Come nasce la Costituzione

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ANTIMERIDIANA DI SABATO 24 GENNAIO 1948

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCLXI.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI SABATO 24 GENNAIO 1948

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Congedo:

Presidente

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Norme per l’elezione del Senato della Repubblica (61).

Presidente

Morelli Renato

Targetti

Bellavista

Dominedò

Condorelli

Micheli, Presidente della Commissione

Scelba, Ministro dell’interno

Lucifero

Martino Gaetano

Piemonte

Togliatti

Giannini

Nitti

Votazione segreta:

Presidente

Risultato della votazione segreta:

Presidente

La seduta comincia alle 9.30.

MAZZA, ff. Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo il deputato Lombardi Riccardo.

(È concesso).

Seguito della discussione del disegno di legge: Norme per l’elezione del Senato della Repubblica. (61).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del disegno di legge: Norme per l’elezione del Senato della Repubblica (61).

Credo che sia opportuno esaminare gli articoli aggiuntivi proposti.

Gli onorevoli Vigna, Cosattini, Piemonte e Pat hanno presentato il seguente articolo aggiuntivo:

Art. …

«Gli emigrati per motivi di lavoro, che rimpatriano per le elezioni, hanno diritto al trasporto ferroviario gratuito dalla stazione di confine al comune in cui votano e viceversa».

Non essendo presente nessuno dei presentatori, si intende che abbiano rinunciato a svolgerlo.

Sono stati anche presentati i seguenti articoli aggiuntivi:

Art. …

«Per la prima elezione del Senato l’astensione ingiustificata dal voto è punita, oltre che con le sanzioni stabilite dall’articolo 84 del decreto legislativo luogotenenziale 10 marzo 1946, n. 74, con l’ammenda di lire 200, da applicarsi con le norme di cui nell’articolo seguente, per coloro che non siano iscritti nei ruoli dell’imposta complementare sul reddito, a di lire 2000 per coloro che siano iscritti nei detti ruoli».

Art. …

«Entro trenta giorni dalla scadenza del termine stabilito dal quarto comma dell’articolo 84 del decreto legislativo luogotenenziale 10 marzo 1946, n. 74, il prefetto invia a ciascun Comune della Provincia l’elenco nominativo degli elettori che hanno presentato ricorso contro l’inclusione nell’elenco degli astenuti dal voto e, nei 30 giorni successivi alla emanazione del decreto che decide sui ricorsi stessi, invia a ciascun Comune l’elenco nominativo dei ricorsi accolti.

«Entro trenta giorni dal ricevimento di ciascuna delle comunicazioni prefettizie, di cui nel comma precedente, il sindaco di ciascun Comune invia al pretore del mandamento l’elenco nominativo degli elettori inclusi nell’elenco degli astenuti e che non abbiano proposto ricorso o il cui ricorso sia stato respinto.

«Il pretore provvede all’applicazione della ammenda con decreto penale non impugnabile se non per errore nella persona».

«Morelli Renato, Monticelli, Cifaldi, Martino Gaetano, Candela, Preziosi, Villabruna, Crispo, Fusco, Rubilli, Spataro, Castelli Avolio, Benvenuti, Badini Confalonieri, Rescigno, Micheli, De Caro Raffaele».

L’onorevole Morelli Renato ha facoltà di svolgerli.

MORELLI RENATO. Onorevoli colleghi, i due articoli aggiuntivi che ho proposto in sede di discussione del disegno di legge per la elezione del Senato si risolvono in un emendamento alquanto più limitato di quello che proposi in sede di discussione della legge per la elezione della Camera dei deputati e che ritirai, per la richiesta fattane da colleghi del gruppo comunista, particolarmente dall’onorevole Togliatti, aderendo a che venisse rinviato il dibattito su questo punto.

Non infliggerò all’Assemblea una dissertazione sul così detto voto obbligatorio, per la semplice ragione che questo principio è stato introdotto nella Costituzione all’articolo 48 ed è stato riconsacrato nell’articolo 84 della legge per la elezione della Camera dei deputati, nella quale è anche prevista una sanzione, quella della menzione nel certificato di buona condotta della circostanza che l’elettore non ha votato, ed è stabilita tutta una procedura per l’accertamento delle ragioni che possono giustificare l’astenuto.

Mi pare tuttavia necessario richiamare l’attenzione dell’Assemblea su quel dibattito per il fatto che in esso affiorarono, nelle interruzioni di colleghi, due obiezioni, di cui la prima diretta ad affermare un contrasto fra la così detta obbligatorietà, del voto ed i princìpi liberali. Strana obiezione questa, quasi rivolta a contestare la legittimità politica della mia presa di posizione. Risposi che la dottrina liberale più recente respinge il principio del lasciar fare, ed è ispirata, oltre che all’ideale supremo della libertà, a quello della solidarietà sociale, che deve far avvertire l’importanza della funzione elettorale come di una funzione da esercitarsi nell’interesse pubblico.

Alla seconda obiezione, che fosse possibile impedire, con la così detta obbligatorietà del voto, un fenomeno legittimo come fenomeno politico, quello dell’astensione, io risposi che l’elettore rimane libero di astenersi dal voto, perché nell’urna può porre scheda bianca: e aggiunsi che questa forma di astensione ha un significato politico, in quanto non si presta ad equivocità di interpretazione, ma dimostra un dissenso dell’elettore da qualsiasi lista di candidati o, nelle elezioni con il collegio uninominale, da qualsiasi candidato. Viceversa il significato è equivoco, non più univoco, quando l’astensione può essere interpretata anche come un effetto di pigrizia, di infingardaggine, di assoluta indifferenza.

Liberato quindi il campo da queste obiezioni, aggiungerò che quello che si intende colpire con la sanzione pecuniaria lievissima da me proposta, è soltanto l’assenza dalle urne. Perché qui c’è un grosso equivoco, che affiora sempre nelle discussioni sul così detto voto obbligatorio – e ripeto così detto, perché inesattamente si ritiene che l’elettore debba votare: no, l’elettore può anche non votare. Quello che si vuole combattere, è soltanto il fenomeno di indifferenza che si traduce nel completo estraniarsi del cittadino dal consorzio civile, nel suo mancare all’appello, proprio quando il corpo elettorale, al quale appartiene, è chiamato a svolgere l’altissima funzione di esprimere la propria rappresentanza.

Vi dirò di più: che stabilire questo sistema di sanzioni, colpendo il cittadino che si astiene dal recarsi alle urne, significa voler assicurare la libertà assoluta dell’atteggiamento politico, anche se negativo, perché se l’astensione si manifesta con l’assenza dalle urne, essa è un fenomeno controllabile dall’esterno, e può essere la conseguenza di una intimidazione diretta o indiretta, mentre se ci si astiene dal voto ponendo una scheda bianca nell’urna, la segretezza è rigorosamente garantita.

E verrò a quell’accusa di partigianeria che viene rivolta ai sostenitori del così detto voto obbligatorio: si dice che esso favorirebbe un partito piuttosto che un altro. Questo non è esatto, e i colleghi di sinistra non mi faranno il torto di credere che, attraverso un’ammenda di duemila lire, io mi proponga di trascinare alle urne le duecento famiglie plutocratiche che, secondo la loro opinione, reggerebbero di fatto le sorti del nostro Paese. In realtà i ricchi pagherebbero l’ammenda senza risentirne alcun peso e, in ogni caso, anche votando, non sposterebbero la situazione elettorale. Viceversa, la sanzione pecuniaria, lieve com’è nella mia proposta, ha un altro scopo: quello di richiamare ad un dovere fondamentale ogni cittadino. Ricorderò in proposito il parere del Laski, capo del laburismo inglese, il quale ha dichiarato che l’obbligo della partecipazione al voto è un obbligo elementare ed ha auspicato che venga presto tradotto in disposizione di legge, e l’appoggio dato da un giornale liberale come il Manchester Guardian a questa tesi, che trova anche ampie rispondenze nella giuspubblicistica francese. Ed è spiegabile, perché in realtà questo del valore antidemocratico del così detto voto obbligatorio è piuttosto, come osserva lo scrittore repubblicano Orrei, un pregiudizio ereditato dal sistema elettorale censitario, quando cioè la gente che votava era soltanto la gente ricca.

E ancora mi rivolgo ai colleghi di sinistra per ricordare come durante la elaborazione preventiva del testo costituzionale, che fu oggetto dell’attività di apposite commissioni e sottocommissioni dipendenti dal Ministero della Costituente, di cui era a capo un socialista come l’onorevole Nenni, in uno dei numerosi volumi editi nell’occasione, un volume di legislazione comparata, fu consacrato un giudizio unanime della competente sottocommissione, composta di giuristi e di politici di ogni corrente: che il così detto voto obbligatorio dovesse essere considerato come un principio integratore della rappresentanza organica e quindi necessario al regolare funzionamento di una democrazia di massa.

Potrei anche richiamare quello che Giolitti, che non era un conservatore, notava circa la necessità di interessare alla vita politica le più larghe masse di elettori, evitando che alla determinazione della direzione politica concorresse soltanto una ristretta cerchia di persone. Il suffragio universale, il cui merito è rivendicabile ai liberali, non può produrre i suoi effetti se non si limita il fenomeno dell’assenza dalle urne, che in Italia assume aspetti preoccupanti.

Del resto, paesi dalla legislazione progreditissima, come gli Stati Uniti d’America, la Nuova Zelanda e, in Europa, la Svizzera, l’Olanda, il Belgio, la Francia, l’Austria, hanno accolto il principio del così detto voto obbligatorio. Ed in alcuni di questi Paesi, come il Belgio, dalle apposite sanzioni stabilite per l’assenza dalle urne hanno tratto vantaggio i socialisti. In realtà, quel fenomeno di apatia, di distacco dalla vita politica, è diffuso particolarmente nella media e piccola borghesia. Quei voti andrebbero a noi come a voi, andrebbero a tutti: andrebbero anche a voi, che siete attualmente orientati verso i ceti medi ed ascrivete a vostro orgoglio il far proseliti in quel settore sociale.

Ma passiamo alle obiezioni tecniche. Alcuni chiedono: queste sanzioni sono applicabili o sono, in realtà, inapplicabili? E potranno colpire efficacemente? Io risponderò che è una curiosa obiezione quella che l’obbligo del voto riguarda una generalità di cittadini ed essendo quindi violabile da molti, non può essere accompagnato da sanzioni, che resterebbero senza effetto pratico. Teoricamente si potrebbe proporre questa obiezione anche al Codice penale, perché ogni cittadino può delinquere, e se tutti o molti, fossero i delinquenti, le pene non si potrebbero più applicare.

Mi sono servito di un paradosso, ma potrei ricordare altri obblighi che riguardano vaste categorie, come quello della leva militare. È noto che in Italia il fenomeno della renitenza è stato molto diffuso. Come si farebbe a colpire migliaia, o diecine, o centinaia di migliaia di cittadini che eventualmente non si presentassero alle armi? Evidentemente si tratta del costume politico. Certe disposizioni sono dirette più che a punire, a educare. E una sanzione lieve, come quella che io propongo per la assenza dalle urne, più che avere un valore punitivo, ha un valore di richiamo al dovere elettorale, più che una coazione è uno stimolo.

Citerò un altro esempio, quello del pagamento delle imposte: teoricamente possono essere milioni di cittadini a non pagare le imposte e le tasse, eppure si applicano multe, si rendono più gravosi i pagamenti fatti in ritardo, e tutte queste sanzioni risultano efficaci.

Ma un esempio forse più calzante di tutti è quello del censimento. Il censimento somiglia un poco alle elezioni, perché in un certo senso è una interpellanza diretta a conoscere alcune caratteristiche del cittadino, non politiche, ma sociali. Ebbene, le leggi che dispongono un censimento, si rivolgono a vastissime categorie di cittadini. Se la gente non se ne preoccupasse, non si potrebbero fare più censimenti. Ma vi sono sanzioni che fanno rispettare gli obblighi relativi.

Si tratta quindi di rendere facilmente applicabili le sanzioni per l’assenza dalle urne. Ora, la procedura proposta con il mio emendamento è la più adatta, perché presenta ampiezza di termini e grande semplicità. Si trasmettono gli elenchi degli astenuti dal Prefetto al Sindaco e da quest’ultimo al Pretore, il quale provvede all’applicazione di una sanzione pecuniaria destinata a favorire quel progresso che consiste nella partecipazione attiva di tutti i cittadini alla vita della democrazia. Perché questo è il punto delicato: una democrazia non è tale, se non vi è la più ampia partecipazione dei cittadini. Ed anche qui mi rivolgo a quelli che sono pensosi della libertà, perché riflettano sulla gravità del fenomeno dell’astensionismo che rende neutre masse di elettori, assicurandone un’acquiescenza inespressiva a governi e parlamenti, che può celare una frattura fra gli organi costituzionali e l’opinione pubblica. Ed è appunto così che in Italia si spiegano le improvvise larghe adesioni a quei fuochi di paglia, che sono certi movimenti politici senza contenuto ideale e senza tradizione, o, peggio ancora, le adesioni improvvise a improvvisati dittatori che sappiano trarre profitto dal malcontento di quelli che non hanno una fede politica.

Viceversa, con la così detta obbligatorietà del voto, si tende a creare una responsabilità di coscienza per tutti: per chi ha dato il proprio voto a una lista o a un candidato, e per chi ha posto nell’urna scheda bianca, e si assicura così la democrazia, che deve essere sovranità di popolo e non dominio di una minoranza attiva, o se preferite, attivista, su una maggioranza inerte, lasciata nell’inerzia. (Applausi al centro e a destra).

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Onorevoli colleghi, noi abbiamo assistito con molto interesse alla disquisizione fatta sul voto obbligatorio dall’egregio collega onorevole Morelli, ma ci permettiamo di osservare che è stata una discussione gradita, sì, ma non egualmente, a parer nostro, utile, perché l’illustrazione del concetto del voto obbligatorio non può esercitare nessuna influenza sopra la preclusione che noi eccepiamo. Noi sosteniamo che la norma proposta dall’onorevole Morelli e dagli altri colleghi firmatari del suo emendamento è una norma che non può essere sottoposta all’approvazione dell’Assemblea per varie considerazioni. Noi potremmo dire che, se anche non vi fossero altre circostanze, altre ragioni da opporre, bisognerebbe chiedersi se un’affermazione di obbligatorietà del voto non andrebbe contro disposizioni già sancite nella Carta costituzionale. Quell’articolo 48 che ha ricordato l’onorevole Morelli, egli l’ha considerato come un amico, a cui si può ricorrere perché ci aiuta nel sostenere la nostra tesi, ma ho paura che egli si sia rivolto ad un amico malfido, perché l’articolo 48 stabilisce che la partecipazione ai comizi elettorali è un dovere civico. L’Assemblea ricorda la discussione che fu fatta intorno a questo aggettivo.

Senza dilungarmi su questo punto che, per noi, è superato dalla situazione particolare nella quale oggi ci troviamo, osservo soltanto che quando si è affermato che un determinato comportamento è un dovere civico, si è implicitamente venuto a significare che si trattava di un dovere la cui violazione non avrebbe potuto dar luogo ad una sanzione penale. Non si dice che non prendere, non trattenere abusivamente la cosa altrui sia un dovere civico, perché c’è il codice penale che dice che il farlo è un delitto di furto o di appropriazione indebita. Ma andiamo oltre. La improponibilità della proposta dell’onorevole Morelli, a parte ogni altra questione pregiudiziale, risulta evidente in quanto tale proposta è in pieno contrasto con una deliberazione già presa, proprio in sede di approvazione della legge per l’elezione del Senato. Ricordo la disposizione generale del nostro regolamento che, aggiungo subito, si riferisce a ordini del giorno, mentre qui si tratta di qualche cosa di molto più impegnativo di un ordine del giorno, si tratta di disposizioni di legge già stabilite.

L’articolo 89 dice che non si possono riprodurre sotto forma di emendamenti o articoli aggiuntivi ordini del giorno respinti nella discussione generale. Da questo articolo noi ricaviamo il principio generale, che non avrebbe bisogno di essere cercato in nessun articolo perché è dettato da esigenze di logica e di buon senso, per il quale un’Assemblea non può, non dico approvare, ma neppure discutere una proposta che sia in pieno contrasto con quello che la stessa Assemblea ha fatto poc’anzi la fatica di discutere, di deliberare, di affermare.

Noi abbiamo già votato una disposizione, riguardante l’esercizio del voto per l’elezione del Senato, che esclude qualsiasi sanzione. L’onorevole Morelli si richiama a quella disposizione che c’è già nella legge elettorale, per l’elezione dell’Assemblea Costituente. Onorevoli colleghi, non perdiamoci in disquisizioni troppo sottili, giacché fra quella disposizione e questa che oggi si propone vi è di mezzo non un fiume né un lago, ma un mare! Basta ricordare che quella disposizione porta come unica conseguenza una annotazione sul certificato di buona condotta rilasciato a chi si sia astenuto dal voto senza giustificato motivo, l’annotazione «non ha votato». A parte che sarebbe interessante sapere su quanti certificati questa annotazione sia stata fatta!

Qui, invece, si tratterebbe di stabilire una vera e propria sanzione, cioè di considerare come un reato l’essersi astenuto. Questione del tutto diversa. Questione risolta con quella disposizione, già approvata dall’Assemblea Costituente, che dice: per l’adempimento del dovere del voto (sono parole testuali che, fortunatamente, non danno luogo a nessuna incertezza d’interpretazione), cioè per quella funzione alla quale si riferisce la proposta dell’onorevole Morelli, si osservano le disposizioni…

MORELLI RENATO. Per la prima elezione.

TARGETTI. Questa limitazione non c’è. Si osservano le disposizioni della legge per l’elezione della Camera dei deputati. Io poi, personalmente, non saprei riconoscere che ben poco valore a quella minaccia. Ma chi volete che rimanga seriamente impressionato dalla minaccia di dover pagare queste 200 lire, che nessuno pagherebbe mai? Ma vi pare che non verrebbe, dopo le elezioni, in qualche occasione, un provvedimento che metterebbe tutto a tacere? Se ci fosse l’onorevole Tonello direbbe, se non ai proponenti, ai colleghi della Democrazia cristiana, che sono tanto più efficaci le minacce spirituali che le minacce terrene di un’ammenda. (Commenti al centro). Questo avrebbe detto certamente l’onorevole Tonello. Non aggiungo nulla di più di quello che voi avreste udito se fosse stato presente. Noi, anche senza dare eccessiva importanza all’approvazione di una norma simile, ci troviamo però di fronte a un dovere di coscienza. Noi avvocati, nelle cause che presentano eccezioni di procedura, anche se abbiamo fiducia nella bontà della tesi di merito, sentiamo che è nostro dovere di difensori di non rinunciare a queste eccezioni.

Qui ci troviamo di fronte a un caso in cui il nostro dovere è di eccepire l’improponibilità, dopo aver spiegato che la nostra insistenza nell’eccezione non corrisponde affatto ad una uguale preoccupazione per il caso in cui la norma fosse approvata. Abbiamo stabilito che non si deve fare una determinata cosa (per esprimermi in parole tutt’altro che giuridiche) che voi invece chiedete che l’Assemblea decida se fare o non fare. Abbiamo già deciso, in una norma di legge, che non la faremo. Non se ne può più parlare. Si dice: «ma questa è una norma transitoria». Ma la norma transitoria bisogna che sia intonata alla norma generale, definitiva e non la contraddica in pieno. Ora, qualunque opinione si abbia sul merito della questione del voto obbligatorio, ci troviamo dinanzi a questa situazione.

L’Assemblea Costituente ha deliberato di non stabilire una sanzione per i casi di astensione dal voto: principio generale, che deve valere sempre; altrimenti, non valeva la pena affermarlo. Si vorrebbe invece far valere questo principio per la prima elezione. Ci sarebbe una logica nella inversione: se nella legge si fosse stabilita la sanzione penale per l’astensione, non sarebbe stato illogico dire che per la prima volta questa sanzione non si applica, per particolari, momentanee ragioni. Ma qui si vorrebbe fare il contrario. Una proposta del genere ad una Assemblea seria, quale è la nostra, non si può presentare. Non è un problema che si possa porre. Ieri si è stabilito il principio che l’astensione dal voto non è punibile. Oggi si dovrebbe dire: sta bene, giacché non si potrebbe dire diversamente, ma questa volta il principio non vale. Noi, l’astensione, questa volta la puniamo! Ma questa sarebbe una vera aberrazione.

Un’ultima osservazione. Non si tratta dell’improponibilità di una norma transitoria perché in sostanziale contrasto con una norma fissa stabilita dalla legge. Ma il contrasto esiste con altra norma transitoria: quella che impedisce l’applicazione di qualsiasi sanzione per l’astensione. Infatti essa è compresa nel Titolo delle disposizioni transitorie.

MORELLI RENATO. Nomen non dat substantiam rei. Lei è un giurista.

TARGETTI. Io faccio appello al buon senso dell’Assemblea: più che a massime giuridiche, sia pure degne del massimo rispetto. E affermo che, evidentemente, un collegamento fra titolo e sostanza bisogna che ci sia. Quelle che vanno sotto il titolo di norme transitorie e finali devono pure avere delle caratteristiche che giustifichino il loro collocamento. Ed allora voi, signor Presidente, dovreste ritenere proponibile una proposta di questa natura e di questa portata, nell’attuale situazione di fatto. L’Assemblea ha votato una disposizione transitoria e voi mi insegnate che caratteristica della disposizione transitoria è che si applichi oggi, anche se domani si dovrà applicarne una diversa: ha votato una norma transitoria per la quale l’astensione non viene punita in nessun modo. Oggi, voi, signor Presidente, dovreste chiedere all’Assemblea che cosa ne pensi di una norma transitoria che prescriva l’opposto. Ieri dicemmo con norma transitoria, cioè applicabile subito, che l’astensione non è punibile; oggi, dovremmo dire, con norma transitoria, non sicuramente applicabile domani, ma certamente applicabile oggi, che l’astensione è punibile.

Concludo, anche per non correre il rischio di accalorarmi nella discussione, contro la mia persuasione che non si tratta di questione per cui ci si possa fare cattivo sangue. Concludo per la preclusione nei riguardi della proposta dell’onorevole Morelli. (Commenti al centro).

BELLAVISTA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BELLAVISTA. Onorevoli colleghi, sarò brevissimo, né voglio aggiungere mie «giuristerie» alle osservazioni giuridiche fatte, con bel garbo, dall’onorevole Targetti, al quale – da buon avvocato – debbo fare osservare che le due preclusioni in un certo senso si contraddicono, perché quella in ultimo ricordata, e che riguarda l’articolo 84, postula già una violazione che l’onorevole Targetti vorrebbe scansata dall’articolo 48 della Costituzione: su questo mi pare che non ci possa esser ombra di dubbio.

Consenta il collega Targetti queste brevi osservazioni. Primo: natura della norma di cui all’emendamento Morelli. È senza dubbio questa una norma transitoria, ma nel chiamarla transitoria noi non ne esauriamo la qualificazione, perché essa è sì transitoria, ma anche eccezionale, laddove quell’altra (la cui natura non si può giudicare soltanto per questioni di topografia di legge, ma soprattutto per lo spirito che l’anima e per il suo contenuto materiale, oggettivo) è una norma non transitoria. Alludo a quell’altra ricordata, che si riferisce all’articolo 84.

La questione fondamentale da risolvere è questa: l’articolo 48 della Costituzione parla di dovere civico, ciò postula (Interruzioni a sinistra) …la necessità di far seguire una sanctio iuris a questo affermato «dovere civico». Se la Costituzione avesse parlato di un «dovere morale» io spiegherei le giustissime obiezioni da sollevare in proposito, ma è risaputo che il campo sanzionatorio per la morale non si può risolvere affatto nella sanctio iuris vera e propria; ma appunto perché parla di «dovere civico» questo progetto postula una sanzione che è fuori del campo della Costituzione, inserita in una qualsiasi norma transitorie, che per avventura rafforza questo dovere civico. (Interruzioni del deputato Mancini).

Appunto, onorevole Mancini; infatti non dice soltanto: la riprovazione dei consociati è la sanzione che colpisce la violazione di questo dovere morale; un dovere civico è qualcosa, di più che un semplice dovere morale. Questa differenza, collega Mancini, è basilare nel campo della teoria generale del diritto.

MANCINI. Ma la riprovazione collettiva è la sanzione per un dovere civico!

BELLAVISTA. Civico è qualcosa che ci rapporta all’appartenenza del cittadino alla polis, allo Stato. Colui che si isola da questa sua partecipazione attiva ed operante, ai doveri politici per la collettività, non vìola soltanto o solamente un dovere morale, ma vìola appunto un dovere civico. (Commenti all’estrema sinistra). Di qui, l’esistenza di una sanzione più forte.

MAFFI. Il deputato che si astiene dalla votazione che cosa è?

BELLAVISTA. È stato già ad abundantiam chiarito che altro è l’astensione, cioè una posizione agnostica, concreta, dell’individuo di fronte a casi concreti determinati da motivi quali che siano, altro è la diserzione. C’è una profonda differenza fra la diserzione e l’astensione. (Commenti all’estrema sinistra).

MAFFI. Allora, lei dà dell’incosciente a quel deputato!

BELLAVISTA. Io mi rendo perfettamente conto che certi semplicismi giuridici non conoscono la differentia specifica, ma noi abbiamo l’obbligo e il dovere di stabilire la differenza.

Sostengo ed affermo che una cosa è l’astensione ed altra cosa è la diserzione dal voto. (Interruzioni all’estrema sinistra). C’è anche un precedente storico. Nella legislazione di Solone si chiamavano «atimici» i cittadini che non partecipavano a nessuna delle funzioni. Colui il quale si assenta in questa isolation di non dare il voto, non è che si astiene. Il collega Morelli ha detto che può andare dentro la cabina e manifestare la sua sfiducia per l’orientamento politico del Paese non votando per nessuna lista. Appunto perché l’articolo 48 prevede questo dovere come un dovere civico, per ciò stesso si postula l’esigenza di una sanzione.

Onorevole Targetti, a lei, che è un valoroso avvocato e giurista, riesce nuova la cosiddetta teoria del carattere sanzionatorio del diritto penale? No, certo. Il diritto penale, si dice, non è altro che una serie di sanzioni, perché i precetti sono fuori del diritto penale, stanno in altre norme giuridiche di diritto pubblico o privato.

Conseguentemente, io penso che le due preclusioni, la seconda perché contraddice la prima e la prima perché urta contro il vero spirito dell’articolo 48, non possano essere accolte.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Signor Presidente, onorevoli colleghi, pur compiacendomi dal punto di vista ideale di un dibattito come l’attuale, il quale gioverà a porre in evidenza anche dinanzi al Paese l’importanza del problema qui discusso, e quindi la portata del dovere del voto come forma e strumento di educazione politica del popolo italiano, io debbo considerare il problema nei confronti della duplice preclusione sollevata, sia riguardo alla Costituzione, sia riguardo alla legge speciale in corso di votazione.

Con brevi parole mi permetterò di sottolineare che non sussiste, a mio avviso, preclusione alcuna di ordine costituzionale nell’affermare l’obbligatorietà del voto. Sia consentito di chiarire in modo definitivo il punto. Il testo della Costituzione nell’articolo 48 attualmente parla di «dovere civico» del voto, proprio a seguito di un emendamento, con cui, in sede di pubblico dibattito in Assemblea, si volle adottare una formula più idonea ad esprimere il contenuto dell’obbligo giuridico, e cioè il minimo etico garantito dal diritto, depennando dalla proposta originaria dei Settantacinque, che più largamente parlava di «dovere civico e morale», l’aggettivazione specifica «e morale». Quindi non solamente non c’è preclusione contro l’obbligatorietà, ma addirittura c’è vincolo nel senso della obbligatorietà. E ciò è tanto vero che noi già siamo su questo terreno sin dalla legge del 1946 per la elezione dell’Assemblea Costituente, oggi richiamata, a seguito dell’emendamento mio e dell’onorevole Uberti sul dovere del voto, nell’attuale legge per l’elezione del Senato, nonché in quella per la elezione della Camera dei deputati. Noi già siamo pertanto in un comune ordine di principî e di applicazioni: se così non fosse, dovremmo giungere all’assurdo di considerare incostituzionale il precetto della legge del 1946, trasfuso nel presente disegno di legge, che accompagna la obbligatorietà del voto con sanzioni di carattere amministrativo, dirette e indirette, conseguenti alla certificazione del mancato adempimento del dovere di voto.

Chiarito questo punto, per la doverosa esattezza delle idee, e per l’ossequio al principio costituzionale che ci consente e impone di riaffermare il concetto generale del dovere giuridico di esercitare il voto, resta solo un problema specifico, da circoscrivere nei confronti della votazione già avvenuta nella penultima seduta, in relazione all’emendamento con cui l’Assemblea ha risolto il problema, facendo capo alla legge del 1946 e alle sanzioni quivi previste.

In realtà, per dovere obiettivo, sovrastante ad ogni apprezzamento o desiderio personale, sotto questo aspetto non posso non riconoscere che una votazione con efficacia preclusiva è già avvenuta. Inoltre dovrei aggiungere che l’elegante tentativo di portare la questione sul terreno della norma transitoria, proponendo ulteriori sanzioni di carattere pecuniario solo per la prossima elezione, anziché in sede generale, desta per lo meno questa perplessità: che noi ci troviamo proprio in presenza di una legge intenzionalmente rivolta a disciplinare la prima elezione del Senato e di una norma che si presenta sotto la intitolazione specifica delle «Disposizioni transitorie».

Con pieno scrupolo, morale e giuridico, in base a tali considerazioni io debbo quindi concludere che, pur riaffermando l’alto valore del dibattito svoltosi dinanzi l’Assemblea ed al Paese, non posso non rimettermi alla votazione già fatta in sede di approvazioni dell’articolo 25 del presente disegno di legge.

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Sebbene le dichiarazioni fatte dall’onorevole Dominedò mi convincano che ai fini pratici della prossima votazione il parlare sia indarno, tuttavia non posso tacere alcune osservazioni che debbo fare. Se fosse sussistente la preclusione di ordine costituzionale rilevata dall’onorevole Targetti, noi assisteremmo ad uno stranissimo fenomeno di eterogenesi, perché, benché sia chiaro che nella seduta del 21 maggio 1947 – allorché si discusse e si votò sull’articolo che oggi stiamo discutendo – fosse comune a tutti i membri di questa Assemblea la volontà di non pregiudicare la possibilità di sanzioni penali per chi contravvenisse al dovere del voto; in verità da tutte queste volontà unanimemente convergenti verso l’intenzione precisa di non precludere questa questione, ne sarebbe venuta fuori una norma che avrebbe precluso. E veramente non ci potremmo congratulare con noi stessi.

Fui io, per la storia, a sollevare questa questione: il progetto parlava di dovere civico e morale, fui io a rilevare che, ove noi avessimo lasciato passare quella doppia qualifica, avremmo precluso la questione. Perché osservavo, e l’osservazione era facile, che il legislatore non pone dei doveri morali. Non è difatti, nella sua competenza. Come il legislatore non può porre verità di ordine storico o scientifico così non può porre nemmeno delle verità di ordine morale. Esso pone dei precetti o delle sanzioni ma non può dichiarare la moralità: la moralità non si stabilisce con voti di maggioranza o di minoranza. Il termine «morale» avrebbe avuto un solo significato; il legislatore italiano sarebbe stato tenuto, dalla Costituzione, a considerare l’esercizio del voto come un dovere morale, cioè un dovere non sanzionabile giuridicamente.

Il Presidente della Commissione dei Settantacinque, onorevole Ruini, mi si oppose osservando che non sarebbe bastata la qualifica di morale per escludere la possibilità di una sanzione, perché non è fuori del consueto che il legislatore sanzioni degli obblighi morali: ai doveri c’è una sanzione morale, ci può essere una sanzione religiosa. Nulla esclude che il legislatore, per rafforzare, aggiunga una sanzione giuridica. Ma era facile superare l’obiezione rilevando che la dichiarazione della Costituzione che un dovere è dovere morale, importa che deve rimanere, per il legislatore, dovere morale. E siccome legiferavamo in campo costituzionale, questa affermazione avrebbe precluso l’attività futura del legislatore volta a rendere dovere giuridico quello che noi avessimo dichiarato dovere morale.

Allora l’onorevole Gronchi, aderendo alla mia richiesta, propose di sopprimere la parola «morale» e di votare quindi per divisione. E la votazione per divisione portò a questo: che si confermasse trattarsi di un dovere civico e si escludesse la qualifica di morale. La volontà della Costituente fu che rimanesse affermato il dovere civico, per lasciar libero il legislatore di dare o non dare una sanzione. Dunque, preclusione non esiste.

Ma il fenomeno dell’eterogenesi si verifica? Non sarebbe, infatti, la prima volta che il legislatore commette di questi errori di tecnica e non è escluso che il legislatore sbagli, non riuscendo a realizzare nella norma la sua volontà. Ma questa volta no, perché i doveri civici sono doveri giuridici. La parola «civico» è una parola acquisita alla nostra legislazione: di doveri civici ne esistono una infinità, come esistono diritti civici ed usi civici che sono anche dei diritti.

Ora, non sono doveri perfetti (e qui mi richiamo ad una nomenclatura che ha 300 anni di dottrina e di vita) non sono doveri perfetti quelli che non sono sanzionati, come non sono diritti perfetti quelli che non hanno la garanzia di una sanzione. Un dovere civico perfetto postula una sanzione, la quale può essere amministrativa, civile, penale; ma una sanzione ci deve essere.

Consideriamo perciò il problema nella sua realtà: la preclusione non esiste e la Costituente l’ha già dichiarato in una norma precisa, perché nella legge elettorale per la Camera dei deputati esiste un articolo, che non è veramente transitorio, che dice: «Le norme penali circa l’adempimento del voto che saranno stabilite nelle leggi per la elezione dei senatori varranno anche per la elezione dei deputati».

Se veramente noi avessimo escluso che al mancato esercizio del dovere di voto si ponessero delle sanzioni penali, l’articolo 84 non si sarebbe fatto. Votando l’articolo 84, la Costituente ha affermato che queste sanzioni ci possono essere.

Credo che l’onorevole Targetti che è giurista così fine, ma anche così sereno ed obiettivo, non possa più insistere su questa pretesa preclusione costituzionale e voglio sperare che ce ne dia atto oggi stesso.

Ed allora io mi domando soltanto se esiste quella preclusione che l’onorevole Dominedò ha ammesso, quella cioè che deriverebbe dall’articolo 25 di questa stessa legge.

Io, prima di tutto, devo fare un’osservazione: che veramente mi dispiacerebbe che con un emendamento insinuato così, in un momento certo non culminante della discussione, si fosse voluto precludere questa grossa questione che era già stata posta in una legge precedente. Sarebbe stato veramente doloroso. Io sono sicuro che, data la personalità dei firmatari di questo emendamento, non si volesse raggiungere questo fine traverso. Ma sarebbe veramente doloroso, dicevo, e non lascerebbe molto bene sperare di queste nostre discussioni e soprattutto della validità etica delle decisioni che da esse scaturiscono, il sospetto che si sia voluta precludere di soppiatto, con un emendamento votato direttamente, una questione che ci eravamo posti con una precedente legge e che avremmo dovuto discutere fra le principali.

Ma la verità è, onorevoli colleghi, che questa norma, l’articolo 25, non preclude alcuna discussione e che la norma proposta dall’onorevole Morelli va considerata come una norma meramente transitoria. E dico subito – rispondendo anche qui all’onorevole Targetti – che non è per niente vero che l’articolo 25 sia una norma transitoria. È ben vero che l’articolo 25 è scritto sotto un titolo che suona: «Disposizione transitorie e finali», ma è chiaro che non è il titolo, che non può essere il titolo…

TARGETTI. Mi permetta, onorevole Condorelli: debbo spiegarle che, se non la interrompo, è perché non è mio costume di interrompere, e non già perché io consenta in quello che ella va dicendo: non vorrei sorgesse equivoco su ciò.

CONDORELLI. La ringrazio, onorevole Targetti. Dicevo dunque che non è il titolo che può rendere transitoria la natura di una disposizione, perché i titoli non hanno un valore normativo: potranno, forse, avere un valore indicativo, interpretativo, ma non normativo.

La norma è transitoria o finale a seconda di quello che essa dice; ora, non è una norma, quella dell’articolo 25, che debba valere soltanto per la prima elezione o per le prime due elezioni. È una norma che varrà per tutto il tempo in cui varrà la legge; e faccio notare che, sotto questo titolo di disposizioni transitorie, vi è una quantità di norme delle quali nessuna è transitoria: una soltanto forse, quella che parla di incompatibilità dei senatori di diritto. L’articolo 25 è invece una norma tipicamente finale, in quanto essa non fa altro che avvisare ai mezzi per l’attuazione della legge. E si chiama finale appunto per questa ragione, perché avvisa cioè i mezzi per raggiungere lo scopo che la legge votata si prefigge.

Nessun dubbio dunque, che l’articolo 25 non sia una norma transitoria tipicamente finale. Essa infatti testualmente reca: «Per l’adempimento del dovere del voto e per tutto ciò che non è disciplinabile dalla presente legge, si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni del testo unico della legge per l’elezione della Camera dei deputati, ecc.».

Che cosa c’è di transitorio in questa norma? Assolutamente nulla. E allora esaminiamola nella sua essenza e vediamo se essa veramente sia preclusiva nel nostro caso. Incominciamo con il domandarci: l’adempimento del voto che cos’è? Il modo col quale bisogna presentarsi dinanzi al seggio, quello che il presidente e l’elettore debbono fare, ecc. L’adempimento del dovere del voto, ch’io sappia, è questo: tutte le formalità e gli atti prescritti per adempiere al dovere dei voto. Che hanno da vedere le sanzioni coll’adempimento del voto? Sono se mai l’adempimento di un dovere del magistrato che dovrà punire chi non adempie questo dovere. Le norme sull’adempimento del voto sono quelle che prescrivono il contegno dell’elettore.

Una voce a sinistra. E la forma.

CONDORELLI. Per carità, colleghi, non facciamo di queste confusioni. Letteralmente questa legge dice: «Per l’adempimento del dovere del voto». Vi è dunque il soggetto di questo adempimento? Chi è che deve attuare i contegni che la legge prescrive stabilendo il dovere del voto? L’elettore. Sono delle norme rivolte esclusivamente all’elettore. La norma penale, la sanzione, è una norma diretta al magistrato, il quale deve punire in un determinato modo chi mancasse a questo dovere. Non facciamo di queste confusioni, onorevoli colleghi, e soprattutto non nascondiamo sotto sofismi la determinata volontà politica di escludere la sanzione per il mancato voto, che era prima nell’opinione della maggioranza di questa Assemblea.

Non so se la maggioranza di questa Assemblea è schierata ancora come era schierata quando si fece quella tale discussione in cui molti, e precisamente voi, colleghi democratici cristiani, siete stati con me a difendere la possibilità di questa sanzione, che l’opinione pubblica italiana reclama.

La vostra volontà politica può essere mutata, ma dichiaratelo chiaramente, e non vi nascondete – perché non è degno di voi – dietro argomenti giuridici insussistenti. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. Qual è il parere della Commissione sulla questione della preclusione?

MICHELI, Presidente della Commissione. La Commissione non ha avuto modo di discutere questa questione, che era stata in un primo tempo accantonata, e neppure successivamente, per il presentarsi di altre materie più urgenti, l’ha potuta esaminare.

Quindi ciascuno dei componenti resta libero di votare come crede e la Commissione si rimette alla decisione dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Quale è il parere del Governo?

SCELBA, Ministro dell’interno. Onorevoli colleghi, concordo pienamente con quanto ha affermato l’onorevole Condorelli, cioè che non esiste nessuna preclusione costituzionale circa una possibilità di sanzione, vale a dire di stabilire delle penalità per quanto riguarda il mancato adempimento del dovere del voto.

Se una preclusione può esistere, non è una preclusione di ordine costituzionale, ma una preclusione dipendente da una deliberazione già presa da questa Assemblea con la votazione dell’articolo 25. Riportandosi nell’articolo 25, approvato dall’Assemblea Costituente, la disposizione stabilita nella legge per l’elezione dell’Assemblea Costituente stessa in ordine alla obbligatorietà del voto, a mio avviso l’Assemblea ha riaffermato nettamente che il voto è obbligatorio e che la mancata esecuzione di questo obbligo viene punita e colpita con le stesse sanzioni previste dalla legge per l’elezione della Costituente.

Non concordo invece con una interpretazione, che a me pare paradossale, dell’onorevole Condorelli, il quale ritiene che con l’approvazione dell’articolo 25, per quella parte che si riferisce all’obbligatorietà del voto, ci siamo limitati ad affermare una disposizione circa le modalità del voto. Con la premessa dell’articolo 25 – così intendo e così desidero sia riaffermato da questa Camera – noi abbiamo inteso stabilire il concetto dell’obbligatorietà del voto con le sanzioni previste dalla legge per l’elezione dell’Assemblea Costituente.

Se, ripeto, questa preclusione c’è, nasce appunto da questa deliberazione e proprio in conseguenza della deliberazione, perché se la Camera ha già votato che il voto è obbligatorio e che l’inadempimento del dovere del voto è punito con determinate sanzioni, noi non potremmo oggi mettere in discussione questa deliberazione, perché la materia deve considerarsi esaurita con l’approvazione dell’articolo 25.

Ma non vorrei minimamente che sorgesse il dubbio in chicchessia che l’approvazione dell’articolo 25 abbia voluto porre un limite, nel senso di far riferimento soltanto alle modalità di voto. Invece abbiamo inteso di stabilire nettamente che il voto è obbligatorio, così come era obbligatorio per l’elezione dell’Assemblea Costituente, e abbiamo inteso di riportare anche le stesse sanzioni che furono stabilite per le elezioni della Costituente.

Il problema che rimane da risolvere e che è stato posto dall’onorevole Morelli è quello dell’aggravamento delle penalità. Aggravamento che non si può stabilire oggi, secondo me, ma in seguito, da una futura Assemblea parlamentare, perché non esiste una preclusione di ordine costituzionale.

Ora quindi, l’aggravamento che l’onorevole Morelli propone col suo emendamento non può essere preso in considerazione perché la materia è già stata risolta con l’approvazione dell’articolo 25.

MARTINO GAETANO. Io mi auguro che l’onorevole Ministro voglia dimostrare la stessa sensibilità politica quando si tratterà di discutere sul collegio uninominale. (Commenti).

SCELBA, Ministro dell’interno. Qui non si tratta di sensibilità, ma di materia giuridica, e io non posso che fare riferimento all’impostazione giuridica. Dal momento che l’Assemblea ha già votato l’articolo 25, io non posso negare la verità oggettiva nascente dalla precisa disposizione di legge. Quanto alla sensibilità politica osservo che l’Assemblea avrebbe dovuto dimostrarla non in questo momento troppo tardivo, ma in sede di discussione dell’articolo 25.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Onorevole Presidente, dato che con l’intervento di varî egregi colleghi in questa discussione è stata presa in esame la questione della incostituzionalità eventuale di una affermazione del voto obbligatorio, mi piace dichiarare, per amore di chiarezza, che non abbiamo inteso di basare la nostra tesi di improponibilità sopra una questione di incostituzionalità del principio o della norma del voto obbligatorio.

Nell’illustrazione della nostra tesi io avrò espresso anche questo pensiero, ma incidentalmente. Quando noi sosteniamo che è improponibile la proposta dell’onorevole Morelli e di altri colleghi, prescindiamo da quello che può essere l’apprezzamento dei varî Gruppi sulla costituzionalità della norma, questione che non vi è ragione in questo momento di apprezzare e di decidere in un modo o nell’altro.

MARTINO GAETANO. Allora confermate il fatto e lo aggravate. (Commenti).

PRESIDENTE. Comunico all’Assemblea che sulla eccezione di preclusione sollevata dall’onorevole Targetti, è stata chiesta la votazione a scrutinio segreto degli onorevoli Martino Gaetano e altri.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Osservo che sulla improponibilità deve decidere la Presidenza, a norma di Regolamento.

PRESIDENTE. No, onorevole Lucifero, io devo chiedere che l’Assemblea si esprima col suo voto, e mi attengo in questo anche a precedenti parlamentari.

L’Assemblea ha udito come è stata posta la questione.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Per l’esattezza sul tenore e anche sulla procedura della votazione, ella ricorderà che noi avevamo sostenuto la incompatibilità della questione a tenore del Regolamento e avevamo chiesto che il Presidente lo dichiarasse. Ella ha dichiarato che preferiva rimettersi all’Assemblea. Allora l’Assemblea voterà sulla nostra proposta, e sarà opportuno che sia ben determinata, in questi termini:

«L’Assemblea Costituente, in seguito all’approvazione dell’articolo 25 delle norme transitorie, dichiara improponibili gli articoli presentati dall’onorevole Morelli».

Non vi è, dunque, alcun riferimento ad alcuna norma costituzionale.

Credo che sia stato utile dichiarare questo, a scanso di equivoci nell’interpretazione della nostra eccezione.

MARTINO GAETANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARTINO GAETANO. Signor Presidente, ritiriamo la richiesta di scrutinio segreto sulla preclusione, mantenendola però per la votazione degli articoli aggiuntivi dell’onorevole Morelli Renato.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Signor Presidente, alla mia cortese interruzione lei ha risposto richiamandosi a precedenti. Consentirà che anch’io richiami un precedente ed il precedente si costituì quando il mio illustre conterraneo, amico ed avversario, onorevole Gullo, in un’altra discussione, in cui si parlava di preclusione, si alzò dal suo banco e reclamò il suo diritto di deputato a che la Presidenza decidesse essa quelle controversie che il regolamento alla Presidenza assegna. E fece presente allora, e giustamente, ed io faccio presente oggi, riferendomi esattamente alle sue parole ed al suo concetto di vecchio parlamentare, che la risoluzione di determinate questioni di diritto, direi quasi, elementare, è dal regolamento demandata alla Presidenza, onde sottrarla proprio, ad eventuali colpi di maggioranza, come alle volte potrebbe accadere, a garanzia della legittimità e della regolarità delle discussioni, a garanzia dei diritti acquisiti dai deputati, di vedere rispettate le loro precedenti deliberazioni. Quindi riconnettendomi a quell’intervento dell’onorevole Gullo faccio appello alla Presidenza perché, adempiendo a quanto è stabilito dal regolamento, decida essa – nella sua autorità da noi conferitale, e quindi investita come è di questo potere dal nostro voto – tali questioni onde evitare che colpi di maggioranza o accordi fra Gruppi possano mettere costantemente nell’incertezza le deliberazioni precedenti dell’Assemblea.

MORELLI RENATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORELLI RENATO. Signor Presidente, vorrei pregare l’onorevole Targetti, che ha portato un utile chiarimento e una utile precisazione alla sua tesi, di dichiarare che egli sostanzialmente rinunzia alla eccezione della improponibilità costituzionale.

PRESIDENTE. L’onorevole Targetti ha esposto chiaramente la sua tesi.

MARTINO GAETANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARTINO GAETANO. Poiché l’onorevole Targetti ha ora presentato un ordine del giorno – ed io credo che il Presidente lo voglia porre in votazione – dichiaro che noi trasferiamo la nostra richiesta di scrutinio segreto per la votazione dell’ordine del giorno Targetti.

PRESIDENTE. Desidero rispondere all’onorevole Lucifero che sarebbe facile per me risolvere la questione che è stata proposta, ma io dichiaro che il Presidente ha la facoltà, non l’obbligo, di risolvere le questioni che sono proposte al suo giudizio. Io ritengo che la questione debba essere risolta dalla stessa Assemblea ed anche essa ha dimostrato con l’ampia discussione di volerla risolvere con il suo voto. Devo indire pertanto la votazione sull’ordine del giorno dell’onorevole Targetti.

LUCIFERO. In tal modo i diritti della minoranza non esistono più.

PRESIDENTE. Onorevole Lucifero, mi sono richiamato ad un precedente recentissimo, quello della seduta del 13 dicembre 1947. L’onorevole Cevolotto propose un ordine del giorno, sul cui testo ci fu discussione e da alcuni si sostenne che il suo esame fosse precluso. In quella occasione il Presidente ritenne che la questione dovesse essere rimessa all’Assemblea, la quale con un suo voto la risolse.

Rileggo l’ordine del giorno Targetti: «L’Assemblea Costituente, in seguito all’approvazione dell’articolo 25 delle norme transitorie, dichiara improponibili gli articoli aggiuntivi presentati dall’onorevole Morelli».

L’articolo 25 delle disposizioni transitorie, dice:

«Per l’adempimento del dovere del voto e per tutto ciò che non è disciplinato dalla presente legge si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni del testo unico della legge per l’elezione della Camera dei deputati, approvato con decreto presidenziale del … gennaio 1948 n. …».

 

Votazione segreta.

 

PRESIDENTE. Indico la votazione segreta sull’ordine del giorno Targetti.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione ed invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto:

Presenti e votanti          400

Maggioranza                201

Voti favorevoli             273

Voti contrari                127

(L’Assemblea approva l’ordine del giorno).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Adonnino – Alberganti – Alberti – Aldisio – Allegato – Ambrosini – Amendola – Andreotti – Angelini – Angelucci – Arcaini – Arcangeli – Assennato – Avanzini – Azzali.

Bacciconi – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basile – Basso – Bastianetto – Bazoli – Bei Adele – Bellato – Bellavista – Bellusci – Belotti – Bencivenga – Benedetti – Bennani – Benvenuti – Bergamini – Bernamonti – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bruno – Bibolotti – Bocconi – Boldrini – Bolognesi – Bonino – Bonomelli – Bonomi Ivanoe – Bonomi Paolo – Bordon – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Braschi – Bucci – Bulloni Pietro – Burato.

Cacciatore – Caccuri – Caiati – Caldera – Camangi – Camposarcuno – Candela – Cannizzo – Caporali – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carbonari – Carboni Angelo – Carboni Enrico – Carignani – Caristia – Caroleo – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Caso – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Castiglia – Cavallotti – Cevolotto – Chatrian – Chiarini – Chieffi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Colonna di Paliano –Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Coppi Alessandro – Corbi – Corsanego – Cortese Pasquale – Costantini – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo.

Damiani – D’Amico – D’Aragona – De Caro Gerardo – De Gasperi – Del Curto – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Di Giovanni – Di Gloria – Di Vittorio – Dominedò – Donati – D’Onofrio – Dossetti – Dozza.

Ermini.

Fabbri – Fabriani – Faccio – Fantoni – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Ferreri – Fietta – Filippini – Fiore – Fiorentino – Fioritto – Firrao – Flecchia – Foa – Foresi – Fornara – Franceschini – Froggio – Fuschini – Fusco.

Gabrieli – Galati – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Gatta – Gavina – Germano – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Ghidini – Ghislandi – Giacchero – Giannini – Giolitti – Giordani – Gorreri – Gortani – Gotelli Angela – Grazi Enrico – Grieco – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Iotti Leonilde.

Jacometti – Jervolino.

Laconi – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Lazzadri – Leone Francesco – Leone Giovanni – Lettieri – Li Causi – Lizier – Lombardi Carlo – Lombardo Ivan Matteo – Longhena – Longo – Lozza – Lucifero – Luisetti – Lussu.

Macrelli – Maffi – Maffioli – Magnani – Magrassi – Malagugini – Mancini – Mannironi – Manzini – Marazza – Marchesi – Marconi – Mariani Enrico – Marinelli – Martinelli – Martino Gaetano – Marzarotto – Massini – Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mastrojanni – Mattarella – Mattei Teresa – Matteotti Carlo – Mazza – Mazzoni – Mentasti – Merighi – Merlin Angelina – Merlin Umberto – Mezzadra – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molinelli – Momigliano – Montagnana Mario – Montagnana Rita – Montalbano – Montemartini – Monterisi – Monticelli – Montini – Moranino – Morelli Luigi – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati – Moscatelli – Motolese – Mùrdaca – Murgia – Musolino – Musotto.

Nasi – Negarville – Negro – Nenni – Nicotra Maria – Nobili Tito Oro – Noce Teresa – Notarianni – Novella – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pajetta Giancarlo – Pallastrelli – Paolucci –. Paratore – Parri – Pastore Raffaele – Pat – Patricolo – Pecorari – Pella – Pellegrini – Perlingieri – Persico – Pertini Sandro – Perugi – Pesenti – Piccioni – Piemonte – Pieri Gino – Pignedoli – Pistoia – Pollastrini Elettra – Ponti – Pratolongo – Priolo – Proia – Pucci.

Quarello – Quintieri Adolfo – Quintieri Quinto.

Raimondi – Rapelli – Ravagnan – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Restagno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rodinò Mario – Rognoni – Romano – Romita – Roselli – Rossi Maria Maddalena – Roveda – Rubilli – Ruggeri Luigi – Rumor – Russo Perez.

Saccenti – Saggin – Salerno – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Scalfaro – Scarpa – Scelba – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Scotti Francesco – Secchia – Segni – Sforza – Sicignano – Siles – Silipo – Spallicci – Spano – Spataro – Stampacchia – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Targetti – Taviani – Terranova – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Togni – Tonello – Tonetti – Tosi – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi – Tripepi – Turco.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Venditti – Veroni – Viale – Vicentini – Vigna – Vigo – Vilardi – Villabruna – Villani.

Zaccagnini – Zanardi – Zerbi – Zotta – Zuccarini.

Sono in congedo:

Cairo – Costa.

Lombardi Riccardo.

Orlando Vittorio Emanuele.

Valiani.

Si riprende la discussione del disegno di legge: Norme per l’elezione del Senato della Repubblica (61).

PRESIDENTE. Passiamo all’esame dell’articolo aggiuntivo proposto dagli onorevoli Vigna, Cosattini, Piemonte e Pat:

«Gli emigrati per motivi di lavoro, che rimpatriano per le elezioni, hanno diritto al trasporto ferroviario gratuito dalla stazione di confine al Comune in cui votano e viceversa».

L’onorevole Piemonte ha facoltà di svolgerlo.

PIEMONTE. Onorevoli colleghi, avevamo proposto, in sede di discussione costituzionale, il diritto del voto degli emigrati all’estero senza bisogno di rimpatrio. La nostra proposta fu respinta. Ci proponevamo in sede di discussione delle leggi elettorali di risollevare la questione del voto agli emigranti, ma è mancato il tempo, data la fretta con cui i lavori si sono compiuti in questo ultimo scorcio della nostra vita parlamentare. Ci siamo ripiegati su questa modesta proposta, per la quale gli operai ed i lavoratori, che hanno emigrato per ragioni di lavoro, dovrebbero avere diritto al trasporto ferroviario gratuito dalla stazione di confine al comune in cui votano e viceversa. Questa proposta si riallaccia ad una tradizione. Prima del fascismo vi era la riduzione del 70 per cento delle tariffe ferroviarie per i lavoratori emigrati rimpatrianti per partecipare alle elezioni politiche; durante il fascismo – nel 1928 – ebbe luogo una elezione politica o plebiscito, ed allora il viaggio per i lavoratori emigrati fu completamente gratuito.

La Repubblica non vorrà essere meno riguardosa di quello che fu il fascismo verso i lavoratori emigrati, verso coloro che, per trovare impiego, non esitano ad affrontare le pene e i dolori di abbandonare il natio paese, la consorte e i figli; pene e dolori che non sono immaginabili da chi non li ha provati.

L’articolo aggiuntivo proposto è così semplice, così improntato ad equità e a giustizia sociale, che non credo necessario spendere altre parole ad illustrarlo, convinto come sono che l’Assemblea vorrà unanimemente approvarlo. (Applausi).

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Micheli di voler esprimere il parere della Commissione.

MICHELI, Presidente della Commissione. La Commissione non ha esaminato l’articolo aggiuntivo ora in discussione. Comunque, essa non si oppone e si rimette all’Assemblea.

PRESIDENTE. Chiedo il parere del Governo.

SCELBA, Ministro dell’interno. La questione fu già esaminata per le elezioni della Assemblea Costituente e fu risolta nel senso di consentire una riduzione del 50 per cento. Dico questo perché l’Assemblea decida in merito, tenendo conto di questo precedente.

CAPORALI. Prima del fascismo, c’era già il 70 per cento.

MICHELI, Presidente della Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI, Presidente della Commissione. La Commissione, dato il precedente, sarebbe dell’avviso di parlare di «congrua riduzione» invece che di «trasporto ferroviario gratuito». Intanto, così si ammette il principio; poi, si troverà il modo di concretarlo meglio secondo la proposta.

PRESIDENTE. Onorevole Piemonte, insiste sulla sua proposta o accetta quella della Commissione?

PIEMONTE. Speravo che il Governo e la Commissione concordi accogliessero la nostra proposta senza riserve. Sono dolente non sia stato così, ma io sento categoricamente il dovere morale di insistere integralmente sulla proposta da noi formulata e chiedo che sia posta ai voti.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo aggiuntivo proposto dagli onorevoli Vigna, Cosattini, Piemonte e Pat, testé letto.

(È approvato).

 

Gli articoli aggiuntivi sono esauriti.

Ritorniamo ora sulla questione, lasciata in sospeso, relativa all’articolo 7, il cui esame fu sospeso perché fu proposto dall’onorevole Togliatti un incontro fra i rappresentanti dei vari Gruppi, per concordare un testo comune.

Ricordo che il testo dell’articolo proposto dal Governo è del seguente tenore:

«Il tribunale nella cui giurisdizione si trovino collegi previsti dall’unita tabella B si costituisce in tanti uffici elettorali circoscrizionali quanti sono i collegi medesimi.

«Ogni ufficio elettorale circoscrizionale esercita le sue funzioni con l’intervento di tre magistrati, di cui uno presiede, nominati dal presidente entro dieci giorni dalla pubblicazione del decreto di convocazione dei comizi».

La Commissione ha proposto che, nell’articolo 7 ed in tutti i successivi titoli e articoli in cui si fa menzione dell’«ufficio elettorale circoscrizionale», questo sia indicato con la locuzione: «ufficio elettorale centrale».

Chiedo all’onorevole Togliatti se un accordo è stato raggiunto.

TOGLIATTI. Proposi effettivamente che vi fossero dei contatti tra i vari Gruppi parlamentari per arrivare ad un accordo su questo articolo. Per parte nostra, questi contatti li abbiamo presi, e ad un corto accordo siamo arrivati. Ora vedremo, nel corso del dibattito, quali potranno essere le conclusioni definitive.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Desidero domandare all’onorevole Togliatti, per nostra informazione, quali sono i punti sui quali è stato raggiunto un accordo, ed in che consiste l’accordo stesso, in modo che noi ci possiamo orientare.

PRESIDENTE. Onorevole Togliatti, l’onorevole Lucifero le rivolge una richiesta, e cioè chiede su quali punti è stato raggiunto un accordo.

TOGLIATTI. Mi pare che questa questione risulterà assolutamente chiara alla fine della discussione, e specialmente dopo la votazione che avremo in argomento.

RUBILLI. È inutile che insistiamo, onorevole Lucifero.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Signor Presidente, la risposta data dall’onorevole Togliatti alla domanda che lei cortesemente ha voluto fargli in merito a quanto io stesso avevo detto l’altro giorno, allorché egli chiese la sospensione, è una risposta positiva. L’onorevole Togliatti, cioè, ha detto: l’accordo c’è, ma non ve lo diciamo; dalle votazioni vi accorgerete quali saranno i termini di questo accordo.

Ora, evidentemente, gli accordi che si prendono fuori dell’Aula non si ha l’obbligo di comunicarli nell’Aula. Però noi abbiamo delle indicazioni, in base alle quali possiamo avere un’idea, più o meno, di quali sono questi accordi, ed abbiamo già avuto una indicazione nella recente votazione, perché evidentemente uno dei termini di questo scambio di concessioni è stato quello del voto obbligatorio; per cui noi abbiamo visto coloro che fino a ieri sono stati – si può dire – i vessilliferi della tesi del voto obbligatorio in Italia, in ogni votazione e in ogni circostanza, riaffermare il principio, ma ripiegare sul rifiuto di un’attuazione più concreta e più pratica del principio stesso. Il che ci ha già indicato uno dei termini di questo scambio di concessioni e ci indica chiaramente anche quale è l’altro termine di questo scambio. L’altro termine, la contro-concessione che è stata fatta evidentemente in questa sede, non può essere che quella di coloro che fino a ieri sostennero decisamente la tesi del collegio uninominale e che oggi offrono la contropartita di ripiegare su questa tesi e di accedere ad una soluzione proporzionalistica per la elezione del Senato.

Questo lo sapevamo già da indiscrezioni, da voci, dai termini stessi della discussione che finora si è fatta.

Ed allora, prima di passare all’ultima fase di questa discussione, cioè alla fase delle relazioni e del successivo voto, io credo di dover fare alcune dichiarazioni fondamentali che, mentre da una parte assumono la veste modesta di un richiamo al Regolamento, investono anche un problema politico profondo, non soltanto per l’importanza di merito che la questione ha in sé, ma per il riflesso che il modo con cui questa questione è stata condotta e le eventuali possibili soluzioni nelle quali potrebbe sfociare assumerebbero nei confronti del metodo e dei sistemi che caratterizzano la vita democratica.

Questione, quindi, che trascende la già grave impostazione specifica delle elezioni per il Senato, ed investe tutto il metodo della vita democratica del nostro Paese.

Gli articoli 7 hanno uno strano destino in questa nostra Assemblea! (Si ride). Gli articoli 7 sono, normalmente, degli articoli che, esaminati con sguardo tecnico-giuridico, possono anche essere degli articoli innocenti. L’articolo 7 che noi oggi abbiamo sotto gli occhi è, poi, un articolo di una innocenza e di un candore veramente commoventi.

Ma gli articoli 7 sono quelli che riconducono ai vecchi amori, e non felici – aggiungo – gli amici della Democrazia cristiana e gli amici dell’estrema sinistra… (Commenti).

Una voce a destra. Tristi amori!

LUCIFERO. L’altro giorno all’onorevole Togliatti, quando chiese questo rinvio, dissi che non vedevo come avrebbe potuto conciliare il nostro preciso obbligo di creare una legge col sistema uninominale con il desiderio di alcuni amici di riesumare una questione seppellita e di introdurre la proporzionale anche in questa sede. Oggi mi permetta l’onorevole Togliatti, con quella cordialità che abbiamo sempre avuto nei nostri rapporti personali, che io gli faccia i miei complimenti; perché lei, onorevole Togliatti, ha fatto un’altra volta un colpo da maestro nel campo politico e un leale avversario le deve onestamente riconoscere la sua abilità.

Lei oggi, onorevole Togliatti, ha potuto, di fronte al Paese, di fronte a noi, creare novamente il timore e la preoccupazione di una collaborazione politica che a voi ha certamente giovato, ma che noi non riteniamo abbia giovato al Paese.

Evidentemente le illusioni, onorevole Togliatti, in quel giorno me le ero fatte io, e debbo qui onestamente fare ammenda di essermi illuso: ma a quell’illusione resto affezionato, perché quell’illusione non è se non fedeltà a certi principî fondamentali, che sono i principî della parte in cui milito, la quale ha sempre tenuto a difenderli, la quale ha sempre tenuto a riaffermarli.

Si rinnova dunque così quell’intesa che ha reso tanto diversa la prima dalla seconda parte della Costituzione, quell’intesa che ha creato uno squilibrio profondo nella nostra Carta costituzionale, per cui si può osservare che la seconda parte, elaborata quando quella collaborazione non c’era più, è riuscita migliore della prima – e questo non è naturalmente se non un mio personale giudizio – ma certamente è riuscita più chiara, più coerente che non la prima, nata sotto l’incubo di quella convivenza.

Parecchie volte, signor Presidente, io ho richiamato in quest’Aula all’osservanza del giuoco democratico e ho detto che, se queste regole del giuoco democratico non le osserviamo tutti, noi veniamo fatalmente a precostituire i mezzi per giungere al sistema della dittatura della maggioranza; perché quando una maggioranza, con la sua forza, può distruggere quelle barriere che le provengono, che dovrebbero provenirle da parte delle minoranze, si viene a far cadere quell’unica garanzia che le esigenze democratiche del Paese reclamano.

Quando infatti non si riconoscono queste leggi confine, al di là delle quali la maggioranza non può andare, non esistono più garanzie di sorta per la minoranza. (Commenti).

Onorevoli colleghi, io sono qui evidentemente per esprimere il parere mio e dei miei amici: non quello degli altri. Ove questo mio parere si voglia controbattere, è chiaro che vi saranno altri oratori di altre parti che potranno darmi la legittima risposta.

Io credo che qui ci troviamo di fronte ad una delle più gravi manifestazioni della mancanza di rispetto del giuoco democratico: e non è la prima. L’Assemblea Costituente affermò il principio del collegio uninominale per l’elezione del Senato e da allora sono stati continui ed incessanti i tentativi per riuscire in qualche modo ad eludere questa non equivoca affermazione di volontà dell’Assemblea Costituente.

E questo, o amici che oggi, per differenti accordi, siete di diverso avviso, quando io vi richiamai al rispetto delle regole del giuoco democratico, voi pur dichiaraste giusto: ma se giusto era allora, quando vi faceva comodo, giusto è anche oggi.

L’ordine del giorno Nitti era di una chiarezza inequivocabile, cioè era per il collegio uninominale. E anche se, con un errore tecnico che io rilevai, il principio della proporzionalità per la Camera dei deputati e dell’uninominalità per il Senato non fu introdotto nelle norme della Costituzione, fu chiaramente affermato che questo rappresentava un principio che l’Assemblea doveva tener presente come un imperativo nella compilazione della legge.

E vi fu allora un’elegante discussione risolta dall’articolo 89 del Regolamento della Camera, il quale stabilisce che gli ordini del giorno che si votano per fissare delle direttive nella composizione delle leggi, sono tassativi ed obbligatori. E non basta: signor Presidente, lei stamattina mi ha richiamato un precedente; ed io mi rifaccio a quello stesso precedente, perché quel precedente, che lei oggi ha richiamato alla mia memoria, si riferiva proprio ad uno dei tanti tentativi che furono fatti per cercare di eludere la precedente deliberazione; si riferisce, cioè, ad una pregiudiziale sollevata dall’onorevole Cevolotto contro un ordine del giorno dell’onorevole Perassi, che, successivamente all’ordine del giorno Nitti, voleva introdurre la proporzionale anche nel sistema elettorale per il Senato.

E allorquando fu messa ai voti la pregiudiziale dell’onorevole Cevolotto, l’onorevole Terracini, nostro illustre Presidente – che spero, di vedere presto rimesso, che mi duole non vedere fra noi e al quale mando il mio augurio, sicuro di interpretare il pensiero di tutta l’Assemblea (Approvazioni)la illustrò con queste precise parole: «la pregiudiziale dell’onorevole Cevolotto nei confronti della presa in considerazione dell’ordine del giorno dell’onorevole Perassi e di altri colleghi, con il quale si propone di adottare per la prima elezione del Senato della Repubblica il sistema proporzionale, ecc.». Cioè la votazione che avvenne il giorno 16 dicembre 1947 nel seno dell’Assemblea Costituente sulla pregiudiziale dell’onorevole Cevolotto investiva precisamente questa questione: se si potesse introdurre nella legge elettorale per il Senato il sistema della proporzionale, proprio in considerazione dell’ordine del giorno Nitti, precedentemente votato dall’Assemblea stessa.

Ora, questa votazione fu mandata il primo giorno deserta e mancò il numero legale; il secondo giorno, cioè il 16 dicembre, si ripetette, e l’Assemblea accolse la pregiudiziale dell’onorevole Cevolotto. Quindi, due volte l’Assemblea Costituente ha chiaramente affermato che la proporzionale nel sistema elettorale per il Senato non poteva entrare: la prima volta, approvando l’ordine del giorno Nitti, e la seconda volta, approvando la pregiudiziale Cevolotto, la quale specificatamente diceva: dato che c’è stato l’ordine del giorno Nitti, noi non possiamo prendere in considerazione sistemi che contengono la proporzionale per l’elezione del Senato.

Mi pare che anche di fronte alle affermazioni di chi favorisce e appoggia le dittature di maggioranza, questo doppio conforme dell’Assemblea Costituente, dovrebbe essere almeno sufficiente per non chiedere un triplice conforme, che sarebbe veramente scandaloso. E ancora più scandaloso sarebbe se, dopo due decisioni dell’Assemblea Costituente, un’Assemblea che non è più Assemblea Costituente, prendesse una decisione nettamente contraria a quanto due volte, con due sue votazioni responsabili, l’Assemblea Costituente ha deliberato.

E non è più l’Assemblea Costituente, onorevoli colleghi. Non lo dico io, lo disse l’altro giorno molto efficacemente l’onorevole La Rocca, quando fece notare che noi siamo gli esecutori testamentari di un’Assemblea che è stata, cari amici, due volte sciolta come Assemblea Costituente; una volta per la legge istitutiva di essa, che all’articolo 4 stabilisce che l’Assemblea è sciolta di diritto il giorno dell’entrata in vigore della nuova Costituzione, e la Costituzione è entrata in vigore il 1° gennaio; e sciolta una seconda volta dallo stesso testo della legge con la quale noi non abbiamo prorogato i nostri poteri di Assemblea Costituente, ma ci siamo autorizzati a finire, nell’ambito delle leggi costituzionali e dei precedenti stabiliti dall’Assemblea Costituente, alcuni specifici problemi, secondo le precise direttive che l’Assemblea Costituente ci aveva dato.

Ebbene, egregi signori, anche se – e sarebbe un assurdo – non si volesse accettare la preclusione precisa, assoluta ed imperativa del doppio conforme che ho prima richiamato alla vostra attenzione, basterebbe questo fatto, che noi, Assemblea minore, non possiamo assolutamente modificare quanto fu deliberato e ci fu imposto come indirizzo preciso dall’Assemblea che sola aveva i poteri di deliberare in materia; e mai la nostra deliberazione potrebbe comunque andar contro una deliberazione dell’Assemblea Costituente.

E questo vale per noi due volte, perché anche se l’Assemblea Costituente fosse stata nella pienezza dei suoi poteri, anche se fosse stata l’Assemblea Costituente così come fu eletta il 2 giugno e con i poteri che allora aveva, non avrebbe potuto ugualmente prendere in considerazione un mutamento così profondo di una concezione elettorale tale da non poter più essere chiamato col nome di emendamento, ma soltanto con una altra parola, che i democratici non possono accettare, a qualunque partito appartengano, con una parola che dirò in francese: escamotage!

Arriveremmo cioè all’assurdo che noi ci troveremmo domani, dopo un voto di cui tutto il Paese ha parlato, dopo un voto che ha portato già a polemiche e a discussioni in campo tecnico e politico, noi ci ritroveremmo domani di fronte all’assurdo di un Senato ancora più proporzionale della Camera dei deputati!

Perché, se per combinazione si arrivasse all’aberrazione di voler approvare il progetto Mortati, cioè il progetto di minoranza della Commissione, cari colleghi, veramente il Senato sarebbe più proporzionalistico della Camera dei deputati, perché nella Camera dei deputati un elemento personale ancora rimane, cioè quello che è stato dato dai voti di preferenza; ma con quel sistema si arriverebbe all’assurdo di veder proclamato chi ha un minor numero di voti, perché beneficia delle votazioni fatte in altri collegi, dove il suo nome è perfettamente sconosciuto.

Vi è qualcuno che sorride dicendo: tanto ce l’ho in tasca lo stesso, perché ormai nel rinnovato accordo con gli amici di ieri, col ritorno ai primi amori, mi sono assicurato una vittoria in questo campo.

No, cari colleghi democristiani, vi siete assicurati una sconfitta che non è soltanto vostra, ma dei criteri, dei principî, delle leggi democratiche che vogliamo dare al nostro Paese.

È sconfitta vostra perché la vostra maggioranza potrà durare oggi e domani e potrà non essere dopodomani, e la pratica che voi avete istituito contro le minoranze e contro la democrazia potrà essere ritorta contro di voi; e non sarebbe la prima volta che questo accade nella storia! (Interruzione del deputato Piccioni).

Onorevole Piccioni, io ho il difetto (e me lo rimproverano qualche volta) di avere troppo i piedi in terra e di dire le cose con troppa chiarezza. So benissimo che dico cose che non fanno piacere, ma queste cose non fanno piacere non tanto perché sostengono una tesi che è contraria a quella che vi interessa, ma perché sono cose vere; e voi – che siete cristiani – dovreste credere nella forza della verità, anche se qualche volta, per vostra comodità, la negate! (Commenti al centro).

Ad ogni modo, non è una vittoria, perché, contro questo tentativo di dittatura della maggioranza, la Costituzione non lascia ancora i cittadini completamente scoperti e indifesi! La Costituzione contiene nel suo seno i mezzi con i quali i cittadini possono difendersi contro le prepotenze e contro gli abusi del Parlamento. Sono contenuti in due norme, almeno due, della Costituzione: una volta, nel potere che ha il Capo dello Stato di rinviare alle Camere le leggi, motivandolo, (articolo 74 della Costituzione) quando ritenga che, per una ragione o per un’altra, queste leggi debbano essere nuovamente esaminate; una seconda volta, per l’articolo 75, che concede ai cittadini di chiedere il referendum su una legge che essi non volevano e che è stata loro imposta. E v’è il ricorso alla Corte costituzionale, che potrebbe avvenire nella forma più tragica, perché, di fronte a questa legge, voi potreste vedere tutti i candidati «trombati» al Senato dinanzi alla Corte costituzionale!

Voi potrete dire che, anche ove la Corte costituzionale desse ragione, anche ove la revisione chiesta dai cittadini fosse vittoriosa, ormai il fatto l’avreste compiuto e per sei anni avreste quel Senato che avete voluto!

Ma io vi domando: in che condizioni si troverebbe un Senato il quale fosse impugnato di nullità? Io vi domando: in che condizioni si troverebbero questi senatori? Di dover discutere di fronte ad una decisione impugnata, la cui impugnazione è stata ritenuta valida, anche se non ha valore retroattivo, perché – per ragioni di vita pratica – non si è ritenuto di dare valore retroattivo a certe deliberazioni?

Voi minate quello che faticosamente abbiamo costruito, voi minate quella che è stata opera di travaglio enorme delle nostre concordanze e delle nostre discordanze, voi vi preparate a creare negli italiani il non rispetto per quella Costituzione che noi abbiamo fatto, che non mi piace ma per la quale invoco il rispetto (come me lo sono imposto) incondizionato! (Approvazioni all’estrema sinistra).

La verità è un’altra, e l’ho detta un anno fa in quest’Aula: vi sono uomini che credono nelle Costituzioni e vi sono uomini che non credono nelle Costituzioni.

E permettetemi che vi dica: vi sono in Italia, dappertutto, e anche lì dove non ve ne dovrebbe essere nessuno, troppi uomini che non credono nella Costituzione, e non otterremo mai che il Paese rispetti questa Costituzione, non otterremo mai dai cittadini – singoli o associati – che per questa Costituzione abbiano obbedienza, se noi per primi irridiamo in modo così clamoroso alle statuizioni di indole costituzionale che l’Assemblea ha preso nelle sue piene facoltà!

E ritorno alla questione della dittatura di maggioranza. La maggioranza può fare molte cose e certe volte molte cose possono fare anche le minoranze, ma non sono cose democratiche, non sono cose che possono garantire all’Italia un regime che sia veramente e profondamente diverso da quello di cui abbiamo sofferto, che ci avviino veramente verso un consolidamento dello Stato nella legge, con la legge e per la legge.

Nella sua Scoperta dell’America Pascarella ricorda che il re del Portogallo interrogato da Colombo sulla sua famosa spedizione gli risponde: per essere re sò re, nun c’è quistione; ma mica posso fá quer che me pare!

Egregi amici, per essere maggioranza siete maggioranza e «non c’è questione, ma mica potete fare quello che vi pare»; voi potete fare solo quello che le leggi vi consentono nei limiti precisi che le leggi stabiliscono e se voi questi limiti oltrepassate non siete più né maggioranza, né minoranza, siete dei rivoluzionari. (Applausi all’estrema sinistra e a destra).

Con questo, signor Presidente, richiamandomi ai precisi ed espressi voti dell’Assemblea Costituente, e in sede di votazione dell’ordine del giorno Nitti e in sede, diciamo così, di giudizio di appello e di riconferma di votazione per la pregiudiziale Cevolotto, io chiedo che qualunque progetto elettorale che comprenda la proporzionale non sia posto in votazione in questa Assemblea, perché questa Assemblea non ha il diritto, né la facoltà di prenderlo in esame e di votarlo. E comunque dichiaro, a nome mio e del mio Gruppo, che noi facciamo tutte le più ampie riserve; che ci riserviamo cioè di servirci di tutti i mezzi che la Costituzione ci consente perché questa iniquità commessa possa essere rettificata e corretta. (Vivi applausi a destra).

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIANNINI. Onorevole Presidente, se mi consente, desidererei parlare prima io su un argomento sul quale l’onorevole Togliatti potrà rispondere dopo.

PRESIDENTE. Non posso darle la precedenza, debbo rispettare l’ordine.

GIANNINI. Chiedo all’onorevole Togliatti se me lo consente.

TOGLIATTI. Io non volevo fare dichiarazioni sul fondo della questione. Volevo unicamente divergere, non dico accuse, ma appunti che mi sono stati fatti dall’onorevole Lucifero. Le mie parole avranno quindi più che altro il carattere di fatto personale.

GIANNINI. Ma dovrà rispondere anche a me. Parlerò per due o tre minuti e così lei darà una risposta sola.

TOGLIATTI. Sta bene.

PRESIDENTE. L’onorevole Giannini ha facoltà di parlare.

GIANNINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole Togliatti, io comincio col dichiarare che aderisco a quanto ha detto l’onorevole Lucifero, il quale ha effettivamente espresso anche il mio pensiero. Se non che, la correttezza parlamentare di Lucifero, la sua maggiore esperienza, la sua qualità di giurista, gli hanno fatto forse trascurare volutamente – perché io non credo che il mio amico Lucifero abbia delle distrazioni – un fatto, un punto essenziale del nostro dibattito sul quale mi permetto di soffermarmi per pochi minuti.

L’argomento è questo: noi siamo in periodo elettorale; tutto quanto facciamo è in funzione elettorale. Molte volte facciamo anche delle cattive azioni (dico «facciamo» per accusarne anche me) e queste cattive azioni saranno forse giudicate più in là con maggiore indulgenza perché commesse in periodo elettorale, così come avviene per certi reati commessi in istato di ubriachezza o in diverso stato di minorazione. (Commenti al centro).

V’è un punto sul quale desidero essere illuminato, perché è un punto sul quale si poggerà tutta la campagna elettorale. Vorrei sapere: è reato la collaborazione con i comunisti o non è reato? Intendo, onorevole Togliatti, reato politico. Sono stato più volte accusato di aver commesso questo orribile crimine. L’onorevole Togliatti è spesso presentato come un diavoletto perché egli mi ricorda più Ariel che Lucifero, beninteso l’altro Lucifero, non quello del Partito liberale, ed è invocato volta a volta da tutti i partiti che siedono in questa Assemblea ed anche da partiti che non vi siedono ancora. Io faccio una polemica, scrivo un articolo, mi incontro in un treno: immediatamente viene fuori il diavoletto Togliatti: si è incontrato con Togliatti, ha parlato con Togliatti, ha collaborato con Togliatti, ha fatto qualche cosa con Togliatti!

Ciò produce scissioni nei partiti, (Si ride) cagiona confusioni, perturbamenti, tanto che non saprei dire con certezza se queste voci di collaborazione con l’onorevole Togliatti siano messe in giro dai nemici dell’onorevole Togliatti o anche dai suoi amici, allo scopo di danneggiare i concorrenti.

Non più tardi di domenica scorsa ho letto su un quotidiano democristiano molto autorevole di Roma, Il Popolo, l’articolo di un autorevolissimo democristiano qual è il professor Luigi Sturzo; nel quale articolo è un attacco all’onorevole Nitti, perché si è permesso nientemeno di fare un’alleanza elettorale. Subito l’onorevole Togliatti è stato impugnato per i piedi dal professor Sturzo e agitato davanti agli occhi dell’onorevole Nitti come nel medioevo si agitava la croce davanti all’indemoniato, e si è detto in quell’articolo all’onorevole Nitti: voi state lavorando per Togliatti, perché lui non vi cederà il bastone del comando, così come Mussolini non volle cedere a nessuno il bastone del comando!

L’onorevole Togliatti è stato agitato per spaventare l’onorevole Nitti; ma l’onorevole Nitti ne ha viste ben altre, e non si è spaventato. E noi lo ringraziamo per non aver avuto paura del nostro collega Togliatti.

Ma in questo momento noi ci troviamo in presenza di un’effettiva collaborazione di qualcuno col nostro eminente collega Togliatti, collaborazione che si verifica fra il partito, diciamo, dittatoriale, monopolizzatore della maggioranza di questa Assemblea, e l’onorevole Togliatti. (Commenti al centro).

Ad un certo momento il collega Lucifero ha chiesto all’onorevole Togliatti: vuole avere la bontà di dirci in che consiste questo accordo che lei ha fatto con i democristiani? Togliatti ha risposto, nel suo perfetto diritto: ve ne accorgerete alla votazione.

È cosa che capita spesso nelle discussioni, e noi dobbiamo ringraziare l’onorevole Togliatti di aver voluto limitarsi a rispondere in questi termini; avrebbe potuto dire di più e di peggio, cioè: ve ne accorgerete nel camminare, ve ne accorgerete nell’andare avanti e in tanti altri modi. Egli si è accontentato di dire: ve ne accorgerete nella votazione. Tutto ciò è perfettamente legittimo, perfettamente giusto; rientra nella prassi, come si suol dire, parlamentare, e non ho nulla da opporre. Ma devo constatare che ci troviamo di fronte ad una effettiva, operante, perfetta collaborazione fra la democrazia cristiana ed i comunisti. (Commenti).

È una collaborazione, perché la collaborazione non si svolge soltanto al Governo. Se io sono stato accusato di aver collaborato con l’onorevole Togliatti unicamente per aver fatto una polemica giornalistica con lui; ritengo che questa accusa di collaborazionismo possa essere rivolta a chi ha fatto qualche cosa di più, ossia un patto parlamentare. E questo patto parlamentare assume una ben diversa gravità perché, come ha ottimamente dimostrato l’onorevole Lucifero, esso patto si concreta nella pratica violazione della Costituzione.

Allora io domando a chi può darmi questo chiarimento: è reato politico collaborare con i comunisti? Oppure questo reato viene configurato soltanto per un partito, e non per un altro? Se noi avessimo fatto l’accordo che la democrazia cristiana ha fatto in questo momento con i comunisti, che cosa sarebbe accaduto di noi? Quando si è trattato di votare contro un Ministero democristiano, molti di noi sono stati convinti a votare a favore con questo argomento: non dovete alleare i vostri voti con i comunisti. Pare che ciò sia un delitto spaventevole, e voglio ammettere che lo sia. Ma perché deve essere spaventevole solo per una parte di questa Assemblea, e non per l’altra? (Ilarità a sinistra). Ora, non è da far questione sulla maggiore o minore simpatia che si possa avere per una corrente politica, né in quale percentuale possano essere contabilizzate le idee comuni. Si tratta semplicemente di stabilire – dovendo noi giuocare – a che giuoco si giuoca, e quali sono le regole di questo giuoco.

BELLAVISTA. Lotta libera.

GIANNINI. Noi siamo in tempi elettorali, e vogliamo sapere se v’è – come dice il nostro onorevole collega – regime di lotta libera; perché se v’è questa lotta libera, noi che siamo liberali e liberali progrediti, intendiamo valerci anche di questa libertà.

Onorevole Togliatti, ho finito. La ringrazio di avermi così benevolmente ascoltato. Spero che la sua figura di diavoletto magnetizzatore non sia oltre adoperata per terrorizzarmi o per creare un’altra scissione (Ilarità a sinistra) in quello che è il mio partito parlamentare. In quello che è il mio partito nel Paese, sapremo dopo le elezioni se è scisso o se non lo è. È questa una piccola variante alla sua già ricordata risposta.

Come lei ha detto all’onorevole Lucifero: ve ne accorgerete nel votare, io dico a tutti voi: vi accorgerete nel votare quale effetto avranno potuto avere le manovre scissionistiche contro un partito il quale non voleva che la libertà. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Togliatti.

TOGLIATTI. Desidero dire ai colleghi Lucifero e Giannini che quando ho detto che se abbiamo rilevato una coincidenza di posizioni con un altro Gruppo dell’Assemblea questo risulterà dai voti la mia espressione non conteneva nulla di minaccioso; conteneva unicamente il desiderio che il dibattito, su questa questione, non fosse posto sopra un terreno falso. Se avessimo fatto una riunione generale di esponenti di tutti i Gruppi, giusto sarebbe che discutessimo dell’accordo in questa riunione raggiunto o non raggiunto; ma dal momento che non abbiamo fatto la riunione generale coi rappresentanti di tutti i Gruppi, non è questo il modo come la discussione si deve impostare e svolgere. Se poi alcuni Gruppi, nei contatti avuti fra di loro, hanno costatato una coincidenza nelle loro aspirazioni e posizioni, ciò si vedrà dai voti stessi ch’essi daranno. Questo, e solo questo era il significato della mia espressione, onorevole Giannini; nulla di minaccioso, com’Ella vede.

L’onorevole Lucifero, invece, ha voluto porre e mantenere il dibattito su questo terreno, anzi ha appuntato particolari accuse contro di me, incominciando col risalire al famoso articolo 7 della Costituzione.

Onorevole Lucifero, se vogliamo decidere che d’ora in avanti le leggi che approveremo non avranno più nessun articolo 7, affinché il Partito liberale sia premunito contro qualsiasi manovra dei comunisti, possiamo accontentarla. Forse che non vi è chi sopprime il numero 13 dal calendario?

D’altra parte, anche lei, onorevole Lucifero, ha votato favorevolmente all’articolo 7 della Costituzione, come hanno votato a favore di quell’articolo notevoli esponenti della corrente liberale, quali l’onorevole Nitti, l’onorevole Vittorio Emanuele Orlando, e altri. Perché ora volete far colpa di averlo votato soltanto a noi? Perché il voto favorevole sarebbe stato da parte vostra cosa buona e un servizio reso al Paese, mentre per noi sarebbe stato cosa indegna, di cui ci dovremmo vergognare per tutti i secoli della storia?

LUCIFERO. Chi l’ha detto!

TOGLIATTI. La questione che sta davanti a noi oggi è soltanto una questione relativa al sistema elettorale. Vi sono qui problemi di principio? Senza dubbio.

Per esempio, noi, in linea di principio, eravamo contrari alla formazione di un Senato corporativo; in linea di principio, vedevamo di mal’occhio un Senato eletto con elezione a doppio o triplo grado; è giusto che abbiamo preso, nelle discussioni passate, quelle posizioni, che ci sono servite ad eludere queste soluzioni che respingevamo in linea di principio. Aggiungo che, in linea di principio, noi siamo più vicini a una soluzione proporzionalistica che non a una soluzione uninominalista. Queste cose del resto le abbiamo dette parecchie volte e tutti le sanno. Un partito conseguentemente democratico tende naturalmente verso la soluzione proporzionalistica.

Vi sono inconvenienti a una soluzione proporzionalistica per l’elezione del primo Senato della Repubblica? Riconosciamo che vi sono inconvenienti così come vi sono inconvenienti a una soluzione uninominalistica. Arriva, però, il punto in cui ogni partito deve giudicare del pro e del contro, e quando si tratta di legge elettorale, è inevitabile che ogni partito giudichi a seconda dei propri interessi, e così noi giudichiamo a seconda degli interessi nostri e non a seconda di quelli, diciamo, del Partito liberale.

Inoltre, su questa questione della convenienza, vorrei ricordare all’onorevole Lucifero che per i grandi partiti, i quali contano i propri elettori a milioni, tutti i sistemi elettorali su per giù si equivalgono: quello che si perde da una parte si guadagna dall’altra, alla sola condizione però che le circoscrizioni siano fatte in modo onesto e leale, in modo cioè che non favoriscano, fin dall’inizio, l’uno o l’altro partito. Questo è il solo risultato che un grande partito deve garantirsi in modo assoluto e con tutti i mezzi che gli offre il dibattito d’Assemblea. Se non riesce a garantirsi questo risultato, meglio è ritornare al sistema proporzionale.

Comprendo che l’argomento di cui mi servo, non serve, per il partito liberale, data la scarsa efficienza numerica a cui l’hanno ridotto i suoi dirigenti (Viva ilarità) con la politica che hanno seguito nel corso degli ultimi anni.

GIANNINI. Lo vedrete col blocco!

TOGLIATTI. Onorevole Giannini, comprendo come Ella ritenga che, con il suo aiuto, le cose per il partito liberale andranno meglio; però, se devo giudicare dal modo come sono andate le cose per il Fronte dell’Uomo Qualunque da lei fondato e diretto, non so se possano esservi prospettive migliori per il partito liberale.

GIANNINI. Va benone, stia tranquillo.

TOGLIATTI. Non so, insomma, se il contributo che ella porta al Partito liberale sia proprio quello di cui esso ha bisogno in questo momento.

GIANNINI. Se ne accorgerà.

TOGLIATTI. In secondo luogo vorrei pregare l’onorevole Lucifero di lasciar stare le recriminazioni, come se qui fosse avvenuto qualcosa di indegno, di inconfessabile. In realtà, onorevole Lucifero, quando Ella ha parlato non capivo se Ella muoveva una protesta di principio contro la coincidenza costatata tra noi e i democristiani, o se si trattava invece soltanto di una scena di gelosia. Perché avrebbe dovuto essere indegno un accordo del tipo che Ella comunicava all’Assemblea qualora fosse intercorso fra noi e il Gruppo democratico cristiano, sulla base di una rinuncia del Gruppo democristiano a chiedere una severa sanzione per l’astensione dal voto e non avrebbe dovuto essere indegno un accordo simile che eventualmente ci fosse stato offerto – e pare ci sia stato offerto – dal Gruppo liberale? (Vivi commenti al centro).

Inoltre, onorevole Lucifero, Ella fa parte della maggioranza, fa parte del Governo. Anche lei, onorevole Giannini, se proprio non fa parte del Governo, è nella maggioranza, e forse fa persino parte del Gruppo attraverso la presenza di qualche Sottosegretario, se ben ricordo.

Ad ogni modo, come facente parte di un partito della maggioranza Ella aveva la possibilità di trovare accordi e consensi col partito dirigente governativo molto più di quanto non avessimo noi, che siamo partito di opposizione.

Quello ch’è avvenuto non è dunque proprio colpa mia e del mio Gruppo, onorevole Lucifero. Noi abbiamo soltanto cercato di allontanare le soluzioni che ci urtano e che respingiamo in linea di principio. Una di queste era la sanzione pecuniaria per l’astensione dal voto, che noi respingiamo in linea di principio perché siamo un partito democratico. Ottenuto questo risultato, cercheremo di decidere le altre questioni controverse a seconda della nostra maggiore o minore influenza; e se abbiamo trovato che vi è una concordanza tra le posizioni nostre e quelle di altri Gruppi, questa concordanza garantirà determinati risultati alle votazioni che avranno luogo fra poco.

Da ultimo, due parole all’onorevole Giannini, il quale mi ha posto una domanda in modo molto drastico: vorrebbe che io gli dicessi se è un reato, o no, collaborare coi comunisti.

GIANNINI. Non l’ho chiesto a lei, onorevole Togliatti.

TOGLIATTI. Onorevole Giannini, ella ha sollevato in questo modo un problema di estremo interesse, quello della legittimità dell’anticomunismo, cioè di quella corrente politica che si presenta sulla scena della Nazione agitando non un programma ma uno spauracchio, quello del comunismo. Onorevole Giannini, se la memoria mi soccorre esattamente, e se non sbaglio, ella è stata precisamente, vorrei dire, l’antesignano ed esponente numero uno di questa corrente nel corso degli ultimi anni.

GIANNINI. Dell’antitotalitarismo.

TOGLIATTI. È vero che a un certo momento ella ha variato. Ha riconosciuto che le conveniva intavolare con noi discussioni oggettive. Fu un cambiamento di rotta assai radicale, il quale ha avuto conseguenze notevoli.

Si è arrivati al punto che, veda, ho ricevuto stamane, nella mia posta, una lettera indirizzata assieme all’onorevole Togliatti e all’onorevole Giannini! (Ilarità).

GIANNINI. Dove andremo a finire di questo passo?

TOGLIATTI. In comune, se ella crede, potremo esaminare quale risposta sia possibile dare allo scrivente.

GIANNINI. Quella lettera l’ha scritta l’onorevole Piccioni, vedrà! (Viva ilarità).

TOGLIATTI. Questa lettera è cosa di picciol conto. Sta però di fatto che la sua iniziativa di aprire con noi un dibattito in termini oggettivi ha avuto conseguenze abbastanza notevoli. Queste conseguenze tutti le hanno viste e giudicate. Esse sono state abbastanza gravi per lei e per il suo movimento, ma non vi è dubbio che queste conseguenze vi dovevano essere e non potevano non esservi, per la contradizione insita nella impostazione stessa del dibattito. L’anticomunismo infatti, quell’anticomunismo di cui ella era prima l’esponente numero uno, non ammette il dibattito oggettivo, non discute le proposte comuniste, elimina coi comunisti ogni conversazione, anche sul terreno delle questioni pratiche, nega, respinge, semina l’odio, agita uno spauracchio e basta. Se ella a un certo momento si è accorta che questo non solo non era giusto, ma era anzi cosa fatale alla Nazione, soprattutto nel periodo attuale…

GIANNINI. Onorevole Togliatti, ella sta facendo, adesso, la sua propaganda elettorale. Io non ho posto questa questione. Io ho domandato se trattare con i comunisti è un reato, al solo fine di sapere se è reato per uno e non è reato per un altro. (Commenti).

TOGLIATTI. Io le ho già dimostrato di sapere approfittare delle occasioni che mi si offrono; mi permetta di approfittare anche di quest’ultima che ella mi ha offerto oggi, sulla soglia della campagna elettorale.

Ad ogni modo, vengo alla risposta alla sua domanda. È reato o non è reato collaborare con i comunisti? Le dirò che era reato secondo il fascismo, e secondo i fascisti; forse continua a essere reato per coloro che vogliono continuare quella tradizione. Per qualsiasi buon democratico non è reato, e il fatto che i colleghi della Democrazia cristiana accettino una conversazione e anche un accordo determinato con noi dimostra che in sostanza nemmeno per i democratici cristiani la collaborazione con i comunisti è reato, anche se nelle piazze, nel corso della campagna elettorale, allo scopo di ottenere determinati risultati, potranno dire il contrario. Ma tutti coloro che vogliono riunire tutte le forze che devono essere unite per rafforzare la nostra democrazia e la Repubblica, per dare al Paese la libertà ed il benessere al popolo italiano, tutti coloro i quali hanno davanti a sé soltanto questo obiettivo, comprenderanno che escludere dal terreno della democrazia e della collaborazione politica una forza come la nostra, questo veramente è un reato, ed è un reato contro l’unità e contro l’avvenire della Nazione (Vivissimi applausi all’estrema sinistra).

GIANNINI. Allora, se non ho mal capito, onorevole Togliatti, ella ha detto che la Democrazia cristiana è fascista, perché condanna la collaborazione degli altri con i comunisti. (Commenti).

PRESIDENTE. La prego, onorevole Giannini: ella ha già parlato.

GIANNINI. Sta bene, signor Presidente.

NITTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Io passo di meraviglia in meraviglia. L’ordine del giorno Nitti, fra le altre firme di uomini di parti diverse dell’Assemblea, reca anche la firma dell’onorevole Togliatti. Comunque, l’onorevole Togliatti, con la sua autorità e con quella che gli viene dal suo forte partito, voleva il collegio uninominale. Su questo non è dubbio. Ora ci troviamo di fronte a un disegno di legge che abolisce di fatto anche l’idea di un vero collegio uninominale, e l’onorevole Togliatti è fra gli aderenti. Come ciò accade? E come si spiega il mutamento? Tutte le spiegazioni dell’onorevole Togliatti sono interessanti. Il fatto è però che la situazione muta improvvisamente e che non solo la Democrazia cristiana ma anche il Partito comunista accettano questa situazione interamente mutata.

Vediamo come ciò è avvenuto. Da parecchio tempo si svolge una campagna aspra nella stampa. I comunisti erano indicati come nemici della Patria, della civiltà; e, soprattutto nei giornali democristiani, questa campagna assume anche oggi la maggior asprezza e violenza. Democristiani e comunisti sono obbligati a combattersi. I giornali sono a loro volta obbligati a sostenere le tesi che chi ha contatti con i comunisti e patteggia con essi tradisce il Paese. Ora, che cosa è avvenuto di nuovo? Democristiani e comunisti non solo hanno trattato amichevolmente, ma si sono messi d’accordo per abolire di fatto l’essenza stessa del collegio uninominale, che i comunisti volevano insieme con i liberali e che i democristiani avversavano. Come ciò è avvenuto? E quali fatti sono intervenuti? Noi non sappiamo nulla. Noi siamo in una Assemblea che ha il dovere di rispettare almeno se stessa. Ora, questa nostra Assemblea farebbe la più ridicola figura se abolisse senz’altro, per accordo intrapreso tra i due partiti, e in realtà fra i capi di due partiti, ciò che era stato solennemente deciso.

Io sono stato il solo che, in quest’Aula, mentre si parlava di quella «democrazia progressiva» per cui i democristiani, i socialisti e i comunisti abitavano e agivano insieme e si dividevano il Governo, io sono stato il solo a parlare sempre contro queste unioni inverosimili e a dire che ciò non poteva durare e che nessun accordo era in questa materia durevole e tanto meno sincero e definitivo.

Se l’accordo è vero e sincero, tutto dovrebbe risentirne, anche la politica estera e la politica interna.

Ora, perché questo spostamento completo dell’equilibrio, non dirò solo parlamentare, ma della vita dell’Assemblea, è avvenuto senza che noi ne abbiamo avuto notizia? Quali concessioni reciproche sono state fatte? Non è a caso che gli accordi si fanno oramai fra i partiti e fra i capi dei partiti, senza che noi sappiamo in che cosa essi consistano.

Senza dubbio la Democrazia cristiana aveva negli ultimi mesi viva avversione per il comunismo. Come sono potuti avvenire accordi? Che cosa i comunisti hanno ottenuto da questi accordi, e che cosa ha ottenuto la Democrazia cristiana? Si tratta solo del disegno di legge sul collegio uninominale o si tratta anche di qualche cosa di diverso? Abbiamo ragione di chiedere spiegazioni. L’onorevole Togliatti deve ammettere, lealmente, che con le disposizioni concordate il collegio uninominale è praticamente abolito e che in realtà si preparano per il Senato elezioni fatte nella peggiore forma dello scrutinio di lista. Potevamo prevedere noi ciò? Possiamo assistere senza protesta a questo fatto? Può la nostra Assemblea, sia pure minimamente, annullare, ciecamente annullare, quello che aveva deciso con tanta solennità? Avevamo tante volte confermato il nostro ordine del giorno: possiamo ora senz’altro screditarci definitivamente rinnegando ciò che volevamo?

Non pongo la questione di merito se sia un bene o un male una forma di votazione o un’altra; io pongo la questione se abbiamo diritto di far ciò senza finire miseramente nell’opinione del pubblico. E pertanto io sottoscrivo all’eloquente e saggio discorso pronunciato dall’onorevole Lucifero: egli ha messo la questione nei suoi veri termini: non è questione di partito, è questione di dignità. Noi non possiamo senza squalificarci negare ciò che avevamo affermato e garantito.

Il Senato da questa metamorfosi nascerebbe così male che noi non avremmo il coraggio di difenderne l’impurità della origine. Dovremmo domani mutare ciò che oggi facciamo. La Costituzione deve essere mutata, prima o poi, in tante cose che promette ma che non possono realizzarsi. È inutile farsi illusioni.

Abbiamo voluto cose non realizzabili o che non dureranno. Abbiamo dichiarato la Costituzione stabile, o, come si dice, rigida. Non la renderete mai rigida o immutabile o stabile, con questi errori e con queste continue contradizioni! La Costituzione che abbiamo fatta non è immutabile e sappiamo che vi sono parti che non si possono mantenere. Non aumentiamo i futuri dissensi. Non diamo motivo con nuovi errori ad agitazioni che sono giustificate da errori; o da assurdità, o, tanto più, da ingiustizie.

Io vi prego, dunque, di riflettere prima di votare in maniera da abolire una decisione già presa e di far fare il contrario di ciò che avevamo annunziato al pubblico. Non date voi stessi la prova che non vi è niente di stabile e di duraturo: né meno gli impegni più sicuri dell’Assemblea!

Prego gli amici della Democrazia cristiana di riflettere ancora se ad essi tutto ciò come venga, ad essi che dichiarano ogni giorno che da lì (Accenna ai banchi di estrema sinistra) può venire la fine di tutto ciò che rappresenta la nostra civiltà e la nostra vita sociale, che da lì parte la minaccia. La prima buona regola è di rispettare gli impegni assunti.

Comunisti e democristiani, senza esitazioni, si sono intesi in questi giorni come se si trattasse di una piccola modificazione a una legge riguardante i cancellieri di tribunale e modificano ciò che prima era stato deciso. Questa non è materia che si possa discutere leggermente: questa è materia essenziale, e qui sono in gioco la dignità nostra e il nostro prestigio, e soprattutto il vostro, amici democristiani! E questo si fa per una convenienza che non vedo ancora, perché sono sicuro che voi non avete da perdere dal collegio uninominale. Le cose che sono state scritte sui danni del collegio uninominale e sui precedenti che riguardano questo argomento sono tutte invenzioni di un prete fantastico. (Commenti – Interruzione del deputato Rubilli). Voi non avrete da una imposizione della proporzionale alcun vantaggio e farete offesa alla nostra dignità (Proteste al centro). Ho letto stamane nel giornale Il Popolo un acre, non sincero e non giusto articolo contro di me del sacerdote don Luigi Sturzo. Mi occuperò quando mi parrà di doverlo fare di ciò che ha scritto e che nego, nella parte che mi riguarda, recisamente.

Io ho trattato sempre Luigi Sturzo come amico, ho cercato di essergli utile e benevolo. A Parigi l’ho avuto anche non poche volte ospite. Io ho dato asilo nel lungo esilio a Parigi a tutti gli italiani liberali, repubblicani, comunisti, socialisti, cristiani e non cristiani, come amici; tutti lo sanno; e ho dato prova di eguale rispetto e tolleranza; così s’imponeva in casa mia lo spirito di tolleranza e di rispetto di tutte le opinioni: del prete Sturzo come dell’anticlericale Modigliani e del giacobino Eugenio Chiesa.

Ora dunque decidiamo secondo la nostra coscienza, secondo la nostra dignità: noi non possiamo abolire ciò che abbiamo accettato e che è stato stabilito; noi non possiamo abolire ciò che abbiamo fatto e che quindi dobbiamo mantenere.

Voi democristiani avete fino a questa mattina gridato sui giornali al pericolo della parte rossa, al pericolo dei comunisti; e che chi patteggiava con essi tradiva l’Italia. Voi l’avete ripetuto, voi l’avete esagerato: volete ora, con un tratto di penna di una lettera o di un provvisorio accordo, rinnegarlo? Oggi i comunisti hanno allora il diritto di dichiarare che debbono godere anche della fiducia dei vostri seguaci di parte opposta. Penetreranno meglio nelle vostre file, perché, dopo averli insultati, voi avete patteggiato con essi, li avete riabilitati e, se mi permettete, adulati. (Commenti al centro).

Ora dunque, non avendo voi nulla da sperare né da temere, non preoccupandovi nemmeno di questo episodio della vita nazionale che sono le elezioni, io vi prego di pensare a voi stessi, di pensare a noi, alla nostra dignità; e prego ancora i comunisti di ricordarsi che, di fronte al popolo lavoratore, perderanno anche essi, io credo, una certa parte del loro prestigio se non dei loro voti.

Ora, chi guadagna? Chi guadagna da questo? Guadagneranno tutti coloro che sono contro la Costituzione, che sono contro la Repubblica, perché essi diranno che in quest’Aula non v’è legge né serietà. (Approvazioni).

Se dunque qualcuno vuol difendere ancora in questo momento la libertà e vuol difendere la Repubblica, si ricordi del suo dovere, si ricordi che chi ama veramente la patria non deve in questo momento nutrire alcun dubbio: deve avere la coscienza della propria responsabilità, deve sentire la nostra stessa dignità.

E però, io prego l’onorevole Togliatti che lasci stare i suoi sottili ragionamenti, che lasci stare i suoi bizantinismi, e tutto questo senza offesa ai Bizantini.

TOGLIATTI. Crearono una grande civiltà.

NITTI. Crearono la Russia moderna, cui diedero per la prima volta l’alfabeto e la religione. (Commenti). Fu solo infatti con la regina Olga che i popoli che chiamiamo la Russia ebbero una prima civiltà. Non ho dunque voluto dire cosa offensiva parlando di discorsi un po’ bizantini.

E torniamo al nostro argomento.

Qui si creano equivoci, parlando di collegio uninominale mentre si prepara una nuova proporzionale. Il collegio uninominale noi sappiamo quello che è; noi sappiamo che non vi è equivoco, che non vi può essere equivoco; noi sappiamo che è stato votato, noi sappiamo che si è sempre fino a ieri dichiarato che non si doveva e non si poteva cambiare nulla a ciò che era stato disposto. Forse, onorevoli deputati comunisti, ciò è a vostro vantaggio dal punto di vista pratico, perché vi rimette nella circolazione con i partiti di Governo. Voi passate un colpo di spugna sul recente passato o credete almeno che ciò possa avvenire. Ma non si tornerà alla così detta democrazia progressiva, a quando si diceva che il socialismo marxista e il cristianesimo anche nelle forme del cattolicesimo avevano la stessa essenza morale.

Ricordo che io, forse solo, negavo qui dentro questo grande equivoco. Nella loro essenza cristianesimo e socialismo sono due cose non solo diverse ma opposte.

L’equivoco non può ora riprodursi completamente, ma vi possono essere adattamenti. Solo la libertà (che i sistemi totalitari negano) può fare vivere senza lotta concezioni e sistemi diversi e anche opposti.

Voi farete forse accordi provvisori e limitati, ma non riuscirete a fare più ciò che costituisce il grande equivoco. Per ora confesso che siamo oggi nel paese delle meraviglie, perché sono passato da una meraviglia all’altra e ho visto che non vi è limite alle fantasie né alle responsabilità e persino che si può gabellare come collegio uninominale un pesante e ingombrante scrutinio di lista.

Il sistema che si propone è la negazione di ciò che attendevamo.

Io sottoscrivo a tutte le cose che ha dette l’onorevole Lucifero e a tutte le sue critiche. Le sue ragioni sono inoppugnabili. Non è solo di noi e di lotte parlamentari che si tratta; oggi di tratta dell’Italia. Io spero e credo nella resurrezione dell’Italia, ma attraverso la disciplina e il dolore nell’unione nazionale e dicendo sempre la verità. Io credo, quindi, che le proposte che sono dinanzi a noi dovrebbero essere respinte senz’altro.

Non so come i democristiani e soprattutto i comunisti ci spiegheranno questo disegno di legge che è diverso da ciò che doveva essere, e da ciò che attendevamo.

Vi è anche nel disegno di legge una parte, che riguarda il modo di attribuzione dei voti, la quale rimane alquanto oscura e richiede calcoli di esperti che non si trovano certo in ogni villaggio o borgata. Data la cifra enorme di voti che si richiede per essere eletti, non vi sarà quasi alcuno che sarà eletto nel suo collegio, e quasi tutti i candidati dovranno passare per quel misterioso organismo di proporzionale che è stato congegnato non senza difficoltà.

RUBILLI. Non c’è elezione al primo scrutinio! Si tratta ormai di un sistema completamente proporzionale. Del collegio uninominale è rimasto appena il nome.

NITTI. Vorrei che mi si spiegasse il sistema di elezione, perché non sono riuscito a capire troppe cose; e anche la proporzionale con il collegamento mi sembra diretta ad aumentare la confusione. Rimane una proporzionale mal congegnata e non sincera.

Confermando la mia avversione a quanto accade e a quanto si vuol preparare per le prossime elezioni, deploro il metodo che si vuol seguire per gli scopi indefiniti che si vogliono raggiungere. (Applausi).

PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato alle ore 16.

La seduta termina alle 12.55.