Come nasce la Costituzione

POMERIDIANA DI SABATO 24 GENNAIO 1948

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCLXII.

SEDUTA POMERIDIANA DI SABATO 24 GENNAIO 1948

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Norme per l’elezione del Senato della Repubblica (61).

Presidente

Martino Gaetano

Targetti

Piccioni

Giannini

Basile

Mastino Pietro

Mortati, Relatore per la minoranza

Lussu

Scelba, Ministro dell’interno

Lucifero

Russo Perez

Dominedò

Rubilli

Mazzei

Stampacchia

Candela

Dossetti

Caronia

Reale Vito

Micheli, Presidente della Commissione

Gronchi

Votazione segreta:

Presidente

Risultato della votazione segreta:

Presidente

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

RICCIO, Segretario, legge il verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Seguito della discussione del disegno di legge: Norme per l’elezione del Senato della Repubblica. (61).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del disegno di legge: Norme per l’elezione del Senato della Repubblica. (61).

Proseguiamo nell’esame dell’articolo 7.

È iscritto a parlare l’onorevole Martino Gaetano.

Ne ha facoltà.

MARTINO GAETANO. Cercherò di riassumere in pochissime parole il mio pensiero. Premetto che non condivido affatto la delusione manifestata e la deplorazione espressa dai miei amici stamane per il raggiungimento di un accordo fra il Partito comunista ed il Partito della democrazia cristiana. Io amo la concordia. Io appartengo alla categoria di quegli uomini che sognano ancora il regno della pace sulla terra. E concordo con quanto affermava stamane l’onorevole Togliatti, e cioè che la collaborazione del Partito comunista con i partiti democratici sarebbe estremamente utile alla Nazione. Ma non posso nascondere che sono rimasto particolarmente sorpreso per le stupefacenti dichiarazioni dell’onorevole Togliatti. Noi decidemmo l’altro giorno di concedere un rinvio su questo articolo 7 e la questione che esso implica, allo scopo di vedere se fosse possibile raggiungere un accordo fra i rappresentanti dei partiti espressi in questa Assemblea: un accordo sul sistema elettorale dato che, a quanto pare, nessuno dei tre progetti presentati – della maggioranza della Commissione, della minoranza e del Governo – è tale da sodisfare le esigenze formali e sostanziali postulate, nella discussione, da varie parti dell’Assemblea.

Ora, non è questo accordo che si è realizzato. Non solo, ma, a quanto pare, nessun tentativo si è fatto per un accordo su questa base; si è invece realizzato un accordo bilaterale, su diversa base, tra il Partito comunista ed il Partito della democrazia cristiana, e ciò all’insaputa degli altri Gruppi di questa Assemblea. Appunto perché di natura bilaterale, esso è estraneo all’Assemblea: giustamente dunque l’onorevole Togliatti si è rifiutato di darne conto all’Assemblea. Orbene, tutto questo è molto strano. Io penso infatti che, nel momento in cui noi aderivamo all’invito rivoltoci dall’onorevole Togliatti, tutti i rappresentanti dei Gruppi parlamentari assumevano un impegno preciso: tentare un accordo fra i Gruppi parlamentari, e, in ogni caso, dar conto all’Assemblea degli accordi intervenuti. Viceversa, quel patto bilaterale non riguarda nemmeno, a quanto pare, metodi o sistemi per l’elezione del Senato a collegio uninominale; in altri termini, non si è cercata una nuova via che potesse sodisfare l’Assemblea, cioè realizzare quelle che sono o sembrano essere le aspirazioni dei grandi partiti di massa ed al tempo istesso quelle che sono le necessità imposte dal precedente voto sull’ordine del giorno Nitti. L’accordo ha riguardato argomenti che non avevano niente a che fare con l’oggetto della discussione odierna.

Questa mattina l’onorevole Lucifero e l’onorevole Nitti, con grande efficacia, hanno ricordato quello che è l’ostacolo formale all’accoglimento di qualsiasi legge elettorale anzi alla discussione di qualsiasi legge che preveda l’elezione dei senatori con sistema proporzionale. È stato ricordato che su questo punto la Assemblea si è già espressa, votando un ordine del giorno chiaro ed esplicito, l’ordine del giorno Nitti; è stato ricordato che, secondo l’autorevole interpretazione data dal Presidente dell’Assemblea, l’ordine del giorno, il quale non vincola i cittadini fuori dell’Assemblea, è però legge per l’Assemblea e per il Governo; è stata ricordata la pregiudiziale già approvata (la pregiudiziale Cevolotto), per cui nessun sistema di elezione con metodo proporzionale può essere proposto, in quanto contrastante con l’ordine del giorno Nitti. Ed allora la questione, secondo me, si riduce a vedere – poiché altri progetti non esistono – quale dei tre progetti che stanno davanti a noi – quello della maggioranza della Commissione, quello del Governo e quello della minoranza della Commissione – sia tale, da poter esser messo in discussione.

Disse a questo proposito l’onorevole Togliatti che il Partito comunista si è richiamato, nel tentare di raggiungere un accordo con la Democrazia cristiana, a quelle che sono le sue tradizioni in materia elettorale (partito proporzionalista), ed espresse la sua soddisfazione per aver rilevato una perfetta, identità di vedute, a questo proposito, fra la Democrazia cristiana ed il Partito comunista. Ora, io non desidero aggiungere nulla a quanto è stato detto – in forma così netta e precisa ed anche così nobile ed elevata – dall’onorevole Lucifero e dall’onorevole Nitti, però mi pare evidente che su questo punto non debbano esserci discussioni di sorta. Quello che è legge per l’Assemblea non può essere violato dall’Assemblea. Non è democrazia senza rispetto alla legge, ed è inutile che noi cerchiamo di ingannare il popolo italiano parlando continuamente di democrazia, quando invece, con i nostri atti, gettiamo il discredito sull’istituto parlamentare, discredito che inevitabilmente si ripercuoterebbe sulla democrazia, che compromette l’istituzione repubblicana, che insidia la libertà. Se un fatto così grave dovesse avvenire io sento l’obbligo di dichiarare – e sono autorizzato a farlo a nome del mio Gruppo… (Interruzione del deputato Fuschini). Non credo, onorevole Fuschini, che la serietà dell’argomento giustifichi interruzioni di così scarso rilievo e per altro così prive di quel sense of humour del quale Ella ebbe a dare così bella prova in altra occasione. Pertanto Ella consentirà che io non raccolga la sua non utile interruzione.

Dico invece, autorizzato, come sono, a parlare in nome del mio Gruppo, che qualora un fatto così grave dovesse verificarsi, esso imporrebbe necessariamente una revisione del proprio atteggiamento politico ad uomini della nostra coscienza e della nostra dignità. Dei tre progetti che sono all’esame dell’Assemblea, ve ne è senza dubbio uno che non può essere messo in discussione in nessun modo, ed è il progetto della minoranza. Esso è uno schema per l’elezione di senatore a sistema proporzionale. Preciso: a scrutinio di lista e con sistema proporzionale.

È solo in apparenza che la votazione avviene per un solo candidato. L’onorevole Nitti ebbe a dire che collegio uninominale è quello dove si vota per un solo candidato. La definizione non è esatta. Io che sono in materia piuttosto esigente per ragioni, vorrei dire, professionali, non ho trascurato di informarmi: ho guardato nei dizionari e nelle enciclopedie di cui dispone la biblioteca dell’Assemblea. E sapete che cosa ho trovato? Ho trovato che la definizione più corrente è invece la seguente: «Collegio uninominale è quello nel quale viene eletto un solo deputato; collegio plurinominale è quello nel quale vengono eletti più deputati». Ma è certo che, anche qualora la definizione data dall’onorevole Nitti fosse esatta, questo progetto non risponderebbe allo scopo di eleggere i senatori con sistema uninominale. Senza entrare nei dettagli della questione – riservandomi eventualmente di farlo in altro momento – dirò subito il perché. È solo in apparenza che si vota per un solo candidato, giacché il voto dato ad un candidato non viene utilizzato da esso, sibbene da una lista di candidati fra loro collegati. È vero che il progetto non parla di lista; esso parla semplicemente di collegamento fra i vari candidati. Ma è evidente che se tutti questi candidati insieme collegati devono utilizzare i voti riportati da ognuno di essi nella regione, dovrà pure esserci, necessariamente, un elenco di collegati. Il voto, dunque, viene utilizzato dalla lista e non dal candidato. Noi abbiamo così uno scrutinio di lista e non già una votazione uninominale.

Non solo. Ma anche per l’altro aspetto della questione da me prospettata questo non è un collegio uninominale. Non lo è, perché non viene niente affatto garantito che in ogni circoscrizione sia eletto un senatore, ed un solo senatore. Può accadere infatti con questo sistema – e accade, io penso, inevitabilmente – che siano eletti più di un senatore in una circoscrizione, e nessun senatore in un’altra circoscrizione.

Mentre dunque, in apparenza, la circoscrizione è costituita da quella zona dove l’elettore vota, il vero collegio elettorale è costituito dalla regione; e mentre in apparenza il voto viene dato ad un solo candidato, in realtà il voto è utilizzato da una lista di candidati. Che cosa è questo, se non sistema proporzionale a scrutinio di lista? Prova del resto autorevole, e conforto a questa dimostrazione, si trova nella relazione della minoranza dove è ricordato, opportunamente, che questo è il cosiddetto metodo Hare, escogitato per l’elezione con sistema proporzionale dei deputati; era stato già proposto in Italia altre volte (nel 1919 dall’onorevole Bonomi e nel 1946 da altri nella Consulta nazionale) ed era stato proposto appunto per la elezione dei deputati col sistema proporzionale.

Dunque questo progetto della minoranza della Commissione è in netto contrasto col principio, più volte solennemente affermato dall’Assemblea, che l’elezione dei senatori deve avvenire col sistema del collegio uninominale.

Si può discutere sul progetto ministeriale, sebbene evidentemente esso pure è recisamente contrario al principio già votato dall’Assemblea; si può discutere; perché, in sostanza, quello proposto dall’onorevole Scelba è un sistema misto. Avviene in un primo tempo la elezione a collegio uninominale, limitata a coloro che raggiungono la maggioranza assoluta; in un secondo tempo col sistema proporzionale, per coloro i quali non hanno ottenuto la maggioranza dei voti.

Devo tuttavia far presente che la maggioranza della Commissione ritenne che questo progetto dell’onorevole Scelba contrastasse anche esso con l’ordine del giorno approvato dall’Assemblea; tanto è vero che per tale motivo esso fu restituito al Ministro dell’interno. Comunque, è chiaro che se pure è possibile discutere fino a che punto questo progetto contrasti col voto dell’Assemblea, nessuna discussione è invece ammissibile per il progetto della minoranza.

Onorevole Presidente, io desidero rivolgermi direttamente a lei. Noi abbiamo un voto dell’Assemblea, l’ordine del giorno che porta le firme di Nitti, Togliatti ed altri, il quale è legge per l’Assemblea. Noi abbiamo una pregiudiziale, approvata il 16 dicembre 1947 (la pregiudiziale Cevolotto), per la quale non è possibile proporre, al fine della elezione dei senatori, altro metodo che non sia quello del collegio uninominale. Ed anche la pregiudiziale è legge per l’Assemblea.

Ora, un’Assemblea, in regime democratico, non può non rispettare le proprie leggi. L’onorevole Lucifero diceva stamani che noi andremmo incontro ad un dispotismo impersonale di maggioranza, qualora noi ammettessimo che la legge dell’Assemblea possa essere da essa violata; dispotismo impersonale che evidentemente sarebbe peggiore di qualsiasi Governo dispotico personale. Ma io desidero correggere, se l’onorevole Lucifero me lo permette, quello che egli ha detto: qualsiasi Governo dispotico ha le sue leggi e le osserva; qui vi sarebbe invece addirittura un’anarchia di Assemblea. Valga un esempio: stamani l’Assemblea, a proposito dell’emendamento Morelli, votò una preclusione; potrebbe ora una diversa maggioranza approvare l’emendamento Morelli?

Se il Presidente, che è il garante del rispetto dei regolamenti, che è quello che deve, coi mezzi di cui è in possesso, far sì che non venga violata la legge dell’Assemblea, consentisse la violazione di essa, noi ci troveremmo appunto in regime di anarchia parlamentare.

Onorevole Presidente, io sono il più modesto, l’ultimo dei membri di questa Assemblea, ma io mi permetto tuttavia di rivolgermi direttamente e formalmente a Lei, affinché Ella garantisca, come è suo dovere, e come è nei suoi poteri, il rispetto alla legge dell’Assemblea. (Applausi a destra).

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Devo dichiarare, onorevoli colleghi, a nome del mio Gruppo, che noi accediamo alla tesi sostenuta dall’onorevole Lucifero, dall’onorevole Nitti e, or ora dall’onorevole Martino Gaetano. A proposito dell’onorevole Martino io debbo dire tutta la mia ammirazione per il modo con cui egli ha sostenuto la sua tesi. L’onorevole Martino, come tutti sappiamo, è uno scienziato, un fisiologo dalla fama che supera i confini del nostro Paese. Che egli possa, con tanta maestria ed anche con tanta precisione di linguaggio, occuparsi di questioni così lontane dalla sua competenza tecnica e specifica, è cosa che fa molto onore a lui e fa anche piacere e onore all’Assemblea. (Applausi). Né questo venga interpretato da nessuno come un complimento suggerito dal gran piacere che ci fa il sentire sostenere validamente una tesi che ci sta a cuore, perché la tesi dell’onorevole Martino ci trova sì consenzienti, ma non è una di quelle che abbiano per noi un’importanza ed un interesse eccezionali. Abbiamo, per varie considerazioni, votato a favore del sistema del collegio uninominale per l’elezione del Senato. Non possiamo però dimenticare che siamo antichi, vecchi, tradizionalisti sostenitori del sistema proporzionale e quindi ci troviamo in una situazione delle migliori per essere sereni ed obiettivi. Aggiungiamo ancora questo: che non abbiamo neppure una fede cieca circa la fondatezza delle previsioni che si fanno, in genere, sui risultati per un partito od un altro, dall’applicazione di un sistema elettorale piuttosto che di un altro. Mi ricordo che nel 1919, quando noi socialisti eravamo esultanti per aver ottenuto l’applicazione del sistema proporzionale, ad elezioni avvenute, a conti fatti da parte di specialisti in materia, si dovette constatare che con il sistema del collegio uninominale – e gli amici onorevoli Mazzoni, Bocconi ne possono far fede con molti altri – la nostra vittoria sarebbe stata ancor più significativa e forse quella maggior quantità di seggi che avremmo conquistato col collegio uninominale avrebbe potuto anche esercitare un’influenza di una certa portata, non solo sullo svolgimento della nostra attività ma persino sul corso della politica italiana. Questo per dire a noi stessi – e forse per ricordarlo anche a chi la pensa diversamente da noi – che non c’è da attribuire eccessivo valore alle previsioni che si fanno dei risultati elettorali che ad un partito o ad un altro può assicurare un determinato sistema. Questa considerazione dovrebbe renderci tutti molto obiettivi. Per noi il problema è di una grande semplicità. Per non allungare la discussione e per, non dico perderci, ma andare dietro a disquisizioni su quelle che sono le caratteristiche del collegio uninominale e del sistema proporzionale, io domando a tutti i colleghi: siamo o no d’accordo che con quelle tre votazioni, ricordate più volte in questa discussione da vari oratori, l’Assemblea Costituente ha deciso che la formazione del Senato non avvenisse con l’applicazione del sistema elettorale stabilito per la formazione della Camera dei deputati? Vi è stato un ordine del giorno Nitti ed una successiva votazione; poi vi è stata la votazione sulla pregiudiziale Cevolotto. Badino gli onorevoli colleghi che a parer mio quest’ultima votazione ha un significato anche superiore alla votazione precedente, perché con essa l’Assemblea Costituente ha deliberato che non si potesse neppure prendere in considerazione, non già una proposta di sostituire un sistema diverso da quello del collegio uninominale, stabilito con l’ordine del giorno Nitti, ma la proposta che in via di eccezione, in via transitoria, una volta tanto, cioè per la nomina del primo Senato della Repubblica italiana, si potesse adottare un sistema diverso da quello stabilito precedentemente.

Mi sembra, onorevoli colleghi, che poche volte ci si possa trovare di fronte ad una deliberazione presa in forma più impegnativa. Quando all’Assemblea si è chiesto di discutere, non la modificazione di un principio di massima, ma la proposta di fare un’eccezione per la nomina di questo primo Senato della Repubblica, adottando un sistema diverso da quello del collegio uninominale, l’Assemblea vi si è rifiutata, ha risposto di non poterlo fare. Onorevole Presidente, mi rincresce di rivolgermi a lei, perché so di proporle una questione la cui risoluzione implica della responsabilità, ma le domando: non è questo il caso tipico, in cui si chiede di sottoporre al giudizio dell’Assemblea una proposta, che va contro a deliberazioni già prese e ripetute, una proposta quindi improponibile? È stato già detto autorevolmente, con tono, vorrei dire, quasi drammatico, dall’onorevole Nitti che più che di una questione politica si tratta di una questione di dignità e di serietà, si tratta di una questione che deve avvalorare o svalutare l’opera dell’Assemblea Costituente. Perché chi non sia poi eccessivamente pratico di certi cambiamenti del clima politico, in cui si svolgono i lavori delle Assemblee, come potrà mai persuadersi che quando un’Assemblea ha detto per tre volte che il Senato della Repubblica deve essere eletto col sistema del collegio uninominale, quella stessa Assemblea, possa poi, tranquillamente, senza neppure accorgersi di fare una cosa diversa da quella che aveva solennemente fatta ieri, possa dire che il Senato della Repubblica si nomina invece con tutt’altro sistema?

Impedire, onorevole signor Presidente, che si deliberi su di un argomento, la cui proposizione sola basta ad inficiare e svalutare in generale il carattere, il valore del lavoro legislativo dell’Assemblea Costituente, mi pare che sia il problema che Ella deve risolvere nella sua alta coscienza.

Indagine unica – e mi scuso di dovermi trattenere ancora qualche minuto sull’argomento – da farsi è questa: il progetto della minoranza è un progetto che va contro alle deliberazioni prese in materia dall’Assemblea Costituente? Il progetto della minoranza non è per caso una forma di quel sistema proporzionale, che l’Assemblea ha deciso, ripetute volte, di non volere applicare alla elezione del Senato? A me questo sembra fuori di discussione.

L’onorevole Mortati nella sua relazione, che è un modello di abilità ed insegna come si deve fare a presentare una cosa facendo tutto il possibile perché appaia un po’ diversa da quella che è – e questo può essere anche un elogio – nella sua relazione…

RUBILLI. È una scarsa abilità, perché in tre colonne e mezzo non fa altro che combattere il sistema uninominale!

TARGETTI. Onorevole Rubilli, ma l’abilità dell’onorevole Mortati io la vedo in questo: gli era facile fare la critica di alcuni lati del Collegio uninominale, e l’ha fatta.

Ma dimostrare che la sua proposta era intonata al sistema del collegio uninominale non era possibile e non ci si è neppure provato. Così ha evitato di dare lui stesso la prova di quest’impossibilità. È una forma di abilità anche quella di occuparsi soltanto degli argomenti che stanno contro la tesi che si combatte, quando non si hanno argomenti a favore della tesi che si sostiene.

Fatta la critica del collegio uninominale, l’onorevole Mortati – e mi perdoni l’onorevole Mortati, verso cui io, per la sua dirittura morale e politica, ho la più viva simpatia – ha fatto una affermazione che non è un modello di sincerità. Ad un certo punto egli, che in materia giuridica ne sa più di noi, almeno più di me, dice: «mentre si mantiene il sistema uninominale ecc.».

Eh no, onorevole Mortati, non si mantiene affatto il sistema uninominale, quando si propone una forma di sistema proporzionale.

Aggiunge però, prudentemente, l’onorevole Mortati: «per tutto quanto riguardale operazioni di voto».

Evidentemente, nella sua onestà, egli ha voluto correggere subito la sua affermazione, togliendole ogni significato effettivo. Egli stesso finisce col riconoscere che di uninominale in questo progetto non c’è che la modalità del voto, cioè una pura esteriorità.

Perché, onorevoli colleghi, non c’è altro che questo di uninominale; tutto il resto è proporzionale.

Basta fare il confronto (confronto che io non vi infliggerò, e che ciascuno di voi può sempre fare per conto proprio) fra le norme che si seguono per l’elezione dei deputati al Parlamento, in applicazione di quel sistema proporzionale, che per il Senato l’Assemblea Costituente ha rinnegato, e quelle proposte del progetto Mortati, per constatarne la coincidenza assoluta. Per la Camera dei deputati, avvenuta la votazione, si fa la somma dei voti riportati dalle varie liste; si divide questa somma per il numero dei seggi da attribuire, e si stabilisce quello che si chiama il quoziente elettorale.

Nella vostra proposta che cosa si fa, di sostanzialmente diverso, onorevole Mortati? È vero che liste non ne abbiamo. Cioè, abbiamo liste composte da un solo nome. Sommando i voti riportati da tutti i candidati nei vari collegi della Regione si fa un’operazione identica alla somma dei voti di ciascuna lista nelle varie sezioni del collegio, prescritta dalle norme che regolano l’elezione dei deputati. Poi si divide la somma di tutti i voti per il numero dei seggi da conferire e si ottiene il quoziente elettorale. La legge elettorale per la formazione della Camera dei deputati questo lo chiama «quoziente elettorale»; qui si chiama «quoziente regionale». L’aggettivo è diverso, ma il sostantivo, anzi la sostanza è proprio la stessa.

Poi, per la elezione dei deputati si fa la somma dei voti riportati dalla lista di ciascun partito. Col vostro sistema si fa la somma dei voti riportati dai candidati che hanno dichiarato di collegarsi ad un aggregato o ad un altro, ad un gruppo o ad un altro.

Non mi vorrete dire che cambia la sostanza se si dice «aggregato» anziché «partito». Si fa dunque questa somma, si accerta così quanti voti ha riportato un gruppo. Poi si divide la somma dei voti riportati da un gruppo per il quoziente regionale e così si stabilisce quanti seggi sono da assegnarsi a ciascun gruppo. Ma non è questo, lo stesso, identico procedimento prescritto per l’elezione della Camera dei deputati?

Poi, si tratta di proclamare gli eletti. Come si fa? Quando si è accertato che al Partito socialista (chiamiamolo aggregato socialista) o democristiano competono cinque seggi, si va a vedere quali dei suoi candidati hanno riportato più voti, proprio come col sistema proporzionale per l’elezione della Camera dei deputati, una volta stabilito il numero dei seggi che competono ad un partito, si va a vedere quale dei candidati ha riportato un maggior numero di voti di preferenza.

Io domando a voi, onorevoli colleghi, se vi sia e dove sia un errore in questo nostro ragionamento, che non porta a sostenere una somiglianza fra i due sistemi, ma dimostra una eguaglianza assoluta perfetta tra il sistema elettorale per la Camera dei deputati ed il sistema elettorale che voi proponete per l’elezione del Senato della Repubblica.

Ed allora, onorevoli colleghi, la questione è questa: si propone per l’elezione del Senato della Repubblica lo stesso sistema elettorale (proporzionale) che vige per la Camera dei deputati.

Può l’Assemblea (e con queste ultime osservazioni mi rivolgo proprio a lei, signor Presidente) può l’Assemblea essere chiamata a decidere se questo si può fare? Evidentemente no.

Ella stamane ha ricordato che ci sono dei precedenti in materia. Nessun collega può avere l’ammirazione intessuta anche di vero affetto, di vera amicizia che io sento per il nostro caro Presidente Terracini. Ma questo non mi impedisce, anzi, mi autorizza ad esprimere liberamente l’opinione che egli, forse, per dare la più bella prova del suo grande rispetto per l’Assemblea e per dimostrare che, uomo di parte, sapeva, come nostro Presidente, mantenersi al di sopra di ogni nostro dissenso e non voleva in nessun modo influire sulle nostre decisioni, ha voluto in qualche caso rimettere alla Assemblea anche delle decisioni che avrebbe avuto la autorità di prendere da sé.

Ma, onorevoli colleghi e signor Presidente, se nei casi in cui, come in questo, è palese l’improponibilità di una questione, non è il Presidente ad impedire che la questione stessa venga presa in esame, e si lascia arbitra di decidere la maggioranza del momento, formatasi sopra quella determinata quistione, onorevole Presidente, onorevoli colleghi, voi dovete dirmi a che serve il Regolamento che dovrebbe disciplinare, nell’interesse comune, la nostra attività.

Ammetter questo, vorrebbe dire che una Assemblea, attraverso la sua maggioranza, si dà le regole che le fa piacere di darsi, caso per caso. E questa è la negazione di ogni regola! Questo equivarrebbe ad abbandonare alla volontà, che poi sarebbe arbitrio, della maggioranza, lo svolgimento dei lavori dell’Assemblea, lasciando le minoranze prive di ogni difesa. Ella mi insegna, signor Presidente, che il Regolamento è elaborato da una Giunta speciale permanente, nella quale nessuna norma stabilisce che i varî partiti siano proporzionalmente rappresentati, ma nella quale, attraverso la nomina fatta dal Presidente, tutti i partiti sono realmente rappresentati.

Ecco come dalla sua stessa elaborazione il Regolamento, che non può essere in nessuna parte modificato se non con l’approvazione dell’Assemblea, attinge autorità, a tutti assicura che le sue norme sono fissate non per favorire una parte ai danni di un’altra, ma allo scopo di assicurare all’Assemblea il suo miglior funzionamento.

Ma se voi, signor Presidente, se voi ammettete che caso per caso, volta per volta il Regolamento possa essere modificato non solo per volontà, della maggioranza, ma nell’interesse di una tesi da essa sostenuta, voi venite a distruggere la più fondamentale delle garanzie per il libero e ordinato svolgimento dei lavori di un’Assemblea politica. (Vivi applausi a sinistra e a destra).

PICCIONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PICCIONI. Onorevoli colleghi, io questa mattina ho avuto l’impressione che gli animi e le valutazioni dei colleghi che sono intervenuti nella discussione, fossero leggermente sovraeccitati ed esagerati. Un’altra impressione ho riportato, che mi permetterò ora di esprimere all’Assemblea: una posizione di discussione che deriva non so se da un difetto o da una virtù del nostro temperamento di italiani, quella cioè di amplificare troppo le cose e i problemi politici, di considerarli, di vederli in una prospettiva che tende a muoversi nella generalizzazione, quasi nell’assoluto, anziché rimanere rigorosamente legata al problema concreto, oggettivo, che noi siamo chiamati a discutere.

Ora, finché questo si rileva nei confronti dell’amico onorevole Lucifero, dotato, oltre al resto, di una impetuosità nativa che non sempre riesce a frenare, si spiega. E se questo si può anche concepire nei confronti dell’amico onorevole Giannini, il quale, sotto il velame di parole strane o inconsuete, molto spesso nasconde – me lo consenta – dei concetti politici commisti però, quasi sempre, a casi personali, questo tuttavia non si spiega sufficientemente nei confronti di un vecchio uomo di Stato, espertissimo della vita parlamentare, come l’onorevole Nitti, il quale e nelle sue conversazioni private e nei suoi scritti, mantiene sempre un notevole senso di distacco, direi quasi di relativismo ironico, nei confronti delle questioni che acutamente esamina, e approfondisce, mentre nei suoi discorsi – me lo consenta, con tutto il rispetto a lui dovuto – si lascia alle volte andare a espressioni e ad impostazioni che non sono sempre il riflesso di un’indagine obiettiva del problema politico, ma portano con sé, talvolta, il riflesso di risentimenti o di sentimenti puramente personali.

Detto questo, che cosa è avvenuto che potesse improvvisamente determinare una drammaticità di discussione come quella di questa mattina, quasi fosse in giuoco la consistenza delle istituzioni democratiche e repubblicane, quasi fosse in atto la violazione più sfacciata dei principî della nuova Carta Costituzionale, quasi fossero in pericolo, come ha detto l’onorevole Nitti, il prestigio e il decoro di questa Assemblea, che stava per diventare una misera Assemblea?

Io mi permetto di dissentire nettamente e fortemente da questo atteggiamento e dirò che il problema che ci riguarda è un problema puramente tecnico elettorale, concernente la composizione del Senato e null’altro. È strano però che tutti gli appunti, tutti i rilievi – e questo in un certo modo ci può anche inorgoglire un po’ – che tutta questa specie di protezionismo o di paternalismo di altri settori o di altri uomini politici siano rivolti e indirizzati solo verso la Democrazia cristiana. È strano – ripeto – perché se c’è in questa Assemblea (e mi permetterò di dimostrarlo) una posizione coerente, sicura, netta in materia di impostazione di leggi elettorali, questa è la posizione della Democrazia cristiana, dall’inizio dell’esame di esse sino a questo momento in cui io vi parlo. Per cui i dubbi, i rilievi, i suggerimenti, le proteste dovrebbero essere indirizzati più logicamente verso altre parti, e non concentrati verso il settore che io ho l’onore di rappresentare.

Tutti sanno che noi democratici cristiani – e l’onorevole Nitti più di ogni altro, perché ebbe a fare questa esperienza fin dal 1919 – siamo proporzionalisti, nettamente proporzionalisti, perché sentiamo che la democrazia moderna si esprime più logicamente, più concretamente, con un senso di maggiore giustizia distributiva, soltanto attraverso la proporzionale. E da un punto di vista di impostazione logica, nessuno, penso, può contestare che la proporzionale realizzi una maggiore giustizia distributiva elettorale. Quando si verifica, onorevole Nitti, quel che si verifica in Inghilterra, dove un laburista può essere eletto con 40.060 voti e un liberale con 200.000, o viceversa, questa non è giustizia elettorale distributiva. Può rappresentare una determinata conseguenza di una certa tradizione, di un certo costume politico di un dato paese, ma non può rappresentare, sotto nessun aspetto, e con nessuno sforzo dialettico di qualsiasi genere, l’espressione viva della realizzazione della giustizia elettorale.

Perché noi, anche per il Senato, abbiamo sostenuto la proporzionale? Ve lo ha detto l’onorevole Togliatti questa mattina. Noi pensavamo, e pensiamo ancora – se permettete, io credo che coll’andar del tempo, col passare degli anni si ritornerà su questo argomento – che il Senato non può essere concepito, in una Repubblica democratica moderna, sotto l’aspetto accennato dall’onorevole Nitti, di una Camera conservatrice, in senso molto lato e molto generico, ma deve essere concepito e realizzato – se non oggi, domani – sotto l’aspetto dell’espressione di interessi veramente vitali della Nazione, superando quel qualsiasi complesso di inferiorità che si può muovere in ciascuno di noi nei confronti di esperienze del genere, per quanto molto lontane da quello che è lo schema che noi democratici cristiani abbiamo prospettato.

Ma contrastata questa possibilità, e superata l’altra di dare una base elettiva al Senato attraverso l’intervento dei rappresentanti dei Comuni, delle Provincie e delle Regioni, cioè quella di un’elezione di secondo grado, che cosa rimaneva? Voi dite che il collegio uninominale può differenziare la seconda Camera dalla prima. Non è vero, non è esatto. Il collegio uninominale può arrivare soltanto a questa conseguenza: di mettere in contradizione la seconda Camera con la prima, paralizzando in questo modo la funzionalità del nuovo Parlamento democratico repubblicano. Perché il collegio uninominale non riesce, non può riuscire comunque, a differenziare la seconda Camera dalla prima? Perché, onorevole Nitti, il collegio uninominale di cui si parla nella relazione di maggioranza, oggi non è in nessun modo ragguagliabile e paragonabile al Collegio uninominale sperimentato in Italia fino al 1913. Esistevano allora piccoli collegi che avevano una loro funzione specifica, una loro particolare tradizione, i collegi uninominali di quell’epoca.

Questi collegi uninominali di cui si parla oggi sono collegi uninominali fatti a macchina, tagliati per ogni duecentomila abitanti, senza nessuna aderenza particolare con le particolari condizioni geografiche, economiche o sociali o di altro genere che potevano caratterizzare il collegio uninominale fino al 1913.

E permettete: 35 anni di interruzione in una esperienza elettorale come quella del vecchio collegio uninominale sono troppi perché ci si possa riagganciare semplicisticamente a quella vecchia esperienza. Sono troppi, anche perché contro i due milioni di elettori (o poco più) che esistevano in quell’epoca, oggi sono 28 i milioni di elettori, e voi difficilmente li potrete inquadrare e disciplinare con quei vecchi criteri ordinatori che dominavano le elezioni allora, quando ci sono (che li vogliate o non li vogliate) i grandi partiti di massa che guidano le grandi masse elettorali chiamate a partecipare al voto anche per la formazione del Senato!

Per questo noi insistiamo, in mancanza dell’accettazione degli altri criteri da noi affacciati, perché per il Senato non venga applicato il collegio uninominale in quel senso ristretto, in senso – se permettete – gretto, in quel senso tradizionale che ormai ha rotto il contatto con la coscienza politica e sociale del nostro Paese!

E allora, voi sapete come abbiamo sempre insistito su questa concezione nella seconda Sottocommissione, nella Commissione dei Settantacinque, nella discussione che si è fatta qui per il Senato e nella stessa Commissione nominata per la legge elettorale del Senato. Coerenza e posizione assolutamente rispettabile e precisa!

È semplicemente stupefacente quindi il vostro stupore.

Ora se ad un certo momento – dico ad un certo momento – alla vigilia della votazione della legge elettorale si è determinata una convergenza di impostazione con un’altra corrente politica del Parlamento che fino a ieri era stata a fianco a voi per il collegio uninominale, senza la quale né voi, onorevole Nitti, né altri di nessun altro partito avrebbe neppure lontanamente immaginato di poter far varare neanche quell’ordine del giorno del 7 ottobre, se questo è avvenuto per il ripensamento, per la rivalutazione (come ha detto stamane l’onorevole Togliatti) dell’interesse elettorale presente, in fondo, in ciascun partito (perché, a voler essere espliciti, quando si parla di legge elettorale ci può essere in giuoco l’interesse personale di quelli che discutono e domandano l’approvazione – e ciò è deprecabile – ma che ci sia l’interesse dei partiti è indiscutibile e spiegabile ed è sempre stato così), se – dicevo – attraverso un ripensamento di questo genere, una rivalutazione che tiene conto di tanti dati che prima potevano essere valutati esattamente o meno, e noi e altri possiamo aderire anche ad un tipo di collegio uninominale integrato o corretto in qualche modo, per evitare gli sfasamenti che si determinerebbero attraverso un’applicazione rigida dello stesso collegio uninominale, c’è per questo da stracciarsi le vesti? C’è per questo da scandalizzarsi fino a quel punto drammatico cui siamo arrivati stamane, fino a sospettare chissà quali diabolici disegni tramati dietro una convergenza di questo genere su questioni di mera legge elettorale?

È molto eccessivo, evidentemente; è molto fantasioso tutto questo, e non implica in nessun modo qualsiasi rettifica della posizione politica generale della Democrazia cristiana nei confronti del Partito comunista allo stesso modo che non modifica minimamente la posizione politica del Partito comunista nei confronti del partito della Democrazia cristiana. Basterebbe leggere l’Unità o l’Avanti! di tutti i giorni, compresi questi ultimi, leggere le relazioni, i discorsi nei vari congressi che si sono tenuti recentemente per sentire quale è il clima, quale è il tono della posizione politica e polemica di questi partiti. Ma è una convergenza in cambio di qualche altra cosa, voi avete detto e questo vi insospettisce.

«Voi democratici cristiani avete raggiunto l’accordo in cambio del voto obbligatorio».

Signori miei, noi siamo stati i primi, lo ha ricordato l’onorevole Lucifero questa mattina, a sostenere in Italia, per l’Italia, in una determinata contingenza politica, in un certo clima politico e sociale la necessità del voto obbligatorio. Esiste, è stata richiamata nella legge per la prima Camera, è stata ribadita nella legge per la seconda Camera, l’obbligatorietà del voto: in che modo ed in che forma? Attraverso il modo e la forma che furono tenuti presenti ed applicati nelle elezioni del 2 giugno. Fu forse inefficiente quella sanzione prevista per le elezioni del 2 giugno? No, perché la percentuale dei partecipanti al voto fu elevatissima. Noi possiamo ritenere, al di sopra di qualsiasi considerazione che si possa fare sulla efficacia o meno di sanzioni pecuniarie, onorevoli colleghi, che anche per le prossime elezioni, per le quali i motivi dell’interesse pubblico generale non sono minori di quelli che funzionarono e resero efficiente la partecipazione delle masse elettorali italiane alle elezioni del 2 giugno, quelle sanzioni, quella obbligatorietà, che d’altra parte deve avere, per il suo stesso spirito, una funzione educativa più che una funzione repressiva, siano sufficienti, a nostro avviso, anche per il prossimo esperimento elettorale.

MALAGUGINI. Ce ne ricorderemo per la eventualità che cambiaste opinione. (Commenti al centro).

PICCIONI. All’onorevole Giannini che questa mattina si scandalizzava…

GIANNINI. Scandalizzava, no; si stupiva.

PICCIONI. …di questi mutamenti più o meno repentini di impostazione e di orientamento – devo dire che egli è stato un po’ precipitoso. Egli ha aderito totalmente, pienamente a quello che aveva detto poco prima l’onorevole Lucifero – ciò mi pare esatto. Ora, l’onorevole Lucifero ha detto delle cose gravi rispetto alla possibilità di impostare il problema elettorale secondo la nostra tesi e si è richiamato, come l’onorevole Martino, ed altri, ai precedenti di carattere costituzionale e di carattere regolamentare.

Mi dispiace quindi dare un piccolo dispiacere all’onorevole Giannini ricordando che quel famoso ordine del giorno Perassi che determinò il voto per la preclusione del 12 dicembre scorso, che prevedeva un’applicazione del sistema elettorale completamente, diametralmente diverso da quello in discussione, – e cioè in senso totalmente proporzionale – era firmato, fra gli altri, anche dall’onorevole Giannini. (Ilarità al centro).

GIANNINI. Come è questo fatto? (Ilarità al centro).

PICCIONI. Ma io vorrei dire un’altra cosa ai colleghi che si sono preoccupati molto di questa nostra impostazione, ed è che (rispondo in modo particolare all’onorevole Lucifero) nella nostra intenzione, nella nostra impostazione non c’è – potete crederlo – la necessità, la spinta, di uno sfruttamento elettorale. C’è solo un sentimento di giustizia, un criterio di giustizia che vale soprattutto per i piccoli partiti, perché i grandi partiti organizzati – come diceva questa mattina l’onorevole Togliatti – più o meno si salvano sempre, ma una delle giustificazioni più profonde, dal punto di vista morale, della proporzionale è che appunto, soltanto attraverso essa possono aver voce anche le piccole minoranze. Qui nella nostra Assemblea vi sono esempi assai numerosi per dimostrare che le voci di minoranza, comunque qualificate, in regime di collegio uninominale non avrebbero certamente, assolutamente avuto la possibilità di farsi sentire. Quindi è un principio democratico quello che ci guida, è un principio di democrazia autentica, popolare, capillare – se è possibile dirlo – perché soltanto attraverso la proporzionale si hanno queste possibilità e queste manifestazioni.

Ma vi è una accusa più grave – quella alla quale tutti gli oppositori della legge si sono più o meno richiamati – l’accusa di violazione della Costituzione, o quanto meno l’accusa di violazione del regolamento dell’Assemblea Costituente.

Accusa di violazione della Costituzione. Ma che cosa dice la Costituzione? La Costituzione dice che il Senato deve essere eletto su base regionale, e per quante sottilizzazioni, più o meno sofistiche io abbia sentito fare da più parti in riferimento all’attuazione di questo principio della base regionale, credo sia difficile persuadersi che la Costituzione, parlando di base regionale, abbia soltanto voluto dire che la configurazione dei collegi uninominali non dovesse valicare i confini geografici della circoscrizione regionale. Sarebbe assolutamente pleonastico questo, perché evidentemente i collegi uninominali devono essere inseriti o nella circoscrizione della provincia o nella circoscrizione della Regione. (Interruzione del deputato Martino Gaetano). Ricordo la seduta del 7 ottobre, onorevole Martino, quando fu approvato l’ordine del giorno Nitti che contemplava il principio del collegio uninominale e ricordo attraverso quali contrasti, in quali condizioni, con quale scarsa partecipazione numerica di deputati l’ordine del giorno Nitti fu approvato. (Commenti a sinistra). Non discuto e non eccepisco nulla, constato e ricordo. Quando cioè, il principio del collegio uninominale era passato in quel determinato modo, l’indomani stesso con una votazione notevolmente superiore sia dal punto di vista della partecipazione effettiva dei deputati alla discussione che dal punto di vista della maggioranza raggiunta, fu fissato dalla Costituente il principio della base regionale.

MARTINO GAETANO. Dopo le dichiarazioni dell’onorevole Gronchi.

RUBILLI. Bisogna dimostrare che la base regionale abbia abolito il collegio uninominale.

VIGNA. Si continua a discutere sul merito, e non sulla preclusione.

PICCIONI. L’articolo 57 della Costituzione stabilisce: «Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale». Questa è la deliberazione dell’8 ottobre, il giorno dopo l’approvazione dell’ordine del giorno Nitti. Ciò vuol dire che, se si era fissato il principio del collegio uninominale, si doveva però trovare un legame organico, non soltanto esteriore, con il principio della base regionale. Qui ci sono avvocati e giuristi egregi. Se vogliamo dare un senso logico e concreto alla disposizione della Carta costituzionale non si può credere che, quando i costituenti hanno votato questo principio l’8 ottobre, abbiano voluto soltanto riferirsi a quello che voi dite… (Interruzioni – Commenti).

MARTINO GAETANO. Rilegga i resoconti stenografici.

PICCIONI. Ritengo di essere sufficientemente preciso.

Dunque, l’ordine del giorno Nitti non è inserito nella Carta costituzionale. Non lo è per quelle date ragioni di carattere parlamentare che tutti noi ricordiamo, e per una ragione ben più profonda, che è affiorata sia per la prima Camera che per la seconda Camera, cioè che la forma elettorale non conviene legarla alla rigidità della Carta costituzionale. Su questo mi pare non ci sia dubbio.

Altro precedente, sul quale mi pare si possa essere d’accordo, è che la legge istitutiva della Costituente pone fra i compiti della Costituente la redazione della Carta costituzionale, l’approvazione dei trattati internazionali, l’approvazione delle leggi elettorali.

Cade, quindi, tutta la costruzione macchinosa e un po’ suggestiva che faceva stamane l’onorevole Lucifero circa l’ordine del giorno votato dalla Costituente – dice lui – come Costituente; mentre oggi non siamo più costituenti. Ma oggi siamo quella Costituente la quale, in forza della sua legge istitutiva, è chiamata ad approvare le leggi elettorali. Essa non deriva questa facoltà da una deliberazione precedente della Costituente in senso proprio, ma la deriva esclusivamente dalla legge istitutiva dell’Assemblea; è una attribuzione specifica propria della Costituente, che non si ricollega minimamente al lavoro costituente vero e proprio. La Costituente, nel momento in cui adempiva alla sua funzione di Costituente in senso proprio, poteva astenersi rigorosamente – sarebbe stato meglio che così avesse fatto – dall’interferire sulla materia elettorale vera e propria. Poteva, sì, prendere in esame e fissare nella Costituzione, come ha fatto, i principî regolatori, organici, delle due Camere; ma la materia elettorale, siccome era competenza specifica, attribuita a parte alla Costituente, doveva essere lasciata impregiudicata, perché questa ne facesse l’uso che avesse creduto, quando avesse affrontato risolutamente il problema elettorale.

Ecco perché il richiamo all’articolo 87 del regolamento non regge, se si vuole essere logici e conseguenti; perché quell’articolo riguarda l’approvazione dei disegni di legge particolari e parla degli ordini del giorno votati, a seguito della discussione generale su ciascun disegno di legge; per cui gli ordini del giorno votati in quel particolare modo devono informare di sé le ulteriori determinazioni del disegno di legge.

L’ordine del giorno Nitti è stato, invece, votato in fase perfettamente costituente; non è stato votato come conseguenza della discussione generale svoltasi sul disegno di legge, che riguardava la legge elettorale del Senato.

Comunque, io non voglio insistere su tale posizione, se non per arrivare a questa conclusione. Io non disdico il valore e la portata dell’ordine del giorno Nitti; l’ho detto altre volte; ma dico che esso deve essere coordinato a una finalità superiore quale è la funzionalità del Parlamento italiano, alla possibilità di una armonia adeguata come espressione politica rispettiva, non alla possibilità di creare fin d’ora un motivo di profondo dissidio, di disorganizzazione interna, di attrito di funzioni tra le due Camere, che sconvolgerebbe l’esperimento democratico della Repubblica italiana.

E perciò io vi dico: la preclusione, che voi invocate, rispetto al voto dato sull’ordine del giorno Perassi, evidentemente non regge dal punto di vista giuridico; perché, prima di tutto, l’ordine del giorno Perassi non si occupava della legge elettorale del Senato. Esso in sostanza diceva: vogliamo procedere alla svelta, considerate tutte le difficoltà che si prospettano, per la elezione del primo Senato? Applichiamo la legge elettorale approvata per la prima Camera, non prendendo in esame nessuna legge speciale per il modo di elezione della seconda Camera.

La preclusione significa quindi: non si può scendere su questo terreno. Quale? Precisamente quello di applicare la legge della prima Camera al Senato; non già quello di discutere liberamente su un progetto di legge specifico, che riguarda la elezione del Senato.

Ed allora si è nominata la Commissione per la legge speciale per il Senato; e siamo oggi proprio in questa fase.

Cosa volete ora ritenere? Che con l’ordine del giorno Nitti, votato in quel modo ed in quel senso, si sia precluso il diritto ai deputati di interloquire sulla impostazione del disegno di legge per il Senato?

Questa è una enormità giuridica e costituzionale.

L’ordine del giorno Nitti è stato approvato con quel numero di presenti che tutti conoscono; non era stato presentato in una discussione messa espressamente all’ordine del giorno per l’approvazione della legge elettorale per il Senato, perché se questo fosse stato, i deputati, anche gli assenti, avrebbero sentito l’opportunità, la necessità e il dovere di essere presenti certamente in misura maggiore (Commenti a sinistra). Ora si viene a discutere il disegno di legge per la costituzione del Senato, legge elettorale vera e propria e si viene a dire ai duecento deputati che furono assenti quando si votò l’ordine del giorno Nitti: Amici, bisogna votare per il collegio uninominale rigido, c’è poco da fare, perché c’è una deliberazione precedente. Voi dite questo! (Commenti a sinistra).

COSTANTINI. Discutete anche per gli assenti! Dove andremo a finire?

PICCIONI. Sono d’accordo con voi che questo avvenga, ma quando? Nella discussione del disegno di legge elettorale. Oggi, nominata la Commissione, presentato il progetto, a conclusione della discussione generale, se venisse rivotato ed approvato un ordine del giorno che fissi un principio direttivo, che deve servire come norma per l’ulteriore determinazione delle disposizioni della legge, ma non prima, non precludendo mesi avanti un principio che può esser fissato come principio di orientamento generale, ma che non può precludere il diritto di ciascuno dei deputati, quando quella norma stessa deve essere tradotta in legge, di intervenire e votare secondo la propria coscienza e la propria convinzione. (Rumori a sinistra – Interruzione del deputato Rubilli).

Mi pare di aver chiarito la differenza tra le diverse tesi. Per concludere, io dirò che il principio del collegio uninominale noi lo possiamo accettare solo nel senso esposto, il solo attribuibile a quel voto dell’Assemblea. Io dico: questo principio, non ci potete impedire di tradurlo in forme diverse da quella schematica e tradizionale che voi preferite. Altrimenti perderemmo del tempo inutilmente e basterebbe prevedere una formulazione tecnica ormai obbligatoria. Ma il contenuto della legge elettorale del Senato è ben altra cosa e ben altra cosa è il diritto inalienabile di ciascuno di noi di essere liberi quando si vota una norma di legge. L’ordine del giorno Nitti non è una norma di legge, questo l’errore in cui è caduto il collega Martino, è una deliberazione interna dell’Assemblea. (Proteste a sinistra – Interruzione del deputato Martino Gaetano). L’ordine del giorno Nitti deve essere tradotto in formulazioni giuridiche normative concrete. Quando queste «formulazioni giuridiche normative concrete» sono presentate all’Assemblea, essa ha il pieno diritto di approvarle o di respingerle, indipendentemente da quel precedente. (Vivi applausi al centro). Onorevoli colleghi, nessuna deviazione politica da parte nostra, e quindi nessuna speculazione politica vostra su questa vostra comoda presunzione. Capisco bene che siamo alla vigilia elettorale in cui è facile commettere dei peccati di questo genere…

GIANNINI. …di gola.

PICCIONI. …di speculazione politica, evidentemente. Ma comunque noi non ci prestiamo a queste manovre elettoralistiche, anche perché abbiamo dimostrato, con una coerenza politica, ideologica, di azione pratica e concreta, qual è la linea che la Democrazia cristiana intende seguire. Non credo che il Paese possa subire le facili suggestioni di una particolare interessata speculazione su un atto di carattere esclusivamente tecnico parlamentare.

Quanto all’altra accusa, di violazione costituzionale e regolamentare, mi pare di aver illustrato – e la mia coscienza è molto tranquilla – la perfetta ortodossia costituzionale e regolamentare della nostra impostazione di fronte ai precedenti voti dell’Assemblea, se i precedenti voti sono interpretati e sono intesi con spirito giuridico e politico nello stesso tempo, ma non con lo spirito di sopraffazione o di fazione politica comunque ispirata.

Deve essere il diritto dell’Assemblea salvaguardato nella sua pienezza e indipendenza.

Onorevole Lucifero, non basta soltanto appellarsi genericamente ai principî fissati nella Carta costituzionale. I deputati qui presenti debbono avere intatto il diritto di approvare una norma od un’altra quando si è messi di fronte ad un disegno di legge concreto e preciso in materia elettorale, che costituisce appunto una prerogativa dell’Assemblea ed una prerogativa di ciascuno dei suoi componenti. (Applausi al centro).

GIANNINI. Chiedo di parlare per fatto personale.

PRESIDENTE. Lo indichi.

GIANNINI. Il fatto personale, onorevole Presidente, consiste nell’interpretazione che l’onorevole Piccioni ha dato alla mia adesione all’ordine del giorno Perassi.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.

GIANNINI. Sarò brevissimo, signor Presidente.

Innanzi tutto, io devo all’onorevole Piccioni una spiegazione. Non mi è mai capitato, fino ad oggi, di avere il piacere di ascoltarlo con tanta diligenza, non perché egli non meriti attenzione, ma per tante altre ragioni…

PICCIONI. Per disattenzione.

GIANNINI. …no, per tante altre ragioni, fra le quali anche quella di essere assente quando l’onorevole Piccioni ha parlato.

Sono rimasto veramente ammirato di vedere uno sciabolatore così forte come l’onorevole Piccioni, e mi spiego oggi il perché, quando egli prende la parola, tutta l’Assemblea diventi veramente attenta. Egli mi ha tirato un traversone, che è quello della mia adesione all’ordine del giorno Perassi. Ma, qui potrei fargli una parata e restituirgli il colpo dicendogli: Onorevole Piccioni, lei ha trovato troppo poco trovando l’ordine del giorno Perassi, perché, se lei avesse voluto attenersi a quanto ho affermato ripetutamente in quasi tutti gli articoli che ho scritto in materia elettorale, lei avrebbe scoperto che io sono un proporzionalista più accanito di lei. Difatti, debbo precisamente alla proporzionale il brillante successo elettorale che ho riportato il 2 giugno e che si è cercato continuamente di svalutare e diminuire. Quindi, sono un proporzionalista. Senonché, è stato approvato un ordine del giorno Nitti col quale si è stabilito che la elezione del Senato deve avvenire col sistema del collegio uninominale. Ora, io posso anche non essere d’accordo con l’ordine del giorno, posso anche aver votato contro quell’ordine del giorno, ma ormai quella è una norma accettata dall’Assemblea, è un fatto certo che io debbo non solo subire ma al quale mi debbo sottoporre. Altrimenti, che razza di democrazia è la nostra? (Commenti al centro – Interruzioni degli onorevoli Uberti e Lucifero).

PRESIDENTE. Onorevole Giannini, poiché parla per fatto personale, la prego di essere succinto.

GIANNINI. Se il più potente partito della Camera mi interrompe continuamente, non posso essere succinto.

PRESIDENTE. Non raccolga le interruzioni.

GIANNINI. Ora, noi partiamo da un dato di fatto certo, che è l’ordine del giorno Nitti, al quale, mi pare, danno un valore diverso anche i socialisti.

PRESIDENTE. Ma questo non è fatto personale, onorevole Giannini, la discussione non consente questa diversione.

GIANNINI. Il mio fatto personale è appunto concepito in quella configurazione di incoerenza, di impreparazione e di contraddittorietà in cui l’onorevole Piccioni mi avvolge. Ed è da questa accusa che io appunto mi debbo difendere, se lei consente, onorevole Presidente.

Concludo dicendo che, ferma restando la mia convinzione di proporzionalista, oggi c’è l’ordine del giorno Nitti, ed è questa norma, la quale è stata approvata dalla Camera, che io e tutti dobbiamo rispettare.

L’onorevole Piccioni ha offerto ora questo argomento: va bene, l’ordine del giorno Nitti è stato approvato, però non è un articolo della Costituzione, è un ordine del giorno che è stato approvato in una seduta in cui vi erano pochi deputati presenti. Con ciò forse, oggi che vi sono molti presenti, dobbiamo modificare quella deliberazione? (Rumori – Proteste al centro).

Allo scopo di non portare all’infinito il fatto personale, io lo tronco qui, facendo presente che moltissime altre orecchie, anche non tesserate del mio partito, hanno udito perfettamente quello che ho udito io; e cioè che una disposizione od un ordine del giorno vale un giorno perché c’è un certo numero di deputati e non vale più un altro giorno. (Commenti al centro).

Voci. Chiusura!

PRESIDENTE. Domando se la proposta di chiusura è appoggiata.

(È appoggiata).

La pongo in votazione, riservando la facoltà di parlare all’onorevole Basile, al quale era già stata concessa.

(È approvata).

BASILE. Onorevoli colleghi, obbligo di liste e obbligo di voto non sono libertà di voto.

Voi ci dite: questo è il collegio uninominale, e poi ci presentate il congegno delle liste?

Io sono il primo ad ammettere che questo sistema rende inevitabile l’obbligatorietà del voto. Persino in un paese educato politicamente come il Belgio la proporzionale costrinse a introdurre il voto obbligatorio.

Ma non è questa la condanna del progetto?

Poiché in politica non si vive di astrazioni, le istituzioni politiche nella storia devono aver radice nei fatti. L’idea proporzionalista, nata fra le minoranze etniche che non potevano essere rappresentate altrimenti, era rispondente in certi paesi a situazioni storiche e politiche locali. Fiamminghi e valloni, nel Belgio, tedeschi, italiani, ladini e francesi in Svizzera, slavi, cechi e tedeschi in Cecoslovacchia non potevano che scegliere il sistema proporzionale. Guardiamo ora all’Italia. Io invito tutti alla ragione dei numeri. In Italia, con la proporzionale e il voto obbligatorio, circa otto milioni di elettori si sono astenuti dalle urne. I numeri sono fatti. Guardiamo i fatti: il vostro congegno delle liste. Qui si fa un primo scrutinio occulto, lontano dagli elettori, fuori del loro controllo, fra i candidati, che affrontano mille manovre, più o meno tortuose, trasferendo la lotta dal sole all’ombra, nell’interno di quelle fucine o cucine elettorali che manipolano le liste. Conseguenza inevitabile sarà la creazione di numerosi piccoli gruppi obbligati a collegarsi, a imparentarsi, per via di transazioni e adattamenti che fanno perdere ai candidati la loro autonomia, la loro fisionomia.

La mancanza di coesione fra questi gruppi turba la formazione dei partiti nell’ambito della Regione e nel Parlamento impedisce la formazione di un Governo stabile.

So bene che non convincerò tutti, ma il vostro progetto, obiettivamente, manca di unità di concezione, di omogeneità, è pieno di espedienti, di compromessi, è complicato, è macchinoso. Poi rende costosa la campagna elettorale, specie nelle circoscrizioni vaste.

Il collegio uninominale invece è un’idea semplice. L’elettore sceglie liberamente il candidato e non la lista, la scelta è di una estrema spontaneità.

Io sono certo che noi avremo il consenso dell’immensa maggioranza degli italiani, se daremo all’elettore il diritto di scegliere il candidato che riscuota la sua fiducia, che rappresenti le aspirazioni, la voce di 200.000 abitanti.

Questo serve ad avvicinare l’eletto agli elettori. Alla Camera dei Comuni, infatti, il deputato non è indicato col suo nome, ma col nome del suo collegio; c’è il deputato di Bristol, di Londra, di Liverpool, ecc.

Il collegio uninominale è per esperienza storica il più adatto per formare due partiti; uno al Governo e uno all’opposizione, in grado di bilanciarsi a vicenda.

Se vi è un forte scarto di superiorità pel partito vittorioso, ciò permette una certa stabilità di Governo.

Ma, nel funzionamento pratico, anche l’esistenza di un terzo partito come il partito laburista in Inghilterra non modifica il sistema della bilancia dei partiti.

L’alleanza dei due partiti più deboli contro il più forte è un rimedio anche per questo timore.

Perciò infondata è la preoccupazione di mancanza di continuità e di oscillazioni nei pubblici poteri perché i gruppi si equilibrano in una diagonale, in una forza intermedia destinata a svolgere una insostituibile funzione di centro, equilibratrice, capace di evitare eccessi nelle azioni e nelle reazioni. Il vostro sistema anzitutto è impopolare. Per far risparmiar tempo all’Assemblea, non parlo delle complicazioni aritmetiche di tutto il sistema, sono disposto a riconoscere che con una tavola di logaritmi e una macchina calcolatrice si può facilmente applicarlo.

Ma io voglio trascurare gli aspetti minori e riassumo il problema in una domanda: l’elettore preferisce di votare per un nome o per una lista? Questo progetto interpreta i bisogni del Paese, i desideri degli elettori? Voi stessi non negate il vostro pensiero trasparente: per voi, il progetto è una necessità parlamentare.

Ora, io credo che i parlamenti debbano essere l’espressione dei bisogni del Paese, non ho mai sentito dire che il Paese debba subire le necessità dei parlamenti. Ci fu un tempo in cui le necessità dei governi si imponevano ai paesi e ciò chiamammo tirannide.

Qui si giuoca di scherma. Abolite il collegio uninominale riducendo i voti di preferenza a uno. Louis Blanc fece il contrario quando parlava del congegno delle liste. Egli diceva: noi presentiamo una lista di 20, 30 nomi in cui non dimenticheremo mai di includere il nome di Monsieur le Maire, Monsieur le Curé e gli altri nomi saranno accettati da tutti.

Ma questo è il collegio plurinominale.

Che cosa volete voi?

Estendere al Senato il sistema proporzionale della Camera; ma non si possono eleggere due Assemblee con lo stesso sistema. Una delle due Camere sarebbe superflua.

Il principio già accolto della bicameralità esclude questa soluzione. Ma ci sono altre ragioni per escluderla.

Io ho già dimostrato in quest’Aula che la proporzionale accresce il prepotere dei partiti: l’opinione che io difenderò non è dunque improvvisata.

Volete estendere questa tirannia anche all’elezione del Senato? I dirigenti dei partiti diventeranno onnipotenti, i veri arbitri delle elezioni e i candidati, con la camicia di Nesso della disciplina di partito, resteranno nel loro letto di Procuste, senza libertà e senza personalità, un numero, un voto nei loro gruppi politici.

È il popolo che elegge i migliori, non i partiti.

I partiti, in cui vi sono talvolta pochi despoti e molti schiavi, tendono alla scelta dei più conformisti, anziché ¡ maestri e i capitani scelgono spesso gli allievi, i soldati. È il rovesciamento della selezione e i partiti diventano chiese, caserme.

Col vostro sistema basta eleggere tre o quattro capi-gruppo e questo porta all’abolizione del Parlamento; è una riflessione che lascio al vostro apprezzamento. Onorevoli colleghi, l’uomo di Stato deve adattare i postulati tecnici alle necessità pratiche, una riforma deve ispirarsi alle vere condizioni politiche del Paese e non alle astrazioni.

Tutto il perno della questione consiste nel vedere se le necessità del Paese impongano di acuire l’attrito, il conflitto dei partiti o non sia piuttosto conveniente di attenuarlo.

Forse, la gran massa del Paese, che cammina per la sua strada, è tranquilla, mostra più saggezza di noi che pretendiamo dirigerla.

Oggi, tutti i partiti, tutti gli uomini politici potrebbero accordarsi su un minimo denominatore comune: i problemi della ricostruzione. E poi ricominceremo a lottare, riprenderemo a odiarci con tutta l’asprezza delle divisioni di parte, se non sapremo far di meglio. Ma oggi, ricostruiamo.

Gli anglo-sassoni, che sono un popolo pratico, fanno i programmi elettorali ponendo la soluzione di quattro o cinque problemi: e per loro se una legislatura li risolve è una benemerenza.

Lasciate che per ora almeno gli elettori, non i partiti, scelgano gli uomini che debbono risolvere i problemi urgenti della vita italiana.

Qualcuno ripete che questo sistema rende più personale la lotta politica e che gli eletti restano troppo vicino all’elettore che chiede influenze politiche presso i Ministeri le cui sorti dipendono dal voto del deputato.

Ma qui non è in giuoco il sistema, è il costume politico.

Se l’unico argomento per combattere il collegio uninominale si riducesse al desiderio di elevare la lotta di persone a lotta di idee, io domanderei come mai gli elettori che hanno votato per ottanta anni a scrutinio uninominale, abbiano eletto uomini così insigni e così superiori agli interessi locali e uomini di tutti i partiti, di minoranza e di opposizione.

Ciò che costituiva la caratteristica della Camera italiana era che, pur divisa in partiti, in gruppi, all’interno di questi gruppi gli uomini di cui ciascuno ebbe il suo fascino rappresentavano una gamma di competenze, di personalità che riproduceva le varietà multiformi che la natura ha dato alla terra e al genio italiano.

E questi uomini erano eletti nonostante che fossero legati, come voi dite, a interessi elettorali locali, personali, a interessi di sollecitatori di vantaggi privati che non guardavano oltre il campanile, oltre il breve orizzonte municipale. Ma quale differenza non c’è oggi fra il collegio ristretto di quaranta anni or sono con poche migliaia di elettori e il collegio di duecentomila abitanti, col suffragio universale?

Qui mi addentro in un tema pericoloso. Vorrei ricordare che, quando si discusse la estensione del suffragio in Germania, un filologo trovò che la lingua tedesca possiede oltre centomila parole e che mentre il pensiero di un agricoltore si esprime con trecento parole, un laureato di Heidelberg ne usa cinquemila e un oratore del Reichstag diecimila.

Aggiungeva che la più perfetta scuola dei sordomuti, che allora era quella di Berlino, insegnava tremila parole per cui l’elettore rurale era dieci volte meno capace di idee di un sordomuto.

Il criterio è erroneo per desumere la capacità politica dell’elettore, perché l’elettore non deve scegliere un programma di Governo, né pronunziare un giudizio sulle grandi questioni politiche. Né, del resto, l’Accademia dei Lincei e gli accademici di Francia hanno mai aspirato al Governo politico, perché il Governo non è un’accademia di scienze.

L’elettore designa gli eletti e questa scelta si effettua nell’attrito vivissimo delle discussioni, delle emulazioni, delle influenze che si svolgono durante le elezioni, in cui si esaltano tutte le facoltà e le attitudini degli elettori. Questa capacità, che è più estesa che non si creda, si avvicina quasi alla spontaneità dell’istinto.

Gli stranieri dicono che in ogni italiano c’è un poco di Machiavelli. Tolto quel che vi può essere di meno benevolo in quest’espressione, non c’è forse popolo in cui l’istituto politico sia sviluppato come nel popolo italiano. Lasciamo perciò, senza preoccupazione che l’elettore possa scegliere nell’ambito del collegio uninominale che rende più vicini i legami fra elettori ed eletto e dà una base così viva alla rappresentanza politica.

Il collegio uninominale, dunque, non è un’incognita che noi introdurremo nel nostro organismo politico, mentre conosciamo gli inconvenienti della proporzionale col regime dei partiti, in cui la crisi è permanente. E ne volete la prova?

Volete permettermi di citare l’esempio che ci offre il Paese dove è nata la proporzionale? L’anno scorso nel Belgio si è cercato di formare successivamente un Governo di sinistra, un Governo di destra, un Governo di unanimità. Volete altri esempi? Guardate ciò che è avvenuto in Francia: è l’esempio più recente. E per non abusare degli esempi, voglio citarne uno ultimo, che mi pare il più convincente. Pensate a quello che è avvenuto in Italia; si è fatto un Governo di sinistra, poi un Governo di destra, poi si è tentato di costituire un Governo di centro, di centro-destra, e di centro-sinistra. Ma è il verdetto elettorale che permette di scegliere queste diverse combinazioni? No, la Nazione è estranea a ciò che è la decisione politica più importante, quella che porta il Paese su una strada o su un’altra.

Questa legge ha il peccato originale di voler mantenere la proporzionale per consolidare il predominio politico dei partiti; tutto ciò a prezzo della libertà dell’elettore. Per far ciò, vi ponete in straziante contraddizione con voi stessi. Se infatti vi costringiamo a confessare che volete abolire l’ordine del giorno Nitti, che reca pure la mia firma, la più modesta di tutte, che stabilì il principio del collegio uninominale, invocate l’articolo 57 della Costituzione. L’articolo 57 dice che il Senato della Repubblica è eletto a base regionale. Dunque, col sistema proporzionale, voi dite. Ma così interpretandolo, mentre volete arbitrariamente dedurre che il principio uninominale sarebbe anticostituzionale, annullate il voto del 7 ottobre, ma confessate che il vostro sistema non è uninominale. Per fare passare poi il vostro sistema per proporzionale, ci dite che esso è uno dei tipi di collegio uninominale, il che sarebbe come dire che ci possono essere due tipi di sesso maschile.

Io non voglio prolungare questo dibattilo spiacevole. Credo che saremo d’accordo su un punto: il voto politico è uscito dalle più memorabili lotte civili, ma non esistono diritti se non in quanto siano pieni, efficaci.

Se il cittadino ha acquistato il diritto politico dell’elettorato, che è un diritto non una funzione, voi non potete limitarlo, non potete renderlo obbligatorio. Bisogna attrarre il cittadino alla vita pubblica, destando l’interesse dell’assente e dell’indifferente, col dare all’elettore la sensazione che il suo voto influisce sulla elezione. A questa esigenza risponde il collegio uninominale, in cui cresce l’importanza e il valore del singolo voto.

Non è il voto obbligatorio, ma la partecipazione spontanea degli elettori alla vita politica, che accresce l’autorità delle Assemblee. Non è il congegno delle liste che lascia libertà all’elettore. E se è vero che la natura di un governo rappresentativo prende forma dalla legge elettorale, perché sono due termini che si condizionano a vicenda, questa legge ha non minore importanza della Costituzione. Un Governo è formato dal sistema elettorale perché il primo compito dei rappresentanti politici è quello di formare un governo: nell’aula inglese, i senatori cambiano di posto a destra e a sinistra del presidente, quando cambia il ministero.

Onorevole colleghi, questa discussione ci costringe a fare un esame di coscienza: una riforma come questa non ha bisogno soltanto della volontà del potere legislativo, richiede l’adesione della coscienza pubblica.

L’onorevole Baccarini diceva una volta ai suoi elettori: Il Governo ha abolito l’imposta sul macinato, ha abolito il corso forzoso e ora vi dà la riforma elettorale: che volete di più? Oggi purtroppo l’elettore potrebbe dire amaramente: abbiamo ancora l’imposta sul macinato e abbiamo il corso forzoso, non vogliamo la vostra legge elettorale.

Concludo. L’Assemblea ha già deciso, ha già deliberato di adottare il collegio uninominale per l’elezione del Senato, ma qui dove le deliberazioni e le discussioni non hanno importanza, io ho poca speranza di essere ascoltato, anche se per caso vi avessi convinto. Io credo però che se una nuova maggioranza approvasse questo progetto, commetterebbe un abuso di potere. La storia della formazione dello Stato, ci insegna che in principio vi fu la forza, a cui si sentì bisogno di porre dei limiti e il limite fu la legge. Ma la legge deve obbedire a un precetto etico: il diritto. Se le maggioranze che fanno le leggi, vìolano questo precetto e dimenticano che sovrano non è lo Stato, ma il diritto, le maggioranze diventano ancora l’arbitrio, la forza. Io ho sempre detestato l’arbitrio. Il limite dei poteri delle maggioranze è la ragione, è la giustizia. La maggioranza riferita al numero è un trono che si rovescia col numero: è la minoranza di domani. Questa legge è un errore, il Paese non vi capisce; in quest’ora melanconica, alla fine di quest’Assemblea, io vi dico: farete come vorrete, ma non abusate della vostra forza. Se questa legge passasse, ci resterebbe un conforto, sterile conforto, quello di aver fatto il nostro dovere. Ma voi stessi rimpiangereste l’allucinazione di questa intemperanza, di questo delirio di onnipotenza.

Una volta un re di Francia, disse: lo Stato sono io. No, lo Stato non siamo noi, lo Stato è il paese, è il popolo italiano. (Applausi).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Mastino Pietro in sostituzione del relatore della maggioranza.

MASTINO PIETRO. L’onorevole Gullo, per ragioni di evidente delicatezza, data la situazione che si è venuta a creare, ha ritenuto opportuno dichiarare alla Commissione che desiderava essere sostituito quale Relatore per la maggioranza. E la Commissione, accogliendo questo suo desiderio, ha pregato me di sostituire l’onorevole Gullo. Questo è il motivo per il quale parlo io in questo momento.

E parlerò molto brevemente, per una serie di ragioni pure evidenti: una, rappresentata dal fatto che vi è una relazione scritta di maggioranza, l’altra, che una parte delle considerazioni che, a sostegno del progetto di maggioranza della Commissione, possono essere presentate, è superata dal fatto che si riferiscono ad una serie di articoli che noi abbiamo già o nella formulazione proposta dalla maggioranza della Commissione o con nuove formulazioni, approvati.

Devo brevemente dire per quali ragioni la maggioranza della Commissione insiste nel proprio progetto, vi insiste per ragioni di sostanza e per ragioni di forma, intendendo dire con la parola «forma», ragioni di rispetto della Costituzione.

Io ho poc’anzi ascoltato con attenzione, con la maggiore attenzione, l’oratore di parte democristiana che ha parlato per ultimo e che ha giustificato non tanto il progetto di minoranza – ché questo sarà compito dell’onorevole Mortati – quanto la linea seguita dal suo partito. Ed ho trovato che con facilità egli ha potuto avanti all’Assemblea affermare come il suo partito, in definitiva, si riannodi oggi a quelli che sono i principî tradizionali proporzionalistici del partito stesso. E su ciò io devo convenire. In definitiva, si è detto a questo punto, che, se vi è taluno che non oggi, ma prima, si scostò dalle proprie direttive programmatiche in materia, questo non è il partito democristiano.

Ma questo a noi non può interessare minimamente. Si è ancora detto come lo scopo cui si vuole arrivare col progetto di minoranza – per brevità lo chiamerò progetto Mortati – sia soprattutto quello di giungere ad una maggiore giustizia distributiva elettorale, e anche questo è senza dubbio un nobile fine. Ma tutto questo non riguarda la sostanza della questione, che è questa: se la Costituzione sia stata o no violata, o meglio, possa essere o no violata con l’eventuale approvazione di un sistema il quale, anziché di collegio uninominale, ci presenti le forme di un sistema proporzionale. Questo è il punto.

Io non sono fuori dalla relazione della maggioranza della Commissione, in quanto ho già permesso che noi abbiamo creduto nostro obbligo procedere alla stesura di un progetto, che rispettasse la Costituzione. Noi, con ciò, credemmo di adempiere al maggiore fra i nostri doveri, rappresentato dall’ossequio e dal rispetto assoluto verso la Costituzione, che stabilisce il sistema uninominale per le elezioni al Senato.

È però innegabile che non si è neanche tentato da parte avversaria (e non lo ha tentato neanche l’ultimo oratore), non si è neanche tentato di sostenere che quel progetto, che chiamo di minoranza, sia a base uninominale. Si è riconosciuto implicitamente che quel progetto è un progetto proporzionalista.

Quale fu la portata dell’ordine del giorno Nitti risulta dal resoconto stenografico della seduta dell’8 ottobre scorso.

L’onorevole Gronchi ebbe, allora, chiaramente a dire: «Quelli che, come noi, pensano che gli ordini del giorno Nitti e Giolitti siano vincolativi soltanto per questa Assemblea, e cioè che le elezioni, rispettivamente per la Camera dei deputati e per la Camera dei senatori, debbano avvenire l’una col sistema proporzionale, l’altra col sistema uninominale, sostengono il principio che non sia utile né l’una norma del sistema proporzionale né l’altra del sistema uninominale nella Costituzione. Gli altri che sostengono di introdurre nella Costituzione le due norme, pensano che si debba costringere le future Camere ad una revisione della Costituzione in sede di pura e semplice discussione della legge elettorale. La questione è così: non ci sono né truffe, né retropensieri, né altre diavolerie».

Quali sarebbero queste diavolerie o retropensieri, se non il proposito precostituito che veniva attribuito fin da allora al partito dell’onorevole Gronchi di giungere a violare la sostanza dell’ordine del giorno Nitti, attraverso eventuali nuove votazioni?

Quindi, per bocca dell’onorevole Gronchi, troviamo l’interpretazione autentica (per lo meno nei confronti del suo partito) di quello che fu l’ordine del giorno Nitti del 7 ottobre.

Vi fu, poi, la parola del Presidente dell’Assemblea, che io cito, onorevoli colleghi, non solo per l’autorevolezza che promana dall’altezza del posto da lui occupato, ma perché nessuno di noi (per lo meno io) può presumere di poter dire in forma più precisa e – direi – lapidaria quello che fu consenso comune di tutta l’Assemblea in quel giorno.

Disse il Presidente: «Onorevoli colleghi, mi pare che tutta la discussione non si sarebbe fatta se la proposta iniziale dell’onorevole Moro fosse stata del tenore delle ultime considerazioni dell’onorevole Gronchi. Ma, a quanto mi è parso di sentire, l’onorevole Moro aveva, invece, fatto la proposta che si rivotasse sopra le affermazioni singole contenute nell’ordine del giorno Nitti. Ed è attorno a questa proposta dell’onorevole Moro, che era stata già accompagnata da una espressa dichiarazione di voto, che si è venuta sviluppando tutta la discussione. È evidente che, se non si fosse così messa in dubbio la validità della decisione presa dall’Assemblea Costituente con la votazione dell’ordine del giorno Nitti, nessuno avrebbe parlato; solo la preoccupazione che si pensasse, forse da parte di ciascuno, di rimettere in votazione cose che non possono essere più votate, ha portato innanzi tutta questa discussione».

«Cose» – diceva allora il Presidente dell’Assemblea – «che non possono essere più votate»! E quello che, secondo la sua autorevole parola, non poteva essere più posto in discussione e tanto meno votato, era il contenuto dell’ordine del giorno Nitti, affermante che la votazione per la seconda Camera, vale a dire per il Senato, debba avvenire sulla base del collegio uninominale e non col sistema proporzionale.

Parmi, quindi, che, quando la maggioranza della Commissione approvò un progetto che regola le elezioni per il Senato, uniformandosi nettamente al criterio e al concetto della uninominalità, abbia perfettamente adempito al proprio obbligo, perché vi avrebbe veramente mancato se avesse sostituito il proprio parere a quello che era stato il parere chiaro manifestato dall’Assemblea. D’altra parte, onorevoli colleghi, non occorre che io dica a voi che i concetti espressi nei deliberati dell’Assemblea non stanno solo nella dizione, direi, materiale e nella formulazione estrinseca. Vi sono le discussioni, vi sono i voti, vi è il consenso comune manifestato e consacrato nei documenti, cioè nei verbali delle discussioni, che conferiscono significato, valore, spirito ad una determinata decisione. È concetto vecchio questo: che le leggi si hanno da interpretare nella loro sostanza e nel loro spirito.

Ora, mi domando: è un fatto vero o no che tutta la stampa, indipendentemente da ragioni di partito, e che ciascuno di noi ebbe a riconoscere ed a dichiarare che era ormai punto superato e stabilito questo: che la votazione dovesse per la seconda Camera avvenire, onorevoli colleghi, in base al collegio uninominale? Io non discuto oggi sul fatto che il collegio uninominale possa o no rappresentare il mezzo perché la seconda Camera non sia una ripetizione della prima. Potrei però fare mio questo argomento. Non rispondo neanche all’osservazione fatta poco anzi, secondo la quale oggi i collegi elettorali sarebbero diversi territorialmente. Penso che questa eccezione, fatta da parte avversaria, possa essere giusta solo ad una condizione: che si perpetuino le divisioni volute con quelle tabelle, di fronte alle quali noi abbiamo dovuto protestare; ma quando si proceda ad una opportuna revisione delle tabelle, che tenga conto non solo del calcolo numerico degli elettori, ma del contenuto e della natura organica che devono avere i corpi elettorali, noi faremo sì che il Senato abbia traverso il collegio uninominale, una fisionomia nuova e diversa da quella della prima Camera.

Questi, d’altra parte, non sono concetti miei. Io non appartengo a quel partito che per bocca del suo maggiore rappresentante fin dal periodo dei lavori avanti la Commissione dei settantacinque… manifestò la necessità che alle elezioni della seconda Camera si giungesse in base ad un metodo diverso da quello seguito per la prima Camera, in quanto così si sarebbe potuto riuscire ad ottenere che la seconda Camera non fosse un doppione della prima. Parmi, onorevoli colleghi, che io verrei meno alla promessa fatta sul principio, vale a dire quella di essere breve, se io a questo punto non credessi di dover chiudere questa mia relazione.

Mi permetto solo di dire questo: che le critiche che noi facciamo – e non occorre che la mia parola ripeta modestamente quanto in modo validissimo è stato oggi da più oratori affermato – non tendono a legare, come si è detto poc’anzi, la libertà d’azione dell’Assemblea, quasi che noi ci si ponga in contrasto con i criteri di democrazia e coi criteri di libertà, ma la nostra critica è diretta a porre in evidenza che l’Assemblea affermò di già, approvando l’ordine del giorno Nitti, che la elezione dei senatori debba avvenire col sistema uninominale, e lo disse in un modo così chiaro che non tollera di essere travisato da votazioni che, comunque, volessero dargli interpretazioni diverse. (Applausi – Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Relatore della minoranza, onorevole Mortati.

MORTATI, Relatore per la minoranza. L’evidente impazienza dell’Assemblea mi indurrebbe a rinunciare a parlare, tanto più che mi pare che la questione sia stata ampiamente dibattuta. Mi limiterò quindi a dire poche parole, proponendomi di mettere la questione su un terreno di concretezza. In sostanza, qui siamo in presenza di due tipi di progetti; uno è il progetto, chiamiamolo così, della maggioranza (che adesso non credo sia più maggioranza) a tipo uninominale puro, e uno diverso, in cui rientrano il progetto del Governo e quello presentato a nome della minoranza, i quali tentano un contemperamento fra il principio uninominalistico ed il principio proporzionalistico. Ora, prima di dimostrare come questo contemperamento si sia cercato di attuare, prima di dimostrare come le proposte nostre siano suscettibili di ulteriori modificazioni che le avvicinino di più al tipo del collegio uninominale, prima di passare a questa dimostrazione, io vorrei ribadire ancora una volta quello che è stato detto con molta efficacia dall’onorevole Piccioni, circa le ragioni che ci hanno indotto a trovare questo contemperamento di cui parlavo. Le ragioni sono molto serie, sono molto gravi ed io devo rilevare che nessuno degli oratori che ha parlato in contradittorio con noi le ha esaminate da vicino. Ho sentito parole grosse: prepotenza, slealtà, ecc. ma nessuno si è presa cura di confutare queste nostre osservazioni circa l’opportunità politica di attuare un sistema uninominale puro. Le critiche che sono contenute nella mia relazione, contrariamente a quanto ha inteso l’onorevole Rubilli, non sono critiche astratte al sistema uninominale puro: sono critiche a questo progetto di collegio uninominale che ci viene presentato, e sono critiche relative alla composizione speciale dell’organo e alla situazione che si verrebbe a determinare applicando il congegno elettorale che ci viene proposto. Noi abbiamo sostenuto che il collegio uninominale non trova possibilità di applicazione felice quando il numero dei collegi sia molto ristretto. Duecento collegi sono troppo pochi perché questo congegno uninominalistico funzioni bene. Io avrei capito che gli uninominalisti si fossero battuti per introdurre il collegio uninominale per la Camera dei deputati, poiché è indubbio che, per un’Assemblea di circa 600 membri, i risultati potrebbero essere molto più soddisfacenti, per la possibilità che operino le combinazioni compensative che equilibrano nel complesso i risultati stessi.

Inoltre, la Costituzione ha imposto che questi collegi siano formati in proporzione di uno per duecentomila abitanti. Se noi adottiamo il metodo uninominale puro, la composizione demografica dei collegi assumerebbe una vera e propria rilevanza costituzionale. Quindi è inesatto che, secondo quanto ha sostenuto or ora l’onorevole Mastino, sia da procedere ad un rimaneggiamento delle circoscrizioni, onde fare venire meno le obiezioni rivolte al sistema proposto. Il numero dei 200.000 diventa un vincolo non superabile, che il legislatore deve osservare nella composizione dei collegi, sicché si corre il rischio che questa composizione sia tale da non corrispondere a nessuna reale esigenza: dando ai collegi carattere artificioso, con correlativa disfunzione del sistema uninominale, costretto a muoversi in questo ambito. C’è un’altra anomalia: il fatto di regioni che hanno un numero minimo di deputati, il che importa una differenziazione fra collegi che raggiunge in certi casi dimensioni assai alte, fino a tre volte. Ma una tale diversità voluta dalla Costituzione, se può utilmente realizzarsi di fronte a collegi regionali, viene ad alterare profondamente il funzionamento del sistema uninominale, quando questo si voglia mantenere nella sua assolutezza.

C’è un altro elemento sul quale nessuno si è fermato: la necessità di procedere, quando si accolga il progetto della maggioranza, a seconde elezioni; sia che si accetti il sistema del ballottaggio sia quello della ripetizione dell’elezione con gli stessi candidati. È molto probabile che, dato lo sparpagliamento dei voti, la moltiplicazione delle candidature, fenomeno caratteristico dei sistemi uninominalistici dove, come in Italia, non ci sono grandi partiti che raccolgano la massa degli elettori, si dovrà procedere alla seconda votazione su una scala molto ampia. E il ricorso alla convocazione dei comizi quando già è reso noto l’esito delle elezioni della Camera dei deputati, può produrre gli inconvenienti che ho indicato nella mia relazione, e che non ripeto.

C’è infine un’altra considerazione: quella che discende dalla norma della Costituzione relativa alla base regionale. Essa è stata già fatta dall’onorevole Piccioni. L’onorevole Martino ha creduto di confutarla, dicendo che non era esatto che con tale espressione si sia voluto esprimere la necessità di collegare la Regione con l’organizzazione statale, facendola rappresentare come tale nel Senato.

Faccio osservare all’onorevole Martino che egli ricorda male. Ho sott’occhi i verbali delle sedute del 7 e 8 ottobre, da cui risulta che la contestazione fra una parte e l’altra dell’Assemblea si agitava su questo obietto: se cioè alle parole «base regionale» si dovesse dare il semplice significato di circoscrizione regionale e cioè di semplice circoscrizione elettorale; o invece un significato più profondo e penetrante: quello di un collegamento organico, di natura costituzionale tra l’ordinamento regionale ed un ramo del Parlamento.

Sulla base di una siffatta contrapposizione di opinioni si è venuti ad un voto per appello nominale, che ha portato a questa conclusione: di approvare il concetto della base regionale, respingendo così il senso restrittivo di puro e semplice ambito o circoscrizione elettorale. E ricordo che proprio in quella sede, cioè quando si trattò di precisare la portata e le possibilità di applicazioni pratiche di quel concetto di base regionale, ci fu chi espressamente fece riferimento alla combinazione fra metodo uninominale di elezione e scrutinio regionale, cioè a qualche cosa di assai vicino a quello che ora è stato proposto.

Faccio osservare altresì che questo collegamento organico fra Regione e Senato è stato sempre sostenuto in tutte le discussioni che si sono fatte sulla riforma regionale, da quanti abbiamo voluto l’ordinamento regionale. Tutti ci siamo trovati d’accordo nell’esigenza che la riforma regionale avesse il suo sbocco, il suo coronamento, il suo fastigio proprio nella funzione rappresentativa che il Senato doveva assumere delle varie Regioni. Questa è stata sempre la portata che si è voluta attribuire alla riforma regionale nel campo dell’organizzazione costituzionale. E ricordo che uno dei regionalisti più convinti, che prese parte alle sedute della Commissione dei settantacinque, l’onorevole Lussu, proponeva di chiamare il Senato «Camera delle Regioni». Quindi, l’interpretazione che demmo, e che la maggioranza dell’Assemblea approvò, dell’espressione base regionale, corrisponde al concetto che venne sempre affermato, e che non troverebbe la sua realizzazione con il collegio uninominale puro, perché evidentemente questo è destinato ad esaurirsi in sé stesso, e non può trovare alcuna possibilità di espansione oltre il suo ambito.

È per ultimo da ricordare che l’adozione di un sistema uninominale puro, su base maggioritaria o minoritaria, reca in sé fatalmente, come ha eloquentemente rilevato l’onorevole Piccioni, il pericolo di porre la Camera eletta con tale sistema in una contrapposizione di orientamento politico con l’altra Camera, uscita da un’elezione su base proporzionale.

Ed a questo proposito vorrei ricordare all’onorevole Targetti, acerbo critico del progetto di minoranza, che egli è uno dei firmatari dell’ordine del giorno votato all’inizio della discussione sul sistema bicamerale; ordine del giorno, nel quale è detto che i gruppi di sinistra accettavano il principio bicamerale, solo in quanto fosse posto a fondamento di esso una composizione della seconda Camera tale, da rispecchiare, nella sua fisionomia politica complessiva, quella della prima Camera. Adesso l’onorevole Targetti ha cambiato opinione; ma la sua opinione e quella del suo Gruppo sono state sempre nel senso da me rilevato.

E noi ci siamo preoccupati, come ha ricordato l’onorevole Piccioni, precisamente di questo grave pericolo, che si verificherebbe, ove si ponessero le condizioni per lo spiegarsi di una netta differenza di composizione politica delle due Camere.

Queste, dunque, sono state le ragioni, innegabilmente assai serie, che ci hanno indotti a cercare di trovare dei temperamenti al sistema uninominale, quale è proposto dalla maggioranza della Commissione.

Noi ci proponevamo questi scopi: di evitare la seconda elezione, per le ragioni dette; di evitare una contrapposizione politica fra le due Camere; di attenuare l’importanza delle sperequazioni fra i vari collegi; perché è evidente che, se ai singoli collegi elettorali non si dà quella autonomia costituzionale, che verrebbero a rivestire, quando si affermasse il principio uninominalistico puro, allora la loro entità demografica perde di importanza, perché essa si guarda nel quadro delle Regioni e non dei collegi singolarmente presi, e si rende possibile procedere a quel rimaneggiamento della loro composizione che consente di dar loro quella organicità, attraverso la quale il collegio uninominale può riuscire a funzionare bene.

Infine, ci proponevamo lo scopo di creare dei vincoli intercollegiali nell’ambito della Regione, sufficienti a dare significato concreto al principio della base regionale.

Ora, quali i mezzi che a voi si offrirono per raggiungere questi scopi?

Si è detto che il sistema da noi proposto non è un sistema misto, ma sistema proporzionale puro; il che è inesatto.

Sia nella prassi, sia nella dottrina, si dà a sistemi del genere di quello da noi proposto il nome di sistema misto. E quando si parla di sistema misto, si vuole intendere precisamente sistema, che contemperi il principio uninominalistico col principio proporzionalistico.

Io ho sott’occhio gli atti della Commissione per l’elaborazione della legge elettorale politica per l’Assemblea Costituente…

Una voce. Questa è dottrina.

MORTATI, Relatore per la minoranza. È una proposta pratica fatta dalla Commissione, in cui il sistema che si proponeva era analogo al nostro, e si qualificava appunto come misto.

BELLAVISTA. Citi qualche classificazione dottrinaria, che chiami questo sistema misto e non proporzionale. (Interruzione del deputato Rubilli).

MORTATI, Relatore per la minoranza. L’onorevole Rubilli mostra in questo momento di non avere sufficiente conoscenza dei sistemi elettorali.

Io ho presente la legge elettorale francese, del 1919, la quale riproduce quasi alla lettera il progetto che il Governo ha presentato.

COSTANTINI. Questo non è esatto.

MICHELI, Presidente della Commissione. Come non è esatto? L’onorevole Mortati ha il testo.

COSTANTINI. Dico che non è esatto.

BELLAVISTA. Citi il nome dell’autore.

MORTATI, Relatore per la minoranza. La legge elettorale francese prevedeva precisamente una prima elezione…

COSTANTINI. E poi una seconda elezione.

MORTATI, Relatore per la minoranza. …sulla base di una elezione maggioritaria; e quando non si raggiungeva il numero dei voti necessari a costituire la maggioranza assoluta, allora ricorreva ad uno scrutinio sulla base proporzionale col metodo dei maggiori resti.

COSTANTINI. Non è esatto.

MORTATI, Relatore per la minoranza. Qui c’è il testo della legge. Se il Presidente lo permette, leggerò gli articoli. Risulta dalla discussione preliminare a questa legge, che ebbe una lunga elaborazione, che essa fu il risultato di lunghe controversie fra gli uninominalisti ed i proporzionalisti, ed il sistema fu inteso appunto come mezzo di conciliazione dei due metodi elettorali. Se noi chiamiamo misto questo sistema, non è per fare degli escamotages, come diceva l’onorevole Lucifero, ma perché ci riannodiamo ad una tradizione, non solo dottrinaria, ma anche legislativa e pratica.

In che modo questo contemperamento è raggiunto? Quali elementi del sistema uninominale e quali del sistema proporzionale vengono accolti? Vorrei osservare pregiudizialmente che le proposte della minoranza della Commissione e quelle del progetto del Ministro dell’interno sono proposte suscettibili di svolgimento: affermano il principio del contemperamento, ma nulla toglie che l’Assemblea, affermato il principio, lo svolga ulteriormente e possa introdurre altri elementi uninominalistici, o che lo avvicinino ancora di più al congegno uninominalistico.

MARTINO GAETANO. Questo lo dovete far voi.

MORTATI, Relatore per la minoranza. Accennerò precisamente a qualcuno dei temperamenti ulteriori che si potrebbero attuare, se la maggioranza dell’Assemblea fosse di questa opinione, per realizzare più da vicino il contemperamento tra i due sistemi.

Cosa c’è del collegio uninominale? La libertà di scelta del candidato. Poi, si elimina la lista…

MARTINO GAETANO. Non è vero!

MORTATI, Relatore per la minoranza. Dicevo che si elimina la lista, nel senso che si consente, secondo la modifica che il nostro progetto proponeva rispetto a quello governativo, il collegamento anche con candidati di altri contrassegni: non c’è più il vincolo del contrassegno, ma vi è la possibilità di molteplici contrassegni che si colleghino. (Interruzioni a sinistra). C’è un ulteriore passo da compiere, ed è che si renda facoltativo il collegamento. Non so se finalmente il collega Martino sia contento.

MARTINO GAETANO. Contentissimo, ma non ci sarebbe nessuno che, non collegato, avrebbe la possibilità di essere eletto.

MICHELI, Presidente della Commissione. Forse questa possibilità mancherà a lei.

MORTATI, Relatore per la minoranza. Per fermarmi sugli elementi accolti dal progetto da noi presentato, dirò che uno dei principali vantaggi propri del sistema uninominale che si viene a realizzare è quello di eliminare la lotta fra candidati di uno stesso orientamento politico, che consegue invece ai sistemi plurinominali, quando essi comportano l’espressione del voto di preferenza. Nel sistema proposto in ciascun collegio non vi può essere che un solo candidato avente un distinto contrassegno. Pertanto uno dei più gravi inconvenienti della proporzionale viene evitato.

Si attua inoltre un collegamento diretto fra eletto ed elettore, che realizza l’aspirazione degli uninominalisti, e che è realizzabile in un ambito ristretto territoriale, qual è il collegio uninominale.

Si incoraggia altresì la maggiore affluenza alle urne, anche per la semplicità della manifestazione del voto. È ancora da aggiungere che i partiti, tenendo conto del collegamento diretto determinantesi fra elettori ed eletti, saranno obbligati a scegliere le personalità più rilevanti di quel collegio. Si raggiungono, insomma, gran parte dei vantaggi che gli uninominalisti attribuiscono al sistema da essi caldeggiato. Contemporaneamente si rende possibile realizzare alcuni vantaggi del sistema proporzionale. Così si consente di associare candidati, i quali hanno una certa affinità di idee e di interessi e quindi di trascendere, in un certo senso, l’ambito ristretto del singolo collegio, rendendo possibile, accanto alla manifestazione di scelta, promossa dall’apprezzamento della qualità della persona, anche la manifestazione di consenso a certe idee politiche. Inoltre, si realizza il risultato di utilizzare tutti i voti. Noi sappiamo che uno degli inconvenienti più gravi del collegio uninominale è quello di lasciare non utilizzate somme cospicue di voti, che molte volte possono essere i voti della maggioranza dei votanti, che rimane non rappresentata nell’Assemblea elettiva rappresentativa. Infine si raggiunge lo scopo di mantenere la legge in armonia con la Costituzione, attuando il collegamento regionale che, come poco fa dicevo, è un vincolo che ci viene dall’articolo 57, e che non possiamo dimenticare.

Ci sono naturalmente degli ostacoli al pieno spiegarsi dei risultati caratteristici del collegio uninominale, e di essi è parola anche nella relazione del Governo. Il Governo, infatti, nella sua relazione ha fatto rilevare che, con il sistema proposto, può accadere che rimangono dei collegi senza loro rappresentanti e degli altri che invece ne ottengono due. A questo riguardo è però da osservare che non è escluso che si possano trovare dei temperamenti, e ciò attraverso ad un’attenuazione del principio proporzionalistico, in modo che, quando si accerti una deficienza nella rappresentanza di un singolo collegio, si possa provvedere, deviando dalla rigida applicazione del metodo proporzionalistico. Per quanto personalmente pensi che non sia raccomandabile ricorrere a tale operazione per gli inconvenienti a cui si può dare luogo, non è escluso che, allo scopo di raggiungere un consenso più ampio sulla legge, ad essa si potrebbe anche arrivare. Credo tuttavia che il migliore mezzo per evitare l’inconveniente di cui ora faccio cenno, è quello affidato all’intelligente criterio dei vari partiti, e consistente nella scelta e nel collocamento dei candidati, secondo la base che essi hanno nei vari collegi. Un altro mezzo pratico per assicurare a tutti i collegi un rappresentante può esser quello delle candidature multiple.

Detto questo, dovrei ora procedere a qualche specificazione ulteriore, ma io credo che in questa sede ciò non sia opportuno. Bisognerà che l’Assemblea manifesti preventivamente il suo consenso al principio quale è stato genericamente da me formulato, salvo poi, nella discussione delle singole modalità di applicazione, a precisare il significato e il carattere, ricercando altresì le possibilità che potranno offrirsi di realizzare più compiutamente un sistema o l’altro dei due sistemi, che si cerca di riunire e di contemperare per quelle esigenze che ho già detto. (Applausi al centro).

LUSSU. Chiedo di parlare per fatto personale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. L’onorevole Mortati, nella sua relazione, ha citato il mio nome a proposito della proposta da me presentata alla Commissione circa la seconda Camera. Io debbo dire che il riferimento ad una mia affermazione, che ha fatto l’onorevole Mortati, è in parte vero ed in parte non rispondente totalmente alla realtà.

È vero che io presentai in sede di Commissione il seguente emendamento: «La seconda Camera è la Camera delle Regioni», è anche vero, ed il nostro Presidente lo ricorderà, perché anche egli era nella Commissione, che questo emendamento fu respinto. Fu in seguito, per dare un contenuto a questa esigenza regionalistica, che fu approvata invece l’altra formula: «Il Senato sarà eletto a base regionale». Ma è doveroso che io affermi che non fui affatto soddisfatto di quella soluzione, perché essa in realtà non diceva niente. Io ho il dovere di aggiungere che quella definizione, contenuta adesso nella Carta costituzionale, non dice in realtà niente.

Quando noi votammo quella definizione, intendemmo dire che mai una elezione elettorale avrebbe potuto avere una lista nazionale, come è nazionale la lista per la Camera dei deputati; con lista centrale in conseguenza. Debbo quindi dire che tutte quelle affermazioni in riferimento a questo punto di partenza valgono fino ad un certo punto. Ma debbo aggiungere per lealtà questo: io combattei in seno alla Commissione ed in seno all’Assemblea Costituente, nell’intervento che feci a proposito della seconda Camera, il collegio uninominale in modo così aspro, da provocare perfino una reazione, che considerai allora eccessiva, da parte del collega onorevole Porzio; e questo perché allora, in quel momento, pensavo che il collegio uninominale proposto fosse quello vecchio tipo, che noi tutti conosciamo, e che noi ritenevamo superato.

Non una voce si è elevata in questa Assemblea allora a chiarire che il collegio uninominale che si proponeva fosse un collegio aggiornato, per cui il superamento non esistesse più. Ora, in coscienza, è necessario ricordare come siamo arrivati a questa conclusione. (Commenti).

Voci. Chiusura! Chiusura!

PRESIDENTE. Prego l’Assemblea di restare tranquilla. Comunico che è pervenuta alla Presidenza la seguente richiesta firmata dagli onorevoli Reale Vito, Rubilli, Bozzi, Fusco, Martino Gaetano, Bellavista, Nasi, Pistoia, Paratore, Targetti, Candela, Villabruna, Stampacchia, Lussu, Lucifero, Russo Perez, Mastino Pietro, Patricolo, Abozzi, Venditti, Castiglia, Giannini, Costantini, Fogagnolo, Tega, De Michelis:

«I sottoscritti deputati, richiamandosi all’ordine del giorno Nitti-Togliatti approvato nella seduta del 7 settembre 1947 e alla deliberazione del 16 dicembre, con la quale l’Assemblea Costituente approvò la pregiudiziale sollevata dall’onorevole Cevolotto contro la presa in considerazione di una proposta dell’onorevole Perassi, secondo la quale la prima elezione del Senato doveva aver luogo secondo il sistema proporzionale, nonché alla deliberazione della Commissione parlamentare che restituì al Governo il progetto a base proporzionale, da esso presentato, perché non rispondente all’ordine del giorno Nitti-Togliatti, chiedono che sia dichiarato improponibile il testo del progetto di minoranza della Commissione parlamentare, che è contrario al sistema del collegio uninominale già approvato dall’Assemblea per la elezione del Senato della Repubblica».

L’onorevole Ministro dell’interno ha facoltà di esprimere sulla questione il parere del Governo.

SCELBA, Ministro dell’interno. Il problema della preclusione è stato ampiamente dibattuto dall’Assemblea Costituente, cosicché sarebbe fuori luogo aggiungere altre parole.

Penso che, allo stato delle cose, i deputati avranno già acquisita una loro particolare visione in ordine a questo problema. Anzitutto devo fare una precisazione, e cioè ricordare la data del disegno di legge, che è stato presentato dal Governo all’Assemblea Costituente: il disegno di legge porta la data 11 dicembre.

Faccio questa precisazione per rispondere all’affermazione categorica e perentoria fatta dall’onorevole Cevolotto, il quale, in occasione del suo discorso, affermò che il progetto governativo rappresentava un atto di sopraffazione della nuova maggioranza parlamentare. Anzitutto, il disegno di legge che sta davanti all’Assemblea Costituente non ha nessun riferimento con l’attuale maggioranza parlamentare.

Una seconda osservazione di carattere preliminare: il compito, che il Governo si è assunto in questo particolare problema della legge elettorale, risulta chiaramente definito dalle prime parole della relazione che accompagna il disegno di legge e che mi permetto di rileggere all’Assemblea:

«L’articolo 3 del decreto legislativo 16 marzo 1946, n. 98, attribuisce alla competenza sovrana della Costituente l’approvazione delle leggi elettorali.

«Il Governo rendendosi parte diligente nella elaborazione di un disegno di legge per l’elezione del Senato – così come ha fatto per la Camera – ha avuto di mira di mettere l’Assemblea Costituente in condizioni di discutere e decidere, sottoponendo proposte concrete nate dal vaglio critico dello studio e dell’esperienza».

Si tratta, quindi, di una collaborazione di ordine tecnico che il Governo ha fornito all’Assemblea Costituente, senza che questo assumesse un valore impegnativo per chicchessia.

Tuttavia, esiste ed è stato presentato all’Assemblea un problema di preclusione. La preclusione è una questione giuridica, e una questione giuridica può essere politica nello sfondo, ma non può essere un problema del Governo. Spetta pertanto all’Assemblea Costituente decidere sull’esistenza di essa o meno.

Per quanto mi riguarda, tuttavia, devo dire che esiste un progetto presentato, che porta il mio nome, e quindi devo esprimere la mia opinione in ordine alla preclusione. Il fatto stesso che il Governo ha presentato questo progetto di legge significa implicitamente che il Governo ha ritenuto che esso non contrastasse con l’ordine del giorno Nitti; diversamente il Governo non avrebbe presentato il progetto in questi termini.

Tutto il problema della preclusione si innesta sull’interpretazione da dare all’ordine del giorno dell’onorevole Nitti…

MASTINO PIETRO. La preclusione riguarda il progetto Mortati, non quello governativo.

SCELBA, Ministro dell’interno. No, riguarda il progetto governativo: la discussione è sorta in occasione dell’esame dell’articolo 7 del progetto di legge governativo. Se la questione si è spostata da questo articolo, rinuncio alla parola e mi riservo di esprimere in seguito la mia opinione. Ma la discussione si è iniziata stamane sull’articolo 7 del disegno di legge governativo e a questo articolo è stato opposta, da parte di alcuni rappresentanti dell’Assemblea, l’eccezione che il disegno di legge contrastasse con l’ordine del giorno Nitti. Credo che anche l’onorevole Nitti fosse di questa opinione.

Comunque, se il problema della preclusione riguarda il progetto della minoranza, io mi riservo di esprimere la mia opinione sul problema della preclusione (Interruzione del deputato Targetti) perché spetta all’Assemblea Costituente come tale di decidere la questione, che è di ordine squisitamente giuridico.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Desidero solo dire che insisto nella richiesta che la questione sia definita dalla Presidenza.

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Mi permetto di osservare che qui si tratta di un grave problema che involge non soltanto un principio regolamentare, ma una questione squisitamente costituzionale.

Per questo, riterrei di mancare di rispetto al Presidente Terracini se non si aspettasse la sua guarigione, o per lo meno se il Presidente Terracini non fosse interpellato in materia.

È questo che chiedo.

PRESIDENTE. In questo momento, onorevole Russo Perez, presiedo io… (Vivi, prolungati applausi al centro e a destra).

È grave compito quello al quale debbo in questo momento adempiere e mi dolgo che non sia a questo posto il nostro Presidente, onorevole Terracini, il quale è costretto a letto da una lieve indisposizione.

Io mando a lui, interpretando il sentimento di tutta l’Assemblea, l’espressione reverente dell’Assemblea, con l’augurio e la speranza che prestissimo egli possa essere di nuovo fra noi. (Vivi applausi).

Io non avrei voluto avere, onorevoli colleghi, la responsabilità del compito che mi impone il Regolamento. Questa mattina, in occasione di analoga circostanza, ho rimesso la decisione di una questione all’Assemblea. Ho udito parlare qui di dispotismo della maggioranza. Sono io pure, come tutti, del parere che non debbono esservi prevalenze eccessive anche in procedimenti legittimi, e credo che i poteri personali debbano essere ridotti nella maggior misura possibile: naturalmente anche quelli presidenziali.

Debbo però compiere il mio dovere. L’articolo 89 del Regolamento reca:

«Non si potranno riprodurre sotto forma di emendamenti o di articoli aggiuntivi gli ordini del giorno respinti nella discussione generale, nel qual caso può sempre essere opposta la pregiudiziale».

Ora, onorevoli colleghi, è stato ampiamente detto, nella discussione odierna, che la discussione generale è stata fatta e che da essa risulta, opposte alle proposte della minoranza, deliberazioni precise dall’Assemblea.

Che del resto questa discussione sugli articoli sia stata preceduta dalla discussione generale fu già detto dal Presidente Terracini, quando ricordò che tutti i deputati erano stati d’accordo che non si dovesse inserire nel testo costituzionale l’indicazione specifica del sistema di elezione, ma avevano approvato un ordine del giorno Nitti che indicava il collegio uninominale come base del sistema elettorale per il Senato della Repubblica.

La discussione generale – aggiunse il Presidente Terracini – si è poi ripetuta nell’Assemblea, sia pure in scala ridotta, in occasione della presentazione di un ordine del giorno dell’onorevole Perassi ed altri in cui – fermo l’impegno che il Senato normalmente fosse eletto a sistema uninominale – si proponeva che per il primo Senato fosse applicata la stessa legge elettorale della Camera dei deputati. Una prima votazione su questo ordine del giorno non raggiunse il numero legale. Successivamente l’onorevole Cevolotto sollevò la pregiudiziale che l’ordine del giorno non poteva essere accettato in quanto contrastante con una precedente deliberazione dell’Assemblea e tale pregiudiziale fu posta in votazione ed approvata.

Io debbo allora osservare il disposto dell’articolo 89 del Regolamento e mi corre pertanto l’obbligo di risolvere la questione. Vi ho pensato molto, onorevoli colleghi, e ho ascoltato tutti i discorsi di coloro che sono intervenuti e mi sono fatto carico della grave responsabilità. Io ritengo che sussista la preclusione, e che si debba passare senz’altro all’esame dell’articolo 7 nel testo presentato dal Governo.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Su che cosa?

DOMINEDÒ. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il Presidente dell’Assemblea ha richiamato l’articolo 89… (Commenti – Interruzioni).

Una voce. È già deciso!

PRESIDENTE. Onorevole Dominedò, si compiaccia di non insistere, perché non posso ammettere una discussione su quello che è stato già deciso.

DOMINEDÒ. Perdoni, signor Presidente, io non sollevo questioni personali.

PRESIDENTE. Non è possibile, onorevole Dominedò, le sarei grato se non insistesse.

DOMINEDÒ. Signor Presidente, io mi guardo dall’insistere, perché lei sa quanto io sia rispettoso del Regolamento e delle autorità costituite. Pertanto non elevo commenti sulla decisione presa, ma mi permetto di sottoporre alla Presidenza e all’Assemblea la espressione della voce di un deputato, il quale con ciò stesso formula la manifestazione di un diritto, sul quale l’Assemblea può e deve esprimersi. E il diritto che il deputato in questo momento sottopone alla Presidenza e all’Assemblea è il seguente: che, anche sussistendo un problema di preclusione – come il Presidente ha detto a termini dell’articolo 89 del Regolamento, secondo comma – non ci pare che la decisione nel merito sulla fondatezza o non del problema stesso, proposto formalmente come preclusione, possa essere presa dalla Presidenza (Commenti a destra e a sinistra), in quanto il titolo, la potestà di decidere in merito non spetta anche secondo l’articolo 93 che all’Assemblea. (Commenti). Questo dichiaro in nome del rispetto reciproco e in omaggio alla democrazia. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. Devo farle osservare, onorevole Dominedò, che, prima che la Presidenza assumesse il grave carico di risolvere il quesito, ella poteva fare queste osservazioni, e non le ha fatte.

DOMINEDÒ. Vuol avere la bontà, signor Presidente, di concedere la sospensione della seduta per breve tempo?

PRESIDENTE. Questa proposta può essere accolta dalla Presidenza.

(La seduta, sospesa alle 18.55, è ripresa alle 19.25).

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. Onorevoli colleghi, l’articolo 7 e seguenti contengono una serie di disposizioni che sono condizionate o subordinate alla soluzione che viene data dall’Assemblea Costituente al problema centrale regolato dagli articoli 18 e 20 del disegno di legge governativo.

Come sapete, nel disegno di legge governativo è previsto il collegamento e la proclamazione dell’eletto che al primo scrutinio raggiunge una determinata maggioranza. Nel caso che nessuno raggiunga questa maggioranza, l’articolo 20 prevede un particolare metodo, che, peraltro, potrebbe non essere accettato dall’Assemblea, la quale potrebbe preferire il sistema del ballottaggio, proposto dalla maggioranza.

Propongo pertanto di passare alla discussione degli articoli 18 e 20 per fissare i criteri fondamentali sulla proclamazione degli eletti dopo di che potremo discutere gli altri articoli.

RUBILLI. Chiedo di parlare per mozione d’ordine.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUBILLI. Noi innegabilmente dopo un ampio dibattito che si è svolto per parecchi giorni ci troviamo oggi di fronte a una nuova svolta e ad una nuova fase della discussione che si inizia dopo la deliberazione presidenziale.

Io chiedo, non so se esprimo soltanto un mio pensiero e dei miei colleghi liberali, o interpreto anche i sentimenti e i desideri di tutti gli altri colleghi, che di fronte a questa nuova base vi siano almeno ventiquattro ore di tempo per poterci orientare, per potere presentare degli emendamenti, per organizzare le nostre proposte.

PRESIDENTE. Onorevole Rubilli, ritengo che l’Assemblea non abbia bisogno di riflettere ancora su questo problema e concordi invece sulla opportunità di proseguire nella discussione. (Segni di consenso).

Passiamo pertanto all’esame dell’articolo 18. Se ne dia lettura nel testo del Governo.

RICCIO, Segretario, legge:

Titolo V.

DELLE OPERAZIONI DELL’UFFICIO ELETTORALE CIRCOSCRIZIONALE

Art. 18.

«L’ufficio elettorale circoscrizionale, costituito ai termini dell’articolo 7, procede con l’assistenza del cancelliere alle operazioni seguenti:

1°) effettua lo spoglio delle schede eventualmente inviate dalle sezioni;

2°) somma i voti ottenuti da ciascun candidato nelle singole sezioni come risultano dai verbali.

«Il presidente dell’ufficio elettorale circoscrizionale, in conformità dei risultati accertati, proclama eletto il candidato che ha ottenuto un numero di voti validi non inferiore alla metà più uno del numero dei votanti.

«Dell’avvenuta proclamazione il presidente dell’ufficio elettorale circoscrizionale invia attestato al senatore proclamato e dà immediata notizia alla segreteria del Senato nonché alla prefettura o alle prefetture nelle cui circoscrizioni si trova il collegio, perché, a mezzo dei sindaci, sia portata a conoscenza degli elettori.

«L’ufficio elettorale circoscrizionale dà immediata notizia della proclamazione del senatore eletto all’ufficio elettorale regionale».

PRESIDENTE. Sono stati presentati vari emendamenti. Il primo è quello dell’onorevole Lucifero:

«Al secondo comma, alle parole: 40 per cento, sostituire: 50 per cento più uno».

Ha facoltà di svolgerlo.

LUCIFERO. Ritiro il mio emendamento.

PRESIDENTE. Sta bene.

MAZZEI. Chiedo di parlare a nome della Commissione.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAZZEI. La Commissione, data la situazione completamente ed improvvisamente mutata, chiede che la seduta sia sospesa, per avere la possibilità di esaminare gli emendamenti.

PRESIDENTE. Onorevole Mazzei, questa sera l’Assemblea si limiterà ad ascoltare lo svolgimento che degli emendamenti faranno i rispettivi presentatori.

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. Onorevoli colleghi, con la decisione presa dal Presidente è stata dichiarata la preclusione per quanto riguarda il progetto della minoranza. Rimangono davanti all’Assemblea pertanto il progetto governativo e quello della maggioranza della Commissione. Non vedo perché si debba rinviare la discussione, dato che nessun fatto nuovo è avvenuto.

Chiedo che la discussione continui sul testo del Governo con tutti gli emendamenti che i singoli deputati hanno fin qui proposto.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare a nome della Commissione.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. La Commissione è d’accordo con quanto ha dichiarato il Ministro.

PRESIDENTE. Sta bene. Proseguiamo nell’esame degli emendamenti.

Gli onorevoli Stampacchia e Carpano Maglioli hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Il presidente dell’ufficio elettorale circoscrizionale, in conformità dei risultati accertati, proclama eletto il candidato che ha ottenuto un numero di voti validi non inferiore al 40 per cento».

L’onorevole Stampacchia ha facoltà di svolgerlo.

STAMPACCHIA. L’ora ed il nervosismo dell’Assemblea mi impongono di essere breve. L’emendamento presentato da me e dal compagno Carpano pel Gruppo socialista è di una evidente chiarezza. Fummo spinti a proporlo dalla speranza che potesse servir di base ad un compromesso con le diverse parti dell’Assemblea. In seno alla Commissione, nella prima riunione dichiarai a nome del mio Gruppo che noi non pensavamo affatto che il progetto Scelba dovesse senz’altro rifiutarsi. Esso potrà essere base di discussione per modificarlo magari con emendamenti più o meno radicali. Perché a me parve – mi riferisco sempre al mio Gruppo – che il progetto Scelba non fosse in completo ed assoluto contrasto ed antitesi con il collegio uninominale, essendo fuori discussione che esso stabilisce preliminarmente che coloro che raggiungono un certo quorum debbano essere proclamati al primo scrutino o, dirò meglio, ad una prima cernita.

Solo coloro che non raggiungano tale quorum con le rispettive votazioni vengono messi insieme, nel progetto Scelba, e costituiscono una massa di voti sui quali – come nell’elezione pei deputati – si determinano e formano i quozienti. Però, e qui è la ragione dell’emendamento, per avvicinarci sempre più, o per meno distanziarci, dal carattere del collegio uninominale, ritenni dovessimo ridurre il quorum del progetto ministeriale, che a noi parve – com’è di fatti – esagerato. Più si riduce il quorum, e più si rende possibile la proclamazione a primo scrutinio di un certo numero di deputati, che secondo alcuni calcoli pare non possa essere mai inferiore, al 50 per cento.

Ho detto «primo scrutinio», e benché la frase non sia precisa, essa adopero per riferirmi alle operazioni demandante all’ufficio circoscrizionale. Questo è, dunque, il concetto ispiratore dell’emendamento: concetto ispiratore che, naturalmente, è connesso necessariamente al secondo emendamento nel quale si fa l’ipotesi che il candidato, nessun candidato del collegio, raggiunga il quorum. Io in verità, avevo proposto il quorum nella misura di un terzo dei voti validi, che ho poi portato nell’emendamento al 40 per cento in ossequio al pensiero della Commissione. Questa infatti decise unanime – ove non fosse stato il progetto Mortati – di poter ridurre il quorum al 40 per cento. Quindi, io insisto sul quorum del 40 per cento senza con ciò escludere che, in caso di intesa con gli altri Gruppi, si possa modificare il proposto quorum sino a raggiungere quella misura che potrà sembrare ai Gruppi la più idonea, la più rispondente alla inderogabile necessità, a che il collegio uninominale non sia negato e rinnegato da questa stessa Assemblea che in memorabili dibattiti e con larghi consensi lo volle e lo creò.

Oggi il collegio uninominale, per decisione del Presidente, rigido custode del Regolamento, dopo il tentativo di sopprimerlo fraudolentemente, risorge. Anche noi abbiamo dovuto insistere su l’eccezione di preclusione dei deliberati precedenti, che formano già legge; ma lo abbiano fatto, però, dopo che il mio Gruppo aveva messo in atto ogni sforzo ed ogni tentativo con la Democrazia cristiana, sino ad un’ora prima di questa riunione per persuaderla ad addivenire ad amichevole intesa con noi, ad un accomodamento: cioè di discutere sul progetto Scelba, e non su quello dell’onorevole Mortati che il collegio uninominale rinnega in pieno. La Democrazia cristiana ha creduto di respingere la mia proposta e la mia offerta; la quale – al fine di raggiungere l’accordo ed evitare l’acceso ed aspro dibattito cui abbiamo assistito – si spingeva perfino ad accettare il quorum proposto nel progetto del Ministro onorevole Scelba, e cioè il 51 per cento. Ora quale che sia la sorte riserbata al mio emendamento, una cosa è certa: che la Democrazia cristiana, accesa da spirito di faziosità, non ha visto il pericolo cui andava incontro di subir l’onta cioè che le fosse solennemente rinfacciato – col giudicato del Presidente – il tentativo di volere violare la legge. Ed ora noi torniamo a discutere del progetto Scelba, che – non so perché tanto tardivamente – è stato sconfessato dalla Democrazia cristiana. Così e forse perciò il Ministro Scelba, al quale ieri comunicai il nostro proposito di volere discutere sul suo progetto, mi parve che, come Saturno, fosse già deciso a rimangiare la sua creatura: se volente o nolente non seppi giudicare. L’emendamento Dossetti – che in questo momento viene opposto al mio – ritenta l’avventura di sopprimere il collegio uninominale.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento degli onorevoli Candela, Reale Vito e Villabruna:

«Sostituire il testo della Commissione col seguente:

«Qualora nessun candidato sia stato eletto nella prima votazione, il presidente dell’ufficio elettorale centrale proclama il ballottaggio tra i due candidati che abbiano ottenuto il maggior numero di voti validi. Nel caso in cui due o più candidati abbiano conseguito lo stesso numero di voti validi, entra in ballottaggio il più anziano di età.

«Alla elezione di ballottaggio si procede nella seconda domenica successiva a quella della votazione».

L’onorevole Candela ha facoltà di svolgerlo.

CANDELA. Lo mantengo ed aggiungo che la preclusione vale anche per la seconda parte del progetto Scelba. (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Candela, bisogna presentare proposte precise.

CANDELA. Presenterò la proposta per iscritto.

PRESIDENTE. Sta bene. Rimandiamo allora ad un secondo momento lo svolgimento del suo emendamento.

L’onorevole Basile propone il seguente emendamento:

«Aggiungere il seguente comma:

«Qualora nessun candidato raggiunga il numero di voti necessario per la proclamazione, si procede al ballottaggio fra i due candidati che abbiano ottenuto il maggior numero di voti validi».

Ha facoltà di svolgerlo.

BASILE. È abbastanza chiaro; rinunzio pertanto allo svolgimento.

PRESIDENTE. L’onorevole Dominedò ha proposto il seguente emendamento:

«Sostituire alle parole: metà più uno dei votanti, con le altre: 51 per cento degli elettori iscritti».

Ha facoltà di svolgerlo.

DOMINEDÒ. Rinunzio allo svolgimento e mantengo l’emendamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Dossetti ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire alle parole: metà più uno del numero dei votanti le parole: sessantacinque per cento dei votanti».

Ha facoltà di svolgerlo.

DOSSETTI. Questo emendamento ha lo scopo di garantire che colui il quale verrà proclamato eletto a primo scrutinio risulti eletto in base a una maggioranza consistente, al fine di ovviare al grave inconveniente e pregiudizio che viene arrecato agli altri candidati i cui voti vanno perduti nel complesso regionale. Naturalmente prevedo quali obiezioni potranno essere sollevate, ed in parte sono già state sollevate, contro questa proposta. Non credo però, tanto per mettere un po’ le mani avanti, che possa essere rinnovata la tesi della pregiudiziale testé proposta, perché, quali che siano le conseguenze che noi ricaviamo dall’applicazione di questo emendamento, è però certa una cosa: che l’emendamento, così come si presenta, ha semplicemente il risultato di accertare questa maggioranza. Non implica nessuna conseguenza, per sé, quanto al sistema, tanto più se non si procede in base ad un metodo teorico di sistema uninominale aprioristico, ma si ammette – come non si può non ammettere – che il sistema uninominale sia costretto in base alle determinazioni che stiamo prendendo.

PRESIDENTE. L’onorevole Caronia ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire alle parole: del numero dei votanti quelle: del numero degli elettori iscritti».

Ha facoltà di svolgerlo.

CARONIA. Il significato di questo emendamento è chiaro. Si vuole assicurare veramente che l’eletto sia l’espressione della maggioranza reale.

REALE VITO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

REALE VITO. Con l’emendamento Dossetti, presentato per ottenere che si ritorni su di una evidente preclusione, si verifica un tentativo di modificare è di contorcere l’articolo 18 del progetto ministeriale. Il progetto ministeriale, riferendosi a quello che è il concetto comune e conosciuto del collegio uninominale, per cui si era eletti tutte le volte che si otteneva la metà più uno dei voti validi, ha integralmente riprodotto questo concetto. I colleghi democristiani tornano di nuovo all’offensiva per tentare, per vie traverse, di combattere, ancora il collegio uninominale che gran parte di questa Assemblea e che il Presidente hanno dichiarato come l’unico metodo di votazione per il Senato (Rumori al centro – Interruzione del deputato Uberti).

MOLÈ. Non si può sostenere un’opinione? (Rumori al centro).

REALE VITO. I democristiani, che aspirano all’onore di diventare fascisti senza manganello… (Vivaci proteste al centro – Scambio di apostrofi fra i deputati Uberti e Reale Vito).

PRESIDENTE. La prego, onorevole Reale, di attenersi alla materia dell’articolo.

REALE VITO. Voi siete stati al potere con Mussolini! (Vivaci proteste al centro).

Io ho votato contro di lui! Voi avete dato i pieni poteri a Mussolini. (Prolungati rumori al centro – Interruzioni dei deputati Gronchi e Piccioni).

PRESIDENTE. Onorevole Reale, io non posso consentirle di uscire dall’argomento per inscenare una polemica.

REALE VITO. Onorevole Presidente, mi consenta di dirle che lei ha il dovere di farmi parlare.

UBERTI. Ma non quello di offendere!

PRESIDENTE. Onorevole Reale, io ho anche il dovere di richiamarla all’argomento.

REALE VITO. L’articolo 18 tenta di precisare quello che è stato sempre il collegio uninominale, e chi dice collegio uninominale dice sistema maggioritario, cioè la proclamazione con la maggioranza più uno dei voti validi favorevoli. La Commissione ha già preso in esame questo punto sostanziale e, tenuto conto del fatto che, dai tempi del collegio uninominale a oggi, è aumentato notevolmente il numero dei partiti che partecipano alla lotta politica, ha portato il quorum al quaranta per cento. Io propongo che sia limitato al trentacinque per cento dei voti validi e su questa proposta chiederò la votazione a scrutinio segreto.

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Vorrei ricondurre la discussione ai suoi elementi essenziali. Ricordando i precedenti in materia, durante i lavori della Commissione proposi che fosse dichiarato eletto colui che avesse riportato il maggior numero dei voti, cioè la maggioranza relativa. La mia proposta fu respinta. Successivamente fu approvata dalla Commissione la proposta che bastasse il venticinque per cento. Ma, dopo di essere stata approvata, la proposta fu rimessa in discussione, ci si incominciò ad arrampicare per le scale e finalmente si arrivò al quaranta per cento. A quest’ultima proposta tutta la Commissione, non soltanto la maggioranza, diede voto favorevole (Proteste al centro). Ora propongo che il quorum non sia superiore al trenta per cento e mi associo a quanto ha detto l’onorevole Vito Reale.

PRESIDENTE. Qual è il parere della Commissione su queste proposte relative al quorum per la eleggibilità a primo scrutinio?

MICHELI, Presidente della Commissione. Evidentemente gli emendamenti sono di vario genere, e la Commissione, se pure ha votato in una determinata seduta l’emendamento Stampacchia, e lo ha fatto proprio, a maggioranza, in questo momento non è concorde: alcuni sono per una cifra, alcuni per un’altra; pertanto la Commissione si rimette alle decisioni dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Qual è il parere del Governo?

SCELBA, Ministro dell’interno. Il Governo accetta l’emendamento Dossetti.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione. Al primo comma dell’articolo 18 non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione dandone ancora una volta lettura:

«L’ufficio elettorale circoscrizionale, costituito ai termini dell’articolo 7, procede con l’assistenza del cancelliere alle operazioni seguenti:

1°) effettua lo spoglio delle schede eventualmente inviate dalle sezioni;

2°) somma i voti ottenuti da ciascun candidato nelle singole sezioni come risultano dai verbali».

(È approvato).

Onorevole Dominedò, mantiene il suo emendamento al secondo comma?

DOMINEDÒ. Rinuncio al mio emendamento e mi associo a quello dell’onorevole Dossetti.

TARGETTI. Chiedo di parlare per una mozione d’ordine.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Signor Presidente, io chiedo a lei in primo luogo e chiedo anche alla indiscutibile buona fede di tutti i nostri egregi colleghi questo: se invece del sessantacinque per cento un emendamento proponesse il settantacinque, l’ottanta per cento, si sarebbe tutti d’accordo che si tratterebbe di un sistema elegante per eludere il collegio uninominale (Interruzioni al centro). Penso che la mia osservazione non deve essere destituita di fondamento, se provoca le interruzioni di molti colleghi.

PRESIDENTE. Onorevole Targetti, io desidero sapere in che cosa consiste la sua mozione d’ordine.

TARGETTI. Ora ci arrivo. Ho fatto questa premessa appunto perché apparisse subito la fondatezza della mia mozione d’ordine. Oltre un certo limite, oltre cioè il limite normale indicato dalla prassi e anche dal diritto, cioè il cinquanta per cento dei votanti, non ci si può spingere, perché quando si fissi un limite maggiore e tale che sia praticamente impossibile raggiungerlo, l’elezione col sistema maggioritario non può aversi. Si sarebbe dunque recitata una farsa quando si è riconosciuto, pochi minuti fa, l’obbligo di attenersi al sistema del collegio unoniminale (Applausi a sinistra – Rumori al centro). Si tratta di una condizione impossibile e quindi propongo che l’emendamento Dossetti che porta al sessantacinque per cento il minimo dei voti prescritto per la proclamazione non sia posto in votazione. (Proteste al centro).

PRESIDENTE. Onorevole Targetti, io non ritengo che quanto lei ha detto costituisca una mozione d’ordine. Lei ha fatto soltanto apprezzamenti intorno a una proposta; non posso pertanto riconoscere la mozione di ordine.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare per una mozione d’ordine.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Poiché, se non ho capito male, sono state fatte proposte per un quorum più basso, per esempio il trentacinque per cento, ritengo – e mi rimetto al parere del Presidente per la decisione – che debba essere messo per prima in votazione la proposta che contiene il quorum più basso.

PRESIDENTE. La precedenza nella votazione spetta anzitutto alla proposta che più si allontana dal testo base. Poiché l’articolo 18 prevede un quorum del cinquanta per cento, devo porre innanzitutto in votazione la proposta Dossetti, la quale chiede la elevazione del quorum stesso al sessantacinque per cento, allontanandosi di più, anche dal punto di vista concettuale, dalla proposta base. Comunico che su questo emendamento gli onorevoli Rubilli, Lucifero, Candela, Reale Vito, Martino Gaetano, Bozzi, Villabruna, Abozzi, Russo Perez, Paratore, Preziosi, Bellavista, Condorelli, Nasi, Colitto, Vallone, Patricolo, Rodinò Mario, Morelli Renato, Colonna hanno chiesto la votazione a scrutinio segreto.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Indico la votazione segreta sull’emendamento Dossetti, del quale do ancora una volta lettura:

«Sostituire alle parole: metà più uno del numero dei votanti le altre: sessantacinque per cento dei votanti».

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione e invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione segreta:

Presenti e votanti         370

Maggioranza                186

Voti favorevoli            243

Voti contrari                127

(L’Assemblea approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Adonnino – Aberganti – Alberti – Allegato – Ambrosini – Amendola – Andreotti – Angelini – Angelucci – Arcaini – Arcangeli – Assennato – Avanzini – Azzali.

Bacciconi – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basile – Bastianetto – Bazzoli – Bei Adele – Bellato – Bellavista – Belotti – Benvenuti – Bernamonti – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bruno – Bibolotti – Bitossi – Boldrini – Bolognesi – Bonino – Bonomelli – Bonomi Paolo – Bordon – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Braschi – Brusasca – Bubbio – Bucci – Buffoni Francesco – Burato.

Caccuri – Caiati – Camangi – Campilli – Camposarcuno – Candela – Cannizzo – Caporali – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carbonari – Carboni Angelo – Carboni Enrico – Carignani – Caristia – Caroleo – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Caso – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavalli – Cavallotti – Cerreti – Cevolotto – Chatrian – Chiarini – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cimenti – Clerici – Coccia – Colombi Arturo – Colombi Emilio – Colonna di Paliano – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corsanego – Cortese Pasquale – Costantini – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo.

Damiani – D’Amico – D’Aragona – De Caro Gerardo – De Gasperi – Del Curto – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Di Vittorio – Dominedò – Donati – D’Onofrio – Dossetti – Dozza.

Ermini.

Fabriani – Fantoni – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Ferreri – Fietta – Fiore – Fiorentino – Fioritto – Firrao – Foa – Fogagnolo – Foresi – Fornara – Franceschini – Fresa – Froggio – Fuschini.

Gabrieli – Galati – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Gatta – Gavina – Germano – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Ghidini – Giacchero – Giannini – Giolitti – Giordani – Gonella – Gorreri – Gortani – Gotelli Angela – Grassi – Grazia Verenin – Grieco – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jervolino.

Laconi – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Lazzati – Leone Francesco – Leone Giovanni – Lettieri – Li Causi – Lizier – Lombardi Carlo – Longo – Lozza – Lucifero – Lussu.

Macrelli – Maffi – Maffioli – Magnani – Malagugini – Maltagliati – Mancini – Mannironi – Manzini – Marazza – Marinaro – Marinelli – Martinelli – Martino Gaetano – Marzarotto – Massini – Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mattarella – Mattei Teresa – Mazza – Mazzei – Mazzoni – Medi Enrico – Mentasti – Merlin Umberto – Mezzadra – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molè – Molinelli – Momigliano – Montagnana Rita – Montalbano – Monterisi – Monticelli – Moranino – Morelli Luigi – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati – Moscatelli – Mùrdaca – Murgia – Musolino – Musotto.

Nasi – Negro – Nicotra Maria – Nitti – Nobili Tito Oro – Noce Teresa – Notarianni – Novella – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pacciardi – Pajetta Gian Carlo – Pallastrelli – Paolucci – Paratore – Parri – Pastore Raffaele – Patricolo – Patrissi – Pecorari – Pella – Pellegrini – Penna Ottavia – Perassi – Perlingieri – Persico – Pertini Sandro – Piccioni – Piemonte – Pignedoli – Pollastrini Elettra – Ponti – Pratolongo – Pressinotti – Preziosi – Priolo – Proia – Pucci.

Quarello.

Raimondi – Rapelli – Ravagnan – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Restagno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodinò Ugo – Rognoni – Romano – Romita – Roveda – Rubilli – Ruggeri Luigi – Rumor – Russo Perez.

Saccenti – Saggin – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Saragat – Sartor – Scalfaro – Scarpa – Scelba – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Francesco – Secchia – Segni – Sereni – Sforza – Sicignano – Siles – Silipo – Spataro – Stampacchia – Stella – Storchi.

Tambroni Armaroli – Targetti – Taviani – Tega – Terranova – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Togni – Tomba – Tonello – Tonetti – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi – Tripepi – Turco.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Veroni – Viale – Vicentini – Vigna – Vigo – Vilardi – Villabruna – Villani.

Zaccagnini – Zanardi – Zotta – Zuccarini.

Sono in congedo:

Cairo – Costa.

Lombardi Riccardo.

Orlando Vittorio Emanuele.

Valiani.

Si riprende la discussione del disegno di legge: Norme per l’elezione del Senato della Repubblica. (61).

PRESIDENTE. Pongo in votazione il terzo comma dell’articolo 18:

«Dell’avvenuta proclamazione il presidente dell’ufficio elettorale circoscrizionale invia attestato al senatore proclamato e dà immediata notizia alla segreteria del Senato nonché alla prefettura o alle prefetture nelle cui circoscrizioni si trova il collegio, perché, a mezzo dei sindaci, sia portata a conoscenza degli elettori».

(È approvato).

Passiamo al comma seguente:

«L’ufficio elettorale circoscrizionale dà immediata notizia della proclamazione del senatore eletto all’ufficio elettorale regionale».

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo che sia rinviata la votazione di questo comma.

PRESIDENTE. Sta bene. Se non vi sono osservazioni, così rimane stabilito.

(Così rimane stabilito).

GRONCHI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRONCHI. Mi permetto di far presente all’Assemblea la prossimità del termine dei nostri lavori. L’andamento della discussione avvenuta fin qui ci porta a prevedere che occorreranno almeno tre o quattro sedute per finire questa legge. Penso che la settimana ventura debba essere dedicata all’esame degli statuti regionali.

Noi proponiamo perciò formalmente che si tenga seduta domani domenica, almeno nella mattinata. (Commenti).

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Gronchi di tenere seduta nella mattinata di domani.

(Dopo prova e controprova, è approvata).

Il seguito della discussione è rinviato alle ore 9 di domani.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere quali gravi motivi lo hanno determinato a far occupare, per alloggiare delle forze di polizia, buona parte dei locali del Centro nazionale di emigrazione di Milano, mentre era facile, per tale alloggio, utilizzare caserme vuote o semivuote.

«L’interrogante chiede, altresì, se il Ministro si è reso conto e si rende conto che la detta occupazione ha impedito ed impedisce il regolare funzionamento d’un organismo di così vitale importanza con gravissimo danno dei nostri emigranti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Fiore».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere quale sorte subiranno le assuntorie delle piccole stazioni ferroviarie e cioè se verranno mantenute oppure verranno abolite per essere affidate in gestione solo a personale di ruolo, e questo per mettere i numerosi aspiranti assuntori presso le ferrovie in condizioni di sapere, una buona volta, se debbano o meno mantenere le loro aspirazioni oppure debbano decidersi a cercare altrove la possibilità di aprirsi una strada per la loro sistemazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Zuccarini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per sapere quali provvedimenti intenda prendere in favore dei vecchi bisognosi non pensionati. Esiste in Italia una categoria di persone che fra quante si trovano in indigenza può effettivamente essere considerata la più bisognevole di aiuto.

«Il loro numero per fortuna non è grande ma le condizioni economiche sono così gravi che solo la carità del prossimo e l’aiuto non sempre generoso dei parenti impedisce un triste spettacolo per il nostro Paese.

«Pare all’interrogante che il Ministro del lavoro e della previdenza sociale debba preoccuparsi di questa categoria di indigenti così come già hanno provveduto altri Paesi civili. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bertola».

«I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri della difesa e del tesoro, per sapere se non ritengano opportuno oltreché doveroso spostare la data dal settembre 1944 al mese di aprile 1944 per considerare lavoratori quegli ufficiali che prima di tale data erano fuori dai campi di concentramento tedeschi.

«Gli interroganti fanno notare che, ad esempio, nel campo di Oberlangen già dal 20 maggio 1944 centinaia di ufficiali italiani furono obbligatoriamente avviati al lavoro; inoltre, che questi ufficiali fecero tempo fa ricorso al Ministero della guerra documentando ampiamente la loro posizione e l’apposita Commissione disciplinare ritenne giusto il ricorso e tutti furono discriminati con ampia formula. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Bertola, Pastore Giulio».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro della difesa, per sapere se non intenda condonare la somma che i militari devono restituire e che le loro famiglie hanno ricevute quali anticipi durante il loro periodo di prigionia o di concentramento.

«Gli interroganti fanno presente che di tale anticipo hanno beneficiato anche le famiglie – dislocate a nord della cosiddetta linea gotica – di quei militari, i quali dall’8 settembre 1943 dovettero provvedere al sostentamento con i propri mezzi.

«Oggi gli stessi si trovano costretti a restituire una somma che più non hanno, tanto più che il distretto ha fatto emettere ricorsi per decreto ingiuntivo. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Pastore Giulio, Bertola».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per sapere se non ritenga opportuno intervenire a favore di quegli ex lavoratori, che essendo stati posti in quiescenza quando non vigevano le attuali norme di previdenza sociale, ebbero una somma a titolo di liquidazione, somma che oggi, non che servire con modesto reddito a soddisfare alle più elementari necessità di vita, si è completamente esaurita data la svalutazione della moneta.

«Pare all’interrogante che in definitiva si tratti di situazione analoga a quella dei lavoratori pensionati che hanno diritto ad un aumento della pensione divenuta irrisoria. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Scalfaro».

«Le sottoscritte chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere se, conformemente all’articolo 51, primo comma, della Carta costituzionale che afferma: «Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di uguaglianza secondo i requisiti stabiliti dalla legge», verranno abrogate le due leggi fasciste: decreto-legge 1938, n. 1514 e regio decreto 29 giugno 1939, n. 898, in modo da abolire dalle norme dei bandi di concorso quelle disposizioni che limitano la parità di diritti delle donne. A titolo di esempio si fa riferimento ai bandi di concorsi pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale del 18 settembre 1947 (supplemento n. 219); del 29 settembre 1947, n. 223; del 7 ottobre 1947, n. 230 e del 10 novembre 1947 (supplemento n. 258). (Le interroganti chiedono la risposta scritta).

«Bei Adele, Montagnana Rita, Gallico Spano Nadia, Minella Angiola».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro di grazia e giustizia, sull’opportunità di promuovere un provvedimento inteso ad abolire l’attuale separazione dei ruoli dei giudici e dei pretori introdotta nel 1930, dato che già fin dal 1937 moltissimi pretori prestano servizio nei tribunali e nelle procure e dato che ne sono stati ammessi, senza alcun concorso, alle funzioni di giudici – con prospettive di ingresso in carriera – laureati in giurisprudenza, in base al decreto legislativo del 30 aprile 1946, n. 352.

«L’opportunità della predetta abolizione sembrerebbe inoltre manifesta per il fatto che i pretori sono stati ammessi a parità di condizione con i giudici al concorso per consigliere d’appello indetto con decreto ministeriale 31 dicembre 1947 e i nuovi concorsi per l’ingresso in magistratura non riguardano più gli uditori di pretura ma solo quelli di tribunale. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Persico, Paratore, Veroni, Carpano Maglioli, Nasi, Reale Vito, Gasparotto».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere se non intenda tutelare e difendere l’Amministrazione comunale di Marsala, liberamente eletta, annullando un’arbitraria e illegittima deliberazione di revoca. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Montalbano, Li Causi».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere innanzi tutto da quale fonte ha appreso che l’Amministrazione comunale di Ravanusa (Agrigento) non ha compiuto atti di faziosità o di irregolarità, mentre essa è responsabile di:

1°) non aver provveduto a fissare la data di apertura delle sessioni ordinarie del Consiglio comunale;

2°) non aver convocato detto Consiglio nella sessione autunnale del 1947;

3°) non aver provveduto alla presentazione del bilancio;

4°) non aver provveduto alla nomina dei revisori dei conti;

5°) aver imposto una tassa sui generi di consumo a beneficio di una commissione di privati, non nell’interesse del Comune;

6°) aver compilato faziosamente i ruoli delle tasse comunali;

7°) aver lasciato in giacenza ben mille stati di famiglia per uso assegni familiari;

8°) aver nascosto i risultati dell’inchiesta a carico del vice sindaco, Musso Antonino, denunziato all’autorità giudiziaria quale responsabile di violenza carnale e peculato;

9°) aver assunto arbitrariamente, quali impiegati, quattro elettori della democrazia cristiana, aggravando enormemente e senza alcuna ragione il bilancio comunale.

«In secondo luogo per conoscere da quale fonte ha appreso che non esistono ragioni di turbamento dell’ordine pubblico in Ravanusa col mantenere in vita quell’Amministrazione, essendo essa responsabile non solo di aver commesso atti faziosi e irregolari, ma anche di voler imporre la sua volontà settaria alla stragrande maggioranza della popolazione di Ravanusa. All’uopo basti ricordare che il prefetto di Agrigento nel dicembre scorso decise di nominare un commissario prefettizio in quel paese, per la necessità di assicurare non solo l’ordine pubblico, ma addirittura «il regolare funzionamento dei pubblici servizi».

«In terzo luogo, per conoscere se non intenda riesaminare la situazione dell’Amministrazione di Ravanusa – che non rappresenta la maggioranza, ma la minoranza di quel corpo elettorale – e procedere allo scioglimento di essa per le ragioni dianzi spiegate. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Montalbano, Li Causi, D’Amico».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro degli affari esteri, per conoscere quali pratiche intenda svolgere per far sì che i pescatori italiani e particolarmente quelli della costa occidentale della Sicilia possano tornare ad esercitare il loro lavoro su quelle coste tunisine che furono sorgente di ricchezza e di prosperità e che sono il campo naturale e tradizionale della loro attività produttiva. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Borsellino».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno trasmesse ai Ministri competenti per la risposta scritta.

La seduta termina alle 20.45.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 9:

Seguito della discussione del disegno di legge:

Norme per l’elezione del Senato della Repubblica. (61).