Come nasce la Costituzione

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MERCOLEDÌ 21 GENNAIO 1948

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCLVII.

SEDUTA DI MERCOLEDÌ 21 GENNAIO 1948

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

indi

DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Norme per l’elezione del Senato della Repubblica (61).

Presidente

Nitti

Russo Perez

La Rocca

Togliatti

Lucifero

Nenni

Piccioni

Targetti

Mazzei

Micheli, Presidente della Commissione

Reale Vito

Piccioni

Laconi

Gronchi

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

MAZZA, ff. Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Seguito della discussione del disegno di legge: Norme per l’elezione del Senato della Repubblica (61).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del disegno di legge: Norme per l’elezione del Senato della Repubblica (61).

Dobbiamo esaminare il Titolo II: «Degli uffici elettorali circoscrizionali e regionali».

È iscritto a parlare l’onorevole Nitti. Ne ha facoltà.

NITTI. Farò brevi dichiarazioni, piuttosto che un discorso, nella speranza di porre la questione, che può dividerci, in forma che ci possa unire.

In fondo, qui si tratta di una questione semplice, che poi per via ha preso atteggiamento diverso da quello che doveva avere e che aveva in origine.

Nella elezione del Senato, quali norme, quali principî devono prevalere? Noi abbiamo affermato chiaramente in un ordine del giorno, che dovrebbe essere costitutivo: noi dobbiamo fare le elezioni con il collegio uninominale. Questo non può essere materia di controversia. Il Presidente stesso vedrà che non è possibile ritornare su questa questione. Il Senato, dunque, dovrà essere eletto in base al principio del collegio uninominale. Questo principio richiede due cose: la prima è che si voti un solo nome, ciò è semplice. La seconda è che, se non si riesca su un solo nome ad avere quella maggioranza richiesta per la validità della votazione, si trovi un’altra via, la via normale o l’anormale. Anche su questo non esiste dubbio. Quando si parla di scrutinio di lista, si parla di tante cose che possono essere diverse l’una dall’altra; vi può essere uno scrutinio di lista o un altro, una forma o un’altra. Ma collegio uninominale vuol dire una sola cosa: che si voti su un solo nome e che, se su un solo nome non si raggiunga la maggioranza, si ricorra alla forma che è detta del ballottaggio si proclami chi ha avuto maggior numero di voti.

Ogni cosa diversa è contraria a ciò, cui ci siamo impegnati.

Dovremo votare come in quasi tutti i paesi civili e progrediti. I Paesi che hanno il collegio uninominale sono ormai i grandi Paesi d’Europa e del mondo, perché lo scrutinio di lista è una superfetazione tardiva che, ove esiste, sta dando risultati negativi che saranno prima o poi disastrosi.

Potremo discutere se per essere eletti al primo scrutinio occorra il 30, il 40, il 50 per cento e, se vi piace, di più e non altro. Se il quorum richiesto non si raggiungerà, avremo dinanzi a noi parecchie vie. In Inghilterra viene eletto chiunque abbia più voti di fronte agli altri candidati, e credo sia questo il sistema migliore, o almeno il più semplice. E in Francia? Pochi anni or sono non esistevano nel mondo che due grandi repubbliche: la Francia in Europa e gli Stati Uniti d’America.. La Francia aveva il collegio uninominale e il ballottaggio tra i due candidati con maggior numero ai voti.

In America è stato sempre in vigore il sistema uninominale. La lotta è semplice perché viene in generale fatta da due partiti e, com’è naturale, quando due partiti sono in contesa, quello che vince, venendo a rappresentare la maggioranza, è nettamente indicato a costituire il Senato. In America si fanno le elezioni a doppio grado. Tutti gli elettori votano, ma votano per coloro che saranno i rappresentanti nell’Assemblea che sceglierà il vincitore: forma anche questa diversa dalle altre, ma sempre di vero collegio uninominale.

In America vi sono due senatori per ogni Stato. Lo Stato che ha, come il Vermont, qualche centinaio di migliaia di abitanti, o come lo Stato di New York, tanti milioni di abitanti, ha allo stesso modo due senatori.

Qual è la situazione del Senato? Io riconosco di essere particolarmente responsabile delle disposizioni che in questo progetto riguardano il Senato. Alcuni in principio non vedevano la necessità di una seconda Assemblea legislativa. Credevano fosse cosa inutile, e che bastasse una sola Camera. Io sostenni sempre che ciò sarebbe stato un pericolo mortale. Non esisteva infatti al mondo nessun Paese serio che avesse potuto vivere a lungo con una sola Camera. Altra cosa sono le fugaci forme di un periodo rivoluzionario, altra cosa è l’amministrazione di un grande Stato. Io insistetti per le due Camere e poi, con una persistenza che fu spesso fastidiosa a questa Assemblea, volli precisare quale doveva essere la vera funzione del Senato. Ed esposi idee che non sempre coincidevano con quelle della maggioranza che vedeva il Senato, per ragioni diverse, con una certa prevenzione. Io sostenni non solo che il Senato fosse necessario, ma vidi nel Senato la grande Assemblea su cui lo Stato italiano, così dilaniato e depresso da tante agitate passioni, potesse più facilmente, o meno difficilmente, essere ricostruito; e insistetti su alcuni principî che mi parevano fondamentali. Il Senato e la Camera dovevano essere cose completamente diverse per la loro origine, ma con gli stessi diritti. Per la prima volta, fra gli Stati europei noi abbiamo un nuovo Senato, con gli stessi diritti e composto – come del resto è altrove, per quello che riguarda la composizione – in modo del tutto diverso.

La Camera può essere eletta a suffragio universale, senza divisione; il Senato deve venire dal suffragio universale, ma deve essere diversamente eletto, in tal guisa che prevalga il criterio della scelta degli individui: quindi collegio uninominale. Il Senato, nel mio concetto, su cui insistetti così a lungo, deve essere, per la sua composizione, la grande Camera – non vi scandalizzate della parola, non create un equivoco – deve essere la grande Camera conservatrice. Conservatrice? non vuol dire già refrattaria a riforme e nemica di ogni progresso, come nella volgare interpretazione si potrebbe credere, ma conservatrice del regime e della essenza delle istituzioni fondamentali. Difatti questa funzione, in una forma o nell’altra, l’ha nei principali paesi in cui esiste.

Il Senato deve essere stabile, fuori delle crisi.

Io volevo un Senato che non scadesse mai, ed è stato un errore prendere un solo paragrafo della mia proposta nella Costituzione e limitarlo a sei anni. Io volevo un Senato come è in America, come era in Francia fino a ieri, che non scadesse mai, che si rinnovasse senza scadere, a differenza della Camera dei deputati. In America la Camera dei deputati scade ogni due anni; è in perpetuo movimento. La grande Costituzione americana vuole un Senato che rimanga sempre. La Camera ha solo la durata di due anni e si rinnova completamente. Viceversa, il Senato non si scioglie mai. Dura sei anni e ogni due anni si rinnova per un terzo. Così si dà al Senato quella potente immobilità nella continuità, che crea la sua funzione permanente e lo rende stabile.

Dove il Senato non scade mai ed è sempre in vita vi è senso di stabilità legislativa: il Senato non scade mai completamente; ma si rinverdisce sempre.

In America la Camera dei rappresentanti, rinnovandosi a suffragio universale diretto ogni due anni, rende possibile seguire tutte le variazioni della volontà popolare; il Senato, non scadendo mai, ma rinnovandosi solo per un terzo ogni due anni, crea la stabilità legislativa e politica.

Il Senato deve essere sempre la grande Camera nella sua permanente stabilità, ma il Senato deve essere anche la Camera che continua senza mai mutare interamente quelle istituzioni che formano la base dello Stato.

Senatori e deputati hanno, dove esistono, diversa durata. Noi stessi, nella nostra Costituzione, abbiamo stabilito che per i deputati e per i senatori è diversa la durata del mandato: più lunga per i senatori.

In Inghilterra l’elezione dei deputati avviene a primo scrutinio, qualunque sia il numero dei voti riportati dai candidati. Da noi, come in Francia, vi è o vi è stato il sistema del ballottaggio. Che cos’è il ballottaggio? È il sistema per cui fra i due candidati che hanno avuto il maggior numero di voti, si stabilisce una seconda elezione.

Ora noi ci siamo obbligati a fare il Senato con lo scrutinio uninominale e in conseguenza col ballottaggio; un ordine del giorno, ripetutamente confermato, ha ciò stabilito. Questa non è materia di dubbio. Parecchi oratori hanno spiegato come non si possa mai cambiare ciò che è ormai definito. Bisognava che si procedesse sicuramente su questa via.

In un primo momento noi attendevamo che il Governo proponesse il disegno di legge destinato a regolare questa materia basandosi su questi due principî e che regolasse il modo in cui deve avvenire l’elezione e con quale numero di voti, qualora non si accettasse l’ordinamento inglese e si giungesse al ballottaggio.

Dal primo momento il Governo ha avuto una certa diffidenza per il collegio uninominale ed il ballottaggio, tanto è vero che non ci ha presentato che assai tardi le sue proposte. Fu soltanto 1’11 dicembre che il Governo presentò le sue proposte, che più tardi ebbero conferma nella proposta presentata il 18 dicembre. Dunque, lunga meditazione.

La prima proposta mi destò preoccupazione. Perché, in realtà, che cos’era? Non il collegio uninominale, ma qualcosa che lontanamente poteva assomigliargli. E poi il Governo emanò una serie di provvedimenti che infirmavano la natura stessa del collegio uninominale, tanto è vero che furono ragione di incertezza nel Relatore del disegno di legge e di trepidanza per spiegare delle cose che potevano essere dette semplicemente. Siccome doveva adattarsi al collegio uninominale una cosa che non era compatibile, che era diversa per tutte le conseguenze che ne derivavano, si trovarono disposizioni di lunghe pagine intere, articoli che dovevano spiegare ciò che non era spiegabile: il collegio uninominale, che non esisteva più e che si voleva fare esistere nelle apparenze. E adesso ci troviamo di fronte alle proposte di un collegio uninominale che non è più tale se non in parte.

Stabilire il collegio uninominale era materia semplice, che non poteva dividere. La Commissione che preparava questa materia doveva soltanto stabilire il numero di voti necessari per la elezione a primo scrutinio; e se non si fosse raggiunto, bisognava definire il ballottaggio tra i due che avevano maggior numero di voti.

Vi è ora un progetto complicato, con una Commissione che si divide in maggioranza e minoranza, e ciò che tende ad eclissarsi, almeno in parte, è il collegio uninominale.

In una materia che doveva essere così semplice, non vi era che da fare una sola cosa: stabilire in quattro o cinque semplici articoli il collegio uninominale.

Ora, votando il primo scrutinio del collegio uninominale, noi non lo votiamo in forma definitiva, con tutte le conseguenze che ne susseguono.

Io pensavo che la Camera e il Senato dovessero essere diversi, non solo per la forma di elezione, ma per il funzionamento; e perciò voi ricorderete quali furono le proposte mie. Io proposi una Camera interamente differente. Si era votato con idee molto giovanili. Si volle una Camera di uomini nuovi e si fissò che l’età degli elettori fosse di 21 anni. Ma io proposi – credo non ingiustamente – che il Senato dovesse essere votato da elettori di 25 anni, cioè da uomini che avessero superato l’età più disposta alla violenza. L’esperienza politica in tutta Europa ha dimostrato che i temperamenti più accessibili alla violenza sono in gran parte di uomini di età inferiore ai 25 anni.

Ora, ciò che più conta, gli eletti della Camera dei deputati possono essere molto giovani. Si può essere eletti a 25 anni; al Senato devono avere 40 anni, e avere quella saggezza e quella responsabilità che viene dall’esperienza e dalla conoscenza.

Io desideravo anche che fosse possibile che il Senato avesse insieme a queste forme di saggezza, che derivano dall’età, quelle che derivano dalla funzione, e quindi insistetti molto perché il Senato fosse diverso dalla Camera e per la forma della costituzione e per il suo funzionamento. E così noi siamo arrivati a questa conclusione: di fare un Senato ed una Camera diversi.

Noi ci siamo obbligati, dunque, a votare per un nuovo Senato, che ha diversa origine, diverso funzionamento e che, anche avendo gli stessi diritti, deve esplicarli diversamente.

In questa situazione dunque noi ci troviamo semplicemente di fronte al fatto: come procedere alle elezioni del Senato? L’elezione dei senatori deve esser fatta votando per un solo nome in ogni collegio uninominale. Se nessun candidato raggiunge il numero di voti stabilito della legge, è indetta una nuova votazione per ballottaggio.

Fino a pochi giorni or sono la soluzione del ballottaggio pareva la più semplice, anche a coloro che ora non la vogliono o mostrano di non volerla.

Il ballottaggio implica che una nuova votazione avvenga per i due candidati che abbiano riportato il maggior numero di voti.

Quali possono essere le difficoltà? E perché vi sono ora resistenze che qualche giorno fa non vi erano?

Ieri l’onorevole Rubilli, che ha fatto un esauriente discorso che mi obbliga ad omettere molta parte delle cose che volevo dire, si è però fermato sulle ragioni per cui nella Commissione non si è data esecuzione alle disposizioni che regolano questa materia.

Io non credo necessario tornare su questa materia.

Ammetto senza difficoltà che tutti abbiano agito in buona fede e tutti con lo stesso sentimento di sincerità. Lascio ogni controversia per stabilire se alcune deliberazioni siano state prese regolarmente, se alcune cose che si attribuiscono al Governo siano state o non siano state dette. Ciò non ha importanza. Oramai suppongo che tutti abbiano detto la verità, che non vi sia il minimo di malafede in alcuno. Ma suppongo che ciò non alteri la questione. La questione è solo questa: siamo obbligati noi a votare col collegio uninominale? Senza dubbio sì. Non vi è nulla che possa mutare una votazione precedente. Come regoleremo il ballottaggio? Tutto ciò può essere stabilito senza nessuna difficoltà. Quindi, lasciando da parte le controversie procedurali, non ci resta, avendo votato per il collegio uninominale, che votare ora sul ballottaggio. Quindi la mia richiesta è semplice: votato il suffragio universale, limitiamoci ora a stabilire le norme di applicazione. È inutile cercare di riprendere il problema, come fa il disegno di legge ministeriale, che ha diviso in maggioranza e minoranza la Commissione, la quale doveva essere concorde nella realtà della soluzione logica e chiara. Ammesso il collegio uninominale, bisogna stabilire ora le forme di applicazione attraverso il ballottaggio. Perché molti, che erano favorevoli, sembrano ora perplessi e vogliono, per quanto riguarda il collegio uninominale, da una parte, nella prima votazione, applicarlo e dall’altra non applicarlo affatto?

Io credo che il Ministro dell’interno non si trovi in alcuna difficoltà per redigere i pochi articoli che devono regolare logicamente l’attuazione del collegio uninominale, i pochi articoli riguardanti cioè il ballottaggio. Perché vi è incertezza? Perché queste disposizioni da una parte o da molti sono così tardivamente accolte con diffidenza? Perché vi è tardivamente un acre piacere di trovare nell’applicazione del collegio uninominale tutti gli inconvenienti che invece non vi sono? La verità è che si vedono le cose dal punto di vista elettorale.

La diffidenza è giunta a tal punto che si creano ipotesi non vere e non controllate che determinano o possono determinare divisioni politiche che non sono giustificate.

A suo tempo risponderò nel modo più efficiente, più sicuro e più decisivo per quello che mi riguarda. Risponderò quando potrò dimostrare come stanno le cose e dove sono gli equivoci. Si è voluto perfino (quanta e ridicola fantasia) dire che, proponendo e difendendo il collegio uninominale per il Senato, ho agito contro la Chiesa. Si può essere più folli? Io ho il diritto di fronte a voi di dire che ho avuto la gratitudine della Chiesa nelle ore più difficili dell’altra guerra. Pubblicherò nei mesi prossimi un libro in cui riprodurrò gli autografi dei grandi Capi della Chiesa, che riconoscono la nobiltà e la grandezza della mia opera.

Qui dentro, in questa Assemblea, in un’ora difficile, quando si voleva impedire che gli accordi vaticani fossero confermati dalla Costituzione, sono venuto io solo ad assumermi per primo la responsabilità. Ora, pur essendo contrario all’inutile inclusione di quell’articolo nella Costituzione, ho detto che io, anche essendo convinto della inutilità, volevo dare l’esempio di un uomo che vota a favore dell’interesse pubblico; perché non volevo alcuna divisione fra la Chiesa e lo Stato in un momento così pericoloso. Non volevo ritornare su argomenti che potevano essere materia di dissidio.

Mi assumo l’impegno davanti a voi che fra alcuni mesi io, che ho voluto sempre tacere, pubblicherò, a smentire le persone che mi hanno attaccato su questo argomento e che mi hanno presentato come avversario della Chiesa, i documenti autografi dei grandi Capi della Chiesa, i quali mi hanno scritto che io ero l’italiano più necessario all’Italia in un’ora difficile.

Si è detto persino che io avrei accettato l’idea del collegio uninominale per avere l’appoggio dei comunisti nella mia situazione politica e per i miei propositi d’avvenire. Quale idiota poteva dire cosa sì cretina?

Calcolate dunque su questa pubblicazione che renderà ridicoli gli attacchi indiretti di persone troppo imprudenti e troppo immemori.

Domando ai miei amici comunisti, che ho considerato sempre con lo stesso riguardo, pur essendo tanto discorde, se ho mai parlato con loro di queste cose; se ho fatto mai cose a cui non penso; se ho mai pensato ad unioni con loro per scopi di Governo, come la Democrazia cristiana. Ho sempre sfuggito unioni e combinazioni; e potendo avere il Governo, l’ho rifiutato quando mi sembrava doversi fare unioni di uomini, non di programmi precisi e di idee. Invito l’onorevole De Gasperi a dire, da parte sua, se nelle ore difficili non gli sono stato di aiuto disinteressato. Lasciamo, dunque, questi ridicoli argomenti, che mi farebbero piangere, se non mi facessero ridere, e che non possono giungere fino a me da qualunque parte vengano. Sono così bassi che non mi raggiungono.

Dunque, torniamo semplicemente a quelli che sono i nostri doveri. Perché questa preoccupazione del collegio uninominale? Si dice che si faranno accordi facilmente tra i rossi. Parlando di rossi, si parla soprattutto di comunisti, perché gli altri rossi si sono talmente indeboliti che alcuni, avvicinandosi al Governo, si sono al punto sbiaditi da divenire reazionari.

Ora, dunque, non avendo avuto mai nessun discorso con quelli che si chiamano i rossi su questa materia, io sono completamente libero, disinteressato e soprattutto desideroso, nell’interesse degli uni e degli altri, di quella unità ideale che in questa ora di sgomento ho sempre creduto necessaria alla Patria.

Noi siamo in una situazione preoccupante e l’Italia è ora più che mai minacciata dai più grandi pericoli.

Non è vero ciò che si pubblica ogni giorno della nostra situazione, che nei giornali si descrive contro la verità, migliorata, anzi cambiata, trasformata da un giorno all’altro. Io so la gravità estrema dell’ora che attraversiamo, e so come non bisogna mentire né sulla situazione economica del Paese, né sulle difficoltà di mantenere la sicurezza e la pace, né su tutto quello che riguarda la nostra vita sociale.

È necessità per noi uscire da questa malinconica situazione con coraggio e con dignità. Non voglio creare imbarazzi al Governo. L’ultima volta ho ancora parlato in difesa del Governo De Gasperi, che pure è lontano dalle mie idee. Oggi noi stiamo facendo le cose più inutili. Abbiamo perduto parecchi giorni a discutere l’ordinamento della stampa, quasi che un ordinamento della stampa si potesse inventare all’ultima ora. È una delle cose più difficili a fare e in cui vi è grande contrasto d’interessi. Abbiamo finito per non farne nulla: soluzione logica, se non elegante.

Ora, qui non ci possiamo concedere questo lusso. Noi ci troviamo di fronte ad un preciso dovere di legge. Noi dobbiamo fare quegli ordinamenti che rendano possibile di far funzionare la Costituzione. Potevamo fare o non fare la legge sulla stampa; dobbiamo per necessità fare la legge sul Senato, se no la Costituzione, mancando il Senato, non funzionerà.

Il nostro compito finirà con il 31 gennaio e non potremo prolungare la vita della Costituente.

Una legge che regoli la formazione del Senato è assolutamente necessaria per la vita costituzionale e non può essere differita. In questa materia non si può andare a furia di ostruzionismo e nemmeno pensare continuamente a fare, secondo il caso, votazioni segrete o per appello nominale. Noi dobbiamo votare il disegno di legge per il collegio uninominale, con tutte le conseguenze che esso apporta, e così nel più breve tempo possibile.

In ogni modo, io sono contrario a qualunque cosa che non ci permetta di arrivare rapidamente a definire questa materia. Non possiamo concederci più proroghe: non abbiamo né il diritto, né la forza, né la possibilità. Dobbiamo presentare la legge al Capo dello Stato, che dovrà promulgarla prima che scada questo termine fatale del 31 gennaio. Dobbiamo farlo inevitabilmente; dobbiamo unirci in questo comune sforzo, dimenticando le nostre reciproche antipatie, che non mancano di avere un certo significato.

Il Ministro dell’interno preparerà, io spero, gli articoli di questo disegno di legge, che occorrono per poter fare le elezioni del Senato. Questi articoli, come ho detto, devono essere brevi e semplici.

La preoccupazione di alcuni democristiani – parliamo sempre in via di sincerità – è che questa forma possa nuocere al loro gruppo ed al loro movimento; io non credo, perché ho sentito da altri che rappresentano i programmi di parte opposta, dire il contrario: molti sono convinti che gioverà ai democristiani. Per me questo non è argomento decisivo, perché giovare o nuocere sono ipotesi più che realtà, nella situazione attuale.

Ma questa incertezza di risultati è tale, che rende noi stessi inquieti e diffidenti.

Votiamo puramente e semplicemente il collegio uninominale.

Se, come spero, si troverà qualche cosa che, mantenendo gli obblighi assunti, concilii le parti opposte, mantenendo ciò che è essenziale, io consentirò volentieri.

In ogni modo, dichiaro che voterò qualunque cosa dia la sicurezza che le elezioni saranno fatte in condizione di validità e che nulla manchi per andare verso le elezioni a collegio uninominale, nei termini che ci siamo proposti.

Non sappiamo che cosa saranno le elezioni. Non credo ai facili presagi; e non possiamo prevedere quali saranno gli avvenimenti dei giorni prossimi, né quale sarà la situazione della finanza.

Si troverà una forma che metta tutti di accordo rispettando gl’impegni assunti? Ciò che si propone non è l’accordo. Sarebbe come dimostrare che l’angolo e il triangolo sono la stessa cosa. La proporzionale sarà sempre cosa diversa dal collegio uninominale. Cercate di trovare la via dell’accordo. Io sono disposto, per quanto poco valga, ad ogni forma di transigenza possibile e decente, dati gli impegni che abbiamo assunti; ma prego gli amici democristiani di non esagerare. Forse in alcuni di essi è la preoccupazione di conquistare e di mantenere una situazione che li spinge all’intransigenza. L’avranno sempre? L’avranno almeno in maggior misura di ora? L’avranno in proporzioni tali da dominare da soli? (Commenti). So che molti di loro si preoccupano di vedere anche quello che può essere per loro il risultato di una certa transigenza.

Non si preoccupino soltanto dei loro sogni di dominio. Da questa avversione di alcuni per il collegio uninominale vedo una preoccupazione: essi pensano che i ballottaggi potranno obbligarli ad accordi con partiti affini, accordi che essi ora non desiderano. Ma sono sicuro che anche nella forma che vogliono, non sia uno svantaggio per essi. Sono sicuro che a queste, che loro credono transazioni, saranno obbligati dalle necessità. Non forzino le posizioni, perché essi stessi potrebbero averne danno. Per parte nostra, credo che in questo momento è nostro compito di aiutare ogni soluzione onesta, con tutta lealtà. In ogni modo troviamo la via, sia pure, se è possibile, transattiva, senza smuoverci dai principî fondamentali; cerchiamo la via per venir presto fuori da questa situazione e per uscir fuori dall’incubo che, attraverso vicende anche inattese, si possa non arrivare alle elezioni, cosa che dobbiamo ad ogni costo evitare (Commenti). Con questo augurio acconsentirete per lo meno ad ascoltare il mio consiglio. Ben presto pubblicherò cose che, senza darmi il lusso di perder tempo a rispondere ad articoli, dimostreranno come da venti anni io ho seguito la stessa via e come nelle ore più difficili ho avuta l’ammirazione dei Capi della Chiesa, ciò che mi metterà per lo meno al sicuro di ogni intrigo e farà finire pettegolezzi ridicoli che sono anche indegni di me e mi darà ancora la vostra simpatia. (Vivi applausi – Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Russo Perez. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Onorevoli colleghi! Io ho definito questa la battaglia contro il Senato, non per il Senato, cioè la battaglia contro quel tipo di Senato che è stato voluto dalla Costituente e che è stato voluto in modo irrevocabile, perché i nostri lavori si sono chiusi al 31 dicembre e la nuova Costituzione è già in vigore.

In questa contesa naturalmente trionferà o il dovere, o l’interesse. Naturalmente non parlo di interessi materiali né di interessi personali. Parlo di interessi di partiti. Qualcuno mi dirà che la tesi opposta è sostenuta nell’interesse del Paese; vedremo se è così.

Innanzitutto, io desidero ritornare ad un punto che non è stato sufficientemente chiarito, cioè i rapporti fra la Commissione per lo studio del disegno di legge ed il Ministro dell’interno, in relazione a quello che è stato chiamato progetto di maggioranza e che io viceversa chiamo progetto della Commissione.

Onorevoli colleghi, ho copiato alcuni passi dei verbali originali delle sedute della Commissione. In quello del 22 dicembre trovo quanto adesso vi leggo:

«Presidente: Riassume la discussione e precisa che si potrà far presente al Ministro dell’interno che la Commissione non ha ritenuto che il progetto presentato risponda al deliberato dell’Assemblea e pertanto chiede che sia integrato da alcuni articoli che più fedelmente rispecchino il principio della deliberazione adottata. Accede quindi alla proposta conciliativa dell’onorevole Fabbri, che ritiene la più adatta».

Quale era la proposta Fabbri? La proposta Fabbri suonava così: «La richiesta della Commissione al Ministro non deve essere intesa come un formale rigetto del disegno di legge, ma come un desiderio di avere un progetto, non già misto, ma puramente a collegio uninominale, per tener fede alla deliberazione adottata in pubbliche sedute».

Quindi, il Presidente accede alla proposta Fabbri e «si assume l’incarico di sollecitare la formulazione di un nuovo progetto che risponda al sistema del collegio uninominale, con le opportune varianti».

Quindi, non c’è dubbio che la Commissione fu del parere che il primo progetto Scelba non rispondesse al voto dell’Assemblea Costituente sul collegio uninominale.

Seduta dell’11 gennaio:

«Presidente. Precisa che nell’ultima riunione non si intese già di rigettare il progetto Scelba, ma di chiedere al Ministro dell’interno l’integrazione del progetto stesso con alcuni articoli che rispecchiassero il principio del collegio uninominale puro».

Dopo di questo, abbiamo la seduta del 13 gennaio ed abbiamo l’ordine del giorno Mazzei, Persico, Dossetti, Lami Starnuti, in cui si dice, cercando di tornare sulle decisioni già più volte prese e confermate, che «la Commissione ritiene che non vi siano pregiudiziali contro il progetto Scelba come base di discussione».

Ebbene, la nostra Commissione rigettò questo ordine del giorno. È chiaro, quindi, onorevoli colleghi, che vi furono diversi tentativi per infirmare il voto della Costituente e della Commissione, ma rimasero tutti infruttuosi. Fummo d’accordo nel ritenere che il progetto Scelba non rispondesse ai criteri del collegio uninominale.

Alcuni trovano che mediante l’applicazione del nostro progetto, cosiddetto di maggioranza, e che è quello della Commissione, si potrebbero avere dei senatori la cui elezione riposasse su una base troppo ristretta, sopra un numero di voti minimo.

Orbene, amici della Assemblea Costituente, quelli che si lamentano di ciò sono coloro che hanno fabbricato i 107 senatori per meriti carcerari o per scambio di cortesie.

Badate, dicendo «meriti carcerari» non intendo affatto sminuire il sacrificio di coloro che sono stati in carcere, il che può rappresentare un martirio; ma il martirio può dare l’aureola e non la capacità.

È inutile che io ritorni su quanto già disse l’onorevole Rubilli ieri: l’Assemblea si espresse in forma inequivocabile in diverse occasioni; e così il 25 settembre, respingendo l’ordine del giorno Perassi; il 7 ottobre, approvando l’ordine del giorno Nitti; il 16 dicembre, respingendo il nuovo ordine del giorno Perassi, il quale tendeva ad ottenere che, mediante una disposizione transitoria, il primo Senato fosse eletto col sistema proporzionale. Alla proposta Perassi fu opposta la pregiudiziale Cevolotto, e questa fu accettata dall’Assemblea, che riconfermò ancora una volta il suo proposito.

Vediamo un po’ adesso che cosa si dice in contrario per sostenere che il sistema proposto dalla maggioranza non risponde ai voti dell’Assemblea. Io ho letto questa mattina un giornale, il cui titolo potete indovinare dal contenuto dell’articolo stesso. L’articolo è intitolato: «Difendiamo la Costituzione». Onorevoli colleghi, si sostiene in questo articolo che il nostro progetto – il progetto della Commissione – esaspera il principio del Collegio uninominale, introducendo il criterio della maggioranza relativa; mentre il secondo sistema, quello della minoranza, si sforza di porre in armonia il Collegio uninominale, deliberato dall’Assemblea in seguito all’approvazione dell’ordine del giorno Nitti, coi principî consacrati dall’articolo 57 della Costituzione. E conclude: «ecco perché la proposta della maggioranza parlamentare, di adottare il sistema uninominale senza correttivo, appare costituzionalmente e politicamente assurda».

Onorevoli colleghi, è stato dimostrato già ieri dall’onorevole Rubilli, con la chiarezza, la precisione e la incisività che gli sono proprie, che è quello della minoranza il sistema che non tiene conto dei voti dell’Assemblea; mentre da lui stesso è stato dimostrato che il sistema proposto da noi non solo tiene conto del voto dell’Assemblea – che l’elezione del Senato debba essere fatta col sistema del Collegio uninominale – ma tiene anche conto del contenuto dell’articolo 57 del nuovo Statuto, nel quale è stabilito che il Senato deve essere eletto a base regionale. Durante i lavori della Commissione ho proposto – e ripropongo ancora con un emendamento all’articolo 18 – che l’elezione avvenga a primo scrutinio, col sistema della maggioranza relativa, così come avviene in Inghilterra.

Questa mia proposta è stata respinta dalla Commissione con lo scarto di un voto: dieci voti contro nove. E allora si cominciò a discutere intorno al problema del quorum. Naturalmente, da parte della minoranza si tendeva ad arrivare ad un quorum così alto, che rendesse impossibile o quasi l’elezione a primo scrutinio e consentisse, quindi, di ritornare al famoso agganciamento, cioè al sistema proporzionale; mentre da parte nostra si cercava di stabilire un quorum minimo, che si avvicinasse al sistema uninominale puro. Ricordo che l’onorevole Fabbri propose il dieci per cento e la proposta fu respinta. Quindi, si votò per il quorum del venticinque per cento: la proposta fu approvata dopo prova e controprova. Però, a questo punto, intervenne l’onorevole Fuschini – della cui tenacia nessuno può dubitare; ricordate come ha difeso la lista nazionale, sembrava Farinata degli Uberti… (Interruzione del deputato Fuschini).

Intervenne, dunque, l’onorevole Fuschini e disse che aveva diritto di votare anche lui. Nessuno si turbò. E allora egli aggiunse che il sistema da noi seguito era un sistema fascista e dinanzi a questa parola tutti si intimidirono, la votazione fu ripetuta e il venticinque per cento non fu accettato.

Finalmente si arrivò al 40 per cento, e a questo punto l’amico onorevole Dossetti sosteneva che si dovesse andare ancora oltre, a furia di tentativi. Ma naturalmente si rispose che il principio di andar oltre reggeva fino al momento in cui non ci fosse una votazione positiva; ma dal momento che questa era intervenuta, si doveva accettare il quaranta per cento.

Allora nacque il problema della coordinazione. Onorevoli colleghi, tra qualche giorno parleremo – e forse aspramente – su questo tema, su questo principio giuridico di coordinare, a proposito dei due Statuti alle prese, quello dell’Assemblea regionale siciliana e quello dello Stato, perché da alcuni per coordinare si intende distruggere uno dei principî in contrasto. Ma questo non è coordinare: coordinare significa stabilire un ordine in modo che i due principî possano reggersi entrambi. E questo dobbiamo fare, a proposito di questa legge per l’elezione del Senato, per ciò che concerne l’ordine del giorno Nitti e l’articolo 57 della Costituzione.

Vi fu poi, un intervento, se ricordo bene del democristiano onorario onorevole Lami Starnuti. Gli domando perdono se in un articolo giornalistico l’ho messo tra i democristiani. Non gli ho fatto offesa, perché la Democrazia cristiana è naturalmente un partito rispettabile, ma ho equivocato. Tuttavia la sua tenacia, le sue finte, i suoi accorgimenti me lo avevano fatto classificare democristiano. (Commenti).

Credo, dunque, che l’onorevole Lami Starnuti, o un altro della Commissione, disse questo: Quando voi vi ponete di fronte all’articolo 57 della Costituzione, nei quale si dice che il Senato deve essere eletto a base regionale, non dovete intendere la Regione nel senso territoriale, dovete intenderla in senso organico.

Ci cominciamo ad avvicinare alle cortine fumogene, come avviene per tutte quelle argomentazioni che ho trovato nel progetto di minoranza. Tra l’altro, io non ho ben capito che cosa significhi «base organica»: quel tale agganciamento agli altri candidati delle altre circoscrizioni significa base organica? La risposta fu a noi molto facile, perché abbiamo detto: quando, per esempio, si stabilisce (e si dovrebbe tornare a questa norma) che il candidato debba essere elettore iscritto nelle liste della Regione è rispettato organicamente il concetto della Regione; quando, per esempio, noi stabiliamo che qualunque Regione, anche se la sua popolazione, calcolando un senatore per ogni 200.000 abitanti, non lo consenta debba avere sempre sei senatori, noi abbiamo rispettato la base organica.

Quindi, allorché noi affermiamo che, con il nostro sistema, i due principî sono entrambi rispettati, noi diciamo una cosa esatta. Dovrebbero ora dimostrarmi, i sostenitori del progetto di minoranza, che essi, scegliendo il principio dell’agganciamento alle altre circoscrizioni, rispettano nel contempo il principio del collegio uninominale. Questo essi non potranno mai dimostralo, perché altrimenti, come ha detto poc’anzi l’onorevole Nitti, avremmo che un triangolo è uguale ad un angolo. Noi avremmo, infatti, un sistema di lista, un sistema nettamente, inequivocabilmente proporzionale.

Io sostengo, intendiamoci bene, il sistema uninominale, non per interesse, ma per principio; noi lo abbiamo sostenuto e lo sosteniamo perché siamo convinti che qualunque persona di modesta cultura ed anche di modesta saggezza abbia facilmente ravvisato un gravissimo pericolo nella moderna partitocrazia.

Ci si viene a dire: Ma si tratta pure di una realtà, con la quale dobbiamo fare i conti, perché questo sistema della proporzionale esiste. Rispondo: Ma quando noi abbiamo un’occasione per poterci almeno parzialmente sganciare da questo sistema, quando noi abbiamo un’occasione per mettere in mostra i valori individuali che hanno disdegnato di imbrancarsi nei partiti, perché dobbiamo trascurare questa occasione?

I sostenitori del progetto di minoranza dicono che, anche con il sistema dell’agganciamento, viene ad essere rispettato il principio del collegio uninominale. Ma io debbo allora essere veramente grato all’onorevole Scelba, il quale ha preferito essere, a questo riguardo, molto più sincero, perché egli ha chiaramente affermato, a pagina 1 della sua relazione, che tale metodo non risponde affatto al concetto del sistema uninominale. Ed io per questo lo ammiro: glielo dico con sincerità.

Dice infatti l’onorevole Scelba, nella sua relazione, a pag. 1: «Si è creduto, scartando ogni altra soluzione, di adottare criteri che appaiono più confacenti ai sistemi elettorali prevalenti in Italia, fondati tutti sul regime dello scrutinio di lista a base proporzionale». E, poco oltre, a pagina 2, lo dice anche più esplicitamente: «Ove siffatta designazione manchi, il meccanismo stesso del sistema escogitato comporta la prevalenza di un logico principio proporzionale, basato sempre sulla circoscrizione uninominale».

Ora, lasciando andare il «logico», in quanto io sono convinto che sia assolutamente illogico il sistema della proporzionale, cerchiamo di andare al fondo della questione. Sinora siamo stati all’apparenza; i nostri argomenti sono stati, diciamo così, alla superficie della nostra questione, e quelli che l’onorevole Mortati ha usato nella sua relazione di minoranza sono, come ho detto poco fa, cortine fumogene, nient’altro che questo. Il pensiero vero è un altro; il pensiero è quello della possibile prevalenza, nel futuro Senato, delle sinistre, con cui io, questa volta, insieme all’onorevole Nitti e all’onorevole Rubilli, sarei d’accordo. Perché deve essere stabilito che hanno sempre ragione gli amici democristiani e sempre torto gli avversari dell’estrema sinistra? È assolutamente escluso che qualche volta possano avere ragione anche loro e che qualche uomo di destra questa ragione possa lealmente riconoscere?

La verità è quella di cui ha parlato don Luigi Sturzo, con l’articolo: «Prospettive rosse a Palazzo Madama»; si teme, cioè, che le sinistre estreme, data la loro innegabile disciplina, riuniscano più facilmente in un blocco solido tutti i loro elettori intorno a un loro candidato, mentre ciò non riuscirebbe a fare nella stessa misura la Democrazia cristiana e tanto meno gli altri partiti, onde si avrebbe una prevalenza dei rossi nel futuro Senato d’Italia.

Orbene, onorevoli colleghi, io credo di arrivare in fondo alla questione, e vi prego di ascoltarmi tutti. Il sistema del collegio uninominale, lo confesso, può portare a questi risultati; ma in funzione di un altro elemento, non da solo; e quest’altro elemento è nelle mani vostre, o amici democratici cristiani. Voi pensate che la Democrazia cristiana, in un primo momento, sdegnosa di contatti, di connubi, e, se mi consentite, superba, a volte troppo…

SCELBA, Ministro dell’interno. Onesta!

RUSSO PEREZ. …sdegni i contatti con altri partiti, sdegni di bloccarsi con altri partiti… (Interruzione del deputato Uberti).

L’argomento è interessante, onorevole Uberti, e io certamente guardo al fondo. E allora, dicevo, evidentemente il sistema sarebbe pericoloso. Ma se noi viceversa ipotizziamo una Democrazia cristiana capace di sacrifici, la quale «blocchi», come «bloccano» gli altri, sin da principio con uomini di destra, oppure, vedendo presentarsi in un determinato collegio un uomo di valore che non appartenga ad alcun partito, rinunci alla propria candidatura e lo appoggi, allora il pericolo non c’è più. E allora il problema è chiaro, amici rispettabilissimi della Democrazia cristiana. Contro la nostra proposta, contro il sistema della maggioranza possono votare tutti coloro che credono che voi non sarete mai capaci di subordinare i vostri interessi di partito agli interessi della Nazione. (Proteste al centro – Interruzione del deputato Cimenti).

Tutti coloro che non vi credono capaci di questo sacrificio, i quali credono che il vostro sia un partito che si può appoggiare, ma non rispettare, possono votare la vostra proposta… (Interruzione del deputato Cimenti).

È proprio questo il punto che vi scotta; se ammettete che siete capaci di questo sacrificio: di sacrificare i vostri interessi di partito agli interessi della Nazione, il collegio uninominale non deve farvi paura. (Commenti al centro – Approvazioni a sinistra).

Onorevoli colleghi dell’Assemblea Costituente, ho messo il dito sulla piaga. Io dichiaro che sono pronto a votare per il progetto di minoranza, ma solamente quando qualcuno della parte democratica cristiana, invece di protestare come fa adesso, mi dica: è vero, tu hai ragione, noi vogliamo restare soli; e, anche se gli interessi della Nazione reclamino che andiamo in compagnia di altri, se anche reclamino che noi appoggiamo i candidati di altri partiti, noi non lo faremo mai. Allora, riconoscendovi incapaci di sacrificio, il sacrificio lo farò io, e voterò per voi. (Applausi a destra e a sinistra – Commenti al centro).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole La Rocca. Ne ha facoltà.

LA ROCCA. Onorevole signor Presidente, onorevoli colleghi, a me pare che sia necessaria una premessa. Noi abbiamo sempre sostenuto il sistema proporzionale; e lo abbiamo sostenuto per ragioni che, in parte, sono citate anche da un uomo che può chiamare il Partito democristiano con una espressione cara ai vecchi asceti, indubbiamente cara alla Santa senese, la sua pianta spirituale: parlo di Don Luigi Sturzo.

Abbiamo sostenuto la proporzionale, perché abbiamo sempre cercato di creare l’organicità dei partiti, perché abbiamo desiderato che la lotta elettorale si svolgesse su una piattaforma, intorno ad un programma, eliminando gli accordi fra cricche, gruppi o conventicole, perché la proporzionale dà modo alle classi lavoratrici di avere la loro giusta rappresentanza. E l’abbiamo sostenuta, anche perché, da democratici conseguenti, sappiamo che la proporzionale assicura una espressione adeguata anche alle piccole minoranze.

E per quale ragione ci siamo indotti a accettare, per la formazione del Senato, il sistema uninominale?

Vado oltre. Nel parlare, mi sento fra umiliato e confuso, perché mi pare che questa discussione praticamente ci faccia perdere del tempo prezioso e rischi anche di mettere noi nelle condizioni di uomini che mancano alla loro parola, che sovrattutto diminuisca e abbassi la dignità dell’Assemblea e il rispetto che dobbiamo a noi stessi. Perché noi siamo qui un po’ come gli esecutori testamentari di noi stessi…

MICHELI, Presidente della Commissione. Non è possibile questo.

LA ROCCA. Sì, onorevole Micheli, è possibile, perché noi qui praticamente siamo un po’ come un seguito, un’appendice dell’Assemblea Costituente, che il 31 dicembre ha concluso i lavori costituzionali, e siamo incaricati unicamente di assolvere il compito che ci è stato dato dal famoso decreto del marzo 1946, con cui si attribuiva all’Assemblea Costituente, oltre l’ufficio di elaborare la nuova Costituzione e di approvare i trattati, quello di elaborare le leggi elettorali per la formazione dei nuovi organi legislativi.

Abbiamo approvata la legge elettorale per la Camera dei deputati: dobbiamo adesso elaborare la legge per l’elezione del Senato. Ma in quali condizioni precise?

Noi non abbiamo la facoltà o la possibilità di tracciare un binario a nostro piacimento, a nostro arbitrio, secondo le nostre tendenze e i nostri gusti. Noi abbiamo un punto fermo, fissato già dall’Assemblea Costituente, un punto fermo che – ripeto – non possiamo mutare a capriccio.

Gioverà forse richiamare all’attenzione dei colleghi alcune circostanze di fatto. La questione sulla quale, in generale, si discute oggi, è stata già innumerevoli volte trattata in quest’Assemblea. In una seduta del settembre (mi pare del 25 settembre) l’onorevole Perassi presentò un ordine del giorno col quale proponeva che la formazione della seconda Camera avvenisse – tanto per intenderci – con una sorta di elezione di secondo grado; cioè che i Consigli regionali eleggessero tre senatori e che il resto dei senatori spettanti a ciascuna Regione venisse nominato da un corpo elettorale speciale, cioè da elettori nominati per l’occasione, dai grandi elettori.

Quest’ordine del giorno non fu votato in prima seduta; e, poi, fu nettamente respinto in una votazione successiva, a scrutinio segreto.

Nel dicembre, si votò un ordine del giorno dell’onorevole Nitti, seguito da un altro dell’onorevole Lami-Starnuti. L’onorevole Nitti proponeva che il Senato venisse eletto a suffragio universale e diretto sulla base del sistema uninominale. E l’ordine del giorno dell’onorevole Nitti fu approvato a scrutinio segreto ed escluse l’esame dell’ordine del giorno Lami-Starnuti, che sosteneva la proporzionale. Inoltre, per la pregiudiziale sollevata dall’onorevole Cevolotto, non poté esser posta in discussione la proposta dell’onorevole Perassi che cercava, per vie indirette, di tornare sulla questione della proporzionale, respinta dall’Assemblea, essendo stato accolto l’ordine del giorno Nitti, il quale stabiliva in maniera inequivocabile che la base dell’elezione del Senato dovesse essere il sistema uninominale.

Cosicché, quando col 31 dicembre si è concluso il vero e proprio lavoro dell’Assemblea come corpo costituente e si sono prorogati i lavori con un mandato preciso: che cioè noi elaborassimo la legge elettorale per il Senato, noi ci siamo trovati e ci troviamo a dover camminare per la via precisamente indicata dall’Assemblea.

E mi si consenta di non ritenere neanche per un istante, che questa Assemblea – che, ripeto, è come un’erede o una esecutrice testamentaria di se stessa per le deliberazioni già approvate – possa divenire materia e argomento per una commedia alla Pirandello, per una commedia che, senza voler diminuire con queste parole l’artista, si dia a ricercare un po’ le pulci sull’ombelico: «Così è, se vi pare», «La signora Morli uno e due», e «Ciascuno a suo modo». Noi ci troviamo di fronte a un deliberato dell’Assemblea, il quale stabilisce che il sistema uninominale è il sistema per la formazione del Senato.

E perché si è venuti a questa conclusione? perché abbiamo aderito a questa conclusione, noi, proporzionalisti, convinti che il sistema proporzionale, se non è l’unico metodo per attuare la democrazia, è stato tuttavia una grande conquista per il popolo italiano, è stato la via per cui la democrazia ha fatto dei passi innanzi nel nostro Paese?

È necessario forse ricordare, onorevoli colleghi, quali sono state le discussioni per l’esistenza e per la formazione della seconda Camera? In fondo, mentre da un lato si tendeva a creare una seconda Camera a traverso elezioni di secondo grado o come integrazione di rappresentanza sotto la specie corporativa, dall’altro lato si è sostenuto che il Senato dovesse sorgere sopra una base elettiva a suffragio universale diretto, perché esprimesse pienamente la volontà popolare. I rappresentanti e gli esponenti delle correnti liberali e i più grandi maestri di diritto hanno intanto sostenuta la tesi che la seconda Camera non doveva né poteva essere un doppione o un duplicato della prima, perché, se il Senato avesse potuto essere la riproduzione della prima, sarebbe stato assolutamente inutile avere due Camere e preferibile volgersi al sistema unicamerale. La seconda Camera non l’abbiamo, certamente, voluta noi, che ci siamo accomodati ad accoglierla, per ragioni esposte a suo tempo.

Il Senato, pure uscendo direttamente dal suffragio universale, come la Camera dei deputati, doveva differenziarsi dalla Camera dei deputati e assolvere al compito di un organo legislativo per un più ponderato esame, per una più matura riflessione nella formazione delle leggi. Questa è stata l’opinione della maggioranza. Si trattava di stabilire i caratteri distintivi fra i due organi, e si è pensato a una diversità nell’elettorato attivo e in quello passivo, si è pensato a un rapporto fra l’ordinamento della Regione e il Senato; si è pensato, sopra tutto, a un diverso modo, a un diverso sistema di elezione del Senato, secondo, del resto, il pensiero dello stesso Cavour. La via di uscita è stato il ritorno al collegio uninominale, il quale consentiva un intimo contatto fra il corpo elettorale e i suoi rappresentanti e la scelta e il vaglio accurato degli uomini: la certezza, cioè, o la presunzione di determinati requisiti di coltura, di capacità, di esperienza, di qualità tecniche nei candidati e negli eletti.

Ecco, in breve, le ragioni del ricorso al sistema uninominale, divenuto, ormai, un impegno solenne per l’Assemblea, che non può rimettere in gioco le sue precedenti decisioni.

Quando la Commissione speciale, nominata dal Presidente, si riunì, e il Governo, nel dicembre, presentò il suo disegno di legge per offrire un materiale ed uno schema alla Commissione, ci trovammo praticamente dinanzi ad un progetto che non rispettava la volontà dell’Assemblea. E in che senso? Nel senso che il progetto del Ministro Scelba partiva dal concetto del sistema uninominale, ma lo abbandonava per via e sboccava direttamente nella proporzionale. Credo non vi sia alcuno fra i colleghi, il quale possa seriamente ed onestamente sostenere che il principio del collegio uninominale, secondo lo schema governativo, trionfi, se si richiede che il candidato, per essere eletto, debba raggiungere la metà più uno dei voti validi – il che, sì e no, potrà valere per un ristretto numero di collegi – e che, ove non si ottenga tale quorum, si applichi, per il computo dei voti e la ripartizione dei seggi, il sistema proporzionale, con il collegamento tra candidati, ecc. Del resto, lo stesso onorevole Ministro riconosce questo innesto della proporzionale sul sistema uninominale, definendo misto lo schema da lui proposto. Ma ha fatto dell’altro, l’onorevole Scelba; partendo dal concetto che per la formazione dei collegi è necessario stabilirne i limiti, dovendo creare questi collegi sulla base del vecchio principio del centro circondariale o mandamentale intorno a cui raccogliere il nucleo della popolazione, e tenendo conto che i vecchi collegi uninominali contenevano sì e no trenta o quarantamila persone, ed oggi la popolazione necessaria per la elezione di un Senatore deve essere di duecentomila, l’onorevole Ministro, nel fissare i termini circoscrizionali, ha adoperato veramente l’ascia ed ha tagliato brutalmente. E quest’ascia, mentre è stata brutale, è stata anche molto occhiuta; e quello che ne è venuto fuori è qualche cosa di molto chiaro, si è cercato di favorire in tutti i modi una determinata corrente, quella democratica cristiana, a spese a danno delle altre correnti. Ma anche di questo, onorevole Ministro dell’interno, avremo modo di occuparci nel proseguo della discussione. E dico ciò solo per far notare che, dato anche il frazionamento territoriale non rispondente alla realtà delle cose e agli interessi di tutte le correnti politiche che debbono essere egualmente rispettate, non avremmo alcuna ragione di appoggiare un tale meccanismo tecnico giuridico, per la formazione del Senato.

Ma, qui, siamo legati dalla precedente decisione dell’Assemblea.

Presidenza del Presidente TERRACINI

LA ROCCA. Per conto mio, ritengo che siamo chiamati ad eseguire un dato lavoro con un preciso mandato, a noi trasferito dall’Assemblea prima del 31 dicembre, perché noi siamo nell’orbita di una proroga di lavori, in genere, ma di determinati lavori, per determinati fini e con un compito che non è dato a noi assolutamente mutare. Ma, a parte questo, quali vantaggi può offrire alla nazione il progetto presentato dall’onorevole Ministro dell’interno? Nella sua relazione l’onorevole Scelba è costretto a sottoporre se stesso ad una autocritica, parlando di anomalie più o meno illogiche, che potremmo cogliere con le molle.

Che vi sia l’innesto della proporzionale sull’uninominale, la relazione lo ammette apertamente. In concreto, avremmo la votazione astratta per un nome, ma ci sarebbe poi una vera lista di partiti, o cioè di candidati collegati fra loro, che, in un secondo momento, non farebbero se non assommare i loro voti, per la formazione dei quozienti e il riparto dei seggi. L’ho già detto.

Né mi occuperò di quello che la minoranza della Commissione ha chiamato correttivo del collegio uninominale, o addirittura un… emendamento dello schema della maggioranza. Se il disegno del Ministro dell’interno ha per lo meno, all’inizio, un’apparenza di rispetto della volontà dell’Assemblea, partendo dal punto che si voti per un nome, e che questo nome abbia la possibilità di emergere dalla lotta ove raggiunga il quorum del 51 per cento, con la proposta della minoranza il sistema uninominale se ne va al diavolo.

Qui non si parte neanche da un presupposto uninominale. Si fa un giuoco di parole, per torcere gli argomenti. I giuristi, senza volerli ingiuriare, potrebbero essere paragonati ai seguaci di quella maga Mab della fantasia shakesperiana, che si dava a cavalcare le nuvole con carrozze e redini fatte di aria tessuta. I giuristi lavorano, molte volte, una pasta lievitata, che si distende e si allarga e si accorcia, a seconda dei casi.

La scuola di Gorgia ci insegna che tutto si può sostenere; che il sole può diventare una cosa che è e non è il sole. Con la tesi speciosa di dover collegare il Senato con l’ordinamento regionale, si tende a seppellire il concetto del sistema uninominale. Ma la «base regionale» fissata nel testo costituzionale è stata ampiamente interpretata dall’Assemblea; ed è stata interpretata nel senso che base regionale non può significare altro se non orbita circoscrizionale, territoriale, nel senso che si debba dare alla votazione per il Senato una espressione regionale, territoriale, e non altro.

Questa interpretazione mi pare sia stata sostenuta dagli onorevoli Perassi e Lussu, che vollero chiamare il Senato «Camera delle Regioni», cioè quella che esprime gli interessi della Regione, tanto che si volevano escludere dalla Camera dei senatori, membri che non appartenessero alla Regione, che non avessero le loro radici nella Regione. Dunque, base regionale è base territoriale. Base regionale significa un’espressione di interessi, che non può avere alcuna ripercussione sul fatto e sul modo di formazione del Senato e sul sistema elettorale da elaborare. E giuocando su questo collegamento tra base regionale e Senato, e dicendo che questo è un inciso del testo costituzionale, che deve prevalere su tutto, si cerca di ridurre a nulla, praticamente, la volontà dell’Assemblea, espressa con l’approvazione dell’ordine del giorno Nitti, che pone il sistema uninominale come base per le elezioni del Senato.

Poiché credo di aver detto l’essenziale, richiamando la volontà dell’Assemblea nell’esaminare e nel risolvere questo delicato problema, e poiché ritengo che non possiamo venire meno a noi stessi, concludo con l’augurio che l’Assemblea, in conformità delle sue deliberazioni, non si discosti dal sistema uninominale, e, in ogni caso, elabori una legge che sia un buono strumento per la creazione del Senato, chiamato con la Camera dei deputati, a dare una nuova impronta democratica alla vita del nostro Paese. (Applausi all’estrema sinistra – Congratulazioni).

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. Signor Presidente, ritengo che siamo arrivati alla fine del dibattito su questo articolo, che riguarda il sistema elettorale del Senato della Repubblica.

Dovremo quindi passare fra poco, dopo aver sentito, se ancora è necessario, l’opinione della Commissione e del Governo, ai voti. Però mi pare che la discussione, che fino ad ora si è svolta, sia realmente servita a qualche cosa.

Prima di tutto mi pare che sia servita a dare rilievo alla importanza della questione. Tutti sentiamo quale importanza ha il fatto che in questo momento dobbiamo decidere del modo come verrà eletto il primo Senato della Repubblica. Questo solo termine impone qualcosa a ciascuno di noi. Tutti sentiamo che sarebbe bene che il voto su questa questione venisse dato in modo che potesse raccogliere una larga maggioranza dell’Assemblea.

Dall’altra parte siamo impegnati da un precedente voto dato dalla stessa nostra Assemblea. Vogliamo conciliare queste due esigenze. Mi pare di aver raccolto questa impressione, che da parecchie parti dell’Assemblea si vorrebbe trovare una conciliazione in queste due esigenze. In questo senso mi pare si sia espresso l’onorevole Nitti, ed anche altri colleghi si siano pronunciati. Mi sembra che questo desiderio sia un desiderio legittimo. Possiamo arrivare ad una simile soluzione? Secondo me non è escluso che possiamo arrivarci. Avremmo bisogno però ancora, signor Presidente – e questa proposta io faccio – che lei ci concedesse alcune ore, fino a domattina, o a domani pomeriggio al massimo, perché potessimo iniziare qualche contatto fra i differenti Gruppi dell’Assemblea, fra i maggiori beninteso, per vedere se si possa trovare una soluzione concordata. Onorevoli colleghi, non vi è nessuna intenzione dilatoria nella proposta che io faccio. Siamo al 21 gennaio; siederemo fino al 31 gennaio. In dieci giorni, se ne abbiano l’intenzione, abbiamo tutto il tempo di dare quanti voti vogliamo su tesi contrapposte e di discutere a lungo. Ma a proposito di questa questione, mi pare che se riuscissimo, attraverso contatti tra i vari Gruppi dell’Assemblea, a trovare una linea di accordo ed una possibilità di intesa, la cosa sarebbe favorevole non soltanto al prestigio dell’Assemblea, ma anche al prestigio di quel Senato della Repubblica, che sarà eletto secondo il sistema che approveremo stasera, domani o posdomani al massimo. La proposta è che ci si consenta alcune ore di sospensione, fino a domattina o a domani pomeriggio, per cercare di stabilire dei contatti fra i maggiori Gruppi, allo scopo di cercare di trovare una linea comune di uscita dalla situazione nella quale ora ci troviamo. (Commenti).

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Signor Presidente, ho l’impressione che l’onorevole Togliatti si faccia delle illusioni. Intendiamoci, non sulla buona volontà che ci possa essere per trovare una via di conciliazione, ma sulla conciliabilità della questione stessa, in quanto, come giustamente ha dimostrato l’onorevole Nitti, e come è stato detto anche da altri oratori prima e dopo di lui, il problema è molto semplice: collegio uninominale o non collegio uninominale. Quindi, è un po’ difficile conciliare il collegio uninominale con una qualunque formula che sia una sua negazione.

Questa è una questione di merito. Credo quindi che, purtroppo, una soluzione che possa risolvere l’esigenza degli uninominalisti e dei non uninominalisti, sia un po’ difficile a trovarsi, per non dire impossibile.

Ad ogni modo, rivolgerei una preghiera al Presidente: se l’Assemblea ritenesse di dover accogliere la richiesta dell’onorevole Togliatti e di vari deputati per cercare quest’araba fenice, che credo non esista, lo pregherei di voler rimandare il voto, salva la discussione che può continuare, a dopodomani. Questo perché so che parecchi deputati hanno rimandato a domani impegni di una certa importanza, appunto per partecipare oggi a questo voto, e so che si troverebbero in difficoltà a rimandarli.

Quindi, visto che questo non impedirebbe lo sviluppo della discussione su questo articolo, pregherei il Presidente di rimandare il voto all’inizio della seduta di venerdì.

NENNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NENNI. Onorevoli colleghi, mi associo anch’io, a nome del Gruppo socialista, alla richiesta fatta dal collega onorevole Togliatti, per due considerazioni. La prima – che è fondamentale – è che la questione, che è stata risollevata dall’Assemblea, è di un’importanza tale che merita che noi facciamo tutti gli sforzi per arrivare ad una soluzione di onesto compromesso. La seconda è che noi del Gruppo socialista ci siamo trovati in questi giorni, ci troviamo ancora oggi, e forse ancora domani e dopodomani, nella necessità di non partecipare intensamente al dibattito. La vita dei partiti fa parte ormai della vita democratica del Paese e non è una esigenza esorbitante quella dei partiti che chiedono che si tenga conto di alcune loro esigenze. Noi non abbiamo avanzato la richiesta che si sospendessero i lavori dell’Assemblea, come si è fatto per altri congressi, semplicemente perché sappiamo che vi è un termine – il 31 gennaio – dal quale non possiamo prescindere.

Quindi, sia per il merito di questa questione, sia per alcune esigenze connaturate al fatto che in questo momento è riunito il congresso di uno dei partiti più importanti di questa Assemblea, io mi associo interamente alla richiesta del collega onorevole Togliatti ed esprimo il desiderio che, se possibile, sia lasciata la giornata di domani a questi contatti fra i vari Gruppi parlamentari e che si acceda anche alla richiesta dell’onorevole Lucifero di rinviare, a venerdì nel pomeriggio, il voto.

PICCIONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PICCIONI. Io non disconosco l’opportunità della proposta di una breve sospensione dei lavori relativamente al problema che noi stiamo oggi discutendo, e lo riconosco precisamente per quei motivi accennati dall’onorevole Togliatti, e che si ricollegano con l’opinione di altri colleghi che hanno parlato precedentemente, cioè di esaminare, tra i rappresentanti dei vari Gruppi parlamentari, quali possibilità vi siano per trovare una linea di convergenza che raccolga il maggior numero di consensi possibile.

Non credo che il problema si debba porre nel modo così risolutivo e schematico adottato dall’onorevole Lucifero: che si tratti cioè di collegio uninominale o di non collegio uninominale.

Io mi permetto di osservare che non v’è un criterio assoluto che fissi il principio del collegio uninominale in un modo soltanto. V’è, forse, nello spirito e nel concetto di alcuni dei colleghi di questa Assemblea, specialmente dei più anziani, che si ricollegano a quel tipo di collegio uninominale sperimentato per molti anni in Italia, ma nessuno può dimostrare che quello soltanto possa essere il tipo di realizzazione del principio uninominalistico.

Noi ci proponiamo, attraverso il progetto di minoranza, di dimostrare perfettamente il contrario, cioè di dimostrare che non v’è una barriera assoluta di fronte ad una diversa applicazione del principio uninominalistico e che non è esatto che tale applicazione si realizzi soltanto con quel certo tipo di collegio uninominale a cui alcuni colleghi, specialmente tra i più anziani, si riferiscono. Quindi non v’è nulla di straordinario nel fatto che la cosa si possa ridiscutere tra i capi dei Gruppi parlamentari, cioè che si possa ridiscutere su un nuovo sistema che, tenendo conto del voto dell’Assemblea già espresso sull’ordine del giorno dell’onorevole Nitti, tenga anche conto di una interpretazione di quell’ordine del giorno comprensiva delle successive determinazioni della stessa Assemblea, e di quel principio rispetto anche ad una certa possibilità di coordinamento della seconda Camera rispetto alla prima.

E, se mi è consentito dall’onorevole Presidente, a questo proposito vorrei dire all’onorevole La Rocca, che ha parlato tanto di contraddizioni, di soffermarsi un momento a considerare una maggiore contraddizione nel suo atteggiamento ed in quello dei colleghi del suo Gruppo in riferimento alle discussioni che sono avvenute, laboriosissime, in seno alla seconda Sottocommissione, quando si parlò della seconda Camera.

Se non erro, il principio fondamentale, sul quale basavano tutta la loro azione i colleghi comunisti in particolare, era che la seconda Camera non dovesse in nessun modo contradire la espressione politica ed il peso politico della prima Camera.

Ora, quando attraverso una seconda Camera, basata in modo esclusivistico su un concetto uninominalistico, così rigido come quello che è stato espresso fin qui, si può arrivare a questa conclusione, che la rappresentanza politica della seconda Camera può essere diversa, come peso specifico, da quella della prima Camera, evidentemente questa, onorevole La Rocca, è quella contraddizione che voi volevate evitare e per la quale vi siete sempre battuti quando si è parlato del modo di formazione della seconda Camera. È una contraddizione stridente che potrebbe pesare sulla funzionalità di tutto il sistema democratico della nuova Repubblica. E credete pure che la preoccupazione massima nostra rispetto al progetto della minoranza, ha questa giustificazione e questo fondamento: di non far sì che la seconda Camera contraddica politicamente quella che è l’espressione politica della prima rendendo estremamente difficile la funzionalità di tutto il nuovo sistema democratico.

Detto questo, mi pare che si possa consentire alla richiesta fatta dall’onorevole Togliatti per una sospensione. Non vorrei però, onorevole Presidente, che si esagerasse a questo riguardo, perché i giorni passano veloci, il termine per la conclusione dei nostri lavori si avvicina rapidamente, vi sono altri argomenti da discutere, dopo la discussione analitica, che pure bisogna fare, qualunque sia il risultato del tentativo d’accordo, sui vari articoli della legge, e quindi si richiede una certa intensità di lavoro anche da parte dell’Assemblea Costituente.

All’onorevole Nenni osservo che il Partito socialista non ha posto nessuna richiesta specifica di sospensione dei lavori in riferimento al suo Congresso. L’onorevole Presidente faccia pure tutto quello che è possibile: se vi fosse stata una richiesta specifica, non saremmo stati noi, evidentemente, a contestare questa riconosciuta esigenza democratica della funzionalità di un congresso del Partito socialista italiano.

Concludo dicendo che sono d’accordo sulla sospensione e sarei d’accordo che la sospensione si limitasse alla seduta di oggi e a quella di domattina, ma che domani pomeriggio si riprendesse il nostro lavoro per portarlo ad una conclusione. (Applausi al centro).

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Mi sono permesso di chiedere la parola nell’opinione – che può essere anche errata – della possibilità che l’interpretazione data dall’onorevole Piccioni alla proposta dell’onorevole Togliatti, alla quale si è associato anche il mio Gruppo, potesse avere l’effetto di creare qualche equivoco in materia.

Io sono sicuro di interpretare il pensiero dell’onorevole Togliatti e dell’onorevole Nenni nel ritenere che né l’uno né l’altro sono partiti dal proposito di ricercare una forma nuova di collegio uninominale, perché questo proposito (avrebbe molto ragione di dire l’onorevole Lucifero) è un proposito probabilmente irraggiungibile.

Mi pare che l’onorevole Piccioni, riferendosi alla proposta della minoranza, abbia voluto sostenere che anche in esecuzione dell’ordine del giorno Nitti votato dall’Assemblea Costituente si può trovare una forma di votazione che corrisponda, più o meno, ad un sistema proporzionale invece che uninominale.

Ora, senza volere in nessun modo entrare nel vivo della quistione dico, remissivamente (anzi lo dico senza remissività, tanto sono convinto di dire bene): di sistemi elettorali indicati come sistema del collegio uninominale non ve n’è mai stato che uno e non ve ne può essere che uno (Commenti al centro). Elezione col sistema uninominale vuol dire elezione a cui si addiviene facendo scegliere ad ogni circoscrizione un suo rappresentante. Con tale sistema si elegge un cittadino a rappresentare un determinato collegio. (Commenti).

UBERTI. E il progetto Targetti?

TARGETTI. L’onorevole Uberti, pur di avere la soddisfazione di interrompere, si rassegna anche alla mortificazione di dire cose che egli sa benissimo non esser vere. Ho avuto infatti più volte occasione di dirgli e ripetergli in conversazioni amichevoli che quel progetto non è mio. È di un altro Targetti, a me, certamente, non sconosciuto, anzi molto caro. Ma il progetto, appunto perché suo, non è mio! L’amico Uberti lo sapeva quanto me ma, pur di interrompere, ha dovuto far finta di non saperlo. È un gusto come un altro.

Concludo rapidamente. Mentre noi dunque siamo convinti che non si possa adottare alcun sistema per la votazione del Senato che non risponda ai criteri del sistema del collegio uninominale, siamo però del parere che sia possibile trovare una. via di intesa. L’Assemblea Costituente non può non riconoscere di essere vincolata da ripetute dichiarazioni che le farebbero obbligo di battere una determinata via. Questo non toglie che si possa realizzare un accordo, qualora si sia tutti convinti dell’opportunità di battere una via eventualmente intermedia ma non certamente opposta a quella tracciata. (Commenti).

MAZZEI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAZZEI. Onorevoli colleghi, io non vi nascondo che questo tentativo molto tardivo di conciliazione di tesi contrastanti, che noi abbiamo discusso in Commissione per numerosissime sedute, mi sembra un tentativo il quale, ove non celi qualche altra cosa di diverso da ciò che sembra di voler essere, è destinato fatalmente a fallire.

Già lo stesso discorso or ora pronunciato dall’onorevole Targetti, il quale avrebbe voluto essere di chiarimento, non è valso a chiarire nulla. L’onorevole Targetti ha detto infatti: noi vogliamo il collegio uninominale tradizionale, ma tuttavia riteniamo anche che, se riusciremo a trovare un accordo generale e ad affermare unanimemente che non se ne debba far niente, che si debba scegliere un’altra via, tutto allora sarà possibile.

Ma questo noi sapevamo già, onorevole Targetti, perché noi sappiamo bene come un ordine del giorno non impegni l’Assemblea e come l’Assemblea sia quindi liberissima di prendere qualunque altra risoluzione. (Vivi commenti). Ed aggiungo anche quest’altra considerazione, che quando si è parlato della tesi proposta dalla minoranza della Commissione, si è ritenuto, da più parti, di muovere aspra critica alla minoranza stessa per il fatto che essa aveva proposto un sistema ibrido, quasi un innesto dell’esigenza proporzionale nel sistema opposto del cosiddetto collegio uninominale, con la conseguenza che la sostanza di quest’ultimo sistema finirebbe per risultare sacrificata. Ma, in realtà, operare un innesto su di un albero, non significa abbattere l’albero né sostituirlo con altro.

E di questo, qui, appunto si tratta: di conciliare la tesi uninominalistica con l’esigenza posta dalla minoranza della Commissione, di coordinare il sistema elettorale scelto per il Senato con il principio fissato nella Costituzione, secondo la quale il Senato è a base regionale. Ma allora è chiaro che, ove noi una via di conciliazione dovessimo veramente trovare, questa via non potremmo ricercarla se non sulla base della soluzione proposta dal progetto di minoranza.

Noi possiamo trattare, onorevoli colleghi, per quanto tempo vorremo, ma una sola è la via di conciliazione possibile, quella mediana fra le due opposte tendenze, del collegio uninominale tradizionale e del puro sistema proporzionale.

PRESIDENTE. Abbiamo, dunque, onorevoli colleghi, una proposta dell’onorevole Togliatti, di rinviare la decisione a domani affinché sia data alle parti contrapposte qualche possibilità di avvicinamento.

L’onorevole Nenni ha suffragato questa richiesta allargandola con la motivazione del desiderio vivo e comprensibile dei deputati socialisti di poter presenziare ai lavori del loro Congresso senza per questo disertare le nostre sedute.

L’onorevole Lucifero ha fatto presente una richiesta analoga per una riunione, alla qual pare siano interessati numerosi colleghi del suo Gruppo. Desidera, quindi, anche egli il rinvio, ma vorrebbe che avesse un termine un po’ più lungo di quello indicato dall’onorevole Togliatti.

Infine l’onorevole Piccioni non si oppone a questa richiesta, ma ammonisce di non perdere tempo.

Per risolvere la questione complessa si potrebbe forse fare così: togliere la seduta – e questo sta nelle richieste di tutti coloro che hanno parlato – rinviando la discussione a domani per l’esame di tutti quegli articoli del disegno di legge i quali non toccano neppure indirettamente la questione sulla quale occorre votare e concludere, e cioè gli articoli 10, 11 16, 17, 23, 24, 25, 26, 27, 28. Abbiamo da alimentare certamente due sedute. (Commenti).

GULLO FAUSTO, Relatore per la maggioranza. Non credo.

PRESIDENTE. Onorevole Gullo, perché no?

GULLO FAUSTO, Relatore per la maggioranza. Perché questi articoli non sollevano contrasti.

PRESIDENTE. Tanto meglio, onorevole Gullo. Vuol dire che le due sedute, forse, si ridurranno ad una o saranno due brevi sedute. Siccome questi articoli bisognerà pure esaminarli, non capisco perché dovremmo attendere per far ciò la conclusione della questione fondamentale, e cioè preventivare nel nostro lavoro almeno ancora una seduta successiva.

Siccome io penso che le richieste dell’onorevole Nenni e dell’onorevole Lucifero siano tanto degne di considerazione quanto quella fatta dall’onorevole Togliatti, ritengo che vi possa venire incontro appunto così. Venerdì mattina noi ci ritroveremo – accordo concluso o non concluso – per affrontare la decisione della questione controversa. Se, intanto, domani avremo sgomberato il terreno di tutto il resto, venerdì potremo concludere sulla questione fondamentale; e allora, avremmo finito il nostro lavoro, salvo le Tabelle.

MICHELI, Presidente della Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI, Presidente della Commissione. La Commissione aderisce alla proposta di rinvio e sarà lieta dì poter cooperare a questo studio per l’accordo auspicato, se esso sarà possibile.

Quanto alla proposta ultima fatta dall’onorevole Presidente, la Commissione ritiene che gli articoli che si possono esaminare senza entrare nel groviglio della discussione sulla contestazione principale siano pochi; e ritiene che si possano esaminare nella seduta pomeridiana di domani. Perché se li discutiamo domani mattina può darsi che ci troviamo ad avere esaurito gli argomenti troppo rapidamente facendo mancare poi quelli per la seduta pomeridiana. In essa esamineremo tutti gli articoli che chiamerei indifferenti, e se per combinazione ci incontreremo in qualcuno che ci riporti alla discussione principale lo accantoneremo.

In questo senso la Commissione aderisce alla proposta dell’onorevole Presidente.

REALE VITO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

REALE VITO. A completamento della proposta dell’onorevole Togliatti vorrei pregare l’onorevole Presidente di convocare nel suo gabinetto gli esponenti dei vari Gruppi per le trattative; diversamente si corre il rischio di sospendere i lavori senza che una fase di compromesso si sia neppure iniziata.

PRESIDENTE. Sta bene. Onorevoli colleghi, prendendo nota e buona considerazione della proposta dell’onorevole Reale Vito, credo che possiamo restare intesi così: rinviamo la seduta al pomeriggio di domani, per l’esame degli articoli non controversi; se questo esame sarà esaurito domani, venerdì mattina terremo seduta per la definizione delle questioni più fondamentali.

PICCIONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PICCIONI. Vorrei fare osservare che, se domani nel pomeriggio la seduta dell’Assemblea sarà dedicata alla conclusione della discussione attuale, i contatti fra i partiti per vedere di trattare una linea d’intesa potrebbero essere condotti ed esauriti nella mattinata di domani. E allora non mi spiego l’inversione dei lavori dell’Assemblea. Mentre sarebbe molto più logico che si esaurisse domani la questione principale e si passasse dopodomani all’esame degli altri articoli.

Quindi io proporrei di sospendere ora la seduta, anche per aver modo di scambiare questa sera stessa le nostre idee e di proseguire nelle intese domattina; e poi di riprendere la discussione nel pomeriggio di domani al punto in cui è stata lasciata oggi. (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Piccioni, la proposta che ho presentato, e che mi pareva fosse stata accettata, salvo la correzione dell’onorevole Micheli, voleva tener conto non solo delle esigenze dei nostri lavori, ma anche dell’onesto desiderio dei colleghi di due Gruppi, i quali nella giornata di domani sarebbero forse posti in imbarazzo per venire a votare; e proprio perché si tratta di una votazione importante, io vorrei che togliessimo dalla strada di tutti i nostri colleghi anche i più piccoli ostacoli materiali o di coscienza che potrebbero impedire il compimento del loro dovere.

Per questa ragione è stato proposto che la discussione iniziata oggi prosegua venerdì. E non vedo motivi di principio che siano di ostacolo.

PICCIONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PICCIONI. Mi permetto di insistere nella mia proposta prospettando due eventualità: la prima, che si raggiunga un accordo d’importanza notevole, e, se l’accordo sarà raggiunto, evidentemente l’importanza della votazione effettiva viene diminuita e non si può con ciò mettere in imbarazzo alcun collega di un Gruppo o di un altro.

In secondo luogo, se l’accordo non potesse essere raggiunto, evidentemente domani nel pomeriggio la discussione deve continuare sullo stesso argomento e dovrà continuare in maniera ancor più chiarificatrice, se possibile – attraverso l’intervento dei relatori – di quello che non si sia fin qui fatto.

Se, per ragioni particolari riguardanti qualche Gruppo, dall’Assemblea si dovesse vedere che all’atto in cui si chiede un voto altri colleghi o Gruppi fossero impegnati, allora si potrebbe rinviare all’indomani mattina. Ma a me sembra che proprio l’inversione degli articoli della legge non sia opportuna rispetto alla necessità di esaurire la discussione che abbiamo intrapresa.

PRESIDENTE. Onorevole Piccioni, mi permetta che le confessi che non vedo assolutamente le ragioni di questa sua insistenza. O vi è una ragione di principio, e allora è meglio dirla affinché (anche se altri colleghi l’hanno compresa) io, che non la comprendo, la possa comprendere; o l’unica preoccupazione che ella ha – e che è da me condivisa – è quella di non sprecare tempo inutilmente, e allora la proposta potrebbe essere accettata.

E aggiungo che, anche se una formula concordata si redigerà, possiamo pensare che su di essa non sia facile ottenere l’unanimità dei consensi. Ci saranno forse alcuni che non accetteranno, e a questi nostri colleghi non dobbiamo impedire di venire a esporre il loro pensiero e dare il loro voto.

PICCIONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PICCIONI. La questione di principio, se mi consente… (Commenti – Interruzioni).

Vuole sapere la ragione di principio che mi ha indotto a fare queste insistenti proposte? È questa: che se si può considerare l’opportunità di una inversione quando si discute un disegno di legge, mi pare che la inversione dell’inversione complichi le cose. Poiché abbiamo affrontato questo argomento, che d’altra parte è pregiudiziale agli altri e fondamentale, mi sembrerebbe opportuno che esso fosse esaurito, senza ritornare di nuovo o indietro o andare avanti affrontando altri argomenti. Ché, una volta accettata, bisogna mantenere questa inversione e concluderla in qualche modo.

Questo è il concetto che ha ispirato le mie proposte.

LCGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LCGONI. Se domani mattina si trova la strada di un componimento, nel pomeriggio di domani si affronteranno i temi secondo l’ordine del progetto.

Se non si arriva al componimento, saremo noi stessi di comune accordo a pregare il Presidente di fare una inversione. Credo che questa soluzione possa tranquillizzare anche i colleghi ora non presenti. È evidente che, se l’accordo si raggiunge, essi possono tranquillamente restare assenti. Insomma, amichevolmente, domani mattina ci metteremo d’accordo fra noi e all’inizio della seduta pomeridiana prospetteremo la risoluzione migliore all’onorevole Presidente.

PRESIDENTE. È evidente che, fissando l’ordine del giorno per la seduta di domani, noi non vi indichiamo gli articoli che esamineremo. Questo è pacifico. Ma è anche evidente che i colleghi che hanno impegni di partito devono conoscere fin da ora gli argomenti che saranno trattati nella seduta di domani, in modo da disporre del loro tempo. Si può anche decidere di non tenere sedute domani. (Commenti al centro e a destra).

Visto che la questione è tanto controversa, risolviamola allora con una votazione.

GRONCHI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRONCHI. Per non prolungare inutilmente una discussione che finirebbe per innervosire l’Assemblea, noi saremmo disposti a rinunciare, d’accordo anche con il collega Piccioni, alla posizione presa per la quale domani si dovrebbe continuare senz’altra interpolazione la discussione sul punto più appassionante, purché però si rimanesse altrettanto chiaramente d’intesa che la questione sarà discussa e votata nella giornata di venerdì, che cioè non vi sarà alcuna altra ragione di congressi o di riunioni che ci induca a rinviare ancora una volta la conclusione della discussione.

PRESIDENTE. Onorevole Gronchi, credo di poter assumere questo impegno. Le do assicurazione che venerdì non saranno più ammessi o concessi rinvii. Nelle sedute di venerdì affronteremo le questioni fondamentali e le porteremo a conclusione.

Per intanto preciso che venerdì mattina, riprendendo la discussione al punto in cui oggi è sospesa, non darò più la parola ad alcuno per partecipare alla discussione generale, perché non v’è più alcun iscritto. Se infatti questa sera non fosse stato deciso il rinvio, avrebbero parlato i relatori e il Ministro, quindi si sarebbe passati alle votazioni. Pertanto venerdì parleranno i relatori e il Ministro; poi si voterà. Se vi saranno emendamenti, è evidente che essi saranno svolti, prima di essere posti ai voti; ma non si farà più discussione generale.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Esprimo il mio scetticismo. Se da questi contatti venisse fuori il miracolo del collegio uninominale plurinominale ci troveremmo di fronte a un fatto nuovo. Si tratterebbe di una proposta nuova, perché nessuna delle proposte fatte finora concilia i due sistemi; e quindi ci riserviamo il diritto di discuterla, perché sarebbe una proposta che non conosciamo.

PRESIDENTE. Il modo migliore di discutere di una formulazione è quello di presentarvi emendamenti, parlando a sostegno di essi. Ho voluto dire che non riapriremo una discussione del tipo di quella che si è fatta ieri e quest’oggi.

LUCIFERO. Sempre con il diritto di poter dire perché si è contrari.

PRESIDENTE. Se non vi sono altre osservazioni, resta stabilito che la discussione è rinviata alle ore 17 di domani per l’esame degli articoli del progetto che non investono questioni fondamentali.

(Così rimane stabilito).

Avverto che gli articoli che saranno presi in esame domani sono – a mio avviso – i seguenti: 10, 16, 17, 23, 24-bis, 25, 25-bis, 26, 27-bis, 27-ter e 28.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

RICCIO, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro del tesoro, per conoscere quali provvedimenti intendono adottare per mettere le Commissioni mediche per le pensioni di guerra in condizioni di dare effettivo corso alle visite mediche disposte dalla Direzione generale pensioni di guerra.

«Risulta all’interrogante che talune Commissioni mediche ricevono disposizioni per un migliaio, in media, di visite mediche mensili, mentre con l’attuale organico le Commissioni stesse non sono in grado di eseguirne più di cinquecento-seicento al mese.

«Nel dare atto del relativo miglioramento ottenuto recentemente nei servizi presso la Direzione generale delle pensioni di guerra, l’interrogante richiama tutta l’attenzione del Ministero sulla penosa situazione in cui si trova un numero enorme di ex militari – non pochi dei quali ospedalizzati – in attesa ansiosa dell’invito alla prescritta visita medica; servizio anche questo che va migliorato senza ulteriore indugio.

«Con la citazione di tre casi, presi fra tanti, si avrà la misura della gravità della situazione: pratica di pensione diretta (N.G.), posizione 270770, classe 1923, visita medica a Venezia disposta da Roma il 4 giugno 1947; posizione n. 260410, classe 1921, disposta dall’11 aprile 1947; posizione n. 201064/71425, classe 1924, disposta dall’11 marzo 1947, visite mediche che – a metà gennaio 1948 – gli interessati attendono ancora (meno il primo, ormai deceduto all’Ospedale Marino di Jesolo, Venezia). (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Ghidetti».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri del lavoro e previdenza sociale e dell’interno, per sapere quali provvedimenti intendano attuare al fine di alleviare la situazione dei 4500 tubercolotici italiani, che – pur avendo una forma aperta in atto – non possono essere ricoverati per mancanza di letti e sono quindi abbandonati senza possibilità alcuna di procurarsi i mezzi necessari alla vita; e se credono necessario che a questi ammalati in attesa di ricovero, venga versata dal momento del riconoscimento dell’infermità una somma almeno eguale alla diaria di degenza ed assicurata la possibilità di ottenere i medicinali indispensabili. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Vigorelli».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dell’industria e commercio e dei lavori pubblici, per conoscere se, allo scopo di venire incontro ai lavoratori minacciati di licenziamento dalle miniere, in seguito alla grave crisi delle industrie lignitifere, non si ritenga opportuno disporre lavori di pubblica utilità da eseguirsi in via di urgenza nelle zone minerarie delle provincie interessate, per occupare i licenziati stessi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Monticelli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere se non intenda, in riconoscimento dei servizi resi dai pensionati negli uffici, nelle officine, nei campi e nelle miniere, ed in considerazione della miseria che essi soffrono per le insufficienti pensioni percepite, rivedere le loro situazione, corrispondendo la doppia mensilità e perequando le pensioni al costo reale della vita. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Monticelli»

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro degli affari esteri, per conoscere se hanno notizia del nuovo progetto di legge sulla nazionalità degli abitanti di Briga e Tenda predisposto dal Governo francese, e quali passi in relazione ad esso abbiano compiuto ed intendano compiere per garantire alle popolazioni italiane di Briga e di Tenda, trasferite dalla forza di un Trattato alla Francia, il rispetto assoluto e doveroso del diritto di opzione a favore della cittadinanza italiana contro ogni limitazione, che non sia espressamente prevista dal Trattato di pace.

«In particolare se non ravvisino manifeste violazioni nella norma di detto progetto, che indica Briga e Tenda come «territori riuniti alla Francia», con l’evidente tentativo di costituire un presupposto storico privo di qualsiasi fondamento, trattandosi di territori italiani che non sono mai appartenuti alla Repubblica francese; e nell’altra, con cui in sostanza si viene a determinare che gli abitanti delle due zone, che parlano tanto l’italiano che il francese, siano esclusi dalla facoltà di rinunciare alla cittadinanza francese, mentre tale facoltà avrebbero soltanto quelli la cui lingua essenziale è l’italiana.

«Se infine non ritengano urgente, allo scopo di ottenere una modifica o quanto meno un temperamento della norma che impone a chi rifiuta la nazionalità francese di abbandonare effettivamente i territori della Repubblica, di iniziare trattative diplomatiche prima che il parlamento francese approvi l’anzidetto progetto di legge. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Villabruna».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno trasmesse ai Ministri competenti, per la risposta scritta.

La seduta termina alle 18.50.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 17:

Seguito della discussione del disegno di legge:

Norme per l’elezione del Senato della Repubblica. (61).