tutte le nazioni e di tutte le fedi e in modo particolare su coloro a cui si è riferito l’amico Lami Starnuti. (Vivissimi applausi al centro Interruzioni a sinistra).

Amici, si è accennato qui alla comunanza che ci ha uniti nel momento del combattimento tra uomini di diversi partiti e qui ci sono parecchi che con me hanno trascorso un periodo insieme nel sottosuolo, come si usava dire. Ma c’è un fatto ancora più grandioso, ed è che nei momenti più difficili, nei momenti delle persecuzioni, soprattutto il Capo della Religione cattolica ci ha aiutato a salvare protestanti e israeliti. Ma c’è ancora di più: in certi conventi erano ammassati e nascosti cattolici, protestanti ed ebrei insieme. Si trovavano uniti la sera, nei momenti tragici e nei momenti delle minacce, da una preghiera suprema che è quella del Padre nostro comune. Questa è la nostra forza: se in Italia creeremo una norma di tolleranza per tutti, ma soprattutto una norma in cui si riconosca questa paternità comune che ci protegge e che protegga soprattutto la Nazione italiana. (Vivissimi, prolungati applausi al centro e a destra).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare, per dichiarazione di voto, l’onorevole Nenni. Ne ha facoltà.

NENNI. Onorevoli colleghi, l’appello che l’onorevole De Gasperi ha rivolto a tutti i repubblicani, perché meditino sulle conseguenze che un voto negativo all’articolo che stiamo discutendo potrebbe avere sulla pace, non soltanto religiosa, ma politica del Paese, non modifica la decisione che il Partito socialista italiano ha preso fin dal primo momento nei confronti di quello che fu l’articolo 5, ed è oggi l’articolo 7 del progetto di Costituzione.

Con la coscienza di fare il nostro dovere verso la Nazione e verso la Repubblica, noi voteremo contro l’articolo 7, per ragioni, ad un tempo, di principio e di coscienza.

Le ragioni di principio si richiamano alla nostra concezione dello Stato laico.

Siamo profondamente convinti che la pace religiosa è un bene altamente apprezzabile, ma per noi, la garanzia della pace religiosa è nello Stato laico, nella separazione delle responsabilità e dei poteri, per cui lo Stato esercita la sua funzione sovrana nel campo che gli è proprio, e garantisce alla Chiesa la sovranità della sua funzione nel campo che le è proprio.

Fuori di questo principio c’è la lotta, la lotta che noi non cerchiamo, non accettiamo, anche se convinti che, nell’intransigenza di cui ha dato prova la Democrazia cristiana nel corso di questa discussione, vi è un invito esplicito alla lotta. (Applausi a sinistra Rumori al centro).

Il nostro caso di coscienza si pone in rapporto alle origini, al contenuto e all’interpretazione del Concordato. Per quanto si riferisce alle origini dei Patti lateranensi, sono convinto che non vi è nessun Deputato cattolico disposto a trovare un motivo di soddisfazione, nel fatto che sotto il Trattato del Laterano, vicino alla firma del Sommo Pontefice, vi è quella di Benito Mussolini, che non fu mai una cauzione di libertà e di democrazia. (Applausi a sinistra Rumori al centro).

Sempre per quanto si riferisce alle origini dei Patti, nessuno ha in quest’aula approfondito l’analisi storica delle cause per cui il Trattato, che non si poté concludere nel 1917, nel 1919, nel 1920, lo fu nel 1929, accompagnandosi al sospetto di una collusione che pesa ancora sulla coscienza di molti italiani, come una macchia ed una vergogna. (Commenti al centro e a destra).

Circa il contenuto dei patti, noi avevamo preso l’impegno al nostro Congresso di Firenze del 1946 di non farci promotori di una denunzia globale o parziale del Concordato, almeno finché, nella coscienza del Paese non si sia formata la convinzione che, nel Trattato e nel Concordato, qualche cosa vi è che deve essere aggiornato e modificato.

Però, onorevoli colleghi della Democrazia cristiana, quando voi ci chiedete di consacrare la validità dei Patti lateranensi nel testo stesso della Costituzione, allora ci costringete ad aprire Trattato e Concordato, per vedere se in essi siano stipulate convenzioni che offendano la nostra coscienza di uomini, decisi sì a rispettare la vostra libertà di coscienza, ma anche a chiedervi di rispettare la nostra libertà di pensiero. (Applausi a sinistra).

E allora ci imbattiamo subito nell’articolo 1 del Trattato che noi non possiamo approvare, e al quale, forse, voi stessi oggi neghereste il vostro consenso. Dice l’articolo 1: «L’Italia riconosce e riafferma il principio consacrato nell’articolo 1 dello Statuto del Regno 4 marzo 1848, pel quale la religione cattolica, apostolica e romana è la sola religione dello Stato». Con ciò lo Stato italiano è abbassato al livello di Stato confessionale e chiesastico.

Se d’altro canto apriamo il Concordato, ci imbattiamo nell’articolo 36 che dice: «L’Italia considera fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica l’insegnamento della dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica». Noi non vogliamo aprire in sede di Costituzione la discussione su questo articolo assurdo. Nella vita è saggio e prudente sforzarsi di risolvere soltanto i problemi di maggiore urgenza; ed ho già detto da questo banco, nella discussione generale, come in questo momento la nostra maggiore sollecitudine sia indirizzata verso le questioni sociali della riforma agraria e della riforma industriale, senza perciò negare l’importanza dei problemi in discussione, sui quali a suo tempo ritorneremo. (Commenti al centro).

Può darsi, onorevoli colleghi, che sia proprio in considerazione delle discussioni future che voi cerchiate oggi di introdurre di soppiatto i Patti nella Costituzione. Ma allora, signori, voi elevereste contro la storia una barriera di carta pesta. La storia, se deve passare, passa anche al di sopra delle disposizioni scritte in una Carta costituzionale per sua natura contingente e non eterna. (Approvazioni a sinistra Rumori al centro).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, mi pare che se c’è una discussione in cui la tolleranza è d’obbligo, è proprio questa.

NENNI. Permettetemi di constatare, onorevoli colleghi del centro, che nessun argomento di carattere irrefutabile è stato addotto a sostegno della vostra tesi. L’argomento più debole, caro De Gasperi, è fornito delle tue statistiche. Appunto perché le statistiche sono quello che sono, appunto perché la religione cattolica abbraccia la quasi totalità del nostro popolo, voi non avete bisogno di particolari garanzie giuridiche a sostegno della garanzia di libertà per la Chiesa rappresentata dal vostro numero e dalla forza morale delle vostre conclusioni.

Del resto, anche su un altro punto l’argomentazione dell’amico De Gasperi è venuta incontro alle nostre preoccupazioni, ed è quando egli ha riconosciuto che l’emendamento Basso poteva essere accettato. Io dico che poteva e doveva essere accettato, e benché non abbia più speranza che alla fine di questo lungo dibattito si possa ritornare sulle decisioni prese, aggiungo che chi vuole sinceramente chiudere la questione religiosa, chi vuole assidere su basi incrollabili la pace religiosa, dovrebbe votare con noi l’emendamento Basso, il quale fu a suo tempo presentato alla Commissione e respinto dalla stessa maggioranza che si prepara stasera a votare l’articolo 7.

Come non ci ha convinto De Gasperi, così non ci avevano convinto le argomentazioni giuridicamente assai sottili dell’onorevole Dossetti. Anzi il tentativo di ridurre al minimo il settore d’attrito, senza la volontà positiva e concreta di cercare una formula di conciliazione, ci rende pensosi e perplessi. Noi siamo allora costretti a chiederci da dove viene, che cosa alimenta l’intransigenza cattolica.

Abituato a dire le cose come le penso, anche se ciò ha qualche volta degli inconvenienti, esprimo molto lealmente la convinzione che l’origine dell’intransigenza che ha reso impossibile fra di noi un onesto compromesso, che non fosse la rinuncia né da parte degli uni né da parte degli altri alle proprie convinzioni di principio, si deve ricercare nella pressione esercitata dall’Azione Cattolica e dall’Osservatore Romano. Nel corso delle polemiche di questi giorni l’Osservatore Romano ha sospeso sul nostro capo la minaccia che un voto contrario all’articolo 7 possa non soltanto turbare la pace religiosa, ma addirittura riaprire la questione romana. È l’Osservatore Romano che, ricollegandosi all’interpretazione data da Pio XI al nesso fra Trattato e Concordato (considerati in funzione l’uno dell’altro) e all’interpretazione fanaticamente confessionale che del contenuto del Concordato fu data nelle discussioni del 1929, ha smisuratamente allargato il campo del dibattito e riproposto il problema della questione romana che l’immensa maggioranza degli italiani considera chiuso e che resterà chiuso qualunque sia il voto che stiamo per dare.

Onorevoli colleghi, per queste ragioni noi voteremo contro l’articolo 7. Ma teniamo a riaffermare che la nostra concezione dello Stato laico e della scuola laica non costituisce una minaccia, una offesa, una menomazione per la libertà di coscienza e per i principî morali del cristianesimo.

Lo Stato laico considera la religione come un problema individuale di coscienza; esso non vuole né distruggere la religione né puntellarla, ma si mantiene nella sfera della sua sovranità senza invadere il campo delle filosofie e delle religioni.

In questo senso, noi abbiamo coscienza di contribuire – votando contro l’articolo 7 – alla pace religiosa del Paese.

Vi è poi, onorevoli colleghi, un elemento del dibattito che trascende il tema dei rapporti giuridici dei quali stiamo parlando da tanti giorni ed investe il principio stesso della vitalità dello Stato. L’onorevole De Gasperi ha detto che, sollecitandoci a votare l’articolo 7, aveva in animo il consolidamento della Repubblica. Non metto in dubbio la sincerità delle sue parole, ma penso che, per consolidare la Repubblica, bisogna fondare lo Stato e lo Stato non si fonda sul principio di una diarchia di poteri e di sovranità.

La Repubblica che abbiamo fondato avrà un senso ed un significato se continuerà, superandolo, il Risorgimento, non se tornerà indietro su quello che è stato acquisito dal Risorgimento.

Noi stiamo tornando indietro, cosa di cui siamo preoccupati come socialisti, ma soprattutto come italiani. Signori, umiliando lo Stato, voi umiliate la Repubblica e la Nazione, che noi vogliamo forti perché possano assolvere alla loro missione sociale e politica. (Vivi applausi a sinistra).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare, per dichiarazione di voto, l’onorevole Bonomi Ivanoe. Ne ha facoltà.

BONOMI IVANOE. La mia dichiarazione di voto sarà brevissima, ma è necessario che sia fatta anche a conclusione dei tentativi di conciliazione fra le parti politiche, fatti da me insieme agli amici Nitti ed Orlando.

Si sono pronunziati molti discorsi di critica alla formulazione dell’articolo in votazione, e si è anche rilevata la incompatibilità di talune disposizioni dei Patti lateranensi con talune proposte della nuova Costituzione.

Io dichiaro subito che non entro in questo vasto dibattito pur non disconoscendone l’importanza. Ma qui, lasciatemi dire, per l’ampiezza della discussione, per la sua impostazione, e per le stesse parole che si sono dette oggi nell’aula, non si tratta di tecnica costituzionale e di questioni meramente giuridiche: si tratta di un voto politico sui Patti del Laterano.

Ora nessuno può mettere in dubbio che quei Patti, che prima ancora che il fascismo li concludesse per i suoi fini particolari erano già in germe nel pensiero del liberalismo italiano – e le rivelazioni fatte dagli onorevoli Nitti ed Orlando ne sono prova inconfutabile – hanno portato a due risultati di rilevanza eccezionale.

Anzitutto essi hanno chiuso per sempre la questione romana che, sorta e agitata durante il nostro Risorgimento, s’era trascinata per mezzo secolo, dalle cannonate di Porta Pia alle sempre reiterate proteste della Santa Sede.

In secondo luogo quei Patti hanno posto i rapporti fra lo Stato e la Chiesa cattolica, Chiesa che raccoglie la grande maggioranza degli italiani, sulla base salda di accordi bilateralmente concordati.

Questo è, o signori, il significato storico dei Patti lateranensi, significato che tutti i partiti hanno riconosciuto, giacché rilevo, e la constatazione ha per me una importanza decisiva, che nessuna delle parti politiche che sono in quest’aula ha chiesto la revoca di quei Patti, i quali, eliminando un motivo storico di dissidio, hanno assicurato all’Italia la pace religiosa.

È per questa considerazione politica che, superando le critiche che sono state mosse all’articolo in votazione, dichiaro, anche a nome dei miei amici, di votare l’articolo stesso così come ci viene proposto dopo i faticosi dibattiti della nostra Commissione.

Però, nel dare il mio voto favorevole, desidero mettere in rilievo, anche a nome di molti colleghi che hanno il mio medesimo pensiero, che l’articolo 7, nella sua lettera e nel suo spirito, come del resto ha detto l’onorevole De Gasperi, non ostacola quelle eventuali modificazioni delle norme concordatarie che le Alte Parti contraenti ritenessero di comune accordo necessarie al fine di mantenere ai patti stessi una vitalità conforme al nuovo spirito della Repubblica italiana.

Onorevoli colleghi, riconosciamo e confermiamo ciò che la storia ha creato, ma lavoriamo concordi perché nel solco tracciato dal passato sorga e si svolga l’avvenire. (Applausi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Togliatti. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. (Segni di attenzione). Signor Presidente, signore, onorevoli colleghi. Siamo giunti al termine, non di una lotta, ma di un dibattito, di una discussione elevata, ardente, appassionata, la quale ha profondamente interessato non soltanto questa Assemblea, ma tutto il Paese.

Arrivati a questo punto, una dichiarazione, non direi di voto, ma tale che precisi la posizione politica dei differenti partiti, è doverosa, e noi ringraziamo il nostro Presidente di averci permesso di fare questa dichiarazione in questo modo, affinché essa possa essere abbastanza ampia e motivata, tale da non lasciare nessun dubbio in nessuno.

Doverosa è la dichiarazione di voto, da parte nostra, di fronte all’Assemblea, doverosa di fronte al nostro partito, doverosa di fronte alle masse di lavoratori e cittadini che ci seguono, che ci hanno dato la loro fiducia, mandandoci qui come rappresentanti della Nazione.

L’articolo che sta davanti a noi consta di tre parti. A proposito della terza, il nostro Gruppo ha presentato degli emendamenti, anzi un emendamento, il quale potrà essere concordato e posto ai voti insieme con l’emendamento presentato da altri autorevoli colleghi.

Non abbiamo avuto nessuna difficoltà, sin dall’inizio, ad approvare la prima parte dell’articolo, quella nella quale si dice che lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.

Non solo non abbiamo avuto difficoltà, ma i colleghi della prima Sottocommissione ricordano senza dubbio che questa formulazione è stata data da me stesso.

E qui permettetemi un ricordo.

L’onorevole Dossetti, riferendosi a questa prima parte dell’articolo che stiamo discutendo, cercando di darne una giustificazione dottrinaria, diceva che questa si può trovare in un corso di diritto ecclesiastico, tenuto precisamente nel 1912, all’università di Torino, dal senatore Francesco Ruffini.

Voi mi consentirete di ricordare all’onorevole Dossetti che sono stato allievo di quel corso, che l’ho frequentato quel corso, che ho dato l’esame di diritto ecclesiastico su quelle dispense che egli ha citato e lodato. È, forse, per questo che non ho trovato difficoltà a dare quella formulazione. Ricordo però anche che quelle lezioni non erano frequentate soltanto da me. Veniva alle volte e si sedeva in quell’aula, un uomo, un grande scomparso, amico e maestro mio, Antonio Gramsci, e uscendo dalle lezioni e passeggiando in quel cortile dell’università di Torino, oggi semidistrutto dalla guerra, egli parlava con me anche del problema che ci occupa in questo momento, del problema dei rapporti fra la Chiesa cattolica e lo Stato italiano. Eravamo allora entrambi giovanissimi, entrambi all’inizio della nostra vita politica e ci sforzavamo di individuare quali erano le origini e quali avrebbero potuto essere le sorti future di quel contrasto tra lo Stato e la Chiesa che allora era ancora per gran parte in atto in Italia, ma che in parte era superato o si stava superando, e ricordo che Gramsci mi diceva che il giorno in cui si fosse formato in Italia un governo socialista, in cui fosse sorto un regime socialista, uno dei principali compiti di questo governo, di questo regime, sarebbe stato di liquidare completamente la questione romana garantendo piena libertà alla Chiesa cattolica.

Ripeto che la prima parte di questo articolo non offre per noi nessuna difficoltà.

E vengo alla seconda parte, che è quella a proposito della quale hanno avuto luogo i più ampi dibattiti ed avrà luogo lo schieramento più importante in quest’aula. Qui si tocca il fondo del problema dei rapporti fra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica. Ora, di questo problema noi non ci siamo interessati soltanto oggi né soltanto nel corso delle discussioni della prima Sottocommissione e della Commissione dei 75. Fin dall’inizio del 1946, quando si tenne in Roma il V Congresso del nostro Partito, dedicammo una parte non trascurabile dei nostri dibattiti all’esame di questo problema, e la nostra posizione venne allora definita così nel rapporto che io tenni al Congresso. Permettetemi di citare.

«Poiché l’organizzazione della Chiesa, dicevo io allora, continuerà ad avere il proprio centro nel nostro Paese e poiché un conflitto con essa turberebbe la coscienza di molti cittadini, dobbiamo regolare con attenzione la nostra posizione nei confronti della Chiesa cattolica e del problema religioso. La nostra posizione è anche a questo proposito conseguentemente democratica. Rivendichiamo e vogliamo che nella Costituzione italiana vengano sancite le libertà di coscienza, di fede, di culto, di propaganda religiosa e di organizzazione religiosa. Consideriamo queste libertà come le libertà democratiche fondamentali, che devono essere restaurate e difese contro qualunque attentato da qualunque parte venga. Oltre a questo però esistono altre questioni che interessano la Chiesa e sono state regolate coi Patti del Laterano. Per noi la soluzione data alla questione romana è qualcosa di definitivo, che ha chiuso e liquidato per sempre un problema. Al Trattato del Laterano è però indissolubilmente legato il Concordato. Questo è per noi uno strumento di carattere internazionale, oltre che nazionale, e comprendiamo benissimo che non potrebbe essere riveduto se non per intesa bilaterale, salvo violazioni che portino l’una parte o l’altra a denunciarlo. Questa nostra posizione è chiara e netta. Essa toglie ogni possibilità di equivoco e impedisce che fondandosi sopra un equivoco si possano avvelenare o intorbidare i rapporti fra le forze più avanzate della democrazia, che seguono il nostro partito, e la Chiesa cattolica».

Come vedete, vi sono qui alcune affermazioni fondamentali, alle quali abbiamo il dovere di rimanere coerenti, alle quali ci siamo sforzati di rimanere coerenti, alle quali credo che siano rimasti coerenti fino ad ora.

Prima affermazione fondamentale: la rivendicazione delle libertà di coscienza, di fede, di culto, di propaganda religiosa e di organizzazione religiosa. Il progetto di Costituzione, per questa parte, ci sodisfa. Noi appoggeremo tutte quelle proposte le quali tenderanno a rendere sempre più tranquille le coscienze di tutti i credenti di tutte le fedi, garantendo loro tutte le libertà di cui hanno bisogno per esplicare il loro culto e svolgere la loro propaganda.

Seconda affermazione: consideriamo definitiva la soluzione della questione romana, e non vogliamo in nessun modo riaprirla.

Terza affermazione: riteniamo che il Concordato sia uno strumento bilaterale e che solo bilateralmente potrà essere riveduto.

Nel corso dei dibattiti della prima Sottocommissione e della Commissione dei Settantacinque, ci siamo costantemente attenuti a questi principî, ed anche nel mio intervento, e negli interventi degli altri colleghi del mio Gruppo, nel dibattito generale sulla Costituzione e nel dibattito su questa parte della Costituzione stessa, queste sono le posizioni che noi abbiamo affermate.

Abbiamo, però, sollevato, in pari tempo, alcune questioni che ci preoccupavano e che ci hanno incominciato a preoccupare particolarmente – ed in questo concordo col giudizio dato dal collega Nenni – quando ci si chiese di inserire come tali, e il Trattato e il Concordato, nella nostra nuova Costituzione attraverso un esplicito richiamo.

Precisamente, le questioni che ci preoccupavano erano quella della firma e quella di alcune determinate norme, sia del Trattato sia del Concordato, in cui trovavamo un contrasto con altre norme della Costituzione, da tutti noi insieme volute e approvate preliminarmente nelle Commissioni. Questa contradizione apriva un problema; poneva un interrogativo. Mai abbiamo parlato di una denuncia o dell’uno o dell’altro dei due strumenti diplomatici che sono legati insieme in quel complesso che viene chiamato «Patti del Laterano». Le stesse preoccupazioni nostre, del resto, in maggiore o minore misura, abbiamo sentito esprimere da tutti, anche dai colleghi di parte democristiana, quando sono intervenuti nel dibattito. Tutti hanno riconosciuto, credo senza eccezioni, per quanto con maggiore o minor vigore, la fondatezza almeno di una parte delle esigenze presentate sia da noi che da altri colleghi di questa parte. In pari tempo abbiamo affermato sin dall’inizio, raccogliendo un appello venuto dal Presidente Orlando, il nostro desiderio che si trovasse di tutta questa questione una soluzione attorno alla quale potesse venire realizzata, se non l’unanimità, per lo meno la grande maggioranza di questa Assemblea. Questo infatti ritenevamo fosse necessario, anzi quasi indispensabile, per consolidare la pace religiosa del nostro Paese. In questo senso ci siamo mossi nelle conversazioni e trattative che hanno avuto luogo negli scorsi giorni tra noi e i rappresentanti di altri Gruppi dell’Assemblea. Diverse formule sono state presentate e vagliate nel corso di queste conversazioni. Una di esse, la quale aveva l’autorevole appoggio dell’onorevole Orlando, passava dall’affermazione: «i rapporti ecc. ecc. sono regolati» all’affermazione: «la Repubblica riconosce e conferma i Patti lateranensi». Questa formula, pur essendo per determinati aspetti più tassativa, direi anche più impegnativa dell’altra, pure sodisfaceva una delle nostre esigenze, quella del cambio della firma. Al posto di quella del fascismo, subentrava la firma della Repubblica. Non siamo però riusciti a venire all’accordo su questa formula, così come non eravamo riusciti precedentemente a trovare un accordo sopra altre formule le quali tenevano conto di esigenze allacciate, come ho detto, da tutte le parti, anche dalla parte democristiana.

Ho sentito testé l’onorevole De Gasperi affermare che per lo meno una di queste formule, quella sostenuta dall’onorevole Basso, avrebbe potuto essere accettata, se non si fosse impegnata su di essa una discussione impegnativa prima che la cosa venisse davanti all’Assemblea. Mi permetta, onorevole De Gasperi, ma ciò che ella ha detto è una svalutazione diretta dell’Assemblea. I dibattiti che precedono preparano i dibattiti nell’Assemblea; ma qui si decide ogni questione, qui ogni formula deve essere pesata, valutata, accettata o respinta. In questo sta la sovranità della nostra Assemblea. (Applausi).

Da ultimo, quando vedemmo che nessuna delle formule presentate era tale che, essendo accettata dalla parte democristiana, ci consentisse di avere quella larga maggioranza o di raggiungere anche quell’unanimità che avremmo voluto si raggiungesse nell’interesse del Paese, si discusse della possibilità di presentazione di un ordine del giorno il quale, a conclusione del dibattito, mettesse in valore l’importanza, il peso di esso nella vita nazionale, pur non dicendo in sostanza nulla di più e nulla di meno di quanto diceva l’articolo 7 e di quanto nel corso del dibattito quasi concordemente era stato detto da tutti.

L’ordine del giorno venne formulato da un autorevole parlamentare e sodisfaceva molti di noi. Anche esso, però, alla fine venne respinto. Nemmeno in quella direzione trovammo quella via di uscita che stavamo cercando, e ciò non ostante avessimo affermato – e tutti lo riconoscevano insieme con noi – che l’approvazione di un simile ordine del giorno, pur non aggiungendo e non togliendo nulla all’articolo, sarebbe stata un atto politico importante, che avrebbe facilitato l’opera necessaria a raggiungere i più larghi consensi possibili e forse l’unanimità.

In nessun modo, dunque, siamo riusciti a metterci d’accordo. Perché? Perché ci siamo trovati ad un certo momento e ci troviamo ora in una specie di vicolo cieco? Perché il nostro dibattito è arrivato a questo punto di evidente drammaticità?

Onorevoli colleghi, qui si pone un problema profondo, che io formulerei a questo modo: in sostanza con chi è il dibattito? Fra noi e i colleghi di parte democristiana? Non credo.

I colleghi di parte democristiana alle volte parlano presentandosi come unici difensori della libertà della coscienza religiosa delle masse cattoliche. Non credo che alcuno dei partiti di sinistra voglia lasciare loro la esclusività di questa funzione.

Anche nel nostro partito esistono, e credo per la maggioranza degli iscritti, i cittadini cattolici e noi siamo assertori e difensori della libertà della loro coscienza religiosa. È vero, noi difendiamo questa libertà come partito democratico, moderno, progressivo, comunista, se volete; ma, ad ogni modo, la difendiamo. Non lasciamo a voi la esclusività di questa funzione.

Anzi, mi pare che il dibattito sia stato un po’ viziato dal fatto di esser diventato un dibattito con voi, colleghi democristiani, mentre non lo è. In fondo, il dibattito è tra Assemblea Costituente italiana e un’altra parte, l’altra parte contraente e firmataria dei Patti del Laterano. Questa è la realtà, che dobbiamo guardare in faccia se vogliamo comprendere bene di che si tratta e quello che dobbiamo fare.

Qui è avvenuto però un fatto spiacevole. È avvenuto che da tutti i settori dell’Assemblea, compreso il vostro, si è detto che un determinato ritocco di alcune norme dei Patti, in un momento determinato, con le forme opportune, sarebbe desiderabile e dovrebbe potersi fare. Ecco una voce unanime, o quasi, che esce dal luogo dove siedono i rappresentanti della Nazione. Questa voce, però, non è andata più in là.

Onorevole De Gasperi, qui è mancato qualcosa, è mancato, più che l’intermediario, il rappresentante autorizzato di questa voce, che è la voce della Nazione, che si sia presentato all’altra parte, le abbia significato quello che qui si pensa e sia in grado ora di significare a noi quello che da noi quest’altra parte richiede. Non siamo infatti autorizzati a credere che la vostra opinione di partito sia opinione autorizzata dall’altra parte.

In questo dibattito, insomma, abbiamo sentito l’assenza, quell’assenza che lamentava anche l’onorevole Orlando, del governo. La democrazia italiana in questa occasione non è stata guidata da un governo, il quale si sentisse legittimo rappresentante di quella opinione democratica e repubblicana, che qui in modo unanime espresse una stessa esigenza, pure con sfumature diverse riguardo all’intensità. E forse questo è il male che succede in tutti i Paesi, quando si agitano questioni di questa natura e il partito dirigente è il Partito democristiano. (Commenti).

L’onorevole De Gasperi ha parlato, ed io mi aspettavo parlasse come Capo del governo. Se avesse parlato come Capo del governo dicendoci: «Così si pone il problema; questo è da farsi nell’interesse nazionale», lo avrei applaudito. Egli ha avuto invece, come uomo di governo, un unico accenno alla necessità di consolidare il regime repubblicano.

Onorevole De Gasperi, questo accenno l’abbiamo compreso; l’avevamo anzi già compressi prima.

Ripeto: avremmo voluto che l’onorevole De Gasperi non parlasse qui, come ha parlato, quale esponente del Partito democristiano o, ancora di meno, come esponente della coscienza cattolica, la quale non si estrinseca né si può estrinsecare in un solo partito; ma che, per tramite suo, tutto il nostro dibattito fosse guidato da un rappresentante autorizzato di tutta la Nazione, cioè dal nostro governo, democratico e repubblicano.

Questo non è avvenuto; e dobbiamo dolercene. Siamo dunque costretti, per conoscere la posizione dell’altra parte, a leggere il suo organo autorizzato ufficiale l’Osservatore Romano.

L’onorevole Nenni ne ha parlato come d’un giornale tra gli altri. No, questo non è esatto e questo non basta. Permettetemi di parlare dell’Osservatore Romano come dell’esponente autorizzato dell’altra parte. Esso è l’unica voce, l’unico mezzo che abbiamo per conoscere che cosa pensa la Santa Sede, la quale è firmataria, insieme con i rappresentanti di allora dello Stato italiano, degli atti di cui stiamo discutendo.

Orbene, le affermazioni a questo proposito dell’organo ufficiale autorizzato della Santa Sede non sono equivoche. Prendo soltanto quattro degli articoli consacrati, in date diverse, alla trattazione di questo problema dall’Osservatore Romano e vi trovo le stesse affermazioni.

Il 13 di marzo: «Simile omissione (l’omissione del richiamo al Trattato e al Concordato nella Costituzione) significherebbe nella realtà… non un silenzio, non una lacuna, ma una minaccia, un pericolo. La minaccia alla pace religiosa, il pericolo di vederla turbata per la possibilità che lo sia».

lì 19 dello stesso mese: «Questo eventuale diniego (si tratta sempre del diniego del richiamo esplicito ai Patti), il sostenerlo necessario, il presagirlo possibile, turba già la pace e l’unità spirituale del popolo, il quale può ben pensare fin d’ora che tale pace, tale unità è minacciata per l’avvenire, se al suo unico fondamento si vuol… togliere la sicurtà costituzionale».

Il 20 e il 21 dello stesso mese: «Per quanto si protesti fin d’ora di non voler cadere nell’anticlericalismo di maniera, né in una lotta contro la religione, tuttavia (se si esclude dall’articolo 5 il richiamo costituzionale ai Patti lateranensi), pace religiosa… certissimamente non sarà, purtroppo».

Il 22 di marzo: «Se realmente si vuole che nessuna lotta a carattere religioso turbi il faticoso rinnovamento della Patria, perché mai così manifesto timore di riaffermare, in un momento e in un documento solenne, l’efficacia di Patti sottoscritti non soltanto tra un governo ed altro governo, tra uno Stato ed altro Stato, bensì tra il popolo italiano e la sua fede e la sua Chiesa?».

Non vi è dubbio che ci troviamo di fronte a un’esplicita manifestazione di volontà dell’altra parte, della Chiesa cattolica, della Santa Sede. Ed è questo il punto da cui dobbiamo partire, onorevoli colleghi, nel determinare la nostra posizione. Questo è il punto da cui dobbiamo partire, dal momento che tutte le questioni da noi precedentemente sollevate sono state sempre subordinate a una esigenza fondamentale, quella di non turbare la pace religiosa del nostro Paese.

Esisteva o no la pace religiosa prima di oggi, prima del crollo del fascismo, prima della disfatta? Si può discutere, si può vedere come sono andate le cose storicamente.

Nel 1929, quando i Patti lateranensi furono firmati, non c’è dubbio che, nonostante tutto il precedente lavorio preparatorio compiuto da uomini politici di marca democratica e di fede liberale, non c’è dubbio che quell’accordo, concluso in quel momento, fece veramente pesare sul nostro Paese – permettetemi l’espressione romantica – l’ombra funesta del triste amplesso di Pietro e Cesare. Lo sentimmo chiaramente noi, che dirigevamo la lotta antifascista della parte avanzata del popolo italiano. Sentimmo che, nonostante che oggi si interpreti l’espressione «uomo della Provvidenza» dicendo che si trattava di riferirsi a quella virtù che la Provvidenza ha di mandare uomini buoni e uomini cattivi, allora «uomo della Provvidenza» fu inteso come uomo «provvidenziale»

Poi le cose cambiarono, senza dubbio. Questa prima impressione si attutì; qualche posizione fu conquistata e consolidata da noi; qualche posizione fu perduta dal fascismo; la nostra lotta per la democrazia, per la libertà contro la tirannide si sviluppò; gli uomini si svincolarono da quella primitiva impressione. Arrivammo così alla guerra di liberazione, nella quale avemmo profonda l’impressione che la pace religiosa veramente ci fosse. Vedemmo infatti nelle nostre unità partigiane operai cattolici affratellati con militanti comunisti e socialisti; vedemmo nelle unità comandate dai migliori tra i nostri capi partigiani, i cappellani militari, sacerdoti, frati, accettare la stessa nostra disciplina di lotta. Tutto questo ci permetteva di ritenere che la pace religiosa fosse stata raggiunta. Per questo chiudemmo quella pagina; né avevamo alcuna intenzione di riaprirla. Non solo, ma arrivammo a quel grande successo, a quella grande vittoria che è stata l’unità sindacale, giungemmo alla conclusione di un patto di unità sindacale fra le grandi correnti tradizionali del movimento operaio italiano: la corrente comunista, la corrente socialista e la corrente cattolica. Poi ci fu il 2 giugno, che segnò senza dubbio un passo addietro, per gli episodi di cui tutti fummo testimoni; per i motivi che tutti sappiamo. E ora siamo di fronte all’avvenire e a difficoltà nuove per il nostro Paese: siamo di fronte a problemi economici e politici che si stanno accumulando e intrecciando l’uno con l’altro. In questa situazione, abbiamo bisogno della pace religiosa, né possiamo in nessun modo consentire a che essa venga turbata.

Ora, il contrario del termine «pace» è «guerra.» È vero che per fare la guerra bisogna essere in due e che una delle parti può sempre dichiarare – come fai tu, compagno Nenni – «noi la guerra non la vogliamo»; ma per dichiararla, la guerra, basta uno solo. Di questo bisogna tener conto.

Questa è la situazione reale, di fatto, che oggi esiste, e noi, Partito comunista, che dal momento in cui abbiamo incominciato ad agire legalmente nel Paese, sempre abbiamo avuto tra i nostri principali obiettivi quello di mantenere la pace religiosa, non possiamo trascurare questa situazione, anzi dobbiamo tenerne conto e adeguare ad essa la nostra posizione e, di conseguenza, il nostro voto.

E qui la mia dichiarazione di voto potrebbe trasformarsi in un appello: potrei rivolgermi ai colleghi socialisti, ai colleghi di altre parti, invitandoli a votare con noi, a votare come noi voteremo. (Interruzioni Commenti). Essenzialmente però noi votiamo tenendo conto della nostra responsabilità; e comprendiamo benissimo che la responsabilità nostra è più grave forse di quella di qualsiasi altro membro di questa Assemblea: è certamente più grave di quelli che posso considerare come degli isolati, dell’onorevole Lussu, dell’onorevole Crispo, o dell’onorevole Condorelli, che non sono a capo di grandi partiti; anche, vorrei dire, dell’onorevole Benedetto Croce, che è passato in quest’aula come un’ombra, l’ombra di un passato molto lontano! La nostra responsabilità è più grande, in sostanza, anche di quella dei colleghi socialisti, perché non siamo soltanto partito della classe operaia, ma siamo considerati come il partito più avanzato dei lavoratori, e in sostanza la maggioranza della classe operaia orienta la sua azione a seconda del modo come il nostro partito si muove.

Per questo non è soltanto alla nostra coscienza e convinzione personale, individuale che noi ci richiamiamo, come si richiamano altri colleghi, nel decidere il nostro voto. Essenzialmente facciamo appello a questa nostra responsabilità politica, e al modo come noi realizziamo la linea politica che ci siamo tracciata nella attuale situazione del nostro Paese.

La classe operaia non vuole una scissione per motivi religiosi, così come non vuole la scissione fra noi e i socialisti. Noi siamo dunque lieti, anche se voteremo differentemente dal partito socialista, che questo fatto non apra un contrasto fra di noi. In pari tempo però sentiamo che è nostro dovere fare il necessario perché una scissione e un contrasto non si aprano tra la massa comunista e socialista da una parte e i lavoratori cattolici dall’altra.

Abbiamo avuto stamane i risultati della votazione svoltasi in preparazione del congresso confederale alla Camera del lavoro di Milano. Si sono avuti 327.000 voti per i comunisti, 152.000 per i socialisti e 106.000 per i democristiani. Orbene, vogliamo noi che tra questa massa di 106.000 operai che segue la democrazia cristiana e la rimanente massa di tre o quattrocento mila operai che non seguono la Democrazia cristiana, ma di cui molti sono cattolici, si apra un contrasto proprio oggi, in un momento in cui questioni così gravi sono poste davanti a noi, in cui è soprattutto necessario che le forze del lavoro siano unite? (Commenti). Non solo, ma io ritengo che la classe operaia, che noi qui rappresentiamo, o almeno quella parte di lavoratori che è rappresentata da noi, sia interessata a che sia mantenuta e rafforzata la unità morale e politica della Nazione, sulla base di una esigenza di rinnovamento sociale e politico profondo. Anche di questo interesse e di questa esigenza noi teniamo conto.

E qui avrei finito, onorevoli colleghi; avrei finito se la posizione assunta dal nostro Partito in questa discussione, e soprattutto nelle conversazioni che hanno avuto luogo nei giorni scorsi, non fosse stata al centro di una particolare attenzione e nella stampa e nell’Assemblea.

Forse mi permetterete di dedicare qualche minuto ancora all’esame delle critiche e delle obiezioni che ci sono state fatte, tanto più in quanto ciò mi permetterà di chiarire ancora meglio la nostra posizione e trarne tutto il succo.

Lascerò da parte le volgarità, gli articoli come quelli che scriveva l’altro giorno un illustre camaleonte, il signor Mario Missiroli, domandandosi che cosa c’è sotto all’atteggiamento dei comunisti, eventualmente favorevole al voto dell’articolo 5 o dell’articolo 7, nella forma in cui questo articolo viene presentato. L’autore di questo scritto argomenta lungamente e argomenta, naturalmente, in termini di hegelismo. Ma l’hegelismo l’abbiamo studiato anche noi, anche noi ce la sappiamo cavare con queste formulette, e soprattutto sappiamo come molte volte esse vengano adoperate esclusivamente per coprire una specie di cinismo, come quello di cui dà prova questo signore che accusa noi di non avere una coscienza etica dello Stato, perché saremmo disposti anche ad accettare la formula dell’articolo 5 così come ci è stata presentata: proprio lui che, per esaltare i Patti del Laterano, scrisse un intero volume che, si dice, ebbe il personale plauso di Mussolini!

È evidente che lezioni di etica da un camaleonte non le prendiamo.

Ma, eleviamoci in un’atmosfera superiore: paullo majora canamus.

Anche in quest’aula, la questione del nostro atteggiamento è stata posta, e prima di tutto dall’onorevole Orlando, il quale ha detto: «Non vorrei collocarmi più a sinistra dei comunisti». Che cosa è destra e che cosa è sinistra non sempre è facile dirlo in politica, onorevole Orlando. Ad ogni modo, non ho ben capito se, quando ella usava quella espressione, intendeva esprimere una perplessità sua circa la posizione che ella doveva prendere, oppure se avesse voluto che noi ci collocassimo un po’ più a sinistra per far posto a lei. (Si ride). Insomma, vi è qualcuno che avrebbe voluto ad ogni costo che fossimo noi a condurre questa battaglia. No, signori: noi conduciamo le battaglie che sembra a noi debbano essere combattute, e quando riteniamo che per consolidare l’unità politica e morale della Nazione debba essere presa una determinata posizione, la prendiamo, lo diciamo chiaramente e ci assumiamo tutte le responsabilità che ne derivano.

Ma anche l’onorevole Nitti ci ha fatto oggetto della sua critica e delle sue benevole osservazioni. L’onorevole Nitti si è lusingato di darci una piccola lezione di interpretazione del marxismo. Onorevole Nitti, siamo sempre disposti ad accogliere tutte le lezioni. Però, quando si tratta di una interpretazione del marxismo, diretta allo scopo di determinare la nostra politica, questa lezione ce la diamo fra noi. La sede di essa è il nostro Comitato centrale, sono gli organi dirigenti del nostro Partito. Se ella crede di entrare nel nostro Partito (Ilarità), forse potrà anche collaborare alla elaborazione della dottrina marxista nei riflessi e nelle applicazioni che questa comporta nella vita politica di oggi. La porta non è chiusa per nessuno, e non è detto che ella non possa rapidamente superare i gradini che portano anche alle più alte cariche del Partito, in modo che ella possa dare il suo contributo alle direttive di azione di un Partito che si sforza di applicare alla situazione attuale precisamente i principi del marxismo. (Si ride).

Ma lasciamo giù scherzi, onorevole Nitti, ella ha detto una cosa che io non accetto: ella ha detto che i regimi socialisti non si conciliano con l’esistenza della religione. Non è vero: e questo è il punto che desidero chiarire meglio, perché illumina nel modo migliore la nostra posizione di oggi.

Vi è una sola esperienza in proposito, l’esperienza dell’Unione Sovietica. È evidente che nel corso della sua esistenza, l’Unione Sovietica ha dovuto attraversare differenti periodi, anche per questo riguardo. Ma che cosa avvenne in quel paese? Avvenne che la Chiesa cristiana ortodossa, l’unica Chiesa ivi esistente, per il suo orientamento politico e per il tipo stesso della organizzazione, era strettamente vincolata al vecchio regime zarista, a quel regime di oppressione economica, politica e sociale, a quel regime di tirannide che era uno dei più arretrati, inumani e barbari di quei tempi.

Gli esponenti della Chiesa ortodossa ritennero di dover prendere la difesa del regime zarista e delle forze sociali che esso esprimeva, contro le masse di operai, di contadini, di intellettuali avanzati, che volevano rinnovare profondamente, su una base socialista, il loro Paese, e adempivano questo compito edificando un nuovo Stato, uno Stato socialista. Ebbene, il nuovo Stato accettò la lotta e vinse. Vinse, e non poteva non vincere, come non possono non vincere tutti i regimi che attuano profonde trasformazioni politiche e sociali, quando queste sono mature nella coscienza popolare e nello sviluppo stesso delle cose. Vinse, e la Chiesa ortodossa ne subì, per un periodo di tempo abbastanza lungo, le conseguenze.

Però noi vedemmo, già prima dell’ultima guerra, che la situazione era cambiata; e nel corso della guerra non soltanto funzionarono regolarmente, liberamente le istituzioni religiose, ma il sentimento religioso agì come stimolo alla lotta eroica delle grandi masse della popolazione di tutte le parti della Russia per la difesa della patria socialista minacciata nella sua esistenza dalle orde dell’invasione tedesca e fascista. Oggi esiste in Russia un regime di piena libertà religiosa (Commenti), e il regime socialista si rivela perfettamente conciliabile con questa libertà.

Questo, colleghi democristiani, è il punto al quale io volevo arrivare, perché da esso traggo due insegnamenti: il primo è che non vi è contrasto fra un regime socialista e la coscienza religiosa di un popolo; il secondo è che non vi è nemmeno contrasto fra un regime socialista e la libertà religiosa della Chiesa, e in particolare di quella cattolica.

Questa è la posizione di principio più profonda, che non solo giustifica, ma spiega la posizione che noi prendiamo in questo voto. Vogliamo rendere sempre più evidente al popolo italiano questa verità. Quindi è inutile che vi poniate delle domande superflue: è inutile vi domandiate cosa c’è sotto. Non c’è sotto nient’altro che questo: il nostro voto sarà dato secondo convinzione e per disciplina: per disciplina a una linea politica, secondo la convinzione che questa politica è quella che meglio corrisponde agli interessi della Nazione italiana.

Si dice che verrà chiesto un voto segreto, oppure che voteremo pubblicamente per appello nominale. Il nostro voto non cambierà, sia che si voti in segreto, sia che si voti apertamente. Non vi sono in noi preoccupazioni elettorali se non nel senso di tener fede alle assicurazioni che abbiamo dato agli elettori che hanno votato per noi… (Commenti animati Interruzioni).

Una voce. Non ci crediamo!

TOGLIATTI. Onorevoli colleghi della Democrazia cristiana, la vostra intolleranza è utile. (Commenti). Essa serve a dimostrare la validità delle argomentazioni dei vostri contradittori. Ho cercato di dimostrare prima che è stato un inconveniente per noi aver dovuto trattare con voi e non direttamente con altre parti. Voi mi state dando la prova che ho ragione. Sono convinto che in un consesso di prelati romani sarei stato ascoltato sino alla fine con più sopportazione di quanto voi non mi abbiate ascoltato. (Commenti prolungati al centro).

PRESIDENTE. Mi sembra che i commenti siano già stati troppo lunghi. Permettano che l’onorevole Togliatti riprenda il suo discorso.

TOGLIATTI. Si è anche parlato di una eventuale minaccia di un appello al Paese, attraverso un referendum, o un plebiscito, minaccia che determinerebbe il nostro atteggiamento. Anche questo non è vero. Qualora noi ritenessimo che vi è una questione o un dissenso che bisogna portare dinanzi al popolo, noi stessi chiederemmo il referendum. E del resto, colleghi di parte monarchica, abbiamo vinto già una volta un referendum: siamo disposti a vincerne un altro. (Commenti).

Una voce a destra. Bene, si faccia il referendum!

CONDORELLI. Ne prendiamo atto.

TOGLIATTI. I motivi per i quali, visti fallire i nostri tentativi per arrivare attraverso una modificazione delle formule presentate o attraverso la presentazione di un ordine del giorno successivo al voto dell’articolo, i motivi per i quali, visti fallire questi tentativi, il Gruppo parlamentare comunista ha deciso di votare per la formula che viene presentata, sono dunque motivi profondi, che investono tutto l’orientamento politico del nostro Partito.

La nostra lotta è lotta per la rinascita del nostro Paese, per il suo rinnovamento politico, economico e sociale. In questa lotta noi vogliamo l’unità dei lavoratori, prima di tutto, e attorno ad essa, vogliamo si realizzi l’unità politica e morale di tutta la Nazione. Disperdiamo le ombre le quali impediscono la realizzazione di questa unità! Dando il voto che diamo, noi non sacrifichiamo, dunque, nulla di noi stessi; anzi, siamo coerenti con noi stessi sino all’ultimo. Siamo oggi quello che siamo stati in tutta la lotta di liberazione e in tutto il periodo di profonda crisi e di ricostruzione, apertosi dopo la fine della guerra. Siamo oggi quel che saremo domani, nella lotta che condurremo insieme a voi, accanto a voi – se volete – o in contrasto con voi, per la ricostruzione, il rinnovamento, la rinascita d’Italia.

Siamo convinti, dando il nostro voto all’articolo che ci viene presentato, di compiere il nostro dovere verso la classe operaia e le classi lavoratrici, verso il popolo italiano, verso la democrazia e la Repubblica, verso la nostra Patria! (Vivi applausi all’estrema sinistra Commenti animati).

PRESIDENTE. Desidero far presente all’Assemblea alcune brevi considerazioni.

Questa discussione finale ha assunto un carattere ampio e credo che nessuno mi possa far colpa di aver ciò consentito. La discussione, ad ogni modo, egregi colleghi, deve finire questa sera (Applausi). Ritengo che i nostri lavori, per concludersi, richiederanno ancora almeno quattro ore. (Commenti).

Non si tratta di una opinione avventata e credo che tutti i colleghi che hanno assistito a questa prima parte della discussione ed hanno compreso la necessità di una certa larghezza di dichiarazioni, converranno che occorrono forse più di quattro ore se io dirò loro che vi sono ancora undici iscritti per dichiarazione di voto e non è chiusa l’iscrizione. Aggiungo che ho già sul tavolo tre domande di votazione per appello nominale su tre diverse proposte. Ed allora io credo che sia opportuno sospendere la seduta per un’ora e mezzo e poi riprenderla alle 21.30 e continuarla finché l’articolo 7 non sarà approvato. (Approvazioni).

(Così rimane stabilito).

(La seduta, sospesa alle 20, è ripresa alle 21.40).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare, per dichiarazione di voto, l’onorevole Corbino. Ne ha facoltà.

CORBINO. Onorevoli colleghi, dopo i discorsi degli onorevoli De Gasperi, Nenni e Togliatti che rappresentano, il primo ed il terzo i due gruppi più importanti dell’Assemblea, il secondo uno dei gruppi più importanti, si potrebbe quasi considerare come nettamente delineato quello che sarà il risultato della nostra discussione, dal punto di vista della votazione. E, quindi, le nostre dichiarazioni di voto non possono avere, né del resto credo che l’avrebbero avuto anche senza le precedenti dichiarazioni, lo scopo che ogni oratore si propone, quando parla, cioè di convincere l’avversario; esse non possono avere altro significato che quello di stabilire la propria responsabilità personale e politica di fronte alla deliberazione che noi andremo a prendere.

Io parlo a nome del gruppo liberale, gruppo così poco numeroso nei confronti di quelli rappresentati dagli oratori che mi hanno preceduto, che sarebbe una eccessiva pretesa, da parte mia, pensare che il nostro intervento nella votazione, in un senso o nell’altro, potrebbe spostarne il risultato. E la pretesa sarebbe tanto meno logica in quanto che di fronte a questo problema il Gruppo liberale ha deciso di lasciare a ciascuno dei suoi componenti la facoltà di votare secondo quanto gli detti la sua coscienza. È un problema di estrema gravità che importa valutazioni di ordine politico immediato, valutazioni del peso di considerazioni di ordine politico nel futuro, influenza della tradizione. Ed allora, per quella indisciplina che è caratteristica del nostro Gruppo, abbiamo finito col dire: ciascuno si regoli come crede. Ed io parlo per quel gruppo di liberali che, per varie ragioni, o di carattere giuridico, o di carattere filosofico, o per problemi di coscienza, o per circostanze di carattere politico in senso stretto, che ora rapidissimamente enumererò, hanno deciso di votare a favore dell’articolo 5 del progetto, che diventerà l’articolo 7 del testo definitivo.

Io ho la convinzione, onorevoli colleghi, che rispetto a questo problema abbiamo fatto una discussione che, per il contenuto e per la forma, è quanto di più elevato si poteva attendere da un’Assemblea Costituente, nata in un Paese che ha avuto tanti anni di oscuramento delle libertà; ma non ho l’impressione che il Paese abbia sentito il problema come lo abbiamo sentito noi; ed in questo dissento dall’onorevole De Gasperi e un po’ anche dall’onorevole Togliatti. La mia impressione è che il Paese questo problema non lo ha avvertito con la stessa nostra sensibilità politica, perché nel Paese c’è il travaglio di varie crisi che colpiscono più direttamente gli individui, le famiglie, le stesse organizzazioni o formazioni sociali. C’è un travaglio così profondo, c’è un turbamento così forte che non so se molti di coloro che sapevano delle nostre discussioni ci hanno considerato dei bizantineggianti di fronte alle realtà concrete di tanti altri problemi sui quali noi per ragioni complesse, che qui non è il caso di accennare, non abbiamo ancora portato l’attenzione che essi meriterebbero.

C’è in fondo, nel nostro atteggiamento, un complesso di elementi che lo hanno determinato, e primi fra tutti gli elementi di carattere giuridico. Abbiamo sentito tutte le tesi pro e contro; abbiamo sentito giuristi che ci hanno detto che succederanno guai se includeremo i Patti lateranensi nella Costituzione o che succederanno guai se non li includeremo; abbiamo sentito giuristi che ci hanno detto che non succederà niente sia che li includiamo, sia che non li includiamo. Conclusivamente, se dovessi applicare un linguaggio matematico all’aspetto giuridico del problema, io direi che si ha la somma algebrica di più uno e meno uno che, come voi sapete, è uguale a zero. E allora prendo l’aspetto giuridico del problema e lo metto da parte e dico: perché stiamo discutendo tanto a lungo? Perché non abbiamo ancora trovato una formula risolutiva?

Entriamo allora nel secondo ordine di fatti, cioè a dire l’ordine, chiamiamolo così, filosofico. Io non sono filosofo, ma credo di poter constatare un fatto, e cioè che noi discutiamo ancora, nel 1947, dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa con una mentalità che risente dell’esperienza passata, come se la situazione del 1947 fosse la stessa di quella di un secolo fa, di due o tre secoli fa; ed abbiamo paura di un eventuale predominio spirituale della Chiesa perché presentiamo chissà quali pericoli nel complesso delle altre libertà. Certo, storicamente ci sono degli esempi che giustificano le nostre apprensioni; ma io mi domando: potete concepire oggi una Chiesa cattolica o di altra natura che faccia un processo a Galileo perché afferma che la terra gira? Potreste indicarmi oggi una Chiesa che arresti la mano di un fisico, per esempio di Enrico Fermi, nel momento in cui col bombardamento mediante la particella alfa arriva a scomporre il nucleo e a determinare una rivoluzione nel campo della ricerca scientifica, di cui non possiamo prevedere gli sviluppi futuri?

Voi potrete vedere, invece, domani un Sommo Pontefice levare la sua voce in nome dell’umanità per invocare che la bomba atomica non sia usata contro le popolazioni civili. Un intervento di questo genere sarà possibile. Ma un intervento che vincoli le nostre coscienze, che possa creare un ambiente contrario allo sviluppo di tutte le altre libertà inviolabili, che noi abbiamo assicurato nella Costituzione, questo no, non riesco a vederlo.

Ed allora, anche il terreno filosofico deve essere sgomberato per esaminare la portata della disposizione, sulla quale noi dobbiamo votare. La quale disposizione ha un carattere nettamente e spiccatamente politico.

Il primo giorno in cui noi abbiamo affrontato la vera discussione dell’articolo 5 o 7 è stato oggi, quando per la prima volta ci siamo guardati in faccia, gli uni cogli altri, senza reminiscenze o conoscenze giuridiche, senza apprezzamenti di carattere filosofico, ma soltanto con una valutazione netta di carattere politico; valutazione che, una volta impostato il problema, non poteva farci arrivare a conclusioni diverse di quelle alle quali noi arriveremo. Perché certe questioni si possono in un’Assemblea politica non sollevare; e se restano nei retroscena, se fanno materia soltanto di pourparlers, di chiacchiere nel «Transatlantico» o in seno ai singoli Gruppi, purché non vengano all’Assemblea, qualunque sia la loro sorte, l’aspetto politico non appare. Ma, quando entrano qui, in quest’aula, i problemi non diventano che problemi politici.

Ed è alla stregua delle esigenze politiche di questo momento, contemperate, nei limiti in cui la nostra facoltà di previsione si può spingere nell’avvenire, colle esigenze politiche del futuro, che noi dobbiamo prendere le nostre deliberazioni.

Perché noi siamo per approvare l’articolo 7? Che i Patti lateranensi siano inseriti nella Costituzione risponde probabilmente ad un desiderio di quella parte mancante, alla quale alludeva l’onorevole Togliatti e di cui egli ci ha letto alcune manifestazioni, non, diciamo così, ufficiali, ma ufficiose, attraverso brani dell’organo della Santa Sede. Si può anche ammettere nell’altra parte il desiderio di vedere confermato dalla nuova Assemblea politica italiana un complesso di accordi, che avrebbe potuto essere inficiato, o per ragioni collegate alle loro origini o per ragioni di altra natura.

Ma siamo veramente convinti che questo, dal punto di vista politico, rappresenti un serio pericolo per il nostro Paese, dal punto di vista immediato? Io mi sento, in tutta coscienza, di rispondere negativamente e per darvi l’elemento fondamentale della mia convinzione, non ho bisogno di fare altro che invitarvi ad esaminare quello che è successo negli ultimi anni. Signori, è da cinque anni per lo meno che noi viviamo in clima rivoluzionario. Noi abbiamo abbattuto il fascismo. (Rumori a sinistra). Vi ho contribuito anch’io! (Rumori a sinistra Interruzioni).

Noi abbiamo abbattuto il fascismo; noi abbiamo affrontato e risolto il problema istituzionale in un momento estremamente delicato, senza gravi complicazioni nell’assetto politico; noi siamo arrivati, attraverso una votazione liberamente fatta, alla proclamazione della Repubblica. Noi stiamo creando il nuovo ordinamento dello Stato: io vi domando se, in questo periodo, ciascuno di voi, nella sua azione contro il fascismo, nella sua opera per mantenere quell’organo istituzionale di transizione che furono i Comitati di liberazione nazionale ed anche dopo, abbia sentito intorno a sé qualche legame o impaccio che provenisse dai Patti lateranensi.

E se non l’abbiamo sentito in questo periodo, pensate se potremo sentirlo negli anni prossimi! Io mi auguro che noi usciremo, o prima o poi, da questa fase di carattere rivoluzionario politico, sia pure per entrare in quella tale fase rivoluzionaria economico-sociale, alla quale faceva allusione l’amico Nenni, quando ci spiegava il significato della sua espressione «dal Governo al potere». Di maniera che, se dobbiamo rientrare in una normalità politica, sia pure una normalità alquanto turbata dai postumi dei movimenti rivoluzionari precedenti, non vedo perché i Patti lateranensi ci debbano essere di maggior fastidio nel futuro di quanto non ci siano stati nel periodo in cui è stata fatta veramente la rivoluzione.

Aggiungete poi che, per quanto concerne le eventuali differenze formali, e talvolta anche sostanziali, fra il contenuto dei Patti concordatari e le formule che noi andremo ad approvare, a Costituzione completamente approvata, potranno esservi delle eventuali contradizioni che il tempo e la stessa situazione politica del Paese elimineranno.

La stessa saggezza dell’altra parte, alla quale ha fatto esplicita allusione, in uno dei suoi discorsi, un autorevole esponente della Democrazia cristiana, l’onorevole Tupini se non ricordo male, e quel senso di elasticità che hanno tutti i patti internazionali quando, da una parte e dall’altra, non si voglia arrivare ad una rottura, consentiranno di sperare che eventuali difficoltà potranno essere superate. Ed allora, se non ci sono necessità immediate di rinunciare all’articolo 7, se non vi sono pericoli futuri nel proposto inserimento dei Patti nell’articolo 7 della Costituzione, perché noi dovremmo rinunciare oggi ad una affermazione che, a giudizio di una delle due parti, riafferma la pace religiosa nel nostro Paese? Ecco perché, a parte quella che può essere la visione politica della Democrazia cristiana, io trovo perfettamente logica la presa di posizione dell’onorevole Togliatti e del suo partito; e la trovo tanto più logica (Commenti a sinistra Rumori) in quanto che, come egli bene ha spiegato, fra tutti i partiti di sinistra quello che più degli altri aveva in un certo senso il dovere di prendere un’iniziativa in questo senso era proprio il partito comunista. (Commenti a sinistra). Io vorrei soltanto che questo atto di concordia, del quale come italiano e come cristiano do pubblico ringraziamento all’onorevole Togliatti e ai suoi amici… (Commenti a sinistra).

Una voce a sinistra. E come liberale?

CORBINO. E anche come liberale; perché no?

Una voce a sinistra. Non va d’accordo.

CORBINO. No, guardi, che le concezioni del liberalismo vanno molto al di là di quello che ella non pensi, onorevole collega. Vedete, io ho una grande stima per i musicisti; sapete perché? Perché uno dei più grandi capolavori della musica è dovuto a Schubert, che ha scritto la celebre Sinfonia Incompiuta, che nessun musicista dopo di lui ha mai osato completare.

Una voce a sinistra. Lei ha completato il liberalismo.

CORBINO. Noi abbiamo spesso l’abitudine di dire: Cavour avrebbe fatto così; Mazzini avrebbe fatto così. E non sappiamo come si sarebbero regolati Cavour e Mazzini in condizioni come quelle nelle quali oggi ci troviamo. (Rumori a sinistra Applausi al centro e a destra).

Ecco perché io affermo a noi liberali il diritto di votare l’articolo 5 in perfetta concordanza con lo spirito liberale. Non ci trovo nulla di strano; non ci trovo nulla di inconciliabile con la dottrina della libertà. E, del resto, io mi auguro, come liberale (Rumori a sinistra) che nella Costituzione, in fatto di limitazioni eventuali della libertà, non vi sia altro che quella che può nascere dall’articolo 7; perché io sono sicuro che purtroppo ne metteremo delle altre, e di assai più gravi e tangibili. Ieri voi, votando l’articolo 3, avete aperto la porta, non alle sopraffazioni teoriche di una Chiesa che non ha nessuna voglia di farle, ma alle sopraffazioni possibili di una classe, se questa classe – qualunque essa sia – domani si dovesse impadronire del potere con qualunque mezzo.

TONELLO. La classe lavoratrice si impadronirà dell’Italia! (Rumori a destra).

CORBINO. Io non devo fare che una dichiarazione di voto; anzi, credo che ho superato i limiti che alla dichiarazione di voto sono abitualmente consentiti. (Rumori Interruzioni).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, io richiamo il senso di compostezza che questa discussione richiede. Abbiamo fatto questa seduta appunto perché abbiamo avvertito la grande importanza dell’argomento. La seduta non può assumere l’aspetto di una serata allegra. Vi prego di continuare con la serietà con cui la seduta si è iniziata.

CORBINO. Non credo che nelle nostre deliberazioni (nostre nel senso non del mio partito, ma nel senso generale) siano del tutto estranee le preoccupazioni di ordine elettorale. Ma io non trovo niente di strano che noi ci si preoccupi anche dell’esame che dovremo fare di fronte ai nostri elettori, che in fondo sono i nostri giudici. E, se noi pensiamo di poterci per conto nostro allontanare da quelle che sono le direttive che i nostri elettori vorrebbero che noi seguissimo, noi mancheremmo al nostro dovere di rappresentanti.

Quindi, quando ciascun partito dice di non avere preoccupazioni di carattere elettorale, o dice una ipocrisia (scusate se sono molto esplicito nei termini che adopero) o dice una cosa che non corrisponde al dovere politico.

Ora, considerata la questione anche dal punto di vista elettorale, lo schieramento che si viene a determinare ha una importanza notevole; perché noi veniamo a determinare uno schieramento in cui, a fianco del gruppo della Democrazia cristiana (che è il più forte), si schiera oggi il gruppo comunista, che è il secondo in ordine di grandezza.

RUGGIERO. Non importa.

CORBINO. Non importa, lo so, e non importa soprattutto per me, dato che noi siamo quasi l’ultimo gruppo in ordine di grandezza, e non credo che potremo farci delle illusioni di poter migliorare un gran che la nostra posizione. Io faccio questa osservazione dal punto di vista generale, e non dal punto di vista dei singoli gruppi. Noi determiniamo quasi uno schieramento di forze che corrisponde ad una combinazione dei due più forti partiti dell’Assemblea Costituente, e probabilmente ad una combinazione dei due più forti partiti del Parlamento di domani, anche se per avventura la cifra delle forze relative dovesse domani subire qualche piccolo mutamento in più o in meno.

Evidentemente, badate bene, la responsabilità di questa situazione può in parte risalire (come ha fatto rilevare l’onorevole Togliatti) agli amici della Democrazia cristiana, ad una loro assoluta rigidità su certe posizioni.

Ma se la realtà delle cose è quella che io mi sono sforzato di lumeggiare, badate che la responsabilità di questa situazione potrà in parte risalire anche all’atteggiamento dei gruppi intermedi, i quali non hanno mostrato di avere quel senso di adattabilità alla situazione politica generale che molto opportunamente ha mostrato di possedere il partito di estrema sinistra.

Ora, noi che siamo forza di conservazione – sì, lo dico apertamente, non ho nessuna paura di dire che siamo forza di conservazione, perché crediamo che nessuna rivoluzione possa avere probabilità di successo se non consolidi bene quello che dei vecchi sistemi merita di essere conservato; ed è per questo che siamo conservatori – noi che siamo conservatori, ed abbiamo il coraggio di dirlo, vogliamo partecipare a questo aggruppamento di forze. Vogliamo partecipare con gli amici della Democrazia cristiana ed anche con i colleghi del partito comunista. Vi partecipiamo con due fini: primo, quello di dare alla Democrazia cristiana la solidarietà di un altro partito rispetto ad un problema che, come osservava benissimo all’onorevole Nenni l’onorevole Togliatti, può non avere in questo momento l’importanza reale che noi vorremmo adesso attribuirgli, ma potrebbe averla domani; e, quindi, per superare possibilità di attriti, mantenendo fin dove sarà possibile l’unità spirituale di tutti gli italiani.

Ma una seconda considerazione ci spinge a questo; e questa volta la considerazione si rivolge agli amici del partito comunista: è che il problema della futura sistemazione del nostro Paese – badate bene – non è un problema che si possa risolvere a colpi di maggioranza, perché un Paese che soffre, un Paese che ha tante ferite quante il nostro, non può essere curato solamente da una parte e con un metodo soltanto. L’Italia si potrà salvare solo quando tutte le forze politiche, che questa salvezza fortemente desiderano, riusciranno a trovare un qualche cosa che le faccia amalgamare, che le induca a mettersi sul serio a tavolino e a dire: adesso lavoriamo per risollevare questo Paese.

Se noi dalla votazione di oggi potessimo trarre l’auspicio di una futura realizzazione in questo senso, la lunga discussione dell’articolo 5 potrebbe trovare un largo compenso nel beneficio infinito che al Paese deriverebbe dalla concordia degli intenti, per la soluzione di tutti gli altri problemi che oggi incombono sulla vita nazionale. (Vivi applausi al centro e a destra).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare, per dichiarazione di voto, l’onorevole Sforza. Ne ha facoltà.

SFORZA. Onorevoli colleghi, sarò brevissimo perché parlo a titolo esclusivamente personale, benché sicuro della liberale tolleranza dei miei amici politici. E sarò brevissimo perché credo – nel caso mio – che più si è brevi, più si è chiari.

Ciò che occorre al Paese il quale, come tutti i Partiti hanno lealmente riconosciuto, aspira unanime alla pace religiosa, è la certezza che le forme dall’apparenza più solide non celino nel loro seno causa o pretesti di lotta futura che tutti deprechiamo. Questa certezza la mia coscienza l’ha trovata nelle dichiarazioni del relatore della maggioranza della Commissione per la Costituzione, che per di più è un autorevole rappresentante non solo della Democrazia cristiana, ma della tendenza che in quel partito si è rivelata per sostenere la formulazione dell’articolo 7.

Nel discorso, che ho ascoltato con grande attenzione, l’onorevole Dossetti ha dichiarato, con quella autorità che gli viene dalla sua posizione di relatore e dalla sua rara dottrina in materia, che, col riferimento esplicito ai Patti lateranensi, non si è voluto costituzionalizzare l’enorme contenuto del Trattato e del Concordato, ma stabilire solo, per la pace morale degli italiani, la cui grande maggioranza è cattolica, qual è il regime scelto dalla Costituzione per quanto riguarda il regolamento dei rapporti fra Stato e Chiesa.

Ho citato fin qui l’onorevole Dossetti. È chiaro, dunque, che un giorno potrà serenamente venire in cui lo Stato e la Chiesa si accordino per eliminare o migliorare certe clausole, quali, per esempio, da parte della Chiesa talune che conservano dei resti, a mio giudizio superflui, di giurisdizionalismo dinastico. Ai discendenti di repubblica e ai mazziniani di oggi non dispiacerà quel giorno di scoprire che un altro ardente repubblicano e mazziniano votò questo articolo perché sentì nel profondo della sua coscienza che i vantaggi di votarlo, vantaggi nazionali e anche, assicuro, internazionali, saranno di gran lunga superiori ai pericoli che, ne sono certo, l’avvenire mostrerà quanto sono vani. (Vivi applausi al centro).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare, per dichiarazione di voto, l’onorevole Bergamini. Ne ha facoltà.

BERGAMINI. Semplice e brevissima dichiarazione di voto, perché io non rappresento nessun partito. Il mio partito, del resto, è esile, almeno qui, nel quasi deserto mio settore, come vedete: ad ogni modo non posso arrogarmi l’onore di rappresentarlo. Io sono un isolato, un solitario nella mia fede, che coltivo da tanti anni e non muta. Chiedo alla cortesia del Presidente e dell’Assemblea di ricordare che quando i Patti lateranensi vennero dinanzi al Senato io votai contro. (Approvazioni a sinistra). Aspettate! Non sapete ancora come finirà. (Si ride).

Fummo sei a votare contro: sei su 323 senatori. (Commenti).

Io fui molto urlato, in quell’aula severa e, per solito, composta: urlato più del grande maestro Benedetto Croce, che aveva pronunciato un discorso alto di dottrina e acuto di pensiero, più di Albertini, più di Ruffini e più degli altri due, Paternò e Sinibaldi. Non ho mai saputo il motivo di questo speciale riguardo, che mi usarono i miei colleghi.

Ora io desidero dire qui che votai contro per due motivi: il primo, che io avevo il proposito fermo, irriducibile, inflessibile di non votare mai per Mussolini, che aveva calpestato la libertà, e per venti anni ho seguito questo deliberato principio di massima.

È una teorica discutibile e fu discussa ed ebbi anche osservazioni e rampogne da amici e colleghi.

Nonostante ciò, ho persistito nella mia linea.

Il secondo motivo per il quale votai contro gli accordi del Laterano fu questo: io vedevo bensì la bellezza e il beneficio della pace religiosa data all’Italia dopo un lungo travaglio della sua coscienza, ma pensavo che un grande prestigio sarebbe derivato a Mussolini, come un’aureola, dal vanto di aver fatto finalmente la Conciliazione fra lo Stato italiano e la Chiesa, e questo prestigio maggiore risonante in Italia, in Europa, nel mondo, avrebbe cresciuto il potere di Mussolini: e ne sarebbe derivato un male che avrebbe forse annullato il beneficio della pace religiosa. Pur troppo il male c’è stato, superiore ad ogni previsione.

Onorevoli colleghi, nei discorsi di questa lunga ed appassionata e nobile discussione, la quale onora l’Assemblea, io ho sentito una nota viva uguale insistente, cioè il desiderio che la pace religiosa non sia turbata, sia anzi consolidata. Questa nota è vibrata specialmente nei discorsi degli oratori dei grandi partiti di massa, ha dominato dal settore dell’onorevole De Gasperi, e si spiega, al settore per esempio dell’onorevole Togliatti, e si spiega meno, specialmente per gli spiriti semplici, non adusati a penetrare nei misteri eleusini della politica.

Comunque la nota, che ha vibrato come un desiderio, come una speranza, come una necessità, è stata la pace religiosa. Orbene, perché essa sia meglio assicurata, perché sia elemento e auspicio di unità, di concordia nazionale, d’unione di forze tese alla rinascita dell’Italia, così dilaniata e infelice, per questo io voterò l’articolo 5 diventato 7 della Costituzione. E per un’altra ragione personale. In un’ora difficile, in cui io ero riuscito a fuggire da un luogo non piacevole, domandai asilo al Vaticano. Questo ben sapeva che io avevo votato contro i Patti dei Laterano, ma non esitò ad accogliermi in un primo asilo, poi in un secondo, a mano a mano che si palesava qualche pericolo, poi in un terzo dove trovai uomini politici di opposta tendenza, anche anticlericale. Per tutti fu uguale la protezione della Chiesa. Voterò dunque l’articolo 7, anche perché noblesse oblige. (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare, per dichiarazione di voto, l’onorevole Molè. Ne ha facoltà.

MOLÈ. Non avrei voluto parlare. Non ne avevo sentito prima il bisogno, perché, attraverso le fasi del fervido ma sereno dibattito, ascoltando gli oratori dell’una e dell’altra parte, in qualche momento in cui sembrava che si accorciassero le distanze, avevo sperato che si potesse giungere a una formula dei rapporti fra la Chiesa e lo Stato, capace di soddisfare le esigenze dell’Assemblea e di raccoglierne il voto unanime.

E tanto meno avrei preso ora la parola, dopo l’intervento dei grossi calibri, dopo aver inteso proclamare, nelle orgogliose dichiarazioni di coloro che conducono le grandi masse e si vantano – e hanno ragione – di poter determinare o risolvere le situazioni, la inutilità della partecipazione di coloro che hanno dietro di sé i piccoli partiti o che sono addirittura isolati e pare che ripetano qui dentro la frasetta melodrammatica: «io canto per me solo».

Ma tacere non è più possibile.

Dovessi parlare per me solo, sarebbe ora doveroso e necessario. Ma io non parlo per me solo, parlo per me e per gli amici che, dopo le dichiarazioni dell’onorevole De Gasperi, completate e ribadite dalle dichiarazioni dell’onorevole Togliatti, sentono il bisogno di una precisazione indispensabile.

L’onorevole De Gasperi ha posto un problema di coscienza: e quando si pongono problemi di coscienza, non ci sono né masse né partiti, né maggioranze né minoranze: ognuno ha la sua coscienza e ha il dovere di ubbidire al comando della sua coscienza e il diritto di rifiutare quel che la sua coscienza rifiuta.

L’onorevole De Gasperi, che tante volte ho ammirato per la serenità dello spirito e il senso di equilibrio ch’egli suole portare nelle discussioni, mi pare che oggi abbia sforzato il tono delle sue dichiarazioni, che hanno assunto un carattere veramente grave, quando ha spostato il dibattito, che si era mantenuto finora sul terreno giuridico, e l’ha portato sul terreno arroventato della impostazione religiosa. L’onorevole De Gasperi ha, in fondo, diviso l’Assemblea fra quelli che votano a favore e quelli che votano contro l’articolo 7, facendone due schiere: i reprobi e gli eletti. Ha posto alla base del voto non una concezione giuridica o un criterio politico, ma la esistenza o la inesistenza del sentimento religioso: un proposito di lotta fra cristiani e anticristiani. L’onorevole De Gasperi, rivolgendosi a questi settori, ha posto il problema in questi termini: ma insomma che cosa volete? Siete religiosi o atei? Riconoscete o disconoscete la validità del messaggio cristiano? Intendete o non intendete la importanza del problema religioso? Vi ponete o non vi ponete in opposizione col Pontefice? Ricordate o dimenticate che in Italia quaranta milioni di cittadini sono cattolici? No. Voi disconoscete questi valori che sono essenziali per la coscienza del popolo italiano. E allora che cosa volete? Volete riaprire la questione romana? Volete iniziare di nuovo la lotta religiosa? Votando contro l’articolo 7, voi accendete le fiamme malefiche di una guerra di religione.

Più grave è stato l’intervento dell’onorevole Togliatti, perché ha dato riconoscimento a questa impostazione pericolosa.

Rispondendo all’onorevole De Gasperi l’onorevole Nenni aveva detto: «Che cosa è questa dichiarazione? Una dichiarazione di lotta? Io non l’accetto». Il duello è infatti come il matrimonio. Si fa in due. Non consente il monologo. Ma l’onorevole Togliatti, dopo aver ammesso che il duello ha bisogno di due contendenti, ha ricordato che la guerra si può proclamare da uno solo e l’altro finisce con l’accettare. E appunto per evitare questa dichiarazione di guerra e perché pensa che questa guerra sarebbe perniciosa per il nostro Paese, mentre tanti problemi urgono e affaticano gli uomini responsabili, l’onorevole Togliatti ha dichiarato che voterà a favore dell’articolo 7 (mentre egli è contrario all’articolo 7) proprio come l’onorevole Nitti, cui aveva poco prima rivolto la punta di un’ironica critica, e che come lui aveva affermato, sia pure con una frase meno felice, di votare contro coscienza.

Ebbene, onorevole De Gasperi, noi ci rifiutiamo di accettare questa impostazione del dibattito, anche se essa viene indirettamente ribadita dall’onorevole Togliatti. E tanto meno possiamo accettare il significato che voi attribuite al nostro voto contrario.

Io non intendo – di questo voto – ripetere i motivi assolutamente estranei a ogni contrasto religioso. Sarebbe inutile e ozioso, dopo che tanto si è discusso. Abbiamo ascoltato eloquenti discorsi giuridici, appassionati discorsi politici: questo argomento è stato sviscerato in ogni sua parte dalle due correnti in contrasto. Io mi limito, onorevoli colleghi della Democrazia cristiana, a dirvi, con assoluta convinzione e onestà di coscienza, che alcuni emendamenti, come quello dell’onorevole Basso, avrebbero potuto essere votati da tutti: da voi e da noi, perché soddisfacevano le vostre e le nostre esigenze.

L’emendamento Basso dice: «La Chiesa cattolica è, nell’ambito suo proprio, libera e indipendente. I rapporti fra lo Stato e la Chiesa cattolica sono regolati in termini concordatari». Approvandolo, avremmo, con particolare solennità, proclamato la situazione di assoluta autonomia e libertà della Chiesa cattolica. E senza inserire unilateralmente nella Costituzione i Patti lateranensi, avremmo riaffermato il principio del regime concordatario che non è più la separazione della Chiesa dallo Stato – secondo la classica dottrina liberale delle parallele che s’incontrano all’infinito – ma la conciliazione della Chiesa con lo Stato: è, cioè, in armonia con la storia, lo sviluppo ulteriore dei rapporti fra le due potestà, autonome e collaboranti, ma senza sovrapposizioni pericolose per l’una e per l’altra.

Perché non l’avete accettato? Nessuna questione, come questa, esigeva, da parte di tutti, la ricerca e l’approvazione unanime di una formula che impedisse, a quelli che sono dentro o fuori di quest’aula, la speculazione ai beneficî di una o di un’altra corrente politica. È avvenuto quello che non doveva avvenire, ed io ne sono particolarmente dolente, avendo fatto invano opera di mediazione e di persuasione.

Ma, poiché siamo arrivati a questo punto, dichiaro che non possiamo accettare la interpretazione che voi date al nostro sentimento e il valore che volete dare al nostro voto contrario. L’interpretazione del nostro voto la facciamo noi, autenticamente, non l’accettiamo dagli altri.

Parlo per me e non solo per me. Io non sono democratico cristiano, ma sono cristiano e democratico, come cristiani e cattolici sono molti socialisti, repubblicani, azionisti, laburisti in questi settori di sinistra, i quali intendono l’importanza del fattore religioso, l’universalità del messaggio cristiano e non pensano di riaprire la sepolta questione romana o di disconoscere la maggioranza dei cattolici che sono in Italia.

Appunto per questo con la Chiesa cattolica abbiamo accettato l’affermazione del regime concordatario. Sarebbe ridicolo porre sullo stesso piano quaranta milioni di italiani – siamo d’accordo, onorevole De Gasperi – con una setta di mormoni. Ma se intendiamo tutto il valore di questo problema, non intendiamo – votando contro l’articolo 7 – di offendere il sentimento cattolico. E ricordo a voi che, se noi votiamo in questa maniera, muoviamo nel solco di uomini politici che erano cattolici come voi. Un nome: Emanuele Gianturco. Egli era una fervida coscienza di cattolico osservante e fu insieme uno dei più alti esemplari del liberalismo italiano. Egli disse: «nessuna abdicazione dei diritti dello Stato, ma nessuna persecuzione, nessuna provocazione, nessuna menomazione della fede nel cuore degli italiani. Il nostro Stato è laico, non ateo. Ed io vi dico che fra tante cose che facciamo qua dentro e che il Paese non capisce, quello che il Paese capirebbe meno sarebbe appunto la lotta religiosa».

Noi procediamo in questo solco. E col nostro voto contrario non vogliamo iniziare nessuna guerra religiosa, esiziale pel nostro Paese; né voi avreste, pel nostro voto contrario, il diritto di dichiararcela.

Vi auguro, onorevole De Gasperi, che tutti i persecutori, tutti quelli che intendono di perseguitare la religione cattolica, siano come noi. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare, per dichiarazione di voto, l’onorevole Cianca. Ne ha facoltà.

CIANCA. L’onorevole Calamandrei ha spiegato, attraverso i suoi interventi, nelle discussioni che hanno preceduto questo voto, le ragioni per cui il gruppo autonomista negherà la sua approvazione all’articolo 7. Dobbiamo aggiungere che alcuni dei discorsi pronunciati oggi nella seduta pomeridiana ci hanno ancor più convinti che questo nostro atteggiamento risponde non solo alla necessità di rispettare veramente il principio della libertà di coscienza, che implica l’uguaglianza di tutte le fedi, ma al dovere di difendere la sovranità integrale dello Stato nel quadro della situazione creata dalla liquidazione definitiva della questione romana e la stessa pace religiosa.

L’onorevole De Gasperi, come l’onorevole Molè ha testé rilevato, ci ha posto dinanzi ad una alternativa che giudichiamo, se ci permette, artificiosa. Respingere l’inserzione dei Patti lateranensi nella Costituzione equivarrebbe per lui a compiere un atto di ostilità contro la fede cattolica. È facile replicare che qui la fede e la morale evangelica non sono in giuoco. Un buon cattolico rimane tale anche se postula l’esigenza che i Patti concordatari siano messi in armonia con la Costituzione, legge fondamentale dello Stato repubblicano. Se mai, l’atto di guerra è venuto, come l’onorevole Togliatti ha documentato con i suoi ricordi e con le sue citazioni, dall’altra parte; della quale l’onorevole Togliatti dichiara di accettare, o meglio di subire, la volontà per motivi di cui francamente noi non siamo persuasi.

Ma l’onorevole De Gasperi ha anche fatto accenno all’esistenza di un rapporto che, secondo lui, legherebbe l’approvazione dell’articolo 7 al consolidamento delle istituzioni repubblicane. Ci consentirà di dirgli che il tono di queste sue dichiarazioni ci pare alquanto diverso da quello che animava altre dichiarazioni da lui fatte quando dal banco del Governo esaltava giustamente la Repubblica come conquista di popolo. Comunque noi abbiamo compreso, allo stesso modo con cui ha compreso l’onorevole Togliatti, e diciamo che questa conquista popolare è irrevocabile e non sottoposta a limitazioni estranee e a condizioni. (Interruzioni al centro).

Una voce al centro. Ha compreso male.

CIANCA. Ho ascoltato con molta attenzione e credo di avere una facoltà di capire per lo meno uguale alla sua.

Potremmo ricordare, senza meschino spirito polemico, che nei Patti lateranensi è almeno acquisito che la capitale dello Stato italiano è Roma e non la Città del Vaticano. Ed è precisamente in rapporto alla sovranità e alla responsabilità dello Stato che noi, tenendo conto della realtà storica per cui la fede cattolica è professata dalla grande maggioranza dei cittadini, nel nostro emendamento abbiamo riconosciuto l’opportunità di regolare, anche in avvenire, i rapporti tra la Chiesa cattolica e lo Stato in termini concordatari, i quali però siano in armonia con le disposizioni della Costituzione che noi, rappresentanti del popolo, stiamo deliberando.

L’onorevole Togliatti e altri oratori hanno rimproverato alla Democrazia cristiana di essersi irrigidita su una linea di intransigenza. Il rimprovero giova a precisare le rispettive responsabilità rispetto all’atto che oggi si compie e alle conseguenze che se ne temono. Ma noi pensiamo, in verità, che l’ostinazione democristiana, ponendo e affrontando il problema nei suoi termini duri, serva a stabilire in modo netto le posizioni reciproche, evitando reticenze ed equivoci.

La nostra posizione risulta chiaramente dall’emendamento, sul quale insistiamo.

L’onorevole Togliatti ci ha detto oggi, come l’onorevole Nitti ci aveva detto in una precedente seduta, che l’inserzione dei Patti lateranensi nella Costituzione, pur da essi negativamente giudicata, deve essere accettata per non assumersi la corresponsabilità di compromettere la pace religiosa.

L’onorevole Calamandrei ed altri oratori hanno spiegato come la pace religiosa, la quale preesisteva ai Patti lateranensi, sia piuttosto minacciata da quella inserzione.

Comunque, noi pensiamo che la difesa della pace religiosa non presuma né richieda la unanimità dei consensi.

Noi crediamo nella funzione della democrazia ed è proprio della democrazia fondare la stabilità degli ordinamenti politici sul gioco fecondo delle maggioranze e delle minoranze; giuoco nel quale si compongono i dissensi, che in ogni regime democratico derivano dal pieno esercizio della libertà di opinione.

Chi mira a soluzioni unitarie delle grandi contese politiche ha un concetto della democrazia diverso dal nostro.

Di fronte al voto, che raggrupperà intorno all’articolo 7 forze politiche di origine e di finalità assolutamente diverse, le formazioni parlamentari della democrazia aconfessionale si schierano in atteggiamento compatto ed omogeneo per la difesa di fondamentali valori morali e politici, di cui nessuna tattica potrebbe giustificare la rinunzia. (Applausi a sinistra).

Esse – e qui mi rivolgo ad alcuni colleghi liberali – sentono di assumersi legittimamente anche la eredità del pensiero più prezioso di Cavour e di Spaventa.

È così, onorevole De Gasperi, che noi ci proponiamo di compiere il nostro dovere per il consolidamento della Repubblica, al di sopra d’ogni spirito di parte e d’ogni calcolo contingente.

Voteremo contro l’articolo 7, proposto dalla Commissione; manterremo il nostro emendamento, e, se questo sarà, come è facile prevedere, respinto, daremo il nostro consenso a quelli che si avvicinano, in forma e in misura diverse, al nostro emendamento, e che saranno anch’essi naturalmente respinti.

Di là dai risultati di questo voto, noi rivendichiamo per il fronte democratico, che si è costituito in questa occasione, il compito di creare, come forze di riserva, le basi per una pace religiosa, che non sia fondata sul compromesso politico, ma sulla matura coscienza democratica del popolo italiano. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare, per dichiarazione di voto, l’onorevole Calosso. Ne ha facoltà.

CALOSSO. Vi prego di scusarmi; sarei lieto di essere interrotto amichevolmente, se il Regolamento lo permettesse.

Credo che il nostro voto di opposizione sia in armonia con le regole organiche di una sana opposizione, perché anche e sostanzialmente vuole essere un aiuto alle maggioranze, per quei valori cristiani che la maggioranza sostiene. Ora, noi sinceramente crediamo in quei valori di libertà di coscienza che hanno la loro radice nel Cristianesimo.

A questo nostro proposito, parlamentarmente sano, non crediamo veramente che la maggioranza abbia risposto venendoci incontro con eguale atteggiamento. Guardate: l’articolo 7 non ha, in fondo, alcuno dei requisiti di una buona Costituzione. Quale è, infatti, il principio di una buona Costituzione? Quello di trattare soltanto dei problemi che la realtà pone; porre cioè delle pezze, dei rammendi a ciò che la realtà storica, in pratica il fascismo, ha rivelato. Fuori di lì siamo nell’utopia, cioè nella reazione. Ora, questo articolo 7 nasce dal nulla; i Patti lateranensi stipulati da Mussolini chiudevano un secolo di lotta contro l’unità d’Italia, contro i clericali.

Ora, non erano una cosa elegante, io credo, questi Patti; nessuno di voi affermerebbe, io credo, che fossero una cosa elegante. Ebbene, quando è venuta la liberazione, noi socialisti, e la sinistra in genere, non mettemmo alcun accento su questo fatto. Il Trattato era fuori discussione per tutti e anche sul Concordato si chiudeva un occhio, lasciandolo dormire, poiché si sperava che arrivasse un giorno in cui la questione si potesse manifestare in modo più profondo.

Ora, così, dal niente, la Democrazia cristiana ha tirato fuori il problema; non è bastato risuscitarlo, ché non esisteva; essa ha voluto una legge; non è bastata una legge, essa ha voluto includerlo nella Costituzione. Io vorrei che anche coloro i quali lo votano ammettessero che c’è una punta di eccesso in questo, una punta di fanatismo, una oscura coscienza che ciò non ha radici; io non so se vi sia uno qui dentro che possa non darmi ragione.

Di che cosa avete paura? Del laicismo? Parola quasi abbandonata: laico, che cosa vuol dire? Uomo comune. Eppure il cristiano non ha mai abbandonato questo odio verso tale parola. Quando una legge non risponde ad una necessità immediata, anche grossolana, ma evidente, notate sempre – c’è l’esempio di mille Costituzioni – non manca mai di creare i problemi che si illude di poter risolvere; è una regola assoluta questa.

Ora, la nostra paura quale è? Che questo articolo, 5 o 7 che dir si voglia, sia una bandiera, in fondo, per il risorgere dell’anticlericalismo. Non c’è bisogno, infatti, di essere figli di profeti par dire che l’avete fatto rinascere voi l’anticlericalismo. Vi valga di testimonianza quella del compagno Nenni il quale, nel giornale che dirigeva e che anche oggi dirige, prevedeva questo fatto e vi disse appunto come voi facciate rinascere l’anti-clericalismo e come dobbiate assumervene la responsabilità.

Che cosa vogliamo noi? Togliere la religione dal campo polemico, politico. È un desiderio autentico, perché siamo interessati a vincere una grande battaglia: quella di togliere il popolo italiano dalla miseria; e noi pensiamo che solo il socialismo potrà veramente risolvere questa questione, come diceva Gramsci, che fu anche mio compagno in quell’università di cui parlava Togliatti. Egli appunto diceva: questa è una verità; perché? Perché il problema religioso in Italia non può essere messo più nei limiti delle parole di quelli che l’onorevole Corbino chiama conservatori, non può essere messo dai cavouriani.

In America, per esempio, dove la Chiesa è trattata liberalmente – e benissimo trattata – si presuppone la ricchezza, il liberalismo, cioè che la Chiesa sia mantenuta dai fedeli. Ciò non potrà essere in una società ordinata, dove la Chiesa in futuro non potrà reggersi su questa forma liberale e capitalistica, ma dovrà entrare in una forma di socializzazione. Come il socialismo ha socializzato la medicina, perché non dovrebbe essere possibile socializzate economicamente anche il servizio religioso? (Commenti al centro). Non c’è dubbio, il socialismo garantirà la libertà di tutte le opinioni, e smentirà quella che è in fondo una leggenda assai diffusa: che la Chiesa sia ricca. La Chiesa è povera. Il parroco di campagna, e più ancora quello di città, è di solito un uomo povero. E questo genere di problemi mi pare possa essere trattato in quest’aula. Perché? Perché sono problemi unicamente economici e politici che non toccano la coscienza. Il prete cattolico, il pastore valdese, il rabbino, l’apostolo del libero pensiero rendono anche essi un servizio: diminuiscono le spese di polizia. (Commenti al centro).

Ora, questo articolo 7 è fondamentalmente corrotto. Perché? Perché non nasce da un accordo sostanziale. Esso implica la divisione della Nazione. Voi avete fatto un atto di forza. L’onorevole De Gasperi ha contato dei numeri, che noi non ignoriamo. Però in questo genere di cose, dove la coscienza è implicata – ho letto una volta una lettera di un certo Pietro, che è sepolto qui a Roma, in cui si dice: «Dinanzi a Dio, uno è come mille» – in questo genere di cose non possiamo contare i numeri. Possiamo contarli quando trattiamo di problemi economici; non possiamo contarli in questa materia. Voi riducete lo spirito a materia; siete in fondo materialisti. (Applausi a sinistra Commenti al centro).

Quale sicurezza avrà il vostro articolo 7? Vediamo la questione in spiccioli: la sicurezza in fondo ve la dà Togliatti. Io auguro a Togliatti di essere immortale; ma anche se egli sarà immortale, potrebbe forse morire l’idea; e un accordo basato su queste radici mi pare assolutamente non pratico. Da che cosa nasce questo accordo della maggioranza? Nasce dall’interesse comune che in fondo la religione va lasciata a dei corpi tecnici. L’ho letto su un giornale democristiano; me l’ha detto più volte l’onorevole Quarello. Voi ci tenete a che noi facciamo soltanto della politica; e non sentite in quest’aula una parola, dall’accento autenticamente religioso, che è la preghiera della Costituente, anche se dice il Pater noster e impone il Veni Creator. Questo vostro accordo e questa vostra azione nasce dal sottinteso, scettico, in fondo, o bigotto, che è lo stesso, che la religione non conta un gran che. Voi ci domandate di tener poco conto del Cristianesimo…

FUSCHINI. Questo non è serio!

CALOSSO. Volete che vi diamo il voto all’articolo 7 su questa base di disprezzo del Cristianesimo? Eppure è la base sulla quale voi avete una maggioranza! Noi non crediamo di essere autorizzati dalla nostra coscienza a darvi questo voto.

Uscendo dall’aula alle 20, ho avuto l’impressione – posso sbagliarmi, ma ditela la verità – che eravamo tutti un po’ scandalizzati, ed ho sentito dire: qui c’è un’atmosfera di gesuitismo in giro (Commenti Proteste al centro); perché quello che abbiamo dato, in fondo, è uno spettacolo di gesuitismo ed uso questa parola nel senso che ha comunemente per noi italiani. (Interruzioni dell’onorevole Micheli).

II gesuitismo ha sempre vinto le sue battaglie da trecento anni a questa parte; ma ha perduto tutte le guerre. Se la Chiesa potesse tornare indietro di cento anni muterebbe certamente il suo atteggiamento, perché noi oggi facciamo un’altra politica.

Noi diciamo: fate un’altra politica, non date scandalo al Paese. Noi sentiamo che da questa maggioranza il Paese è scandalizzato. (Approvazioni a sinistra Proteste al centro).

Noi abbiamo il dovere di educare il popolo, di educare il Paese, e nessuno può dire che lo stiamo educando con questo spettacolo. Perché voi avete commesso questo errore? (Commenti). Io credo che sia per un eccesso di senso legale, perché voi avete un eccesso del senso della legge. Voi credete che la legge sia qualche cosa di essenziale. Questo concetto legale della religione, questo atteggiamento per cui voi avete voluto, con affanno ed ingordigia, mettere questa legge addirittura nella Costituente, potrà chiamarsi un atteggiamento musulmano, che è un atteggiamento pure religioso, ma non è cristiano, perché il popolo italiano è ancora cristiano e non è musulmano fino a questo punto! Il vostro compito storico di cattolici…

FUSCHINI. Non ce lo faremo insegnare da lei! Non aspettiamo che lei ci faccia scuola!

CALOSSO. Voi uscite da venti anni di dittatura e da una guerra. Anche in un altro dopo guerra, nel dopoguerra napoleonico, vi fu un’ondata di religiosità, in Francia. Anche questo sorgere degli stessi partiti democristiani, anche se non troppo cristiani, è una prova di questo fatto.

Noi avevamo visto anche in Ispagna cos’è questo anticlericalismo, o questo clericalismo, che sono poi la stessa cosa rovesciata.

Noi non siamo tattici, diciamo le cose alla buona. Voi non avete saputo cogliere questa occasione, come non avete saputo coglierla nel dopo-guerra napoleonico, nel quale, pure, era sorto un uomo: il Manzoni. La maggioranza dei cattolici seguì allora l’altra strada, per cento anni: avete quindi fallito, in fondo, il vostro scopo storico, avete creato, state creando un anticlericalismo. Noi faremo di tutto per impedirlo. (Rumori Proteste al centro). Non credo che lo faremmo dandovi un voto: voi credete che vi aiutiamo di più, noi, o l’onorevole Togliatti? Ditelo voi, chi aiuta di più il Paese in questo momento! Io disapprovo l’atteggiamento dei comunisti in questo caso; lo sento estraneo al mio spirito, perché ritengo che un’opposizione del nostro tipo sia profondamente migliore di un voto puramente tattico che vi disprezza, in fondo. (Approvazioni a sinistra Vivaci proteste al centro).

Il discorso di Togliatti è un’umiliazione per tutti i cattolici italiani! (Applausi a sinistra Vivaci proteste al centro).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare, per dichiarazione di voto, l’onorevole Gasparotto.

Ne ha facoltà.

GASPAROTTO. Per debito di sincerità, che è comune a tutti, e per quanto particolarmente mi riguarda, per dovere di coerenza alle idee costantemente professate nella ormai lunga mia vita, dichiaro che, ove fosse mantenuto e posto in votazione l’articolo 7 come formulato dalla Commissione, mio malgrado dovrei votare contro.

Sarei invece lieto di dare il mio voto favorevole ad un emendamento chiarificatore, come quello presentato, ad esempio, dall’onorevole Bassano, inquantoché con esso si fissa irrevocabilmente nella Costituzione della Repubblica il riconoscimento giuridico e politico della sovranità della Santa Sede nell’ordine internazionale, a suggello della pace religiosa già lealmente accettata dal Paese, mentre si ammette la eventuale rivedibilità dei patti concordatari.

Secondo questa interpretazione e seguendo questi intendimenti, io ritengo che si chiuderebbe in piena concordia di spiriti e per libero voto di Parlamento la cosiddetta «questione romana» che ha travagliato la nostra giovinezza – per lo meno la mia giovinezza – ed ha ritardato di tanti anni l’affermazione dell’unità morale degli italiani.

E l’anticlericalismo, nel quale molti di noi abbiamo militato, si riconosce, indipendentemente dai Patti del Laterano, superato di fronte alla Chiesa di Roma che nei giorni più difficili per le libertà europee ha difeso tutte le libertà, anche e soprattutto di quelli che militavano fuori della Chiesa, conquistando di fronte alla storia una benemerenza che è superiore a qualsiasi vittoria militare.

Onorevole De Gasperi, malgrado la mia personale deferenza; onorevole Togliatti, malgrado la mia personale simpatia, credo che un voto in questo senso non attenterebbe alla pace religiosa, ma le darebbe il prestigio di più largo consenso. (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare, per dichiarazione di voto, l’onorevole Pacciardi.

Ne ha facoltà.

PACCIARDI. Onorevoli colleghi, non era previsto dal mio gruppo che io prendessi la parola in questo dibattito, un dibattito elevato, altissimo, che purtroppo, dopo l’abbraccio ideale fra l’onorevole Togliatti è l’onorevole Corbino, per l’occasione disceso dalla forca, per l’educazione politica del Paese che ne ha tanto bisogno, per i principî di cui il Paese nella sua ricostruzione morale ha ugualmente tanto bisogno, è finito in un modo strano, per non dire mortificante.

Avremmo preferito, noi del gruppo repubblicano, e l’avevamo già designato, come l’onorevole Presidente sa, che parlasse non un repubblicano tradizionale, sospetto quindi quale io sono, ma un cattolico professante che fa parte, col vostro permesso, come altri cattolici professanti fanno parte, del nostro gruppo, per dire le ragioni per le quali noi voteremo contro l’articolo 7.

Ma i riflessi politici che questo dibattito ha avuto, forse imponeva che anche il rappresentante del gruppo repubblicano dicesse la sua parola ed esprimesse il suo pensiero.

Noi ci domandiamo ancora perché – ce lo domandiamo sinceramente, quasi ansiosamente – si è provocato questo dibattito. Chi ha attentato, chi voleva attentare, chi aveva messo in discussione i Patti del Laterano?

Nessuno. Anche noi che siamo i discendenti di quella scuola, di quella milizia che, me lo concederete, ha un poco contribuito a fare l’Italia così com’è, gelosa della libertà di coscienza, anche noi non avevamo mai espresso il desiderio di discutere in questo momento i Patti Lateranensi.

L’onorevole Cingolani sa perfettamente che, salutandolo con grande affetto in una grande manifestazione cui prese parte due anni fa, al Gianicolo, in commemorazione della Repubblica romana del 1849, io dichiarai a nome del Partito repubblicano solennemente – solennemente per la circostanza, per la data – che nel nostro Paese l’anticlericalismo era morto, e non sarebbe risorto, se la Chiesa non avesse voluto che fosse risorto. Questa dichiarazione noi abbiamo ripetuto spesso e vi abbiamo uniformato la nostra condotta.

Ci pareva che un Paese, uscito da questa disfatta e che brancola ancora fra i suoi cimiteri, fra le sue rovine, un Paese che ha ancora 7.000.000 di vani distrutti, oltre 1300 miliardi di debito pubblico, un Paese che ha 2.000.000 di disoccupati, avesse altri problemi da risolvere, anziché questi problemi che potevano essere rimandati senza danno.

Perché dunque voi avete provocato questo dibattito? Perché avete insistito che i Patti del Laterano venissero inclusi nella Costituzione dello Stato italiano?

Questa pretesa non l’aveste nemmeno col fascismo che era disposto a concedere tutto. La Chiesa non ha preteso che i Patti del Laterano fossero inclusi nello Statuto del regno di allora. (Commenti). Non c’è stata mai questa pretesa, per nessuno Stato del mondo, nemmeno per la cattolicissima Irlanda. Perché con la forza del numero avete imposto questa pretesa alla nascente Repubblica italiana? Perché, dite, avete sollevato questo dibattito?

Io spero che la risposta non sia sottintesa nelle dichiarazioni che abbiamo testé ascoltato dall’onorevole De Gasperi, che in forma molto velata e molto serena, almeno apparentemente, come egli sa fare, associava stranamente questo voto con la sicurezza e la stabilità della Repubblica.

Noi voteremo contro l’articolo 7, e diamo a questo voto un significato che elude da preconcette avversioni o adesioni ai Patti del Laterano ed al Concordato, che non vogliamo discutere in questo momento, e tanto meno vuol suonare offesa alla pace religiosa del nostro Paese. Noi vogliamo semplicemente per ora che i Patti del Laterano e il Concordato non vengano inclusi nella nostra Costituzione, ed in fondo, se vi devo dire tutto il mio pensiero, non ci dispiace questo accostamento, questa collusione, tra la estrema destra e l’estrema sinistra (Commenti).

Già vi annunziavo nel discorso di risposta alle dichiarazioni del Presidente del Consiglio che si sarebbe determinato nel Paese e anche nell’Assemblea un vasto schieramento democratico, sociale, sanamente repubblicano, e voi lo avete visto in atto, in molte votazioni, in questa Assemblea.

Io credo che la stabilità e la sicurezza della Repubblica siano più garantite da questo schieramento che si va sviluppando nel Paese, piuttosto che dai Patti del Laterano che vi accingete a votare senza il nostro consenso. (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare, per dichiarazione di voto, l’onorevole Selvaggi. Ne ha facoltà.

SELVAGGI. La mia dichiarazione di voto sarà breve, perché non ritengo che occorra un lungo discorso per tentare di dimostrare, se pure con molta abilità, che non vi è contradizione fra un voto e la linea di condotta politica di un partito.

Non nascondo che provo un senso di emozione, e credo che molti colleghi qui dentro provino, di fronte a questo atto al quale ci apprestiamo, una emozione, che credo naturale, perché il problema è soprattutto un problema di coscienza che investe la nostra coscienza religiosa.

L’articolo 5, oggi articolo 7, ha infatti per noi questo particolare carattere, carattere di coscienza che va al di fuori di questa stessa Assemblea ed investe la coscienza, religiosa di tutto il Paese: al di fuori e al di sopra del giuoco politico dei partiti. Si è invece cercato, si è tentato di trasformare questo problema in problema politico, si è cercato cioè di insinuare nella nostra coscienza quella passione naturale alla politica, alle ideologie e ai programmi politici. Dopo l’elevato dibattito che si è svolto su questo articolo fino a ieri, oggi per primo l’onorevole De Gasperi ha portato il problema nel campo politico. Egli ha parlato a nome del suo partito ed egli stesso ha detto di non parlar come Presidente del Consiglio. Se così avesse fatto avrebbe dato al problema un altro carattere, che avrebbe dovuto chiarire molti rapporti ed avrebbe posto le nostre persone di fronte ad un problema squisitamente politico.

Forse, me lo consenta l’onorevole De Gasperi, anche parlando a nome del suo Partito avrebbe fatto meglio a non usare delle parole poco generose non solo per i monarchici, ma anche per gli stessi repubblicani; perché le sue parole, con argomenti che non lasciano alternative, suonano un po’ come una legge eccezionale per un rafforzamento della Repubblica ed al tempo stesso dimenticano i dodici milioni di monarchici che ci sono in Italia.

Abbiamo dovuto così sentire qui dentro richiamare la Chiesa cattolica come parte in causa, mentre si tratta di un problema che investe la nostra coscienza e la coscienza religiosa degli italiani. Abbiamo dovuto sentire parlare di schiaffo e di disprezzo ai cattolici per il voto tattico dei comunisti.

Noi del Gruppo liberale democratico dell’Uomo qualunque guardiamo questo problema soprattutto dal punto di vista della coscienza religiosa, constatando lo stato dei fatti e la realtà spirituale del popolo italiano. Ecco il significato degli emendamenti da noi proposti al comma 1 e al comma 2 dell’articolo 5, oggi articolo 7: un significato molto chiaro, lineare, anche dal punto di vista giuridico, perfettamente coerente a quella tolleranza di cui la Santa Madre Chiesa ha dato sempre, e soprattutto negli ultimi tempi, ampia prova. Se questo emendamento non dovesse essere approvato, noi voteremmo l’articolo 7 dando ad esso questo preciso duplice significato: che la religione cattolica professata dalla maggioranza del popolo italiano è la religione dello Stato italiano e che per Patti lateranensi si intende soprattutto il Concordato lateranense. Ora, io ritengo che questo articolo sarebbe stato approvato, indipendentemente e al di fuori di quel trasformistico adattamento che l’abilità polemica e dialettica dell’onorevole Togliatti dà al Partito comunista, per il voto dei cattolici, veramente coerenti a loro stessi e alla loro coscienza al di fuori di ogni e qualsiasi speculazione politica.

Una voce all’estrema sinistra. Le dispiace se saranno in molti?

SELVAGGI. No, mi fa anzi piacere, perché questo fornisce il carattere politico che noi diamo all’articolo 7. Cioè, noi ci auguriamo che questa consacrazione della pace religiosa, conquista del popolo italiano, nella Costituzione del nuovo Stato italiano, attraverso un voto di molti, significhi una maggiore, una più ampia pacificazione, un accordo fra tutti gli italiani di buona volontà per la ricostruzione della nostra Patria e voglia anche significare un monito ed un insegnamento al mondo intero al di sopra di ogni fede religiosa. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. È inscritto a parlare, per dichiarazione di voto, l’onorevole Crispo. Ne ha facoltà.

CRISPO. Onorevoli colleghi, anche a nome dei colleghi liberali onorevoli Villabruna, Fusco e Bellavista, riassumo in una breve dichiarazione le ragioni per le quali noi, anche in disaccordo con gli altri colleghi del Gruppo liberale, respingeremo l’articolo 7. Premesso che il nostro voto non vuole avere alcun significato antireligioso, e non è informato a spirito di avversione alla Chiesa cattolica; considerato:

  1. a) che i Patti lateranensi non sono materia costituzionale;
  2. b) che la inserzione di essi nella Costituzione è in funzione di immutabilità, sia per la impossibilità di revisione costituzionale di Patti bilaterali, sia per la impossibilità di revisione concordata, non consentita, ove l’accordo si raggiungesse, dal carattere rigido della Costituzione;
  3. c) che non poche delle disposizioni contenute nei Patti sono in contrasto con lo spirito e con alcune norme della Costituzione;
  4. d) che la concezione di uno Stato confessionale cattolico, pone gli acattolici, e, in genere, gli agnostici in una condizione di evidente inferiorità;
  5. e) che l’articolo 7 riconduce i rapporti tra il nuovo Stato italiano e le Chiese entro lo spirito superato dell’articolo 1 dello Statuto albertino, del quale, sin dal 10 marzo 1848, Cavour auspicava la revisione, o una evoluzione che lo informasse al principio della libertà e della eguaglianza religiosa;
  6. f) che l’articolo 7 imprime un carattere retrivo all’atto di costituzione della Repubblica italiana, ed incide sulla sovranità dello Stato, menomandola;
  7. g) che del tutto immaginario è il pericolo della disgregazione morale del popolo italiano, e meno ancora sussiste quello di un conflitto religioso, già da tempo felicemente superato e composto;

per questi motivi dichiariamo di votare contro l’articolo. (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare, per dichiarazione di voto, l’onorevole Grilli. Ne ha facoltà.

GRILLI. Il Gruppo al quale io appartengo voterà contro l’articolo 7. Questa notizia non è destinata a fare colpo, come quella data dall’onorevole Togliatti. Noi non siamo degli uomini che guardano profondo; siamo meno complicati, più semplici, e ci piace la coerenza, anche se questo sentimento oggi incomincia a passare di moda.

Noi voteremo contro l’articolo 7 per diversi motivi, che non sto a spiegare specificatamente, perché sono stati già spiegati da molti altri oratori; mi limiterò quindi a riassumerli. Motivi di carattere giuridico: i Patti lateranensi non hanno carattere di legge costituzionale. La Carta costituzionale regola i rapporti interni dello Stato e non i rapporti tra Stato e Stato. Si tratta di principî di carattere elementare che non so come si possano trascurare. Vi sono poi motivi di ordine politico: la laicità dello Stato, prima del fascismo, costituiva una conquista definitiva del progresso civile e politico del popolo italiano. Il fascismo, che voleva stroncare soprattutto ogni possibilità di risveglio e di emancipazione della classe lavoratrice, ben sapendo che il socialismo ha bisogno soprattutto di un clima di libertà, soppresse tutte le libertà, rinnegando i principî della Rivoluzione francese e del Risorgimento italiano.

E per completare questo programma di reazione volle distruggere anche la libertà e l’uguaglianza dei culti, riesumando, coi Patti lateranensi, il privilegio dell’articolo primo dello Statuto albertino. Raggiunse così due obiettivi: completò lo sfacelo di tutte le libertà e si conquistò, non dico la solidarietà, ma un’indulgenza plenaria per le sue malefatte politiche. Ora che l’Italia è uscita, col sacrificio dei suoi figli migliori, dalla tirannia fascista, ha il dovere di cancellare ogni ricordo di quella politica che la condusse al disastro e di riconquistare tutte le libertà antiche per aprire la strada alle libertà nuove. Perché, io domando, come sarà possibile conquistare le libertà nuove, quelle che debbono favorire la realizzazione delle aspirazioni di giustizia sociale delle classi lavoratrici, se non riusciamo prima a riconquistare le vecchie libertà che costituiscono il fondamento della nostra vita civile? Sicché è necessario che lo Stato ritorni libero di correggere o modificare, quando sia necessario, i Patti che oggi lo legano alla Chiesa, il che sarebbe impossibile se i Patti lateranensi rimanessero inseriti nella Carta costituzionale. Ecco perché sentiamo l’imperativo categorico di votare contro l’articolo 7.

Ci si preoccupa della pace religiosa; ma perché la pace religiosa sia rotta, occorre che ci sia chi dichiara la guerra. Ora, io vorrei sapere chi dichiarerà la guerra religiosa nel caso, per esempio, in cui, invece dell’articolo 7 proposto dalla Commissione, venisse votato l’emendamento dell’onorevole Lami Starnuti o l’emendamento dell’onorevole Basso. Il popolo no, perché nessuno gli toglierebbe la sua libertà religiosa. Dovrebbe dunque essere la Chiesa; ma io sono troppo rispettoso della Chiesa per pensare che la dichiarazione di guerra dovesse venire di là. A mio parere è stata imprudente la parola che è venuta da quella parte dell’Assemblea, che cioè tra il sì e il no di questa votazione sta il sì e il no di una guerra religiosa; parola imprudente, a meno che non sia sorta per conquistare Togliatti. Se non c’è questo pericolo di una guerra religiosa, non c’è nessuna ragione perché noi dobbiamo sacrificare il nostro pensiero laico e la nostra passione per il trionfo di tulle le libertà. Ma questa ormai è discussione accademica, perché sappiamo tutti come andrà a finire questa votazione. Indubbiamente l’articolo 7 proposto dalla Commissione passerà e con esso i Patti lateranensi – frutto, nessuno si abbia a male delle mie parole, d’una specie di circonvenzione di incapace – passeranno trionfalmente nella legge fondamentale della Repubblica italiana.

Auguriamoci che questa notizia giunga più tardi possibile laddove riposano i numi tutelari della Patria, Garibaldi e Mazzini.

(Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare, per dichiarazione di voto, l’onorevole Caroleo. Ne ha facoltà.

CAROLEO. La mia è una voce isolata di indipendente; rappresento soltanto me stesso ed i cittadini cattolici, che hanno creduto di mandarmi in questa Assemblea, e dei quali in questo momento sento il dovere di interpretare gli intimi sentimenti, votando a favore dell’articolo 7 nella dizione del progetto di Costituzione.

In questa Assemblea si è fatto appello, in un certo momento, alla sensibilità, alla coerenza degli uomini di legge. Ed io sono uno dei tanti, indubbiamente il più modesto, a cui si è pure presentato quest’aspetto giuridico del problema, al quale forse non è stata data quella importanza, che avrebbe in concreto. Perché le gravi ragioni politiche, che militavano a favore dell’articolo 7, si sono, in certo qual modo, superate, a mio parere, con una superflua disamina dell’aspetto giuridico.

Mi sembra, colleghi, che, facendo ricorso ai fondamentali canoni che presiedono la prassi legislativa e la cui imperatività si accentua nella materia costituzionale, sia facile avvertire che il richiamo dei Patti lateranensi nella Costituzione non possa significare contrasto, incoerenza, discordia con quei precetti di libertà, che sono sanciti nella nuova carta, non soltanto di fronte ai cittadini d’Italia, ma dinanzi ai cittadini di tutto il mondo e di qualsiasi confessione religiosa.

Quel richiamo, come è stato largamente esposto e spiegato da parte democristiana, significa soprattutto riconferma solenne d’un principio di fedeltà ai patti, che, se doveroso nelle relazioni giuridiche comuni, maggiormente si impone in quei superiori rapporti, che attengono la parte migliore e più nobile della personalità umana, al disopra e al difuori, mi si permetta, di qualsiasi riforma industriale o agraria. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare, per dichiarazione di voto, l’onorevole Scotti Alessandro. Ne ha facoltà.

SCOTTI ALESSANDRO. Vi parlo, onorevoli colleghi, quale rappresentante del partito dei contadini, certo di interpretare il sentimento di questa grande classe, la quale desidera di unire la fede alla Chiesa cattolica, alla quale crede, l’amore della patria che vive, l’amore del lavoro, votando per i Patti lateranensi inclusi nella Costituzione, Patti lateranensi che hanno dato la pace religiosa all’Italia, augurando che questa pace religiosa sia auspicio della pace sociale della nuova Repubblica, la quale deve trovare in questa pace sociale la prosperità e il benessere. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare, per dichiarazione di voto, l’onorevole Bruni. Ne ha facoltà.

BRUNI. Farò una brevissima dichiarazione, a nome del Partito cristiano sociale. Su di me non ha fatto nessuna presa né il discorso dell’onorevole Dossetti, di alcuni giorni fa, né quello dell’onorevole Togliatti di questa sera. Dichiaro perciò di votare contro l’articolo 7, per le ragioni già da me largamente esposte il 14 corrente, e più precisamente contro il secondo comma, in quanto la menzione dei Patti lateranensi quivi fatta senza discriminazioni e senza sufficienti chiarimenti e precisazioni, non costituisce affatto una dizione talmente chiara da assicurare tutti i cittadini che non saranno turbati nel godimento dei loro inalienabili diritti di uguaglianza; né la giudico sufficiente a saldare l’unità spirituale di tutti gli italiani.

Ho ritirato l’emendamento già da tempo proposto al secondo comma dell’articolo 7, perché lo giudico in parte riassorbito nell’articolo sostitutivo proposto dall’onorevole Calamandrei. Ma, fedele alla sostanza del mio emendamento, debbo d’altronde dichiarare che non accetterei neanche l’articolo sostitutivo dell’onorevole Calamandrei, se non con un’aggiunta alla fine del secondo comma, la quale dicesse: «sulla base dei Patti lateranensi», in modo che tutto il comma venisse a suonare così: «I rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica sono regolati mediante concordati, in conformità con i principî della presente Costituzione, sulla base dei Patti lateranensi».

Benché d’accordo, in linea teorica e giuridica, con tutto l’articolo sostitutivo dell’onorevole Calamandrei, ritengo tuttavia che una menzione dei Patti sia, oggi, politicamente una necessità, un atto di saggezza politica. Senza questa menzione, sarei costretto ad astenermi quando si voterà questo articolo sostitutivo e tutti gli altri che gli assomigliano.

I cristiano-sociali, fedeli alle loro convinzioni più profonde, non vogliono nessuna legislazione, neppure l’ombra di una legislazione, che possa impedire o intralciare, o semplicemente turbare, sia pur minimamente in una sola anima, la sua continua ricerca della verità e il suo diritto a liberamente propagandarla.

Ciò costituisce il loro più profondo e caratteristico impegno d’onore.

Una volta salva questa loro esigenza (e l’articolo sostitutivo dell’onorevole Calamandrei la salva egregiamente), penso che sia mio preciso dovere di dichiarare che con l’escludere ogni e qualsiasi menzione dei Patti lateranensi dal testo costituzionale, dopo che essi furono accolti nel progetto, potrebbe servire ad incolparci di voler riaprire perfino la «Questione romana» e di voler tutto sovvertire, unilateralmente, nell’attuale sistema dei rapporti tra Chiesa cattolica e Stato italiano; il che è lontano dalle intenzioni di tutti in Italia. Potrebbe servire a rimproverarci di non aver fatto tutto ciò che era onesto fare per non turbare la pace religiosa.

Io non intendo illustrare ulteriormente la mia posizione che, purtroppo, resta solo di mediazione intellettuale, tra le parti avverse, che ormai non sono più in grado di conciliarsi.

Democristiani e comunisti si sono ormai decisi per la via più facile, per la via che comporta meno rischi.

Ma dubito assai ch’essi abbiano saputo scegliere la via più educativa per il popolo italiano.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare, per dichiarazione di voto, l’onorevole Tonello. Ne ha facoltà.

TONELLO. Onorevoli colleghi, ho preso la parola per dichiarare che voterò contro l’articolo 7, tanto più che sui giornali mi si è fatto l’onore di dipingermi come la bestia nera dei preti. Hanno detto anche che sono di religione protestante; no, sono di famiglia cattolicissima. Se tutti quelli che attraverso i secoli hanno detto male dei preti fossero dei peccatori, immaginatevi come dovrebbe esser popolato l’inferno, cominciando da padre Dante fino agli ultimi poeti del Risorgimento italiano; perché, questa di criticare il clero, la funzione del clero, fu la manifestazione letteraria e anche poetica di tutti gli scrittori italiani. Leggete…

Una voce al centro. Il Manzoni!

TONELLO. Sì, anche il Manzoni, che nel 1848 diceva: «Pio IX ha benedetto l’Italia, e poi l’ha mandata a farsi benedire». Tutti; e del Manzoni si possono citare pagine realmente anticlericali, non anticattoliche o anticristiane. Perché io faccio una grande distinzione fra cattolico e cristiano. Il cattolico appartiene ad una confessione religiosa organizzata, che si esprime attraverso una gerarchia, alla quale obbedisce. «Cristiano» è un termine più comprensivo; vuol dire l’uomo che ha assorbito da Cristo e dalla tradizione cristiana quelle che sono le verità dello spirito. Orbene, io non sono un anticattolico: in cinquantadue anni di battaglie e di propaganda non ho mai detto una parola che offendesse la religione di mia madre; fui sempre rispettoso di questo sentimento santo e nobile che è nel cuore e nella mente dei veri credenti; ma fui contro gli intolleranti, specialmente quando portavano la veste nera. Perché si può pensare che in una data religione, in una data professione filosofica o altro, predomini talvolta la forma dell’intransigenza; non si può pensare che nella religione cristiana vi siano ancora tanti uomini intolleranti. E guardate che il gesto vostro sarà dannoso soprattutto per il popolo italiano, perché voi, qui dentro, avete espresso il vostro pensiero, ma domani, in ogni paese dove suona una campana, si farà credere al popolo che si voleva sopprimere la religione, abbattere il papato; mentre noi non ci siamo mai sognato tutto questo.

Bisogna che il proletariato sappia che noi, se ci siamo opposti all’articolo 7 della Costituzione, l’abbiamo fatto perché sognavamo e sogniamo ancora una Repubblica di libertà, che porti tutti i cittadini allo stesso livello, e che non ci sia nella Repubblica nuova una classe privilegiata per il fatto che dei cittadini sono cattolici, anziché appartenere ad un’altra confessione religiosa o politica. Ecco perché diciamo che non avete combattuto una battaglia religiosa voi, ma avete fatto una battaglia puramente politica ed elettorale. Avete voluto prepararvi alle elezioni, e si capisce; ma badate che questa volta avete molti concorrenti, avete anche concorrenti dalla parte di Togliatti, dei compagni comunisti; ma credete che il proletariato sentisse la impellente necessità dei Patti lateranensi nella Costituzione?

Sono altri i bisogni e le aspirazioni del proletariato italiano. Noi, socialisti della vecchia guardia, pensiamo che il proletariato italiano debba risorgere attraverso una evoluzione politica, economica e morale, e pensiamo che è il problema della terra che bisogna risolvere per la classe lavoratrice, lasciando agli uomini di tutte le fedi e di tutte le religioni che possano liberamente campare nei loro mondi del pensiero.

Ho sentito l’onorevole De Gasperi, per il quale pare che tutti quelli che non la pensano come lui e che non sentono questo palpito religioso nell’animo, siano quasi delle anime dannate; ma noi non siamo delle anime dannate, perché se ci fosse un Dio, questo Dio riconoscerebbe che noi siamo galantuomini perché combattiamo per le nostre idee. L’Italia si è fatta attraverso una lotta costante contro il clericalismo e contro l’azione clericale. Voi vedrete, sfogliando i libri della storia, che qualunque movimento politico e miglioramento economico, qualunque innovazione nel campo sociale, non è che il risultato di quelle minoranze che si chiamavano una volta liberali, e che adesso si chiamano con altri nomi, perché ci sono anche qui dentro dei liberali, che non hanno più spina dorsale, dei liberali che all’ultimo momento si sono accorti di venire con voi per seguire la stessa causa, e non la stessa fede, alla quale si è convertito l’onorevole Togliatti. (Si ride).

Bisogna dunque dare al proletariato l’esempio di una vita dignitosa. Il proletariato, anche quello che crede effettivamente, ammira più gli uomini sinceri, che non nascondono il proprio pensiero, mentre ha schifo di quegli uomini che l’ingannano e che dimostrano di avere una fede e ne hanno un’altra, che hanno un programma di chiacchiere e ne hanno un altro ben differente di fatti. (Commenti Rumori).

È tempo che la Camera italiana abbia ancora degli uomini di carattere perché, se noi abbiamo avuto durante il Risorgimento pagine gloriose che hanno segnato una marcia in avanti per il proletariato, le abbiamo avute perché questi uomini dettero l’esempio della fierezza, della coerenza, della dignità anche intellettuale.

Siamo passati per 20 anni attraverso la diseducazione della dignità intellettuale; abbiamo visto una borghesia italiana piegarsi al fascismo, uomini che erano puri di pensiero e di fede che si sono piegati alla tirannide del fascismo. Ebbene, ora il fascismo è cessato, signori! Bisogna che l’Italia vera, l’Italia del proletariato, riprenda in pieno il suo cammino.

Pochi o molti, compagni socialisti della vecchia guardia, noi sventoleremo ancora la nostra bandiera di fede nell’avvenire del proletariato, contro tutti i sofismi e tutti gli imbrogli degli ultimi venuti! (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare, per dichiarazione di voto, l’onorevole Bordon. Ne ha facoltà.

BORDON. Onorevoli colleghi, la mia dichiarazione di voto sarà brevissima, poiché già è stata lunga la discussione, cui abbiamo assistito. Ho sentito in questa aula parlare di Stato laico o non laico, di pace religiosa, di concordia e altre cose. Ma permettetemi, onorevoli colleghi, che io ricordi che i termini della questione non sono questi.

Noi non siamo chiamati qui per emettere un giudizio di merito sulla fondatezza o opportunità degli atti, di cui si chiede l’inclusione nella Costituzione, ma siamo chiamati qui a pronunciarci sull’inclusione, o meno, dei medesimi nella Carta costituzionale. Questo è il problema di cui esclusivamente dobbiamo occuparci.

Ora, per ragioni morali e per ragioni giuridiche evidenti, ritengo che questa inclusione non sia possibile. Per questi motivi voterò contro l’articolo 7, mentre mi associo all’emendamento proposto, a detto articolo, dall’onorevole Calamandrei.

PRESIDENTE. Prima di passare alle votazioni chiederò ai presentatori dei singoli emendamenti se essi, dopo udite le dichiarazioni di voto, intendano di mantenere integralmente o in parte i loro emendamenti.

Onorevole Della Seta, ella mantiene il suo emendamento?

DELLA SETA. Ho voluto, col mio emendamento, porre una questione di principio; ma, dopo il carattere che ha assunto questa discussione, ritiro il mio emendamento (Approvazioni), associandomi al mio Gruppo e votando contro l’articolo 7; dando a questa parola «contro» il significato della necessità, inderogabile e improrogabile di assicurare alle minoranze religiose quella disciplina giuridica che risponda ad un alto principio di giustizia.

PRESIDENTE. Onorevole Lami Starnuti, ella mantiene il suo emendamento?

LAMI STARNUTI. Onorevole Presidente, in conformità agli accordi intervenuti fra i vari gruppi noi ritiriamo il nostro emendamento; ma, coerentemente alla sostanza di esso, voteremo contro l’articolo 7 del progetto.

PRESIDENTE. Onorevole Calamandrei, ella mantiene il suo emendamento?

CALAMANDREI. Ritiriamo l’emendamento e votiamo contro l’articolo 7.

PRESIDENTE. Onorevole Basso, ella mantiene il suo emendamento?

BASSO. Anche noi ritiriamo l’emendamento e votiamo contro.

PRESIDENTE. Onorevole Crispo, ella mantiene i suoi emendamenti?

CRISPO. Ritiro il primo e mantengo il secondo.

PRESIDENTE. Onorevole Ruggiero, ella mantiene il suo emendamento?

RUGGIERO. Ritiro l’emendamento, dichiarando di votare contro.

PRESIDENTE. Onorevole Rodinò Mario, ella mantiene il suo emendamento?

RODINÒ MARIO. Dichiaro di ritirare l’emendamento, in quanto l’affermazione storica che esso enuncia è la base della dichiarazione che costituisce il primo comma dell’emendamento Patricolo, emendamento a favore del quale il nostro gruppo voterà.

PRESIDENTE. Onorevole Bassano, ella mantiene il suo emendamento.

BASSANO. Ritiro l’emendamento; voterò contro l’articolo 7.

PRESIDENTE. Onorevole Patricolo, ella insiste nel suo emendamento?

PATRICOLO. Insisto.

PRESIDENTE. Onorevole Nobili Tito Oro, ella mantiene il suo emendamento?

NOBILI TITO ORO. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Onorevole Pajetta Giancarlo, ella mantiene il suo emendamento?

PAJETTA GIANCARLO. Mantengo il mio emendamento e, se non sarà accolto, farò mia la terza parte dell’emendamento dell’onorevole Calamandrei che, simile nella sostanza, mi pare migliore per la forma.

PRESIDENTE. Onorevole Lucifero, ella mantiene il suo emendamento?

LUCIFERO. Mantengo il mio emendamento e chiedo che l’articolo 7 sia votato per divisione, separando l’ultimo comma dai due precedenti.

PRESIDENTE. Dobbiamo ora procedere alla votazione dell’emendamento Patricolo, sul quale è stata chiesta la votazione per appello nominale degli onorevoli Selvaggi, Cicerone, Puoti, Coppa, Perugi, Penna Ottavia, Colitto, Rodinò Mario, Marina, Maffioli, De Falco, Miccolis, Corsini, Mazza, Vilardi.

Onorevole Selvaggi, mantiene tale richiesta?

SELVAGGI. La ritiriamo.

GRONCHI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Eravamo restati d’intesa che le dichiarazioni amplissime già fatte dovevano valere come dichiarazione di voto per tutti gli emendamenti.

Comunque, se lei insiste, ha facoltà di parlare.

GRONCHI. Una brevissima dichiarazione, per osservare che l’emendamento dell’onorevole Patricolo, ove non abbia un intento politico, che potrei dire di concorrenza, il che non voglio supporre, è da collocare sulla stessa linea di quello dell’onorevole Rodinò, il quale aveva un puro e semplice valore di constatazione statistica. Esso per noi è irrilevante, dato lo spirito e la lettera dell’articolo 7, quale è proposto dalla Commissione. Pertanto, noi ci asterremo nella votazione di questo emendamento.

SELVAGGI. Chiedo di parlare per fatto personale.

PRESIDENTE. Non vedo assolutamente un fatto personale.

SELVAGGI. Come Vicepresidente del Gruppo parlamentare dell’«Uomo Qualunque» credo di avere il diritto di parlare per una frase detta dall’onorevole Gronchi.

PRESIDENTE. L’onorevole Gronchi ha dichiarato perché il suo Gruppo si asterrà dalla votazione.

SELVAGGI. L’onorevole Gronchi ha parlato di concorrenza politica.

PRESIDENTE. I fatti personali si riferiscono alla persona e non ai Gruppi. Se lei fosse stato nominato, avrebbe avuto diritto di parlare per fatto personale.

SELVAGGI. Tutti hanno compreso il riferimento dell’onorevole Gronchi.

PRESIDENTE. È stata una dichiarazione di voto senza richiamo a persona; altrimenti, tutti i componenti del suo Gruppo dovrebbero prendere la parola per fatto personale. Ad ogni modo, mi mostro arrendevole e le consento una breve dichiarazione.

SELVAGGI. Desidero chiarire che la posizione del Gruppo parlamentare del Fronte liberale democratico dell’Uomo Qualunque è nei confronti di questo emendamento esclusivamente rispondente ad un problema di coscienza di cattolici e di italiani. Non vi è nessun problema politico o di concorrenza politica o elettoralistica. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma dell’emendamento Patricolo:

«La Religione cattolica è la religione ufficiale della Repubblica italiana».

(Non è approvato).

Pongo in votazione il secondo comma dell’emendamento Patricolo:

«I rapporti tra la Chiesa cattolica e lo Stato sono regolati dal Concordato lateranense».

(Non è approvato).

Vorrei chiedere ora alla Commissione il suo avviso a proposito dei due emendamenti presentati dall’onorevole Pajetta Giancarlo ed altri, relativi al terzo comma del testo proposto dalla Commissione, poiché dalle dichiarazioni degli onorevoli Deputati, che hanno parlato anche favorevolmente al testo dell’articolo, mi è parso comprendere che non sarebbero forse contrari a che tali emendamenti possano essere presi in considerazione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Le proposte presentate divergono dal testo della Commissione in questo: mentre conservano l’affermazione fondamentale che le altre confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, sopprimono con l’emendamento Pajetta l’espressione «in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano». La Commissione aveva ritenuta necessaria questa espressione, che non intacca il rispetto agli ordinamenti giuridici interni delle singole confessioni, e si limita a richiedere che non vi sia contradizione con l’ordinamento giuridico dell’Italia. Non è da dimenticare che oltre alle confessioni – venerate, rispettabilissime, che tutti conosciamo – potrebbero sorgere culti strani, bizzarri (l’America insegna) che non corrispondessero all’ordinamento giuridico italiano. Mi pare che la frase non ferisca la dignità ed il rispetto per i culti tradizionali. La seconda variante sposta una frase. La Commissione aveva ritenuto di stabilire che i rapporti fra queste confessioni e lo Stato «sono regolate con legge, sulla base di intese, ove siano richieste, con le rispettive rappresentanze». Le richieste riguardano le intese, non la regolazione per legge. Si propone ora, spostando al principio «ove siano richieste», di subordinare appunto la emanazione della legge alla richiesta delle rappresentanze.

La variante desta fondati dubbi. Bisogna bensì andare incontro ai desideri delle minori confessioni, ed assicurarne la libertà. La Commissione non ritiene che debbano sempre, nei loro rapporti con lo Stato, essere regolate da legge. In molti casi non occorrerà che intervenga una legge: le confessioni saranno lasciate interamente libere. Ma il giudizio e la decisione se si debba o no provvedere con legge, non può essere rimesso alla rappresentanza della confessione: spetta logicamente e necessariamente allo Stato; che ha tuttavia il dovere di procedere, ove sia richiesto, a trattative con tali rappresentanze. Questo sembra il sistema, indubbiamente migliore fra tutti, che risponde al pensiero della Commissione. La sua applicazione potrà aver luogo con piena soddisfazione delle Chiese interessate.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo emendamento dell’onorevole Pajetta Giancarlo:

«Al terzo comma, nella prima parte, sopprimere le parole: in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano».

(Dopo prova e controprova, l’emendamento non è approvato).

Pongo in votazione ora il secondo emendamento dell’onorevole Pajetta Giancarlo.

Il testo della Commissione è così concepito:

«I rapporti con lo Stato sono regolati per legge, sulla base di intese, ove siano richieste, con le rispettive rappresentanze».

L’onorevole Pajetta propone la seguente formula:

«I rapporti con lo Stato sono regolati, ove sia richiesto, per legge, sulla base di intese con le rispettive rappresentanze».

Si tratta di una piccolissima differenza. Praticamente l’emendamento mira a che queste intese fra lo Stato e le confessioni religiose, che non siano la Chiesa cattolica, debbano essere regolate con legge solo se le confessioni ne fanno richiesta, mentre, a tenore dell’articolo proposto dalla Commissione, lo Stato deve sempre regolare per legge i rapporti.

FABBRI. La differenza non risulta dalle due formule. L’interpretazione del testo della Commissione data dall’onorevole Presidente sarà stata nelle intenzioni di chi l’ha redatta.

PRESIDENTE. Ho partecipato anch’io alle discussioni sia della prima Sottocommissione come della Commissione plenaria ed ho inteso bene il significato del comma. D’altra parte, confesso che il tesato è stato redatto anche da me in concorso coll’onorevole Dossetti.

Ha chiesto di parlare l’onorevole Presidente della Commissione. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Desidero chiarire che il testo della Commissione «sono regolati» è diverso da «possono» come da «devono» essere regolati. Se si fosse voluto stabilire l’obbligo che fossero sempre regolati, si sarebbe detto «devono».

«Sono» significa che, quando occorre, i rapporti vengono regolati per legge, ma non è prescritto in modo tassativo.

Questa è l’interpretazione che io do, e che è conforme allo stile della tecnica giuridica e legislativa. Si possono dare interpretazioni diverse. Ma la Commissione col suo testo intendeva ed intende che non è obbligo tassativo di regolare per legge le confessioni religiose.

LEONE GIOVANNI; Chiedo di parlare per mozione d’ordine.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LEONE GIOVANNI. A me sembra che, prima di votare una legge, se ne debba chiarire l’interpretazione, ove questa risulti equivoca. Chiederei pertanto alla Commissione che, prima della votazione, chiarisca se il «sono» significhi «debbono» o «possono».

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ruini a manifestare se la Commissione ritenga di poter risolvere subito la questione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La Commissione, per decidere, dovrebbe raccogliersi e non lo può fare improvvisamente. Ripeto, onorevole Leone, che a mio avviso «sono» si possa interpretare correttamente e tecnicamente nel senso che ho spiegato poc’anzi. Se l’Assemblea vorrà dire invece «possono» io e, credo, la Commissione non ne faremo questione. La sostanza è insomma nel fatto che il giudizio se le confessioni debbano essere regolate per legge spetti allo Stato o alle confessioni stesse.

PELLIZZARI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLIZZARI. Se lei, onorevole Presidente, lo permette, vorrei osservare che, così in questo caso come in tutti i consimili, il verbo «sono» costituisce una affermazione perentoria. (Rumori). Quindi se noi voteremo il verbo «sono», vorremo intendere che «debbono».

LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Non è necessario, onorevole Leone che lei sostenga quanto ha già chiaramente espresso, con nuovi argomenti. Mi permetto inoltre di osservarle che, per tutte le leggi che si votano, possono sempre sussistere delle diversità di interpretazione; ma tutti i lavori preparatori – e lei sa quanti volumi abbiano riempito i lavori delle Sottocommissioni – servono appunto a spiegare il significato che si è voluto conferire alle formule adottate. Se comunque ella desidera di presentare una proposta formale, ha facoltà di farlo.

LEONE GIOVANNI. Io non desidero, onorevole Presidente, di presentare una proposta formale; desidererei solo che si concedesse qualche minuto di tempo per potere addivenire ad una soluzione di questa questione.

PRESIDENTE. Onorevole Leone, lei ha troppa esperienza di queste cose per poter ritenere che in pochi minuti si possa risolvere una questione di questo genere.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. È bene distinguere sostanza e forma. Di comune, fra la interpretazione che la Commissione dà al suo testo, e la nuova formula Pajetta, è il punto che le confessioni possano anche non essere regolate per legge. La differenza sta se a decidere che occorre la legge sia lo Stato o la confessione.

Come forma, non si tratta, onorevole Pellizzari, di questione grammaticale, ma di tecnica e consuetudine giuridica.

A me pare che il «possono» non sia necessario e forse sia meno corretto; ma se lo preferite per togliere ogni dubbio, potete adoperare questa o altra dizione diversa dalla nostra, purché ne convalidi il concetto.

PRESIDENTE. A me pare che, anche accettando quanto ha detto ora l’onorevole Ruini – e certamente, se la Commissione è di questo avviso, credo che si debba senz’altro modificare in tal senso il testo – non sia risolto il problema della diversità del concetto espresso dalla Commissione rispetto a quello che costituisce l’emendamento dell’onorevole Pajetta.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Certamente.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Pajetta Giancarlo.

(Non è approvato).

PAJETTA GIANCARLO. Non insisto nella proposta di far mio il terzo comma dell’emendamento Calamandrei.

PRESIDENTE. C’è ora da risolvere la questione relativa alla proposta dell’onorevole Lucifero, il quale ha proposto di trasferire l’ultimo comma all’articolo 14, sostituendo le parole: «Le altre confessioni» con le seguenti: «Tutte le confessioni».

Ma per ora si potrebbe restare al problema dell’emendamento dell’articolo.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Ho fatto quella variazione del testo, perché è necessaria se il capoverso è trasportato alla fine dell’articolo 14.

Qui invece si crea una voluta distinzione fra la religione cattolica e le altre confessioni, che io col mio emendamento tendevo ad eliminare.

PRESIDENTE. Allora bisognerebbe mettere in votazione la proposta dell’onorevole Lucifero di trasferire il terzo comma dell’articolo 7 all’articolo 14. Qual è il parere della. Commissione?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Credo che si possa prendere nota di questo desiderio dell’onorevole Lucifero, ma non sia inopportuno, per decidere definitivamente al riguardo, attendere che sia esaminato ed approvato l’articolo 14.

PRESIDENTE. Secondo le dichiarazioni dell’onorevole Lucifero, in tanto il trasferimento è giustificato, in quanto sia accettato l’emendamento; perché appunto con l’emendamento e con il trasferimento si mira ad impostare in maniera diversa il problema del terzo comma dell’articolo 7. Pertanto la questione del trasferimento deve essere risolta immediatamente.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Mi permetto di ricordare all’onorevole Ruini che già la Commissione dei Settantacinque alla unanimità deliberò questo spostamento; e poi in sede di coordinamento la deliberazione non ebbe seguito.

Dato che io credo si tratti di una questione sostanziale, perché si tratta di distinguere determinati rapporti da altri rapporti, devo insistere nel mio emendamento.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Lucifero di trasferire l’ultimo comma dell’articolo 7 all’articolo 14.

(Dopo prova e controprova, è approvata).

L’emendamento proposto dall’onorevole Lucifero al testo del terzo comma trasferito sarà discusso e votato quando esamineremo l’articolo 14.

Pertanto anche il seguente emendamento presentato dagli onorevoli Dugoni, Basso, Vigna e De Micheli, si intende rinviato:

«Al terzo comma, sopprimere l’ultimo periodo:

I rapporti con lo Stato sono regolati per legge, sulla base di intese, ove siano richieste, con le rispettive rappresentanze».

Votazione nominale.

PRESIDENTE. Passiamo ora alla votazione dei primi due commi dell’articolo 7:

«Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.

«I loro rapporti sono regolati dai Patti lateranensi. Qualsiasi modificazione dei Patti, bilateralmente accettata, non richiede procedimento di revisione costituzionale».

Comunico che è stata chiesta la votazione per appello nominale dagli onorevoli Pertini, Lopardi, Pistoia, Foa, Mastino Pietro, Binni, Bernini, Calamandrei, Cianca, Bruni, Codignola, Lombardi Riccardo, Veroni, Valiani, Cevolotto.

Estraggo a sorte il nome del Deputato dal quale comincerà la chiama. Comincerà dall’onorevole Longo.

Invito l’onorevole Segretario a fare la chiama.

SCHIRATTI, Segretario, fa la chiama.

Rispondono sì:

Abozzi – Adonnino – Alberganti – Alberti – Aldisio – Allegato – Ambrosini – Andreotti – Angelini – Angelucci – Arcaini – Arcangeli – Assennato – Avanzini – Ayroldi.

Bacciconi – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Bastianetto – Bazoli – Bei Adele – Bellato – Belotti – Bencivenga – Benedetti – Benvenuti – Bergamini – Bernamonti – Bertini Giovanni – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Bitossi – Boldrini – Bolognesi – Bonino – Bonomi Paolo – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bosi – Bovetti – Braschi – Brusasca – Bubbio – Bulloni Pietro – Burato.

Caccuri – Caiati – Campilli – Camposarcuno – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Caprani – Capua – Carbonari – Carignani – Carìstia – Caroleo – Caronia – Carratelli – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Castiglia – Cavallari – Cavalli – Cavallotti – Cerreti – Chatrian – Chieffi – Ciampitti – Ciccolungo – Cicerone – Cifaldi – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Colonna di Paliano – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corbìno – Corsanego – Corsini – Cortese – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo.

D’Amico Michele – De Caro Gerardo – De Falco – De Filpo – De Gasperi – Del Curto – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Michele Luigi– De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Di Vittorio – Dominedò – D’Onofrio – Dossetti – Dozza.

Ermini.

Fabriani – Falchi – Fanfani – Fantoni – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Ferreri – Firrao – Flecchia – Foresi – Franceschini – Froggio – Fuschini.

Gabrieli – Galati– Gallico Spano Nadia – Garlato – Gatta – Gavina – Germano – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Giacchèro – Giolitti – Giordani – Gonella – Gorreri – Gortani – Gotelli Angela – Grassi – Grieco – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto.

Iotti Leonilde.

Jacini – Jervolino.

Laconi – La Gravinese Nicola – Lagravinese Pasquale – Landi – La Pira – La Rocca – Lazzati – Leone Francesco – Leone Giovanni – Lettieri – Li Causi – Lizier – Longo – Lozza – Lucifero.

Maffi – Maffioli – Magnani – Maltagliati – Malvestiti – Mannironi – Manzini – Marazza – Marconi – Marina Mario – Marinaro – Martinelli – Marzarotto – Massini – Massola – Mastino Gesumino – Mastrojanni – Mattarella – Mattei Teresa – Mazza – Meda Luigi – Medi Enrico – Mentasti – Merlin Umberto – Mezzadra – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molinelli – Montagnana Mario – Montagnana Rita – Montalbano – Monterisi – Monticelli – Montini – Moranino – Morelli Luigi – Moro – Mortati – Moscatelli – Mùrdaca – Murgia – Musolino.

Negarville – Negro – Nicotra Maria – Nitti – Nobile Umberto – Notarianni – Novella – Numeroso – Orlando Camillo – Orlando Vittorio Emanuele.

Pajetta Gian Carlo – Pajetta Giuliano – Pallastrelli – Pastore Giulio – Pastore Raffaele – Pat – Patricolo – Pecorari – Pella – Pellegrini – Pellizzari – Penna Ottavia – Perlingieri – Perrone Capano – Perugi – Pesenti – Petrilli – Piccioni – Pignedoli – Platone – Pollastrini Elettra – Ponti – Pratolongo – Preziosi – Proia – Pucci – Puoti.

Quarello – Quintieri Adolfo – Quintieri Quinto.

Raimondi – Rapelli – Ravagnan – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Rescigno – Restagno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodinò Mario – Romano – Roselli – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Roveda – Rubilli – Ruggeri Luigi – Ruini – Rumor.

Saccenti – Saggin – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sartor – Scalfaro – Scarpa – Scelba – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Scotti Francesco – Secchia – Segni – Selvaggi – Sereni – Sforza – Sicignano – Siles – Silipo – Spataro – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Taviani – Terranova – Tessitori – Tieri Vincenzo – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Togni – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Trimarchi – Tripepi – Tumminelli – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Vallone – Valmarana – Vanoni – Venditti – Viale – Vicentini – Vigo – Vilardi – Volpe.

Zaccagnini – Zerbi – Zotta.

Rispondono no:

Amadei – Arata – Azzi.

Barbareschi – Bassano – Basso – Bellavista – Bellusci – Bennani – Bernabei – Bernini Ferdinando – Bianchi Bianca – Binni – Bocconi – Bonomelli – Bordon – Bruni – Buffoni Francesco.

Cacciatore – Cairo – Calamandrei – Caldera – Calosso – Camangi – Candela – Carnepa – Canevari – Caporali – Carboni – Carpano Maglioli – Cartìa – Cevolotto – Chiaramello – Chiostergi – Cianca – Codignola – Conti – Corsi – Cosattini – Costa – Costantini – Crispo.

Damiani – D’Aragona – Della Seta – De Mercurio – De Michelis Paolo – Di Giovanni – Di Gloria – Dugoni.

Fabbri – Facchinetti – Faccio – Fedeli Aldo – Fietta – Filippini – Fiorentino – Fioritto – Foa – Fornara – Fusco.

Gasparotto – Ghidini – Ghislandi – Giacometti – Giua – Grazi Enrico – Grazia Verenin – Grilli – Gullo Rocco.

Jacometti.

Lami Starnuti – Lizzadri – Lombardi Riccardo – Lombardo Ivan Matteo – Longhena – Lopardi – Luisetti – Lupis.

Macrelli – Magrini – Malagugini – Mancini – Mariani Enrico – Martino Enrico – Mastino Pietro – Matteotti Carlo – Matteotti Matteo – Mazzei – Merighi – Merlin Angelina – Molè – Momigliano – Montemartini – Morandi – Morini – Musotto.

Nasi – Natoli Lamantea – Nenni – Nobili Oro.

Pacciardi – Paolucci – Paris – Parri – Pera – Perassi – Persico – Pertini Sandro – Piemonte – Pignatari – Pistoia – Pressinotti – Preti – Priolo.

Romita – Rossi Paolo – Ruggiero Carlo.

Salerno – Sansone – Santi – Saragat – Sardiello – Schiavetti – Silone – Spallicci – Stampacchia.

Taddia – Targetti – Tega – Tomba – Tonello – Tonetti – Tremelloni.

Valiani – Varvaro – Vernocchi – Veroni – Vigna – Vigorelli – Villabruna – Villani – Vinciguerra – Vischioni.

Zagari – Zanardi – Zannerini – Zappelli – Zuccarini.

Sono in congedo:

Cappugi.

D’Amico Diego.

Martino Gaetano.

Rodinò Ugo.

Spano Velio.

Treves.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione nominale e invito gli onorevoli Segretari a fare il computo dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Risultato della votazione nominale.

PRESIDENTE. Annuncio il risultato della votazione nominale:

Presenti e votanti       499

Maggioranza             250

Hanno risposto        350

Hanno risposto no      149

(L’Assemblea approva).

Avverto che l’onorevole Crispo mi ha comunicato di rinunciare al suo emendamento.

Non essendo presente l’onorevole Nobili Tito Oro, il suo emendamento, tendente a modificare il titolo delle Disposizioni generali, si intende ritirato.

Il seguito di questa discussione è rinviato alle 15 di oggi 26 marzo.

La seduta termina alle 1.30.

Ordine del giorno per la seduta di mercoledì 26.

Alle ore 15:

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.