Come nasce la Costituzione

POMERIDIANA DI LUNEDÌ 26 GENNAIO 1948

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCLXV.

SEDUTA POMERIDIANA DI LUNEDÌ 26 GENNAIO 1948

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Comunicazioni del Presidente:

Presidente

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Norme per l’elezione del Senato della Repubblica (61).

Presidente

Targetti

Rubilli

Stampacchia

Moro

Costantini

Togliatti

Scelba, Ministro dell’interno

Lucifero

Carpano Maglioli

Martino Gaetano

Micheli, Presidente della Commissione

Colitto

Mazzoni

Candela

Mastino Pietro

Giacchero

Caroleo

Geuna

Nitti

Zotta

Bubbio

Gasparotto

Piccioni

Zuccarini

Gullo Rocco

Morelli Renato

Gullo Fausto, Relatore per la maggioranza

Bosco Lucarelli

Laconi

Uberti

Mazzei

Dossetti

Mortati, Relatore per la minoranza

Fabbri

Lami Starnuti

Dominedò

Fuschini

Scoccimarro

Sulle dimissioni di un Commissario:

Presidente

Micheli, Presidente della Commissione

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.15.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Comunicazioni del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che ho chiamato a far parte della Commissione per i Trattati internazionali l’onorevole Perassi, in sostituzione dell’onorevole Pacciardi, nominato Vicepresidente del Consiglio dei Ministri.

Comunico altresì che ho chiamato l’onorevole Cortese a far parte della terza Commissione permanente per l’esame dei disegni di legge, in sostituzione dell’onorevole Perrone Capano, nominato Sottosegretario di Stato.

Seguito della discussione del disegno di legge: Norme per l’elezione del Senato della Repubblica. (61).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del disegno di legge: Norme per l’elezione del Senato della Repubblica. (61).

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Mi sembra evidente che c’è qualche difficoltà per l’Assemblea nella risoluzione delle varie questioni poste dai molteplici emendamenti presentati al nostro esame.

Non è per un eccesso di modestia e tanto meno per non riconoscere la superiore competenza di tanti altri colleghi, se affermo che si tratta di una materia, nella quale non dico che è difficile ed impossibile, ma, riuscendoci, sarebbe molto pericoloso improvvisare.

Stamani ci sono state presentate proposte, che danno luogo a riflessioni e delle quali non si può ben penetrare il significato, senza averle confrontate con tutte le altre ed avere anche esaminato gli eventuali inconvenienti, cui possono dar luogo certe soluzioni.

Pertanto, si potrebbe sospendere la seduta per un’ora o per un’ora e mezzo, per dar modo a coloro, che si interessano particolarmente della materia, di esaminare questa congerie di emendamenti e venire in Assemblea, dopo avere superato i punti di disaccordo superabili ed avere, comunque, bene esaminate, tutte le relative questioni.

RUBILLI. O si rinvia la seduta a domani o proseguiamo oggi i nostri lavori; queste questioni non si risolvono in un’ora.

PRESIDENTE. L’onorevole Targetti ha fatto una proposta che ha il merito di avere incominciato a porre la questione, che, probabilmente, molti colleghi vorrebbero porre, ma che nessuno, come dire, ha la audacia di incominciare a prospettare.

Il problema posto dall’onorevole Targetti è limitato all’esame degli emendamenti: gli emendamenti sono complicati, difficili, non ci si ritrova.

Onorevole Targetti, dalle 13, nostri colleghi hanno cercato di ritrovarcisi e, credo che si debba convenire che non si tratta di difficoltà intrinseca degli emendamenti, ma che la difficoltà è costituita dalla impossibilità di mettere d’accordo gli emendamenti, o alcuni emendamenti, con alcune decisioni di principio dell’Assemblea.

Ed allora io penso che sarebbe opportuno sospendere i nostri lavori, su questo argomento, offrendo ai colleghi un’altra materia di esame e di ponderazione, che non sta a me dire quale possa essere. Che se, invece, si dovesse proprio sospendere la seduta, per esaminare gli emendamenti, è forse meglio che siano esaminati fra noi, in modo che coloro i quali meglio conoscono la materia, possano offrire la loro competenza a coloro che ne hanno meno.

RUBILLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUBILLI. Ho l’abitudine, la cattiva abitudine, in verità, di parlar chiaro. (Si ride). Allora, per dire quel che io penso e so, debbo rilevare che non si tratta di emendamenti. Qui ho sentito, in una mezz’ora, tante voci, tante proposte, tanti nuovi progetti che si delineano, che in verità credo ci troviamo di fronte ad una condizione difficile, fuor di dubbio da noi prevista, da altri voluta, ma è innegabile che ci troviamo dinanzi ad una situazione difficilissima. Siamo in un ginepraio da cui non sappiamo come uscire: incostituzionalità da una parte; confusione di progetti e di proposte dall’altra. (Interruzioni del deputato Uberti – Commenti).

Esagero? Ora, se è esagerazione per voi, io sono più che convinto, come son convinti altri, che in un’ora, in un’ora e mezzo non possiamo in alcun modo orientarci. Ed allora: o continuiamo ad esaminare la legge per quello che comunque ne viene, e poi se la vedranno gli elettori, il popolo e specialmente quei partiti che si son voluti assumere una così grave responsabilità: o, se non vogliamo continuare, come mi parrebbe opportuno nelle enormi confusioni che si son create di fronte ad argomenti di tanta importanza, meglio è – signor Presidente – che rinviamo a domani. Penseremo: la notte porta consiglio. Facciamo che passino delle ore. Si rifletterà meglio, e potremo venire domattina a mente serena per vedere se è possibile trovare un’intesa che raccolga la quasi unanimità dei voti. Propongo che si rinvii a domani. Non mi pare che in questo stato d’animo possiamo continuare con calma la discussione.

STAMPACCHIA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

STAMPACCHIA. L’onorevole Targetti, come benissimo ha detto l’onorevole Presidente, ha fatto una proposta, diretta ad aprire la discussione sull’argomento; ma effettivamente, come lo stesso signor Presidente ha detto, una proposta timida, che aveva lo scopo predetto.

Ora, noi non ci dissimuliamo, almeno moltissimi di noi non si dissimulano, che in un’ora e mezza non si possa risolvere una questione per la quale da alcune settimane ci stiamo tutti quanti stillando il cervello, una questione che infine è stata ancora di più ingarbugliata dalle ultime decisioni prese.

L’onorevole Rubilli ha accennato a sospendere sino a domani. Io dico, anche all’onorevole Rubilli, che fino a domani è breve tempo: proporrei che si sospendesse e si trovasse la materia – quella degli statuti regionali – per occupare qualche giorno. (Proteste al centro). Nel frattempo, la Commissione potrebbe mettersi in contatto e discutere con i capi-Gruppo quelle proposte che valgano a farci superare le difficoltà che sorgono oggi – già profilatesi da questa mattina – o meglio e più precisamente le difficoltà delle quali da stamane ci stiamo accorgendo, ma che sono pure la conseguenza, in gran parte, di decisioni prese ab irato. Così soltanto la Commissione potrà presentarsi all’Assemblea con proposte, le quali raccolgano il consenso dei Gruppi, in modo che si possa avere un progetto che non susciti tutte quelle feroci critiche le quali già si vengono diffondendo e propagando nel pubblico, nel Paese a mezzo della stampa. Insomma, noi dobbiamo preoccuparci di non passare di fronte al Paese per ignoranti, per idioti che non hanno saputo vedere e prevedere le conseguenze alle quali si poteva arrivare con inconsulte, avventate decisioni.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. A nome del gruppo democristiano credo che si possa aderire alla proposta Targetti. Si potrebbe sospendere la seduta per due ore e riprenderla alle 19 circa. (Commenti).

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Io non sono un tecnico in materia di leggi elettorali, però, mentre personalmente mi associo all’istanza di sospensione dei nostri lavori per mettere a punto la legge che ci interessa, mi permetto di rivolgere a tutti i colleghi un consiglio.

Siamo arrivati ad un punto in cui un sistema si è sovrapposto all’altro e noi non abbiamo ottenuto né di rispettare il principio che abbiamo votato stabilendo il collegio uninominale ed il sistema maggioritario, né abbiamo avuto la possibilità di scendere, o, se più vi piace, di salire a quel sistema proporzionalistico che voi (Indica il centro) vorreste e che non siete riusciti ad ottenere con quel giuoco di concetti e di parole incrociate che dovrebbe costituire la legge in discussione e che noi dovremmo approvare.

Ora, permettetemi, colleghi, un consiglio: abbiate il coraggio delle vostre azioni: se non volete restare fedeli alle deliberazioni già assunte, ditelo e dite altresì che il progetto in discussione è del tutto proporzionalistico e contiene in se stesso difetti tali da creare inconvenienti gravissimi alla sua attuazione. Se possa o non possa essere costituzionale, è un’altra cosa.

Io dico che noi abbiamo il dovere di dar vita ad una legge chiara, che non dia luogo a confusioni e non determini discussioni poco simpatiche per noi, per l’Assemblea, per il Paese.

Sarebbe nostro obbligo restare al sistema uninominalistico, come abbiamo deliberato. La futura Camera poi deciderà se tale forma dovrà essere mantenuta o no. Ma, se non volete il collegio uninominale, non continuate a seguire il progetto del Ministro dell’interno, il quale ha creduto che mettere il cartellino del vino ad una bottiglia di inchiostro, equivalesse a far diventare uninominale quello che è proporzionale, con l’aggravante di determinare incertezze, confusioni e ingiustizie gravissime.

Ed allora – e non ve lo insegno, signori della Commissione, perché lo sapete meglio di me – vi sono tre sistemi per l’uninominale. Sceglietene uno, che è assai semplice ed è il sistema inglese…

PRESIDENTE. La prego, onorevole Costantini, non entri nel merito.

COSTANTINI. Signor Presidente, siamo alla fine dei nostri lavori, abbiamo un dovere; adempiamolo con lealtà e chiarezza, senza queste incongruenze che non fanno onore, credetelo, anche se lo afferma un deputato giovane, non esperto di alchimia legislativa, il quale non avrà, probabilmente, l’onore di ritornare un’altra volta tra voi. (Applausi).

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. A me pare, signor Presidente, che, al punto in cui siamo arrivati, i discorsi sul merito non servano più a niente. Non si tratta più di persuaderci l’uno con l’altro e di pensarci su, ma si tratta di decidere. Che ciascun Gruppo decida e cerchi di aiutare gli altri Gruppi per trovare la soluzione. Per questo, sono favorevole al rinvio, ma non al rinvio a domani o dopodomani, perché tale rinvio non darebbe alcun risultato.

Il rinvio deve essere breve, di due o tre ore, e mantenendo la seduta aperta, in modo che siamo impegnati fra due o tre ore a venire qui con una decisione. (Approvazioni).

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. Aderisco alla proposta dell’onorevole Targetti e sono d’accordo con l’onorevole Togliatti che, al punto in cui siamo, non si tratta che di decidere.

A forza di sollevare obiezioni, incertezze, e di fare risaltare inconvenienti del progetto, si è creata una atmosfera tale per cui sembra che questo progetto non sia più nemmeno da discutere. In realtà noi lo abbiamo già approvato nella sua massima parte. Si tratta di approvare soltanto un ultimo punto: non c’è che l’articolo 20. Ormai non c’è che da decidere su questo punto, oppure cambiare sistema. Non c’è possibilità d’inventare, però, un altro metodo o un altro espediente. Si tenta di abbandonare il tema del progetto governativo per cambiare strada, con un altro progetto che, a mio avviso, non potrebbe che essere uno dei progetti uninominalistici che hanno già avuto la sanzione di questa Assemblea.

Si tratta di estendere il principio che è incluso nell’attuale progetto, allargarlo e completarlo; ma ritengo che tutti gli elementi del dibattito siano presenti ormai agli onorevoli colleghi e che si tratti soltanto di prendere una decisione. Noi non possiamo dimenticare che siamo al termine dei nostri lavori, che abbiamo pochissimi giorni, e che dobbiamo ancora decidere sugli Statuti speciali. Rinviare di uno o due giorni significherebbe compromettere l’approvazione della legge, con conseguenze più gravi di quella che potrebbe essere la scelta di un sistema o di un altro.

Quindi, per questa ragione io non aderisco alla proposta di rinviare ulteriormente questa discussione, perché ciò significherebbe creare dei gravi inconvenienti e dei pericoli che nessuno di noi vuol creare. (Approvazioni).

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Io in verità avevo intenzione di sentire e di vedere quello che sarebbe successo, anche perché tutto questo io avevo già detto che sarebbe successo (Commenti al centro).

Ma l’intervento dell’onorevole Ministro, credo abbia bisogno di un chiarimento: l’onorevole Ministro dice che noi dobbiamo discutere ormai soltanto di un articolo. Questo è vero, ma lei, onorevole Ministro, non ha detto che quell’articolo è la legge; perché tutto il resto, in fondo, è procedura.

Il vero meccanismo della legge è, dunque, in quell’articolo. Se ci troviamo oggi in difficoltà, ciò si deve proprio a quell’articolo, che è il nocciolo della legge. E, se è vero che tutti gli elementi sono presenti alla nostra coscienza, questi elementi sono talmente contradittori, che le nostre coscienze, in mezzo a tanti e contradditori elementi, non trovano una via di soluzione. E allora mi associo a quanto ha detto l’onorevole Costantini.

Stamattina si è detto più volte che questo progetto di legge, e ciò che succedeva in questa discussione, potevano essere imputati di poca serietà. L’onorevole Stampacchia oggi ha avuto parole anche più dure. Io ho l’impressione che siamo veramente, in questo momento, sul terreno della serietà, cioè sul terreno di uomini che vedono di essersi messi in un vicolo cieco e che si mettono una mano sulla coscienza… (Rumori – Proteste al centro). Voi credete che io possa cambiare opinione perché voi mi interrompete? (Vivi commenti al centro).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, ascoltino le considerazioni dei vari oratori senza, commenti.

LUCIFERO. Grazie, signor Presidente. Io volevo dir questo, riallacciandomi a quanto ha detto l’onorevole Costantini. Noi ci troviamo di fronte ad una difficoltà ed abbiamo il dovere di superare questa difficoltà, abbiamo il dovere di trovare delle soluzioni che possano essere chiare e che, ancor prima che il Paese, siano tali che le possiamo capire noi.

E allora, se vogliamo veramente far questo, per raggiungere questo scopo una sospensione di due ore a che cosa può servire?

TOGLIATTI. A decidere!

LUCIFERO. Può servire o a continuare a dire quello che sappiamo, oppure a dire: dateci tempo per trovare una soluzione. Perché anche i calcoli complicati che ha fatto l’onorevole Dossetti stamattina, (e che secondo me non sono esatti), e anche il complesso della discussione, ci dimostrano che non si esce da questo pelago in due ore. Bisogna mettersi a tavolino, esaminare dati, risultanze, discussioni e voti e da questo trarre la via per trovare un meccanismo che possa corrispondere alle varie volontà, alle varie esigenze e, soprattutto, alle esigenze superiori, che vogliono che il Paese abbia una legge che possa accettare.

Per far questo ci vuole del tempo. Quindi, signor Presidente, proporrei un’altra cosa: rinviamo almeno di 24 ore, per studiare questa legge. Cominciamo intanto gli statuti, mentre possiamo studiare la questione. Altrimenti, tra due ore, noi riprenderemo al punto in cui siamo; e Dio non voglia, che alle confusioni che abbiamo create (parlo al plurale, per comprendere anche me) non ne aggiungiamo ancora altre, come spesso succede in casi del genere.

Questa mi pare sia la proposta migliore, se vogliamo uscire dalle difficoltà in cui siamo; se no, andiamo avanti e uscirà quello che uscirà. (Commenti).

CARPANO MAGLIOLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARPANO MAGLIOLI. Sono convinto che con buona volontà si possa pervenire ad un accordo: e per questo non sono necessari dei giorni, bastano alcune ore.

Perciò penso che si debba sospendere la seduta al massimo per un paio d’ore: la Commissione deve essere il centro per risolvere il problema e alla Commissione si potranno aggregare uno o due rappresentanti di ogni partito, per facilitare gli accordi.

RUBILLI. E questo in due ore?

CARPANO MAGLIOLI. Se sarà necessario si andrà oltre; ma io penso che, se c’è la buona volontà, in due ore si possa pervenire all’accordo. Occorre che la Commissione sia l’iniziatrice e alla Commissione – ripeto – siano aggregati i rappresentanti dei partiti.

MARTINO GAETANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARTINO GAETANO. Nessun nuovo argomento da aggiungere, signor Presidente. Faccio semplicemente rilevare che sono le cinque. Se il rinvio è limitato a due ore noi andremo alle sette; se com’è probabile, le due ore non saranno sufficienti e ne occorreranno tre, andremo alle venti. Tanto vale allora accedere alla savia proposta dell’onorevole Rubilli e rinviare la discussione a domani mattina. (Commenti).

Comunque sia però, qualunque sarà cioè la decisione che verrà presa in proposito dall’Assemblea (ed alla quale noi aderiamo, anche se essa dovrà essere limitata alle due ore proposte dall’onorevole Targetti), io tengo a precisare chiaramente, perché non sussistano equivoci dopo, che, se accordo deve realizzarsi, esso deve realizzarsi fra tutti i gruppi di questa Assemblea e non nuovamente fra due gruppi, per importanti che essi siano, del Paese o dell’Assemblea. (Commenti).

Voci. Ai voti! Ai voti!

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, mi pare che, prima di procedere ai voti, occorrerebbe quanto meno chiarire a che cosa debbano essere utilizzate le due ore o le ventiquattro ore che eventualmente l’Assemblea deciderà di concedersi per ripensare sopra cose che sono già state lungamente pensate.

Ho sentito dire dai varî oratori che questa breve o lunga sospensione deve essere destinata a prendere delle decisioni. Ma su che cosa si tratta di decidere? Sugli emendamenti? Evidentemente no.

FUSCHINI. Su quello che già è stato votato.

PRESIDENTE. Su quello che già è stato votato, onorevole Fuschini, neppure, perché allora la strada sarebbe, in certa guisa, obbligata e non si tratterebbe che di andare avanti. La strada stabilita con le votazioni avvenute conduce infatti ad una determinata conclusione. Il dilemma quindi è ben altro; esso è costituito dall’interrogativo se il progetto debba restare o debba scomparire. Questa, semmai, è la questione da affrontare, perché, in caso contrario, penso non vi sia da fare alcuna sospensione, ma piuttosto da porre immediatamente a partito questi emendamenti, come già tanti altri che sono stati votati. Ed evidentemente quello che si deciderà diverrà legge.

Penso, dunque, che questa sospensione non dovrebbe, ad esempio, essere destinata a delle riunioni di Gruppo. Ogni Gruppo, infatti, sa già molto bene quello che vuole ed anzi si può dire che in questi giorni ogni Gruppo ha proprio cercato, in tanto ginepraio, di realizzare ciò che esso voleva realizzare. Saranno, caso mai, i Presidenti di Gruppo, secondo il mio modesto avviso, che dovranno riunirsi, se si vuole la sospensione.

Io non comprendo perché dovrebbe riunirsi, come è stato proposto, la Commissione con altri elementi rappresentativi dei Gruppi. Si produrrebbe in tal caso un piccolo parlamento, il quale non giungerebbe neppur esso è cosa certissima – ad alcuna conclusione.

È ovvio che il Presidente della Commissione, il quale conosce molto bene tutta la materia, parteciperà alla riunione; è ovvio che il Ministro, il quale probabilmente avrà da esporre il suo parere e ne sarà anzi richiesto, parteciperà ancor egli alla riunione: ma io credo che la riunione debba essere di poche persone.

Il progetto deve rimanere o deve scomparire?

Non c’è altra alternativa, onorevoli colleghi. E se il progetto non deve restare, è necessario deliberare con che cosa bisogna sostituirlo.

A coloro che hanno parlato di rinvio di due o più giorni, debbo ricordare che il problema degli Statuti regionali non potrà essere affrontato che mercoledì mattina; ed è gran cosa essere riusciti ad ottenere che mercoledì mattina si ponga all’ordine del giorno il primo di essi. E non potremo certamente, da mercoledì mattina in avanti, togliere più neanche un’ora all’esame di questi Statuti. Pertanto tutto ciò che si riferisce alla legge elettorale per il Senato deve essere risolto entro domani sera, e quanto più tempo concederemo perché i capi-gruppo si incontrino e decidano, tanto meno tempo avrà l’Assemblea poi per discutere sulla decisione dei capi-gruppo.

Ecco perché sottolineo ancora una volta che il risultato di questa riunione, che si terrà nell’intervallo, avrà carattere decisivo.

Chiarito questo, pongo in votazione le varie proposte. V’è una proposta dell’onorevole Targetti di sospendere i nostri lavori per due ore; poi v’è un’altra proposta di sospendere la seduta fino a domani mattina; ed infine v’è la terza proposta di sospendere i lavori per ventiquattr’ore, cioè di rinviare la seduta a domani nel pomeriggio.

Pongo per prima in votazione la proposta dell’onorevole Targetti, di sospendere ora la seduta e di riprenderla alle 19.

(È approvata).

E allora, onorevoli colleghi, prego i capigruppo di voler approfittare sollecitamente delle due ore di tempo che hanno a disposizione.

(La seduta, sospesa alle 17,10, è ripresa alle 19.45).

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Micheli ad informare l’Assemblea sul risultato della riunione testé tenutasi.

MICHELI, Presidente della Commissione. Si è tenuta l’adunanza dei capi-gruppo con l’assistenza della presidenza della Commissione e del Ministro dell’interno, secondo le direttive che l’onorevole Presidente dell’Assemblea ci aveva dettato.

Nella Commissione è stato approvato per comunicarlo all’Assemblea Costituente il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente,

vista la difficoltà, per la brevità del tempo a disposizione, della formazione di omogenee circoscrizioni elettorali e per conseguenza della immediata applicazione dell’ordine del giorno Nitti; allo scopo di non ritardare le elezioni politiche; tenuta presente anche la necessità di ultimare entro il 31 gennaio la discussione su tutte le materie demandate all’Assemblea;

delibera

che per la prima elezione del Senato sia applicata, con gli opportuni adattamenti, la legge per la elezione della Camera dei deputati con circoscrizione a base regionale e con voto unico;

invita il Governo a presentare un nuovo progetto di legge sulla base del presente ordine del giorno».

«Piccioni, Togliatti, Zuccarini, Targetti, Gullo Rocco».

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Di fronte alla presentazione di questo ordine del giorno, signor Presidente, io dovrei rifare il discorso che ho avuto occasione di pronunciare all’apertura della discussione che ci ha cacciato in questo vicolo cieco; e, come me, i colleghi del mio Gruppo dovrebbero, ciascuno per suo conto, ripetere esattamente le parole che hanno pronunciato, sollevare le stesse eccezioni e fare le stesse proteste.

La mia dichiarazione sarà breve, ma decisa: quelle parole rimangono; tutto quello che abbiamo detto, che abbiamo fatto e che abbiamo voluto, rimane; tutto quello che abbiamo ottenuto e non ottenuto, rimane; tutte le nostre riserve per quello che è stato fatto e per quella che potrà essere la nostra azione futura, rimangono. II nostro voto contrario significa una protesta per la violazione di una norma che il Paese aveva acquisito, significa che ci riserviamo pieno il diritto di servirci di tutti i mezzi consentiti dalla legge, perché la legge sia ripristinata nella sua integrità.

COLITTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Sono intervenuto anche io nella riunione dei capi dei vari Gruppi parlamentari, che ha poco fa avuto luogo sotto la presidenza dell’onorevole Micheli e non ho creduto, dopo aver interpellato i colleghi del mio Gruppo, di apporre la mia firma all’ordine del giorno, che è stato testé presentato.

Io mi associo a quello che dianzi ha detto l’onorevole Lucifero. Penso che l’ordine del giorno, dato il punto cui l’Assemblea è pervenuta nell’esame della legge, non possa neppure esser posto in votazione. Il mio Gruppo, comunque, voterà contro.

MAZZONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAZZONI. Io non dissimulo le difficoltà in cui si è venuta a trovare l’Assemblea. Parlo a titolo personale con la chiarezza che mi è abituale.

Io ero e sono fedele al collegio uninominale. Le ragioni per cui la Camera ha creduto di passare attraverso delle trasformazioni che l’hanno posta in imbarazzo, non ho bisogno di discuterle e non ho il diritto di ripeterle. Rispetto l’opinione di tutti. Dico soltanto che la mia fedeltà al collegio uninominale, il mio consenso alla decisione che era stata presa dal nostro Presidente non possono venir meno in questo momento. La Camera decida e quando avrà deciso assumerà le proprie responsabilità. Secondo la norma costituzionale noi ripiegheremo sulle discussioni di qualsiasi progetto che sarà presentato, ma per il momento niente esige che io, con opinione ferma e non mutata, debba associarmi a priori al voto che sarà dato a quest’ordine del giorno.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, le dichiarazioni che abbiamo udito dagli onorevoli Lucifero, Colitto e Mazzoni mi pare abbiano il valore di una dichiarazione di voto. Questi colleghi non hanno apposto la firma all’ordine del giorno proposto; anzi hanno dichiarato che il non avere apposto la firma significa per essi opposizione a quest’ordine del giorno. Conseguentemente si sono riservati di votare in questo senso. Credo perciò che nulla si opponga a che l’ordine del giorno sia posto in votazione. Ogni membro dell’Assemblea voterà in base alla propria opinione, o espressa, come hanno fatto i colleghi, o tacita.

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Mi astengo dal voto.

CANDELA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CANDELA. Chiedo che la votazione avvenga per appello nominale.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Coerente a quanto ebbi ad esporre giorni or sono, dichiaro che voterò contro l’ordine del giorno.

GIACCHERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIACCHERO. Poiché sia nella vita privata che nella vita pubblica bisogna avere un minimo di coerenza, dichiaro che voterò contro l’ordine del giorno.

CAROLEO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAROLEO. Voterò contro per le ragioni esposte dall’onorevole Lucifero.

GEUNA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GEUNA. Mi associo a quanto ha detto l’onorevole Giacchero, e voterò contro.

NITTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. È chiaro che noi voteremo contro pur avendo il vivo desiderio che si esca da questa difficoltà in cui ci troviamo senza nostra colpa. Non intendo creare una situazione difficile. Io mi rendo conto che siamo a pochi giorni dalla fine dei nostri lavori, che non possiamo prolungare.

Ci troviamo però di fronte non solo ad una crisi costituzionale, ma ad una crisi morale: perché quello che oggi accade non torna ad onore della nostra Assemblea. Noi possiamo simulare la verità, ma la verità è nelle cose. Noi abbiamo fatto, contro la nostra coscienza giuridica, il contrario di quello a cui ci eravamo impegnati; e, per accordi intervenuti fra partiti opposti, la situazione è stata aggravata non apertamente dalla necessità, ma da accordi silenziosi e inspiegabili. Il pubblico giudicherà. Credo sia grave errore esserci messi in questa situazione. Credo sia più grave errore arrivare alle urne in queste condizioni. Da parte mia non creerò nessun imbarazzo al Governo. Sarebbe facile crearlo, perché, qualunque sia il numero di coloro che si sono accordati con il Governo, c’è qualcosa che è superiore al numero e al Governo ed è la logica ed è il rispetto della serietà e degli impegni assunti.

Io avrei voluto che l’onorevole Scelba, che è uomo intelligente ed unisce all’energia un certo tatto nella conoscenza dell’Aula e dell’ambiente, avesse almeno mantenuto quello che egli aveva proposto; fermi rimanendo in ciò che avevamo accettato e promesso ci saremmo almeno contentati di ciò che il Ministro Scelba aveva proposto e che oggi il Governo rinnega. L’onorevole Scelba rinnega le sue stesse proposte; perché egli, che è tanta parte del Governo, sa che la sua rinuncia non poteva avvenire senza avere un significato.

Comunque, io voterò contro, ma non mi varrò delle armi, di cui in questo momento mi potrei valere; e non ricorrerò a nessuna insidia.

Io voglio che si sappia che noi siamo rimasti al posto in cui eravamo: mentre altri ha negato la sua parola.

Ormai, evidentemente, la battaglia per noi è perduta, ma solo nelle apparenze, perché la questione risorgerà.

Il nuovo Senato ha bisogno di prestigio e nasce invece senza prestigio. L’Assemblea ha bisogno in questo momento, in cui ci avviciniamo alle urne, di avere la fiducia e la simpatia del pubblico. Molte cause hanno contribuito prima d’ora a diminuire questa fiducia, ma di più quest’ultimo incidente che è stato senza dubbio inatteso.

Io spero, comunque, che si esca da questo impasse, da questa difficoltà, e se ne esca il meno male possibile.

Il Collegio uninominale trionferà, presto o tardi. Non vi è nessun grande Paese, che non l’abbia. Non importa che l’Italia sia venuta in questa decisione. Ci ritroveremo di nuovo nelle maggiori difficoltà. Non so che cosa il prossimo avvenire ci serbi, ma oggi dobbiamo almeno evitare un conflitto che diviene pericoloso. Faccio questo sacrificio non senza dolore.

Mi limito ad esprimere un voto contrario come manifestazione di coscienza, non come desiderio di lotta penosa.

ZOTTA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ZOTTA. Dichiaro che voterò contro l’ordine del giorno.

TARGETTI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Il nostro Gruppo si dichiarò contrario alla proponibilità al voto dell’Assemblea di un progetto Mortati, che era la negazione del sistema elettorale a collegio uninominale; e fu molto lieto che la saggezza del Presidente riconoscesse le nostre ragioni di preclusione alla presa in considerazione di un progetto di legge, che andava contro ad un’esplicita deliberazione recentemente presa da questa Assemblea in merito alla adozione del sistema del collegio uninominale per l’elezione del Senato.

Avvenne di poi che, passandosi all’esame degli articoli del disegno di legge del Governo, fu proposto un emendamento a quell’articolo che stabiliva la proclamazione dei candidati che avessero raccolto il 50 per cento più uno dei voti validi, un emendamento, dicevo, dell’onorevole Dossetti, secondo il quale la metà più uno diventava il 65 per cento. Questo emendamento (non so se sono esatto nel ricordo) non fu illustrato. Su questo emendamento non si svolse alcuna discussione: si venne senz’altro ai voti. Allora sentii il dovere di prendere la parola, non già, signor Presidente e onorevoli colleghi, per dichiarare che noi avremmo votato contro, giacché, essendo stata chiesta la votazione a scrutinio segreto, nessuna dichiarazione di voto sarebbe stata possibile, ma per dichiarare che per noi vi era una preclusione a mettere in votazione un emendamento che in pratica annullava la preclusione dallo stesso Presidente opposta all’esame del progetto Mortati. Questa nostra seconda preclusione dal Presidente non fu presa neppure in considerazione, come risulta anche dai verbali, e l’Assemblea, in maggioranza, approvò questo emendamento Dossetti con il quale si veniva a far rientrare, non dico dalla finestra, ma da un ingresso trionfale, quel sistema proporzionale che si era voluto allontanare persino dalla nostra discussione.

RUBILLI. Proprio dal portone d’ingresso!

TARGETTI. Ed allora, onorevoli colleghi; si è proceduto su un cammino che non poteva non essere accidentato. Ci si è illusi di poter creare un sistema elettorale che fosse uninominale, soltanto perché lo si chiamava arbitrariamente tale; ma nella pratica poi, si vedeva che ad ogni passo la realtà delle cose prendeva le sue rivincite su una volontà che non era inspirata dalla logica giuridica e neppure dal buon senso. In mezzo a queste difficoltà, l’Assemblea è andata elaborando un progetto di legge – lo dico con la certezza di non esagerare giacché noi non abbiamo nessun interesse politico per accalorarci nella discussione e per sostenere una tesi piuttosto che un’altra – un progetto di legge che non avrebbe fatto onore per le sue contraddizioni, le sue incongruenze, all’Assemblea che avrebbe dovuto assumerne la paternità. Dinanzi a questa constatazione è sorta in noi l’idea ed il proposito di tentare una via di accordo. È stato questo accordo che si è cercato di raggiungere nella riunione di poco fa.

Onorevoli colleghi, mi rivolgo al Presidente della Commissione, onorevole Micheli, e lo prego di ascoltare attentamente queste poche parole che riguardano lui e me.. Ricorderà il collega Micheli che poco fa egli mi ha invitato a firmare l’ordine del giorno di cui or ora ha dato lettura, ma egli ricorderà anche che io mi sono rifiutato di firmare, dicendo: «Badi, onorevole, che, come ho già detto, io intendo firmare a condizione che i rappresentanti di tutti i Gruppi siano d’accordo con noi». Ella mi ha risposto: «Firmi; questo ordine del giorno rimane nelle mie tasche. Lo presenterò solo quando si sarà verificata la condizione che abbia raccolto anche le firme dei rappresentanti del Gruppo liberale e del Gruppo qualunquista». (Commenti).

MICHELI, Presidente della Commissione. Solo dei liberali!

TARGETTI. Con molta sorpresa ho ora constatato, onorevole Micheli, un equivoco che sento di poter dire dovuto tutto a lei e non a me, perché più chiaro di come mi ero espresso non potevo esprimermi. In questo momento si è verificata anche un’altra circostanza della quale bisogna tener conto. L’onorevole Lucifero ha pronunziato parole che al mio orecchio hanno risuonato come l’espressione del convincimento che vi fosse una preclusione di carattere costituzionale a che l’Assemblea deliberasse sul progetto di legge quale si trova in discussione. La preclusione da noi sostenuta non era di carattere costituzionale. Ma questa diversità di opinione non toglie che su l’argomento di cui ora si tratta non solo è mancato l’accordo dei rappresentanti di tutti i Gruppi, ma vi è un Gruppo – quello dell’onorevole Lucifero – e forse anche quello dell’onorevole Colitto, i quali avanzano senz’altro una eccezione di preclusione all’esame della legge. Questa è la negazione di quella condizione alla quale era esplicitamente e tassativamente subordinata l’adesione mia e del mio Gruppo. (Applausi a sinistra e a destra).

BUBBIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BUBBIO. Dato che esistono tuttora le ragioni di preclusione che sono state invocate ed applicate nella seduta di venerdì scorso, ritengo che questa preclusione debba anche oggi essere applicata. Comunque per ragioni di coerenza, che si impongono, io voterò contro. (Applausi).

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. Signor Presidente, mi pare che per vedere più chiaro sarebbe opportuno rifare un po’ la cronaca di quanto è avvenuto negli ultimi giorni. Ed io vorrei rifarla per invitare i colleghi a riflettere, insieme con noi, sul da farsi.

Siamo partiti dalla proposta di un sistema proporzionale. Questo era il sistema Mortati, che raccoglieva la maggioranza dei consensi dell’Assemblea. Perché non è stato votato questo sistema Mortati? Perché venne sollevata una questione preclusiva accolta dal signor Presidente, di sua autorità, senza consultare l’Assemblea stessa. Allora, si ripiegò sul progetto governativo, al quale venne fatta una modificazione portando il quoziente per l’elezione immediata, diciamo uninominale, dal 50 al 65 per cento. Questo lasciava però il sistema governativo su per giù intatto nel rimanente e la mia opinione è che in tutto lo smarrimento di cui ha dato prova l’Assemblea, nelle discussioni che dovevano portarci al voto sul famoso articolo 20, vi era molto di artificiale. In realtà, corretto dal 50 al 65 per cento, quell’articolo 20 poteva essere votato in una delle forme che ci venivano proposte. E non vi era nulla di scandaloso. Noi avremmo superato la preclusiva in quanto il sistema manteneva la fedeltà al principio uninominale ed in pari tempo, erano sodisfatti anche quei Gruppi che volevano porre al sistema uninominale determinati temperamenti nel senso della proporzionalità.

Questo smarrimento però è sorto nell’Assemblea. Vi è stata una specie di campagna psicologica fatta dagli avversari del sistema proposto e questa campagna psicologica ha avuto successo, tanto è vero che non si è arrivati alla votazione e sembrava che non ci si potesse arrivare con sufficiente precisione e chiarezza. Allora, ci riuniamo in Commissione per metterci d’accordo; non riuscendo a formulare tutti insieme un articolo 20 si propone di decidere per la proporzionale. E va bene. Noi firmiamo, accettiamo, ma l’onorevole Lucifero adesso ci dice che il Gruppo liberale mantiene tutte e sue riserve. Come? Mantenete voi anche la riserva di preclusione? Mantenete voi anche la riserva di incostituzionalità? È evidente che se un Gruppo come il Gruppo liberale – e pare che anche il Gruppo qualunquista aderisca – mantiene queste riserve di preclusione e di incostituzionalità, quello che noi facciamo ora è vano e ci può portare ad un risultato nullo.

Ci può portare a fare una legge, cioè, o ad avere domani da discutere una legge contro la quale viene sollevata di nuovo la riserva di preclusione per il contrasto con un ordine del giorno, oppure la riserva di incostituzionalità, e così non andremmo avanti mai. Pertanto, mi pare che soltanto a condizione che noi siamo sicuri che ci mettiamo su un terreno solido e che quello che facciamo venga fatto in forma definitiva, possiamo approvare una legge che potrà essere applicata. Solo a queste condizioni possiamo approvare quell’ordine del giorno; altrimenti è meglio che, a maggioranza, noi risolviamo di approvare quell’articolo 20 che, in sostanza, lasciati a parte aggettivi e bizantinismi, sodisfa, io ritengo, la grande maggioranza dell’Assemblea.

MICHELI, Presidente della Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI, Presidente della Commissione. Per lealtà debbo dichiarare che quanto ha detto ora l’onorevole Targetti risponde al vero. Però l’adesione del Partito liberale non è stata così esplicitamente negata nel periodo in cui l’onorevole collega si era assentato, per modo che noi, fino a quando siamo entrati in Aula, abbiamo avuto fondata speranza che l’opposizione dovesse essere di altro genere.

Quindi, mostrato e consegnato l’ordine del giorno al Presidente dell’Assemblea, egli ha ritenuto, e mi ha consigliato, di leggerlo puramente e semplicemente, come documento di quanto si era stabilito, il che io mi sono limitato a fare.

In fondo io sono venuto qui e ho detto: abbiamo fatto una adunanza ed i firmatari hanno approvato quest’ordine del giorno. Non ho aggiunto di più; e mi era parso in questo atteggiamento, un poco diverso da quello combinato, di non essere in evidente contrasto con le parole che avevo detto all’onorevole Targetti, che però io confermo, perché le ho dette nel momento in cui egli si assentava dalla sala. È avvenuto poi, nella Commissione, un cambiamento di scena e bisognava che io fossi corso dietro a lui per dirgli: tieni presente che forse dicono di sì o forse no. Non ebbi modo di farlo ed allora, di fronte anche al consiglio del Presidente, di dare dell’ordine del giorno una lettura quasi come di comunicazione o di cronaca e non di vera e propria presentazione di proposta, io mi sono attenuto a questa linea di condotta.

Se io ho sbagliato, l’onorevole Targetti mi vorrà essere largo della sua venia.

TARGETTI. Siamo d’accordo sul fatto.

GASPAROTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GASPAROTTO. Dato che riaffiora l’argomento della preclusione, non per mettere in imbarazzo la rispettata figura dal nostro Presidente, ma per legittima nostra soddisfazione, io ed i miei amici vorremo sentire su questo delicato argomento l’opinione dal Presidente dell’Assemblea, comunque, superando anche questo nostro legittimo desiderio, riteniamo che, per il rispetto che debbiano avere di noi stessi, non possiamo mancare di fede al voto dato con tanta ponderatezza, e voteremo contro l’ordine del giorno, perché riteniamo che un voto dell’Assemblea che contraddica, a posa distanza di tempo a se stessa, farà una triste impressione nel Paese.

PICCIONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PICCIONI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, io veramente non avevo troppa fiducia sulla sospensione dei lavori dell’Assemblea e sulla prospettiva di un accordo che determinasse un mutamento radicale nell’indirizzo della legge in discussione. Non avevo molta fiducia perché, come ha già rilevato nelle sue ultime dichiarazioni l’onorevole Presidente dell’Assemblea prima della sospensione, sarebbe stata opportuna un’indicazione, di orientamento almeno, da parte dei colleghi rappresentanti dei varî Gruppi. Questo non è avvenuto, conseguentemente nella riunione dei rappresentanti dei vari Gruppi si è avuta, come base di discussione, l’opinione personale dei singoli rappresentanti dei Gruppi, pur tenendo conto di tutte le difficoltà oggettive inerenti al disegno di legge in discussione.

Devo però precisare che l’iniziativa per una sospensione della seduta e per una prospettiva come quella elaborata dall’ordine del giorno letto dall’onorevole Micheli non era voluta minimamente da parte nostra, perché noi continuiamo a credere ancora – nonostante tutte le opposizioni avverse e diverse – alla giustezza della impostazione del disegno di legge in discussione, continuiamo a credere alla perfetta ortodossia costituzionale del disegno di legge stesso, alla sua possibile aderenza pratica ad una determinata generale situazione politica.

L’iniziativa era affiorata al di fuori dell’Aula e dentro l’Aula nella lunga mora intercorsa tra l’apertura della seduta e l’inizio effettivo dei lavori, da parte di esponenti, di appartenenti ad altri Gruppi, non al nostro. Direi anche, se mi è consentito, più che altro da parte di taluni appartenenti al Gruppo liberale.

Quindi, questa insurrezione venuta dopo l’elaborazione e la presentazione dell’ordine del giorno da parte dei rappresentanti ufficiali di taluni Gruppi, come se si fosse compiuta una nuova manomissione dei diritti di ciascun Gruppo o di ciascun deputato, questa insurrezione è fuori luogo ed io non posso in nessun modo, per quanto mi riguarda, dare ad essa un particolare significato, un particolare valore se non questo, onorevole Presidente: e cioè la premessa da cui tutti eravamo partiti, di cercare di raggiungere una unanimità o quasi di consensi, questa premessa non è stata oggettivamente raggiunta.

Noi facciamo questa constatazione in questo momento, e diciamo che quello che ci eravamo proposti e che lo stesso onorevole Presidente nelle sue dichiarazioni e nella sospensione della seduta aveva obiettivamente esposto all’Assemblea, non è stato possibile raggiungere.

Non c’è nulla di male. Abbiamo perduto – come ci è capitato sovente in questi giorni – altre due ore e mezza di utile lavoro, e questa unanimità o quasi di consensi non si è raggiunta.

Ne prendiamo atto e in conseguenza di ciò dichiaro di ritirare il mio nome dall’ordine del giorno presentato, invitando l’onorevole Presidente, per impedire altre perdite di tempo di tal genere e per impedire il risollevarsi di altre iniziative che poi non concluderebbero positivamente, a riprendere il lavoro al punto al quale lo abbiamo lasciato, e a cominciare a mettere in votazione i varî commi dell’articolo 20 del disegno di legge (Applausi al centro).

ZUCCARINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ZUCCARINI. Ritiro anch’io la mia firma dall’ordine del giorno letto dall’onorevole Micheli. La mia firma era infatti subordinata, come quella degli altri, all’accettazione unanime di tutti i Gruppi. Dopo una proposta che era partita dall’onorevole Targetti, era sembrato a tutti noi che, di fronte ad una cattiva proporzionale che presenterebbe, nella sua pratica applicazione, innumerevoli difficoltà e renderebbe davvero ardua la lotta elettorale, meglio fosse ritornare alla proporzionale pura e semplice, secondo il sistema accettato per la prima Camera.

Dal momento però che questa adesione non c’è stata, era perfettamente inutile – e saremo d’accordo su questo – che l’ordine del giorno venisse presentato all’Assemblea. C’erano molte ragioni che sono state indicate nell’ordine del giorno, le quali consigliavano questa soluzione; dal momento però che su essa la concordia non c’è, dichiaro anch’io, per il mio Gruppo, che ritiro la mia firma da quell’ordine del giorno. L’Assemblea sarà responsabile di quello che farà.

GULLO ROCCO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO ROCCO. Poche parole per spiegare le ragioni per cui anch’io, di fronte alla nuova situazione che si è creata nell’Assemblea, dichiaro di ritirare la mia firma dall’ordine del giorno. (Commenti).

E perché non si accusi di incoerenza chi è coerente, e viceversa, vengo a ribadire alcune delle ragioni che sono state qui esposte dai precedenti oratori. La proposta di una breve sospensione della seduta era affiorata, come bene ha detto l’onorevole Piccioni, proprio all’inizio della seduta di questa mattina e precisamente quando tutti gli oratori che avevano presentato e discusso i varî emendamenti si erano ritrovati d’accordo nel deplorare come, attraverso un ibrido connubio fra il sistema della proporzionale e il sistema del collegio uninominale, questo disegno di legge stesse per diventare il peggiore fra tutti i disegni di legge presentati.

Ed è appunto nell’interesse della serietà e del prestigio di questa Assemblea, nell’interesse del Paese stesso, che si era tutti d’accordo nel voler cercare di rivedere la situazione che si era creata, tentando una buona volta di mettersi d’accordo, di trovarsi unanimi su una nuova proposta.

E mentre qui sono venute a galla una quantità di voci controverse, dichiaro, senza invocare testimonianze, che, nell’ultima riunione, era ad un certo punto sembrato che si fosse veramente raggiunta questa unanimità. Io mi rammarico quindi che gli oratori che hanno contrastato l’ordine del giorno non siano neppur essi entrati nel merito. Questo ordine del giorno non doveva infatti rappresentare una semplice sospensiva e un invito al Governo a presentare un nuovo progetto di legge, solo perché il primo progetto non era piaciuto alla maggioranza dell’Assemblea. L’ordine del giorno invece conteneva dei motivi che valgono ancora e su cui richiamo l’attenzione dell’Assemblea, perché, nel momento in cui coloro che hanno presentato l’ordine del giorno dichiarano di non insistere, è opportuno che l’Assemblea tenga presenti le ragioni che hanno motivato l’ordine del giorno e che non sono ragioni puramente formali, ma ragioni sostanziali, che vigono ancora.

Ripeto, non mi preoccupo dell’uninominalità o della proporzionale, ma mi preoccupo di riaffermare – perché più tardi forse qualche altro sarà costretto a farlo – la gravità dei motivi che hanno ispirato l’ordine del giorno. Noi siamo al 26 gennaio. Il 31 gennaio dovremmo aver finito i nostri lavori. (Commenti). Le tabelle delle circoscrizioni non sono ancora pronte, e, ripeto, non ho bisogno neppure di altre testimonianze per dire che nella riunione dei capi-gruppo il Ministro dell’interno ha dichiarato che il lavoro di revisione delle tabelle circoscrizionali sarà tutt’altro che facile. Ricordo che l’onorevole Scoccimarro ha detto, in quella stessa riunione che precedette la presentazione dell’ordine del giorno, che ci saremmo assunti una grave responsabilità se avessimo voluto, come è nostro dovere e diritto, esaminare le tabelle circoscrizionali: la responsabilità, cioè, di rinviare la data delle elezioni.

Io, ripeto, ritiro la mia firma dall’ordine del giorno, però invito l’Assemblea a riflettere se i motivi che sono stati esposti nell’ordine del giorno – tra cui quello gravissimo dell’impossibilità di poter esaminare in tempo utile le tabelle circoscrizionali (di cui non possiamo demandare alla Commissione l’esame e lo studio, perché faranno parte integrante della legge) – siano tali per cui ci troveremo nell’impossibilità di andare avanti nei nostri lavori. (Commenti prolungati).

PRESIDENTE. È mio dovere ora tirare le conseguenze, per precisare anche alcune posizioni, onorevoli colleghi. E io vorrei dire subito che, se c’è qualche collega qui che non ha fatto nulla per rendere impossibile la conclusione attesa, sono proprio i colleghi onorevoli Lucifero e Colitto.

Onorevoli colleghi, la riunione si è tenuta, l’ordine del giorno è stato redatto: esso portava le firme dei rappresentanti dei cinque più importanti Gruppi dell’Assemblea. Io avevo subito dichiarato, non qui pubblicamente, ma a coloro ai quali avevo ritenuto di doverlo fare, che sarebbe stato sufficiente che un solo membro dell’Assemblea avesse invocato formalmente la preclusione, perché le firme dei cinque rappresentanti dei più importanti Gruppi non avessero nessun valore. Ed i colleghi onorevoli Lucifero e Colitto, che erano quelli che avrebbero potuto richiamarsi alla preclusione – ognuno di noi qui è testimonio – non lo hanno fatto, perché chiedere la preclusione vuol dire invocare in maniera precisa l’applicazione di questa norma del Regolamento, e non parlarne genericamente nel corso di un commento. È stato proprio da parte degli altri Gruppi, di quelli che pareva avessero acceduto alla conclusione dell’ordine del giorno, che poco per volta è venuta riproponendosi quella questione che i presentatori dell’ordine del giorno avevano evitato di porre.

Io ho tenuto a chiarire onestamente la questione nei suoi termini.

Tutti possono testimoniare che, dopo che l’onorevole Lucifero, l’onorevole Colitto e l’onorevole Costantini avevano fatto le loro dichiarazioni, io ho voluto precisarne la natura, definendole dichiarazioni di voto, chiarendo così che questi colleghi non chiedevano che non si mettesse in votazione l’ordine del giorno, che sarebbe stata la forma con la quale avrebbero dovuto invocare la preclusione (Interruzione dell’onorevole Piccioni).

Onorevole Piccioni, io avevo anche detto in precedenza che le riserve verbali hanno un valore di coscienza, ma non si traducono in atti concreti. E gli onorevoli colleghi, che hanno ancora una volta pronunziato la parola di «riserva» di fatto non avevano l’intenzione di farla valere, perché farla valere avrebbe potuto portare a gravi conseguenze, che evidentemente questi colleghi non avrebbero desiderato di provocare.

Ho voluto precisare questo, perché in definitiva è chiaro che la questione investe anche la mia funzione: se io avessi avvertito che la preclusione era richiesta, l’avrei immediatamente dichiarata, e, ripeto, anche se un solo deputato ne avesse fatto richiesta contro tutti i deputati di tutti i Gruppi riuniti insieme.

Ma nessuno ha invocato la preclusione, e noi avremmo potuto procedere alla votazione e risolvere la questione nel modo che tutti si attendevano.

Ma poiché i cinque firmatari dell’ordine del giorno hanno ritirato le loro firme, non possiamo che riprendere in esame l’articolo 20 del disegno di legge.

LUCIFERO. Chiedo di parlare. (Commenti).

PRESIDENTE. Su che cosa, onorevole Lucifero?

LUCIFERO. Per fatto personale. (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Lucifero, la prego di precisare in che cosa consiste il fatto personale.

LUCIFERO. Lei si è riferito a me e ad altri colleghi per le nostre dichiarazioni. La preclusione era in re ipsa, non avevamo bisogno di chiederla. (Vivi commenti).

PICCIONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PICCIONI. Io sono sicuro che l’onorevole Presidente ha preso atto formale di quest’ultima dichiarazione dell’onorevole Lucifero, che cambia completamente il senso delle parole testé pronunziate dallo stesso onorevole Presidente. (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Piccioni, io non desidero portare qui dichiarazioni fatte fuori dell’Aula.

Chiedo ora ai presentatori di emendamenti se li mantengano.

Onorevole Morelli, mantiene il suo emendamento?

MORELLI RENATO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Lucifero, mantiene il suo emendamento?

LUCIFERO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Gullo Fausto, mantiene il suo emendamento?

GULLO FAUSTO, Relatore per la maggioranza. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Martino Gaetano, mantiene il suo emendamento?

MARTINO GAETANO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Bosco Lucarelli, mantiene il suo emendamento?

BOSCO LUCARELLI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Ritengo che gli emendamenti presentati dagli onorevoli Laconi e Rocco Gullo non possano essere messi in votazione. L’onorevole Laconi, come i colleghi ricordano, ha proposto un emendamento a tenore del quale il candidato che fosse eletto per avere raggiunto il 65 per cento dei voti avrebbe facoltà, entro 48 ore, di rinunciare alla sua elezione. In tal modo tutti i voti relativi a quella determinata circoscrizione sarebbero calcolati insieme a quelli delle altre circoscrizioni concorrendo a formare il quoziente elettorale della regione.

Ritengo che non sia assolutamente ammissibile consentire ad un singolo di prendere una iniziativa, che di fatto, muterebbe completamente e definitivamente il carattere della legge, la quale è oggi ibrida ma acquisterebbe in questa maniera, per volontà esclusivamente di un singolo, un carattere omogeneo proporzionale.

Vi è poi la proposta dell’onorevole Gullo Rocco a tenore della quale, ove fosse raggiunto in un collegio da un candidato il 65 per cento dei voti validi, questi verrebbero computati per la formazione del quoziente regionale, attribuendosi tuttavia a colui che avesse raggiunto il 65 per cento dei voti uno dei posti spettanti al suo gruppo, in modo che quel 65 per cento funzionerebbe esclusivamente come indicazione di preferenza. A proposito di questo emendamento devo dichiarare che tale meccanismo non è accettabile nella legge, la quale: 1°) non prevede possibilità di preferenza, per cui non si possono dare preferenze neanche in modo indiretto; 2°) non consente che quella quota del 65 per cento dei voti raggiunta da un eletto concorra a due funzioni diverse.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Vorrei far notare che c’è un altro mio emendamento.

PRESIDENTE. Sta bene. Vi è infine un altro emendamento dell’onorevole Laconi, che praticamente si traduce nella proposta di applicare il metodo «d’Hondt» nel calcolo del quoziente per l’attribuzione dei seggi.

Il testo base è quello dell’onorevole Mortati.

GULLO ROCCO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO ROCCO. Io non posso che accettare ciò che ha detto il Presidente per quanto che si riferisce all’emendamento, che avevo proposto nel mio secondo intervento. Dichiaro peraltro di far mio l’emendamento presentato dall’onorevole Mortati, nella parte in cui la Commissione non l’ha accettato, e cioè il punto 1°.

PRESIDENTE. Sta bene.

Pongo in votazione il primo comma dell’articolo 20, esclusi gli alinea, nel testo governativo identico al testo dell’onorevole Mortati:

«L’ufficio elettorale regionale, costituito presso la Corte di appello od il tribunale a termini dell’articolo 8, appena in possesso dei verbali o delle comunicazioni di avvenuta proclamazione trasmessi da tutti gli uffici elettorali circoscrizionali, procede, con l’assistenza del cancelliere ed alla presenza dei rappresentanti dei gruppi dei candidati, alle seguenti operazioni:».

(È approvato).

Passiamo alla formulazione del punto 1°) dell’emendamento Mortati, fatta propria dall’onorevole Rocco Gullo come emendamento alla formulazione del testo governativo. Il Presidente della Commissione ed il Ministro hanno dichiarato di non accettarla.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Avendo l’onorevole Mortati ritirata la sua proposta, il Gruppo democristiano voterà contro.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la seguente formulazione:

1°) effettua la somma dei voti validi attribuiti a tutti i candidati esclusi quelli attribuiti ai candidati dal primo scrutinio».

(Non è approvata).

LACONI. Chiedo di perle re.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Dato che il mio emendamento si discosta dal testo accettato dalla Commissione, dovrebbe essere messo in votazione prima.

PRESIDENTE. Onorevole Laconi, mi pare che la formulazione sua, in questa prima parte, nella sostanza non differisca da quella dell’onorevole Mortati.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. È evidente che la determinazione delle cifre in queste due formulazioni non è fine a se stessa. È fatta ai fini di una determinata valutazione dei voti. Quindi, penso che, giunti a questo punto e respinto l’ordine del giorno Rocco Gullo, il resto del mio emendamento faccia corpo a sé, non possa essere diviso; ed il resto del testo Mortati faccia anche esso corpo a sé. Alcune questioni possono essere votate per conto proprio, per esempio, il fatto che si possa fare la graduatoria o per percentuali o per voti in senso assoluto.

Questa, evidentemente, è una questione che può essere scissa dal corpo generale dell’articolo e votata per se stessa; ma tutta la procedura è legata ad un determinato sistema di votazione. Anche quelle differenze non di sostanza, che anche il Presidente ha rilevato, fra il mio emendamento ed il progetto della Commissione, non hanno importanza sostanziale, ma sono collegate ad un determinato sistema di valutazione dei voti. Quindi, mi pare che l’unico sistema per procedere ad una valutazione, che rappresenti il pensiero dell’Assemblea, sia quello di votare interamente il mio emendamento; ed in un secondo momento, se questo emendamento fosse respinto, votare l’emendamento Mortati. Se poi vi sono parziali emendamenti ai nostri emendamenti, che concernano determinate questioni di dettaglio, possono essere votati precedentemente.

PRESIDENTE. Avevo sottolineato che la proposta Laconi si riassumeva in questo: applicare il metodo d’Hondt per l’assegnazione dei posti nel seno di questo collegio regionale. Io penso che, senza mettere in votazione comma per comma l’emendamento proposto dall’onorevole Laconi, si possa senz’altro porre in votazione la questione così formulata: se si ritenga che si debba applicare il metodo d’Hondt per l’assegnazione dei posti nel collegio nazionale.

Poiché la proposta dell’onorevole Laconi viene come emendamento, voteremo prima questa proposta. Se essa è accettata, bisognerà votare tutte le particolarità del sistema.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Voteremo a favore dell’emendamento Laconi.

MAZZEI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAZZEI. Dichiaro, anche a nome del Gruppo repubblicano, che voteremo contro l’emendamento Laconi. Devo anche aggiungere che noi avevamo fatto in questo punto una questione di qualche rilievo. È evidente che quando i senatori sono solo 237 ci sarà fatalmente un numero di resti piuttosto elevato, perché in molte regioni i piccoli partiti potranno non raggiungere il quoziente. Il sistema adottato per l’utilizzazione dei resti ha un rilievo di evidente importanza.

Ora, il sistema d’Hondt è notoriamente un sistema che dà un premio alla maggioranza. Quindi, se noi aggiungiamo anche il metodo d’Hondt, avremo aggiunto, a questa grande complicazione che abbiamo creato, un altro motivo di disordine: perché avremo eliminato da questo sistema l’unico vantaggio che esso poteva effettivamente avere, quello di proteggere e tutelare adeguatamente le minoranze. Mi dispiace anche per gli amici democristiani che in un primo tempo si erano manifestati d’accordo.

MARTINO GAETANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARTINO GAETANO. Contrariamente all’opinione testé manifestata dall’onorevole. Mazzei, io penso che nessun danno può derivare ai piccoli partiti dalla adozione del metodo d’Hondt nel caso in ispecie, e nessun premio con esso si conferisce alle maggioranze o ai grossi partiti.

Quando avviene l’utilizzazione dei resti in sede nazionale, allora si capisce che i piccoli partiti si avvantaggiano del metodo detto del quoziente o svizzero; ma quando questo non può avvenire – e credo che nessuno pensi a proporre una lista nazionale per l’utilizzazione dei resti anche per il Senato – allora io non trovo differenza pratica fra il metodo d’Hondt ed il metodo svizzero. Giacché, col metodo d’Hondt si divide per uno, per due, per tre, quattro ecc., il numero dei voti riportati da ogni lista ed i seggi sono attribuiti alle cifre più elevate di tutte le liste. Ciò per cui può essere preferibile il metodo svizzero è per utilizzare i resti delle singole circoscrizioni al fine di un completamento dei seggi in sede nazionale; ma se noi questi resti non li possiamo utilizzare in sede nazionale e se la circoscrizione è costituita dalla regione (questa è infatti il vero collegio elettorale nel quale avviene l’assegnazione dei seggi), io non vedo perché dobbiamo preoccuparci tanto della utilizzazione dei resti col metodo svizzero piuttosto che col metodo d’Hondt.

Pertanto, dichiaro, anche a nome del mio gruppo, che noi voteremo a favore dell’emendamento Laconi.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento Laconi:

«1°) determina la cifra elettorale per ogni singolo gruppo di candidati;

«2°) determina la cifra individuale dei singoli candidati di ciascun gruppo.

«La cifra elettorale di ogni gruppo di candidati è data dal totale dei voti validi ottenuti dai candidati del gruppo stesso, presentatisi nei collegi per i quali non è avvenuta la proclamazione.

«La cifra individuale viene determinata moltiplicando il numero dei voti validi ottenuto da ciascun candidato per cento e dividendo il prodotto per il numero degli elettori iscritti nel collegio. Nel caso di candidature presentate in più di uno dei collegi suddetti, si assume ai fini della graduatoria la maggiore cifra individuale relativa riportata dal candidato.

«L’assegnazione del numero dei seggi da coprire si fa nel modo seguente:

«Si divide ciascuna cifra elettorale successivamente per uno, due, tre, quattro… sino alla concorrenza del numero dei senatori da eleggere; e quindi si scelgono fra i quozienti così ottenuti i più alti in numero eguale a quello dei senatori da eleggere, disponendoli in una graduatoria decrescente. I seggi saranno assegnati ai gruppi in corrispondenza ai quozienti compresi in questa graduatoria.

«A parità di quoziente il posto è attribuito al gruppo che ha ottenuto la minore cifra elettorale.

«Se a un gruppo spettano più posti di quanti sono i suoi candidati, i posti esuberanti sono distribuiti secondo l’ordine della graduatoria di quoziente.

«L’Ufficio elettorale regionale proclama quindi eletti in corrispondenza ai seggi attribuiti ad ogni gruppo i candidati del gruppo stesso secondo la graduatoria determinata dalla loro cifra individuale».

(È approvato).

Vi sono ora alcuni emendamenti aggiuntivi. Il primo è quello dell’onorevole Bosco Lucarelli:

«In caso di parità di voti, è graduato prima il più anziano di età»

Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Segue la proposta dell’onorevole Morelli: «Nel caso di candidature plurime agli effetti della graduatoria di gruppo, si sommano i voti riportati dal candidato nei singoli gruppi». Essa è assorbita da un inciso dell’emendamento Laconi, già votato.

Ed ancora l’onorevole Lucifero propone:

«Nella graduatoria di cui al comma precedente saranno saltati i candidati i cui collegi abbiano già trovato la rappresentanza e si procederà fino a che ogni collegio avrà trovato la sua rappresentanza».

DOSSETTI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOSSETTI. Il nostro Gruppo voterà contro, per le ragioni che stamane ho già avuto l’onore di esporre all’Assemblea.

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. A nome del Governo mi dichiaro contrario all’emendamento Lucifero.

PRESIDENTE. Sta bene. Pongo in votazione l’emendamento Lucifero.

(Non è approvato).

Passiamo all’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Fausto Gullo, del seguente tenore:

«Se per morte, dimissione, opzione o per altro motivo si rende vacante durante la legislatura un collegio in cui la proclamazione dell’eletto si era avuta in base al raggiungimento del sessantacinque per cento dei votanti, si procede nel termine degli ottanta giorni dalla dichiarata vacanza a nuova votazione nella quale viene dichiarato eletto il candidato che ha raccolto il maggior numero di voti».

MORTATI, Relatore per la minoranza. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI, Relatore per la minoranza. Non vi è stata nessuna consultazione, in seno alla Commissione, su questa proposta: si tratta di un’iniziativa personale dell’onorevole Gullo. Non essendovi alcuna pronuncia della Commissione mi sento autorizzato ad esprimere, a titolo personale, il mio dissenso dalla proposta stessa. Bisognerebbe, in ogni caso, rinviarne la discussione al momento in cui sarà esaminato l’articolo 22, che è precisamente quello che considera l’ipotesi delle vacanze e detta le norme per provvedere ad esse.

PRESIDENTE. Onorevole Gullo, accetta la proposta di rinvio?

GULLO FAUSTO, Relatore per la maggioranza. Non ho alcuna difficoltà a rinviare questa mia proposta al momento in cui si discuterà l’articolo 22.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni rimane così stabilito.

(Così rimane stabilito).

Ricordo all’Assemblea che ieri abbiamo rinviato l’ultimo comma dell’articolo 18 perché occorreva prima conoscere il risultato della votazione sull’articolo 20. Poiché ora quest’articolo è stato votato, dobbiamo riprendere in esame quel comma, che è del seguente tenore:

«L’ufficio elettorale circoscrizionale dà immediata notizia della proclamazione del senatore eletto all’ufficio elettorale regionale».

Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 19. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Di tutte le operazioni dell’ufficio elettorale circoscrizionale viene redatto, in duplice esemplare, apposito verbale: uno degli esemplari è inviato subito alla segreteria del Senato che ne rilascia ricevuta, qualora sia avvenuta la proclamazione del candidato e, nel caso contrario, alla cancelleria della Corte di appello o del tribunale sede dell’ufficio elettorale regionale.

«Il secondo esemplare è depositato nella cancelleria del tribunale dove ha sede l’ufficio elettorale circoscrizionale. Gli elettori del collegio hanno facoltà di prenderne visione nei successivi quindici giorni».

PRESIDENTE. A questo articolo l’onorevole Colitto ha presentato il seguente emendamento:

«Al secondo comma, alla parola: circoscrizionale, sostituire: centrale».

COLITTO. Vi rinuncio.

PRESIDENTE. Sta bene. Pongo in votazione l’articolo 19 testé letto.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 21. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Di tutte le operazioni dell’ufficio elettorale regionale viene redatto, in duplice esemplare, apposito verbale: un esemplare è inviato subito alla segreteria del Senato che ne rilascia ricevuta; l’altro è depositato nella cancelleria della Corte d’appello o del tribunale sede dell’ufficio elettorale regionale, con facoltà agli elettori della Regione di prenderne visione nei successivi quindici giorni».

PRESIDENTE. A questo articolo non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 22. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Il posto di senatore che rimanga vacante per ineleggibilità preesistente alla elezione o per morte avvenuta entro un anno dalla data della elezione, viene attribuito al candidato che nel medesimo gruppo ha ottenuto il maggior numero di voti validi».

PRESIDENTE. Ricordo che dobbiamo prendere in esame l’emendamento aggiuntivo proposto dall’onorevole Gullo Fausto.

GULLO FAUSTO, Relatore per la maggioranza. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO FAUSTO, Relatore per la maggioranza. Signor Presidente, vorrei dire poche parole di chiarimento. Lei ha già detto che il testo del Governo si riferisce evidentemente al senatore risultato eletto in base alla proporzionale; l’emendamento invece si riferisce al senatore eletto per aver raggiunto il 65 per cento. Se, signor Presidente, anche questo senatore fosse sottoposto alla disciplina di cui all’articolo 22, ne deriverebbe la conseguenza che il collegio, il quale è riuscito ad eleggere direttamente il suo rappresentante, sarebbe proprio quello che resterebbe, per disposto di legge, senza rappresentante, in quanto, facendo ricorso alla lista, verrebbe necessariamente scelto un candidato di altro collegio.

Ecco perché io vorrei che il caso di vacanza, per un collegio in cui fosse stato proclamato un candidato che ha raggiunto il 65 per cento dei voti validi, fosse disciplinato così come è disciplinato nel mio emendamento.

MORTATI, Relatore per la minoranza. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI, Relatore per la minoranza. Devo esprimere parere contrario alla proposta dell’onorevole Gullo Fausto. Mi pare che non sia opportuno differenziare i procedimenti per le elezioni parziali. Se si accogliesse quanto ora ci è sottoposto si avrebbe questo risultato: che vi sarebbero tre categorie di senatori sorti da differenti sistemi elettorali, e cioè: quelli eletti con la maggioranza del 65 per cento, gli altri con maggioranza relativa ed infine gli eletti con lo scrutinio proporzionale.

A me pare che non sia raccomandabile questa ultima complicazione del sistema, e sarebbe invece utile ricondurre tutti i casi di sostituzione ad una stessa regola, quale che sia la causa che conduca a ricorrere ad essa: sia causa antecedente come causa successiva alla elezione.

È vero che, come ha fatto osservare l’onorevole Gullo, vi è un caso in cui la legge consente l’elezione con la maggioranza relativa: ma è un caso assolutamente eccezionale, e può ben dirsi solo teorico: quello cioè in cui tutti i collegi, meno uno, siano stati coperti con l’assegnazione a primo scrutinio. Non mi sembra conveniente argomentare da questo, che è un vero caso di necessità, per un’estensione oltre i limiti della necessità stessa.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro dell’interno ha facoltà di esprimere il parere del Governo.

SCELBA, Ministro dell’interno. Mi rimetto all’Assemblea.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Dichiaro che voterò a favore dell’emendamento Gullo Fausto perché, in sostanza, il collegio nel quale viene eletto il candidato col 65 per cento rappresenta nell’oceano della proporzionale un’isola, che è stata, come tale, consacrata anche con l’esclusione della utilizzazione di tutti gli altri voti nello scrutinio pel computo della proporzionale nella circoscrizione regionale.

Ora, siccome soltanto in questa isola si verifica il fenomeno del sistema uninominale, credo che almeno lì bisogna conservare i suoi caratteri anche nei casi di morte del senatore già proclamato; altrimenti si utilizzano dei risultati elettorali della regione che non sono stati presi in considerazione relativamente a quel collegio.

MORTATI, Relatore per la minoranza. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI, Relatore per la minoranza. Io chiedo che si voti sull’emendamento all’articolo 22 che io avevo proposto negli articoli che accompagnano la relazione di minoranza. Con questa sola variante, di dire anziché: «maggior numero dei voti validi», «la maggior cifra relativa individuale»; ciò in conseguenza dell’adozione del metodo d’Hondt, in luogo di quello del quoziente. Mi riferisco, signor Presidente, al testo riportato alla pagina 8 del documento contenente la relazione.

PRESIDENTE. Sta bene. Comunico all’Assemblea che l’emendamento della minoranza, ora richiamato dall’onorevole Mortati, è il seguente, tenuto conto della correzione apportatavi:

«Sostituirlo col seguente:

«I posti di senatore che rimangono vacanti per cause anteriori o sopravvenienti alla elezione sono attribuiti ai candidati che nel medesimo gruppo hanno ottenuto la maggior cifra relativa individuale.

«Nel caso che non vi siano candidati di quel gruppo, si applica il disposto dell’ultimo comma dell’articolo 20».

LAMI STARNUTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LAMI STARNUTI. Io desidero fare una brevissima osservazione. Mi pare che l’emendamento del collega Fausto Gullo non solo risponde al sistema, ma, se non venisse accolto, la sua reiezione potrebbe dare luogo ad un inconveniente grave: nella legge il collegamento è stato reso facoltativo…

FABBRI. Giustissimo.

LAMI STARNUTI. Quindi, vi può essere la possibilità che il deputato eletto a primo scrutinio e venuto a mancare sia un candidato non collegato. Respingendo l’emendamento Gullo si andrebbe incontro all’inconveniente…

MORTATI, Relatore per la minoranza. Non esistono candidati non collegati.

LAMI STARNUTI. Il collegamento è rimasto obbligatorio? Non si era concordato un emendamento per renderlo facoltativo?

MORTATI, Relatore per la minoranza. Sì, il collegamento è obbligatorio.

LAMI STARNUTI. Se è obbligatorio (la mia incertezza deriva dalla mia forzata assenza dalla seduta di ieri), non ha importanza quello che volevo dire.

FABBRI. Nel testo proposto dall’onorevole Mortati non v’era l’obbligo; non so se sia stato votato dopo…

PRESIDENTE. Il primitivo testo dell’articolo 12 diceva che il collegamento è obbligatorio, che è poi il testo che è stato votato. Non v’è alcun dubbio.

Dobbiamo ora passare alta votazione della formulazione Mortati.

È bene però precisare la differenza fra questo testo e quello ministeriale.

L’onorevole Mortati propone che si proceda alla sostituzione dei posti rimasti vacanti, senza indicare limite di tempo per questa sostituzione. Nel testo governativo si precisa che essa può avvenire solo entro un anno dalla data dell’elezione.

Questa la prima diversità; la seconda è invece costituita dal fatto che l’onorevole Mortati propone che si proceda alla sostituzione soltanto quando i posti restino vacanti per causa anteriore o sopravveniente all’elezione; senza specificare quali possano essere queste cause. Nel testo governativo è invece specificato che si procede alla sostituzione quando il posto resti vacante per ineleggibilità preesistente o per morte: sono cioè previsti due casi determinati con esclusione implicita di tutti gli altri.

Così chiarita la questione, passiamo senz’altro alla votazione.

Pongo in votazione il primo comma dell’emendamento Mortati, testé letto.

(Dopo prova e controprova, è approvato).

Pongo in votazione il secondo comma.

(È approvato).

Resta ora da porre in votazione l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Gullo Fausto

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Dichiaro, a nome del mio Gruppo, che voteremo contro l’emendamento Gullo.

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. Io sono contro l’emendamento proposto dall’onorevole Gullo Fausto. Data infatti l’obbligatorietà del collegamento, non vedo la ragione di uscire dal sistema normale di questo procedimento.

PRESIDENTE. Sta bene. Pongo pertanto in votazione l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Gullo Fausto.

(Dopo prova e controprova, non è approvato).

MORTATI, Relatore per la minoranza. Chiedo di parlare per una segnalazione relativa a un articolo precedente.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI, Relatore per la minoranza. A me pare che l’emendamento dell’onorevole Laconi all’articolo 20 già approvato non comprenda anche l’ultimo comma del progetto governativo, il quale si riferisce ad una ipotesi che non si può trascurare, per quanto possa essere eccezionale e forse irrealizzabile. Ma una legge non può trascurare un’ipotesi di questo genere, sia pure eccezionale, cioè che in una circoscrizione regionale tutti i collegi meno uno siano stati coperti con la proclamazione di candidati che abbiano riportato il sessantacinque per cento dei voti. Rimanendo un solo collegio, è ovvio che non si possa applicare la proporzionale. E allora, in questo caso, il comma detta le modalità per coprire il seggio rimasto vacante.

PRESIDENTE. Tenendo presenti le osservazioni fatte, pongo in votazione la seguente formulazione, la quale, se approvata, sarà aggiunta al testo già approvato dell’articolo 20:

«Se soltanto in un collegio non abbia avuto luogo la proclamazione a termini dell’articolo 18, il Presidente dell’ufficio elettorale regionale proclama eletto il candidato che in detto collegio ha avuto il maggior numero di voti validi e, in caso di parità di voti validi, il più anziano di età».

(È approvata).

MICHELI, Presidente della Commissione. Questo è già detto nell’emendamento Bosco Lucarelli; quindi è una ripetizione. Bisogna tenerlo presente.

PRESIDENTE. Sta bene. Passiamo all’articolo 24. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Il tribunale di Aosta, costituito in ufficio elettorale circoscrizionale ai sensi dell’articolo 7, esercita le sue funzioni con l’intervento di tre magistrati.

«È proclamato eletto il candidato che ha ottenuto il maggior numero di voti validi.

«In caso di parità di voti, è eletto il candidato più anziano di età».

PRESIDENTE. A questo articolo non sona stati proposti emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Dobbiamo ora esaminare l’articolo 5. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Quando, per qualsiasi causa, escluse le ipotesi previste dall’articolo 22, il numero dei senatori si riduce di almeno un terzo nelle Regioni aventi sino a 15 collegi e di almeno un quarto nelle altre, si procede con le norme stabilite dalla presente legge, sempre che manchino più di sei mesi alla scadenza normale della legislatura, a nuove elezioni in tutti i collegi della Regione per i seggi rimasti vacanti: lo scrutinio si effettua in base alle disposizioni di cui all’articolo 20.

«Se il numero dei senatori assegnati alla Regione non sia esattamente divisibile per tre o per quattro, il minimo dei seggi vacanti si determina arrotondando per eccesso il quoziente».

MORTATI, Relatore per la minoranza. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI, Relatore per la minoranza. Questo articolo è assorbito dall’articolo 22, che ha un carattere generale.

PRESIDENTE. Nel testo governativo sono previste due ipotesi di sostituzione del senatore defunto: per il primo anno dalle elezioni e per il tempo successivo. Poiché è stata approvata la formulazione dell’onorevole Mortati, a tenore della quale si provvede alla sostituzione con eguale procedura qualunque sia il tempo passato dalle elezioni, evidentemente non è più necessario prevedere il sistema per la sostituzione dei senatori che venissero a mancare nel corso del primo anno.

Pertanto, se non sorgono obiezioni, non si procederà alla votazione dell’articolo 5, che si intende assorbito nella formulazione approvata per l’articolo 22.

(Così rimane stabilito).

MARTINO GAETANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARTINO GAETANO. Vorrei chiedere un chiarimento al Presidente della Commissione e al Ministro dell’interno.

Abbiamo deliberato che è possibile presentare la propria candidatura in non più di tre collegi della stessa Regione. Ora, supponendo il caso di una Regione costituita da tre soli collegi (e, del resto, anche in qualsiasi altro caso), è ammesso implicitamente, come risulta peraltro della relazione del Ministro dell’interno, il collegamento con se stesso? O è escluso dal testo votato?

A pagina 3 della Relazione dell’onorevole Ministro dell’interno è detto che «Dal sistema dei collegamenti tra i candidati deriva l’altra conseguenza che la candidatura non è ammessa in più di un collegio della Regione. In caso contrario, si dovrebbe consentire il collegamento di un candidato con se stesso e, quindi, il cumulo dei voti ottenuti dal candidato in collegi diversi».

PRESIDENTE. L’onorevole Presidente della Commissione ha facoltà di rispondere.

MICHELI, Presidente della Commissione. Mi pare che il collegamento con se stesso sia ammesso implicitamente, per il fatto che i criteri di coordinamento sono generali per tutti coloro che si presentano nei vari collegi. Perché non devono essere in vigore quando uno si presenta in due o tre collegi? Non vedo che cosa osti.

PRESIDENTE. Qual è il pensiero del Governo?

SCELBA, Ministro dell’interno. La parte della relazione letta dall’onorevole Martino si riferiva all’articolo 9, secondo il quale «la candidatura è accettata per un solo collegio della Regione». Siccome questa disposizione è stata modificata completamente, è ammessa anche, come conseguenza implicita, la possibilità di collegamento con se stesso nelle candidature in più collegi della stessa Regione.

PRESIDENTE. L’onorevole Martino Gaetano ha facoltà di dichiarare se è sodisfatto delle risposte avute.

MARTINO GAETANO. Mi dichiaro sodisfatto.

FUSCHINI. Mi pare che rimanga un equivoco. Ai fini dell’assegnazione del seggio, non si possono sommare i voti ottenuti dallo stesso candidato in due o in tre collegi. Questo deve rimaner chiaro.

Una voce. È stato votato. Lo dice già l’emendamento Laconi.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, resta ora da esaminare il secondo comma dell’articolo 4, del seguente tenore:

«Dal giorno della pubblicazione del decreto di convocazione dei comizi nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica al giorno stabilito per la votazione devono decorrere almeno 70 giorni».

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Richiamo l’attenzione dell’Assemblea sulla dizione «almeno 70 giorni», che vuol dire che è stabilito un termine minimo, ma che non è stabilito alcun termine massimo.

SCELBA, Ministro dell’interno. È nella Costituzione il termine massimo.

SCOCCIMARRO. Allora bisogna adeguare questa norma alla Costituzione e dire: «entro 70 giorni». Lo dico per una proposta che possa venire dalla Commissione.

GULLO FAUSTO, Relatore per la maggioranza. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO FAUSTO, Relatore per la maggioranza. La Commissione ha soppresso questo capoverso dell’articolo 4 per farne una disposizione transitoria: quella contenuta nell’articolo 24-bis; e quivi è detto, come propone l’onorevole Scoccimarro: «entro 70 giorni».

Poiché l’articolo 24-bis è stato già approvato, non occorre votare il secondo comma dell’articolo 4.

PRESIDENTE. Sta bene. Allora resta la questione dell’articolo 2 che concerne le tabelle dei collegi. Ricordo agli onorevoli colleghi che su questa materia gli onorevoli Targetti e Amadei hanno presentato un ordine del giorno, la cui discussione fu a suo tempo rinviata.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Desidero richiamare l’attenzione dell’Assemblea appunto sul problema delle circoscrizioni. È da prevedere che in tale questione vi saranno molte osservazioni da fare e che, se il problema viene portato in Assemblea, noi dovremo dedicare molto del nostro tempo per risolverlo. Farei quindi la proposta concreta che la Commissione prenda essa in esame il problema delle circoscrizioni, che nel suo seno si risolvano tutte le osservazioni che possano essere presentate e che si portino poi le conclusioni in Assemblea. Nel frattempo l’Assemblea può affrontare l’esame degli statuti regionali, altrimenti per il 31 gennaio non termineremo il nostro lavoro.

PRESIDENTE. Sono state già presentate proposte formali nel senso testé enunciato dall’onorevole Scoccimarro. Di esse, come dell’ordine del giorno Targetti e Amadei, discuteremo nella seduta antimeridiana di domani.

Rinvio pertanto il seguito della discussione alle ore 11 di domani.

Sulle dimissioni di un commissario.

PRESIDENTE. Comunico, che, avendo l’onorevole Russo Perez rassegnato le dimissioni da componente della Commissione speciale per la legge elettorale del Senato, ho chiamato a sostituirlo l’onorevole Patricolo.

MICHELI, Presidente della Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI, Presidente della Commissione. Siccome l’onorevole Russo Perez ha creduto di motivare le sue dimissioni col fatto che io avrei fatto in Assemblea dichiarazioni non conformi alla volontà della maggioranza della Commissione, devo rilevare che ciò non è esatto, perché io ho sempre dichiarato, quando vi era contestazione fra i commissari, che esponevo il mio pensiero personale. Ciò può non risultare dal resoconto sommario ma certo risulta sempre dal resoconto stenografico. D’altra parte i commissari presenti possono farmi questa attestazione, perché io sono stato sempre scrupolosissimo e l’onorevole Russo Perez è caduto evidentemente in un equivoco. Se egli ci vuole abbandonare alla fine dei nostri lavori, come aveva minacciato in principio, lo faccia. Noi avremo il rammarico che il distacco si sia basato sopra una cosa non effettiva né reale.

PRESIDENTE. A rigor di termini le dimissioni inviatemi dall’onorevole Russo Perez non sono motivate.

MICHELI, Presidente della Commissione. Ma l’onorevole Russo Perez ha mandato una lettera a me.

PRESIDENTE. La lettera inviata a lei non può essere considerata altro che una lettera di carattere privato, perché è evidente che le dimissioni si presentano a colui o a quell’ente che ha nominato, e, secondo la decisione dell’Assemblea, è stata la Presidenza a nominare la Commissione. Pertanto l’onorevole Russo Perez non poteva presentare le sue dimissioni che alla Presidenza dell’Assemblea. Desidero che si prenda atto che nella lettera inviata alla Presidenza non vi è alcuna motivazione.

MICHELI, Presidente della Commissione. Prendo atto di questo con piacere. Credevo che la motivazione delle dimissioni risultasse ufficialmente, così come l’onorevole Russo Perez ha creduto di comunicarla a me.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’industria e del commercio, per conoscere le ragioni per le quali non è stato ancora pubblicato il decreto legislativo contenente disposizioni dirette ad agevolare l’industrializzazione dell’Italia meridionale, decreto approvato dal Consiglio dei Ministri fin dal 6 dicembre 1947. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Cortese Guido».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per conoscere perché anche ai pensionati non sia stata corrisposta la tredicesima mensilità e, nei comuni beneficiati, anche l’indennità di città sinistrata.

«Questa categoria di cittadini, per la sua età e malferma salute e per la entità delle pensioni dovute, non ragguagliata alla svalutazione monetaria, maggiormente risente le conseguenze del costo della vita.

«Sarebbe desiderabile che lo Stato non dimentichi le benemerenze dei pensionati ed estenda ad essi tutti i beneficî economici disposti per i dipendenti degli Enti pubblici.

«Il trattamento di quiescenza deve porre gli interessati in condizioni di godersi il meritato riposo e non di lasciare in un vero e proprio stato di indigenza dopo una vita intera di lavoro e di onestà. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Monterisi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per conoscere quali provvedimenti intenda prendere perché siano accelerate le operazioni inerenti al disbrigo delle pratiche per l’assegnazione delle pensioni di guerra, perché vi sono vedove ed orfani che da vari anni attendono la liquidazione dei loro diritti spettanti per legge e non avendo altre possibilità finanziarie languono nella più squallida miseria. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Monterisi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per conoscere se sia vero che, in base allo schema di decreto concernente il riordinamento dei ruoli organici del personale degli uffici provinciali del tesoro, di recente approvazione, sia stata concessa all’Amministrazione centrale, nella prima applicazione del provvedimento stesso, la facoltà di conferire posti di grado V, VI e VII ai soli funzionari non laureati, purché già in servizio al 30 novembre 1923.

«È da tener presente, in merito, che la sperequazione tra il detto personale fu creata non dalla legge organica del 1923, ma da quella 25 gennaio 1940, n. 4, e, perciò, funzionari non laureati, che avevano seguito la stessa carriera con i laureati e su questi avevano conseguito vantaggi nella graduatoria mediante concorsi per titoli e per esami, si videro superati da quelli muniti di laurea, che assunsero una posizione di privilegio col passaggio al gruppo A, non per meriti speciali, ma solo in virtù della legge citata 25 gennaio 1940, n. 4.

«I vantaggi accennati, oltre al fatto morale, sono:

1°) quelli di gruppo A possono accedere al grado V, mentre quelli di gruppo B no;

2°) quelli di gruppo A possono, inoltre, essere nominati direttori superiori, grado VI, mentre ciò non è possibile per il gruppo B.

«La legge fascista 25 gennaio 1940, n. 4, citata, creò una palese ingiustizia tra funzionari che avevano partecipato agli stessi concorsi, quando non era prevista una diversa carriera tra laureati e non laureati.

«L’Amministrazione, perciò, non deve essere lasciata arbitra di decidere il passaggio al gruppo A dei soli funzionari con anzianità 30 novembre 1923, ma deve ristabilire tra i funzionari citati la posizione di carriera esistente alla data di emanazione della legge 1940, o quanto meno la scelta dovrà essere estesa anche ai funzionari che erano in graduatoria con i laureati al 1940.

«La incomprensibile limitazione della scelta ai soli funzionari con anzianità 1923 (?) crea una maggiore sperequazione e fa trasparire evidente l’intenzione di favorire solo alcune persone. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Fabriani».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno trasmesse ai Ministri competenti, per la risposta scritta.

La seduta termina alle 21.45.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 11 e alle 16:

Seguito della discussione del disegno di legge:

Norme per l’elezione del Senato della Repubblica.

ANTIMERIDIANA DI LUNEDÌ 26 GENNAIO 1948

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCLXIV.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI LUNEDÌ 26 GENNAIO 1948

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Norme per l’elezione del Senato della Repubblica (61).

Presidente

Mortati, Relatore per la minoranza

Micheli, Presidente della Commissione

Scelba, Ministro dell’interno

Bosco Lucarelli

Martino Gaetano

Morelli Renato

Gullo Rocco

Laconi

Candela

Lucifero

Schiavetti

Dossetti

Gullo Fausto, Relatore per la maggioranza

Mastino Pietro

Bellavista

Persico

La seduta comincia alle 10.10.

MAZZA, ff. Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Seguito della discussione del disegno di legge: Norme per l’elezione del Senato della Repubblica. (61).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge: Norme per l’elezione del Senato della Repubblica. (61).

Dobbiamo esaminare l’articolo 20 nel testo governativo, che è del seguente tenore:

«L’ufficio elettorale regionale, costituito presso la Corte di appello od il tribunale a termini dell’articolo 8, appena in possesso dei verbali o delle comunicazioni di avvenuta proclamazione trasmessi da tutti gli uffici elettorali circoscrizionali, procede, con l’assistenza del cancelliere ed alla presenza dei rappresentanti dei gruppi dei candidati, alle seguenti operazioni:

1°) effettua la somma dei voti validi attribuiti a tutti i candidati nei collegi in cui non è avvenuta la proclamazione;

2°) divide tale somma per il numero dei predetti collegi più uno e stabilisce il quoziente regionale;

3°) effettua la somma dei voti validi attribuiti a ciascun gruppo dei candidati collegatisi e la divide per il quoziente regionale: il risultato della divisione, esclusa l’eventuale frazione decimale, rappresenta il numero dei seggi da attribuire al gruppo dei candidati.

«Qualora rimangano dei seggi vacanti essi sono attribuiti ai gruppi di candidati collegatisi per i quali la divisione avrà dato maggiori resti e, in caso di parità di resti, al gruppo che, nell’insieme dei collegi, ha avuto maggiori voti validi.

«Se con il quoziente regionale, calcolato come sopra, il numero dei seggi da attribuire ai vari gruppi supera quello dei seggi della Regione nei quali non è avvenuta la proclamazione, le operazioni si ripetono con un nuovo quoziente ottenuto diminuendo di una unità il divisore;

4°) stabilisce la graduatoria dei candidati presentatisi nei collegi in cui non è avvenuta la proclamazione, in base ai voti validi loro attribuiti e nell’ambito di ciascun gruppo;

5°) proclama quindi eletti, in corrispondenza dei seggi attribuiti a ciascun gruppo, candidati del gruppo stesso che, secondo la graduatoria di cui al numero precedente, hanno avuto il maggior numero di voti validi; dà notizia della proclamazione alla segreteria del Senato ed alle prefetture della Regione perché, a mezzo dei sindaci, ne rendano edotti gli elettori, e rilascia attestazione ai senatori proclamati.

«Se ad un gruppo spettano più posti di quanti sono i suoi candidati, i posti esuberanti sono attribuiti agli altri gruppi secondo l’ordine decrescente dei resti.

«Se soltanto in un collegio non abbia avuto luogo la proclamazione a termini dell’articolo 18, il Presidente dell’ufficio elettorale regionale proclama eletto il candidato che in detto collegio ha avuto il maggior numero di voti validi e, in caso di parità di voti validi, il più anziano di età».

L’onorevole Mortati ha proposto il seguente nuovo testo, a partire dall’alinea 1°):

«…..

1°) effettua la somma dei voti validi attribuiti a tutti i candidati non proclamati eletti;

2°) divide tale somma per il numero dei collegi nei quali non è avvenuta la proclamazione «più due», se tale numero è inferiore ad otto, «più tre» se è inferiore a quattordici e «più quattro» se è di quattordici o più, e stabilisce il quoziente regionale;

3°) effettua la somma dei voti validi attribuiti a ciascun gruppo di candidati e divide tale somma per il quoziente regionale; il risultato della divisione, esclusa l’eventuale frazione decimale, rappresenta il numero dei seggi da attribuire a ciascun gruppo.

«Qualora rimangano dei seggi vacanti, essi sono attribuiti ai gruppi per i quali la divisione avrà dato maggiori resti e, in caso di parità di resti, al gruppo che ha avuto maggiori voti validi.

«Se ad un gruppo spettano più posti di quanti sono i suoi candidati, non compresi coloro che siano stati già proclamati eletti in base all’articolo 18, i posti esuberanti sono distribuiti fra gli altri gruppi in ragione di uno per gruppo, secondo l’ordine decrescente dei voti validi riportati.

«Se con il quoziente regionale, calcolato come sopra, il numero complessivo dei seggi da attribuire ai varî gruppi supera quello dei collegi della regione, nei quali non è avvenuta la proclamazione, le operazioni si ripetono con un nuovo quoziente regionale ottenuto diminuendo di uno il divisore;

4°) stabilisce la graduatoria di gruppo dei singoli candidati che non siano stati proclamati eletti in base alla cifra individuali relativa. Tale cifra è determinata moltiplicando per cento il numero dei voti validi riportati da ciascun candidato nei collegi in cui si è presentato e dividendo il prodotto per il numero degli elettori iscritti nel collegio stesso. Nel caso di candidature plurime, agli effetti della graduatoria di gruppo, si tiene conto del collegio dove il candidato ha riportato la maggiore cifra individuale relativa;

5°) proclama, quindi, eletti, in corrispondenza dei seggi attribuiti a ciascun gruppo, i candidati del gruppo stesso che, secondo la graduatoria di cui al numero precedente, hanno avuto la maggiore cifra individuale relativa; dà notizia ecc.

«Penultimo comma: Soppresso».

L’onorevole Mortati ha facoltà di svolgere l’emendamento.

MORTATI, Relatore per la minoranza. I punti che mi pare opportuno illustrare sono i seguenti.

Per quanto riguarda il primo comma c’è una proposta che io, pur senza insistervi troppo, sottopongo all’Assemblea, rimettendomi alla sua decisione. Nel primo comma, infatti, si afferma, in contrasto con la proposta del progetto governativo, che si utilizzano anche i voti non attribuiti nel primo scrutinio, nel senso che, se vi sono candidati nel collegio nel quale è stato proclamato un eletto col 65 per cento dei voti, i voti non attribuiti vengono utilizzati nello scrutinio a base proporzionale. Nella proposta, l’utilizzazione dei voti è limitata a quelli dei candidati non proclamati, ma è evidente che, se si ammette il principio, è opportuno procedere al computo anche dei voti ottenuti da coloro che sono stati proclamati, in eccedenza al 65 per cento.

Ma, ripeto, su questo punto non insisto: mi rimetto all’Assemblea, anche perché, a quanto so, la Commissione, nella sua maggioranza, è di parere contrario. Per quanto riguarda il numero 2, in esso è proposto il collocamento dei seggi residuati all’assegnazione col primo scrutinio con il metodo del quoziente depresso, conosciuto con il nome di metodo Hagenbach-Bischoff e, data la notevole differenza di composizione demografica dei collegi, è sembrato opportuno graduare la diminuzione del quoziente secondo l’ampiezza dei collegi. È per questo che ho proposto di aumentare di due il numero dei seggi per i collegi inferiori ad otto seggi; a tre, se inferiore a quattordici; a quattro, se più di quattordici. Il progetto governativo aumentava invece di uno, in ogni caso, il numero dei seggi, con il risultato di aumentare notevolmente le assegnazioni sulla base dei più alti resti, cioè secondo un criterio di carattere puramente fortuito.

Un punto sul quale richiamo l’attenzione è quello relativo alla determinazione proporzionale dei voti riportati dai candidati. Ciò è un esigenza determinata dal fatto della sperequazione demografica dei vari collegi, che pone in una situazione di inferiorità i candidati dei collegi più piccoli. Per la rimanente parte dell’articolo non mi pare vi sia nulla di rilevante da osservare.

Se occorressero altri chiarimenti, li darò durante la discussione.

PRESIDENTE. Chiedo il parere della Commissione sull’emendamento Mortati.

MICHELI, Presidente della Commissione. Salvo che per il n. 1), la Commissione esprime parere favorevole all’accettazione dell’emendamento Mortati.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro dell’Interno ha facoltà di esprimere il parere del Governo.

SCELBA, Ministro dell’interno. Sono d’accordo col Presidente della Commissione in ordine all’emendamento Mortati.

Io insisterei sul progetto governativo, per quanto riguarda il numero 1), perché l’emendamento Mortati su questo punto è in certo senso irrazionale e potrebbe avere conseguenze aberranti, a meno che non venisse completato nel senso che tutti i voti, sia di quelli proclamati a maggioranza sia di quelli non proclamati, vengano calcolati nelle liste collegate.

Accetto tutte le altre modifiche apportate dall’emendamento Mortati.

PRESIDENTE. L’onorevole Bosco Lucarelli ha proposto il seguente emendamento:

«All’alinea quarto, aggiungere:

«In caso di parità di voti è graduato primo il più anziano di età».

Ha facoltà di svolgerlo.

BOSCO LUCARELLI. Il mio emendamento non ha bisogno di chiarimenti; esso fa una ipotesi, che forse nel caso pratico non si verificherà; ma potendosi verificare, è bene prevederla. Nel caso che due candidati abbiano riportato un uguale numero di voti, bisogna determinare chi avrà la precedenza in graduatoria. Il mio emendamento, colmando una lacuna del progetto, stabilisce che la precedenza è determinata dalla maggiore età.

PRESIDENTE. L’onorevole Martino Gaetano ha proposto il seguente emendamento al testo dell’onorevole Mortati:

«Al numero 4°) sopprimere le parole da: Tale cifra è determinata sino a: elettori iscritti nel collegio stesso».

Ha facoltà di svolgerlo.

MARTINO GAETANO. Credo che questa legge, che noi stiamo elaborando, si segnali per una evidente coerenza delle varie norme, che sono state via via approvate. Tale coerenza io la vedo nella assoluta mancanza di logica in tutte le disposizioni particolari finora discusse ed approvate.

Noi abbiamo stabilito, per esempio, che abbia luogo l’elezione a collegio uninominale solo nel primo scrutinio. Ebbene, che io sappia, nel collegio uninominale viene eletto colui che ha la maggioranza dei voti: o la maggioranza assoluta o la relativa o qualcosa che stia di mezzo fra la maggioranza assoluta e relativa, cioè un quorum stabilito per legge. Ebbene, secondo questa legge, nemmeno chi ha la maggioranza assoluta viene eletto. Il quorum rappresenta – e credo che questo sia universalmente riconosciuto – appunto una quota della maggioranza assoluta, rappresenta cioè qualche cosa che è al disopra della maggioranza relativa ed al disotto della assoluta. Ebbene, nel nostro progetto, il quorum si trasforma addirittura in una maggioranza qualificata, anzi in una maggioranza altamente qualificata, e cioè oltre i due terzi del numero dei voti validi.

Altro esempio: il collegamento fra i candidati, che era obbligatorio, a norma del progetto ministeriale, è stato reso facoltativo con la modifica apportata dalla Commissione.

MORTATI, Relatore per la minoranza. Non è esatto; è stato mantenuto il collegamento obbligatorio.

MARTINO GAETANO. Allora rinunzio a questo esempio e passo ad un altro.

È permesso presentarsi in tre collegi nella stessa regione. Erroneamente si parla di «collegi», perché il collegio in realtà è unico, il collegio è la regione. Diciamo dunque più esattamente: tre circoscrizioni. Ma i voti riportati dal candidato nei tre collegi possono essere tutti da lui utilizzati al fine della determinazione del voto personale e quindi della comparazione tra i candidati di una stessa lista? Non pare. È permesso presentarsi in tre collegi, ma poi non è permesso utilizzare i voti riportati nei tre collegi della regione. C’è un ostacolo, forse, che verrà presumibilmente prospettato quando si discuterà un apposito emendamento presentato dall’onorevole Morelli e da me. L’ostacolo è questo: che le condizioni non sono uniformi per tutti i candidati di una stessa lista, perché chi si è presentato in tre collegi, anziché in uno, verrà a trovarsi in condizioni di vantaggio rispetto a chi si è presentato in un solo collegio. Ma allora, perché proibire, ad esempio, che due candidature da uno stesso soggetto vengano presentate in due regioni diverse? Quell’ostacolo non ci sarebbe nel caso in ispecie, cioè per la presentazione della propria candidatura in due collegi di due diverse regioni. Ebbene, l’emendamento Scelba, da noi già approvato, vieta la presentazione di due candidature da parte di uno stesso individuo in due diverse regioni, mentre consente la presentazione di più candidature nella stessa regione, dove questa presentazione non ha nessun valore pratico, dato che i voti non possono essere sommati.

Altro esempio: i voti vengono utilizzati nell’ambito regionale, ma chi vota in una circoscrizione non può votare per gli altri candidati della regione che non siano candidati di quella circoscrizione. Questo è un assurdo evidente: deve essere necessariamente, con ogni sistema elettorale, consentito all’elettore di eseguire la scelta fra tutti i candidati del collegio. Ora, se il collegio è la regione, come si può ammettere questo assurdo, che l’elettore non possa votare per un candidato, per uno qualsiasi, per una lista di candidati, se volete, della stessa regione, cioè dello stesso collegio?

Altra assurdità: noi abbiamo stabilito che, qualora al primo scrutinio nessuno raggiunga il sessantacinque per cento dei voti, si procede col sistema proporzionale. Orbene, noi abbiamo il caso del Molise, dove esistono due soli collegi. Ammettete per ipotesi che in uno dei collegi venga da un candidato raggiunto il sessantacinque per cento dei voti e spiegatemi voi come si applicherà il principio della proporzionale…

MORTATI, Relatore per la minoranza. Il caso è previsto nell’ultimo comma dell’articolo 20.

MARTINO GAETANO. È prevista la maggioranza relativa, cioè per questo caso specifico del Molise è tradito il principio stesso al quale si informa tutto il progetto che stiamo discutendo.

Una voce al centro. C’è anche l’eccezione per la Val d’Aosta.

MARTINO GAETANO. Sì, c’è anche l’eccezione della Val d’Aosta. Evidentemente questo è un sistema che non può essere applicato in modo uniforme in tutto il Paese.

Queste premesse servono a dimostrare che una coerenza c’è, nella mancanza di logica di tutte le disposizioni da noi adottate, e quindi io trovo perfettamente giusto che le parole di cui chiedo la soppressione siano inserite nell’emendamento dell’onorevole Mortati. Che cosa dice esattamente al comma quarto l’emendamento Mortati? «Tale cifra è determinata moltiplicando per cento il numero dei voti validi riportati da ciascun candidato nei collegi in cui si è presentato e dividendo il prodotto per il numero degli elettori iscritti nel collegio stesso».

Evidentemente, non è sfuggito all’acume dell’onorevole Mortati il fatto elementare e fondamentale che, col sistema che noi abbiamo escogitato, si viene ad eseguire una comparazione, nell’ambito regionale, fra elementi disparati. Ad evitare questo viene suggerito il suddetto artificio matematico. Si vuole, in altri termini, eliminare l’intervento di fattori estrinseci. È evidente che, per esempio, con la legge per l’elezione dei deputati alla Camera, noi abbiamo la comparazione fra i candidati di una stessa lista in condizioni uniformi. Questi candidati hanno riportato i loro voti tutti nella stessa circoscrizione. Nel caso, invece, dell’elezione del Senato, i fattori estrinseci non sono uniformi, e noi non possiamo eseguire la comparazione tra elementi disparati. Se, per esempio, l’onorevole Medi avrà riportato i suoi voti nella circoscrizione di Palermo e l’onorevole Martino li avrà riportati invece nella circoscrizione di Messina, si hanno evidentemente due condizioni diverse. Innanzi tutto per numero di elettori, e cioè per numero di votanti; poi anche per altri fattori, non previsti dalla formula matematica escogitata dall’onorevole Mortati. Se noi vogliamo effettivamente, con un mezzo matematico, eliminare questi fattori estrinseci, i quali non consentono logicamente la comparazione fra elementi disparati, noi non possiamo trascurare tutte quelle altre cause estrinseche che turbano, che impediscono la comparazione fra elementi disparati.

Quali sono queste altre cause? In primo luogo, il numero dei votanti in relazione al numero degli inscritti. Infatti la percentuale delle astensioni può essere diversa, per svariate ragioni, fra una circoscrizione e l’altra.

Ma c’è un altro fattore, che ha la sua importanza, e che deve essere esaminato, se noi vogliamo correggere questa incongruenza della legge. Questo altro fattore è il numero dei candidati. Se in una circoscrizione i candidati sono pochi ed in un’altra invece sono molti, evidentemente la condizione non è uniforme e la comparazione non è possibile: infatti, quando i candidati sono molti la dispersione dei voti è maggiore e quando essi sono pochi la concentrazione dei voti è maggiore.

Io credo che sia inutile ricorrere a formule matematiche, cioè ad artifici che dovrebbero servire a corregger quello che non si può in nessun modo correggere. Onorevoli colleghi, riconosciamolo onestamente, chiaramente: per quanto possa essere grande la versatilità dell’ingegno di coloro che in pratica hanno elaborato ed elaborano questa legge, non è possibile fare che essa diventi quello che non è e che non può assolutamente diventare: una cosa seria.

PRESIDENTE. L’onorevole Morelli Renato unitamente all’onorevole Martino Gaetano ha proposto il seguente emendamento:

«Al numero 4), all’ultima parte sostituire:

«Nel caso di candidature plurime, agli effetti della graduatoria di gruppo, si sommano i voti riportati dal candidato nei singoli gruppi».

Ha facoltà di svolgerlo.

MORELLI RENATO. La spiegazione di questo mio emendamento è come un codicillo alle dichiarazioni che ha già fatto l’onorevole Martino Gaetano.

È noto che noi liberali abbiamo avversato questa legge, perché siamo degli uninominalisti convinti, e potrà meravigliare che sia proprio io l’autore di questo emendamento che, in fondo, tiene in maggior conto la proporzionale. In realtà noi obbediamo alla logica, siamo degli spiriti logici, e quindi vogliamo trarre la conseguenza da un principio, quando è consacrato nella legge.

Ora, l’Assemblea ha approvato ieri il concetto della pluralità delle candidature, che è connesso alla possibilità di fare la somma dei voti. Vero è che questo progetto non è una cosa seria, perché, mentre ha una vernice di uninominalismo, in realtà pone il suo fondamento sulla proporzionale, che d’altra parte smentisce, come quando, nel caso in discussione, vuole evitare che si sommino i voti dei candidati in più collegi.

Ma io vorrei richiamare l’attenzione dell’Assemblea sugli inconvenienti di quest’ultimo sistema, che danneggia i grandi partiti, i piccoli partiti e, quel che è peggio, il Paese.

Danneggia i grandi partiti, perché, quando stabilisce che non si possono sommare i voti, espone una persona, che goda di una grande popolarità, e quindi raccolga vasti consensi, e che si presenti in due o tre collegi, al rischio di non essere eletto senatore e di vedere eletto al suo posto, nel gruppo dei candidati collegati, una persona che sia nota soltanto in un collegio, localmente, e che raccolga consensi molto più limitati.

Esemplifico. Ammettiamo l’esistenza di tre collegi in una sola regione: in questa regione un candidato ha riportato trentamila voti in un collegio e trentamila in un altro ossia in entrambi sessantamila, mentre il candidato a lui collegato ha riportato nel terzo collegio trentacinquemila. Ebbene a quest’ultimo può essere attribuito il quoziente che è stato conquistato con i voti dell’altro candidato, presentatosi in due collegi.

Sicché, colui che ha riportato una larga messe di consensi, che supera i limiti territoriali di un solo collegio, e che avrebbe più diritto di essere eletto perché, se vogliamo essere democratici, dobbiamo tenere conto anche di questo elemento, si vede sostituito da altro candidato, che ha riportato sostanzialmente un minor numero di voti. Questo inconveniente aumenta il rischio, grave in ogni caso, delle candidature. Debbo osservare in proposito che sarebbe molto facile, viceversa, ai grandi partiti, se si sommassero i voti, graduare la presentazione di candidature plurime secondo l’importanza ed il rilievo che hanno singoli candidati, dato che con la proporzionale nessun partito può aspirare a prendere il posto in tutti i collegi della regione.

Per i piccoli partiti il danno è più grave: essi saranno costretti (e questo è anche un inconveniente per la loro organizzazione, per le spese elettorali ecc.) a presentare, se vogliono raccogliere voti per il quoziente, un candidato in tutti i collegi, anche dove siano deboli, per poi veder preferita a qualche personalità maggiore, che possono avere nella regione, una persona di nessun valore, comunque quasi sconosciuta, che, presentata per non perdere anche i pochi voti di quel collegio, sia stata poi favorita, rispetto agli altri, da un certo sentimento campanilistico.

Tutto questo giuoco si risolve in un danno per gli interessi del Paese, perché si presenteranno candidate alle elezioni per il Senato soltanto quelle persone che possono affrontare a cuor leggero la lotta elettorale, esponendosi anche a insuccessi, che possono tuttavia danneggiare se stessi e il partito, che le presenta perché non ne trova altre disposte a correre il grave rischio e d’altra parte è nella necessità di non perdere voti per il quoziente. Io mi associo quindi a quanto ha sostenuto l’onorevole Martino, per notare come l’unica opposizione che, secondo me, può essere fatta al mio emendamento, è quella formulata da qualche collega della Commissione ed è una obiezione di carattere tecnico: siccome, cioè, si adotta, nel progetto che il Ministro ha accolto, un sistema fondato su un calcolo di rapporti e non di voti, si dovrebbe fare una somma di rapporti e non di voti. Ma, se venisse accolto l’emendamento Martino, questa obiezione verrebbe eliminata, perché rivivrebbe il progetto Scelba, che è molto più semplice.

Viceversa, se rimanesse nel progetto questa complicazione di calcoli, dirò (senza venir meno al rispetto verso gli ideatori del sistema, dei quali conosco l’ingegno e la preparazione) che si verificherebbero tali incongruenze dal punto di vista politico, e potremmo anche dire democratico, da dover concludere che purus mathematicus, purus asinus.

PRESIDENTE. L’onorevole Gullo Rocco ha proposto il seguente emendamento:

«Al numero 1°), dopo la parola: candidati, aggiungere: esclusi quelli attribuiti ai candidati eletti a primo scrutinio».

Praticamente l’onorevole Gullo Rocco riprende l’emendamento Mortati, che la Commissione e il Governo hanno dichiarato di non accettare.

L’onorevole Gullo Rocco ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

GULLO ROCCO. Avrei ritirato il mio emendamento se fosse rimasto quello dell’onorevole Mortati, con cui il mio coincide. Ma dopo le dichiarazioni fatte dalla Commissione e dal Ministero, sento il dovere di insistere su questo emendamento e di richiamare l’attenzione dell’Assemblea sulle conseguenze che avrebbe il mancato accoglimento dell’emendamento stesso.

Il progetto della Commissione non poteva tener conto dell’attribuzione dei voti riportati nei collegi dove già si era ottenuta la proclamazione di uno dei candidati a primo scrutinio, perché il progetto prevedeva il sistema uninominale puro maggioritario.

Il primo progetto Mortati non poteva occuparsi neppure della questione, perché prevedeva il sistema proporzionale.

Ora, noi ci troviamo in quella tale condizione che è stata così acutamente messa a punto dall’onorevole Martino, del quale io – pur partendo da un punto di vista diverso per quello che riguarda questa legge – condivido perfettamente il giudizio sulla assoluta coerenza che questa legge ha raggiunto nell’incoerenza. Per cui mi domando se non sarebbe il caso, da parte di chi di ragione, di fare appello all’articolo 96 del Regolamento per eliminare quelle incongruenze e quelle illogicità, di cui veramente qui abbiamo raggiunto il diapason.

Ma, per ritornare al mio emendamento, dirò che condivido perfettamente il pensiero, o almeno il primo pensiero che ha ispirato l’onorevole Mortati, quando nel suo emendamento ha scritto: «effettua la somma dei voti validi attribuiti a tutti i candidati non proclamati eletti». Se noi eliminiamo queste ultime parole, se noi vogliamo cioè eliminare dal computo dei voti quell’influenza che questi voti dovrebbero avere nella formazione del quoziente regionale, noi verremmo a creare con ciò una condizione di grave svantaggio per alcune minoranze.

È ben vero che il caso di un candidato che riporti al primo scrutinio il 65 per cento dei voti validi non è molto probabile, ma è pur sempre possibile e, se è possibile, la legge non può non prevederlo, perché la legge deve in ogni caso prevedere tutte le possibili conseguenze.

Se dunque l’emendamento Mortati non dovesse venire accolto, accadrebbe che, in quei collegi dove vi sia un candidato che abbia raggiunto il 65 per cento dei voti validi, noi verremmo ad eliminare completamente l’altro 35 per cento che è stato dato ad altri candidati. Ora, dichiaro francamente che non ho ben compreso per quale motivo il Ministro e la Commissione si siano dichiarati contrari; si tenga presente che noi stiamo adottando un sistema il quale, anche a volerlo chiamare uninominale, ha però indubbiamente per lo meno i tre quarti del suo fondamento nella proporzionalità. (Commenti – Interruzione del deputato Fuschini).

Io non voglio fare adesso, onorevole Fuschini, delle disquisizioni su questa questione, ma è certo che noi teniamo conto, ai fini dell’attribuzione dei posti, dei voti riportati nella Regione; ora, con il sistema che si vuole adottare da parte del Ministro e della Commissione, respingendo cioè il primo comma dell’emendamento Mortati, noi verremmo a lasciar fuori, come ho già detto, dall’attribuzione dei posti, quei voti riportati dagli altri candidati nei collegi dove sia stato raggiunto da un candidato il 65 per cento al primo scrutinio ed io non vedo assolutamente perché si voglia far ciò.

Ho detto che non intendo il perché si voglia far ciò, in quanto questo perché non è stato detto; si deve forse pensare che eravamo questa mattina così poco numerosi per cui si è giudicato non valesse la pena di illustrare quello che sarebbe stato forse di buon grado spiegato ad una più imponente Assemblea; ma è pur certo che il candidato eletto o, per meglio dire, la lista cui si è agganciato il candidato eletto, ha già ottenuto il suo posto attraverso il sistema maggioritario che è stato stabilito; è evidente quindi che bisognerebbe anche tener conto dei voti riportati dai candidati eletti.

Ma si dice ancora che si dovrebbe tener conto almeno di quel di più di voti che può eventualmente avere un candidato eletto al primo scrutinio, oltre il 65 per cento: ma qui entriamo addirittura nel campo dell’assurdo. Comunque, anche a voler seguire per questa strada coloro che hanno una siffatta opinione, penso che non è esatto neanche questo. Vi prego infatti di fermarvi, per un momento, su un semplice dato aritmetico. E vi rivolgo questa preghiera anche perché, non essendo io un matematico, non è escluso che possa anche avere bisogno dei vostri lumi e delle vostre obiezioni. Ritengo che un candidato il quale raggiunga il 65 per cento dei voti validi e venga perciò eletto al primo scrutinio, pone per ciò stesso la propria lista in condizioni di vantaggio, in quanto questo 65 per cento, pure essendo una cifra indubbiamente alta, è però in senso assoluto una cifra inferiore al quoziente regionale, perché – a meno che i miei ricordi matematici non mi traggano in inganno – il quoziente regionale corrisponde, a un dipresso, alla somma di tutti i voti di un collegio.

E con questo, dunque, chi ha riportato il 65 per cento dei voti al primo scrutinio è eletto e sta bene; ma sarebbe veramente assurdo che poi tutti gli altri voti dello stesso collegio pesino ancora ai fini della formazione del quoziente regionale. Non parliamone neppure. Chi ha avuto il 65 per cento o anche il 70, 1’80, il 101 per cento – perché con questa legge potremmo arrivare anche a computi di questo genere – dei voti del proprio collegio, ottiene il suo bravo posto; l’ottiene per sé e per la lista a cui è agganciato; ma questi voti, è chiaro, non devono pesare ulteriormente nella somma dei voti per la formazione dei quozienti in sede regionale.

Ma qual è il motivo per cui il 35 per cento o poco meno dei voti residuali ottenuti negli stessi collegi in cui vi è stata la proclamazione di eletti nel primo scrutinio, non deve pesare ai fini del computo del quoziente regionale? Noi abbiamo voluto rispettare le minoranze; e se una giustificazione ha la proporzionale e l’ha indubbiamente, è il rispetto dei diritti e degli interessi delle minoranze. Ora noi, in tal modo, verremmo, in questo sistema già tanto ibrido, a creare un aspetto ancora più ibrido del sistema, perché verremmo a falsare la volontà del corpo elettorale regionale. E dico per inciso, che noi dobbiamo tener conto della norma costituzionale per cui i collegi senatoriali sono a base regionale; e quindi non abbiamo diritto di escludere dal computo dei voti per la formazione del quoziente regionale e per la formazione dei posti di risulta, oltre quelli già coperti a primo scrutinio, non abbiamo diritto di non tenere conto dei voti riportati dalle minoranze nei collegi dove è stato già proclamato uno dei candidati a primo scrutinio.

Per questi motivi io, che avevo intenzione di ritirare il mio emendamento, in quanto avevo trovato nell’emendamento Mortati una sistemazione più organica di tutta la complessa materia, dichiaro che, ove l’onorevole Mortati ritirasse per questa parte il proprio emendamento, sarei costretto a mantenere il mio.

PRESIDENTE. L’onorevole Laconi ha proposto il seguente emendamento sostitutivo:

«…..

1°) determina la cifra elettorale per ogni singolo gruppo di candidati;

2°) determina la cifra individuale dei singoli candidati di ciascun gruppo.

«La cifra elettorale di ogni gruppo di candidati è data dal totale dei voti validi ottenuti dai candidati del gruppo stesso, presentatisi nei collegi per i quali non è avvenuta la proclamazione.

«La cifra individuale viene determinata moltiplicando il numero dei voti validi ottenuto da ciascun candidato per cento e dividendo il prodotto per il numero degli elettori iscritti nel collegio. Nel caso di candidature presentate in più di uno dei collegi suddetti, si assume ai fini della graduatoria la maggiore cifra individuale relativa riportata dal candidato.

«L’assegnazione del numero dei seggi da coprire si fa nel modo seguente:

«Si divide ciascuna cifra elettorale successivamente per uno, due, tre, quattro… sino alla concorrenza del numero dei senatori da eleggere; e quindi si scelgono fra i quozienti così ottenuti i più alti in numero eguale a quello dei senatori da eleggere, disponendoli in una graduatoria decrescente. I seggi saranno assegnati ai gruppi in corrispondenza ai quozienti compresi in questa graduatoria.

«A parità di quoziente il posto è attribuito al gruppo che ha ottenuto la minore cifra elettorale.

«Se a un gruppo spettano più posti di quanti sono i suoi candidati, i posti esuberanti sono distribuiti secondo l’ordine della graduatoria di quoziente.

«L’Ufficio elettorale regionale proclama quindi eletti in corrispondenza ai seggi attribuiti ad ogni gruppo i candidati del gruppo stesso secondo la graduatoria determinata dalla loro cifra individuale».

Ha facoltà di svolgerlo.

LACONI. Dopo la lettura e la illustrazione che ne ha dato il Presidente, non credo che vi sia ragione di spendere maggior numero di parole intorno a questo emendamento.

In sostanza, esso è caratterizzato da tre sue particolarità. Innanzi tutto si distingue dal progetto dell’onorevole Mortati per quanto riguarda i collegi da valutarsi ai fini della ripartizione dei diversi seggi. Il progetto dell’onorevole Mortati calcola anche i voti ottenuti dalle minoranze nel collegio nel quale sia stato già proclamato l’eletto. Il mio emendamento, invece, calcola unicamente i voti validi ottenuti da tutti i candidati nei collegi nei quali l’eletto non è stato proclamato. Questa è la prima distinzione.

La seconda riguarda il metodo per l’assegnazione dei collegi, per cui viene qui proposto il metodo D’Hondt nella sua forma pura; e quindi si divide la cifra degli elettori per uno, due, tre, quattro, fino alla concorrenza necessaria.

Questa è la seconda caratteristica del mio emendamento.

Quanto poi alla graduatoria individuale, io concordo con l’onorevole Mortati nel chiedere che essa debba essere fatta in base alla percentuale dei voti anziché in base alla cifra assoluta ottenuta da ciascun candidato.

CANDELA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CANDELA. Signor Presidente, sono stato io ieri a chiedere che l’emendamento dell’onorevole Mortati fosse restituito alla Commissione, soprattutto per questo: perché, ex prima facie, avevo visto che con questo emendamento non è rispettato il principio della uninominalità del collegio, nel senso che più collegi possono restare senza alcun rappresentante mentre altri collegi possono avere diversi rappresentanti.

Ai molti inconvenienti lamentati dall’onorevole Martino io aggiungo questo e la Commissione non ha trovato – e non può trovare – una soluzione.

Perciò mi permetto di insistere sulla domanda di preclusione che avevo fatto ieri all’onorevole Conti, che presiedeva, perché tutto ciò che urta con la uninominalità del collegio e con la volontà dell’Assemblea si dichiari precluso e non si discuta nemmeno.

E in ogni caso, faccio appello all’Assemblea perché con più coraggio e più decisione si metta su una via di coerenza: d’accordo tutti, bocciamo anche questo progetto e stabiliamo la proporzionale; ma battiamo la via della serietà, soprattutto, e del rispetto di noi stessi! (Applausi).

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Salvo tutte le riserve già fatte in materia e ripetute dall’onorevole Candela, faccio presente che la Commissione per questo articolo, se è possibile inquadrarlo nel sistema, lo faccia essa.

Una cosa dobbiamo assicurare, se proprio non vogliamo arrivare addirittura all’estremo degli assurdi, e cioè che ogni collegio abbia la sua rappresentanza; perché, altrimenti, noi abbiamo completamente rinunciato anche a quel trucco dei collegi uninominali, che potrebbe ancora rimanere.

Perciò, visto che né l’emendamento dell’onorevole Mortati, né l’emendamento dell’onorevole Laconi, né la proposta della Commissione tengono conto di questa esigenza fondamentale, bisogna restituire alla Commissione questo articolo perché lo esamini accuratamente e trovi una forma che consenta la sicurezza che, in un modo o in un altro, ogni collegio abbia il suo rappresentante, perché, se no, anche questa ultima parvenza di uninominalità viene definitivamente cancellata.

Noi potremmo avere domani in una Provincia un collegio elettorale con tre rappresentanti e un altro collegio, o due o tre collegi, che non ne hanno nessuno. Potremmo arrivare all’assurdo che, in una Provincia dove ci sono sei collegi elettorali, due siano rappresentati e gli altri quattro no e io non so veramente come questo potremo giustificare né di fronte all’opinione pubblica, né di fronte alla nostra coscienza.

MICHELI, Presidente della Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI, Presidente della Commissione. Questa mattina, per un equivoco, io non ho preso parte all’adunanza della Commissione, quindi non ho potuto dire quanto dirò ora, esclusivamente a titolo personale, perché la Commissione non ha preso una delibera specifica sopra l’eccezione mossa dall’onorevole Candela e ora rincalzata dall’onorevole Lucifero. La obiezione ha la sua importanza, senza dubbio, però non mi pare che debba essere soverchiamente sopravalutata, in quanto ci siamo già trovati anche in altre situazioni simili. Nelle elezioni dei deputati alcune province sono rimaste senza deputati oppure ne hanno avuto un numero molto minore di quello che sarebbe stato di loro competenza. Ricordo ad esempio che nelle elezioni del 1919 Parma, che ha sempre avuto cinque collegi, ebbe tre deputati, e Piacenza che ne aveva quattro ottenne invece sei deputati…

SCHIAVETTI. Non c’era collegio in quel caso…

MICHELI, Presidente della Commissione. Il collegio c’era. Io ho sufficientemente buona memoria per ricordare anche questo. Questo è il punto di partenza di tutto un mio ragionamento che ella potrà controbattere quando crede, ma la sua interruzione ora è prematura e quindi inutile.

Lo stesso è successo anche nei collegi di Brescia e di Bergamo e anche recentemente, e se l’onorevole Malagugini fosse presente potrebbe dire che Pavia ha avuto un numero di deputati in questa occasione molto maggiore di quello che le spettava nei riguardi di Milano, della cui circoscrizione faceva parte.

Ora, perché questo? Perché siamo in tema proporzionale i cui risultati non sono collegati sempre colla configurazione topografica. Se l’argomento avversario poteva valere di fronte al collegio uninominale puro, non vale più di fronte al collegio, non dico misto, perché non voglio che l’onorevole Bellavista se ne abbia a male, ma congegnato in quella forma scelta dall’onorevole Mortati e prima ancora dal Ministro Scelba.

Nel progetto Scelba, in una prima parte sussisteva il concetto della territorialità (per i candidati che avevano la metà più o uno dei voti) nella seconda abbiamo l’elezione che viene fatta secondo le correnti, ed i gruppi elettorali che le rappresentano. Ecco la diversità della situazione alla quale intendo alludere, situazione la quale ulteriormente è agevolata da due fatti e forse anche da tre. Noi abbiamo ammesso le candidature multiple, il che attenua la cosa. Ora un candidato non può rappresentare tutti e tre i collegi: ne rappresenterà uno ma se per avventura l’altro collegio restasse senza rappresentanti diretti, egli in fondo rappresenterà i due collegi. Non c’è nulla che contrasti questo. Del resto sono casi eccezionalissimi.

Le leggi elettorali sono leggi umane e non possono essere perfette e quindi qualche inconveniente lo portano sempre. (Interruzione del deputato Martino Gaetano). A che cosa vuole arrivare lei, all’estrazione a sorte? Va bene. Anche per l’estrazione a sorte, ricordo che Giano della Bella, il suo caso storicamente viene citato in tutte le discussioni elettorali, ebbe rimbrotti perché c’era stato un rione di Firenze che aveva avuto tre eletti, ed un altro vicino che non ne aveva avuto nessuno. E allora Giano Della Bella rispose che gli estratti dei rioni fortunati, avrebbero tutelato anche gli interessi degli altri. Quello che si risponde anche adesso. Ripeto, si tratta di una cosa di dettaglio e non si può sopravvalutare questa eccezione.

SCHIAVETTI. Questi casi sono eccezionali.

MICHELI, Presidente della Commissione. Questa è una sua opinione. Ella ha minor pratica di queste cose; noi abbiamo tolto una limitazione.

Per il progetto Scelba i candidati dovevano appartenere alla Regione. Oggi non c’è più bisogno di questo, e allora succede che avremo una estensione più facile delle rappresentanze attraverso persone che non appartengono più alla Regione, e che quindi possono più facilmente rappresentare anche varî collegi.

E tutti coloro che abitano fuori dei loro collegi? Cosa diciamo poi delle grandi città divise in molti collegi. Forse che gli eletti sono legati alle strade ed ai borghi che limitano il loro collegio?

Ricordo il mio caso. Sono stato deputato della montagna reggiana e parmense per tanti anni. Abitavo a Parma.

Anche ora si vanno a ricercare le persone dove sono; e quindi può succedere benissimo che in una città vi siano parecchi senatori, mentre in un’altra non ve ne sia nessuno. Così a Roma ve ne sarà sempre più che altrove. Quindi, non vedo effettivamente come questa ragione possa essere così grave da provocare le frasi drastiche dell’onorevole Lucifero. È uno degli inconvenienti che si riscontrano nella formazione delle leggi elettorali, le quali per quanto si dica e si faccia, non riescono mai ad essere perfette.

Qualche difficoltà maggiore affiora quando effettivamente due sistemi, per voler accontentare tutti ed usufruire di tutte le possibilità, si sono uniti formandone uno solo. Lo scrutinio regionale, voluto dall’Assemblea, ha causato questa situazione, che non mi sembra modificabile.

SCHIAVETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCHIAVETTI. A sostegno delle osservazioni fatte dai colleghi onorevoli Candela e Lucifero, vorrei far notare che questo inconveniente, della possibilità che vi siano collegi che avranno più senatori e collegi che non ne avranno nessuno, sarà frequentissimo. Lo desumo da calcoli fatti nella giornata di ieri. Io non mi preoccupo tanto della coerenza intrinseca e logica della legge, quanto delle ripercussioni politiche che un atto di questo genere potrà avere. Esistono questi collegi senatoriali. Sono documentati nell’allegato accluso alla legge. Avremo, per esempio, il collegio di Spoleto, quello di Perugia, di Ancona, di Jesi ecc. Gli elettori vorranno avere naturalmente i loro senatori; non c’è infatti nessuna ragione per cui gli elettori di Ancona, che costituiscono una circoscrizione, non abbiano il loro senatore. Invece, applicando questa legge avremo moltissimi casi in cui non esisteranno questi senatori. E si ripeterà proprio il caso di certe figurine in cui c’è il cacciatore e bisogna cercare la lepre, o c’è la lepre e bisogna cercare il cacciatore. Ma in questo caso non si troveranno, relativamente, né le lepre né il cacciatore.

Ora, se si pensa che vi sono interessi particolaristici in giuoco e problemi di carattere locale da difendere al Senato dai rappresentanti di questi collegi a cui voi avete dato un’esistenza, voi capite che è necessario, per la tutela degli interessi e per la stessa serietà della legge, che ogni circoscrizione abbia il suo senatore; altrimenti si confermerà ancora una volta, anche da questo punto di vista, l’opinione dell’onorevole Martino che questa legge apparirà a tutti una cosa non seria e che noi ci squalificheremo come legislatori dinanzi al Paese.

MICHELI, Presidente della Commissione. Chiedo di parlare per aggiungere qualche cosa a quanto ho già detto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI, Presidente della Commissione. Ho dimenticato di ricordare che in questa prima legislatura vi sarà un altro maggiore contemperamento: quello determinato da quel centinaio di senatori di diritto, che sono sparsi per tutta Italia.

Questo darà maggiori possibilità di fronteggiare la difficoltà prospettata dall’onorevole Schiavetti.

MAFFI. A maggior ragione.

PRESIDENTE. Credo che, arrivati a questo punto, ogni proposta e iniziativa di preclusione non avrebbe più fondatezza e neppure quel carattere di serietà, da tutti desiderato ed invocato. Arrivati al quartultimo articolo ed agli articoli 7 ed 8 di questa legge che, approvati, decidono la strada da percorrere, non si può ancora una volta parlare di preclusione.

Il Vicepresidente che mi sostituì nelle passate sedute, ha agito secondo coscienza e secondo necessità, stabilendo la preclusione nei confronti di un determinato progetto e di determinate formulazioni.

Ma successivamente – e l’Assemblea non gli ha dato torto, perché ha camminato proprio sulla strada indicata – ha ritenuto che di fronte ad altre formulazioni non vi fosse possibilità di preclusione; e l’Assemblea ha accettato ed avallato questa decisione, non soltanto non opponendosi, ma dando contributo concreto, da tutti i settori, alla migliore redazione degli articoli.

E riserve possono essere accampate correntemente, ma ciascuno sa che così esposte non riescono ad avere efficacia.

L’obiezione fondamentale avanzata in questo momento e nel cui contesto si è usato il termine di preclusione, doveva se mai apparire molto prima, sin dal primo momento, quando è stata accolta una disposizione di questa legge che non era rigidamente uninominalista, in quanto, come si poteva comprendere – e credo, che tutti l’abbiano compreso anche se nessuno ha formulato il pensiero…

MARTINO GAETANO. L’ho detto anch’io.

PRESIDENTE. …in conseguenza della quale qualche circoscrizione sarebbe rimasta senza un proprio diretto rappresentante al Senato. Fin da quel momento si sarebbe dovuto reclamare oppure formulare qualche emendamento, che riuscisse a sanare questo punto debole.

Ma la legge è già complicata e penso che, se la si complicasse con emendamenti ispirati al desiderio di sanarne i punti deboli, non diverrebbe migliore di quanto riuscirà con i nostri attuali lavori.

Comunque è sempre possibile formulare proposte aggiuntive; non sta a me suggerirle; alcuni colleghi hanno detto di averne già preparate. Se saranno presentate, saranno messe in discussione.

Poiché penso che desiderio dei sostenitori del sistema elettorale prevalso, non è già quello di impedire che ogni singolo collegio abbia il proprio rappresentante, ma quello di dare possibilità della rappresentanza proporzionale a tutte le forze politiche che si manifestano, ritengo che, se sarà presentato un emendamento che serva a superare la debolezza segnalata, non vi sarà altra battaglia per accoglierlo.

DOSSETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOSSETTI. Faccio subito una riserva sulle ultime parole dell’onorevole Presidente. È esatto quanto il Presidente dice che nell’eventualità di questa proposta mancherebbe una ragione sostanziale di carattere politico per contendere, ma faccio presente che la proposta di cui il Presidente fa ora parola è stata oggetto di un esame preventivo da parte di alcuni di noi, già da molto tempo, perché precisamente è con riferimento ad essa che, se fosse stato possibile, avremmo cercato di eliminare preventivamente le principali obiezioni formulate al sistema che noi proponevamo. Una meditazione approfondita di questa eventualità e di questo correttivo ci ha convinti – e questo non soltanto per valutazione personale, ma ricorrendo a tecnici e ad autori classici di sicura fede – che le complicazioni che ne nascerebbero ben difficilmente potrebbero essere valutate da questo consesso, se non in una maniera vorrei dire sommaria, e verrebbero ad aggravare ulteriormente gli stessi inconvenienti che, con una simile proposta, si vorrebbero correggere. Mi riservo, riguardo alle ultime parole dell’onorevole Presidente, qualora una simile proposta fosse fatta, di dare ai proponenti un’ampia dimostrazione al riguardo.

PRESIDENTE. È evidente che non ci può mai essere preclusione del diritto di discutere. (Commenti).

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. A proposito di questa osservazione, per cui addirittura si fa una preclusione per tutto il progetto, e cioè che non tutti i collegi avrebbero una rappresentanza col sistema adottato, debbo rilevare agli oratori che l’obiezione è già contemplata nella relazione che accompagna il disegno governativo. (Approvazioni al centro). Non è una novità, di oggi. Accettando di discutere sul disegno di legge governativo, si accettavano le conseguenze che il disegno di legge già indicava attraverso la relazione. All’obiezione la relazione ministeriale risponde, non dirò adeguatamente, ma razionalmente dicendo che non sussiste, dovendosi considerare la rappresentanza sul piano regionale, così come è prevista dalla Costituzione.

L’argomento della preclusione mi pare quindi assolutamente fuori luogo, anche per le ragioni esposte dal Presidente. Vorrei aggiungere una cosa a proposito di rappresentanza del collegio e del modo d’intenderla. La legge adottata per l’elezione della Camera che è poi quella usata per l’elezione della Costituente stabilisce che si deve avere un rappresentante ogni ottantamila abitanti. L’esperienza fatta in occasione della elezione per la Costituente ci ha dato che intere provincie sono rimaste senza rappresentanti.

MARTINO GAETANO. Abbiamo violato la Costituzione!

SCELBA, Ministro dell’interno. Ora, io non capisco perché questo fatto, tanto importante, sia stato trascurato in sede di legge elettorale della Camera dei deputati, mentre deve diventare elemento di tragedia per l’elezione del Senato.

MARTINO GAETANO. Continuiamo pure a violare la Costituzione! (Rumori al centro).

SCHIAVETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCHIAVETTI. A conferma di quanto è stato detto dall’onorevole Dossetti, vorrei far noto che effettivamente, per rimediare all’inconveniente lamentato, non c’è alcun mezzo tecnico, ma c’è soltanto un altro inconveniente da affrontare: vedrà la Camera se ritiene opportuno di farlo preferendo un inconveniente grave ad un altro gravissimo. L’inconveniente è che in un collegio possa essere eletto un candidato che riporti un numero di voti minore di un altro candidato. Si tratta di vedere se questo inconveniente è meno grave di quell’altro che risulta dal fatto che una circoscrizione resti senza senatore. Io lo ritengo meno grave. Dovendo scegliere fra i due inconvenienti in questa legge io sceglierei il secondo e scarterei il primo.

PRESIDENTE. L’onorevole Lucifero propone il seguente emendamento:

«Al numero 4 dell’articolo 20 aggiungere:

«Nella graduatoria di cui al comma precedente saranno saltati i candidati i cui collegi abbiano già trovato la rappresentanza e si procederà fino a che ogni collegio avrà trovata la sua rappresentanza».

Ha facoltà di svolgerlo.

LUCIFERO. Devo innanzi tutto far osservare al Ministro che la sua osservazione, in merito alla questione che nelle elezioni della Camera dei deputati vi siano state delle intere provincie rimaste senza rappresentanti, non ha valore, in quanto le circoscrizioni erano regionali, e quindi la circoscrizione la sua rappresentanza l’aveva; perché non è la città o il paese di provenienza del candidato che stabilisce la sua rappresentanza locale, ma la circoscrizione alla quale egli appartiene. Quindi, il deputato che è stato eletto in Lombardia, quando la Lombardia è una circoscrizione, è il deputato della circoscrizione, anche se per combinazione la provincia di Pavia non avesse rappresentanti.

Quindi, questa obiezione andrebbe benissimo se non avessimo le circoscrizioni uninominali che poi si raggruppano al centro; ma laddove la circoscrizione è una (e qui poi si valuta in sede di seconda istanza, in sede di raggruppamento) evidentemente l’osservazione non va. Noi possiamo – io riconfermo tutte le riserve e tutte le azioni che da queste riserve possano provenire – nel caso specifico raggruppare i candidati al centro per questa valutazione dei voti, ma non possiamo, secondo un sistema, il quale stabilisce delle circoscrizioni, lasciare le circoscrizioni senza rappresentanti.

Ogni circoscrizione deve avere il suo rappresentante. Evidentemente questo crea difficoltà grandissime, fra le quali c’è anche quella prospettata dall’onorevole Schiavetti. Ed io sono perfettamente convinto che scandaloso sarà vedere, ad un certo momento, in un collegio, un individuo che ha avuto il 60 per cento dei voti, e quindi è stato veramente eletto, ma non ha raggiunto quel 65 per cento, che per noi è più del 70 per cento, che non può essere proclamato; e debba essere preceduto da chi ha avuto il 15 per cento dei voti, come può succedere. Ma sarebbe ancora più scandaloso se quella circoscrizione non fosse rappresentata nemmeno da quello che ha avuto il 15 per cento. Si verificherebbe ciò: che praticamente quel seggio è occupato al Senato, ma non nella circoscrizione. Noi arriveremmo all’assurdo di vedere il collegio A con tre rappresentanti ed i collegi B e C con nessuno.

DOSSETTI. Non è possibile!

LUCIFERO. Il mio emendamento è indubbiamente un palliativo, ma è un palliativo che risolve il sistema, in quanto dice che, stabilita la graduatoria, si saltano coloro il cui collegio ha avuto un rappresentante, e si va avanti fino a quando ogni collegio abbia avuto il suo rappresentante. Noi potremmo saltare degli uomini che hanno avuto un numero di voti maggiore ma risolveremmo il problema della rappresentanza in ogni circoscrizione, e non avverrà l’assurdo che un capoluogo (questo avviene sempre ai danni della periferia) avrà due, tre, quattro rappresentanti, mentre i collegi più umili e più modesti, che più hanno bisogno di una cura assidua, verrebbero abbandonati a se stessi.

DOSSETTI. Queste sono cose avventate!

LUCIFERO. Ognuno ha le sue avventatezze. Le vostre ci portano a questa discussione!

PRESIDENTE. L’onorevole Gullo Fausto ha presentato il seguente emendamento:

«Se per morte, dimissione, opzione o per altro motivo si rende vacante durante la legislatura un collegio in cui la proclamazione dell’eletto si era avuta in base al raggiungimento del sessantacinque per cento dei votanti, si procede nel termine degli ottanta giorni dalla dichiarata vacanza a nuova votazione nella quale viene dichiarato eletto il candidato che ha raccolto il maggior numero dei voti».

Ha facoltà di svolgerlo.

GULLO FAUSTO, Relatore per la maggioranza. In realtà, l’ipotesi che può ricorrere è questa: che un candidato risulti eletto per avere raggiungo il 65 per cento dei voti in due collegi; oppure che un candidato risulti eletto in un collegio senatoriale raggiungendo il 65 per cento dei votanti, e risulti eletto anche come deputato.

Evidentemente c’è la possibilità che, in seguito alla opzione per la carica di deputato, o in seguito alla opzione per uno dei due collegi, resti vacante un collegio senatoriale, in cui la proclamazione si è avuta in dipendenza del raggiungimento del 65 per cento dei votanti.

In questo caso è chiaro che non si può disporre che il posto sia preso da colui che viene subito dopo nella lista, perché il candidato è stato eletto singolarmente per avere raggiunto il 65 per cento dei voti. Bisogna quindi disciplinare questo possibile caso di vacanza, e altri casi similari, stabilendo, in analogia all’ultimo capoverso dell’articolo 20, che si proceda a nuova elezione, nella quale verrà dichiarato eletto il candidato che avrà raccolto il maggior numero dei voti validi.

Vorrei ora sottoporre all’Assemblea – perché la materia non è facile – un quesito, perché a me sorge un dubbio a proposito della possibilità che qualche collegio resti senza rappresentanza: io credo (posso anche sbagliare) che ciò sia impossibile. È vero che si è di fronte alla lista, siamo d’accordo, ma non bisogna dimenticare che si vota per la lista votando il simbolo di essa, che, in questo caso, è costituito dal nome del candidato.

Quindi, se la lista comunista, poniamo, fa raggiungere il traguardo a tre candidati, evidentemente non possono essere se non tre candidati di collegi diversi. E non è possibile che si dia il caso di due di uno stesso collegio, appunto perché il simbolo della lista è costituito dal nome del candidato. Quindi l’elettore vota la lista, ma nel contempo non può votare che per un solo candidato per ogni collegio.

Poniamo che in una circoscrizione regionale risultino tre socialisti, tre democristiani ed un qualunquista. Sono sette i collegi in cui è necessario proclamare il rispettivo eletto. Non possono essere che sette persone, quindi, di sette diversi collegi. Posso sbagliare, lo dico apertamente, e perciò vorrei che qualcuno dimostrasse che io mi sbaglio, ma se non sbaglio, è chiaro che l’inconveniente non ha bisogno che sia ovviato, per la semplice ragione che l’inconveniente non c’è. Io non so se sia così, onorevole Presidente, ma ho creduto di porre questo quesito.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. L’onorevole Gullo Fausto non ha tenuto conto, però, del giuoco della proporzionale, che porta a questo: che ad un certo momento, raccolti i voti, che non sono del contrassegno, ma che sono delle persone, perché possono essere collegati anche a dei contrassegni diversi, si stabiliscono i quozienti che spettano alla lista e non alle persone.

Ed allora può accadere che, per il giuoco dei quozienti e dei voti avuti nel singolo collegio, entrino nella graduatoria un democristiano ed un comunista i quali sono dello stesso collegio, ma che, per il giuoco della proporzionale e dei voti avuti nel loro collegio, si trovano ad essere al terzo e al secondo posto della loro lista regionale, e quindi vengono ad essere eletti tutti e due.

Ecco che abbiamo quel tale collegio che ha un rappresentante democristiano e uno comunista, mentre il collegio vicino non ha né il democristiano né il comunista.

PRESIDENTE. Prego la Commissione di esprimere il proprio parere sugli emendamenti proposti.

MICHELI, Presidente della Commissione. L’onorevole Gullo Fausto risponderà, per quanto si riferisce alla proposta dell’onorevole Gullo Rocco; l’onorevole Mortati per quanto si riferisce agli emendamenti Morelli e Martino e l’onorevole Dossetti desidera di fare una breve esposizione di carattere piuttosto matematico, in risposta alle osservazioni dell’onorevole Lucifero.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Gullo Fausto.

GULLO FAUSTO, Relatore per la maggioranza. L’emendamento del mio quasi omonimo collega si riferisce alla prima parte dell’articolo 20. Egli vorrebbe che nel computo ai fini del sistema proporzionale venissero anche inclusi i voti dei candidati non eletti in quella circoscrizione, in cui c’è stato un proclamato.

Dobbiamo partire da questa premessa: che evidentemente siamo di fronte ad un sistema che ha da una parte l’uninominalità e dall’altra la proporzionalità; da una parte la regione e dall’altra i collegi, attraverso i quali la base regionale dovrebbe esprimersi.

Non possiamo prescindere da questa premessa. Sono elementi antitetici che vengono a giuocare sullo stesso piano. Bisogna che andiamo alla ricerca della risultante, perché si abbia una legge che abbia almeno una parvenza di logicità.

Io vorrò ricordare all’onorevole Gullo Rocco questo: che la base su cui ci muoviamo (parlo da un punto di vista teorico, prescindendo da ogni riflesso pratico) la base su cui ci muoviamo in teoria è indubbiamente l’uninominalità, perché non avrebbe senso, altrimenti, la disposizione del Presidente con la quale egli pose la preclusione.

Allora, la parte del sistema che obbedisce alla proporzionalità si può spiegare, data questa preclusione, in una sola maniera: che essa è eccezionale e rappresenta soltanto un mezzo per ovviare agli inconvenienti del ballottaggio. Tanto vero che il sistema proporzionale, per questa seconda fase, venne fuori proprio in seguito alla votazione con cui si respinse la soluzione del ballottaggio.

Bisogna aver presente questo, che mi pare teoricamente a posto, ossia che il progetto si basa sul concetto dell’uninominalità: il singolo collegio, quindi, acquista un’importanza preminente. Ora, noi siamo di fronte ad un collegio in cui è avvenuta la proclamazione per aver raggiunto uno dei candidati il 65 per cento. Quel collegio, cioè, si è sistemato secondo la regola che sta a fondamento della legge. Per gli altri collegi della circoscrizione occorre far ricorso all’eccezione.

È vero che in realtà, nella pratica, l’eccezione diventerà la regola, perché è ben difficile che venga raggiunto il 65 per cento. Ma questa non è una ragione, non distrugge la premessa, ossia che il sistema voluto dalla legge è il sistema uninominale.

Sistemato un collegio in questo modo, è evidente che di esso non si può più tener conto nel momento in cui è necessario ricorrere all’eccezione.

L’eccezione non può riguardare se non quei collegi in cui la regola non ha potuto trovare posto; non credo che si possa ricorrere a soluzioni diverse. È poi esatto teoricamente l’altro principio, che cioè colui il quale è eletto dalla maggioranza e, nella specie, da una maggioranza del 65 per cento, dal momento in cui è eletto, rappresenta tutti gli elettori della circoscrizione.

Ciò mi premeva far considerare all’amico Rocco Gullo. È questo, onorevoli colleghi, un principio elementare dal quale non si può evidentemente prescindere. E poiché dunque gli elettori hanno il loro rappresentante, e lo hanno, ripeto ancora, non soltanto coloro che lo hanno votato, ma tutti, anche cioè coloro che hanno votato per altri candidati, io non vedo in nessun modo come questi elettori possano poi concorrere al secondo conteggio in base alla proporzionale.

Con ogni probabilità sarebbe quasi una punizione, questa, nei riguardi della lista che vedesse uno dei suoi proclamato eletto, perché, mentre le altre liste vedrebbero giocare sul piano regionale tutti i voti raccolti nei vari collegi, la lista che ha avuto invece un candidato proclamato in uno dei collegi vedrebbe esclusa una massa considerevole di voti, quella appunto che è servita per la proclamazione dell’eletto.

La Commissione quindi è del parere che vengano esclusi dal conteggio regionale tutti i voti raccolti da tutti i candidati nel collegio in cui si è avuta la proclamazione in base al raggiungimento del 65 per cento dei votanti.

PRESIDENTE. L’onorevole Mortati ha facoltà di esprimere il parere della Commissione sugli emendamenti presentati dagli onorevoli Martino Gaetano e Morelli Renato.

MORTATI, Relatore per la minoranza. L’onorevole Martino Gaetano ha affermato che questa non è una legge seria. (Commenti).

Devo rilevare che si sarebbe potuto giungere alla formulazione di un sistema elettorale più soddisfacente, se i colleghi del partito cui appartiene l’onorevole Martino, lungi dall’irrigidirsi in una pregiudiziale che non ha nessun fondamento giuridico-costituzionale, e che è sommamente inopportuna sotto l’aspetto economico, avessero collaborato con noi nella ricerca rivolta a superare le difficoltà inerenti ad ogni contemperamento di principî diversi e fra loro eterogenei, come quelli del sistema uninominale e del sistema proporzionalistico. È quindi prevalentemente per le sterili opposizioni incontrate che si è stati costretti a qualche soluzione che può sembrare poco soddisfacente…

Per quanto riguarda gli obiettivi particolari cui mirano gli onorevoli Martino e Morelli coi loro emendamenti, faccio osservare che si è stabilito di calcolare i voti dei singoli candidati in modo non assoluto, ma relativo. E perché ciò?

Semplicemente perché i collegi, nonostante tutta la buona volontà di renderli numericamente uniformi, hanno finito invece col presentare delle differenze demografiche abbastanza gravi.

Come ho notato anche nella mia relazione, ci sono delle differenze che raggiungono il 50 e perfino il 100 per cento fra un collegio e l’altro. Allora, in presenza di questa situazione, è sembrato opportuno pareggiare in qualche modo (naturalmente non in modo assoluto) la situazione dei vari candidati, per mettere in una posizione migliore i candidati dei collegi meno favoriti, cioè più piccoli demograficamente.

Dice l’onorevole Martino: questa è una correzione parziale, perché ci sono altri fattori: quello della frequenza alle urne, quello del numero dei candidati, ecc. Tutto questo è vero: è una correzione relativa. Ma si tratta di determinare l’obietto da conseguire: o si opta per la correzione, onde perequare la situazione dei candidati di collegi diversamente consistenti dal punto di vista demografico, ovvero si opta per la somma dei voti riportati dallo stesso candidato in vari collegi. Le due cose insieme non si possono ottenere, per una ragione di ordine matematico, perché, se si fanno le percentuali dei voti riportati dai singoli candidati nei vari collegi, e si sommano tali cifre percentuali nel caso delle candidature plurime, si avrebbero conseguenze ben diverse da quelle sperate dall’onorevole contraddittore. Ripeto che occorre decidersi alla scelta: se si vuole ottenere il calcolo percentuale, bisogna rinunciare alla somma dei voti; se si vuole la somma dei voti nelle candidature plurime, bisogna rinunciare alla percentuale.

Per rinunciare alla percentuale, come l’onorevole Martino stesso afferma, bisognerebbe raggiungere questo ideale: di portare i collegi alla maggiore possibile parità di composizione numerica, cioè raggiungere la cifra di 200.000 per tutti, o con uno scarto minimo, non maggiore del 5 per cento. Qui bisogna chiedere all’onorevole Ministro dell’interno se egli crede che gli studi fatti dall’Ufficio elettorale possano far pervenire a questi risultati.

Non bisogna dimenticare che, accogliendo il sistema da noi proposto, l’entità del singolo collegio uninominale perde di importanza, non però del tutto, perché abbiamo già accolta la prima parte del progetto del Governo che prevede le elezioni uninominalistiche – e c’è una proposta dell’onorevole Lucifero che tenderebbe ad accentuare ancora di più questo carattere uninominalistico delle elezioni. E allora bisognerebbe tener conto del fattore omogeneità, non solo demografica, ma geografica e strutturale e sociale, perché il collegio uninominale deve avere una sua unità economico-sociale e deve rappresentare qualche cosa di omogeneo. Quelle differenze che io notavo nella composizione dei collegi ubbidivano precisamente a questa esigenza. Si sono creati, ad esempio, i collegi Torino-Fiat, Voghera, ecc. con considerazioni, appunto giustamente tenute presenti, di carattere economico e sociale, onde dar loro una fisonomia unitaria.

Se si vuole perseguire questo intento – e mi pare che gli uninominalisti dovrebbero tendere al raggiungimento di queste finalità – è inevitabile incorrere nella necessità di operare differenziazioni demografiche dei collegi, anche per ragioni di viabilità e geografiche in genere, ecc., che sono insopprimibili.

Allora, permanendo questa necessità di mantenere dei collegi differenziati dal punto di vista demografico, mi pare che la conseguenza di accettare la percentuale sia inevitabile. E questo importa, come ho detto, l’esclusione della somma dei voti. La Commissione si rimette, per la scelta fra i due metodi, all’Assemblea. A me sembrerebbe più conseguente, proprio dal punto di vista uninominalistico, di mantenere il sistema della percentuale e quindi di escludere la proposta degli onorevoli Martino e Morelli.

PRESIDENTE. L’onorevole Dossetti ha facoltà di esprimere il parere della Commissione sugli emendamenti Schiavetti e Lucifero.

DOSSETTI. Io vorrei far presente ai colleghi Schiavetti e Lucifero che la difficoltà che li impressiona è – lo posso dire onestamente – la difficoltà che ha impressionato me dal momento in cui ho cercato di occuparmi di questa materia.

Se fosse stato possibile risolvere il problema – che essi propongono di risolvere coll’emendamento affrettato testé proposto dall’onorevole Lucifero su un’istintiva intuizione della sua intelligenza certo brillante, ma che non mi pare in questo campo abbia effettuato un approfondimento serio della questione – se fosse stato possibile, dico, risolvere così d’istinto il problema, naturalmente tutta la grossa questione che ci divide da qualche settimana non sarebbe nemmeno nata, perché avremmo certamente trovato facilmente un espediente per provare la perfetta compatibilità del sistema uninominale puro, classico, tradizionale, col sistema proporzionale nelle elezioni regionali.

Invece, di fatto, questo non è possibile.

Analizziamo innanzitutto l’inconveniente al quale l’onorevole Lucifero vuole ovviare. Egli vuole assicurare che ogni collegio abbia un suo rappresentante. Ma noi non ci dobbiamo preoccupare che ogni collegio abbia un suo qualsiasi rappresentante, anche quello eletto col 5 per cento dei voti (in ipotesi teorica); ci dobbiamo invece preoccupare che ogni collegio abbia un suo rappresentante politicamente qualificato. Perché dare a un collegio un rappresentante eletto col 2 o col 5 per cento dei voti e non dargliene nessuno, non solo è la stessa cosa, ma è – direi – più grave ancora, perché viene ad essere un più evidente e palese contrasto con quella che è stata la volontà politica di quel collegio isolatamente considerato.

Perciò noi ci troviamo di fronte a questo dilemma: o considerare il collegio singolo come facente parte di una più vasta entità, e allora è perfettamente razionale (o per lo meno non è incongruente) che in quel collegio non ci sia un rappresentante, perché si verificano delle compensazioni interne di colore e di rappresentanti attraverso gli altri collegi della regione; oppure vogliamo considerare il collegio isolato, e allora non possiamo arrivare all’assurdo di dare a quel collegio isolatamente considerato precisamente il suo rappresentante meno qualificato e che si è presentato unicamente per ricevere una violenta e aperta sconfessione dal corpo elettorale.

Ora, che questo inconveniente si possa verificare, ho cercato di dimostrare all’onorevole Lucifero privatamente con qualche esempio.

È certo che l’onorevole Schiavetti ha già esplicitamente ammesso che con questo sistema noi possiamo essere costretti a dover raggiungere l’ultimo eletto di un determinato gruppo di candidati.

Basta fare l’esempio più semplice – quello di una Regione piccolissima, di sei o sette collegi – e noi vediamo che subito ci si viene a trovare nella necessità di dovere per uno (almeno per uno, supposto che si tratti di un solo caso) eleggere proprio l’ultimo della lista.

Ma c’è di più. Io ho mostrato l’architettura del sistema, ed ora vorrei fare osservare all’onorevole Schiavetti e all’onorevole Lucifero alcune altre cose.

Non è esatto quello che ha detto l’onorevole Gullo Fausto, e cioè che non si possa verificare. Lei, onorevole Gullo, l’ha detto così, a prima impressione. Di fatto si può verificare, ma certo non si può verificare, o è assolutamente improbabile che si verifichi, quanto ha detto l’onorevole Lucifero: che in un collegio si abbiano tre rappresentanti e in un altro nessuno.

L’ipotesi limite che può in qualche caso accadere è che si abbiano due in uno e nessuno in un altro, perché dobbiamo tener conto che ad un certo punto gioca la proporzionale, la quale (come abbiamo visto dalla esperienza elettorale precedente) una certa eguaglianza distributiva finisce per darla.

Quindi, non che si abbiano tre eletti in un collegio (il che presupporrebbe che uno abbia avuto il 50 per cento, l’altro il 40 e l’altro il 35 per cento, e andremmo fuori, evidentemente, dai limiti proporzionali) ma che si abbiano in un collegio due eletti.

In secondo luogo, a ridurre le proporzioni di quanto ha detto l’onorevole Lucifero, non è esatta, anzi è infondata l’obiezione ultima, e che dal tono con cui è stata pronunciata mi è sembrato fosse la più grave: e cioè che con questo si venisse a favorire particolarmente le grandi città e si lasciassero le unità minori di una determinata circoscrizione senza collegio. Non è affatto esatto, anzi probabilmente è il contrario, perché l’onorevole Lucifero non ha avuto il tempo di valutare tutti gli emendamenti che sono stati proposti nella linea del nostro sistema, cioè sia l’emendamento dell’onorevole Mortati, sia l’emendamento dell’onorevole Laconi, e considera che l’adozione della cifra individuale relativa viene ad escludere la possibilità che egli ci prospetta, in quanto non è il peso demografico del collegio quello che fa verificare l’accumularsi o meno di candidati nel collegio stesso, ma è piuttosto la diversa densità politica del collegio, per cui è ragionevole presumere che eventualmente le accumulazioni non si avranno nei collegi delle grandi città, dove si ha un rapporto di proporzione politica relativamente compensato, ma piuttosto in periferia, dove si ha un maggiore addensamento di determinati colori politici.

Quindi questa obiezione cade. Di fatto, invece, c’è una preoccupazione che, mi pare, l’onorevole Lucifero, con il suo emendamento, non riesce a distruggere, ed è questa, che l’emendamento, così com’è stato formulato, vuole risolvere – di primo acchito – un problema sul quale hanno meditato a lungo tutti gli autori classici dei sistemi elettorali, non arrivando ad una adeguata soluzione. Quanto meno avrebbe dovuto l’onorevole Lucifero cominciare ad effettuare tutta una serie di precisazioni complementari, che non ha fatto e che quando egli comincerà a fare gli faranno intendere il groviglio di complicazioni nelle quali egli si mette. Il suo emendamento, in ogni caso, è insufficiente. Egli dovrebbe stabilire il criterio con cui si procede all’assegnazione dei collegi singoli, ad esempio dando la precedenza ai gruppi secondo l’entità dei voti riportati, perché è evidente che dobbiamo stabilire il criterio con cui si comincia l’assegnazione. Solo per questo si vede come l’emendamento dell’onorevole Lucifero sia evidentemente arretrato. Le assegnazioni poi dovranno essere fatte per successive approssimazioni, poiché può darsi che resti per ultimo un collegio ove si trovino tutti candidati di gruppo che non hanno ottenuto nessun seggio. Quindi proprio l’inconveniente che si vorrebbe correggere rischia di essere, attraverso questo sistema, ulteriormente aggravato.

Il sistema, dunque, è da respingere, perché grossolano ed empirico, e perché porta non ad una semplificazione ma ad una moltiplicazione degli inconvenienti che con esso si vorrebbero risolvere. (Applausi).

MARTINO GAETANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARTINO GAETANO. Vorrei fare una brevissima osservazione a proposito dell’emendamento dell’onorevole Lucifero.

Io non conosco i classici dei sistemi elettorali e sono digiuno della dottrina elettorale, di cui così spesso qui si è parlato (senza peraltro citare nomi di sorta); però mi meraviglia come all’ingegno «quasi matematico» (per dirla con l’onorevole Micheli) dell’onorevole Dossetti sia sfuggito che è possibile pervenire allo scopo che vuole raggiungere l’onorevole Lucifero in una maniera semplicissima. Se due senatori dovranno essere assegnati ad una circoscrizione, uno poniamo democristiano ed un altro comunista, sarà dei due soltanto colui che ha avuto più voti nella circoscrizione. Ecco che così si elimina l’inconveniente lamentato dall’onorevole Dossetti e si raggiunge lo scopo voluto dall’onorevole Lucifero.

CARONIA. E il 65 per cento dove va?

MARTINO GAETANO. Ella, onorevole collega, non ha seguito l’andamento della discussione. L’ipotesi si verifica soltanto per il caso in cui due candidati di liste diverse riescono senatori in una circoscrizione mentre l’altra circoscrizione resta senza senatori. Propone l’onorevole Lucifero che in questo caso uno solo dei due sia proclamato e l’altro no. In tal modo, in definitiva, tutte le circoscrizioni avranno il loro senatore. Egli propone che sia «saltato» (così si esprime) il candidato di una circoscrizione, qualora in quella circoscrizione sia stato già assegnato un senatore.

Ciò porterebbe, come giustamente rilevava l’onorevole Dossetti, a quell’inconveniente di dover stabilire da dove si comincia. Si comincia dalla lista che ha avuto più voti, dal partito più autorevole, dal partito al Governo o dal partito all’opposizione?

DOSSETTI. Dall’ordine dei candidati.

MARTINO GAETANO. Ebbene: supposto che due candidati siano tutti e due eletti in una circoscrizione con sistema proporzionale, sarà solo proclamato quello dei due che ha avuto più voti nella circoscrizione. Noi avremo così eliminato l’inconveniente senza bisogno di ricorrere né alla dottrina né ai classici dei sistemi elettorali né alle loro meditazioni.

Concludo constatando, e con soddisfazione, che anche a parere della Commissione, come ha detto testé l’onorevole Mortati, questa legge non è una cosa seria.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Mi permetta la sottigliezza dell’onorevole Dossetti di portare qualche chiarimento alla mia grossolanità, facendo notare che certe volte le sottigliezze sono proprio quelle che conducono a certi gineprai dove forse gli uomini più semplici e grossolani non si ficcano, perché vedono i gineprai che gli uomini sottili non vedono. Faccio notare all’onorevole Dossetti che io non sono un classico delle leggi elettorali, e non pretendo affatto che egli abbia letto i miei libri. Ma una certa conoscenza l’ho; ed un modesto libro su questa materia l’ho scritto anch’io. Quindi, se crede che io venga qui ad improvvisare, si sbaglia. (Commenti). Il problema è stato approfondito, ed io ho detto, quando ho presentato l’emendamento, che si trattava, come si dice nel mio dialetto, di un malu rimediu, cioè di un correttivo. Non ne sono affatto entusiasta.

L’onorevole Dossetti dice – e lo dissi anch’io – che il candidato eletto potrebbe essere quello che ha avuto un minor numero di voti nella circoscrizione. Ad ogni modo la qualifica politica verrebbe al candidato proclamato non certamente dalla bassa percentuale di voti avuti nella sua circoscrizione, ma da quella disgraziata applicazione della proporzionale che l’avrebbe messo in un posto inferiore in graduatoria. Il posto è stabilito dai voti personali. Probabilmente non sarebbe l’ultimo. Adeguate soluzioni in questa materia non si possono avere. Si può avere soltanto una soluzione di ripiego, ed è questa: che se per combinazione fra gli eletti secondo il sistema proporzionale non vi fosse nessuno di quella circoscrizione, si sceglierà quel candidato che ha ottenuto il maggior numero di voti anche se non ha raggiunto il quoziente di collegamento. Ma la circoscrizione avrà la propria rappresentanza, anche se il rimedio è empirico ed infelice. Ma non possiamo pretendere in un sistema, che è tutto un capolavoro di infelicità, che proprio un correttivo possa essere una soluzione felice.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro dell’interno ha facoltà di esprimere il parere del Governo sugli emendamenti.

SCELBA, Ministro dell’interno. Per quanto riguarda l’emendamento Martino, che tenderebbe a sopprimere la proposta presentata dall’onorevole Mortati, per la perequazione dei collegi, devo precisare questo: nelle istruzioni date ai prefetti per la suddivisione dei collegi, fu detto che, per quanto riguardava la popolazione, la differenza fra i vari collegi non doveva superare il 10 per cento in più o in meno.

È stato assolutamente impossibile contenere la differenza nell’ambito del dieci per cento, in più o in meno. Tutti i prefetti hanno fatto osservare che concretamente, per una ragione o per altra, era impossibile creare circoscrizioni, che si aggirassero, per quanto possibile, intorno a duecentomila abitanti; e non so se l’Assemblea o la Commissione possano correggere le proposte.

Se la sperequazione è determinata dalla legge, ritengo che l’Assemblea abbia il dovere di cercare un correttivo, che metta tutti i candidati in condizioni di parità.

Per queste considerazioni, accetto l’emendamento proposto dall’onorevole Mortati mentre non posso accettare quello proposto dall’onorevole Martino Gaetano.

Per quanto riguarda il problema posto dall’onorevole Lucifero, come accennavo nel precedente mio intervento, esso fu posto alla Commissione da me chiamata a studiare e preparare il progetto. Nella relazione che accompagna il progetto, è detto che col sistema misto adottato dal disegno di legge può accadere che siano proclamati candidati con diverso contrassegno appartenenti al medesimo collegio, come può accadere che nessuno dei candidati presentati in un collegio rientri nella graduatoria dei vincitori del gruppo. Peraltro è da considerare che molto probabilmente ciò si verificherà proprio in quei collegi, nei quali non è stato possibile avere una sufficiente designazione, perché nessun candidato ha ottenuto la metà più uno.

Si è cercato di studiare la possibilità di un correttivo che garantisse ad ogni collegio un rappresentante. È stato assolutamente impossibile trovare un correttivo logico, razionale, e soprattutto che non creasse inconvenienti molto più gravi di quelli che non creerebbe l’attuale sistema, per poter assicurare ad ogni collegio il suo rappresentante.

E noi abbiamo risolto la questione dicendo che, in sostanza, la rappresentanza deve considerarsi sul piano regionale, anziché sul piano della singola circoscrizione, la quale, peraltro, non ha nessuna base solida e concreta; ma è soltanto una coacervo di comuni presi da diverse province, senza base e concretezza storica, economica, tradizionale e amministrativa, per raggiungere la cifra voluta. Ogni espediente tentato aveva questo inconveniente veramente grave che lasciava i candidati al buio circa la probabilità di successo.

Nessun candidato saprebbe qual è la sua sorte, per quanti sforzi facesse per ottenere il massimo dei votanti in quel collegio, perché potrebbe essere battuto per altre ragioni e per altre situazioni determinatesi in altri collegi. Nascerebbe quindi la impossibilità per il candidato di fare il calcolo delle proprie probabilità. Questo è un assurdo, perché il candidato deve sapere le probabilità della sua riuscita, operando in un determinato settore. Qui nessuna qualità personale e nessuna attività di propaganda, nessuno sforzo reclamistico od organizzativo potrebbero assicurare in partenza al candidato la sua elezione.

Considerare l’elezione sul piano regionale mi pare l’unica soluzione logica ed è quella adottata dal progetto ministeriale. Ripeto, ogni altra soluzione od espediente che è stato studiato e vagliato col proposito di venire incontro alle esigenze più naturali di assicurare ad ogni collegio un rappresentante, non fa che creare mali peggiori e serie sperequazioni; la soluzione adottata è quella che in ogni caso produce danni minori ed inconvenienti meno gravi, mentre sul piano razionale e logico si presenta più aderente al testo della Costituzione.

Per queste ragioni di carattere obiettivo, non possiamo accogliere la proposta dell’onorevole Lucifero.

PRESIDENTE. L’onorevole Laconi mi fa ora pervenire il seguente emendamento aggiuntivo:

«Il candidato eletto col sessantacinque per cento dei voti, secondo l’articolo 18, può rinunciare entro quarantott’ore a questa elezione. In tal caso la designazione dell’eletto nella circoscrizione ha luogo secondo le norme dell’articolo 20».

Ha facoltà di svolgerlo.

LACONI. La mia proposta tende ad ovviare, una eventuale difficoltà, che si potrà verificare nel sistema che stiamo definendo. La questione è questa: può accadere che il raggiungere il sessantacinque per cento dei voti per un determinato partito, in qualche circoscrizione, anziché essere un vantaggio, sia un danno, in quanto quel particolare partito utilizzerebbe male, attraverso questo sistema, il grande numero di voti ottenuti in un solo collegio mentre, se gli stessi voti fossero computati con la proporzionale, se ne gioverebbe per compensare eventuali deficienze di altri collegi.

In questo caso, mi pare evidente che debba essere riconosciuto al partito e al candidato la facoltà di rinunciare a questo presunto privilegio – che si è rivelato in realtà un danno – e di rientrare nella regola generale. A tal fine, deve essere consentita al candidato la facoltà di dimettersi entro quarantotto ore senza danni né per la lista, né per sé, e di vedere i propri voti calcolati secondo il sistema proporzionale che verrà adottato.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Non come membro della Commissione, ma a titolo puramente personale, mi dichiaro contrario alla proposta formulata e alla tesi svolta dal collega Laconi, poiché questa tesi se fosse accettata finirebbe con l’aumentare ancora di più quell’ibridismo che infetta questo progetto, e finirebbe anche con l’attribuire ai partiti anche la possibilità di porre nel nulla la decisione del corpo elettorale. Noi, cioè, praticamente, aumenteremmo la confusione, stabiliremmo una possibilità, in certo senso, di maggiore arbitrio, anche se questo arbitrio possa apparentemente non esistere in quanto rimesso alla volontà della direzione dei partiti. Soprattutto finiremmo con l’annullare anche quella parvenza di uninominalità, che ancora è rimasta in questo infelice progetto.

LACONI. Chiedo di parlare per chiarire il mio pensiero.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Vorrei dare un chiarimento all’onorevole Mastino, perché forse non sono stato abbastanza chiaro. Io non intendo dire che il candidato rinunci al suo posto; il candidato non rinuncia al suo posto, ma ad un determinato modo di valutazione dei suoi voti. Il pericolo che l’onorevole Mastino prospetta non esiste, perché non esiste da parte del partito la possibilità di utilizzare per determinati fini il candidato, ma esiste la possibilità del candidato di chiedere che i suoi voti siano computati secondo un sistema invece che un altro.

GULLO ROCCO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO ROCCO. Io credo che non si possa discutere questo problema senza tener conto anche delle considerazioni che sono state fatte, a proposito di un emendamento presentato da me e, contemporaneamente a me, dall’onorevole Mortati, circa l’utilizzazione dei voti oltre il 65 per cento. Al riguardo debbo ricordare all’onorevole Laconi, finissimo giurista, ma che in questa occasione potrebbe anche non essere altrettanto matematico quanto giurista, quello che ho detto un momento fa e che non ha avuto e non poteva avere smentite.

Ripeto che il 65 per cento dei voti validi, pur bastando ad attribuire un posto al candidato che li ha riportati, rappresentano molto meno delle cifre assolute che occorrono per il quoziente regionale, perché il quoziente regionale, grosso modo, è rappresentato, in cifra, dalla media dei voti dei collegi in tutta la regione, vale a dire dal 100 per cento per votanti di un solo collegio. (Interruzione del deputato Laconi).

Se non è il 100 per cento sarà il 98 per cento, ma è sempre una percentuale di molto superiore al 65 per cento. È chiaro che dividendo tutti i voti di una Regione per un divisore, che è rappresentato dal numero dei collegi, noi avremo la media dei voti di ogni collegio, e questa media costituisce il 100 per cento dei voti e presso a poco dei votanti di un solo collegio.

Ed allora è chiaro che il candidato che ha riportato il 65 per cento dei voti in un collegio viene ad avere un posto, mentre questo posto probabilmente non avrebbe apportato alla propria lista se non avessimo adottato questo sistema del 65 per cento.

Questo è un punto di carattere aritmetico, il quale dovrebbe avere qualche maggiore chiarimento.

DOSSETTI. È sbagliato. Ci vuole la lavagna!

GULLO ROCCO. Ed allora io mi permetto di rispondere a quanto ha detto prima l’onorevole Gullo Fausto parlando a nome della Commissione, e, per evitare che qualcuno dei colleghi possa essere impressionato dall’autorità che al maggior Gullo deriva anche come esponente della Commissione, per cui si potrebbe pensare che egli possa avere – essendo seduto al banco della Commissione – ragione in confronto dell’altro Gullo seduto al banco dei deputati, osservo che il mio emendamento coincide perfettamente, con l’emendamento dell’onorevole Mortati, che è stato distribuito questa mattina, e che al primo comma dice appunto: «effettua la somma dei voti validi attribuiti a tutti i candidati non proclamati eletti».

Ora, è chiaro che, per decidere su questo mio emendamento, occorrerebbe aver deciso anche su una questione proposta dall’onorevole Lucifero, perché le due questioni hanno un certo collegamento.

L’unica obiezione che si potrebbe fare, e che è stata fatta dall’onorevole Gullo Fausto, è che nel collegio dove v’è stato il 65 per cento dei voti attribuiti ad un determinato candidato, quel collegio ha già avuto la sua rappresentanza, Se andassimo all’idea che ogni collegio deve avere un rappresentante, l’argomento dell’onorevole Gullo Fausto avrebbe valore, ma ancora non abbiamo deciso al riguardo, ed io credo che anche la stessa Commissione sia di parere diverso.

In poche parole vorrei esprimere il mio parere in proposito: indubbiamente le ragioni addotte prima dall’onorevole Schiavetti e poi dall’onorevole Lucifero sono veramente gravi e importanti; ma anche essi hanno parlato di inconvenienti dell’uno e dell’altro sistema. Hanno creduto che i minori inconvenienti derivassero dal sistema di attribuire ad ogni collegio un senatore.

Sono stati prospettati anche altri inconvenienti, tra cui quello della possibilità che risultasse eletto un candidato che avesse riportato un minor numero di voti rispetto ad un altro, per rispettare il criterio della circoscrizione.

Io penso che con il sistema da noi adottato – e per cui non ripeterò tutte le critiche che sono state fatte, perché non vorrei poi che le nostre critiche fossero moltiplicate dagli elettori che dovranno votare – credo che il minore inconveniente sia quello di tener conto non tanto dell’attribuzione di un senatore per ogni collegio quanto di evitare che siano eletti dei senatori con minor numero di voti di altri candidati. D’altra parte, sia col sistema che abbiamo adottato, sia per quella che è la vita politica attuale, possiamo noi ancora pensare seriamente che un collegio elettorale sia rappresentato dalle strade, dalle case, dalle botteghe di quel determinato collegio e non già dalle correnti politiche?

Io chiedo tanto all’onorevole Lucifero quanto all’onorevole Schiavetti cosa ne penserebbero di un collegio dove vi fosse una prevalenza di voti comunisti o di estrema sinistra, che poi – per la necessità di andare a ritrovare l’eletto per quel determinato collegio – avesse come esponente un senatore monarchico; e, viceversa, di un collegio nella sua maggioranza democristiano che avesse come senatore il carissimo amico e collega Tonello. Per quanto questo sia un esempio che non possiamo fare perché il nostro collega è già senatore di diritto. Credete voi sul serio che questo collegio sarebbe sodisfatto perché ha il suo rappresentante al Senato, quando questo rappresentante non rappresenta affatto la corrente politica che vi è in maggioranza?

Nei tempi antichi, in cui il deputato veniva alla Camera, o il senatore andava al Senato, solo per chiedere il botteghino del lotto o la strada intercomunale, ciò poteva avere qualche importanza. Ma oggi si viene al Parlamento soprattutto a rappresentare grandi correnti di pensiero politico, e io ritengo che ridurre un po’ troppo in termini campanilistici la questione, preoccupandoci che il collegio di Frosinone o di Roma I non abbia il proprio rappresentante e che viceversa il collegio di Roma II ne abbia due, sia fuori della realtà.

Quindi la mia opinione (nonostante la serietà degli argomenti addotti dagli onorevoli Schiavetti, Lucifero e altri) è che non si possa non andare incontro su questo punto al pensiero della Commissione, anche per quegli inconvenienti di carattere tecnico per cui è stato riconosciuto che non era facile trovare una formula.

E allora, se l’Assemblea si pronunzierà contro la tesi della ripartizione dei seggi per ogni collegio senatoriale, mi domando perché in questo sistema – che ormai possiamo senza ipocrisia chiamare proporzionale per quattro quinti o per nove decimi (Commenti al centro) – non dobbiamo tener conto delle vaste correnti rappresentate da quel trentacinque per cento di voti che sono stati espressi anche nei collegi dove vi è stato un candidato proclamato eletto.

Non avevo bene percepito questa mattina, dalle poche parole pronunziate dal Ministro, il suo pensiero in ordine a un’ipotesi subordinata: della collocazione anche del sessantacinque per cento o della più forte maggioranza di voti riportata dal candidato proclamato eletto. Ma, dopo averci pensato meglio, credo che il pensiero del Ministro dell’interno sia stato, invece, questo (e desidererei avere un cenno di assenso): si potrebbe tener conto ai fini della formazione del quoziente regionale anche di quel 65 o più per cento dei voti riportati dal candidato eletto.

Ma è chiaro che con questo non si dovrebbe mai attribuire un premio con un posto in più a quella lista cui appartiene il candidato. Col sistema proposto faremmo qualche cosa di ancor più proporzionalistico – ed ormai ci siamo tutti adagiati a questo – ma otterremmo veramente un risultato di giustizia assoluta e verremmo anche incontro alle preoccupazioni dell’onorevole Laconi; cioè, in sede di formazione del quoziente regionale, terremmo conto di tutti i voti attribuiti a tutti i candidati, anche a quelli proclamati eletti al primo scrutinio, e verremmo poi ad attribuire questi quozienti alle varie liste. S’intende bene che per quella lista cui appartenga il candidato che è già stato proclamato eletto si dovrà tener conto del posto già ottenuto.

In tal modo noi avremo sempre un vantaggio. È giusto – ed anche se non fosse giusto, noi lo abbiamo ormai già votato – che il candidato che ha ottenuto il quorum del 65 per cento venga proclamato eletto. Ma, per una maggiore giustizia proporzionale, se così si può dire, noi dovremmo tener conto di tutti i voti ed attribuire poi alle varie liste i quozienti che spettano ad esse secondo il divisore che si andrà a stabilire. La situazione personale del candidato proclamato eletto è evidente che debba giovare soltanto allo stesso candidato eletto, come persona, mentre non può né deve giovare ancor di più alla sua lista.

Ritengo che con questo sistema si verrebbe decisamente ad ovviare a tutti gli inconvenienti, anche a quello prospettato dall’onorevole Laconi, il quale si è preoccupato dell’eventualità del candidato il quale per ipotesi riportasse non soltanto il 65 per cento, ma, poniamo, il 70 o più per cento. Egli si preoccupava che questi voti ottenuti oltre il 65 per cento non dovessero venire utilizzati, mentre è chiarissimo che col sistema proposto tale suo timore viene completamente a cadere.

In questo modo, onorevoli colleghi, noi andremo veramente incontro ad una giustizia proporzionale. In questo momento non ho ancora tradotto in termini precisi la mia proposta e del resto non vorrei sottopormi a questa fatica ove non fossi confortato dall’assenso della Commissione o del Ministro. Penso d’altronde che ognuno di noi, anche se, con l’ausilio della propria modesta esperienza, può portare un modesto contributo alla discussione, non è però sempre il più adatto ad enunciare in termini tecnici la questione.

È perciò quindi che io ho inteso semplicemente di proporre un criterio di giustizia, il quale sia soprattutto atto ad evitare malcontenti o lamentele. Vi insisto anche perché, come or ora dicevo, esso vale a tranquillizzare pure l’onorevole Laconi e vale anche ad ovviare a quegli inconvenienti che potrebbero derivare dalla possibile circostanza di un candidato che venga proclamato eletto e che ha raggiunto più del 65 per cento dei voti.

PRESIDENTE. Qual è il pensiero del Governo sulla proposta dell’onorevole Gullo Rocco?

SCELBA, Ministro dell’interno. Attraverso le proposte formulate dagli onorevoli Gullo Rocco, Laconi e Mortati e da altri, possiamo sintetizzare la questione ponendo tre ipotesi.

La prima è quella prevista dal progetto governativo, il quale stabilisce che il candidato che abbia riportato un determinato quorum – nella specie, il 65 per cento – viene proclamato eletto; e in tal modo si viene ad esaurire l’elezione nel collegio, il quale, ad ogni altro effetto, viene stralciato. La proporzionale – chiamiamola proporzionale o uninominale proporzionale – si applica, cioè, esclusivamente per i collegi nei quali nessun candidato abbia riportato il 65 per cento di voti.

Seconda proposta, dell’onorevole Mortati e dell’onorevole Gullo: ferma restando la proclamazione dell’eletto che abbia riportato il 65 per cento, calcolare i voti residui riportati dagli altri candidati in questo collegio, a favore dei candidati o delle liste di candidati collegati esistenti nella regione.

Terza proposta, che può considerarsi emendativa della precedente, è quella dell’onorevole Laconi, secondo la quale, sia pure in via facoltativa, il 65 per cento dei voti del candidato che li ha ottenuti in un collegio può andare a favore di tutte le liste, Si farebbe ossia funzionare il collegio uninominale esclusivamente per la persona che ha riportato il 65 per cento dei voti, ma, nella ripartizione dei voti dei quozienti da attribuirsi alle singole liste, si terrebbe conto dei voti riportati da tutti i candidati collegati nella circoscrizione, compreso l’eletto col 65 per cento.

C’è un inconveniente in questa proposta la quale va esclusa. Il candidato che riporta il 65 per cento viene proclamato eletto; se si fa poi la ripartizione anche di questo 65 per cento e lo si aggiunge alla lista dei nomi collegati, può venir fuori un altro candidato il quale nel complesso della circoscrizione regionale riporti qualche cosa di più anche dello stesso 65 per cento, senza riuscire eletto. Non so se questo inconveniente, per il quale potrebbe essere eletto un candidato che in via assoluta riporti un numero di voti inferiore ed altro candidato collegato sia superabile per giustificare l’introduzione del sistema proposto dall’onorevole Laconi.

Se dovessi esprimere un’opinione personale, io penserei che tutto sommato la proposta si potrebbe accettare. Con questo noi aderiremmo ancora meglio al concetto regionalistico che è alla base della Costituzione.

Vedo l’onorevole Bellavista che sorride. Ma questa non è una conseguenza del mio progetto. Il mio progetto, onorevole Bellavista, ha una sua logica; se la Camera introduce degli emendamenti che possono modificarlo o snaturarlo, non posso rispondere io delle modifiche di cui è responsabile l’Assemblea. Ma, dovendo esprimere un’opinione sul problema che ci è stato sottoposto, da un punto di vista generale e di razionalità, mi sembra migliore la proposta di calcolare i voti che sul piano regionale vengono riportati da tutti i candidati ed attribuire alle liste collegate il numero che spetta loro in base ai voti riportati.

Ciò corrisponde al mio ideale politico, che è proporzionalistico, ma, ad ogni modo, lascio all’Assemblea di decidere in merito.

BELLAVISTA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BELLAVISTA. Un breve intervento di adesione all’emendamento dell’onorevole Laconi, sotto il profilo della logica conseguenzialità dell’emendamento allo spirito del sistema, che è stato chiamato del Minotauro, in omaggio al connubio della Pasifae democristiana col toro comunista, e che si è venuto formando qui in questa discussione degli ultimi due giorni. C’è, infatti, ormai, uno spirito del sistema, che è soltanto nella corteccia uninominalistico, ma che nella sua intrinseca sostanza (lo ha dovuto ammettere l’onorevole Ministro or ora) è proporzionalistico al cento per cento.

SCELBA, Ministro dell’interno. Al cento per cento no.

BELLAVISTA. Nella sostanza, sì, al cento per cento.

Il mio cuore si spaurisce delle ricerche di dottrina che dovrà fare il collega Mortati e delle sue trapezoidali acrobazie per poter chiamare questo sistema un sistema misto, mentre è chiaro che è un sistema proporzionale puro ed assoluto.

E allora facciamo sì che un privilegio non possa essere privilegium odiosum, e cioè che chi ha riportato il 65 per cento dei voti non abbia a risentire danno, per sé e suoi. Si abbia il coraggio di arrivare fino alle estreme conseguenze. Con ciò intendo sottolineare – me se ne dia atto – questi tre punti, che allineo in progressione criminosa e cronologica.

Una voce al centro. Criminosa?

BELLAVISTA. Sì, criminosa e lo dimostro subito. Quando avete portato il quorum al 65 per cento avete fatto quello che si chiama tentativo di procurato aborto del collegio uninominale; quando avete respinto il ballottaggio ne avete celebrato l’infanticidio; oggi, coll’emendamento Laconi, arrivate al vilipendio di cadavere. E non ne parliamo più. (Ilarità – Commenti).

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Onorevoli colleghi, ritengo che l’emendamento Laconi non possa esser messo in discussione, perché noi abbiamo già approvato l’articolo 18 dopo lunghissimo dibattito, e l’articolo 18 è rimasto come un organo teratologico che non ha più che una modestissima funzione superstite, perché è l’unico avanzo nella legge del collegio uninominale.

Il Ministro Scelba, nel suo progetto, aveva creato un collegio uninominale abbastanza logico, cioè con l’elezione a primo scrutinio in base al 51 per cento dei voti validi.

La votazione fatta in quest’Aula sulla proposta dell’onorevole Dossetti elevò il quorum al 65 percento dei votanti, cioè in pratica al 72 per cento circa di voti validi, cioè rese eccezionalissima, se non impossibile, l’elezione a primo scrutinio. Io credo che, a conti fatti, non più di una dozzina di senatori potranno essere eletti a primo scrutinio. Comunque rimane almeno in questo modo un ricordo del sistema uninominale, che, in una prima cernita di voti, potrà dare da dieci a dodici senatori eletti come rappresentanti di un vero e proprio collegio uninominale.

L’emendamento Laconi va quindi contro il testo già approvato dell’articolo 18. A parte l’inconveniente gravissimo, messo testé in luce dal Ministro Scelba, per cui potrebbe darsi che anche quei pochissimi senatori, veri campioni nazionali, che hanno ottenuto il 72 per cento dei voti non fossero poi eletti e al loro posto venissero eletti altri con un numero maggiore di voti, noi avremmo che in questo modo il primo scrutinio non si farebbe più, perché i candidati eletti, o per loro volontà o perché così consigliati dai loro partiti, avrebbero la possibilità di rinunziare all’elezione per ridare al partito la somma dei voti che hanno ottenuto. E allora si potrebbe dire molto più semplicemente che nessuno verrà eletto a primo scrutinio, ma che si faranno subito e senz’altro le operazioni richieste dall’articolo 20. Sarebbe più logico, più onesto e più chiaro. Aboliamo cioè ogni traccia di questa specie di dito di cavallo rimasto appeso alla legge, e facciamo la proporzionale pura con tutte le sue conseguenze. Soltanto così ovvieremo ad ogni inconveniente.

Quindi ritengo che l’emendamento Laconi non si debba neanche mettere in votazione, perché urta contro una votazione già fatta, che ha stabilito che almeno un certo numero di senatori venga eletto col sistema uninominale.

Non posso neanche accettare l’emendamento dell’onorevole Rocco Gullo, perché anch’esso presenta un altro gravissimo inconveniente, e cioè: se noi riversiamo nella massa dei calcoli proporzionali anche i voti di quei candidati che sono rimasti soccombenti nel collegio che ha dato un senatore eletto, noi alteriamo la votazione, perché dovremmo allora calcolare anche i voti del senatore eletto, cioè dovremmo sommare i voti di tutti. Ma allora noi cambiamo profondamente i risultati, perché quel collegio, che ha già avuto il suo rappresentante eletto a collegio uninominale a primo scrutinio, rimesso con tutti i suoi voti nel giuoco della proporzionale, turba la situazione degli altri collegi. Invece, quel collegio è già a posto, la sua funzione elettiva è completamente esaurita, esso ha dato il suo completo risultato ed il senatore è stato eletto da quei duecentomila elettori, dagli elettori di quella zona, chiusa nel cerchio geografico di quel collegio, che ha raggiunto così completamente il suo scopo.

GULLO FAUSTO, Relatore per la maggioranza. È sistemato.

PERSICO. È sistemato per sempre. Quindi è inaccettabile la proposta dell’amico Rocco Gullo.

E vorrei dire anche una sola parola (se mi consente il Presidente) all’amico Lucifero. Fui proprio io, in Commissione, che sollevai la questione della necessità di eleggere un senatore per collegio; ma ho riflettuto moltissimo e, per quanto mi sia scervellato, mi sono dovuto convincere che non c’è un sistema per risolvere il problema. Non c’è che un sistema: quello di proclamare l’ingiustizia! Quindi a questo effetto il collegio uninominale diventa collegio regionale; cioè, dopo l’elezione di quei pochissimi senatori che verranno subito proclamati, il collegio uninominale si fonde con tutti gli altri collegi della Regione in un solo collegio. E allora è indifferente che il senatore eletto vada attribuito all’uno o all’altro collegio, perché è la Regione che nomina i senatori, non sarà più Caserta o Santa Maria o Sessa Aurunca che avrà il suo senatore, ma sarà la Regione campana che avrà nel suo complesso un certo numero di senatori.

L’onorevole Lucifero ha scritto un libro in materia elettorale, che ho letto molto attentamente. Questo problema non è trattato nel suo libro, perché allora non sorgeva. Ma anche se egli se lo fosse proposto, col suo altissimo ingegno e con la sua esperienza specifica, non avrebbe mai potuto trovare una soluzione al problema, perché il problema è insolubile. Non c’è che una soluzione: legalizzare l’ingiustizia, e questa non possiamo accettarla!

Quindi sono nettamente contrario agli emendamenti presentati dai colleghi Gullo Rocco e Laconi, che sconvolgono tutti e due i criteri fondamentali della legge in discussione.

PRESIDENTE. La Commissione ha qualcosa da aggiungere?

MICHELI, Presidente della Commissione. La Commissione ha già esposto il suo avviso sopra i vari punti. Non credo quindi di avere nulla da aggiungere.

Per il progetto dell’onorevole Laconi, la Commissione non è concorde e quindi si rimette all’Assemblea.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro dell’interno ha da aggiungere qualcosa?

SCELBA, Ministro dell’interno. No.

PRESIDENTE. Si può allora passare alla votazione di questo lunghissimo articolo e degli emendamenti proposti. Data l’ora tarda e la complessità delle votazioni, le rinvio alla seduta pomeridiana.

La seduta termina alle 12.50.

DOMENICA 25 GENNAIO 1948

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCLXIII.

SEDUTA DI DOMENICA 25 GENNAIO 1948

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Norme per l’elezione del Senato della Repubblica (61).

Presidente

Scelba, Ministro dell’interno

Reale Vito

Russo Perez

Martino Gaetano

Dossetti

Mazzei

Bellavista

Condorelli

Dominedò

Basile

Candela

Morelli Renato

Gullo Fausto, Relatore per la maggioranza

Mortati, Relatore per la minoranza

Caroleo

Lucifero

Micheli, Presidente della Commissione

Uberti

Persico

Gullo Rocco

Leone Giovanni

Stampacchia

Scoccimarro

Votazione segreta:

Presidente

Risultato della votazione segreta:

Presidente

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 9.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Seguito della discussione del disegno di legge: «Norme per l’elezione del Senato della Repubblica». (61).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: «Seguito della discussione del disegno di legge: Norme per l’elezione del Senato della Repubblica». (61).

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare per una mozione d’ordine.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. A me pare che, in via preliminare e pregiudiziale, sia da risolvere questa questione: se, nessuno raggiungendo al primo scrutinio la percentuale di voti prevista dall’articolo 18, già approvato, si debba procedere al ballottaggio, salvo a precisare poi se vi debbano partecipare i due candidati con maggior numero di voti o tutti i candidati, o se si debba adottare altro sistema.

Questa è una questione di carattere generale, che, secondo me, deve essere affrontata e risolta prima delle questioni di carattere particolare. (Commenti).

PRESIDENTE. Gli onorevoli Candela, Reale Vito e Villabruna hanno presentato il seguente articolo 18-bis:

«Qualora nessun candidato sia stato eletto nella prima votazione, il Presidente dell’ufficio elettorale centrale proclama il ballottaggio tra i due candidati che abbiano ottenuto il maggior numero di voti validi. Nel caso in cui due o più candidati abbiano conseguito lo stesso numero di voti validi, entra in ballottaggio il più anziano di età.

«Alla elezione di ballottaggio si procede nella seconda domenica successiva a quella della votazione».

In assenza dell’onorevole Candela, primo firmatario, ha facoltà di svolgerlo l’onorevole Reale Vito.

REALE VITO. Il sistema del collegio uninominale ha per presupposto il ballottaggio, qualora non si raggiunga il quorum stabilito. L’Assemblea non è stata invitata a modificare sostanzialmente il progetto ministeriale, perché questo, che consentiva la elezione a primo scrutinio colla maggioranza dei votanti del 51%, creava una situazione evidente per il ballottaggio.

Si trattava di stabilire se al ballottaggio bisognava arrivare soltanto coi due primi candidati, oppure con tutti i candidati. La Commissione proponeva un ballottaggio speciale, cioè la ripetizione dell’elezione fra tutti i candidati, deformando così la concezione semplice e tradizionale del collegio uninominale. La Commissione propose questo emendamento. Avverso questo emendamento il collega Candela ed io, assieme ad altri, abbiamo voluto tentare di ripristinare il ballottaggio tradizionale tra i due primi candidati, tra quelli cioè che avevano raggiunto il maggior numero di voti. È su questo che richiamo l’attenzione dell’Assemblea: attraverso l’emendamento che ieri sera l’Assemblea ha votato, si tenta di toglier vita ed esistenza al collegio uninominale, perché un collegio uninominale senza l’esperimento del ballottaggio, praticamente è inesistente e non può aver efficacia. Con un quorum del 65 per cento, la votazione a primo scrutinio è una votazione puramente platonica e quindi è inevitabile il ballottaggio su tutta la vasta scala dei collegi senatoriali. Si vorrà arrivare al ballottaggio classico (cioè tra i due primi candidati) ed accettare l’elezione di quel candidato che abbia riportato la maggioranza dei votanti, oppure si vorrà arrivare, attraverso quell’espediente, ad un nuovo e diverso sistema di votazione? Se la prima ipotesi è l’esatta, se io interpreto nel senso che si è voluto elevare il quoziente, per poter ripetere, in un’atmosfera più serena, la seconda elezione, non rimane che adottare il ballottaggio classico e consentire che la votazione si ripeta soltanto fra i due primi candidati. Se, diversamente, si vuole arrivare, attraverso questo espediente, a svisare completamente l’istituto del collegio uninominale, è evidente che noi ci troviamo di fronte ad una proposta la quale deforma ciò che l’Assemblea aveva deliberato, ciò che ieri sera l’illustre nostro Presidente ha ritenuto preclusivo ad ogni altro tentativo; se cioè si vuole arrivare ad istituire – attraverso l’impossibilità dell’elezione a primo scrutinio – lo scrutinio successivo sotto forma di scrutinio di lista, noi ci troveremmo di fronte di nuovo ad una situazione che l’Assemblea ha, con due successive e solenni votazioni, riprovato. (Commenti al centro).

CINGOLANI. Il «solenni» lo lasci nel vocabolario!

REALE VITO. I democratici cristiani trovano solenni solo le manifestazioni e la deliberazioni che fanno loro comodo; (Commenti al centro); le altre deliberazioni non sono tali.

Io voglio richiamare l’attenzione dei miei egregi amici sulla gravità della nostra votazione. Io voglio ricordare loro che il fascismo è sorto soprattutto dalla violazione del diritto costituzionale.

PICCIONI. È sorto attraverso il collegio uninominale!

REALE VITO. È sorto soprattutto perché o il re non ha voluto consentire a firmare il decreto di assedio, o ha ritirato la sua firma ad un decreto di assedio. Ieri sera un personaggio, al quale ho avuto l’onore di rivolgerei la parola, ha dimostrato la diversità di regime del 1922, rispetto a quello del 1948, quando cioè ha sentito la gravità della deliberazione a cui era chiamato ed ha pensato che violare la Costituzione significa aprire la via a soluzioni rivoluzionarie ed impensate.

Io voglio ricordare ai miei egregi amici che, qualunque cosa si dica delle votazioni solenni o non solenni, noi ora ci troviamo in questa situazione: l’Assemblea ha ripudiato, per l’elezione del Senato, il sistema di lista ed il sistema proporzionale. Li ha ripudiati in modo sicuro. Ma, se questo non fosse veramente certo e sicuro, di un fatto non si può discutere e non si può dubitare e cioè che vi sono larghe correnti in questa Assemblea e nel Paese che vogliono, che pretendono che quella votazione sia valida, che quella preclusione sia esistente.

Io ricorderò che in tal senso ha parlato l’onorevole Targetti, che non rappresenta una corrente trascurabile nella vita del Paese; in tal senso ha parlato l’onorevole Giannini, che rappresenta una corrente rispettabile nel Paese; nello stesso senso ha parlato l’onorevole Lucifero. Ciò significa che una larga, un’imponente formazione politica del Paese pensa che se noi adottiamo il suffragio a scrutinio uninominale col sistema proporzionale incominciamo molto discutibilmente, la nostra vita costituzionale. E noi compiamo un atto di una gravità eccezionale se iniziamo la nostra esistenza con una violazione della Carta costituzionale, su cui ancora l’inchiostro della stampa è fresco.

Voglio richiamare l’attenzione dell’Assemblea sulla gravità della situazione presente. Noi ci troviamo con poteri limitatamente prorogati, nella impossibilità di prorogarli o di modificarli, ci troviamo nella condizione di un’Assemblea che, per aver votato la Costituzione, ha cessato di vivere e sopravvive soltanto per compiti ben delimitati e ben circoscritti. Noi abbiamo soltanto il compito di attuare ciò che l’Assemblea, nella pienezza delle sue funzioni, ha deliberato ed ha deciso. Noi non possiamo violare quelle deliberazioni, non possiamo violare quelle norme che l’Assemblea ha indicato a noi di concretare. Se noi il contrario facessimo, se volessimo con un tratto di penna cancellare il collegio uninominale e sostituirlo attraverso parole di discutibile valore morale, se questo facessimo, noi precipiteremmo in una situazione rivoluzionaria (Commenti al centro). Signori, domani, chi non gradirà il risultato dell’elezione, avrà un’arma giuridica e morale nelle mani per far saltare tutta la vita costituzionale del Paese. La Costituzione prevede l’esistenza di un Senato, ma prevede l’esistenza di un Senato eletto legittimamente, in base ad una legge legittima. Se il Senato, che è un organo fondamentale della vita del Paese, dovesse sorgere illegittimamente, in base ad una legge che contraddice a principî fondamentali da noi accettati tutta la vita costituzionale ne sarebbe profondamente scossa. (Commenti al centro).

Coloro i quali credono di avere facili previsioni e soluzioni, si mettano davanti a questo problema e lo esaminino con serenità di coscienza ed in tutta la sua gravità ed importanza.

Io ho compiuto il mio dovere nel richiamare l’attenzione dell’Assemblea sulla gravità del problema e sulla responsabilità che essa deve assumere. L’Assemblea ha una via soltanto: quella di regolare, di reggimentare il sistema del ballottaggio in modo che la sua deliberazione sia conforme e adeguata alle deliberazioni precedenti.

Ho compiuto il mio dovere; la Presidenza prima, l’Assemblea dopo, compiranno il loro, e noi andremo alle urne per ridare alla nuova vita democratica e costituzionale del Paese quegli organi legittimi che noi abbiamo voluto che essa avesse per poter compiere il suo cammino e per poter raggiungere quelle mete di libertà di democrazia che sono in cima ai nostri pensieri. (Commenti al centro – Approvazioni).

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Io desidero dire che quanto affermai nel mio breve discorso dell’altro giorno è stato considerato da taluni come un atteggiamento poco riguardoso per gli amici della Democrazia cristiana. Credo che questo non sia esatto. Io mi soffermai sul quesito se il sistema del Collegio uninominale possa aprire, come diceva in un suo recente articolo Don Luigi Sturzo, delle prospettive rosse a Palazzo Madama.

Io dico che questo è possibile, ma soltanto in funzione di un altro elemento, che è in mano vostra. Per esempio, prospettavo questa ipotesi: blocco dei partiti di estrema sinistra, che presentano ed appoggiano un solo candidato; dall’altra parte un candidato della Democrazia cristiana e candidati di almeno tre o quattro altri partiti. In questo caso il sistema uninominale aprirebbe delle rosee prospettive ai rossi… (Commenti al centro – Interruzione del deputato Cingolani). Facciamo un’altra ipotesi: blocco delle sinistre, che presentano ed appoggiano un candidato; dall’altra parte la Democrazia cristiana, la quale, accorgendosi che un candidato appartenente ad altro partito, o anche a nessun partito, è degno di essere appoggiato, non presenta candidati propri e decide di appoggiare quel candidato. Allora si sarebbe in parità di condizioni. Io dicevo: suppongo che la Democrazia cristiana abbia tale amore per il Paese, tale spirito di sacrificio da saper fare questo; in tal caso il Collegio uninominale può essere sostenuto, perché esso non apre delle prospettive rosse a Palazzo Madama.

Ma se, viceversa, dalla Democrazia cristiana mi si confessa qui, pubblicamente, non nei privati conversari, che di sacrifici non son capaci, debbo essere io stesso pronto a sacrificarmi nell’interesse del Paese, e voterei, secondo il loro desiderio, per la proporzionale, in una o in un’altra forma.

Veniamo adesso al lato pratico della questione. Questa battaglia, ricca di finte, di accorgimenti, di aggiramenti…

MORO. Soprattutto di aggiramenti…

RUSSO PEREZ. …s’è già svolta in seno alla Commissione.

L’onorevole Persico ricorda perfettamente quella giornata in cui si era stabilito il 25 per cento come quorum sufficiente per la proclamazione del candidato. Poi, dopo l’episodio che non desidero ricordare, perché non sarebbe di buon gusto, si arrivò al 40 per cento. Quindi gli amici della Democrazia cristiana e l’onorario democristiano Lami Starnuti si affidarono all’acrobatismo giuridico dell’onorevole Dossetti per cercare di arrampicarsi oltre il 40 per cento, ma la Commissione disse: basta! Perché si comprende che, nella serie degli esperimenti, si possa salire oltre, ma soltanto sino a quando non sia intervenuta una decisione positiva; è logico che, quando questa ci è stata, sia assolutamente esclusa la possibilità di andare avanti. Quando ci fummo messi d’accordo su questo punto, fu posta la questione: quando il candidato non avrà raggiunto a primo scrutinio il quorum del 40 per cento, che cosa si farà? Nuovo tentativo dei proporzionalisti; i quali sostennero che allora si dovrebbe passare all’agganciamento. Ma era facile rispondere, e fu risposto, che ciò non era possibile perché si sarebbe scivolato dal collegio uninominale al sistema di lista. Non vi sono, si rispose, che due sistemi: quello del ballottaggio tra i due candidati che hanno riportato il maggior numero di voti, oppure il sistema, proposto dall’onorevole Persico, cioè una nuova votazione tra tutti i candidati che hanno partecipato alla prima elezione.

Richiamo questo precedente per dirvi: nel momento in cui vi accingete a votare pro o contro il ballottaggio, non fatevi illusioni, non crediate che, respingendo il ballottaggio, potrete tornare all’agganciamento. Ci potrete tornare con la prepotenza, con l’accordo con quelli che sono stati più furbi, perché avete loro regalato il voto obbligatorio e non avete ricevuto il corrispettivo, tanto che un giurista potrebbe annullare questo contratto, appunto per mancata corresponsione della contropartita… Non fatevi illusioni e votate pensando che, se escludete il ballottaggio, non avrete altra via d’uscita decente da prendere.

Nel collegio uninominale ci siamo, e bisogna rimanerci. Quando in commissione si decise questo problema, non era stata proclamata la preclusione, da parte della Presidenza; vi era l’ostacolo costituito dal fatto che i lavori dell’Assemblea ormai erano chiusi e non si poteva in essa riprendere la questione. Adesso il problema non è stato risolto soltanto dal punto di vista sostanziale, ma anche dal punto di vista formale, procedurale, ed è stato risolto anche in relazione al Regolamento della Camera, il quale, mediante l’articolo 89, rettamente interpretato ieri dall’onorevole Presidente Conti, vieta che comunque venga riproposto all’esame dell’Assemblea.

Per conseguenza, attenti ai mali passi! Voi potrete fare quello che vorrete, un colpo di prepotenza, di forza; ma badate che questi colpi di forza si scontano nella storia! (Commenti al centro). È vero che può sembrare esagerato quello che qualcuno ha detto, che, cioè, venga minata alla base la Costituzione, ma un fiero colpo, voi della Democrazia cristiana, certamente glielo avete inferto. Potrei sorriderne io, che ho votato, nella votazione finale, contro il nuovo Statuto, ma voi dovreste preoccuparvene.

Ripeto concludendo: attenti ai mali passi: se voi respingete il sistema del ballottaggio, non potete tornare decentemente, per ovvie ragioni giuridiche e, soprattutto, morali, al sistema a voi caro dell’agganciamento, che è un sistema nettamente proporzionalistico.

MARTINO GAETANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARTINO GAETANO. Onorevoli colleghi, ascoltando il discorso dell’onorevole Reale e le parole ora pronunciate dall’onorevole Russo Perez, a me è venuto un sospetto: il sospetto che io abbia sognato, che cioè non sia stata già decisa con l’autorevole parola del Presidente la questione di cui ora nuovamente ci occupiamo (Interruzione dei deputati Moro e Dominedò).

Io credo che il Presidente dell’Assemblea non avrebbe deciso illegalmente una questione; se egli dunque l’ha decisa, è certo che la sua decisione ha valore di legge. Del resto, non è a giuristi del valore dell’onorevole Moro e dell’onorevole Dominedò che un non giurista come me deve preoccuparsi di dimostrare che il Presidente non solo ha il diritto, ma il dovere di impedire che una questione risolta venga riproposta.

Dicevo, onorevole Presidente, che quel sospetto mi era venuto. Senonché io mi sono fornito del resoconto sommario della seduta pomeridiana di ieri ed ho potuto con soddisfazione constatare che il Presidente effettivamente ieri una soluzione adottò sulla questione, che ora vedo, non so perché, risollevata dagli onorevoli Reale e Russo Perez.

Che cosa disse ieri il Presidente? Dopo aver fatto la storia delle varie fasi dei lavori dell’Assemblea intorno a questo problema e delle decisioni dalla medesima Assemblea adottate, egli si espresse nei termini seguenti:

«Devo ottemperare al disposto dell’articolo 89 del Regolamento e risolvere la questione. Vi ho pensato molto: ho ascoltato con grande attenzione i discorsi di tutti coloro che sono intervenuti e mi sono fatto carico della gravissima responsabilità che assumo. Ritengo che sussista la preclusione e che sia necessario passare senz’altro all’esame dell’articolo 7 del Testo presentato dal Governo».

La questione dunque è stata risolta ed è stata definitivamente risolta: io non ho su questo, onorevole Presidente, alcun dubbio. Tutta la sua vita, onorevole Presidente, è un fulgido esempio di nobilissima coerenza che rappresenta per noi la massima garanzia che quanto la Presidenza ieri sera decise sarà da questa Assemblea oggi e domani rispettato.

DOSSETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOSSETTI. Ancora una volta si è tornati su problemi che hanno formato oggetto di vivaci discussioni e solo in apparenza, onorevole Martino, di risoluzione. Io non starò qui a manifestare il mio stupore, sia per le affermazioni fatte ieri in questa Assemblea, sia per la decisione presa, sia per la montatura giornalistica, di cui danno un significativo esempio alcuni giornali questa mane, in ordine a un problema che ha carattere giuridico ben preciso e su cui, modestamente, mi riserbo di tornare in tempo non sospetto e in sede meramente dottrinale.

Accennerò ora soltanto al motivo del mio stupore e cioè al fatto che si voglia continuare a sopravalutare un atto dell’Assemblea, indubbiamente significativo ed importante quale può essere un ordine del giorno, e si trascuri completamente la portata di un articolo della Costituzione, e cioè dell’articolo 57.

Io sono, non soltanto dal punto di vista di uomo di partito e di interessato a questa questione, ma da un punto di vista assolutamente obiettivo di modesto studioso, perfettamente convinto che nelle decisioni di ieri sera è stata assolutamente trascurala la portata dell’articolo 57 e il significato che dall’articolo 57, per la espressa menzione della base regionale e soprattutto della nuova configurazione del collegio nelle dimensioni dei duecentomila abitanti, veniva al collegio uninominale.

Si continua ad insistere su un concetto di collegio uninominale, come se questo concetto fosse definito su un archetipo ormai per tutti i secoli consacrato, e invece non si rileva che il collegio uninominale è un genere, non una specie nettamente individuata; non è un concetto, ma è un dato storico, il quale, quindi, consente le più varie applicazioni concrete. (Commenti – Interruzioni del deputato Bellavista).

Ma non potete ricostruirlo unicamente sul dato storico!

Ad ogni modo, ora è sicura una cosa: che il concetto del collegio uninominale – come voi volete – sia pure partendo da un dato storico, è stato in linea di principio accettato nelle nostre deliberazioni. Noi abbiamo preso ieri una deliberazione, per la quale c’è in linea teorica e in linea di fatto la possibilità di elezione di candidati a collegio uninominale. Resta ora da risolvere un problema, che noi dobbiamo in questa sede risolvere, senza naturalmente lasciarci troppo impressionare dai dati empirici da noi conosciuti, sulla situazione politica concreta del nostro Paese. Noi non dobbiamo ora andare ad esaminare in concreto le singole situazioni circoscrizionali; perché questo potrà farci avere una idea circa i risultati pratici del sistema adottato, ma non sposta neppure di una virgola il significato e la portata della norma legislativa.

Noi abbiamo adottato il concetto storico, come volete, del collegio uninominale, e ora si tratta soltanto di decidere, non quale debba essere il sistema che noi adottiamo nelle elezioni, ma di decidere quali saranno le sorti dei collegi vacanti e dei voti non assegnati, in seguito al quorom da noi prescritto. (Commenti). È quindi soltanto una destinazione di resti e di seggi vacanti quella su cui noi dobbiamo deliberare.

Ora, per questa destinazione ci possono essere varie soluzioni. La soluzione del ballottaggio non è in alcun modo una soluzione necessaria. Gli onorevoli Martino, Reale, Russo Perez mi devono dimostrare preventivamente questa assoluta connessione, che del resto è smentita da altri esempi storici di collegio uninominale.

RUSSO PEREZ. Lei deve dimostrare che l’agganciamento sia compatibile con il collegio uninominale.

DOSSETTI. La soluzione del ballottaggio è solo una delle soluzioni possibili, tanto è vero che la maggioranza della Commissione ha trovato un’altra soluzione: quella della ripetizione delle elezioni. Quindi, con questo si dimostra che vi è già la possibilità di una altra soluzione; e poi ce n’è una terza che è quella conforme – vi prego di ricordarvi di questo benedetto articolo 57 della Costituzione – la sola conferma alla portata dell’articolo 57 della Costituzione: cioè l’utilizzazione in sede regionale dei resti e dei seggi non assegnati.

Ora, troppo già si è insistito in questa Assemblea – e chiaramente vi allude la relazione del Governo – in ordine agli innegabili inconvenienti pratici del sistema del ballottaggio, perché io vi possa convenientemente ancora insistere.

Quanto poi all’altra soluzione, alla soluzione adottata dalla maggioranza della Commissione, essa contiene tutti gli inconvenienti pratici del ballottaggio; ed in più contiene l’inconveniente ancora più grave di riprodurre nella sua integrità la lotta elettorale e non dar luogo a risultati che siano in qualche modo congruenti e compatibili colle deliberazioni di ieri.

Perché sarebbe assurdo che dopo aver prescritto ieri che per la proclamazione a primo scrutinio è necessario il sessantacinque per cento di voti, si addivenisse poi ad una soluzione che attribuisse il seggio a chi raggiungesse una maggioranza relativa di bassissimo tenore.

Quindi non resta altro, come unica soluzione logica, coerente e praticamente rispondente alla situazione politica – quindi tale da non determinare incresciosi inconvenienti nella lotta elettorale – che adottare la soluzione di utilizzare i seggi e i resti vacanti non in contraddizione, ma finalmente in applicazione dell’articolo 57 della Costituzione in sede regionale. (Applausi al centro).

MAZZEI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAZZEI. Poiché è in atto una discussione generale, io devo anche a nome del Gruppo repubblicano fare alcune considerazioni.

Il dibattito ha preso un rilievo di notevole importanza politica, non è stato semplicemente un dibattito tecnico, e perciò le considerazioni che farò non possono limitarsi a rilievi di ordine tecnico.

Quale è stato il motivo fondamentale che reggeva le argomentazioni dei sostenitori del collegio uninominale?

A prescindere dalle argomentazioni di carattere costituzionale, dalle argomentazioni di ordine giuridico formale relative alle precedenti deliberazioni dell’Assemblea, come l’ordine del giorno Nitti e altre deliberazioni già adottate, la tesi di fondo dei sostenitori del collegio uninominale era esattamente questa: che il collegio uninominale poteva servire, oltre che a differenziare la seconda Camera, soprattutto a mettere un po’ in movimento la situazione politica italiana, nel senso di sbloccare la cosiddetta «partitocrazia».

Si ritiene cioè, che il collegio uninominale possa avere la straordinaria virtù di correggere forse quello che è un difetto del sistema democratico, di avere troppe forze organizzate, e di vedere qualche volta sacrificata la più ampia libertà e lo sviluppo dell’autonomia individuale alle esigenze di partito.

Ora io osservo che alla base di questo ragionamento c’è un vizio: non è la proporzionale che crea il sistema partitocratico; è la realtà irrevocabile dei grandi partiti organizzati, caratteristici nella democrazia contemporanea, che generalizza l’esigenza proporzionalistica.

La proporzionale è l’effetto della mutata situazione sociale, ed è subentrata quando il regime dei partiti era già diffuso, quando esistevano e c’erano già i partiti di massa, per cui non si poteva non tener conto di questa nuova realtà, e sorgeva la nuova esigenza di differenziare le minoranze da queste forze organizzate. Da questo concetto è nata l’esigenza proporzionalistica.

Quando si dice che noi abbiamo qui un punto fermo, cioè che dobbiamo adeguare il sistema elettorale per il Senato al principio del collegio uninominale da noi precedentemente accolto, allo scopo di caratterizzare in modo diverso le due Camere, ciò non significa che il sistema del collegio uninominale debba essere sempre quello del 1870.

Ci può essere un collegio uninominale tipo ’800, e ci può essere un sistema di collegio uninominale diverso nel 1948.

E non può non essere così, onorevoli colleghi, perché la realtà dei partiti è un fatto indiscutibile, storicamente irreversibile al quale non ci possiamo sottrarre. Quindi la importanza di questo problema va al di là della discussione tecnica. Se vi fate questa illusione: che col collegio uninominale voi smontate la formidabile macchina dell’organizzazione dei partiti, io vi dico che voi non tenente conto di una realtà profondamente vera. I partiti sono oggi qualche cosa che è base ed è presupposto della vita democratica; e allora, in questa situazione, l’esigenza di difendere le minoranze è esigenza preminente, perché, se i piccoli partiti vengono schiacciati – come accadrebbe fatalmente nel sistema uninominale tradizionale – se questo avvenisse, noi avremmo proprio sacrificato la preminente esigenza democratica, che è quella di vedere rappresentate nelle Assemblee legislative tutte le possibili opinioni che sono nel Paese.

E allora dico che dobbiamo creare un sistema di collegio uninominale che abbia la possibilità di garantire le minoranze.

Accadeva in passato, che col vecchio sistema uninominale le minoranze venissero garantite e rispettate, perché allora le personalità avevano un peso ben maggiore che non oggi, gli individui che si presentavano al giudizio degli elettori avevano un peso di per sé. Ma oggi che ci sono i partiti organizzati, se i partiti organizzati, se i grossi partiti – per ipotesi, in un collegio X – non hanno un uomo adeguato, ma tireranno fuori un uomo qualsiasi, anche di scarso valore, e questi si troverà ad avere il suffragio perché è di quel determinato colore politico.

Perciò, non basta mutare il sistema elettorale per mutare lo spirito politico che sta alla base delle democrazie contemporanee, così come sono attualmente costituite.

Io mi auguro quindi, che l’introduzione di questo sistema che ha qualche cosa dell’uninominale, possa far reagire l’opinione pubblica nel senso di confrontare le varie personalità che si presentano, e possa fare reagire le masse fluttuanti anche nei confronti di quei partiti che non sentono eventualmente la responsabilità di presentare candidati all’altezza della situazione. E questo può giovare a quelle formazioni, a quei partiti che sanno scegliere uomini più degni.

Ma io credo che questo risultato si sarà già sufficientemente ottenuto quando noi avremo adottato il piano che si riporta nelle sue linee fondamentali al progetto del Ministro Scelba, perché vi sarà un individuo che si presenterà alla lotta in persona propria, e poi avremo l’utilizzazione dei voti in un secondo tempo.

Avremo questa lotta, imperniata su un individuo, che ha la possibilità di introdurre questa utile modificazione (se ne è capace e nella misura in cui ne è capace) nel nostro sistema democratico.

Io sono piuttosto scettico circa i risultati in questo senso (e questi sarebbero i risultati profondi che si vorrebbero veder discendere dalla adozione del collegio uninominale), ma se anche ci saranno noi ce li saremo assicurati in precedenza, con un sistema come questo.

D’altra parte la utilizzazione dei resti, col sistema che proponiamo (che è, in sostanza, il sistema ministeriale con qualche modificazione), consente la garanzia delle minoranze ed evita quella lotta politica polarizzata, a cui noi partiti intermedi ci siamo sempre opposti, perché non abbiamo affatto piacere di vedere diviso il Paese in bianchi e neri. L’ha detto più volte il nostro Pacciardi e noi abbiamo ragione di ripeterlo: non vogliamo vedere sistemi che possono condurre ad una lotta di questo genere, e anche il sistema elettorale può contribuire a creare uno schieramento di questo tipo. Il sistema elettorale che conduce ad una forma di lotta politica di questo tipo è indubbiamente il collegio uninominale tradizionale col ballottaggio, che vorrebbero i nostri amici, i quali, ancorati ancora ad un tradizionalismo liberale, che può essere apprezzabile e rispettabile, ma che qualche volta non guarda a fondo le cose, non vedono le più gravi ripercussioni del sistema da loro patrocinato.

Con questo, ho detto le ragioni politiche profonde che ispirano l’adesione dei repubblicani al sistema misto; non è una adesione di mera utilità elettorale, ma è una adesione basata su una valutazione realistica della situazione politica che effettivamente non può essere modificata dal sistema elettorale, ma in cui indubbiamente la scelta di un sistema elettorale può influire per far valere certe esigenze che sono esigenze indistruttibili, o per sopprimere queste esigenze.

Io concludo e spero che l’Assemblea si sarà resa conto che noi nel sistema misto non vediamo un espediente comodo, per fini di partito, ma l’unico, possibile sistema di collegio uninominale nella situazione presente. (Applausi).

BELLAVISTA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BELLAVISTA. Onorevoli colleghi. Brevi osservazioni di replica a quanto ha sostenuto – questa volta non con l’acutezza che gli è propria – l’assente collega Dossetti. Qui bisogna pigliare le mosse da qualche cosa che dovrebbe essere molto famigliare a un giurista della fama e del valore di Dossetti. Si sa che una norma non nasce tutto ad un tratto, come Minerva armata dalla testa di Giove, dai bernoccoli del legislatore, ed, in questo senso, grande aiuto – anche se spesso ci si dimentica di ciò – ci offrono i lavori preparatori.

L’onorevole Dossetti ha dato oggi un interpretazione non perfettamente conforme a quella che alcuni mesi fa – precisamente nella seduta pomeridiana dell’8 ottobre 1947 – lui stesso, come vi dimostrerò ed altri del suo partito, hanno dato sull’inequivocabile posizione dei giuristi in fatto d’interpretazione dell’articolo 57 a seguito dell’ordine del giorno preapprovato Nitti-Togliatti.

Disse in tale seduta l’onorevole Gronchi (pagina 1020 del resoconto stenografico): «Quelli che, come noi, pensano che gli ordini del giorno Nitti e Giolitti siano vincolativi soltanto per questa Assemblea, e cioè che le elezioni, rispettivamente per la Camera dei deputali e per la Camera di senatori debbano avvenire l’una col sistema proporzionale, l’altra col sistema uninominale, sostengono il principio che non sia utile includere né l’una norma del sistema proporzionale, né l’altra del sistema uninominale nella Costituzione. Gli altri che sostengono di introdurre nella Costituzione le due norme, pensano che si debba costringere le future Camere ad una revisione della Costituzione in sede di pura e semplice discussione della legge elettorale.

«La questione – diceva l’onorevole Gronchi – è così: non ci sono né truffe, né retro pensieri, né altre diavolerie che durante la discussione sono apparsi come fantasmi contro cui si combatte con la stessa illusione con la quale Don Chisciotte combatteva contro i mulini a vento. Questa è la questione – diceva l’onorevole Gronchi – la quale andrebbe mantenuta puramente e semplicemente nei suoi termini che sono così chiari». Il resoconto registra: «approvazioni al centro» (Interruzione del deputato Uberti).

Non si parla qui dell’onorevole Uberti; però il partito era altamente rappresentato da un giovane che correva in soccorso del leader del gruppo parlamentare del centro, dando altri validi argomenti alla tesi sostenuta dall’onorevole Gronchi. Su questo punto non c’era equivoco. Ma ora l’equivoco risorge.

Riecheggia il quid est veritas di Gesù Cristo davanti a Ponzio Pilato. La verità è questa. L’onorevole Dossetti è assente. Farei torto a lui che è un dogmatico e che ha il culto della logica formale, credendo che lui ritenga che quello del collegio uninominale non sia un concetto. E cos’è allora? Non so se sia sogliola o pesce spada. (Si ride). A me pare un concetto dal punto di vista della logica formale. Ma qual è il concetto del collegio uninominale? C’è un modo semplicissimo per delineare il «concetto».

ANGELINI. Il vecchio concetto del collegio uninominale non ha più valore.

BELLAVISTA. C’è un elemento base. Un concetto non può rappresentare il suo «reciproco contrario». Un «concetto» non può, cioè, tramutarsi in «anti-concetto». Io vi dico: quando avete elevato il quorum al 65 per cento, lo avete fatto soltanto por porre in valore l’anti-concetto dell’uninominalismo. Voi volevate con questo sistema mettere praticamente nel nulla il concetto che è racchiuso dal collegio uninominale. Se non che, le due cose potevano benissimo conciliarsi. Si poteva elevare il quorum, e rimanere fino a questo punto perfettamente nell’ambito della tecnica del collegio uninominale. Purché si fosse pervenuti poi alla conseguenza logica del collegio uninominale, che è il ballottaggio, che si riattacca… alla tradizione uninominalista. (Interruzioni al centro). Un giurista come l’onorevole Mortati ha sostenuto che il suo progetto era un sistema misto; ed ha parlato di dottrina. Noi abbiamo chiesto di citarci un autore, e non ha fatto nemmeno come quell’avvocato di Corte d’Assise che ha citato Kodak inventando anche la marca delle macchine fotografiche. Non ha citato nessun Kodak.

DOSSETTI. Il tavolo è pieno di autori.

BELLAVISTA. Io rivolgo questo perentorio invito, rimasto ieri in aria per l’interruzione dell’onorevole Rubilli. Portateci gli autori che classificano misto questo progetto dell’onorevole Dossetti; non esistono. La verità è una sola: voi siete dei forti Antei, che nella lotta con Ercole, il quale non rappresenta la forza fisica, ma la forza del buon diritto e della ragione, pigliate forza ogni volta che toccate terra. Ma vi arrendete a questo; perché c’è una dommatica confessionale e c’è una dommatica, direi, confessionale laica. Di questo vostro mondo fa parte la proporzionalo. Guai a chi la tocca! È il Sillabo! Non si può discutere. (Commenti al centro).

DOSSETTI. Questo non ha niente a che vedere con la preclusione e con l’articolo 57 della Costituzione.

BELLAVISTA. Lei era assente, quando io leggevo le parole dell’onorevole Gronchi, pronunziate nella seduta dell’8 ottobre 1947, come risulta dal resoconto stenografico, a pagina 1020.

In sostanza, io so della relativa utilità di questi nostri conati. C’è un vecchio adagio: quando la forza con la ragion contrasta, c’è poco da fare. E non condivido, per quanto si è verificato, le preoccupazioni pessimistiche del collega Vito Reale. No, ma una piccola frattura c’è; non c’è dubbio: un piccolo atto «guappo» c’è; un piccolo atto di prepotenza c’è: non c’è dubbio. (Commenti al centro).

UBERTI. Quello del Presidente di ieri.

BELLAVISTA. A me dispiace che questa anima non mantovana, ma certamente gentile, anche se veronese, creda che un atto di prepotenza possa giustificare ed ammetterne un altro; mi rifiuto di crederlo; di fatto non c’è stato.

Dunque, io vi dico questo: voi avete portato con un colpo di maggioranza il quorum al 65 per cento; avete con ciò ipotizzata una «condizione impossibile»; giuristi come voi sono coscienti di questo: nel mettere in vita la creatura, ne avete celebrato contemporaneamente l’infanticidio; cosciente e volontario infanticidio.

Io vi dico: limitatevi; abbiate il senso della moderazione, che nasce dalla consapevolezza pudica di quello che si fa.

Voi, se con altro colpo di violenza e di forza contraddicete all’impegno, che l’onorevole Gronchi ed altri hanno proclamato esistente od al vincolo del quale hanno prestato solenne giuramento presso questa Assemblea, dovete far sì che il collegio uninominale si possa risolvere nell’unica e necessaria maniera, perché esso rimanga tale: cioè, il ballottaggio.

Se non c’è il ballottaggio, non c’è collegio uninominale; a meno che le vostre definizioni logiche non ricordino quella del filosofo greco, al quale fu buttato un gallo spennato, dicendogli che quello era un animale bipede, e dunque era un uomo.

Se non consentite il ballottaggio, voi tradite quello che avete giurato di rispettare.

DOSSETTI. Ci fa piacere questa imputazione.

BELLAVISTA. Lei confonde il farsi onore con prestar turibolo; e si sbaglia. Io dico quello che penso. Dico ed affermo parole che saranno registrate e mantenute come voi avete affermato parole, che sono affidate alla storia parlamentare e che sono state smentite.

Quando il nostro diritto pubblico andrà a frugare nei lavori preparatori e nella dottrina, andrà invano a ricercare la «communis opinio», proclamata, ma non dimostrata, dall’onorevole Mortati, ed andrà invano a ricercare i falsi concetti espressi dall’onorevole Dossetti; ma troverà nei resoconti stenografici le dichiarazioni dell’onorevole Gronchi, capo del Gruppo parlamentare democristiano, e le dichiarazioni dogli onorevoli Moro e Dossetti.

Voi siete in piena responsabilità davanti alla vostra coscienza.

Questa è la Carta. Ora vedremo il voto. (Applausi a sinistra e a destra).

Voci. Chiusura!

PRESIDENTE. Domando se la proposta di chiusura è appoggiata.

(È appoggiata).

La pongo in votazione riservando la facoltà di parlare all’onorevole Condorelli, precedentemente iscritto.

(È approvata).

Ha facoltà di parlare l’onorevole Condorelli.

CONDORELLI. Onorevole Presidente, il dibattito di oggi richiama alla memoria una cara lettura infantile: le storie di Bertoldo. Bertoldo, essendo stato condannato ad essere impiccato chiese una sola grazia, di scegliere lui l’albero. Condotto nella foresta non trovò nessun albero adatto alla bisogna. Però i nostri amici democratici cristiani nella loro immaginazione e nelle loro trovate hanno battuto anche Bertoldo, perché essi sono andati oltre: hanno scelto, per essere appesi, un ramoscello. In sostanza hanno ripetuto esattamente lo stratagemma. Così, nel collegio uninominale vincerà chi raggiungerà il 65 per cento dei voti, cioè una quota irraggiungibile: quindi arriviamo di fatto, forse per tutti i collegi, alla proporzionale. (Rumori al centro). Però, se lo stratagemma di Bertoldo è riuscito nell’atmosfera rosea della favola, evidentemente non può riuscire, io penso, nell’Assemblea Costituente italiana presieduta da Giovanni Conti, che ieri ha dimostrato di aver piena coscienza delle proprie responsabilità e dei propri doveri. A me pare che questo quarto o quinto tentativo di realizzare, fuori dei precedenti preclusivi, il progetto della proporzionale, cozzi contro gli stessi precedenti, contro i quali cozzò ieri, che oggi però sono alimentati di uno, cioè della decisione presa da lei, onorevole Presidente, decisione che oggi certamente si degnerà di confermare. Perché non c’è dubbio che noi ci troviamo nella medesima situazione di ieri. Qui si è creato un meccanismo con cui, illusoriamente, si ripresenta il collegio uninominale, ma realmente si va alla proporzionale, una proporzionale intera, che è già totalmente scartata dalle nostre precedenti votazioni. Se si volesse una prova di questo tentativo di cozzare contro questa quadruplice barriera di precedenti, lo avremmo proprio nelle argomentazioni dei colleghi Dossetti e Mazzei, i quali oggi, come se le discussioni che si sono fatte da quattro mesi a questa parte non ci fossero state, tornano alla carica, dimostrando i pregi della proporzionale e dicendo che non c’è altro mezzo, per uscire da questa situazione, che la proporzionale: dunque non tengono minimamente conto di quanto in contrario si è deciso. Si torna così all’origine della questione: è preferibile il collegio uninominale o la proporzionale? Questo dimostra che essi non tengono conto dei precedenti che si ergono contro di loro.

Mi pare venuto il momento di giocare a carte scoperte e queste votazioni, che oggi si fanno su un sistema o sull’altro, per colmare i vuoti della prima elezione, sono un poco prive di meta possibile. Dove si vuole giungere?

Se si scartasse col voto prossimo il ballottaggio, se si scartasse la proposta dalla maggioranza della Commissione di assegnare il seggio al candidato che nella seconda prova conseguisse il maggior numero di voti, si dovrebbe arrivare alla proporzionale. Ma bisogna che noi sappiamo, prima di incominciare queste successive prove di voti, se alla proporzionale ci si può arrivare. Insomma, io chiedo che si decida, adesso, sulla soglia della discussione, se quel voto ultimo, sul quale ci attendono gli amici democristiani, è possibile.

Perciò, io formalmente pongo, onorevole Presidente, il quesito che ella dovrebbe, col suo giudizio, decidere: si può o non si può mettere ai voti quella terza proposta che sarebbe contenuta nell’articolo 20 del progetto governativo? Noi adesso stiamo in sede di discussione dell’articolo 18, ma in realtà qui si prepara la votazione dell’articolo 20. Si potrà o non si potrà votare poi sulla proposta di cui all’articolo 20 del progetto? Essa è preclusa da tutti quei precedenti, ai quali si aggiunge la sua decisione di ieri sera? A me pare fuori dubbio, perché qui si tratterebbe di instaurare un sistema totalmente proporzionale, perché il 65 per cento, è inutile ripeterlo, fu scelto proprio per rendere impossibile l’elezione a primo scrutinio. Anzi, da questo punto di vista ci dovremmo congratulare con gli avversari che non sono arrivati al 99 per cento o al 100 per cento. Ieri abbiamo visto che si voleva il 51 per cento, poi il 60 per cento e poi si ritirarono tutti gli emendamenti e si andò al 65 per cento, che in realtà sarebbe il 75 per cento, perché nascerebbe la questione dei voti validi. È assolutamente impossibile per il frazionamento dei partiti italiani, che un candidato, anche il più autorevole, consegua il 75 per cento dei voti. È stato un espediente per arrivare alla proporzionale. Ora, potrà giovare questo espediente? Io credo che qui un minimo di serietà dovrà essere rispettato e sono sicuro che sarà Lei, onorevole Presidente, a far rispettare questo minimo di serietà. Quello che è stato trovato è un mezzo un po’ fiabesco, simile a quello di Bertoldo, per invanire quello che ormai è chiaramente deciso. Io le chiedo, onorevole Presidente, che sia sgomberato subito il campo di questa questione. È o non è preclusa la votazione sull’articolo 20 del progetto?

DOSSETTI. Chiedo di parlare per fatto personale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOSSETTI. Sono dolentissimo di dover affliggere i colleghi per la seconda volta, ma poiché stiano per prendere delle decisioni di grande gravità e poiché comunque gli elementi della discussione potrebbero essere determinanti, io penso che sia bene dare un chiarimento.

Ho chiesto la parola per fatto personale, perché durante una mia assenza sono stato nominato dall’onorevole Bellavista. Debbo chiarire la posizione mia e dei colleghi Gronchi e Moro nella seduta pomeridiana dell’8 ottobre.

Per quanto riguarda me, se l’onorevole Bellavista avesse detto le parole che egli dice che io ho pronunciato, avrebbe dimostrato all’Assemblea che io non ho nemmeno nominato il collegio uninominale e mi sono semplicemente limitato a fare una discussione sull’articolo 87 del Regolamento.

Quanto ai colleghi Gronchi e Moro, essi non sono entrati nel merito del sistema, ma discutevano soltanto su una questione che si poteva dire preliminare, se cioè indipendentemente dal sistema che si ritenesse adottare, questo sistema dovesse essere consacrato formalmente in una norma costituzionale oppure no; ma io non vorrei insistere ulteriormente su questo dato, che ha una scarsissima importanza.

Vorrei chiarire invece meglio la posizione comune del centro, non citando interi brani e discorsi, ma leggendo soltanto alcune righe di quanto è stato detto a questo riguardo.

Nella seduta dell’8 ottobre 1947 l’onorevole Mortati, discutendo a proposito dell’ordine del giorno Nitti, circa la sua incompatibilità o meno con la formula adottata per il Senato a base regionale, disse, tra l’altro:

«Non è esatto ritenere che senza una espressa formulazione nella Costituzione della base regionale, per lo meno della circoscrizione regionale, sia pacifico che i nuovi collegi uninominali saranno contenuti nell’ambito di una stessa Regione, perché nulla toglierebbe al futuro legislatore di fare collegi che comprendano elettori di due Regioni. Basterebbe questa sola eventualità a giustificare la menzione della base regionale del Senato. Ma, in via più generale, è da ribadire che si tratta di un principio direttivo suscettibile di applicazioni varie, applicazioni che possono essere imprevedibili oggi, ma potrebbero trovare nel legislatore di domani degli svolgimenti verso singole concretizzazioni che, ripeto, oggi sarebbe opportuno non discutere o rinviare.

«È un’affermazione di principio, è una direttiva che, essendo – come dicevo – suscettibile di applicazioni varie, sia in questa sede, sia nella sede legislativa futura, ha una ragion d’essere ecc.».

Fu in conseguenza della possibilità di questa interpretazione della base regionale che l’onorevole Reale propose un emendamento inteso a sostituire la frase «base regionale» con l’altra «nell’ambito della Regione» appunto per circoscrivere il significato della norma, non più al concetto di connessione organica, ma di sola determinazione territoriale. Si votò quell’emendamento per appello nominale e l’emendamento fu respinto. Questo particolare io avrei voluto ricordare ieri sera, quando si decise la preclusione.

L’onorevole Presidente Terracini, nel porre in discussione la sostituzione della frase «ambito regionale» all’altra «base regionale», si riferì al concetto di base regionale espresso nella interpretazione che ebbe a dare appunto l’onorevole Mortati nella seduta ricordata. Si legge appunto a pagina 1002 che l’onorevole Terracini disse: «All’onorevole Nitti desidererei far presente che la votazione di ieri sul suo ordine del giorno, come del resto è stato sostenuto anche da altri colleghi questa mattina stessa, non ci impedisce di votare il primo comma dell’articolo 55. È stato pure sottolineato ieri dal collega onorevole Mortati, quando sedeva al banco della Commissione, in qual forma, anche applicando il criterio del collegio uninominale, si possa tuttavia dare un carattere regionale alla formazione del Senato».

Di fronte a queste affermazioni io non so come l’onorevole Bellavista possa continuare non soltanto come uomo politico, ma anche in onesta coscienza di studioso, a sostenere che adottare il sistema uninominale significa necessariamente adottare il ballottaggio. (Vivi applausi al centro – Interruzione del deputato Bellavista).

REALE VITO. Chiedo di parlare per fatto personale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

REALE VITO. L’onorevole Dossetti, accennando alla votazione di una parte dell’articolo 55, ora 57, ha ricordato un mio emendamento. Ma io vorrei rammentare a mia volta all’onorevole Dossetti che egli, facendo questo richiamo e questo rilievo, ha dimenticato l’aspetto più importante della questione, e cioè che io proponevo quell’emendamento precisamente per non dar luogo all’interpretazione che oggi a quel problema e a quella dizione si vorrebbe dare; ha dimenticato altresì che il voto fu chiaramente spiegato dall’onorevole Togliatti, quando egli affermò che la formula della Commissione non conteneva alcun attacco al collegio uninominale, così come era stato precedentemente votato.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Anche lei, onorevole Dominedò, per fatto personale?

DOMINEDÒ. Signor Presidente, chiusa la discussione generale, non v’è da far parola sul merito, ma v’è da ricordare, sul modo di votazione, quanto ho detto ieri sulla esclusiva competenza dell’Assemblea a risolvere il problema.

PRESIDENTE. Ma, onorevole Dominedò, io non ho ancora detto nulla sul modo di votazione; non solo, ma sul modo di votazione cercherò di regolarmi io, studiandomi naturalmente di osservare il Regolamento e le esigenze dell’Assemblea.

Cerchiamo, piuttosto, di andare avanti. Debbo anzitutto rispondere all’onorevole Condorelli, il quale si è appellato ai miei poteri, riferendosi alla decisione di ieri. Dico subito all’onorevole Condorelli che la mia decisione di ieri non toccava il progetto governativo; io ho ritenuto che la preclusione non potesse estendersi alla proposta dell’onorevole Ministro dell’interno, perché nella proposta del Governo il principio del collegio uninominale appare rispettato.

Dobbiamo, pertanto, passare alla votazione degli emendamenti proposti, i quali presentano all’Assemblea la questione del ballottaggio. L’onorevole Ministro dell’interno ha in un primo tempo chiesto che si ponesse per prima a partito la questione di principio: ballottaggio o meno. Io ritengo invece che la votazione debba avvenire sugli emendamenti, che appunto pongono il principio del ballottaggio.

Come l’Assemblea ricorda, gli onorevoli Candela, Reale Vito e Villabruna hanno presentato il seguente articolo 18-bis:

«Qualora nessun candidato s:a stato eletto nella prima votazione, il Presidente dell’ufficio elettorale centrale proclama il ballottaggio tra i due candidati che abbiano ottenuto il maggior numero di voti validi. Nel caso in cui due o più candidati abbiano conseguito lo stesso numero di voti validi, entra in ballottaggio il più anziano di età.

«Alla elezione di ballottaggio si procede nella seconda domenica successiva a quella della votazione».

A sua volta l’onorevole Basile ha presentato il seguente emendamento:

«Aggiungere il seguente comma:

«Qualora nessun candidato raggiunga il numero dei voti necessari per la proclamazione, si procede al ballottaggio fra i due candidati che abbiano ottenuto il maggior numero di voti validi».

Domando pertanto agli onorevoli presentatori se insistano nei loro emendamenti.

Onorevole Basile, lo mantiene?

BASILE. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Candela?

CANDELA. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 18-bis dell’onorevole Candela, di cui ho dato testé lettura, e che è il più ampio. Su questo articolo è stata chiesta la votazione scrutinio segreto dagli onorevoli Martino Gaetano, Quintieri Quinto, Rubidi, Reale Vito, Fusco, Bellavista, Paratore, Candela, Villabruna, Nasi, Mastino Pietro, Basile, Castiglia, Giannini, Bencivenga, Marinaro, Condorelli, Fabbri, Cannizzo, Tumminelli, Colitto, Colonna, Mazzoni, La Malfa, Bonino.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Indico la votazione segreta sull’articolo 18-bis.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione, e invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto:

Presenti e votanti          342

Maggioranza                172

Voti favorevoli             79

Voti contrari                263

(L’Assemblea non approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Adonnino – Alberganti – Alberti – Allegato – Ambrosini – Amendola – Andreotti – Angelini – Angelucci – Arcaini – Arcangeli – Assennato – Avanzini.

Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Basile – Bastianetto – Bazoli – Bei Adele – Bellato – Bellavista – Belotti – Benvenuti – Bernamonti – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Bitossi – Bolognesi – Bonino – Bonomelli – Bonomi Ivanoe – Bonomi Paolo – Bordon – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bruschi – Brusasca – Bubbio – Bucci – Bulloni Pietro – Burato.

Caccuri – Caiati – Calosso – Camangi – Campili – Camposarcuno – Candela – Cannizzo – Caporali – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carbonari – Carboni Enrico – Carignani – Caroleo – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Caso – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Castiglia – Cavalli – Cavallotti – Cerreti – Cevolotto – Chatrian – Chiarini – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Colonna di Paliano – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Coppi Alessandro – Corsanego – Cortese Pasquale – Costantini – Cotellessa – Cremaschi Olindo.

D’Amico – D’Aragona-– De Caro Gerardo – De Gasperi – Del Curto – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Di Giovanni – Di Vittorio – Dominedò – Dossetti – Dozza.

Ermini.

Fabbri – Fabriani – Fanfani – Fantoni – Fantuzzi – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Ferreri – Fietta – Fiore – Fioritto – Firrao – Foresi – Fornara – Franceschini – Froggio – Fuschini – Fusco.

Gabrieli – Galati – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Gatta – Gavina – Germano – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Ghidini – Ghislandi – Giacchero – Giolitti – Giordani – Gonella – Gorreri – Gortani – Gotelli Angela – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jervolino.

Laconi – La Malfa – Laudi – La Pira – La Rocca – Lazzati – Leone Francesco – Leone Giovanni – Li Causi – Lizier – Lombardi Carlo – Lozza – Lucifero – Luisetti – Lussu.

Macrelli – Maffi – Magnani – Magrini – Maltagliati – Mancini – Mannironi – Manzini – Marazza – Marinelli – Martinelli – Martino Gaetano – Marzarotto – Massini – Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mattarella – Mattei Teresa – Mazza – Mazzei – Medi Enrico – Mentasti – Merlin Umberto – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molè – Molinelli – Momigliano – Montagnana Mario – Montagnana Rita – Montalbano – Monterisi – Monticelli – Montini – Moranino – Morelli Luigi – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati – Moscatelli – Mùrdaca – Murgia – Musolino.

Nasi – Negarville – Negro – Nicotra Maria – Nitti – Nobili Tito Oro – Noce Teresa – Notarianni – Novella – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pacciardi – Pallastrelli – Paolucci – Paratore – Pastore Raffaele – Pat – Pecorari – Pella – Pellegrini – Perassi – Perlingieri – Persico – Pertini Sandro – Pesenti – Piccioni – Piemonte – Pignedoli – Pollastrini Elettra – Ponti – Pratolongo – Priolo – Proia – Pucci.

Quarello.

Raimondi – Rapelli – Ravagnan – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Restagno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodinò Ugo – Rognoni – Romano – Romita – Roselli – Rubilli – Rumor.

Saccenti – Saggin – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sartor – Scalfaro – Scarpa – Scelba – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Francesco – Secchia – Sereni – Sicignano – Siles – Silipo – Spataro – Stampacchia – Stella – Storchi.

Targetti – Taviani – Tega – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Togni – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi – Tripepi – Turco.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Venditti – Veroni – Viale – Vicentini – Vigna – Vigo – Vilardi – Villabruna – Villani.

Zaccagnini – Zanardi – Zerbi – Zotta – Zuccarini.

Sono in congedo:

Cairo – Costa.

Lombardi Riccardo.

Orlando Vittorio Emanuele.

Valiani.

Si riprende la discussione del disegno di legge: Norme per l’elezione del Senato della Repubblica. (61).

PRESIDENTE. L’emendamento dell’onorevole Basile si intende così assorbito.

L’onorevole Martino Gaetano ha presentato il seguente emendamento:

«Qualora nel primo scrutinio nessun candidato raggiunga il sessantacinque per cento dei voti, si ripeterà la votazione nella domenica successiva, limitata ai tre candidati che hanno ottenuto più voti».

Ritengo che questo emendamento contrasti con la votazione fatta or ora e che sia pertanto inammissibile.

MARTINO GAETANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARTINO GAETANO. Io mi permetterei di dissentire. La votazione che è stata fatta or ora avveniva sulla proposta di limitare la seconda votazione ai due candidati che hanno riportato più voti. Diceva giustamente l’onorevole Dossetti poco fa che esistono varie forme di collegio uninominale, che esistono vari modi per procedere alla designazione del senatore, nel caso che nessuno al primo scrutinio raggiunga il numero di voti voluto dalla legge. La mia nuova proposta è una prova che altri mezzi esistono. Pregherei quindi il Presidente di consentirmi di svolgere brevemente il mio emendamento e di metterlo poi in votazione.

PRESIDENTE. Onorevole Martino, l’emendamento aggiuntivo è molto chiaro. Io mi permetto ricordarle che quando ho posto in votazione l’emendamento Candela, ho spiegato all’Assemblea che si poneva in votazione il principio del ballottaggio.

MARTINO GAETANO. Vi è una proposta della maggioranza della Commissione, in base alla quale dovrebbero essere ripetute le elezioni con tutti i candidati che hanno partecipato al primo scrutinio. Lei chiamerebbe questo un ballottaggio? Evidentemente no. Ella ritiene che, essendo stata respinta la proposta di ballottaggio dell’onorevole Candela, ciò implichi che sia respinta necessariamente anche la proposta della maggioranza della Commissione? Questo mi sembrerebbe assai strano.

PRESIDENTE. Siamo rimasti perfettamente d’accordo su questa linea. Mi dispiace contraddirla, ma non posso ammettere discussioni su questo punto.

Passiamo all’esame dell’articolo 20.

MORELLI RENATO. Chiedo di parlare per una mozione d’ordine.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORELLI RENATO. Il ritmo sollecito dei nostri lavori non deve impedirci di esaminare bene gli emendamenti proposti. Sono a conoscenza del fatto che all’articolo 20 è stato proposto dall’onorevole Mortati un emendamento estremamente complesso.

Ritengo quindi che sia più opportuno ritornare all’esame degli articoli 9 e 10, che abbiamo lasciato da parte e che sono da approvarsi prima dell’articolo 20; altrimenti mancherebbe il naturale coordinamento delle disposizioni che stabiliscono la contemporaneità delle candidature ed il numero minimo dei candidati in collegamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro dell’interno ha facoltà di esprimere il parere del Governo sulla proposta formulata dall’onorevole Morelli.

SCELBA, Ministro dell’interno. Non ho difficoltà.

PRESIDENTE. Ritengo che l’Assemblea concordi in questo ordine di idee: cioè, di esaminare gli articoli 9 e 10, in modo che nel frattempo l’emendamento proposto dall’onorevole Mortati sull’articolo 20 possa esser stampato e distribuito.

(Così rimane stabilito).

Passiamo all’articolo 9. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

Titolo III.

DELLE CANDIDATURE, DEI DELEGATI, DEI RAPPRESENTANTI DEI CANDIDATI E DEI RAPPRESENTANTI DI GRUPPO DI CANDIDATI

Art. 9.

«La candidatura è accettata per un solo collegio della Regione.

«La dichiarazione di accettazione deve contenere l’indicazione di due delegati effettivi e di due supplenti, autorizzati a fare la dichiarazione di collegamento di cui all’articolo 12 e le designazioni di due rappresentanti, uno effettivo e l’altro supplente, presso l’ufficio di ciascuna sezione e l’ufficio elettorale circoscrizionale».

PRESIDENTE. La maggioranza della Commissione ha proposto di sostituire il testo governativo col seguente:

«Si può essere contemporaneamente candidati in più collegi.

«La dichiarazione obbligatoria di accettazione deve contenere l’indicazione di due delegati effettivi e di due supplenti autorizzati a fare le designazioni di due rappresentanti, uno effettivo e l’altro supplente, presso l’ufficio di ciascuna sezione e l’ufficio elettorale centrale.

«Il candidato eletto in più collegi senatoriali deve esercitare la facoltà di opzione nel termine di cinque giorni dall’ultima convalida; in mancanza, l’opzione s’intende esercitata per il collegio nel quale ha raccolto il maggior numero di voti».

GULLO FAUSTO, Relatore per la maggioranza. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO FAUSTO, Relatore per la maggioranza. Evidentemente la Commissione mantiene l’emendamento solo per quanto riguarda il primo e l’ultimo comma. Per quanto riguarda il secondo, bisogna far capo invece al testo governativo.

PRESIDENTE. Sta bene.

L’onorevole Mortati ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«La candidatura è accettata per non più di tre collegi di una Regione».

Ha facoltà di svolgerlo.

MORTATI, Relatore per la minoranza. Io penso che sia opportuno accedere al parere della maggioranza della Commissione, nel senso di consentire delle candidature multiple. Non mi pare ci sia ragione di limitare ad un solo collegio la presentazione di candidati, ma ritengo opportuno limitare il numero delle candidature plurime a non più di tre. Questo lo spirito del mio emendamento.

PRESIDENTE. Pertanto lei insiste nel suo emendamento.

L’onorevole Colitto ha proposto il seguente emendamento all’articolo 9 del testo della Commissione:

«Nel terzo comma, dopo le parole: in più collegi, sopprimere la parola: senatoriali».

L’onorevole Colitto non è presente.

MORELLI RENATO. Faccio mio l’emendamento e rinunzio a svolgerlo.

PRESIDENTE. Quale è il parere della Commissione sull’emendamento Mortati?

GULLO FAUSTO, Relatore per la maggioranza. La maggioranza della Commissione accetta l’emendamento Mortati.

CAROLEO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAROLEO. Vorrei sapere se l’onorevole Mortati mantiene nel suo emendamento anche le parole: «di una Regione».

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Mortati di rispondere a questo quesito.

MORTATI, Relatore per la minoranza. Mantengo anche le parole: «di una Regione».

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Ritengo opportuno trovare una formulazione più chiara, la quale definisca che si può essere candidati in tre collegi della stessa Regione e soltanto in quella.

MORELLI RENATO. Ma è implicito.

LUCIFERO. È bene essere espliciti in materia di legge, perché le cose implicite diventano tanto difficili che non si comprendono più. (Commenti).

La formula potrebbe essere questa: «In non più di tre collegi della stessa Regione».

PRESIDENTE. Avverto che l’onorevole Ministro dell’interno propone la seguente dizione:

«La candidatura è accettata in una sola Regione e in non più di tre collegi».

MORTATI, Relatore per la minoranza. L’accetto.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma dell’articolo 9 nella formulazione del Ministro dell’interno.

«La candidatura è accettata in una sola Regione e in non più di tre collegi».

(È approvato).

Passiamo al secondo comma. La Commissione dichiara di ritirare il suo emendamento. Resta quindi il testo del Governo, del seguente tenore:

«La dichiarazione di accettazione deve contenere l’indicazione di due delegati effettivi e di due supplenti, autorizzati a fare la dichiarazione di collegamento di cui all’articolo 12 e le designazioni di due rappresentanti, uno effettivo e l’altro supplente, presso l’ufficio di ciascuna sezione e l’ufficio elettorale circoscrizionale».

Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo al terzo comma nel testo della Commissione. Esso è del seguente tenore:

«Il candidato eletto in più collegi deve esercitare la facoltà di opzione nel termine di cinque giorni dall’ultima convalida; in mancanza, l’opzione s’intende esercitata per il collegio nel quale ha raccolto il maggior numero di voti».

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. Non mi pare che regga più l’emendamento della Commissione. Esso potrà essere messo in discussione solo dopo che sarà approvato l’articolo 20, perché, se viene accettato l’emendamento Mortati, non c’è la possibilità di essere eletti in più di un collegio. Non ho capito bene l’emendamento Mortati all’articolo 20, ma mi pare che esso preveda questo caso. Se crede, l’onorevole Mortati potrebbe dare un chiarimento.

MORTATI, Relatore per la minoranza. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI, Relatore per la minoranza. Io credo che una possibilità astratta ci sia, per le elezioni a primo scrutinio.

Piuttosto io penso – è una mia opinione personale questa – che, essendovi un articolo generico di rinvio nella legge sulla Camera dei deputati, e cioè l’articolo 25, non si capisca perché si debba, in questa ipotesi, derogare a quel principio generale.

Per la Camera dei deputati v’è la regola per cui i deputati eletti in più collegi debbono esercitare l’opzione nel termine di otto giorni, in mancanza della quale si procede al sorteggio.

Quindi, mi pare più razionale di procedere secondo il criterio del maggior numero dei voti. Non mi pare utile fare una disposizione derogativa a quella disposizione più generale che già esiste. Quindi non mi pare che sia il caso di insistere per trovare diverse formulazioni.

GULLO FAUSTO, Relatore per la maggioranza. È più giusto questo.

PRESIDENTE. S’intende, allora, che la Commissione mantiene il suo testo del terzo comma.

L’onorevole Morelli Renato ha fatto proprio l’emendamento dell’onorevole Colitto tendente a sopprimere, dopo le parole: «in più collegi», la parola: «senatoriali».

Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Pongo in votazione il terzo comma così modificato:

«Il candidato eletto in più collegi deve esercitare la facoltà di opzione nel termine di cinque giorni dall’ultima convalida; in mancanza, l’opzione s’intende esercitata per il collegio nel quale ha raccolto il maggior numero di voti».

(È approvato).

Passiamo all’articolo 12, identico nei testi governativo e della Commissione. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Entro il trentesimo giorno antecedente quello della votazione i candidati, personalmente o per mezzo dei delegati di cui all’articolo 9, debbono dichiarare all’ufficio elettorale regionale, con atto autenticato da notaio, con quali candidati di altri colleghi della Regione aventi io stesso contrassegno intendono collegarsi. Tale dichiarazione si deve riferire ad almeno altri due candidati».

PRESIDENTE. L’onorevole Mortati ha presentato il seguente emendamento sostitutivo:

«…debbono dichiarare all’ufficio elettorale regionale, con atto autenticato da notaio, con quali candidati di altri collegi della Regione intendano collegarsi. Tale dichiarazione si deve riferire ad almeno altri due candidati se il numero dei collegi assegnati alla Regione non superi i 6, ad almeno altri tre candidati se il numero non superi i 10, ad almeno altri quattro candidati se non superi i 15, ad almeno altri cinque candidati se il numero dei collegi assegnati alla Regione sia di 16 o più.

«È ammesso il collegamento tra candidati aventi diversi contrassegni».

Ha facoltà di svolgerlo.

MORTATI, Relatore per la minoranza. In ordine alla possibilità di collegamento tra candidati aventi diversi contrassegni, come ho accennato anche ieri, l’emendamento serve ad eliminare quel carattere di lista di partito che si potrebbe attribuire al collegamento.

Per quanto riguarda il numero dei candidati da collegare, si è creduto opportuno stabilirlo per evitare quelle piccole coalizioni che possono portare a dispersioni eccessive di voti.

Queste sono le ragioni che consigliano di mantenere il mio emendamento.

PRESIDENTE. Prego il Presidente della Commissione di esprimere il proprio parere.

MICHELI, Presidente della Commissione. La Commissione si rimette all’Assemblea: non ha niente in contrario.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Ministro dell’interno di esprimere il proprio parere al riguardo.

SCELBA, Ministro dell’interno. Aderisco al punto di vista della Commissione, rimettendomi all’Assemblea.

UBERTI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Dichiariamo che voteremo a favore dell’emendamento Mortati.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Io credo che, per quanto la strana deliberazione di stamattina abbia falsato il sistema, possa rispondere più ad una obiettiva realtà il testo del Governo, integrato con quella proposizione dell’onorevole Mortati, che dice che possono collegarsi dei candidanti anche presentati con diversi contrassegni. E questo, perché si darebbe la possibilità a uomini indipendenti di collegarsi anche in numero esiguo; se si collegano in parecchi, avranno maggiore probabilità, se si collegano in pochi avranno maggior rischio.

Ma cerchiamo di lasciare almeno una parvenza di indipendenza dai partiti in questa elezione, che dovrebbe essere una elezione di uomini meno vincolati ad una determinata disciplina.

Proporrei quindi l’approvazione del testo del Governo con l’aggiunta della proposizione dell’onorevole Mortati, in cui è detto che possono collegarsi tra loro coloro che hanno diversi contrassegni, senza limite di numero o quorum obbligatorio.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la prima parte dell’emendamento Mortati:

«Entro il trentesimo giorno antecedente quello della votazione i candidati devono dichiarare all’Ufficio elettorale regionale, con atto autenticato da notaio, con quali candidati di altri collegi della Regione intendono collegarsi».

(È approvata).

Passiamo alla seconda parte dell’emendamene Mortati:

«Tale dichiarazione si deve riferire ad almeno altri due candidati se il numero dei collegi assegnati alla Regione non superi i sei, ad almeno altri tre candidati se il numero non superi i dieci, ad almeno altri quattro candidati se non superi i quindici, ad almeno altri cinque candidati se il numero dei collegi assegnati alla Regione sia di sedici o più».

L’onorevole Scelba ha facoltà di esprimere il pensiero del Governo.

SCELBA, Ministro dell’interno. Io non vedo – dico la verità – una volta che sia stabilito un minimo di collegamento perché la base non sia troppo ristretta, la ragione di questo emendamento, che mi pare eccessivo. Insisto quindi per il testo governativo, anche perché mi sembra che l’emendamento proposto si concilierebbe ancora meno con il collegio uninominale.

PRESIDENTE. La Commissione ha facoltà di esprimere il proprio parere.

MICHELI, Presidente della Commissione. Signor Presidente, si tratta di una questione controversa e che si presenta, per taluni aspetti, nuova per la Commissione. Noi quindi, pur essendo propensi ad aderire al punto di vista espresso dal Ministro, essendo in ventiquattro è difficile potersi consultare seduta stante su questioni che sorgono all’improvviso; ciascun membro della Commissione voterà come crederà meglio: io, a titolo personale, mi dichiaro favorevole alla proposta dell’onorevole Ministro.

MARTINO GAETANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARTINO GAETANO. Onorevoli colleghi, io ritengo che l’opinione espressa dall’onorevole Ministro debba essere condivisa da noi, se non altro per il fatto che il collegamento viene ad essere già imposto dal meccanismo elettorale e non è quindi necessario che esso sia ulteriormente imposto da un articolo della legge.

A conti fatti, il quoziente in base al quale verranno assegnati i seggi elettorali corrisponderà ad un dipresso all’unanimità dei voti della circoscrizione, nella presunzione naturalmente che il numero dei voti sia uniforme nella Regione. Ora, è assurdo che vi sia uno sciocco il quale si presenti da solo, senza collegarsi, presumendo di raccogliere l’unanimità dei consensi.

PRESIDENTE. L’onorevole Renato Morelli propone il seguente emendamento:

«Sostituire le parole: Tale dichiarazione si deve riferire ad almeno altri due candidati, con le altre: Tale dichiarazione si deve riferire ad almeno un altro candidato».

Ha facoltà di svolgerlo.

MORELLI RENATO. Onorevoli colleghi, ne spiego la ragione che è semplice e, in certo senso, perentoria. Nelle disposizioni transitorie della Costituzione, ve n’è una che stabilisce che il Molise fa collegio a sé. Le ipotesi quindi sono due: o ammettere l’eccezione in via diretta, cioè contemplare espressamente questo caso, oppure ammettere in generare che ci si possa collegare anche ad un solo candidato.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la seconda parte dell’emendamento dell’onorevole Mortati, non accettata né dal Governo né dalla Commissione, di cui ho dato testé lettura.

(Dopo prova e controprova, non è approvata).

Passiamo allora alla seconda parte del testo ministeriale:

«Tale dichiarazione si deve riferire ad almeno altri due candidati».

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Invece dell’emendamento Morelli, che aprirebbe l’adito a tutta una nuova situazione, cioè al collegamento con un solo candidato, si potrebbe accettare questa aggiunta:

«con eccezione per il Molise, per il quale il collegamento si deve riferire ad un solo candidato».

PRESIDENTE. Il Ministro dell’interno ha facoltà di esprimere il parere del Governo sull’emendamento Morelli.

SCELBA, Ministro dell’interno. L’emendamento Morelli, per quanto riguarda il Molise, mi pare superfluo, perché la legge stabilisce che il collegamento deve essere fatto con almeno altri due candidati della Regione, e per il Molise questa situazione non esiste.

Con questo chiarimento, mi sembra che l’onorevole Morelli potrebbe rinunziare al suo emendamento.

MORELLI RENATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORELLI RENATO. Avevo presentato l’emendamento perché potrebbe sorgere il dubbio sull’ammissibilità del collegamento con un solo altro candidato della Regione.

Ma se l’onorevole Ministro ritiene che questo dubbio non possa sorgere, dopo il chiarimento da lui dato e messo a verbale, non ho motivo per insistere.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Faccio mio l’emendamento dell’onorevole Morelli, per questa ragione: che nella suddivisione regionale dello Stato, il Molise non è Regione a sé. Il Molise fa parte della Regione Abruzzi e Molise e soltanto per una disposizione transitoria della Costituzione è considerato come Regione a sé per la prima elezione del Senato

È esatta l’interpretazione del disegno di legge che, dovendo essere il collegamento fatto con altri due candidati, i due candidati del Molise non devono essere collegati con quelli di altra Regione e quindi bisogna fare una precisazione per il Molise.

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Io insisto nel mio emendamento.

PRESIDENTE. Sta bene. Passiamo ai voti.

Pongo in votazione la seguente formulazione del testo ministeriale:

«Tale dichiarazione si deve riferire ad almeno altri due candidati».

(È approvata).

Pongo in votazione l’emendamento Persico:

«con eccezione pel Molise, per il quale il collegamento si deve riferire ad un solo candidato».

(È approvato).

Passiamo all’ultimo comma dell’emendamento Mortati, accettato dalla Commissione e dal Governo:

«È ammesso il collegamento tra candidati aventi diversi contrassegni».

Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 13, identico nei testi governativo e della Commissione. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Non oltre il venticinquesimo giorno antecedente quello della votazione, l’ufficio elettorale regionale:

1°) elimina la candidatura di coloro che si siano presentati in più di un collegio della Regione;

2°) verifica se i candidati abbiano presentato la dichiarazione di collegamento a termini dell’articolo precedente; se la dichiarazione si riferisca ad almeno altri due candidati; se il collegamento sia reciproco e se i candidati collegatisi abbiano il medesimo contrassegno;

3°) ammette la candidatura di coloro che si siano collegati ai sensi del numero precedente e ne dà comunicazione agli uffici elettorali circoscrizionali».

PRESIDENTE. L’onorevole Mortati ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire le parole: in più di un collegio della Regione, con le altre: in più di tre collegi della Regione; al n. 2°) sostituire l’ultimo periodo col seguente: se le dichiarazioni di collegamento fatte a termini dell’articolo precedente siano reciproche e ne dà comunicazione all’ufficio elettorale circoscrizionale».

Ha facoltà di svolgerlo.

MORTATI, Relatore per la minoranza. Si tratta semplicemente di un coordinamento con l’articolo già approvato e di una semplificazione formale.

PRESIDENTE. Sta bene. Pongo in votazione la prima parte, sino al numero 1°) compreso, dell’articolo 13, con l’emendamento Mortati:

«Non oltre il venticinquesimo giorno antecedente quello della votazione, l’ufficio elettorale regionale:

1°) elimina la candidatura di coloro che si siano presentati in più di tre collegi della Regione;»

(È approvata).

MICHELI, Presidente della Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI, Presidente della Commissione. Signor Presidente, la Commissione fa osservare che con questa formula noi veniamo ad eliminare la candidatura completamente.

Ora sarebbe bene che, se uno si è presentato per quattro collegi, sarà eliminato per quello che è in più, ma negli altri resterà.

Così come è detto pare invece che colui che ha commesso questa specie di contravvenzione viene punito gravemente, perché resta eliminato da tutti quanti i collegi.

Ora, bisognerebbe esprimersi in modo che non avvenisse; e cioè fosse eliminato il collegio in più e – se non è detto – per sorteggio.

PRESIDENTE. Faccia una proposta precisa, la prego.

MICHELI. Presidente della Commissione. «…si siano presentati in più di tre collegi, rimangono esclusi per sorteggio dai collegi in più».

Una voce. Quali?

MICHELI. Presidente della Commissione. Ho detto: per sorteggio. Ed il sorteggio stabilisce quale o quali.

PERSICO. Io propongo che siano validi i primi tre nell’ordine. Gli altri si annullano.

MICHELI, Presidente della Commissione. Allora bisogna stabilire un ordine di preferenza nell’accettazione.

MORTATI, Relatore per la minoranza. V’è un precedente nella legge per l’elezione della Camera dei deputati nella quale è detto che, in caso di candidature plurime, l’ufficio elettorale cancella il nome dei candidati compresi in altre liste.

GULLO ROCCO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO ROCCO. Io ritengo che sarebbe bene lasciare le cose come stanno, così come ha fatto la votazione che è avvenuta poco fa. La preoccupazione del Presidente della Commissione mi sembra fuor di luogo. In sostanza verremmo a punire – egli dice – un candidato il quale non conosce la legge, un futuro senatore il quale non si è neppure preoccupato di conoscere la legge elettorale.

L’onorevole Mortati ha già ricordato un precedente; io ne ricordo un altro. Si è stabilito che quando la lista dei candidati eccede un certo numero, viene considerata non valida. Anche quella è una contravvenzione. Io ritengo che sia opportuno fare ciò che del resto abbiamo già votato e cioè stabilire che quel candidato che ha avuto la leggerezza e l’ignoranza di presentarsi in più di tre collegi sia eliminato da tutti i collegi. Questo praticamente non porta nessuna conseguenza perché un candidato che ignori la legge non credo che vi sarà.

PRESIDENTE. Il Governo ha facoltà di esprimere il proprio pensiero in merito.

SCELBA, Ministro dell’interno. Su questo punto il Governo si rimette alla Assemblea.

MICHELI, Presidente della Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI, Presidente della Commissione. Si tratta effettivamente di un caso eccezionale e quindi non sembra il caso di dovercene preoccupare soverchiamente.

Peraltro, io devo rispondere al collega Gullo Rocco che il caso che egli ha citato non calza nella discussione attuale perché noi nella legge politica abbiamo voluto impedire che un numero stragrande di elettori faccia una clamorosa dichiarazione la quale venga ad eliminare la segretezza del voto, oppure che vi sia una affermazione notevole che possa riuscire una pressione sul corpo elettorale. In questo caso vi è effettivamente qualche cosa che merita di essere punito. Nel caso nostro ci troveremmo solo di fronte all’ignoranza della legge. Ora, può essere ammissibile che qualcuno ignori la legge anche se può domani, in un secondo tempo, essere chiamato dalla volontà degli elettori a formarla. Ma questo non mi sembra sufficiente per una punizione così grave perché le candidature multiple si concretano sopra persone di grande valore. I capi-partito non cadono certamente in questa ignoranza perché non possono ignorare la legge ed hanno i loro uffici che preparano ogni pratica relativa, ma i cittadini di qualche cospicuo rilievo, i soli che possono avere la richiesta di candidature multiple, si possono trovare assillati contemporaneamente da vari comitati di una Regione.

Può darsi che uno che si trovi di fronte a varie richieste firmi qualche accettazione di più pensando che non tutte arrivino in porto, anche senza ignorare soverchiamente la legge. Ora io non vorrei che questa brava persona la quale verso di sé ha già avuto la dimostrazione di fiducia di tanti elettori in tanti collegi (quattro almeno e questo meriterebbe, mi pare, qualche particolare riguardo verso di lui) sia eliminato completamente. Eliminiamolo solamente per il collegio o collegi in più nei quali solo resterà libero il campo alle altre candidature, che avranno facilitato il loro cimento.

PRESIDENTE. Se insiste in questo concetto, è necessario che gli dia la forma.

MICHELI, Presidente della Commissione. Non è possibile l’eliminazione completa perché l’esclusione sarebbe troppo drastica. Io direi:

«elimina per sorteggio le candidature presentate in numero superiore ai tre collegi».

La maggioranza della Commissione insiste su questo concetto.

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. Presento questo emendamento aggiuntivo:

«Le candidature presentate in più di tre collegi vengono ridotte a tre, secondo l’ordine di tempo delle dichiarazioni di accettazione».

Siccome bisogna fare le dichiarazioni di accettazione delle candidature, e poiché in ciascun atto di accettazione è indicata l’ora, con questo emendamento si elimina ogni dubbio.

PRESIDENTE. Qual è il pensiero della Commissione?

MICHELI, Presidente della Commissione. La Commissione accetta la proposta del Ministro che corrisponde al criterio da essa esposto.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta del Ministro dell’interno, così coordinata:

«L’eliminazione ha luogo secondo l’ordine delle dichiarazioni di accettazione».

(È approvata).

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. Perché non sorgano equivoci nella interpretazione della formula adottata, chiedo che sia dato atto a verbale che secondo l’intenzione dell’Assemblea saranno eliminate le ultime candidature in ordine di tempo. Ossia, nella eliminazione si procederà a ritroso.

PRESIDENTE. Assicuro che di questa precisazione sarà dato atto a verbale.

Pongo in votazione il punto secondo, con l’emendamento Mortati:

«2°) verifica se i candidati abbiano presentato la dichiarazione di collegamento a termini dell’articolo precedente; se la dichiarazione si riferisca ad almeno altri due candidati; se le dichiarazioni di collegamento fatte a termini dell’articolo precedente siano reciproche e ne dà comunicazione agli uffici elettorali circoscrizionali».

(È approvato).

L’ultimo alinea del testo del Governo rimane così assorbito.

Pongo in discussione l’articolo 14. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«L’ufficio elettorale circoscrizionale ricevuta la comunicazione di cui all’articolo precedente:

1°) assegna il numero definitivo a ciascun candidato ammesso, secondo l’ordine di presentazione;

2°) comunica ai singoli candidati collegati la definitiva ammissione della loro candidatura;

3°) procede, per mezzo della prefettura competente per territorio, alla stampa del manifesto contenente l’elenco nominativo dei candidati con i relativi contrassegni e numero d’ordine ed all’invio del manifesto ai sindaci dei comuni del collegio i quali ne curano l’affissione all’albo pretorio ed in altri luoghi pubblici entro il quindicesimo giorno antecedente quello della votazione;

4°) trasmette, per la stampa delle schede, all’autorità designata dal Ministero dell’interno le generalità dei candidati, i contrassegni ed il relativo numero d’ordine.

«Le schede sono di carta consistente, di identico tipo e colore per ogni collegio; sono fornite a cura del Ministero dell’interno, hanno le caratteristiche essenziali del modello descritto nelle tabelle C e D allegate alla presente legge e riproducono le generalità dei candidati ed i contrassegni, secondo l’ordine di cui al numero uno.

«Le schede devono pervenire agli uffici elettorali debitamente piegate».

PRESIDENTE. L’onorevole Mortati propone di sopprimere all’alinea 2°) la parola «collegati».

Pongo in votazione, pertanto l’articolo 14 nel suo complesso, senza la parola «collegati».

(È approvato).

Pongo in discussione l’articolo 15. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Non oltre le ore 12 del giorno stabilito per la votazione, ogni gruppo di candidati collegatisi ha facoltà di designare due propri rappresentanti presso l’ufficio elettorale regionale».

PRESIDENTE. A questo articolo non sono stati proposti emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Ricordo all’Assemblea che gli articoli non ancora approvati sono i seguenti: 2, 7, 8, 11, ultimo comma dell’articolo 18 e articolo 20.

Poiché l’articolo 2 concerne le tabelle, dovrà essere posto in discussione per ultimo.

Pongo pertanto in discussione l’articolo 7, nel testo ministeriale. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il tribunale nella cui giurisdizione si trovino collegi previsti dall’unita tabella B si costituisce in tanti uffici elettorali circoscrizionali quanti sono i collegi medesimi».

«Ogni ufficio elettorale circoscrizionale esercita le sue funzioni con l’intervento di tre magistrati, di cui uno presiede, nominati dal presidente entro dieci giorni dalla pubblicazione del decreto di convocazione dei comizi».

PRESIDENTE. A questo articolo l’onorevole Colitto ha presentato il seguente emendamento:

«Dopo il primo comma, aggiungere il seguente:

«Ove in un collegio si trovino le sedi di due o più tribunali, l’ufficio si costituisce nella sede avente maggiore popolazione».

LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LEONE GIOVANNI. Faccio mio questo emendamento dell’onorevole Colitto, che è assente. Data la sua chiarezza, ritengo superfluo svolgerlo.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma dell’articolo 7:

«Il tribunale nella cui giurisdizione si trovino collegi previsti dall’unita tabella B si costituisce in tanti uffici elettorali circoscrizionali quanti sono i collegi medesimi.

(È approvato).

Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo Colitto, fatto proprio dall’onorevole Leone Giovanni:

«Ove in un collegio si trovino le sedi di due o più tribunali, l’ufficio si costituisce nella sede avente maggiore popolazione».

(Dopo prova e controprova, è approvato).

Pongo in votazione il secondo comma:

«Ogni ufficio elettorale circoscrizionale esercita le sue funzioni con l’intervento di tre magistrati, di cui uno presiede, nominati dal presidente entro dieci giorni dalla pubblicazione del decreto di convocazione dei comizi».

(È approvato).

Pongo in discussione l’articolo 8. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«La Corte d’appello o il tribunale del capoluogo della Regione si costituisce in ufficio elettorale regionale con l’intervento di cinque magistrati dei quali uno presiede, nonché di quattro esperti con attribuzioni esclusivamente tecniche, nominati dal primo presidente o dal presidente entro dieci giorni dalla pubblicazione del decreto di convocazione dei comizi».

PRESIDENTE. A questo articolo non sono stati presentati emendamenti.

LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LEONE GIOVANNI. Poiché vi sono casi di Corti di appello non regionali, propongo il seguente emendamento aggiuntivo:

«Si applica per le circoscrizioni regionali il secondo comma dell’articolo precedente».

STAMPACCHIA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

STAMPACCHIA. Si può dare anche l’ipotesi di Regioni nuove. Nelle Puglie, vi sono già due Corti di appello.

PRESIDENTE. Quanto propongono gli onorevoli Leone Giovanni e Stampacchia risulta già evidente dal testo approvato. Comunque, se essi insistono, porrò ai voti l’emendamento aggiuntivo.

STAMPACCHIA. Rinunzio.

LEONE GIOVANNI. Non insisto.

PRESIDENTE. Pongo allora in votazione l’articolo 8, di cui ho dato testé lettura.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 11. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Entro il trentacinquesimo giorno antecedente quello della votazione, l’ufficio elettorale circoscrizionale verifica se le candidature siano state depositate in termine e nelle forme prescritte.

«Entro ventiquattro ore dal compimento delle operazioni previste nel comma precedente, l’ufficio elettorale circoscrizionale invia all’ufficio elettorale regionale l’elenco dei candidati ammessi corredato da un esemplare del modello di contrassegno di ciascun candidato».

PRESIDENTE. Su questo articolo non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Ora si dovrebbe passare all’articolo 20, al quale l’onorevole Mortati ha proposto un emendamento sostitutivo, che è stato distribuito.

MORELLI RENATO. Chiedo una sospensione della seduta per dar tempo ai deputati di rendersi esatto conto della portata dell’emendamento Mortati.

CANDELA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CANDELA. Mi associo alla richiesta del collega Morelli. È necessario esaminare questo articolo con ponderazione, da parte dell’Assemblea o anche da parte della Commissione, perché con esso si rischia di avere collegi con due rappresentanti e collegi senza rappresentanti. Evidentemente, la formulazione Mortati ferisce profondamente il criterio dell’uninominalità.

PRESIDENTE. Qual è il parere della Commissione per questa proposta di sospensiva?

MICHELI, Presidente della Commissione. Evidentemente la questione prospettata dall’onorevole Candela è nuova o almeno si presenta sotto forma nuova.

Come abbiamo fatto altre volte, possiamo anche dichiarare di rimetterci all’Assemblea. Possiamo anche procedere ora all’esame, oppure aderire al rinvio. Ma ci rimettiamo all’Assemblea: se essa vuole discutere noi della Commissione discuteremo come semplici deputati e non come commissari.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. L’obiezione che è stata sollevata, e cioè che vi possono essere collegi che rimangano senza senatori, solleva un problema tecnico sul quale la Commissione non può rimettersi all’Assemblea.

PRESIDENTE. Devo richiamare una disposizione del regolamento la quale dice che la discussione di un articolo aggiuntivo o di un emendamento proposto nella stessa seduta sarà rinviato all’indomani quando lo chiedano il Governo, o la Commissione competente, o dieci deputati, non tra i proponenti dell’articolo aggiuntivo o dell’emendamento.

In queste condizioni, poiché è evidente che la richiesta di rinvio sarebbe appoggiata da più di dieci deputati, non rimane che rinviare la discussione alla seduta antimeridiana di domani.

Se non vi sono obiezioni, così resta stabilito.

(Così rimane stabilito).

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro dell’interno, per conoscere quali decisioni si intende prendere per i marinai greci della nave Micos arrestati ieri, 24 gennaio, a Messina, il cui atteggiamento determinato da evidenti ragioni politiche rientra in quei casi per i quali in tutti i paesi sono riconosciute e concesse garanzie particolari. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Secchia, Moscatelli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere se sia stata inviata circolare ai tribunali per l’applicazione dell’articolo 6 del decreto 13 novembre 1946, n. 391, relativo alla confisca dei beni in caso di estinzione dei reati di cui al decreto stesso; e se, comunque, intenda promuovere l’abolizione di quella disposizione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Riccio Stefano».

«I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri dell’interno e di grazia e giustizia, sui seguenti fatti:

  1. a) durante la scorsa settimana l’autorità politica e di pubblica sicurezza di Cremona è direttamente intervenuta nella vertenza esistente fra i lavoratori della terra e i datori di lavoro per l’istituzione dei Consigli di cascina, chiesta dai lavoratori in applicazione dei principî sanciti dall’articolo 46 della Costituzione della Repubblica democratica italiana fondata sul lavoro.

«Nei locali stessi della Questura si è fatta firmare al proprietario agricoltore Galli Aristide una denuncia per violenza privata, risaputa inesistente, contro alcuni suoi dipendenti facenti parte del Consiglio di cascina ed a tale scopo sono stati artatamente travisati alcuni piccoli incidenti sorti tra le parti.

«In base a tale denuncia la forza pubblica ha fatto irruzione nella cascina di proprietà del Galli in frazione San Felice del comune di Cremona, malmenando le prime persone che incontrava, senza badare che fossero donne e bambini, e procedendo all’arresto dei denunciati.

«Sembra che alla prima denuncia contro gli stessi se ne sia aggiunta una seconda per oltraggio alla forza pubblica, altrettanto infondata, allo scopo evidente di giustificare l’arresto arbitrario e intimidatorio.

«Successivamente l’organizzazione sindacale proclamava lo sciopero dei lavoratori della terra per protesta e indiceva un comizio nella piazza del comune di Cremona: il prefetto, adducendo motivi di ordine pubblico, proibiva il comizio, e in seguito la forza pubblica sospingeva nella piazza del Comune e caricava violentemente gruppi di lavoratori che sostavano sotto i portici del palazzo municipale, in attitudine assolutamente pacifica e senza che alcuno avesse tentato di iniziare il comizio arbitrariamente proibito. Altra carica veniva effettuata sulla piazza Marconi, dove i lavoratori si erano raggruppati allo scopo di udire le disposizioni che doveva dare il segretario della Camera del lavoro. Questi veniva fermato, insieme con l’autista della macchina che lo trasportava, e più tardi rilasciato.

«Che i motivi di ordine pubblico addotti per la proibizione del comizio fossero privi di fondamento, lo ha dimostrato l’atteggiamento sempre pacifico e perfino remissivo dei lavoratori, sia sulla pubblica via che nella riunione numerosissima che è stata successivamente tenuta nel cortile della Camera del lavoro, sicché l’ordine pubblico e la legalità sono stati turbati soltanto dalle disposizioni e dall’azione di quelle autorità e di quelle forze che li avrebbero dovuti tutelare.

«E stato impedito dalle autorità il ritiro della denuncia da parte dell’agricoltore Galli Aristide;

  1. b) una relazione evidente esiste fra i summenzionati atti dell’autorità e l’atteggiamento ostile ai Consigli di cascina assunto dalla locale Associazione agricoltori, specialmente dopo che è salito alla presidenza un noto ex deputato fascista, il quale si è pubblicamente vantato di sapere impedire ad ogni costo la realizzazione di questa legittima richiesta dei contadini ed ha minacciato di gravi rappresaglie quegli agricoltori che eventualmente fossero condiscendenti;
  2. c) evidentemente l’atteggiamento di aperto intervento favoreggiatore per una delle parti in vertenza effettuato da parte delle autorità locali corrisponde a ordini precisi impartiti dai Ministeri. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Bernamonti, Pajetta Gian Carlo, Bianchi Bruno, Pressinotti».

PRESIDENTE. Queste interrogazioni saranno trasmesse ai Ministri competenti, per la risposta scritta.

La seduta termina alle 12.40.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 10 e alle 16:

Seguito della discussione del disegno di legge:

Norme per l’elezione del Senato della Repubblica. (61).

POMERIDIANA DI SABATO 24 GENNAIO 1948

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCLXII.

SEDUTA POMERIDIANA DI SABATO 24 GENNAIO 1948

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Norme per l’elezione del Senato della Repubblica (61).

Presidente

Martino Gaetano

Targetti

Piccioni

Giannini

Basile

Mastino Pietro

Mortati, Relatore per la minoranza

Lussu

Scelba, Ministro dell’interno

Lucifero

Russo Perez

Dominedò

Rubilli

Mazzei

Stampacchia

Candela

Dossetti

Caronia

Reale Vito

Micheli, Presidente della Commissione

Gronchi

Votazione segreta:

Presidente

Risultato della votazione segreta:

Presidente

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

RICCIO, Segretario, legge il verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Seguito della discussione del disegno di legge: Norme per l’elezione del Senato della Repubblica. (61).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del disegno di legge: Norme per l’elezione del Senato della Repubblica. (61).

Proseguiamo nell’esame dell’articolo 7.

È iscritto a parlare l’onorevole Martino Gaetano.

Ne ha facoltà.

MARTINO GAETANO. Cercherò di riassumere in pochissime parole il mio pensiero. Premetto che non condivido affatto la delusione manifestata e la deplorazione espressa dai miei amici stamane per il raggiungimento di un accordo fra il Partito comunista ed il Partito della democrazia cristiana. Io amo la concordia. Io appartengo alla categoria di quegli uomini che sognano ancora il regno della pace sulla terra. E concordo con quanto affermava stamane l’onorevole Togliatti, e cioè che la collaborazione del Partito comunista con i partiti democratici sarebbe estremamente utile alla Nazione. Ma non posso nascondere che sono rimasto particolarmente sorpreso per le stupefacenti dichiarazioni dell’onorevole Togliatti. Noi decidemmo l’altro giorno di concedere un rinvio su questo articolo 7 e la questione che esso implica, allo scopo di vedere se fosse possibile raggiungere un accordo fra i rappresentanti dei partiti espressi in questa Assemblea: un accordo sul sistema elettorale dato che, a quanto pare, nessuno dei tre progetti presentati – della maggioranza della Commissione, della minoranza e del Governo – è tale da sodisfare le esigenze formali e sostanziali postulate, nella discussione, da varie parti dell’Assemblea.

Ora, non è questo accordo che si è realizzato. Non solo, ma, a quanto pare, nessun tentativo si è fatto per un accordo su questa base; si è invece realizzato un accordo bilaterale, su diversa base, tra il Partito comunista ed il Partito della democrazia cristiana, e ciò all’insaputa degli altri Gruppi di questa Assemblea. Appunto perché di natura bilaterale, esso è estraneo all’Assemblea: giustamente dunque l’onorevole Togliatti si è rifiutato di darne conto all’Assemblea. Orbene, tutto questo è molto strano. Io penso infatti che, nel momento in cui noi aderivamo all’invito rivoltoci dall’onorevole Togliatti, tutti i rappresentanti dei Gruppi parlamentari assumevano un impegno preciso: tentare un accordo fra i Gruppi parlamentari, e, in ogni caso, dar conto all’Assemblea degli accordi intervenuti. Viceversa, quel patto bilaterale non riguarda nemmeno, a quanto pare, metodi o sistemi per l’elezione del Senato a collegio uninominale; in altri termini, non si è cercata una nuova via che potesse sodisfare l’Assemblea, cioè realizzare quelle che sono o sembrano essere le aspirazioni dei grandi partiti di massa ed al tempo istesso quelle che sono le necessità imposte dal precedente voto sull’ordine del giorno Nitti. L’accordo ha riguardato argomenti che non avevano niente a che fare con l’oggetto della discussione odierna.

Questa mattina l’onorevole Lucifero e l’onorevole Nitti, con grande efficacia, hanno ricordato quello che è l’ostacolo formale all’accoglimento di qualsiasi legge elettorale anzi alla discussione di qualsiasi legge che preveda l’elezione dei senatori con sistema proporzionale. È stato ricordato che su questo punto la Assemblea si è già espressa, votando un ordine del giorno chiaro ed esplicito, l’ordine del giorno Nitti; è stato ricordato che, secondo l’autorevole interpretazione data dal Presidente dell’Assemblea, l’ordine del giorno, il quale non vincola i cittadini fuori dell’Assemblea, è però legge per l’Assemblea e per il Governo; è stata ricordata la pregiudiziale già approvata (la pregiudiziale Cevolotto), per cui nessun sistema di elezione con metodo proporzionale può essere proposto, in quanto contrastante con l’ordine del giorno Nitti. Ed allora la questione, secondo me, si riduce a vedere – poiché altri progetti non esistono – quale dei tre progetti che stanno davanti a noi – quello della maggioranza della Commissione, quello del Governo e quello della minoranza della Commissione – sia tale, da poter esser messo in discussione.

Disse a questo proposito l’onorevole Togliatti che il Partito comunista si è richiamato, nel tentare di raggiungere un accordo con la Democrazia cristiana, a quelle che sono le sue tradizioni in materia elettorale (partito proporzionalista), ed espresse la sua soddisfazione per aver rilevato una perfetta, identità di vedute, a questo proposito, fra la Democrazia cristiana ed il Partito comunista. Ora, io non desidero aggiungere nulla a quanto è stato detto – in forma così netta e precisa ed anche così nobile ed elevata – dall’onorevole Lucifero e dall’onorevole Nitti, però mi pare evidente che su questo punto non debbano esserci discussioni di sorta. Quello che è legge per l’Assemblea non può essere violato dall’Assemblea. Non è democrazia senza rispetto alla legge, ed è inutile che noi cerchiamo di ingannare il popolo italiano parlando continuamente di democrazia, quando invece, con i nostri atti, gettiamo il discredito sull’istituto parlamentare, discredito che inevitabilmente si ripercuoterebbe sulla democrazia, che compromette l’istituzione repubblicana, che insidia la libertà. Se un fatto così grave dovesse avvenire io sento l’obbligo di dichiarare – e sono autorizzato a farlo a nome del mio Gruppo… (Interruzione del deputato Fuschini). Non credo, onorevole Fuschini, che la serietà dell’argomento giustifichi interruzioni di così scarso rilievo e per altro così prive di quel sense of humour del quale Ella ebbe a dare così bella prova in altra occasione. Pertanto Ella consentirà che io non raccolga la sua non utile interruzione.

Dico invece, autorizzato, come sono, a parlare in nome del mio Gruppo, che qualora un fatto così grave dovesse verificarsi, esso imporrebbe necessariamente una revisione del proprio atteggiamento politico ad uomini della nostra coscienza e della nostra dignità. Dei tre progetti che sono all’esame dell’Assemblea, ve ne è senza dubbio uno che non può essere messo in discussione in nessun modo, ed è il progetto della minoranza. Esso è uno schema per l’elezione di senatore a sistema proporzionale. Preciso: a scrutinio di lista e con sistema proporzionale.

È solo in apparenza che la votazione avviene per un solo candidato. L’onorevole Nitti ebbe a dire che collegio uninominale è quello dove si vota per un solo candidato. La definizione non è esatta. Io che sono in materia piuttosto esigente per ragioni, vorrei dire, professionali, non ho trascurato di informarmi: ho guardato nei dizionari e nelle enciclopedie di cui dispone la biblioteca dell’Assemblea. E sapete che cosa ho trovato? Ho trovato che la definizione più corrente è invece la seguente: «Collegio uninominale è quello nel quale viene eletto un solo deputato; collegio plurinominale è quello nel quale vengono eletti più deputati». Ma è certo che, anche qualora la definizione data dall’onorevole Nitti fosse esatta, questo progetto non risponderebbe allo scopo di eleggere i senatori con sistema uninominale. Senza entrare nei dettagli della questione – riservandomi eventualmente di farlo in altro momento – dirò subito il perché. È solo in apparenza che si vota per un solo candidato, giacché il voto dato ad un candidato non viene utilizzato da esso, sibbene da una lista di candidati fra loro collegati. È vero che il progetto non parla di lista; esso parla semplicemente di collegamento fra i vari candidati. Ma è evidente che se tutti questi candidati insieme collegati devono utilizzare i voti riportati da ognuno di essi nella regione, dovrà pure esserci, necessariamente, un elenco di collegati. Il voto, dunque, viene utilizzato dalla lista e non dal candidato. Noi abbiamo così uno scrutinio di lista e non già una votazione uninominale.

Non solo. Ma anche per l’altro aspetto della questione da me prospettata questo non è un collegio uninominale. Non lo è, perché non viene niente affatto garantito che in ogni circoscrizione sia eletto un senatore, ed un solo senatore. Può accadere infatti con questo sistema – e accade, io penso, inevitabilmente – che siano eletti più di un senatore in una circoscrizione, e nessun senatore in un’altra circoscrizione.

Mentre dunque, in apparenza, la circoscrizione è costituita da quella zona dove l’elettore vota, il vero collegio elettorale è costituito dalla regione; e mentre in apparenza il voto viene dato ad un solo candidato, in realtà il voto è utilizzato da una lista di candidati. Che cosa è questo, se non sistema proporzionale a scrutinio di lista? Prova del resto autorevole, e conforto a questa dimostrazione, si trova nella relazione della minoranza dove è ricordato, opportunamente, che questo è il cosiddetto metodo Hare, escogitato per l’elezione con sistema proporzionale dei deputati; era stato già proposto in Italia altre volte (nel 1919 dall’onorevole Bonomi e nel 1946 da altri nella Consulta nazionale) ed era stato proposto appunto per la elezione dei deputati col sistema proporzionale.

Dunque questo progetto della minoranza della Commissione è in netto contrasto col principio, più volte solennemente affermato dall’Assemblea, che l’elezione dei senatori deve avvenire col sistema del collegio uninominale.

Si può discutere sul progetto ministeriale, sebbene evidentemente esso pure è recisamente contrario al principio già votato dall’Assemblea; si può discutere; perché, in sostanza, quello proposto dall’onorevole Scelba è un sistema misto. Avviene in un primo tempo la elezione a collegio uninominale, limitata a coloro che raggiungono la maggioranza assoluta; in un secondo tempo col sistema proporzionale, per coloro i quali non hanno ottenuto la maggioranza dei voti.

Devo tuttavia far presente che la maggioranza della Commissione ritenne che questo progetto dell’onorevole Scelba contrastasse anche esso con l’ordine del giorno approvato dall’Assemblea; tanto è vero che per tale motivo esso fu restituito al Ministro dell’interno. Comunque, è chiaro che se pure è possibile discutere fino a che punto questo progetto contrasti col voto dell’Assemblea, nessuna discussione è invece ammissibile per il progetto della minoranza.

Onorevole Presidente, io desidero rivolgermi direttamente a lei. Noi abbiamo un voto dell’Assemblea, l’ordine del giorno che porta le firme di Nitti, Togliatti ed altri, il quale è legge per l’Assemblea. Noi abbiamo una pregiudiziale, approvata il 16 dicembre 1947 (la pregiudiziale Cevolotto), per la quale non è possibile proporre, al fine della elezione dei senatori, altro metodo che non sia quello del collegio uninominale. Ed anche la pregiudiziale è legge per l’Assemblea.

Ora, un’Assemblea, in regime democratico, non può non rispettare le proprie leggi. L’onorevole Lucifero diceva stamani che noi andremmo incontro ad un dispotismo impersonale di maggioranza, qualora noi ammettessimo che la legge dell’Assemblea possa essere da essa violata; dispotismo impersonale che evidentemente sarebbe peggiore di qualsiasi Governo dispotico personale. Ma io desidero correggere, se l’onorevole Lucifero me lo permette, quello che egli ha detto: qualsiasi Governo dispotico ha le sue leggi e le osserva; qui vi sarebbe invece addirittura un’anarchia di Assemblea. Valga un esempio: stamani l’Assemblea, a proposito dell’emendamento Morelli, votò una preclusione; potrebbe ora una diversa maggioranza approvare l’emendamento Morelli?

Se il Presidente, che è il garante del rispetto dei regolamenti, che è quello che deve, coi mezzi di cui è in possesso, far sì che non venga violata la legge dell’Assemblea, consentisse la violazione di essa, noi ci troveremmo appunto in regime di anarchia parlamentare.

Onorevole Presidente, io sono il più modesto, l’ultimo dei membri di questa Assemblea, ma io mi permetto tuttavia di rivolgermi direttamente e formalmente a Lei, affinché Ella garantisca, come è suo dovere, e come è nei suoi poteri, il rispetto alla legge dell’Assemblea. (Applausi a destra).

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Devo dichiarare, onorevoli colleghi, a nome del mio Gruppo, che noi accediamo alla tesi sostenuta dall’onorevole Lucifero, dall’onorevole Nitti e, or ora dall’onorevole Martino Gaetano. A proposito dell’onorevole Martino io debbo dire tutta la mia ammirazione per il modo con cui egli ha sostenuto la sua tesi. L’onorevole Martino, come tutti sappiamo, è uno scienziato, un fisiologo dalla fama che supera i confini del nostro Paese. Che egli possa, con tanta maestria ed anche con tanta precisione di linguaggio, occuparsi di questioni così lontane dalla sua competenza tecnica e specifica, è cosa che fa molto onore a lui e fa anche piacere e onore all’Assemblea. (Applausi). Né questo venga interpretato da nessuno come un complimento suggerito dal gran piacere che ci fa il sentire sostenere validamente una tesi che ci sta a cuore, perché la tesi dell’onorevole Martino ci trova sì consenzienti, ma non è una di quelle che abbiano per noi un’importanza ed un interesse eccezionali. Abbiamo, per varie considerazioni, votato a favore del sistema del collegio uninominale per l’elezione del Senato. Non possiamo però dimenticare che siamo antichi, vecchi, tradizionalisti sostenitori del sistema proporzionale e quindi ci troviamo in una situazione delle migliori per essere sereni ed obiettivi. Aggiungiamo ancora questo: che non abbiamo neppure una fede cieca circa la fondatezza delle previsioni che si fanno, in genere, sui risultati per un partito od un altro, dall’applicazione di un sistema elettorale piuttosto che di un altro. Mi ricordo che nel 1919, quando noi socialisti eravamo esultanti per aver ottenuto l’applicazione del sistema proporzionale, ad elezioni avvenute, a conti fatti da parte di specialisti in materia, si dovette constatare che con il sistema del collegio uninominale – e gli amici onorevoli Mazzoni, Bocconi ne possono far fede con molti altri – la nostra vittoria sarebbe stata ancor più significativa e forse quella maggior quantità di seggi che avremmo conquistato col collegio uninominale avrebbe potuto anche esercitare un’influenza di una certa portata, non solo sullo svolgimento della nostra attività ma persino sul corso della politica italiana. Questo per dire a noi stessi – e forse per ricordarlo anche a chi la pensa diversamente da noi – che non c’è da attribuire eccessivo valore alle previsioni che si fanno dei risultati elettorali che ad un partito o ad un altro può assicurare un determinato sistema. Questa considerazione dovrebbe renderci tutti molto obiettivi. Per noi il problema è di una grande semplicità. Per non allungare la discussione e per, non dico perderci, ma andare dietro a disquisizioni su quelle che sono le caratteristiche del collegio uninominale e del sistema proporzionale, io domando a tutti i colleghi: siamo o no d’accordo che con quelle tre votazioni, ricordate più volte in questa discussione da vari oratori, l’Assemblea Costituente ha deciso che la formazione del Senato non avvenisse con l’applicazione del sistema elettorale stabilito per la formazione della Camera dei deputati? Vi è stato un ordine del giorno Nitti ed una successiva votazione; poi vi è stata la votazione sulla pregiudiziale Cevolotto. Badino gli onorevoli colleghi che a parer mio quest’ultima votazione ha un significato anche superiore alla votazione precedente, perché con essa l’Assemblea Costituente ha deliberato che non si potesse neppure prendere in considerazione, non già una proposta di sostituire un sistema diverso da quello del collegio uninominale, stabilito con l’ordine del giorno Nitti, ma la proposta che in via di eccezione, in via transitoria, una volta tanto, cioè per la nomina del primo Senato della Repubblica italiana, si potesse adottare un sistema diverso da quello stabilito precedentemente.

Mi sembra, onorevoli colleghi, che poche volte ci si possa trovare di fronte ad una deliberazione presa in forma più impegnativa. Quando all’Assemblea si è chiesto di discutere, non la modificazione di un principio di massima, ma la proposta di fare un’eccezione per la nomina di questo primo Senato della Repubblica, adottando un sistema diverso da quello del collegio uninominale, l’Assemblea vi si è rifiutata, ha risposto di non poterlo fare. Onorevole Presidente, mi rincresce di rivolgermi a lei, perché so di proporle una questione la cui risoluzione implica della responsabilità, ma le domando: non è questo il caso tipico, in cui si chiede di sottoporre al giudizio dell’Assemblea una proposta, che va contro a deliberazioni già prese e ripetute, una proposta quindi improponibile? È stato già detto autorevolmente, con tono, vorrei dire, quasi drammatico, dall’onorevole Nitti che più che di una questione politica si tratta di una questione di dignità e di serietà, si tratta di una questione che deve avvalorare o svalutare l’opera dell’Assemblea Costituente. Perché chi non sia poi eccessivamente pratico di certi cambiamenti del clima politico, in cui si svolgono i lavori delle Assemblee, come potrà mai persuadersi che quando un’Assemblea ha detto per tre volte che il Senato della Repubblica deve essere eletto col sistema del collegio uninominale, quella stessa Assemblea, possa poi, tranquillamente, senza neppure accorgersi di fare una cosa diversa da quella che aveva solennemente fatta ieri, possa dire che il Senato della Repubblica si nomina invece con tutt’altro sistema?

Impedire, onorevole signor Presidente, che si deliberi su di un argomento, la cui proposizione sola basta ad inficiare e svalutare in generale il carattere, il valore del lavoro legislativo dell’Assemblea Costituente, mi pare che sia il problema che Ella deve risolvere nella sua alta coscienza.

Indagine unica – e mi scuso di dovermi trattenere ancora qualche minuto sull’argomento – da farsi è questa: il progetto della minoranza è un progetto che va contro alle deliberazioni prese in materia dall’Assemblea Costituente? Il progetto della minoranza non è per caso una forma di quel sistema proporzionale, che l’Assemblea ha deciso, ripetute volte, di non volere applicare alla elezione del Senato? A me questo sembra fuori di discussione.

L’onorevole Mortati nella sua relazione, che è un modello di abilità ed insegna come si deve fare a presentare una cosa facendo tutto il possibile perché appaia un po’ diversa da quella che è – e questo può essere anche un elogio – nella sua relazione…

RUBILLI. È una scarsa abilità, perché in tre colonne e mezzo non fa altro che combattere il sistema uninominale!

TARGETTI. Onorevole Rubilli, ma l’abilità dell’onorevole Mortati io la vedo in questo: gli era facile fare la critica di alcuni lati del Collegio uninominale, e l’ha fatta.

Ma dimostrare che la sua proposta era intonata al sistema del collegio uninominale non era possibile e non ci si è neppure provato. Così ha evitato di dare lui stesso la prova di quest’impossibilità. È una forma di abilità anche quella di occuparsi soltanto degli argomenti che stanno contro la tesi che si combatte, quando non si hanno argomenti a favore della tesi che si sostiene.

Fatta la critica del collegio uninominale, l’onorevole Mortati – e mi perdoni l’onorevole Mortati, verso cui io, per la sua dirittura morale e politica, ho la più viva simpatia – ha fatto una affermazione che non è un modello di sincerità. Ad un certo punto egli, che in materia giuridica ne sa più di noi, almeno più di me, dice: «mentre si mantiene il sistema uninominale ecc.».

Eh no, onorevole Mortati, non si mantiene affatto il sistema uninominale, quando si propone una forma di sistema proporzionale.

Aggiunge però, prudentemente, l’onorevole Mortati: «per tutto quanto riguardale operazioni di voto».

Evidentemente, nella sua onestà, egli ha voluto correggere subito la sua affermazione, togliendole ogni significato effettivo. Egli stesso finisce col riconoscere che di uninominale in questo progetto non c’è che la modalità del voto, cioè una pura esteriorità.

Perché, onorevoli colleghi, non c’è altro che questo di uninominale; tutto il resto è proporzionale.

Basta fare il confronto (confronto che io non vi infliggerò, e che ciascuno di voi può sempre fare per conto proprio) fra le norme che si seguono per l’elezione dei deputati al Parlamento, in applicazione di quel sistema proporzionale, che per il Senato l’Assemblea Costituente ha rinnegato, e quelle proposte del progetto Mortati, per constatarne la coincidenza assoluta. Per la Camera dei deputati, avvenuta la votazione, si fa la somma dei voti riportati dalle varie liste; si divide questa somma per il numero dei seggi da attribuire, e si stabilisce quello che si chiama il quoziente elettorale.

Nella vostra proposta che cosa si fa, di sostanzialmente diverso, onorevole Mortati? È vero che liste non ne abbiamo. Cioè, abbiamo liste composte da un solo nome. Sommando i voti riportati da tutti i candidati nei vari collegi della Regione si fa un’operazione identica alla somma dei voti di ciascuna lista nelle varie sezioni del collegio, prescritta dalle norme che regolano l’elezione dei deputati. Poi si divide la somma di tutti i voti per il numero dei seggi da conferire e si ottiene il quoziente elettorale. La legge elettorale per la formazione della Camera dei deputati questo lo chiama «quoziente elettorale»; qui si chiama «quoziente regionale». L’aggettivo è diverso, ma il sostantivo, anzi la sostanza è proprio la stessa.

Poi, per la elezione dei deputati si fa la somma dei voti riportati dalla lista di ciascun partito. Col vostro sistema si fa la somma dei voti riportati dai candidati che hanno dichiarato di collegarsi ad un aggregato o ad un altro, ad un gruppo o ad un altro.

Non mi vorrete dire che cambia la sostanza se si dice «aggregato» anziché «partito». Si fa dunque questa somma, si accerta così quanti voti ha riportato un gruppo. Poi si divide la somma dei voti riportati da un gruppo per il quoziente regionale e così si stabilisce quanti seggi sono da assegnarsi a ciascun gruppo. Ma non è questo, lo stesso, identico procedimento prescritto per l’elezione della Camera dei deputati?

Poi, si tratta di proclamare gli eletti. Come si fa? Quando si è accertato che al Partito socialista (chiamiamolo aggregato socialista) o democristiano competono cinque seggi, si va a vedere quali dei suoi candidati hanno riportato più voti, proprio come col sistema proporzionale per l’elezione della Camera dei deputati, una volta stabilito il numero dei seggi che competono ad un partito, si va a vedere quale dei candidati ha riportato un maggior numero di voti di preferenza.

Io domando a voi, onorevoli colleghi, se vi sia e dove sia un errore in questo nostro ragionamento, che non porta a sostenere una somiglianza fra i due sistemi, ma dimostra una eguaglianza assoluta perfetta tra il sistema elettorale per la Camera dei deputati ed il sistema elettorale che voi proponete per l’elezione del Senato della Repubblica.

Ed allora, onorevoli colleghi, la questione è questa: si propone per l’elezione del Senato della Repubblica lo stesso sistema elettorale (proporzionale) che vige per la Camera dei deputati.

Può l’Assemblea (e con queste ultime osservazioni mi rivolgo proprio a lei, signor Presidente) può l’Assemblea essere chiamata a decidere se questo si può fare? Evidentemente no.

Ella stamane ha ricordato che ci sono dei precedenti in materia. Nessun collega può avere l’ammirazione intessuta anche di vero affetto, di vera amicizia che io sento per il nostro caro Presidente Terracini. Ma questo non mi impedisce, anzi, mi autorizza ad esprimere liberamente l’opinione che egli, forse, per dare la più bella prova del suo grande rispetto per l’Assemblea e per dimostrare che, uomo di parte, sapeva, come nostro Presidente, mantenersi al di sopra di ogni nostro dissenso e non voleva in nessun modo influire sulle nostre decisioni, ha voluto in qualche caso rimettere alla Assemblea anche delle decisioni che avrebbe avuto la autorità di prendere da sé.

Ma, onorevoli colleghi e signor Presidente, se nei casi in cui, come in questo, è palese l’improponibilità di una questione, non è il Presidente ad impedire che la questione stessa venga presa in esame, e si lascia arbitra di decidere la maggioranza del momento, formatasi sopra quella determinata quistione, onorevole Presidente, onorevoli colleghi, voi dovete dirmi a che serve il Regolamento che dovrebbe disciplinare, nell’interesse comune, la nostra attività.

Ammetter questo, vorrebbe dire che una Assemblea, attraverso la sua maggioranza, si dà le regole che le fa piacere di darsi, caso per caso. E questa è la negazione di ogni regola! Questo equivarrebbe ad abbandonare alla volontà, che poi sarebbe arbitrio, della maggioranza, lo svolgimento dei lavori dell’Assemblea, lasciando le minoranze prive di ogni difesa. Ella mi insegna, signor Presidente, che il Regolamento è elaborato da una Giunta speciale permanente, nella quale nessuna norma stabilisce che i varî partiti siano proporzionalmente rappresentati, ma nella quale, attraverso la nomina fatta dal Presidente, tutti i partiti sono realmente rappresentati.

Ecco come dalla sua stessa elaborazione il Regolamento, che non può essere in nessuna parte modificato se non con l’approvazione dell’Assemblea, attinge autorità, a tutti assicura che le sue norme sono fissate non per favorire una parte ai danni di un’altra, ma allo scopo di assicurare all’Assemblea il suo miglior funzionamento.

Ma se voi, signor Presidente, se voi ammettete che caso per caso, volta per volta il Regolamento possa essere modificato non solo per volontà, della maggioranza, ma nell’interesse di una tesi da essa sostenuta, voi venite a distruggere la più fondamentale delle garanzie per il libero e ordinato svolgimento dei lavori di un’Assemblea politica. (Vivi applausi a sinistra e a destra).

PICCIONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PICCIONI. Onorevoli colleghi, io questa mattina ho avuto l’impressione che gli animi e le valutazioni dei colleghi che sono intervenuti nella discussione, fossero leggermente sovraeccitati ed esagerati. Un’altra impressione ho riportato, che mi permetterò ora di esprimere all’Assemblea: una posizione di discussione che deriva non so se da un difetto o da una virtù del nostro temperamento di italiani, quella cioè di amplificare troppo le cose e i problemi politici, di considerarli, di vederli in una prospettiva che tende a muoversi nella generalizzazione, quasi nell’assoluto, anziché rimanere rigorosamente legata al problema concreto, oggettivo, che noi siamo chiamati a discutere.

Ora, finché questo si rileva nei confronti dell’amico onorevole Lucifero, dotato, oltre al resto, di una impetuosità nativa che non sempre riesce a frenare, si spiega. E se questo si può anche concepire nei confronti dell’amico onorevole Giannini, il quale, sotto il velame di parole strane o inconsuete, molto spesso nasconde – me lo consenta – dei concetti politici commisti però, quasi sempre, a casi personali, questo tuttavia non si spiega sufficientemente nei confronti di un vecchio uomo di Stato, espertissimo della vita parlamentare, come l’onorevole Nitti, il quale e nelle sue conversazioni private e nei suoi scritti, mantiene sempre un notevole senso di distacco, direi quasi di relativismo ironico, nei confronti delle questioni che acutamente esamina, e approfondisce, mentre nei suoi discorsi – me lo consenta, con tutto il rispetto a lui dovuto – si lascia alle volte andare a espressioni e ad impostazioni che non sono sempre il riflesso di un’indagine obiettiva del problema politico, ma portano con sé, talvolta, il riflesso di risentimenti o di sentimenti puramente personali.

Detto questo, che cosa è avvenuto che potesse improvvisamente determinare una drammaticità di discussione come quella di questa mattina, quasi fosse in giuoco la consistenza delle istituzioni democratiche e repubblicane, quasi fosse in atto la violazione più sfacciata dei principî della nuova Carta Costituzionale, quasi fossero in pericolo, come ha detto l’onorevole Nitti, il prestigio e il decoro di questa Assemblea, che stava per diventare una misera Assemblea?

Io mi permetto di dissentire nettamente e fortemente da questo atteggiamento e dirò che il problema che ci riguarda è un problema puramente tecnico elettorale, concernente la composizione del Senato e null’altro. È strano però che tutti gli appunti, tutti i rilievi – e questo in un certo modo ci può anche inorgoglire un po’ – che tutta questa specie di protezionismo o di paternalismo di altri settori o di altri uomini politici siano rivolti e indirizzati solo verso la Democrazia cristiana. È strano – ripeto – perché se c’è in questa Assemblea (e mi permetterò di dimostrarlo) una posizione coerente, sicura, netta in materia di impostazione di leggi elettorali, questa è la posizione della Democrazia cristiana, dall’inizio dell’esame di esse sino a questo momento in cui io vi parlo. Per cui i dubbi, i rilievi, i suggerimenti, le proteste dovrebbero essere indirizzati più logicamente verso altre parti, e non concentrati verso il settore che io ho l’onore di rappresentare.

Tutti sanno che noi democratici cristiani – e l’onorevole Nitti più di ogni altro, perché ebbe a fare questa esperienza fin dal 1919 – siamo proporzionalisti, nettamente proporzionalisti, perché sentiamo che la democrazia moderna si esprime più logicamente, più concretamente, con un senso di maggiore giustizia distributiva, soltanto attraverso la proporzionale. E da un punto di vista di impostazione logica, nessuno, penso, può contestare che la proporzionale realizzi una maggiore giustizia distributiva elettorale. Quando si verifica, onorevole Nitti, quel che si verifica in Inghilterra, dove un laburista può essere eletto con 40.060 voti e un liberale con 200.000, o viceversa, questa non è giustizia elettorale distributiva. Può rappresentare una determinata conseguenza di una certa tradizione, di un certo costume politico di un dato paese, ma non può rappresentare, sotto nessun aspetto, e con nessuno sforzo dialettico di qualsiasi genere, l’espressione viva della realizzazione della giustizia elettorale.

Perché noi, anche per il Senato, abbiamo sostenuto la proporzionale? Ve lo ha detto l’onorevole Togliatti questa mattina. Noi pensavamo, e pensiamo ancora – se permettete, io credo che coll’andar del tempo, col passare degli anni si ritornerà su questo argomento – che il Senato non può essere concepito, in una Repubblica democratica moderna, sotto l’aspetto accennato dall’onorevole Nitti, di una Camera conservatrice, in senso molto lato e molto generico, ma deve essere concepito e realizzato – se non oggi, domani – sotto l’aspetto dell’espressione di interessi veramente vitali della Nazione, superando quel qualsiasi complesso di inferiorità che si può muovere in ciascuno di noi nei confronti di esperienze del genere, per quanto molto lontane da quello che è lo schema che noi democratici cristiani abbiamo prospettato.

Ma contrastata questa possibilità, e superata l’altra di dare una base elettiva al Senato attraverso l’intervento dei rappresentanti dei Comuni, delle Provincie e delle Regioni, cioè quella di un’elezione di secondo grado, che cosa rimaneva? Voi dite che il collegio uninominale può differenziare la seconda Camera dalla prima. Non è vero, non è esatto. Il collegio uninominale può arrivare soltanto a questa conseguenza: di mettere in contradizione la seconda Camera con la prima, paralizzando in questo modo la funzionalità del nuovo Parlamento democratico repubblicano. Perché il collegio uninominale non riesce, non può riuscire comunque, a differenziare la seconda Camera dalla prima? Perché, onorevole Nitti, il collegio uninominale di cui si parla nella relazione di maggioranza, oggi non è in nessun modo ragguagliabile e paragonabile al Collegio uninominale sperimentato in Italia fino al 1913. Esistevano allora piccoli collegi che avevano una loro funzione specifica, una loro particolare tradizione, i collegi uninominali di quell’epoca.

Questi collegi uninominali di cui si parla oggi sono collegi uninominali fatti a macchina, tagliati per ogni duecentomila abitanti, senza nessuna aderenza particolare con le particolari condizioni geografiche, economiche o sociali o di altro genere che potevano caratterizzare il collegio uninominale fino al 1913.

E permettete: 35 anni di interruzione in una esperienza elettorale come quella del vecchio collegio uninominale sono troppi perché ci si possa riagganciare semplicisticamente a quella vecchia esperienza. Sono troppi, anche perché contro i due milioni di elettori (o poco più) che esistevano in quell’epoca, oggi sono 28 i milioni di elettori, e voi difficilmente li potrete inquadrare e disciplinare con quei vecchi criteri ordinatori che dominavano le elezioni allora, quando ci sono (che li vogliate o non li vogliate) i grandi partiti di massa che guidano le grandi masse elettorali chiamate a partecipare al voto anche per la formazione del Senato!

Per questo noi insistiamo, in mancanza dell’accettazione degli altri criteri da noi affacciati, perché per il Senato non venga applicato il collegio uninominale in quel senso ristretto, in senso – se permettete – gretto, in quel senso tradizionale che ormai ha rotto il contatto con la coscienza politica e sociale del nostro Paese!

E allora, voi sapete come abbiamo sempre insistito su questa concezione nella seconda Sottocommissione, nella Commissione dei Settantacinque, nella discussione che si è fatta qui per il Senato e nella stessa Commissione nominata per la legge elettorale del Senato. Coerenza e posizione assolutamente rispettabile e precisa!

È semplicemente stupefacente quindi il vostro stupore.

Ora se ad un certo momento – dico ad un certo momento – alla vigilia della votazione della legge elettorale si è determinata una convergenza di impostazione con un’altra corrente politica del Parlamento che fino a ieri era stata a fianco a voi per il collegio uninominale, senza la quale né voi, onorevole Nitti, né altri di nessun altro partito avrebbe neppure lontanamente immaginato di poter far varare neanche quell’ordine del giorno del 7 ottobre, se questo è avvenuto per il ripensamento, per la rivalutazione (come ha detto stamane l’onorevole Togliatti) dell’interesse elettorale presente, in fondo, in ciascun partito (perché, a voler essere espliciti, quando si parla di legge elettorale ci può essere in giuoco l’interesse personale di quelli che discutono e domandano l’approvazione – e ciò è deprecabile – ma che ci sia l’interesse dei partiti è indiscutibile e spiegabile ed è sempre stato così), se – dicevo – attraverso un ripensamento di questo genere, una rivalutazione che tiene conto di tanti dati che prima potevano essere valutati esattamente o meno, e noi e altri possiamo aderire anche ad un tipo di collegio uninominale integrato o corretto in qualche modo, per evitare gli sfasamenti che si determinerebbero attraverso un’applicazione rigida dello stesso collegio uninominale, c’è per questo da stracciarsi le vesti? C’è per questo da scandalizzarsi fino a quel punto drammatico cui siamo arrivati stamane, fino a sospettare chissà quali diabolici disegni tramati dietro una convergenza di questo genere su questioni di mera legge elettorale?

È molto eccessivo, evidentemente; è molto fantasioso tutto questo, e non implica in nessun modo qualsiasi rettifica della posizione politica generale della Democrazia cristiana nei confronti del Partito comunista allo stesso modo che non modifica minimamente la posizione politica del Partito comunista nei confronti del partito della Democrazia cristiana. Basterebbe leggere l’Unità o l’Avanti! di tutti i giorni, compresi questi ultimi, leggere le relazioni, i discorsi nei vari congressi che si sono tenuti recentemente per sentire quale è il clima, quale è il tono della posizione politica e polemica di questi partiti. Ma è una convergenza in cambio di qualche altra cosa, voi avete detto e questo vi insospettisce.

«Voi democratici cristiani avete raggiunto l’accordo in cambio del voto obbligatorio».

Signori miei, noi siamo stati i primi, lo ha ricordato l’onorevole Lucifero questa mattina, a sostenere in Italia, per l’Italia, in una determinata contingenza politica, in un certo clima politico e sociale la necessità del voto obbligatorio. Esiste, è stata richiamata nella legge per la prima Camera, è stata ribadita nella legge per la seconda Camera, l’obbligatorietà del voto: in che modo ed in che forma? Attraverso il modo e la forma che furono tenuti presenti ed applicati nelle elezioni del 2 giugno. Fu forse inefficiente quella sanzione prevista per le elezioni del 2 giugno? No, perché la percentuale dei partecipanti al voto fu elevatissima. Noi possiamo ritenere, al di sopra di qualsiasi considerazione che si possa fare sulla efficacia o meno di sanzioni pecuniarie, onorevoli colleghi, che anche per le prossime elezioni, per le quali i motivi dell’interesse pubblico generale non sono minori di quelli che funzionarono e resero efficiente la partecipazione delle masse elettorali italiane alle elezioni del 2 giugno, quelle sanzioni, quella obbligatorietà, che d’altra parte deve avere, per il suo stesso spirito, una funzione educativa più che una funzione repressiva, siano sufficienti, a nostro avviso, anche per il prossimo esperimento elettorale.

MALAGUGINI. Ce ne ricorderemo per la eventualità che cambiaste opinione. (Commenti al centro).

PICCIONI. All’onorevole Giannini che questa mattina si scandalizzava…

GIANNINI. Scandalizzava, no; si stupiva.

PICCIONI. …di questi mutamenti più o meno repentini di impostazione e di orientamento – devo dire che egli è stato un po’ precipitoso. Egli ha aderito totalmente, pienamente a quello che aveva detto poco prima l’onorevole Lucifero – ciò mi pare esatto. Ora, l’onorevole Lucifero ha detto delle cose gravi rispetto alla possibilità di impostare il problema elettorale secondo la nostra tesi e si è richiamato, come l’onorevole Martino, ed altri, ai precedenti di carattere costituzionale e di carattere regolamentare.

Mi dispiace quindi dare un piccolo dispiacere all’onorevole Giannini ricordando che quel famoso ordine del giorno Perassi che determinò il voto per la preclusione del 12 dicembre scorso, che prevedeva un’applicazione del sistema elettorale completamente, diametralmente diverso da quello in discussione, – e cioè in senso totalmente proporzionale – era firmato, fra gli altri, anche dall’onorevole Giannini. (Ilarità al centro).

GIANNINI. Come è questo fatto? (Ilarità al centro).

PICCIONI. Ma io vorrei dire un’altra cosa ai colleghi che si sono preoccupati molto di questa nostra impostazione, ed è che (rispondo in modo particolare all’onorevole Lucifero) nella nostra intenzione, nella nostra impostazione non c’è – potete crederlo – la necessità, la spinta, di uno sfruttamento elettorale. C’è solo un sentimento di giustizia, un criterio di giustizia che vale soprattutto per i piccoli partiti, perché i grandi partiti organizzati – come diceva questa mattina l’onorevole Togliatti – più o meno si salvano sempre, ma una delle giustificazioni più profonde, dal punto di vista morale, della proporzionale è che appunto, soltanto attraverso essa possono aver voce anche le piccole minoranze. Qui nella nostra Assemblea vi sono esempi assai numerosi per dimostrare che le voci di minoranza, comunque qualificate, in regime di collegio uninominale non avrebbero certamente, assolutamente avuto la possibilità di farsi sentire. Quindi è un principio democratico quello che ci guida, è un principio di democrazia autentica, popolare, capillare – se è possibile dirlo – perché soltanto attraverso la proporzionale si hanno queste possibilità e queste manifestazioni.

Ma vi è una accusa più grave – quella alla quale tutti gli oppositori della legge si sono più o meno richiamati – l’accusa di violazione della Costituzione, o quanto meno l’accusa di violazione del regolamento dell’Assemblea Costituente.

Accusa di violazione della Costituzione. Ma che cosa dice la Costituzione? La Costituzione dice che il Senato deve essere eletto su base regionale, e per quante sottilizzazioni, più o meno sofistiche io abbia sentito fare da più parti in riferimento all’attuazione di questo principio della base regionale, credo sia difficile persuadersi che la Costituzione, parlando di base regionale, abbia soltanto voluto dire che la configurazione dei collegi uninominali non dovesse valicare i confini geografici della circoscrizione regionale. Sarebbe assolutamente pleonastico questo, perché evidentemente i collegi uninominali devono essere inseriti o nella circoscrizione della provincia o nella circoscrizione della Regione. (Interruzione del deputato Martino Gaetano). Ricordo la seduta del 7 ottobre, onorevole Martino, quando fu approvato l’ordine del giorno Nitti che contemplava il principio del collegio uninominale e ricordo attraverso quali contrasti, in quali condizioni, con quale scarsa partecipazione numerica di deputati l’ordine del giorno Nitti fu approvato. (Commenti a sinistra). Non discuto e non eccepisco nulla, constato e ricordo. Quando cioè, il principio del collegio uninominale era passato in quel determinato modo, l’indomani stesso con una votazione notevolmente superiore sia dal punto di vista della partecipazione effettiva dei deputati alla discussione che dal punto di vista della maggioranza raggiunta, fu fissato dalla Costituente il principio della base regionale.

MARTINO GAETANO. Dopo le dichiarazioni dell’onorevole Gronchi.

RUBILLI. Bisogna dimostrare che la base regionale abbia abolito il collegio uninominale.

VIGNA. Si continua a discutere sul merito, e non sulla preclusione.

PICCIONI. L’articolo 57 della Costituzione stabilisce: «Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale». Questa è la deliberazione dell’8 ottobre, il giorno dopo l’approvazione dell’ordine del giorno Nitti. Ciò vuol dire che, se si era fissato il principio del collegio uninominale, si doveva però trovare un legame organico, non soltanto esteriore, con il principio della base regionale. Qui ci sono avvocati e giuristi egregi. Se vogliamo dare un senso logico e concreto alla disposizione della Carta costituzionale non si può credere che, quando i costituenti hanno votato questo principio l’8 ottobre, abbiano voluto soltanto riferirsi a quello che voi dite… (Interruzioni – Commenti).

MARTINO GAETANO. Rilegga i resoconti stenografici.

PICCIONI. Ritengo di essere sufficientemente preciso.

Dunque, l’ordine del giorno Nitti non è inserito nella Carta costituzionale. Non lo è per quelle date ragioni di carattere parlamentare che tutti noi ricordiamo, e per una ragione ben più profonda, che è affiorata sia per la prima Camera che per la seconda Camera, cioè che la forma elettorale non conviene legarla alla rigidità della Carta costituzionale. Su questo mi pare non ci sia dubbio.

Altro precedente, sul quale mi pare si possa essere d’accordo, è che la legge istitutiva della Costituente pone fra i compiti della Costituente la redazione della Carta costituzionale, l’approvazione dei trattati internazionali, l’approvazione delle leggi elettorali.

Cade, quindi, tutta la costruzione macchinosa e un po’ suggestiva che faceva stamane l’onorevole Lucifero circa l’ordine del giorno votato dalla Costituente – dice lui – come Costituente; mentre oggi non siamo più costituenti. Ma oggi siamo quella Costituente la quale, in forza della sua legge istitutiva, è chiamata ad approvare le leggi elettorali. Essa non deriva questa facoltà da una deliberazione precedente della Costituente in senso proprio, ma la deriva esclusivamente dalla legge istitutiva dell’Assemblea; è una attribuzione specifica propria della Costituente, che non si ricollega minimamente al lavoro costituente vero e proprio. La Costituente, nel momento in cui adempiva alla sua funzione di Costituente in senso proprio, poteva astenersi rigorosamente – sarebbe stato meglio che così avesse fatto – dall’interferire sulla materia elettorale vera e propria. Poteva, sì, prendere in esame e fissare nella Costituzione, come ha fatto, i principî regolatori, organici, delle due Camere; ma la materia elettorale, siccome era competenza specifica, attribuita a parte alla Costituente, doveva essere lasciata impregiudicata, perché questa ne facesse l’uso che avesse creduto, quando avesse affrontato risolutamente il problema elettorale.

Ecco perché il richiamo all’articolo 87 del regolamento non regge, se si vuole essere logici e conseguenti; perché quell’articolo riguarda l’approvazione dei disegni di legge particolari e parla degli ordini del giorno votati, a seguito della discussione generale su ciascun disegno di legge; per cui gli ordini del giorno votati in quel particolare modo devono informare di sé le ulteriori determinazioni del disegno di legge.

L’ordine del giorno Nitti è stato, invece, votato in fase perfettamente costituente; non è stato votato come conseguenza della discussione generale svoltasi sul disegno di legge, che riguardava la legge elettorale del Senato.

Comunque, io non voglio insistere su tale posizione, se non per arrivare a questa conclusione. Io non disdico il valore e la portata dell’ordine del giorno Nitti; l’ho detto altre volte; ma dico che esso deve essere coordinato a una finalità superiore quale è la funzionalità del Parlamento italiano, alla possibilità di una armonia adeguata come espressione politica rispettiva, non alla possibilità di creare fin d’ora un motivo di profondo dissidio, di disorganizzazione interna, di attrito di funzioni tra le due Camere, che sconvolgerebbe l’esperimento democratico della Repubblica italiana.

E perciò io vi dico: la preclusione, che voi invocate, rispetto al voto dato sull’ordine del giorno Perassi, evidentemente non regge dal punto di vista giuridico; perché, prima di tutto, l’ordine del giorno Perassi non si occupava della legge elettorale del Senato. Esso in sostanza diceva: vogliamo procedere alla svelta, considerate tutte le difficoltà che si prospettano, per la elezione del primo Senato? Applichiamo la legge elettorale approvata per la prima Camera, non prendendo in esame nessuna legge speciale per il modo di elezione della seconda Camera.

La preclusione significa quindi: non si può scendere su questo terreno. Quale? Precisamente quello di applicare la legge della prima Camera al Senato; non già quello di discutere liberamente su un progetto di legge specifico, che riguarda la elezione del Senato.

Ed allora si è nominata la Commissione per la legge speciale per il Senato; e siamo oggi proprio in questa fase.

Cosa volete ora ritenere? Che con l’ordine del giorno Nitti, votato in quel modo ed in quel senso, si sia precluso il diritto ai deputati di interloquire sulla impostazione del disegno di legge per il Senato?

Questa è una enormità giuridica e costituzionale.

L’ordine del giorno Nitti è stato approvato con quel numero di presenti che tutti conoscono; non era stato presentato in una discussione messa espressamente all’ordine del giorno per l’approvazione della legge elettorale per il Senato, perché se questo fosse stato, i deputati, anche gli assenti, avrebbero sentito l’opportunità, la necessità e il dovere di essere presenti certamente in misura maggiore (Commenti a sinistra). Ora si viene a discutere il disegno di legge per la costituzione del Senato, legge elettorale vera e propria e si viene a dire ai duecento deputati che furono assenti quando si votò l’ordine del giorno Nitti: Amici, bisogna votare per il collegio uninominale rigido, c’è poco da fare, perché c’è una deliberazione precedente. Voi dite questo! (Commenti a sinistra).

COSTANTINI. Discutete anche per gli assenti! Dove andremo a finire?

PICCIONI. Sono d’accordo con voi che questo avvenga, ma quando? Nella discussione del disegno di legge elettorale. Oggi, nominata la Commissione, presentato il progetto, a conclusione della discussione generale, se venisse rivotato ed approvato un ordine del giorno che fissi un principio direttivo, che deve servire come norma per l’ulteriore determinazione delle disposizioni della legge, ma non prima, non precludendo mesi avanti un principio che può esser fissato come principio di orientamento generale, ma che non può precludere il diritto di ciascuno dei deputati, quando quella norma stessa deve essere tradotta in legge, di intervenire e votare secondo la propria coscienza e la propria convinzione. (Rumori a sinistra – Interruzione del deputato Rubilli).

Mi pare di aver chiarito la differenza tra le diverse tesi. Per concludere, io dirò che il principio del collegio uninominale noi lo possiamo accettare solo nel senso esposto, il solo attribuibile a quel voto dell’Assemblea. Io dico: questo principio, non ci potete impedire di tradurlo in forme diverse da quella schematica e tradizionale che voi preferite. Altrimenti perderemmo del tempo inutilmente e basterebbe prevedere una formulazione tecnica ormai obbligatoria. Ma il contenuto della legge elettorale del Senato è ben altra cosa e ben altra cosa è il diritto inalienabile di ciascuno di noi di essere liberi quando si vota una norma di legge. L’ordine del giorno Nitti non è una norma di legge, questo l’errore in cui è caduto il collega Martino, è una deliberazione interna dell’Assemblea. (Proteste a sinistra – Interruzione del deputato Martino Gaetano). L’ordine del giorno Nitti deve essere tradotto in formulazioni giuridiche normative concrete. Quando queste «formulazioni giuridiche normative concrete» sono presentate all’Assemblea, essa ha il pieno diritto di approvarle o di respingerle, indipendentemente da quel precedente. (Vivi applausi al centro). Onorevoli colleghi, nessuna deviazione politica da parte nostra, e quindi nessuna speculazione politica vostra su questa vostra comoda presunzione. Capisco bene che siamo alla vigilia elettorale in cui è facile commettere dei peccati di questo genere…

GIANNINI. …di gola.

PICCIONI. …di speculazione politica, evidentemente. Ma comunque noi non ci prestiamo a queste manovre elettoralistiche, anche perché abbiamo dimostrato, con una coerenza politica, ideologica, di azione pratica e concreta, qual è la linea che la Democrazia cristiana intende seguire. Non credo che il Paese possa subire le facili suggestioni di una particolare interessata speculazione su un atto di carattere esclusivamente tecnico parlamentare.

Quanto all’altra accusa, di violazione costituzionale e regolamentare, mi pare di aver illustrato – e la mia coscienza è molto tranquilla – la perfetta ortodossia costituzionale e regolamentare della nostra impostazione di fronte ai precedenti voti dell’Assemblea, se i precedenti voti sono interpretati e sono intesi con spirito giuridico e politico nello stesso tempo, ma non con lo spirito di sopraffazione o di fazione politica comunque ispirata.

Deve essere il diritto dell’Assemblea salvaguardato nella sua pienezza e indipendenza.

Onorevole Lucifero, non basta soltanto appellarsi genericamente ai principî fissati nella Carta costituzionale. I deputati qui presenti debbono avere intatto il diritto di approvare una norma od un’altra quando si è messi di fronte ad un disegno di legge concreto e preciso in materia elettorale, che costituisce appunto una prerogativa dell’Assemblea ed una prerogativa di ciascuno dei suoi componenti. (Applausi al centro).

GIANNINI. Chiedo di parlare per fatto personale.

PRESIDENTE. Lo indichi.

GIANNINI. Il fatto personale, onorevole Presidente, consiste nell’interpretazione che l’onorevole Piccioni ha dato alla mia adesione all’ordine del giorno Perassi.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.

GIANNINI. Sarò brevissimo, signor Presidente.

Innanzi tutto, io devo all’onorevole Piccioni una spiegazione. Non mi è mai capitato, fino ad oggi, di avere il piacere di ascoltarlo con tanta diligenza, non perché egli non meriti attenzione, ma per tante altre ragioni…

PICCIONI. Per disattenzione.

GIANNINI. …no, per tante altre ragioni, fra le quali anche quella di essere assente quando l’onorevole Piccioni ha parlato.

Sono rimasto veramente ammirato di vedere uno sciabolatore così forte come l’onorevole Piccioni, e mi spiego oggi il perché, quando egli prende la parola, tutta l’Assemblea diventi veramente attenta. Egli mi ha tirato un traversone, che è quello della mia adesione all’ordine del giorno Perassi. Ma, qui potrei fargli una parata e restituirgli il colpo dicendogli: Onorevole Piccioni, lei ha trovato troppo poco trovando l’ordine del giorno Perassi, perché, se lei avesse voluto attenersi a quanto ho affermato ripetutamente in quasi tutti gli articoli che ho scritto in materia elettorale, lei avrebbe scoperto che io sono un proporzionalista più accanito di lei. Difatti, debbo precisamente alla proporzionale il brillante successo elettorale che ho riportato il 2 giugno e che si è cercato continuamente di svalutare e diminuire. Quindi, sono un proporzionalista. Senonché, è stato approvato un ordine del giorno Nitti col quale si è stabilito che la elezione del Senato deve avvenire col sistema del collegio uninominale. Ora, io posso anche non essere d’accordo con l’ordine del giorno, posso anche aver votato contro quell’ordine del giorno, ma ormai quella è una norma accettata dall’Assemblea, è un fatto certo che io debbo non solo subire ma al quale mi debbo sottoporre. Altrimenti, che razza di democrazia è la nostra? (Commenti al centro – Interruzioni degli onorevoli Uberti e Lucifero).

PRESIDENTE. Onorevole Giannini, poiché parla per fatto personale, la prego di essere succinto.

GIANNINI. Se il più potente partito della Camera mi interrompe continuamente, non posso essere succinto.

PRESIDENTE. Non raccolga le interruzioni.

GIANNINI. Ora, noi partiamo da un dato di fatto certo, che è l’ordine del giorno Nitti, al quale, mi pare, danno un valore diverso anche i socialisti.

PRESIDENTE. Ma questo non è fatto personale, onorevole Giannini, la discussione non consente questa diversione.

GIANNINI. Il mio fatto personale è appunto concepito in quella configurazione di incoerenza, di impreparazione e di contraddittorietà in cui l’onorevole Piccioni mi avvolge. Ed è da questa accusa che io appunto mi debbo difendere, se lei consente, onorevole Presidente.

Concludo dicendo che, ferma restando la mia convinzione di proporzionalista, oggi c’è l’ordine del giorno Nitti, ed è questa norma, la quale è stata approvata dalla Camera, che io e tutti dobbiamo rispettare.

L’onorevole Piccioni ha offerto ora questo argomento: va bene, l’ordine del giorno Nitti è stato approvato, però non è un articolo della Costituzione, è un ordine del giorno che è stato approvato in una seduta in cui vi erano pochi deputati presenti. Con ciò forse, oggi che vi sono molti presenti, dobbiamo modificare quella deliberazione? (Rumori – Proteste al centro).

Allo scopo di non portare all’infinito il fatto personale, io lo tronco qui, facendo presente che moltissime altre orecchie, anche non tesserate del mio partito, hanno udito perfettamente quello che ho udito io; e cioè che una disposizione od un ordine del giorno vale un giorno perché c’è un certo numero di deputati e non vale più un altro giorno. (Commenti al centro).

Voci. Chiusura!

PRESIDENTE. Domando se la proposta di chiusura è appoggiata.

(È appoggiata).

La pongo in votazione, riservando la facoltà di parlare all’onorevole Basile, al quale era già stata concessa.

(È approvata).

BASILE. Onorevoli colleghi, obbligo di liste e obbligo di voto non sono libertà di voto.

Voi ci dite: questo è il collegio uninominale, e poi ci presentate il congegno delle liste?

Io sono il primo ad ammettere che questo sistema rende inevitabile l’obbligatorietà del voto. Persino in un paese educato politicamente come il Belgio la proporzionale costrinse a introdurre il voto obbligatorio.

Ma non è questa la condanna del progetto?

Poiché in politica non si vive di astrazioni, le istituzioni politiche nella storia devono aver radice nei fatti. L’idea proporzionalista, nata fra le minoranze etniche che non potevano essere rappresentate altrimenti, era rispondente in certi paesi a situazioni storiche e politiche locali. Fiamminghi e valloni, nel Belgio, tedeschi, italiani, ladini e francesi in Svizzera, slavi, cechi e tedeschi in Cecoslovacchia non potevano che scegliere il sistema proporzionale. Guardiamo ora all’Italia. Io invito tutti alla ragione dei numeri. In Italia, con la proporzionale e il voto obbligatorio, circa otto milioni di elettori si sono astenuti dalle urne. I numeri sono fatti. Guardiamo i fatti: il vostro congegno delle liste. Qui si fa un primo scrutinio occulto, lontano dagli elettori, fuori del loro controllo, fra i candidati, che affrontano mille manovre, più o meno tortuose, trasferendo la lotta dal sole all’ombra, nell’interno di quelle fucine o cucine elettorali che manipolano le liste. Conseguenza inevitabile sarà la creazione di numerosi piccoli gruppi obbligati a collegarsi, a imparentarsi, per via di transazioni e adattamenti che fanno perdere ai candidati la loro autonomia, la loro fisionomia.

La mancanza di coesione fra questi gruppi turba la formazione dei partiti nell’ambito della Regione e nel Parlamento impedisce la formazione di un Governo stabile.

So bene che non convincerò tutti, ma il vostro progetto, obiettivamente, manca di unità di concezione, di omogeneità, è pieno di espedienti, di compromessi, è complicato, è macchinoso. Poi rende costosa la campagna elettorale, specie nelle circoscrizioni vaste.

Il collegio uninominale invece è un’idea semplice. L’elettore sceglie liberamente il candidato e non la lista, la scelta è di una estrema spontaneità.

Io sono certo che noi avremo il consenso dell’immensa maggioranza degli italiani, se daremo all’elettore il diritto di scegliere il candidato che riscuota la sua fiducia, che rappresenti le aspirazioni, la voce di 200.000 abitanti.

Questo serve ad avvicinare l’eletto agli elettori. Alla Camera dei Comuni, infatti, il deputato non è indicato col suo nome, ma col nome del suo collegio; c’è il deputato di Bristol, di Londra, di Liverpool, ecc.

Il collegio uninominale è per esperienza storica il più adatto per formare due partiti; uno al Governo e uno all’opposizione, in grado di bilanciarsi a vicenda.

Se vi è un forte scarto di superiorità pel partito vittorioso, ciò permette una certa stabilità di Governo.

Ma, nel funzionamento pratico, anche l’esistenza di un terzo partito come il partito laburista in Inghilterra non modifica il sistema della bilancia dei partiti.

L’alleanza dei due partiti più deboli contro il più forte è un rimedio anche per questo timore.

Perciò infondata è la preoccupazione di mancanza di continuità e di oscillazioni nei pubblici poteri perché i gruppi si equilibrano in una diagonale, in una forza intermedia destinata a svolgere una insostituibile funzione di centro, equilibratrice, capace di evitare eccessi nelle azioni e nelle reazioni. Il vostro sistema anzitutto è impopolare. Per far risparmiar tempo all’Assemblea, non parlo delle complicazioni aritmetiche di tutto il sistema, sono disposto a riconoscere che con una tavola di logaritmi e una macchina calcolatrice si può facilmente applicarlo.

Ma io voglio trascurare gli aspetti minori e riassumo il problema in una domanda: l’elettore preferisce di votare per un nome o per una lista? Questo progetto interpreta i bisogni del Paese, i desideri degli elettori? Voi stessi non negate il vostro pensiero trasparente: per voi, il progetto è una necessità parlamentare.

Ora, io credo che i parlamenti debbano essere l’espressione dei bisogni del Paese, non ho mai sentito dire che il Paese debba subire le necessità dei parlamenti. Ci fu un tempo in cui le necessità dei governi si imponevano ai paesi e ciò chiamammo tirannide.

Qui si giuoca di scherma. Abolite il collegio uninominale riducendo i voti di preferenza a uno. Louis Blanc fece il contrario quando parlava del congegno delle liste. Egli diceva: noi presentiamo una lista di 20, 30 nomi in cui non dimenticheremo mai di includere il nome di Monsieur le Maire, Monsieur le Curé e gli altri nomi saranno accettati da tutti.

Ma questo è il collegio plurinominale.

Che cosa volete voi?

Estendere al Senato il sistema proporzionale della Camera; ma non si possono eleggere due Assemblee con lo stesso sistema. Una delle due Camere sarebbe superflua.

Il principio già accolto della bicameralità esclude questa soluzione. Ma ci sono altre ragioni per escluderla.

Io ho già dimostrato in quest’Aula che la proporzionale accresce il prepotere dei partiti: l’opinione che io difenderò non è dunque improvvisata.

Volete estendere questa tirannia anche all’elezione del Senato? I dirigenti dei partiti diventeranno onnipotenti, i veri arbitri delle elezioni e i candidati, con la camicia di Nesso della disciplina di partito, resteranno nel loro letto di Procuste, senza libertà e senza personalità, un numero, un voto nei loro gruppi politici.

È il popolo che elegge i migliori, non i partiti.

I partiti, in cui vi sono talvolta pochi despoti e molti schiavi, tendono alla scelta dei più conformisti, anziché ¡ maestri e i capitani scelgono spesso gli allievi, i soldati. È il rovesciamento della selezione e i partiti diventano chiese, caserme.

Col vostro sistema basta eleggere tre o quattro capi-gruppo e questo porta all’abolizione del Parlamento; è una riflessione che lascio al vostro apprezzamento. Onorevoli colleghi, l’uomo di Stato deve adattare i postulati tecnici alle necessità pratiche, una riforma deve ispirarsi alle vere condizioni politiche del Paese e non alle astrazioni.

Tutto il perno della questione consiste nel vedere se le necessità del Paese impongano di acuire l’attrito, il conflitto dei partiti o non sia piuttosto conveniente di attenuarlo.

Forse, la gran massa del Paese, che cammina per la sua strada, è tranquilla, mostra più saggezza di noi che pretendiamo dirigerla.

Oggi, tutti i partiti, tutti gli uomini politici potrebbero accordarsi su un minimo denominatore comune: i problemi della ricostruzione. E poi ricominceremo a lottare, riprenderemo a odiarci con tutta l’asprezza delle divisioni di parte, se non sapremo far di meglio. Ma oggi, ricostruiamo.

Gli anglo-sassoni, che sono un popolo pratico, fanno i programmi elettorali ponendo la soluzione di quattro o cinque problemi: e per loro se una legislatura li risolve è una benemerenza.

Lasciate che per ora almeno gli elettori, non i partiti, scelgano gli uomini che debbono risolvere i problemi urgenti della vita italiana.

Qualcuno ripete che questo sistema rende più personale la lotta politica e che gli eletti restano troppo vicino all’elettore che chiede influenze politiche presso i Ministeri le cui sorti dipendono dal voto del deputato.

Ma qui non è in giuoco il sistema, è il costume politico.

Se l’unico argomento per combattere il collegio uninominale si riducesse al desiderio di elevare la lotta di persone a lotta di idee, io domanderei come mai gli elettori che hanno votato per ottanta anni a scrutinio uninominale, abbiano eletto uomini così insigni e così superiori agli interessi locali e uomini di tutti i partiti, di minoranza e di opposizione.

Ciò che costituiva la caratteristica della Camera italiana era che, pur divisa in partiti, in gruppi, all’interno di questi gruppi gli uomini di cui ciascuno ebbe il suo fascino rappresentavano una gamma di competenze, di personalità che riproduceva le varietà multiformi che la natura ha dato alla terra e al genio italiano.

E questi uomini erano eletti nonostante che fossero legati, come voi dite, a interessi elettorali locali, personali, a interessi di sollecitatori di vantaggi privati che non guardavano oltre il campanile, oltre il breve orizzonte municipale. Ma quale differenza non c’è oggi fra il collegio ristretto di quaranta anni or sono con poche migliaia di elettori e il collegio di duecentomila abitanti, col suffragio universale?

Qui mi addentro in un tema pericoloso. Vorrei ricordare che, quando si discusse la estensione del suffragio in Germania, un filologo trovò che la lingua tedesca possiede oltre centomila parole e che mentre il pensiero di un agricoltore si esprime con trecento parole, un laureato di Heidelberg ne usa cinquemila e un oratore del Reichstag diecimila.

Aggiungeva che la più perfetta scuola dei sordomuti, che allora era quella di Berlino, insegnava tremila parole per cui l’elettore rurale era dieci volte meno capace di idee di un sordomuto.

Il criterio è erroneo per desumere la capacità politica dell’elettore, perché l’elettore non deve scegliere un programma di Governo, né pronunziare un giudizio sulle grandi questioni politiche. Né, del resto, l’Accademia dei Lincei e gli accademici di Francia hanno mai aspirato al Governo politico, perché il Governo non è un’accademia di scienze.

L’elettore designa gli eletti e questa scelta si effettua nell’attrito vivissimo delle discussioni, delle emulazioni, delle influenze che si svolgono durante le elezioni, in cui si esaltano tutte le facoltà e le attitudini degli elettori. Questa capacità, che è più estesa che non si creda, si avvicina quasi alla spontaneità dell’istinto.

Gli stranieri dicono che in ogni italiano c’è un poco di Machiavelli. Tolto quel che vi può essere di meno benevolo in quest’espressione, non c’è forse popolo in cui l’istituto politico sia sviluppato come nel popolo italiano. Lasciamo perciò, senza preoccupazione che l’elettore possa scegliere nell’ambito del collegio uninominale che rende più vicini i legami fra elettori ed eletto e dà una base così viva alla rappresentanza politica.

Il collegio uninominale, dunque, non è un’incognita che noi introdurremo nel nostro organismo politico, mentre conosciamo gli inconvenienti della proporzionale col regime dei partiti, in cui la crisi è permanente. E ne volete la prova?

Volete permettermi di citare l’esempio che ci offre il Paese dove è nata la proporzionale? L’anno scorso nel Belgio si è cercato di formare successivamente un Governo di sinistra, un Governo di destra, un Governo di unanimità. Volete altri esempi? Guardate ciò che è avvenuto in Francia: è l’esempio più recente. E per non abusare degli esempi, voglio citarne uno ultimo, che mi pare il più convincente. Pensate a quello che è avvenuto in Italia; si è fatto un Governo di sinistra, poi un Governo di destra, poi si è tentato di costituire un Governo di centro, di centro-destra, e di centro-sinistra. Ma è il verdetto elettorale che permette di scegliere queste diverse combinazioni? No, la Nazione è estranea a ciò che è la decisione politica più importante, quella che porta il Paese su una strada o su un’altra.

Questa legge ha il peccato originale di voler mantenere la proporzionale per consolidare il predominio politico dei partiti; tutto ciò a prezzo della libertà dell’elettore. Per far ciò, vi ponete in straziante contraddizione con voi stessi. Se infatti vi costringiamo a confessare che volete abolire l’ordine del giorno Nitti, che reca pure la mia firma, la più modesta di tutte, che stabilì il principio del collegio uninominale, invocate l’articolo 57 della Costituzione. L’articolo 57 dice che il Senato della Repubblica è eletto a base regionale. Dunque, col sistema proporzionale, voi dite. Ma così interpretandolo, mentre volete arbitrariamente dedurre che il principio uninominale sarebbe anticostituzionale, annullate il voto del 7 ottobre, ma confessate che il vostro sistema non è uninominale. Per fare passare poi il vostro sistema per proporzionale, ci dite che esso è uno dei tipi di collegio uninominale, il che sarebbe come dire che ci possono essere due tipi di sesso maschile.

Io non voglio prolungare questo dibattilo spiacevole. Credo che saremo d’accordo su un punto: il voto politico è uscito dalle più memorabili lotte civili, ma non esistono diritti se non in quanto siano pieni, efficaci.

Se il cittadino ha acquistato il diritto politico dell’elettorato, che è un diritto non una funzione, voi non potete limitarlo, non potete renderlo obbligatorio. Bisogna attrarre il cittadino alla vita pubblica, destando l’interesse dell’assente e dell’indifferente, col dare all’elettore la sensazione che il suo voto influisce sulla elezione. A questa esigenza risponde il collegio uninominale, in cui cresce l’importanza e il valore del singolo voto.

Non è il voto obbligatorio, ma la partecipazione spontanea degli elettori alla vita politica, che accresce l’autorità delle Assemblee. Non è il congegno delle liste che lascia libertà all’elettore. E se è vero che la natura di un governo rappresentativo prende forma dalla legge elettorale, perché sono due termini che si condizionano a vicenda, questa legge ha non minore importanza della Costituzione. Un Governo è formato dal sistema elettorale perché il primo compito dei rappresentanti politici è quello di formare un governo: nell’aula inglese, i senatori cambiano di posto a destra e a sinistra del presidente, quando cambia il ministero.

Onorevole colleghi, questa discussione ci costringe a fare un esame di coscienza: una riforma come questa non ha bisogno soltanto della volontà del potere legislativo, richiede l’adesione della coscienza pubblica.

L’onorevole Baccarini diceva una volta ai suoi elettori: Il Governo ha abolito l’imposta sul macinato, ha abolito il corso forzoso e ora vi dà la riforma elettorale: che volete di più? Oggi purtroppo l’elettore potrebbe dire amaramente: abbiamo ancora l’imposta sul macinato e abbiamo il corso forzoso, non vogliamo la vostra legge elettorale.

Concludo. L’Assemblea ha già deciso, ha già deliberato di adottare il collegio uninominale per l’elezione del Senato, ma qui dove le deliberazioni e le discussioni non hanno importanza, io ho poca speranza di essere ascoltato, anche se per caso vi avessi convinto. Io credo però che se una nuova maggioranza approvasse questo progetto, commetterebbe un abuso di potere. La storia della formazione dello Stato, ci insegna che in principio vi fu la forza, a cui si sentì bisogno di porre dei limiti e il limite fu la legge. Ma la legge deve obbedire a un precetto etico: il diritto. Se le maggioranze che fanno le leggi, vìolano questo precetto e dimenticano che sovrano non è lo Stato, ma il diritto, le maggioranze diventano ancora l’arbitrio, la forza. Io ho sempre detestato l’arbitrio. Il limite dei poteri delle maggioranze è la ragione, è la giustizia. La maggioranza riferita al numero è un trono che si rovescia col numero: è la minoranza di domani. Questa legge è un errore, il Paese non vi capisce; in quest’ora melanconica, alla fine di quest’Assemblea, io vi dico: farete come vorrete, ma non abusate della vostra forza. Se questa legge passasse, ci resterebbe un conforto, sterile conforto, quello di aver fatto il nostro dovere. Ma voi stessi rimpiangereste l’allucinazione di questa intemperanza, di questo delirio di onnipotenza.

Una volta un re di Francia, disse: lo Stato sono io. No, lo Stato non siamo noi, lo Stato è il paese, è il popolo italiano. (Applausi).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Mastino Pietro in sostituzione del relatore della maggioranza.

MASTINO PIETRO. L’onorevole Gullo, per ragioni di evidente delicatezza, data la situazione che si è venuta a creare, ha ritenuto opportuno dichiarare alla Commissione che desiderava essere sostituito quale Relatore per la maggioranza. E la Commissione, accogliendo questo suo desiderio, ha pregato me di sostituire l’onorevole Gullo. Questo è il motivo per il quale parlo io in questo momento.

E parlerò molto brevemente, per una serie di ragioni pure evidenti: una, rappresentata dal fatto che vi è una relazione scritta di maggioranza, l’altra, che una parte delle considerazioni che, a sostegno del progetto di maggioranza della Commissione, possono essere presentate, è superata dal fatto che si riferiscono ad una serie di articoli che noi abbiamo già o nella formulazione proposta dalla maggioranza della Commissione o con nuove formulazioni, approvati.

Devo brevemente dire per quali ragioni la maggioranza della Commissione insiste nel proprio progetto, vi insiste per ragioni di sostanza e per ragioni di forma, intendendo dire con la parola «forma», ragioni di rispetto della Costituzione.

Io ho poc’anzi ascoltato con attenzione, con la maggiore attenzione, l’oratore di parte democristiana che ha parlato per ultimo e che ha giustificato non tanto il progetto di minoranza – ché questo sarà compito dell’onorevole Mortati – quanto la linea seguita dal suo partito. Ed ho trovato che con facilità egli ha potuto avanti all’Assemblea affermare come il suo partito, in definitiva, si riannodi oggi a quelli che sono i principî tradizionali proporzionalistici del partito stesso. E su ciò io devo convenire. In definitiva, si è detto a questo punto, che, se vi è taluno che non oggi, ma prima, si scostò dalle proprie direttive programmatiche in materia, questo non è il partito democristiano.

Ma questo a noi non può interessare minimamente. Si è ancora detto come lo scopo cui si vuole arrivare col progetto di minoranza – per brevità lo chiamerò progetto Mortati – sia soprattutto quello di giungere ad una maggiore giustizia distributiva elettorale, e anche questo è senza dubbio un nobile fine. Ma tutto questo non riguarda la sostanza della questione, che è questa: se la Costituzione sia stata o no violata, o meglio, possa essere o no violata con l’eventuale approvazione di un sistema il quale, anziché di collegio uninominale, ci presenti le forme di un sistema proporzionale. Questo è il punto.

Io non sono fuori dalla relazione della maggioranza della Commissione, in quanto ho già permesso che noi abbiamo creduto nostro obbligo procedere alla stesura di un progetto, che rispettasse la Costituzione. Noi, con ciò, credemmo di adempiere al maggiore fra i nostri doveri, rappresentato dall’ossequio e dal rispetto assoluto verso la Costituzione, che stabilisce il sistema uninominale per le elezioni al Senato.

È però innegabile che non si è neanche tentato da parte avversaria (e non lo ha tentato neanche l’ultimo oratore), non si è neanche tentato di sostenere che quel progetto, che chiamo di minoranza, sia a base uninominale. Si è riconosciuto implicitamente che quel progetto è un progetto proporzionalista.

Quale fu la portata dell’ordine del giorno Nitti risulta dal resoconto stenografico della seduta dell’8 ottobre scorso.

L’onorevole Gronchi ebbe, allora, chiaramente a dire: «Quelli che, come noi, pensano che gli ordini del giorno Nitti e Giolitti siano vincolativi soltanto per questa Assemblea, e cioè che le elezioni, rispettivamente per la Camera dei deputati e per la Camera dei senatori, debbano avvenire l’una col sistema proporzionale, l’altra col sistema uninominale, sostengono il principio che non sia utile né l’una norma del sistema proporzionale né l’altra del sistema uninominale nella Costituzione. Gli altri che sostengono di introdurre nella Costituzione le due norme, pensano che si debba costringere le future Camere ad una revisione della Costituzione in sede di pura e semplice discussione della legge elettorale. La questione è così: non ci sono né truffe, né retropensieri, né altre diavolerie».

Quali sarebbero queste diavolerie o retropensieri, se non il proposito precostituito che veniva attribuito fin da allora al partito dell’onorevole Gronchi di giungere a violare la sostanza dell’ordine del giorno Nitti, attraverso eventuali nuove votazioni?

Quindi, per bocca dell’onorevole Gronchi, troviamo l’interpretazione autentica (per lo meno nei confronti del suo partito) di quello che fu l’ordine del giorno Nitti del 7 ottobre.

Vi fu, poi, la parola del Presidente dell’Assemblea, che io cito, onorevoli colleghi, non solo per l’autorevolezza che promana dall’altezza del posto da lui occupato, ma perché nessuno di noi (per lo meno io) può presumere di poter dire in forma più precisa e – direi – lapidaria quello che fu consenso comune di tutta l’Assemblea in quel giorno.

Disse il Presidente: «Onorevoli colleghi, mi pare che tutta la discussione non si sarebbe fatta se la proposta iniziale dell’onorevole Moro fosse stata del tenore delle ultime considerazioni dell’onorevole Gronchi. Ma, a quanto mi è parso di sentire, l’onorevole Moro aveva, invece, fatto la proposta che si rivotasse sopra le affermazioni singole contenute nell’ordine del giorno Nitti. Ed è attorno a questa proposta dell’onorevole Moro, che era stata già accompagnata da una espressa dichiarazione di voto, che si è venuta sviluppando tutta la discussione. È evidente che, se non si fosse così messa in dubbio la validità della decisione presa dall’Assemblea Costituente con la votazione dell’ordine del giorno Nitti, nessuno avrebbe parlato; solo la preoccupazione che si pensasse, forse da parte di ciascuno, di rimettere in votazione cose che non possono essere più votate, ha portato innanzi tutta questa discussione».

«Cose» – diceva allora il Presidente dell’Assemblea – «che non possono essere più votate»! E quello che, secondo la sua autorevole parola, non poteva essere più posto in discussione e tanto meno votato, era il contenuto dell’ordine del giorno Nitti, affermante che la votazione per la seconda Camera, vale a dire per il Senato, debba avvenire sulla base del collegio uninominale e non col sistema proporzionale.

Parmi, quindi, che, quando la maggioranza della Commissione approvò un progetto che regola le elezioni per il Senato, uniformandosi nettamente al criterio e al concetto della uninominalità, abbia perfettamente adempito al proprio obbligo, perché vi avrebbe veramente mancato se avesse sostituito il proprio parere a quello che era stato il parere chiaro manifestato dall’Assemblea. D’altra parte, onorevoli colleghi, non occorre che io dica a voi che i concetti espressi nei deliberati dell’Assemblea non stanno solo nella dizione, direi, materiale e nella formulazione estrinseca. Vi sono le discussioni, vi sono i voti, vi è il consenso comune manifestato e consacrato nei documenti, cioè nei verbali delle discussioni, che conferiscono significato, valore, spirito ad una determinata decisione. È concetto vecchio questo: che le leggi si hanno da interpretare nella loro sostanza e nel loro spirito.

Ora, mi domando: è un fatto vero o no che tutta la stampa, indipendentemente da ragioni di partito, e che ciascuno di noi ebbe a riconoscere ed a dichiarare che era ormai punto superato e stabilito questo: che la votazione dovesse per la seconda Camera avvenire, onorevoli colleghi, in base al collegio uninominale? Io non discuto oggi sul fatto che il collegio uninominale possa o no rappresentare il mezzo perché la seconda Camera non sia una ripetizione della prima. Potrei però fare mio questo argomento. Non rispondo neanche all’osservazione fatta poco anzi, secondo la quale oggi i collegi elettorali sarebbero diversi territorialmente. Penso che questa eccezione, fatta da parte avversaria, possa essere giusta solo ad una condizione: che si perpetuino le divisioni volute con quelle tabelle, di fronte alle quali noi abbiamo dovuto protestare; ma quando si proceda ad una opportuna revisione delle tabelle, che tenga conto non solo del calcolo numerico degli elettori, ma del contenuto e della natura organica che devono avere i corpi elettorali, noi faremo sì che il Senato abbia traverso il collegio uninominale, una fisionomia nuova e diversa da quella della prima Camera.

Questi, d’altra parte, non sono concetti miei. Io non appartengo a quel partito che per bocca del suo maggiore rappresentante fin dal periodo dei lavori avanti la Commissione dei settantacinque… manifestò la necessità che alle elezioni della seconda Camera si giungesse in base ad un metodo diverso da quello seguito per la prima Camera, in quanto così si sarebbe potuto riuscire ad ottenere che la seconda Camera non fosse un doppione della prima. Parmi, onorevoli colleghi, che io verrei meno alla promessa fatta sul principio, vale a dire quella di essere breve, se io a questo punto non credessi di dover chiudere questa mia relazione.

Mi permetto solo di dire questo: che le critiche che noi facciamo – e non occorre che la mia parola ripeta modestamente quanto in modo validissimo è stato oggi da più oratori affermato – non tendono a legare, come si è detto poc’anzi, la libertà d’azione dell’Assemblea, quasi che noi ci si ponga in contrasto con i criteri di democrazia e coi criteri di libertà, ma la nostra critica è diretta a porre in evidenza che l’Assemblea affermò di già, approvando l’ordine del giorno Nitti, che la elezione dei senatori debba avvenire col sistema uninominale, e lo disse in un modo così chiaro che non tollera di essere travisato da votazioni che, comunque, volessero dargli interpretazioni diverse. (Applausi – Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Relatore della minoranza, onorevole Mortati.

MORTATI, Relatore per la minoranza. L’evidente impazienza dell’Assemblea mi indurrebbe a rinunciare a parlare, tanto più che mi pare che la questione sia stata ampiamente dibattuta. Mi limiterò quindi a dire poche parole, proponendomi di mettere la questione su un terreno di concretezza. In sostanza, qui siamo in presenza di due tipi di progetti; uno è il progetto, chiamiamolo così, della maggioranza (che adesso non credo sia più maggioranza) a tipo uninominale puro, e uno diverso, in cui rientrano il progetto del Governo e quello presentato a nome della minoranza, i quali tentano un contemperamento fra il principio uninominalistico ed il principio proporzionalistico. Ora, prima di dimostrare come questo contemperamento si sia cercato di attuare, prima di dimostrare come le proposte nostre siano suscettibili di ulteriori modificazioni che le avvicinino di più al tipo del collegio uninominale, prima di passare a questa dimostrazione, io vorrei ribadire ancora una volta quello che è stato detto con molta efficacia dall’onorevole Piccioni, circa le ragioni che ci hanno indotto a trovare questo contemperamento di cui parlavo. Le ragioni sono molto serie, sono molto gravi ed io devo rilevare che nessuno degli oratori che ha parlato in contradittorio con noi le ha esaminate da vicino. Ho sentito parole grosse: prepotenza, slealtà, ecc. ma nessuno si è presa cura di confutare queste nostre osservazioni circa l’opportunità politica di attuare un sistema uninominale puro. Le critiche che sono contenute nella mia relazione, contrariamente a quanto ha inteso l’onorevole Rubilli, non sono critiche astratte al sistema uninominale puro: sono critiche a questo progetto di collegio uninominale che ci viene presentato, e sono critiche relative alla composizione speciale dell’organo e alla situazione che si verrebbe a determinare applicando il congegno elettorale che ci viene proposto. Noi abbiamo sostenuto che il collegio uninominale non trova possibilità di applicazione felice quando il numero dei collegi sia molto ristretto. Duecento collegi sono troppo pochi perché questo congegno uninominalistico funzioni bene. Io avrei capito che gli uninominalisti si fossero battuti per introdurre il collegio uninominale per la Camera dei deputati, poiché è indubbio che, per un’Assemblea di circa 600 membri, i risultati potrebbero essere molto più soddisfacenti, per la possibilità che operino le combinazioni compensative che equilibrano nel complesso i risultati stessi.

Inoltre, la Costituzione ha imposto che questi collegi siano formati in proporzione di uno per duecentomila abitanti. Se noi adottiamo il metodo uninominale puro, la composizione demografica dei collegi assumerebbe una vera e propria rilevanza costituzionale. Quindi è inesatto che, secondo quanto ha sostenuto or ora l’onorevole Mastino, sia da procedere ad un rimaneggiamento delle circoscrizioni, onde fare venire meno le obiezioni rivolte al sistema proposto. Il numero dei 200.000 diventa un vincolo non superabile, che il legislatore deve osservare nella composizione dei collegi, sicché si corre il rischio che questa composizione sia tale da non corrispondere a nessuna reale esigenza: dando ai collegi carattere artificioso, con correlativa disfunzione del sistema uninominale, costretto a muoversi in questo ambito. C’è un’altra anomalia: il fatto di regioni che hanno un numero minimo di deputati, il che importa una differenziazione fra collegi che raggiunge in certi casi dimensioni assai alte, fino a tre volte. Ma una tale diversità voluta dalla Costituzione, se può utilmente realizzarsi di fronte a collegi regionali, viene ad alterare profondamente il funzionamento del sistema uninominale, quando questo si voglia mantenere nella sua assolutezza.

C’è un altro elemento sul quale nessuno si è fermato: la necessità di procedere, quando si accolga il progetto della maggioranza, a seconde elezioni; sia che si accetti il sistema del ballottaggio sia quello della ripetizione dell’elezione con gli stessi candidati. È molto probabile che, dato lo sparpagliamento dei voti, la moltiplicazione delle candidature, fenomeno caratteristico dei sistemi uninominalistici dove, come in Italia, non ci sono grandi partiti che raccolgano la massa degli elettori, si dovrà procedere alla seconda votazione su una scala molto ampia. E il ricorso alla convocazione dei comizi quando già è reso noto l’esito delle elezioni della Camera dei deputati, può produrre gli inconvenienti che ho indicato nella mia relazione, e che non ripeto.

C’è infine un’altra considerazione: quella che discende dalla norma della Costituzione relativa alla base regionale. Essa è stata già fatta dall’onorevole Piccioni. L’onorevole Martino ha creduto di confutarla, dicendo che non era esatto che con tale espressione si sia voluto esprimere la necessità di collegare la Regione con l’organizzazione statale, facendola rappresentare come tale nel Senato.

Faccio osservare all’onorevole Martino che egli ricorda male. Ho sott’occhi i verbali delle sedute del 7 e 8 ottobre, da cui risulta che la contestazione fra una parte e l’altra dell’Assemblea si agitava su questo obietto: se cioè alle parole «base regionale» si dovesse dare il semplice significato di circoscrizione regionale e cioè di semplice circoscrizione elettorale; o invece un significato più profondo e penetrante: quello di un collegamento organico, di natura costituzionale tra l’ordinamento regionale ed un ramo del Parlamento.

Sulla base di una siffatta contrapposizione di opinioni si è venuti ad un voto per appello nominale, che ha portato a questa conclusione: di approvare il concetto della base regionale, respingendo così il senso restrittivo di puro e semplice ambito o circoscrizione elettorale. E ricordo che proprio in quella sede, cioè quando si trattò di precisare la portata e le possibilità di applicazioni pratiche di quel concetto di base regionale, ci fu chi espressamente fece riferimento alla combinazione fra metodo uninominale di elezione e scrutinio regionale, cioè a qualche cosa di assai vicino a quello che ora è stato proposto.

Faccio osservare altresì che questo collegamento organico fra Regione e Senato è stato sempre sostenuto in tutte le discussioni che si sono fatte sulla riforma regionale, da quanti abbiamo voluto l’ordinamento regionale. Tutti ci siamo trovati d’accordo nell’esigenza che la riforma regionale avesse il suo sbocco, il suo coronamento, il suo fastigio proprio nella funzione rappresentativa che il Senato doveva assumere delle varie Regioni. Questa è stata sempre la portata che si è voluta attribuire alla riforma regionale nel campo dell’organizzazione costituzionale. E ricordo che uno dei regionalisti più convinti, che prese parte alle sedute della Commissione dei settantacinque, l’onorevole Lussu, proponeva di chiamare il Senato «Camera delle Regioni». Quindi, l’interpretazione che demmo, e che la maggioranza dell’Assemblea approvò, dell’espressione base regionale, corrisponde al concetto che venne sempre affermato, e che non troverebbe la sua realizzazione con il collegio uninominale puro, perché evidentemente questo è destinato ad esaurirsi in sé stesso, e non può trovare alcuna possibilità di espansione oltre il suo ambito.

È per ultimo da ricordare che l’adozione di un sistema uninominale puro, su base maggioritaria o minoritaria, reca in sé fatalmente, come ha eloquentemente rilevato l’onorevole Piccioni, il pericolo di porre la Camera eletta con tale sistema in una contrapposizione di orientamento politico con l’altra Camera, uscita da un’elezione su base proporzionale.

Ed a questo proposito vorrei ricordare all’onorevole Targetti, acerbo critico del progetto di minoranza, che egli è uno dei firmatari dell’ordine del giorno votato all’inizio della discussione sul sistema bicamerale; ordine del giorno, nel quale è detto che i gruppi di sinistra accettavano il principio bicamerale, solo in quanto fosse posto a fondamento di esso una composizione della seconda Camera tale, da rispecchiare, nella sua fisionomia politica complessiva, quella della prima Camera. Adesso l’onorevole Targetti ha cambiato opinione; ma la sua opinione e quella del suo Gruppo sono state sempre nel senso da me rilevato.

E noi ci siamo preoccupati, come ha ricordato l’onorevole Piccioni, precisamente di questo grave pericolo, che si verificherebbe, ove si ponessero le condizioni per lo spiegarsi di una netta differenza di composizione politica delle due Camere.

Queste, dunque, sono state le ragioni, innegabilmente assai serie, che ci hanno indotti a cercare di trovare dei temperamenti al sistema uninominale, quale è proposto dalla maggioranza della Commissione.

Noi ci proponevamo questi scopi: di evitare la seconda elezione, per le ragioni dette; di evitare una contrapposizione politica fra le due Camere; di attenuare l’importanza delle sperequazioni fra i vari collegi; perché è evidente che, se ai singoli collegi elettorali non si dà quella autonomia costituzionale, che verrebbero a rivestire, quando si affermasse il principio uninominalistico puro, allora la loro entità demografica perde di importanza, perché essa si guarda nel quadro delle Regioni e non dei collegi singolarmente presi, e si rende possibile procedere a quel rimaneggiamento della loro composizione che consente di dar loro quella organicità, attraverso la quale il collegio uninominale può riuscire a funzionare bene.

Infine, ci proponevamo lo scopo di creare dei vincoli intercollegiali nell’ambito della Regione, sufficienti a dare significato concreto al principio della base regionale.

Ora, quali i mezzi che a voi si offrirono per raggiungere questi scopi?

Si è detto che il sistema da noi proposto non è un sistema misto, ma sistema proporzionale puro; il che è inesatto.

Sia nella prassi, sia nella dottrina, si dà a sistemi del genere di quello da noi proposto il nome di sistema misto. E quando si parla di sistema misto, si vuole intendere precisamente sistema, che contemperi il principio uninominalistico col principio proporzionalistico.

Io ho sott’occhio gli atti della Commissione per l’elaborazione della legge elettorale politica per l’Assemblea Costituente…

Una voce. Questa è dottrina.

MORTATI, Relatore per la minoranza. È una proposta pratica fatta dalla Commissione, in cui il sistema che si proponeva era analogo al nostro, e si qualificava appunto come misto.

BELLAVISTA. Citi qualche classificazione dottrinaria, che chiami questo sistema misto e non proporzionale. (Interruzione del deputato Rubilli).

MORTATI, Relatore per la minoranza. L’onorevole Rubilli mostra in questo momento di non avere sufficiente conoscenza dei sistemi elettorali.

Io ho presente la legge elettorale francese, del 1919, la quale riproduce quasi alla lettera il progetto che il Governo ha presentato.

COSTANTINI. Questo non è esatto.

MICHELI, Presidente della Commissione. Come non è esatto? L’onorevole Mortati ha il testo.

COSTANTINI. Dico che non è esatto.

BELLAVISTA. Citi il nome dell’autore.

MORTATI, Relatore per la minoranza. La legge elettorale francese prevedeva precisamente una prima elezione…

COSTANTINI. E poi una seconda elezione.

MORTATI, Relatore per la minoranza. …sulla base di una elezione maggioritaria; e quando non si raggiungeva il numero dei voti necessari a costituire la maggioranza assoluta, allora ricorreva ad uno scrutinio sulla base proporzionale col metodo dei maggiori resti.

COSTANTINI. Non è esatto.

MORTATI, Relatore per la minoranza. Qui c’è il testo della legge. Se il Presidente lo permette, leggerò gli articoli. Risulta dalla discussione preliminare a questa legge, che ebbe una lunga elaborazione, che essa fu il risultato di lunghe controversie fra gli uninominalisti ed i proporzionalisti, ed il sistema fu inteso appunto come mezzo di conciliazione dei due metodi elettorali. Se noi chiamiamo misto questo sistema, non è per fare degli escamotages, come diceva l’onorevole Lucifero, ma perché ci riannodiamo ad una tradizione, non solo dottrinaria, ma anche legislativa e pratica.

In che modo questo contemperamento è raggiunto? Quali elementi del sistema uninominale e quali del sistema proporzionale vengono accolti? Vorrei osservare pregiudizialmente che le proposte della minoranza della Commissione e quelle del progetto del Ministro dell’interno sono proposte suscettibili di svolgimento: affermano il principio del contemperamento, ma nulla toglie che l’Assemblea, affermato il principio, lo svolga ulteriormente e possa introdurre altri elementi uninominalistici, o che lo avvicinino ancora di più al congegno uninominalistico.

MARTINO GAETANO. Questo lo dovete far voi.

MORTATI, Relatore per la minoranza. Accennerò precisamente a qualcuno dei temperamenti ulteriori che si potrebbero attuare, se la maggioranza dell’Assemblea fosse di questa opinione, per realizzare più da vicino il contemperamento tra i due sistemi.

Cosa c’è del collegio uninominale? La libertà di scelta del candidato. Poi, si elimina la lista…

MARTINO GAETANO. Non è vero!

MORTATI, Relatore per la minoranza. Dicevo che si elimina la lista, nel senso che si consente, secondo la modifica che il nostro progetto proponeva rispetto a quello governativo, il collegamento anche con candidati di altri contrassegni: non c’è più il vincolo del contrassegno, ma vi è la possibilità di molteplici contrassegni che si colleghino. (Interruzioni a sinistra). C’è un ulteriore passo da compiere, ed è che si renda facoltativo il collegamento. Non so se finalmente il collega Martino sia contento.

MARTINO GAETANO. Contentissimo, ma non ci sarebbe nessuno che, non collegato, avrebbe la possibilità di essere eletto.

MICHELI, Presidente della Commissione. Forse questa possibilità mancherà a lei.

MORTATI, Relatore per la minoranza. Per fermarmi sugli elementi accolti dal progetto da noi presentato, dirò che uno dei principali vantaggi propri del sistema uninominale che si viene a realizzare è quello di eliminare la lotta fra candidati di uno stesso orientamento politico, che consegue invece ai sistemi plurinominali, quando essi comportano l’espressione del voto di preferenza. Nel sistema proposto in ciascun collegio non vi può essere che un solo candidato avente un distinto contrassegno. Pertanto uno dei più gravi inconvenienti della proporzionale viene evitato.

Si attua inoltre un collegamento diretto fra eletto ed elettore, che realizza l’aspirazione degli uninominalisti, e che è realizzabile in un ambito ristretto territoriale, qual è il collegio uninominale.

Si incoraggia altresì la maggiore affluenza alle urne, anche per la semplicità della manifestazione del voto. È ancora da aggiungere che i partiti, tenendo conto del collegamento diretto determinantesi fra elettori ed eletti, saranno obbligati a scegliere le personalità più rilevanti di quel collegio. Si raggiungono, insomma, gran parte dei vantaggi che gli uninominalisti attribuiscono al sistema da essi caldeggiato. Contemporaneamente si rende possibile realizzare alcuni vantaggi del sistema proporzionale. Così si consente di associare candidati, i quali hanno una certa affinità di idee e di interessi e quindi di trascendere, in un certo senso, l’ambito ristretto del singolo collegio, rendendo possibile, accanto alla manifestazione di scelta, promossa dall’apprezzamento della qualità della persona, anche la manifestazione di consenso a certe idee politiche. Inoltre, si realizza il risultato di utilizzare tutti i voti. Noi sappiamo che uno degli inconvenienti più gravi del collegio uninominale è quello di lasciare non utilizzate somme cospicue di voti, che molte volte possono essere i voti della maggioranza dei votanti, che rimane non rappresentata nell’Assemblea elettiva rappresentativa. Infine si raggiunge lo scopo di mantenere la legge in armonia con la Costituzione, attuando il collegamento regionale che, come poco fa dicevo, è un vincolo che ci viene dall’articolo 57, e che non possiamo dimenticare.

Ci sono naturalmente degli ostacoli al pieno spiegarsi dei risultati caratteristici del collegio uninominale, e di essi è parola anche nella relazione del Governo. Il Governo, infatti, nella sua relazione ha fatto rilevare che, con il sistema proposto, può accadere che rimangono dei collegi senza loro rappresentanti e degli altri che invece ne ottengono due. A questo riguardo è però da osservare che non è escluso che si possano trovare dei temperamenti, e ciò attraverso ad un’attenuazione del principio proporzionalistico, in modo che, quando si accerti una deficienza nella rappresentanza di un singolo collegio, si possa provvedere, deviando dalla rigida applicazione del metodo proporzionalistico. Per quanto personalmente pensi che non sia raccomandabile ricorrere a tale operazione per gli inconvenienti a cui si può dare luogo, non è escluso che, allo scopo di raggiungere un consenso più ampio sulla legge, ad essa si potrebbe anche arrivare. Credo tuttavia che il migliore mezzo per evitare l’inconveniente di cui ora faccio cenno, è quello affidato all’intelligente criterio dei vari partiti, e consistente nella scelta e nel collocamento dei candidati, secondo la base che essi hanno nei vari collegi. Un altro mezzo pratico per assicurare a tutti i collegi un rappresentante può esser quello delle candidature multiple.

Detto questo, dovrei ora procedere a qualche specificazione ulteriore, ma io credo che in questa sede ciò non sia opportuno. Bisognerà che l’Assemblea manifesti preventivamente il suo consenso al principio quale è stato genericamente da me formulato, salvo poi, nella discussione delle singole modalità di applicazione, a precisare il significato e il carattere, ricercando altresì le possibilità che potranno offrirsi di realizzare più compiutamente un sistema o l’altro dei due sistemi, che si cerca di riunire e di contemperare per quelle esigenze che ho già detto. (Applausi al centro).

LUSSU. Chiedo di parlare per fatto personale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. L’onorevole Mortati, nella sua relazione, ha citato il mio nome a proposito della proposta da me presentata alla Commissione circa la seconda Camera. Io debbo dire che il riferimento ad una mia affermazione, che ha fatto l’onorevole Mortati, è in parte vero ed in parte non rispondente totalmente alla realtà.

È vero che io presentai in sede di Commissione il seguente emendamento: «La seconda Camera è la Camera delle Regioni», è anche vero, ed il nostro Presidente lo ricorderà, perché anche egli era nella Commissione, che questo emendamento fu respinto. Fu in seguito, per dare un contenuto a questa esigenza regionalistica, che fu approvata invece l’altra formula: «Il Senato sarà eletto a base regionale». Ma è doveroso che io affermi che non fui affatto soddisfatto di quella soluzione, perché essa in realtà non diceva niente. Io ho il dovere di aggiungere che quella definizione, contenuta adesso nella Carta costituzionale, non dice in realtà niente.

Quando noi votammo quella definizione, intendemmo dire che mai una elezione elettorale avrebbe potuto avere una lista nazionale, come è nazionale la lista per la Camera dei deputati; con lista centrale in conseguenza. Debbo quindi dire che tutte quelle affermazioni in riferimento a questo punto di partenza valgono fino ad un certo punto. Ma debbo aggiungere per lealtà questo: io combattei in seno alla Commissione ed in seno all’Assemblea Costituente, nell’intervento che feci a proposito della seconda Camera, il collegio uninominale in modo così aspro, da provocare perfino una reazione, che considerai allora eccessiva, da parte del collega onorevole Porzio; e questo perché allora, in quel momento, pensavo che il collegio uninominale proposto fosse quello vecchio tipo, che noi tutti conosciamo, e che noi ritenevamo superato.

Non una voce si è elevata in questa Assemblea allora a chiarire che il collegio uninominale che si proponeva fosse un collegio aggiornato, per cui il superamento non esistesse più. Ora, in coscienza, è necessario ricordare come siamo arrivati a questa conclusione. (Commenti).

Voci. Chiusura! Chiusura!

PRESIDENTE. Prego l’Assemblea di restare tranquilla. Comunico che è pervenuta alla Presidenza la seguente richiesta firmata dagli onorevoli Reale Vito, Rubilli, Bozzi, Fusco, Martino Gaetano, Bellavista, Nasi, Pistoia, Paratore, Targetti, Candela, Villabruna, Stampacchia, Lussu, Lucifero, Russo Perez, Mastino Pietro, Patricolo, Abozzi, Venditti, Castiglia, Giannini, Costantini, Fogagnolo, Tega, De Michelis:

«I sottoscritti deputati, richiamandosi all’ordine del giorno Nitti-Togliatti approvato nella seduta del 7 settembre 1947 e alla deliberazione del 16 dicembre, con la quale l’Assemblea Costituente approvò la pregiudiziale sollevata dall’onorevole Cevolotto contro la presa in considerazione di una proposta dell’onorevole Perassi, secondo la quale la prima elezione del Senato doveva aver luogo secondo il sistema proporzionale, nonché alla deliberazione della Commissione parlamentare che restituì al Governo il progetto a base proporzionale, da esso presentato, perché non rispondente all’ordine del giorno Nitti-Togliatti, chiedono che sia dichiarato improponibile il testo del progetto di minoranza della Commissione parlamentare, che è contrario al sistema del collegio uninominale già approvato dall’Assemblea per la elezione del Senato della Repubblica».

L’onorevole Ministro dell’interno ha facoltà di esprimere sulla questione il parere del Governo.

SCELBA, Ministro dell’interno. Il problema della preclusione è stato ampiamente dibattuto dall’Assemblea Costituente, cosicché sarebbe fuori luogo aggiungere altre parole.

Penso che, allo stato delle cose, i deputati avranno già acquisita una loro particolare visione in ordine a questo problema. Anzitutto devo fare una precisazione, e cioè ricordare la data del disegno di legge, che è stato presentato dal Governo all’Assemblea Costituente: il disegno di legge porta la data 11 dicembre.

Faccio questa precisazione per rispondere all’affermazione categorica e perentoria fatta dall’onorevole Cevolotto, il quale, in occasione del suo discorso, affermò che il progetto governativo rappresentava un atto di sopraffazione della nuova maggioranza parlamentare. Anzitutto, il disegno di legge che sta davanti all’Assemblea Costituente non ha nessun riferimento con l’attuale maggioranza parlamentare.

Una seconda osservazione di carattere preliminare: il compito, che il Governo si è assunto in questo particolare problema della legge elettorale, risulta chiaramente definito dalle prime parole della relazione che accompagna il disegno di legge e che mi permetto di rileggere all’Assemblea:

«L’articolo 3 del decreto legislativo 16 marzo 1946, n. 98, attribuisce alla competenza sovrana della Costituente l’approvazione delle leggi elettorali.

«Il Governo rendendosi parte diligente nella elaborazione di un disegno di legge per l’elezione del Senato – così come ha fatto per la Camera – ha avuto di mira di mettere l’Assemblea Costituente in condizioni di discutere e decidere, sottoponendo proposte concrete nate dal vaglio critico dello studio e dell’esperienza».

Si tratta, quindi, di una collaborazione di ordine tecnico che il Governo ha fornito all’Assemblea Costituente, senza che questo assumesse un valore impegnativo per chicchessia.

Tuttavia, esiste ed è stato presentato all’Assemblea un problema di preclusione. La preclusione è una questione giuridica, e una questione giuridica può essere politica nello sfondo, ma non può essere un problema del Governo. Spetta pertanto all’Assemblea Costituente decidere sull’esistenza di essa o meno.

Per quanto mi riguarda, tuttavia, devo dire che esiste un progetto presentato, che porta il mio nome, e quindi devo esprimere la mia opinione in ordine alla preclusione. Il fatto stesso che il Governo ha presentato questo progetto di legge significa implicitamente che il Governo ha ritenuto che esso non contrastasse con l’ordine del giorno Nitti; diversamente il Governo non avrebbe presentato il progetto in questi termini.

Tutto il problema della preclusione si innesta sull’interpretazione da dare all’ordine del giorno dell’onorevole Nitti…

MASTINO PIETRO. La preclusione riguarda il progetto Mortati, non quello governativo.

SCELBA, Ministro dell’interno. No, riguarda il progetto governativo: la discussione è sorta in occasione dell’esame dell’articolo 7 del progetto di legge governativo. Se la questione si è spostata da questo articolo, rinuncio alla parola e mi riservo di esprimere in seguito la mia opinione. Ma la discussione si è iniziata stamane sull’articolo 7 del disegno di legge governativo e a questo articolo è stato opposta, da parte di alcuni rappresentanti dell’Assemblea, l’eccezione che il disegno di legge contrastasse con l’ordine del giorno Nitti. Credo che anche l’onorevole Nitti fosse di questa opinione.

Comunque, se il problema della preclusione riguarda il progetto della minoranza, io mi riservo di esprimere la mia opinione sul problema della preclusione (Interruzione del deputato Targetti) perché spetta all’Assemblea Costituente come tale di decidere la questione, che è di ordine squisitamente giuridico.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Desidero solo dire che insisto nella richiesta che la questione sia definita dalla Presidenza.

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Mi permetto di osservare che qui si tratta di un grave problema che involge non soltanto un principio regolamentare, ma una questione squisitamente costituzionale.

Per questo, riterrei di mancare di rispetto al Presidente Terracini se non si aspettasse la sua guarigione, o per lo meno se il Presidente Terracini non fosse interpellato in materia.

È questo che chiedo.

PRESIDENTE. In questo momento, onorevole Russo Perez, presiedo io… (Vivi, prolungati applausi al centro e a destra).

È grave compito quello al quale debbo in questo momento adempiere e mi dolgo che non sia a questo posto il nostro Presidente, onorevole Terracini, il quale è costretto a letto da una lieve indisposizione.

Io mando a lui, interpretando il sentimento di tutta l’Assemblea, l’espressione reverente dell’Assemblea, con l’augurio e la speranza che prestissimo egli possa essere di nuovo fra noi. (Vivi applausi).

Io non avrei voluto avere, onorevoli colleghi, la responsabilità del compito che mi impone il Regolamento. Questa mattina, in occasione di analoga circostanza, ho rimesso la decisione di una questione all’Assemblea. Ho udito parlare qui di dispotismo della maggioranza. Sono io pure, come tutti, del parere che non debbono esservi prevalenze eccessive anche in procedimenti legittimi, e credo che i poteri personali debbano essere ridotti nella maggior misura possibile: naturalmente anche quelli presidenziali.

Debbo però compiere il mio dovere. L’articolo 89 del Regolamento reca:

«Non si potranno riprodurre sotto forma di emendamenti o di articoli aggiuntivi gli ordini del giorno respinti nella discussione generale, nel qual caso può sempre essere opposta la pregiudiziale».

Ora, onorevoli colleghi, è stato ampiamente detto, nella discussione odierna, che la discussione generale è stata fatta e che da essa risulta, opposte alle proposte della minoranza, deliberazioni precise dall’Assemblea.

Che del resto questa discussione sugli articoli sia stata preceduta dalla discussione generale fu già detto dal Presidente Terracini, quando ricordò che tutti i deputati erano stati d’accordo che non si dovesse inserire nel testo costituzionale l’indicazione specifica del sistema di elezione, ma avevano approvato un ordine del giorno Nitti che indicava il collegio uninominale come base del sistema elettorale per il Senato della Repubblica.

La discussione generale – aggiunse il Presidente Terracini – si è poi ripetuta nell’Assemblea, sia pure in scala ridotta, in occasione della presentazione di un ordine del giorno dell’onorevole Perassi ed altri in cui – fermo l’impegno che il Senato normalmente fosse eletto a sistema uninominale – si proponeva che per il primo Senato fosse applicata la stessa legge elettorale della Camera dei deputati. Una prima votazione su questo ordine del giorno non raggiunse il numero legale. Successivamente l’onorevole Cevolotto sollevò la pregiudiziale che l’ordine del giorno non poteva essere accettato in quanto contrastante con una precedente deliberazione dell’Assemblea e tale pregiudiziale fu posta in votazione ed approvata.

Io debbo allora osservare il disposto dell’articolo 89 del Regolamento e mi corre pertanto l’obbligo di risolvere la questione. Vi ho pensato molto, onorevoli colleghi, e ho ascoltato tutti i discorsi di coloro che sono intervenuti e mi sono fatto carico della grave responsabilità. Io ritengo che sussista la preclusione, e che si debba passare senz’altro all’esame dell’articolo 7 nel testo presentato dal Governo.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Su che cosa?

DOMINEDÒ. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il Presidente dell’Assemblea ha richiamato l’articolo 89… (Commenti – Interruzioni).

Una voce. È già deciso!

PRESIDENTE. Onorevole Dominedò, si compiaccia di non insistere, perché non posso ammettere una discussione su quello che è stato già deciso.

DOMINEDÒ. Perdoni, signor Presidente, io non sollevo questioni personali.

PRESIDENTE. Non è possibile, onorevole Dominedò, le sarei grato se non insistesse.

DOMINEDÒ. Signor Presidente, io mi guardo dall’insistere, perché lei sa quanto io sia rispettoso del Regolamento e delle autorità costituite. Pertanto non elevo commenti sulla decisione presa, ma mi permetto di sottoporre alla Presidenza e all’Assemblea la espressione della voce di un deputato, il quale con ciò stesso formula la manifestazione di un diritto, sul quale l’Assemblea può e deve esprimersi. E il diritto che il deputato in questo momento sottopone alla Presidenza e all’Assemblea è il seguente: che, anche sussistendo un problema di preclusione – come il Presidente ha detto a termini dell’articolo 89 del Regolamento, secondo comma – non ci pare che la decisione nel merito sulla fondatezza o non del problema stesso, proposto formalmente come preclusione, possa essere presa dalla Presidenza (Commenti a destra e a sinistra), in quanto il titolo, la potestà di decidere in merito non spetta anche secondo l’articolo 93 che all’Assemblea. (Commenti). Questo dichiaro in nome del rispetto reciproco e in omaggio alla democrazia. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. Devo farle osservare, onorevole Dominedò, che, prima che la Presidenza assumesse il grave carico di risolvere il quesito, ella poteva fare queste osservazioni, e non le ha fatte.

DOMINEDÒ. Vuol avere la bontà, signor Presidente, di concedere la sospensione della seduta per breve tempo?

PRESIDENTE. Questa proposta può essere accolta dalla Presidenza.

(La seduta, sospesa alle 18.55, è ripresa alle 19.25).

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. Onorevoli colleghi, l’articolo 7 e seguenti contengono una serie di disposizioni che sono condizionate o subordinate alla soluzione che viene data dall’Assemblea Costituente al problema centrale regolato dagli articoli 18 e 20 del disegno di legge governativo.

Come sapete, nel disegno di legge governativo è previsto il collegamento e la proclamazione dell’eletto che al primo scrutinio raggiunge una determinata maggioranza. Nel caso che nessuno raggiunga questa maggioranza, l’articolo 20 prevede un particolare metodo, che, peraltro, potrebbe non essere accettato dall’Assemblea, la quale potrebbe preferire il sistema del ballottaggio, proposto dalla maggioranza.

Propongo pertanto di passare alla discussione degli articoli 18 e 20 per fissare i criteri fondamentali sulla proclamazione degli eletti dopo di che potremo discutere gli altri articoli.

RUBILLI. Chiedo di parlare per mozione d’ordine.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUBILLI. Noi innegabilmente dopo un ampio dibattito che si è svolto per parecchi giorni ci troviamo oggi di fronte a una nuova svolta e ad una nuova fase della discussione che si inizia dopo la deliberazione presidenziale.

Io chiedo, non so se esprimo soltanto un mio pensiero e dei miei colleghi liberali, o interpreto anche i sentimenti e i desideri di tutti gli altri colleghi, che di fronte a questa nuova base vi siano almeno ventiquattro ore di tempo per poterci orientare, per potere presentare degli emendamenti, per organizzare le nostre proposte.

PRESIDENTE. Onorevole Rubilli, ritengo che l’Assemblea non abbia bisogno di riflettere ancora su questo problema e concordi invece sulla opportunità di proseguire nella discussione. (Segni di consenso).

Passiamo pertanto all’esame dell’articolo 18. Se ne dia lettura nel testo del Governo.

RICCIO, Segretario, legge:

Titolo V.

DELLE OPERAZIONI DELL’UFFICIO ELETTORALE CIRCOSCRIZIONALE

Art. 18.

«L’ufficio elettorale circoscrizionale, costituito ai termini dell’articolo 7, procede con l’assistenza del cancelliere alle operazioni seguenti:

1°) effettua lo spoglio delle schede eventualmente inviate dalle sezioni;

2°) somma i voti ottenuti da ciascun candidato nelle singole sezioni come risultano dai verbali.

«Il presidente dell’ufficio elettorale circoscrizionale, in conformità dei risultati accertati, proclama eletto il candidato che ha ottenuto un numero di voti validi non inferiore alla metà più uno del numero dei votanti.

«Dell’avvenuta proclamazione il presidente dell’ufficio elettorale circoscrizionale invia attestato al senatore proclamato e dà immediata notizia alla segreteria del Senato nonché alla prefettura o alle prefetture nelle cui circoscrizioni si trova il collegio, perché, a mezzo dei sindaci, sia portata a conoscenza degli elettori.

«L’ufficio elettorale circoscrizionale dà immediata notizia della proclamazione del senatore eletto all’ufficio elettorale regionale».

PRESIDENTE. Sono stati presentati vari emendamenti. Il primo è quello dell’onorevole Lucifero:

«Al secondo comma, alle parole: 40 per cento, sostituire: 50 per cento più uno».

Ha facoltà di svolgerlo.

LUCIFERO. Ritiro il mio emendamento.

PRESIDENTE. Sta bene.

MAZZEI. Chiedo di parlare a nome della Commissione.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAZZEI. La Commissione, data la situazione completamente ed improvvisamente mutata, chiede che la seduta sia sospesa, per avere la possibilità di esaminare gli emendamenti.

PRESIDENTE. Onorevole Mazzei, questa sera l’Assemblea si limiterà ad ascoltare lo svolgimento che degli emendamenti faranno i rispettivi presentatori.

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. Onorevoli colleghi, con la decisione presa dal Presidente è stata dichiarata la preclusione per quanto riguarda il progetto della minoranza. Rimangono davanti all’Assemblea pertanto il progetto governativo e quello della maggioranza della Commissione. Non vedo perché si debba rinviare la discussione, dato che nessun fatto nuovo è avvenuto.

Chiedo che la discussione continui sul testo del Governo con tutti gli emendamenti che i singoli deputati hanno fin qui proposto.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare a nome della Commissione.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. La Commissione è d’accordo con quanto ha dichiarato il Ministro.

PRESIDENTE. Sta bene. Proseguiamo nell’esame degli emendamenti.

Gli onorevoli Stampacchia e Carpano Maglioli hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Il presidente dell’ufficio elettorale circoscrizionale, in conformità dei risultati accertati, proclama eletto il candidato che ha ottenuto un numero di voti validi non inferiore al 40 per cento».

L’onorevole Stampacchia ha facoltà di svolgerlo.

STAMPACCHIA. L’ora ed il nervosismo dell’Assemblea mi impongono di essere breve. L’emendamento presentato da me e dal compagno Carpano pel Gruppo socialista è di una evidente chiarezza. Fummo spinti a proporlo dalla speranza che potesse servir di base ad un compromesso con le diverse parti dell’Assemblea. In seno alla Commissione, nella prima riunione dichiarai a nome del mio Gruppo che noi non pensavamo affatto che il progetto Scelba dovesse senz’altro rifiutarsi. Esso potrà essere base di discussione per modificarlo magari con emendamenti più o meno radicali. Perché a me parve – mi riferisco sempre al mio Gruppo – che il progetto Scelba non fosse in completo ed assoluto contrasto ed antitesi con il collegio uninominale, essendo fuori discussione che esso stabilisce preliminarmente che coloro che raggiungono un certo quorum debbano essere proclamati al primo scrutino o, dirò meglio, ad una prima cernita.

Solo coloro che non raggiungano tale quorum con le rispettive votazioni vengono messi insieme, nel progetto Scelba, e costituiscono una massa di voti sui quali – come nell’elezione pei deputati – si determinano e formano i quozienti. Però, e qui è la ragione dell’emendamento, per avvicinarci sempre più, o per meno distanziarci, dal carattere del collegio uninominale, ritenni dovessimo ridurre il quorum del progetto ministeriale, che a noi parve – com’è di fatti – esagerato. Più si riduce il quorum, e più si rende possibile la proclamazione a primo scrutinio di un certo numero di deputati, che secondo alcuni calcoli pare non possa essere mai inferiore, al 50 per cento.

Ho detto «primo scrutinio», e benché la frase non sia precisa, essa adopero per riferirmi alle operazioni demandante all’ufficio circoscrizionale. Questo è, dunque, il concetto ispiratore dell’emendamento: concetto ispiratore che, naturalmente, è connesso necessariamente al secondo emendamento nel quale si fa l’ipotesi che il candidato, nessun candidato del collegio, raggiunga il quorum. Io in verità, avevo proposto il quorum nella misura di un terzo dei voti validi, che ho poi portato nell’emendamento al 40 per cento in ossequio al pensiero della Commissione. Questa infatti decise unanime – ove non fosse stato il progetto Mortati – di poter ridurre il quorum al 40 per cento. Quindi, io insisto sul quorum del 40 per cento senza con ciò escludere che, in caso di intesa con gli altri Gruppi, si possa modificare il proposto quorum sino a raggiungere quella misura che potrà sembrare ai Gruppi la più idonea, la più rispondente alla inderogabile necessità, a che il collegio uninominale non sia negato e rinnegato da questa stessa Assemblea che in memorabili dibattiti e con larghi consensi lo volle e lo creò.

Oggi il collegio uninominale, per decisione del Presidente, rigido custode del Regolamento, dopo il tentativo di sopprimerlo fraudolentemente, risorge. Anche noi abbiamo dovuto insistere su l’eccezione di preclusione dei deliberati precedenti, che formano già legge; ma lo abbiano fatto, però, dopo che il mio Gruppo aveva messo in atto ogni sforzo ed ogni tentativo con la Democrazia cristiana, sino ad un’ora prima di questa riunione per persuaderla ad addivenire ad amichevole intesa con noi, ad un accomodamento: cioè di discutere sul progetto Scelba, e non su quello dell’onorevole Mortati che il collegio uninominale rinnega in pieno. La Democrazia cristiana ha creduto di respingere la mia proposta e la mia offerta; la quale – al fine di raggiungere l’accordo ed evitare l’acceso ed aspro dibattito cui abbiamo assistito – si spingeva perfino ad accettare il quorum proposto nel progetto del Ministro onorevole Scelba, e cioè il 51 per cento. Ora quale che sia la sorte riserbata al mio emendamento, una cosa è certa: che la Democrazia cristiana, accesa da spirito di faziosità, non ha visto il pericolo cui andava incontro di subir l’onta cioè che le fosse solennemente rinfacciato – col giudicato del Presidente – il tentativo di volere violare la legge. Ed ora noi torniamo a discutere del progetto Scelba, che – non so perché tanto tardivamente – è stato sconfessato dalla Democrazia cristiana. Così e forse perciò il Ministro Scelba, al quale ieri comunicai il nostro proposito di volere discutere sul suo progetto, mi parve che, come Saturno, fosse già deciso a rimangiare la sua creatura: se volente o nolente non seppi giudicare. L’emendamento Dossetti – che in questo momento viene opposto al mio – ritenta l’avventura di sopprimere il collegio uninominale.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento degli onorevoli Candela, Reale Vito e Villabruna:

«Sostituire il testo della Commissione col seguente:

«Qualora nessun candidato sia stato eletto nella prima votazione, il presidente dell’ufficio elettorale centrale proclama il ballottaggio tra i due candidati che abbiano ottenuto il maggior numero di voti validi. Nel caso in cui due o più candidati abbiano conseguito lo stesso numero di voti validi, entra in ballottaggio il più anziano di età.

«Alla elezione di ballottaggio si procede nella seconda domenica successiva a quella della votazione».

L’onorevole Candela ha facoltà di svolgerlo.

CANDELA. Lo mantengo ed aggiungo che la preclusione vale anche per la seconda parte del progetto Scelba. (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Candela, bisogna presentare proposte precise.

CANDELA. Presenterò la proposta per iscritto.

PRESIDENTE. Sta bene. Rimandiamo allora ad un secondo momento lo svolgimento del suo emendamento.

L’onorevole Basile propone il seguente emendamento:

«Aggiungere il seguente comma:

«Qualora nessun candidato raggiunga il numero di voti necessario per la proclamazione, si procede al ballottaggio fra i due candidati che abbiano ottenuto il maggior numero di voti validi».

Ha facoltà di svolgerlo.

BASILE. È abbastanza chiaro; rinunzio pertanto allo svolgimento.

PRESIDENTE. L’onorevole Dominedò ha proposto il seguente emendamento:

«Sostituire alle parole: metà più uno dei votanti, con le altre: 51 per cento degli elettori iscritti».

Ha facoltà di svolgerlo.

DOMINEDÒ. Rinunzio allo svolgimento e mantengo l’emendamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Dossetti ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire alle parole: metà più uno del numero dei votanti le parole: sessantacinque per cento dei votanti».

Ha facoltà di svolgerlo.

DOSSETTI. Questo emendamento ha lo scopo di garantire che colui il quale verrà proclamato eletto a primo scrutinio risulti eletto in base a una maggioranza consistente, al fine di ovviare al grave inconveniente e pregiudizio che viene arrecato agli altri candidati i cui voti vanno perduti nel complesso regionale. Naturalmente prevedo quali obiezioni potranno essere sollevate, ed in parte sono già state sollevate, contro questa proposta. Non credo però, tanto per mettere un po’ le mani avanti, che possa essere rinnovata la tesi della pregiudiziale testé proposta, perché, quali che siano le conseguenze che noi ricaviamo dall’applicazione di questo emendamento, è però certa una cosa: che l’emendamento, così come si presenta, ha semplicemente il risultato di accertare questa maggioranza. Non implica nessuna conseguenza, per sé, quanto al sistema, tanto più se non si procede in base ad un metodo teorico di sistema uninominale aprioristico, ma si ammette – come non si può non ammettere – che il sistema uninominale sia costretto in base alle determinazioni che stiamo prendendo.

PRESIDENTE. L’onorevole Caronia ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire alle parole: del numero dei votanti quelle: del numero degli elettori iscritti».

Ha facoltà di svolgerlo.

CARONIA. Il significato di questo emendamento è chiaro. Si vuole assicurare veramente che l’eletto sia l’espressione della maggioranza reale.

REALE VITO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

REALE VITO. Con l’emendamento Dossetti, presentato per ottenere che si ritorni su di una evidente preclusione, si verifica un tentativo di modificare è di contorcere l’articolo 18 del progetto ministeriale. Il progetto ministeriale, riferendosi a quello che è il concetto comune e conosciuto del collegio uninominale, per cui si era eletti tutte le volte che si otteneva la metà più uno dei voti validi, ha integralmente riprodotto questo concetto. I colleghi democristiani tornano di nuovo all’offensiva per tentare, per vie traverse, di combattere, ancora il collegio uninominale che gran parte di questa Assemblea e che il Presidente hanno dichiarato come l’unico metodo di votazione per il Senato (Rumori al centro – Interruzione del deputato Uberti).

MOLÈ. Non si può sostenere un’opinione? (Rumori al centro).

REALE VITO. I democristiani, che aspirano all’onore di diventare fascisti senza manganello… (Vivaci proteste al centro – Scambio di apostrofi fra i deputati Uberti e Reale Vito).

PRESIDENTE. La prego, onorevole Reale, di attenersi alla materia dell’articolo.

REALE VITO. Voi siete stati al potere con Mussolini! (Vivaci proteste al centro).

Io ho votato contro di lui! Voi avete dato i pieni poteri a Mussolini. (Prolungati rumori al centro – Interruzioni dei deputati Gronchi e Piccioni).

PRESIDENTE. Onorevole Reale, io non posso consentirle di uscire dall’argomento per inscenare una polemica.

REALE VITO. Onorevole Presidente, mi consenta di dirle che lei ha il dovere di farmi parlare.

UBERTI. Ma non quello di offendere!

PRESIDENTE. Onorevole Reale, io ho anche il dovere di richiamarla all’argomento.

REALE VITO. L’articolo 18 tenta di precisare quello che è stato sempre il collegio uninominale, e chi dice collegio uninominale dice sistema maggioritario, cioè la proclamazione con la maggioranza più uno dei voti validi favorevoli. La Commissione ha già preso in esame questo punto sostanziale e, tenuto conto del fatto che, dai tempi del collegio uninominale a oggi, è aumentato notevolmente il numero dei partiti che partecipano alla lotta politica, ha portato il quorum al quaranta per cento. Io propongo che sia limitato al trentacinque per cento dei voti validi e su questa proposta chiederò la votazione a scrutinio segreto.

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Vorrei ricondurre la discussione ai suoi elementi essenziali. Ricordando i precedenti in materia, durante i lavori della Commissione proposi che fosse dichiarato eletto colui che avesse riportato il maggior numero dei voti, cioè la maggioranza relativa. La mia proposta fu respinta. Successivamente fu approvata dalla Commissione la proposta che bastasse il venticinque per cento. Ma, dopo di essere stata approvata, la proposta fu rimessa in discussione, ci si incominciò ad arrampicare per le scale e finalmente si arrivò al quaranta per cento. A quest’ultima proposta tutta la Commissione, non soltanto la maggioranza, diede voto favorevole (Proteste al centro). Ora propongo che il quorum non sia superiore al trenta per cento e mi associo a quanto ha detto l’onorevole Vito Reale.

PRESIDENTE. Qual è il parere della Commissione su queste proposte relative al quorum per la eleggibilità a primo scrutinio?

MICHELI, Presidente della Commissione. Evidentemente gli emendamenti sono di vario genere, e la Commissione, se pure ha votato in una determinata seduta l’emendamento Stampacchia, e lo ha fatto proprio, a maggioranza, in questo momento non è concorde: alcuni sono per una cifra, alcuni per un’altra; pertanto la Commissione si rimette alle decisioni dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Qual è il parere del Governo?

SCELBA, Ministro dell’interno. Il Governo accetta l’emendamento Dossetti.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione. Al primo comma dell’articolo 18 non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione dandone ancora una volta lettura:

«L’ufficio elettorale circoscrizionale, costituito ai termini dell’articolo 7, procede con l’assistenza del cancelliere alle operazioni seguenti:

1°) effettua lo spoglio delle schede eventualmente inviate dalle sezioni;

2°) somma i voti ottenuti da ciascun candidato nelle singole sezioni come risultano dai verbali».

(È approvato).

Onorevole Dominedò, mantiene il suo emendamento al secondo comma?

DOMINEDÒ. Rinuncio al mio emendamento e mi associo a quello dell’onorevole Dossetti.

TARGETTI. Chiedo di parlare per una mozione d’ordine.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Signor Presidente, io chiedo a lei in primo luogo e chiedo anche alla indiscutibile buona fede di tutti i nostri egregi colleghi questo: se invece del sessantacinque per cento un emendamento proponesse il settantacinque, l’ottanta per cento, si sarebbe tutti d’accordo che si tratterebbe di un sistema elegante per eludere il collegio uninominale (Interruzioni al centro). Penso che la mia osservazione non deve essere destituita di fondamento, se provoca le interruzioni di molti colleghi.

PRESIDENTE. Onorevole Targetti, io desidero sapere in che cosa consiste la sua mozione d’ordine.

TARGETTI. Ora ci arrivo. Ho fatto questa premessa appunto perché apparisse subito la fondatezza della mia mozione d’ordine. Oltre un certo limite, oltre cioè il limite normale indicato dalla prassi e anche dal diritto, cioè il cinquanta per cento dei votanti, non ci si può spingere, perché quando si fissi un limite maggiore e tale che sia praticamente impossibile raggiungerlo, l’elezione col sistema maggioritario non può aversi. Si sarebbe dunque recitata una farsa quando si è riconosciuto, pochi minuti fa, l’obbligo di attenersi al sistema del collegio unoniminale (Applausi a sinistra – Rumori al centro). Si tratta di una condizione impossibile e quindi propongo che l’emendamento Dossetti che porta al sessantacinque per cento il minimo dei voti prescritto per la proclamazione non sia posto in votazione. (Proteste al centro).

PRESIDENTE. Onorevole Targetti, io non ritengo che quanto lei ha detto costituisca una mozione d’ordine. Lei ha fatto soltanto apprezzamenti intorno a una proposta; non posso pertanto riconoscere la mozione di ordine.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare per una mozione d’ordine.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Poiché, se non ho capito male, sono state fatte proposte per un quorum più basso, per esempio il trentacinque per cento, ritengo – e mi rimetto al parere del Presidente per la decisione – che debba essere messo per prima in votazione la proposta che contiene il quorum più basso.

PRESIDENTE. La precedenza nella votazione spetta anzitutto alla proposta che più si allontana dal testo base. Poiché l’articolo 18 prevede un quorum del cinquanta per cento, devo porre innanzitutto in votazione la proposta Dossetti, la quale chiede la elevazione del quorum stesso al sessantacinque per cento, allontanandosi di più, anche dal punto di vista concettuale, dalla proposta base. Comunico che su questo emendamento gli onorevoli Rubilli, Lucifero, Candela, Reale Vito, Martino Gaetano, Bozzi, Villabruna, Abozzi, Russo Perez, Paratore, Preziosi, Bellavista, Condorelli, Nasi, Colitto, Vallone, Patricolo, Rodinò Mario, Morelli Renato, Colonna hanno chiesto la votazione a scrutinio segreto.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Indico la votazione segreta sull’emendamento Dossetti, del quale do ancora una volta lettura:

«Sostituire alle parole: metà più uno del numero dei votanti le altre: sessantacinque per cento dei votanti».

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione e invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione segreta:

Presenti e votanti         370

Maggioranza                186

Voti favorevoli            243

Voti contrari                127

(L’Assemblea approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Adonnino – Aberganti – Alberti – Allegato – Ambrosini – Amendola – Andreotti – Angelini – Angelucci – Arcaini – Arcangeli – Assennato – Avanzini – Azzali.

Bacciconi – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basile – Bastianetto – Bazzoli – Bei Adele – Bellato – Bellavista – Belotti – Benvenuti – Bernamonti – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bruno – Bibolotti – Bitossi – Boldrini – Bolognesi – Bonino – Bonomelli – Bonomi Paolo – Bordon – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Braschi – Brusasca – Bubbio – Bucci – Buffoni Francesco – Burato.

Caccuri – Caiati – Camangi – Campilli – Camposarcuno – Candela – Cannizzo – Caporali – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carbonari – Carboni Angelo – Carboni Enrico – Carignani – Caristia – Caroleo – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Caso – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavalli – Cavallotti – Cerreti – Cevolotto – Chatrian – Chiarini – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cimenti – Clerici – Coccia – Colombi Arturo – Colombi Emilio – Colonna di Paliano – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corsanego – Cortese Pasquale – Costantini – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo.

Damiani – D’Amico – D’Aragona – De Caro Gerardo – De Gasperi – Del Curto – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Di Vittorio – Dominedò – Donati – D’Onofrio – Dossetti – Dozza.

Ermini.

Fabriani – Fantoni – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Ferreri – Fietta – Fiore – Fiorentino – Fioritto – Firrao – Foa – Fogagnolo – Foresi – Fornara – Franceschini – Fresa – Froggio – Fuschini.

Gabrieli – Galati – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Gatta – Gavina – Germano – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Ghidini – Giacchero – Giannini – Giolitti – Giordani – Gonella – Gorreri – Gortani – Gotelli Angela – Grassi – Grazia Verenin – Grieco – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jervolino.

Laconi – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Lazzati – Leone Francesco – Leone Giovanni – Lettieri – Li Causi – Lizier – Lombardi Carlo – Longo – Lozza – Lucifero – Lussu.

Macrelli – Maffi – Maffioli – Magnani – Malagugini – Maltagliati – Mancini – Mannironi – Manzini – Marazza – Marinaro – Marinelli – Martinelli – Martino Gaetano – Marzarotto – Massini – Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mattarella – Mattei Teresa – Mazza – Mazzei – Mazzoni – Medi Enrico – Mentasti – Merlin Umberto – Mezzadra – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molè – Molinelli – Momigliano – Montagnana Rita – Montalbano – Monterisi – Monticelli – Moranino – Morelli Luigi – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati – Moscatelli – Mùrdaca – Murgia – Musolino – Musotto.

Nasi – Negro – Nicotra Maria – Nitti – Nobili Tito Oro – Noce Teresa – Notarianni – Novella – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pacciardi – Pajetta Gian Carlo – Pallastrelli – Paolucci – Paratore – Parri – Pastore Raffaele – Patricolo – Patrissi – Pecorari – Pella – Pellegrini – Penna Ottavia – Perassi – Perlingieri – Persico – Pertini Sandro – Piccioni – Piemonte – Pignedoli – Pollastrini Elettra – Ponti – Pratolongo – Pressinotti – Preziosi – Priolo – Proia – Pucci.

Quarello.

Raimondi – Rapelli – Ravagnan – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Restagno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodinò Ugo – Rognoni – Romano – Romita – Roveda – Rubilli – Ruggeri Luigi – Rumor – Russo Perez.

Saccenti – Saggin – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Saragat – Sartor – Scalfaro – Scarpa – Scelba – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Francesco – Secchia – Segni – Sereni – Sforza – Sicignano – Siles – Silipo – Spataro – Stampacchia – Stella – Storchi.

Tambroni Armaroli – Targetti – Taviani – Tega – Terranova – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Togni – Tomba – Tonello – Tonetti – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi – Tripepi – Turco.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Veroni – Viale – Vicentini – Vigna – Vigo – Vilardi – Villabruna – Villani.

Zaccagnini – Zanardi – Zotta – Zuccarini.

Sono in congedo:

Cairo – Costa.

Lombardi Riccardo.

Orlando Vittorio Emanuele.

Valiani.

Si riprende la discussione del disegno di legge: Norme per l’elezione del Senato della Repubblica. (61).

PRESIDENTE. Pongo in votazione il terzo comma dell’articolo 18:

«Dell’avvenuta proclamazione il presidente dell’ufficio elettorale circoscrizionale invia attestato al senatore proclamato e dà immediata notizia alla segreteria del Senato nonché alla prefettura o alle prefetture nelle cui circoscrizioni si trova il collegio, perché, a mezzo dei sindaci, sia portata a conoscenza degli elettori».

(È approvato).

Passiamo al comma seguente:

«L’ufficio elettorale circoscrizionale dà immediata notizia della proclamazione del senatore eletto all’ufficio elettorale regionale».

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo che sia rinviata la votazione di questo comma.

PRESIDENTE. Sta bene. Se non vi sono osservazioni, così rimane stabilito.

(Così rimane stabilito).

GRONCHI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRONCHI. Mi permetto di far presente all’Assemblea la prossimità del termine dei nostri lavori. L’andamento della discussione avvenuta fin qui ci porta a prevedere che occorreranno almeno tre o quattro sedute per finire questa legge. Penso che la settimana ventura debba essere dedicata all’esame degli statuti regionali.

Noi proponiamo perciò formalmente che si tenga seduta domani domenica, almeno nella mattinata. (Commenti).

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Gronchi di tenere seduta nella mattinata di domani.

(Dopo prova e controprova, è approvata).

Il seguito della discussione è rinviato alle ore 9 di domani.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere quali gravi motivi lo hanno determinato a far occupare, per alloggiare delle forze di polizia, buona parte dei locali del Centro nazionale di emigrazione di Milano, mentre era facile, per tale alloggio, utilizzare caserme vuote o semivuote.

«L’interrogante chiede, altresì, se il Ministro si è reso conto e si rende conto che la detta occupazione ha impedito ed impedisce il regolare funzionamento d’un organismo di così vitale importanza con gravissimo danno dei nostri emigranti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Fiore».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere quale sorte subiranno le assuntorie delle piccole stazioni ferroviarie e cioè se verranno mantenute oppure verranno abolite per essere affidate in gestione solo a personale di ruolo, e questo per mettere i numerosi aspiranti assuntori presso le ferrovie in condizioni di sapere, una buona volta, se debbano o meno mantenere le loro aspirazioni oppure debbano decidersi a cercare altrove la possibilità di aprirsi una strada per la loro sistemazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Zuccarini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per sapere quali provvedimenti intenda prendere in favore dei vecchi bisognosi non pensionati. Esiste in Italia una categoria di persone che fra quante si trovano in indigenza può effettivamente essere considerata la più bisognevole di aiuto.

«Il loro numero per fortuna non è grande ma le condizioni economiche sono così gravi che solo la carità del prossimo e l’aiuto non sempre generoso dei parenti impedisce un triste spettacolo per il nostro Paese.

«Pare all’interrogante che il Ministro del lavoro e della previdenza sociale debba preoccuparsi di questa categoria di indigenti così come già hanno provveduto altri Paesi civili. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bertola».

«I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri della difesa e del tesoro, per sapere se non ritengano opportuno oltreché doveroso spostare la data dal settembre 1944 al mese di aprile 1944 per considerare lavoratori quegli ufficiali che prima di tale data erano fuori dai campi di concentramento tedeschi.

«Gli interroganti fanno notare che, ad esempio, nel campo di Oberlangen già dal 20 maggio 1944 centinaia di ufficiali italiani furono obbligatoriamente avviati al lavoro; inoltre, che questi ufficiali fecero tempo fa ricorso al Ministero della guerra documentando ampiamente la loro posizione e l’apposita Commissione disciplinare ritenne giusto il ricorso e tutti furono discriminati con ampia formula. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Bertola, Pastore Giulio».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro della difesa, per sapere se non intenda condonare la somma che i militari devono restituire e che le loro famiglie hanno ricevute quali anticipi durante il loro periodo di prigionia o di concentramento.

«Gli interroganti fanno presente che di tale anticipo hanno beneficiato anche le famiglie – dislocate a nord della cosiddetta linea gotica – di quei militari, i quali dall’8 settembre 1943 dovettero provvedere al sostentamento con i propri mezzi.

«Oggi gli stessi si trovano costretti a restituire una somma che più non hanno, tanto più che il distretto ha fatto emettere ricorsi per decreto ingiuntivo. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Pastore Giulio, Bertola».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per sapere se non ritenga opportuno intervenire a favore di quegli ex lavoratori, che essendo stati posti in quiescenza quando non vigevano le attuali norme di previdenza sociale, ebbero una somma a titolo di liquidazione, somma che oggi, non che servire con modesto reddito a soddisfare alle più elementari necessità di vita, si è completamente esaurita data la svalutazione della moneta.

«Pare all’interrogante che in definitiva si tratti di situazione analoga a quella dei lavoratori pensionati che hanno diritto ad un aumento della pensione divenuta irrisoria. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Scalfaro».

«Le sottoscritte chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere se, conformemente all’articolo 51, primo comma, della Carta costituzionale che afferma: «Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di uguaglianza secondo i requisiti stabiliti dalla legge», verranno abrogate le due leggi fasciste: decreto-legge 1938, n. 1514 e regio decreto 29 giugno 1939, n. 898, in modo da abolire dalle norme dei bandi di concorso quelle disposizioni che limitano la parità di diritti delle donne. A titolo di esempio si fa riferimento ai bandi di concorsi pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale del 18 settembre 1947 (supplemento n. 219); del 29 settembre 1947, n. 223; del 7 ottobre 1947, n. 230 e del 10 novembre 1947 (supplemento n. 258). (Le interroganti chiedono la risposta scritta).

«Bei Adele, Montagnana Rita, Gallico Spano Nadia, Minella Angiola».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro di grazia e giustizia, sull’opportunità di promuovere un provvedimento inteso ad abolire l’attuale separazione dei ruoli dei giudici e dei pretori introdotta nel 1930, dato che già fin dal 1937 moltissimi pretori prestano servizio nei tribunali e nelle procure e dato che ne sono stati ammessi, senza alcun concorso, alle funzioni di giudici – con prospettive di ingresso in carriera – laureati in giurisprudenza, in base al decreto legislativo del 30 aprile 1946, n. 352.

«L’opportunità della predetta abolizione sembrerebbe inoltre manifesta per il fatto che i pretori sono stati ammessi a parità di condizione con i giudici al concorso per consigliere d’appello indetto con decreto ministeriale 31 dicembre 1947 e i nuovi concorsi per l’ingresso in magistratura non riguardano più gli uditori di pretura ma solo quelli di tribunale. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Persico, Paratore, Veroni, Carpano Maglioli, Nasi, Reale Vito, Gasparotto».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere se non intenda tutelare e difendere l’Amministrazione comunale di Marsala, liberamente eletta, annullando un’arbitraria e illegittima deliberazione di revoca. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Montalbano, Li Causi».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere innanzi tutto da quale fonte ha appreso che l’Amministrazione comunale di Ravanusa (Agrigento) non ha compiuto atti di faziosità o di irregolarità, mentre essa è responsabile di:

1°) non aver provveduto a fissare la data di apertura delle sessioni ordinarie del Consiglio comunale;

2°) non aver convocato detto Consiglio nella sessione autunnale del 1947;

3°) non aver provveduto alla presentazione del bilancio;

4°) non aver provveduto alla nomina dei revisori dei conti;

5°) aver imposto una tassa sui generi di consumo a beneficio di una commissione di privati, non nell’interesse del Comune;

6°) aver compilato faziosamente i ruoli delle tasse comunali;

7°) aver lasciato in giacenza ben mille stati di famiglia per uso assegni familiari;

8°) aver nascosto i risultati dell’inchiesta a carico del vice sindaco, Musso Antonino, denunziato all’autorità giudiziaria quale responsabile di violenza carnale e peculato;

9°) aver assunto arbitrariamente, quali impiegati, quattro elettori della democrazia cristiana, aggravando enormemente e senza alcuna ragione il bilancio comunale.

«In secondo luogo per conoscere da quale fonte ha appreso che non esistono ragioni di turbamento dell’ordine pubblico in Ravanusa col mantenere in vita quell’Amministrazione, essendo essa responsabile non solo di aver commesso atti faziosi e irregolari, ma anche di voler imporre la sua volontà settaria alla stragrande maggioranza della popolazione di Ravanusa. All’uopo basti ricordare che il prefetto di Agrigento nel dicembre scorso decise di nominare un commissario prefettizio in quel paese, per la necessità di assicurare non solo l’ordine pubblico, ma addirittura «il regolare funzionamento dei pubblici servizi».

«In terzo luogo, per conoscere se non intenda riesaminare la situazione dell’Amministrazione di Ravanusa – che non rappresenta la maggioranza, ma la minoranza di quel corpo elettorale – e procedere allo scioglimento di essa per le ragioni dianzi spiegate. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Montalbano, Li Causi, D’Amico».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro degli affari esteri, per conoscere quali pratiche intenda svolgere per far sì che i pescatori italiani e particolarmente quelli della costa occidentale della Sicilia possano tornare ad esercitare il loro lavoro su quelle coste tunisine che furono sorgente di ricchezza e di prosperità e che sono il campo naturale e tradizionale della loro attività produttiva. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Borsellino».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno trasmesse ai Ministri competenti per la risposta scritta.

La seduta termina alle 20.45.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 9:

Seguito della discussione del disegno di legge:

Norme per l’elezione del Senato della Repubblica. (61).

ANTIMERIDIANA DI SABATO 24 GENNAIO 1948

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCLXI.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI SABATO 24 GENNAIO 1948

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Congedo:

Presidente

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Norme per l’elezione del Senato della Repubblica (61).

Presidente

Morelli Renato

Targetti

Bellavista

Dominedò

Condorelli

Micheli, Presidente della Commissione

Scelba, Ministro dell’interno

Lucifero

Martino Gaetano

Piemonte

Togliatti

Giannini

Nitti

Votazione segreta:

Presidente

Risultato della votazione segreta:

Presidente

La seduta comincia alle 9.30.

MAZZA, ff. Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo il deputato Lombardi Riccardo.

(È concesso).

Seguito della discussione del disegno di legge: Norme per l’elezione del Senato della Repubblica. (61).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del disegno di legge: Norme per l’elezione del Senato della Repubblica (61).

Credo che sia opportuno esaminare gli articoli aggiuntivi proposti.

Gli onorevoli Vigna, Cosattini, Piemonte e Pat hanno presentato il seguente articolo aggiuntivo:

Art. …

«Gli emigrati per motivi di lavoro, che rimpatriano per le elezioni, hanno diritto al trasporto ferroviario gratuito dalla stazione di confine al comune in cui votano e viceversa».

Non essendo presente nessuno dei presentatori, si intende che abbiano rinunciato a svolgerlo.

Sono stati anche presentati i seguenti articoli aggiuntivi:

Art. …

«Per la prima elezione del Senato l’astensione ingiustificata dal voto è punita, oltre che con le sanzioni stabilite dall’articolo 84 del decreto legislativo luogotenenziale 10 marzo 1946, n. 74, con l’ammenda di lire 200, da applicarsi con le norme di cui nell’articolo seguente, per coloro che non siano iscritti nei ruoli dell’imposta complementare sul reddito, a di lire 2000 per coloro che siano iscritti nei detti ruoli».

Art. …

«Entro trenta giorni dalla scadenza del termine stabilito dal quarto comma dell’articolo 84 del decreto legislativo luogotenenziale 10 marzo 1946, n. 74, il prefetto invia a ciascun Comune della Provincia l’elenco nominativo degli elettori che hanno presentato ricorso contro l’inclusione nell’elenco degli astenuti dal voto e, nei 30 giorni successivi alla emanazione del decreto che decide sui ricorsi stessi, invia a ciascun Comune l’elenco nominativo dei ricorsi accolti.

«Entro trenta giorni dal ricevimento di ciascuna delle comunicazioni prefettizie, di cui nel comma precedente, il sindaco di ciascun Comune invia al pretore del mandamento l’elenco nominativo degli elettori inclusi nell’elenco degli astenuti e che non abbiano proposto ricorso o il cui ricorso sia stato respinto.

«Il pretore provvede all’applicazione della ammenda con decreto penale non impugnabile se non per errore nella persona».

«Morelli Renato, Monticelli, Cifaldi, Martino Gaetano, Candela, Preziosi, Villabruna, Crispo, Fusco, Rubilli, Spataro, Castelli Avolio, Benvenuti, Badini Confalonieri, Rescigno, Micheli, De Caro Raffaele».

L’onorevole Morelli Renato ha facoltà di svolgerli.

MORELLI RENATO. Onorevoli colleghi, i due articoli aggiuntivi che ho proposto in sede di discussione del disegno di legge per la elezione del Senato si risolvono in un emendamento alquanto più limitato di quello che proposi in sede di discussione della legge per la elezione della Camera dei deputati e che ritirai, per la richiesta fattane da colleghi del gruppo comunista, particolarmente dall’onorevole Togliatti, aderendo a che venisse rinviato il dibattito su questo punto.

Non infliggerò all’Assemblea una dissertazione sul così detto voto obbligatorio, per la semplice ragione che questo principio è stato introdotto nella Costituzione all’articolo 48 ed è stato riconsacrato nell’articolo 84 della legge per la elezione della Camera dei deputati, nella quale è anche prevista una sanzione, quella della menzione nel certificato di buona condotta della circostanza che l’elettore non ha votato, ed è stabilita tutta una procedura per l’accertamento delle ragioni che possono giustificare l’astenuto.

Mi pare tuttavia necessario richiamare l’attenzione dell’Assemblea su quel dibattito per il fatto che in esso affiorarono, nelle interruzioni di colleghi, due obiezioni, di cui la prima diretta ad affermare un contrasto fra la così detta obbligatorietà, del voto ed i princìpi liberali. Strana obiezione questa, quasi rivolta a contestare la legittimità politica della mia presa di posizione. Risposi che la dottrina liberale più recente respinge il principio del lasciar fare, ed è ispirata, oltre che all’ideale supremo della libertà, a quello della solidarietà sociale, che deve far avvertire l’importanza della funzione elettorale come di una funzione da esercitarsi nell’interesse pubblico.

Alla seconda obiezione, che fosse possibile impedire, con la così detta obbligatorietà del voto, un fenomeno legittimo come fenomeno politico, quello dell’astensione, io risposi che l’elettore rimane libero di astenersi dal voto, perché nell’urna può porre scheda bianca: e aggiunsi che questa forma di astensione ha un significato politico, in quanto non si presta ad equivocità di interpretazione, ma dimostra un dissenso dell’elettore da qualsiasi lista di candidati o, nelle elezioni con il collegio uninominale, da qualsiasi candidato. Viceversa il significato è equivoco, non più univoco, quando l’astensione può essere interpretata anche come un effetto di pigrizia, di infingardaggine, di assoluta indifferenza.

Liberato quindi il campo da queste obiezioni, aggiungerò che quello che si intende colpire con la sanzione pecuniaria lievissima da me proposta, è soltanto l’assenza dalle urne. Perché qui c’è un grosso equivoco, che affiora sempre nelle discussioni sul così detto voto obbligatorio – e ripeto così detto, perché inesattamente si ritiene che l’elettore debba votare: no, l’elettore può anche non votare. Quello che si vuole combattere, è soltanto il fenomeno di indifferenza che si traduce nel completo estraniarsi del cittadino dal consorzio civile, nel suo mancare all’appello, proprio quando il corpo elettorale, al quale appartiene, è chiamato a svolgere l’altissima funzione di esprimere la propria rappresentanza.

Vi dirò di più: che stabilire questo sistema di sanzioni, colpendo il cittadino che si astiene dal recarsi alle urne, significa voler assicurare la libertà assoluta dell’atteggiamento politico, anche se negativo, perché se l’astensione si manifesta con l’assenza dalle urne, essa è un fenomeno controllabile dall’esterno, e può essere la conseguenza di una intimidazione diretta o indiretta, mentre se ci si astiene dal voto ponendo una scheda bianca nell’urna, la segretezza è rigorosamente garantita.

E verrò a quell’accusa di partigianeria che viene rivolta ai sostenitori del così detto voto obbligatorio: si dice che esso favorirebbe un partito piuttosto che un altro. Questo non è esatto, e i colleghi di sinistra non mi faranno il torto di credere che, attraverso un’ammenda di duemila lire, io mi proponga di trascinare alle urne le duecento famiglie plutocratiche che, secondo la loro opinione, reggerebbero di fatto le sorti del nostro Paese. In realtà i ricchi pagherebbero l’ammenda senza risentirne alcun peso e, in ogni caso, anche votando, non sposterebbero la situazione elettorale. Viceversa, la sanzione pecuniaria, lieve com’è nella mia proposta, ha un altro scopo: quello di richiamare ad un dovere fondamentale ogni cittadino. Ricorderò in proposito il parere del Laski, capo del laburismo inglese, il quale ha dichiarato che l’obbligo della partecipazione al voto è un obbligo elementare ed ha auspicato che venga presto tradotto in disposizione di legge, e l’appoggio dato da un giornale liberale come il Manchester Guardian a questa tesi, che trova anche ampie rispondenze nella giuspubblicistica francese. Ed è spiegabile, perché in realtà questo del valore antidemocratico del così detto voto obbligatorio è piuttosto, come osserva lo scrittore repubblicano Orrei, un pregiudizio ereditato dal sistema elettorale censitario, quando cioè la gente che votava era soltanto la gente ricca.

E ancora mi rivolgo ai colleghi di sinistra per ricordare come durante la elaborazione preventiva del testo costituzionale, che fu oggetto dell’attività di apposite commissioni e sottocommissioni dipendenti dal Ministero della Costituente, di cui era a capo un socialista come l’onorevole Nenni, in uno dei numerosi volumi editi nell’occasione, un volume di legislazione comparata, fu consacrato un giudizio unanime della competente sottocommissione, composta di giuristi e di politici di ogni corrente: che il così detto voto obbligatorio dovesse essere considerato come un principio integratore della rappresentanza organica e quindi necessario al regolare funzionamento di una democrazia di massa.

Potrei anche richiamare quello che Giolitti, che non era un conservatore, notava circa la necessità di interessare alla vita politica le più larghe masse di elettori, evitando che alla determinazione della direzione politica concorresse soltanto una ristretta cerchia di persone. Il suffragio universale, il cui merito è rivendicabile ai liberali, non può produrre i suoi effetti se non si limita il fenomeno dell’assenza dalle urne, che in Italia assume aspetti preoccupanti.

Del resto, paesi dalla legislazione progreditissima, come gli Stati Uniti d’America, la Nuova Zelanda e, in Europa, la Svizzera, l’Olanda, il Belgio, la Francia, l’Austria, hanno accolto il principio del così detto voto obbligatorio. Ed in alcuni di questi Paesi, come il Belgio, dalle apposite sanzioni stabilite per l’assenza dalle urne hanno tratto vantaggio i socialisti. In realtà, quel fenomeno di apatia, di distacco dalla vita politica, è diffuso particolarmente nella media e piccola borghesia. Quei voti andrebbero a noi come a voi, andrebbero a tutti: andrebbero anche a voi, che siete attualmente orientati verso i ceti medi ed ascrivete a vostro orgoglio il far proseliti in quel settore sociale.

Ma passiamo alle obiezioni tecniche. Alcuni chiedono: queste sanzioni sono applicabili o sono, in realtà, inapplicabili? E potranno colpire efficacemente? Io risponderò che è una curiosa obiezione quella che l’obbligo del voto riguarda una generalità di cittadini ed essendo quindi violabile da molti, non può essere accompagnato da sanzioni, che resterebbero senza effetto pratico. Teoricamente si potrebbe proporre questa obiezione anche al Codice penale, perché ogni cittadino può delinquere, e se tutti o molti, fossero i delinquenti, le pene non si potrebbero più applicare.

Mi sono servito di un paradosso, ma potrei ricordare altri obblighi che riguardano vaste categorie, come quello della leva militare. È noto che in Italia il fenomeno della renitenza è stato molto diffuso. Come si farebbe a colpire migliaia, o diecine, o centinaia di migliaia di cittadini che eventualmente non si presentassero alle armi? Evidentemente si tratta del costume politico. Certe disposizioni sono dirette più che a punire, a educare. E una sanzione lieve, come quella che io propongo per la assenza dalle urne, più che avere un valore punitivo, ha un valore di richiamo al dovere elettorale, più che una coazione è uno stimolo.

Citerò un altro esempio, quello del pagamento delle imposte: teoricamente possono essere milioni di cittadini a non pagare le imposte e le tasse, eppure si applicano multe, si rendono più gravosi i pagamenti fatti in ritardo, e tutte queste sanzioni risultano efficaci.

Ma un esempio forse più calzante di tutti è quello del censimento. Il censimento somiglia un poco alle elezioni, perché in un certo senso è una interpellanza diretta a conoscere alcune caratteristiche del cittadino, non politiche, ma sociali. Ebbene, le leggi che dispongono un censimento, si rivolgono a vastissime categorie di cittadini. Se la gente non se ne preoccupasse, non si potrebbero fare più censimenti. Ma vi sono sanzioni che fanno rispettare gli obblighi relativi.

Si tratta quindi di rendere facilmente applicabili le sanzioni per l’assenza dalle urne. Ora, la procedura proposta con il mio emendamento è la più adatta, perché presenta ampiezza di termini e grande semplicità. Si trasmettono gli elenchi degli astenuti dal Prefetto al Sindaco e da quest’ultimo al Pretore, il quale provvede all’applicazione di una sanzione pecuniaria destinata a favorire quel progresso che consiste nella partecipazione attiva di tutti i cittadini alla vita della democrazia. Perché questo è il punto delicato: una democrazia non è tale, se non vi è la più ampia partecipazione dei cittadini. Ed anche qui mi rivolgo a quelli che sono pensosi della libertà, perché riflettano sulla gravità del fenomeno dell’astensionismo che rende neutre masse di elettori, assicurandone un’acquiescenza inespressiva a governi e parlamenti, che può celare una frattura fra gli organi costituzionali e l’opinione pubblica. Ed è appunto così che in Italia si spiegano le improvvise larghe adesioni a quei fuochi di paglia, che sono certi movimenti politici senza contenuto ideale e senza tradizione, o, peggio ancora, le adesioni improvvise a improvvisati dittatori che sappiano trarre profitto dal malcontento di quelli che non hanno una fede politica.

Viceversa, con la così detta obbligatorietà del voto, si tende a creare una responsabilità di coscienza per tutti: per chi ha dato il proprio voto a una lista o a un candidato, e per chi ha posto nell’urna scheda bianca, e si assicura così la democrazia, che deve essere sovranità di popolo e non dominio di una minoranza attiva, o se preferite, attivista, su una maggioranza inerte, lasciata nell’inerzia. (Applausi al centro e a destra).

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Onorevoli colleghi, noi abbiamo assistito con molto interesse alla disquisizione fatta sul voto obbligatorio dall’egregio collega onorevole Morelli, ma ci permettiamo di osservare che è stata una discussione gradita, sì, ma non egualmente, a parer nostro, utile, perché l’illustrazione del concetto del voto obbligatorio non può esercitare nessuna influenza sopra la preclusione che noi eccepiamo. Noi sosteniamo che la norma proposta dall’onorevole Morelli e dagli altri colleghi firmatari del suo emendamento è una norma che non può essere sottoposta all’approvazione dell’Assemblea per varie considerazioni. Noi potremmo dire che, se anche non vi fossero altre circostanze, altre ragioni da opporre, bisognerebbe chiedersi se un’affermazione di obbligatorietà del voto non andrebbe contro disposizioni già sancite nella Carta costituzionale. Quell’articolo 48 che ha ricordato l’onorevole Morelli, egli l’ha considerato come un amico, a cui si può ricorrere perché ci aiuta nel sostenere la nostra tesi, ma ho paura che egli si sia rivolto ad un amico malfido, perché l’articolo 48 stabilisce che la partecipazione ai comizi elettorali è un dovere civico. L’Assemblea ricorda la discussione che fu fatta intorno a questo aggettivo.

Senza dilungarmi su questo punto che, per noi, è superato dalla situazione particolare nella quale oggi ci troviamo, osservo soltanto che quando si è affermato che un determinato comportamento è un dovere civico, si è implicitamente venuto a significare che si trattava di un dovere la cui violazione non avrebbe potuto dar luogo ad una sanzione penale. Non si dice che non prendere, non trattenere abusivamente la cosa altrui sia un dovere civico, perché c’è il codice penale che dice che il farlo è un delitto di furto o di appropriazione indebita. Ma andiamo oltre. La improponibilità della proposta dell’onorevole Morelli, a parte ogni altra questione pregiudiziale, risulta evidente in quanto tale proposta è in pieno contrasto con una deliberazione già presa, proprio in sede di approvazione della legge per l’elezione del Senato. Ricordo la disposizione generale del nostro regolamento che, aggiungo subito, si riferisce a ordini del giorno, mentre qui si tratta di qualche cosa di molto più impegnativo di un ordine del giorno, si tratta di disposizioni di legge già stabilite.

L’articolo 89 dice che non si possono riprodurre sotto forma di emendamenti o articoli aggiuntivi ordini del giorno respinti nella discussione generale. Da questo articolo noi ricaviamo il principio generale, che non avrebbe bisogno di essere cercato in nessun articolo perché è dettato da esigenze di logica e di buon senso, per il quale un’Assemblea non può, non dico approvare, ma neppure discutere una proposta che sia in pieno contrasto con quello che la stessa Assemblea ha fatto poc’anzi la fatica di discutere, di deliberare, di affermare.

Noi abbiamo già votato una disposizione, riguardante l’esercizio del voto per l’elezione del Senato, che esclude qualsiasi sanzione. L’onorevole Morelli si richiama a quella disposizione che c’è già nella legge elettorale, per l’elezione dell’Assemblea Costituente. Onorevoli colleghi, non perdiamoci in disquisizioni troppo sottili, giacché fra quella disposizione e questa che oggi si propone vi è di mezzo non un fiume né un lago, ma un mare! Basta ricordare che quella disposizione porta come unica conseguenza una annotazione sul certificato di buona condotta rilasciato a chi si sia astenuto dal voto senza giustificato motivo, l’annotazione «non ha votato». A parte che sarebbe interessante sapere su quanti certificati questa annotazione sia stata fatta!

Qui, invece, si tratterebbe di stabilire una vera e propria sanzione, cioè di considerare come un reato l’essersi astenuto. Questione del tutto diversa. Questione risolta con quella disposizione, già approvata dall’Assemblea Costituente, che dice: per l’adempimento del dovere del voto (sono parole testuali che, fortunatamente, non danno luogo a nessuna incertezza d’interpretazione), cioè per quella funzione alla quale si riferisce la proposta dell’onorevole Morelli, si osservano le disposizioni…

MORELLI RENATO. Per la prima elezione.

TARGETTI. Questa limitazione non c’è. Si osservano le disposizioni della legge per l’elezione della Camera dei deputati. Io poi, personalmente, non saprei riconoscere che ben poco valore a quella minaccia. Ma chi volete che rimanga seriamente impressionato dalla minaccia di dover pagare queste 200 lire, che nessuno pagherebbe mai? Ma vi pare che non verrebbe, dopo le elezioni, in qualche occasione, un provvedimento che metterebbe tutto a tacere? Se ci fosse l’onorevole Tonello direbbe, se non ai proponenti, ai colleghi della Democrazia cristiana, che sono tanto più efficaci le minacce spirituali che le minacce terrene di un’ammenda. (Commenti al centro). Questo avrebbe detto certamente l’onorevole Tonello. Non aggiungo nulla di più di quello che voi avreste udito se fosse stato presente. Noi, anche senza dare eccessiva importanza all’approvazione di una norma simile, ci troviamo però di fronte a un dovere di coscienza. Noi avvocati, nelle cause che presentano eccezioni di procedura, anche se abbiamo fiducia nella bontà della tesi di merito, sentiamo che è nostro dovere di difensori di non rinunciare a queste eccezioni.

Qui ci troviamo di fronte a un caso in cui il nostro dovere è di eccepire l’improponibilità, dopo aver spiegato che la nostra insistenza nell’eccezione non corrisponde affatto ad una uguale preoccupazione per il caso in cui la norma fosse approvata. Abbiamo stabilito che non si deve fare una determinata cosa (per esprimermi in parole tutt’altro che giuridiche) che voi invece chiedete che l’Assemblea decida se fare o non fare. Abbiamo già deciso, in una norma di legge, che non la faremo. Non se ne può più parlare. Si dice: «ma questa è una norma transitoria». Ma la norma transitoria bisogna che sia intonata alla norma generale, definitiva e non la contraddica in pieno. Ora, qualunque opinione si abbia sul merito della questione del voto obbligatorio, ci troviamo dinanzi a questa situazione.

L’Assemblea Costituente ha deliberato di non stabilire una sanzione per i casi di astensione dal voto: principio generale, che deve valere sempre; altrimenti, non valeva la pena affermarlo. Si vorrebbe invece far valere questo principio per la prima elezione. Ci sarebbe una logica nella inversione: se nella legge si fosse stabilita la sanzione penale per l’astensione, non sarebbe stato illogico dire che per la prima volta questa sanzione non si applica, per particolari, momentanee ragioni. Ma qui si vorrebbe fare il contrario. Una proposta del genere ad una Assemblea seria, quale è la nostra, non si può presentare. Non è un problema che si possa porre. Ieri si è stabilito il principio che l’astensione dal voto non è punibile. Oggi si dovrebbe dire: sta bene, giacché non si potrebbe dire diversamente, ma questa volta il principio non vale. Noi, l’astensione, questa volta la puniamo! Ma questa sarebbe una vera aberrazione.

Un’ultima osservazione. Non si tratta dell’improponibilità di una norma transitoria perché in sostanziale contrasto con una norma fissa stabilita dalla legge. Ma il contrasto esiste con altra norma transitoria: quella che impedisce l’applicazione di qualsiasi sanzione per l’astensione. Infatti essa è compresa nel Titolo delle disposizioni transitorie.

MORELLI RENATO. Nomen non dat substantiam rei. Lei è un giurista.

TARGETTI. Io faccio appello al buon senso dell’Assemblea: più che a massime giuridiche, sia pure degne del massimo rispetto. E affermo che, evidentemente, un collegamento fra titolo e sostanza bisogna che ci sia. Quelle che vanno sotto il titolo di norme transitorie e finali devono pure avere delle caratteristiche che giustifichino il loro collocamento. Ed allora voi, signor Presidente, dovreste ritenere proponibile una proposta di questa natura e di questa portata, nell’attuale situazione di fatto. L’Assemblea ha votato una disposizione transitoria e voi mi insegnate che caratteristica della disposizione transitoria è che si applichi oggi, anche se domani si dovrà applicarne una diversa: ha votato una norma transitoria per la quale l’astensione non viene punita in nessun modo. Oggi, voi, signor Presidente, dovreste chiedere all’Assemblea che cosa ne pensi di una norma transitoria che prescriva l’opposto. Ieri dicemmo con norma transitoria, cioè applicabile subito, che l’astensione non è punibile; oggi, dovremmo dire, con norma transitoria, non sicuramente applicabile domani, ma certamente applicabile oggi, che l’astensione è punibile.

Concludo, anche per non correre il rischio di accalorarmi nella discussione, contro la mia persuasione che non si tratta di questione per cui ci si possa fare cattivo sangue. Concludo per la preclusione nei riguardi della proposta dell’onorevole Morelli. (Commenti al centro).

BELLAVISTA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BELLAVISTA. Onorevoli colleghi, sarò brevissimo, né voglio aggiungere mie «giuristerie» alle osservazioni giuridiche fatte, con bel garbo, dall’onorevole Targetti, al quale – da buon avvocato – debbo fare osservare che le due preclusioni in un certo senso si contraddicono, perché quella in ultimo ricordata, e che riguarda l’articolo 84, postula già una violazione che l’onorevole Targetti vorrebbe scansata dall’articolo 48 della Costituzione: su questo mi pare che non ci possa esser ombra di dubbio.

Consenta il collega Targetti queste brevi osservazioni. Primo: natura della norma di cui all’emendamento Morelli. È senza dubbio questa una norma transitoria, ma nel chiamarla transitoria noi non ne esauriamo la qualificazione, perché essa è sì transitoria, ma anche eccezionale, laddove quell’altra (la cui natura non si può giudicare soltanto per questioni di topografia di legge, ma soprattutto per lo spirito che l’anima e per il suo contenuto materiale, oggettivo) è una norma non transitoria. Alludo a quell’altra ricordata, che si riferisce all’articolo 84.

La questione fondamentale da risolvere è questa: l’articolo 48 della Costituzione parla di dovere civico, ciò postula (Interruzioni a sinistra) …la necessità di far seguire una sanctio iuris a questo affermato «dovere civico». Se la Costituzione avesse parlato di un «dovere morale» io spiegherei le giustissime obiezioni da sollevare in proposito, ma è risaputo che il campo sanzionatorio per la morale non si può risolvere affatto nella sanctio iuris vera e propria; ma appunto perché parla di «dovere civico» questo progetto postula una sanzione che è fuori del campo della Costituzione, inserita in una qualsiasi norma transitorie, che per avventura rafforza questo dovere civico. (Interruzioni del deputato Mancini).

Appunto, onorevole Mancini; infatti non dice soltanto: la riprovazione dei consociati è la sanzione che colpisce la violazione di questo dovere morale; un dovere civico è qualcosa, di più che un semplice dovere morale. Questa differenza, collega Mancini, è basilare nel campo della teoria generale del diritto.

MANCINI. Ma la riprovazione collettiva è la sanzione per un dovere civico!

BELLAVISTA. Civico è qualcosa che ci rapporta all’appartenenza del cittadino alla polis, allo Stato. Colui che si isola da questa sua partecipazione attiva ed operante, ai doveri politici per la collettività, non vìola soltanto o solamente un dovere morale, ma vìola appunto un dovere civico. (Commenti all’estrema sinistra). Di qui, l’esistenza di una sanzione più forte.

MAFFI. Il deputato che si astiene dalla votazione che cosa è?

BELLAVISTA. È stato già ad abundantiam chiarito che altro è l’astensione, cioè una posizione agnostica, concreta, dell’individuo di fronte a casi concreti determinati da motivi quali che siano, altro è la diserzione. C’è una profonda differenza fra la diserzione e l’astensione. (Commenti all’estrema sinistra).

MAFFI. Allora, lei dà dell’incosciente a quel deputato!

BELLAVISTA. Io mi rendo perfettamente conto che certi semplicismi giuridici non conoscono la differentia specifica, ma noi abbiamo l’obbligo e il dovere di stabilire la differenza.

Sostengo ed affermo che una cosa è l’astensione ed altra cosa è la diserzione dal voto. (Interruzioni all’estrema sinistra). C’è anche un precedente storico. Nella legislazione di Solone si chiamavano «atimici» i cittadini che non partecipavano a nessuna delle funzioni. Colui il quale si assenta in questa isolation di non dare il voto, non è che si astiene. Il collega Morelli ha detto che può andare dentro la cabina e manifestare la sua sfiducia per l’orientamento politico del Paese non votando per nessuna lista. Appunto perché l’articolo 48 prevede questo dovere come un dovere civico, per ciò stesso si postula l’esigenza di una sanzione.

Onorevole Targetti, a lei, che è un valoroso avvocato e giurista, riesce nuova la cosiddetta teoria del carattere sanzionatorio del diritto penale? No, certo. Il diritto penale, si dice, non è altro che una serie di sanzioni, perché i precetti sono fuori del diritto penale, stanno in altre norme giuridiche di diritto pubblico o privato.

Conseguentemente, io penso che le due preclusioni, la seconda perché contraddice la prima e la prima perché urta contro il vero spirito dell’articolo 48, non possano essere accolte.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Signor Presidente, onorevoli colleghi, pur compiacendomi dal punto di vista ideale di un dibattito come l’attuale, il quale gioverà a porre in evidenza anche dinanzi al Paese l’importanza del problema qui discusso, e quindi la portata del dovere del voto come forma e strumento di educazione politica del popolo italiano, io debbo considerare il problema nei confronti della duplice preclusione sollevata, sia riguardo alla Costituzione, sia riguardo alla legge speciale in corso di votazione.

Con brevi parole mi permetterò di sottolineare che non sussiste, a mio avviso, preclusione alcuna di ordine costituzionale nell’affermare l’obbligatorietà del voto. Sia consentito di chiarire in modo definitivo il punto. Il testo della Costituzione nell’articolo 48 attualmente parla di «dovere civico» del voto, proprio a seguito di un emendamento, con cui, in sede di pubblico dibattito in Assemblea, si volle adottare una formula più idonea ad esprimere il contenuto dell’obbligo giuridico, e cioè il minimo etico garantito dal diritto, depennando dalla proposta originaria dei Settantacinque, che più largamente parlava di «dovere civico e morale», l’aggettivazione specifica «e morale». Quindi non solamente non c’è preclusione contro l’obbligatorietà, ma addirittura c’è vincolo nel senso della obbligatorietà. E ciò è tanto vero che noi già siamo su questo terreno sin dalla legge del 1946 per la elezione dell’Assemblea Costituente, oggi richiamata, a seguito dell’emendamento mio e dell’onorevole Uberti sul dovere del voto, nell’attuale legge per l’elezione del Senato, nonché in quella per la elezione della Camera dei deputati. Noi già siamo pertanto in un comune ordine di principî e di applicazioni: se così non fosse, dovremmo giungere all’assurdo di considerare incostituzionale il precetto della legge del 1946, trasfuso nel presente disegno di legge, che accompagna la obbligatorietà del voto con sanzioni di carattere amministrativo, dirette e indirette, conseguenti alla certificazione del mancato adempimento del dovere di voto.

Chiarito questo punto, per la doverosa esattezza delle idee, e per l’ossequio al principio costituzionale che ci consente e impone di riaffermare il concetto generale del dovere giuridico di esercitare il voto, resta solo un problema specifico, da circoscrivere nei confronti della votazione già avvenuta nella penultima seduta, in relazione all’emendamento con cui l’Assemblea ha risolto il problema, facendo capo alla legge del 1946 e alle sanzioni quivi previste.

In realtà, per dovere obiettivo, sovrastante ad ogni apprezzamento o desiderio personale, sotto questo aspetto non posso non riconoscere che una votazione con efficacia preclusiva è già avvenuta. Inoltre dovrei aggiungere che l’elegante tentativo di portare la questione sul terreno della norma transitoria, proponendo ulteriori sanzioni di carattere pecuniario solo per la prossima elezione, anziché in sede generale, desta per lo meno questa perplessità: che noi ci troviamo proprio in presenza di una legge intenzionalmente rivolta a disciplinare la prima elezione del Senato e di una norma che si presenta sotto la intitolazione specifica delle «Disposizioni transitorie».

Con pieno scrupolo, morale e giuridico, in base a tali considerazioni io debbo quindi concludere che, pur riaffermando l’alto valore del dibattito svoltosi dinanzi l’Assemblea ed al Paese, non posso non rimettermi alla votazione già fatta in sede di approvazioni dell’articolo 25 del presente disegno di legge.

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Sebbene le dichiarazioni fatte dall’onorevole Dominedò mi convincano che ai fini pratici della prossima votazione il parlare sia indarno, tuttavia non posso tacere alcune osservazioni che debbo fare. Se fosse sussistente la preclusione di ordine costituzionale rilevata dall’onorevole Targetti, noi assisteremmo ad uno stranissimo fenomeno di eterogenesi, perché, benché sia chiaro che nella seduta del 21 maggio 1947 – allorché si discusse e si votò sull’articolo che oggi stiamo discutendo – fosse comune a tutti i membri di questa Assemblea la volontà di non pregiudicare la possibilità di sanzioni penali per chi contravvenisse al dovere del voto; in verità da tutte queste volontà unanimemente convergenti verso l’intenzione precisa di non precludere questa questione, ne sarebbe venuta fuori una norma che avrebbe precluso. E veramente non ci potremmo congratulare con noi stessi.

Fui io, per la storia, a sollevare questa questione: il progetto parlava di dovere civico e morale, fui io a rilevare che, ove noi avessimo lasciato passare quella doppia qualifica, avremmo precluso la questione. Perché osservavo, e l’osservazione era facile, che il legislatore non pone dei doveri morali. Non è difatti, nella sua competenza. Come il legislatore non può porre verità di ordine storico o scientifico così non può porre nemmeno delle verità di ordine morale. Esso pone dei precetti o delle sanzioni ma non può dichiarare la moralità: la moralità non si stabilisce con voti di maggioranza o di minoranza. Il termine «morale» avrebbe avuto un solo significato; il legislatore italiano sarebbe stato tenuto, dalla Costituzione, a considerare l’esercizio del voto come un dovere morale, cioè un dovere non sanzionabile giuridicamente.

Il Presidente della Commissione dei Settantacinque, onorevole Ruini, mi si oppose osservando che non sarebbe bastata la qualifica di morale per escludere la possibilità di una sanzione, perché non è fuori del consueto che il legislatore sanzioni degli obblighi morali: ai doveri c’è una sanzione morale, ci può essere una sanzione religiosa. Nulla esclude che il legislatore, per rafforzare, aggiunga una sanzione giuridica. Ma era facile superare l’obiezione rilevando che la dichiarazione della Costituzione che un dovere è dovere morale, importa che deve rimanere, per il legislatore, dovere morale. E siccome legiferavamo in campo costituzionale, questa affermazione avrebbe precluso l’attività futura del legislatore volta a rendere dovere giuridico quello che noi avessimo dichiarato dovere morale.

Allora l’onorevole Gronchi, aderendo alla mia richiesta, propose di sopprimere la parola «morale» e di votare quindi per divisione. E la votazione per divisione portò a questo: che si confermasse trattarsi di un dovere civico e si escludesse la qualifica di morale. La volontà della Costituente fu che rimanesse affermato il dovere civico, per lasciar libero il legislatore di dare o non dare una sanzione. Dunque, preclusione non esiste.

Ma il fenomeno dell’eterogenesi si verifica? Non sarebbe, infatti, la prima volta che il legislatore commette di questi errori di tecnica e non è escluso che il legislatore sbagli, non riuscendo a realizzare nella norma la sua volontà. Ma questa volta no, perché i doveri civici sono doveri giuridici. La parola «civico» è una parola acquisita alla nostra legislazione: di doveri civici ne esistono una infinità, come esistono diritti civici ed usi civici che sono anche dei diritti.

Ora, non sono doveri perfetti (e qui mi richiamo ad una nomenclatura che ha 300 anni di dottrina e di vita) non sono doveri perfetti quelli che non sono sanzionati, come non sono diritti perfetti quelli che non hanno la garanzia di una sanzione. Un dovere civico perfetto postula una sanzione, la quale può essere amministrativa, civile, penale; ma una sanzione ci deve essere.

Consideriamo perciò il problema nella sua realtà: la preclusione non esiste e la Costituente l’ha già dichiarato in una norma precisa, perché nella legge elettorale per la Camera dei deputati esiste un articolo, che non è veramente transitorio, che dice: «Le norme penali circa l’adempimento del voto che saranno stabilite nelle leggi per la elezione dei senatori varranno anche per la elezione dei deputati».

Se veramente noi avessimo escluso che al mancato esercizio del dovere di voto si ponessero delle sanzioni penali, l’articolo 84 non si sarebbe fatto. Votando l’articolo 84, la Costituente ha affermato che queste sanzioni ci possono essere.

Credo che l’onorevole Targetti che è giurista così fine, ma anche così sereno ed obiettivo, non possa più insistere su questa pretesa preclusione costituzionale e voglio sperare che ce ne dia atto oggi stesso.

Ed allora io mi domando soltanto se esiste quella preclusione che l’onorevole Dominedò ha ammesso, quella cioè che deriverebbe dall’articolo 25 di questa stessa legge.

Io, prima di tutto, devo fare un’osservazione: che veramente mi dispiacerebbe che con un emendamento insinuato così, in un momento certo non culminante della discussione, si fosse voluto precludere questa grossa questione che era già stata posta in una legge precedente. Sarebbe stato veramente doloroso. Io sono sicuro che, data la personalità dei firmatari di questo emendamento, non si volesse raggiungere questo fine traverso. Ma sarebbe veramente doloroso, dicevo, e non lascerebbe molto bene sperare di queste nostre discussioni e soprattutto della validità etica delle decisioni che da esse scaturiscono, il sospetto che si sia voluta precludere di soppiatto, con un emendamento votato direttamente, una questione che ci eravamo posti con una precedente legge e che avremmo dovuto discutere fra le principali.

Ma la verità è, onorevoli colleghi, che questa norma, l’articolo 25, non preclude alcuna discussione e che la norma proposta dall’onorevole Morelli va considerata come una norma meramente transitoria. E dico subito – rispondendo anche qui all’onorevole Targetti – che non è per niente vero che l’articolo 25 sia una norma transitoria. È ben vero che l’articolo 25 è scritto sotto un titolo che suona: «Disposizione transitorie e finali», ma è chiaro che non è il titolo, che non può essere il titolo…

TARGETTI. Mi permetta, onorevole Condorelli: debbo spiegarle che, se non la interrompo, è perché non è mio costume di interrompere, e non già perché io consenta in quello che ella va dicendo: non vorrei sorgesse equivoco su ciò.

CONDORELLI. La ringrazio, onorevole Targetti. Dicevo dunque che non è il titolo che può rendere transitoria la natura di una disposizione, perché i titoli non hanno un valore normativo: potranno, forse, avere un valore indicativo, interpretativo, ma non normativo.

La norma è transitoria o finale a seconda di quello che essa dice; ora, non è una norma, quella dell’articolo 25, che debba valere soltanto per la prima elezione o per le prime due elezioni. È una norma che varrà per tutto il tempo in cui varrà la legge; e faccio notare che, sotto questo titolo di disposizioni transitorie, vi è una quantità di norme delle quali nessuna è transitoria: una soltanto forse, quella che parla di incompatibilità dei senatori di diritto. L’articolo 25 è invece una norma tipicamente finale, in quanto essa non fa altro che avvisare ai mezzi per l’attuazione della legge. E si chiama finale appunto per questa ragione, perché avvisa cioè i mezzi per raggiungere lo scopo che la legge votata si prefigge.

Nessun dubbio dunque, che l’articolo 25 non sia una norma transitoria tipicamente finale. Essa infatti testualmente reca: «Per l’adempimento del dovere del voto e per tutto ciò che non è disciplinabile dalla presente legge, si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni del testo unico della legge per l’elezione della Camera dei deputati, ecc.».

Che cosa c’è di transitorio in questa norma? Assolutamente nulla. E allora esaminiamola nella sua essenza e vediamo se essa veramente sia preclusiva nel nostro caso. Incominciamo con il domandarci: l’adempimento del voto che cos’è? Il modo col quale bisogna presentarsi dinanzi al seggio, quello che il presidente e l’elettore debbono fare, ecc. L’adempimento del dovere del voto, ch’io sappia, è questo: tutte le formalità e gli atti prescritti per adempiere al dovere dei voto. Che hanno da vedere le sanzioni coll’adempimento del voto? Sono se mai l’adempimento di un dovere del magistrato che dovrà punire chi non adempie questo dovere. Le norme sull’adempimento del voto sono quelle che prescrivono il contegno dell’elettore.

Una voce a sinistra. E la forma.

CONDORELLI. Per carità, colleghi, non facciamo di queste confusioni. Letteralmente questa legge dice: «Per l’adempimento del dovere del voto». Vi è dunque il soggetto di questo adempimento? Chi è che deve attuare i contegni che la legge prescrive stabilendo il dovere del voto? L’elettore. Sono delle norme rivolte esclusivamente all’elettore. La norma penale, la sanzione, è una norma diretta al magistrato, il quale deve punire in un determinato modo chi mancasse a questo dovere. Non facciamo di queste confusioni, onorevoli colleghi, e soprattutto non nascondiamo sotto sofismi la determinata volontà politica di escludere la sanzione per il mancato voto, che era prima nell’opinione della maggioranza di questa Assemblea.

Non so se la maggioranza di questa Assemblea è schierata ancora come era schierata quando si fece quella tale discussione in cui molti, e precisamente voi, colleghi democratici cristiani, siete stati con me a difendere la possibilità di questa sanzione, che l’opinione pubblica italiana reclama.

La vostra volontà politica può essere mutata, ma dichiaratelo chiaramente, e non vi nascondete – perché non è degno di voi – dietro argomenti giuridici insussistenti. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. Qual è il parere della Commissione sulla questione della preclusione?

MICHELI, Presidente della Commissione. La Commissione non ha avuto modo di discutere questa questione, che era stata in un primo tempo accantonata, e neppure successivamente, per il presentarsi di altre materie più urgenti, l’ha potuta esaminare.

Quindi ciascuno dei componenti resta libero di votare come crede e la Commissione si rimette alla decisione dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Quale è il parere del Governo?

SCELBA, Ministro dell’interno. Onorevoli colleghi, concordo pienamente con quanto ha affermato l’onorevole Condorelli, cioè che non esiste nessuna preclusione costituzionale circa una possibilità di sanzione, vale a dire di stabilire delle penalità per quanto riguarda il mancato adempimento del dovere del voto.

Se una preclusione può esistere, non è una preclusione di ordine costituzionale, ma una preclusione dipendente da una deliberazione già presa da questa Assemblea con la votazione dell’articolo 25. Riportandosi nell’articolo 25, approvato dall’Assemblea Costituente, la disposizione stabilita nella legge per l’elezione dell’Assemblea Costituente stessa in ordine alla obbligatorietà del voto, a mio avviso l’Assemblea ha riaffermato nettamente che il voto è obbligatorio e che la mancata esecuzione di questo obbligo viene punita e colpita con le stesse sanzioni previste dalla legge per l’elezione della Costituente.

Non concordo invece con una interpretazione, che a me pare paradossale, dell’onorevole Condorelli, il quale ritiene che con l’approvazione dell’articolo 25, per quella parte che si riferisce all’obbligatorietà del voto, ci siamo limitati ad affermare una disposizione circa le modalità del voto. Con la premessa dell’articolo 25 – così intendo e così desidero sia riaffermato da questa Camera – noi abbiamo inteso stabilire il concetto dell’obbligatorietà del voto con le sanzioni previste dalla legge per l’elezione dell’Assemblea Costituente.

Se, ripeto, questa preclusione c’è, nasce appunto da questa deliberazione e proprio in conseguenza della deliberazione, perché se la Camera ha già votato che il voto è obbligatorio e che l’inadempimento del dovere del voto è punito con determinate sanzioni, noi non potremmo oggi mettere in discussione questa deliberazione, perché la materia deve considerarsi esaurita con l’approvazione dell’articolo 25.

Ma non vorrei minimamente che sorgesse il dubbio in chicchessia che l’approvazione dell’articolo 25 abbia voluto porre un limite, nel senso di far riferimento soltanto alle modalità di voto. Invece abbiamo inteso di stabilire nettamente che il voto è obbligatorio, così come era obbligatorio per l’elezione dell’Assemblea Costituente, e abbiamo inteso di riportare anche le stesse sanzioni che furono stabilite per le elezioni della Costituente.

Il problema che rimane da risolvere e che è stato posto dall’onorevole Morelli è quello dell’aggravamento delle penalità. Aggravamento che non si può stabilire oggi, secondo me, ma in seguito, da una futura Assemblea parlamentare, perché non esiste una preclusione di ordine costituzionale.

Ora quindi, l’aggravamento che l’onorevole Morelli propone col suo emendamento non può essere preso in considerazione perché la materia è già stata risolta con l’approvazione dell’articolo 25.

MARTINO GAETANO. Io mi auguro che l’onorevole Ministro voglia dimostrare la stessa sensibilità politica quando si tratterà di discutere sul collegio uninominale. (Commenti).

SCELBA, Ministro dell’interno. Qui non si tratta di sensibilità, ma di materia giuridica, e io non posso che fare riferimento all’impostazione giuridica. Dal momento che l’Assemblea ha già votato l’articolo 25, io non posso negare la verità oggettiva nascente dalla precisa disposizione di legge. Quanto alla sensibilità politica osservo che l’Assemblea avrebbe dovuto dimostrarla non in questo momento troppo tardivo, ma in sede di discussione dell’articolo 25.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Onorevole Presidente, dato che con l’intervento di varî egregi colleghi in questa discussione è stata presa in esame la questione della incostituzionalità eventuale di una affermazione del voto obbligatorio, mi piace dichiarare, per amore di chiarezza, che non abbiamo inteso di basare la nostra tesi di improponibilità sopra una questione di incostituzionalità del principio o della norma del voto obbligatorio.

Nell’illustrazione della nostra tesi io avrò espresso anche questo pensiero, ma incidentalmente. Quando noi sosteniamo che è improponibile la proposta dell’onorevole Morelli e di altri colleghi, prescindiamo da quello che può essere l’apprezzamento dei varî Gruppi sulla costituzionalità della norma, questione che non vi è ragione in questo momento di apprezzare e di decidere in un modo o nell’altro.

MARTINO GAETANO. Allora confermate il fatto e lo aggravate. (Commenti).

PRESIDENTE. Comunico all’Assemblea che sulla eccezione di preclusione sollevata dall’onorevole Targetti, è stata chiesta la votazione a scrutinio segreto degli onorevoli Martino Gaetano e altri.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Osservo che sulla improponibilità deve decidere la Presidenza, a norma di Regolamento.

PRESIDENTE. No, onorevole Lucifero, io devo chiedere che l’Assemblea si esprima col suo voto, e mi attengo in questo anche a precedenti parlamentari.

L’Assemblea ha udito come è stata posta la questione.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Per l’esattezza sul tenore e anche sulla procedura della votazione, ella ricorderà che noi avevamo sostenuto la incompatibilità della questione a tenore del Regolamento e avevamo chiesto che il Presidente lo dichiarasse. Ella ha dichiarato che preferiva rimettersi all’Assemblea. Allora l’Assemblea voterà sulla nostra proposta, e sarà opportuno che sia ben determinata, in questi termini:

«L’Assemblea Costituente, in seguito all’approvazione dell’articolo 25 delle norme transitorie, dichiara improponibili gli articoli presentati dall’onorevole Morelli».

Non vi è, dunque, alcun riferimento ad alcuna norma costituzionale.

Credo che sia stato utile dichiarare questo, a scanso di equivoci nell’interpretazione della nostra eccezione.

MARTINO GAETANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARTINO GAETANO. Signor Presidente, ritiriamo la richiesta di scrutinio segreto sulla preclusione, mantenendola però per la votazione degli articoli aggiuntivi dell’onorevole Morelli Renato.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Signor Presidente, alla mia cortese interruzione lei ha risposto richiamandosi a precedenti. Consentirà che anch’io richiami un precedente ed il precedente si costituì quando il mio illustre conterraneo, amico ed avversario, onorevole Gullo, in un’altra discussione, in cui si parlava di preclusione, si alzò dal suo banco e reclamò il suo diritto di deputato a che la Presidenza decidesse essa quelle controversie che il regolamento alla Presidenza assegna. E fece presente allora, e giustamente, ed io faccio presente oggi, riferendomi esattamente alle sue parole ed al suo concetto di vecchio parlamentare, che la risoluzione di determinate questioni di diritto, direi quasi, elementare, è dal regolamento demandata alla Presidenza, onde sottrarla proprio, ad eventuali colpi di maggioranza, come alle volte potrebbe accadere, a garanzia della legittimità e della regolarità delle discussioni, a garanzia dei diritti acquisiti dai deputati, di vedere rispettate le loro precedenti deliberazioni. Quindi riconnettendomi a quell’intervento dell’onorevole Gullo faccio appello alla Presidenza perché, adempiendo a quanto è stabilito dal regolamento, decida essa – nella sua autorità da noi conferitale, e quindi investita come è di questo potere dal nostro voto – tali questioni onde evitare che colpi di maggioranza o accordi fra Gruppi possano mettere costantemente nell’incertezza le deliberazioni precedenti dell’Assemblea.

MORELLI RENATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORELLI RENATO. Signor Presidente, vorrei pregare l’onorevole Targetti, che ha portato un utile chiarimento e una utile precisazione alla sua tesi, di dichiarare che egli sostanzialmente rinunzia alla eccezione della improponibilità costituzionale.

PRESIDENTE. L’onorevole Targetti ha esposto chiaramente la sua tesi.

MARTINO GAETANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARTINO GAETANO. Poiché l’onorevole Targetti ha ora presentato un ordine del giorno – ed io credo che il Presidente lo voglia porre in votazione – dichiaro che noi trasferiamo la nostra richiesta di scrutinio segreto per la votazione dell’ordine del giorno Targetti.

PRESIDENTE. Desidero rispondere all’onorevole Lucifero che sarebbe facile per me risolvere la questione che è stata proposta, ma io dichiaro che il Presidente ha la facoltà, non l’obbligo, di risolvere le questioni che sono proposte al suo giudizio. Io ritengo che la questione debba essere risolta dalla stessa Assemblea ed anche essa ha dimostrato con l’ampia discussione di volerla risolvere con il suo voto. Devo indire pertanto la votazione sull’ordine del giorno dell’onorevole Targetti.

LUCIFERO. In tal modo i diritti della minoranza non esistono più.

PRESIDENTE. Onorevole Lucifero, mi sono richiamato ad un precedente recentissimo, quello della seduta del 13 dicembre 1947. L’onorevole Cevolotto propose un ordine del giorno, sul cui testo ci fu discussione e da alcuni si sostenne che il suo esame fosse precluso. In quella occasione il Presidente ritenne che la questione dovesse essere rimessa all’Assemblea, la quale con un suo voto la risolse.

Rileggo l’ordine del giorno Targetti: «L’Assemblea Costituente, in seguito all’approvazione dell’articolo 25 delle norme transitorie, dichiara improponibili gli articoli aggiuntivi presentati dall’onorevole Morelli».

L’articolo 25 delle disposizioni transitorie, dice:

«Per l’adempimento del dovere del voto e per tutto ciò che non è disciplinato dalla presente legge si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni del testo unico della legge per l’elezione della Camera dei deputati, approvato con decreto presidenziale del … gennaio 1948 n. …».

 

Votazione segreta.

 

PRESIDENTE. Indico la votazione segreta sull’ordine del giorno Targetti.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione ed invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto:

Presenti e votanti          400

Maggioranza                201

Voti favorevoli             273

Voti contrari                127

(L’Assemblea approva l’ordine del giorno).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Adonnino – Alberganti – Alberti – Aldisio – Allegato – Ambrosini – Amendola – Andreotti – Angelini – Angelucci – Arcaini – Arcangeli – Assennato – Avanzini – Azzali.

Bacciconi – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basile – Basso – Bastianetto – Bazoli – Bei Adele – Bellato – Bellavista – Bellusci – Belotti – Bencivenga – Benedetti – Bennani – Benvenuti – Bergamini – Bernamonti – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bruno – Bibolotti – Bocconi – Boldrini – Bolognesi – Bonino – Bonomelli – Bonomi Ivanoe – Bonomi Paolo – Bordon – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Braschi – Bucci – Bulloni Pietro – Burato.

Cacciatore – Caccuri – Caiati – Caldera – Camangi – Camposarcuno – Candela – Cannizzo – Caporali – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carbonari – Carboni Angelo – Carboni Enrico – Carignani – Caristia – Caroleo – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Caso – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Castiglia – Cavallotti – Cevolotto – Chatrian – Chiarini – Chieffi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Colonna di Paliano –Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Coppi Alessandro – Corbi – Corsanego – Cortese Pasquale – Costantini – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo.

Damiani – D’Amico – D’Aragona – De Caro Gerardo – De Gasperi – Del Curto – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Di Giovanni – Di Gloria – Di Vittorio – Dominedò – Donati – D’Onofrio – Dossetti – Dozza.

Ermini.

Fabbri – Fabriani – Faccio – Fantoni – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Ferreri – Fietta – Filippini – Fiore – Fiorentino – Fioritto – Firrao – Flecchia – Foa – Foresi – Fornara – Franceschini – Froggio – Fuschini – Fusco.

Gabrieli – Galati – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Gatta – Gavina – Germano – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Ghidini – Ghislandi – Giacchero – Giannini – Giolitti – Giordani – Gorreri – Gortani – Gotelli Angela – Grazi Enrico – Grieco – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Iotti Leonilde.

Jacometti – Jervolino.

Laconi – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Lazzadri – Leone Francesco – Leone Giovanni – Lettieri – Li Causi – Lizier – Lombardi Carlo – Lombardo Ivan Matteo – Longhena – Longo – Lozza – Lucifero – Luisetti – Lussu.

Macrelli – Maffi – Maffioli – Magnani – Magrassi – Malagugini – Mancini – Mannironi – Manzini – Marazza – Marchesi – Marconi – Mariani Enrico – Marinelli – Martinelli – Martino Gaetano – Marzarotto – Massini – Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mastrojanni – Mattarella – Mattei Teresa – Matteotti Carlo – Mazza – Mazzoni – Mentasti – Merighi – Merlin Angelina – Merlin Umberto – Mezzadra – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molinelli – Momigliano – Montagnana Mario – Montagnana Rita – Montalbano – Montemartini – Monterisi – Monticelli – Montini – Moranino – Morelli Luigi – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati – Moscatelli – Motolese – Mùrdaca – Murgia – Musolino – Musotto.

Nasi – Negarville – Negro – Nenni – Nicotra Maria – Nobili Tito Oro – Noce Teresa – Notarianni – Novella – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pajetta Giancarlo – Pallastrelli – Paolucci –. Paratore – Parri – Pastore Raffaele – Pat – Patricolo – Pecorari – Pella – Pellegrini – Perlingieri – Persico – Pertini Sandro – Perugi – Pesenti – Piccioni – Piemonte – Pieri Gino – Pignedoli – Pistoia – Pollastrini Elettra – Ponti – Pratolongo – Priolo – Proia – Pucci.

Quarello – Quintieri Adolfo – Quintieri Quinto.

Raimondi – Rapelli – Ravagnan – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Restagno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rodinò Mario – Rognoni – Romano – Romita – Roselli – Rossi Maria Maddalena – Roveda – Rubilli – Ruggeri Luigi – Rumor – Russo Perez.

Saccenti – Saggin – Salerno – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Scalfaro – Scarpa – Scelba – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Scotti Francesco – Secchia – Segni – Sforza – Sicignano – Siles – Silipo – Spallicci – Spano – Spataro – Stampacchia – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Targetti – Taviani – Terranova – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Togni – Tonello – Tonetti – Tosi – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi – Tripepi – Turco.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Venditti – Veroni – Viale – Vicentini – Vigna – Vigo – Vilardi – Villabruna – Villani.

Zaccagnini – Zanardi – Zerbi – Zotta – Zuccarini.

Sono in congedo:

Cairo – Costa.

Lombardi Riccardo.

Orlando Vittorio Emanuele.

Valiani.

Si riprende la discussione del disegno di legge: Norme per l’elezione del Senato della Repubblica (61).

PRESIDENTE. Passiamo all’esame dell’articolo aggiuntivo proposto dagli onorevoli Vigna, Cosattini, Piemonte e Pat:

«Gli emigrati per motivi di lavoro, che rimpatriano per le elezioni, hanno diritto al trasporto ferroviario gratuito dalla stazione di confine al Comune in cui votano e viceversa».

L’onorevole Piemonte ha facoltà di svolgerlo.

PIEMONTE. Onorevoli colleghi, avevamo proposto, in sede di discussione costituzionale, il diritto del voto degli emigrati all’estero senza bisogno di rimpatrio. La nostra proposta fu respinta. Ci proponevamo in sede di discussione delle leggi elettorali di risollevare la questione del voto agli emigranti, ma è mancato il tempo, data la fretta con cui i lavori si sono compiuti in questo ultimo scorcio della nostra vita parlamentare. Ci siamo ripiegati su questa modesta proposta, per la quale gli operai ed i lavoratori, che hanno emigrato per ragioni di lavoro, dovrebbero avere diritto al trasporto ferroviario gratuito dalla stazione di confine al comune in cui votano e viceversa. Questa proposta si riallaccia ad una tradizione. Prima del fascismo vi era la riduzione del 70 per cento delle tariffe ferroviarie per i lavoratori emigrati rimpatrianti per partecipare alle elezioni politiche; durante il fascismo – nel 1928 – ebbe luogo una elezione politica o plebiscito, ed allora il viaggio per i lavoratori emigrati fu completamente gratuito.

La Repubblica non vorrà essere meno riguardosa di quello che fu il fascismo verso i lavoratori emigrati, verso coloro che, per trovare impiego, non esitano ad affrontare le pene e i dolori di abbandonare il natio paese, la consorte e i figli; pene e dolori che non sono immaginabili da chi non li ha provati.

L’articolo aggiuntivo proposto è così semplice, così improntato ad equità e a giustizia sociale, che non credo necessario spendere altre parole ad illustrarlo, convinto come sono che l’Assemblea vorrà unanimemente approvarlo. (Applausi).

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Micheli di voler esprimere il parere della Commissione.

MICHELI, Presidente della Commissione. La Commissione non ha esaminato l’articolo aggiuntivo ora in discussione. Comunque, essa non si oppone e si rimette all’Assemblea.

PRESIDENTE. Chiedo il parere del Governo.

SCELBA, Ministro dell’interno. La questione fu già esaminata per le elezioni della Assemblea Costituente e fu risolta nel senso di consentire una riduzione del 50 per cento. Dico questo perché l’Assemblea decida in merito, tenendo conto di questo precedente.

CAPORALI. Prima del fascismo, c’era già il 70 per cento.

MICHELI, Presidente della Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI, Presidente della Commissione. La Commissione, dato il precedente, sarebbe dell’avviso di parlare di «congrua riduzione» invece che di «trasporto ferroviario gratuito». Intanto, così si ammette il principio; poi, si troverà il modo di concretarlo meglio secondo la proposta.

PRESIDENTE. Onorevole Piemonte, insiste sulla sua proposta o accetta quella della Commissione?

PIEMONTE. Speravo che il Governo e la Commissione concordi accogliessero la nostra proposta senza riserve. Sono dolente non sia stato così, ma io sento categoricamente il dovere morale di insistere integralmente sulla proposta da noi formulata e chiedo che sia posta ai voti.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo aggiuntivo proposto dagli onorevoli Vigna, Cosattini, Piemonte e Pat, testé letto.

(È approvato).

 

Gli articoli aggiuntivi sono esauriti.

Ritorniamo ora sulla questione, lasciata in sospeso, relativa all’articolo 7, il cui esame fu sospeso perché fu proposto dall’onorevole Togliatti un incontro fra i rappresentanti dei vari Gruppi, per concordare un testo comune.

Ricordo che il testo dell’articolo proposto dal Governo è del seguente tenore:

«Il tribunale nella cui giurisdizione si trovino collegi previsti dall’unita tabella B si costituisce in tanti uffici elettorali circoscrizionali quanti sono i collegi medesimi.

«Ogni ufficio elettorale circoscrizionale esercita le sue funzioni con l’intervento di tre magistrati, di cui uno presiede, nominati dal presidente entro dieci giorni dalla pubblicazione del decreto di convocazione dei comizi».

La Commissione ha proposto che, nell’articolo 7 ed in tutti i successivi titoli e articoli in cui si fa menzione dell’«ufficio elettorale circoscrizionale», questo sia indicato con la locuzione: «ufficio elettorale centrale».

Chiedo all’onorevole Togliatti se un accordo è stato raggiunto.

TOGLIATTI. Proposi effettivamente che vi fossero dei contatti tra i vari Gruppi parlamentari per arrivare ad un accordo su questo articolo. Per parte nostra, questi contatti li abbiamo presi, e ad un corto accordo siamo arrivati. Ora vedremo, nel corso del dibattito, quali potranno essere le conclusioni definitive.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Desidero domandare all’onorevole Togliatti, per nostra informazione, quali sono i punti sui quali è stato raggiunto un accordo, ed in che consiste l’accordo stesso, in modo che noi ci possiamo orientare.

PRESIDENTE. Onorevole Togliatti, l’onorevole Lucifero le rivolge una richiesta, e cioè chiede su quali punti è stato raggiunto un accordo.

TOGLIATTI. Mi pare che questa questione risulterà assolutamente chiara alla fine della discussione, e specialmente dopo la votazione che avremo in argomento.

RUBILLI. È inutile che insistiamo, onorevole Lucifero.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Signor Presidente, la risposta data dall’onorevole Togliatti alla domanda che lei cortesemente ha voluto fargli in merito a quanto io stesso avevo detto l’altro giorno, allorché egli chiese la sospensione, è una risposta positiva. L’onorevole Togliatti, cioè, ha detto: l’accordo c’è, ma non ve lo diciamo; dalle votazioni vi accorgerete quali saranno i termini di questo accordo.

Ora, evidentemente, gli accordi che si prendono fuori dell’Aula non si ha l’obbligo di comunicarli nell’Aula. Però noi abbiamo delle indicazioni, in base alle quali possiamo avere un’idea, più o meno, di quali sono questi accordi, ed abbiamo già avuto una indicazione nella recente votazione, perché evidentemente uno dei termini di questo scambio di concessioni è stato quello del voto obbligatorio; per cui noi abbiamo visto coloro che fino a ieri sono stati – si può dire – i vessilliferi della tesi del voto obbligatorio in Italia, in ogni votazione e in ogni circostanza, riaffermare il principio, ma ripiegare sul rifiuto di un’attuazione più concreta e più pratica del principio stesso. Il che ci ha già indicato uno dei termini di questo scambio di concessioni e ci indica chiaramente anche quale è l’altro termine di questo scambio. L’altro termine, la contro-concessione che è stata fatta evidentemente in questa sede, non può essere che quella di coloro che fino a ieri sostennero decisamente la tesi del collegio uninominale e che oggi offrono la contropartita di ripiegare su questa tesi e di accedere ad una soluzione proporzionalistica per la elezione del Senato.

Questo lo sapevamo già da indiscrezioni, da voci, dai termini stessi della discussione che finora si è fatta.

Ed allora, prima di passare all’ultima fase di questa discussione, cioè alla fase delle relazioni e del successivo voto, io credo di dover fare alcune dichiarazioni fondamentali che, mentre da una parte assumono la veste modesta di un richiamo al Regolamento, investono anche un problema politico profondo, non soltanto per l’importanza di merito che la questione ha in sé, ma per il riflesso che il modo con cui questa questione è stata condotta e le eventuali possibili soluzioni nelle quali potrebbe sfociare assumerebbero nei confronti del metodo e dei sistemi che caratterizzano la vita democratica.

Questione, quindi, che trascende la già grave impostazione specifica delle elezioni per il Senato, ed investe tutto il metodo della vita democratica del nostro Paese.

Gli articoli 7 hanno uno strano destino in questa nostra Assemblea! (Si ride). Gli articoli 7 sono, normalmente, degli articoli che, esaminati con sguardo tecnico-giuridico, possono anche essere degli articoli innocenti. L’articolo 7 che noi oggi abbiamo sotto gli occhi è, poi, un articolo di una innocenza e di un candore veramente commoventi.

Ma gli articoli 7 sono quelli che riconducono ai vecchi amori, e non felici – aggiungo – gli amici della Democrazia cristiana e gli amici dell’estrema sinistra… (Commenti).

Una voce a destra. Tristi amori!

LUCIFERO. L’altro giorno all’onorevole Togliatti, quando chiese questo rinvio, dissi che non vedevo come avrebbe potuto conciliare il nostro preciso obbligo di creare una legge col sistema uninominale con il desiderio di alcuni amici di riesumare una questione seppellita e di introdurre la proporzionale anche in questa sede. Oggi mi permetta l’onorevole Togliatti, con quella cordialità che abbiamo sempre avuto nei nostri rapporti personali, che io gli faccia i miei complimenti; perché lei, onorevole Togliatti, ha fatto un’altra volta un colpo da maestro nel campo politico e un leale avversario le deve onestamente riconoscere la sua abilità.

Lei oggi, onorevole Togliatti, ha potuto, di fronte al Paese, di fronte a noi, creare novamente il timore e la preoccupazione di una collaborazione politica che a voi ha certamente giovato, ma che noi non riteniamo abbia giovato al Paese.

Evidentemente le illusioni, onorevole Togliatti, in quel giorno me le ero fatte io, e debbo qui onestamente fare ammenda di essermi illuso: ma a quell’illusione resto affezionato, perché quell’illusione non è se non fedeltà a certi principî fondamentali, che sono i principî della parte in cui milito, la quale ha sempre tenuto a difenderli, la quale ha sempre tenuto a riaffermarli.

Si rinnova dunque così quell’intesa che ha reso tanto diversa la prima dalla seconda parte della Costituzione, quell’intesa che ha creato uno squilibrio profondo nella nostra Carta costituzionale, per cui si può osservare che la seconda parte, elaborata quando quella collaborazione non c’era più, è riuscita migliore della prima – e questo non è naturalmente se non un mio personale giudizio – ma certamente è riuscita più chiara, più coerente che non la prima, nata sotto l’incubo di quella convivenza.

Parecchie volte, signor Presidente, io ho richiamato in quest’Aula all’osservanza del giuoco democratico e ho detto che, se queste regole del giuoco democratico non le osserviamo tutti, noi veniamo fatalmente a precostituire i mezzi per giungere al sistema della dittatura della maggioranza; perché quando una maggioranza, con la sua forza, può distruggere quelle barriere che le provengono, che dovrebbero provenirle da parte delle minoranze, si viene a far cadere quell’unica garanzia che le esigenze democratiche del Paese reclamano.

Quando infatti non si riconoscono queste leggi confine, al di là delle quali la maggioranza non può andare, non esistono più garanzie di sorta per la minoranza. (Commenti).

Onorevoli colleghi, io sono qui evidentemente per esprimere il parere mio e dei miei amici: non quello degli altri. Ove questo mio parere si voglia controbattere, è chiaro che vi saranno altri oratori di altre parti che potranno darmi la legittima risposta.

Io credo che qui ci troviamo di fronte ad una delle più gravi manifestazioni della mancanza di rispetto del giuoco democratico: e non è la prima. L’Assemblea Costituente affermò il principio del collegio uninominale per l’elezione del Senato e da allora sono stati continui ed incessanti i tentativi per riuscire in qualche modo ad eludere questa non equivoca affermazione di volontà dell’Assemblea Costituente.

E questo, o amici che oggi, per differenti accordi, siete di diverso avviso, quando io vi richiamai al rispetto delle regole del giuoco democratico, voi pur dichiaraste giusto: ma se giusto era allora, quando vi faceva comodo, giusto è anche oggi.

L’ordine del giorno Nitti era di una chiarezza inequivocabile, cioè era per il collegio uninominale. E anche se, con un errore tecnico che io rilevai, il principio della proporzionalità per la Camera dei deputati e dell’uninominalità per il Senato non fu introdotto nelle norme della Costituzione, fu chiaramente affermato che questo rappresentava un principio che l’Assemblea doveva tener presente come un imperativo nella compilazione della legge.

E vi fu allora un’elegante discussione risolta dall’articolo 89 del Regolamento della Camera, il quale stabilisce che gli ordini del giorno che si votano per fissare delle direttive nella composizione delle leggi, sono tassativi ed obbligatori. E non basta: signor Presidente, lei stamattina mi ha richiamato un precedente; ed io mi rifaccio a quello stesso precedente, perché quel precedente, che lei oggi ha richiamato alla mia memoria, si riferiva proprio ad uno dei tanti tentativi che furono fatti per cercare di eludere la precedente deliberazione; si riferisce, cioè, ad una pregiudiziale sollevata dall’onorevole Cevolotto contro un ordine del giorno dell’onorevole Perassi, che, successivamente all’ordine del giorno Nitti, voleva introdurre la proporzionale anche nel sistema elettorale per il Senato.

E allorquando fu messa ai voti la pregiudiziale dell’onorevole Cevolotto, l’onorevole Terracini, nostro illustre Presidente – che spero, di vedere presto rimesso, che mi duole non vedere fra noi e al quale mando il mio augurio, sicuro di interpretare il pensiero di tutta l’Assemblea (Approvazioni)la illustrò con queste precise parole: «la pregiudiziale dell’onorevole Cevolotto nei confronti della presa in considerazione dell’ordine del giorno dell’onorevole Perassi e di altri colleghi, con il quale si propone di adottare per la prima elezione del Senato della Repubblica il sistema proporzionale, ecc.». Cioè la votazione che avvenne il giorno 16 dicembre 1947 nel seno dell’Assemblea Costituente sulla pregiudiziale dell’onorevole Cevolotto investiva precisamente questa questione: se si potesse introdurre nella legge elettorale per il Senato il sistema della proporzionale, proprio in considerazione dell’ordine del giorno Nitti, precedentemente votato dall’Assemblea stessa.

Ora, questa votazione fu mandata il primo giorno deserta e mancò il numero legale; il secondo giorno, cioè il 16 dicembre, si ripetette, e l’Assemblea accolse la pregiudiziale dell’onorevole Cevolotto. Quindi, due volte l’Assemblea Costituente ha chiaramente affermato che la proporzionale nel sistema elettorale per il Senato non poteva entrare: la prima volta, approvando l’ordine del giorno Nitti, e la seconda volta, approvando la pregiudiziale Cevolotto, la quale specificatamente diceva: dato che c’è stato l’ordine del giorno Nitti, noi non possiamo prendere in considerazione sistemi che contengono la proporzionale per l’elezione del Senato.

Mi pare che anche di fronte alle affermazioni di chi favorisce e appoggia le dittature di maggioranza, questo doppio conforme dell’Assemblea Costituente, dovrebbe essere almeno sufficiente per non chiedere un triplice conforme, che sarebbe veramente scandaloso. E ancora più scandaloso sarebbe se, dopo due decisioni dell’Assemblea Costituente, un’Assemblea che non è più Assemblea Costituente, prendesse una decisione nettamente contraria a quanto due volte, con due sue votazioni responsabili, l’Assemblea Costituente ha deliberato.

E non è più l’Assemblea Costituente, onorevoli colleghi. Non lo dico io, lo disse l’altro giorno molto efficacemente l’onorevole La Rocca, quando fece notare che noi siamo gli esecutori testamentari di un’Assemblea che è stata, cari amici, due volte sciolta come Assemblea Costituente; una volta per la legge istitutiva di essa, che all’articolo 4 stabilisce che l’Assemblea è sciolta di diritto il giorno dell’entrata in vigore della nuova Costituzione, e la Costituzione è entrata in vigore il 1° gennaio; e sciolta una seconda volta dallo stesso testo della legge con la quale noi non abbiamo prorogato i nostri poteri di Assemblea Costituente, ma ci siamo autorizzati a finire, nell’ambito delle leggi costituzionali e dei precedenti stabiliti dall’Assemblea Costituente, alcuni specifici problemi, secondo le precise direttive che l’Assemblea Costituente ci aveva dato.

Ebbene, egregi signori, anche se – e sarebbe un assurdo – non si volesse accettare la preclusione precisa, assoluta ed imperativa del doppio conforme che ho prima richiamato alla vostra attenzione, basterebbe questo fatto, che noi, Assemblea minore, non possiamo assolutamente modificare quanto fu deliberato e ci fu imposto come indirizzo preciso dall’Assemblea che sola aveva i poteri di deliberare in materia; e mai la nostra deliberazione potrebbe comunque andar contro una deliberazione dell’Assemblea Costituente.

E questo vale per noi due volte, perché anche se l’Assemblea Costituente fosse stata nella pienezza dei suoi poteri, anche se fosse stata l’Assemblea Costituente così come fu eletta il 2 giugno e con i poteri che allora aveva, non avrebbe potuto ugualmente prendere in considerazione un mutamento così profondo di una concezione elettorale tale da non poter più essere chiamato col nome di emendamento, ma soltanto con una altra parola, che i democratici non possono accettare, a qualunque partito appartengano, con una parola che dirò in francese: escamotage!

Arriveremmo cioè all’assurdo che noi ci troveremmo domani, dopo un voto di cui tutto il Paese ha parlato, dopo un voto che ha portato già a polemiche e a discussioni in campo tecnico e politico, noi ci ritroveremmo domani di fronte all’assurdo di un Senato ancora più proporzionale della Camera dei deputati!

Perché, se per combinazione si arrivasse all’aberrazione di voler approvare il progetto Mortati, cioè il progetto di minoranza della Commissione, cari colleghi, veramente il Senato sarebbe più proporzionalistico della Camera dei deputati, perché nella Camera dei deputati un elemento personale ancora rimane, cioè quello che è stato dato dai voti di preferenza; ma con quel sistema si arriverebbe all’assurdo di veder proclamato chi ha un minor numero di voti, perché beneficia delle votazioni fatte in altri collegi, dove il suo nome è perfettamente sconosciuto.

Vi è qualcuno che sorride dicendo: tanto ce l’ho in tasca lo stesso, perché ormai nel rinnovato accordo con gli amici di ieri, col ritorno ai primi amori, mi sono assicurato una vittoria in questo campo.

No, cari colleghi democristiani, vi siete assicurati una sconfitta che non è soltanto vostra, ma dei criteri, dei principî, delle leggi democratiche che vogliamo dare al nostro Paese.

È sconfitta vostra perché la vostra maggioranza potrà durare oggi e domani e potrà non essere dopodomani, e la pratica che voi avete istituito contro le minoranze e contro la democrazia potrà essere ritorta contro di voi; e non sarebbe la prima volta che questo accade nella storia! (Interruzione del deputato Piccioni).

Onorevole Piccioni, io ho il difetto (e me lo rimproverano qualche volta) di avere troppo i piedi in terra e di dire le cose con troppa chiarezza. So benissimo che dico cose che non fanno piacere, ma queste cose non fanno piacere non tanto perché sostengono una tesi che è contraria a quella che vi interessa, ma perché sono cose vere; e voi – che siete cristiani – dovreste credere nella forza della verità, anche se qualche volta, per vostra comodità, la negate! (Commenti al centro).

Ad ogni modo, non è una vittoria, perché, contro questo tentativo di dittatura della maggioranza, la Costituzione non lascia ancora i cittadini completamente scoperti e indifesi! La Costituzione contiene nel suo seno i mezzi con i quali i cittadini possono difendersi contro le prepotenze e contro gli abusi del Parlamento. Sono contenuti in due norme, almeno due, della Costituzione: una volta, nel potere che ha il Capo dello Stato di rinviare alle Camere le leggi, motivandolo, (articolo 74 della Costituzione) quando ritenga che, per una ragione o per un’altra, queste leggi debbano essere nuovamente esaminate; una seconda volta, per l’articolo 75, che concede ai cittadini di chiedere il referendum su una legge che essi non volevano e che è stata loro imposta. E v’è il ricorso alla Corte costituzionale, che potrebbe avvenire nella forma più tragica, perché, di fronte a questa legge, voi potreste vedere tutti i candidati «trombati» al Senato dinanzi alla Corte costituzionale!

Voi potrete dire che, anche ove la Corte costituzionale desse ragione, anche ove la revisione chiesta dai cittadini fosse vittoriosa, ormai il fatto l’avreste compiuto e per sei anni avreste quel Senato che avete voluto!

Ma io vi domando: in che condizioni si troverebbe un Senato il quale fosse impugnato di nullità? Io vi domando: in che condizioni si troverebbero questi senatori? Di dover discutere di fronte ad una decisione impugnata, la cui impugnazione è stata ritenuta valida, anche se non ha valore retroattivo, perché – per ragioni di vita pratica – non si è ritenuto di dare valore retroattivo a certe deliberazioni?

Voi minate quello che faticosamente abbiamo costruito, voi minate quella che è stata opera di travaglio enorme delle nostre concordanze e delle nostre discordanze, voi vi preparate a creare negli italiani il non rispetto per quella Costituzione che noi abbiamo fatto, che non mi piace ma per la quale invoco il rispetto (come me lo sono imposto) incondizionato! (Approvazioni all’estrema sinistra).

La verità è un’altra, e l’ho detta un anno fa in quest’Aula: vi sono uomini che credono nelle Costituzioni e vi sono uomini che non credono nelle Costituzioni.

E permettetemi che vi dica: vi sono in Italia, dappertutto, e anche lì dove non ve ne dovrebbe essere nessuno, troppi uomini che non credono nella Costituzione, e non otterremo mai che il Paese rispetti questa Costituzione, non otterremo mai dai cittadini – singoli o associati – che per questa Costituzione abbiano obbedienza, se noi per primi irridiamo in modo così clamoroso alle statuizioni di indole costituzionale che l’Assemblea ha preso nelle sue piene facoltà!

E ritorno alla questione della dittatura di maggioranza. La maggioranza può fare molte cose e certe volte molte cose possono fare anche le minoranze, ma non sono cose democratiche, non sono cose che possono garantire all’Italia un regime che sia veramente e profondamente diverso da quello di cui abbiamo sofferto, che ci avviino veramente verso un consolidamento dello Stato nella legge, con la legge e per la legge.

Nella sua Scoperta dell’America Pascarella ricorda che il re del Portogallo interrogato da Colombo sulla sua famosa spedizione gli risponde: per essere re sò re, nun c’è quistione; ma mica posso fá quer che me pare!

Egregi amici, per essere maggioranza siete maggioranza e «non c’è questione, ma mica potete fare quello che vi pare»; voi potete fare solo quello che le leggi vi consentono nei limiti precisi che le leggi stabiliscono e se voi questi limiti oltrepassate non siete più né maggioranza, né minoranza, siete dei rivoluzionari. (Applausi all’estrema sinistra e a destra).

Con questo, signor Presidente, richiamandomi ai precisi ed espressi voti dell’Assemblea Costituente, e in sede di votazione dell’ordine del giorno Nitti e in sede, diciamo così, di giudizio di appello e di riconferma di votazione per la pregiudiziale Cevolotto, io chiedo che qualunque progetto elettorale che comprenda la proporzionale non sia posto in votazione in questa Assemblea, perché questa Assemblea non ha il diritto, né la facoltà di prenderlo in esame e di votarlo. E comunque dichiaro, a nome mio e del mio Gruppo, che noi facciamo tutte le più ampie riserve; che ci riserviamo cioè di servirci di tutti i mezzi che la Costituzione ci consente perché questa iniquità commessa possa essere rettificata e corretta. (Vivi applausi a destra).

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIANNINI. Onorevole Presidente, se mi consente, desidererei parlare prima io su un argomento sul quale l’onorevole Togliatti potrà rispondere dopo.

PRESIDENTE. Non posso darle la precedenza, debbo rispettare l’ordine.

GIANNINI. Chiedo all’onorevole Togliatti se me lo consente.

TOGLIATTI. Io non volevo fare dichiarazioni sul fondo della questione. Volevo unicamente divergere, non dico accuse, ma appunti che mi sono stati fatti dall’onorevole Lucifero. Le mie parole avranno quindi più che altro il carattere di fatto personale.

GIANNINI. Ma dovrà rispondere anche a me. Parlerò per due o tre minuti e così lei darà una risposta sola.

TOGLIATTI. Sta bene.

PRESIDENTE. L’onorevole Giannini ha facoltà di parlare.

GIANNINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole Togliatti, io comincio col dichiarare che aderisco a quanto ha detto l’onorevole Lucifero, il quale ha effettivamente espresso anche il mio pensiero. Se non che, la correttezza parlamentare di Lucifero, la sua maggiore esperienza, la sua qualità di giurista, gli hanno fatto forse trascurare volutamente – perché io non credo che il mio amico Lucifero abbia delle distrazioni – un fatto, un punto essenziale del nostro dibattito sul quale mi permetto di soffermarmi per pochi minuti.

L’argomento è questo: noi siamo in periodo elettorale; tutto quanto facciamo è in funzione elettorale. Molte volte facciamo anche delle cattive azioni (dico «facciamo» per accusarne anche me) e queste cattive azioni saranno forse giudicate più in là con maggiore indulgenza perché commesse in periodo elettorale, così come avviene per certi reati commessi in istato di ubriachezza o in diverso stato di minorazione. (Commenti al centro).

V’è un punto sul quale desidero essere illuminato, perché è un punto sul quale si poggerà tutta la campagna elettorale. Vorrei sapere: è reato la collaborazione con i comunisti o non è reato? Intendo, onorevole Togliatti, reato politico. Sono stato più volte accusato di aver commesso questo orribile crimine. L’onorevole Togliatti è spesso presentato come un diavoletto perché egli mi ricorda più Ariel che Lucifero, beninteso l’altro Lucifero, non quello del Partito liberale, ed è invocato volta a volta da tutti i partiti che siedono in questa Assemblea ed anche da partiti che non vi siedono ancora. Io faccio una polemica, scrivo un articolo, mi incontro in un treno: immediatamente viene fuori il diavoletto Togliatti: si è incontrato con Togliatti, ha parlato con Togliatti, ha collaborato con Togliatti, ha fatto qualche cosa con Togliatti!

Ciò produce scissioni nei partiti, (Si ride) cagiona confusioni, perturbamenti, tanto che non saprei dire con certezza se queste voci di collaborazione con l’onorevole Togliatti siano messe in giro dai nemici dell’onorevole Togliatti o anche dai suoi amici, allo scopo di danneggiare i concorrenti.

Non più tardi di domenica scorsa ho letto su un quotidiano democristiano molto autorevole di Roma, Il Popolo, l’articolo di un autorevolissimo democristiano qual è il professor Luigi Sturzo; nel quale articolo è un attacco all’onorevole Nitti, perché si è permesso nientemeno di fare un’alleanza elettorale. Subito l’onorevole Togliatti è stato impugnato per i piedi dal professor Sturzo e agitato davanti agli occhi dell’onorevole Nitti come nel medioevo si agitava la croce davanti all’indemoniato, e si è detto in quell’articolo all’onorevole Nitti: voi state lavorando per Togliatti, perché lui non vi cederà il bastone del comando, così come Mussolini non volle cedere a nessuno il bastone del comando!

L’onorevole Togliatti è stato agitato per spaventare l’onorevole Nitti; ma l’onorevole Nitti ne ha viste ben altre, e non si è spaventato. E noi lo ringraziamo per non aver avuto paura del nostro collega Togliatti.

Ma in questo momento noi ci troviamo in presenza di un’effettiva collaborazione di qualcuno col nostro eminente collega Togliatti, collaborazione che si verifica fra il partito, diciamo, dittatoriale, monopolizzatore della maggioranza di questa Assemblea, e l’onorevole Togliatti. (Commenti al centro).

Ad un certo momento il collega Lucifero ha chiesto all’onorevole Togliatti: vuole avere la bontà di dirci in che consiste questo accordo che lei ha fatto con i democristiani? Togliatti ha risposto, nel suo perfetto diritto: ve ne accorgerete alla votazione.

È cosa che capita spesso nelle discussioni, e noi dobbiamo ringraziare l’onorevole Togliatti di aver voluto limitarsi a rispondere in questi termini; avrebbe potuto dire di più e di peggio, cioè: ve ne accorgerete nel camminare, ve ne accorgerete nell’andare avanti e in tanti altri modi. Egli si è accontentato di dire: ve ne accorgerete nella votazione. Tutto ciò è perfettamente legittimo, perfettamente giusto; rientra nella prassi, come si suol dire, parlamentare, e non ho nulla da opporre. Ma devo constatare che ci troviamo di fronte ad una effettiva, operante, perfetta collaborazione fra la democrazia cristiana ed i comunisti. (Commenti).

È una collaborazione, perché la collaborazione non si svolge soltanto al Governo. Se io sono stato accusato di aver collaborato con l’onorevole Togliatti unicamente per aver fatto una polemica giornalistica con lui; ritengo che questa accusa di collaborazionismo possa essere rivolta a chi ha fatto qualche cosa di più, ossia un patto parlamentare. E questo patto parlamentare assume una ben diversa gravità perché, come ha ottimamente dimostrato l’onorevole Lucifero, esso patto si concreta nella pratica violazione della Costituzione.

Allora io domando a chi può darmi questo chiarimento: è reato politico collaborare con i comunisti? Oppure questo reato viene configurato soltanto per un partito, e non per un altro? Se noi avessimo fatto l’accordo che la democrazia cristiana ha fatto in questo momento con i comunisti, che cosa sarebbe accaduto di noi? Quando si è trattato di votare contro un Ministero democristiano, molti di noi sono stati convinti a votare a favore con questo argomento: non dovete alleare i vostri voti con i comunisti. Pare che ciò sia un delitto spaventevole, e voglio ammettere che lo sia. Ma perché deve essere spaventevole solo per una parte di questa Assemblea, e non per l’altra? (Ilarità a sinistra). Ora, non è da far questione sulla maggiore o minore simpatia che si possa avere per una corrente politica, né in quale percentuale possano essere contabilizzate le idee comuni. Si tratta semplicemente di stabilire – dovendo noi giuocare – a che giuoco si giuoca, e quali sono le regole di questo giuoco.

BELLAVISTA. Lotta libera.

GIANNINI. Noi siamo in tempi elettorali, e vogliamo sapere se v’è – come dice il nostro onorevole collega – regime di lotta libera; perché se v’è questa lotta libera, noi che siamo liberali e liberali progrediti, intendiamo valerci anche di questa libertà.

Onorevole Togliatti, ho finito. La ringrazio di avermi così benevolmente ascoltato. Spero che la sua figura di diavoletto magnetizzatore non sia oltre adoperata per terrorizzarmi o per creare un’altra scissione (Ilarità a sinistra) in quello che è il mio partito parlamentare. In quello che è il mio partito nel Paese, sapremo dopo le elezioni se è scisso o se non lo è. È questa una piccola variante alla sua già ricordata risposta.

Come lei ha detto all’onorevole Lucifero: ve ne accorgerete nel votare, io dico a tutti voi: vi accorgerete nel votare quale effetto avranno potuto avere le manovre scissionistiche contro un partito il quale non voleva che la libertà. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Togliatti.

TOGLIATTI. Desidero dire ai colleghi Lucifero e Giannini che quando ho detto che se abbiamo rilevato una coincidenza di posizioni con un altro Gruppo dell’Assemblea questo risulterà dai voti la mia espressione non conteneva nulla di minaccioso; conteneva unicamente il desiderio che il dibattito, su questa questione, non fosse posto sopra un terreno falso. Se avessimo fatto una riunione generale di esponenti di tutti i Gruppi, giusto sarebbe che discutessimo dell’accordo in questa riunione raggiunto o non raggiunto; ma dal momento che non abbiamo fatto la riunione generale coi rappresentanti di tutti i Gruppi, non è questo il modo come la discussione si deve impostare e svolgere. Se poi alcuni Gruppi, nei contatti avuti fra di loro, hanno costatato una coincidenza nelle loro aspirazioni e posizioni, ciò si vedrà dai voti stessi ch’essi daranno. Questo, e solo questo era il significato della mia espressione, onorevole Giannini; nulla di minaccioso, com’Ella vede.

L’onorevole Lucifero, invece, ha voluto porre e mantenere il dibattito su questo terreno, anzi ha appuntato particolari accuse contro di me, incominciando col risalire al famoso articolo 7 della Costituzione.

Onorevole Lucifero, se vogliamo decidere che d’ora in avanti le leggi che approveremo non avranno più nessun articolo 7, affinché il Partito liberale sia premunito contro qualsiasi manovra dei comunisti, possiamo accontentarla. Forse che non vi è chi sopprime il numero 13 dal calendario?

D’altra parte, anche lei, onorevole Lucifero, ha votato favorevolmente all’articolo 7 della Costituzione, come hanno votato a favore di quell’articolo notevoli esponenti della corrente liberale, quali l’onorevole Nitti, l’onorevole Vittorio Emanuele Orlando, e altri. Perché ora volete far colpa di averlo votato soltanto a noi? Perché il voto favorevole sarebbe stato da parte vostra cosa buona e un servizio reso al Paese, mentre per noi sarebbe stato cosa indegna, di cui ci dovremmo vergognare per tutti i secoli della storia?

LUCIFERO. Chi l’ha detto!

TOGLIATTI. La questione che sta davanti a noi oggi è soltanto una questione relativa al sistema elettorale. Vi sono qui problemi di principio? Senza dubbio.

Per esempio, noi, in linea di principio, eravamo contrari alla formazione di un Senato corporativo; in linea di principio, vedevamo di mal’occhio un Senato eletto con elezione a doppio o triplo grado; è giusto che abbiamo preso, nelle discussioni passate, quelle posizioni, che ci sono servite ad eludere queste soluzioni che respingevamo in linea di principio. Aggiungo che, in linea di principio, noi siamo più vicini a una soluzione proporzionalistica che non a una soluzione uninominalista. Queste cose del resto le abbiamo dette parecchie volte e tutti le sanno. Un partito conseguentemente democratico tende naturalmente verso la soluzione proporzionalistica.

Vi sono inconvenienti a una soluzione proporzionalistica per l’elezione del primo Senato della Repubblica? Riconosciamo che vi sono inconvenienti così come vi sono inconvenienti a una soluzione uninominalistica. Arriva, però, il punto in cui ogni partito deve giudicare del pro e del contro, e quando si tratta di legge elettorale, è inevitabile che ogni partito giudichi a seconda dei propri interessi, e così noi giudichiamo a seconda degli interessi nostri e non a seconda di quelli, diciamo, del Partito liberale.

Inoltre, su questa questione della convenienza, vorrei ricordare all’onorevole Lucifero che per i grandi partiti, i quali contano i propri elettori a milioni, tutti i sistemi elettorali su per giù si equivalgono: quello che si perde da una parte si guadagna dall’altra, alla sola condizione però che le circoscrizioni siano fatte in modo onesto e leale, in modo cioè che non favoriscano, fin dall’inizio, l’uno o l’altro partito. Questo è il solo risultato che un grande partito deve garantirsi in modo assoluto e con tutti i mezzi che gli offre il dibattito d’Assemblea. Se non riesce a garantirsi questo risultato, meglio è ritornare al sistema proporzionale.

Comprendo che l’argomento di cui mi servo, non serve, per il partito liberale, data la scarsa efficienza numerica a cui l’hanno ridotto i suoi dirigenti (Viva ilarità) con la politica che hanno seguito nel corso degli ultimi anni.

GIANNINI. Lo vedrete col blocco!

TOGLIATTI. Onorevole Giannini, comprendo come Ella ritenga che, con il suo aiuto, le cose per il partito liberale andranno meglio; però, se devo giudicare dal modo come sono andate le cose per il Fronte dell’Uomo Qualunque da lei fondato e diretto, non so se possano esservi prospettive migliori per il partito liberale.

GIANNINI. Va benone, stia tranquillo.

TOGLIATTI. Non so, insomma, se il contributo che ella porta al Partito liberale sia proprio quello di cui esso ha bisogno in questo momento.

GIANNINI. Se ne accorgerà.

TOGLIATTI. In secondo luogo vorrei pregare l’onorevole Lucifero di lasciar stare le recriminazioni, come se qui fosse avvenuto qualcosa di indegno, di inconfessabile. In realtà, onorevole Lucifero, quando Ella ha parlato non capivo se Ella muoveva una protesta di principio contro la coincidenza costatata tra noi e i democristiani, o se si trattava invece soltanto di una scena di gelosia. Perché avrebbe dovuto essere indegno un accordo del tipo che Ella comunicava all’Assemblea qualora fosse intercorso fra noi e il Gruppo democratico cristiano, sulla base di una rinuncia del Gruppo democristiano a chiedere una severa sanzione per l’astensione dal voto e non avrebbe dovuto essere indegno un accordo simile che eventualmente ci fosse stato offerto – e pare ci sia stato offerto – dal Gruppo liberale? (Vivi commenti al centro).

Inoltre, onorevole Lucifero, Ella fa parte della maggioranza, fa parte del Governo. Anche lei, onorevole Giannini, se proprio non fa parte del Governo, è nella maggioranza, e forse fa persino parte del Gruppo attraverso la presenza di qualche Sottosegretario, se ben ricordo.

Ad ogni modo, come facente parte di un partito della maggioranza Ella aveva la possibilità di trovare accordi e consensi col partito dirigente governativo molto più di quanto non avessimo noi, che siamo partito di opposizione.

Quello ch’è avvenuto non è dunque proprio colpa mia e del mio Gruppo, onorevole Lucifero. Noi abbiamo soltanto cercato di allontanare le soluzioni che ci urtano e che respingiamo in linea di principio. Una di queste era la sanzione pecuniaria per l’astensione dal voto, che noi respingiamo in linea di principio perché siamo un partito democratico. Ottenuto questo risultato, cercheremo di decidere le altre questioni controverse a seconda della nostra maggiore o minore influenza; e se abbiamo trovato che vi è una concordanza tra le posizioni nostre e quelle di altri Gruppi, questa concordanza garantirà determinati risultati alle votazioni che avranno luogo fra poco.

Da ultimo, due parole all’onorevole Giannini, il quale mi ha posto una domanda in modo molto drastico: vorrebbe che io gli dicessi se è un reato, o no, collaborare coi comunisti.

GIANNINI. Non l’ho chiesto a lei, onorevole Togliatti.

TOGLIATTI. Onorevole Giannini, ella ha sollevato in questo modo un problema di estremo interesse, quello della legittimità dell’anticomunismo, cioè di quella corrente politica che si presenta sulla scena della Nazione agitando non un programma ma uno spauracchio, quello del comunismo. Onorevole Giannini, se la memoria mi soccorre esattamente, e se non sbaglio, ella è stata precisamente, vorrei dire, l’antesignano ed esponente numero uno di questa corrente nel corso degli ultimi anni.

GIANNINI. Dell’antitotalitarismo.

TOGLIATTI. È vero che a un certo momento ella ha variato. Ha riconosciuto che le conveniva intavolare con noi discussioni oggettive. Fu un cambiamento di rotta assai radicale, il quale ha avuto conseguenze notevoli.

Si è arrivati al punto che, veda, ho ricevuto stamane, nella mia posta, una lettera indirizzata assieme all’onorevole Togliatti e all’onorevole Giannini! (Ilarità).

GIANNINI. Dove andremo a finire di questo passo?

TOGLIATTI. In comune, se ella crede, potremo esaminare quale risposta sia possibile dare allo scrivente.

GIANNINI. Quella lettera l’ha scritta l’onorevole Piccioni, vedrà! (Viva ilarità).

TOGLIATTI. Questa lettera è cosa di picciol conto. Sta però di fatto che la sua iniziativa di aprire con noi un dibattito in termini oggettivi ha avuto conseguenze abbastanza notevoli. Queste conseguenze tutti le hanno viste e giudicate. Esse sono state abbastanza gravi per lei e per il suo movimento, ma non vi è dubbio che queste conseguenze vi dovevano essere e non potevano non esservi, per la contradizione insita nella impostazione stessa del dibattito. L’anticomunismo infatti, quell’anticomunismo di cui ella era prima l’esponente numero uno, non ammette il dibattito oggettivo, non discute le proposte comuniste, elimina coi comunisti ogni conversazione, anche sul terreno delle questioni pratiche, nega, respinge, semina l’odio, agita uno spauracchio e basta. Se ella a un certo momento si è accorta che questo non solo non era giusto, ma era anzi cosa fatale alla Nazione, soprattutto nel periodo attuale…

GIANNINI. Onorevole Togliatti, ella sta facendo, adesso, la sua propaganda elettorale. Io non ho posto questa questione. Io ho domandato se trattare con i comunisti è un reato, al solo fine di sapere se è reato per uno e non è reato per un altro. (Commenti).

TOGLIATTI. Io le ho già dimostrato di sapere approfittare delle occasioni che mi si offrono; mi permetta di approfittare anche di quest’ultima che ella mi ha offerto oggi, sulla soglia della campagna elettorale.

Ad ogni modo, vengo alla risposta alla sua domanda. È reato o non è reato collaborare con i comunisti? Le dirò che era reato secondo il fascismo, e secondo i fascisti; forse continua a essere reato per coloro che vogliono continuare quella tradizione. Per qualsiasi buon democratico non è reato, e il fatto che i colleghi della Democrazia cristiana accettino una conversazione e anche un accordo determinato con noi dimostra che in sostanza nemmeno per i democratici cristiani la collaborazione con i comunisti è reato, anche se nelle piazze, nel corso della campagna elettorale, allo scopo di ottenere determinati risultati, potranno dire il contrario. Ma tutti coloro che vogliono riunire tutte le forze che devono essere unite per rafforzare la nostra democrazia e la Repubblica, per dare al Paese la libertà ed il benessere al popolo italiano, tutti coloro i quali hanno davanti a sé soltanto questo obiettivo, comprenderanno che escludere dal terreno della democrazia e della collaborazione politica una forza come la nostra, questo veramente è un reato, ed è un reato contro l’unità e contro l’avvenire della Nazione (Vivissimi applausi all’estrema sinistra).

GIANNINI. Allora, se non ho mal capito, onorevole Togliatti, ella ha detto che la Democrazia cristiana è fascista, perché condanna la collaborazione degli altri con i comunisti. (Commenti).

PRESIDENTE. La prego, onorevole Giannini: ella ha già parlato.

GIANNINI. Sta bene, signor Presidente.

NITTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Io passo di meraviglia in meraviglia. L’ordine del giorno Nitti, fra le altre firme di uomini di parti diverse dell’Assemblea, reca anche la firma dell’onorevole Togliatti. Comunque, l’onorevole Togliatti, con la sua autorità e con quella che gli viene dal suo forte partito, voleva il collegio uninominale. Su questo non è dubbio. Ora ci troviamo di fronte a un disegno di legge che abolisce di fatto anche l’idea di un vero collegio uninominale, e l’onorevole Togliatti è fra gli aderenti. Come ciò accade? E come si spiega il mutamento? Tutte le spiegazioni dell’onorevole Togliatti sono interessanti. Il fatto è però che la situazione muta improvvisamente e che non solo la Democrazia cristiana ma anche il Partito comunista accettano questa situazione interamente mutata.

Vediamo come ciò è avvenuto. Da parecchio tempo si svolge una campagna aspra nella stampa. I comunisti erano indicati come nemici della Patria, della civiltà; e, soprattutto nei giornali democristiani, questa campagna assume anche oggi la maggior asprezza e violenza. Democristiani e comunisti sono obbligati a combattersi. I giornali sono a loro volta obbligati a sostenere le tesi che chi ha contatti con i comunisti e patteggia con essi tradisce il Paese. Ora, che cosa è avvenuto di nuovo? Democristiani e comunisti non solo hanno trattato amichevolmente, ma si sono messi d’accordo per abolire di fatto l’essenza stessa del collegio uninominale, che i comunisti volevano insieme con i liberali e che i democristiani avversavano. Come ciò è avvenuto? E quali fatti sono intervenuti? Noi non sappiamo nulla. Noi siamo in una Assemblea che ha il dovere di rispettare almeno se stessa. Ora, questa nostra Assemblea farebbe la più ridicola figura se abolisse senz’altro, per accordo intrapreso tra i due partiti, e in realtà fra i capi di due partiti, ciò che era stato solennemente deciso.

Io sono stato il solo che, in quest’Aula, mentre si parlava di quella «democrazia progressiva» per cui i democristiani, i socialisti e i comunisti abitavano e agivano insieme e si dividevano il Governo, io sono stato il solo a parlare sempre contro queste unioni inverosimili e a dire che ciò non poteva durare e che nessun accordo era in questa materia durevole e tanto meno sincero e definitivo.

Se l’accordo è vero e sincero, tutto dovrebbe risentirne, anche la politica estera e la politica interna.

Ora, perché questo spostamento completo dell’equilibrio, non dirò solo parlamentare, ma della vita dell’Assemblea, è avvenuto senza che noi ne abbiamo avuto notizia? Quali concessioni reciproche sono state fatte? Non è a caso che gli accordi si fanno oramai fra i partiti e fra i capi dei partiti, senza che noi sappiamo in che cosa essi consistano.

Senza dubbio la Democrazia cristiana aveva negli ultimi mesi viva avversione per il comunismo. Come sono potuti avvenire accordi? Che cosa i comunisti hanno ottenuto da questi accordi, e che cosa ha ottenuto la Democrazia cristiana? Si tratta solo del disegno di legge sul collegio uninominale o si tratta anche di qualche cosa di diverso? Abbiamo ragione di chiedere spiegazioni. L’onorevole Togliatti deve ammettere, lealmente, che con le disposizioni concordate il collegio uninominale è praticamente abolito e che in realtà si preparano per il Senato elezioni fatte nella peggiore forma dello scrutinio di lista. Potevamo prevedere noi ciò? Possiamo assistere senza protesta a questo fatto? Può la nostra Assemblea, sia pure minimamente, annullare, ciecamente annullare, quello che aveva deciso con tanta solennità? Avevamo tante volte confermato il nostro ordine del giorno: possiamo ora senz’altro screditarci definitivamente rinnegando ciò che volevamo?

Non pongo la questione di merito se sia un bene o un male una forma di votazione o un’altra; io pongo la questione se abbiamo diritto di far ciò senza finire miseramente nell’opinione del pubblico. E pertanto io sottoscrivo all’eloquente e saggio discorso pronunciato dall’onorevole Lucifero: egli ha messo la questione nei suoi veri termini: non è questione di partito, è questione di dignità. Noi non possiamo senza squalificarci negare ciò che avevamo affermato e garantito.

Il Senato da questa metamorfosi nascerebbe così male che noi non avremmo il coraggio di difenderne l’impurità della origine. Dovremmo domani mutare ciò che oggi facciamo. La Costituzione deve essere mutata, prima o poi, in tante cose che promette ma che non possono realizzarsi. È inutile farsi illusioni.

Abbiamo voluto cose non realizzabili o che non dureranno. Abbiamo dichiarato la Costituzione stabile, o, come si dice, rigida. Non la renderete mai rigida o immutabile o stabile, con questi errori e con queste continue contradizioni! La Costituzione che abbiamo fatta non è immutabile e sappiamo che vi sono parti che non si possono mantenere. Non aumentiamo i futuri dissensi. Non diamo motivo con nuovi errori ad agitazioni che sono giustificate da errori; o da assurdità, o, tanto più, da ingiustizie.

Io vi prego, dunque, di riflettere prima di votare in maniera da abolire una decisione già presa e di far fare il contrario di ciò che avevamo annunziato al pubblico. Non date voi stessi la prova che non vi è niente di stabile e di duraturo: né meno gli impegni più sicuri dell’Assemblea!

Prego gli amici della Democrazia cristiana di riflettere ancora se ad essi tutto ciò come venga, ad essi che dichiarano ogni giorno che da lì (Accenna ai banchi di estrema sinistra) può venire la fine di tutto ciò che rappresenta la nostra civiltà e la nostra vita sociale, che da lì parte la minaccia. La prima buona regola è di rispettare gli impegni assunti.

Comunisti e democristiani, senza esitazioni, si sono intesi in questi giorni come se si trattasse di una piccola modificazione a una legge riguardante i cancellieri di tribunale e modificano ciò che prima era stato deciso. Questa non è materia che si possa discutere leggermente: questa è materia essenziale, e qui sono in gioco la dignità nostra e il nostro prestigio, e soprattutto il vostro, amici democristiani! E questo si fa per una convenienza che non vedo ancora, perché sono sicuro che voi non avete da perdere dal collegio uninominale. Le cose che sono state scritte sui danni del collegio uninominale e sui precedenti che riguardano questo argomento sono tutte invenzioni di un prete fantastico. (Commenti – Interruzione del deputato Rubilli). Voi non avrete da una imposizione della proporzionale alcun vantaggio e farete offesa alla nostra dignità (Proteste al centro). Ho letto stamane nel giornale Il Popolo un acre, non sincero e non giusto articolo contro di me del sacerdote don Luigi Sturzo. Mi occuperò quando mi parrà di doverlo fare di ciò che ha scritto e che nego, nella parte che mi riguarda, recisamente.

Io ho trattato sempre Luigi Sturzo come amico, ho cercato di essergli utile e benevolo. A Parigi l’ho avuto anche non poche volte ospite. Io ho dato asilo nel lungo esilio a Parigi a tutti gli italiani liberali, repubblicani, comunisti, socialisti, cristiani e non cristiani, come amici; tutti lo sanno; e ho dato prova di eguale rispetto e tolleranza; così s’imponeva in casa mia lo spirito di tolleranza e di rispetto di tutte le opinioni: del prete Sturzo come dell’anticlericale Modigliani e del giacobino Eugenio Chiesa.

Ora dunque decidiamo secondo la nostra coscienza, secondo la nostra dignità: noi non possiamo abolire ciò che abbiamo accettato e che è stato stabilito; noi non possiamo abolire ciò che abbiamo fatto e che quindi dobbiamo mantenere.

Voi democristiani avete fino a questa mattina gridato sui giornali al pericolo della parte rossa, al pericolo dei comunisti; e che chi patteggiava con essi tradiva l’Italia. Voi l’avete ripetuto, voi l’avete esagerato: volete ora, con un tratto di penna di una lettera o di un provvisorio accordo, rinnegarlo? Oggi i comunisti hanno allora il diritto di dichiarare che debbono godere anche della fiducia dei vostri seguaci di parte opposta. Penetreranno meglio nelle vostre file, perché, dopo averli insultati, voi avete patteggiato con essi, li avete riabilitati e, se mi permettete, adulati. (Commenti al centro).

Ora dunque, non avendo voi nulla da sperare né da temere, non preoccupandovi nemmeno di questo episodio della vita nazionale che sono le elezioni, io vi prego di pensare a voi stessi, di pensare a noi, alla nostra dignità; e prego ancora i comunisti di ricordarsi che, di fronte al popolo lavoratore, perderanno anche essi, io credo, una certa parte del loro prestigio se non dei loro voti.

Ora, chi guadagna? Chi guadagna da questo? Guadagneranno tutti coloro che sono contro la Costituzione, che sono contro la Repubblica, perché essi diranno che in quest’Aula non v’è legge né serietà. (Approvazioni).

Se dunque qualcuno vuol difendere ancora in questo momento la libertà e vuol difendere la Repubblica, si ricordi del suo dovere, si ricordi che chi ama veramente la patria non deve in questo momento nutrire alcun dubbio: deve avere la coscienza della propria responsabilità, deve sentire la nostra stessa dignità.

E però, io prego l’onorevole Togliatti che lasci stare i suoi sottili ragionamenti, che lasci stare i suoi bizantinismi, e tutto questo senza offesa ai Bizantini.

TOGLIATTI. Crearono una grande civiltà.

NITTI. Crearono la Russia moderna, cui diedero per la prima volta l’alfabeto e la religione. (Commenti). Fu solo infatti con la regina Olga che i popoli che chiamiamo la Russia ebbero una prima civiltà. Non ho dunque voluto dire cosa offensiva parlando di discorsi un po’ bizantini.

E torniamo al nostro argomento.

Qui si creano equivoci, parlando di collegio uninominale mentre si prepara una nuova proporzionale. Il collegio uninominale noi sappiamo quello che è; noi sappiamo che non vi è equivoco, che non vi può essere equivoco; noi sappiamo che è stato votato, noi sappiamo che si è sempre fino a ieri dichiarato che non si doveva e non si poteva cambiare nulla a ciò che era stato disposto. Forse, onorevoli deputati comunisti, ciò è a vostro vantaggio dal punto di vista pratico, perché vi rimette nella circolazione con i partiti di Governo. Voi passate un colpo di spugna sul recente passato o credete almeno che ciò possa avvenire. Ma non si tornerà alla così detta democrazia progressiva, a quando si diceva che il socialismo marxista e il cristianesimo anche nelle forme del cattolicesimo avevano la stessa essenza morale.

Ricordo che io, forse solo, negavo qui dentro questo grande equivoco. Nella loro essenza cristianesimo e socialismo sono due cose non solo diverse ma opposte.

L’equivoco non può ora riprodursi completamente, ma vi possono essere adattamenti. Solo la libertà (che i sistemi totalitari negano) può fare vivere senza lotta concezioni e sistemi diversi e anche opposti.

Voi farete forse accordi provvisori e limitati, ma non riuscirete a fare più ciò che costituisce il grande equivoco. Per ora confesso che siamo oggi nel paese delle meraviglie, perché sono passato da una meraviglia all’altra e ho visto che non vi è limite alle fantasie né alle responsabilità e persino che si può gabellare come collegio uninominale un pesante e ingombrante scrutinio di lista.

Il sistema che si propone è la negazione di ciò che attendevamo.

Io sottoscrivo a tutte le cose che ha dette l’onorevole Lucifero e a tutte le sue critiche. Le sue ragioni sono inoppugnabili. Non è solo di noi e di lotte parlamentari che si tratta; oggi di tratta dell’Italia. Io spero e credo nella resurrezione dell’Italia, ma attraverso la disciplina e il dolore nell’unione nazionale e dicendo sempre la verità. Io credo, quindi, che le proposte che sono dinanzi a noi dovrebbero essere respinte senz’altro.

Non so come i democristiani e soprattutto i comunisti ci spiegheranno questo disegno di legge che è diverso da ciò che doveva essere, e da ciò che attendevamo.

Vi è anche nel disegno di legge una parte, che riguarda il modo di attribuzione dei voti, la quale rimane alquanto oscura e richiede calcoli di esperti che non si trovano certo in ogni villaggio o borgata. Data la cifra enorme di voti che si richiede per essere eletti, non vi sarà quasi alcuno che sarà eletto nel suo collegio, e quasi tutti i candidati dovranno passare per quel misterioso organismo di proporzionale che è stato congegnato non senza difficoltà.

RUBILLI. Non c’è elezione al primo scrutinio! Si tratta ormai di un sistema completamente proporzionale. Del collegio uninominale è rimasto appena il nome.

NITTI. Vorrei che mi si spiegasse il sistema di elezione, perché non sono riuscito a capire troppe cose; e anche la proporzionale con il collegamento mi sembra diretta ad aumentare la confusione. Rimane una proporzionale mal congegnata e non sincera.

Confermando la mia avversione a quanto accade e a quanto si vuol preparare per le prossime elezioni, deploro il metodo che si vuol seguire per gli scopi indefiniti che si vogliono raggiungere. (Applausi).

PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato alle ore 16.

La seduta termina alle 12.55.

POMERIDIANA DI VENERDÌ 23 GENNAIO 1948

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCLX.

SEDUTA POMERIDIANA DI VENERDÌ 23 GENNAIO 1948

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Congedo:

Presidente

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Norme per l’elezione del Senato della Repubblica (61).

Presidente

Assennato

Scelba, Ministro dell’interno

Micheli, Presidente della Commissione

Cevolotto

Fuschini

Clerici

Mastino Pietro

Lucifero

Franceschini

Gullo Rocco

La Rocca

Perassi

Bubbio

Martino Gaetano

Gullo Fausto, Relatore per la maggioranza

Mortati, Relatore per la minoranza

Dominedò

Nitti

Carpano Maglioli

Moro

Cianca

Togliatti

Piccioni

Targetti

Molinelli

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.10.

RICCIO, Segretario, legge il verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo il deputato Cairo.

(È concesso).

Seguito della discussione del disegno di legge: Norme per l’elezione del Senato della Repubblica. (61).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del disegno di legge: Norme per l’elezione del Senato della Repubblica (61). Dobbiamo procedere alla votazione dell’emendamento aggiuntivo al quarto comma dell’articolo 26, presentato dall’onorevole Assennato, del seguente tenore:

«È consentita, durante la notte dalla domenica al lunedì, la permanenza nell’aula delle sezioni degli scrutatori e dei rappresentanti di lista».

Su questo emendamento è stata chiesta, dall’onorevole Assennato e da altri, la votazione per appello nominale.

Onorevole Assennato, insiste nella richiesta?

ASSENNATO. La ritiro.

PRESIDENTE. Pongo in votazione lo emendamento dell’onorevole Assennato.

(Dopo prova e controprova non è approvato).

Pongo in votazione il quarto comma dell’articolo 26, identico nei testi del Governo e della Commissione:

«Le operazioni di votazione proseguono fino alle ore 22 in tutte le sezioni elettorali: gli elettori che a tale ora si trovino ancora nella sala sono ammessi a votare».

(È approvato).

Pongo in votazione il quinto comma, identico nei due testi:

«Il presidente rinvia quindi la votazione alle ore 7 del giorno successivo e, dopo aver provveduto a sigillare le urne, la cassette o scatole recanti le schede ed a chiudere il plico contenente tutte le carte, i verbali ed il timbro della sezione, scioglie l’adunanza e provvede alla chiusura ed alla custodia della sala a termini dell’articolo 51 del decreto legislativo 10 marzo 1946, n. 74».

(È approvato).

Passiamo al sesto comma così formulato nel testo governativo:

«Alle ore 7 del giorno successivo, il presidente, ricostituito l’ufficio e constatata l’integrità dei mezzi precauzionali apposti agli accessi della sala e dei sigilli delle urne e dei plichi, dichiara riaperta la votazione che prosegue fino alle ore dodici: decorsa quest’ora, nessuno può più votare».

La Commissione l’ha così modificato:

«Alle ore 7 del giorno successivo, il presidente, ricostituito l’ufficio e constatata, l’integrità dei mezzi precauzionali apposti agli accessi della sala e dei sigilli delle urne e dei plichi, dichiara riaperta la votazione che prosegue fino alle ore quattordici; gli elettori che a tale ora si trovano ancora nella sala sono ammessi a votare».

Domando al Governo se accetta la modificazione della Commissione.

SCELBA, Ministro dell’interno. Accettiamo.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il comma di cui ho dato lettura.

(È approvato).

Pongo in votazione il settimo comma, identico nei due testi:

«Le operazioni di cui all’articolo 59, primo comma, numeri 1, 2 e 3, del decreto legislativo 10 marzo 1946, n. 74, devono essere effettuate immediatamente dopo la chiusura della votazione».

(È approvato).

Passiamo all’ottavo comma che dal Governo era stato così formulato:

«Il presidente procede quindi alle operazioni di scrutinio, con precedenza per quelle relative all’elezione della Camera dei deputati. Tali operazioni devono svolgersi senza interruzione ed essere ultimate entro le ore dodici del secondo giorno successivo a quello di inizio della votazione; ove non siano compiute entro tale ora, si applicano le disposizioni dell’articolo 55 del decreto legislativo 10 marzo 1946, n. 74».

La Commissione l’ha così modificato:

«Il presidente procede quindi alle operazioni di scrutinio, con precedenza per quelle relative all’elezione del Senato. Tali operazioni devono svolgersi senza interruzione ed essere ultimate entro le ore diciotto del secondo giorno successivo a quello di inizio della votazione; ove non siano compiute entro tale ora, si applicano le disposizioni dell’articolo 55 del decreto legislativo 10 marzo 1946, n. 74».

Domando al Governo se accetta questa formulazione.

SCELBA, Ministro dell’interno. Non trovo il motivo sufficiente per giustificare la precedenza nello spoglio elettorale, da darsi al Senato. Il testo del Governo prevedeva che la precedenza fosse data alla Camera dei deputati. La Commissione propone l’inversione. Ripeto, non trovo un motivo plausibile e sufficiente che possa giustificare questa modificazione; mentre ne troverei uno logico e razionale, che è quello per cui la Camera va, in ordine logico, prima del Senato, e quindi anche lo spoglio dovrebbe farsi prima. Per mio conto, insisto sul testo governativo.

PRESIDENTE. Le differenze sarebbero due. La prima è quella relativa allo scrutinio. Secondo la Commissione deve darsi la precedenza al Senato. L’altra differenza riguarda la durata delle operazioni: nel testo del Governo è prevista fino alle ore 12; nel testo della Commissione fino alle ore 18.

Chiedo alla Commissione se insiste nel suo testo.

MICHELI, Presidente della Commissione. La Commissione non ha effettivamente sopravalutato le ragioni, che il Ministro in fondo non ha esposto, e che metterebbero nelle affermate condizioni di privilegio la Camera dei deputati. Effettivamente noi non abbiamo ancora stabilito quale sia la forma di scrutinio per il Senato; ma se per avventura dovesse essere approvato il sistema dello scrutinio regionale, è evidente che l’esame delle schede votate per il Senato deve precedere, dato che deve seguire un secondo scrutinio, per il quale devono essere approntati al più presto gli elementi. Non solo, ma siccome sembra che il decreto del Capo dello Stato, che proclamerà i senatori di diritto, debba ragionevolmente venire dopo che siano stati proclamati gli eletti, è evidente che anche questo porta qualche ragione di preminenza per far sì che le due Camere possano funzionare subito insieme. Queste sono state le ragioni principali; non ne mancano altre di minor conto; ma, dal momento che il Governo non si oppone, mi pare inutile prolungare la discussione.

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. La prima ragione, accennata dall’onorevole Micheli, mi convince, ma è subordinata all’esito che darà questa Assemblea al sistema di votazione. Nel caso si accedesse alla proposta della minoranza, il problema non si presenterebbe in questi termini; perché sarebbe un motivo giustificato nella ipotesi del ballottaggio, in quanto l’operazione elettorale successiva consiglierebbe di anticipare lo scrutinio per il Senato.

Comunque, siccome la questione non è di sostanza, mi rimetto all’Assemblea.

MICHELI, Presidente della Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI, Presidente della Commissione. Ho fatta una ipotesi, aggiungo l’altra: se sarà accettata la proposta Gullo, si dovrà procedere al ballottaggio; ed allora sarà necessario avere immediatamente il risultato, perché ballottaggio significa nuova elezione e quindi stampa di schede e manifesti; per tutto questo ventiquattro ore in più faranno comodo. Ad ogni modo tanto in un caso come nell’altro, a me pare che sia opportuno far precedere lo spoglio delle schede del Senato.

Ma c’è un’altra ragione: lo scrutinio del Senato è molto più semplice; c’è un nome solo e si procede rapidamente; mentre per lo scrutinio dei deputati si tratta di molti nomi; anche il numero di schede è minore per il Senato, poiché votano solo gli elettori di età superiore ai 25 anni.

Tutto questo induce a far sì che lo scrutinio per il Senato debba essere sbrigato, per queste ragioni, più rapidamente.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’ottavo comma, testé letto, nel testo della Commissione.

(È approvato).

Pongo in votazione il nono comma, identico nei due testi:

«I verbali delle operazioni per le elezioni del Senato debbono essere compilati distintamente da quelli per le elezioni della Camera dei deputati e redatti in duplice esemplare».

(È approvato).

Pongo ai voti l’ultimo comma, identico nei due testi:

«Ove non sia possibile l’immediato recapito, i plichi contenenti i verbali e i documenti allegati devono rimanere nella sala della votazione, che viene chiusa e custodita secondo le prescrizioni di cui all’articolo 51 sopra richiamato, per essere recapitati, con ogni urgenza, a cura del presidente, al mattino».

(È approvato).

Abbiamo esaurito l’esame dell’articolo 26.

Passiamo all’articolo 27, identico nei due testi. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Nell’ipotesi prevista dall’articolo precedente, la Commissione elettorale comunale, entro quindici giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto di convocazione dei comizi, appone sull’esemplare della lista di sezione depositato presso il Comune apposita annotazione mediante stampigliatura a fianco dei nominativi degli elettori che possono votare soltanto per le elezioni della Camera dei deputati. L’elenco di detti nominativi è trasmesso, a cura del sindaco, immediatamente alla Commissione elettorale mandamentale che provvede ad apporre analoga annotazione stampigliata sull’esemplare della lista destinato all’ufficio elettorale di sezione».

PRESIDENTE. Poiché non vi è alcun emendamento lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 27-bis proposto dalla Commissione. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Nel caso di contemporaneità della elezione dei deputati e di quella dei senatori, si può essere candidati in entrambe. Il candidato che sia proclamato eletto tanto per il Senato quanto per la Camera dei deputati, deve optare per l’uno o per l’altra non più tardi del giorno precedente quello della convocazione dei due rami del Parlamento. In mancanza, s’intende che abbia optato per il Senato».

CEVOLOTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO. Mi pare che questo articolo, così come è stato proposto dalla Commissione, non possa andare per una ragione molto semplice che è questa: il candidato che sia stato proclamato sia come deputato che come senatore non può scegliere tra la Camera dei deputati ed il Senato il giorno precedente quello della convocazione del Parlamento, perché deve aspettare, per forza di cose, di essere convalidato. Se fosse convalidato in una delle Camere e non nell’altra, verrebbe meno la necessità dell’opzione. Se avesse scelto prima della convalidazione e venisse poi contestato dalla Camera per la quale ha optato e venisse invece convalidato dell’altra, resterebbe escluso da entrambe, e non sarebbe rispettata la volontà degli elettori che lo avevano validamente eletto. Perciò il sistema proposto nel progetto non può andare, e la Commissione, tenendo presente questa obiezione dovrebbe modificare il testo.

FUSCHINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUSCHINI. Onorevoli colleghi, su questo punto è opportuno che la Camera si soffermi un istante, per considerare le conseguenze di questo articolo.

Per norma costituzionale non si può essere contemporaneamente deputato e senatore. Se quindi una persona, nominata deputato, viene contemporaneamente nominata senatore, è evidente che deve scegliere fra le due nomine. Ma questa scelta non si può fare – ed è giusto il rilievo fatto or ora – se non vi è una convalidazione, se cioè l’eletto sia stato convalidato come deputato e come senatore. Infatti potrebbe accadere il caso che, mentre si è scelta la carica di senatore, proprio la nomina a senatore venga contestata dal Senato, e avendo optato per il Senato, si abbia l’assurdo, pur essendo stati eletti per tutte due le Assemblee, di non diventare né membri della Camera dei deputati, né membri del Senato.

Il problema è alquanto intricato e per cercare di risolverlo bisogna scegliere una via di mèzzo. Non si può pretendere, come dice l’articolo, che venga dichiarata l’opzione il giorno precedente alla convocazione del Parlamento, perché questa è una pretesa ingiusta che non ha nessuna base di diritto, dato che la scelta si può fare soltanto quando si sia stati convalidati in tutti e due i rami del Parlamento.

Ora, bisogna trovare una via di uscita e, secondo me, questa via potrebbe essere la seguente: quando si è eletti deputati e sonatori si può ammettere che la scelta sia rimandata alla convalida: però, siccome non può una persona partecipare contemporaneamente ai lavori delle due Assemblee, e deve partecipare ad una sola Camera, bisogna stabilirlo in precedenza. Io oserei proporre che fino a tanto che non sia avvenuta la convalida, chi è nominato deputato e senatore si deve ritenere, per tutte quelle attività che si devono svolgere, appena convocato il Parlamento fra le quali una molto importante, quella cioè della nomina del Presidente della Repubblica, come se avesse optato per il Senato.

Per quale ragione io propongo questa provvisoria soluzione? Per una ragione molto semplice: perché, nonostante che noi possiamo preferire che venga adottato il sistema proposto dalla minoranza, dobbiamo pensare che, alla sua base, il sistema di elezione per il Senato è uninominale, e quindi anche nella scelta provvisoria fra le due Assemblee dobbiamo indicare quella che crei meno difficoltà futura. Così, in attesa della convalida, proporrei che provvisoriamente debba considerarsi l’eletto come eletto per il Senato, Quindi, questi potrebbe partecipare e ai primi lavori del Parlamento come senatore, salvo poi, una volta convalidato come deputato e come senatore, a scegliere egli stesso, di sua libera volontà, quale è l’Assemblea alla quale intende partecipare.

Questa mia è una indicazione. Certamente, ci vuole una disposizione che ponga il futuro eletto ad ambedue le Camere in una posizione chiara perché possa partecipare alle prime decisioni che dovranno prendere le Assemblee in seduta comune.

Per queste considerazioni prego la Commissione di prendere in esame le modifiche che occorre portare a questo articolo che stiamo discutendo.

CLERICI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CLERICI. Onorevoli colleghi, io faccio anzitutto un rilievo e poi una proposta di rinvio.

Le osservazioni di cui alla proposta dell’onorevole Cevolotto, perfezionate dal collega onorevole. Fuschini, mi sembrano urtare contro due disposizioni basilari del diritto costituzionale: la prima è quella che è scritta nella nostra Costituzione, cioè la incompatibilità assoluta tra l’ufficio di senatore e quello di deputato; la seconda è quella che è scritta nel Regolamento della Camera dei deputati, come pure nel Regolamento del Senato: che, cioè, il deputato, come anche il senatore elettivo, si presumono, fino a convalida avvenuta, legalmente ricoprenti l’ufficio; tanto è vero che taluno persino è deputato, non dal giorno che è proclamato tale, ma dal giorno in cui è eletto, avendo la proclamazione valore ed effetto retroattivi. Dal momento in cui è eletto, il deputato, oppure il senatore, esercita le proprie funzioni ed ha tutti i privilegi delle funzioni stesse. Invece noi verremmo ad avere – contro la Costituzione, che stabilisce la impossibilità di essere contemporaneamente deputato e senatore – delle persone che, sia pure provvisoriamente, sarebbero e deputato e senatore. Dico inesattamente «provvisoriamente», perché non è che il deputato e il senatore prima della convalida siano tali sotto condizione sospensiva; cioè resti sospeso il loro ufficio sino a quando non sarà convalidata la elezione; al contrario essi sono già deputati e senatori fin dall’inizio. Tanto è vero, che annullata la loro nomina, non restano annullati affatto i voti e ogni altra azione che il non convalidato abbia dato ed esercitato. La negata convalida ha valore di condizione risolutiva soltanto.

Il collega Fuschini arriva a un compromesso: questo deputato e senatore insieme, nella votazione dell’Assemblea, e niente di meno che nella elezione del Presidente della Repubblica, agirebbe come senatore soltanto; peggio che mai! perché avremmo con ciò a tutti gli effetti (così a quello di ogni votazione, come della elezione del Presidente della Repubblica) un posto scoperto nel numero dei deputati della Camera. Il che è anche un assurdo pratico.

Io ritengo poi che, se dovessimo istituire per i senatori il Collegio uninominale, inteso nel senso rigoroso, secondo le proposte dell’onorevole Nitti e di altri, noi ci troveremmo di fronte a delle difficoltà. Se chi è eletto deputato e senatore, opta per la carica di deputato, costringe a rifare la elezione senatoriale nel suo Collegio con grave dispendio, non dico dei partiti politici (il che ha pure il suo valore e che merita pure una certa considerazione) ma anche dello Stato, per il quale ogni elezione di senatore rappresenta un dispendio di diversi milioni.

Questo inconveniente sarebbe attenuato qualora, invece, fosse votato o il progetto del Ministro Scelba, o il progetto così detto della minoranza della Commissione, perché allora ad un senatore mancante subentrerebbe un altro dello stesso contrassegno.

Ed io allora chiedo che, siccome questa questione è intimamente collegata col modo di elezione del Senato, essa sia rimandata a dopo che la Costituente avrà deciso la questione di principio sul modo di elezione dei senatori.

Nel caso di collegio uninominale puro, mi parrebbe logico disporre che l’elezione duplice di diritto fa optare (è una opzione o meglio una prevalenza ope legis) per la carica di senatore. Già c’è un caso analogo nella legge elettorale per la Camera, così come in quello per questa Assemblea; che l’elezione contemporanea in un Collegio territoriale e nel Collegio nazionale fa sì che prevalga l’elezione nella lista nazionale.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. L’articolo 27-bis, del quale attualmente si discute, stabilisce nella prima parte la possibilità della candidatura tanto per l’elezione a deputato come per quella a senatore, da parte della stessa persona.

Premesso questo punto, sul quale nessuno degli oratori precedenti ha creduto di dover sollevare obiezioni, pare anche solo la soluzione proposta dalla Commissione ponga riparo, per quanto possibile, agli eventuali inconvenienti.

In definitiva, si è detto da parte dell’onorevole Cevolotto che non è possibile procedere, nel giorno precedente la convocazione del Parlamento, alla rinunzia ad una delle due elezioni, in quanto prima che si abbia la convalida l’elezione non è valida. Ciò si ridurrebbe, in certo senso, all’affermazione secondo la quale non si può rinunziare ad una cosa che non si ha; solo quando si è definitivamente deputati o senatori si può procedere alla rinuncia.

Ma è anche vero, d’altra parte, che se non si procede ad una dichiarazione di opzione prima che siano convocati i rami del Parlamento, si consente di fatto la possibilità dell’eletto nelle due Camere di frequentare l’una Camera e l’altra: il che urta con la norma costituzionale che vieta il cumulo delle due cariche.

Contro questa possibilità, che ho definito inconveniente, l’onorevole Fuschini propone invece una soluzione in via provvisoria, la quale porterebbe però a quest’altro inconveniente, che è anche di indole estetica, se mi è lecito dire; che per un certo periodo l’eletto partecipi ai lavori di una delle due Camere e, poi, d’improvviso cessi di appartenere a quel ramo del Parlamento, ai cui lavori ha già partecipato, per diventare membro dell’altra Camera; il che mi pare una nuova incongruenza.

Quindi, poiché noi abbiamo stabilito il diritto della candidatura tanto per una Camera quanto per l’altra, dobbiamo accogliere la soluzione che la Commissione ha proposto, la quale in definitiva si riduce a questo: fa correre all’eletto l’alea che gli proviene dal fatto che gli si è data la possibilità ed il vantaggio di presentarsi candidato tanto per un ramo del Parlamento quanto per l’altro.

Non ho altro da aggiungere.

PRESIDENTE. Chiedo alla Commissione di esprimere il proprio parere.

MICHELI, Presidente della Commissione. La Commissione ha avuto come interprete del suo pensiero, in modo preciso e concreto, l’onorevole Mastino e aderisce a quanto egli ha dichiarato.

Rimane la eccezione presentata dall’onorevole Clerici, alla quale non ha accennato il collega Mastino; egli ha detto che tanto la Costituzione, quanto il Regolamento della Camera non consentono che un cittadino possa essere contemporaneamente deputato e senatore; ed è appunto per questo che la Commissione si è data carico di questa eccezione, stabilendo che il cittadino sia tenuto, prima dell’apertura del Parlamento, a dichiarare a quale delle due Camere esso intenda appartenere. Ciò la Commissione ha fatto appunto in omaggio alla precisa disposizione contenuta nella Costituzione e nel Regolamento della Camera dei deputati.

A me non pare quindi, stando così le cose, che sia il caso di rinviare. È evidente che la Camera può stabilire il rinvio se essa lo creda opportuno, ma qui in effetti si tratta di una modesta questione che è stata ormai discussa, ed esaminata a sufficienza. Si può quindi essere d’avviso che convenga o meno di consentire la duplice candidatura; ma, dal momento che si è ritenuto che sia un concetto di maggior libertà e larghezza il lasciar libero il cittadino di poter presentare la propria candidatura tanto all’una Camera che all’altra. Non vedo come rinviando si eliminino i piccoli inconvenienti che possono pure determinarsi, dal momento che essi vengono indubbiamente ad essere sminuiti con l’articolo che propone la Commissione.

PRESIDENTE. Onorevole Ministro, vuole esprimere anche lei il suo parere?

SCELBA, Ministro dell’interno. Onorevoli colleghi, l’argomento non è di quelli per cui il Governo possa esprimere, come tale, una propria opinione. Se non ci fosse l’articolo 65 della Costituzione, il Governo potrebbe anche tenere su questa questione, diverso atteggiamento: ma dall’articolo 65 io deduco la conseguenza – che potrà anche non essere accolta, ma che io sono fermamente convinto esser tale – dell’impossibilità della contemporanea candidatura a deputato e a senatore.

Noi ammettiamo questa possibilità per un motivo meramente estrinseco, per il solo fatto cioè che le due elezioni si svolgono contemporaneamente. Ma, poiché si tratta di un fatto estrinseco, è evidente che esso non ha niente a che fare con il diritto soggettivo.

Ritengo quindi, che la proposta non meriti accoglimento. Mi dichiaro, pertanto contrario alla proposta della Commissione.

È evidente poi che, essendo io per la pregiudiziale contro la proposta del Governo, il problema del rinvio non me lo pongo neppure, né me lo porrò in un secondo momento, perché anche in un secondo momento non potrei se non riconfermare questo mio punto di vista.

MICHELI, Presidente della Commissione. Ma esiste un’incompatibilità, non una ineleggibilità. Noi la discipliniamo quindi in questo modo.

SCELBA, Ministro dell’interno. Insomma, dopo lunga ponderazione, ritengo che sia veramente una mostruosità questa di presentarsi candidati e come deputati e come senatori nello stesso momento. (Applausi – Approvazioni).

PRESIDENTE. Onorevole Clerici, insiste nella sua proposta di rinviare la votazione su questo articolo? Tenga presente che si sono espressi tutti contro.

CLERICI. La ritiro e mi associo alla proposta di far decidere preliminarmente se siano compatibili le contemporanee candidature a deputato ed a senatore.

PRESIDENTE. L’onorevole Lucifero, ha presentato un emendamento del seguente tenore:

«Dopo le parole: per la Camera dei deputati, aggiungere: deve optare ope legis».

Ha facoltà di svolgerlo.

LUCIFERO. Voterò per la soppressione di questo proposto articolo 27-bis, in quanto concordo pienamente con quanto ha detto l’onorevole Ministro dell’interno. Mi sembra infatti non solo un assurdo costituzionale, ma un assurdo logico. Quindi il mio emendamento ha un valore di subordinata; cioè, qualora la Camera, contrariamente a quello che mi sembrerebbe l’avviso accettabile, deliberasse che ci si possa presentare candidato e all’elezione della Camera e a quella del Senato, io ritengo che si debba stabilire il principio che l’opzione deve essere automatica per il Senato.

E con questo non introduco niente di nuovo – se si può parlare di introdurre qualche cosa di nuovo in una cosa nuova – perché, in fondo, mi richiamo a quel principio che c’è già nella legge per l’elezione della Camera dei deputati, per gli eletti nella lista nazionale.

Il mio emendamento ha poi anche un significato pratico: cioè serve ad evitare che i leaders più autorevoli dei partiti si presentino in x collegi per la Camera ed in x collegi per il Senato, unicamente per una speculazione elettoralistica, per assicurare i seggi ai loro partiti, e poi siano liberi di andare dove vogliono. Ciò porterebbe a chi sa quante elezioni suppletive per il Senato, dovendosi fare queste elezioni per ogni cittadino che, essendo stato eletto per il Senato e per la Camera, optasse per la Camera. Mentre se optasse per il Senato, non si farebbe luogo ad elezioni suppletive, perché la successione sarebbe automatica. Quindi se si lasciasse la possibilità di optare per la Camera, si correrebbe il rischio di dover fare un numero notevole di elezioni suppletive.

Per tutte queste considerazioni, ritengo che chi già commette l’atto di infrazione costituzionale, direi quasi di usurpazione costituzionale, di presentarsi candidato per le due Camere contemporaneamente nelle quali la sua presenza è incompatibile, almeno sia vincolato a scegliere quella per la quale sorgono meno complicazioni e per il Paese e per il bilancio, e anche per la situazione generale, perché questa molteplicità di candidature, che poi si sa per quali ragioni sono fatte, fa una certa impressione.

PRESIDENTE. L’onorevole Franceschini, insieme ad altri colleghi, ha presentato il seguente emendamento:

«Nel caso di contemporaneità della elezione dei deputati e di quella dei senatori, non si può essere candidati in entrambe».

Ha facoltà di svolgerlo.

FRANCESCHINI. A noi sembra così chiara la non convenienza di due candidature simultaneamente presentate (Commenti) che rinunziamo addirittura a svolgere l’emendamento, perché ci affidiamo alla comprensione dei colleghi.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Vorrei far rilevare come l’articolo 65, al quale si è fatto riferimento, disponga quanto segue:

«Nessuno può appartenere contemporaneamente alle due Camere».

L’articolo 27-bis, del quale si discute, è quindi proprio diretto ad impedire l’appartenenza contemporanea alle due Camere. Vale a dire, è proprio diretto a regolare l’eventualità che taluno sia eletto alle due Camere: in tal caso deve decidersi, deve optare per una di esse. Vale a dire, esiste un’incompatibilità, non un’ineleggibilità.

Gli oppositori all’articolo dovrebbero, quindi, negare la possibilità delle due candidature e non sostenere una preclusione costituzionale che non esiste.

PRESIDENTE. Prego la Commissione di esprimere il proprio parere.

MICHELI, Presidente della Commissione. Credo di essermi già espresso aderendo alle dichiarazioni fatte dall’onorevole Mastino, che ha parlato d’accordo con noi.

Ad ogni modo, siccome il Ministro dichiara di sostenere la tesi che non sia ammessa la doppia candidatura, coloro che saranno d’accordo con lui voteranno contro il nostro articolo. La Commissione lo ha presentato, lo ha sostenuto e lo mantiene.

PRESIDENTE Onorevole Micheli, abbia la cortesia di esprimere il parere della Commissione sull’emendamento Franceschini.

MICHELI, Presidente della Commissione. È evidente che, dopo quello che ho dichiarato due volte, la Commissione non può consentire nella proposta dell’onorevole Franceschini, ed è quindi contraria al suo emendamento.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Ministro dell’interno di esprimere il parere del Governo.

SCELBA, Ministro dell’interno. Ritengo che si debba mettere in votazione l’emendamento Franceschini che afferma positivamente che non si può essere candidati contemporaneamente per il Senato e per la Camera. Mentre se si mettesse in votazione la proposta della Commissione, si lascerebbe aperta la questione.

Quindi, chiedo che preliminarmente sia messo in votazione l’emendamento Franceschini, e aderisco alla proposta soppressiva.

GULLO ROCCO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO ROCCO. Noi stavamo per votare pacificamente questo articolo, che non sembrava dovesse far sorgere alcuna contestazione e per cui non erano stati presentati né emendamenti, né ordini del giorno.

Senonché si è affacciata la preoccupazione dell’onorevole Cevolotto per ciò che riguarda il termine dell’opzione, in quanto egli riteneva pericoloso fissare questo termine entro il giorno precedente alla convocazione delle Camere: un deputato o un senatore che avesse scelto per l’uno o per l’altro ramo del Parlamento avrebbe potuto eventualmente trovare a veder contestata la propria elezione, e a vederla eventualmente annullata per quel ramo del Parlamento per cui avesse in precedenza optato.

Questa osservazione dell’onorevole Cevolotto, che poteva trovare sostenitori od avversari, ha suscitato un vespaio, ed ha portato ad una votazione su altra questione in un momento in cui non ce l’attendevamo. Questo è bene dir chiaramente, perché eravamo qui per una seduta di ordinaria amministrazione, mentre poi è capitato all’improvviso un argomento di particolare importanza. (Commenti).

Nel merito dichiaro che non vedendo alcun inconveniente nella doppia votazione, non vedo neppure motivi di preclusione costituzionale, perché lo stesso testo della Commissione ha stabilito la condizione della contemporaneità delle elezioni. Onde è chiaro che se le elezioni in avvenire non fossero contemporanee, noi avremmo solo in quel caso quel tale inconveniente a cui non si presterebbe il testo della legge.

E allora, stando così le cose, dichiaro di votare pel testo della Commissione.

LA ROCCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA ROCCA. Non credo che sia possibile votare in questo momento, in assenza di quasi tutti i deputati socialisti.

PRESIDENTE. Si tratta di un emendamento, onorevole La Rocca.

LA ROCCA. È una questione seria.

Possiamo andare avanti senza votare su questa questione. (Commenti).

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Se fosse posta in votazione la proposta Franceschini, io voterei contro perché ritengo che non sia conforme all’articolo 65 della Costituzione. Mi spiace a questo riguardo di non essere dell’avviso del Ministro dell’interno. Mi pare che l’onorevole Mastino Pietro abbia già in maniera precisa dimostrato che il secondo comma dell’articolo 65 stabilisce una incompatibilità, la quale non si può tradurre, con una legge ordinaria, in una ineleggibilità.

Ora, l’emendamento Franceschini in realtà stabilisce una ineleggibilità, quindi ritengo che non sia costituzionale.

Ad ogni modo, mi pare – come ha sostenuto il collega Gullo Rocco – che, dato che la discussione si è allargata e dalla questione di dettaglio sull’applicazione della proposta si è passati a sollevare questa delicata questione dell’emendamento Franceschini, che riguarda la sostanza dell’articolo 65 della Costituzione, mi pare che convenga tornare alla saggia proposta fatta da diversi colleghi: ossia che quest’articolo venga rinviato alla Commissione per un accurato esame.

Siccome la legge non sarà finita oggi, non ci sarà nulla di male se si ritarda di 12 ore la decisione.

LA ROCCA. Siamo tutti d’accordo!

BUBBIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BUBBIO. Quando si tratta di materia tecnica o di alta politica posso comprendere di rinviare la proposta alla Commissione perché la studi, ma in una materia come l’attuale, in cui si tratta soprattutto di sensibilità, ritengo che si debba senz’altro passare alla votazione, senza altre sospensioni, in modo che ciascuno assuma subito le proprie responsabilità! (Applausi al centro).

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta di rinvio dell’onorevole Perassi.

MICHELI, Presidente della Commissione. La Commissione si astiene.

(Dopo prova e controprova, non è approvata).

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell’emendamento Franceschini.

MARTINO GAETANO. Chiedo di parlare, per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARTINO GAETANO. Voterò a favore dell’emendamento dell’onorevole Franceschini, perché, ignorante come sono di questioni giuridiche, ho l’impressione che l’argomento addotto dall’onorevole Perassi non sia che un sillogismo. Il fatto che la Costituzione dica che sono incompatibili le due funzioni di deputato e di sentore non esclude, a parer mio, che in sede di legge elettorale si determini anche la incompatibilità delle due candidature. Così come l’affermare la incompatibilità delle due candidature non significa, a parer mio, violare il principio della incompatibilità delle due cariche, sancito dalla Costituzione. Solo qualora ci fosse questo contrasto, cioè solo qualora raffermare che non è possibile la doppia candidatura rappresentasse una violazione del principio sancito nell’articolo 65 della Costituzione, potrei io comprendere l’argomento addotto dall’onorevole Perassi. Qui si tratta, in verità, non tanto di questione giuridica, quanto di questione squisitamente politica e, vorrei dire, squisitamente morale (Commenti al centro). È per me un argomento sul piano etico importante questo che è stato sollevato dall’onorevole Ministro dell’interno. Non è concepibile che noi si debba incoraggiare l’avventura di coloro che tentano in ogni modo di assurgere ad un posto di responsabilità nella vita pubblica, qualunque esso sia, e perciò tentano contemporaneamente e l’elezione alla Camera e l’elezione al Senato; così come non è concepibile che, per ottenere il successo maggiore del proprio partito, uomini notoriamente molto autorevoli abbiano a presentarsi candidati e per la Camera e per il Senato, e contemporaneamente in parecchi collegi.

Io penso che, considerata la cosa sul piano etico oltre che sul piano politico, la proposta dell’onorevole Franceschini abbia un serio fondamento e meriti di essere votata. (Applausi all’estrema destra).

PRESIDENTE. Pongo ai voti l’emendamento Franceschini:

«Nel caso di contemporaneità della elezione dei deputati e di quella dei senatori,; non si può essere candidati in entrambe».

(Dopo prova e controprova, e votazione per divisione, non è approvato).

L’onorevole Mortati, ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire le parole: in mancanza di opzione si intende che hanno optato per il Senato, con le altre: deve optare entro cinque giorni dalla proclamazione; in mancanza si intende che abbia optato per il Senato».

L’onorevole Lucifero ha così modificato l’emendamento inizialmente proposto:

«Il candidato che sia proclamato eletto tanto per il Senato quanto per la Camera dei deputati sarà considerato eletto ope legis per il Senato».

Domando il parere della Commissione su questi due emendamenti.

GULLO FAUSTO, Relatore per la maggioranza. La Commissione insiste sul suo testo, perché la parola «proclamazione» potrebbe dar luogo ad equivoci e incertezze. Invece, il termine che coincide con la giornata precedente quella della convocazione dei rami del Parlamento non può dare luogo a nessun equivoco. Non vedo, poi, la ragione sostanziale che dovrebbe giustificare la sostituzione.

Necessario è che l’opzione venga prima che i due rami del Parlamento siano convocati. Che venga prima di questa data di 5 o di dieci giorni, non so a quale risultato possa portare. È meglio scegliere il testo della Commissione, che appunto fissa una data precisa.

Quanto all’altro emendamento, con il quale si stabilirebbe una opzione obbligatoria per il Senato, la Commissione non lo approva. Si creerebbe una condizione giuridica delle più strane e ingiustificate, ossia l’elezione a deputato sarebbe in partenza invalida, sempre che fosse accompagnata con l’elezione a senatore. Ora, ammessa come principio la possibilità che la candidatura sia duplice, non c’è una ragione giuridica che possa giustificare questa anticipata menomazione di una delle due elezioni.

Se la candidatura è duplice, è chiaro che si deve avere come conseguenza la possibilità che sia duplice l’elezione. Ed essendo duplice l’elezione, non si intende perché una di esse debba essere in partenza menomata.

Quindi, la Commissione insiste per il suo testo, con il quale si lascia al proclamato la libertà di optare per l’uno o per l’altro ramo del Parlamento. Si sono fatte delle obiezioni circa la condizione in cui, colui che è proclamato per i due rami del Parlamento, verrebbe a trovarsi, se fosse costretto ad optare prima della convalida.

Vorrei rispondere all’onorevole Cevolotto questo: che la posizione individuale di colui che viene proclamato per entrambi i rami del Parlamento sia non la più lieta, possiamo essere d’accordo. Ma, nel momento in cui pensa di porre la candidatura sia per la Camera dei deputati sia per il Senato, egli sa bene che non può neanche per un momento rivestire entrambe le cariche, perché c’è la ragione d’incompatibilità fissata in maniera perentoria della Costituzione. Del resto, la cosa è resa necessaria da un’ulteriore esigenza giuridica. Non c’è possibilità (e con ciò rispondo anche all’onorevole Fuschini) che, essendosi proceduto alle elezioni generali, resti una circoscrizione senza il suo rappresentante.

La. legge ammette la molteplicità della rappresentanza, nel senso che uno possa rappresentare più circoscrizioni. Questo deriva come conseguenza necessaria dal fatto che un cittadino può porre la candidatura in più circoscrizioni. Ma non è concepibile giuridicamente che, fatte le elezioni generali, una circoscrizione resti senza rappresentante. Ora, se si ammettesse l’ipotesi dell’onorevole Fuschini, ossia che provvisoriamente si dia al proclamato il diritto di partecipare ad una Camera (egli diceva che doveva essere la Camera dei deputati) avverrebbe questo: che, lasciando a questo proclamato la possibilità, avvenute in seguito le convalide, di optare per l’una o per l’altra Camera, un ramo del Parlamento avrebbe intanto una circoscrizione senza rappresentante; appunto perché, per la disposizione statutaria, non sarebbe possibile che lo stesso proclamato rivestisse contemporaneamente entrambi i mandati. È dunque più che evidente che, ammessa la molteplicità delle candidature, occorre senz’altro subordinare l’interesse individuale del proclamato all’interesse di sistemare giuridicamente la sua situazione, conformemente alla norma statutaria.

Per queste ragioni, la Commissione è contraria sia all’uno sia all’altro emendamento.

PRESIDENTE. Mi si fa osservare che c’è una ragione tecnica, che riguarda gli uffici del Senato e della Camera.

L’onorevole Gullo ha considerato l’ipotesi che l’eletto faccia la sua opzione. Ma gli uffici del Senato e della Camera come devono considerare quell’eletto, se non hanno la sua dichiarazione?

GULLO FAUSTO, Relatore per la maggioranza. Se il proclamato non esercita la facoltà di opzione, s’intende che l’opzione sia fatta pel Senato; è sempre una presunzione di opzione; ma una opzione ci deve essere.

È detto nello stesso articolo 27-bis, all’ultimo comma: «in mancanza (dell’opzione volontaria) s’intende che abbia optato per il Senato».

PRESIDENTE. Onorevole Lucifero, le faccio osservare che il suo emendamento può essere considerato assorbito dall’ultima parte dell’articolo. In mancanza di dichiarazione, s’intende che abbia optato per il Senato.

LUCIFERO. È presunta, se il proclamato non opta; ma per il mio emendamento è obbligato ad optare.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento proposto dall’onorevole Lucifero:

«Il candidato che sia proclamato eletto tanto per il Senato quanto per la Camera dei deputati sarà considerato eletto ope legis per il Senato».

(Non è approvato).

Passiamo alla votazione l’emendamento Mortati:

«Il candidato che sia proclamato eletto tanto per il Senato quanto per la Camera dei deputati deve optare entro 5 giorni dalla proclamazione».

MORTATI, Relatore per la minoranza. Vi rinunzio.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 27-bis nel testo proposto dalla Commissione:

«Nel caso di contemporaneità della elezione dei deputati e di quella dei senatori, si può essere candidati in entrambe. Il candidato che sia proclamato eletto tanto per il Senato quanto per la Camera dei deputati deve optare per l’uno o per l’altra non più tardi del giorno precedente quello della convocazione dei due rami del Parlamento. In mancanza, s’intende che abbia optato per il Senato».

(È approvato).

Passiamo all’articolo 27-ter proposto dalla Commissione. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Ove le due elezioni per il Senato e per la Camera dei deputati non siano contemporanee, il membro della Camera ancora in funzione che accetta la candidatura per l’altra Camera, decade dal mandato».

PRESIDENTE. L’onorevole Perassi ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire l’articolo col seguente:

«Il membro di una Camera che sia eletto a far parte dell’altra Camera decade dal mandato dal giorno della proclamazione».

Ha facoltà di svolgerlo.

PERASSI. Il testo della Commissione è stato letto or ora dal Presidente. Il voto che è stato dato, poco fa, dall’Assemblea Costituente, mi rende più agevole il compito. Vorrei soltanto ricordare, ancora una volta, che dal primo gennaio 1948 è entrata in vigore la Costituzione, la quale per ciascuno dei membri dell’Assemblea Costituente comporta la conseguenza che, di fronte a qualsiasi legge e a qualsiasi articolo ed emendamento da chiunque proposto, si ponga questa domanda: «questo articolo è compatibile con la Costituzione?». Già abbiamo avuto occasione, in una legge recente, di applicare questo concetto di fronte ad un emendamento che presentava aspetti interessanti, dal punto di vista morale e politico. L’Assemblea Costituente ha dovuto constatare che vi era un impedimento ad accoglierlo. Ora, la stessa domanda mi sono posta quando, per la prima volta, ho letto questo articolo, ed avevo allora semplicemente accennato la questione, limitandomi a rilevare il problema di ordine procedurale; in un secondo tempo ho creduto bene di cercare di trovare una formula che superasse la questione costituzionale e mantenesse l’essenza della disposizione. Il testo che io propongo è questo: «Il membro della Camera, che sia eletto a far parte dell’altra Camera, decade dal mandato che aveva dal giorno della proclamazione». In altri termini il deputato che è eletto senatore decade da deputato; il senatore che è eletto deputato decade da senatore, automaticamente. Ritengo che la disposizione debba essere allargata nel testo da me proposto; non basta prevedere soltanto le ipotesi in cui le due elezioni, per il Senato e per la Camera dei deputati, non siano contemporanee, ma occorre anche vedere il problema in termini più generali, tenendo conto che secondo il sistema della legge, è possibile anche avere elezioni parziali durante il corso della legislatura. Per conseguenza bisogna approfondire la questione. Cioè, una volta riconosciuto che, secondo la Costituzione, non vi è ineleggibilità, ma solo incompatibilità, bisogna regolare la norma relativa all’incompatibilità, cioè: se un deputato è eletto senatore, che cosa avviene?

Occorre una disposizione perché, secondo la Costituzione, questa persona, che è eletta a far parte contemporaneamente delle due Camere, non possa esercitare le funzioni nell’una e nell’altra. Non si può aspettare che questa persona sia convalidata in una Camera o nell’altra, perché poi faccia opzione fra le due cariche: contro questa ipotesi c’è l’obiezione, che è stata già fatta precedentemente, che questa persona non può simultaneamente esercitare le due funzioni.

Occorre quindi una disposizione particolare, la quale risolva automaticamente il cumulo delle due cariche. E perciò io propongo, che, se un deputato si presenta come candidato al Senato e riesce, entro lo stesso giorno in cui viene proclamato senatore, decade dalla carica di deputato, e viceversa. Questa è la portata della disposizione.

Mi pare che questa formula, la quale risponde alle stesse esigenze costituzionali alle quali si è ispirato l’onorevole Mortati, che pure ha avuto la sensazione che l’articolo così com’è non sia interamente accettabile, risponda meglio all’ipotesi che stiamo esaminando.

L’articolo proposto dalla Commissione incontra delle difficoltà: esso dice che il semplice fatto di accettare la candidatura comporta decadenza dal mandato. Questo è incostituzionale. Si viene, in altra maniera, a stabilire una ineleggibilità, il che non è ammissibile. Bisogna pensare invece l’ipotesi che la stessa persona sia effettivamente eletta alle due Camere, e che cioè vi sia un cumulo momentaneo delle due funzioni. È necessario quindi che vi sia una norma, che collochi questa persona al posto che essa ha scelto: ossia, dal giorno della proclamazione a deputato decade da senatore, e dal giorno della proclamazione a senatore decade da deputato. Questa è la portata dell’articolo.

PRESIDENTE. L’onorevole Mortati, ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire alle parole: decade dal mandato, le altre: deve optare nel caso di elezione all’altra Camera, ai sensi del precedente articolo».

Ha facoltà di svolgerlo.

MORTATI, Relatore per la minoranza.

Mi associo alle considerazioni svolte dall’onorevole Perassi.

PRESIDENTE. Prego la Commissione di esprimere il proprio parere sugli emendamenti Perassi e Mortati.

GULLO FAUSTO, Relatore per la maggioranza. L’onorevole Perassi, per sostenere il suo emendamento fa capo alla disposizione costituzionale che sancisce la incompatibilità fra le due cariche. Ora, se si parte da questa premessa, non mi spiego come poi si arrivi alla conseguenza di cui all’emendamento. Data la premessa, intendo meglio l’emendamento Mortati, che giustamente riconosce al proclamato il diritto di optare. Ma, non è possibile che, partendo da questa premessa, si arrivi dove arriva l’onorevole Perassi, ossia che si riconosca il diritto ad una persona di presentare la sua candidatura e la si obblighi poi ad abbandonare la carica, che riveste nel momento in cui interviene la proclamazione. Non vedo che vi sia una logica giuridica fra la premessa e la conseguenza.

Ma, in realtà, gli emendamenti vanno respinti per la stessa ragione per cui si sostiene il testo della Commissione. La ragione è questa: qui non si fa capo alla incompatibilità o ineleggibilità, così come è inteso attraverso gli emendamenti stessi, ma vi è una ragione che giustifica una nuova causa di ineleggibilità che noi creiamo. Noi vediamo bene che non è un caso di incompatibilità. In realtà, fissiamo un caso di ineleggibilità e diciamo che, colui che riveste la carica di deputato non può presentare la candidatura al Senato, e viceversa.

E ciò si giustifica con la stessa ragione che giustifica tanti altri casi di ineleggibilità, ossia che il deputato, che rimane in carica durante la lotta elettorale, è in grado di esercitare una influenza attraverso la quale la libertà degli elettori può essere pregiudicata.

È questa la ragione per la quale noi riteniamo che il deputato e il senatore in carica, che presenta la candidatura al Senato o alla Camera dei deputati debba cessare per questo dalla carica che riveste, appunto perché, continuando a rivestirla, eserciterebbe, o si pensa che potrebbe esercitare, una influenza illecita sulla libertà del voto.

Questa è la ragione giustificatrice del caso di ineleggibilità, che noi creiamo con questa disposizione. Pertanto la maggioranza della Commissione insiste nel testo proposto.

MORTATI, Relatore per la minoranza. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI, Relatore per la minoranza. A mio avviso la disposizione proposta dalla maggioranza della Commissione non è soltanto incostituzionale, perché trasforma in eleggibilità ciò che ai sensi dell’articolo 65 è una incompatibilità, ma per un’altra ragione, che si riferisce precisamente alla obiezione sollevata per ultimo dall’onorevole Gullo Fausto.

Noi abbiamo ammesso l’istituto della prorogatio, consentendo che il deputato rimanga in carica fino al giorno in cui si indicono le nuove elezioni.

Ora, questa ipotesi, che noi abbiamo prevista e consacrata nella Costituzione, creerebbe (se fosse esatta la premessa posta dall’onorevole Gullo Fausto) la impossibilità della presentazione di candidatura di tutti i deputati in carica, perché i deputati rimangono tali fino al giorno delle elezioni, e conseguentemente non potrebbero accettare la candidatura.

Ritengo quindi che la proposta della Commissione di cui si discute sia in disarmonia, non solo con l’articolo 65, ma anche con l’articolo 58 della Costituzione, e per questo non può essere accolta.

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. Io concordo con l’osservazione fatta dall’onorevole Gullo. La proposta dell’onorevole Perassi mette i candidati in condizioni di inferiorità, e crea inoltre una sperequazione evidente, con tutti gli svantaggi di ordine morale e politico che una sperequazione crea. Noi ammetteremmo che un senatore si possa presentare candidato nel Parlamento, mentre lo abbiamo negato per una categoria limitata. Nel caso specifico noi urteremmo contro le ragioni che hanno indotto il Parlamento di stabilire una causa di ineleggibilità per i deputati regionali.

Poi c’è una considerazione di carattere politico: un senatore si presenta candidato come deputato, viene bocciato, ma rimane senatore, cioè a rappresentare il Paese al Senato.

Mi pare che politicamente metteremo questo senatore in condizioni di non esercitare il suo mandato. Ma vorrei ricordare anche una disposizione della Costituzione: la norma delle disposizioni finali transitorie della Costituzione stabilisce: «Al diritto di essere nominati senatori si può rinunciare prima della firma del decreto di nomina. L’accettazione della candidatura alle elezioni politiche implica rinuncia al diritto di nomina a senatore».

Noi verremmo quindi a contraddire palesemente questa disposizione, nel caso che accettassimo questo emendamento. Sono d’accordo pertanto con la proposta della Commissione e mi dichiaro contrario all’emendamento dell’onorevole Perassi.

PRESIDENTE. Onorevole Perassi, mantiene il suo emendamento?

PERASSI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Pongo ai voti l’emendamento Perassi, del seguente tenore:

Art. 27-ter.

«Il membro della Camera ancora in funzione che sia eletto a far parte dell’altra Camera decade dal mandato a datare dalla proclamazione».

(Non è approvato).

Onorevole Mortali insiste nel suo emendamento?

MORTATI. Non insisto.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 21-ter nel testo della Commissione:

«Ove le due elezioni per il Senato e per la Camera dei deputati non siano contemporanee, il membro della Camera ancora in funzione che accetta la candidatura per l’altra Camera, decade dal mandato».

(È approvato).

Gli onorevoli Dominedò e Moro, hanno proposto il seguente articolo 25-quater:

«L’esclusione dalle cause di ineleggibilità prevista a termini dell’articolo 1 n. 2, della legge 23 dicembre 1947 n. 1453, per i deputati delle legislature XXVII, XXVIII e XXIX, i quali fecero parte della Consulta nazionale, deve ritenersi applicabile anche a coloro che fecero parte della Consulta regionale».

L’onorevole Dominedò ha facoltà di svolgerlo.

DOMINEDÒ. Basterà qualche parola di illustrazione. Questo emendamento tende, attraverso una disposizione transitoria inserita dopo l’articolo 25, a completare la norma per i casi di ineleggibilità dei deputati delle legislature dalla XXVII alla XXIX – casi che vengono meno nell’ipotesi che successivamente tali deputati abbiano fatto parte della Consulta Nazionale – nel senso che la stessa esclusione della causa di ineleggibilità possa operare là dove essi abbiano fatto parte della Consulta regionale, e più precisamente della Consulta regionale siciliana, la quale in atto fu costituita ed operò nello stesso periodo storico in cui operò la Consulta nazionale.

Le ragioni dell’emendamento sono palesi, nel senso che, qualitativamente, la partecipazione ad una Consulta di competenza nazionale ovvero regionale può essere posta su una posizione di equiparabilità agli effetti di cui si parla. Nell’un caso e nell’altro vi fu infatti una selezione politica prima dell’ammissione dei membri nella Consulta. Nell’un caso e nell’altro si venne a partecipare ad organi per i quali anche successivamente la Costituzione (per quanto attiene alla funzione legislativa) istituisce un rapporto di equipollenza qualitativa, come avviene nell’articolo 122, dove l’incompatibilità è contemplata in modo reciproco.

Pertanto per ragioni politiche e costituzionali di diritto e di equità, riteniamo di poter proporre all’Assemblea l’approvazione dell’articolo aggiuntivo 25-quater, di carattere transitorio.

FUSCHINI. Ma questo non può valere per la Camera! (Commenti).

DOMINEDÒ. Al contrario, questa disposizione, come quella sulla obbligatorietà del voto ed altre, può valere per entrambi i rami del Parlamento.

PRESIDENTE. Prego la Commissione di esprimere il proprio parere.

MASTINO PIETRO. L’emendamento proposto dall’onorevole Dominedò equipara, agli effetti dell’esclusione dalle cause di ineleggibilità, coloro i quali, avendo fatto parte della Consulta nazionale, diventano eleggibili, nonostante rientrino nelle disposizioni delle precedenti leggi proibitive, a quelli che fecero parte di Consulte regionali.

Mi sembra pertanto che una ragione di giustizia ci consigli ad ammettere l’emendamento proposto dall’onorevole Dominedò.

PRESIDENTE. Onorevole Ministro, la prego di esprimere il suo parere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Il Governo si rimette all’Assemblea.

NITTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Vorrei sapere per chi vale questo emendamento. A chi si applica.

PRESIDENTE. Onorevole Dominedò, vuol chiarire di nuovo all’onorevole Nitti e all’Assemblea la portata di questo suo emendamento?

DOMINEDÒ. Volentieri, onorevole Presidente. Ma non potrò se non riferirmi a quanto ho detto poc’anzi in sede di svolgimento della proposta. A noi pare chiaro, in definitiva, che politicamente e giuridicamente il fatto di avere appartenuto alla Consulta nazionale o alla Consulta regionale siciliana o sarda possa e debba essere equiparato. Il problema che qui sorge è infatti di natura qualitativa e non quantitativa: tanto basta per istituire una doverosa analogia agli effetti dell’esclusione di una causa di ineleggibilità.

MICHELI, Presidente della Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI, Presidente della Commissione. Desidero avvertire che, pur mantenendo la dichiarazione fatta or ora dall’onorevole collega Mastino, sorge il dubbio se si possa in questo momento stabilire una disposizione di indole generale che modifichi quanto stabilisce al riguardo un’altra legge. Caso mai potremo soltanto farlo nei confronti del caso particolare della nostra legge, che stiamo ora discutendo, e cioè solo per la elezione dei senatori.

Mi pare si debba quindi dare alla proposta dell’onorevole Dominedò il riferimento puro e semplice alla nostra legge e non oltre, come parrebbe invece dal testo dell’emendamento Dominedò. Se infatti noi andassimo in diversa sentenza, potrebbe facilmente eccepirsi la incostituzionalità del nostro deliberato.

DOMINEDÒ. Non si tratterebbe mai di incostituzionalità, ma, in ultima analisi, non avrei difficoltà ad aderire alla proposta del Presidente della Commissione.

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. Mi pare, di fronte alla mia coscienza, che questo emendamento dell’onorevole Dominedò violi la Costituzione. Comunque, l’osservazione dell’onorevole Micheli, cioè che l’emendamento non possa applicarsi (e non potrebbe essere diversamente) che alla legge per l’elezione del Senato, porterebbe all’incongruenza, se approvato, che, coloro che si trovano nelle condizioni in esso previste, potrebbero essere eletti al Senato ma non alla Camera.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Dominedò se mantiene il suo emendamento.

DOMINEDÒ. Si, signor Presidente, perché non è anticostituzionale.

PRESIDENTE. Sta bene. Allora pongo in votazione l’emendamento degli onorevoli Dominedò e Moro, non accettato né dal Governo né dalla Commissione.

(Non è approvato).

CARPANO MAGLIOLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARPANO MAGLIOLI. Ho chiesto di parlare per riproporre alla cortesia della Presidenza e dei colleghi dell’Assemblea la domanda fatta stamane, cioè che la seduta sia rinviata a domani. (Commenti al centro). Concedeteci queste due ore; sono ormai le 18!

UBERTI. E un continuo rinvio!

PRESIDENTE. Onorevole Uberti, la prego, non interrompa.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Noi crediamo di aver dato molte prove di comprensione delle esigenze dei colleghi del Partito socialista impegnati nel loro Congresso. Ma debbo appena ricordare che si era stabilito – ed il Presidente dell’Assemblea ne aveva preso formale impegno – che entro la giornata di oggi si sarebbe, comunque, proceduto alla votazione. (Commenti all’estrema sinistra).

Noi potremmo, proprio per venire incontro alla richiesta dei colleghi socialisti, accettare di tenere seduta notturna, in modo che domani si possa condurre a termine il nostro lavoro, senza essere costretti a restare qui in seduta non solo per tutta la giornata di domani, ma anche per quella di domenica.

COSTANTINI. Per il Congresso del vostro Partito (Indica il centro) abbiamo sospeso le sedute per quattro giorni, senza lesinare col contagocce! (Rumori al centro).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, è evidente che io non posso mancare all’assicurazione data all’Assemblea dal Presidente Terracini che nella giornata di oggi si sarebbe esaurito la discussione sui punti maggiormente controversi.

Tuttavia ritengo che la proposta dell’onorevole Moro possa essere tenuta in considerazione, dal momento che essa va incontro al desiderio dell’onorevole Carpano Maglioli, che propone il rinvio a domani il seguito dei lavori.

CIANCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIANCA. Ringrazio l’onorevole Moro per la prova di cortesia che ci ha offerto… (Commenti al centro).

PICCIONI. Ma se ogni giorno ve ne stiamo dando di queste prove; quindi lasciamo stare la cortesia! (Rumori all’estrema sinistra).

CIANCA. Ritengo che sarebbe di pessimo gusto fare raffronti tra il trattamento riservato a noi e quello riservato a voi della Democrazia cristiana. (Proteste al centro).

Comunque, mi permetto di far rilevare al Presidente, il quale cortesemente ha aderito alla proposta dell’onorevole Moro, di fare una seduta notturna, che noi saremmo costretti a parteciparvi, mentre, con grande probabilità, il voto politico al nostro congresso si avrà precisamente questa notte. (Commenti al centro).

È veramente strano che io debba far presente ad uomini che hanno partecipato a congressi politici come il voto politico del congresso rappresenti la conclusione del dibattito politico, e che ciascun appartenente al partito ha il dovere di parteciparvi. (Commenti).

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. Io vorrei dire una parola che distendesse un poco l’atmosfera così tesa in cui si discute questo problema, che mi pare del resto non abbia un’importanza così grande.

Io vorrei dire ai colleghi della Democrazia cristiana di ricordare un precedente. Di ricordare che un’altra volta, alle sei di sera, dopo che si era deliberato di tenere seduta notturna, io mi rivolsi ai colleghi della Democrazia cristiana e al Presidente facendo presente che vi era una riunione del comitato centrale del nostro Partito, e l’Assemblea fu concorde nella opportunità di rimandare i lavori.

In sostanza, i colleghi del Partito socialista credo che avessero, non dico il diritto, ma la facoltà di chiedere la sospensione dei lavori per quattro giorni, recuperando il tempo perduto con doppie sedute o con sedute notturne. E credo che la maggior parte di noi, per lo meno quelli che sentono profondamente la vita di partito, avrebbero appoggiato la proposta.

Si tratta di uno dei più grandi partiti dell’Assemblea. Nella giornata di domani abbiamo la possibilità di concludere l’esame di questa legge e di votarla.

Non è dunque il caso di esasperare la questione, mentre è in giuoco non dico l’interesse, ma la convenienza di un partito che il suo Gruppo parlamentare sia presente al congresso che decide della vita politica del partito per un lungo periodo di tempo. Mi pare che l’opporsi a questa convenienza sarebbe un esasperare troppo i rapporti fra i settori dell’Assemblea.

Vorrei quindi pregare i colleghi della Democrazia cristiana di desistere dalla loro opposizione e di accettare il rinvio a domani.

PICCIONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PICCIONI. I lavori dell’Assemblea, durante questa settimana, sono stati nettamente dominati dalla giusta esigenza dei lavori del congresso socialista. Nessuno vorrà contestare che si sono svolti con un ritmo molto rallentato, perché abbiamo tenuto alcune sedute piuttosto ridotte e non ci siamo affaticati eccessivamente; e ciò, non perché avessimo uno spazio di tempo tale da consentire questo ritmo ai nostri lavori, ma unicamente ed esclusivamente per consentire ai colleghi del Gruppo socialista di partecipare al loro congresso.

Ieri l’altro sera, quando si dovette decidere sull’ordine del giorno della seduta successiva, su proposta dell’onorevole Togliatti, con una motivazione particolare che teneva evidentemente conto anche delle esigenze del congresso socialista, si discusse sul modo come si sarebbe dovuto procedere ulteriormente nei lavori. E voi tutti ricorderete che fu stralciata la parte fondamentale e sostanziale della legge. E io, prendendo la parola per associarmi alla proposta di rinvio, sollecitai dal Presidente la possibilità di riprendere la discussione sulla parte sostanziale nella seduta di ieri pomeriggio, anziché nella seduta di oggi.

Vi fu l’insistente richiesta dei colleghi socialisti di rimandare ad oggi la discussione di questa parte sostanziale, con l’assicurazione (me lo consentano) che i lavori del loro congresso si sarebbero svolti e conclusi in modo da consentire che veramente oggi si sarebbe potuto concludere e votare su questa parte della legge, tanto che lo stesso onorevole Presidente Terracini, con gesto anche – ricordo – molto solenne, disse che prendeva su di sé la responsabilità di fare in modo che nella seduta di oggi si sarebbe svolta la discussione e la votazione sulla parte fondamentale della legge.

Questo non è avvenuto.

Comprendo le condizioni in cui i colleghi del Gruppo socialista si possono trovare e comprendo d’altra parte la posizione complessa in cui si svolgono i lavori del congresso medesimo, ma i colleghi socialisti devono pur capire l’imbarazzo in cui si trova gran parte dell’Assemblea Costituente, fino al punto da ritenere che non si possano subordinare più o meno indefinitamente i lavori dell’Assemblea ad un congresso, sia pure rispettabile, come quello del Partito socialista.

E a questo proposito mi piace chiarire un punto particolare, perché si valuta (non dico si specula) su una questione diversa che riflette il mio partito.

Quando noi abbiamo tenuto il congresso di Napoli, abbiamo chiesto alla cortesia del Presidente dell’Assemblea di sospendere possibilmente la seduta per due soli giorni, includendo in questi due giorni quel lunedì che, per prassi ormai antica, non costituisce certo una delle giornate più lavorative dell’Assemblea, Il congresso non finì il martedì sera; non avanzammo nessuna richiesta di nessun genere; dovemmo rimanere a Napoli, e il mercoledì la seduta della Costituente si tenne regolarmente. Ora, i colleghi socialisti, dato il prolungarsi dei lavori del loro congresso, dovrebbero mettersi nelle condizioni di favorire anche l’ulteriore corso dei lavori dell’Assemblea e la conclusione dei lavori stessi.

Loro si trovano nella particolare favorevole situazione di tenere il congresso a Roma. Sono qui, possono partecipare, come mi pare in definitiva abbiano partecipato con una rappresentanza cospicua e ben qualificata, alla discussione degli articoli. Alla votazione non v’è nessuna difficoltà materiale da parte loro per parteciparvi. Non è quindi questione di scortesia, è questione di coordinare i lavori del congresso socialista con i lavori dell’Assemblea Costituente e non viceversa, evidentemente, perché la sproporzione delle due posizioni è evidentissima e non richiede nessuna particolare sottolineatura.

Ora, la cortesia noi l’abbiamo usata. Allora, ripeto, senza appellarmi alla lettera dell’impegno preso dal Presidente l’altra sera, credo che noi potremo continuare i nostri lavori; possono parlare i relatori, anche se la votazione non avvenga stasera.

Per concludere, onorevole Presidente, credo che si possa andare avanti questa sera stessa nel corso ulteriore dei lavori per chiarire eventualmente delle posizioni.

Se il voto si deve rimandare a domani mattina, non abbiamo difficoltà.

Il termine conclusivo dei nostri lavori si approssima e non ci possiamo permettere il lusso di procedere con questo ritmo tanto lento e stanco.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Chiedo la parola per richiamare l’attenzione dell’Assemblea su questo: l’onorevole Piccioni è stato esatto nel ricordare che l’altra sera il nostro amato Presidente Terracini si era impegnato a mandare avanti la discussione nella giornata di oggi. Questo impegno il Presidente Terracini lo prese dietro anche la nostra assicurazione che oggi noi saremmo stati a disposizione dell’Assemblea.

È accaduto quello che non deve sorprendere nessuno di coloro che hanno un po’ di pratica di congressi, perché non v’è stato mai un congresso che abbia svolto i suoi lavori secondo le previsioni. Abbiamo subito un certo ritardo. Mentre la votazione conclusiva avrebbe dovuto avvenire ieri, avverrà, sta avvenendo, questa sera stessa. Ecco la ragione per la quale noi ci permettiamo di chiedere alla cortesia dei colleghi di rinviare il seguito della discussione a domani.

In quanto ai precedenti, onorevoli colleghi, non è il caso, non è cosa simpatica fare un conto di dare ed avere in tema di cortesia.

PICCIONI. Siete voi che fate sempre questi conti.

TARGETTI. Onorevole Piccioni, le sue interruzioni non possono riuscire stasera a farmi alzare la voce, perché le mie corde vocali questa sera non me lo permettono. Noi vi diciamo soltanto questo: non abbiamo chiesto alla cortesia dell’Assemblea di sospendere i lavori almeno per un paio di giorni, mentre se avessimo avanzato questa richiesta io credo che nessuno si sarebbe rifiutato di accoglierla. Ma non l’abbiamo avanzata, in considerazione che abbiamo ancora pochi giorni a disposizione per concludere i nostri lavori e non abbiamo voluto creare difficoltà alla loro conclusione. Ma se oggi ci permettiamo di chiedere che si prolunghi ancora per poco quel rallentamento dei lavori che si è avuto nei due giorni scorsi, come l’onorevole Piccioni ha ricordato, non ci sembra che si vada al di là di quella che è la più modesta delle richieste. Volevo fare poi un’ultima osservazione: la politica ha le sue esigenze e nessuno deve fingere una ingenuità che non può avere. Vi sono alle volte domande di rinvio che hanno uno scopo politico, e se l’hanno a favore di chi le avanza, è più che naturale che trovino una certa contrarietà da parte di chi le dovrebbe accogliere. Ma in questo caso nessuno può trovare o sospettare nulla di malizioso nella nostra istanza. Noi siamo stasera nell’impossibilità di partecipare ancora ai lavori dell’Assemblea e quindi domandiamo di rinviarli a domani. Vuol dire che domani lavoreremo una o due ore di più per recuperare il tempo che perdiamo oggi.

CARPANO MAGLIOLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARPANO MAGLIOLI. Noi abbiamo chiesto alla cortesia dell’Assemblea un rinvio. Si tratta di concederci un’ora e mezzo perché sono le 18.30 e alle 20 la seduta sarebbe tolta.

Quest’ora e mezzo può essere benissimo recuperata domani.

PRESIDENTE. Per quel che mi riguarda io non posso direttamente accettare la sua richiesta perché sono vincolato dalla promessa fatta dalla Presidenza di concludere entro oggi la discussione sui punti principali. Se ella insiste, porrò ai voti la sua proposta di rinvio.

CARPANO MAGLIOLI. Io insisto: ritengo che nessuno negherà il rinvio per un’ora e mezzo soltanto di differenza.

PRESIDENTE. Pongo ai voti la proposta Carpano Maglioli di rinvio della discussione a domani, avvertendo che, se non sarà approvata, resta inteso che la seduta proseguirà senza però che si addivenga a votazioni.

(Non è approvata – Vivaci proteste all’estrema sinistra – Commenti – Rumori).

Proseguiamo nei nostri lavori.

Invito l’onorevole Targetti a svolgere il seguente ordine del giorno, presentato insieme con l’onorevole Amadei:

«L’Assemblea Costituente delega la Commissione parlamentare per la legge sulla elezione del Senato della Repubblica a formare, d’intesa col Governo, la tabella delle circoscrizioni territoriali secondo i seguenti criteri:

1°) attenersi il più rigorosamente possibile alla norma costituzionale per la quale deve essere eletto un senatore per ogni duecentomila abitanti;

2°) rispettare le unità provinciali;

3°) mantenere, in linea di massima, intatte le unità cittadine;

4°) suddividere le città con popolazione superiore ai 400.000 abitanti, tenendo conto della loro particolare configurazione topografica e, in mancanza di questa, procedendo a suddivisioni con criteri omogenei».

TARGETTI. Mi permetto far rilevare all’onorevole Presidente ed all’Assemblea il legame che esiste fra il mio ordine del giorno ed il sistema di votazione che sarà adottato.

Col mio ordine del giorno si propone che, nella impossibilità materiale in cui si trova l’Assemblea di procedere direttamente alla determinazione delle singole circoscrizioni, l’Assemblea deleghi questo potere alla Commissione per la legge sul Senato, la quale, d’intesa col Governo, formi le tabelle, in base ai criteri dettati dall’Assemblea.

La ragione del mio ordine del giorno sta nella importanza straordinaria che, in una votazione per collegio uninominale, ha la formazione delle circoscrizioni. È inutile che mi dilunghi a dimostrarla.

A me sembra molto più logico che lo svolgimento di questo ordine del giorno sia rimandato a dopo aver risolto la questione del sistema elettorale; perché potrebbe avvenire che l’Assemblea deliberasse a torto od a ragione di adottare un sistema elettorale per il quale, per ragioni intuitive, la composizione delle circoscrizioni perderebbe molta della sua importanza. In questo caso lo svolgimento del mio ordine del giorno potrebbe essere contenuto in limiti molto diversi che in altri casi.

Se il Presidente e l’Assemblea lo desiderano, io posso svolgere l’ordine del giorno, ma temo di fare oggi una illustrazione prematura.

PRESIDENTE. L’onorevole Micheli ha facoltà di esprimere il parere della Commissione sulla proposta di rinvio ad altro momento della trattazione del problema posto dall’ordine del giorno Targetti.

MICHELI, Presidente della Commissione. La Commissione ha discusso nella sua ultima adunanza anche questo problema e si è dato carico di esaminare l’ordine del giorno Targetti, il quale teoricamente è basato sopra criteri che possono ritenersi opportuni. Per altro sono criteri generali, che non possono essere applicati costantemente e sempre; sono criteri che evidentemente ammettono eccezioni. Nelle stesse categorie accennate, alcuni criteri non possono essere applicati contemporaneamente, perché nella pratica applicazione si troverebbero in contrasto. Cito a caso un esempio: mentre il concetto dei 200.000 abitanti stabilito nella Costituzione deve essere applicato nella misura maggiore possibile, è evidente che, quando esso sia abbinato al rispetto delle unità provinciali, spesso metterebbe di fronte ad impossibilità materiali, perché abbiamo unità provinciali, come Sondrio ed Imperia, in cui due collegi uninominali di 200.000 abitanti sono assolutamente impossibili.

Così anche il mantenimento in linea di massima di tutte le unità cittadine affermato nel punto terzo deve essere contemperato col punto quarto dell’ordine del giorno stesso, nel quale si deve tener conto della particolare configurazione topografica e, in mancanza di questa, si giunge ad ammettere la possibilità di suddivisioni con criteri omogenei, parole, queste, di largo respiro. Ora, effettivamente, il concetto è largo e conciliante, ma nella pratica applicazione non so che cosa potrà effettivamente avvenire. La Commissione, poi, avrebbe creduto di aggiungere anche un quinto punto di riferimento, proposto dal nostro relatore onorevole Fausto Gullo, che cioè si tenesse conto anche delle antiche circoscrizioni dei collegi uninominali, cercando, si capisce, di abbinarle, perché i collegi uninominali antichi, come i colleghi ben sanno, erano 508, mentre questi sono poco più di 230. Questo nuovo criterio va così contemperato con questa necessità di diminuzione di oltre il cinquanta per cento. Con queste osservazioni la Commissione, in massima, è favorevole a che vengano fissati criteri di questo genere. Peraltro ritiene sia opportuno, se l’Assemblea darà ad essa il mandato espresso nell’ordine del giorno Targetti, che l’obbligo di seguire le direttive esposte sia consentito con una maggiore larghezza, perché effettivamente queste sono teorie belle, buone, alle quali si deve fare tanto di cappello, ma che spesso nella pratica applicazione vengono ad incontrare situazioni particolari alle quali non si possono applicare. Quindi si deve essere d’accordo di aggiungere sempre: «per quanto sia possibile». Questo il concetto che ha animato la Commissione nel seno della quale, pur essendovi diversi criteri (perché quando si vengono ad esaminare poi le singole circoscrizioni non se ne trova mai una che corrisponde a tutti quanti i requisiti che teoricamente sarebbero desiderabili), è stata d’avviso nell’esprimere parere favorevole all’emendamento in questione quando si sia d’accordo che l’applicazione dei criteri segnati debba essere fatta in quanto sia possibile.

Lo stesso dicasi anche del particolare riguardo dovuto all’antica topografia dei collegi uninominali. Con queste dichiarazioni, io ripeto, la Commissione accetta l’ordine del giorno Targetti, in quanto, essendo un ordine del giorno che esprime direttive generali, può essere approvato tenendo presenti i larghi criteri di applicazione che ora ho esposti.

PRESIDENTE. Qual è il parere del Governo?

SCELBA, Ministro dell’interno. Concordo con l’osservazione fatta dall’onorevole Targetti. Sono perfettamente convinto che l’importanza delle circoscrizioni potrà variare a seconda del sistema elettorale che verrà adottato. Vi è comunque la difficoltà di formare circoscrizioni che siano, vorrei dire, razionali. Infatti le circoscrizioni con 200.000 abitanti non hanno precedenti storici, né amministrativi, né economici, né etnici: è assolutamente impossibile trovare una base concreta. Questo per me rappresenta forse l’argomento più decisivo per sollecitare dall’Assemblea un determinato indirizzo.

PRESIDENTE. L’articolo 2, al quale è legata la questione della formazione dei collegi, fu a suo tempo rinviato. Ritengo pertanto che l’ordine del giorno Targetti potrà essere preso in esame allorché si discuterà dell’articolo 2.

PICCIONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PICCIONI. Poiché la discussione sul punto principale della legge, di cui all’articolo 7, fu troncata l’altro giorno, mentre avrebbero dovuto parlare i relatori, mi pareva opportuno che si utilizzasse un’ora, un’ora e mezzo, per sentire i relatori, rinviandosi poi le dichiarazioni di voto e le votazioni a domani mattina.

Questa è stata la mia proposta concreta nel mio precedente intervento. Insisterei su di essa e rivolgerei all’onorevole Presidente la preghiera di chiedere ai relatori se sono disposti a prendere ora la parola.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Vorrei far presente che la discussione fu sospesa su questo argomento. Ci fu anzi una dichiarazione dell’onorevole. Togliatti, il quale fece un accenno a trattative in corso per trovare una soluzione; in quella circostanza io mi permisi di dirgli che non vedevo questa soluzione.

Ad ogni modo, prima di andare avanti, bisognerebbe sapere dall’onorevole Togliatti o da altri se questa soluzione è stata trovata, se c’è qualche cosa di nuovo, o se dobbiamo riprendere la discussione al punto in cui l’abbiamo lasciata; e, visto che noi l’abbiamo interrotta su una proposta specifica, dobbiamo pur sapere se questa proposta ha avuto esito.

PRESIDENTE. Evidentemente la richiesta dell’onorevole Lucifero ha un fondamento: se ci sono state trattative è naturale che si debba avere notizia delle conclusioni.

MOLINELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MOLINELLI. Prima di passare all’esame della questione fondamentale, si potrebbero discutere intanto i due articoli aggiuntivi rimasti ancora da esaminare.

PRESIDENTE. Non ho al riguardo nessuna difficoltà, se l’Assemblea consente. (Segni di consenso).

Passiamo, allora, agli articoli aggiuntivi.

Gli onorevoli Vigna, Cosattini e Piemonte avevano presentato il seguente articolo aggiuntivo:

«Gli emigrati per motivi di lavoro, che rimpatriano per le elezioni, hanno diritto al trasporto ferroviario gratuito dalla stazione di confine al Comune in cui votano e viceversa».

Constato che nessuno dei firmatari è presente.

PICCIONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PICCIONI. Onorevole Presidente, non credo che si possa considerare decaduta la proposta, se i suoi firmatari non sono in questo momento presenti.

PRESIDENTE. Qual è il parere della Commissione?

GULLO FAUSTO, Relatore per la maggioranza. Sia per l’ora, sia perché è assente uno dei relatori, chiederei che la seduta sia rinviata a domani mattina.

PRESIDENTE. Date queste condizioni, rinvio il seguito della discussione alle ore 9.30 di domani.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

RICCIO, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per sapere quanti prigionieri di guerra risultino ancora non rimpatriati e come siano distribuiti fra i diversi Stati d’Europa del mondo; e per conoscere inoltre quali azioni e provvidenze siano in corso in favore delle loro famiglie e come si stia provvedendo per facilitare e affrettare il loro ritorno in patria. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Braschi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per sapere se è a sua conoscenza che la Commissione centrale preposta al servizio elenchi nominativi lavoratori e contributi unificati agricoltura, istituita con l’articolo 1 del decreto legislativo luogotenenziale 8 febbraio 1945, n. 75, ha, in deroga al disposto di cui all’articolo 6 del citato decreto, provveduto ad un inquadramento provvisorio del personale in servizio.

«Nel caso in cui tale inquadramento sia stato debitamente autorizzato, l’interrogante chiede di conoscere quali siano stati i criteri informatori e le norme di valutazione che hanno regolato tale inquadramento. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bellavista».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per sapere per quale motivo a molti militari reduci dai campi di concentramento americani non è stato ancora liquidato il credito loro riconosciuto come compenso per l’attività prestata durante la prigionia, dopo che li si è obbligati a restituire gli anticipi loro accordati al rientro in Patria con la promessa che sarebbero stati soddisfatti per intero e al cambio corrente. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Preti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se è a conoscenza che le ditte concessionarie coltivazione tabacchi d’Abruzzo (A.T.I.; S.A. Tito Buccolini; S.A.L.T.O.; Ricci; Pardi; Piattelli; Sabucchi e Donati), nel ritirare i tabacchi sciolti della campagna 1947, non hanno praticati i prezzi determinati dal Ministero e riportati nella circolare n. 9475 del 6 novembre 1947 della Direzione compartimentale coltivazione tabacchi di Roma.

«Affermativamente, se è lecito che le predette ditte, riunitesi in Pescara il 9 novembre 1947, senza aver consultato il Sindacato provinciale tabacchicoltori di Lanciano, che aveva in precedenza comunicato l’adesione di oltre 6000 coltivatori, abbiano potuto determinare e, quindi, corrispondere prezzi inferiori a quelli stabiliti dalla predetta circolare; e se i prezzi corrisposti ai coltivatori sono stati resi noti alla Direzione generale dei monopoli di Stato; se è lecito, altresì, che le stesse ditte concessionarie abbiano omesso di verbalizzare le quantità di tabacco classificate come scarti, fuori classe e fuoco e quindi omesso di bruciarle in presenza del coltivatore e se lo Stato acquista tali partite di tabacco, classificate nella quinta classe, ed in caso affermativo se è lecito ed onesto che le ditte beneficino di un guadagno non spettante, vendendo allo Stato una merce che hanno ottenuta senza corrispondere alcun compenso al produttore; se non ritenga necessario nominare un ispettore, il quale abbia la facoltà di riesaminare le modalità di valutazione e di pagamento adottate da ciascuna ditta concessionaria; di modificare le bollette singole in rapporto alle inesattezze ed agli errori che saranno riscontrati, di completare i pagamenti del tabacco, per ciascun conferente, secondo le risultanze che saranno accertate prendendo in esame i bollettari presso le ditte concessionarie, ricavare da detti bollettari i prezzi medi di acquisto per quintale, al netto di calo, fuori classe e fuoco, verifica da effettuarsi in contraddizione con periti di parte; se, al precipuo scopo di evitare un movimento che tornerebbe a danno della produzione, non intenda adottare provvedimenti onde evitare che si ripetano per gli anni futuri gli inconvenienti lamentati. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Simonini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per conoscere se non ritenga urgente estendere i beneficî di cui al decreto legislativo 25 gennaio 1947, n. 14 – che prevede la concessione di un assegno temporaneo di caro vita a tutti i titolari di rendita vitalizia per infortunio – anche a quegli invalidi del lavoro infortunatisi, vigendo il testo unico 31 gennaio 1904, n. 51, i quali, per avere percepito l’intero indennizzo in seguito a provvedimento del pretore (articolo 15 del testo unico del 1904), non sono oggi titolari di alcuna rendita di infortunio, pure essendo incapaci a qualsiasi lavoro rimunerativo e si trovano quindi nelle più dolorose condizioni economiche. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Pastore Giulio».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere i motivi per i quali – mentre altre sedi giudiziarie non importanti sono state ricostituite in Calabria – nonostante tutti i pareri favorevoli e gli affidamenti dati, si ritarda ancora a ricostituire il tradizionale ed importante ufficio giudiziario della pretura di Polistena (Reggio Calabria), iniquamente soppresso il 30 gennaio 1923 per scopi di politica fascista. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Turco».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro dei trasporti, per conoscere se risponde al vero la sorprendente notizia che, da parte dell’Amministrazione ferroviaria, si vogliano allestire a Foggia dei capannoni metallici residuati di guerra per dare alloggio a famiglie di agenti ferroviari da sfrattare dalle «Case ferrovieri».

«Il provvedimento, se vero, oltre a significare una soluzione precaria, che non risponde ad alcuno dei canoni tecnici fondamentali per alloggio sia d’estate che d’inverno, oltre a suonare offesa per una città semidistrutta dai bombardamenti ed il Mezzogiorno, nonché incomprensione ed inumanità per le necessità più elementari di vita domestica di agenti, i quali in guerra ed in pace, dopo avere onestamente servito il Paese con stipendi di fame sono ridotti, da insufficienti misure di quiescenza alla più squallida miseria, sta, ancora una volta, a denunziare un altro inutile spreco di somme in soluzioni di ripiego, le quali, integrate, potrebbero invece dare luogo alla costruzione ad hoc di alloggi popolari.

«Per conoscere, inoltre, se stante la crisi degli alloggi, specialmente nelle città bombardate, qual è Foggia, e l’attuale blocco del rilascio di abitazioni private, non ritenga doveroso e giusto estendere ai pensionati agenti ferroviari le provvidenze del Capo del Governo intese a sospendere ogni intimazione di sfratto nei confronti di pensionati o vedove di statali alloggiati nelle case dell’Incis.

«La prospettata sospensione, oltre che costituire la eliminazione di disparità di trattamento nei confronti dei ferrovieri rispetto a privati ed altri funzionari, appare più giustificata dal fatto che le «Case ferrovieri» sono costruite sul fondo pensione degli agenti stessi, mentre quelle dell’Incis trovano la loro origine in finanziamenti dello Stato, in attesa che il Governo escogiti i più acconci provvedimenti per avviare a razionale e reale soluzione la grave crisi degli alloggi in tutto il Paese e specialmente nel Meridione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Miccolis».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per conoscere i motivi per i quali non si è data esecuzione a quanto deciso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri che, nell’intento di risolvere le sperequazioni lamentate in merito alla liquidazione degli assegni arretrati agli ufficiali ex prigionieri di guerra (ivi compresa la questione del cambio), stabilì la concessione di una indennità di svalutazione assegni, con l’intesa che il provvedimento legislativo sarebbe stato emanato a cura di codesto Ministero.

«Poiché più di un anno è trascorso senza che il provvedimento legislativo promesso sia stato adottato, si chiede di conoscere le ragioni di tale ritardo, che danneggia in modo evidente i sacrosanti diritti degli ufficiali caduti in prigionia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Castiglia».

«La sottoscritta chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per avere notizia sugli incidenti di violenza da parte di appartenenti alle forze di polizia verificatisi a Firenze in occasione di una pacifica dimostrazione di disoccupati e per sapere se e quali provvedimenti abbia adottati o intenda adottare a carico degli agenti resisi responsabili di eccesso. (La interrogante chiede la risposta scritta).

«Bianchi Bianca».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro degli affari esteri, per sapere cosa intende fare per permettere agli emigranti italiani in Francia del periodo 1920-40 di trasferire in Italia i risparmi realizzati col loro lavoro e con le loro economie.

«I nuovi emigranti possono giustamente spedire in Italia una quota forte del loro salario in forza dell’accordo intervenuto con la Francia.

«Per conoscere, altresì, che cosa intende fare il Ministro per rimediare alla situazione d’inferiorità così creata ai vecchi emigranti fra i quali una forte percentuale è composta di perseguitati politici, che hanno trovato asilo in Francia.

«Permettendo a questi emigranti di trasferire in Italia i loro risparmi, si metterebbe a disposizione del nostro Paese la valuta estera di cui abbisogna e si compirebbe nei confronti dei perseguitati politici un atto di elementare giustizia. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Bianchi Costantino, Vischioni, Li Causi».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere quali misure intenda disporre per imprimere alla Direzione generale degli Istituti di prevenzione e di pena una ispirazione più umana dell’esecuzione penale, mirando in particolare a:

  1. a) sollecitare il corso delle pratiche di liberazione condizionale, le quali, già di per sé lente, spesso indugiano per lunghi periodi nell’ufficio del direttore generale, che, invece, avrebbe il dovere di riferirne sollecitamente al Ministro o al Sottosegretario, traducendosi l’indugio in un vero atto di arbitrio e di inumanità;
  2. b) sollecitare, con più particolare riguardo, le pratiche di liberazione condizionale relative a condanne per reati in danno delle forze armate alleate;
  3. c) ispirare l’esecuzione ai canoni dell’articolo 27 della Costituzione che – come nel deplorato caso del carcere di Poggioreale – minaccia di rimanere vaga affermazione programmatica. Sarebbe, a tal fine, molto più pratico e più serio attuare con scrupolo le norme del vigente regolamento penitenziario piuttosto che procedere a pompose nomine di Commissioni di studi di dubbia opportunità. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Leone Giovanni, Bettiol, Bellavista, Riccio Stefano».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere perché i dipendenti statali, con sede di servizio nel comune di Druento (posto a 5 chilometri dalla periferia di Torino) pur essendo nelle condizioni previste dall’articolo 1 del decreto legislativo 29 maggio 1946, n. 488, e dall’articolo 14 del decreto legislativo 5 agosto 1947, n. 778, sono stati esclusi dall’elevazione di indennità caro vita, concessa ad altri Comuni a carattere meno industriale, con decreti ministeriali del 17 maggio 1947 e dell’11 settembre 1947.

«Giova ricordare che i piccoli Comuni posti alla periferia delle maggiori città (Genova, Milano, ecc.), sono stati conglobati con le città stesse, godendo tutti i diritti di queste, ad eccezione di Torino, che ha la stessa cinta daziaria. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Corbi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere quando verrà formulato il disegno di legge relativo al riordinamento del casellario giudiziario penale, riordinamento richiesto dalla dottrina e dalla pratica per orientare le leggi penali alle esigenze della nuova civiltà democratica. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Gatta».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere perché finora non sia stato formulato il disegno di legge per la riforma del Codice civile, vivamente atteso dagli avvocati e dai magistrati, affinché l’amministrazione della giustizia, tanto danneggiata dal Codice fascista, possa attuarsi con la necessaria rapidità e sicurezza. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Gatta».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere se ritenga opportuno – date le contrastanti decisioni tra la Corte suprema di cassazione ed il Consiglio di Stato, relative alla competenza a decidere sulle controversie dei rapporti di impiego dei dipendenti degli Enti pubblici di natura economica prevalente od esclusiva – proporre norme legislative che stabiliscano tassativamente i criteri di discriminazione tra la competenza del giudice ordinario e quella del giudice amministrativo, da inserire nel riformando Codice di procedura civile, in modo che l’attività della pubblica amministrazione, anche se discrezionale, sia sottoposta ad efficace controllo di legittimità e di merito per la tutela dei diritti e degli interessi legittimi degli impiegati. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Gatta».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro degli affari esteri, per conoscere quali provvedimenti siano in corso per ottenere dal Governo degli Stati Uniti il pagamento dei crediti in dollari di spettanza degli ex prigionieri italiani; e se non si ritenga necessario sollecitare la liquidazione di dette pendenze, che rappresentano il frutto del lavoro prestato dai reduci in qualità di «cooperatori» durante gli anni di prigionia; e ciò anche in considerazione che a parte dei reduci venne in un primo tempo fatta la liquidazione, creando così una diversità di trattamento, che è causa di giustificato malcontento negli interessati. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bubbio».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dell’industria e commercio, del lavoro e previdenza sociale e del tesoro, per sapere se non ravvisino l’urgente necessità di aumentare il fondo stanziato per il finanziamento delle piccole e medie industrie (articolo 6 decreto legislativo 15 dicembre 1947, n. 1419) e di togliere nel contempo il limite massimo del finanziamento stesso per ogni singola ditta (articolo 13 del decreto legislativo succitato). Tali emendamenti vengono consigliati in ordine ai seguenti fatti:

1°) l’enorme richiesta di finanziamenti da parte delle numerosissime piccole e medie industrie esistenti;

2°) la particolare situazione di ogni singola azienda che può richiedere i più svariati provvedimenti di aiuto finanziario sui quali, in definitiva, possono deliberare soltanto gli organi incaricati dell’istruttoria delle pratiche e della decisione di finanziarle. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Di Gloria».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere da quali criteri di pubblica utilità e di oculata amministrazione è diretta l’attività dell’Istituto per le case popolari in Perugia se:

1°) ha fatto recentemente acquisto di una rata di palazzo in Perugia per il prezzo di 8 milioni (pagato sei mesi fa 3 milioni) inadatto in modo assoluto alle necessità e finalità dell’Istituto;

2°) si propone ora di spendere altri 15 milioni almeno per destinare lo stabile acquistato a lussuosi uffici e poche abitazioni per i dipendenti dell’Istituto;

3°) ritiene compatibile un impiego così rilevante per uno scopo tanto limitato, mentre la somma avrebbe potuto impiegarsi nella costruzione di 20 quartieri di cinque vani ciascuno, venendo così incontro alla sete di alloggi lamentata non solo a Perugia, ma in tutti i minori centri vicini e non irridendo alle angosciose necessità dei senza tetto. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Santi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro degli affari esteri, per conoscere se vi siano in corso trattative con la Repubblica jugoslava per ottenere la facoltà di pesca su alcuni tratti del mare territoriale jugoslavo, a qual punto siano dette trattative e se si può assicurare che ad esse venga impresso quel ritmo urgente corrispondente agli interessi dei pescatori pugliesi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Assennato».

«Le sottoscritte chiedono di interrogare i Ministri della pubblica istruzione e del tesoro, per sapere se non ritengano necessario ed urgente estendere alle mogli dei militari, dichiarati dalle competenti autorità dispersi dell’ultima guerra, le disposizioni che consentano alle vedove di guerra l’entrata nei ruoli magistrali senza concorso. (Le interroganti chiedono la risposta scritta).

«Montagnana Rita, Bei Adele, Minella Angiola».

«I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri del lavoro e previdenza sociale e degli affari esteri, per conoscere se non ritengano di togliere le difficoltà che attualmente ostacolano e praticamente paralizzano l’emigrazione temporanea in Svizzera dei lavoratori specialmente della provincia di Novara, proponendo:

1°) che si favoriscano per tale emigrazione i lavoratori della provincia di Novara che, da secoli, hanno l’abitudine a questa emigrazione stagionale, e che siano già in possesso di un regolare contratto di lavoro con ditte o imprese svizzere;

2°) che si sveltiscano le pratiche concernenti la registrazione da parte del Commissariato all’emigrazione dei relativi contratti di lavoro. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Zappelli, Fornara, Jacometti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare ¡il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se non ritenga opportuno disporre che, per i prossimi concorsi di abilitazione per il magistero professionale per la donna, analogamente ai concorsi magistrali, siano sede di esami tutti i Provveditorati agli studi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«De Mercurio»

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno e l’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica, per chiedere, di fronte al persistere dell’epidemia colerica in Egitto ed al suo diffondersi nei paesi del vicino e Medio Oriente:

1°) che si accentuino e si potenzino le attuali misure di sorveglianza e di profilassi sui viaggiatori provenienti per le diverse vie (marittime, aeree, ecc.) da tali paesi e sulle merci – con particolare riguardo per i generi alimentari (datteri, ecc.) – della stessa provenienza;

2°) che si inizi una conveniente e non allarmistica campagna (con comunicazioni al pubblico per via radio, per mezzo di comunicati ai giornali, ecc.) e si diano disposizioni ai medici provinciali allo scopo di indurre la popolazione a sottoporsi volontariamente alla vaccinazione anticolerica nei prossimi mesi, data la relativamente breve durata, ma la sicura efficacia della immunità da essa provocata, imponendola per legge a quelle categorie, che hanno diretti contatti con viaggiatori e con merci provenienti dai Paesi infetti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Fornara».

PRESIDENTE. Queste interrogazioni saranno trasmesse ai Ministri competenti, per la risposta scritta.

La seduta termina alle 18.50.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 9.30 e alle 16:

Seguito della discussione del disegno di legge:

Norme per l’elezione del Senato della Repubblica. (61).

ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 23 GENNAIO 1948

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCLIX.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 23 GENNAIO 1948

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Norme per l’elezione del Senato della Repubblica (61)

Presidente

Lucifero

Candela

Assennato

Fuschini

Bubbio

Micheli, Presidente della Commissione

Scelba, Ministro dell’interno

Mastino Pietro

Mazzei

Stampacchia

Fabbri

Maffi

Gullo Fausto, Relatore per la maggioranza

Carpano Maglioli

Gronchi

La seduta comincia alle 11.

AMADEI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Seguito della discussione del disegno di legge: Norme per l’elezione del Senato della Repubblica (61).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del disegno di legge: Norme per l’elezione del Senato della Repubblica. (61).

L’onorevole Russo Perez ha presentato il seguente articolo 25-bis:

«Le prime elezioni per il Senato avranno luogo in data diversa e posteriore a quelle per la Camera dei deputati».

L’onorevole Russo Perez non è presente.

LUCIFERO. Lo faccio mio.

PRESIDENTE. Sta bene. Ha facoltà di svolgerlo.

LUCIFERO. Signor Presidente, io mi rimetto a quanto ebbi a dire allo stesso proposito in sede di discussione della Costituzione. Ricordo che fui uno di coloro che proposero che la durata delle due Camere fosse diversa; e fra gli argomenti che addussi allora fu anche quello della enorme confusione che si sarebbe creata nel corpo elettorale che dovrebbe votare contemporaneamente per due organi diversi, con due sistemi diversi e – molto spesso – anche per contrassegni diversi.

Quindi ci saremmo trovati di fronte ad una quantità di elettori che avrebbero fatto chissà quale confusione, ciò che probabilmente avrebbe dato luogo ad una grande quantità di schede nulle, mentre noi dobbiamo cercare di impedire le schede nulle, le quali sono voti che non trovano modo di esprimersi.

Quindi io penso che uno dei motivi che hanno ispirato la Costituzione nello stabilire date diverse per la elezione della Camera e del Senato sia questo: impedire confusione nel corpo elettorale. E quindi riterrei opportuno che si facesse in modo che anche la prima volta, in questa prima elezione, questa confusione non avvenisse.

CANDELA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CANDELA. Sono contrario alla proposta dell’onorevole Russo Perez, perché è opportuno, invece, che le elezioni avvengano nello stesso giorno, in modo che il contadino, il cittadino, in una parola, l’elettore, possa assolvere questo suo compito e non sia periodicamente e continuamente disturbato.

Noi abbiamo già la grande preoccupazione che buona parte del corpo elettorale non acceda alle urne e non compia questo suo dovere, che dovrebbe essere fondamentale nella vita politica del Paese, perché le lamentele successive e le doglianze su quello che fanno o che non fanno i governi e sulla bontà o malvagità dell’azione politica ridondano appunto su questa gran massa di gente abulica che non manifesta il proprio pensiero e che non capisce che nella democrazia l’unica arma che ha il popolo è la scheda.

Ma ripetere questo esercizio per tante specie di elezioni a distanza di pochi giorni significa stancare e allontanare dal lavoro quella parte umile e modesta della cittadinanza, che meno degli altri può intenderne la necessità.

E quindi, per ragioni economiche e per altre ragioni, tra cui essenzialmente quella di avere un maggior concorso, è necessario che le elezioni siano indette per lo stesso giorno.

Possibilità di confusione non ve ne sono. Abbiamo avuto un primo esperimento quando si è votato per questa Assemblea e per il referendum istituzionale. Degli accorgimenti necessari si possono usare e la Commissione li ha usati, procedendo alle due votazioni separatamente e protraendo la durata della votazione. La contemporaneità si verifica solo per la prima elezione; perché, con la diversa durata di vita dei due parlamenti (sei anni per il Senato, cinque per la Camera) la identica situazione potrebbe riprodursi da qui a 30 anni, e allora, beato chi ci sarà!

Sono perciò contrario all’emendamento Russo Perez.

PRESIDENTE. Continuiamo con l’esame dei vari commi dell’articolo 26, di cui l’articolo 25-bis può considerarsi un emendamento.

Il testo dell’articolo 26 proposto dal Governo è del seguente tenore:

«Qualora le elezioni della Camera dei deputati e del Senato siano indette per il medesimo giorno, si osservano le disposizioni seguenti.

«Il numero degli scrutatori previsto, per ogni sezione elettorale, dall’articolo 27 del decreto legislativo 10 marzo 1946, n. 74, è aumentato ad otto.

«Le operazioni di votazione proseguono fino alle ore 22 in tutte le sezioni elettorali: gli elettori che a tale ora si trovino ancora nella sala sono ammessi a votare.

«Il presidente rinvia quindi la votazione alle ore 7 del giorno successivo e, dopo aver provveduto a sigillare le urne, le cassette o scatole recanti le schede ed a chiudere il plico contenente tutte le carte, i verbali ed il timbro della sezione, scioglie l’adunanza e provvede alla chiusura ed alla custodia della sala a termini dell’articolo 51 del decreto legislativo 10 marzo 1946, n. 74.

«Alle ore 7 del giorno successivo, il presidente, ricostituito l’ufficio e constatata l’integrità dei mezzi precauzionali apposti agli accessi della sala e dei sigilli delle urne e dei plichi, dichiara riaperta la votazione, che prosegue fino alle ore dodici: decorsa quest’ora, nessuno può più votare.

«Le operazioni di cui all’articolo 50, primo comma, numeri 1, 2 e 3, del decreto legislativo 10 marzo 1946, n. 74, devono essere effettuate immediatamente dopo la chiusura della votazione.

«Il presidente procede quindi alle operazioni di scrutinio, con precedenza per quelle relative all’elezione della Camera dei deputati. Tali operazioni devono svolgersi senza interruzione ed essere ultimate entro le ore dodici del secondo giorno successivo a quello di inizio della votazione; ove non siano compiute entro tale ora, si applicano le disposizioni dell’articolo 55 del decreto legislativo 10 marzo 1946, n. 74.

«I verbali delle operazioni per le elezioni del Senato debbono essere compilati distintamente da quelli per le elezioni della Camera dei deputati e redatti in duplice esemplare.

«Ove non sia possibile l’immediato recapito, i plichi contenenti i verbali e i documenti allegati devono rimanere nella sala della votazione, che viene chiusa e custodita secondo le prescrizioni di cui all’articolo 51 sopra richiamato, per essere recapitati, con ogni urgenza, a cura del presidente, al mattino».

Ricordo che la Commissione propone il seguente testo:

«Qualora le elezioni di primo scrutinio per il Senato e quelle per la Camera dei deputati siano indette per il medesimo giorno, si osservano le disposizioni seguenti.

«Ai cinque scrutatori previsti per ogni sezione elettorale dall’articolo … del testo unico della legge per la elezione della Camera dei deputati, si aggiungono altri tre scrutatori. La Commissione elettorale comunale, nel procedere alla nomina degli scrutatori, designa separatamente gli scrutatori destinati a integrare la normale costituzione dell’ufficio elettorale.

«L’elettore iscritto nelle liste elettorali per le elezioni delle due Camere, dopo che sia stata riconosciuta la sua identità personale, ritira dal presidente del seggio prima la scheda per l’elezione della Camera dei deputati e, dopo che avrà restituito la scheda stessa, ritira quella per l’elezione del Senato.

«Le operazioni di votazione proseguono fino alle ore 22 in tutte le sezioni elettorali: gli elettori che a tale ora si trovino ancora nella sala sono ammessi a votare.

«Il presidente rinvia quindi la votazione alle ore 7 del giorno successivo e, dopo aver provveduto a sigillare le urne, le cassette o scatole recanti le schede ed a chiudere il plico contenente tutte le carte, i verbali ed il timbro della sezione, scioglie l’adunanza e provvede alla chiusura ed alla custodia della sala a termini dell’articolo 51 del decreto legislativo 10 marzo 1946, n. 74.

«Alle ore 7 del giorno successivo, il presidente, ricostituito l’ufficio e constatata l’integrità dei mezzi precauzionali apposti agli accessi della sala e dei sigilli delle urne e dei plichi, dichiara riaperta la votazione che prosegue fino alle ore quattordici; gli elettori che a tale ora si trovano ancora nella sala sono ammessi a votare.

«Le operazioni di cui all’articolo 50, primo comma, numeri 1, 2 e 3, del decreto legislativo 10 marzo 1946, n. 74, devono essere effettuate immediatamente dopo la chiusura della votazione.

«Il presidente procede quindi alle operazioni di scrutinio, con precedenza per quelle relative all’elezione del Senato. Tali operazioni devono svolgersi senza interruzione ed essere ultimate entro le ore diciotto del secondo giorno successivo a quello di inizio della votazione; ove non siano compiute entro tale ora, si applicano le disposizioni dell’articolo 55 del decreto legislativo 10 marzo 1946, n. 74.

«I verbali delle operazioni per le elezioni del Senato debbono essere compilati distintamente da quelli per le elezioni della Camera dei deputati e redatti in duplice esemplare.

«Ove non sia possibile l’immediato recapito, i plichi contenenti i verbali e i documenti allegati devono rimanere nella sala della votazione, che viene chiusa e custodita secondo le prescrizioni di cui all’articolo 51 sopra richiamato, per essere recapitati, con ogni urgenza, a cura del presidente, al mattino».

PRESIDENTE. L’onorevole Assennato ha presentato i seguenti emendamenti:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Qualora vi sia coincidenza nelle elezioni della Camera dei deputati e del Senato, esse sono indette per il medesimo giorno».

«Sopprimere il terzo, quarto e quinto comma e sostituirli col seguente:

«Le operazioni di votazione terminano alle ore 23; coloro che si trovano nella sala possono votare fino alle ore 24; decorsa questa ora, nessuno può votare».

Ha facoltà di svolgerli.

ASSENNATO. A me pare che dalla semplice lettura del primo comma dell’articolo 26 ed anche dei successivi (se l’onorevole Presidente mi consente di svolgere contemporaneamente i miei emendamenti), a me pare – dicevo – che dalla semplice lettura dell’articolo 26, così come è nel disegno, si rileva che esso, nel contesto, non appaga due esigenze fondamentali.

La prima esigenza, naturalmente, è quella della rapidità delle operazioni elettorali. La seconda esigenza fondamentale è quella della massima sicurezza nella esecuzione delle operazioni elettorali.

Ora, la prima, quella della rapidità, non viene affatto assicurata dall’articolo 26 così come è congegnato.

Il primo comma prevede la semplice possibilità di procedere contemporaneamente alle elezioni dei deputati e dei senatori, quando vi sia coincidenza.

Null’altro. Esso dice:

«Qualora le elezioni della Camera dei deputati e del Senato siano indette per il medesimo giorno, ecc.».

Questa eventualità, noi sappiamo dalla Costituzione entro quale periodo di tempo possa verificarsi, mentre per il primo Parlamento, abbiamo la certezza della coincidenza. Orbene, trovandoci di fronte alla coincidenza attuale, è bene disporre che le operazioni elettorali, sia per i deputati che per i senatori, avvengano nello stesso giorno; così si assicura il soddisfacimento della prima esigenza, la rapidità delle operazioni elettorali. Non v’è dubbio che ciò costituisca, come diceva poco anzi un collega, una economia sotto molti aspetti; d’altro canto è necessario non consentire il protrarsi della votazione in una giornata successiva, per evitare che il corpo elettorale venga distratto da quelle che sono le sue mansioni normali di lavoro: la rapidità delle operazioni assicura anche la massima affluenza alle urne del corpo elettorale.

Circa i pericoli cui poc’anzi il collega accennava, di un eventuale confusionismo, di un pericolo di annullamenti, questi si possono ovviare in una maniera molto semplice, basta mettere un’urna speciale in un’altra cabina in modo che l’elettore, dopo aver votato per la Camera dei deputati, riceve una scheda colorata per il voto al Senato e vada in un’altra cabina per deporre questa scheda colorata in un’urna del medesimo colore.

Ci sono mille modi per garantire e trarre profitto dalla esperienza delle elezioni trascorse per rimediare a questi inconvenienti, ma nessun inconveniente sarebbe maggiore e più grave di quello di voler protrarre e rinviare al giorno dopo le elezioni o a qualche giorno successivo.

La chiusura delle sezioni elettorali per tutta una notte, per riprendere il corso della votazione il giorno successivo, fa venir meno l’altro principio, quello della massima sicurezza, la quale non deve essere una sicurezza di carattere giuridico, una sicurezza di finzione, ma deve essere una sicurezza effettiva, concreta. Le operazioni elettorali devono aver termine nella nottata e tanto si può ottenere riducendo il numero degli elettori iscritti in una sezione, invece di mille, cinquecento, ed aumentando il numero delle sezioni elettorali. Vi sono mille modi, ma quello di lasciare una votazione sospesa durante tutta una notte per riprenderla il giorno successivo, fa venir meno l’esigenza fondamentale della sicurezza concreta; una volta terminate le operazioni elettorali non se ne parli più e si proceda agli scrutini, secondo le disposizioni di legge.

Mille inconvenienti possono venire e per l’ordine pubblico e per i partiti e per la necessità di fare accorrere agenti dell’ordine pubblico, e non ultimo per l’incertezza soggettiva che permane negli elettori. La sospensione della votazione e la sua ripresa il giorno dopo mentre offende il principio della rapidità delle elezioni, offende anche quello della sicurezza che deve essere, ripeto, non giuridica, ma reale ed effettiva.

Non appare quindi affatto indispensabile procedere in quella forma pericolosa che è la protrazione delle operazioni elettorali per il giorno successivo.

Quindi, vi sono ragioni sostanziali che consigliano l’accoglimento dell’emendamento che risponde al principio della massima rapidità ed assicura la certezza che una volta che il corpo elettorale abbia espresso il suo voto, depositando nelle urne la propria scheda, si proceda immediatamente, senza sospensiva, al relativo scrutinio.

FUSCHINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUSCHINI. Vorrei fare alcune osservazioni a quello che ha detto or ora l’onorevole Assennato.

L’articolo 26, com’è stato formulato dalla Commissione – ed in questo la Commissione è stata concorde e non si è divisa fra maggioranza e minoranza, in quanto ha ritenuto che quando le elezioni della Camera dei deputati e del Senato devono avvenire nella stessa giornata è evidente che questa doppia votazione importi un impiego di tempo superiore a quello che potrebbe importare l’elezione di una Camera soltanto – prevede tutte le necessità e stabilisce le opportune disposizioni.

Noi abbiamo avuto un precedente del quale dobbiamo tener conto ed è il precedente del 2 giugno 1946, nel qual giorno vi sono state due forme di votazioni, una per l’Assemblea Costituente ed una per il referendum istituzionale, di eguale, se non di maggiore importanza della nomina dell’Assemblea Costituente. Allora fu tenuto presente il tempo necessario che impiegava praticamente l’elettore che doveva esprimere quelle sue due forme di volontà, per cui fu adottato anche il raddoppio delle cabine in ogni singola sezione, prevedendosi che nel ciclo di tempo che va dalle otto del mattino alle 22 della sera non si potessero esaurire tutte le operazioni elettorali per un gruppo di elettori così notevole com’era quello delle sezioni che superavano il migliaio. Si è avuta nell’ultima legge sulle liste ed operazioni elettorali l’avvertenza di stabilire che ogni sezione non può avere più di ottocento elettori. Ciononostante, è evidente che dovendosi procedere a due votazioni e avendo noi adottato il sistema della consegna separata e non simultanea delle schede, vale a dire che si consegna prima la scheda per la Camera dei deputati, e successivamente si consegna la seconda scheda per il Senato e si fanno le nuove operazioni da parte dello stesso elettore, è evidente che ogni elettore impiegherà un tempo superiore a quello che impiegherebbe se avesse da votare per i membri di un’Assemblea soltanto.

Ecco perché si è fatto il calcolo con l’orologio alla mano che non è possibile, anche ridotto a 800 il numero degli elettori di una sezione, che si possa esaurire il compito in una sola giornata, perché anche se si comincia esattamente alle 8 e si va fino alle 22 (e non mi pare si possa andare oltre le 22, perché il lavoro degli scrutatori è estenuante e non si può pretendere che continuino a lavorare oltre le 22) il tempo non è sufficiente. Ora l’onorevole Assennato si preoccupa della sicurezza con cui devono essere custodite le urne e tutti i carteggi elettorali, particolarmente durante la notte.

Ma, onorevole Assennato, noi abbiamo già fatto l’esperimento il 2 giugno. Le elezioni del 2 giugno sono continuate anche la mattina del lunedì fino alle 12; e non è accaduto nessun incidente dal punto di vista della custodia e della sicurezza delle urne. Non capisco perché oggi, che i servizi di tutela e di pubblica sicurezza sono migliorati, non si possa rinviare al lunedì per dare la possibilità a tutti gli elettori di andare a votare. Quindi, la Commissione, quando ha elevato alle 14 invece che alle 12 l’orario del lunedì, lo ha fatto avendo coscienza che questo non intralciava la rapidità delle operazioni elettorali e non diminuiva la sicura custodia di tutto ciò che riguarda il seggio; ma è convinta che questo tempo è assolutamente indispensabile perché la votazione contemporanea per la Camera dei deputati e pel Senato possa essere compiuta da tutti.

Credo che l’onorevole Assennato si persuaderà di questo. Mi pare che vi siano buone ragioni per assecondare la proposta della Commissione.

ASSENNATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ASSENNATO. Si propone che le operazioni di votazione terminino alle ore 23, dando la possibilità a coloro che si trovano nella sala di votare pure alle ore 24. Nella passata elezione si è constatato che nella mattina del lunedì non vi è stata una grande affluenza: sicché basterebbero poche ore, della prima notte, fino alle 23, per dar modo di votare ai ritardatari.

PRESIDENTE. L’onorevole Bubbio ha presentato il seguente emendamento:

«Sopprimere il secondo comma».

Ha facoltà di svolgerlo.

BUBBIO. Onorevoli colleghi. Il mio emendamento dovrebbe imporsi alla benevola attenzione dell’Assemblea; tanto evidenti sono il suo fondamento e la sua portata.

La Commissione, in relazione al fatto che la elezione dei deputati e quella dei senatori debbono avvenire nello stesso giorno, ha creduto necessario di aumentare senz’altro per tale eventualità il numero degli scrutatori da cinque ad otto; è da notare che con la vecchia legge il numero degli scrutatori, era solo di quattro e che già tale numero con la legge elettorale dei deputati si è aumentato a cinque.

Ora ritengo che detto numero di cinque scrutatori, cui debbono essere aggiunti il segretario ed il Presidente, sia più che sufficiente per il regolare andamento delle operazioni elettorali, anche se le due elezioni abbiano a verificarsi nello stesso giorno. Invero è da tenere presente che gli scrutatori non sono più scelti tra gli elettori presenti nella sezione, come una volta, ma dalla Commissione tra talune categorie, con conseguente maggiore garanzia di capacità ed attività, e che l’operazione più importante, quella della identificazione, serve tanto per l’una che per l’altra elezione.

Voci. No.

BUBBIO. Le due liste differenziano tra di loro solo perché la prima comprende gli elettori dal 21° anno in poi e la seconda dal 25° in poi, una differenza quindi minima, con un’identificazione quindi facilitata; e dirò di passaggio che non so perché siasi introdotta questa distinzione, fonte solo di spese e di complicazioni.

Aggiungansi poi essenziali considerazioni ulteriori:

la prima che il numero degli elettori assegnati a ciascuna sezione è stato ora diminuito da 1000 a non più di 800 elettori;

la seconda che si è prorogato il termine di votazione alle ore 22 della domenica ed alle ore 14 del lunedì;

la terza che già nella votazione del referendum, che fu doppia, si è dimostrato sufficiente il numero di quattro scrutatori allora prescritto e che non si verificarono inconvenienti di rilievo;

la quarta che almeno metà delle sezioni, e segnatamente quelle rurali, hanno un numero di elettori inferiore agli 800 e talora soltanto di 300 o 400;

la quinta che per tali sezioni, in cui è già difficile scegliere i cinque scrutatori, può divenire insormontabile la difficoltà di sceglierne otto tra le persone competenti;

la sesta che il numero dei votanti nella migliore delle ipotesi non è mai superiore al 70 per cento, per cui si può calcolare, anche nelle sezioni più numerose, non più di un cinquecento, seicento votanti, al cui servizio sono certo già esuberanti sette persone – e cioè i cinque scrutatori, il Presidente ed il segretario, per non parlare poi dei rappresentanti di lista; e non è detto che l’aumento dei funzionari aumenti la regolarità delle operazioni e le renda più sollecite!

E rimane un’ultima considerazione che per avventura è anche la più importante ed è anzi quella che mi ha indotto alla presentazione dell’emendamento dietro accordo con diversi colleghi che mi hanno incoraggiato a sostenere la proposta.

L’aumento del numero degli scrutatori da cinque ad otto apporta alla strematissima bilancia dello Stato l’onere maggiore di ben 472 milioni, somma che anche in un periodo di euforia finanziaria anzi debitoria, deve pure farci pensosi.

Lascio ai colleghi di fare il calcolo, che si istituisce su questi precisi dati:

indennità dovuta per ogni scrutatore lire 1500 e per tre giorni lire 4500;

indennità totale per i tre scrutatori in più per ogni sezione: 4500 x 3 = 13.500;

sezioni elettorali n. 35.000, che moltiplicate per lire 13.500 di maggiore spesa danno il totale complessivo di lire 472.500.000; somma che non è neppure definitiva, in quanto per diversi scrutatori, ove non si potessero scegliere in loco, bisognerebbe corrispondere ancora la indennità di missione ed il rimborso dei mezzi di viaggio, per cui è facile arrivare solo per questa aggiunta a qualcosa come mezzo miliardo.

La cifra si impone alla nostra attenzione; ché se la Camera, con lieve maggioranza invero, ha respinto allorché si discusse la legge per le elezioni della Camera dei deputati, la mia protesta tendente a diminuire le indennità dei componenti degli uffici sezionali quando si tratta di persone aventi residenza nello stesso Comune in cui si trova la sezione cui sono adibiti, sembra a me che qui non sia più questione di lesinare sull’emolumento dovuto a colui che presta il munus publicum, ma soltanto di evitare una spesa che non risulta necessaria.

Tutti abbiamo qualche esperienza in materia per escludere che sette componenti dell’ufficio siano assolutamente necessari, e quindi confido che la maggioranza dei colleghi darà il suo consenso. Un ex Ministro del tesoro e già Presidente del Consiglio, mi diceva ieri che sentiva per la prima volta un deputato che vuole spendere di meno, mentre tutti vogliono spendere di più. In un momento in cui si lesina il sussidio ai disoccupati e tante difficoltà urgono, la mia proposta si impone.

Se Quintino Sella, onorevole Villabruna, è morto, come lei mi diceva, dovrebbe sempre essere vivo il suo insegnamento e cioè che non basta aumentare le imposte e le tasse per risanare il bilancio dello Stato, ma occorre anche fare delle economie. Ed in extremis sia questo il primo e forse unico atto che questa Camera compie su questa via; ed io sarò lieto del dovere compiuto, qualunque sia l’esito della votazione. (Applausi).

PRESIDENTE. Chiedo il parere della Commissione sugli emendamenti all’articolo 26.

MICHELI, Presidente della Commissione. L’emendamento Russo Perez è già stato respinto dalla maggioranza della Commissione che non ha ritenuto di poter aderire alle sue considerazioni ed oggi non crede di poter accettare quelle che ha esposto l’onorevole Lucifero. La Commissione ha ritenuto che si debba evitare di mantenere il corpo elettorale in prolungata agitazione, tenendo a distanza le due elezioni. Da aggiungere inoltre, che il risultato di una elezione (della prima) potrebbe influire nel rendere più acerba la seconda battaglia. Tanto più, poi, che l’accennato pericolo della confusione non è tale da non poter essere eliminato, ad esempio, dal fatto che le schede per una votazione abbiano un colore diverso da quello dell’altra, e sopra le rispettive urne sia messo il colore dell’una ed il colore dell’altra, in modo che anche la persona meno pratica di queste cose rileverà la differenza, che i candidati contrastanti faranno conoscere e che senza dubbio i partiti metteranno in luce nei loro manifesti nel modo più chiaro. La Commissione ad ogni modo mantiene il suo testo.

Quanto alla proposta dell’onorevole Assennato, è evidente come la Commissione, respingendo la proposta Russo Perez, si era avvicinata alla tesi dell’onorevole Assennato. Conviene peraltro stabilire in modo preciso e categorico questo nella legge? Vi è qualche incertezza nella Commissione a questo riguardo, in quanto si teme di vincolare soverchiamente coloro che hanno la responsabilità di indire i comizi e perciò la Commissione si rimette all’Assemblea.

Quanto alla proposta del collega Bubbio, mi pare che la Commissione è in gran parte d’accordo con lui, perché non si vede la necessità dell’aumento degli scrutatori da 5 a 8. Forse si potrebbe graduare e nelle sezioni che hanno un maggior numero di iscritti (e che superano i 600 elettori) ci si potrebbe avvicinare a questo numero ma nel caso del maggior numero delle sezioni che hanno un numero minore di elettori la necessità non v’è. Ma vi ha di più: le sezioni che hanno il maggior numero di elettori sono quelle delle città, dove i partiti sono più agguerriti ed hanno mandato persone abili e competenti a fare da scrutatori, e gli elettori sono più pratici nella schermaglia del voto, e sono più rapidi nell’eseguirla. Per questo la Commissione ritiene di accogliere la proposta Bubbio, tenuto conto anche della diminuzione della spesa. Se questo può essere omaggio all’ombra lontana di Quintino Sella, sia, e che essa possa effettivamente aleggiare sempre sui nostri propositi; tutte le volte che vi sia possibilità di risparmiare, l’Assemblea si ispirerà, son certo, al suo ricordo. Bisogna augurarsi che queste possibilità siano molte e si presentino, come in questa occasione, in modo che ad esse si possa aderire anche dal punto di vista tecnico, come siamo lieti di fare in questo momento. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Chiedo il parere del Governo.

SCELBA, Ministro dell’interno. Il Governo è contrario all’emendamento dell’onorevole Russo Perez.

Per quanto riguarda gli emendamenti dell’onorevole Assennato, non avrei difficoltà ad accettare il primo: è questione di forma. Sono invece contrario al secondo emendamento dell’onorevole Assennato, il quale vorrebbe che anche nell’ipotesi che le elezioni della Camera dei deputati e del Senato si svolgano nello stesso giorno, le operazioni elettorali abbiano termine nello stesso giorno. L’onorevole Fuschini ha già risposto ampiamente ed ha contradetto le ragioni che l’onorevole Assennato aveva esposto a favore della sua proposta. Basterebbe il riferimento alle elezioni del 2 giugno per superare le obiezioni addotte dall’onorevole Assennato. D’altra parte la complessità del meccanismo elettorale e delle operazioni è tale da giustificare, a maggior ragione in questo caso, che le operazioni elettorali siano proseguite nel giorno successivo.

Per quanto riguarda l’emendamento Bubbio, il Governo l’accetta. Io concordo con lui pienamente sulla necessità di economizzare il più possibile nelle spese elettorali. Accetterei anche la tesi di lasciare a cinque il numero degli scrutatori, riservandomi di aumentarlo per le sezioni maggiori. Ad ogni modo mi rimetto all’Assemblea.

La Commissione ha fatto due proposte concrete. Innanzitutto, ha stabilito che le operazioni elettorali si svolgano in tempi successivi, cioè, mentre in occasione del 2 giugno il Presidente dava le due schede all’elettore e questi, per conto suo, compiva le operazioni, secondo la proposta della Commissione il Presidente dà all’elettore prima la scheda per l’elezione della Camera dei deputati e, ultimata l’operazione, l’elettore ritorna al banco della Presidenza e riceve la seconda scheda per ripetere la stessa operazione per l’elezione del Senato. Ora, è stato calcolato tecnicamente, l’esperienza fu fatta dagli uffici del Ministero al tempo in cui vi era l’onorevole Romita, che l’operazione elettorale comporta cinque minuti di tempo, come minimo. Calcolando ogni sezione elettorale composta di ottocento inscritti e fornita di tre urne, non è possibile che tutti gli elettori riescano a votare, anche considerando la proroga proposta dalla Commissione, cioè di far proseguire la votazione fino alle ore 14 del giorno successivo. Inoltre, è risultato che nella giornata del lunedì l’affluenza alle urne è assolutamente irrilevante, mentre una grande affluenza si determina nella giornata della domenica. Se noi aumentiamo la durata della votazione per ogni elettore, otteniamo un effetto controproducente, perché obblighiamo l’elettore ad una snervante attesa, che potrebbe anche provocare l’astensione dalla votazione.

Quindi, il Governo, per queste considerazioni di carattere tecnico, sarebbe di avviso di non accettare il nuovo meccanismo proposto dalla Commissione, appunto perché esso complica, anziché facilitare, le operazioni elettorali.

La possibilità di complicazioni certamente esiste anche col nostro sistema. È vero che il 2 giugno vi sono state delle confusioni, ma esse sono state in misura molto ridotta. Comunque, adesso, l’elettore ha una certa pratica perché ha avuto occasione di votare più volte e di farsi quindi una competenza elettorale.

Per queste considerazioni io insisto perché sia mantenuto il termine delle elezioni alle ore 12 del lunedì e che per le modalità delle operazioni elettorali sia mantenuto lo stesso meccanismo delle operazioni elettorali adottato il 2 giugno.

BUBBIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BUBBIO. Tenuto conto dei suggerimenti di qualche autorevole collega e per evitare ogni pericolo di complicazioni nelle sezioni più numerose, propongo un emendamento, e cioè alle parole del testo della Commissione: «Ai cinque scrutatori ecc.» si dovrebbero sostituire le seguenti:

«Per le sezioni aventi oltre 700 iscritti, il numero degli scrutatori è portato da cinque a sei».

Così confido ottenere l’unanimità dei consensi, pur rimanendo acquisita la grande parte dell’economia già accennata, dato che le sezioni tra i 701 e gli 800 elettori sono poco numerose.

PRESIDENTE. L’onorevole Scelba ha facoltà di esprimere il parere del Governo.

SCELBA, Ministro dell’interno. Il Governo accetta.

PRESIDENTE. L’onorevole Micheli ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

MICHELI, Presidente della Commissione. La Commissione accetta.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. La questione relativa alla votazione per i senatori, nello stesso giorno in cui si procede alla votazione delle elezioni per i deputati, fu discussa in sede di Commissione poiché anche in quella sede si manifestò una tendenza diretta a far sì che le elezioni per le due Camere si verificassero in date diverse; si ritenne però prevalente il concetto e la necessità che le elezioni avvenissero contemporaneamente, soprattutto per il fatto che, per legge costituzionale, entro un dato termine si deve procedere alla convocazione del Parlamento. Necessità quindi che l’elezione delle due Camere avvenga nello stesso giorno; ma, poiché era da tutti riconosciuto che ciò può determinare degli inconvenienti (si è pensato soprattutto alle difficoltà pratiche esistenti in certi ambienti) si è creduto di dover aderire ad una proposta formulata in modo concreto dall’onorevole Fabbri, secondo la quale prima si procede ad una delle due votazioni e solo in seguito e separatamente si procede all’altra.

A questo si è opposto ora il Ministro Scelba. Io, in sede di dichiarazione di voto, dico che il calcolo teorico secondo il quale occorrono cinque minuti per ogni votazione, è un calcolo sbagliato.

Si è visto nelle precedenti elezioni che i cinque minuti per ogni votazione non sono necessari; ma se si dovesse partire assolutamente dal presupposto che i cinque minuti siano necessari, questo dovrebbe portare, non a modificare il metodo delle elezioni, ma a protrarre l’orario della votazione. Noi non dobbiamo pensare soltanto ai grandi centri, come quelli rappresentati dalle città, né solo a quegli altri in cui l’insieme degli elettori ha un alto sviluppo politico, ma anche a quelli in cui l’elettore, in certo senso, è in istato di primitività. In questi centri la confusione che si verificherebbe sarebbe veramente tale da far sì che la speditezza voluta per la votazione non porterebbe ad una sincerità di voti, ma solo a confusioni.

Quindi io dichiaro che voterò la proposta della Commissione secondo la quale prima il presidente del seggio consegnerà la scheda per la votazione dei deputati e quando l’elettore avrà votato per i deputati solo allora riceverà la scheda per la votazione dei senatori.

PRESIDENTE. Questo è il testo della Commissione, che lei ha voluto illustrare.

MASTINO PIETRO. Non l’avrei illustrato se il Ministro non vi si fosse opposto, l’ho illustrato come mia dichiarazione personale.

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. La questione che sta avanti all’Assemblea è veramente di una importanza notevole, perché possiamo compromettere il risultato delle elezioni accogliendo la proposta della Commissione. È una questione puramente tecnica, che noi abbiamo esaminato con cura. Se adottiamo il sistema introdotto dalla Commissione noi raddoppiamo il tempo occorrente per l’operazione elettorale: questa è la verità oggettiva; perché facciamo due operazioni elettorali nettamente distinte, compreso l’esame del certificato elettorale, sicché praticamente almeno due terzi del tempo occorre per la seconda operazione.

Ora ritengo che è appena sufficiente il tempo previsto se si deve fare una sola operazione elettorale; se raddoppiamo il tempo, rendiamo impossibile a molta gente di votare, perché la massima parte di affluenza alle urne si verifica il primo giorno: il secondo giorno l’esperienza ha dimostrato che l’affluenza è scarsissima. Non basta prorogare il termine per indurre a votare, perché la gente cerca di togliersi il pensiero del voto nel giorno di domenica e il lunedì scarsamente affluisce alle urne.

Se noi rendiamo ancora più complicate le operazioni elettorali, obblighiamo molta gente a tornare il giorno successivo, e l’esperienza ha dimostrato che molti malvolentieri ritornano il giorno successivo. Dobbiamo cercare di rendere molto più spedite le operazioni elettorali la domenica, in modo da lasciare il lunedì soltanto per i ritardatari e per coloro che non hanno avuto la possibilità di votare la domenica.

Ma col metodo introdotto dalla Commissione – e richiamo l’attenzione dell’Assemblea su questa questione – non facciamo che complicare le cose, obbligando gli elettori ad una attesa molto più lunga di quella del 2 giugno, con conseguenze che nessuno di noi vuole, perché tutti vogliamo favorire il maggiore afflusso alle urne, rendendo più celeri le operazioni elettorali e rendendo questo dovere il meno gravoso possibile.

Quindi, insisto nel richiamare l’attenzione dell’Assemblea su questo problema, che a noi pare molto importante per le sue ripercussioni di ordine politico.

MAZZEI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAZZEI. Faccio presente che il sistema adottato dalla Commissione è stato elaborato dopo un complesso dibattito, in cui si tendeva ad ottenere due date diverse per le elezioni del Senato e della Camera, ritenendosi che il sincronismo delle due elezioni indubbiamente avrebbe creato inconvenienti gravissimi.

Se è giusto che il Ministro dell’interno si preoccupi di far sì che le operazioni elettorali si svolgano alla svelta e rapidamente (e questo è un desiderio di noi tutti), è anche legittima la nostra preoccupazione che negli elettori non si crei confusione. Se diamo loro due schede, dopo due campagne elettorali sincrone, si creano possibilità di equivoci molto maggiori di quelli che vennero a provocarsi il 2 giugno, quando in effetti le due schede erano di tipo affatto diverso. Io temo quindi che si creerebbe una confusione veramente enorme; non stiamo a preoccuparci troppo del fatto che nella giornata del lunedì i cittadini potrebbero non affluire alle urne: quelli che nel secondo giorno non si presenteranno, saranno solo i cittadini non consci della gravità del loro dovere, e pertanto non ci sarebbe da rammaricarsi gran che della loro mancata presenza alle urne. Se del resto noi, tutti d’accordo in questo, faremo propaganda per chiamare tutti i cittadini alle urne, noi indurremo tutti a votare.

PRESIDENTE. Chiedo ai presentatori dei vari emendamenti se li mantengono. Onorevole Lucifero?

LUCIFERO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Assennato?

ASSENNATO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Bubbio?

BUBBIO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Passiamo allora alla votazione dell’emendamento presentato dall’onorevole Russo Perez, fatto poi proprio dall’onorevole Lucifero, non accettato tante dalla Commissione quanto dal Governo:

«Le prime elezioni per il Senato avranno luogo in data diversa e posteriore a quelle per la Camera dei deputati».

(Non è approvato).

Passiamo allora al testo dell’articolo 2 proposto dalla Commissione. Il primo comma, è del seguente tenore:

«Qualora le elezioni di primo scrutinio per il Senato e quelle per la Camera dei deputati siano indette per il medesimo giorno, si osservano le disposizioni seguenti».

Si parla, cioè, dell’eventualità di un doppio scrutinio; la questione non è stata ancora esaminata dall’Assemblea; ritengo quindi sia opportuno sospendere per il momento questo punto.

Pongo in votazione il primo emendamento Assennato, accettato dal Governo e dalla Commissione:

«Qualora vi sia coincidenza nelle elezioni della Camera dei deputati e del Senato, esse sono indette per il medesimo giorno».

(È approvato).

Passiamo al secondo comma del testo della Commissione:

«Ai cinque scrutatori previsti per ogni sezione elettorale dall’articolo del testo unico della legge per la elezione della Camera dei deputati, si aggiungono altri tre scrutatori. La Commissione elettorale comunale, nel procedere alla nomina degli scrutatori, designa separatamente gli scrutatori destinati a integrare la normale costituzione dell’ufficio elettorale».

Pongo in votazione l’emendamento Bubbio, sostitutivo della prima parte:

«Per le sezioni aventi oltre 700 iscritti, il numero degli scrutatori è portato da cinque a sei».

(È approvato).

Pongo in votazione la seconda parte del comma nel testo della Commissione che, coordinata con la prima, risulta del seguente tenore:

«La Commissione elettorale comunale, nel procedere alla nomina degli scrutatori, designa separatamente lo scrutatore destinato ad integrare la normale costituzione dell’ufficio elettorale».

(È approvato).

Passiamo al terzo comma:

«L’elettore iscritto nelle liste elettorali per le elezioni delle due Camere, dopo che sia stata riconosciuta la sua identità personale, ritira dal presidente del seggio prima la scheda per l’elezione della Camera dei deputati e, dopo che avrà restituito la scheda stessa, ritira quella per l’elezione del Senato».

L’Assemblea ha udito la discussione ed ha presente il contrasto fra il pensiero del Governo e il pensiero della Commissione. Il Ministro Scelba sostiene che si debba procedere ad un’unica consegna delle schede, per risparmio di tempo. La Commissione ha voluto stabilire che la consegna della scheda per l’elezione della Camera avvenga prima; in un secondo momento, avvenuta l’operazione di voto per la Camera, l’elettore ritirerà la scheda per l’elezione del Senato. Su questo contrasto deve deliberare l’Assemblea.

Pongo in votazione il testo proposto dalla Commissione.

(È approvato).

Passiamo al quarto comma, identico nei due testi:

«Le operazioni di votazione proseguono fino alle ore 22 in tutte le sezioni elettorali: gli elettori che a tale ora si trovino ancora nella sala sono ammessi a votare».

A questo comma l’onorevole Assennato ha proposto il seguente emendamento:

«Sopprimere il terzo, quarto e quinto comma e sostituirli col seguente:

«Le operazioni di votazione terminano alle ore 23; coloro che si trovano nella sala possono votare fino alle ore 24; decorsa quest’ora, nessuno può più votare».

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. L’emendamento dell’onorevole Assennato non ha riferimento al comma che è stato testé letto dall’onorevole Presidente, cioè a dire alla proroga del termine dalle ore 22 alle 23, ma tende solo a sopprimere la possibilità di votare il giorno successivo; e quindi va messo in riferimento al secondo comma, il quale prevede che in caso di chiusura delle operazioni alle ore 22, le operazioni si rimandano al giorno successivo, alle 7 del mattino. Richiamo l’attenzione dell’Assemblea per avvertire che l’emendamento dell’onorevole Assennato tende a sopprimere la possibilità di rimandare le operazioni al giorno successivo e a chiudere le operazioni lo stesso giorno di domenica.

STAMPACCHIA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

STAMPACCHIA. Faccio una semplice osservazione a nome personale e non della Commissione. Ed è questa: lo stesso onorevole Ministro ha detto che l’affluenza degli elettori nel giorno successivo alla domenica è irrilevante.

Domando: se è irrilevante, perché dobbiamo lasciare ancora protrarre queste operazioni elettorali e predisporre tutte quelle misure necessarie per garantire che le operazioni non possano essere turbate?

Credo che l’emendamento Assennato sia da accogliere, in questo senso.

PRESIDENTE. Domando alla Commissione se sia d’accordo col Ministro, che si debba votare sul principio che le operazioni debbano essere protratte anche alla giornata di lunedì.

Invito l’onorevole Micheli ad esprimere il pensiero della Commissione.

MICHELI, Presidente della Commissione. Nella sua maggioranza la Commissione ha accettato la proposta del Governo di dare possibilità di rinviare le elezioni fino al giorno dopo. Però debbo dichiarare che vi sono stati anche dei dissensi: una parte dei nostri colleghi non era di questo avviso.

Ora faccio osservare che, avendo l’Assemblea in questo momento stabilito la procedura della consegna delle schede in modo duplice, questo, se non porterà i cinque minuti di perdita di tempo cui il signor Ministro ha accennato, certo prolungherà la votazione. Quindi, necessità (maggiore oggi di quella che non vi era nel giorno in cui la Commissione ha discusso) di protrarla al giorno dopo.

Ad ogni modo, la Commissione è stata dell’avviso esposto ed ha presentato un articolo con lievi modificazioni a fianco a quello del Governo. Non essendo stati tutti d’accordo, ciascuno di noi voterà secondo il proprio convincimento.

FABBRI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Io voterò per la protrazione al lunedì, anche perché la discussione in seno alla Commissione concerne quasi esclusivamente questo punto: se la protrazione al lunedì dovesse limitarsi all’ora finale indicata nel progetto ministeriale o, a seguito della complessità delle operazioni, dovesse essere allungata di due ore o di quattro ore.

Ma sul concetto della necessità del giorno successivo e sul concetto dell’allungamento del tempo fummo tutti concordi; e trovo che le stesse argomentazioni dell’onorevole Ministro dell’interno, che si richiama all’esperienza del 2 giugno, che ammise la protrazione al lunedì, dopo aver osservato che un allungamento sarebbe stato introdotto nelle operazioni da parte della Commissione, importano non solo la protrazione a lunedì ma la protrazione di 2 o 4 ore del tempo già indicato, e quindi ne consegue la necessità di tener ferma la norma contenuta nel progetto iniziale del Governo per l’utilizzazione della giornata del lunedì.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. È già stato osservato, ed a mio parere giustamente, tanto che faccio mio questo argomento, come, una volta stabilito che il Presidente del seggio non potrà consegnare la scheda all’elettore per la votazione dei senatori se non dopo che l’elettore stesso abbia già proceduto alla votazione dei deputati, questo imponga una protrazione, direi, di orario, in quanto è aumentato il tempo necessario perché si possa procedere alle due votazioni.

Indipendentemente da ciò, presento alla valutazione dell’Assemblea anche un altro argomento, che è tratto forse dalla conoscenza delle condizioni speciali della regione cui io appartengo, ma che credo non siano solo della mia regione. Certi aggregati, ad esempio i gruppi costituiti dallo famiglie di pastori, non possono procedere in unico giorno alla votazione, in quanto i vari componenti si devono alternare nell’assentarsi dai lavori di campagna; taluni dei componenti il gruppo si allontanano la domenica e vanno al centro cittadino per partecipare alla votazione; taluni altri invece profittano della possibilità di poter votare il lunedì. Una disposizione diversa porterebbe alla esclusione dal voto di determinate categorie di elettori, vale a dire frustrerebbe lo scopo che noi tutti quanti ci dobbiamo proporre; quello della maggiore possibile affluenza di elettori alla votazione.

Quindi, anche per questa ragione, che parrebbe particolare alla mia, ma credo estensibile a molte regioni, io ritengo che le votazioni debbano avvenire in due giorni.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il principio che le operazioni elettorali proseguono nella giornata di lunedì.

(È approvato – Proteste all’estrema sinistra).

ASSENNATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ASSENNATO. Il mio emendamento è soppressivo e sostituivo e quindi avrebbe dovuto avere la precedenza.

PRESIDENTE. Il suo emendamento riguarda le operazioni elettorali e dice così:

«Le operazioni di votazione terminano alle ore 23; coloro che si trovano nella sala possono votare fino alle ore 24; decorsa questa ora, nessuno può votare».

Ora, di fronte a questo emendamento, che è sostitutivo, è venuta la proposta di votare sul principio della proroga al giorno successivo, che io ho posto in votazione ottenendo il consenso dell’Assemblea.

Ella avrebbe dovuto sollevare la sua eccezione prima della votazione.

Comunico all’Assemblea che l’onorevole Assennato mi fa ora pervenire questo emendamento aggiuntivo:

«È consentita durante la notte dalla domenica al lunedì la permanenza nell’aula delle sezioni degli scrutatori e dei rappresentanti di lista». (Commenti al centro e a destra).

La Commissione ha facoltà di esprimere il proprio parere. (Commenti all’estrema sinistra).

MICHELI, Presidente della Commissione. Io personalmente ho il torto di non comprendere la ragione di questi commenti…

MUSOLINO. È troppo ingenuo…

MICHELI, Presidente della Commissione. Può darsi che l’ingenuità sia una mia virtù. Mi rincresce che il collega me l’applichi solo ironicamente; la stessa ironia che io gli ricambio di tutto cuore.

Io non avevo ancora parlato. Siccome la formazione della Commissione è quella che l’Assemblea conosce ed io non ho avuto il tempo di interrogare tutti i colleghi, la Commissione si rimette all’Assemblea. Però io personalmente, se i colleghi consentono, dirò il mio parere. Io credo che non sia materialmente possibile cambiare il seggio in una specie di asilo notturno, mettendovi tutti gli scrutatori, che possono essere sei, oltre al presidente, al segretario e ai rappresentanti di partito. Oltre a questi vi sono i rappresentanti della forza, che non possono essere lasciati fuori a prendere il freddo. Molte sezioni sono formate di piccole stanze. Come potranno entrarvi tutti?

Ecco le ragioni pratiche per le quali la mia suprema ingenuità, onorevole collega, non era arrivata a dare parere favorevole a questa vostra proposta. Il che non vuol dire che la Commissione la respinge: la respingerò io personalmente, ma vi saranno fra noi alcuni che l’approveranno. La cosa non è tragica, e non meritava le strane interruzioni delle quali io sono stato gratificato.

ASSENNATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ASSENNATO. In sostanza credo che l’Assemblea abbia un interrogativo da risolvere, assai semplice: garantire la massima sicurezza al pernottamento delle urne con l’espressione del voto espresso durante la giornata, o respingere questa sicurezza. Il quesito è molto chiaro. Onorevole Micheli, può darsi che la mia ingenuità sia pari alla sua, e nel qual caso forse sarebbe comune la virtù. Ma è certo che io attendo di vedere se la sua ingenuità corrisponda anche a quella dei colleghi del suo Gruppo. Evidentemente, non credo vi possa essere dissenso di fronte ad una esigenza che dovrebbe essere sentita da tutti i partecipi dell’Assemblea. È una questione di coscienza. Il comune controllo di tutti i partiti di fronte alla lotta elettorale è una cosa elementare.

FUSCHINI. Basta rispettare la legge.

ASSENNATO. Né comprendo che debba opporsi ad una argomentazione così sostanziale la preoccupazione di qualche pezzetto di carta o di qualche mollica di pane o di qualche coperta che possa essere portata nell’aula elettorale. Non credo che potrebbero entrare nell’urna queste cose durante la notte. Non può accadere nulla in presenza di queste scolte vigili. Questo garantisce, non offende nessuno. Non offende nulla tutto ciò che garantisce il controllo e la sicurezza. Del resto, è un principio democratico, perché tutti i partiti concorrono attraverso i loro rappresentanti. Volete opporvi? Noi spiegheremo le ragioni di una eventuale vostra opposizione. (Commenti al centro e a destra).

MICHELI, Presidente della Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI, Presidente della Commissione. Ho il dovere di rispondere all’onorevole Assennato. Primo: io posso dar conto a lui della mia ingenuità e non certamente di quella degli altri. Secondo: è la pratica impossibilità che ha determinato il mio pensiero. È inutile fare e dire e contraddire. Le cose sono molto più semplici. Non si tratta di pane o di una sola coperta. Se in una stanza devono passare la notte dieci o dodici persone, ci vuole effettivamente qualche cosa di più. Ad ogni modo, faccio osservare all’onorevole Assennato questo… (Interruzione del deputato Maffi). Onorevole Maffi, non so perché si agiti tanto.

MAFFI. Mi meraviglia che un uomo sincero sostenga l’assurdo.

MICHELI, Presidente della Commissione. Ho imparato da lei, onorevole Maffi, a sostenere l’assurdo, del che ella è maestro insuperabile.

Ad ogni modo, lasciando da parte il personalismo, io voglio fare un’ultima considerazione al collega Assennato: noi verremmo a portare una differenza fra le elezioni dei deputati e le elezioni dei senatori. Quale delle due deve prevalere, quando sono fatte insieme? Nella legge che l’Assemblea ha approvato, non vi è questa possibilità. Il decreto legislativo 10 marzo 1946 stabilisce il modo col quale vengono stabilite tutte le garanzie, che il collega Assennato desidera; e pare che debbano essere preminenti, più gravi, più forti per i senatori che per i deputati. Non certo diverse.

Non v’è ragione di modificare il sistema, che abbiamo sempre adottato; lo abbiamo discusso anche per le elezioni dell’Assemblea Costituente; ed il 2 giugno vi furono due votazioni, una delle quali, il referendum istituzionale, era molto più importante ed assillante di quello che possa essere la elezione dei senatori. Nessuno allora parlò di gravissime questioni di coscienza, che ora solo affiorano. Io sono di avviso che oggi non convenga mutare il sistema, specialmente dopo che è stato approvato l’emendamento proposto dall’onorevole Assennato per l’abbinamento delle due elezioni.

Perché in una elezione si deve consentire che tutte queste brave persone restino a pernottare nel seggio, e nell’altra no?

La garanzia è data dalla presenza della forza pubblica. Nel 1946 è stato fatto così.

Il dubbio che oggi nasce non ha nessun fondamento né nel passato, né nel presente; il futuro è nelle mani di Dio. Vedremo.

MAFFI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAFFI. Intendo anzitutto porre in evidenza questo fatto: è ingenuo pensare che le elezioni, cui noi ci avviamo, si svolgeranno nello stessissimo ambiente di sicurezza di quelle del due giugno. (Commenti).

Una voce al centro. Dipende da voi. (Commenti all’estrema sinistra).

MAFFI. Le prossime elezioni potranno avere un carattere molto più acceso; da qui il sospetto. Io espongo delle ipotesi, che penso siano presenti alla coscienza di ognuno.

Se anche da una parte esistesse questa supposizione, essa sarebbe già un elemento di turbamento dell’ambiente delle prossime elezioni.

Ora, è una necessità morale, oltreché civile e giuridica, che tutte le garanzie siano fornite.

Onorevole Micheli, noi non stiamo discutendo se sia agevole o piacevole il vegliare una notte. Ma sappiamo tutti che, se un determinato partito sente l’interesse di vigilare durante la notte, i suoi rappresentanti vigileranno e gli altri faranno altrettanto. (Commenti al centro). Ma signori! Viaggiamo dodici, quattordici ed anche diciotto ore in treno, persino in piedi abbiamo viaggiato! Figuriamoci se ci arresteremo di fronte alle esigenze di questo dovere di vigilanza da compiere affinché l’espressione del voto sia insospettabile. E vorrei che tutti si rendessero conto di questo. Badate, è nell’interesse di tutti che nessuno possa dire: in partenza un partito ha cercato di profittare di condizioni che ponessero l’altro in stato di inferiorità. È nell’interesse di tutti, è nell’interesse di quell’ordine e di quella quiete che noi vogliamo presiedano alle nuove elezioni, le elezioni a cui noi chiamiamo il popolo. (Commenti al centro). Perciò per ragioni di tranquillità, di sicurezza e di fiducia reciproca, per quella concordia che tutti invocano e contro cui in pratica si lavora da molti, io domando che questo diritto di poter essere presenti durante la notte nella sede delle sezioni elettorali sia consentito ed affermato, e vorrei sentire il parere di ognuno dei componenti la Commissione, perché per noi è questione di coscienza su cui giudichiamo utile sia fatta luce. (Commenti al centro).

FUSCHINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUSCHINI. Onorevoli colleghi! Sono perfettamente convinto che la preoccupazione che hanno i deputati comunisti, per assicurare la sicurezza durante la notte, per le urne e per tutti gli atti che si riferiscono al seggio, è una preoccupazione obiettivamente giusta. Voglio però ricordare all’Assemblea che nella legge per la elezione della Camera dei deputati esiste l’articolo 51 che suona così:

«Compiute le operazioni di cui all’articolo 50, il presidente, dopo aver fatto sfollare la sala da tutti gli estranei al seggio, provvede alla chiusura e alla custodia di essa in modo che nessuno possa entrarvi. A tal fine il presidente, coadiuvato dagli scrutatori, si assicura che tutte le finestre e gli accessi della sala, esclusa la porta o le porte di ingresso, siano chiusi dall’interno, e vi applica opportuni mezzi di segnalazione di ogni fraudolenta apertura; provvede, indi, a chiudere saldamente dall’esterno la porta o le porte di ingresso, applicandovi gli stessi mezzi precauzionali.

«Affida, infine, alla forza pubblica la custodia esterna della sala alla quale nessuno può avvicinarsi.

«È tuttavia consentito ai rappresentanti di lista di trattenersi all’esterno della sala durante il tempo in cui questa rimane chiusa».

Quindi, una volta tutto assicurato all’interno della sala, vi è la custodia all’esterno da parte della forza pubblica e vi è anche aggiunta l’opera dei rappresentanti di lista, i quali potranno coadiuvare la forza pubblica, perché nessuno entri nella sala. (Approvazioni al centro). Mi pare che questo sia sufficiente per garantire la sicurezza delle votazioni e delle operazioni del seggio. Infatti, cari colleghi, abbiamo avuto la prova che durante il 2 giugno – lasciate pure che vi fosse un’atmosfera diversa – non si è verificato nessun incidente.

Del resto, dobbiamo essere tutti d’accordo nel fatto che le elezioni non siano turbate in nessuna maniera, e dobbiamo essere tutti d’accordo per respingere le violenze che si volessero fare alle votazioni avvenute.

Quindi, mi pare che questo articolo sia più che sufficiente per garantire la sicurezza delle operazioni eseguite durante la giornata della domenica. (Applausi al centro – Interruzione dei deputati Maffi e Assennato).

PRESIDENTE. Onorevole Assennato, le faccio osservare che quanto ha detto l’onorevole Fuschini va coordinato col disposto dell’articolo 25 del testo che stiamo esaminando, nel quale è detto:

«Per tutto ciò che non è disciplinato dalla presente legge si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni del testo unico della legge per l’elezione della Camera dei deputati, approvato con decreto presidenziale … gennaio 1948, n. ..».

Dato ciò, mi pare che ella possa ritirare il suo emendamento. Questa è una esortazione a non perdere tempo, onorevole Assennato, ma, se ella insiste, metterò ai voti il suo emendamento. Mantiene o ritira?

ASSENNATO. Signor Presidente, non mi mantenga nel campo del monosillabi. Mantengo l’emendamento e desidero dirne le ragioni.

PRESIDENTE. Onorevole Assennato, le faccio osservare che in materia di emendamenti il Regolamento prevede che il deputato ha il diritto di riprendere la parola, dopo aver svolto l’emendamento, soltanto se dichiara di ritirarlo. Veda lei se le conviene di violare il Regolamento o di osservarlo.

ASSENNATO. Io non violo il Regolamento, né tanto meno manco di riguardo verso la Presidenza che rappresenta l’Assemblea e ogni singolo suo componente, ma debbo rilevare che l’invito a ponderare sulla opportunità di ritirare l’emendamento non può scaturire dall’attenta lettura dell’articolo 25, ove è richiamato l’articolo 51 della legge per l’elezione della Camera dei deputati. Io mi permetto di far notare, da modesto esercente della professione comune, che nella legge in esame è detto che per tutto ciò che non è disciplinato dalla presente legge si applicano le norme della legge elettorale che ha dato vita a questa Assemblea; ed il mio emendamento concreta appunto uno dei casi ipotizzati dall’articolo 25. Se così non fosse, la legge invece di dire «per tutto ciò che non è disciplinato dalla presente legge» avrebbe detto senz’altro: «valgono le norme della legge per la elezione della Camera dei deputati». Contro il mio emendamento, l’articolo 25 non può essere invocato come svolgente effetto preclusivo.

Mantengo pertanto il mio emendamento.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Io volevo, in parte, fare il richiamo che ha già fatto l’onorevole Fuschini, cioè dire che la materia è già disciplinata in modo da dare la migliore garanzia, ossia quella garanzia che proviene dal fatto che si tratta qui non di discutere chi deve essere vicino alle urne ma di stabilire che non deve esservi nessuno vicino alle urne. Questo è il punto fondamentale; però vorrei fare anche un rilievo che forse va al di là della legge, ma che ha una sua importanza: qui si è parlato da qualcuno in modo da far supporre che in Italia si viva come in una foresta in cui ognuno deve tutelare da solo i propri diritti. I diritti dei cittadini li deve tutelare lo Stato con i suoi organi, ed è esso che ne deve rispondere. Non dobbiamo ammettere il principio che ci si debba tutelare da se stessi. (Commenti).

GULLO FAUSTO, Relatore per la maggioranza. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO FAUSTO, Relatore per la maggioranza. Poiché ha parlato il Presidente della Commissione, pur premettendo che egli ha parlato personalmente e non a nome della Commissione, mi si consenta di dire poche parole per rimuovere una eccezione di indole procedurale, ossia che la proposta non possa essere messa in discussione perché le operazioni elettorali sono già regolate dalla legge del 1946, che dovrebbe valere anche ora. Evidentemente l’articolo 26 va interpretato avendo presente la prima parte in cui si prevede appunto il caso che le elezioni del Senato e quelle della Camera dei deputati coincidano; ed è chiaro che, se in questo articolo sono contenute norme innovatrici, sono queste che debbono avere applicazione e non quelle dettate per la sola elezione della Camera dei deputati. Non vedo quindi nessun ostacolo di natura procedurale.

PRESIDENTE. Non si è fatta, però, nessuna obiezione di carattere procedurale.

GULLO FAUSTO, Relatore per la maggioranza. Infatti, la questione si risolve nel merito.

Vorrei inoltre rispondere all’onorevole Lucifero. Egli dice che è lo Stato che deve garantire il libero esercizio dei diritti dei cittadini. Siamo perfettamente d’accordo; ma per le elezioni lo Stato ha creduto opportuno di garantire il libero esercizio del diritto elettorale appunto disponendo una formazione del seggio in cui vi sono un presidente, un segretario, gli scrutatori e i rappresentanti dei partiti. La legge stessa ha voluto garantire in tal modo il libero esercizio del diritto elettorale. E con ciò si risponde anche a coloro che hanno avanzato proposte diverse da quella dell’onorevole Assennato.

L’onorevole Assennato che cosa dice? Queste garanzie, che sono fissate dalla legge, per essere sicuri, appunto, che tutte le operazioni elettorali si svolgano regolarmente, a mio parere debbono valere anche nel momento in cui le urne si chiudono, perché le operazioni elettorali sono rimandate all’indomani. Non so che cosa ci sia di strano in tutto questo.

Con la proposta dell’onorevole Assennato, appunto attraverso questa motivazione, che mi pare giusta, si viene incontro perfettamente all’esigenza che le elezioni si svolgano regolarmente. Quelle garanzie che valgono durante le operazioni elettorali devono valere anche durante l’interruzione.

L’onorevole Fuschini dice che nella legge per la elezione dei deputati sono fissate garanzie diverse, ossia si stabilisce che le urne vengano chiuse, come pure la sala, le porte ecc. Ma la proposta Assennato mira a tener ferme quelle garanzie che sono già nella legge e che siano compatibili con le nuove che si chiedono. Le urne verranno sigillate e collocate nel posto che presenta maggiori garanzie; a questo si aggiunge però che la sala deve rimanere aperta e che debbono restare il presidente, gli scrutatori e i rappresentanti dei partiti.

Si dirà che non si può richiedere a tutta questa gente un tale sforzo fisico, dopo tante ore di lavoro. Ma appunto perché il seggio è formato di molteplici persone, si può anche stabilire un avvicendamento: non c’è ragione che restino tutti e sei gli scrutatori, i quali potranno benissimo avvicendarsi.

Io non vedo come si possa arrivare alla conseguenza di ritenere inapplicabile la proposta fatta dall’onorevole Assennato.

Per tutte queste ragioni, dichiaro, in linea personale, di votare a favore della proposta Assennato.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Ministro di esprimere al riguardo il parere del Governo.

SCELBA, Ministro dell’interno. Ho poco da aggiungere a quello che hanno detto gli onorevoli Fuschini e Lucifero.

Nel merito dico che, volendo obbligare gli scrutatori a rimanere la domenica sera, bisogna a maggior ragione obbligarli a rimanere anche il lunedì sera, perché la permanenza entro la sezione si giustifica a maggior ragione dopo conosciuti i primi risultati. Si finirebbe col chiedere a queste persone una continuazione di orario per un periodo di tre giorni, fatica che non si può pretendere da nessun uomo. D’altra parte non possiamo organizzare i turni nelle sezioni elettorali, né possiamo pensare a cambiamenti, perché la garanzia deve essere totalitaria, e tutti i rappresentanti dei partiti dovrebbero essere posti in condizione di rimanere. Non ci sentiamo di imporre un dovere che nessun cittadino sarebbe in grado di potere assolvere.

La garanzia c’è, ed è data dalla legge, e noi non possiamo stabilire per il Senato una procedura diversa da quella stabilita per la Camera. L’Assemblea ha già ritenuto che con quelle disposizioni si fossero stabilite garanzie sufficienti. Qualora gli scrutatori dovessero avere qualche preoccupazione, è loro consentito di poter restare all’esterno, ciò che è vietato a tutti per disposizione generale ma è consentito agli scrutatori.

Per questi motivi mi oppongo all’emendamento proposto dall’onorevole Assennato.

CARPANO MAGLIOLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARPANO MAGLIOLI. Come è facilmente controllabile, i miei compagni di partito non sono presenti a questa seduta e non potrebbero esserlo perché continua tuttora il congresso del Partito socialista italiano. Vorrei rivolgere al Presidente dell’Assemblea la preghiera di rinviare la votazione sull’emendamento Assennato. (Commenti).

Se, come spero, non si vorrà negare questa cortesia, in cambio di altre cortesie analoghe sovente reciprocamente fatte, il tempo che si verrebbe in tal modo a perdere si potrebbe eventualmente recuperare con una seduta notturna o con una seduta domenicale.

PRESIDENTE. Onorevole Carpano Maglioli, l’Assemblea deciderà relativamente alla sua proposta: devo tuttavia rilevare che ella la ha avanzata in un momento non propizio, perché proprio ora avremmo dovuto procedere alla votazione.

GRONCHI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRONCHI. Onorevole Presidente, desidero affermare che se si tratta di rinvio alla seduta pomeridiana, noi non abbiamo alcuna obiezione da muovere; ma, ove si trattasse invece di un rinvio a domani, mi permetterò allora, in questo caso, di fare all’onorevole Carpano Maglioli due osservazioni. La prima è che noi abbiamo accettato l’altro ieri il rinvio della discussione sul punto centrale di questa legge, chiedendo esplicitamente che il Presidente ci desse precise assicurazioni che non si sarebbe andati oltre la giornata di oggi: e l’Assemblea ricorderà infatti che l’onorevole Presidente ci diede questa esplicita assicurazione. La seconda osservazione è che il collega Carpano Maglioli dovrebbe riflettere come impensatamente, e al di là delle previsioni, questa discussione si complichi e diventi, non vorrei dire prolissa per non offendere l’Assemblea, ma piuttosto complessa e lunga. La discussione stessa di questo articolo ci dimostra come l’esame di due commi abbia richiesto l’intera seduta; quindi, meno che mai oggi, abbiamo tempo da perdere.

In conclusione, se si tratta di rimandare la votazione alle ore sedici, alla ripresa dei nostri lavori, non facciamo alcuna obiezione; ma la faremmo se si trattasse di rinviare il tutto a domani.

PRESIDENTE. Data l’ora tarda, rinvio il seguito della discussione alle ore 16.

La seduta termina alle 13.5.

GIOVEDÌ 22 GENNAIO 1948

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCLVIII.

SEDUTA DI GIOVEDÌ 22 GENNAIO 1948

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE TARGETTI

INDICE

In morte di Ermanno Wolff-Ferrari:

Ponti

Tonello

Presidente

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Norme per l’elezione del Senato della Repubblica (61).

Presidente

Fioritto

Scelba, Ministro dell’interno

Gullo Fausto, Relatore per la maggioranza

Micheli, Presidente della Commissione

Colitto

Mortati, Relatore per la minoranza

Gavina

Dominedò

Grieco

Bosco Lucarelli

Costantini

Scoccimarro

La Rocca

Uberti

Maffi

Ghidini

Musotto

Patricolo

Assennato

Gullo Rocco

Piccioni

Martino Gaetano

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 17.

SCHIRATTI, Segretario, legge il processo verbale della seduta precedente.

(È approvato).

In morte di Ermanno Wolff-Ferrari.

PONTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PONTI. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, ieri alle 18.30 moriva improvvisamente a Venezia, sua città natale, il Maestro Ermanno Wolff-Ferrari, uno dei nostri grandi musicisti, che ha tenuto alto e onorato il nome del nostro Paese all’estero.

Nato 72 anni fa da padre tedesco e da madre veneziana, si dedicò fin da giovanetto al culto delle arti e specialmente della musica. Giovanissimo, assunse la direzione del Liceo musicale nella sua città e, passato a Monaco di Baviera, acquistò ben presto celebrità come compositore di opere che ebbero largo successo. Dal 1900 al 1936 egli compose ben undici opere, fra le quali le quattro di soggetto goldoniano che lo resero tanto noto e popolare in Italia e presso tutte le nazioni amanti della musica, e ancora oratori, sonate e sinfonie. La grazia, l’arguzia, la tenue emotività lirica che pervadono le sue composizioni, lo hanno dovunque reso celebre e caro. Anche recentemente, allorché egli mi intratteneva su problemi musicali, ho avvertito la nobiltà di un’anima innamorata dell’arte sua, desiderosa di lavorare ancora per dare agli uomini il conforto e la gioia delle sue opere. E infatti aveva appena terminato il suo ultimo lavoro sinfonico: Le chiese di Venezia. Egli ha portato il gusto e il sentimento musicale italiano ed ha fatto musicalmente rivivere il nostro mondo in mezzo ai popoli nordici e noi nelle sue opere abbiamo ritrovato l’anima popolare italiana, espressa con originale gusto e freschezza in quell’insieme di burlesco, di patetico, di vivace e sentimentale che egli seppe trasferire nel ritmo così spontaneo e delicato nell’opera sua. Salutiamo questo creatore di melodie, questo grande compositore di opere che conchiude forse un ciclo della nostra tradizione musicale, passato ora nel mondo degli spiriti immortali: auspichiamo, come egli auspicava, che nuovi degni creatori di melodie e di canti sappiano esprimere questo nostro popolo, per dare gioia e dolcezza alle anime umane oppresse dal peso e dal grigiore di questa nostra vita senza sorrisi e anelanti «a più spirabil aere», confortate dall’armonia e dalla bellezza dell’arte. (Applausi).

TONELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Onorevoli colleghi, come deputato di Venezia e di Treviso, mi associo al cordoglio per la morte di Wolff-Ferrari.

Noi veneti amavamo questo musicista che aveva saputo interpretare l’animo veneto attraverso l’immortale opera di Goldoni. Egli ebbe una vita molto combattuta. Nei lontani anni della mia giovinezza io ricordo Wolff-Ferrari quando, di modesta fortuna, tentava il primo cammino nell’arte.

Animo profondamente popolano era Wolff-Ferrari, e se tale non fosse stato non avrebbe potuto intuire così profondamente, come seppe intuire, nella sua musica, l’animo del popolo veneto. In lui rivisse, attraverso lo splendore dell’armonia, la creazione goldoniana.

Egli ebbe una vita di continuo ed aspro lavoro. Il suo cammino fu difficile e quando ormai il sorriso della gloria gli arrideva, quando egli poteva dire di aver vinto la sua battaglia per l’arte, ecco che la morte lo ha colpito.

A questo nobile artista che ci lascia, vada il saluto di tutto il popolo veneto, che egli ha fatto rivivere sulla scena melodica d’Italia, vada il saluto nostro e vadano le condoglianze alla sua famiglia. (Applausi).

PRESIDENTE. Sono sicuro che i sentimenti espressi dagli onorevoli Ponte e Tonello sono condivisi da tutta la Camera. Wolff-Ferrari onorò il nome d’Italia, in Italia e all’estero, col suo genio musicale.

Come ricordava l’onorevole Ponti, forse al Maestro occorse quello che accade sovente cioè che nelle tendenze, nelle attitudini, nel sentimento molto si ritragga da chi ci ha dato alla luce. Di padre non italiano, gli bastò l’essere nato da madre veneta per sentire la musica italianamente. Egli ebbe facile l’ispirazione e per questo non fu costretto, come purtroppo sembra che molti compositori modernissimi ed anche moderni costretti siano, a nascondere questa aridità di inspirazione attraverso arabeschi armonici o elucubrazioni dottrinarie. Egli fu un benefattore, egregi colleghi, dell’umanità, perché forse nessuno come l’artista, forse fra gli artisti pochi come i musicisti, sono dispensatori di gioie alla umana gente. (Applausi).

Seguito della discussione del disegno di legge: Norme per l’elezione del Senato della Repubblica. (61).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del disegno di legge: Norme per l’elezione del Senato della Repubblica. (61).

In seguito alla decisione presa ieri sera, l’Assemblea oggi deve passare alla discussione di quegli articoli che non presentano possibilità di dissensi fondamentali, perché in nessun modo, né direttamente né indirettamente, sono collegati alla questione fondamentale ancora da risolvere.

Per comodità di discussione, credo utile accennare agli onorevoli colleghi, che, a parere della Presidenza, gli articoli che si possono discutere in base alla deliberazione presa ieri sera sarebbero i seguenti: 10, 16, 17, 23, 24-bis, 25, 25-bis, 26, 27-bis, 27-ter e 28.

(Così rimane stabilito).

Passiamo all’articolo 10. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

Art. 10.

«La candidatura è presentata da non meno di trecento e non più di cinquecento elettori iscritti nelle liste elettorali del collegio; nessun elettore può sottoscrivere per più di un candidato.

«Unitamente agli atti di presentazione della candidatura deve essere depositato, in triplice esemplare, un modello di contrassegno, anche figurato».

PRESIDENTE. La Commissione propone di lasciare immutato il primo comma, sostituendo il secondo con il seguente:

«Unitamente agli atti di presentazione della candidatura deve essere depositato, in duplice esemplare, un modello di contrassegno, anche figurato».

L’onorevole Fioritto ha presentato il seguente emendamento:

«Modificare la prima parte come segue:

«La candidatura, accompagnata dall’accettazione, è presentata non oltre il 40° giorno precedente i comizi, da non meno di trecento, ecc.».

Ha facoltà di svolgerlo.

FIORITTO. L’emendamento scaturisce da una necessità che non ho trovato né nel progetto del Governo né nelle modifiche della Commissione (sia della maggioranza che della minoranza); non ho trovato cioè mai indicato quale è il termine per il candidato di presentare l’accettazione della sua candidatura.

L’articolo 12 parla di un’termine, che non è stabilito in antecedenza.

Ora, questa dimenticanza va corretta, perché altrimenti si dovrebbe ritornare alle disposizioni generali, le quali dicono che, quando non c’è una disposizione speciale per questo progetto, bisogna ricorrere alle disposizioni speciali della legge che riguarda le elezioni di deputati.

Questo è un po’ troppo vago, infatti, e non mi pare che, facendo di getto la legge, sia opportuno riferirsi ad un’altra legge come rimedio.

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. L’articolo 25 del disegno di legge in esame stabilisce quanto segue:

«Per tutto ciò che non è disciplinato dalla presente legge si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni del testo unico della legge per l’elezione della Camera dei deputati, approvato con decreto presidenziale … gennaio 1948, n. …».

Quindi è chiaro che questa disposizione vale anche per il termine della presentazione della candidatura per il Senato. Questo per quanto riguarda la questione del termine, che è previsto dalla legge, sia pure con riferimento ad un’altra legge.

La proposta dell’onorevole Fioritto contiene un termine diverso da quello previsto dalla legge per la elezione della Camera dei deputati.

Mi permetterei di far osservare al presentatore dell’emendamento, che noi abbiamo esaminato la possibilità di stabilire un termine diverso; ma abbiamo visto che gli inconvenienti cui si può andare incontro sono superiori ai vantaggi ipotetici che potrebbe presentare un termine diverso, ragione per cui insisterei sullo stesso termine, soprattutto se le elezioni per il Senato e per la Camera – come è prevedibile – saranno fatte nello stesso giorno. Allora è opportuno, pratico, conveniente ed economico che la presentazione della candidatura avvenga nello stesso termine.

Quindi, per quanto si riferisce al termine, è inteso, in base all’articolo 25, che è lo stesso per la Camera.

Insisterei per il mantenimento di questo termine, per evitare gli inconvenienti di un termine diverso.

PRESIDENTE. L’onorevole Fioritto ha facoltà di dichiarare se mantiene l’emendamento proposto.

FIORITTO. Dichiaro che aderisco alla proposta del termine rilevato dall’onorevole Ministro; ma vorrei che questo si dicesse nella legge; mi sembra pietoso fare una legge nuova e riferirsi ad una legge già fatta.

PRESIDENTE. La differenza sostanziale del suo emendamento consiste in cinque giorni, perché mentre per l’articolo 16 della legge che regola la nomina dei deputati al Parlamento il termine è di 45 giorni, secondo il suo emendamento sarebbe di 40.

L’onorevole Ministro osserva che la fissazione del termine si desume dal contenuto dell’articolo 25. Quindi una disposizione esiste già.

FIORITTO. Lo so, ma noi stiamo facendo una legge nuova.

PRESIDENTE. Mi permetto di osservarle che, se non ricorriamo al sistema di richiamarci alla legge già esistente, bisognerà infarcire tutto questo disegno di legge di disposizioni, che saranno il duplicato di altrettante disposizioni già esistenti.

FIORITTO. È un atto di rispetto verso il Senato nascente porre tutte le condizioni che lo creano, nella legge che lo riguarda.

PRESIDENTE. Quale è il parere della Commissione?

GULLO FAUSTO, Relatore per la maggioranza. La Commissione insiste nel termine.

PRESIDENTE. Pongo ai voti l’emendamento proposto dall’onorevole Fioritto.

(Non è approvato).

L’onorevole Perassi ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Gli atti di presentazione della candidatura, unitamente ad un modello di contrassegno, anche figurato, in duplice esemplare, devono essere depositati non più tardi delle ore sedici del quarantacinquesimo giorno antecedente quello della votazione, presso la cancelleria dell’ufficio elettorale circoscrizionale (o centrale)».

Poiché l’onorevole Perassi non è presente, l’emendamento si intende decaduto.

Pongo in votazione l’articolo 10, testé letto, nel testo del Governo.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 16, nel testo del Governo. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge.

Titolo IV.

DELLA VOTAZIONE

Art. 16.

«All’elezione dei senatori partecipano gli elettori che hanno compiuto il venticinquesimo anno di età.

«Gli elettori di cui all’articolo del testo unico della legge per l’elezione della Camera dei deputati, approvato con decreto presidenziale … gennaio 1948, n. … e gli appartenenti alle forze armate ed a corpi organizzati militarmente per il servizio dello Stato, sono ammessi a votare nella sezione presso la quale esercitano le loro funzioni o nel comune in cui si trovano per cause di servizio, sempre che siano iscritti nelle liste elettorali di un comune della Regione».

PRESIDENTE. La Commissione propone di sostituire il secondo comma col seguente:

«Gli elettori di cui all’articolo 7 della legge e gli appartenenti alle forze armate e a corpi organizzati militarmente per il servizio dello Stato, sono ammessi a votare nella sezione presso la quale esercitano le loro funzioni o nel comune in cui si trovano per cause di servizio, sempreché risulti dal loro certificato elettorale che siano elettori nella Regione».

Invito la Commissione a pronunziarsi sul testo del Governo.

MICHELI, Presidente della Commissione. La Commissione mantiene il proprio testo e prega il Governo di aderirvi.

PRESIDENTE. Onorevole Scelba, vuole esprimere il parere del Governo?

SCELBA, Ministro dell’interno. Il Governo accetta il testo della Commissione.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il testo della Commissione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 17 nel testo del Governo. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Il voto si esprime tracciando un segno con la matita copiativa sul contrassegno del candidato prescelto: il voto è valido anche se il segno è apposto sul nominativo del candidato anziché sul contrassegno».

PRESIDENTE. La Commissione ha proposto il seguente testo:

«Il voto si esprime tracciando un segno con la matita copiativa sul contrassegno o sul nominativo del candidato prescelto.

«Ove il voto sia espresso in entrambi i modi, il voto stesso non è nullo».

SCELBA, Ministro dell’interno. Il Governo accetta il testo della Commissione.

PRESIDENTE. L’onorevole Colitto, ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il secondo comma con il seguente:

«Il voto è valido anche se espresso in entrambi i modi».

Ha facoltà di svolgerlo.

COLITTO. È un emendamento di pura forma che però mi pare opportuno: vi insisto.

PRESIDENTE. Anche la forma, alle volte, ha la sua importanza. Qual è il parere della Commissione?

MICHELI, Presidente della Commissione. Accediamo.

PRESIDENTE. Quale è il parere del Governo?

SCELBA, Ministro dell’interno. Tecnicamente, pare anche a me che sia più esatto.

MORTATI, Relatore per la minoranza. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI, Relatore per la minoranza. Osservo che questo articolo si ricollega all’articolo 17 della legge per l’elezione della Camera dei deputati, o meglio, riproduce una norma analoga. Ora, credo che per ragioni di armonia, per evitare possibili inconvenienti, che potrebbero essere anche gravi dal punto di vista pratico, sia il caso di riprodurre testualmente la dizione dell’articolo 17 della legge per la Camera dei deputati, il quale consente che il segno sia fatto, oltre che sul contrassegno, anche sul rettangolo che lo contiene.

Mi pare sia opportuno introdurre questa specificazione anche nel testo che stiamo discutendo, riproducendo testualmente l’articolo 17 della legge per l’elezione della Camera dei deputati già votata dall’Assemblea.

Propongo pertanto, a titolo personale, il seguente emendamento:      

«Aggiungere, nel primo comma, dopo la parola: contrassegno le parole: o comunque sul rettangolo che lo contiene».

PRESIDENTE. La Commissione lo accetta?

MICHELI, Presidente della Commissione. Sì.

PRESIDENTE. Il Governo?

SCELBA, Ministro dell’interno. Lo accetta.

GAVINA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GAVINA. Noi facevamo l’ipotesi dei due segni di croce, sul contrassegno e sul nominativo. Se adesso ammettiamo che si possa fare un segno anche sul rettangolo, avremo tre ipotesi.

SCELBA, Ministro dell’interno. Il voto è validamente espresso anche se il segno di croce viene fatto sul rettangolo anziché sul contrassegno.

GAVINA. Se è fatto su tutti e due e sul nominativo, allora le possibilità sono tre.

SCELBA, Ministro dell’interno. In fondo l’onorevole Mortati propone di adottare la stessa formula già adottata per la Camera dei deputati. Non mi pare che vi siano difficoltà ad accettare questa proposta, anche per ragioni di euritmia.

GAVINA. Se il segno viene fatto sul rettangolo, sul nominativo e sul contrassegno, il voto è valido?

SCELBA, Ministro dell’interno. Io direi di sì.

GAVINA. Secondo me, allora per non escludere o l’uno o l’altro, dovremmo dire che sono ritenuti validi tutti e tre i modi.

PRESIDENTE. Mi sembra che non vi sia dissenso. Finora i modi erano due, e ora diventano tre perché si riconosce anche il segno fatto sullo spazio in cui è contenuto il contrassegno.

GAVINA. E allora aggiungiamo: «o comunque sul rettangolo».

PRESIDENTE. D’accordo. Piuttosto mi sembra che occorra modificare la parola «entrambi» che figura nell’ultimo comma, visto che i modi non sono più due, ma tre.

MORTATI, Relatore per la minoranza. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI, Relatore per la minoranza. A me pare che non ci sia ragione di dubbio, né che si debba modificare la parola «entrambi». Perché dicendo entrambi s’intendono i due modi possibili: il contrassegno o il rettangolo dove va collocato il contrassegno, e questo è un modo; e poi il nome del candidato, che è l’altro modo. Dovrebbe esser chiaro che il segno sullo spazio che contiene il contrassegno è un terzo modo di espressione, ma è un surrogato di quello consistente nel segno sul contrassegno.

PRESIDENTE. Mi permetta, onorevole Mortati, a me sembra che quando ella ammette il surrogato ad uno dei modi, questi modi diventino tre.

MORTATI, Relatore per la minoranza. Ma poiché si ammette la validità del segno anche se fatto nel rettangolo considerandolo come fatto sul contrassegno, i modi rimangono sempre due, e cioè: o sul contrassegno, o sul nominativo.

PRESIDENTE. Comunque invece di «entrambi», si potrebbe dire «in uno dei modi».

MORTATI, Relatore per la minoranza. Ma se i modi sono più di due si può dar luogo alla possibilità di segni di riconoscimento.

PRESIDENTE. Invito il Presidente della Commissione ad esprimere il suo parere.

MICHELI, Presidente della Commissione. La Commissione mantiene il suo testo aggiungendo la parola «rettangolo». In questa materia però la Commissione è molto restia a stabilire criteri di nullità, perché non bisogna dimenticare che spesso ci troviamo di fronte ad analfabeti che non hanno l’abitudine di tenere in mano la matita, sicché facilmente possono fare a caso dei segni senza pensare nemmeno limitatamente ad alcun riconoscimento. I segni di riconoscimento vengono fatti da persone esperte, ma non certo dalla maggior parte degli elettori delle campagne o delle montagne. Questa gente anche se viene istruita con una lezione sul modo come comportarsi quasi certamente la dimentica. Ecco perché, una volta aderito al concetto dell’onorevole Mortati di consentire la validità del segno anche se fatto nel cerchio o nel quadrato, mi pare si siano predisposte le cose in modo che l’elettore possa votare con tranquillità.

Diversamente succederà che coloro che vanno ad insegnare il modo di votare confonderanno la testa ai meno esperti. Cominceranno a dire: si può segnare il rettangolo, si può segnare il cerchio ecc. Ora, cominciamo quasi quasi noi stessi ad essere un po’ imbrogliati in questa materia, figurarsi quando si tratterà di far votare agli analfabeti.

Quindi io dico: semplifichiamo quanto più possibile. Abbiamo il cerchio e abbiamo il rettangolo; nel rettangolo c’è il nome. Consentiamo che si possa segnare l’uno e l’altro. Non diamo carattere di nullità a quella che può essere domani l’impensata vergatura di una mano inesperta, e abbiamo una certa larghezza in questo, ritenendo che, data questa possibilità essa possa e debba essere più che sufficiente allo scopo.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma con l’emendamento dell’onorevole Mortati accettato dalla Commissione e dal Governo:

«Il voto si esprime tracciando un segno con la matita copiativa sul contrassegno o comunque sul rettangolo che lo contiene o sul nominativo del candidato prescelto».

(È approvato).

Passiamo al secondo comma nella formulazione dell’onorevole Colitto, accettata dalla Commissione e dal Governo:

«Il voto è valido anche se espresso in entrambi i modi».

GULLO FAUSTO. Relatore per la maggioranza. La parola «entrambi» ora non va più. Andava quando non si parlava di rettangolo; ma, ora che si aggiunge anche quest’altro particolare, la parola «entrambi» evidentemente non va più, ma andrebbe sostituita con la parola «più», «in più modi», perché altrimenti il voto sarebbe nullo ove l’elettore avesse tracciato un segno sul contrassegno, uno sul nome e poi uno sul rettangolo, che pure è ricordato nella prima parte dell’articolo, la quale pone come espressione lecita del voto anche il segno nel rettangolo, ossia né sul nome, né sul contrassegno. Quindi è un modo valido di esprimere il voto. Ora, nel capoverso non si può dire a «entrambi», perché i modi validi sono tre: il segno nel rettangolo, il segno sul nome, il segno sul contrassegno. Sono dunque tre e non più due. Quindi la parola «entrambi» verrebbe ad escludere uno dei tre modi.

PRESIDENTE. Entrando nel suo ordine di idee, mi permetto di farle osservare che forse non è esatta la formula «in più modi», senza un riferimento ai modi indicati, perché non vorrei che si lasciasse adito a qualche nuovo sistema.

GULLO FAUSTO, Relatore per la maggioranza. Si capisce: in uno dei modi indicati dalla prima parte dell’articolo.

PRESIDENTE. Allora, per essere precisi, la formula che lei propone sarebbe questa:

«Il voto è valido anche se espresso in più di uno dei modi predetti».

L’onorevole Colitto si associa?

COLITTO. Sì.

PRESIDENTE. Allora pongo in votazione il secondo comma nella seguente formulazione:

«Il voto è valido anche se è espresso in più di uno dei modi predetti».

(È approvato).

Passiamo all’articolo 23. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

Titolo VII.

DISPOSIZIONI SPECIALI

PER IL COLLEGIO DELLA VALLE D’AOSTA

Art. 23.

«L’elezione uninominale nel collegio della Valle d’Aosta è regolata dalle disposizioni dei precedenti articoli, in quanto applicabili, e dalle norme seguenti:

1°) la candidatura deve essere proposta con dichiarazione sottoscritta da non meno di cento e non più di 200 elettori del collegio;

2°) la dichiarazione di candidatura è depositata, insieme con il contrassegno, non più tardi delle ore sedici del quarantacinquesimo giorno antecedente quello della votazione, presso la cancelleria del tribunale di Aosta».

PRESIDENTE. La Commissione ha proposto di sopprimere al primo comma le parole: «in quanto applicabili».

GULLO FAUSTO, Relatore per la maggioranza. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO FAUSTO, Relatore per la maggioranza. Noi ritiriamo l’emendamento ed aderiamo al testo del Governo.

PRESIDENTE. Pongo in votazione lo articolo 23 testé letto.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 24-bis proposto dalla Commissione. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

Titolo VIII.

DISPOSIZIONI TRANSITORIE E FINALI

Art. 24-bis.

«La votazione per l’elezione dei senatori deve avvenire entro settanta giorni da quello della pubblicazione del decreto di convocazione dei comizi nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica».

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro, ha facoltà di esprimere il parere del Governo su questo articolo.

SCELBA, Ministro dell’interno. Il Governo lo accetta.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 24-bis nella formulazione testé letta.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 25, identico nel testo della Commissione. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Per tutto ciò che non è disciplinato dalla presente legge, si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni del testo unico della legge per l’elezione della Camera dei deputati, approvato con decreto presidenziale … gennaio 1948, n. …».

PRESIDENTE. Gli onorevoli Dominedò e Uberti, hanno presentato il seguente emendamento:

«Premettere all’articolo le parole:

Per l’adempimento del dovere del voto, ecc.».

L’onorevole Dominedò a facoltà di svolgerlo.

DOMINEDÒ. Non mi pare che occorra una illustrazione esplicita dell’emendamento. In sede di approvazione della legge elettorale sulla Camera, deliberata da questa Assemblea, il problema della determinazione del dovere del voto è stato affrontato, ma rinviato in sede di discussione della legge elettorale sul Senato. Di qui la ragione dell’emendamento, con cui si riafferma l’obbligatorietà del voto con le conseguenti sanzioni amministrative previste dalla legge del 1946.

PRESIDENTE. Qual è il pensiero della Commissione?

GULLO FAUSTO, Relatore per la maggioranza. La Commissione accetta.

PRESIDENTE. Qual è il pensiero del Governo?

SCELBA, Ministro dell’interno. Il Governo accetta.

GRIECO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRIECO. Dichiaro a nome del mio Gruppo che voteremo a favore dell’emendamento Dominedò-Uberti.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 25 con l’emendamento Dominedò-Uberti.

(È approvato).

L’onorevole Bosco Lucarelli ha presentato il seguente emendamento:

«Aggiungere i seguenti commi:

«Per i senatori di diritto i casi di ineleggibilità per pubblico ufficio previsti dalle lettere a), b) e c) dell’articolo 5 della legge contenente norme per l’elezione della Camera dei deputati sono considerati casi di incompatibilità.

«I detti senatori, precedentemente alla prima riunione del Senato, debbono dimettersi dall’altro ufficio ricoperto».

L’onorevole Bosco Lucarelli ha facoltà di svolgere il suo emendamento:

BOSCO LUCARELLI. Onorevoli colleghi, la Carta costituzionale ha delegato al Presidente della Repubblica la facoltà di nominare senatori di diritto alcuni determinati cittadini purché posseggano i requisiti di legge; per cui, per costoro non vi è elezione diretta del corpo elettorale. L’articolo 6, già votato, della legge in esame per la elezione del Senato dice: «Sono eleggibili a Senatori gli elettori che, al giorno delle elezioni, hanno compiuto il 40° anno di età e non si trovino in alcuna delle condizioni d’ineleggibilità previste dal Decreto legislativo ecc.».

Ora, per i senatori di diritto non è possibile parlare di ineleggibilità e di eleggibilità: non si può parlare che di compatibilità o di incompatibilità non essendoci elezione diretta del corpo elettorale. Quindi, a me sembra che o debba ritenersi che per i senatori di diritto non vi sia in nessun caso ineleggibilità – che porterebbe un contrasto fra quelli che sono eletti dal popolo e quelli nominati in seguito ad una designazione dell’Assemblea Costituente – ovvero bisogna che i casi d’ineleggibilità siano convertiti in casi d’incompatibilità. E siccome per i senatori eletti è stabilito che le condizioni di ineleggibilità devono cessare al giorno delle elezioni, l’incompatibilità per i senatori di diritto a me sembra debba cessare al momento in cui entrano effettivamente a far parte del Senato.

Ora, nel mio emendamento, che forse è anche un po’ imperfetto, mi riporto semplicemente a coloro che hanno cariche elettive, vale a dire ai deputati regionali, ai presidenti delle deputazioni provinciali, ai sindaci dei capoluoghi di provincia, che si trovano nella condizione di essere senatori di diritto e per i quali si stabilisce l’obbligo di dimettersi da questi uffici prima della riunione del Senato.

Però ci sono altri casi d’ineleggibilità, per i magistrati e gli impiegati dello Stato, che non so se si ripercuotano sulla nomina dei senatori di diritto. La Commissione vedrà se non debba approfondire il problema in modo da evitare equivoci, che potrebbero provocare contestazioni.

Credo che il mio emendamento sia chiaro e non abbia bisogno di ulteriori delucidazioni.

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Non mi posso dichiarare d’accordo con l’onorevole Bosco Lucarelli a proposito del raffronto in linea di fatto e giuridica fra l’ineleggibilità e l’incompatibilità della carica di sindaco con quella di senatore. Noi abbiamo stabilito, è vero, l’ineleggibilità per i sindaci dei capoluoghi di provincia ai fini della nomina a deputato; ma questa ineleggibilità aveva una ragione e quindi un carattere tutto affatto particolari e specifici, in quanto si aveva motivo di ritenere che un candidato, ricoprendo la carica di sindaco, avesse modo di agire sul corpo elettorale in maniera diversa e più efficiente da quella degli altri candidati. Il pretendere di estendere ora questa particolare posizione al caso dei senatori di diritto, i quali sono stati nominati per quella molto discussa disposizione adottata in linea transitoria ed eccezionale dall’Assemblea, è lievemente assurdo, in quanto che l’essere stati nominati dall’Assemblea determina una condizione tutto affatto particolare di fronte a coloro che dovranno venire nominati dal corpo elettorale. Non credo che fra i senatori di diritto nominati cioè dall’Assemblea, vi sia qualcuno che ricopra contemporaneamente la carica di sindaco. Vale pertanto la pena di stabilire con una norma specifica, tale incompatibilità per una categoria di senatori, la quale è temporanea oltre ad essere eccezionale?

Mi sembra d’altronde pericoloso confondere il caso di ineleggibilità con quello di incompatibilità, anche perché alla base della condizione che determina la norma è la suspicione che il candidato possa servirsi della carica ricoperta ai fini della sua elezione.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

GULLO FAUSTO, Relatore per la maggioranza. La Commissione accetta l’emendamento aggiuntivo proposto dall’onorevole Bosco Lucarelli.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro dell’interno ha facoltà di esprimere il parere del Governo.

SCELBA, Ministro dell’interno. Mi rimetto alla decisione dell’Assemblea per quanto riguarda il merito dell’emendamento, pregherei però che l’emendamento fosse formulato in articolo separato, da collocare nelle disposizioni transitorie.

PRESIDENTE. Onorevole Bosco Lucarelli, accetta la proposta fatta dal Governo?

BOSCO LUCARELLI. Accetto.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell’emendamento.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Richiamo l’attenzione dell’Assemblea sul voto che stiamo per dare in questo momento.

Vi sono dei sindaci che sono contemporaneamente senatori di diritto. Ora, nella legge per la elezione dei deputati la ineleggibilità è stata giustificata con motivi che non esistono assolutamente per i senatori di diritto.

Non vedo per quali ragioni si voglia estendere ai senatori di diritto la posizione dei candidati alla elezione a senatore di fronte al corpo elettorale.

Credo che la proposta presentata dall’onorevole Bosco Lucarelli non possa essere accettata, altrimenti si viene a vulnerare il principio che ha ispirato la disposizione della nomina dei senatori di diritto. Tanto vale allora annullare quella disposizione.

Perciò, prego l’Assemblea di respingere l’emendamento proposto, per non dare un voto sostanzialmente contradittorio al voto dato per la nomina dei senatori di diritto.

Dichiaro pertanto che noi, non solo voteremo contro l’emendamento Bosco Lucarelli, non potendo fare nulla di più, ma dovremo poi, denunziare al Paese in quale modo i voti dell’Assemblea vengono maneggiati e deformati per interessi particolari di Gruppo.

BOSCO LUCARELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOSCO LUCARELLI. Io ho voluto porre il problema all’Assemblea, perché chiarisse la situazione.

I colleghi dell’estrema sinistra sostengono che non vi è questione di ineleggibilità per i senatori di diritto. Ma questo non risulta dal testo del disegno di legge.

Se il mio emendamento non venisse votato, bisognerebbe comunque dichiarare che non vi sono casi di ineleggibilità per i senatori di diritto, andando chiarita la loro particolare posizione. (Rumori a sinistra). Ed, essendo io presidente di deputazione provinciale, anche per ragioni di delicatezza, questa chiarificazione ho creduto di fare con la presentazione del mio emendamento.

Mi rimetto pertanto all’Assemblea; ma se non si accetta il mio emendamento, è necessario che sia chiarito che non vi sono casi di ineleggibilità per i senatori di diritto. (Commenti).

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. Mi pare che nel discorso dell’onorevole Scoccimarro vi sia un equivoco, con riferimento all’emendamento del collega Bosco Lucarelli. Infatti poteva sorgere il dubbio che un senatore, sia pure di diritto, in quanto coprisse una carica che è prevista dalla legge del Senato come causa di ineleggibilità, non potesse essere senatore, ma questo sarebbe un assurdo evidente. Ma è anche un assurdo pensare che un senatore di diritto possa ricoprire contemporaneamente una carica che da altri senatori, eletti dal popolo, non può esser ricoperta: così il sindaco di una grande città, se vuol presentarsi candidato alle elezioni del Senato deve dimettersi prima; mentre il senatore di diritto avrebbe contemporaneamente la possibilità di essere sindaco e senatore. Questo mi pare contraddittorio. Dal momento che non possiamo accettare il criterio di considerare motivo di ineleggibilità a senatore di diritto il fatto di rivestire una carica per cui la legge stabilisce l’ineleggibilità a senatore, stabiliamo che l’ipotesi di ineleggibilità debbonsi ridurre a motivo di incompatibilità; in modo da consentire ai senatori di diritto di essere eletti anche se sindaci o presidenti di deputazione provinciale, previa dimissione dalla carica. Ed in questo senso l’emendamento Bosco Lucarelli è favorevole alla tesi dell’onorevole Scoccimarro. Ma l’Assemblea non può sancire l’assurdo che il senatore di diritto possa ricoprire determinate cariche che non possa ricoprire invece un senatore eletto dal popolo. Dobbiamo riconoscere che il senatore di diritto può essere nominato, anche se ricopre una carica prevista come causa d’ineleggibilità per i senatori eleggibili dal popolo, ma deve, appena nominato, rinunciare

LA ROCCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA ROCCA. Mi pare che il Ministro degli interni confonda i concetti di incompatibilità e di ineleggibilità. (Commenti al centro). Non è il caso di infastidire l’Assemblea, ricordando qual è il fondamento giuridico che sta alla base del concetto di ineleggibilità. In fondo la legge stabilisce che sia ineleggibile chi si trova in determinate condizioni, perché in quelle condizioni può esercitare, in conseguenza della carica che riveste, una certa influenza o pressione sul corpo elettorale: si stabilisce, perciò, che non è eleggibile il sindaco, o il prefetto, ecc., appunto per impedirgli che durante la campagna elettorale egli possa avvantaggiarsi della sua situazione. Ma qui siamo in un caso completamente diverso. Il senatore di diritto non deve compiere alcuna campagna elettorale, non ha bisogno di servirsi della influenza che eventualmente gli deriva dal posto che occupa, per raggiungere più agevolmente il suo obiettivo, perché è già eletto, di diritto. E allora, perché si vuole costringere chi si trova già a ricoprire cariche a cui è stato eletto dalla volontà popolare dal crisma e dal suffragio popolare, a rinunciare a questo mandato e a rinunciare all’esercizio di un diritto che gli viene conferito per legge? Questa è una contraddizione in termini. Senza aggiungere che non vale insistere sul concetto che si è voluto creare un legame, un rapporto tra l’ordinamento delle Regioni e il Senato. Nessuno più dei sindaci può veramente rappresentare l’interesse delle Regioni e dei centri maggiori delle Regioni nel Senato. Chiedo, perciò, che l’Assemblea respinga l’emendamento proposto dall’onorevole Bosco Lucarelli, infondato in fatto e in diritto. (Commenti al centro).

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. A me sembra che ci sia un grosso equivoco nella richiesta fatta dall’onorevole Bosco Lucarelli, perché se si afferma che una persona è ineleggibile, allora bisogna che, venti giorni dopo la pubblicazione della legge, dia le dimissioni, diversamente non potrà essere nominata senatore di diritto. Invece, la tesi La Rocca è molto più estensiva, perché dice che in questo caso non solo non esiste ineleggibilità, ma neppure incompatibilità. L’onorevole Bosco Lucarelli dice che non esiste la ineleggibilità per chi non deve essere eletto, ma che invece esiste la incompatibilità, cioè, ad esempio, il Presidente di una deputazione provinciale deve dare le dimissioni il giorno in cui sarà nominato senatore di diritto, e non venti giorni dopo la pubblicazione della legge elettorale.

GULLO FAUSTO, Relatore per la maggioranza. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO FAUSTO, Relatore per la maggioranza. A me pare, signor Presidente, che l’emendamento Bosco Lucarelli e l’invito fatto dall’onorevole Scoccimarro non si muovano sullo stesso piano.

La questione è nei seguenti termini: la legge stabilisce dei motivi di ineleggibilità, e tace per i senatori nominati di diritto. Che governo si deve fare, di fronte a costoro, della norma? Ora, è discutibile se il silenzio porti alla conseguenza di cui parlava l’onorevole La Rocca o se non porti invece alla conseguenza opposta. Nel silenzio della legge si può accettare la proposta Bosco Lucarelli e considerare i casi di ineleggibilità come casi di incompatibilità; ma se si vuole andare incontro alla proposta Scoccimarro, bisogna, secondo me, che la legge lo dica espressamente, ossia dica che per i senatori nominati di diritto i casi di ineleggibilità non solo non valgano come tali, ma non valgano nemmeno come casi di incompatibilità. Io ricordo all’onorevole La Rocca che l’ineleggibilità gioca per entrambe le cariche. Egli ha fatto il caso del sindaco che sia nominato senatore di diritto, ma non ha fatto il caso inverso: il senatore nominato di diritto può essere eletto sindaco?

Bisogna che ci sia una norma esplicita che regoli il caso, perché nel silenzio della legge non si sa quale sia la versione giusta: se quella avvisata dall’onorevole Bosco Lucarelli o quella avvisata dall’onorevole Scoccimarro. Io potrei anche essere del parere dell’onorevole Scoccimarro, ma sostengo che bisogna dirlo esplicitamente.

PRESIDENTE. Onorevole Bosco Lucarelli, insiste nel suo emendamento?

BOSCO LUCARELLI. Insisto.

MAFFI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAFFI. Voterò contro la proposta Bosco Lucarelli, perché mi sembra fondata sopra una gravissima confusione. La ineleggibilità dà come conseguenza immediata la incompatibilità. È evidente che chi non è eletto non può assolvere quella determinata funzione, e quindi c’è conflitto fra la sua carica di sindaco e la sua carica di senatore.

Ma, l’Assemblea non ha ancora studiato la questione se, indipendentemente dall’eleggibilità, esista di fatto la incompatibilità fra le due funzioni. Questo problema non è stato ancora affrontato, perché l’onorevole Gullo prescinde dal fatto che la ineleggibilità pei candidati determini la incompatibilità di fatto e invece si limita a considerare la questione per ciò che riguarda i senatori di diritto.

Noi dovremmo prima affrontare la questione se fra la carica di sindaco e la carica di senatore esista incompatibilità. Bisogna decidere questo punto. Io sono di avviso che si può essere sindaco di un grande centro e contemporaneamente senatore, e credo che tutti siano di questo parere.

Ora, ci si impunta sopra una proposta, per appoggiarla o per respingerla; ma c’è una questione di fatto che non è stata vagliata abbastanza, e sulla quale la Commissione non si è pronunciata. La Commissione dovrebbe dire se essa ritiene che tra la funzione di senatore e quella di sindaco (a parte la eleggibilità) esista una incompatibilità.

PRESIDENTE. L’onorevole Micheli ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

MICHELI, Presidente della Commissione. Io volevo ricordare semplicemente questo: che nella penultima seduta abbiamo discusso la questione della incompatibilità dei sindaci dei capoluoghi di provincia. Abbiamo, anzi, respinto una proposta dell’onorevole Cosattini a questo riguardo. Fu allora che abbiamo deciso la questione che ora è stata esposta dall’onorevole Maffi; non possiamo quindi rientrarci ora indirettamente.

L’onorevole Maffi forse non ricorda questo, ma ne abbiamo già discusso. Io ho già dichiarato le ragioni per le quali la Commissione manteneva il suo testo, l’Assemblea ha approvato e su questo punto non ci può essere dissenso.

Quello che ha detto l’onorevole Maffi, va benissimo, però la parte seconda del suo intervento si riferisce ad un dato di fatto che non è più discutibile, in quanto l’Assemblea ha già stabilito – tanto per i deputati come per i senatori – questa incompatibilità. (Interruzione dell’onorevole Maffi).

Tanto è vero che, precipuo argomento della discussione fu questo: che c’era il termine per dimettersi dalla carica e poter diventare eleggibile. Questo è stato il fulcro della discussione. Io mi richiamo ai colleghi che erano presenti.

MAFFI. Ma, se uno è eletto senatore, è stabilita la incompatibilità che egli sia poi sindaco?

MICHELI, Presidente della Commissione. Sicuro, l’abbiamo già stabilito.

PRESIDENTE. Onorevole Maffi, debbo dare atto all’onorevole Micheli della esattezza di quanto ha esposto, poiché è vero che l’Assemblea ha respinto un emendamento Cosattini, con il quale si proponeva di fare eccezione alla norma di ineleggibilità dei sindaci già stabilita dalla Camera dei deputati.

MICHELI, Presidente della Commissione. Per i capoluoghi di provincia, s’intende.

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. La ineleggibilità ha un significato letterale che è alla portata di tutti: significa che uno non può essere eletto dal corpo elettorale. Incompatibilità ha un altro significato letterale, che è del tutto diverso: significa che uno non può coprire contemporaneamente due cariche, nel caso di deputato e sindaco. Ma, se uno non è eletto senatore, perché lo è di diritto, noi dovremmo stabilire la esistenza di una incompatibilità, perché non possiamo riferirci alla ineleggibilità, e lo dobbiamo dire nella legge. In questo caso spostiamo completamente la Sostanza del problema: non è più questione di ineleggibilità, è un problema di incompatibilità alla coesistenza delle due funzioni.

Questo avevo già ritenuto di dire nel mio primo intervento; adesso mi permetto di invitarvi a meditare su questa situazione.

Non importa che si sia stabilito che i sindaci dei capoluoghi di Provincia non possono essere eletti deputati; non importa che si sia stabilito che i sindaci dei capoluoghi non possono essere eletti senatori: noi dobbiamo stabilire, cioè determinare con una legge, che esiste una incompatibilità a ricoprire contemporaneamente la carica di senatore di diritto e quella di sindaco.

Su questi termini io porto il problema, perché fino adesso ho sentito girare sull’incompatibilità e l’ineleggibilità senza arrivare a capo di nulla. Ecco perché nel mio primo intervento avevo detto: vale proprio la pena, tenuto anche presente che i senatori di diritto sono stati nominati per una sola volta e non potranno esserlo più, perché vi si oppone la Costituzione, vale proprio la pena, dicevo, che perdiamo gran tempo per discutere se si possa essere senatori di diritto e sindaci di capoluogo di Provincia stabilendo un motivo di incompatibilità che, secondo me, non avrebbe una ragion d’essere?

Questo l’interrogativo che pongo ai colleghi che hanno proposto l’emendamento in discussione.

GHIDINI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GHIDINI. Mi limito ad esprimere una opinione strettamente personale. In verità io trovo esatta l’osservazione fatta dall’onorevole Ministro, che vi sarebbe una stonatura nel fatto che coloro che sono senatori di diritto potrebbero contemporaneamente essere sindaci, mentre invece quelli che sono eletti senatori dal popolo non potrebbero essere sindaci: realmente ci sarebbe nella stessa categoria dei senatori una disparità di trattamento che, in qualche modo, offende la nostra sensibilità intellettuale.

Però mi permetto di osservare che questa considerazione ha un valore più formale che sostanziale.

L’onorevole Cosattini aveva proposto un emendamento in forza del quale si sarebbe dovuto eliminare la ineleggibilità a senatore dei sindaci, ma l’Assemblea nella sua maggioranza l’ha respinto.

L’osservazione che è stata fatta poi, mi pare dall’onorevole Fausto Gullo, che cioè l’ineleggibilità comprende anche l’incompatibilità, è pure una verità. Però in linea di stretto diritto, quante volte ci troviamo di fronte a limitazioni dei diritti dei cittadini, queste limitazioni devono risultare espressamente dalla legge. Quando la legge, invece, non la richiama in modo espresso non può la stessa essere estesa a casi diversi.

In sostanza a seguito del rigetto dell’emendamento proposto dall’onorevole Cosattini, fu decisa la ineleggibilità ma non la incompatibilità che, pur essendovi compresa, è pur sempre una cosa diversa. Aggiungo poi che non è stata menomamente presa in considerazione la posizione particolarissima di coloro che sono senatori di diritto, né quando fu votato l’articolo né quando fu discusso e respinto l’emendamento Cosattini.

Noi quindi, attraverso questa, che non è un’interpretazione capziosa delle deliberazioni già prese dall’Assemblea, ma semplicemente in base al principio che le limitazioni nell’esercizio dei diritti devono essere sempre espresse e mai presunte, possiamo deliberare che si possa fare un’eccezione, anche, se occorre, mediante una disposizione transitoria, come chiedeva, mi pare, l’onorevole Gullo.

Per conto mio dunque, poiché ritengo che si possa, nell’interesse del Paese, essere contemporaneamente senatore e sindaco, e non essendovi stata al riguardo una categorica preclusione da parte dell’Assemblea, per questo motivo auspico e propongo che almeno per i senatori di diritto la incompatibilità non venga sancita.

MUSOTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MUSOTTO. Onorevole Presidente, noi presentiamo un emendamento in conformità con quello che ha detto il collega Ghidini, al fine cioè di far sì che le ragioni di incompatibilità sancite dalla legge non abbiano a funzionare nei confronti dei senatori di diritto.

PRESIDENTE. Va bene: restiamo in attesa della presentazione formale di questo emendamento.

L’onorevole Patricolo ha proposto di premettere al testo dell’emendamento Bosco Lucarelli:

«La carica di sindaco è incompatibile con quella di senatore».

L’onorevole Patricolo ha facoltà di svolgere l’emendamento.

PATRICOLO. Ho ascoltato con molto interesse lo svolgimento di questo argomento, e sarei d’accordo con l’onorevole Bosco Lucarelli sul suo emendamento, se noi precisassimo con un comma precedente che l’incompatibilità esiste per tutti i senatori, sia di diritto che eletti. Se noi ammettiamo questa incompatibilità, allora possiamo accettare la proposta dell’onorevole Bosco Lucarelli, che dà un significato diverso all’ineleggibilità per quanto riguarda i senatori di diritto.

Forse non avrei dovuto prendere la parola in quanto sindaco, ma desidero comunque precisare il mio pensiero. Anch’io, da sindaco, ritengo che sia necessario chiarire nella legge questo concetto di incompatibilità che non esiste. Noi parliamo di ineleggibilità, ma questa non impedisce che, dopo due mesi dall’elezione a senatore, un ex-sindaco possa ripresentarsi. Quindi è bene che la legge stabilisca tassativamente se esiste o meno questa incompatibilità. Se esiste, deve esistere per gli uni e per gli altri, anche per i senatori di diritto. Se invece quest’incompatibilità non esiste, allora l’emendamento Bosco Lucarelli dovrebbe, secondo me, avere un’altra dizione, e precisamente: «Per i senatori di diritto non sono applicabili le norme relative all’ineleggibilità». Perché, se noi non chiariamo questo concetto, non possiamo introdurre nella legge un concetto nuovo, cioè quello della incompatibilità, che non ha precedenti nella legge per l’elezione della Camera dei deputati.

Ecco perché insisto sull’inserzione di questo primo comma o subordinatamente, sulla modifica dell’emendamento Bosco Lucarelli.

PRESIDENTE. L’onorevole Assennato ha proposto il seguente testo:

«Le cause di ineleggibilità e di incompatibilità stabilite per la elezione dei deputati non hanno valore per i senatori di diritto». (Commenti).

Ha facoltà di svolgere l’emendamento.

ASSENNATO. Mi pare che l’intervento dell’onorevole Scelba abbia indotto l’onorevole Bosco Lucarelli a recedere da una posizione che egli stava preannunziando. Dopo aver chiarito il suo emendamento, essendo stato successivamente interpellato dall’onorevole Maffi, avendo egli manifestato una certa perplessità, sembrava quasi che egli dovesse ritirarlo; in sostanza l’onorevole Bosco Lucarelli riconosceva l’inesistenza di ogni testo che affermi la incompatibilità per un senatore di diritto di ricoprire la carica di sindaco, concludendo soltanto per la necessità di un chiarimento.

Questa era la posizione presa dall’onorevole Bosco Lucarelli, quando, a tal punto, è intervenuto di rincalzo il Ministro Scelba. Cosa ha detto il Ministro? In verità egli ha manifestato una sensibilità eccessiva, della quale bisogna dargli atto; ha avuto proprio una specie di scrupolo, quando ha detto: «non possiamo mandare al Senato due tipi diversi di senatori: gli uni che possono essere sindaci e gli altri che non lo possono». Ma è davvero straordinaria la sua sensibilità, onorevole Scelba! E non si è accorto lei – e tutti quanti, appartenendo al suo Gruppo, hanno votato questa norma – che provenendo da diverse fonti, necessariamente questi due tipi di senatori dovevano in qualche modo riflettere tale diversità d’origine?

Non sono diversi quelli che entrano al Senato per nomina di diritto da quelli che vi entrano per mandato elettorale? Molte ragioni dovevano consigliare di non creare questa diversità, ma tuttavia è stata creata e nel Senato coesistono e stanno insieme tali due tipi di senatori perché ve li abbiamo mandati. E dal momento che è stata riconosciuta questa diversità così fondamentale, non si capisce perché dallo stesso Gruppo del Ministro ora si affermi la impossibilità di far coesistere due tipi di senatori, differenziati soltanto da quella che è la conseguenza della diversità prima affermata. Ci deve essere dunque qualche altra ragione, che la intelligenza o la malizia mia non riesce a percepire, ma che dev’essere presente al Ministro ed al suo Gruppo.

Non dimentichiamo che qui si tratta di limitare i diritti della persona, e che pertanto è indispensabile una norma che dica esplicitamente: il senatore di diritto non può esercitare la funzioni di sindaco.

Nel testo non v’è nulla che affermi tale incompatibilità e pertanto dovremmo dichiararla oggi, ma il motivo non può consistere nella pretesa diversità fra i due tipi di senatori: non può essere, perché lei stesso, onorevole Ministro Scelba, ha preso l’iniziativa di fare entrare nel Senato elementi che non provengano dalla fonte elettorale. Né può esistere incompatibilità funzionale fra il senatore di diritto e il sindaco: nessun atto amministrativo del sindaco che sia senatore di diritto riflette necessariamente, neppure in minima misura, la funzione senatoriale, e nessun atto di un senatore di diritto che sia candidato sindaco riflette necessariamente, neppure in minima misura, gli atti amministrativi del comune o del sindaco; anzi il corpo elettorale e il corpo degli amministrati ricevono maggior decoro dal fatto che il primo magistrato della città ricopra anche la funzione di senatore di diritto.

Non v’è dunque ragione di procedere a questa decapitazione del diritto del cittadino, tanto più che lo stesso onorevole Bosco Lucarelli si era già dimostrato perplesso e aveva avvertito che nei testi finora approvati non era affatto dichiarata espressamente questa incompatibilità.

Ora io credo che l’Assemblea non possa stabilire questa incompatibilità, senza prima convincersi che vi siano delle vere ragioni per dichiararla.

È perciò che io ritengo che il mio emendamento possa essere approvato.

PRESIDENTE. Se Ella, onorevole Assennato, limita il suo emendamento alle cause di incompatibilità, ha ragione di essere, ma se intende estenderlo anche alle cause di ineleggibilità, andrebbe contro le disposizioni già approvate, per le quali l’elezione di senatori di diritto è sottoposta al verificarsi delle condizioni di eleggibilità.

GULLO ROCCO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO ROCCO. Questa seduta, che si annunciava come una seduta di ordinaria amministrazione, ha trovato invece un ostacolo nella discussione sorta un po’ improvvisamente in questo momento. E poiché siamo tutti d’accordo che questo articolo non va inserito dopo l’articolo 25 ma è una norma transitoria in quanto riguarda una categoria di senatori di diritto che noi non avremo più nella successiva legislatura, penso che non dobbiamo avere nessuna fretta e possiamo attendere almeno fino a domani per affrontare la questione, perché in questo momento potremmo rischiare di improvvisare.

Infatti è accaduto che l’onorevole Bosco Lucarelli, col suo emendamento, intendeva in fondo proporre un correttivo ed evitare che fosse adottata la medesima norma per i senatori di diritto, la norma della ineleggibilità, che non aveva le stesse ragioni, che viceversa poteva avere ed ha per i senatori eletti.

Senonché, strada facendo, qualcuno ha pensato che non solo fosse opportuno tradurre l’incompatibilità in ineleggibilità, ma che fosse addirittura bene eliminare l’incompatibilità; ed è stata messa avanti la questione dei sindaci, questione che è un po’ diversa perché anche noi abbiamo votato ieri a favore dell’emendamento Cosattini.

Però, se non ho inteso male, mi sembra che l’emendamento Assennato non riguardi soltanto i sindaci, ma riguardi tutte le altre categorie di incompatibilità, e ve n’è qualcuna (come osserva l’onorevole Martino) che è addirittura in contrasto con la Costituzione, perché all’articolo 122 della Costituzione abbiamo sancito casi specifici di incompatibilità fra le funzioni di deputato o di senatore e quelle di facente parte di un consiglio regionale.

Quindi, ad evitare che si facciano delle discussioni improvvisate, che si confonda fra ineleggibilità e incompatibilità, e che possano sorgere dubbi, come ne sono sorti, perché da parte di qualcuno si pensava che non si fosse stabilita l’incompatibilità oltre all’ineleggibilità (mentre mi pare fuori dubbio che l’ineleggibilità comprenda anche l’incompatibilità); ad evitare che non si ricordi da parte di qualcuno le ragioni per cui la maggioranza di quest’Assemblea ha stabilito l’ineleggibilità, ne ricordo le più importanti; primo che, attraverso la carica di sindaco o di consigliere regionale o altra carica, si possono esercitare influenze sugli elettori; l’altra che riguarda l’incompatibilità: la difficoltà di potere ben esercitare cumulativamente le funzioni delle due cariche.

Vi sono tante altre ragioni che non possiamo in questo momento aver presenti, cosicché rischieremmo, con una votazione improvvisata, di andare anche contro precise norme della Costituzione.

Concludo dunque affermando che, trattandosi di una norma di carattere transitorio che avrebbe dovuto esser presentata a titolo di emendamento o articolo aggiuntivo in altro momento, alla fine della discussione di questa legge (Interruzioni al centro), la gravità del pericolo di incorrere in improvvisazioni è tale che sarebbe bene che la Commissione esaminasse anche stasera stessa la questione e riferisse con maggiore chiarezza, affinché tutti avessimo esattamente dinanzi la questione, a cominciare da me.

PRESIDENTE. L’onorevole Gullo propone di rimandare a domani la decisione su questa questione.

Comunico intanto all’Assemblea, prima di porre in votazione questa proposta, che gli onorevoli Musotto, Merighi, Pieri e Costantini hanno presentato la seguente proposta:

«Le funzioni di sindaco di capoluogo di provincia e quella di senatore non sono incompatibili per i senatori di diritto».

L’onorevole Assennato ha facoltà di dichiarare se, di fronte a questa proposta, insiste ancora nella sua.

ASSENNATO. Ritiro la mia proposta e aderisco a quella dell’onorevole Musotto.

PRESIDENTE. Sta bene. Pongo ora in votazione la proposta di rinvio formulata dall’onorevole Gullo Rocco.

(Non è approvata).

PICCIONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PICCIONI. Vorrei ricordare i precedenti della questione per vedere se si può chiarire in maniera sufficiente il problema attuale andando incontro al desiderio espresso anche dall’onorevole Gullo. Ora, il testo della Costituzione nelle disposizioni transitorie e finali quando parla della prima composizione del Senato della Repubblica ed accenna ai senatori di diritto dice espressamente che sono nominati senatori, con decreto del Presidente della Repubblica, i deputati dell’Assemblea Costituente che posseggono i requisiti di legge per essere senatori e che ecc.

Ora è evidente che quando si indagherà, prima di emanare il decreto presidenziale per la nomina dei senatori di diritto, sorgerà la questione in ordine alla posizione di quei candidati senatori di diritto che ricoprono la carica di sindaco di capoluogo di provincia, di presidente della Deputazione provinciale o di deputato regionale, perché il testo che noi abbiamo già approvato, l’articolo 6, richiama per i senatori elettivi le incompatibilità già fissate per i deputati in ordine alle cariche di sindaco, di presidente della Deputazione provinciale o di deputato regionale. Chi dovrà emettere il decreto di nomina di un senatore di diritto, il primo quesito che si deve porre è questo: se mi trovo di fronte a dei candidati che rivestono la carica di sindaco o di presidente della Deputazione provinciale o di deputato regionale, cosa faccio? Devo nominarli senatori di diritto se per disposizione di un articolo di legge costoro non sarebbero eleggibili se si presentassero alle elezioni a senatore? Di qui la necessità, l’opportunità della proposta dell’onorevole Bosco Lucarelli; di qui la necessità di un chiarimento definitivo da parte dell’Assemblea in questa sede.

Ora io domando: si può sottilizzare quanto si vuole, ma sta di fatto che l’ineleggibilità costituisce una condizione più radicale nei confronti di coloro ai quali si deve applicare, cioè costituisce un vizio in radice, insanabile per coloro che sono caduti nei casi di ineleggibilità. Dichiarato che un sindaco di capoluogo di provincia è ineleggibile, non v’è possibilità di sanare una situazione di questo genere. Se si presenta ed è eletto, poiché era ineleggibile, la sua elezione è annullata definitivamente.

L’incompatibilità non pone questo vizio in origine, in radice; pone soltanto l’impossibilità di esercitare contemporaneamente le due funzioni, e come si risolve? Si risolve rinunciando all’esercizio di una di queste funzioni con la propria iniziativa; cioè basta che il soggetto dell’incompatibilità dichiari di rinunciare ad una delle due funzioni incompatibile con l’altra perché la cosa sia sanata ed il soggetto sia senz’altro ammesso ad esercitare la sua funzione.

Ora, nel caso che ci riguarda, l’ineleggibilità di senatori elettivi che cosa vuol dire? Vuol dire che non possono essere eletti e vuol dire conseguentemente una incompatibilità di funzioni perché (vi faccio l’altro caso) altrimenti, se si riferisse solo alla condizione antecedente all’elezione, il sindaco di una grande città dimessosi potrebbe partecipare alle elezioni a senatore e appena eletto senatore potrebbe ripresentarsi per essere eletto di nuovo sindaco della stessa città. Questo non è consentito. Non si può concepire la sua ineleggibilità come una vacanza nell’esercizio della sua funzione per il periodo elettorale, per poi riassumere anche l’altra carica dopo che l’elezione sia avvenuta. Il che, se questo non è, ed effettivamente non è, dimostra chiaramente come la ragione dell’ineleggibilità non sia soltanto quella invocata dall’onorevole La Rocca; vuol dire che v’è una diversa anche più profonda ragione che incide nella possibilità di aggravare il contrasto d’interesse pubblico che vi può essere fra la carica pubblica ricoperta dal sindaco e quella che è la funzione dello Stato nella quale il senatore o il deputato partecipi direttamente e attivamente. Questo spiega ancora di più come nel concetto di ineleggibilità sia implicito il concetto d’incompatibilità; altrimenti, superato il momento elettorale, si potrebbe tornare senz’altro ad esercitare le funzioni di sindaco o di presidente della deputazione provinciale, il che è da escludere.

Ora, se questi principî sono esatti, non è possibile creare nello stesso testo legislativo una disarmonia giuridica di questa entità, disarmonia giuridica che si esprimerebbe in termini concreti in questo modo: mentre i senatori eletti devono dimettersi dalla carica di sindaco per partecipare alla elezione, ed anche eletti non possono riassumere la funzione di sindaco, invece i senatori di diritto sarebbero mantenuti nell’esercizio di una carica di questo genere. È assolutamente impossibile che si consenta anche ai senatori eletti – una volta eletti – di riassumere le loro funzioni di sindaco o di presidente della Deputazione provinciale. Non è possibile, perché i testi già approvati, sia per quanto si riferisce alla Camera dei deputati che al Senato, lo vietano nella maniera più esplicita. E poiché due giorni fa, attraverso l’emendamento Cosattini, vi è stato un voto esplicito dell’Assemblea che non ha accettato nemmeno un criterio restrittivo di questa ineleggibilità, riducendo cioè il fatto della ineleggibilità soltanto alla circostanza di essere sindaco del capoluogo del collegio in cui il candidato si presenta, evidentemente ciò vuol dire che attraverso le deliberazioni già prese l’ineleggibilità, e quindi l’incompatibilità, è fissata in modo che non si può derogare a tale principio facendo un trattamento di favore ai senatori di diritto. Non v’è alcun motivo né giuridico né morale per una deroga di questa entità e gravità a favore dei senatori di diritto. Non si può dire in Senato: tu perché sei entrato come senatore di diritto fai il senatore e il sindaco; io che sono entrato elettivamente non posso fare il sindaco o il presidente della Deputazione provinciale, ma devo limitarmi a fare il senatore. Sarebbe una disarmonia giuridica – per non dir peggio – tale che l’Assemblea Costituente mi pare non debba in alcun modo consacrare. Per queste ragioni dichiaro di votare a favore dell’ordine del giorno Bosco Lucarelli.

ASSENNATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ASSENNATO. Il ragionamento dell’onorevole Piccioni posa sul criterio della incompatibilità sostanziale fra la funzione di senatore e quella di sindaco. Faccio rilevare che tale criterio è errato, perché la legge consente apertamente il contemporaneo esercizio delle funzioni di sindaco e di senatore, limitandolo soltanto per i sindaci dei capoluoghi di provincia, il che significa che l’incompatibilità dalla legge è considerata soltanto quale ineleggibilità del sindaco a senatore per il timore che un tale candidato al Senato possa giovarsi della sua qualità di sindaco e influire così sul corso dell’elezione.

PRESIDENTE. Rimangono tre emendamenti: dell’onorevole Bosco Lucarelli, dell’onorevole Musotto e dell’onorevole Patricolo. Chiedo all’onorevole Patricolo se aderisce all’emendamento Bosco Lucarelli, dato che il suo consiste nella aggiunzione di una premessa implicitamente confermata dal testo dell’onorevole Bosco Lucarelli, che chiede l’estensione a questa legge del principio della ineleggibilità accolto dalla legge per la elezione dei deputati.

PATRICOLO. Il mio emendamento parla di incompatibilità, non di ineleggibilità.

PRESIDENTE. Quando vi è ineleggibilità, non sorge il problema della incompatibilità.

PATRICOLO. Un senatore può essere eletto sindaco o no? Esiste incompatibilità? Non conosco la norma che lo vieti. Se vogliamo fare questa affermazione, essa deve essere esplicita.

PRESIDENTE. La legge impedisce la elezione di un sindaco a senatore.

PATRICOLO. Ma la legge non impedisce a un senatore di diventare anche sindaco. Se vogliamo affermare una norma nuova, tassativa, facciamolo; ma oggi non esiste. Esiste l’ineleggibilità del sindaco a senatore, ma non del senatore a sindaco. Per quanto io sia sindaco, ho presentato l’emendamento appunto perché sia chiarita la situazione.

PRESIDENTE. La questione da lei posta non trova forse la sua sede opportuna in questa legge, perché in essa non si tratta delle condizioni di eleggibilità a sindaco. Quando rivedremo la legge comunale e provinciale, ella potrà proporre la ineleggibilità del senatore a sindaco.

PATRICOLO. Nell’emendamento Bosco Lucarelli si afferma il principio della ineleggibilità. Io chiedo che in questo articolo si inserisca anche quello della incompatibilità, e ciò soprattutto allo scopo di ottenere che si dica chiaramente se esista o meno incompatibilità tra le due cariche.

BOSCO LUCARELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOSCO LUCARELLI. Il mio emendamento comprende non soltanto i sindaci dei capoluoghi di Provincia ma anche i presidenti delle Deputazioni provinciali. Per i deputati regionali vi è già un divieto fatto dalla Costituzione.

PRESIDENTE. Siccome l’emendamento proposto dall’onorevole Bosco Lucarelli fa riferimento alle lettere a), b) e c) dell’articolo 5 della legge per la elezione della Camera dei deputati, sarà forse opportuno, prima di passare alla votazione, ricordare all’Assemblea quali sono le categorie per le quali l’onorevole Bosco Lucarelli chiede sia stabilita una incompatibilità. Sono precisamente: i deputati e consiglieri regionali, i presidenti delle Deputazioni provinciali e i sindaci dei capoluoghi di provincia.

MARTINO GAETANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARTINO GAETANO. Ho votato a favore della proposta di sospensiva soprattutto perché, nonostante abbia seguito con grande attenzione questa interessante discussione, non mi è stato possibile rendermi esatto conto dell’essenza della questione, dato che non ho avuto la ventura di ascoltare il testo preciso proposto dall’onorevole Bosco Lucarelli. Vorrei pregare pertanto l’onorevole Presidente di rileggere questo testo. Eventualmente chiederò dopo la parola per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. È un piacere per me, onorevole Martino, rileggere la proposta Bosco Lucarelli, ma a mia giustificazione mi permetto ricordarle che l’ho testé letta. Essa è del seguente tenore:

«Per i senatori di diritto i casi di ineleggibilità per pubblico ufficio previsti dalle lettere a), b) e c) dell’articolo 5 della legge contenente norme per l’elezione della Camera dei deputati sono considerati casi di incompatibilità.

«I detti senatori, precedentemente alla prima riunione del Senato, debbono dimettersi dall’altro ufficio ricoperto».

A questa proposta l’onorevole Patricolo vorrebbe far precedere il comma:

«La carica di sindaco è incompatibile con quella di senatore».

MARTINO GAETANO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARTINO GAETANO. Voterò contro la proposta Bosco Lucarelli, perché è contraria apertamente alla III disposizione transitoria e finale della Costituzione. Si può discutere se le disposizioni transitorie e finali facciano parte del testo costituzionale dunque se è possibile, con una legge, violarle, mentre evidentemente la violazione non è possibile per il testo vero e proprio della Costituzione. Ma io ritengo che Costituzione sia tutto il testo, ivi comprese le disposizioni transitorie e finali. La III disposizione finale recita: «Per la prima composizione del Senato della Repubblica sono nominati senatori, con decreto del Presidente della Repubblica, i deputati dell’Assemblea Costituente che posseggono i requisiti di legge per essere senatori». E coloro i quali rientrano in quelle tali disposizioni della legge elettorale per la Camera (a, b, c) citate nell’emendamento Bosco Lucarelli non posseggono i requisiti per essere eletti senatori. Noi abbiamo infatti già stabilito che le medesime cause di ineleggibilità le quali valgono per la Camera dei deputati abbiano a valere anche per il Senato, Di modo che noi non possiamo oggi, dopo aver sancito nella Costituzione che coloro i quali non posseggono quei requisiti non possono essere eletti senatori di diritto, stabilire che essi lo possono. Penso che dobbiamo evitare la votazione sull’emendamento Bosco Lucarelli o – qualora egli esistesse ancora ed esso venisse posto in votazione – votare contro questa proposta, che, secondo me, costituirebbe aperta violazione del testo costituzionale.

PRESIDENTE. Passiamo alle votazioni. Pongo anzitutto in votazione il comma proposto dall’onorevole Patricolo:

«La carica di sindaco è incompatibile con quella di senatore».

(Non è approvato).

Pongo in votazione il primo comma dell’emendamento Bosco Lucarelli, che rileggo:

«Per i senatori di diritto, i casi di ineleggibilità per pubblico ufficio previsti dalle lettere a), b) e c) dell’articolo 5 della legge contenente norme per la elezione della Camera dei deputati sono considerati casi di incompatibilità».

(Dopo prova e controprova, e votazione per divisione, è approvato).

Pongo in votazione il secondo comma dell’emendamento Bosco Lucarelli, che rileggo:

«I detti senatori, precedentemente alla prima riunione del Senato, debbono dimettersi dall’altro ufficio ricoperto».

(È approvato).

Pongo ora in discussione il seguente articolo 25-ter proposto dal Governo:

«Per le aperture di credito inerenti al pagamento delle spese per la elezione del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati è autorizzata la deroga alle limitazioni previste dall’articolo 56 del regio decreto-legge 18 novembre 1923, n. 2440».

L’onorevole Ministro dell’interno ha facoltà di svolgerlo.

SCELBA, Ministro dell’interno. In base all’articolo 56 del regio decreto-legge 18 novembre 1923, n. 2440, le aperture massime di credito a favore delle prefetture possono essere di lire 2.500.000. Ma per le elezioni le prefetture hanno bisogno di avere tempestivamente i fondi occorrenti; di qui la necessità di elevare questo limite, che sarebbe assolutamente insufficiente ai bisogni. Pertanto il Governo propone che per le imminenti elezioni sia elevato il limite di apertura di credito a favore delle prefetture.

PRESIDENTE. Qual è il parere della Commissione?

MICHELI, Presidente della Commissione. La Commissione è d’accordo.

PRESIDENTE. Pongo allora in votazione l’articolo 25-ter proposto dal Governo di cui ho dato testé lettura.

(È approvato).

Il seguito della discussione è rinviato alle ore 11 di domani.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere se non ritenga rispondente a criteri di equità e di giustizia emanare un provvedimento legislativo, per il quale possano essere richiamati in servizio gli impiegati delle pubbliche amministrazioni, che furono dichiarati dimissionari di ufficio per non avere riassunto servizio dopo il 1° giugno 1944 per circostanze indipendenti dalla loro volontà o per altri giustificati motivi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Colitto».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dell’agricoltura e foreste e del lavoro e previdenza sociale, per conoscere se consti loro lo stato di viva agitazione suscitato fra i piccoli coltivatori diretti della montagna spoletina dalla notifica degli avvisi di pagamento per i contributi supplementari dell’anno 1947 e per quelli principali del 1948; e se, tenuti presenti i modestissimi redditi di quelle zone appenniniche poverissime (per cui fu ritenuto necessario lo sgravio totale della imposta erariale) ed il fatto che allorché furono istituiti i contributi unificati la tassazione, in base alla legge 13 giugno 1942, veniva applicata secondo tabelle per ettaro e questa provvida legge fu abolita e sostituita con quella 21 agosto 1945, che di tale criterio non tiene conto, mentre nessun nuovo elemento era intervenuto a consigliarne l’abolizione, non ritengano urgente e indispensabile – allo scopo di impedire il crescente esodo dei coltivatori dalle zone montagnose – di:

1°) abrogare la legge 21 agosto 1945, numero 576, e restituire vigore alla legge 13 giugno 1942, n. 1063;

2°) tener conto, nella imposizione dei tributi unificati, del genere di coltura dei terreni;

3°) assicurare ai lavoratori agricoli l’assistenza medico-farmaceutica in pratica oggi inesistente;

4°) nominare un rappresentante degli agricoltori di montagna a far parte della Commissione incaricata della erogazione dei contributi al fine di un’equa ripartizione delle provvidenze a favore dei lavoratori agricoli. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Santi».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere in quale misura intenda provvedere alle impellenti necessità di manutenzione, completamento e integrazione delle sistemazioni montane in provincia di Udine, al duplice scopo:

  1. a) di impedire la rovina delle opere già eseguite, la inutilizzazione dei lavori iniziati lo scorso anno, e la ulteriore rovina delle zone bisognose di più urgente sistemazione;
  2. b) di venire incontro tempestivamente alla disoccupazione nella parte montana del Friuli, dove è minima la proporzione dei lavori pubblici di prossima esecuzione, e dove la crisi del legname fa prevedere il licenziamento di un forte numero di lavoratori.

«Sì fa presente, al riguardo, che l’ufficio forestale di Udine ha già un complesso di progetti approvati, ma non finanziati, per l’importo di 54 milioni, ed ha in corso di ultimazione prossima un gruppo di progetti per altri 30 milioni; mentre a disposizione dell’Ispettorato compartimentale di Venezia sono stati messi 100 milioni da ripartirsi fra le 8 provincie della montagna veneta, tridentina e goriziana.

«Si ricorda che la montagna friulana ha subito depredazioni e devastazioni non comparabili a quelle di nessun’altra parte delle Alpi nei due anni della lotta di liberazione; e che dopo il maggio 1945 fu obbligata a fornire in pochi mesi una quantità di legname pari alla normale produzione di un triennio; immiserita e spogliata, vede quindi ridotte di molto, e per un lungo periodo, le sue possibilità di produzione. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Gortani, Piemonte».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere se non ritenga giusto ed opportuno emanare anche per l’anno 1948 un provvedimento che ristabilisca il contributo del 35 per cento, da parte dello Stato a favore di quei proprietari che hanno proceduto all’impianto degli olivi, nonostante il perdurare della crisi olivicola. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Di Gloria».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per conoscere le «particolari condizioni» dell’esattoria di Messina, che lo hanno indotto «in via del tutto eccezionale» a derogare dalle norme vigenti e consentire che la data di cessazione di appalto, per denuncia del contratto fatta dalla Soc. An. Gestioni Esattoriali, sia fissata al 31 febbraio 1948, anziché, come legge, al 31 dicembre 1947; poiché dipendenti dell’esattoria e cittadini ravvisano in tale provvedimento del Ministero un atto di aperto favoritismo, specie dopo che in una riunione presso l’Assessorato alle finanze del Governo regionale, presente l’intendente di finanza di Messina, si dimostrò, con cifre alla mano, che con la gestione del delegato governativo si sarebbe eliminato il deficit annuale che si aggira sui 35 milioni. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Fiore».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per sapere se non ritenga il caso di proporre un provvedimento col quale si estenda il disposto dell’articolo 345 del testo unico della legge sull’edilizia economica e popolare 28 aprile 1938, n. 1265 (che stabilisce che l’Istituto nazionale per le case degli impiegati dello Stato (I.N.C.I.S.) svolga la sua attività nei Comuni capoluoghi di provincia, salvo casi eccezionali, ivi previsti, ai Comuni più popolosi non capoluoghi di provincia, e particolarmente a quelli per i quali, per gli eventi bellici, maggiormente difettano gli alloggi.

«Alcune di queste città sono di parecchie volte più importanti di alcuni capoluoghi di provincia e trovansi in particolari condizioni di disagio dal punto di vista demografico ed economico. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Clerici».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri della difesa e del tesoro, per sapere se non ritengano giusto ed equo, al fine di eliminare immeritate sperequazioni e differenziazioni, estendere il trattamento economico previsto e regolato dalla legge sullo sfollamento del 13 maggio 1947, n. 500, anche a tutti i sottufficiali collocati a riposo nel periodo intercorso tra la pubblicazione della predetta legge (10 giugno 1947) e la data del primo sfollamento (30 novembre 1947). (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Guerrieri Filippo».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno trasmesse ai Ministri competenti, per la risposta scritta.

La seduta termina alle 19.20.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 11 e alle 16:

Seguito della discussione del disegno di legge:

Norme per l’elezione del Senato della Repubblica. (61).

MERCOLEDÌ 21 GENNAIO 1948

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCLVII.

SEDUTA DI MERCOLEDÌ 21 GENNAIO 1948

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

indi

DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Norme per l’elezione del Senato della Repubblica (61).

Presidente

Nitti

Russo Perez

La Rocca

Togliatti

Lucifero

Nenni

Piccioni

Targetti

Mazzei

Micheli, Presidente della Commissione

Reale Vito

Piccioni

Laconi

Gronchi

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

MAZZA, ff. Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Seguito della discussione del disegno di legge: Norme per l’elezione del Senato della Repubblica (61).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del disegno di legge: Norme per l’elezione del Senato della Repubblica (61).

Dobbiamo esaminare il Titolo II: «Degli uffici elettorali circoscrizionali e regionali».

È iscritto a parlare l’onorevole Nitti. Ne ha facoltà.

NITTI. Farò brevi dichiarazioni, piuttosto che un discorso, nella speranza di porre la questione, che può dividerci, in forma che ci possa unire.

In fondo, qui si tratta di una questione semplice, che poi per via ha preso atteggiamento diverso da quello che doveva avere e che aveva in origine.

Nella elezione del Senato, quali norme, quali principî devono prevalere? Noi abbiamo affermato chiaramente in un ordine del giorno, che dovrebbe essere costitutivo: noi dobbiamo fare le elezioni con il collegio uninominale. Questo non può essere materia di controversia. Il Presidente stesso vedrà che non è possibile ritornare su questa questione. Il Senato, dunque, dovrà essere eletto in base al principio del collegio uninominale. Questo principio richiede due cose: la prima è che si voti un solo nome, ciò è semplice. La seconda è che, se non si riesca su un solo nome ad avere quella maggioranza richiesta per la validità della votazione, si trovi un’altra via, la via normale o l’anormale. Anche su questo non esiste dubbio. Quando si parla di scrutinio di lista, si parla di tante cose che possono essere diverse l’una dall’altra; vi può essere uno scrutinio di lista o un altro, una forma o un’altra. Ma collegio uninominale vuol dire una sola cosa: che si voti su un solo nome e che, se su un solo nome non si raggiunga la maggioranza, si ricorra alla forma che è detta del ballottaggio si proclami chi ha avuto maggior numero di voti.

Ogni cosa diversa è contraria a ciò, cui ci siamo impegnati.

Dovremo votare come in quasi tutti i paesi civili e progrediti. I Paesi che hanno il collegio uninominale sono ormai i grandi Paesi d’Europa e del mondo, perché lo scrutinio di lista è una superfetazione tardiva che, ove esiste, sta dando risultati negativi che saranno prima o poi disastrosi.

Potremo discutere se per essere eletti al primo scrutinio occorra il 30, il 40, il 50 per cento e, se vi piace, di più e non altro. Se il quorum richiesto non si raggiungerà, avremo dinanzi a noi parecchie vie. In Inghilterra viene eletto chiunque abbia più voti di fronte agli altri candidati, e credo sia questo il sistema migliore, o almeno il più semplice. E in Francia? Pochi anni or sono non esistevano nel mondo che due grandi repubbliche: la Francia in Europa e gli Stati Uniti d’America.. La Francia aveva il collegio uninominale e il ballottaggio tra i due candidati con maggior numero ai voti.

In America è stato sempre in vigore il sistema uninominale. La lotta è semplice perché viene in generale fatta da due partiti e, com’è naturale, quando due partiti sono in contesa, quello che vince, venendo a rappresentare la maggioranza, è nettamente indicato a costituire il Senato. In America si fanno le elezioni a doppio grado. Tutti gli elettori votano, ma votano per coloro che saranno i rappresentanti nell’Assemblea che sceglierà il vincitore: forma anche questa diversa dalle altre, ma sempre di vero collegio uninominale.

In America vi sono due senatori per ogni Stato. Lo Stato che ha, come il Vermont, qualche centinaio di migliaia di abitanti, o come lo Stato di New York, tanti milioni di abitanti, ha allo stesso modo due senatori.

Qual è la situazione del Senato? Io riconosco di essere particolarmente responsabile delle disposizioni che in questo progetto riguardano il Senato. Alcuni in principio non vedevano la necessità di una seconda Assemblea legislativa. Credevano fosse cosa inutile, e che bastasse una sola Camera. Io sostenni sempre che ciò sarebbe stato un pericolo mortale. Non esisteva infatti al mondo nessun Paese serio che avesse potuto vivere a lungo con una sola Camera. Altra cosa sono le fugaci forme di un periodo rivoluzionario, altra cosa è l’amministrazione di un grande Stato. Io insistetti per le due Camere e poi, con una persistenza che fu spesso fastidiosa a questa Assemblea, volli precisare quale doveva essere la vera funzione del Senato. Ed esposi idee che non sempre coincidevano con quelle della maggioranza che vedeva il Senato, per ragioni diverse, con una certa prevenzione. Io sostenni non solo che il Senato fosse necessario, ma vidi nel Senato la grande Assemblea su cui lo Stato italiano, così dilaniato e depresso da tante agitate passioni, potesse più facilmente, o meno difficilmente, essere ricostruito; e insistetti su alcuni principî che mi parevano fondamentali. Il Senato e la Camera dovevano essere cose completamente diverse per la loro origine, ma con gli stessi diritti. Per la prima volta, fra gli Stati europei noi abbiamo un nuovo Senato, con gli stessi diritti e composto – come del resto è altrove, per quello che riguarda la composizione – in modo del tutto diverso.

La Camera può essere eletta a suffragio universale, senza divisione; il Senato deve venire dal suffragio universale, ma deve essere diversamente eletto, in tal guisa che prevalga il criterio della scelta degli individui: quindi collegio uninominale. Il Senato, nel mio concetto, su cui insistetti così a lungo, deve essere, per la sua composizione, la grande Camera – non vi scandalizzate della parola, non create un equivoco – deve essere la grande Camera conservatrice. Conservatrice? non vuol dire già refrattaria a riforme e nemica di ogni progresso, come nella volgare interpretazione si potrebbe credere, ma conservatrice del regime e della essenza delle istituzioni fondamentali. Difatti questa funzione, in una forma o nell’altra, l’ha nei principali paesi in cui esiste.

Il Senato deve essere stabile, fuori delle crisi.

Io volevo un Senato che non scadesse mai, ed è stato un errore prendere un solo paragrafo della mia proposta nella Costituzione e limitarlo a sei anni. Io volevo un Senato come è in America, come era in Francia fino a ieri, che non scadesse mai, che si rinnovasse senza scadere, a differenza della Camera dei deputati. In America la Camera dei deputati scade ogni due anni; è in perpetuo movimento. La grande Costituzione americana vuole un Senato che rimanga sempre. La Camera ha solo la durata di due anni e si rinnova completamente. Viceversa, il Senato non si scioglie mai. Dura sei anni e ogni due anni si rinnova per un terzo. Così si dà al Senato quella potente immobilità nella continuità, che crea la sua funzione permanente e lo rende stabile.

Dove il Senato non scade mai ed è sempre in vita vi è senso di stabilità legislativa: il Senato non scade mai completamente; ma si rinverdisce sempre.

In America la Camera dei rappresentanti, rinnovandosi a suffragio universale diretto ogni due anni, rende possibile seguire tutte le variazioni della volontà popolare; il Senato, non scadendo mai, ma rinnovandosi solo per un terzo ogni due anni, crea la stabilità legislativa e politica.

Il Senato deve essere sempre la grande Camera nella sua permanente stabilità, ma il Senato deve essere anche la Camera che continua senza mai mutare interamente quelle istituzioni che formano la base dello Stato.

Senatori e deputati hanno, dove esistono, diversa durata. Noi stessi, nella nostra Costituzione, abbiamo stabilito che per i deputati e per i senatori è diversa la durata del mandato: più lunga per i senatori.

In Inghilterra l’elezione dei deputati avviene a primo scrutinio, qualunque sia il numero dei voti riportati dai candidati. Da noi, come in Francia, vi è o vi è stato il sistema del ballottaggio. Che cos’è il ballottaggio? È il sistema per cui fra i due candidati che hanno avuto il maggior numero di voti, si stabilisce una seconda elezione.

Ora noi ci siamo obbligati a fare il Senato con lo scrutinio uninominale e in conseguenza col ballottaggio; un ordine del giorno, ripetutamente confermato, ha ciò stabilito. Questa non è materia di dubbio. Parecchi oratori hanno spiegato come non si possa mai cambiare ciò che è ormai definito. Bisognava che si procedesse sicuramente su questa via.

In un primo momento noi attendevamo che il Governo proponesse il disegno di legge destinato a regolare questa materia basandosi su questi due principî e che regolasse il modo in cui deve avvenire l’elezione e con quale numero di voti, qualora non si accettasse l’ordinamento inglese e si giungesse al ballottaggio.

Dal primo momento il Governo ha avuto una certa diffidenza per il collegio uninominale ed il ballottaggio, tanto è vero che non ci ha presentato che assai tardi le sue proposte. Fu soltanto 1’11 dicembre che il Governo presentò le sue proposte, che più tardi ebbero conferma nella proposta presentata il 18 dicembre. Dunque, lunga meditazione.

La prima proposta mi destò preoccupazione. Perché, in realtà, che cos’era? Non il collegio uninominale, ma qualcosa che lontanamente poteva assomigliargli. E poi il Governo emanò una serie di provvedimenti che infirmavano la natura stessa del collegio uninominale, tanto è vero che furono ragione di incertezza nel Relatore del disegno di legge e di trepidanza per spiegare delle cose che potevano essere dette semplicemente. Siccome doveva adattarsi al collegio uninominale una cosa che non era compatibile, che era diversa per tutte le conseguenze che ne derivavano, si trovarono disposizioni di lunghe pagine intere, articoli che dovevano spiegare ciò che non era spiegabile: il collegio uninominale, che non esisteva più e che si voleva fare esistere nelle apparenze. E adesso ci troviamo di fronte alle proposte di un collegio uninominale che non è più tale se non in parte.

Stabilire il collegio uninominale era materia semplice, che non poteva dividere. La Commissione che preparava questa materia doveva soltanto stabilire il numero di voti necessari per la elezione a primo scrutinio; e se non si fosse raggiunto, bisognava definire il ballottaggio tra i due che avevano maggior numero di voti.

Vi è ora un progetto complicato, con una Commissione che si divide in maggioranza e minoranza, e ciò che tende ad eclissarsi, almeno in parte, è il collegio uninominale.

In una materia che doveva essere così semplice, non vi era che da fare una sola cosa: stabilire in quattro o cinque semplici articoli il collegio uninominale.

Ora, votando il primo scrutinio del collegio uninominale, noi non lo votiamo in forma definitiva, con tutte le conseguenze che ne susseguono.

Io pensavo che la Camera e il Senato dovessero essere diversi, non solo per la forma di elezione, ma per il funzionamento; e perciò voi ricorderete quali furono le proposte mie. Io proposi una Camera interamente differente. Si era votato con idee molto giovanili. Si volle una Camera di uomini nuovi e si fissò che l’età degli elettori fosse di 21 anni. Ma io proposi – credo non ingiustamente – che il Senato dovesse essere votato da elettori di 25 anni, cioè da uomini che avessero superato l’età più disposta alla violenza. L’esperienza politica in tutta Europa ha dimostrato che i temperamenti più accessibili alla violenza sono in gran parte di uomini di età inferiore ai 25 anni.

Ora, ciò che più conta, gli eletti della Camera dei deputati possono essere molto giovani. Si può essere eletti a 25 anni; al Senato devono avere 40 anni, e avere quella saggezza e quella responsabilità che viene dall’esperienza e dalla conoscenza.

Io desideravo anche che fosse possibile che il Senato avesse insieme a queste forme di saggezza, che derivano dall’età, quelle che derivano dalla funzione, e quindi insistetti molto perché il Senato fosse diverso dalla Camera e per la forma della costituzione e per il suo funzionamento. E così noi siamo arrivati a questa conclusione: di fare un Senato ed una Camera diversi.

Noi ci siamo obbligati, dunque, a votare per un nuovo Senato, che ha diversa origine, diverso funzionamento e che, anche avendo gli stessi diritti, deve esplicarli diversamente.

In questa situazione dunque noi ci troviamo semplicemente di fronte al fatto: come procedere alle elezioni del Senato? L’elezione dei senatori deve esser fatta votando per un solo nome in ogni collegio uninominale. Se nessun candidato raggiunge il numero di voti stabilito della legge, è indetta una nuova votazione per ballottaggio.

Fino a pochi giorni or sono la soluzione del ballottaggio pareva la più semplice, anche a coloro che ora non la vogliono o mostrano di non volerla.

Il ballottaggio implica che una nuova votazione avvenga per i due candidati che abbiano riportato il maggior numero di voti.

Quali possono essere le difficoltà? E perché vi sono ora resistenze che qualche giorno fa non vi erano?

Ieri l’onorevole Rubilli, che ha fatto un esauriente discorso che mi obbliga ad omettere molta parte delle cose che volevo dire, si è però fermato sulle ragioni per cui nella Commissione non si è data esecuzione alle disposizioni che regolano questa materia.

Io non credo necessario tornare su questa materia.

Ammetto senza difficoltà che tutti abbiano agito in buona fede e tutti con lo stesso sentimento di sincerità. Lascio ogni controversia per stabilire se alcune deliberazioni siano state prese regolarmente, se alcune cose che si attribuiscono al Governo siano state o non siano state dette. Ciò non ha importanza. Oramai suppongo che tutti abbiano detto la verità, che non vi sia il minimo di malafede in alcuno. Ma suppongo che ciò non alteri la questione. La questione è solo questa: siamo obbligati noi a votare col collegio uninominale? Senza dubbio sì. Non vi è nulla che possa mutare una votazione precedente. Come regoleremo il ballottaggio? Tutto ciò può essere stabilito senza nessuna difficoltà. Quindi, lasciando da parte le controversie procedurali, non ci resta, avendo votato per il collegio uninominale, che votare ora sul ballottaggio. Quindi la mia richiesta è semplice: votato il suffragio universale, limitiamoci ora a stabilire le norme di applicazione. È inutile cercare di riprendere il problema, come fa il disegno di legge ministeriale, che ha diviso in maggioranza e minoranza la Commissione, la quale doveva essere concorde nella realtà della soluzione logica e chiara. Ammesso il collegio uninominale, bisogna stabilire ora le forme di applicazione attraverso il ballottaggio. Perché molti, che erano favorevoli, sembrano ora perplessi e vogliono, per quanto riguarda il collegio uninominale, da una parte, nella prima votazione, applicarlo e dall’altra non applicarlo affatto?

Io credo che il Ministro dell’interno non si trovi in alcuna difficoltà per redigere i pochi articoli che devono regolare logicamente l’attuazione del collegio uninominale, i pochi articoli riguardanti cioè il ballottaggio. Perché vi è incertezza? Perché queste disposizioni da una parte o da molti sono così tardivamente accolte con diffidenza? Perché vi è tardivamente un acre piacere di trovare nell’applicazione del collegio uninominale tutti gli inconvenienti che invece non vi sono? La verità è che si vedono le cose dal punto di vista elettorale.

La diffidenza è giunta a tal punto che si creano ipotesi non vere e non controllate che determinano o possono determinare divisioni politiche che non sono giustificate.

A suo tempo risponderò nel modo più efficiente, più sicuro e più decisivo per quello che mi riguarda. Risponderò quando potrò dimostrare come stanno le cose e dove sono gli equivoci. Si è voluto perfino (quanta e ridicola fantasia) dire che, proponendo e difendendo il collegio uninominale per il Senato, ho agito contro la Chiesa. Si può essere più folli? Io ho il diritto di fronte a voi di dire che ho avuto la gratitudine della Chiesa nelle ore più difficili dell’altra guerra. Pubblicherò nei mesi prossimi un libro in cui riprodurrò gli autografi dei grandi Capi della Chiesa, che riconoscono la nobiltà e la grandezza della mia opera.

Qui dentro, in questa Assemblea, in un’ora difficile, quando si voleva impedire che gli accordi vaticani fossero confermati dalla Costituzione, sono venuto io solo ad assumermi per primo la responsabilità. Ora, pur essendo contrario all’inutile inclusione di quell’articolo nella Costituzione, ho detto che io, anche essendo convinto della inutilità, volevo dare l’esempio di un uomo che vota a favore dell’interesse pubblico; perché non volevo alcuna divisione fra la Chiesa e lo Stato in un momento così pericoloso. Non volevo ritornare su argomenti che potevano essere materia di dissidio.

Mi assumo l’impegno davanti a voi che fra alcuni mesi io, che ho voluto sempre tacere, pubblicherò, a smentire le persone che mi hanno attaccato su questo argomento e che mi hanno presentato come avversario della Chiesa, i documenti autografi dei grandi Capi della Chiesa, i quali mi hanno scritto che io ero l’italiano più necessario all’Italia in un’ora difficile.

Si è detto persino che io avrei accettato l’idea del collegio uninominale per avere l’appoggio dei comunisti nella mia situazione politica e per i miei propositi d’avvenire. Quale idiota poteva dire cosa sì cretina?

Calcolate dunque su questa pubblicazione che renderà ridicoli gli attacchi indiretti di persone troppo imprudenti e troppo immemori.

Domando ai miei amici comunisti, che ho considerato sempre con lo stesso riguardo, pur essendo tanto discorde, se ho mai parlato con loro di queste cose; se ho fatto mai cose a cui non penso; se ho mai pensato ad unioni con loro per scopi di Governo, come la Democrazia cristiana. Ho sempre sfuggito unioni e combinazioni; e potendo avere il Governo, l’ho rifiutato quando mi sembrava doversi fare unioni di uomini, non di programmi precisi e di idee. Invito l’onorevole De Gasperi a dire, da parte sua, se nelle ore difficili non gli sono stato di aiuto disinteressato. Lasciamo, dunque, questi ridicoli argomenti, che mi farebbero piangere, se non mi facessero ridere, e che non possono giungere fino a me da qualunque parte vengano. Sono così bassi che non mi raggiungono.

Dunque, torniamo semplicemente a quelli che sono i nostri doveri. Perché questa preoccupazione del collegio uninominale? Si dice che si faranno accordi facilmente tra i rossi. Parlando di rossi, si parla soprattutto di comunisti, perché gli altri rossi si sono talmente indeboliti che alcuni, avvicinandosi al Governo, si sono al punto sbiaditi da divenire reazionari.

Ora, dunque, non avendo avuto mai nessun discorso con quelli che si chiamano i rossi su questa materia, io sono completamente libero, disinteressato e soprattutto desideroso, nell’interesse degli uni e degli altri, di quella unità ideale che in questa ora di sgomento ho sempre creduto necessaria alla Patria.

Noi siamo in una situazione preoccupante e l’Italia è ora più che mai minacciata dai più grandi pericoli.

Non è vero ciò che si pubblica ogni giorno della nostra situazione, che nei giornali si descrive contro la verità, migliorata, anzi cambiata, trasformata da un giorno all’altro. Io so la gravità estrema dell’ora che attraversiamo, e so come non bisogna mentire né sulla situazione economica del Paese, né sulle difficoltà di mantenere la sicurezza e la pace, né su tutto quello che riguarda la nostra vita sociale.

È necessità per noi uscire da questa malinconica situazione con coraggio e con dignità. Non voglio creare imbarazzi al Governo. L’ultima volta ho ancora parlato in difesa del Governo De Gasperi, che pure è lontano dalle mie idee. Oggi noi stiamo facendo le cose più inutili. Abbiamo perduto parecchi giorni a discutere l’ordinamento della stampa, quasi che un ordinamento della stampa si potesse inventare all’ultima ora. È una delle cose più difficili a fare e in cui vi è grande contrasto d’interessi. Abbiamo finito per non farne nulla: soluzione logica, se non elegante.

Ora, qui non ci possiamo concedere questo lusso. Noi ci troviamo di fronte ad un preciso dovere di legge. Noi dobbiamo fare quegli ordinamenti che rendano possibile di far funzionare la Costituzione. Potevamo fare o non fare la legge sulla stampa; dobbiamo per necessità fare la legge sul Senato, se no la Costituzione, mancando il Senato, non funzionerà.

Il nostro compito finirà con il 31 gennaio e non potremo prolungare la vita della Costituente.

Una legge che regoli la formazione del Senato è assolutamente necessaria per la vita costituzionale e non può essere differita. In questa materia non si può andare a furia di ostruzionismo e nemmeno pensare continuamente a fare, secondo il caso, votazioni segrete o per appello nominale. Noi dobbiamo votare il disegno di legge per il collegio uninominale, con tutte le conseguenze che esso apporta, e così nel più breve tempo possibile.

In ogni modo, io sono contrario a qualunque cosa che non ci permetta di arrivare rapidamente a definire questa materia. Non possiamo concederci più proroghe: non abbiamo né il diritto, né la forza, né la possibilità. Dobbiamo presentare la legge al Capo dello Stato, che dovrà promulgarla prima che scada questo termine fatale del 31 gennaio. Dobbiamo farlo inevitabilmente; dobbiamo unirci in questo comune sforzo, dimenticando le nostre reciproche antipatie, che non mancano di avere un certo significato.

Il Ministro dell’interno preparerà, io spero, gli articoli di questo disegno di legge, che occorrono per poter fare le elezioni del Senato. Questi articoli, come ho detto, devono essere brevi e semplici.

La preoccupazione di alcuni democristiani – parliamo sempre in via di sincerità – è che questa forma possa nuocere al loro gruppo ed al loro movimento; io non credo, perché ho sentito da altri che rappresentano i programmi di parte opposta, dire il contrario: molti sono convinti che gioverà ai democristiani. Per me questo non è argomento decisivo, perché giovare o nuocere sono ipotesi più che realtà, nella situazione attuale.

Ma questa incertezza di risultati è tale, che rende noi stessi inquieti e diffidenti.

Votiamo puramente e semplicemente il collegio uninominale.

Se, come spero, si troverà qualche cosa che, mantenendo gli obblighi assunti, concilii le parti opposte, mantenendo ciò che è essenziale, io consentirò volentieri.

In ogni modo, dichiaro che voterò qualunque cosa dia la sicurezza che le elezioni saranno fatte in condizione di validità e che nulla manchi per andare verso le elezioni a collegio uninominale, nei termini che ci siamo proposti.

Non sappiamo che cosa saranno le elezioni. Non credo ai facili presagi; e non possiamo prevedere quali saranno gli avvenimenti dei giorni prossimi, né quale sarà la situazione della finanza.

Si troverà una forma che metta tutti di accordo rispettando gl’impegni assunti? Ciò che si propone non è l’accordo. Sarebbe come dimostrare che l’angolo e il triangolo sono la stessa cosa. La proporzionale sarà sempre cosa diversa dal collegio uninominale. Cercate di trovare la via dell’accordo. Io sono disposto, per quanto poco valga, ad ogni forma di transigenza possibile e decente, dati gli impegni che abbiamo assunti; ma prego gli amici democristiani di non esagerare. Forse in alcuni di essi è la preoccupazione di conquistare e di mantenere una situazione che li spinge all’intransigenza. L’avranno sempre? L’avranno almeno in maggior misura di ora? L’avranno in proporzioni tali da dominare da soli? (Commenti). So che molti di loro si preoccupano di vedere anche quello che può essere per loro il risultato di una certa transigenza.

Non si preoccupino soltanto dei loro sogni di dominio. Da questa avversione di alcuni per il collegio uninominale vedo una preoccupazione: essi pensano che i ballottaggi potranno obbligarli ad accordi con partiti affini, accordi che essi ora non desiderano. Ma sono sicuro che anche nella forma che vogliono, non sia uno svantaggio per essi. Sono sicuro che a queste, che loro credono transazioni, saranno obbligati dalle necessità. Non forzino le posizioni, perché essi stessi potrebbero averne danno. Per parte nostra, credo che in questo momento è nostro compito di aiutare ogni soluzione onesta, con tutta lealtà. In ogni modo troviamo la via, sia pure, se è possibile, transattiva, senza smuoverci dai principî fondamentali; cerchiamo la via per venir presto fuori da questa situazione e per uscir fuori dall’incubo che, attraverso vicende anche inattese, si possa non arrivare alle elezioni, cosa che dobbiamo ad ogni costo evitare (Commenti). Con questo augurio acconsentirete per lo meno ad ascoltare il mio consiglio. Ben presto pubblicherò cose che, senza darmi il lusso di perder tempo a rispondere ad articoli, dimostreranno come da venti anni io ho seguito la stessa via e come nelle ore più difficili ho avuta l’ammirazione dei Capi della Chiesa, ciò che mi metterà per lo meno al sicuro di ogni intrigo e farà finire pettegolezzi ridicoli che sono anche indegni di me e mi darà ancora la vostra simpatia. (Vivi applausi – Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Russo Perez. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Onorevoli colleghi! Io ho definito questa la battaglia contro il Senato, non per il Senato, cioè la battaglia contro quel tipo di Senato che è stato voluto dalla Costituente e che è stato voluto in modo irrevocabile, perché i nostri lavori si sono chiusi al 31 dicembre e la nuova Costituzione è già in vigore.

In questa contesa naturalmente trionferà o il dovere, o l’interesse. Naturalmente non parlo di interessi materiali né di interessi personali. Parlo di interessi di partiti. Qualcuno mi dirà che la tesi opposta è sostenuta nell’interesse del Paese; vedremo se è così.

Innanzitutto, io desidero ritornare ad un punto che non è stato sufficientemente chiarito, cioè i rapporti fra la Commissione per lo studio del disegno di legge ed il Ministro dell’interno, in relazione a quello che è stato chiamato progetto di maggioranza e che io viceversa chiamo progetto della Commissione.

Onorevoli colleghi, ho copiato alcuni passi dei verbali originali delle sedute della Commissione. In quello del 22 dicembre trovo quanto adesso vi leggo:

«Presidente: Riassume la discussione e precisa che si potrà far presente al Ministro dell’interno che la Commissione non ha ritenuto che il progetto presentato risponda al deliberato dell’Assemblea e pertanto chiede che sia integrato da alcuni articoli che più fedelmente rispecchino il principio della deliberazione adottata. Accede quindi alla proposta conciliativa dell’onorevole Fabbri, che ritiene la più adatta».

Quale era la proposta Fabbri? La proposta Fabbri suonava così: «La richiesta della Commissione al Ministro non deve essere intesa come un formale rigetto del disegno di legge, ma come un desiderio di avere un progetto, non già misto, ma puramente a collegio uninominale, per tener fede alla deliberazione adottata in pubbliche sedute».

Quindi, il Presidente accede alla proposta Fabbri e «si assume l’incarico di sollecitare la formulazione di un nuovo progetto che risponda al sistema del collegio uninominale, con le opportune varianti».

Quindi, non c’è dubbio che la Commissione fu del parere che il primo progetto Scelba non rispondesse al voto dell’Assemblea Costituente sul collegio uninominale.

Seduta dell’11 gennaio:

«Presidente. Precisa che nell’ultima riunione non si intese già di rigettare il progetto Scelba, ma di chiedere al Ministro dell’interno l’integrazione del progetto stesso con alcuni articoli che rispecchiassero il principio del collegio uninominale puro».

Dopo di questo, abbiamo la seduta del 13 gennaio ed abbiamo l’ordine del giorno Mazzei, Persico, Dossetti, Lami Starnuti, in cui si dice, cercando di tornare sulle decisioni già più volte prese e confermate, che «la Commissione ritiene che non vi siano pregiudiziali contro il progetto Scelba come base di discussione».

Ebbene, la nostra Commissione rigettò questo ordine del giorno. È chiaro, quindi, onorevoli colleghi, che vi furono diversi tentativi per infirmare il voto della Costituente e della Commissione, ma rimasero tutti infruttuosi. Fummo d’accordo nel ritenere che il progetto Scelba non rispondesse ai criteri del collegio uninominale.

Alcuni trovano che mediante l’applicazione del nostro progetto, cosiddetto di maggioranza, e che è quello della Commissione, si potrebbero avere dei senatori la cui elezione riposasse su una base troppo ristretta, sopra un numero di voti minimo.

Orbene, amici della Assemblea Costituente, quelli che si lamentano di ciò sono coloro che hanno fabbricato i 107 senatori per meriti carcerari o per scambio di cortesie.

Badate, dicendo «meriti carcerari» non intendo affatto sminuire il sacrificio di coloro che sono stati in carcere, il che può rappresentare un martirio; ma il martirio può dare l’aureola e non la capacità.

È inutile che io ritorni su quanto già disse l’onorevole Rubilli ieri: l’Assemblea si espresse in forma inequivocabile in diverse occasioni; e così il 25 settembre, respingendo l’ordine del giorno Perassi; il 7 ottobre, approvando l’ordine del giorno Nitti; il 16 dicembre, respingendo il nuovo ordine del giorno Perassi, il quale tendeva ad ottenere che, mediante una disposizione transitoria, il primo Senato fosse eletto col sistema proporzionale. Alla proposta Perassi fu opposta la pregiudiziale Cevolotto, e questa fu accettata dall’Assemblea, che riconfermò ancora una volta il suo proposito.

Vediamo un po’ adesso che cosa si dice in contrario per sostenere che il sistema proposto dalla maggioranza non risponde ai voti dell’Assemblea. Io ho letto questa mattina un giornale, il cui titolo potete indovinare dal contenuto dell’articolo stesso. L’articolo è intitolato: «Difendiamo la Costituzione». Onorevoli colleghi, si sostiene in questo articolo che il nostro progetto – il progetto della Commissione – esaspera il principio del Collegio uninominale, introducendo il criterio della maggioranza relativa; mentre il secondo sistema, quello della minoranza, si sforza di porre in armonia il Collegio uninominale, deliberato dall’Assemblea in seguito all’approvazione dell’ordine del giorno Nitti, coi principî consacrati dall’articolo 57 della Costituzione. E conclude: «ecco perché la proposta della maggioranza parlamentare, di adottare il sistema uninominale senza correttivo, appare costituzionalmente e politicamente assurda».

Onorevoli colleghi, è stato dimostrato già ieri dall’onorevole Rubilli, con la chiarezza, la precisione e la incisività che gli sono proprie, che è quello della minoranza il sistema che non tiene conto dei voti dell’Assemblea; mentre da lui stesso è stato dimostrato che il sistema proposto da noi non solo tiene conto del voto dell’Assemblea – che l’elezione del Senato debba essere fatta col sistema del Collegio uninominale – ma tiene anche conto del contenuto dell’articolo 57 del nuovo Statuto, nel quale è stabilito che il Senato deve essere eletto a base regionale. Durante i lavori della Commissione ho proposto – e ripropongo ancora con un emendamento all’articolo 18 – che l’elezione avvenga a primo scrutinio, col sistema della maggioranza relativa, così come avviene in Inghilterra.

Questa mia proposta è stata respinta dalla Commissione con lo scarto di un voto: dieci voti contro nove. E allora si cominciò a discutere intorno al problema del quorum. Naturalmente, da parte della minoranza si tendeva ad arrivare ad un quorum così alto, che rendesse impossibile o quasi l’elezione a primo scrutinio e consentisse, quindi, di ritornare al famoso agganciamento, cioè al sistema proporzionale; mentre da parte nostra si cercava di stabilire un quorum minimo, che si avvicinasse al sistema uninominale puro. Ricordo che l’onorevole Fabbri propose il dieci per cento e la proposta fu respinta. Quindi, si votò per il quorum del venticinque per cento: la proposta fu approvata dopo prova e controprova. Però, a questo punto, intervenne l’onorevole Fuschini – della cui tenacia nessuno può dubitare; ricordate come ha difeso la lista nazionale, sembrava Farinata degli Uberti… (Interruzione del deputato Fuschini).

Intervenne, dunque, l’onorevole Fuschini e disse che aveva diritto di votare anche lui. Nessuno si turbò. E allora egli aggiunse che il sistema da noi seguito era un sistema fascista e dinanzi a questa parola tutti si intimidirono, la votazione fu ripetuta e il venticinque per cento non fu accettato.

Finalmente si arrivò al 40 per cento, e a questo punto l’amico onorevole Dossetti sosteneva che si dovesse andare ancora oltre, a furia di tentativi. Ma naturalmente si rispose che il principio di andar oltre reggeva fino al momento in cui non ci fosse una votazione positiva; ma dal momento che questa era intervenuta, si doveva accettare il quaranta per cento.

Allora nacque il problema della coordinazione. Onorevoli colleghi, tra qualche giorno parleremo – e forse aspramente – su questo tema, su questo principio giuridico di coordinare, a proposito dei due Statuti alle prese, quello dell’Assemblea regionale siciliana e quello dello Stato, perché da alcuni per coordinare si intende distruggere uno dei principî in contrasto. Ma questo non è coordinare: coordinare significa stabilire un ordine in modo che i due principî possano reggersi entrambi. E questo dobbiamo fare, a proposito di questa legge per l’elezione del Senato, per ciò che concerne l’ordine del giorno Nitti e l’articolo 57 della Costituzione.

Vi fu poi, un intervento, se ricordo bene del democristiano onorario onorevole Lami Starnuti. Gli domando perdono se in un articolo giornalistico l’ho messo tra i democristiani. Non gli ho fatto offesa, perché la Democrazia cristiana è naturalmente un partito rispettabile, ma ho equivocato. Tuttavia la sua tenacia, le sue finte, i suoi accorgimenti me lo avevano fatto classificare democristiano. (Commenti).

Credo, dunque, che l’onorevole Lami Starnuti, o un altro della Commissione, disse questo: Quando voi vi ponete di fronte all’articolo 57 della Costituzione, nei quale si dice che il Senato deve essere eletto a base regionale, non dovete intendere la Regione nel senso territoriale, dovete intenderla in senso organico.

Ci cominciamo ad avvicinare alle cortine fumogene, come avviene per tutte quelle argomentazioni che ho trovato nel progetto di minoranza. Tra l’altro, io non ho ben capito che cosa significhi «base organica»: quel tale agganciamento agli altri candidati delle altre circoscrizioni significa base organica? La risposta fu a noi molto facile, perché abbiamo detto: quando, per esempio, si stabilisce (e si dovrebbe tornare a questa norma) che il candidato debba essere elettore iscritto nelle liste della Regione è rispettato organicamente il concetto della Regione; quando, per esempio, noi stabiliamo che qualunque Regione, anche se la sua popolazione, calcolando un senatore per ogni 200.000 abitanti, non lo consenta debba avere sempre sei senatori, noi abbiamo rispettato la base organica.

Quindi, allorché noi affermiamo che, con il nostro sistema, i due principî sono entrambi rispettati, noi diciamo una cosa esatta. Dovrebbero ora dimostrarmi, i sostenitori del progetto di minoranza, che essi, scegliendo il principio dell’agganciamento alle altre circoscrizioni, rispettano nel contempo il principio del collegio uninominale. Questo essi non potranno mai dimostralo, perché altrimenti, come ha detto poc’anzi l’onorevole Nitti, avremmo che un triangolo è uguale ad un angolo. Noi avremmo, infatti, un sistema di lista, un sistema nettamente, inequivocabilmente proporzionale.

Io sostengo, intendiamoci bene, il sistema uninominale, non per interesse, ma per principio; noi lo abbiamo sostenuto e lo sosteniamo perché siamo convinti che qualunque persona di modesta cultura ed anche di modesta saggezza abbia facilmente ravvisato un gravissimo pericolo nella moderna partitocrazia.

Ci si viene a dire: Ma si tratta pure di una realtà, con la quale dobbiamo fare i conti, perché questo sistema della proporzionale esiste. Rispondo: Ma quando noi abbiamo un’occasione per poterci almeno parzialmente sganciare da questo sistema, quando noi abbiamo un’occasione per mettere in mostra i valori individuali che hanno disdegnato di imbrancarsi nei partiti, perché dobbiamo trascurare questa occasione?

I sostenitori del progetto di minoranza dicono che, anche con il sistema dell’agganciamento, viene ad essere rispettato il principio del collegio uninominale. Ma io debbo allora essere veramente grato all’onorevole Scelba, il quale ha preferito essere, a questo riguardo, molto più sincero, perché egli ha chiaramente affermato, a pagina 1 della sua relazione, che tale metodo non risponde affatto al concetto del sistema uninominale. Ed io per questo lo ammiro: glielo dico con sincerità.

Dice infatti l’onorevole Scelba, nella sua relazione, a pag. 1: «Si è creduto, scartando ogni altra soluzione, di adottare criteri che appaiono più confacenti ai sistemi elettorali prevalenti in Italia, fondati tutti sul regime dello scrutinio di lista a base proporzionale». E, poco oltre, a pagina 2, lo dice anche più esplicitamente: «Ove siffatta designazione manchi, il meccanismo stesso del sistema escogitato comporta la prevalenza di un logico principio proporzionale, basato sempre sulla circoscrizione uninominale».

Ora, lasciando andare il «logico», in quanto io sono convinto che sia assolutamente illogico il sistema della proporzionale, cerchiamo di andare al fondo della questione. Sinora siamo stati all’apparenza; i nostri argomenti sono stati, diciamo così, alla superficie della nostra questione, e quelli che l’onorevole Mortati ha usato nella sua relazione di minoranza sono, come ho detto poco fa, cortine fumogene, nient’altro che questo. Il pensiero vero è un altro; il pensiero è quello della possibile prevalenza, nel futuro Senato, delle sinistre, con cui io, questa volta, insieme all’onorevole Nitti e all’onorevole Rubilli, sarei d’accordo. Perché deve essere stabilito che hanno sempre ragione gli amici democristiani e sempre torto gli avversari dell’estrema sinistra? È assolutamente escluso che qualche volta possano avere ragione anche loro e che qualche uomo di destra questa ragione possa lealmente riconoscere?

La verità è quella di cui ha parlato don Luigi Sturzo, con l’articolo: «Prospettive rosse a Palazzo Madama»; si teme, cioè, che le sinistre estreme, data la loro innegabile disciplina, riuniscano più facilmente in un blocco solido tutti i loro elettori intorno a un loro candidato, mentre ciò non riuscirebbe a fare nella stessa misura la Democrazia cristiana e tanto meno gli altri partiti, onde si avrebbe una prevalenza dei rossi nel futuro Senato d’Italia.

Orbene, onorevoli colleghi, io credo di arrivare in fondo alla questione, e vi prego di ascoltarmi tutti. Il sistema del collegio uninominale, lo confesso, può portare a questi risultati; ma in funzione di un altro elemento, non da solo; e quest’altro elemento è nelle mani vostre, o amici democratici cristiani. Voi pensate che la Democrazia cristiana, in un primo momento, sdegnosa di contatti, di connubi, e, se mi consentite, superba, a volte troppo…

SCELBA, Ministro dell’interno. Onesta!

RUSSO PEREZ. …sdegni i contatti con altri partiti, sdegni di bloccarsi con altri partiti… (Interruzione del deputato Uberti).

L’argomento è interessante, onorevole Uberti, e io certamente guardo al fondo. E allora, dicevo, evidentemente il sistema sarebbe pericoloso. Ma se noi viceversa ipotizziamo una Democrazia cristiana capace di sacrifici, la quale «blocchi», come «bloccano» gli altri, sin da principio con uomini di destra, oppure, vedendo presentarsi in un determinato collegio un uomo di valore che non appartenga ad alcun partito, rinunci alla propria candidatura e lo appoggi, allora il pericolo non c’è più. E allora il problema è chiaro, amici rispettabilissimi della Democrazia cristiana. Contro la nostra proposta, contro il sistema della maggioranza possono votare tutti coloro che credono che voi non sarete mai capaci di subordinare i vostri interessi di partito agli interessi della Nazione. (Proteste al centro – Interruzione del deputato Cimenti).

Tutti coloro che non vi credono capaci di questo sacrificio, i quali credono che il vostro sia un partito che si può appoggiare, ma non rispettare, possono votare la vostra proposta… (Interruzione del deputato Cimenti).

È proprio questo il punto che vi scotta; se ammettete che siete capaci di questo sacrificio: di sacrificare i vostri interessi di partito agli interessi della Nazione, il collegio uninominale non deve farvi paura. (Commenti al centro – Approvazioni a sinistra).

Onorevoli colleghi dell’Assemblea Costituente, ho messo il dito sulla piaga. Io dichiaro che sono pronto a votare per il progetto di minoranza, ma solamente quando qualcuno della parte democratica cristiana, invece di protestare come fa adesso, mi dica: è vero, tu hai ragione, noi vogliamo restare soli; e, anche se gli interessi della Nazione reclamino che andiamo in compagnia di altri, se anche reclamino che noi appoggiamo i candidati di altri partiti, noi non lo faremo mai. Allora, riconoscendovi incapaci di sacrificio, il sacrificio lo farò io, e voterò per voi. (Applausi a destra e a sinistra – Commenti al centro).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole La Rocca. Ne ha facoltà.

LA ROCCA. Onorevole signor Presidente, onorevoli colleghi, a me pare che sia necessaria una premessa. Noi abbiamo sempre sostenuto il sistema proporzionale; e lo abbiamo sostenuto per ragioni che, in parte, sono citate anche da un uomo che può chiamare il Partito democristiano con una espressione cara ai vecchi asceti, indubbiamente cara alla Santa senese, la sua pianta spirituale: parlo di Don Luigi Sturzo.

Abbiamo sostenuto la proporzionale, perché abbiamo sempre cercato di creare l’organicità dei partiti, perché abbiamo desiderato che la lotta elettorale si svolgesse su una piattaforma, intorno ad un programma, eliminando gli accordi fra cricche, gruppi o conventicole, perché la proporzionale dà modo alle classi lavoratrici di avere la loro giusta rappresentanza. E l’abbiamo sostenuta, anche perché, da democratici conseguenti, sappiamo che la proporzionale assicura una espressione adeguata anche alle piccole minoranze.

E per quale ragione ci siamo indotti a accettare, per la formazione del Senato, il sistema uninominale?

Vado oltre. Nel parlare, mi sento fra umiliato e confuso, perché mi pare che questa discussione praticamente ci faccia perdere del tempo prezioso e rischi anche di mettere noi nelle condizioni di uomini che mancano alla loro parola, che sovrattutto diminuisca e abbassi la dignità dell’Assemblea e il rispetto che dobbiamo a noi stessi. Perché noi siamo qui un po’ come gli esecutori testamentari di noi stessi…

MICHELI, Presidente della Commissione. Non è possibile questo.

LA ROCCA. Sì, onorevole Micheli, è possibile, perché noi qui praticamente siamo un po’ come un seguito, un’appendice dell’Assemblea Costituente, che il 31 dicembre ha concluso i lavori costituzionali, e siamo incaricati unicamente di assolvere il compito che ci è stato dato dal famoso decreto del marzo 1946, con cui si attribuiva all’Assemblea Costituente, oltre l’ufficio di elaborare la nuova Costituzione e di approvare i trattati, quello di elaborare le leggi elettorali per la formazione dei nuovi organi legislativi.

Abbiamo approvata la legge elettorale per la Camera dei deputati: dobbiamo adesso elaborare la legge per l’elezione del Senato. Ma in quali condizioni precise?

Noi non abbiamo la facoltà o la possibilità di tracciare un binario a nostro piacimento, a nostro arbitrio, secondo le nostre tendenze e i nostri gusti. Noi abbiamo un punto fermo, fissato già dall’Assemblea Costituente, un punto fermo che – ripeto – non possiamo mutare a capriccio.

Gioverà forse richiamare all’attenzione dei colleghi alcune circostanze di fatto. La questione sulla quale, in generale, si discute oggi, è stata già innumerevoli volte trattata in quest’Assemblea. In una seduta del settembre (mi pare del 25 settembre) l’onorevole Perassi presentò un ordine del giorno col quale proponeva che la formazione della seconda Camera avvenisse – tanto per intenderci – con una sorta di elezione di secondo grado; cioè che i Consigli regionali eleggessero tre senatori e che il resto dei senatori spettanti a ciascuna Regione venisse nominato da un corpo elettorale speciale, cioè da elettori nominati per l’occasione, dai grandi elettori.

Quest’ordine del giorno non fu votato in prima seduta; e, poi, fu nettamente respinto in una votazione successiva, a scrutinio segreto.

Nel dicembre, si votò un ordine del giorno dell’onorevole Nitti, seguito da un altro dell’onorevole Lami-Starnuti. L’onorevole Nitti proponeva che il Senato venisse eletto a suffragio universale e diretto sulla base del sistema uninominale. E l’ordine del giorno dell’onorevole Nitti fu approvato a scrutinio segreto ed escluse l’esame dell’ordine del giorno Lami-Starnuti, che sosteneva la proporzionale. Inoltre, per la pregiudiziale sollevata dall’onorevole Cevolotto, non poté esser posta in discussione la proposta dell’onorevole Perassi che cercava, per vie indirette, di tornare sulla questione della proporzionale, respinta dall’Assemblea, essendo stato accolto l’ordine del giorno Nitti, il quale stabiliva in maniera inequivocabile che la base dell’elezione del Senato dovesse essere il sistema uninominale.

Cosicché, quando col 31 dicembre si è concluso il vero e proprio lavoro dell’Assemblea come corpo costituente e si sono prorogati i lavori con un mandato preciso: che cioè noi elaborassimo la legge elettorale per il Senato, noi ci siamo trovati e ci troviamo a dover camminare per la via precisamente indicata dall’Assemblea.

E mi si consenta di non ritenere neanche per un istante, che questa Assemblea – che, ripeto, è come un’erede o una esecutrice testamentaria di se stessa per le deliberazioni già approvate – possa divenire materia e argomento per una commedia alla Pirandello, per una commedia che, senza voler diminuire con queste parole l’artista, si dia a ricercare un po’ le pulci sull’ombelico: «Così è, se vi pare», «La signora Morli uno e due», e «Ciascuno a suo modo». Noi ci troviamo di fronte a un deliberato dell’Assemblea, il quale stabilisce che il sistema uninominale è il sistema per la formazione del Senato.

E perché si è venuti a questa conclusione? perché abbiamo aderito a questa conclusione, noi, proporzionalisti, convinti che il sistema proporzionale, se non è l’unico metodo per attuare la democrazia, è stato tuttavia una grande conquista per il popolo italiano, è stato la via per cui la democrazia ha fatto dei passi innanzi nel nostro Paese?

È necessario forse ricordare, onorevoli colleghi, quali sono state le discussioni per l’esistenza e per la formazione della seconda Camera? In fondo, mentre da un lato si tendeva a creare una seconda Camera a traverso elezioni di secondo grado o come integrazione di rappresentanza sotto la specie corporativa, dall’altro lato si è sostenuto che il Senato dovesse sorgere sopra una base elettiva a suffragio universale diretto, perché esprimesse pienamente la volontà popolare. I rappresentanti e gli esponenti delle correnti liberali e i più grandi maestri di diritto hanno intanto sostenuta la tesi che la seconda Camera non doveva né poteva essere un doppione o un duplicato della prima, perché, se il Senato avesse potuto essere la riproduzione della prima, sarebbe stato assolutamente inutile avere due Camere e preferibile volgersi al sistema unicamerale. La seconda Camera non l’abbiamo, certamente, voluta noi, che ci siamo accomodati ad accoglierla, per ragioni esposte a suo tempo.

Il Senato, pure uscendo direttamente dal suffragio universale, come la Camera dei deputati, doveva differenziarsi dalla Camera dei deputati e assolvere al compito di un organo legislativo per un più ponderato esame, per una più matura riflessione nella formazione delle leggi. Questa è stata l’opinione della maggioranza. Si trattava di stabilire i caratteri distintivi fra i due organi, e si è pensato a una diversità nell’elettorato attivo e in quello passivo, si è pensato a un rapporto fra l’ordinamento della Regione e il Senato; si è pensato, sopra tutto, a un diverso modo, a un diverso sistema di elezione del Senato, secondo, del resto, il pensiero dello stesso Cavour. La via di uscita è stato il ritorno al collegio uninominale, il quale consentiva un intimo contatto fra il corpo elettorale e i suoi rappresentanti e la scelta e il vaglio accurato degli uomini: la certezza, cioè, o la presunzione di determinati requisiti di coltura, di capacità, di esperienza, di qualità tecniche nei candidati e negli eletti.

Ecco, in breve, le ragioni del ricorso al sistema uninominale, divenuto, ormai, un impegno solenne per l’Assemblea, che non può rimettere in gioco le sue precedenti decisioni.

Quando la Commissione speciale, nominata dal Presidente, si riunì, e il Governo, nel dicembre, presentò il suo disegno di legge per offrire un materiale ed uno schema alla Commissione, ci trovammo praticamente dinanzi ad un progetto che non rispettava la volontà dell’Assemblea. E in che senso? Nel senso che il progetto del Ministro Scelba partiva dal concetto del sistema uninominale, ma lo abbandonava per via e sboccava direttamente nella proporzionale. Credo non vi sia alcuno fra i colleghi, il quale possa seriamente ed onestamente sostenere che il principio del collegio uninominale, secondo lo schema governativo, trionfi, se si richiede che il candidato, per essere eletto, debba raggiungere la metà più uno dei voti validi – il che, sì e no, potrà valere per un ristretto numero di collegi – e che, ove non si ottenga tale quorum, si applichi, per il computo dei voti e la ripartizione dei seggi, il sistema proporzionale, con il collegamento tra candidati, ecc. Del resto, lo stesso onorevole Ministro riconosce questo innesto della proporzionale sul sistema uninominale, definendo misto lo schema da lui proposto. Ma ha fatto dell’altro, l’onorevole Scelba; partendo dal concetto che per la formazione dei collegi è necessario stabilirne i limiti, dovendo creare questi collegi sulla base del vecchio principio del centro circondariale o mandamentale intorno a cui raccogliere il nucleo della popolazione, e tenendo conto che i vecchi collegi uninominali contenevano sì e no trenta o quarantamila persone, ed oggi la popolazione necessaria per la elezione di un Senatore deve essere di duecentomila, l’onorevole Ministro, nel fissare i termini circoscrizionali, ha adoperato veramente l’ascia ed ha tagliato brutalmente. E quest’ascia, mentre è stata brutale, è stata anche molto occhiuta; e quello che ne è venuto fuori è qualche cosa di molto chiaro, si è cercato di favorire in tutti i modi una determinata corrente, quella democratica cristiana, a spese a danno delle altre correnti. Ma anche di questo, onorevole Ministro dell’interno, avremo modo di occuparci nel proseguo della discussione. E dico ciò solo per far notare che, dato anche il frazionamento territoriale non rispondente alla realtà delle cose e agli interessi di tutte le correnti politiche che debbono essere egualmente rispettate, non avremmo alcuna ragione di appoggiare un tale meccanismo tecnico giuridico, per la formazione del Senato.

Ma, qui, siamo legati dalla precedente decisione dell’Assemblea.

Presidenza del Presidente TERRACINI

LA ROCCA. Per conto mio, ritengo che siamo chiamati ad eseguire un dato lavoro con un preciso mandato, a noi trasferito dall’Assemblea prima del 31 dicembre, perché noi siamo nell’orbita di una proroga di lavori, in genere, ma di determinati lavori, per determinati fini e con un compito che non è dato a noi assolutamente mutare. Ma, a parte questo, quali vantaggi può offrire alla nazione il progetto presentato dall’onorevole Ministro dell’interno? Nella sua relazione l’onorevole Scelba è costretto a sottoporre se stesso ad una autocritica, parlando di anomalie più o meno illogiche, che potremmo cogliere con le molle.

Che vi sia l’innesto della proporzionale sull’uninominale, la relazione lo ammette apertamente. In concreto, avremmo la votazione astratta per un nome, ma ci sarebbe poi una vera lista di partiti, o cioè di candidati collegati fra loro, che, in un secondo momento, non farebbero se non assommare i loro voti, per la formazione dei quozienti e il riparto dei seggi. L’ho già detto.

Né mi occuperò di quello che la minoranza della Commissione ha chiamato correttivo del collegio uninominale, o addirittura un… emendamento dello schema della maggioranza. Se il disegno del Ministro dell’interno ha per lo meno, all’inizio, un’apparenza di rispetto della volontà dell’Assemblea, partendo dal punto che si voti per un nome, e che questo nome abbia la possibilità di emergere dalla lotta ove raggiunga il quorum del 51 per cento, con la proposta della minoranza il sistema uninominale se ne va al diavolo.

Qui non si parte neanche da un presupposto uninominale. Si fa un giuoco di parole, per torcere gli argomenti. I giuristi, senza volerli ingiuriare, potrebbero essere paragonati ai seguaci di quella maga Mab della fantasia shakesperiana, che si dava a cavalcare le nuvole con carrozze e redini fatte di aria tessuta. I giuristi lavorano, molte volte, una pasta lievitata, che si distende e si allarga e si accorcia, a seconda dei casi.

La scuola di Gorgia ci insegna che tutto si può sostenere; che il sole può diventare una cosa che è e non è il sole. Con la tesi speciosa di dover collegare il Senato con l’ordinamento regionale, si tende a seppellire il concetto del sistema uninominale. Ma la «base regionale» fissata nel testo costituzionale è stata ampiamente interpretata dall’Assemblea; ed è stata interpretata nel senso che base regionale non può significare altro se non orbita circoscrizionale, territoriale, nel senso che si debba dare alla votazione per il Senato una espressione regionale, territoriale, e non altro.

Questa interpretazione mi pare sia stata sostenuta dagli onorevoli Perassi e Lussu, che vollero chiamare il Senato «Camera delle Regioni», cioè quella che esprime gli interessi della Regione, tanto che si volevano escludere dalla Camera dei senatori, membri che non appartenessero alla Regione, che non avessero le loro radici nella Regione. Dunque, base regionale è base territoriale. Base regionale significa un’espressione di interessi, che non può avere alcuna ripercussione sul fatto e sul modo di formazione del Senato e sul sistema elettorale da elaborare. E giuocando su questo collegamento tra base regionale e Senato, e dicendo che questo è un inciso del testo costituzionale, che deve prevalere su tutto, si cerca di ridurre a nulla, praticamente, la volontà dell’Assemblea, espressa con l’approvazione dell’ordine del giorno Nitti, che pone il sistema uninominale come base per le elezioni del Senato.

Poiché credo di aver detto l’essenziale, richiamando la volontà dell’Assemblea nell’esaminare e nel risolvere questo delicato problema, e poiché ritengo che non possiamo venire meno a noi stessi, concludo con l’augurio che l’Assemblea, in conformità delle sue deliberazioni, non si discosti dal sistema uninominale, e, in ogni caso, elabori una legge che sia un buono strumento per la creazione del Senato, chiamato con la Camera dei deputati, a dare una nuova impronta democratica alla vita del nostro Paese. (Applausi all’estrema sinistra – Congratulazioni).

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. Signor Presidente, ritengo che siamo arrivati alla fine del dibattito su questo articolo, che riguarda il sistema elettorale del Senato della Repubblica.

Dovremo quindi passare fra poco, dopo aver sentito, se ancora è necessario, l’opinione della Commissione e del Governo, ai voti. Però mi pare che la discussione, che fino ad ora si è svolta, sia realmente servita a qualche cosa.

Prima di tutto mi pare che sia servita a dare rilievo alla importanza della questione. Tutti sentiamo quale importanza ha il fatto che in questo momento dobbiamo decidere del modo come verrà eletto il primo Senato della Repubblica. Questo solo termine impone qualcosa a ciascuno di noi. Tutti sentiamo che sarebbe bene che il voto su questa questione venisse dato in modo che potesse raccogliere una larga maggioranza dell’Assemblea.

Dall’altra parte siamo impegnati da un precedente voto dato dalla stessa nostra Assemblea. Vogliamo conciliare queste due esigenze. Mi pare di aver raccolto questa impressione, che da parecchie parti dell’Assemblea si vorrebbe trovare una conciliazione in queste due esigenze. In questo senso mi pare si sia espresso l’onorevole Nitti, ed anche altri colleghi si siano pronunciati. Mi sembra che questo desiderio sia un desiderio legittimo. Possiamo arrivare ad una simile soluzione? Secondo me non è escluso che possiamo arrivarci. Avremmo bisogno però ancora, signor Presidente – e questa proposta io faccio – che lei ci concedesse alcune ore, fino a domattina, o a domani pomeriggio al massimo, perché potessimo iniziare qualche contatto fra i differenti Gruppi dell’Assemblea, fra i maggiori beninteso, per vedere se si possa trovare una soluzione concordata. Onorevoli colleghi, non vi è nessuna intenzione dilatoria nella proposta che io faccio. Siamo al 21 gennaio; siederemo fino al 31 gennaio. In dieci giorni, se ne abbiano l’intenzione, abbiamo tutto il tempo di dare quanti voti vogliamo su tesi contrapposte e di discutere a lungo. Ma a proposito di questa questione, mi pare che se riuscissimo, attraverso contatti tra i vari Gruppi dell’Assemblea, a trovare una linea di accordo ed una possibilità di intesa, la cosa sarebbe favorevole non soltanto al prestigio dell’Assemblea, ma anche al prestigio di quel Senato della Repubblica, che sarà eletto secondo il sistema che approveremo stasera, domani o posdomani al massimo. La proposta è che ci si consenta alcune ore di sospensione, fino a domattina o a domani pomeriggio, per cercare di stabilire dei contatti fra i maggiori Gruppi, allo scopo di cercare di trovare una linea comune di uscita dalla situazione nella quale ora ci troviamo. (Commenti).

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Signor Presidente, ho l’impressione che l’onorevole Togliatti si faccia delle illusioni. Intendiamoci, non sulla buona volontà che ci possa essere per trovare una via di conciliazione, ma sulla conciliabilità della questione stessa, in quanto, come giustamente ha dimostrato l’onorevole Nitti, e come è stato detto anche da altri oratori prima e dopo di lui, il problema è molto semplice: collegio uninominale o non collegio uninominale. Quindi, è un po’ difficile conciliare il collegio uninominale con una qualunque formula che sia una sua negazione.

Questa è una questione di merito. Credo quindi che, purtroppo, una soluzione che possa risolvere l’esigenza degli uninominalisti e dei non uninominalisti, sia un po’ difficile a trovarsi, per non dire impossibile.

Ad ogni modo, rivolgerei una preghiera al Presidente: se l’Assemblea ritenesse di dover accogliere la richiesta dell’onorevole Togliatti e di vari deputati per cercare quest’araba fenice, che credo non esista, lo pregherei di voler rimandare il voto, salva la discussione che può continuare, a dopodomani. Questo perché so che parecchi deputati hanno rimandato a domani impegni di una certa importanza, appunto per partecipare oggi a questo voto, e so che si troverebbero in difficoltà a rimandarli.

Quindi, visto che questo non impedirebbe lo sviluppo della discussione su questo articolo, pregherei il Presidente di rimandare il voto all’inizio della seduta di venerdì.

NENNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NENNI. Onorevoli colleghi, mi associo anch’io, a nome del Gruppo socialista, alla richiesta fatta dal collega onorevole Togliatti, per due considerazioni. La prima – che è fondamentale – è che la questione, che è stata risollevata dall’Assemblea, è di un’importanza tale che merita che noi facciamo tutti gli sforzi per arrivare ad una soluzione di onesto compromesso. La seconda è che noi del Gruppo socialista ci siamo trovati in questi giorni, ci troviamo ancora oggi, e forse ancora domani e dopodomani, nella necessità di non partecipare intensamente al dibattito. La vita dei partiti fa parte ormai della vita democratica del Paese e non è una esigenza esorbitante quella dei partiti che chiedono che si tenga conto di alcune loro esigenze. Noi non abbiamo avanzato la richiesta che si sospendessero i lavori dell’Assemblea, come si è fatto per altri congressi, semplicemente perché sappiamo che vi è un termine – il 31 gennaio – dal quale non possiamo prescindere.

Quindi, sia per il merito di questa questione, sia per alcune esigenze connaturate al fatto che in questo momento è riunito il congresso di uno dei partiti più importanti di questa Assemblea, io mi associo interamente alla richiesta del collega onorevole Togliatti ed esprimo il desiderio che, se possibile, sia lasciata la giornata di domani a questi contatti fra i vari Gruppi parlamentari e che si acceda anche alla richiesta dell’onorevole Lucifero di rinviare, a venerdì nel pomeriggio, il voto.

PICCIONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PICCIONI. Io non disconosco l’opportunità della proposta di una breve sospensione dei lavori relativamente al problema che noi stiamo oggi discutendo, e lo riconosco precisamente per quei motivi accennati dall’onorevole Togliatti, e che si ricollegano con l’opinione di altri colleghi che hanno parlato precedentemente, cioè di esaminare, tra i rappresentanti dei vari Gruppi parlamentari, quali possibilità vi siano per trovare una linea di convergenza che raccolga il maggior numero di consensi possibile.

Non credo che il problema si debba porre nel modo così risolutivo e schematico adottato dall’onorevole Lucifero: che si tratti cioè di collegio uninominale o di non collegio uninominale.

Io mi permetto di osservare che non v’è un criterio assoluto che fissi il principio del collegio uninominale in un modo soltanto. V’è, forse, nello spirito e nel concetto di alcuni dei colleghi di questa Assemblea, specialmente dei più anziani, che si ricollegano a quel tipo di collegio uninominale sperimentato per molti anni in Italia, ma nessuno può dimostrare che quello soltanto possa essere il tipo di realizzazione del principio uninominalistico.

Noi ci proponiamo, attraverso il progetto di minoranza, di dimostrare perfettamente il contrario, cioè di dimostrare che non v’è una barriera assoluta di fronte ad una diversa applicazione del principio uninominalistico e che non è esatto che tale applicazione si realizzi soltanto con quel certo tipo di collegio uninominale a cui alcuni colleghi, specialmente tra i più anziani, si riferiscono. Quindi non v’è nulla di straordinario nel fatto che la cosa si possa ridiscutere tra i capi dei Gruppi parlamentari, cioè che si possa ridiscutere su un nuovo sistema che, tenendo conto del voto dell’Assemblea già espresso sull’ordine del giorno dell’onorevole Nitti, tenga anche conto di una interpretazione di quell’ordine del giorno comprensiva delle successive determinazioni della stessa Assemblea, e di quel principio rispetto anche ad una certa possibilità di coordinamento della seconda Camera rispetto alla prima.

E, se mi è consentito dall’onorevole Presidente, a questo proposito vorrei dire all’onorevole La Rocca, che ha parlato tanto di contraddizioni, di soffermarsi un momento a considerare una maggiore contraddizione nel suo atteggiamento ed in quello dei colleghi del suo Gruppo in riferimento alle discussioni che sono avvenute, laboriosissime, in seno alla seconda Sottocommissione, quando si parlò della seconda Camera.

Se non erro, il principio fondamentale, sul quale basavano tutta la loro azione i colleghi comunisti in particolare, era che la seconda Camera non dovesse in nessun modo contradire la espressione politica ed il peso politico della prima Camera.

Ora, quando attraverso una seconda Camera, basata in modo esclusivistico su un concetto uninominalistico, così rigido come quello che è stato espresso fin qui, si può arrivare a questa conclusione, che la rappresentanza politica della seconda Camera può essere diversa, come peso specifico, da quella della prima Camera, evidentemente questa, onorevole La Rocca, è quella contraddizione che voi volevate evitare e per la quale vi siete sempre battuti quando si è parlato del modo di formazione della seconda Camera. È una contraddizione stridente che potrebbe pesare sulla funzionalità di tutto il sistema democratico della nuova Repubblica. E credete pure che la preoccupazione massima nostra rispetto al progetto della minoranza, ha questa giustificazione e questo fondamento: di non far sì che la seconda Camera contraddica politicamente quella che è l’espressione politica della prima rendendo estremamente difficile la funzionalità di tutto il nuovo sistema democratico.

Detto questo, mi pare che si possa consentire alla richiesta fatta dall’onorevole Togliatti per una sospensione. Non vorrei però, onorevole Presidente, che si esagerasse a questo riguardo, perché i giorni passano veloci, il termine per la conclusione dei nostri lavori si avvicina rapidamente, vi sono altri argomenti da discutere, dopo la discussione analitica, che pure bisogna fare, qualunque sia il risultato del tentativo d’accordo, sui vari articoli della legge, e quindi si richiede una certa intensità di lavoro anche da parte dell’Assemblea Costituente.

All’onorevole Nenni osservo che il Partito socialista non ha posto nessuna richiesta specifica di sospensione dei lavori in riferimento al suo Congresso. L’onorevole Presidente faccia pure tutto quello che è possibile: se vi fosse stata una richiesta specifica, non saremmo stati noi, evidentemente, a contestare questa riconosciuta esigenza democratica della funzionalità di un congresso del Partito socialista italiano.

Concludo dicendo che sono d’accordo sulla sospensione e sarei d’accordo che la sospensione si limitasse alla seduta di oggi e a quella di domattina, ma che domani pomeriggio si riprendesse il nostro lavoro per portarlo ad una conclusione. (Applausi al centro).

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Mi sono permesso di chiedere la parola nell’opinione – che può essere anche errata – della possibilità che l’interpretazione data dall’onorevole Piccioni alla proposta dell’onorevole Togliatti, alla quale si è associato anche il mio Gruppo, potesse avere l’effetto di creare qualche equivoco in materia.

Io sono sicuro di interpretare il pensiero dell’onorevole Togliatti e dell’onorevole Nenni nel ritenere che né l’uno né l’altro sono partiti dal proposito di ricercare una forma nuova di collegio uninominale, perché questo proposito (avrebbe molto ragione di dire l’onorevole Lucifero) è un proposito probabilmente irraggiungibile.

Mi pare che l’onorevole Piccioni, riferendosi alla proposta della minoranza, abbia voluto sostenere che anche in esecuzione dell’ordine del giorno Nitti votato dall’Assemblea Costituente si può trovare una forma di votazione che corrisponda, più o meno, ad un sistema proporzionale invece che uninominale.

Ora, senza volere in nessun modo entrare nel vivo della quistione dico, remissivamente (anzi lo dico senza remissività, tanto sono convinto di dire bene): di sistemi elettorali indicati come sistema del collegio uninominale non ve n’è mai stato che uno e non ve ne può essere che uno (Commenti al centro). Elezione col sistema uninominale vuol dire elezione a cui si addiviene facendo scegliere ad ogni circoscrizione un suo rappresentante. Con tale sistema si elegge un cittadino a rappresentare un determinato collegio. (Commenti).

UBERTI. E il progetto Targetti?

TARGETTI. L’onorevole Uberti, pur di avere la soddisfazione di interrompere, si rassegna anche alla mortificazione di dire cose che egli sa benissimo non esser vere. Ho avuto infatti più volte occasione di dirgli e ripetergli in conversazioni amichevoli che quel progetto non è mio. È di un altro Targetti, a me, certamente, non sconosciuto, anzi molto caro. Ma il progetto, appunto perché suo, non è mio! L’amico Uberti lo sapeva quanto me ma, pur di interrompere, ha dovuto far finta di non saperlo. È un gusto come un altro.

Concludo rapidamente. Mentre noi dunque siamo convinti che non si possa adottare alcun sistema per la votazione del Senato che non risponda ai criteri del sistema del collegio uninominale, siamo però del parere che sia possibile trovare una. via di intesa. L’Assemblea Costituente non può non riconoscere di essere vincolata da ripetute dichiarazioni che le farebbero obbligo di battere una determinata via. Questo non toglie che si possa realizzare un accordo, qualora si sia tutti convinti dell’opportunità di battere una via eventualmente intermedia ma non certamente opposta a quella tracciata. (Commenti).

MAZZEI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAZZEI. Onorevoli colleghi, io non vi nascondo che questo tentativo molto tardivo di conciliazione di tesi contrastanti, che noi abbiamo discusso in Commissione per numerosissime sedute, mi sembra un tentativo il quale, ove non celi qualche altra cosa di diverso da ciò che sembra di voler essere, è destinato fatalmente a fallire.

Già lo stesso discorso or ora pronunciato dall’onorevole Targetti, il quale avrebbe voluto essere di chiarimento, non è valso a chiarire nulla. L’onorevole Targetti ha detto infatti: noi vogliamo il collegio uninominale tradizionale, ma tuttavia riteniamo anche che, se riusciremo a trovare un accordo generale e ad affermare unanimemente che non se ne debba far niente, che si debba scegliere un’altra via, tutto allora sarà possibile.

Ma questo noi sapevamo già, onorevole Targetti, perché noi sappiamo bene come un ordine del giorno non impegni l’Assemblea e come l’Assemblea sia quindi liberissima di prendere qualunque altra risoluzione. (Vivi commenti). Ed aggiungo anche quest’altra considerazione, che quando si è parlato della tesi proposta dalla minoranza della Commissione, si è ritenuto, da più parti, di muovere aspra critica alla minoranza stessa per il fatto che essa aveva proposto un sistema ibrido, quasi un innesto dell’esigenza proporzionale nel sistema opposto del cosiddetto collegio uninominale, con la conseguenza che la sostanza di quest’ultimo sistema finirebbe per risultare sacrificata. Ma, in realtà, operare un innesto su di un albero, non significa abbattere l’albero né sostituirlo con altro.

E di questo, qui, appunto si tratta: di conciliare la tesi uninominalistica con l’esigenza posta dalla minoranza della Commissione, di coordinare il sistema elettorale scelto per il Senato con il principio fissato nella Costituzione, secondo la quale il Senato è a base regionale. Ma allora è chiaro che, ove noi una via di conciliazione dovessimo veramente trovare, questa via non potremmo ricercarla se non sulla base della soluzione proposta dal progetto di minoranza.

Noi possiamo trattare, onorevoli colleghi, per quanto tempo vorremo, ma una sola è la via di conciliazione possibile, quella mediana fra le due opposte tendenze, del collegio uninominale tradizionale e del puro sistema proporzionale.

PRESIDENTE. Abbiamo, dunque, onorevoli colleghi, una proposta dell’onorevole Togliatti, di rinviare la decisione a domani affinché sia data alle parti contrapposte qualche possibilità di avvicinamento.

L’onorevole Nenni ha suffragato questa richiesta allargandola con la motivazione del desiderio vivo e comprensibile dei deputati socialisti di poter presenziare ai lavori del loro Congresso senza per questo disertare le nostre sedute.

L’onorevole Lucifero ha fatto presente una richiesta analoga per una riunione, alla qual pare siano interessati numerosi colleghi del suo Gruppo. Desidera, quindi, anche egli il rinvio, ma vorrebbe che avesse un termine un po’ più lungo di quello indicato dall’onorevole Togliatti.

Infine l’onorevole Piccioni non si oppone a questa richiesta, ma ammonisce di non perdere tempo.

Per risolvere la questione complessa si potrebbe forse fare così: togliere la seduta – e questo sta nelle richieste di tutti coloro che hanno parlato – rinviando la discussione a domani per l’esame di tutti quegli articoli del disegno di legge i quali non toccano neppure indirettamente la questione sulla quale occorre votare e concludere, e cioè gli articoli 10, 11 16, 17, 23, 24, 25, 26, 27, 28. Abbiamo da alimentare certamente due sedute. (Commenti).

GULLO FAUSTO, Relatore per la maggioranza. Non credo.

PRESIDENTE. Onorevole Gullo, perché no?

GULLO FAUSTO, Relatore per la maggioranza. Perché questi articoli non sollevano contrasti.

PRESIDENTE. Tanto meglio, onorevole Gullo. Vuol dire che le due sedute, forse, si ridurranno ad una o saranno due brevi sedute. Siccome questi articoli bisognerà pure esaminarli, non capisco perché dovremmo attendere per far ciò la conclusione della questione fondamentale, e cioè preventivare nel nostro lavoro almeno ancora una seduta successiva.

Siccome io penso che le richieste dell’onorevole Nenni e dell’onorevole Lucifero siano tanto degne di considerazione quanto quella fatta dall’onorevole Togliatti, ritengo che vi possa venire incontro appunto così. Venerdì mattina noi ci ritroveremo – accordo concluso o non concluso – per affrontare la decisione della questione controversa. Se, intanto, domani avremo sgomberato il terreno di tutto il resto, venerdì potremo concludere sulla questione fondamentale; e allora, avremmo finito il nostro lavoro, salvo le Tabelle.

MICHELI, Presidente della Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI, Presidente della Commissione. La Commissione aderisce alla proposta di rinvio e sarà lieta dì poter cooperare a questo studio per l’accordo auspicato, se esso sarà possibile.

Quanto alla proposta ultima fatta dall’onorevole Presidente, la Commissione ritiene che gli articoli che si possono esaminare senza entrare nel groviglio della discussione sulla contestazione principale siano pochi; e ritiene che si possano esaminare nella seduta pomeridiana di domani. Perché se li discutiamo domani mattina può darsi che ci troviamo ad avere esaurito gli argomenti troppo rapidamente facendo mancare poi quelli per la seduta pomeridiana. In essa esamineremo tutti gli articoli che chiamerei indifferenti, e se per combinazione ci incontreremo in qualcuno che ci riporti alla discussione principale lo accantoneremo.

In questo senso la Commissione aderisce alla proposta dell’onorevole Presidente.

REALE VITO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

REALE VITO. A completamento della proposta dell’onorevole Togliatti vorrei pregare l’onorevole Presidente di convocare nel suo gabinetto gli esponenti dei vari Gruppi per le trattative; diversamente si corre il rischio di sospendere i lavori senza che una fase di compromesso si sia neppure iniziata.

PRESIDENTE. Sta bene. Onorevoli colleghi, prendendo nota e buona considerazione della proposta dell’onorevole Reale Vito, credo che possiamo restare intesi così: rinviamo la seduta al pomeriggio di domani, per l’esame degli articoli non controversi; se questo esame sarà esaurito domani, venerdì mattina terremo seduta per la definizione delle questioni più fondamentali.

PICCIONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PICCIONI. Vorrei fare osservare che, se domani nel pomeriggio la seduta dell’Assemblea sarà dedicata alla conclusione della discussione attuale, i contatti fra i partiti per vedere di trattare una linea d’intesa potrebbero essere condotti ed esauriti nella mattinata di domani. E allora non mi spiego l’inversione dei lavori dell’Assemblea. Mentre sarebbe molto più logico che si esaurisse domani la questione principale e si passasse dopodomani all’esame degli altri articoli.

Quindi io proporrei di sospendere ora la seduta, anche per aver modo di scambiare questa sera stessa le nostre idee e di proseguire nelle intese domattina; e poi di riprendere la discussione nel pomeriggio di domani al punto in cui è stata lasciata oggi. (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Piccioni, la proposta che ho presentato, e che mi pareva fosse stata accettata, salvo la correzione dell’onorevole Micheli, voleva tener conto non solo delle esigenze dei nostri lavori, ma anche dell’onesto desiderio dei colleghi di due Gruppi, i quali nella giornata di domani sarebbero forse posti in imbarazzo per venire a votare; e proprio perché si tratta di una votazione importante, io vorrei che togliessimo dalla strada di tutti i nostri colleghi anche i più piccoli ostacoli materiali o di coscienza che potrebbero impedire il compimento del loro dovere.

Per questa ragione è stato proposto che la discussione iniziata oggi prosegua venerdì. E non vedo motivi di principio che siano di ostacolo.

PICCIONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PICCIONI. Mi permetto di insistere nella mia proposta prospettando due eventualità: la prima, che si raggiunga un accordo d’importanza notevole, e, se l’accordo sarà raggiunto, evidentemente l’importanza della votazione effettiva viene diminuita e non si può con ciò mettere in imbarazzo alcun collega di un Gruppo o di un altro.

In secondo luogo, se l’accordo non potesse essere raggiunto, evidentemente domani nel pomeriggio la discussione deve continuare sullo stesso argomento e dovrà continuare in maniera ancor più chiarificatrice, se possibile – attraverso l’intervento dei relatori – di quello che non si sia fin qui fatto.

Se, per ragioni particolari riguardanti qualche Gruppo, dall’Assemblea si dovesse vedere che all’atto in cui si chiede un voto altri colleghi o Gruppi fossero impegnati, allora si potrebbe rinviare all’indomani mattina. Ma a me sembra che proprio l’inversione degli articoli della legge non sia opportuna rispetto alla necessità di esaurire la discussione che abbiamo intrapresa.

PRESIDENTE. Onorevole Piccioni, mi permetta che le confessi che non vedo assolutamente le ragioni di questa sua insistenza. O vi è una ragione di principio, e allora è meglio dirla affinché (anche se altri colleghi l’hanno compresa) io, che non la comprendo, la possa comprendere; o l’unica preoccupazione che ella ha – e che è da me condivisa – è quella di non sprecare tempo inutilmente, e allora la proposta potrebbe essere accettata.

E aggiungo che, anche se una formula concordata si redigerà, possiamo pensare che su di essa non sia facile ottenere l’unanimità dei consensi. Ci saranno forse alcuni che non accetteranno, e a questi nostri colleghi non dobbiamo impedire di venire a esporre il loro pensiero e dare il loro voto.

PICCIONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PICCIONI. La questione di principio, se mi consente… (Commenti – Interruzioni).

Vuole sapere la ragione di principio che mi ha indotto a fare queste insistenti proposte? È questa: che se si può considerare l’opportunità di una inversione quando si discute un disegno di legge, mi pare che la inversione dell’inversione complichi le cose. Poiché abbiamo affrontato questo argomento, che d’altra parte è pregiudiziale agli altri e fondamentale, mi sembrerebbe opportuno che esso fosse esaurito, senza ritornare di nuovo o indietro o andare avanti affrontando altri argomenti. Ché, una volta accettata, bisogna mantenere questa inversione e concluderla in qualche modo.

Questo è il concetto che ha ispirato le mie proposte.

LCGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LCGONI. Se domani mattina si trova la strada di un componimento, nel pomeriggio di domani si affronteranno i temi secondo l’ordine del progetto.

Se non si arriva al componimento, saremo noi stessi di comune accordo a pregare il Presidente di fare una inversione. Credo che questa soluzione possa tranquillizzare anche i colleghi ora non presenti. È evidente che, se l’accordo si raggiunge, essi possono tranquillamente restare assenti. Insomma, amichevolmente, domani mattina ci metteremo d’accordo fra noi e all’inizio della seduta pomeridiana prospetteremo la risoluzione migliore all’onorevole Presidente.

PRESIDENTE. È evidente che, fissando l’ordine del giorno per la seduta di domani, noi non vi indichiamo gli articoli che esamineremo. Questo è pacifico. Ma è anche evidente che i colleghi che hanno impegni di partito devono conoscere fin da ora gli argomenti che saranno trattati nella seduta di domani, in modo da disporre del loro tempo. Si può anche decidere di non tenere sedute domani. (Commenti al centro e a destra).

Visto che la questione è tanto controversa, risolviamola allora con una votazione.

GRONCHI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRONCHI. Per non prolungare inutilmente una discussione che finirebbe per innervosire l’Assemblea, noi saremmo disposti a rinunciare, d’accordo anche con il collega Piccioni, alla posizione presa per la quale domani si dovrebbe continuare senz’altra interpolazione la discussione sul punto più appassionante, purché però si rimanesse altrettanto chiaramente d’intesa che la questione sarà discussa e votata nella giornata di venerdì, che cioè non vi sarà alcuna altra ragione di congressi o di riunioni che ci induca a rinviare ancora una volta la conclusione della discussione.

PRESIDENTE. Onorevole Gronchi, credo di poter assumere questo impegno. Le do assicurazione che venerdì non saranno più ammessi o concessi rinvii. Nelle sedute di venerdì affronteremo le questioni fondamentali e le porteremo a conclusione.

Per intanto preciso che venerdì mattina, riprendendo la discussione al punto in cui oggi è sospesa, non darò più la parola ad alcuno per partecipare alla discussione generale, perché non v’è più alcun iscritto. Se infatti questa sera non fosse stato deciso il rinvio, avrebbero parlato i relatori e il Ministro, quindi si sarebbe passati alle votazioni. Pertanto venerdì parleranno i relatori e il Ministro; poi si voterà. Se vi saranno emendamenti, è evidente che essi saranno svolti, prima di essere posti ai voti; ma non si farà più discussione generale.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Esprimo il mio scetticismo. Se da questi contatti venisse fuori il miracolo del collegio uninominale plurinominale ci troveremmo di fronte a un fatto nuovo. Si tratterebbe di una proposta nuova, perché nessuna delle proposte fatte finora concilia i due sistemi; e quindi ci riserviamo il diritto di discuterla, perché sarebbe una proposta che non conosciamo.

PRESIDENTE. Il modo migliore di discutere di una formulazione è quello di presentarvi emendamenti, parlando a sostegno di essi. Ho voluto dire che non riapriremo una discussione del tipo di quella che si è fatta ieri e quest’oggi.

LUCIFERO. Sempre con il diritto di poter dire perché si è contrari.

PRESIDENTE. Se non vi sono altre osservazioni, resta stabilito che la discussione è rinviata alle ore 17 di domani per l’esame degli articoli del progetto che non investono questioni fondamentali.

(Così rimane stabilito).

Avverto che gli articoli che saranno presi in esame domani sono – a mio avviso – i seguenti: 10, 16, 17, 23, 24-bis, 25, 25-bis, 26, 27-bis, 27-ter e 28.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

RICCIO, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro del tesoro, per conoscere quali provvedimenti intendono adottare per mettere le Commissioni mediche per le pensioni di guerra in condizioni di dare effettivo corso alle visite mediche disposte dalla Direzione generale pensioni di guerra.

«Risulta all’interrogante che talune Commissioni mediche ricevono disposizioni per un migliaio, in media, di visite mediche mensili, mentre con l’attuale organico le Commissioni stesse non sono in grado di eseguirne più di cinquecento-seicento al mese.

«Nel dare atto del relativo miglioramento ottenuto recentemente nei servizi presso la Direzione generale delle pensioni di guerra, l’interrogante richiama tutta l’attenzione del Ministero sulla penosa situazione in cui si trova un numero enorme di ex militari – non pochi dei quali ospedalizzati – in attesa ansiosa dell’invito alla prescritta visita medica; servizio anche questo che va migliorato senza ulteriore indugio.

«Con la citazione di tre casi, presi fra tanti, si avrà la misura della gravità della situazione: pratica di pensione diretta (N.G.), posizione 270770, classe 1923, visita medica a Venezia disposta da Roma il 4 giugno 1947; posizione n. 260410, classe 1921, disposta dall’11 aprile 1947; posizione n. 201064/71425, classe 1924, disposta dall’11 marzo 1947, visite mediche che – a metà gennaio 1948 – gli interessati attendono ancora (meno il primo, ormai deceduto all’Ospedale Marino di Jesolo, Venezia). (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Ghidetti».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri del lavoro e previdenza sociale e dell’interno, per sapere quali provvedimenti intendano attuare al fine di alleviare la situazione dei 4500 tubercolotici italiani, che – pur avendo una forma aperta in atto – non possono essere ricoverati per mancanza di letti e sono quindi abbandonati senza possibilità alcuna di procurarsi i mezzi necessari alla vita; e se credono necessario che a questi ammalati in attesa di ricovero, venga versata dal momento del riconoscimento dell’infermità una somma almeno eguale alla diaria di degenza ed assicurata la possibilità di ottenere i medicinali indispensabili. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Vigorelli».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dell’industria e commercio e dei lavori pubblici, per conoscere se, allo scopo di venire incontro ai lavoratori minacciati di licenziamento dalle miniere, in seguito alla grave crisi delle industrie lignitifere, non si ritenga opportuno disporre lavori di pubblica utilità da eseguirsi in via di urgenza nelle zone minerarie delle provincie interessate, per occupare i licenziati stessi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Monticelli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere se non intenda, in riconoscimento dei servizi resi dai pensionati negli uffici, nelle officine, nei campi e nelle miniere, ed in considerazione della miseria che essi soffrono per le insufficienti pensioni percepite, rivedere le loro situazione, corrispondendo la doppia mensilità e perequando le pensioni al costo reale della vita. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Monticelli»

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro degli affari esteri, per conoscere se hanno notizia del nuovo progetto di legge sulla nazionalità degli abitanti di Briga e Tenda predisposto dal Governo francese, e quali passi in relazione ad esso abbiano compiuto ed intendano compiere per garantire alle popolazioni italiane di Briga e di Tenda, trasferite dalla forza di un Trattato alla Francia, il rispetto assoluto e doveroso del diritto di opzione a favore della cittadinanza italiana contro ogni limitazione, che non sia espressamente prevista dal Trattato di pace.

«In particolare se non ravvisino manifeste violazioni nella norma di detto progetto, che indica Briga e Tenda come «territori riuniti alla Francia», con l’evidente tentativo di costituire un presupposto storico privo di qualsiasi fondamento, trattandosi di territori italiani che non sono mai appartenuti alla Repubblica francese; e nell’altra, con cui in sostanza si viene a determinare che gli abitanti delle due zone, che parlano tanto l’italiano che il francese, siano esclusi dalla facoltà di rinunciare alla cittadinanza francese, mentre tale facoltà avrebbero soltanto quelli la cui lingua essenziale è l’italiana.

«Se infine non ritengano urgente, allo scopo di ottenere una modifica o quanto meno un temperamento della norma che impone a chi rifiuta la nazionalità francese di abbandonare effettivamente i territori della Repubblica, di iniziare trattative diplomatiche prima che il parlamento francese approvi l’anzidetto progetto di legge. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Villabruna».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno trasmesse ai Ministri competenti, per la risposta scritta.

La seduta termina alle 18.50.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 17:

Seguito della discussione del disegno di legge:

Norme per l’elezione del Senato della Repubblica. (61).

POMERIDIANA DI MARTEDÌ 20 GENNAIO 1948

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCLVI.

SEDUTA POMERIDIANA DI MARTEDÌ 20 GENNAIO 1948

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Per la morte del generale Ernesto Coop:

Boldrini

Bencivenga

Chatrian

Rubilli

Persico

Cevolotto

Macrelli

Cianca

Scelba, Ministro dell’interno

Votazione a scrutinio segreto del disegno di legge:

Disposizioni sulla stampa (15).

Presidente

Risultato della votazione a scrutinio segreto:

Presidente

Disegno di legge (Seguito ella discussione):

Norme per l’elezione del Senato della Repubblica (61).

Presidente

Rubilli

Stampacchia

Micheli, Presidente della Commissione

Scoccimarro

La Rocca

Dossetti

Scelba, Ministro dell’interno

Gullo Fausto, Relatore per la maggioranza

Mastino Pietro

Cevolotto

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

MAZZA, ff. Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Per la morte del generale Ernesto Coop.

BOLDRINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOLDRINI. Ho chiesto la parola per commemorare il generale Coop, caduto in un incidente che ha sollevato nel Paese costernazione e sdegno.

Credo sia doveroso, da parte dell’Assemblea Costituente, ricordare un cittadino che ha dato la parte migliore di se stesso al proprio Paese, che ha saputo lottare per le proprie idee, non dimentico che in tempi difficili l’idea la si sostiene sacrificando la propria carriera. Il generale Coop, uomo dedito agli studi, portò nel campo dell’aeronautica tutta la sua passione di studioso e di militare, dopo aver superato brillantemente la scuola della marina, dalla quale proveniva. Quando nella aeronautica, nel 1933, come nelle altre forze armate, ma in modo più accentuato e deciso, i fascisti iniziarono la loro politica di corruzione per agganciare le più alte gerarchie militari al carro del fascismo, l’allora colonnello Coop si schierò con il generale De Pinedo contro i carrieristi ed i fascisti, capeggiati da Balbo.

Con tale presa di posizione mise a duro repentaglio tutta la sua carriera militare. La vita del tecnico, dello studioso, dell’appassionato, divenne estremamente difficile: venne allontanato dall’aeronautica e dal 1933 al 1940 conobbe le ristrettezze economiche, il disprezzo di molti colleghi, l’amarezza delle ingiustizie. Nel 1940 fu richiamato in servizio militare, ma mantenne un contegno di decisa opposizione alla guerra fascista. Durante la guerra di liberazione, fu oppositore accanito contro i tedeschi e contro le risorte bande del fascismo.

Nel 1945 gli fu riconosciuto il diritto di ricostruire la carriera militare e perciò venne promosso generale di brigata. In questi giorni è morto per opera di alcuni elementi, che dovrebbero servire lo Stato democratico, e quindi avere per prima cura il rispetto dei diritti del cittadino, così solennemente sanciti dalla Carta costituzionale.

Non può quest’ultima tragedia non sollevare lo sdegno di noi e di tutti.

Gli informatori già al servizio della polizia fascista continuano ad essere gli informatori della polizia dello Stato democratico italiano. Organi della polizia agiscono senza mandato della Magistratura o con un tacito accordo della stessa. Si ignora l’articolo 14 della Costituzione a danno di un alto ufficiale. (Commenti al centro). Ma, allora, cosa sarà dei cittadini comuni? Si adoperano sistemi che ricordano perfino altri tempi, come se la democrazia fosse una vuota parola ed il diritto dei cittadini uno specchietto per gli ingenui.

Signori, ricordiamo il generale Coop. Sia la sua tragica morte un solenne monito per chi ha la responsabilità del dovere; sia fatta luce sulla tragedia che ha colpito un generale dell’Aeronautica italiana. Vada alla famiglia, così duramente colpita, il cordoglio dell’Assemblea Costituente; vada all’Aeronautica italiana il saluto commosso e la solidarietà dei democratici italiani; vada a chi ha la responsabilità, la protesta più vibrata per i mezzi che si adoperano ancora, e per i modi che servono, anziché tutelare il diritto, a sostituire questo con l’arbitrio e con la forza. (Applausi).

BENCIVENGA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BENCIVENGA. Mi associo alle parole di compianto per la tragica fine del Generale Coop, che fu un valoroso soldato e che certamente non meritava la tragica fine che ha fatto. Sia di conforto per la famiglia un pensiero, che io credo d’interpretare da parte di tutta l’Assemblea, di compianto e di cordoglio. (Applausi).

CHATRIAN. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. No ha facoltà.

CHATRIAN. A nome del Gruppo democristiano, astenendomi da ogni spunto politico, formulo l’espressione del vivo rammarico, nonché mio personale, per la perdita di questo soldato valoroso nel suo servizio militare e valoroso nella espressione ferma, sincera e convinta delle sue idee. (Applausi).

RUBILLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUBILLI. A nome del Gruppo liberale mi associo alle nobili parole che sono state pronunciate per la improvvisa e tragica morte di questo Generale dell’aeronautica. Abbiamo sentito da ogni parte quale era la sua carriera, quali i suoi sentimenti politici e patriottici, quali le sue grandi benemerenze come cittadino e come militare.

È un fatto inaudito, senza dubbio dolorosissimo, quello che si è verificato ieri nel centro di Roma, in privato e sacro domicilio, senza ragione plausibile audacemente violato nel cuore della notte, quando ogni legittima difesa era assolutamente impossibile. Per infrenabili sentimenti di umanità, senza distinzione di partiti, dobbiamo essere unanimi in un commosso, profondo cordoglio per una nobile vita improvvisamente, tragicamente distrutta.

Noi siamo altresì certi che il Governo farà intero il suo dovere, e specialmente lo faranno i magistrati; senza dubbio se, come pare, delle responsabilità vi sono, saranno accertate e severamente punite. (Applausi).

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Onorevoli colleghi, a nome del Gruppo socialista dei lavoratori italiani, mi associo, con animo profondamente commosso al cordoglio che tutti qui hanno espresso polla tragica dipartita del generale Coop.

Valoroso soldato, cittadino esemplare, patriota indiscutibile, egli aveva dinanzi a sé un fulgido avvenire, e la sventura che lo ha spento è veramente cosa che intrinsecamente rattrista ed atterrisce.

Noi siamo sicuri che il Governo farà le indagini più severe ed accurate per stabilire le eventuali responsabilità, e per punirle, se del caso.

Comunque, non è questa la sede per tali indagini: noi vogliamo ora soltanto esprimere il nostro sentito e sincero compianto. (Applausi).

CEVOLOTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO. Il Gruppo demolaburista si associa al cordoglio dell’Assemblea per la morte del generale Coop che, in un ambiente difficile, come quello dell’aviazione, ha saputo dimostrare che anche fra gli aviatori vi erano dei democratici, degli antifascisti, degli italiani. (Applausi).

MACRELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MACRELLI. Noi ci associamo con cuore commosso alle parole che da ogni parte della Camera sono venute per ricordare la figura eroica del generale Coop.

A queste parole, profonde di commozione, noi vogliamo aggiungere un rilievo che ha un valore squisitamente politico: è doloroso che si sia violata in pieno una disposizione di quella legge costituzionale a cui noi abbiamo dato tutta la nostra fede e tutta la nostra passione. (Approvazioni all’estrema sinistra).

Ci auguriamo che le responsabilità siano chiarite, fissate, ed i colpevoli siano perseguiti dal rigore delle leggi repubblicane.

Ecco perché noi ci associamo alla commemorazione del generale Coop, che ricordiamo per il suo passato, per la sua attività, per il suo eroismo. Alla sua memoria un saluto, alla famiglia l’espressione del nostro cordoglio. (Applausi).

CIANCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIANCA. Ci associamo anche noi alle parole con cui è stata rievocata la memoria di un generale che ha dato prove di coraggio e di dignità anche nel campo civile; ma sentiamo che in questa Assemblea politica l’omaggio reso alla sua memoria non avrebbe senso se non esprimesse anche una ferma protesta contro i metodi della polizia, culminati in un episodio sul quale il Governo dovrà dire una parola all’opinione pubblica, inquieta e indignata (Applausi).

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. A nome del Governo e come Ministro dell’interno, mi associo alle espressioni di cordoglio indirizzate alla memoria del generale Coop. Le circostanze che hanno causato questa tragedia saranno rese note rapidamente al popolo italiano.

L’intervento immediato della Magistratura, sollecitata dagli organi di polizia, è garanzia che sull’episodio la giustizia dirà la sua parola definitiva.

E questa è la garanzia che do all’Assemblea e al popolo italiano. (Applausi).

Votazione a scrutinio segreto del disegno di legge: Disposizioni sulla stampa. (15).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Votazione a scrutinio segreto del disegno di legge: Disposizioni sulla stampa (15).

Indico la votazione.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione ed invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano dei voti).

Risultato della votazione a scrutinio segreto.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione:

Presenti                       383

Votanti                        382

Astenuti                         1

Maggioranza                192

Voti favorevoli            226

Voti contrari                156

(L’Assemblea approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Adonnino – Alberganti – Alberti – Aldisio – Allegato – Amadei – Ambrosini – Amendola – Andreotti – Angelucci – Arcangeli – Assennato – Avanzini – Azzali – Azzi.

Bacciconi – Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Barbareschi – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basso – Bastianetto – Bazoli – Bei Adele – Bellato – Bellusci – Belotti – Bencivenga – Benedetti – Bennani – Bergamini – Bernamonti – Bernini Ferdinando – Bertone – Bettiol – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Bianchi Costantino – Bianchini Laura – Bibolotti – Binni – Bitossi – Bocconi – Boldrini – Bolognesi – Bonino – Bonomi Paolo – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bosi – Bovetti – Bozzi – Braschi – Brusasca – Bubbio – Bulloni Pietro – Burato.

Caccuri – Cairo – Campilli – Camposarcuno – Candela – Canevari – Caporali – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carbonari – Carboni Angelo – Carboni Enrico – Carignani – Caristia – Caroleo – Caronia – Carpano Maglioli –Carratelli – Cartia – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Castiglia – Cavalli – Cavallotti – Cerreti – Cevolotto – Chatrian – Chiaramello – Chiarini – Chieffi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Colombi Arturo – Colonna di Paliano – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsi – Cortese Pasquale – Costantini – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo – Crispo.

 

Damiani – De Caro Gerardo – De Gasperi – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Michele Luigi – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Di Gloria – Di Vittorio – Dominedò – D’Onofrio – Dossetti – Dozza.

Ermini.

Fabriani – Faccio – Fantoni – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Ferreri – Fietta – Fiore – Fiorentino – Fioritto – Firrao – Flecchia – Foresi – Fornara – Franceschini – Froggio – Fuschini.

Galati – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Gavina – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Ghidini – Ghislandi – Giacchero – Giolitti – Giordani – Giua – Gonella – Gorreri – Gortani – Gotelli Angela – Grazi Enrico – Grieco – Grilli – Gronchi – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Iotti Leonilde.

Jervolino.

Laconi – Lagravinese Pasquale – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Razzati – Leone Francesco – Leone Giovanni – Lettieri – Li Causi – Lizier – Lombardi Carlo – Longhena – Lozza – Lussu.

Macrelli – Maffi – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Mancini – Mannironi – Manzini – Marchesi – Marconi – Mariani Enrico – Marinaro – Marinelli – Martinelli – Martino Gaetano – Massini – Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mattarella – Mazza – Mazzoni – Medi Enrico – Mentasti – Merighi – Merlin Angelina – Mezzadra – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molinelli – Montagnana Mario – Montagnana Rita – Montalbano – Montemartini – Monterisi – Monticelli – Montini – Moranino – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati – Moscatelli – Mùrdaca – Murgia – Musolino – Musetto.

Nasi – Nicotra Maria – Nitti – Nobili Tito Oro – Noce Teresa – Notarianni – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pajetta Gian Carlo – Pallastrelli – Paolucci – Paratore – Paris – Parri – Pastore Giulio– Pastore Raffaele – Pat – Pecorari – Pellegrini – Perassi – Perlingieri – Persico – Pesenti – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pignedoli – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Ponti – Pratolongo – Pressinotti – Preti – Priolo – Proia – Pucci.

Quarello – Quintieri Adolfo – Quintieri Quinto.

Raimondi – Rapelli – Ravagnan – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Rescigno – Restagno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodinò Ugo – Romita – Rossi Maria Maddalena – Roveda – Rubilli – Ruggeri Luigi – Ruggiero Carlo – Rumor – Russo Perez.

Saccenti – Saggin – Salerno – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sansone – Santi – Sapienza – Saragat – Sartor – Scalfaro – Scarpa – Scelba – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Scotti Francesco – Secchia – Segni – Siles – Silipo – Simonini – Spallicci – Spataro – Stampacchia – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Targetti – Taviani – Tega – Terranova – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Tomba – Tonello – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi – Tripepi – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Venditti – Veroni – Viale – Vicentini – Vigna – Vigo – Villabruna – Villani – Vischioni.

Zaccagnini – Zagari – Zanardi – Zerbi – Zotta.

Si è astenuto:

Abozzi.

Sono in congedo:

Colombo Emilio – Costa.

Orlando Vittorio Emanuele.

Valiani.

Seguito della discussione del disegno di legge: Norme per l’elezione del Senato della Repubblica. (61).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge: Norme per l’elezione del Senato della Repubblica (61).

Stamane avevamo interrotto i nostri lavori in attesa della distribuzione del testo dell’ordine del giorno Targetti, affinché tutti i colleghi lo conoscessero prima di discuterlo, e ciò anche per le obiezioni sollevate dall’onorevole Mortati, secondo le quali ogni decisione in merito all’articolo 7 del disegno di legge avrebbe presupposto l’esame e la decisione in relazione al problema fondamentale che interessa l’Assemblea e cioè il meccanismo dell’applicazione del principio del collegio uninominale.

Ora l’ordine del giorno Targetti è stato distribuito; ma l’onorevole Rubilli ha fatto presente che, secondo il suo avviso, l’ordine del giorno Targetti sarebbe stato più opportunamente discusso dopo risolta la questione di principio accennata poco fa; poiché, come gli onorevoli colleghi ricordano, l’ordine del giorno Targetti mira a stabilire i criteri ai quali deve attenersi la Commissione che l’Assemblea dovrebbe incaricare dell’esame delle tabelle delle circoscrizioni.

A parere dell’onorevole Rubilli questi criteri possono variare secondo la soluzione che si dà alla questione di principio in ordine al collegio uninominale. E pertanto, riconoscendo la validità di queste osservazioni, io ritengo che sia opportuno affrontare senz’altro la discussione di principio, conclusasi la quale, speriamo senza troppo ritardo, potremo esaminare l’ordine del giorno Targetti e incaricare i colleghi che faranno parte della Commissione di arrivare ad una conclusione.

Ora la questione di principio che deve essere risolta, come ho già detto, è quella che si riferisce al meccanismo elettorale.

I colleghi hanno di fronte a sé tre testi, ciascuno dei quali presenta un determinato meccanismo: il testo governativo, quello della maggioranza della Commissione, e poi il complesso degli emendamenti presentati dall’onorevole Mortati.

Fin dall’articolo 7, del quale abbiamo iniziato stamane la discussione, che riguarda gli uffici elettorali circoscrizionali e regionali, si pone un problema che porterà, a seconda della sua soluzione, alla scelta di uno dei tre meccanismi che sono stati presentati.

La Commissione che ha congegnato un meccanismo elettorale diverso da quello del testo governativo, propone infatti di chiamare tali uffici elettorali non circoscrizionali, ma centrali. È per l’appunto nell’adozione di questo aggettivo che viene già data una prima soluzione al problema generale che dobbiamo affrontare.

Se si accetta la formulazione della Commissione, ciò significa che il sistema elettorale resterà – direi – strettamente uninominale, e cioè l’elezione si risolverà nell’ambito esclusivo delle circoscrizioni uninominali, che saranno tali e per il voto che si dà, e per il candidato che viene eletto.

Se, per ipotesi, l’Assemblea, alla fine di questa discussione sull’articolo 7, votasse perché resti la formulazione del testo del Governo, essa accetterebbe il principio che un certo numero di candidati possa non essere eletto nella ristretta cerchia della circoscrizione, ma possa essere eletto in base al trasferimento o unificazione di voti, dati nelle diverse circoscrizioni, nell’interno della stessa Regione.

Giunti a questo punto, si tratterà di stabilire come dovrà essere congegnato il meccanismo idoneo a permettere questo trasferimento dei voti, e quindi la scelta dei candidati da dichiarare eletti.

RUBILLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUBILLI. Credo opportuno, prima di tutto, dichiarare che io non parlo a nome mio e per mio conto, ma parlo per delega e incarico del Gruppo parlamentare liberale.

Premesso ciò, credo inutile spendere parola per richiamare l’attenzione dell’Assemblea sulla questione di cui ora ci occupiamo, perché essa racchiude il concetto fondamentale della legge per l’elezione al Senato. Anzi, è tutta la legge, poiché, dopo che avremo esaminato e deciso questo punto importantissimo non ci rimarrà che qualche ritocco di frasi o di parole. O ci decidiamo in un senso o in un altro, il resto non darà luogo a perdite di tempo e non creerà alcun fastidio.

Quindi, è ora soltanto che dobbiamo intendere a risolvere la questione proposta e sollevata attraverso i tre progetti che abbiamo dinanzi; perché noi abbiamo non meno di tre progetti: uno del Governo, uno della Commissione di maggioranza e un altro della Commissione di minoranza. Può darsi pure che si moltiplichino ma finora ne conosco tre e di questi parlo.

Dunque, dicevo, accingiamoci a trovare una soluzione. Per quanto riguarda l’elezione del Senato, non ci rimane più gran che da fare, tranne che rimetterci alle decisioni di già prese dall’Assemblea, e concretare le norme che debbano metterle in attuazione.

Io ho sentito quello che si è vociferato nei giorni scorsi a proposito di questi argomenti, qui nei corridoi, ed anche fuori per la strada. Ho letto altresì con deferente attenzione articoli pubblicati da uomini illustri e senza dubbio autorevoli. Cito per esempio, l’articolo del professore Sturzo apparso in grande evidenza qualche giorno fa sul giornale Il Popolo – il quale certo non è piccola parte della grande massa democristiana. Ora, dai commenti, dalle voci, da quello che si dice, io raccolgo che qui non si agita che un solo pensiero, un solo concetto, una sola preoccupazione: che sarà, che diverrà nei suoi più o meno prevedibili risultati la cabala elettorale con un progetto o con un altro progetto? Non ho sentito altro che questo.

Di ciò io non mi preoccupo. Non è veramente che non me ne preoccupi, ma me ne preoccupo molto relativamente per due ragioni: anzitutto perché la mia lunga esperienza in questa materia mi ha fatto comprendere che per i casi dubbi in materia elettorale si verifica proprio completamente il contrario di quello che si prevede; le statistiche si fanno dopo le elezioni e non prima; ora si fanno solo dei calcoli di probabilità che sono più o meno insignificanti, perché poggiati sugli interessi e sulle passioni dei partiti.

In secondo luogo io credo che il nostro dovere non sia quello di avere preoccupazioni di parte, preoccupazioni elettorali; il nostro dovere è uno solo: quello di dare al popolo delle savie leggi. Quando abbiamo compiuto questo dovere, noi usciamo da ogni responsabilità, le responsabilità ulteriori spettano al popolo, e se il popolo non vuole comprendere, non vuole sentire la nostra parola che bene lo indirizza, e preferisce invece, come purtroppo talora avviene, la sua rovina, non sappiamo che fare; la responsabilità è sua e non nostra. Ma per ora, è nostro dovere di dare al popolo i mezzi per salvarsi; e questi mezzi non possono essere rappresentati che dalle savie e buone leggi.

Tale è il pensiero che mi guida nel convincimento che avrò l’onore di esporre davanti all’Assemblea. Ed allora rimane ancora da risolvere, che specie di metodo elettorale noi vorremmo per l’elezione al Senato, perché al riguardo è sorta imprevedutamente una grande incertezza attraverso le varie relazioni che ci sono state presentate. Sebbene l’Assemblea abbia detto al riguardo la sua parola decisiva non una ma parecchie volte.

Io credo che dobbiamo tener presenti in special modo tre sedute dell’Assemblea: la seduta del 7 ottobre, la seduta dell’8 ottobre, la seduta del 16 dicembre.

Il 7 ottobre venne votato un ordine del giorno, l’ordine del giorno Nitti, ed io avevo avuto prima l’onore di presentare un ordine del giorno completamente identico, ben lieto di trovarmi senza saperlo in pieno accordo con un uomo politico tanto autorevole.

Ora, si votò quell’ordine del giorno che suonava così: che l’elezione al Senato sarebbe stata fatta a suffragio universale e diretto col collegio uninominale. Non vi poteva essere una espressione più chiara, più precisa, più indiscutibile, più inequivocabile di questa accolta e deliberata dall’Assemblea.

Ma non passarono che 24 ore di tregua, perché dopo 24 ore (tutti quanti sapevamo di già che c’era il collegio uninominale, deliberato, pubblicato nel resoconto sommario proclamato a parole e per iscritto) cominciò il primo assalto al collegio uninominale ed il primo assalto si ebbe proprio nella seduta seguente a quella in cui l’Assemblea si era pronunziata. Mi pare che a torto questo episodio sia stato dimenticato persino nella relazione di maggioranza della Commissione. (Interruzione a sinistra). Dunque 7 ottobre, votazione sull’ordine del giorno relativo al collegio uninominale: 8 ottobre, la seduta del primo assalto al collegio uninominale dopo che era stato regolarmente deliberato.

Ora, sebbene non vi sia stata alcuna votazione in quel giorno, 8 ottobre, da parte dell’Assemblea, pure, sulla questione di cui ci occupiamo si può dire che trattasi di una seduta più importante, assai importante, perché l’onorevole Moro presentò un ordine del giorno col quale voleva che si ritornasse sull’argomento e sulle deliberazioni prese, ritenendo che l’ordine del giorno, in fondo, non era legge, poteva cioè rappresentare una semplice raccomandazione, una indicazione che poi sarebbe stata tenuta presente dalla Commissione elettorale.

Chiesta ed ottenuta la parola dal Presidente, io feci rilevare che noi non eravamo nella Consulta ma eravamo nell’Assemblea Costituente. Nella Consulta abbiamo dato per mesi e mesi il nostro parere, abbiamo fatto delle raccomandazioni al Governo, ma qui in Assemblea Costituente noi prendiamo delle deliberazioni, ed i mezzi con cui si esprimono le nostre deliberazioni, che poi hanno valore di legge, sono appunto gli ordini del giorno. Con un ordine del giorno venne deliberata la proporzionale per l’elezione alla Camera dei deputati, con un ordine del giorno si stabilì il Collegio uninominale per l’elezione dei senatori. Feci questa osservazione, ed allora intervenne nel dibattito anche il nostro Presidente il quale come si rileva dai resoconti stenografici, ci spiegò la natura degli ordini del giorno.

Una voce. Non ci persuase!

RUBILLI. Ma il fatto è che voi non vi persuadete mai! (Applausi a sinistra). Ed invece tante volte bisogna pur persuadersi per forza. Se io, come avvocato, perdo una causa, non mi persuado, però la causa rimane quella che è, ed io l’ho perduta! (Si ride). Dunque, dicevo, il Presidente spiegò che l’ordine del giorno non è legge per i cittadini e non vincola i privati, però è legge per l’Assemblea e per il Governo.

Dopo questa dichiarazione precisa, autorevole del nostro Presidente, intervenne opportunamente ed autorevolmente anche l’onorevole Gronchi, ed allora per le parole del Presidente e per quelle di Gronchi, l’onorevole Moro ritirò l’ordine del giorno, che non venne posto in votazione. Non bisogna quindi dimenticare questa seduta in cui venne stabilito il valore dell’ordine del giorno, in cui venne riconosciuta la deliberazione presa il giorno precedente, che stabiliva il collegio uninominale per l’elezione al Senato.

MORO. Ma quale ordine del giorno Moro!…

RUBILLI. Prendete i resoconti. Io non li ho portati perché credevo che voi li ricordaste, o, per lo meno, che bastasse che li ricordassi io. Sono nell’archivio.

Dopo Moro venne Perassi e dopo Perassi ora Mortati. Certo è che in quel giorno si tentò, con una qualsiasi forma regolamentare, di inficiare il valore dell’ordine del giorno e delle deliberazioni già prese, ma, ad ogni modo, chi fece questo inutile tentativo, prudentemente capì che non era il caso di insistervi.

MORO. Ma non è vero!

RUBILLI. Se non è vero, correggerete dopo prendendo la parola.

Ma vi sono i verbali, c’è il resoconto stenografico che documenta l’esattezza di ciò che ho affermato.

Ad ogni modo non è questa una questione che debba farci perdere troppo tempo, perché nessuno può mettere in dubbio i verbali delle nostre discussioni.

Si arrivò alla seduta del 16 dicembre, ed avemmo il secondo assalto al collegio uninominale. Ordine del giorno Perassi: su questo ordine del giorno si propose la pregiudiziale, e si chiese che di fronte ad una questione già risolta dall’Assemblea non si potesse ritornare sull’argomento. L’Assemblea accolse la pregiudiziale, di modo che ammise ed approvò questo concetto: che la deliberazione rimaneva ferma, e non era il caso di ritornarci sopra, dato il valore dell’ordine del giorno, secondo l’interpretazione fattane dal Presidente ed accettata dall’Assemblea. Dopo di questo, possiamo dire che l’Assemblea non si è pronunciata in modo chiaro e preciso?

DOSSETTI. Su che cosa?

RUBILLI. Sul collegio uninominale. (Commenti).

DOSSETTI. Macché!

RUBILLI. Voi interrompete a caso, e fate perdere tempo a voi ed a noi. Sentite prima il ragionamento. La discussione non termina con le mie parole; vi sarete anche voi: abbiate pazienza. Sentiamo da tutte le parti quello che si pensa, e così ognuno avrà il modo di confutare le diverse ed opposte opinioni.

Secondo il mio avviso e quello dei miei colleghi liberali, riteniamo che la deliberazione sia già evidente e definitiva. E voglio anche aggiungere che oggi la questione si presenta in modo diverso dall’aspetto che poteva avere sino al 16 dicembre, anzi fino al 22 dicembre, giorno in cui si concluse definitivamente la legge costituzionale.

Prima, bene o male, si poteva ancora cavillare, perché era sempre in corso la discussione di detta legge, e con audacia si poteva pure sostenere che l’ordine del giorno è uno scherzo qualsiasi e che ci si può ritornar sopra, salvo a vedere se l’Assemblea accolga una nuova proposta.

Ma adesso la discussione è chiusa. La legge costituzionale è fatta, decisa, promulgata. Che cosa volete fare di più? Di fronte ad una legge che non è più in discussione la questione si presenta in modo diverso. Bisogna rispettare una legge discussa, ed approvata, e mi pare chiaro che non sia possibile, per nessun verso, mutare quelle deliberazioni che precedentemente sono state prese e ripetutamente confermate.

Ed allora si tratta di vedere soltanto che cosa veramente sia stato deliberato. Da una parte si stabilì che rimanesse fermo il concetto del collegio uninominale e dall’altra si aggiunse che l’elezione sarebbe stata fatta nell’ambito della Regione. Perché su questa aggiunta i sostenitori di una tesi opposta si fondano specialmente per inficiare il valore indiscutibile della deliberazione presa per il collegio uninominale. Senza dubbio come debbo riconoscere che si è deliberato il collegio uninominale, devo riconoscere altresì che si è affermata la base regionale.

Ma in che senso deve ciò intendersi? Nel senso che rimanga distrutta la deliberazione del collegio uninominale? Non mi parrebbe: non può intendersi in questo senso.

La Regione entrerà in tutte le disposizioni di legge, che dovremo tener presenti, fin dove il concetto di Regione è compatibile col concetto del collegio uninominale. Ma si capisce benissimo che l’aver deliberato prima che l’elezione deve essere a collegio uninominale e l’aver detto poi che deve essere a base regionale non significa che questa seconda affermazione debba eliminare la prima. Questo mi pare chiaro. E la relazione di maggioranza ha appunto spiegato bene questo concetto ed ha indicato non uno, ma parecchi casi, in cui ricorre e trova applicazione il concetto della elezione a base regionale.

Non si tratta solamente di stabilire se un comune nelle tabelle possa uscire o meno dalla propria regione, come dice la relazione di minoranza, che vedrebbe così ridotto il concetto della base regionale, in concorso col collegio uninominale, in troppo angusti limiti.

Invece, nella relazione di maggioranza sono elencati tutti i casi, e non sono pochi, in cui il concetto della base regionale, anche di fronte al collegio uninominale, deve essere tenuto presente e considerato in non poche norme legislative.

Punto essenziale della discussione adunque, è che il collegio uninominale è stato per tre volte deliberato ed affermato. In secondo luogo, deve rimanere anche fermo il concetto che la base regionale, su cui deve svolgersi l’elezione per il Senato, non può distruggere la deliberazione precedente, in ordine all’istituzione del collegio uninominale. Affermati questi due concetti, bisogna tenere presenti le ragioni per cui abbiamo creduto di fare ricorso al collegio uninominale per le elezioni del Senato, perché anche questo a me sembra importantissimo.

Noi non abbiamo deliberato il collegio uninominale in odio alla proporzionale. Se la deliberazione la avessi presa io, sarebbe stato legittimo il sospetto che l’avessi presa in odio al metodo della proporzionale. Questo metodo è passato per la elezione della Camera dei deputati completamente inosservato. Nessuno se ne accorse.

COSTANTINI. C’era un ordine del giorno Giolitti.

RUBILLI. Non sapevo nemmeno che era stato votato; nessuno lo sapeva. Vi ricordo come venne votata la proposta Giolitti. Questi nel pomeriggio aveva presentato un emendamento; gli si fece rilevare che non si trattava di materia di emendamento e che invece bisognava formulare un ordine del giorno. L’onorevole Giolitti prese del tempo per formulare l’ordine del giorno. La seduta stava per chiudersi alle 20 e un quarto dopo una votazione a scrutinio segreto; e quando avviene la votazione a scrutinio segreto, a tarda ora, ognuno prende il cappello e se ne va a cena dopo aver votato, mai prevedendo che dopo la votazione la seduta continui.

CINGOLANI. Peggio per lui!

RUBILLI. Lo so. Nell’Aula, dunque, erano rimasti pochi deputati che soltanto seppero di un ordine del giorno tanto importante approvato in un attimo, di sorpresa e senza discussione; gli altri lo ignoravano e lo ignorai anche io, che pure tenevo pronto un terzo discorso contro la proporzionale.

Comunque, sappiamo bene che non per ostilità alla proporzionale si votò il collegio uninominale per le elezioni al Senato. L’Assemblea, nella sua grande maggioranza purtroppo, si mantiene fedele alla prediletta proporzionale, e, se non fosse stata approvata, sarebbe sempre pronta ad accoglierla. Non varrebbe quindi la pena di inficiare l’ordine del giorno Giolitti; sarebbe completamente inutile. Potrei fare un altro discorso, ma pure egualmente inutile: l’Assemblea si terrebbe ferma nella sua fede alla proporzionale, ad onta dei gravissimi inconvenienti cui ha dato e dà luogo. Quindi se si passò per il Senato al collegio uninominale, ciò si fece unicamente perché non si poteva creare una seconda Camera come ripetizione, doppione e copia della Camera dei deputati. E si pensò – su questo siamo stati concordi – che non c’era altro mezzo, che modificare e cambiare il metodo elettorale. Si era pensato, in un primo momento, di dare al Senato poteri diversi da quelli conferiti alla Camera dei deputati; ma poi si capì che, trattandosi di due Camere legislative, esse non potevano avere che gli stessi poteri. Allora si disse che l’unico mezzo per cui si potesse differenziare il Senato dalla Camera dei deputati era costituito dal metodo elettorale. Per questa ragione soltanto, non perché fu respinto il concetto della proporzionale, che è sempre amato e desiderato dalla quasi totalità dell’Assemblea, tranne qualche rarissima e modestissima eccezione, si accolse il collegio uninominale: si volle evitare che il Senato riproducesse la stessa figura, la stessa conformazione della Camera dei deputati, per cui ogni partito si sarebbe rimesso a quello che il proprio partito aveva fatto nella Camera precedente e non si sarebbe avuta nessuna seria revisione, nessun serio riesame delle leggi, ed una seconda Camera si sarebbe ridotta ad un’inutile superfetazione; questa la ragione a cui si è informata la triplice deliberazione dell’Assemblea nello stabilire il collegio uninominale. Se dunque non vi è dubbio che deve trattarsi di collegio uninominale, la discussione ora diventa diversa. Che cosa ha inteso l’Assemblea? Ecco il quesito. Ha inteso collegio uninominale sul serio, oppure collegio uninominale per burla? Domanda semplicissima, quasi ingenua, e che pure tanto si discute. Siamo dei deputati, ma talora parrebbe che fossimo, quasi quasi, in una scuola elementare, tanto il dominio delle passioni di parte. (Si ride). Attraverso una serie di elucubrazioni e di relazioni ci dibattiamo per vedere se le nostre consapevoli deliberazioni abbiano o meno quell’autorità e quel valore che meritano. Questa è la grande questione che richiama l’attenzione dell’Assemblea. Ed allora, colleghi, parliamoci chiaro. È questione di sincerità e di lealtà (Approvazioni e commenti). A me così sembra; posso anche sbagliarmi, non lo metto in dubbio, ma non credo che da nessuna parte si possa sostenere che l’Assemblea, pure avendo seriamente deliberato il collegio uninominale, non l’abbia voluto nella sua vera portata. Ed allora, qual è, dei tre progetti – ecco la conseguenza offerta dalle premesse – quello che risponde davvero alle deliberazioni della Assemblea? Qual è quello che prende sul serio il collegio uninominale e non si balocca intorno ad esso? Ecco come si viene alla soluzione in modo semplice, facilissimo. Perciò, prima di ogni altra cosa, bisogna metter da parte completamente la relazione ed i concetti della minoranza della Commissione. Molti avevano avuto l’idea di sollevare stamattina ancora una pregiudiziale, perché fosse eliminato dalla discussione il progetto della minoranza della Commissione. In verità qualche proposta fu fatta anche a me in questo senso, ed io ho detto che non mi pareva opportuno. Qui si trattava di affrontare il dibattito, di discutere, esaminare nel merito: non era il caso di ricorrere ad una formalità puramente regolamentare e risolvere il quesito con una pregiudiziale, pur riconoscendone però il fondamento, se si considera che l’onorevole Mortati, relatore della minoranza, si svela così apertamente, da dedicare più di tre colonne di stampa a combattere il collegio uninominale, enumerando e creando difetti inesistenti o di poco conto, e cioè proprio quello che è stato voluto ed affermato dall’Assemblea.

D’altronde, in una questione così importante, che deve decidere delle sorti della legge, era inopportuno affidarne il compito solo ad un deputato che parlava in favore e a due che parlavano contro la pregiudiziale. È tutta l’Assemblea che ha il diritto ed il dovere di intervenire, con la parola, con gli argomenti, con dichiarazioni di voto o poi col voto, in un punto fondamentale della legge per l’elezione al Senato della Repubblica.

Ma, ad ogni modo, balenava l’idea perfino di una pregiudiziale, si voleva mettere da parte il progetto della minoranza anche senza una qualsiasi discussione. Non è sembrato opportuno, ed è meglio che sia stato così; ma, innegabilmente, il progetto della minoranza è un progetto di legge proporzionale. L’onorevole Dossetti, quando io dicevo che bisognava mantenere il collegio uninominale, approvava ed era d’accordo (ha un’immensa abilità ed un immenso valore), ma cercava di affermare che, niente di meno, il progetto della minoranza mantiene il concetto del collegio uninominale. Ed avete capito mai un collegio uninominale con la distribuzione dei quozienti? Ditemi voi se è possibile questo! Distribuzione e assegnazione dei seggi? Seggi assegnati con ripartizione di voti ai vari candidati eletti? È collegio uninominale questo?

Sono stranissimi ed anche poco abili i dubbi che si vogliono sollevare su ciò che volle l’Assemblea. Quando l’Assemblea parlò di collegio uninominale, in fondo che cosa intese? L’ordine del giorno Nitti è troppo laconico; si dice collegio uninominale, ma non si dice altro. Non c’era bisogno di dire altro in un’Assemblea Costituente, perché ognuno sa che cosa è il collegio uninominale. Quello di prima, sino al 1913, era collegio uninominale e al di fuori di quello non vi sono altri collegi uninominali (Commenti).

Volete dire che il collegio uninominale può essere anche plurinominale? Signori miei, c’è una contradizione persino nelle parole! (Commenti) Se l’Assemblea parlò di collegio uninominale, come pretendete trasformarlo proprio nell’opposto, cioè in collegio plurinominale? Se fate l’assegnazione dei seggi per mezzo dei quozienti, come per la Camera dei deputati, e fate la divisione dei voti validi pel numero dei posti più uno e poi per questo numero più due ecc., come vi viene in mente di dire che sia collegio uninominale questo? È collegio uninominale, direbbe l’onorevole Dossetti, perché si può presentare anche un solo candidato e non si presenta una lista. Basta questo, secondo lui, perché il collegio sia uninominale. Ma, se si presenta, di forma soltanto, un candidato, nella sostanza si forma una lista attraverso i collegamenti, per cui si ha la lista dei collegati. Non manca niente adunque, lista, quoziente, suddivisione di voti, distribuzione di seggi, persino assegnazione dei resti; in tutto e per tutto coi criteri della proporzionale, come per i deputati.

Io ho un’esperienza che mi viene dall’età – a voi viene dalla dottrina, dalla cultura e da tanti studi che fate e che avete il tempo di fare – ma pure basta soltanto un’esperienza elementare e rudimentale, per dire che nessuno ha mai sentito parlare d’un collegio uninominale di tal genere.

Il popolo dirà: ma, che specie di guazzabuglio è questo, che vogliono chiamare collegio uninominale? (Commenti).

La verità è che la Commissione, che doveva soltanto mettere in atto i deliberati dell’Assemblea, con metodi e criteri rivoluzionari si è posta al disopra dell’Assemblea medesima ed ha fatto a modo suo.

Dal progetto della Commissione di minoranza passiamo al progetto governativo, pel quale bisogna riconoscere che, con una certa e quasi maggiore sincerità e lealtà il Ministro dell’interno nella sua relazione, semplice e chiara, senza tralasciare nulla, e notando anche gl’inconvenienti del suo sistema, afferma esplicitamente che egli non presenta un progetto di collegio nominale, ma vuole offrire soltanto un sistema misto.

Ora, si tratta di vedere se l’Assemblea ha inteso di domandare una elezione a collegio uninominale oppure a sistema misto ed ibrido come quello che vien proposto.

Quindi il progetto governativo potrebbe essere posto anche esso da parte solo alla stregua di questa considerazione: che l’Assemblea ha inteso di preferire e di deliberare una elezione a collegio uninominale. Nient’altro. Niente sistemi misti o peregrini, tratti chi sa da quali archivi o da quali legislazioni.

Se avesse voluto ricorrere, o a liste proporzionali, o anche a sistemi misti, l’avrebbe detto; invece ha detto diversamente e ripeto, in forma tassativa, inequivocabile.

Dunque, se davvero l’ordine del giorno vincola, come disse il Presidente, Assemblea e Governo, non occorre altro per concludere che con o senza pregiudiziali nella forma, in sostanza debba respingersi anche il progetto presentato dal Governo. Non so poi quali rapporti siano interceduti ed intercorsi tra il Ministro dell’interno e la Commissione nominata dal Presidente per l’esame di questi disegni di legge. Io non lo so, non posso fare indagini al riguardo.

Da una parte io non metto in dubbio le parole e la sincerità dell’onorevole Ministro dell’interno, quando questa mane ha dichiarato che egli, previa relativa richiesta, ha dato soltanto elementi tecnici alla Commissione. La Commissione ha sentito il bisogno di avere chiarimenti, con elementi tecnici, ed egli, ossequiente alla richiesta della Commissione, avrebbe dato questi elementi.

Ora, io non metto in dubbio la sincerità di quanto ha affermato il Ministro; ma d’altra parte io ho sentito anche i componenti della Commissione, ho raccolto la loro opinione, per cui credo che ci debba essere un equivoco reciproco tra il Ministro ed i componenti della Commissione.

Questi, forse anche un poco indignati, mi hanno detto: ma insomma, siamo deputati, componenti di una Commissione parlamentare oppure siamo degli scolaretti? Avevamo proprio bisogno di essere guidati ed eruditi dai funzionari del Ministero dell’interno dipendenti dall’onorevole Ministro? Noi credevamo di essere deputati, e quindi abbiamo fatto appello al Ministro per dirgli che questo progetto non ci persuadeva e non rispondeva ai nostri sentimenti, per cui ritenevamo che dovesse essere mutato, anche perché meglio rispondesse alle deliberazioni adottate dall’Assemblea al riguardo.

Il Ministro ci ha mandato altri articoli in sostituzione di quelli che non potevamo accogliere, articoli che rappresentavano modificazioni al progetto. Non volendo dubitare delle affermazioni che vengono dall’una e dall’altra parte, è evidente che Ministro e componenti della Commissione o non si son compresi o non si son voluti comprendere, senza escludere però, che, come avviene spesso in politica, dopo una prima spontanea adesione del Ministro, possono essere intervenute nuove vicende che abbiano fatto sostituire all’adesione un diniego.

MICHELI, Presidente della Commissione. Vuol dire che mi sarò spiegato male io.

RUBILLI. Voi volete che io sappia troppe cose: io so quello che scrivete e quello che si dice dall’una e dall’altra parte, quello che leggo e quello che ascolto; voglio astenermi da indagini ed apprezzamenti personali; giudico i fatti, per se stessi eloquentissimi.

Ad ogni modo, prescindendo da ciò, fermiamoci al progetto.

Ora, se il progetto di minoranza distrugge e sopprime brutalmente nella sostanza e nella forma il collegio uninominale, il Ministro pure lo distrugge e lo sopprime, ma con maggior garbo, come si conviene ad un Ministro, ad un rappresentante del Governo, in una forma un poco diversa, pur di giungere almeno con una certa abilità alle stesse conseguenze, perché anche il progetto dell’onorevole Ministro dell’interno si riduce, in fondo, ad una applicazione del sistema proporzionale. Quando avete stabilito il quorum del 50 per cento o anche del 40 per cento, secondo la proposta della Commissione di maggioranza, chi mai potrà raggiungerlo, per essere eletto a primo scrutinio? (Commenti – Interruzioni al centro). Ed allora si passa immediatamente alla proporzionale, che rappresenta l’unico metodo per cui si può giungere ad essere eletti.

GULLO FAUSTO, Relatore per la maggioranza. La verità è che la Commissione trovò che il progetto dell’onorevole Scelba non rispondesse al principio del collegio uninominale. Una volta che si è sollevata la questione, è bene che si metta nei suoi veri termini.

Subito, al primo esame, vedemmo che il progetto non rispondeva al principio del collegio uninominale e chiedemmo al Ministro che inviasse varianti tali per cui il progetto si intonasse al predetto principio.

Ora, il Ministro avrà potuto interpretare quella richiesta nel senso che riguardasse anche aspetti tecnici, ma questo non era lo spirito della Commissione. (Commenti).

MICHELI, Presidente della Commissione. Chiedo di parlare, perché io sono il Presidente della Commissione ed ho la responsabilità tecnica della cosa.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, ascoltino l’oratore senza interrompere, ed eventualmente chiedano la parola alla fine.

Onorevole Rubilli, prosegua, la prego.

RUBILLI. Onorevoli colleghi, al di sopra del pensiero sinceramente espresso dal Ministro e dai componenti della Commissione, credo che, se anche tale questione possa avere una certa importanza (perché se effettivamente il Ministro avesse compreso che la Commissione voleva la modificazione del progetto ed avesse mandato i nuovi articoli, avrebbe quasi aderito alla richiesta della Commissione) tuttavia ci si può intrattenere ben poco con polemiche inutili, tanto più che non ne conosciamo abbastanza i particolari ed i dettagli. Del resto al disopra delle opinioni individuali ci devono essere i verbali: io non li ho visti fino a questo momento, ma se qualcuno ha la vaghezza di approfondire le divergenze, potrà prendere i verbali e vedere come siano andate le cose.

Ad ogni modo, comunque sia, stamattina il Ministro ha dichiarato che mantiene il progetto: basta questo perché noi dobbiamo esaminarlo e deliberare.

Ora, dicevo che il progetto non è che un altro mezzo, un altro elemento, con il quale si cerca, sia pure con diversa forma, di distruggere la precedente deliberazione dell’Assemblea, di abbandonare il sistema del collegio uninominale. Se s’impone un quorum del 40 o del 50 per cento, nessuno avrà la possibilità di essere eletto a primo scrutinio.

Una volta, in tempi ben diversi, nell’ambito d’un ristretto collegio uninominale vi erano degli uomini che raccoglievano consenso quasi unanime; quando si presentavano alle elezioni nessuno sapeva votare contro di loro. Ma adesso uomini elevati non contano niente, anche se ce ne sono. Non contano niente, perché contano i partiti, le masse e non gl’individui; perciò si vota assai facilmente anche contro persone che per i loro meriti e le loro qualità raccolgono unanime stima e simpatia.

Io ho visto persone a me devote, a me vincolate dalla maggiore amicizia, dal più grande affetto, che mi hanno votato contro, hanno votato per altri, sol perché erano legate al loro partito, perché erano vincolate ai rigori di una disciplina.

Ora, noi ben sappiamo quale sia la moltiplicazione dei partiti in Italia; noi ben sappiamo come ogni partito presenti la sua lista o il suo candidato; non ci è dunque difficile prevedere che avremo tanti candidati al Senato per quante sono le liste che si presentano per le elezioni alla Camera dei deputati. Chi dunque può conseguire, con tanta dispersione di voti, il 40 per cento? Anche nelle precedenti elezioni, non c’è stato alcun partito, che io sappia, il quale abbia raggiunto una simile percentuale.

Voci. Gli accordi.

RUBILLI. Eh, gli accordi, gli accordi! Ma quando c’è il collegio uninominale, quando c’è il vero collegio uninominale, come e con chi volete voi prendere accordi? Ognuno presenterà il suo candidato. Ora dunque, senza la elezione a primo scrutinio, il che sarà inevitabile, perché nessuno potrà raggiungere il 40 per cento, si passerà fatalmente alla proporzionale e quella che funzionerà sul serio ed in concreto sarà la proporzionale.

Ora, io vi dico la verità: per quanta ripugnanza io nutra, ed abbia sempre nutrito per la proporzionale – ripugnanza che mi deriva da quello che io ho visto, da quanto ho io stesso constatato per la fisonomia che assunse la Camera dei deputati dal 1919 in poi – se l’Assemblea dovesse riconoscere la possibilità di mutare le deliberazioni prese, direi: prendiamoci la proporzionale e non pensiamoci più: sapremo almeno ad onta degli inconvenienti che ne derivano, di che si tratta, ed eviteremo di lanciarci a metodi ignoti, più confusi e senza dubbio peggiori.

E che cosa volete far voi con questi collegamenti! Sarà facile ai grandi partiti dare ordini e stabilire accordi di reciproca utilità, piazzare e collegare bene i proprii aderenti, imporre a ciascuno la via da seguire, e distribuire le parti per la Camera e pel Senato. Ed allora facciamo le elezioni per due o tre partiti ed il resto rimane fuori. Le elezioni per voi soltanto, e l’Italia non conta più niente.

Ora dunque, mentre la proporzionale non dà l’ostracismo ai piccoli partiti, ed è forse questo l’unico suo vantaggio, voi mi venite a togliere anche quel poco che vi è di bene. E volete che i piccoli partiti vengano ad essere assorbiti ed annullati? Andate a trovare uno che si colleghi con me, quando si è in dubbio se in due o anche in tre piccole forze su grandi circoscrizioni si possa riuscire ad avere un posto. Come mai si può collegare? (Ilarità). Voi discorrete bene, perché siete dei ricchi in fatto di voti, voi non pensate alle condizioni dei poveri, che pure hanno innegabili e non trascurabili diritti.

Se dunque si dovessero mutare le cose in questa maniera, secondo il progetto governativo, arriverei anche io ad accettare piuttosto la proporzionale. Ma andiamo! Che cos’è mai questo intruglio che si vuol fare, misto di proporzionale e di collegamenti?

Una voce. La maschera e il volto.

RUBILLI. E dove mai siete andato a pescarlo, donde l’avete tratto questo nuovo inconcepibile sistema, che del resto non è stato accolto con favore da nessuna parte. Non vedete? In una Commissione pure composta di tanti membri il progetto governativo non è piaciuto a nessuno; è stato respinto dalla maggioranza e dalla minoranza, come si vede dalle rispettive relazioni. Dobbiamo fare leggi sane e semplici che non impongano lotte incresciose e sleali, oppure accordi poco encomiabili e poco dignitosi; non può essere in alcun modo accettato un sistema di facili insidie o di prepotenza e monopolio di partiti, anche per un provvido risanamento della vita politica ed elettorale. (Commenti al centro). Scegliamo almeno la linea diritta, contro la quale non si può dire niente.

PICCIONI. C’è il collegamento anche con il collegio uninominale.

RUBILLI. No, se c’è il collegio uninominale, non c’è più collegamento, Sono termini inconciliabili cotesti. (Commenti al centro). Voi l’avete letto nei libri, il collegio uninominale, o ne avrete sentito parlare, ma non sempre si digerisce bene quello che si legge. Quando c’era il collegio uninominale in atto o voi non eravate ancora nati o stavate alle scuole liceali appena: ed ecco perché non sapete orientarvi bene su quello che è il concetto vero e proprio del collegio uninominale.

Col collegio uninominale non ci sono collegamenti; non c’è che la presentazione sincera del candidato agli elettori. E se gli elettori sapranno scegliere fra i vari candidati speriamo di poter fare finalmente un Senato di nomi, di persone, non già di numeri e di simboli. (Commenti al centro). Avremo così sempre un Senato migliore per le qualità personali, individuali dei singoli componenti.

CAPPA. Ma allora non c’erano trenta milioni di elettori.

RUBILLI. Ma il collegio è appena di 200 mila elettori. Lei mi vuole sbalordire con i milioni, ma qui si tratta di 200 mila soltanto!

Insomma il Collegio uninominale è quello in cui uno è il candidato, distinto ed a sé per ogni partito, ed uno sarà eletto. Quindi in queste condizioni, come dobbiamo a priori respingere, perché esclusivamente proporzionale, il progetto della minoranza della Commissione, dobbiamo – sempre secondo l’avviso mio e dei miei colleghi liberali – egualmente respingere il progetto di legge governativo, perché è in sostanza una proporzionale peggiorata e solo appena larvata, nel modo e nella forma, ma nemmeno troppo, perché è troppo chiaro che si tratta di proporzionale. E allora non rimarrà che accettare, con lievi modificazioni il progetto della maggioranza della Commissione. A tempo debito vedremo, se, come speriamo, rimane fermo il collegio uninominale, quali siano le modificazioni da apportare, ed esamineremo poi altre due questioni, che non è il caso di discutere in questo momento; meglio attendere le prossime decisioni, perché, in verità, dall’Assemblea io non so mai che cosa può uscire. E come non posso fare calcoli di probabilità più o meno precisi in materia elettorale, tanto meno saprei farli per le conclusioni e le deliberazioni in genere dell’Assemblea.

Ma se l’Assemblea manterrà ferme le deliberazioni adottate e rimarrà ancora una volta riconosciuto il collegio uninominale, allora vi saranno principalmente altre due questioni che ci dovremo proporre a tempo opportuno, quella del quorum e quella della seconda votazione. Per quanto riguarda la seconda votazione, voglio appena accennarlo sin da ora, per me non vi può essere altra soluzione che quella del ballottaggio; tutte le altre sono assolutamente peggiori. Ma di questo si parlerà al momento opportuno. Per ora dobbiamo occuparci dell’unica questione che stiamo discutendo e che è stata proposta dal Presidente: vedere, cioè, se debba rimanere fermo, non solo nel nome, ma anche nel concetto, nella esplicazione, nella sostanza, insomma nel fatto e nella realtà, il collegio uninominale deliberato dall’Assemblea. Io, onorevoli colleghi, come vedete, ho parlato da un punto di vista puramente obiettivo, senza preoccupazioni di conseguenze e di calcoli elettorali.

Credo di avere esposto le questioni con quella chiarezza e quella precisione che alle mie forze potevano essere consentite: voi poi delibererete come meglio vi sembrerà secondo la vostra coscienza.

Per conto mio non credo di dover aggiungere altro.

Se ho accettato l’incarico di parlare a nome del Gruppo parlamentare a cui ho l’onore di appartenere, voi potete ben comprendere e credere alla mia sincerità: io non ho parlato né per interessi di persona né per interessi di partito. Io mi sono informato ad un’idea soltanto, che rappresenta per me in questo momento l’unica e grande preoccupazione. Io ho sempre dinanzi il ricordo del 1922, e so per esperienza, che la decadenza ed il discredito del Parlamento sono la principale causa della rovina della democrazia.

Ora considerate: il 7 ottobre si deliberò il collegio uninominale, il giorno 7 sera, il giorno 8 mattina uscirono per l’Italia tutti i giornali con titoli in grande evidenza, per estensione sull’intera prima pagina, con lettere cubitali su tutte le colonne: l’elezione del Senato sarà fatta col collegio uninominale. Il popolo l’ha letto, l’ha saputo, lo sa: il popolo sa ancora che sono sorti dubbi, ma che le deliberazioni precedenti sono state confermate, e crede sempre alla vigilia delle elezioni nel collegio uninominale. Quindi io mi preoccupo della figura che facciamo noi, della figura che fa l’Assemblea, se si distrugge quello che legalmente, definitivamente si è deliberato e poi confermato.

Abbiamo votato una legge costituzionale con uno studio ed un lavoro di un anno e mezzo, e sin dal primo momento di applicazione sorgono dubbi sui poteri del Capo dello Stato; e si polemizza, si discute da comitati di sapienti e dalla stampa per sapere quali poteri veramente al Capo dello Stato noi abbiamo concessi, e se gli abbiamo consentito un qualsiasi intervento nella facoltà legislativa o l’abbiamo posto completamente da parte.

Ora esce un’altra deliberazione: il collegio uninominale è stato uno scherzo! Ah no! Io non sono sospinto da altro interesse se non da quello di veder salvaguardata la dignità ed il prestigio dell’Assemblea. E perciò io vi prego, vi raccomando, o colleghi, di mantener fede alle solenni deliberazioni ripetutamente confermate da quest’Assemblea per il Collegio uninominale. (Vivi applausi a sinistra e a destra – Molte congratulazioni).

STAMPACCHIA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

STAMPACCHIA. Ho chiesto di parlare non per interloquire sulla questione, che in questo momento è in discussione, ma soltanto per pregare l’Assemblea di voler soprassedere oggi, e domani nelle prime ore, da qualsiasi deliberazione, sia pure continuando a discutere della materia, perché, come è risaputo, vi è il congresso socialista, il quale impegna molti nostri colleghi fino a domani mattina. (Interruzioni al centro).

Non è il caso di fare interruzioni. Io mi sto richiamando a quello che abbiamo fatto altre volte. Abbiamo sospeso per quattro giorni i nostri lavori perché vi era il congresso della Democrazia cristiana. (Applausi a sinistra) e li abbiamo sospesi con piacere, volentieri e senza eccezioni.

Per quanto attiene al nostro congresso, rilevo che noi ci siamo dato conto delle necessità in cui si trova l’Assemblea, di dovere esaurire i suoi lavori entro il 31 gennaio, onde non abbiamo insistito perché si dovessero sospendere le sedute, come dissi si è fatto per il congresso della Democrazia cristiana. Io domando semplicemente questo: che domattina non si tenga seduta.

PRESIDENTE. Onorevole Stampacchia, le proposte formali le faccia in fine di seduta, la prego.

STAMPACCHIA. No, siccome la discussione – come ho visto ed è evidente – entra nel merito della questione, toccandone il punto principale ed essenziale, io chiedo pure che si sospenda questa seduta (tanto non sacrifichiamo che poche ore) e che domani si riprenda ma solo nelle ore pomeridiane.

Questa è la mia domanda e chiedo che anche la Democrazia cristiana intenda la necessità che un Gruppo come il socialista (Interruzioni al centro) e non comunista – è poco serio che qualcuno di quei banchi (Indica il centro) faccia insinuazioni…

PRESIDENTE. Onorevole Stampacchia, la prego!

STAMPACCHIA. L’abbiamo fatto e lo faremo anche per i comunisti, mi dice l’amico Cappa volendo riparare all’inopportunità dell’interruttore. Concludendo, io chiedo che l’Assemblea sospenda ora il suo lavoro per riprenderlo domani nel pomeriggio.

PRESIDENTE. L’onorevole Micheli ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

MICHELI, Presidente della Commissione. Per parte mia aderisco senz’altro, ma non sta a me aderire. Ma, se la mia adesione vale qualche cosa, essa vien data con tutta la cordialità possibile e immaginabile.

Io non voglio adesso far diventare grossa una questione di dettaglio che è di scarsa importanza. Mi posso essere sbagliato quando ho fatto da ambasciatore dei desideri della Commissione presso l’onorevole Ministro.

Quel che mi preme far rilevare è questo: che un voto non v’è stato. Quello invece di chiedere al Ministro una modifica degli articoli che rappresentassero il collegio uninominale puro, è stato votato all’unanimità, compreso il mio voto; e quindi, o non ci siamo bene intesi allora, o non ci intendiamo bene adesso.

Ad ogni modo, il Ministro ha avuto da me la richiesta in questo senso: non che egli dovesse presentare un nuovo progetto rinunciando al suo, ma che egli volesse fornirci – attraverso le possibilità tecniche del suo ufficio – una modifica a quegli articoli che la Commissione riteneva nella sua maggioranza di sostituire a quelli che egli aveva presentato. Su questo mi pare che siamo d’accordo.

Ora il Ministro ha inviato detti articoli con questa lettera che io vi leggo perché elimina da parte sua ogni dubbio che possa essere nato attraverso le parole dell’onorevole Rubilli, il quale non ne ha nessuna responsabilità perché queste cose non conosceva. Qualche volta questo succede parlando di cose del quale non si è bene informati, ma ciò non conta, perché questo può succedere a tutti.

Ecco la lettera: «In adesione al desiderio da lei espresso, mi pregio rimetterle il testo degli articoli redatti dall’ufficio legislativo di questo Ministero, per l’ipotesi che al sistema previsto nello schema di disegno di legge per l’elezione del Senato volesse sostituirsi quello del ballottaggio».

Questo ho ritenuto doveroso di comunicare per lealtà, nella mia posizione di presidente che ha fatto da intermediario fra la Commissione e il Ministro per avere la stesura degli articoli richiesti.

Nient’altro da aggiungere.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Io credo che si debba accettare la proposta dell’onorevole Stampacchia. Il problema in discussione è di grande importanza per la legge che dobbiamo votare e non si può fare, al partito socialista, l’affronto di continuare la discussione e di arrivare ad un voto, senza che esso possa essere presente con tutto il suo gruppo parlamentare. Perciò preghiamo l’Assemblea di accettare la proposta dell’onorevole Stampacchia.

LA ROCCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA ROCCA. Desidero intervenire unicamente sulla questione sollevata dal Presidente della Commissione speciale per l’esame della legge sul Senato.

MICHELI, Presidente della Commissione. Credo di avere detto il meno che fosse possibile.

LA ROCCA. A sostegno pieno di ciò che ha detto l’onorevole Gullo (Interruzione del deputato Micheli). Per la cronaca, la Commissione dopo avere esaminato il progetto dell’onorevole Scelba ha ritenuto che esso non rispondeva alla volontà espressa dall’Assemblea.

MICHELI, Presidente della Commissione. Non l’ha esaminato affatto.

LA ROCCA. D’altra parte, la Commissione era arbitra di formare essa il disegno di legge e di ricevere dal Ministro soltanto dei suggerimenti di natura tecnica. La Commissione, quando si riunì per discutere sul disegno dell’onorevole Scelba, poiché constatò, come ho detto, che questo disegno non traduceva la volontà dell’Assemblea sul modo di formazione del Senato sulla base del sistema uninominale, per differenziarlo dalla Camera dei deputati, con molto garbo cercò di fare intendere al Ministro dell’interno che era necessario presentare un nuovo progetto, aderente al voto dell’Assemblea. Non è esatto, perciò, che non vi sia stata questa richiesta da parte della Commissione, la quale, nella sua maggioranza, ritenne appunto che il progetto dell’onorevole Scelba non rappresentava questa volontà espressa, né parlava del sistema uninominale ormai accolto, ma che il sistema uninominale praticamente si convertiva nell’applicazione della proporzionale. Questo per la verità dei fatti.

DOSSETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOSSETTI. Mi dispiace di dover ritornare su questo argomento, ma vi sono costretto dal fatto che anche in Commissione questa questione è stata sollevata più volte nonostante che più volte si sono dati chiarimenti che potevano essere decisivi.

A me pare che ora si possa portare solo un argomento ed è questo: indubbiamente la Commissione ha richiesto al Governo delle varianti al progetto per l’ipotesi che la Commissione stessa si fosse orientata per un sistema nettamente differenziato da quello contenuto nel progetto governativo, ma la scelta definitiva – e questo vale a qualificare il carattere delle varianti proposte dal Governo – fu fatta successivamente alla richiesta e successivamente all’arrivo delle proposte da parte del Governo, perché, come l’onorevole Presidente ha ricordato stamani, fu nella seduta di martedì scorso, esattamente il 13 gennaio, che fu votato l’ordine del giorno proposto da me e da altri miei colleghi, mentre la richiesta è stata fatta prima; precisamente in data 7 gennaio il Ministro dell’interno mandava le varianti che furono allegate agli atti della Commissione con questo titolo: «Varianti al disegno di legge recante norme per l’elezione del Senato della Repubblica per l’ipotesi del sistema del ballottaggio».

Dunque soltanto nella forma della collaborazione di carattere tecnico il Ministro dell’interno ha elaborato le proposte di cui tanto si discute.

MICHELI, Presidente della Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà:

MICHELI, Presidente della Commissione. Dopo quanto ho detto rinunzio a rispondere alle osservazioni fatte dall’onorevole La Rocca. Le sue parole «non è vero» non possono riferirsi certamente ad alcune delle mie affermazioni, perché io non sono abituato a dire cose non vere né altrove e tanto meno in questa Assemblea.

LA ROCCA. Quello che ho detto risulta dai verbali. La Commissione era d’accordo nel ritenere che il progetto governativo non rispecchiava la volontà dell’Assemblea, e i verbali lo dicono chiaramente.

MICHELI, Presidente della Commissione. Cosa vuole! Nomineremo una Commissione di inchiesta!

LA ROCCA. Non ve n’è bisogno. Basta leggere i verbali.

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo ai parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. Debbo fare osservare che dalle varianti presentate dal Ministero dell’interno alla Commissione si è voluto trarre l’illazione che il Governo abbia fatto proprie queste varianti. Oggi si rimprovera il Governo perché ritornerebbe sul suo progetto originario in contrasto con l’accettazione delle varianti.

Desidero chiarire le questioni. Il Governo, come ha dichiarato nella relazione presentata al primitivo disegno di legge, si è limitato a predisporre un progetto per consentire all’Assemblea Costituente di poter discutere, rimanendo tuttavia riservato all’Assemblea Costituente di decidere. Che questo progetto corrispondesse o meno ai voti dell’Assemblea spettava all’Assemblea stessa di giudicare. Successivamente la Commissione richiese al Ministro dell’interno di voler predisporre alcuni articoli per l’ipotesi – che sembrava accettata dalla Commissione, o su cui si orientava la maggioranza della Commissione – del ballottaggio, ritenuto più aderente al sistema del collegio uninominale.

Ho pregato quindi gli uffici del mio Ministero di redigere per questa ipotesi gli articoli relativi, che ho trasmesso al Presidente della Commissione. A questo si è limitata l’attività del Ministero dell’interno.

Ma devo aggiungere qualche cosa di più, e cioè che è assurdo imputare al Ministero dell’interno di aver fatto proprie le variazioni del disegno di legge, perché il disegno presentato dalla Commissione parlamentare non corrisponde affatto alle varianti che il Ministero dell’interno per suo incarico aveva elaborato. Per esempio, ho visto che all’articolo 18 la Commissione ha introdotto il quorum del quaranta per cento, cosa che non era prevista dal testo della variante mandato da me alla Commissione. Ho visto che all’articolo 20 la Commissione ha deciso il sistema del ballottaggio, ma consentendo la ripetizione delle elezioni per tutti i candidati, mentre la variante del Ministero dell’interno prevedeva il ballottaggio secondo le tradizioni classiche e cioè limitato ai due candidati che avessero riportato il maggior numero di voti. Ed allora come si può pretendere di considerare accettate dal Governo varianti elaborate dalla Commissione e in pieno contrasto con quelle elaborate, a puro titolo tecnico, dagli uffici del Ministero dell’interno?

GULLO FAUSTO, Relatore per la maggioranza. Ma nessuno ha detto questo!

PRESIDENTE. Occorre prendere in considerazione la proposta dell’onorevole Stampacchia. Ritengo che si possa accedere alla richiesta di non tenere seduta domani mattina, ma che ora potrebbe essere udito almeno uno dei quattro deputati ancora iscritti a parlare.

GULLO FAUSTO, Relatore per la maggioranza. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO FAUSTO, Relatore per la maggioranza. I due colleghi socialisti che fanno parte della Commissione hanno avuto l’impressione che la sospensiva sarebbe stata accolta; e sono andati via con questa opinione. Mi parrebbe ora curioso che la seduta continuasse.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Dato che entro il 31 di questo mese dovremo improrogabilmente chiudere i nostri lavori e dopo l’attuale discussione vi sarà la trattazione degli statuti speciali, mi preoccupo dell’eventualità che non si abbia tempo, o tempo sufficiente, per trattare quest’ultimo argomento. L’assenza della maggior parte dei colleghi socialisti da questa seduta non porta conseguenze. Quindi, propongo che si prosegua la seduta per consentire almeno ad un altro oratore di parlare.

PRESIDENTE. Pongo in votazione questa proposta.

(È approvata).

È iscritto a parlare l’onorevole Cevolotto. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO. Desidero prospettare un mio punto di vista, che probabilmente non sarà condiviso dalla maggior parte dei colleghi; ma, siccome risponde ad una mia precisa e meditata convinzione, credo di doverlo esporre.

Noi abbiamo votato un ordine del giorno col quale abbiamo deciso e affermato che le elezioni del Senato si faranno col sistema del collegio uninominale; abbiamo aggiunto: nell’ambito della Regione. Che significato ha questa seconda espressione? Significato chiaro ed evidente: che non vi possono essere collegi a cavallo di due Regioni. Per esempio, nel caso della Basilicata, che ha sei collegi, e che quindi deve comporre questi sei collegi sulla base di appena centomila abitanti per ogni collegio, non può avvenire che, per aumentare il numero degli abitanti che costituiscono la circoscrizione di un collegio, si vada oltre i limiti della Regione.

Poi abbiamo votato contro un ordine del giorno Perassi, il quale proponeva che alla prima elezione per il Senato si procedesse col sistema della proporzionale. Dunque: le elezioni devono avvenire col sistema del collegio uninominale, anche e soprattutto per il primo Senato.

La conseguenza, secondo me evidente, è una sola: che tutti quei progetti i quali attraverso vari espedienti mirassero a tornare al sistema della proporzionale non possono essere né discussi né messi in votazione; perché, se si ammettesse che, dopo una decisione definitiva confermata da altra in senso negativo, che esclude la eccezione transitoria, si potesse ancora tornare sui nostri passi, oltre alla incoerenza, commetteremmo un errore dal punto di vista del regolamento e del diritto e non faremmo certo, permettete che lo dica, cosa seria.

Prospettato questo punto di vista, rilevo che il progetto della minoranza consiste proprio nel tornare al sistema proporzionale; non c’è niente in quel progetto che giustifichi la pretesa di avere regolato la elezione col collegio uninominale. Ed allora: o si ha la sincerità di dire che si vuole revocare le due votazioni fatte su questo punto o, altrimenti, non si può nemmeno prendere in considerazione il progetto della minoranza.

Il progetto governativo, se venisse accettato, ferirebbe anche esso il principio dei collegio uninominale. È evidente, soltanto a scorrere quel progetto, che la maggioranza dei senatori verrebbe nominata con un particolare sistema di proporzionale, sistema che – si badi bene – non è neanche plausibile. Basta ricordare le statistiche delle elezioni a deputato, quando si facevano col sistema del collegio uninominale: una buona metà dei deputati veniva eletta in ballottaggio; e anche riducendo la percentuale per la elezione a primo scrutinio al quaranta per cento (Commenti al centro – Interruzione del deputato Fuschini) la conclusione non sarebbe diversa.

È evidente che oggi, con la moltiplicazione delle candidature per la moltiplicazione dei partiti, la maggioranza dei senatori non verrebbe eletta al primo scrutinio. Per tutti i non eletti a primo scrutinio, si dovrebbe adottare un sistema di proporzionale, che non ha nemmeno una logica sicura, perché sarebbe basato sul maggior numero di voti riportato dal candidato di ciascuna lista (si perdoni l’espressione imprecisa che adopero per intenderci). Se si pensa che per esempio nella Lombardia vi sono collegi che sono basati su 229.000 abitanti (come il collegio di Gallarate) e vi è un collegio, quello di Sondrio, basato su 153.000 abitanti, è facile rilevare che non è giusto tener conto del maggior numero di voti riportato da ciascun candidato, perché il candidato di Sondrio avrà in partenza una minore probabilità di voti nello stesso partito rispetto al candidato che si presenterà nel collegio di Gallarate. Accenno questa difficoltà riservandomi eventualmente di tornare sull’argomento nella discussione degli articoli. Ma per me è sostanziale la questione che ho posto prima: si può discutere oggi di un progetto di legge che propone il sistema proporzionale? Non lo credo. Prospetto la questione al Presidente ed all’Assemblea. Nemmeno l’articolo 8 del progetto governativo può essere posto in votazione; e neanche il progetto della minoranza, secondo me, deve essere messo in votazione. Per il fatto che oggi possa essersi spostata la maggioranza, in relazione a una differente composizione del nuovo Governo, la maggioranza non è autorizzata e non ha il diritto di imporre sulla questione, che è stata già definitivamente decisa dell’Assemblea, la propria superiorità numerica: questa sarebbe una sopraffazione e – permettetemi di dirlo – una prepotenza contro la quale abbiamo ragione di protestare. (Applausi a sinistra – Commenti al centro).

PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato alla seduta pomeridiana di domani.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

RICCIO, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, sugli incidenti verificatisi domenica 18 gennaio alle ore 12 in Piazza Dante a Napoli ai danni del giornale Italia Nuova, danni consistenti nella parziale distruzione della macchina del predetto giornale e nella distruzione delle copie del giornale, provocati da facinorosi facilmente individuabili, e sui provvedimenti che il Governo intende prendere perché simili incidenti non abbiano a ripetersi e la forza pubblica intervenga per impedire simili atti di sopraffazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Selvaggi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere:

  1. a) le ragioni per le quali alla provincia di Caserta – una delle più danneggiate dalla guerra e lasciata in completo abbandono (tanto che venne addirittura soppressa!) dal regime fascista – siano stati assegnati soltanto 300 milioni per le opere di ricostruzione e per la disoccupazione;
  2. b) se è possibile, di fronte a tale somma veramente irrisoria rispetto alla immensità dei bisogni, provvedere alla assegnazione di un ulteriore più adeguato fondo a titolo integrativo. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Persico».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per chiedere se gli è noto come da dieci anni – per mancati concorsi e non intervenuti avanzamenti – il personale medico della previdenza sociale ha visto bloccata la sua carriera, che nello stesso periodo di tempo avrebbe dovuto svolgersi, invece, quasi totalmente.

«Per conoscere, inoltre, se non appaia doveroso procedere all’avanzamento di grado del personale medesimo ai posti che praticamente già ricopre, in considerazione anche del senso di sacrificio e di responsabilità dimostrato nel difficile periodo trascorso, nel quale la retribuzione del personale manuale e salariato si è pressoché adeguata a quella del personale sanitario.

«Di questa anormale situazione avrebbe dovuto preoccuparsi la Direzione generale dell’Istituto, la quale, invece, attraverso tergiversazioni vane, ha dimostrato assoluta incomprensione delle elementari esigenze dell’alto personale dell’Istituto, che, nella sua dignità, non ha mai neppure acceduto alla minaccia di agitazioni. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Di Fausto, Condorelli».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno trasmesse ai Ministri competenti, per la risposta scritta.

La seduta termina alle 18.45.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 16:

Seguito della discussione del disegno di legge:

Norme per l’elezione del Senato della Repubblica.