ASSEMBLEA COSTITUENTE
CXCVI.
SEDUTA POMERIDIANA DI MARTEDÌ 22 LUGLIO 1947
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI
INDICE
Disegno di legge (Seguito della discussione):
Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).
Presidente
La Malfa, Relatore
Perlingieri
Pella, Ministro delle finanze
Clerici
Mastino Pietro
Bertone
Tozzi Condivi
Fabbri
Dugoni
Rescigno
Pesenti
Bosco Lucarelli
Scoccimarro
Rubilli
Mazzei
Micheli
Castelli Edgardo
Bubbio
Vigorelli
Mannironi
Cappi
Scoca
Piccioni
Bonomi Paolo
Lussu
De Vita
Schiratti
Basile
Veroni
Votazione segreta:
Presidente
Risultato della votazione segreta:
Presidente
Interrogazioni e interpellanze con richiesta d’urgenza:
Presidente
Cappa, Ministro della marina mercantile
Cingolani, Ministro della difesa
Pella, Ministro delle finanze
Gonella, Ministro della pubblica istruzione
Petrilli, Sottosegretario di Stato per il tesoro
Sui lavori dell’Assemblea:
Foa
Gonella, Ministro della pubblica istruzione
Lozza
Lussu
Gronchi
Codignola
Pella, Ministro delle finanze
Presidente
La Malfa
Sansone
Dugoni
Interrogazioni e interpellanza (Annunzio):
Presidente
La seduta comincia alle 17.
MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.
(È approvato).
Seguito della discussione del disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio.
Onorevoli colleghi, prima di cominciare il nostro odierno lavoro, è necessario che io richiami la loro attenzione sul grave lavoro che ci attende. È probabile che l’Assemblea debba essere occupata lungamente per la discussione sul Trattato di pace, e d’altra parte è necessario che la legge che stiamo esaminando sia portata a termine entro la corrente settimana.
Occorre perciò disciplinare le nostre discussioni, imponendo al loro sviluppo quei limiti che sono necessari per giungere a conclusioni utili, senza sconfinamenti.
Riprendiamo l’esame degli articoli.
Come l’Assemblea ricorda, nell’ultima seduta la Commissione si era riservata di presentare un nuovo testo dell’articolo 66 e pertanto era stata deliberata la sospensiva.
Il primitivo testo della Commissione era così formulato:
«Il contribuente che, alla data del 28 marzo 1947, non abbia ripristinato i cespiti danneggiati per eventi bellici e nei cui confronti venga accertato un importo di danaro, depositi e titoli al portatore per un valore superiore a quello risultante dalle quote previste all’articolo 25, ove provveda al ripristino nel termine di un anno dalla pubblicazione del presente decreto, potrà ottenere che dall’imponibile sia detratta la spesa occorsa per il ripristino stesso, nel limite dell’eccedenza del valore definitivamente accertato per danaro, depositi e titoli al portatore indicati nella dichiarazione, rispetto a quello risultante dalle quote sopra richiamate».
Onorevole Relatore, il nuovo testo è pronto?
LA MALFA, Relatore. È pronto. Vi sono però, all’articolo 66, due emendamenti non ancora illustrati. Desidererei prima che i presentatori di questi emendamenti li svolgessero.
PRESIDENTE. Sta bene. Vi è innanzi tutto un emendamento dell’onorevole Cavallari, così concepito:
«Sostituire l’articolo 66 col seguente:
«Il contribuente che, alla data del 28 marzo 1947, non abbia ripristinato j cespiti danneggiati per eventi bellici, ove provveda al ripristino nel termine di un anno dalla pubblicazione del presente decreto, potrà ottenere che dall’imponibile sia detratta la spesa occorsa per il ripristino stesso».
L’onorevole Cavallari non è presente, si intende quindi che abbia rinunciato a svolgerlo.
L’onorevole Perlingieri ha presentato la seguente proposta di articolo 66-bis, che può considerarsi emendamento all’articolo 66:
«Il contribuente che, alla data del 28 marzo 1947, non abbia ripristinato i cespiti danneggiati per eventi bellici e nei cui confronti non venga accertato un importo di danaro, depositi e titoli al portatore, oltre le quote presuntive previste dall’articolo 25, potrà ottenere che dall’imponibile sia detratta la spesa che occorre per il ripristino stesso.
«Se respinto, aggiungere al testo soprariprodotto le parole seguenti: non oltre l’ammontare delle dette quote presuntive».
L’onorevole Perlingieri ha facoltà di svolgere il suo emendamento.
PERLINGIERI. Se conoscessi il nuovo testo della Commissione potrei regolarmi in conseguenza e forse anche ritirare il mio emendamento. Comunque do brevemente ragione di esso.
La mia proposta muove dalla preoccupazione di una sperequazione fra i contribuenti di una medesima categoria, in ispecie quella dei proprietari di cespiti danneggiati dalla guerra. La legge fa due ipotesi: quella dell’articolo 65, la quale contempla il caso dei proprietari di cespiti danneggiati dalla guerra che abbiano ricostruito i propri immobili alla data del 28 marzo (e per costoro la legge concede la detrazione della somma spesa per la ricostruzione); la seconda ipotesi, quella dell’articolo 66, contempla il caso dei proprietari di cespiti danneggiati dalla guerra che, entro un anno di tempo, effettueranno la ricostruzione dei cespiti danneggiati. Ora a me pare che in questa maniera si concedano agevolazioni proprio ai contribuenti che hanno maggiori possibilità e si escludono i contribuenti che non hanno la possibilità economica di ricostruire. Non comprendo veramente la detrazione concessa con l’articolo 65 a favore dei proprietari di cespiti danneggiati i quali abbiano già ricostruito alla data del 28 marzo. Questa agevolazione rappresenta una perdita secca per l’Amministrazione senza contropartita, non potendosi addurre in corrispettivo l’interesse dello Stato di promuovere ed incoraggiare la ricostruzione, in quanto si tratta di ricostruzioni già ultimate alla data del 28 marzo, che non hanno bisogno di ulteriori incoraggiamenti.
Comunque, se si concede una agevolazione a questi contribuenti e a coloro che provvederanno a ricostruire entro l’anno, a me pare che non si possa non tener presente anche il caso di coloro che hanno avuto danni dalla guerra e non hanno la possibilità di ricostruire. Una considerazione si dovrebbe avere anche per costoro ed è per questo che io avevo proposto un articolo di questo tenore:
«Il contribuente che, alla data del 28 marzo 1947, non abbia ripristinato i cespiti danneggiati per eventi bellici e nei cui confronti non venga accertato un importo di danaro, depositi e titoli al portatore, oltre le quote presuntive previste dall’articolo 25, potrà ottenere che dall’imponibile sia detratta la spesa che occorre per il ripristino stesso».
Se respinto tale articolo, avevo proposto di aggiungere al testo sopra riprodotto le parole seguenti: «non oltre l’ammontare delle dette quote presuntive».
Si dice che in questa maniera noi verremmo a svuotare la portata dell’imposta. Io posso anche rimanere perplesso di fronte a questa osservazione, ma, d’altra parte, non posso che raccomandare al Presidente della Commissione di considerare con maggior scrupolo le condizioni di coloro che hanno avuto il patrimonio falcidiato dalla guerra e non hanno la possibilità di ricostruirlo.
Vi faccio un esempio: prendo tre proprietari di un patrimonio di dieci milioni ciascuno quali hanno avuto questo patrimonio, in seguito alla guerra, ridotto a cinque milioni. Colui che aveva liquido, e lo ha ricostruito portandolo nuovamente a dieci milioni, viene tassato per metà, ossia per cinque; colui che, avendo liquido, effettua la ricostruzione entro l’anno viene tassato anch’egli per metà, ossia per cinque milioni; nel mentre colui che non ha liquido, rimane con il suo patrimonio residuale di cinque milioni e deve pagare integralmente su cinque milioni, di fronte agli altri che avendo dieci, pagano, come lui, su cinque.
Quindi io prego vivamente il Presidente della Commissione di voler tener presente questo caso nella sua nuova formulazione dell’articolo 66, eliminando una patente sperequazione a danno dei meno abbienti e a favore dei più dotati.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole La Malfa.
LA MALFA, Relatore. La Commissione non era favorevole al mantenimento dell’articolo 66 e dava ragione alle obiezioni del collega che mi ha preceduto, nel senso che l’articolo 66, come era redatto, costituiva una situazione di privilegio per coloro che avrebbero investito capitali nella ricostruzione dopo l’applicazione della imposta patrimoniale; mentre mette colui che abbia ricostruito prima della data del 28 marzo 1947, nella stessa condizione di colui che non ha ricostruito, ai fini dell’accertamento dell’imponibile. Nell’articolo 66 si dava infatti una sanatoria per coloro che, avendo quote di danaro, di depositi e di titoli al portatore superiori alla quota presuntiva, investano in questa maggior liquido dopo il 28 marzo in opere di ricostruzione.
Si sono presentate due strade alla Commissione: o allargare la portata dell’articolo 66 ed estenderla al di là della quota presuntiva, consentendo la detrazione dall’imponibile a coloro che compissero opere di ricostruzione entro l’anno, o restringerne la portata ulteriormente.
La Commissione ha preferito questa seconda strada ed ha ristretto l’articolo 66 in questo senso; perché abbia luogo la detrazione, di cui all’articolo 66, si deve trattare non della quota presuntiva accertata, ma di quella dichiarata dal contribuente all’atto della dichiarazione al 28 marzo.
In che consiste la differenza?
Sappiamo che questa quota di liquido al di là della quota presuntiva è di difficile accertamento da parte degli uffici finanziari. Ed allora, siccome ai fini fiscali questa quota non potrebbe essere colpita, noi invitiamo il contribuente a dichiarare quello che ha di liquido al di là della quota presuntiva, e se egli investe questo liquido in opere di ricostruzione entro l’anno (abbiamo portato il termine a 18 mesi dal 28 marzo) questa quota non sarà considerata ai fini del calcolo dell’imponibile. La Finanza, con la restrizione proposta dalla Commissione, rinunzia ad un cespite, che non potrebbe accertare, ed invoglia il contribuente, che abbia liquidità, ad investirle in opere di ricostruzione, per evitare accertamenti susseguenti e quindi per evitare una imposizione ed un pagamento delle relative ammende.
Ma la Commissione ha ristretto questa stessa norma dichiarando in un secondo comma che la disposizione di cui all’articolo 66, non si applica al contribuente, il cui patrimonio imponibile superi 50 milioni di lire. Cioè: la Commissione si è preoccupata che questa norma non servisse per i possessori di forti patrimoni, per evadere in certo senso l’imposta, impiegando una somma di liquido eccessiva in loro possesso, e l’ha limitata ai possessori di patrimoni inferiori ai 50 milioni.
PRESIDENTE. Do lettura del testo proposto dalla Commissione, ora pervenutomi:
«Il contribuente che, alla data del 28 marzo 1947, non abbia ripristinato i cespiti danneggiati per eventi bellici e abbia dichiarato un importo di danaro, depositi e titoli al portatore per un valore superiore a quello risultante dalle quote previste dall’articolo 25, ove provveda al ripristino nel termine di 18 mesi dal 28 marzo 1947, potrà ottenere che dall’imponibile sia detratta la spesa occorsa per il ripristino stesso, nel limite dell’eccedenza del valore dichiarato per danaro, depositi e titoli al portatore, rispetto a quello risultante dalle quote sopra richiamate.
«La disposizione del comma precedente non si applica al contribuente il cui patrimonio imponibile superi i 50 milioni di lire».
Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro delle finanze.
PELLA, Ministro delle finanze. Il Governo non ha difficoltà ad associarsi alle considerazioni dell’onorevole Relatore e ad accettare l’emendamento proposto dalla Commissione.
CORBINO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CORBINO. Dichiaro di non accettare l’articolo proposto come non avrei accettato la precedente formulazione; e questo non per ragioni di politica finanziaria, quanto per ragioni di politica economica. Rispetto all’articolo 65 noi ci troviamo di fronte ai casi in cui l’utilità della ricostruzione era evidentissima, tanto vero che, prescindendo dall’eventualità di avere o no degli indennizzi, il danneggiato ci ha pensato per conto proprio. Ammettendo la facoltà di investire in ricostruzioni una parte del patrimonio, sottraendolo dalla cifra dell’imponibile per l’imposta sul patrimonio, noi veniamo indirettamente ad incoraggiare delle ricostruzioni, che potrebbero non avere un valore economico corrispondente alla spesa effettiva. Io ritengo che il problema della ricostruzione debba essere affidato a coloro i quali hanno interesse a ricostruire e lo Stato non dovrebbe – a mio giudizio – intervenire continuamente, stimolando ricostruzioni che potrebbero non corrispondere al valore sostanziale dei beni ricostruiti. Voterò quindi contro l’emendamento.
PRESIDENTE. Pongo ai voti l’articolo 66 nel nuovo testo proposto dalla Commissione.
(Dopo prova e controprova è approvato).
Passiamo all’articolo 67. Se ne dia lettura nel testo della Commissione.
MOLINELLI, Segretario, legge:
«Il contribuente che abbia subito danni per eventi bellici in misura tale da far ritenere eccessivamente gravoso il pagamento dell’imposta straordinaria accertata a suo carico, può chiedere che il pagamento stesso sia effettuato in termini più lunghi di quelli stabiliti al capo VIII del presente decreto, salva la corresponsione di un interesse del 2 per cento che aggiungerà all’annualità d’imposta per il periodo successivo alla scadenza dei termini stessi.
«La domanda è presentata dall’intendente di finanza della provincia nella cui circoscrizione trovasi il comune nel quale il pagamento deve essere effettuato, e contro la determinazione negativa dell’intendente è ammesso ricorso al Ministero delle finanze, che decide in via definitiva».
PRESIDENTE. Su questo articolo era stato proposto il seguente emendamento dall’onorevole Veroni:
«Alla settima linea sostituire alle parole: salva la corresponsione di un interesse del 2 per cento che aggiungerà all’annualità d’imposta per il periodo successivo alla scadenza dei termini stessi, le altre: senza corresponsione di interessi sulle somme pagate nel periodo successivo alla scadenza dei termini stessi».
L’onorevole Veroni ha dichiarato di ritirarlo.
Non essendovi altri emendamenti, l’articolo si intende approvato nel testo proposto dalla Commissione.
Vi è ora la proposta di due articoli aggiuntivi, 67-bis. Il primo, proposto dagli onorevoli Clerici, Balduzzi, Tozzi Condivi, Bosco Lucarelli, Nasi, Giordani, Quintieri Adolfo, Ambrosini, Cappi, Bellato e Coppi è del seguente tenore:
«Le somme dovute dallo Stato al contribuente per il risarcimento di danni di guerra accertati e liquidati si compensano con le somme dovute per l’imposta straordinaria sul patrimonio, e vanno computate in sede di riscatto della imposta stessa».
L’onorevole Clerici ha facoltà di svolgerlo.
CLERICI. L’articolo aggiuntivo da me proposto mi pare risponda da un lato ad una evidenza, il che fa sì che io possa risparmiare un lungo chiarimento, dall’altro a ragioni di legalità e di giustizia. Stabilisce cioè, una compensazione tra le somme che il contribuente deve allo Stato per la legge che stiamo discutendo e le somme liquide dallo Stato dovute al contribuente stesso per ragioni di danni di guerra da questo subiti.
Abbiamo dunque tutti gli estremi per una compensazione, a cui riferire liquidità da una parte e dall’altra. Ed il principio che si debbano compensare le somme che il contribuente deve per questa legge straordinaria, legge che deriva evidentemente da una situazione anormale, eccezionale, determinata dallo stato di guerra, dalle rovine della guerra; con le somme che lo Stato deve al cittadino innocente per i danni arrecatigli dalla guerra stessa, risponde a ragioni patenti di giustizia oltreché all’istituto millenario della compensazione. La legge ha insomma questo significato: di compensare lo squilibrio determinato dalla guerra in questo campo tra i fortunati e le vittime. Quindi il tenere conto dei sacrifici subiti durante la guerra da coloro che ebbero distrutta la loro proprietà è ragione di evidente giustizia. Infatti, costoro hanno già fatto in anticipo un sacrificio, e non è logico richiedere oggi ad essi un altro sacrificio, come si richiede invece a coloro ai quali la guerra non arrecò danni diretti e sensibili.
Non credo debbano derivarne notevoli diminuzioni delle entrate pubbliche; perché il mio emendamento si riferisce esclusivamente ai danni liquidati, i quali non possono riguardare solamente quella parte di contribuenti, che contribuiscono a questa imposta straordinaria e relativamente ad una parte soltanto degli immobili, i fabbricati, restando esclusa tutta la categoria dei terreni. Per queste ragioni di giustizia credo che nulla osti a che l’emendamento che io propongo venga accolto dall’Assemblea.
PRESIDENTE. L’onorevole La Malfa ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.
LA MALFA, Relatore. Sono dolente di dire che la Commissione non può accettare l’emendamento Clerici, perché non può ammettere in linea generale il principio della compensazione tra una imposta dovuta ed i crediti verso lo Stato.
Siccome la liquidazione di questi danni di guerra è avvenuta in pochissimi casi, si stabilirebbe una differenza di trattamento per coloro che hanno potuto liquidare questi danni e gli altri. Prego perciò l’onorevole Clerici di non insistere sul suo emendamento.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro delle finanze.
PELLA, Ministro delle finanze. Desidero associarmi alla preghiera rivolta dall’onorevole relatore all’onorevole Clerici e agli altri firmatari dell’emendamento, perché lo ritirino.
Ha perfettamente ragione l’onorevole Relatore quando osserva che le eventuali liquidazioni, già effettuate nel passato, riguardano pochi casi che tuttavia potrebbero dar origine a una disparità di trattamento rispetto ai molti, moltissimi, che tale liquidazione non hanno potuto avere. E, per quanto riguarda il futuro – e dovrebbe essere per il futuro che l’emendamento potrebbe trovare una più larga applicazione – ha perfettamente ragione l’onorevole Clerici, quando dice che un credito accertato e liquidato dovrebbe trovare la sua realizzazione finale, magari attraverso una compensazione; ma penso che, nel futuro, i danni di guerra accertati e liquidati non siano destinati a restare nel campo della speranza e che alla liquidazione debba far seguito il pagamento. Allora, l’onorevole Clerici chiederebbe una compensazione tra l’eventuale negligenza nel pagare i danni di guerra da parte degli uffici competenti ed una tradizionale diligenza da parte degli esattori nel riscuotere l’imposta.
Ritengo che le preoccupazioni che sono alla base del ragionamento dell’onorevole Clerici non avranno ragion d’essere, e di fronte alla pericolosità di questo principio della compensazione – che non sappiamo dove ci potrebbe portare – mi associo all’onorevole Relatore nel non accogliere l’emendamento proposto.
PRESIDENTE. Onorevole Clerici, insiste nella sua proposta?
CLERICI. Insisto.
PRESIDENTE. Pongo ai voti l’articolo aggiuntivo 67-bis proposto dall’onorevole Clerici.
(Non è approvato).
Segue l’articolo aggiuntivo 67-bis proposto dagli onorevoli Mastino Pietro, Lussu, Corsi, Schiavetti, Mannironi, De Vita, Mastino Gesumino, Abozzi, Simonini, Bruni:
«Quando la consistenza del patrimonio, posseduto alla data del 28 marzo 1947 subisca, entro il termine fissato per il pagamento, una diminuzione, per perdita o distruzione, superiore al 50 per cento, l’imposta sarà ridotta in misura corrispondente. Tale riduzione sarà applicata anche nei confronti di chi abbia esercitato il diritto di riscatto».
L’onorevole Mastino Pietro ha facoltà di svolgere il suo emendamento aggiuntivo.
MASTINO PIETRO. L’articolo aggiuntivo che ho proposto riguarda il caso in cui taluno sia possessore di un dato patrimonio al 28 marzo 1947, data stabilita per la fissazione della consistenza patrimoniale, ai fini dell’imposta, e venga poi a perdere, per forza maggiore, il patrimonio stesso entro il termine stabilito per il pagamento.
Vi sono due principî in contrasto: da un lato vi è la situazione personale di quelli che, non avendo più patrimonio, dovrebbero, ciò nonostante, essere obbligati a pagare l’imposta; dall’altra vi è invece il principio per cui l’erario, creditore alla data del 28 marzo di tutta l’imposta, e che ha concesso l’agevolazione di un pagamento rateale, pretende l’intero pagamento. I due principî, come ho detto, sono in contrasto e a me parrebbe che l’Assemblea Costituente debba tener conto della difficoltà effettiva in cui il contribuente viene a trovarsi, difficoltà che, ove venisse risolta a suo danno, costituirebbe una palese ingiustizia.
Si può verificare questo, onorevoli colleghi: che taluno – ed è questo rilievo che ha suggerito la presentazione dell’articolo 67 aggiuntivo – proprietario di un dato numero di bestiame, d’improvviso ne sia stato privato o per epidemia, o – si è verificato anche questo – per danneggiamento ad opera di terzi o per furto; questo tale si vedrà ciò non di meno, invitato a pagare l’imposta, che si pretenderebbe applicare ad un patrimonio che non esiste più. Ciò potrebbe apparire giusto dal punto di vista della logica giuridica astratta, in virtù del principio del diritto romano per cui res perit domino; ma noi dobbiamo essenzialmente badare non a principî teorici ma, nel caso, al fatto che l’imposta graverebbe su un patrimonio non più esistente.
Ecco perché ho domandato che il contribuente, nel caso specifico, sia posto in condizione di dimostrare come egli sia rimasto, per forza maggiore, privo per lo meno del 50 per cento del patrimonio tassato e, in tal caso, ottenga di esser tenuto a corrispondere l’imposta solo relativamente alla parte del patrimonio che gli è rimasta. Non ho altro da aggiungere.
PRESIDENTE. Invito l’onorevole Relatore ad esprimere il parere della Commissione.
LA MALFA, Relatore. Vorrei pregare l’onorevole Mastino di rendersi conto delle conseguenze del principio affermato nel suo articolo aggiuntivo. Se noi dovessimo considerare le variazioni patrimoniali dopo la data del 28 marzo 1947, è evidente che dovremmo tener conto non solo delle perdite, ma anche degli incrementi patrimoniali. D’altra parte è da osservare che le ragioni di perdita patrimoniale sono infinite e ciò aprirebbe la via ad esenzioni fiscali per una varietà inesauribile di casi.
Non è quindi possibile che un’imposta sia condizionata ad una serie simile di eventi. Forse il caso prospettato dall’onorevole Mastino, caso che si esemplifica con l’assumere l’ipotesi di epidemie di invasioni di cavallette o di terremoti, è chiaro che non può configurarsi se non nel senso che è l’evento in sé a determinare un’agevolazione fiscale per l’intera zona che è stata colpita, il che del resto generalmente avviene con la concessione di rateazioni o anche di esenzioni, sempre che però si tratti di un evento di generale portata.
Ma è evidente che noi non passiamo introdurre una disposizione di carattere generale in questa legge, perché in tal modo finiremmo quasi con l’annullarla.
Prego pertanto l’onorevole Mastino di ritirare il suo emendamento.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro delle finanze.
PELLA, Ministro delle finanze. Il Governo si dichiara del parere dell’onorevole Relatore. Ho già avuto l’onore di manifestare all’onorevole Mastino il mio pensiero sull’impossibilità di accedere ad un ordine di idee del genere, in quanto è stato stabilito che la legge dovrà colpire i patrimoni nella loro consistenza alla data del 28 marzo 1947.
C’è già un esempio clamoroso sotto questo riguardo; ed è quello che si è verificato nei confronti dei creditori di quell’importante istituto di credito che andò in dissesto nel 1922. Anche allora venne sollevato il medesimo problema, ma anche allora si dovette arrivare alla conclusione che nulla era possibile fare in quanto l’evento era posteriore alla data presa a base per il rilievo delle consistenze patrimoniali.
Qualora, del resto, casi del genere dovessero verificarsi, certamente il Governo dell’epoca si farà promotore di quelle agevolazioni che si renderanno opportune. Noi non possiamo però impegnarci ora formalmente in questo senso. Mi associo pertanto alla preghiera dell’onorevole Relatore perché il presentatore voglia ritirare il suo emendamento.
PRESIDENTE. Onorevole Mastino, mantiene il suo emendamento?
MASTINO PIETRO. Sì.
PRESIDENTE. Pongo ai voti l’articolo aggiuntivo 67-bis proposto dall’onorevole Mastino Pietro.
(Non è approvato).
È così esaurito l’esame del Titolo I. Si dovrà passare ora al Titolo II, Capo XIII: Imposta straordinaria proporzionale sul patrimonio.
BERTONE. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BERTONE. Vorrei far presente che vi è un articolo aggiuntivo da me proposto riguardante l’imposta straordinaria patrimoniale progressiva e che quindi dovrebbe essere discusso subito, prima di iniziare l’esame dell’imposta straordinaria proporzionale sul patrimonio.
PRESIDENTE. D’accordo. L’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Bertone è così formulato:
«Quando il nudo proprietario non sodisfi alla sua imposta, e non possegga altri cespiti su cui la finanza possa agire per la esazione della stessa, l’usufruttuario è tenuto a corrispondere alla finanza l’interesse del 5 per cento annuo sull’importo dell’imposta dovuta e non sodisfatta dal proprietario».
L’onorevole Bertone ha facoltà di svolgerlo.
BERTONE. Vorrei far presente al Ministro e alla Commissione un caso che si presenterà – credo – con molta frequenza. Vi sono state in questo periodo, da qualche anno in qua, molte liberalità, donazioni, trapassi di patrimoni fra congiunti, specialmente da padre a figlio, da zio a nipote, da marito a moglie e via dicendo, tutte liberalità e trapassi fatti con riserva integrale di usufrutto.
L’articolo 14 del disegno di legge stabilisce che l’imposta progressiva va calcolata separatamente per la nuda proprietà e per l’usufrutto, e l’articolo 48 stabilisce i termini in cui l’imposta deve essere o può essere esatta.
Ora, nei rapporti dell’usufruttuario, la Finanza non ha fastidi di sorta: se L’usufruttuario non paga, la Finanza si farà pagare con provvedimento di esecuzione sull’usufruttuario. Ma nei rapporti del nudo proprietario il quale non abbia nessun altro cespite, io mi domando come farà la Finanza ad essere sodisfatta del tributo che incombe al nudo proprietario, il quale, per parte sua, ha ragione di dire: io non pago perché non ho niente, io ho una proprietà che non ha nessun valore commerciale perché nessuno acquista una proprietà sottoposta a vincolo di usufrutto per una durata di chissà quanti anni.
E allora ci troviamo in questa condizione: di un proprietario gravato da un debito che non sa come sodisfare.
Ora, la regola generale del Codice civile, articolo 1009, è questa; che quando vi è questo debito il quale se fosse pagato verrebbe a gravare sull’usufrutto togliendo all’usufruttuario una parte della proprietà che egli ha in godimento, l’usufruttuario è tenuto a corrispondere a chi paga il debito l’interesse legale.
Io domando che questo sia applicato nei rapporti della Finanza, e cioè: se il nudo proprietario non possiede nessun altro cespite su cui la Finanza possa agire per farsi pagare e non potendo la Finanza agire sul proprietario contro l’usufruttuario, che non è tenuto a pagare il capitale dovuto dal nudo proprietario, credo si debba applicare la regola generale che riguarda tutti i debiti, tutti i carichi che fanno peso su una proprietà sottoposta ad usufrutto; e cioè, fino a che il debito d’imposta del nudo proprietario non venga pagato, l’usufruttuario sia tenuto a corrispondere alla Finanza il 5 per cento dell’imposta dovuta.
Se l’usufruttuario vorrà liberarsi dal pagamento di questo interesse, non avrà che da pagare l’imposta e rivalersi a sua volta sul nudo proprietario. Se non vorrà pagare l’imposta, pagherà questo interesse cha servirà da spinta, da incitamento a pagare l’imposta o a riscattare.
La domanda che faccio è conforme alla regola generale del diritto civile e mi pare non vi sia nessuna ragione per usare verso la Finanza un trattamento più duro e meno riguardoso di quello che si fa verso un creditore qualsiasi.
Penso pertanto che il mio emendamento possa essere accolto dal Governo e dalla Commissione.
PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il suo parere.
LA MALFA, Relatore. La proposta dell’onorevole Bertone risponde ai principî generali del Codice civile. La perplessità della Commissione sta nel fatto che la materia è stata un po’ superata nella discussione. Noi potremo esaminare ancora la questione più profondamente e proporre una soluzione, probabilmente, nel senso indicato dall’onorevole Bertone in sede di coordinamento, perché dovremo collocare questa disposizione al giusto posto. Se l’Assemblea è d’accordo, in sede di coordinamento faremo una proposta definitiva. Qui non sapremmo dove collocarla.
PRESIDENTE. Onorevole Ministro?
PELLA, Ministro delle finanze. Accetto l’emendamento dell’onorevole Bertone, salvo esaminare in sede di coordinamento il collocamento opportuno.
TOZZI CONDIVI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TOZZI CONDIVI. Mi sembra che questo articolo aggiuntivo possa accogliersi, ma semplicemente come una facoltà da parte dell’erario in quanto, quando ci sia la possibilità, può essere fatta l’esecuzione anche sulla nuda proprietà.
PRESIDENTE. Bisognerà allora che ella presenti un emendamento in tal senso.
PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PELLA, Ministro delle finanze. Desideravo far presente che ritengo sottinteso che la Finanza può sempre agire nei confronti del nudo proprietario. Il significato che do all’emendamento dell’onorevole Bertone è in questo senso: impregiudicati restando tutti i diritti di esecuzione nei confronti del nudo proprietario, fino a quando la Finanza non sia riuscita a coprirsi del suo credito, l’usufruttuario è obbligato a pagare l’interesse legale del cinque per cento sulla parte rimasta scoperta. Soltanto in questo spirito il Governo accetta l’emendamento dell’onorevole Bertone; non potrebbe accettarlo se indirettamente dovesse significare una menomazione o una limitazione dei diritti di esecuzione nei confronti del nudo proprietario. Prego pertanto l’onorevole Bertone di confermare che in questo senso è lo spirito del suo emendamento.
BERTONE. Il mio emendamento ha questo significato.
PELLA, Ministro delle finanze. Siccome non si parla, né nell’emendamento Bertone né in altri articoli della legge di menomare in qualsiasi modo il diritto di esecuzione spettante alla Finanza, mi pare che sia perfettamente inutile, anzi pericoloso, volersi interessare di questo punto. L’emendamento Bertone aggiunge soltanto un diritto suppletivo della Finanza a riscuotere un interesse, fermi restando tutti gli altri diritti che nessun emendamento può menomare.
PERLINGIERI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PERLINGIERI. Desideravo conoscere se per questa imposta c’è l’obbligo del non riscosso da parte dell’esattore. In tal caso, quale interesse pretende la Finanza per il ritardo?
PELLA, Ministro delle finanze. Onorevole Perlingieri, l’obbligo dell’esattore di versare il carico di ruolo non rappresenta un obbligo che si esaurisca con il versamento; dopo, vi è tutta la pratica di recupero nei confronti delle quote eventualmente inesigibili; giustificata l’inesigibilità, l’esattore può essere rimborsato di quanto ha anticipato.
LA MALFA, Relatore. Insisto nel dichiarare che accettiamo il principio dell’onorevole Bertone, ma non nella dizione formulata.
FABBRI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FABBRI. Dichiaro che voterò contro, perché, francamente, non capisco su che cosa sia basato il principio per cui uno deve pagare gli interessi sul debito di un altro, cioè su un debito che in sostanza non lo riguarda in nessun modo, né diretto né indiretto.
Dice il collega Bertone che questa è l’applicazione di un principio generale. Io non ho fra le mani il Codice civile…
LA MALFA, Relatore. Articolo 1009.
FABBRI. …ma temo che qui ci sia un grosso equivoco, cioè che il Codice contempli l’ipotesi di un debito che gravando un cespite e gravandolo nella sua totalità implicherebbe la conseguenza che una volta che avvenga una esazione in detrazione di quel cespite, l’esazione si ripercuoterebbe tanto sui beni del nudo proprietario, quanto sui beni dell’usufruttuario e allora la legge come principio generale, per quanto io ricordi vagamente a memoria, mette in gioco la possibilità di una anticipazione da parte dell’uno o dell’altro degli interessati per mantenere la integrità del cespite. Nel caso nostro, invece, abbiamo l’ipotesi di un debito che grava distintamente sulla nuda proprietà ed un debito che grava distintamente sull’usufrutto.
Quale ragione c’è mai per cui l’usufruttuario che deve la propria imposta, si debba andare ad ingerire degli interessi del debito fermo, in ipotesi il non pagamento del debito da parte del nudo proprietario? Se il nudo proprietario non paga, sarà espropriato e l’usufruttuario avrà un nudo proprietario diverso. Ma avere un nudo proprietario diverso, non altera nemmeno di una lira e nemmeno di un centesimo di lira la sua posizione giuridica di proprietario di usufrutto e di debitore dell’imposta sull’usufrutto.
Sarebbe come dire che quando un inquilino di una casa non paga la sua imposta, il proprietario della casa paghi il 5 per cento per interessi sul debito dell’inquilino.
Posta e tenuta ferma la distinzione fra il carico tributario del nudo proprietario ed il carico tributario dell’usufruttuario, non c’è nessun rapporto di cointeressenza tra i due debitori e quindi temo che ci sia un errore nella invocazione del preteso principio generale contenuto nel Codice civile.
DUGONI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DUGONI. Una parte delle argomentazioni che io intendevo svolgere sono state perfettamente svolte dall’onorevole Fabbri.
Volevo solo aggiungere che qui siamo in presenza di un’imposta personale accompagnata da una garanzia reale, quindi noi non possiamo fare nessuna eccezione per un debitore che sia insolvente, perché la garanzia reale deve giocare proprio per tutti i debitori di questa imposta. Concepire quindi un nudo proprietario che sia insolvente rispetto alla imposta, sarebbe come dire che qualcuno che è perfettamente solvibile non paghi. Questa è una cosa che non ha nessun significato.
D’altra parte c’è un argomento pratico: cioè che di fronte alla possibilità che ci sia la concessione del pagamento dell’interesse non ci sia più nessuno che paghi l’imposta, perché tutti si limiteranno a pagare il semplice interesse. Quindi, in queste circostanze, io credo che si debba respingere l’articolo, prima, per le ragioni dette dall’onorevole Fabbri e poi per quelle che ho detto io, tenendo conto del carattere placido, che cioè questo sarebbe un invito a non pagare l’imposta perché tutti preferiranno pagare un piccolo interesse piuttosto che una grossa imposta.
PRESIDENTE. Ha chiesto di aggiungere un chiarimento l’onorevole Bertone. Ne ha facoltà.
BERTONE. Dichiaro di accettare il principio del Ministro. Invece di dire che l’usufruttuario è tenuto a rispondere, direi che «quando il nudo proprietario non sodisfi alla sua imposta e non possegga altri cespiti su cui la Finanza possa agire per la esazione della stessa, la finanza può richiedere all’usufruttuario l’interesse del 5 per cento».
PELLA, Ministro delle finanze. Per lealtà, devo dichiarare che il Governo si è dato carico, appena letto l’emendamento dell’onorevole Bertone, delle considerazioni che sono state chiaramente espresse dall’onorevole Fabbri e dall’onorevole Dugoni. Però il Governo ha dato parere favorevole in base ad argomentazioni di ordine empirico, se si vuole, ma che hanno un notevole peso, che l’onorevole Bertone ha posto alla base della sua proposta, e cioè quello di staccare il diritto di usufrutto dalla nuda proprietà per ottenere determinati risultati di ordine fiscale. Capisco perfettamente che vi è tutta un’altra zona in cui questo presupposto non si verifica, ma io penso che la sanzione proposta dall’onorevole Bertone all’atto pratico si rivelerà senza conseguenze gravi per quell’altra zona per la quale non sarebbero valide le di lui argomentazioni. Ed è in questo senso, allo scopo di far acquisire alla Finanza una determinata garanzia, che il Governo ha dato parere favorevole per l’accettazione dell’emendamento.
DUGONI. Questo emendamento non ha senso.
PRESIDENTE. Pongo ai voti l’emendamento Bertone.
(Non è approvato).
Passiamo al Titolo II, Capo XIII (Imposta straordinaria proporzionale sul patrimonio).
Si dia lettura dell’articolo 68, nel testo ministeriale accettato dalla Commissione.
MOLINELLI, Segretario, legge:
«I contribuenti tenuti per l’anno 1947 al pagamento dell’imposta ordinaria sul patrimonio sono assoggettati, per l’anno stesso, ad una imposta straordinaria proporzionale in misura del 4 per cento sui valori definitivamente accertati ai fini dell’imposta ordinaria per l’anno 1947.
«I contribuenti che, prima dell’entrata in vigore del presente decreto, abbiano alienato uno o più dei cespiti sui quali è stata applicata l’imposta del 4 per cento, hanno il diritto di rivalersi verso l’avente causa dell’imposta stessa afferente i cespiti alienati».
PRESIDENTE. Sono stati presentati su questo articolo numerosi emendamenti.
L’onorevole Rescigno propone di sostituire, al primo e al secondo comma, alle parole «4 per cento» le parole «3 per cento».
L’onorevole Rescigno ha facoltà di svolgere il suo emendamento.
RESCIGNO. Osservo che l’aliquota del 4 per cento mi sembra eccessivamente gravosa per i piccoli e medi patrimoni. Propongo perciò la riduzione al 3 per cento. Del resto era così previsto anche nel progetto dell’onorevole Scoccimarro.
PRESIDENTE. L’onorevole Pesenti, insieme con gli onorevole Scoccimarro, Lombardi Riccardo, Foa, Valiani e Piemonte, ha presentato i seguenti emendamenti:
«Al primo comma, sopprimere le parole: sui valori definitivamente accertati ai fini dell’imposta ordinaria per l’anno 1947».
«Aggiungere un secondo comma così formulato:
«L’imposta è dovuta sui valori definitivamente accertati ai fini dell’imposta ordinaria sul patrimonio per l’anno 1947. Per le società per azioni e in accomandita per azioni l’imposta è dovuta sui valori che saranno definitivamente accertati ai fini dell’imposta di negoziazione per l’anno 1947».
L’onorevole Pesenti ha facoltà di svolgerlo.
PESENTI. Lo scopo dell’emendamento è di porre le società sullo stesso piano dei contribuenti privati. L’articolo 68 dice:
«I contribuenti tenuti per l’anno 1947 al pagamento dell’imposta ordinaria sul patrimonio, sono assoggettati, per l’anno stesso, ad una imposta straordinaria proporzionale in misura del 4 per cento sui valori definitivamente accertati ai fini dell’imposta ordinaria per l’anno 1947».
Noi facciamo una condizione diversa ai contribuenti privati ed alle società, perché le società sono iscritte al ruolo per l’anno 1947 in base ad una valutazione fatta ai fini dell’imposta di negoziazione per il 1946, valutazione che si riferisce al 1943 o, al massimo, al 1945.
Perciò, con la dizione proposta: «L’imposta è dovuta sul valore definitivamente accertato, ai fini dell’imposta ordinaria sul patrimonio per l’anno 1947. Per le società per azioni e in accomandita per azioni l’imposta è dovuta sui valori che saranno definitivamente accertati ai fini dell’imposta di negoziazione per l’anno 1947», le società vengono a trovarsi sullo stesso piano dei contribuenti privati, pagano sul patrimonio quale era nel 1946.
Quindi, questo emendamento risponde ad una esigenza di giustizia e ritengo sia stato già accettato dalla Commissione.
PRESIDENTE. L’onorevole Bosco Lucarelli ha presentato il seguente emendamento.
«Aggiungere al primo comma le parole: sulla base dell’imponibile al 1° gennaio 1940, moltiplicato per dieci per i terreni e per cinque per i fabbricati».
Ha facoltà di svolgerlo.
BOSCO LUCARELLI. Un emendamento simile io proposi all’articolo 34, circa la denunzia per l’imposta progressiva; in quella sede la Commissione e il Ministro dissero che l’emendamento andava riportato in questo articolo; quindi non ripeterò quello che dissi allora.
Ma dalla risposta del Ministro ho l’impressione che fra quello che dicevo io e quello che diceva il Ministro c’è qualche differenza, che, per dovere di lealtà, in materia tributaria, è necessario chiarire.
L’imposta ordinaria sul patrimonio fu dettata con decorrenza dal 1° luglio 1940, basandosi sul prestito immobiliare obbligatorio.
Dopo è subentrata una disposizione per cui i valori accertati per il triennio 1936-39 dovevano essere di base anche per il triennio 1943-1946. In questo periodo 1943-46 alcuni uffici distrettuali delle imposte hanno provveduto ad una revisione dei valori ed ho accennato come in alcuni uffici distrettuali delle imposte fosse stato moltiplicato per 4 e per 5 volte l’imponibile del triennio precedente.
Ed ora è stato moltiplicato per 10 non l’imponibile 1936-39, ma quello rivalutato nel 1944. Il Ministro ha osservato che se questa rivalutazione del 1944 era stata fatta in base ai valori del triennio 1936-39, la rivalutazione era legittima; per cui, io penso che il Ministro ritenga legittimo moltiplicare per 10 questo valore rivalutato e già moltiplicato per 4.
Quindi, di fatto, l’imponibile del 1936-39, agli effetti dell’imposta ordinaria patrimoniale per il 1947 è stato moltiplicato per 40. Ora, siccome questa rivalutazione dell’imponibile del 1936-39 non è avvenuta in tutti gli uffici distrettuali delle imposte, ritengo necessario portarsi ad una data fissa di imponibile, da moltiplicarsi per 10 o per 5, secondo che si tratta di terreni o di case, senza tener presenti le rivalutazioni avvenute dal 1944 in poi. Perciò io ritengo che vada chiarito che la moltiplicazione per 10 per i terreni e per 5 per i fabbricati si faccia sull’imponibile al 1° gennaio 1940; anzi, nell’altro emendamento io avevo messo al 1° luglio 1940, e mi sembra più esatta quest’ultima data, 1° luglio 1940, in quanto da tale data, la patrimoniale entrò in vigore. La Commissione pareva accedere all’idea di una data fissa, ma è necessario chiarire questo concetto, altrimenti noi potremmo avere una notevole differenza d’interpretazione per cui alcuni uffici distrettuali delle imposte ritengono avere ben fatto moltiplicando per 10 per i terreni e per 5 per i fabbricati gli imponibili del 1936-39 già rivalutati nel 1944.
Moltiplicare così per 40 per i terreni e per 20 per le case l’imponibile al 1° luglio 1940, mi sembra eccessivo.
FABBRI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FABBRI. Desidero fare un’osservazione sull’ordine della discussione. Mi pare che con le pochissime parole dette dall’onorevole Pesenti si sia sollevata una questione gravissima di duplicazione di imposta sia nel campo della patrimoniale progressiva che in quello della patrimoniale proporzionale, mentre viceversa l’accenno dell’onorevole Bosco Lucarelli si riferiva a questioni di data di accertamento del cespite. Non vedo un nesso tra le due questioni, ma mi pare che quella sollevata dall’onorevole Pesenti sia di un’imponenza tale da travolgere tutta l’economia della legge, e che quindi non possa essere trascurata come una cosa insignificante.
PRESIDENTE. Noi procediamo allo svolgimento degli emendamenti. Alla fine dello svolgimento ogni collega potrà prendere la parola per riferirsi ad uno o ad un altro degli emendamenti facendo le sue obiezioni.
SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SCOCCIMARRO. Mi pare che dato il numero degli emendamenti presentati su questo articolo, e gli argomenti a cui si riferiscono, sia consigliabile raggrupparli, discuterli secondo le singole questioni e votare via via che si esaurisce ogni singolo problema.
PRESIDENTE. Possiamo farlo, ma lei ha visto che molti emendamenti si riferiscono a due, tre questioni fondamentali, quindi in fondo lo svolgimento di essi significa l’esame delle questioni fondamentali.
Non essendo presenti gli altri firmatari, l’onorevole Rubilli ha facoltà di svolgere il seguente emendamento che reca anche le firme degli onorevoli Crispo, Morelli Renato, Bozzi, Cifaldi, Perrone Capano:
«Aggiungere dopo il primo comma il seguente:
«Per i fabbricati soggetti a regime vincolistico l’aliquota è del 2 per cento sui valori definitivamente accertati ai fini dell’imposta ordinaria per l’anno 1947, prendendosi a base di quest’ultima i valori accertati per il prestito immobiliare 1936».
RUBILLI. Come uno dei firmatari dell’emendamento, io lo mantengo, e con poche parole dico essere di un’assoluta evidenza che dovrebbe essere accolto, perché nelle condizioni attuali, come ognuno sa, c’è una differenza enorme fra i proprietari di un fabbricato soggetto a regime vincolistico ed i proprietari di un fabbricato che invece è soggetto a regime libero. E assai rilevante infatti il divario tra quello che si può introitare da parte degli uni e da parte degli altri. Ora è chiaro che ragioni di equità e di giustizia impongono che sia fatto un trattamento diverso agli effetti della imposta, dato che le condizioni sono pur diverse, in un caso e nell’altro.
Quindi noi proponiamo con l’emendamento che, mentre per i fabbricati non soggetti a regime vincolistico si paghi il 4 per cento, per gli altri, i cui fabbricati sono soggetti a regime vincolistico, l’aliquota sia ridotta almeno della metà.
C’è fra i due proprietari una differenza che è certo molto maggiore del doppio, ma per lo meno si tengano presenti le singole condizioni alle quali occorre almeno approssimativamente adeguare e proporzionare l’imposta.
Spero che l’Assemblea vorrà accogliere l’emendamento.
PRESIDENTE. Il seguente emendamento, a firma dell’onorevole Bonomi Paolo, è già stato svolto:
«Dopo il primo comma, aggiungere il seguente:
«I contribuenti che non risulteranno assoggettabili all’imposta progressiva di cui all’articolo 1 avranno diritto allo sgravio del 50 per cento dell’imposta proporzionale gravante su cespiti immobiliari. Lo sgravio è accordato su domanda della parte».
Segue l’emendamento presentato dagli onorevoli Pesenti, Scoccimarro, Lombardi Riccardo, Foa, Valiani e Piemonte:
«Aggiungere dopo l’attuale primo comma il comma seguente:
«I contribuenti che non risultano assoggettabili all’imposta progressiva di cui all’articolo 1 hanno diritto allo sgravio del 75 per cento dell’imposta proporzionale gravante sui cespiti immobiliari.
«Il diritto allo sgravio è del 50 per cento per i contribuenti il cui patrimonio accertato in base agli articoli 29 e seguenti sia compreso tra i 3 ed i 5 milioni e del 25 per cento per i contribuenti il cui patrimonio sia compreso tra i 50 ed i 10 milioni di cui allo stesso articolo 29.
«Lo sgravio è concesso su domanda del contribuente».
L’onorevole Scoccimarro ha facoltà di svolgerlo.
SCOCCIMARRO. L’emendamento che noi abbiamo presentato sull’imposta straordinaria tocca il punto dolente di questa legge.
È noto che, non solo da parte di larghe zone dell’opinione pubblica, ma anche di diversi settori di questa Camera, si è sollevata l’obiezione che questo provvedimento finanziario grava eccessivamente sulla piccola proprietà.
Ora, l’osservazione è giustificata. Senonché, i diversi emendamenti che sono stati presentati per attenuare e correggere questo difetto della legge, pare a me che non risolvano il problema e non rispondano alle esigenze che l’articolo 68 pone, e sul quale l’Assemblea deve dare una risposta.
Si è voluto unificare in un unico provvedimento l’imposta straordinaria progressiva e l’imposta proporzionale che, in sostanza, è il riscatto dell’imposta.
Questa unificazione non è né razionale né politicamente opportuna. È perciò che, in sede di discussione generale, io avevo proposto di stralciare questa parte del provvedimento e di esaminarla a parte con altri criteri e su altre basi. Ma, poiché il Governo ha respinto questa proposta, noi dobbiamo accettare quella unificazione, come un dato di fatto per la discussione.
Gli emendamenti presentati su questo punto dall’onorevole Crispo ed altri non risolvono il problema di attenuare la pressione sulla piccola e piccolissima proprietà. Quando si propone di elevare da tre a cinque milioni la detrazione fissa, in realtà noi diamo l’esenzione ai patrimoni che vanno dai tre ai cinque milioni e delle agevolazioni a quelli che vanno dai cinque milioni in su, ma ci si dimentica che, in sede di proporzionale, si paga da 100.000 lire in su per i terreni e da 50.000 in su per i fabbricati, con una aliquota che è notevolmente superiore a quella che si paga per la progressiva.
Se poi si tiene presente che il valore fiscale non corrisponde al valore reale e che i valori fiscali scendono al 60-50 per cento dei valori reali – e qualche volta anche al disotto – allora quegli emendamenti acquistano questo significato: è una agevolazione concessa ai proprietari medi, mentre la vera piccola proprietà, quella piccola proprietà che è uno strumento di lavoro, rimane senza sollievo alcuno sotto i rigori della proporzionale.
E perciò che io ho pregato a suo tempo i colleghi di riesaminare il problema del minimo imponibile da questo punto di vista, ed è per la stessa ragione che oggi chiedo loro di ritirare gli emendamenti e di associarsi a quello da noi presentato, che risolve il problema da essi posto, risponde alle loro esigenze nei limiti del giusto, e risolve la questione in modo più razionale ed organico.
Ed ora, permettetemi di spiegare brevemente le ragioni di questa richiesta. Perché non si deve aumentare il minimo imponibile, né si deve aumentare la detrazione fissa? Perché, se noi consideriamo il minimo di 3 milioni e teniamo conto che con la detrazione fissa si paga su un milione, il 6 per cento della legge si riduce al 2 per cento e quel 2 per cento si riduce ancora quando passiamo dal valore fiscale al valore reale del patrimonio.
Vi do senz’altro i risultati di un breve calcolo, che del resto ognuno può fare da sé: per i patrimoni di 3 milioni l’aliquota effettiva che si viene a pagare sul valore reale va dall’l all’l,50 per cento; per i patrimoni di 4 milioni va dall’l,50 al 2 per cento; per i patrimoni fino ai 5 milioni va dal 2 al 2,50 per cento. Le aliquote sui valori fiscali sono rispettivamente del 2, 3, 3,50 per cento.
Ora, da questi dati voi vedete che nella imposta progressiva fino a 5 milioni non si raggiunge il 4 per cento, che facciamo invece pagare nella proporzionale anche a chi possiede un patrimonio di solo 50 mila lire in fabbricati e di 100 mila lire in terreni.
Ora, queste considerazioni dimostrano che il minimo imponibile dell’imposta progressiva non è eccessivo né gravoso, perché il 6 per cento scende di molto e per la detrazione fissa e per lo scarto che c’è fra il valore fiscale e il valore reale.
Ma adesso c’è il rovescio della medaglia. Noi colpiamo nell’imposta proporzionale con il 4 per cento tutti i patrimoni che superano le 50 mila lire per i fabbricati e le 100 mila lire per i terreni. E qui non v’è alcuna detrazione fissa. Ora, se si tiene presente chi può essere soggetto all’imposta progressiva e non alla proporzionale e viceversa, e che molta gente paga la proporzionale e non la progressiva, perché la loro consistenza patrimoniale è al disotto dei 3 milioni, le sperequazioni che ne derivano sono evidenti. Infatti, chi possiede case, terreni e beni comunque soggetti all’imposta ordinaria sul patrimonio fino a tre milioni è soggetto all’imposta del 4 per cento, mentre chi possiede lo stesso patrimonio però non soggetto all’imposta ordinaria non paga nulla. E evidente che si tratta di una sperequazione che bisogna eliminare.
Ma v’è di più. Chi sono oggi i proprietari che posseggono un patrimonio inferiore ai tre milioni e pagano il 4 per cento? Sono gli artigiani, i piccoli produttori, per i quali la proprietà costituisce un vero e proprio strumento di lavoro. Ora, questi pagano il 4 per cento, mentre chi possiede tre milioni di titoli azionari e perciò non è un lavoratore, è esente dall’imposta straordinaria.
E la sperequazione rimane anche al disopra dei tre milioni: infatti, chi paga in sede di proporzionale è colpito col 4 per cento, mentre chi paga in sede di progressiva è colpito solo col due per cento per i tre milioni, col 3 per cento per 4 milioni e col 3,50 per cento per 5 milioni. E qui si tratta di aliquote fiscali che sono superiori a quelle reali. Anche qui dunque si ha una sperequazione che bisogna eliminare.
Per di più, in sede di proporzionale, non c’è alcuna detrazione fissa, mentre questo beneficio esiste nell’imposta progressiva. Inoltre la proporzionale si paga subito, mentre la progressiva si inizia a pagare nel 1948. Infine nell’imposta progressiva c’è una possibilità di evasione per la ricchezza mobiliare che non esiste nella proporzionale che si riferisce essenzialmente ai beni immobiliari. Da questo raffronto fra i due sistemi seguiti per l’imposta proporzionale e quella progressiva, appaiono chiaramente le gravi sperequazioni che io ho posto in rilievo, sperequazioni a danno dei piccoli proprietari e produttori soggetti alla imposta proporzionale.
L’emendamento da noi proposto tende in sostanza ad eliminare tali sperequazioni.
Lo sgravio del 75 per cento per i patrimoni inferiori ai 3 milioni significa far pagare fino a quel limite 1’1 per cento, che è poi l’aliquota effettiva generale che si paga sui patrimoni sotto i 3 milioni nell’imposta progressiva; lo sgravio del 50 per cento per i patrimoni dai 3 ai 5 milioni significa far pagare il 2 per cento; lo sgravio del 25 per cento per i patrimoni da 5 ai 10 milioni significa far pagare il 3 per cento; dai 10 milioni in su si paga il 4 per cento: qui non v’è più ragione di riduzione. Per cui oggi noi chiederemmo a chi possiede meno di 3 milioni di pagarci due volte e mezzo quella che è l’imposta ordinaria che pagava finora; a chi possiede da 3 a 5 milioni, di pagarci cinque volte l’imposta ordinaria; e dai 5 ai 10 milioni, di pagarci sette volte e mezzo questa imposta.
Ora, se noi raffrontiamo fra loro i singoli emendamenti, che cosa troviamo?
Consideriamo l’emendamento più importante, quello dell’onorevole Crispo. Con questo emendamento, tutti i piccoli e piccolissimi proprietari, fino a 3 milioni, sono dimenticati, perché questi non rientrano nella progressiva ma solo nella proporzionale, e qui non c’è detrazione fissa né minimo imponibile. Quindi, con questo emendamento ai piccolissimi proprietari non si dà alcun aiuto. Viceversa, con lo stesso, si esentano i contribuenti dai 3 ai 5 milioni, mentre si attenua il gravame per coloro che possiedono da 5 milioni in su. Infatti, coll’emendamento Crispo, per i possessori di patrimoni di cinque milioni, si viene a ridurre l’aliquota dal 3,50 al 2,40 per cento.
Col nostro emendamento invece si viene veramente in aiuto alla piccolissima proprietà; un patrimonio di un milione, un milione e mezzo, due milioni, è appena una bottega da lavoro, un pezzettino di terra, o una di quelle casette che gli operai si costruiscono da soli quando hanno messo da parte qualche risparmio, o uno di quei piccoli alloggi che può avere un pensionato che è riuscito a mettere qualche cosa da parte per la vecchiaia. È a tutti costoro che noi portiamo un aiuto. A coloro che possiedono dai tre ai dieci milioni, noi portiamo un’attenuazione per quelli che pagano in sede di progressiva e in sede di proporzionale; lasciamo invece immutata la situazione per coloro che pagano solo in sede di progressiva, il che significa che possiedono solo beni mobiliari.
Il significato del nostro emendamento è questo: venire veramente in aiuto ai piccolissimi proprietari; attenuare il gravame per i piccoli proprietari che possiedono dai 3 ai 10 milioni; per coloro, però, che non pagano in sede di imposta proporzionale – il che vuol dire che non hanno case, terreni, ecc., ma possiedono ricchezze mobiliari, e per i quali è facile anche l’evasione – per questi pare a me che le aliquote della legge, così come sono, sono giuste, e non sono eccessive.
L’efficacia del nostro emendamento consiste nel fatto di venire incontro proprio alla difficile situazione che si è creata per molta gente. Io mi atterrò alla raccomandazione del Presidente e non vi darò lettura delle infinite lettere che mi sono arrivate con segnalazioni di casi diversi l’uno dall’altro, ma vi dirò che qui noi possiamo veramente portare un aiuto effettivo senza gran danno per la Finanza. C’è un limite al di là del quale ci si illude di riscuotere di più – e magari si riscuote di più in un primo momento – ma si arreca un danno che si ripercuote in seguito a danno delle finanze dello Stato.
Arrivato a questo punto, io credo che i colleghi presentatori di altri emendamenti dovrebbero riconoscere che la loro esigenza trova una soluzione più razionale in questo nostro emendamento e perciò io penso che essi potranno associarsi a noi per ottenere l’approvazione dell’Assemblea su questo punto.
Quali critiche si sono fatte a questo emendamento? Una delle critiche è stata questa: ma è proprio vero che questi piccoli proprietari non possono pagare? La realtà dimostra che si è già riscattato l’imposta per dieci miliardi, il che vuol dire che i mezzi per pagare l’imposta ci sono.
Questo ragionamento pecca di astrattismo: si crea un tipo di contribuente ed a quello si assimilano tutti gli altri contribuenti.
Ora i dieci miliardi di riscatto non sono gran cosa rispetto al gettito complessivo della proporzionale. D’altronde coloro che oggi riscattano possono essere benissimo i proprietari medi o grossi, i quali hanno un notevole beneficio con lo sconto che la legge concede. E il fatto che una parte dei contribuenti è in grado di riscattare non è una ragione per ammettere che tutti siano in grado di pagare l’imposta. Allo schematismo che pone tutti i contribuenti sul piano di coloro che hanno possibilità di riscatto, bisogna sostituire una valutazione socialmente ed economicamente differenziata dei contribuenti, per cui ci sono categorie e classi sociali che sono in condizioni di pagare l’imposta, ma vi sono altre che non sono in queste condizioni.
Per queste ragioni non mi convince l’argomento del riscatto. Io non sono sicuro che noi non faremo involontariamente del danno approvando la legge così com’è. Non bisogna mai dimenticare che nei problemi finanziari è essenziale il loro fondamento economico. La finanza è sempre subordinata all’economia e un risanamento finanziario non si ottiene senza il risanamento economico.
Quando si prendono provvedimenti finanziari che, come questo, arrivano ai margini della capacità contributiva, bisogna saper valutare bene e tener conto del limite di resistenza economica dei contribuenti, e quel limite marginale non deve essere superato perché, se si supera, noi distruggiamo una serie di piccole entità produttive che pure sono attività concrete nella vita economica del Paese.
Colpendo le piccolissime proprietà, che sono strumento e mezzo di lavoro, noi arrischiamo di mettere in dissesto una moltitudine di piccoli contribuenti; e così non solo rechiamo danno all’economia del Paese, ma indirettamente rechiamo un danno anche alle finanze dello Stato perché distruggiamo una attività creatrice di reddito che concorre al pagamento delle imposte ordinarie. In tal modo si costruisce sulle sabbie mobili e si preparano nuovi collassi finanziari.
È perciò che io raccomando al Ministro delle finanze di tener presente questo aspetto particolare della legge, e di ricordare che oggi vi sono in Italia milioni di piccoli artigiani, di piccolissimi proprietari che attendono con ansia l’esito del voto su questo emendamento, perché da esso dipende per molti la possibilità di lavorare e di vivere con una certa tranquillità oppure di vedersi spalancare dinanzi il baratro della miseria e della rovina.
Onorevole Ministro, accolga il nostro emendamento. Lei farà così opera politicamente saggia e moralmente giusta!
PRESIDENTE. L’onorevole Mazzei ha presentato un emendamento del seguente tenore:
«Dopo il primo comma aggiungere:
«Quando il minimo imponibile ai fini del pagamento dell’imposta ordinaria sia inferiore alle lire 200 mila, i contribuenti saranno esentati dal pagamento dell’imposta straordinaria proporzionale».
Da facoltà di svolgerlo.
MAZZEI. L’emendamento da me presentato è di per sé molto chiaro. Si tratta di elevare il minimo imponibile all’imposta proporzionale straordinaria da cento mila a duecento mila lire. Tutte le considerazioni che testé ha fatte l’onorevole Scoccimarro per patrimoni ben più alti, in difesa delle esigenze della piccola proprietà vanno ripetuti per dei patrimoni piccolissimi quali sono quelli fino alle lire duecentomila. Va osservato in particolare che i patrimoni fino a duecentomila lire sono, almeno di regola, patrimoni che non danno redditi liquidi: sono, di solito, la piccola casetta del contadino oppure il piccolo orto o il piccolo appezzamento che servono, l’una all’uso diretto di chi lo abita, l’altro a fornire prodotti alimentari al diretto consumo della famiglia di chi lo possiede. Quindi colpire con una imposta, che lo stesso onorevole La Malfa ha dichiarato senz’altro gravosa nella sua relazione, questi patrimoni, significa colpire la piccola proprietà in modo veramente eccessivo. E ciò non è ammissibile da un punto di vista sociale e di giustizia tributaria. Non vi è, d’altra parte, neppure probabilità alcuna che questi piccoli patrimoni diano, attraverso un pagamento immediato, attraverso il riscatto dell’imposta, un notevole contributo all’erario perché sono patrimoni che non danno di regola, redditi liquidi immediatamente disponibili. Né l’onere o, per lo meno, il danno che viene al fisco dalla limitazione del gettito dell’imposta è tale da poter escludere l’elevazione del minimo imponibile. Noi repubblicani, durante la discussione sulla patrimoniale, siamo partiti dal concetto di badare soprattutto alle esigenze del bilancio dello Stato; ci siamo, diremmo, messi piuttosto dal punto di vista del Ministro delle finanze che dal punto di vista dei contribuenti. Noi repubblicani abbiamo seguito rigorosamente questa linea, perché riteniamo che salvare la situazione dell’Erario, che è totalmente esausto, e salvare il bilancio, se ci si riesce, può essere di ben maggior vantaggio per i piccoli proprietari e per le classi medie, che oggi sono le più duramente colpite, di quanto non sia il beneficio immediato di un alleviamento tributario. Ma questo criterio nostro di badare all’esigenza generale di assicurare il massimo gettito dell’imposta per dare la massima prosperità all’Erario, trova qui una necessaria eccezione. Perché c’è un limite oltre il quale l’imposta diventa non più suscettibile di un pagamento normale e finirebbe per non potere essere pagata che facendosi ricorso alla vendita del cespite colpito, che nella specie è costituito dalla casetta di abitazione dell’artigiano e dal piccolo appezzamento di terra del coltivatore diretto e via dicendo. Quindi mi pare che la legittimazione, da un punto di vista sociale, della esenzione richiesta è indubbia. E se vi è una limitazione del gettito dell’imposta, come vi sarà, mi pare che essa debba essere sopportata dall’Erario perché, indubbiamente, il problema di un’imposta straordinaria è proprio quello di trovare il punto di giusto equilibrio fra le possibilità del contribuente e le esigenze dell’Erario, specie quando si tratta dei piccoli patrimoni che vanno particolarmente tutelati e protetti.
Non aggiungo perciò altro. Faccio presente che l’onorevole Dugoni, che ha presentato un emendamento analogo al mio, mi ha incaricato di dire che egli è disposto ad aderire al mio emendamento, nel caso io aggiungessi ad esso un capoverso per l’esenzione dei patrimoni delle pubbliche istituzioni di beneficenza e di assistenza.
Lo faccio senz’altro. Il mio emendamento, in definitiva, viene quindi così formulato:
«Quando il minimo imponibile ai fini della imposta straordinaria sia inferiore alle 200 mila lire, i contribuenti saranno esentati dal pagamento di un’imposta straordinaria proporzionale.
«Saranno esentati altresì i patrimoni delle pubbliche istituzioni di beneficenza e di assistenza».
PRESIDENTE. Onorevole Dugoni, aderisce all’emendamento dell’onorevole Mazzei con raggiunta del capoverso?
DUGONI. Mi riservo di esprimere la mia opinione quando svolgerò il mio emendamento.
MAZZEI. Avverto infine, che ho presentato un emendamento all’articolo 72 che è alternativo con questo. Se questo passasse, rinuncerei all’emendamento all’articolo 72.
PRESIDENTE. L’onorevole Micheli ha facoltà di svolgere il suo emendamento presentato insieme con i colleghi Valenti, Fantoni, Tessitori, Marconi, Pallastrelli, Canapa e così concepito:
«Aggiungere, in fine:
«Sono esenti dall’imposta straordinaria proporzionale i terreni esentati dall’imposta fondiaria a norma del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 7 gennaio 1947, n. 12».
MICHELI. Parlerò brevemente, per quanto l’argomento sia importante e grave, perché io ho già avuto l’onore di svolgerlo altre due volte in questa Assemblea: nell’occasione delle comunicazioni del Governo, quando ricordando come lo Stato nostro avendo creduto di dare questo premio a coloro i quali restavano nelle terre lontane per coltivarle e quasi custodirle non dirò contro al nemico, ma di fronte alle intemperie che apportavano ingenti danni, io sostenni che non si poteva attraverso i meandri della burocrazia e alla richiesta di singolari documenti come perizie e carte topografiche, diminuire quello che era il valore della concessione che il Governo aveva creduto di fare a questa brava gente meritevole di ogni più grande considerazione nostra, perché in altis habitat.
Lo dissi allora e l’ho ripetuto anche in questa stessa discussione, quando si è parlato nella prima parte dell’imposta progressiva. Allora il Ministro mi ha avvertito come in quella sede poteva essere meno opportuna la mia proposta e così insieme alle richieste di coloro i quali hanno accennato alla opportunità di particolari riguardi alla piccola proprietà nell’applicazione dell’imposta proporzionale, ho presentato ancora il mio emendamento in questa sede, giacché nelle terre a tale altitudine è quasi esclusivamente prevalente la piccola proprietà. Poco debbo aggiungere a quello che dissi allora, perché effettivamente la questione è molto semplice. Noi colpiamo coloro i quali pagano. Perché vogliamo cercare di colpire coloro i quali sono stati esentati dal pagare la imposta fondiaria colla legge che è indicata nel mio emendamento? Non capisco: o si è sbagliato allora o si sbaglia adesso. Ma io dico che non si sbagliò allora, con la concessione fatta a quella gente, che sta nelle più alte pendici del nostro Paese, lontana da ogni comodità, in luoghi impervi ed inospitali, per cercare di rendere feconde quelle zolle. Lo Stato, dal 1° gennaio 1947, ha concesso questo beneficio. Ora noi cerchiamo di toglierlo inviando una cartella, nella quale tutti questi tributi, che dal principio d’anno non sono stati pagati, sono concretati in un maggiore ed insostenibile gravame?
Ecco perché io ho voluto portare queste rivendicazioni, confortato da tanti colleghi, che allora hanno aderito al mio pensiero; perché effettivamente la questione dei 700 metri e dei suoi tributi si discute da anni nel libero Parlamento ed è stata accolta per la prima volta nella provincia di Aosta per la sua sovrimposta: simpatica affermazione di una provincia a bilancio modesto e limitato.
In seguito, anche lo Stato si è persuaso di questo ed ha concesso questo sgravio alla piccola proprietà montana. Con molto piacere ho visto che la piccola proprietà ha trovato in quest’Aula tanti sostenitori. Io che la sostengo in quest’Aula da 40 anni, vedo che la nostra coorte è aumentata e mi auguro che essa possa giungere finalmente alla vittoria. La piccola proprietà, se deve rimanere nella sua forza e rispondenza sociale, non deve essere soppressa o frantumata dagli aggravi fiscali, dai vecchi, che sembravano già troppo gravosi, a quelli che si vuole aggiungere e che porterebbero la piccola proprietà alla sua scomparsa.
Voglio sperare che i colleghi siano persuasi di questo e che essi mi seguiranno in questa via con il loro voto.
Il Ministro delle finanze, nel giorno in cui io levai la voce per chiedere questo beneficio, forse in un momento meno adatto, con quella grande cortesia che egli adopera nel rispondere, fece quasi comprendere che egli avrebbe aderito in questa sede. Ed io spero che egli vorrà venire incontro a quelle forti popolazioni, che abitano sull’alto Appennino e sulle Alpi quasi a custodia dei nostri confini, in zone scarsamente produttive. Abbiamo visto con grande piacere che anche gli antiregionalisti più accesi, di fronte alle Regioni di confine, hanno diminuito il loro calore ed hanno finito con l’accedere. Questi confini hanno sempre una grande importanza. Lo Stato, è vero, ha bisogno di aiuto. Ma che aiuto può dare questo popolo bisognoso che vive in luoghi di scarsa produttività lontani ed impervi? Esso ha bisogno del conforto dell’Assemblea, la quale dica loro: continuate a rimanere lassù, scolte vive di stirpe indefessa al suo lavoro, legata alla sua terra, e fecondate quelle zolle colla vostra diuturna fatica. L’Assemblea vi ha compreso e cercherà insieme col Governo della Repubblica di premiare la vostra fedele attività ed il vostro lavoro. (Applausi).
PRESIDENTE. L’onorevole Dugoni ha presentato il seguente emendamento:
«Aggiungere, in fine:
«Sono esentati dall’imposta:
- a) i contribuenti il cui imponibile ai fini dell’imposta proporzionale non raggiunga le lire duecentomila;
- b) i patrimoni delle pubbliche istituzioni di beneficenza».
Ha facoltà di svolgerlo.
DUGONI. Io sono dell’opinione che i presentatori dei diversi emendamenti all’articolo 88 hanno un minimo comune denominatore, e che questo minimo comune denominatore può essere stabilito in una brevissima riunione dei presentatori di questi emendamenti, durante una sospensione dei lavori dell’Assemblea. Io chiederei, pertanto, una brevissima sospensione allo scopo di far riunire i presentatori di emendamenti, la rappresentanza della Commissione delle finanze e forse anche il Ministro, per concordare insieme una linea di condotta nei riguardi dell’articolo 68 e degli sgravi fiscali.
Mi riservo d’illustrare il mio emendamento, qualora la mia proposta non fosse accettata.
PRESIDENTE. Credo che i colleghi possano essere d’accordo sul principio espresso dall’onorevole Dugoni.
Procediamo comunque nello svolgimento dei restanti emendamenti. L’onorevole Castelli Edgardo, unitamente ai colleghi Perlingieri e Balduzzi, ha presentato un emendamento all’articolo 72, che potrebbe essere adattato anche alla norma dell’articolo 68; i presentatori dell’emendamento hanno infatti espresso il desiderio che l’emendamento sia spostato. Esso è del seguente tenore:
«Aggiungere, dopo il secondo comma:
«L’usufruttuario può rivalersi verso il proprietario della quota di imposta afferente al valore della nuda proprietà, fatte le valutazioni ai sensi dell’articolo 14».
CASTELLI EDGARDO. Onorevole Presidente, lasciamo a lei di decidere se si debba discutere in sede di articolo 68 od in sede all’articolo 72.
PRESIDENTE. Ritengo opportuno discuterlo quando tratteremo dell’articolo 72.
Gli onorevole Vigorelli, D’Aragona, Preti, Corsi e Tremelloni hanno presentato il seguente emendamento aggiuntivo che è stato già svolto:
«Sono esenti dall’imposta i patrimoni mobiliari e immobiliari delle Istituzioni pubbliche di assistenza, compresi gli Enti comunali di assistenza (e Opere pie dipendenti), che fruiscono di contributi permanenti dello Stato».
L’onorevole Basile ha presentato il seguente emendamento:
«Sono esenti dall’imposta i patrimoni mobiliari e immobiliari degli Ospedali, Opere pie e istituti pubblici di assistenza e beneficenza».
Non essendo presente, si intende che vi abbia rinunciato.
Vi è ora l’emendamento presentato dall’onorevole Bovetti:
«Aggiungere, in fine, il seguente comma:
«Sono esenti dall’imposta proporzionale le Istituzioni e gli Enti di beneficenza, assistenza e gli Enti locali».
«Oppure:
«Per gli enti e le istituzioni di beneficenza, assistenza e per gli enti locali è mantenuta la rateazione stabilita con la legge sulla imposta ordinaria sul patrimonio».
L’onorevole Bovetti non è presente.
BUBBIO. Faccio mio l’emendamento Bovetti, rinunziando a svolgerlo, dato che esso è di per sé chiarissimo.
PRESIDENTE. Ritengo che si possa fondere l’emendamento Bovetti con l’articolo aggiuntivo dell’onorevole Vigorelli. È d’accordo, onorevole Vigorelli?
VIGORELLI. Sono d’accordo.
PRESIDENTE. C’è, per ultimo, l’emendamento dell’onorevole Mannironi, che è del seguente tenore:
«Tra il primo ed il secondo comma inserire il seguente:
«Per la Sardegna, nella valutazione dei patrimoni da farsi a norma del decreto legislativo 31 ottobre 1946, n. 382, si adotterà il coefficiente di maggiorazione 6 per i terreni e 3 per i fabbricati».
L’onorevole Mannironi ha facoltà di svolgerlo.
MANNIRONI. Desidero brevemente illustrare il mio emendamento, perché ha bisogno di qualche chiarimento almeno per taluni colleghi.
Onorevoli colleghi, abbiate pazienza se vi parlerò di questioni, direi, regionali, che si riferiscono alla Sardegna.
Debbo fare questa premessa, perché mi rendo conto dello stato d’animo dei colleghi, che si sono sentiti ieri parlar troppo della Sardegna e potrebbero essere infastiditi dal fatto che se ne parli anche oggi.
La ragione per cui ho presentato questo emendamento all’articolo 68 è fondata su particolarissime condizioni economiche nelle quali la Sardegna è venuta a trovarsi immediatamente dopo la fine della guerra e negli anni successivi dal 1943 al 1945. È stata una condizione veramente particolare, nella quale non si sono venute a trovare altre Regioni della penisola. Subito dopo la guerra, la Sardegna rimase tagliata fuori dal resto della penisola e non ebbe la possibilità materiale di corrispondere con essa. Cera una difficoltà di natura bellica e post-bellica per cui le comunicazioni erano materialmente interrotte.
In questo primo momento, che durò circa un anno, avvenne che la Sardegna dovette provvedere autarchicamente a tutte le sue necessità ed avvenne anche che gli scambi tra l’Isola ed il Continente rimasero interrotti, per cui non solo non si facevano uscire dall’Isola i prodotti che l’Isola abitualmente esportava, ma nemmeno poterono affluire altri beni o capitali nell’Isola. L’ondata inflazionistica che si determinò nell’Italia meridionale in seguito all’invasione anglo-americana e quella che si determinò nell’Italia settentrionale per effetto della fabbricazione della carta moneta, da parte del governo nazi-fascista, non si estese alla Sardegna dove non vi fu alcun fenomeno inflazionistico perché mancò la possibilità di fare affluire i capitali nell’Isola stessa.
Non essendovi quindi stata una inflazione, avvenne che anche il regime dei prezzi rimase necessariamente contenuto.
Io potrei citarvi delle cifre per dimostrarvi come vi fosse una nettissima distinzione tra il costo dei prodotti in Sardegna e quelli della penisola durante lo stesso periodo. Cito il caso del prodotto più importante per noi: il formaggio. Quando costava nella penisola 600 lire, da noi costava appena 80 lire.
Seguì poi un altro momento altrettanto difficile, che portò una alterazione nelle leggi normali dell’economia.
La situazione si determinò soprattutto per effetto di una politica economica seguita dalle autorità isolane e dall’Alto Commissario, coadiuvati dalla Giunta regionale: siccome le autorità isolane si preoccupavano che un livellamento dei prezzi potesse determinarsi bruscamente e rapidamente, si preoccupavano di regolarli e mantenerli, soprattutto impedendo che i prodotti isolani (formaggio, ricotta, carne, ecc.) potessero uscire dall’Isola.
Si determinò una situazione che potrà sembrare assurda, ma che è una realtà di fatto e di cui oggi non si può non tenere conto. La situazione particolarissima è stata questa: che nello stesso territorio dello Stato, rispetto alla Sardegna, si determinava quasi una situazione come fra Stato e Stato. Erano impedite, come avviene in parte anche oggi, dall’Alto Commissariato della Sardegna le esportazioni: figuratevi che si chiamano «esportazioni» tutti quelli che sono movimenti di merci e di capitali tra l’Isola e la Penisola.
Ora, questa singolare situazione economica ha determinato una contrazione, una compressione, un contenimento dei prezzi, per disposizioni d’imperio, per cui ancora oggi se ne risentono le conseguenze.
Ad esempio, la Sardegna, che avrebbe potuto in questo ultimo periodo mandare nella penisola una notevole quantità di bestiame bovino, non lo può fare perché vi è ancora un divieto dell’Alto Commissario.
Ora, tutto questo ha fatto sì che la classe più importante dell’Isola, quella dei produttori agricoli (armentari e coltivatori) – che sono l’ossatura e la spina dorsale dell’economia isolana – non possono esitare i loro prodotti ai prezzi giusti della penisola e, perciò, sono messi nella condizione di non poter realizzare dei grossi capitali.
Quindi, in Sardegna non vi è stata l’inflazione, e per effetto della compressione dei prezzi dei prodotti, vi è stata necessariamente – per le leggi economiche che voi conoscete – una stasi, una riduzione dei valori dei beni capitali. Ora mi si è risposto ed obiettato che, quando noi oggi maggioriamo col coefficiente 10 i valori medi capitali che i beni avevano nel triennio 1937-1939, siamo sempre al di sotto della realtà, perché, si dice, se si dovesse tenere conto effettivamente del valore reale dei beni, quel coefficiente 10 dovrebbe essere portato a 20, e a 30, in taluni casi. Lo rilevava del resto anche l’onorevole Scoccimarro riferendosi alla distinzione tra il valore fiscale e il valore reale dei beni.
Io posso ammettere che, generalmente parlando, questo sia esatto; posso cioè ritenere che effettivamente per i beni capitali della Penisola il coefficiente 10 non rappresenti il valore dell’aumento effettivo di capitali; ma, se questo è vero ed esatto per i beni della Penisola, non lo è assolutamente per i beni dell’Isola. Potrei dirvi, signori, che se voi usate un trattamento particolare di benevolenza e di buon trattamento e di beneficio per i detentori di beni immobili della Penisola, evitando volutamente inasprimenti fiscali, voi stabilite però una sperequazione nei confronti dei proprietari di beni immobili dell’Isola, in quanto, mentre questi pagherebbero il valore giusto dei loro beni, i detentori di beni nella Penisola, non pagherebbero con lo stesso criterio e per il valore giusto.
Perché voi possiate avere una idea degli effetti finanziari che può avere l’accoglimento del mio emendamento, vi dirò che l’imposta patrimoniale ordinaria in Sardegna avrebbe dovuto dare un gettito di 135 milioni; la proporzionale straordinaria dovrebbe dare un miliardo e 375 milioni circa. Se voi accoglieste l’emendamento che io ho proposto, per lo Stato si avrebbe un lucro cessante di poco meno o poco più di mezzo miliardo. Ora, per lo Stato, questo rappresenta una duecentesima parte del gettito complessivo previsto dell’imposta patrimoniale proporzionale, mentre – nei riflessi e nei riguardi dei nostri piccoli produttori – costituirebbe un notevole beneficio in quanto rappresenterebbe un sensibile alleggerimento della pressione fiscale attuale.
Ma credo abbia soprattutto, onorevole colleghi, un valore morale e un valore politico, perché finalmente si potrebbe avere la dimostrazione che tutta la benevolenza e la simpatia che si usa per l’Isola da parte della classe dirigente politica italiana non si riduce soltanto a buone parole e a manifestazioni verbali ed accademiche di comprensione dei nostri bisogni, ma si concreta in manifestazioni reali di beneficio. E l’occasione migliore per dimostrarlo mi pare sia questa, onorevoli colleghi. Non è – badate – una delle solite querimonie di cui noi meridionali ed isolani siamo accusati. Noi non vogliamo qui sottrarre niente allo Stato; ma fare soltanto una questione di giustizia. Penso che non adempirei fedelmente ai miei doveri di rappresentante della Regione nell’Assemblea, se non presentassi a voi questa situazione di cui voi, membri dell’Assemblea, dovrete tener conto, anche se siete preoccupati di evitare tutte le possibili evasioni, anche se l’onorevole Relatore e l’onorevole Ministro a nome del Governo, mostrano di temere che con ciò si venga ad agevolare delle scappatoie che potrebbero condurre ad un assottigliamento del gettito dell’imposta.
Ripeto che voi, accogliendo il mio emendamento, non arrecate alcun danno allo Stato, ma fate un atto di giustizia verso una Regione di cui ieri si è tanto parlato. Se dunque ieri si è parlato della Sardegna a proposito della sua autonomia, è bene che teniate presente, onorevoli colleghi, che la Sardegna non ha bisogno soltanto di autonomia, ma ha bisogno anche di interventi tempestivi e di benefici diretti da parte dello Stato. (Applausi al centro).
DUGONI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DUGONI. Onorevole Presidente, io ho fatto una proposta formale di sospensione e dichiaro di insistervi.
Ho rinunziato a svolgere il mio emendamento in vista appunto della sospensione; ma se questa sospensione non vi dovesse essere, – evidentemente – avrei il diritto di svolgere il mio emendamento.
LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LA MALFA, Relatore. Desidero pregare gli onorevoli colleghi che hanno presentato emendamenti a questo articolo di volerli svolgere.
Proporrò anche, quando lo svolgimento degli emendamenti sarà esaurito, di votare per divisione, così da potere esaminare più a fondo certi argomenti.
CAPPI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CAPPI. Circa la proposta di sospensione, vorrei osservare al collega Dugoni che io credo che per rendere utile la sospensione sarebbe opportuno che lo stesso onorevole Dugoni e l’Assemblea sentissero almeno annunziare un nuovo emendamento che potrebbe influire sulla decisione.
LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LA MALFA, Relatore. Insisto nell’affermare che è opportuno, prima di decidere intorno a qualsiasi nuovo emendamento concordato, sentire il parere della Commissione.
PRESIDENTE. Chiedo al Ministro il suo parere sulla proposta di sospensione.
PELLA, Ministro delle finanze. Non ho particolari preferenze in un senso o nell’altro; poiché però l’onorevole Relatore ha espresso al riguardo un suo punto di vista, volentieri lo accetto.
PRESIDENTE. Pongo ai voti la proposta dell’onorevole Dugoni di sospendere per qualche tempo la seduta onde dar modo ai presentatori degli emendamenti di addivenire ad un accordo.
(Non è approvata).
DUGONI. Chiedo allora di svolgere il mio emendamento.
PRESIDENTE. L’onorevole Dugoni ha facoltà di svolgere il seguente emendamento, di cui ricordo il testo:
«Aggiungere, in fine:
«Sono esentati dall’imposta:
- a) i contribuenti il cui imponibile ai fini dell’imposta proporzionale non raggiunga le lire duecentomila;
- b) i patrimoni delle pubbliche istituzioni di beneficenza».
DUGONI. Le ragioni per le quali abbiamo insistito per la modifica dell’articolo 68 sono state ripetute sia in sede di imposta progressiva, sia, dettagliatamente, oggi in sede di discussione sull’imposta proporzionale. Noi abbiamo avuto la convinzione che sarebbe stato possibile, attraverso un incontro fra i diversi presentatori di emendamenti, molti dei quali identici nelle loro finalità al mio, la Commissione e il Governo giungere ad un testo concordato.
Mi stupisce il desiderio del Relatore che si discutano prima gli emendamenti, e poi si venga ad una conciliazione. A me pareva che, prima che la Commissione finanze e tesoro esprimesse un parere e quindi mettesse ciascuno di fronte ad una determinata soluzione e posizione, sarebbe stato infinitamente meglio che ci fossimo riuniti per cercare di trovare un accordo, tanto più che l’onorevole Scoccimarro ha spiegato con molta chiarezza e abbondanza di dati che effettivamente siamo di fronte ad un articolo che porta ad una sperequazione delle posizioni tributarie dei diversi contribuenti. La dimostrazione dell’onorevole Scoccimarro non ha bisogno di essere ripetuta, perché – come ho detto – è matematica ed estremamente elementare. Quindi, su questo punto, non si faccia illusioni il Governo e non si faccia illusioni il Relatore: sul punto della modifica dell’articolo 68 vi è una maggioranza che si è formata dentro l’Assemblea, proprio perché si deve in qualche modo ovviare agli inconvenienti di una sperequazione tributaria in una legge che ha un peso non indifferente, come questa: perché l’articolo 68 grava di ben 4 per cento tutti i cespiti i quali superino la modesta somma di centomila lire.
Ora, noi, come partito, sosteniamo appieno l’emendamento Pesenti, Scoccimarro, ecc., alla cui elaborazione abbiamo partecipato. Spiego la ragione per cui l’emendamento da me presentato si discosta in modo notevole da quello degli onorevoli Pesenti e Scoccimarro. La ragione è questa: noi crediamo – ed è molto probabile che così sia – che una rinuncia dello Stato pura e semplice ad una parte cospicua dell’imposta, come quella proposta nell’emendamento Pesenti-Scoccimarro, non si possa probabilmente avere. Ed allora abbiamo cercato una via di conciliazione. Su questa via di conciliazione noi volevamo veder venire anche la Commissione e il Governo. Purtroppo la Commissione e il Governo preferiscono che si faccia la discussione.
CAPPI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CAPPI. Onorevoli colleghi, una parola breve, ma che riguarda tutti gli emendamenti, all’infuori forse di quello dell’onorevole Micheli.
Tutti questi emendamenti hanno uno scopo: favorire la piccola proprietà nel pagamento dell’imposta proporzionale sul patrimonio.
Ora, onorevoli colleghi, propugnare delle esenzioni fiscali è facile ed è simpatico, ma vi è un limite, un limite che riguarda non questo o quel governo, ma che riguarda lo Stato. Perché non dobbiamo dimenticare che quando gli effetti di queste due imposte – sia la progressiva che la proporzionale – si faranno sentire, saranno già avvenute le elezioni ed è probabile (sperabile o deprecabile a seconda dei punti di vista) che un altro Governo sia al posto di quello attuale.
Quindi noi dobbiamo renderci conto delle esigenze dello Stato, a prescindere dal Governo che a un dato momento lo dirige.
Io personalmente sono contrario a tutti gli emendamenti i quali tendono a delle esenzioni dall’imposta proporzionale ordinaria. Però (e questo ho preannunciato all’onorevole Dugoni) io con molti altri colleghi ho presentato un emendamento all’articolo 72 che mi riservo di svolgere allora; ma, poiché non è stampato ancora, è molto opportuno che io ne dia lettura. Io propongo: «Il termine di pagamento dell’imposta proporzionale ordinaria è portato a dieci anni per le opere pie e per gli enti morali» (e con questo vengo incontro agli emendamenti che vorrebbero addirittura l’esenzione) «a cinque anni il termine per l’imposta gravante sui fabbricati soggetti a vincolo di canone e a cinque anni per i terreni e i fabbricati gravati da imposta non superiore a lire 60.000. Per i casi di pagamento quinquennale, l’abbuono in caso di riscatto sarà del 25 per cento».
Gli onorevoli colleghi hanno avvertito che si tratta di miglioramenti massicci, perché si tratta di portare il termine di pagamento da un anno a dieci anni e a cinque anni, il che solleva di molto il carico dei contribuenti.
Il ragionamento dell’onorevole Scoccimarro (perché è principalmente a proposito del suo emendamento che ho chiesto di parlare), il ragionamento dell’onorevole Scoccimarro attrae, in quanto si basa su quel principio di giustizia che si chiama della perequazione fiscale. Egli ha cercato di raggiungere la perequazione fra i contribuenti all’imposta proporzionale ordinaria e i contribuenti all’imposta personale progressiva. Ma l’onorevole Scoccimarro ha dimenticato un dato di fatto essenziale: che per l’imposta progressiva personale si tratta di un nuovo tributo che creiamo in questo momento, ma per l’imposta proporzionale si tratta di un tributo che già esisteva e per il quale si propone il riscatto.
Ora, (riferendomi ad una cortese polemica che ho avuto con l’onorevole Scoccimarro sulla stampa in questi giorni) l’onorevole Scoccimarro ricorderà che nel gennaio scorso egli ammetteva l’opportunità di disporre il riscatto, cioè il pagamento anticipato dell’imposta proporzionale, però aggiungeva che questo riscatto doveva essere circondato da tali accorgimenti che evitassero il pericolo che il contribuente, per pagare, dovesse essere costretto ad alienare il proprio patrimonio.
Ora, pare a me – se vogliamo essere sereni e obiettivi – che quando per i piccoli patrimoni, per le opere pie e per i fabbricati soggetti al vincolo degli affitti diamo tempo cinque anni, senza interesse, per pagare, il pericolo che il contribuente debba alienare il proprio patrimonio è completamente evitato. Non esiste.
Quindi, io vorrei che i colleghi dell’Assemblea si rendessero conto dell’importanza di questa rateazione di dieci e cinque anni, che io confido il Governo voglia accettare.
Aggiungo (e prendo argomento dallo stesso onorevole Scoccimarro) che noi tutti sappiamo bene che i valori, agli effetti fiscali, dell’imposta proporzionale ordinaria, sono di gran lunga inferiori ai valori reali e, a differenza dei valori dell’imposta progressiva personale, non sono soggetti ad accertamento ulteriore da parte della Finanza. Sono quelli che sono, cioè gli imponibili che sono a ruolo attualmente.
Faccio inoltre presente all’onorevole Scoccimarro ed alla sua sensibilità ed acutezza finanziaria che il suo emendamento porterebbe uno sconvolgimento e un turbamento notevoli nel pagamento dell’imposta proporzionale ordinaria; perché egli vuol ridurre il tributo del 75, 50 e 25 per cento correlativamente all’accertamento definitivo del patrimonio agli effetti dell’imposta progressiva. Ma questo accertamento lo avremo tra due o tre anni, così che, praticamente, per due o tre anni, per una larga zona di contribuenti, lo Stato non potrà incassare nulla.
Concludo. Sembra a me che ci si debba mantenere entro limiti ragionevoli che tengano conto delle esigenze supreme, non di questo o quel Governo ma dello Stato, a difesa soprattutto della lira che deve interessare specialmente piccoli e medi proprietari. Mi pare che se il Governo e la Commissione accettano questa larghissima modifica nella rateazione del pagamento dell’imposta, questo nostro dovere verso i piccoli e medi proprietari sia adempiuto. (Applausi al centro).
SCOCA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SCOCA. Signor Presidente, mi pare che quanto ora si sta dicendo sposti la discussone dal terreno tecnico sul terreno politico. Non avrei pensato che la disposizione dell’articolo 68 della legge avesse dato luogo a questa discussione la quale va al di là dei limiti tecnici della legge stessa. Sono stati proposti vari emendamenti i quali urtano proprio contro le esigenze tecniche. Noi abbiamo qui due imposte: una imposta progressiva che colpisce il complesso del patrimonio, ed una imposta proporzionale che colpisce il patrimonio nelle sue singole parti. Il voler unire l’imposta proporzionale con l’imposta progressiva, vuol dire violare un principio tecnico dell’imposizione; vuol dire addizionare o detrarre due entità che sono discordi fra di loro.
SCOCCIMARRO. Ma è proprio questo che non bisognava fare.
SCOCA. Onorevole Scoccimarro, quando lei dice che non bisognava far questo, mi consenta di affermare che io sono dello stesso parere. Personalmente, io sono dello stesso parere; però le ricordo che lei non era dello stesso parere. Io ricordo che quando lei, il 12 febbraio di questo anno, prese la parola sulle dichiarazioni del Governo e pronunciò un elegantissimo discorso, trattò anche dell’imposta straordinaria sul patrimonio e dell’imposta proporzionale. L’idea è sua, onorevole Scoccimarro. Ho qui il suo discorso e leggo il brano che si riferisce all’imposta di cui oggi stiamo discutendo. «Secondo provvedimento: noi abbiamo nel nostro sistema una imposta istituita nel 1939 per ragioni di guerra; l’imposta ordinaria sul patrimonio. Ora, logicamente, questa imposta oggi bisognerebbe abolirla perché è finita la guerra. Però io penso che se la guerra è finita le conseguenze della guerra stanno ancora innanzi a noi; ed allora si può organizzare il riscatto di questa imposta e farla contribuire a facilitare l’opera di ricostruzione. Questa imposta ha oggi un imponibile di 250 miliardi. Basterebbe chiedere, a me pare, il 3 per cento per il riscatto e realizzare una entrata di 75 miliardi».
PRESIDENTE. Onorevole Scoca, vediamo di stringere questa discussione: con la polemica non si finirebbe più.
SCOCA. Non è questione di polemica politica. Io non sarei sceso su questo terreno. Io dicevo che voler unire l’imposta proporzionale con l’imposta progressiva, col legame il quale si ravvisa nell’emendamento Scoccimarro, Pesenti ed altri, vuol dire addizionare entità diverse.
Questo dicevo. Siccome c’è stata l’interruzione dell’onorevole Scoccimarro, il quale ha detto che era proprio questo che non bisognava fare, ho voluto ricordare che proprio lui voleva questo congiungimento.
SCOCCIMARRO. Non è vero, poi spiegherò.
SCOCA. Quello che sia avvenuto fuori di qui, lo ignoro. Io so che lei ha pronunciato un discorso il 12 febbraio di quest’anno e in questo discorso v’è il periodo che ho letto.
SCOCCIMARRO. Non è vero. Io ho detto un’altra cosa. Si trattava di riscatto indipendente dall’imposta straordinaria e concepito in modo del tutto diverso dall’attuale imposta proporzionale. Qui invece si tratta di una imposta straordinaria del 4 per cento. Il riscatto che io proponevo era un’altra cosa.
SCOCA. Che cosa vuol dire, onorevole Scoccimarro, riscatto se non pagare in una unica soluzione una determinata imposta ed abolire questa imposta? Il concetto non è che questo: pagare in un’unica soluzione o in breve periodo di tempo 10 annualità ed abolire l’imposta. Questo vuol dire «riscatto». Semmai, posso osservare che il riscatto avrebbe dovuto farsi a condizioni più onerose; viceversa si è richiesto non il pagamento delle rate che bisognava richiedere, ma il pagamento di un minor numero di rate.
Si è fatto così il riscatto a condizioni favorevoli. Quando si abolisce un’imposta col pagamento di una determinata somma, vuol dire che si fa il riscatto di quella imposta. Non saprei vedere diversamente. Di modo che l’onorevole Scoccimarro proponeva che l’imposta, da conglobarsi in un anno, perché egli pensava che questo fosse un rimedio per costruire il bilancio di un anno, si potesse riscattare con un’aliquota del 3 per cento.
Lasciamo la questione dell’aliquota; l’aliquota sarà quella che sarà: può essere del 4, del 2, od altra. Quello che mi preme di sottolineare è questo: che allora l’onorevole Scoccimarro stava su una linea logica, cioè considerava l’imposta proporzionale per quella che è, e cioè indipendentemente dalle condizioni personali, perché in un’imposta reale non si possono valutare le condizioni personali del contribuente. Considerava l’imposta quale è; tanto è vero che diceva che, siccome l’imponibile soggetto ad essa è di 2500 miliardi, bastava applicare una determinata aliquota per avere un determinato risultato. Il che vuol dire che nessuna considerazione di persona prendeva in esame; vuol dire che l’imposta bisognava esigerla, riscattarla senza considerazioni estranee all’imponibile risultante agli uffici finanziari.
Questo, come dicevo, io l’ho voluto rilevare unicamente perché vi è stata l’interruzione dell’onorevole Scoccimarro.
Resta fermo il fatto che il voler legare questa imposta reale alla imposta progressiva di carattere personale, vuol dire fare l’addizione di due elementi che hanno natura diversa.
Vorrei anche dire, onorevoli colleghi, che quando si invocano i principî di giustizia, le ragioni di commiserazione per i piccoli possidenti, nessuno più di me, io penso, sente che bisogna fare qualche cosa in questo senso; e coloro che hanno letto qualche mio modesto scritto sanno che, non da oggi, ma da anni, sono su questa linea. Il passaggio di categoria che l’onorevole Scoccimarro ha attuato con una circolare, era stato da me modestamente propugnato già alcuni anni or sono. Non potrei essere accusato, penso, di favorire i grandi proprietari; però occorre guardare le cose nella loro linea logica e nella loro realtà.
Noi ci troviamo di fronte ad un’imposta del 4 per cento su un imponibile assai al di sotto dei valori effettivi. E questo, o colleghi, è necessario tener presente: l’imposta non colpisce un valore che è stato accertato con riferimento al 1937-1939 e questo valore è stato moltiplicato per 10 per quanto riguarda i terreni, per 5 per quanto riguarda i fabbricati. Il che vuol dire che gli imponibili legali, in questo modo determinati, sono molto al di sotto degli imponibili veri, forse metà, forse un quarto degli imponibili veri. A Roma, per esempio, mercato edilizio che io conosco, i fabbricati venivano accertati nel 1937-1939, a seconda della zona ove erano situati, da un minimo di 10-12 mila lire a vano ad un massimo, per le case di lusso e di gran lusso nella zona Parioli, di 25.000 lire a vano. Oggi, questo imponibile si moltiplica per cinque, il che vale a dire che un appartamento il cui valore era calcolato in base a 10.000 lire a vano, oggi è calcolato in base a 50.000. Ma io domando: dove è oggi la casa che si può comprare sul libero mercato su questa base, il cui valore è di 50.000 lire a vano? Non c’è casa, anche nei quartieri popolari, che non vada sulle 200-300 e perfino 500.000 lire a vano, per poi salire a uno o anche a due milioni per le case di lusso ai Parioli. Ciò vuol dire che l’aliquota effettiva di questa imposta non è del 4 per cento, ma è una aliquota che in media non va al di sopra dell’uno per cento.
Ora, di fronte a questa situazione di fatto, situazione reale, concreta e che con coscienza, consapevolezza e sincerità dobbiamo guardare, non possiamo dire che ci troviamo di fronte ad un tributo che non possa essere sopportato. E quando passiamo alla valutazione dei terreni, le discrepanze sono ancora più forti. Siccome il prezzo dei prodotti della terra è quello che è, molti di coloro per i quali si invocano le viscere della pietà di questa Assemblea possono benissimo pagare l’imposta odierna, riscattando una imposta che gravava sul loro patrimonio e che si sarebbe continuata a pagare fino a che non fosse abolita, vendendo un quintale di vino o qualche centinaio di uova.
Mi dispiace che io debba portare la discussione in questi termini banali, ma ritengo dovere di coscienza l’affermare che noi dobbiamo, quando si tratta degli interessi dello Stato (e qui si tratta degli interessi dello Stato in quanto si tratta di salvare il bilancio dello Stato) non fare esagerazioni e non fare della demagogia, da qualunque parte essa venga, da destra, da sinistra o dal centro: ma conviene dire la verità per quella che è.
Per queste ragioni credo che non sia possibile accogliere l’emendamento Scoccimarro e tutti gli altri emendamenti che all’emendamento Scoccimarro si riallacciano: non è possibile e per ragioni tecniche, perché non è possibile confondere una imposta reale e proporzionale con una imposta personale e progressiva, e perché effettivamente quelle ragioni di giustizia che si invocano non mi pare che esistano.
Ci può essere il caso singolo di un tizio che non possa pagare l’imposta per circostanze particolari, ma non si può dire che questo sia un fenomeno generale. Io appartengo ad una zona povera, ad una zona che usufruirebbe tutta quanta del beneficio proposito dall’onorevole Scoccimarro, ma devo dire in verità che i miei compaesani non hanno sentito il peso di questa imposta. Sentono il peso delle altre imposte, ma non di questa… (Rumori a sinistra).
AMENDOLA. Glielo vada a dire!
SCOCA. Glielo dico, è naturale che glielo dico. Io non ho due facce e due parole: ho sempre lo stesso volto e lo stesso linguaggio. Glielo dirò e, se vuole, la invito a venire con me per sentire… (Applausi al centro – Rumori a sinistra).
AMENDOLA. Provi ad andarle a dire ai suoi elettori, queste cose!
SCOCA. Mi dispiace che quando qui si parla con sincerità e lealtà si faccia ricorso a questi argomenti. Sono argomenti che non mi toccano, perché io non ci tengo a ritornare in questa Camera, se per ritornarvi dovessi fare della demagogia. (Applausi al centro).
Concludendo, ho l’impressione che si voglia tentare una montatura, che non ha base reale.
Sono contrario, quindi, all’emendamento Scoccimarro ed a quelli che ad esso si ricongiungono, mentre posso votare per gli emendamenti che prevedono una rateizzazione dell’imposta. (Applausi al centro).
SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare per fatto personale.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SCOCCIMARRO. Desidero rispondere brevemente alle osservazioni fatte. Anzitutto intendo respingere nel modo più energico la accusa che l’emendamento da me presentato sia espressione di demagogia.
Vorrei, soprattutto, richiamare i colleghi ad una valutazione più obiettiva dei fatti reali.
Si è detto: non abbiamo da fare con una imposta nuova, si tratta di un’imposta vecchia, già in atto.
Devo ricordare che, se è vero che abbiamo a che fare con un tributo già esistente mentre l’imposta progressiva è un tributo nuovo, il modo come si stabilisce questo nuovo tributo ed il modo come si esaurisce il vecchio è tale, che di fatto si esce dal piano di un semplice riscatto: questa è la realtà quando si scende dalle definizioni generali alle determinazioni concrete.
Spesso, specialmente da colleghi di parte democristiana, sulla stampa ed in pubblici discorsi mi si attribuiscono posizioni, intenzioni e propositi, che non ho mai avuti né espressi. La prima volta che si è elaborato il progetto dell’imposta straordinaria nel 1945, io avevo proposto la abolizione pura e semplice della imposta ordinaria sul patrimonio. Nel 1946, in conseguenza del mancato cambio della moneta, elaborando un piano triennale di fidanza straordinaria, ho concepito il riscatto dell’imposta ordinaria con la elevazione del minimo esente, con aliquote differenziate secondo la grandezza del patrimonio ed il pagamento in tre anni (nonostante il carattere reale dell’imposta); ma questo provvedimento non si inseriva nell’imposta straordinaria, non ne diveniva parte essenziale: era solo un elemento subordinato ed il meno importante di un complesso di molteplici provvedimenti da attuarsi in tre anni. Ed anche l’aliquota del 3 per cento che l’onorevole Scoca ha ricordato, era un’aliquota media: più bassa per i piccoli patrimoni, più elevata per i maggiori patrimoni.
Poiché lei, onorevole Scoca, ha ricordato or ora il brano di un mio discorso, sia pure in modo inesatto, dovrebbe ricordare anche l’ultimo discorso da me pronunciato in questa Assemblea nel quale ho dato indicazioni ed informazioni precise sulla questione alla quale lei si è riferito. So benissimo che in materia di imposte reali non si può parlare di minimo imponibile e di aliquote progressive: sarebbe illogico e si può dar luogo ad ingiustizie e sperequazioni. Ma, nonostante ciò, io avrei adottato egualmente tale criterio perché quelle ingiustizie e sperequazioni sarebbero state in concreto di scarso rilievo e comunque gli aspetti positivi sarebbero stati più importanti di quelli negativi e in definitiva si sarebbero agevolati i piccoli patrimoni. E se vuol sapere, onorevole Scoca, il gettito previsto di quel riscatto le dirò che nel piano finanziario, il riscatto dell’imposta ordinaria figurava con una media di venti miliardi all’anno; al disotto di un certo limite si esentavano i patrimoni; i piccoli patrimoni avrebbero pagato meno del 3 per cento, i maggiori patrimoni avrebbero pagato con un’aliquota superiore: nel complesso la media era del 3 per cento. È una cosa completamente diversa dalla attuale imposta proporzionale. Se si presentasse oggi quel provvedimento di riscatto come allora fu concepito io l’approverei senza mutare una virgola.
Onorevole Scoca, io non vengo a fare qui delle critiche perché il mio partito è all’opposizione; nelle questioni in cui sono d’accordo, non ho difficoltà ad approvarle, anche se il mio partito è all’opposizione. Ma voi commettete un errore politico e credo, entro certi limiti, anche un errore economico a mandare avanti questo provvedimento senza correggerlo nel punto a cui si riferisce il mio emendamento. Non è il caso qui di parlare di opposizione perché la mia proposta è nell’interesse dello stesso Governo. Voi avete un bel dire che ci sono le esigenze fiscali, ma specie quando si tratta di una imposta straordinaria, oltre all’esigenza fiscale bisogna tener conto anche della giustizia fiscale. Quello che ci preoccupa non è la situazione di quelle categorie di proprietari che possono pagare: nel mio emendamento, al disopra di un certo limite, non si chiede nessuna attenuazione. Ho difeso i minimi imponibili dell’imposta progressiva. Per patrimoni dai tre ai cinque milioni, che non sono gravati dalla proporzionale, il nostro emendamento non chiede nessuna attenuazione. Ma con l’imposta proporzionale si colpiscono dei piccoli proprietari per i quali il termine «patrimonio» non significa altro che lo strumento di lavoro di piccoli produttori indipendenti.
Questa non è demagogia, onorevole Scoca, è realtà, e non vorrei che, senza saperlo, il Governo spezzasse nelle mani di quei lavoratori lo strumento del loro lavoro. Con questa imposta si rischia di mettere in dissesto una moltitudine di piccoli produttori. So bene che nessuno vuol pagare le imposte e si va alla ricerca di tutti i mezzi per giustificare la resistenza al pagamento delle imposte, ma io vorrei leggervi alcune relazioni su concrete situazioni di fatto ed allora voi vedreste che le mie parole sono molto al disotto della realtà: questa non è demagogia.
All’onorevole Cappi voglio osservare che io ho proposto nella discussione generale di stralciare questa parte del provvedimento per poter discutere il riscatto della imposta ordinaria, indipendentemente dall’imposta straordinaria. Ma il Governo non ha ritenuto di accettare quella proposta.
Ed è stato male, perché il popolo oggi è convinto di pagare un’imposta straordinaria, e non un riscatto d’imposta, e lo sente talmente che si è diffusa in Italia (ed il Ministro delle finanze farà bene a smentire) l’opinione che il parlare di riscatto è un mezzo trucco, e che in seguito si ristabilirà quell’imposta ordinaria che ora si dice di voler abolire. Così reagisce l’opinione pubblica, e questo per il modo come il provvedimento è stato presentato e per i termini nei quali è stato presentato.
Che cosa chiede il nostro emendamento? Che al di sotto dei dieci milioni si dia la possibilità di uno sgravio progressivo. Vogliamo discutere quelle cifre? Discutiamole. Sembrano eccessive? Riduciamole.
Io vi dico francamente che mi sono basato oltre che sui criteri adottati per la imposta progressiva, anche su concrete situazioni di fatto, e basandomi su tali situazioni mi son detto che se riusciamo a salvare un certo numero di piccoli proprietari e a salvaguardare la loro efficienza economica, io penso che avremmo fatto non solo un atto di giustizia, ma avremmo fatto anche un atto utile all’economia ed alle finanze dello Stato.
Riconosco che la maggiore rateazione è una facilitazione; le sperequazioni che io ho rilevato rimangono, perché sarebbe come dire: «va bene; pagherai in 5 anni invece di due anni, però mi pagherai sempre il 4 per cento del tuo patrimonio».
PRESIDENTE. Onorevole Scoccimarro, si ricordi del fatto personale.
SCOCCIMARRO. Quanto alle difficoltà tecniche fatte presenti dall’onorevole Cappi, esse effettivamente esistono; ma tali difficoltà si possono superare con accorgimenti tecnici che non mancano e che non è qui il caso di discutere: in attesa dell’accertamento definitivo nella progressiva, il pagamento della proporzionale può farsi a titolo provvisorio.
Se per taluni è vero che c’è il desiderio di sfuggire all’imposta, per altri c’è veramente una situazione di necessità.
Ho ritenuto mio dovere dire questo. Anche se in passato io avessi concepito una imposta come questa, oggi, di fronte a questi dati di fatto, direi: «signori, io cambio opinione». Ma, in realtà, io non ho mai concepito l’imposta straordinaria in questo modo; per me il riscatto non doveva essere parte integrante dell’imposta straordinaria.
Perciò io, nonostante riconosca giusta l’osservazione dell’onorevole Scoca sul piano tecnico, insisto nel mio emendamento e forse oserei troppo sperare di chiedere agli onorevoli Scoca e Cappi di ritirare il loro, e di accettare il nostro con quelle attenuazioni che siano pronti a discutere col Governo e con voi? Ma se è vero – come diceva l’onorevole Cappi – che qualunque Governo si troverebbe oggi di fronte alle stesse necessità finanziarie, che c’è un limite posto dalle esigenze dello Stato, badate però che c’è pure un limite di resistenza economica che non bisogna superare. Con questo articolo io ho l’impressione che per molti piccoli contribuenti questo limite di resistenza economica venga superato. (Applausi a sinistra).
PRESIDENTE. Ritengo che, a questo punto, si possa sospendere la seduta per qualche tempo, in modo che durante la sospensione, senza che si siano pronunciati il Governo e la Commissione, sarà possibile probabilmente accordare i divergenti punti di vista.
PICCIONI. Chiedo la parola.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PICCIONI. Proporrei di sospendere invece la seduta per un’ora e mezza e fare poi una seduta notturna. (Commenti).
PRESIDENTE. Vi è qualche collega il quale propone la discussione fino ad esaurire l’esame del testo del decreto.
Pongo pertanto ai voti, per prima, la proposta di continuare i lavori senza giungere ad una lunga interruzione.
(È approvata).
Sospendiamo allora la seduta per alcuni minuti.
(La seduta, sospesa alle 20.10, è ripresa alle 20.30).
PRESIDENTE. Ritengo che il nostro lavoro possa svolgersi in questo modo: continueremo stasera l’esame del testo del decreto sulla patrimoniale, fino ad esaurirlo; nella seduta antimeridiana di domani potremo esaminare la questione degli enti collettivi e dei minimi imponibili e nel pomeriggio gli articoli aggiuntivi.
LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LA MALFA, Relatore. Faccio presente, per quanto riguarda gli enti collettivi, cioè il Titolo II del decreto, che il Governo non ci ha ancora investiti del progetto ufficiale.
PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PELLA, Ministro delle finanze. Perché non si pensi ad una negligenza del Governo in questa materia, debbo anche far presente una ipotesi, che non esito a definire reale. Il Governo, dichiarandosi pronto a presentare schemi di provvedimenti, rispondenti alle diverse soluzioni che si possono prospettare, può desiderare che sia l’Assemblea a risolvere la questione pregiudiziale sul tipo di soluzione da adottare.
Da domattina il Governo ha pronti tali schemi.
Riservandomi di fare domani le comunicazioni definitive del Governo al riguardo, debbo, fin d’ora, ripetere che il Governo richiederà in via pregiudiziale all’Assemblea di pronunciarsi sulla natura della soluzione che intende adottare.
PESENTI. Chiedo di parlare sulle dichiarazioni del Ministro.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PESENTI. Desideravo che il Governo precisasse e vorrei che il Ministro rispondesse se, con le dichiarazioni ora fatte, il Governo intende mantener fede all’impegno che la tassazione degli enti collettivi sia parte integrante della legge sull’imposta straordinaria progressiva che stiamo ancora esaminando; cioè, se il Governo intende che, appunto entro questi due o tre giorni, il progetto sia presentato e discusso.
PRESIDENTE. L’onorevole Ministro ha facoltà di rispondere.
PELLA, Ministro delle finanze. Posso assicurare l’onorevole Pesenti che, con le mie prime dichiarazioni, non avevo affatto intenzione di formulare l’ipotesi di un rinvio della risoluzione del problema ad un provvedimento separato da quello che stiamo discutendo. Anticipando quanto forse avrò occasione di dire più ampiamente domani, ricordo che il problema fondamentale si riduce a questo: allorquando il precedente Governo presentò alla Commissione parlamentare di finanza il disegno di legge che stiamo oggi discutendo e si sollevò la questione degli enti collettivi, comunicò che era sua intenzione di presentare il provvedimento di tassazione delle rivalutazioni, aggiungendo che tale provvedimento avrebbe assorbito quello della tassazione degli enti collettivi.
Orbene, il Governo attuale, che vuole mantener fede agli impegni del Governo precedente, desidera, nello stesso tempo non fare nulla che possa impedire un riesame libero e approfondito di tutta la questione: non desidera, cioè, chiedere all’Assemblea di rinunciare all’esame se convenga o non convenga sostituire alla tassazione delle rivalutazioni la tassazione degli enti collettivi.
Quando io accennavo alla scelta di una strada piuttosto che di un’altra, di una soluzione piuttosto che di un’altra, e accennavo al desiderio del Governo di investire l’Assemblea di questa scelta, soprattutto volevo riferirmi alla scelta fra l’una e l’altra di queste due soluzioni.
A partire da domattina, il Governo è pronto, appena l’Assemblea avrà determinato la sua scelta, a dare il suo contributo tecnico per la migliore attuazione del principio che l’Assemblea adotterà. Se l’Assemblea adotterà il principio della tassazione delle rivalutazioni, il Governo consegnerà uno schema – che d’altra parte, in via breve, è stato già consegnato – relativo alla tassazione delle rivalutazioni; se adotterà, invece, il criterio della tassazione degli enti collettivi, presenterà uno schema, ancor più dettagliato di quello già consegnato in via breve, per la tassazione degli enti collettivi.
Ma con la consegna di questi schemi il Governo intenderà mettersi nella posizione di chi dà il proprio contributo tecnico per attuare un principio liberamente adottato dall’Assemblea.
DUGONI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DUGONI. Faccio presente che abbiamo avuto un solo testo per ora ed è il testo che riguarda gli enti collettivi. Ora noi non possiamo fare una scelta fra l’uno e l’altro tipo di imposta se non conosciamo le due proposte che il Governo intende fare.
In secondo luogo, spostare questa sera alle ore 21 la posizione del Governo che fino ad oggi abbiamo avuto il diritto di credere convergente con quella della maggioranza della Commissione, cioè a favore degli enti collettivi dentro questa legge, devia completamente tutto il piano di discussione.
Quindi mi chiedo veramente se in queste condizioni non sia il caso che il Governo rinvii a sabato mattina la questione degli enti collettivi, perché è materialmente impossibile che possiamo procedere all’esame di un provvedimento come quello della tassazione delle rivalutazioni in un giorno o in un giorno e mezzo.
LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LA MALFA, Relatore. Alcuni giorni fa l’onorevole Pella mi ha rimesso in via prettamente confidenziale – e io ho interpretato anche in via personale – due progetti sulle rivalutazioni patrimoniali.
Qualche giorno dopo il Governo mi pareva avesse scelto la via di preparare un progetto sulla tassazione degli enti collettivi e, avendo avuto una dichiarazione del Governo al riguardo, la Commissione si è orientata nel senso di esaminare un provvedimento, inteso come terzo titolo della legge, sulla tassazione degli enti collettivi.
Ieri o l’altro ieri ci è stato rimesso un primo schema, non in via ufficiale, del terzo titolo della legge. Ma poiché si è appreso che non poteva trattarsi di testo definitivo del Governi, se ne è sospeso l’esame.
Apprendo oggi che la posizione del Governo è mutata: il Governo vuole che la questione se si debbano tassare gli enti collettivi e procedere alle rivalutazioni patrimoniali sia votata dall’Assemblea.
Questo sposta completamente la posizione che fino a qualche ora fa pareva quella del Governo. Quindi l’Assemblea dovrà decidere su questo punto. Naturalmente la Commissione non può dir nulla perché non conosce nessun progetto ufficiale.
PELLA, Ministro delle finanze. Desidero ricondurre la questione nei limiti abbastanza ristretti che essa ha, considerata da un punto di vista pratico.
Abbiamo cercato negli ultimi giorni di accelerare il corso dei nostri lavori, e in questo desiderio abbiamo tolto significato a molti aspetti procedurali di quello che era il nostro lavoro. Per questo, il Governo, ogni qualvolta ha elaborato qualche schema, ne ha fatto oggetto di comunicazione alla Commissione, senza tuttavia annettervi un carattere ufficiale.
Ora, esattamente l’onorevole La Malfa ha accennato che esiste una questione pregiudiziale. Su questa questione pregiudiziale l’onorevole Relatore riteneva che il Governo si fosse già impegnato.
All’infuori di qualsiasi impegno assunto o non assunto – e francamente a me sembra che il solo impegno del Governo sia quello che è stato preso davanti alla Commissione, a suo tempo, di presentare il progetto relativo alla rivalutazione – mi sembra vi sia nell’atteggiamento del Governo, di cui mi rendo interprete in questo momento, soltanto il desiderio di un atto di deferenza nei confronti dell’Assemblea a cui si vuol lasciare la risoluzione della questione pregiudiziale. Penso infatti, che l’Assemblea, anche a costo di dedicare una seduta o due in più, possa anche desiderare di contribuire a discutere il problema nei suoi termini generali. Per i non iniziati ai misteri di queste piccole cose, in sostanzia parlare di rivalutazione e di tassazione di enti collettivi, significa adottare un linguaggio che sa di ermetico e che forse ha bisogno di essere chiarito e più largamente spiegato.
Il Governo non ha avuto finora l’occasione di chiarire dinanzi all’Assemblea per quali ragioni un giorno ha ritenuto più opportuna la tassazione delle rivalutazioni. Così ancora, il Governo non ha indicato ancora le ragioni per cui, cammin facendo, esso non si è rifiutato di sentire correnti che preferiscono la tassazione degli enti collettivi. Soprattutto il Governo desidera che l’Assemblea, informata dei diversi aspetti del problema, sia essa a decidere sulla questione pregiudiziale.
Voglio aggiungere che la questione pregiudiziale può e – vorrei dire – deve essere risolta ancora prima di passare all’esame di determinati schemi. Si tratta di discutere principî d’ordine generale, e la discussione dei principî d’ordine generale, trasportata su un esame di schemi, finisce per esserne danneggiata, piuttosto che avvantaggiata. Certo, tutto questo porterà forse a non conchiudere domani i nostri lavori: forse sarà necessario un giorno di più. Ma penso che l’argomento sia così importante che valga la pena di dedicarvi qualche ora di discussione.
PRESIDENTE. Faccio presente al Ministro che ciò porterebbe su un’altra linea di lavori. Era desiderio del Presidente del Consiglio – questo è risultato alla Presidenza – che, prima di passare ad altri lavori, l’Assemblea esaurisse l’argomento della patrimoniale.
PELLA, Ministro delle finanze. Possiamo farlo. Se domattina, attraverso la presentazione di un ordine del giorno, si fa la discussione di carattere generale, discussione che può concludersi in un’ora o in un paio d’ore e se la discussione si conclude attraverso l’approvazione di un ordine del giorno per la scelta di una strada piuttosto che un’altra, abbiamo subito superato la pregiudiziale e possiamo passare all’esame di uno schema specifico.
LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LA MALFA, Relatore. Prendo atto delle dichiarazioni del Ministro delle finanze; devo tuttavia confermare quanto ho già detto.
La Commissione aveva avuto l’impressione che il Governo si fosse orientato per la tassazione degli enti collettivi. Il Governo oggi prospetta una diversa soluzione e la pone come questione pregiudiziale dinanzi all’Assemblea. Naturalmente non assumo responsabilità su questo aspetto della situazione, perché, naturalmente, i lavori dalla Commissione e quindi dell’Assemblea potrebbero in un caso essere abbreviati e nell’altro molto allungati.
PRESIDENTE. Domando alla Commissione se è pronta con una sua decisione sulla questione degli enti collettivi. Se fosse d’accordo ci sarebbe questo punto di riferimento.
LA MALFA, Relatore. La Commissione non è pronta, soprattutto, perché dopo le dichiarazioni del Ministro delle finanze, non ha nessun progetto da esaminare. Infatti il progetto già presentato in via confidenziale si deve considerare come ritirato.
Sulla questione di principio, così come è posta dal Governo, la Commissione si deve pronunciare riunendosi ancora una volta.
PRESIDENTE. Onorevole Relatore, guardi la situazione come si presenta. C’è stata la sospensione dell’esame della questione degli enti collettivi. Su questo problema c’è un emendamento dell’onorevole Dugoni. La Commissione è in grado di pronunciarsi su questo emendamento quando si è posta la questione?
LA MALFA, Relatore. Domani mattina se il Governo, come credo, conferma questo suo punto di vista, la Commissione si può riunire e riconsiderare il problema così come l’ha posto il Governo e quindi arrivare ad una decisione su un problema di principio.
Comunque, l’esame di questa questione cade sull’articolo 2 che noi dobbiamo riesaminare. Io proporrei, per non prolungare la discussione, di continuare l’esame dell’articolo 68 ed esaurirlo.
Se il Governo conferma questo punto di vista, domani mattina se non vi è seduta per la patrimoniale…
PRESIDENTE. V’è seduta sulla patrimoniale domani mattina alle 9.30.
LA MALFA, Relatore. Non è possibile!
Questa posizione del Governo che io vengo a conoscere in questo momento, deve essere considerata dalla Commissione in una seduta apposita che avrà una certa importanza e gravità. Credo quindi che se il Governo mantiene il punto di vista espresso dall’onorevole Pella in questo momento, debba essere data alla Commissione la possibilità di esaminare domani mattina il problema. Nel pomeriggio la Commissione sarà in grado di riferire sulla questione di principio. (Interruzione del deputato Valiani).
PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PELLA, Ministro delle finanze. Vorrei fare una proposta pratica. Se la Commissione ritiene di dover concretare un suo punto di vista rispetto all’atteggiamento del Governo, che deferisce all’Assemblea la risoluzione della questione pregiudiziale, la Commissione potrebbe riunirsi questa sera, e domani mattina potremmo tenere una seduta apposita.
Assicuro che in tutto questo, da parte del Governo c’è soltanto il desiderio di rendere omaggio ed ossequio alle libere conclusioni dell’Assemblea.
Il Governo è pronto con gli schemi, per l’una o per l’altra strada.
PRESIDENTE. In fine di seduta, potremo prendere accordi per i lavori di domani.
Riprendiamo dunque la discussione sugli emendamenti all’articolo 68.
Chiedo al Relatore di esprimere il suo parere sugli emendamenti presentati per questo articolo.
LA MALFA, Relatore. L’articolo 68 rappresenta uno dei cardini di tutta la legge sull’imposta proporzionale e progressiva, quindi ha una importanza fondamentale.
Assicuro il collega Dugoni che nel pregare l’Assemblea di ascoltare prima il Relatore era lontana da me l’idea di creare una posizione che impedisse qualsiasi accordo di Gruppo. Volevo soltanto che l’Assemblea disponesse di tutti i dati del problema prima di prendere una qualsiasi posizione.
Per facilitare la discussione ed anche le decisioni, volevo proporre inoltre che cominciassimo la votazione per divisione, perché l’articolo 68 contempla una quantità di questioni che non sono sullo stesso piano.
Le questioni che sono giudicate sullo stesso piano dalla Commissione sono gli emendamenti Crispo, Bonomi, Mannironi, Pesenti, Mazzei, Bovetti, fino a Basile che costituiscono un tutto su cui la Commissione potrà dare il suo giudizio.
Gli emendamenti Scoca, Cappi ed altri, che in definitiva propongono l’aggiunta di un secondo comma, vogliono una trattazione molto approfondita, mentre per esempio l’emendamento dell’onorevole Rescigno, che propone la riduzione dell’aliquota dal 4 al 3 per cento, potrebbe essere messo subito in votazione. Naturalmente il parere della Commissione è che l’onorevole Rescigno ritiri questo suo emendamento perché si tratta oltre tutto di una imposta in esazione.
Respinto l’emendamento Rescigno, si potrebbe votare il primo comma fino alla parola 4 per cento.
PRESIDENTE. Ma c’è un emendamento sul primo comma dell’onorevole Pesenti.
LA MALFA, Relatore. L’onorevole Pesenti ha proposto un secondo comma che contiene un primo periodo che potrebbe essere votato come secondo comma immediatamente, e su cui tutta l’Assemblea mi pare unanime, e poi potremmo votare il secondo periodo del secondo comma che è il vero emendamento Pesenti e su cui la maggioranza della Commissione ha espresso parere favorevole. Effettivamente quando si è trattato di applicare l’imposta ordinaria sul patrimonio alle società in accomandita e per azioni, si è dovuto ricorrere alla imposta di negoziazione, cioè alle valutazioni che si fanno del patrimonio sociale ai fini delle valutazioni della imposta di negoziazione la quale finora, col sistema vigente, accertava i valori con un ritardo di due anni. Avveniva cioè che l’imposta patrimoniale dell’anno 1947 faceva riferimento alla imposta di negoziazione del 1946 e questa ultima faceva riferimento ai valori del 1945, o, qualche volta, del 1944. L’emendamento Pesenti mette questi valori sul piano di un accertamento alla data del 1947 ed intende porli sullo stesso piano in cui sono posti gli altri valori che però, badate bene, non sono accertati con l’accertamento reale, ma con l’applicazione di coefficienti. A giudizio della Commissione, il fatto di moltiplicare i terreni per dieci secondo i valori del 1937-1939 ci fa avvicinare alla situazione del 1947 più di un’imposta di negoziazione che si riferisce ai valori reali degli anni 1944-1945.
Vi è l’emendamento dell’onorevole Bosco Lucarelli. Ora mi pare che il Governo abbia dato l’assicurazione che gli imponibili dell’imposta straordinaria sul patrimonio saranno tutti riferiti ai valori del 1937-1939 e su questi valori si applicheranno i coefficienti di 5 per i fabbricati e di 10 per i terreni. Il che vuol dire che in sede di imposta straordinaria, avverrà una sperequazione di tutti gli accertamenti ed i redditi rivalutati saranno ricondotti ai valori del 1937-1939 e poi moltiplicati, rispettivamente, per 5 e per 10. Dato che questa revisione ha fatto oggetto di una specifica circolare agli uffici finanziari, prego l’onorevole Bosco Lucarelli di ritirare l’emendamento.
Credo, così, che si possano votare il primo e il secondo comma dell’articolo 68. Mi riservo di esprimere il parere della Commissione per quello che si può considerare un terzo comma, comprendente tutti gli altri emendamenti da quello dell’onorevole Crispo in poi.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro delle finanze.
PELLA, Ministro delle finanze. Prima di prendere la parola su questo contrastato articolo 68, su cui tanto si discute in quanto esso interessa la grande massa dei modesti contribuenti, desidero cogliere l’occasione per ringraziare l’onorevole Relatore per il contributo che ha dato nel difendere la legge laddove modifiche, che potevano tentare gli onorevoli colleghi, avrebbero significato compromissione del gettito del tributo.
L’onorevole La Malfa ha saputo diverse volte assumere posizioni che non sempre sono piacevoli nei confronti di un’opinione pubblica, che preferisce le facili rinunce e le agevoli modifiche. Di questa forza di resistenza io non ho che da ringraziarlo a nome del Governo.
Ciò premesso, per quanto riguarda l’emendamento dell’onorevole Rescigno, confermo quanto ha detto la Commissione. Il Governo è dolente di non poterlo accettare.
Il quattro per cento è effettivamente il riscatto della imposta ordinaria sul patrimonio. Riscuotere oggi il 4 per cento significa dare a questa imposta una vita media di 12-13 anni tenendo conto degli interessi. Se si riducesse al 3 per cento si accorderebbe a questa imposta una vita media di 8-9 anni. Ora, se si pensa che l’imposta ordinaria doveva essere perenne, credo si possa arrivare alla conclusione che è già molto limitata una vita media di 12-13 anni. Inoltre, se l’imposta fosse rimasta in vita, lo 0,40 per cento, sarebbe stato applicato su valori periodicamente in aumento, ed il contribuente avrebbe dovuto pagare lo 0,40 per cento anche sopra gli incrementi addizionali del proprio patrimonio. Quindi io credo che il 4 per cento non debba essere considerato eccessivo e meriti di essere mantenuto.
Per quanto riguarda l’emendamento degli onorevoli Pesenti, Scoccimarro ed altri, sono d’accordo nel ritenere che la prima parte non costituisce una modifica della legge. La seconda parte deve essere esaminata alla stregua di quel concetto di perequazione a cui ha accennato l’onorevole La Malfa.
Il sistema della legge raggiunge lo scopo di colpire, con criterio di perequazione, i diversi cespiti: terreni, fabbricati, aziende facenti capo a società azionarie.
Gli uffici competenti che si sono soffermati su questo problema, arrivano alla conclusione che la formula usata nel decreto è sufficiente a raggiungere questa perequazione, perché, per quanto riguarda le azioni non quotate in borsa, le indagini statistiche svolte al riguardo hanno condotto a stabilire che i valori medi accertati per l’anno 1942 – che è l’anno a cui si arrestano le valutazioni dei collegi peritali – danno risultati cinque volte superiori a quelli di anteguerra.
Io ritengo che, lasciando la formula precedente, cioè il valore definitivo ai fini dell’imposta ordinaria sul patrimonio per il 1947, si raggiunga quello scopo di perequazione che si vuole perseguire.
Quindi, dissentendo dal Relatore, il Governo preferisce mantenere ferma la formula originaria.
Per quanto riguarda l’emendamento dell’onorevole Bosco Lucarelli, confermo che sono state date istruzioni perché si rettifichino di ufficio, per quanto riguarda i terreni, e su domanda dei contribuenti, per quanto riguarda i fabbricati, i valori imponibili che non risultino basati sulla media dei valori venali in comune commercio nel triennio 1937-1939.
Quindi, stia certo l’onorevole Bosco Lucarelli che i coefficienti 5 e 10 saranno applicati sui valori accertati con riferimento triennio 1937-1939, prescindendo dalle rivalutazioni eventualmente fatte dagli uffici in tempo successivo.
BOSCO LUCARELLI. Allora, il Governo accetti il mio emendamento!
PELLA, Ministro delle finanze. Davanti alla richiesta dell’onorevole Bosco Lucarelli, debbo rispondere che l’emendamento da lui proposto presta il fianco a qualche equivoco, perché riferirsi all’imponibile al 1° gennaio 1940 non significa riferirsi ai valori medi del triennio 1937-1939.
Come ho già avuto l’onore di spiegare all’Assemblea qualche giorno fa, nel primo triennio l’imposta ordinaria patrimoniale è stata applicata, per la maggior parte dei casi, su valori provvisori accertati per la sottoscrizione del prestito redimibile 5 per cento del 5 ottobre 1936, valori – dobbiamo avere il coraggio di dirlo in omaggio alla verità e alla giustizia – che molto spesso sono al disotto di quelli del triennio 1937-1939; per questo il riferimento ai valori del 1940 non può essere accolto dal Governo.
Veda l’onorevole Bosco Lucarelli, se, dinanzi alle mie reiterate assicurazioni, ritenga di accogliere la preghiera dell’onorevole Relatore di ritirare l’emendamento proposto.
PRESIDENTE. L’onorevole Rescigno insiste nel suo emendamento?
RESCIGNO. Lo ritiro.
PRESIDENTE. L’onorevole Bosco Lucarelli?
BOSCO LUCARELLI. Dopo le dichiarazioni dell’onorevole Ministro e del Relatore, dichiaro di ritirare il mio emendamento.
Però insisto presso il Ministro perché si dia applicazione al criterio accennato, dato che praticamente non viene seguito.
PELLA, Ministro delle finanze. Sono circolari di pochi giorni fa.
DE CARO RAFFAELE. Ma non sono arrivate, perché gli accertamenti vengono fatti come prima…
PRESIDENTE. Onorevole Pesenti, lei insiste nel suo emendamento?
PESENTI. Vorrei chiarire il mio emendamento che, del resto, è stato illustrato anche dall’onorevole La Malfa. Forse qualcuno può aver equivocato sulla sua importanza. Non si tratta qui di introdurre nuovi soggetti dell’imposta; cioè, in questo caso, le società sono già soggette all’imposta straordinaria proporzionale. Si tratta di una diversa valutazione.
Ora, io dissento da quello che ha affermato adesso il Ministro, perché effettivamente la valutazione che viene fatta per le società nell’iscrizione nei ruoli dell’imposta 1947 si riferisce a quella che è l’imposta di negoziazione del 1945.
PELLA, Ministro delle finanze. Del 1946; bilancio 1945.
PESENTI. Ora, i titoli, nel 1945 non erano certo aumentati cinque volte rispetto al 1937-1940. Perciò, se noi teniamo questa valutazione, vediamo che le società tassate in base ai bilanci vengono ad avere, rispetto al 1937-1940, una maggiorazione di cinque volte al massimo; anzi, altri calcoli dicono da tre e mezzo a cinque volte al massimo, mentre i privati contribuenti vengono ad avere una maggiorazione di dieci volte.
Perciò, se noi, invece, rapportiamo in base all’imposta di negoziazione pagata nel 1947, non avviciniamo la posizione delle società alla posizione dei privati.
Per questo motivo, insisto nel mio emendamento.
PRESIDENTE. Dovrò ora porre in votazione l’emendamento Pesenti-Scoccimarro.
DUGONI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DUGONI. Richiamo l’attenzione dei colleghi sul fatto che io voterò a favore dell’emendamento degli onorevoli Pesenti e Scoccimarro anche perché la valutazione che risulterebbe per il 1946 sarebbe talmente al di sotto della realtà che il Governo ha creduto di proporre, con una nuova procedura, la rivalutazione dei patrimoni di queste aziende, quando, in tali circostanze, noi chiediamo che anche questa imposta venga passata secondo un metodo di valutazione che l’avvicini se non alle dieci volte, per lo meno a qualche cosa di simile.
PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PELLA, Ministro delle finanze. Per amore di brevità, avevo omesso di ricordare che la nuova legge di valutazione, che è stata approvata dal Consiglio dei Ministri una decina di giorni fa, si applica a tutte le procedure aperte, anche degli anni precedenti, perché è norma procedurale. Siccome le valutazioni, in genere, si arrestano al 1943-44, la valutazione dell’anno 1945 avrà già luogo con le nuove norme. Questo è un dato che prego di tener presente.
CORBINO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CORBINO. Io voterò per il testo della Commissione accettato dal Ministro, per quanto riconosca che c’è innegabilmente un fondamento nell’osservazione fatta dal collega Pesenti. Desidero però far presente all’onorevole Ministro che noi ci siamo preoccupati della rettifica dei coefficienti per quello che concerne i valori dei terreni e dei fabbricati, ma non abbiamo contemplato la possibilità di rettifiche analoghe anche per le piccole aziende commerciali e industriali. Bisogna infatti tener presente che molte di queste piccole aziende si son trovate nella seguente situazione: che hanno concordato nel 1944 la cifra del loro patrimonio, e immediatamente dopo se la son vista moltiplicare per dieci.
Ora, se i valori del 1946 sono valori che corrispondono alla consistenza patrimoniale, non credo equo che quelli del 1947 debbano essere moltiplicati per dieci. Io vorrei perciò pregare l’onorevole Ministro che, in sede di applicazione dell’articolo 68, voglia dare la stessa autorizzazione anche per le piccole aziende commerciali e industriali.
PRESIDENTE. Metto dunque ai voti l’emendamento al primo comma dell’articolo 68, presentato dagli onorevoli Pesenti, Scoccimarro, Lombardi Riccardo, Foa, Valiani, e Piemonte, di cui do nuovamente lettura:
«Al primo comma, sopprimere le parole: sui valori definitivamente accertati ai fini della imposta ordinaria per l’anno 1947».
(Dopo prova e controprova è approvato).
Si dovrà ora porre in votazione il secondo emendamento, a firma degli stessi colleghi, che propone l’aggiunta di un secondo comma.
Avverto che la Commissione, e per essa il Relatore, ha chiesto che questo emendamento sia votato per divisione.
LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LA MALFA, Relatore. Mi permetta, onorevole Presidente, di chiarire la questione. Siccome ogni criterio di riferimento è caduto dal primo comma, se l’emendamento fosse respinto cadrebbe qualsiasi riferimento ad un anno; il riferimento all’anno deve rimanere, invece, per tutti, se no cadrebbe l’imposta. E allora, votando per divisione, coloro che volessero respingere il criterio di tassazione delle società, avrebbero votato l’anno.
PRESIDENTE. Lei mantiene o meno la sua proposta di votazione per divisione?
LA MALFA, Relatore. Non ho nulla in contrario; però bisogna veder come si farà tecnicamente.
PRESIDENTE. Pongo, allora, in votazione, la prima parte dell’emendamento:
«L’imposta è dovuta sui valori definitivamente accertati ai fini dell’imposta ordinaria sul patrimonio per l’anno 1947».
(È approvata).
SCOCA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Onorevole Scoca, doveva chiederla prima. Ormai si è in votazione.
Pongo ai voti la seconda parte:
«Per le società per azioni e in accomandita per azioni l’imposta è dovuta sui valori che saranno definitivamente accertati ai fini dell’imposta di negoziazione per l’anno 1947».
(Dopo prova e controprova è approvata).
L’onorevole Scoca mi scuserà se non gli ho dato facoltà di parlare per dichiarazione di voto, ma le dichiarazioni di voto si fanno prima che si metta in votazione l’emendamento.
SCOCA. Se mi consente, onorevole Presidente, desidero dire che credo che quando la votazione si fa per divisione, si tratta di due votazioni distinte. Volevo dar ragione del mio voto contrario, per motivi tecnici.
PRESIDENTE. Onorevole Scoca, quando è annunciata la divisione, si è già in votazione.
Prego l’onorevole Relatore di esprimere il suo parere sugli altri emendamenti.
LA MALFA, Relatore. Vorrei prendere occasione dagli emendamenti presentati all’articolo 68 per portare l’Assemblea a valutare di nuovo in tutta la sua portata e nei suoi punti cardinali il progetto di legge che stiamo esaminando.
Io non sono d’accordo con l’onorevole Scoca che non si debba tener conto dell’imposta progressiva quando si esamina l’imposta proporzionale. Credo che da questo punto di vista l’onorevole Scoccimarro abbia ragione. Del resto è un concetto che ho sviluppato quando abbiamo parlato dell’articolo 29 riguardante le aliquote dell’imposta progressiva. Se noi vogliamo fare un giusto apprezzamento dei due tipi di imposta – proporzionale e progressiva – e vogliamo misurare la giustizia fiscale dei due tipi d’imposta, dobbiamo aver presenti tutte le condizioni e tutto il gravame fiscale che si ha in conseguenza delle due imposte; come, se venisse il terzo Titolo sugli enti collettivi, noi dovremmo aver presente la tassazione degli enti collettivi per giudicare se questo provvedimento risponda a certi principî di giustizia fiscale e alle necessità del bilancio dello Stato. E soprattutto – per me – in sede di Commissione, l’imposta proporzionale è stato il punto decisivo per giudicare delle aliquote dell’imposta progressiva.
Perché, onorevoli colleghi, noi non possiamo esaminare questo progetto articolo per articolo e a colpi di maggioranza creare una situazione in un articolo o un’altra situazione in un altro articolo. Dobbiamo avere il senso dell’equilibrio e, in qualsiasi punto diamo un giudizio, dobbiamo darlo con riferimento al complesso, altrimenti avremmo un’accozzaglia di disposizioni senza senso comune.
Anche per me, vi confesso, quando si è trattato di giudicare l’imposta proporzionale è sorto un dubbio: che cos’è l’imposta proporzionale? È un’imposta del 4 per cento che comincia a colpire i patrimoni da 100 mila lire in su. Devo dichiarare che 100 mila lire non costituiscono un valore effettivo, ma un valore fiscale. È un’osservazione che hanno fatto molti colleghi che mi hanno preceduto. Comunque, è un valore minimo imponibile e va preso come punto di partenza nel giudicare l’imposta. Non sono imponibili rivalutabili secondo la svalutazione della lira perché, per esempio, i valori terrieri del 1937-1939 sono stati moltiplicati per dieci e sappiamo che i valori delle terre e delle culture si possono moltiplicare per venti ed anche più.
Accettando come punto di partenza le 100 mila lire di imponibile, da questo punto di partenza si deve costruire tutto il sistema dell’imposta in maniera che la pressione fiscale risulti progressivamente crescente in relazione al patrimonio. Questo e soltanto questo vuol dire progressività dell’imposta.
Ed ecco che in materia di imposta progressiva – l’onorevole Scoccimarro lo ricorderà – io ho proposto, e sono rimasto solo in Commissione, di abbassare il minimo imponibile. Poiché si parte dal 4 per cento su 100 mila lire di imponibile fiscale non posso ammettere che si paghi il 6 per cento a partire da tre milioni. Io tendevo non ad esentare perché – l’ho già detto in questa sede – la situazione del bilancio dello Stato non consente esenzioni, ma a raggiungere la giustizia di questa imposta, che se è gravosa per i piccoli, deve essere gravosissima per i medi e i grandi patrimoni.
Ho sentito parlare di tre milioni come di una piccola somma. Ma in Commissione ho combattuto per ridurre il minimo imponibile ad un milione e mezzo, e sono rimasto solo. I colleghi di sinistra e di destra che fanno parte della Commissione lo ricorderanno.
C’è l’emendamento del Gruppo liberale che vuol abbassare il minimo imponibile ed aumentare la detrazione portando il minimo a cinque milioni e la detrazione a tre milioni. Mi oppongo decisamente a questo emendamento, attraverso il quale il Gruppo liberale ha inquadrato in un certo senso un settore di contribuenti, ma non in relazione al modo in cui l’imposta incide nei vari settori di contribuzione. Quando ho un imponibile di 100 mila lire tassato al 4 per cento, nessuno può chiedere che un imponibile di tre milioni sia tassato al 6 per cento. E così via di seguito. Man mano che si sale da tre milioni, si deve gravare la situazione del contribuente. Questo spiega perché la Commissione abbia modificato le aliquote. Non aveva altro metodo per rendere giustizia tributaria e soddisfare le esigenze del bilancio dello Stato.
Se giudichiamo l’imposta al di fuori – lasciatelo dire a me che come Presidente della Commissione sono in una posizione singolare –, se giudichiamo tutto il sistema dell’imposta al di fuori degli interessi politici particolari, rileviamo la necessità di garantire un equilibrio fiscale. E questa dell’equilibrio fiscale non è una questione in cui si può andare per maggioranza o minoranza. Si tratta di una questione fondamentale.
La tassazione degli enti collettivi non possiamo vederla come una questione isolata da quella che è la costruzione dell’imposta: è un elemento necessario di perequazione tributaria, che a mio giudizio va tenuto presente. E anche se si fanno eccezioni particolari, se poniamo il punto di partenza col minimo di 100 mila lire, dobbiamo essere rigorosi nel dare un carico tributario ai grossi patrimoni.
Veniamo adesso agli emendamenti. Credo che l’approvazione dell’emendamento Pesenti, che abbiamo votato testé – ed io sono lieto che sia stato votato dalla maggioranza dell’Assemblea – ai fini di questa costruzione dell’imposta abbia avuto molta importanza. Ma questo emendamento, che è gravosissimo – non crediate che non sia gravoso – spiega la posizione che si deve prendere in altri problemi. Sono aspetti dell’imposta che vanno seriamente esaminati.
Dicevo: quale è la giustificazione del 4 per cento? E quali sono i problemi della tassazione nel campo della proporzionale? Questa è una imposta che già esiste. Il primo dato che l’Assemblea deve avere è questo: è una imposta che i contribuenti pagano. Ora, quando l’imposta è già pagata dai contribuenti, evidentemente non si può parlare di esenzione. L’imposta si pagava, si doveva pagane in dieci anni. Lo Stato annulla l’imposta dopo il decennio e la consolida e la fa pagare in un periodo più breve. Il problema che possiamo porre in materia d’imposta proporzionale è un problema di rateazione, non di esenzione; altrimenti a coloro che pagano l’imposta faremmo un trattamento migliore di quello che essi hanno avuto fino ad ora. Ora, stiamo applicando delle imposte straordinarie, cioè chiediamo un sacrificio al contribuente: non possiamo arrivare all’assurdo che il contribuente che pagava finora, per virtù di tassazione straordinaria rimanga esente dall’imposta. Al limite dovremmo per qualsiasi piccolo patrimonio – quindi anche per i patrimoni intorno alle 100 mila lire – rateare l’imposta in dieci anni. E questo non solo è vero per i contribuenti privati – e mi rivolgo all’onorevole Vigorelli – ma per gli istituti di beneficenza. Vedo emendamenti che parlano di esentare gli istituti di beneficenza dall’imposta. Io dico: gli istituti di beneficenza hanno finora pagato questa imposta. Se voi volete fare agevolazioni, dovete fare pagare l’imposta in dieci anni, ma non esentare gli istituti.
Noi possiamo decidere, se mai, come deve essere rateata l’imposta per certi tipi di contribuenti; ma non dobbiamo decidere sgravi d’imposta.
Se questa è la posizione che l’Assemblea fa sua, noi non possiamo accettare nessuno di questi emendamenti in sede di articolo 68; ma dobbiamo rinviare la discussione di possibili agevolazioni per i contribuenti in sede di articolo 72: cioè tutti gli emendamenti che tendono a creare una posizione di privilegio del contribuente in questa sede, e quindi tendono ad annullare l’imposta, non dovrebbero essere accolti dall’Assemblea; mentre quelli che hanno la preoccupazione da cui sono ispirati e l’emendamento Scoccimarro e l’emendamento Mazzei ed altri emendamenti potrebbero trovare più opportuna sede attraverso un accordo (e mi riferisco alla proposta dell’onorevole Dugoni) in sede di articolo 72.
PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PELLA, Ministro delle finanze. In questa discussione, il Governo ha la fortuna e la disgrazia di dover parlare dopo l’onorevole Relatore e siccome l’onorevole La Malfa è tecnico che sa sviscerare così a fondo i diversi problemi, al Governo resta quasi sempre ben poco da aggiungere.
Vorrei dire che la tentazione di accordare concessioni, di allargare le zone delle esenzioni, di diminuire le aliquote, ecc. è una tentazione forte per tutti, può essere forte soprattutto per il Governo; ma è dovere del Governo di difendere determinate posizioni. Ed è per questa necessità che il Governo deve purtroppo respingere tutto quello che può significare riduzione di aliquote per determinate zone o concessione di particolari esenzioni. Non sto a ripetere quanto hanno già detto alcuni onorevoli colleghi in merito alla portata del limite delle 100 mila lire. Vorrei solo ricordare che sopra 9 milioni e 600 mila articoli di ruolo di imposta terreni, oltre 8 milioni di questi sono già esenti attraverso il limite delle 100 mila lire. È un dato su cui prego di riflettere.
Ora, nei riguardi dell’emendamento «centrale», che è quello degli onorevoli Pesenti e Scoccimarro, per le ragioni di ordine generale che non consentono riduzioni di aliquote in un’imposta reale, io devo dichiarare che non posso aderire; ma vorrei fare presente che l’emendamento proposto, per lo meno a mio sommesso avviso, non raggiungerebbe il risultato che i proponenti intendono perseguire.
Occorre ricordare che qui si tratta di anticipo di un’imposta che veniva già pagata nel passato.
Il problema della facilitazione si riconnette ad una difficoltà di cassa in cui alcuni contribuenti si possono trovare per far fronte al pagamento tempestivo delle 10 bimestralità, perché, se questa difficoltà di cassa non esistesse per alcuno, non vi sarebbe ragione di proporre la concessione di riduzioni in sede di capitalizzazione di un’imposta che già si pagava in permanenza. Ora, se non erro, la procedura che deriverebbe dall’emendamento dell’onorevole Pesenti, sarebbe la seguente: Fermo restando il corso della riscossione del ruolo – e gli onorevoli Pesenti e Scoccimarro, che hanno provato l’onere del Governo, con quel senso di responsabilità che ancora li accompagna sul banco di deputati, non potevano che partire dal principio che il ruolo continuasse ad avere il suo corso – occorrerebbe attendere il risultato dell’accertamento per constatare se si verificano le condizioni volute, cioè per constatare che il contribuente non raggiunge il minimo imponibile, o che esso è compreso entro una determinata zona tassabile.
Io credo che si arriverebbe a fare queste constatazioni e a concedere i relativi sgravi, solo dopo la riscossione dell’imposta. Questa è una considerazione di ordine pratico. Resta però ferma la ragione fondamentale già accennata, per cui non si potrebbe accedere ad una riduzione di aliquote. Il Governo però è perfettamente d’accordo sul concetto di attenuare, per quanto possibile, le difficoltà di pagamento nelle quali parecchi contribuenti possono trovarsi.
Ho accennato, in sede di discussione generale, che una lunga rateizzazione sarebbe stata concessa agli enti morali ed alle Opere pie, ai proprietari di fabbricati vincolati, ai modesti proprietari di terreni e fabbricati.
L’onorevole Veroni aveva aggiunto la raccomandazione per i sinistrati. Su questa strada il Governo è disposto volentieri ad accettare degli emendamenti, soprattutto nel quadro dell’emendamento Cappi ed altri, per il quale, attraverso una larga facilitazione per il riscatto, si potranno anche indurre moltissimi a rinunciare a questa maggiore rateizzazione.
Pertanto, in linea di massima, il Governo può prendere in considerazione l’emendamento Cappi; non però così come è stato formulato.
PRESIDENTE. Ma questo riguarda l’articolo 72.
PELLA, Ministro delle finanze. Va bene, allora ne riparleremo in sede di articolo 72.
VIGORELLI. Desidererei che il Ministro esponesse esplicitamente le ragioni per le quali non accetta il mio emendamento.
PELLA, Ministro delle finanze. Il ragionamento è molto semplice. Si può chiedere che questo nuovo provvedimento non comporti un maggior aggravio per qualcuno, ma sarebbe pretendere troppo se si chiedesse di arrivare, attraverso il provvedimento stesso, a sgravare qualcuno di un tributo esistente. Ora, se per effetto di altri emendamenti si giungesse alla rateizzazione decennale, gli enti così autorevolmente patrocinati dall’onorevole Vigorelli finirebbero per essere avvantaggiati lo stesso, perché dopo i dieci anni non pagherebbero più.
PRESIDENTE. Comunque, onorevole Vigorelli, il suo è un articolo aggiuntivo. Se ne parlerà poi.
PELLA, Ministro delle finanze. L’emendamento Bovetti sarebbe assorbito nell’esame degli emendamenti all’articolo 72.
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, l’emendamento che io credo debba essere posto in votazione con precedenza è quello presentato dagli onorevoli Pesenti, Scoccimarro, Lombardi Riccardo ed altri colleghi che, giustamente, il Ministro delle finanze ha definito «centrale».
Ricordo che esso è così formulato:
«I contribuenti che non risultano assoggettabili all’imposta progressiva di cui all’articolo 1, hanno diritto allo sgravio del 75 per cento dell’imposta proporzionale gravante sui cespiti mobiliari.
«Il diritto allo sgravio è del 50 per cento per i contribuenti il cui patrimonio accertato in base agli articoli 29 e seguenti sia compreso tra i 3 e i 5 milioni e del 25 per cento per i contribuenti il cui patrimonio sia compreso fra i 5 e i 10 milioni di cui allo stesso articolo 29.
«Lo sgravio è concesso su domanda del contribuente».
Su questo emendamento è stata presentata domanda di votazione per appello nominale e, successivamente, di scrutinio segreto.
Quest’ultima ha pertanto la precedenza.
Presentatori della domanda di scrutinio segreto sono gli onorevoli Medi, Garlato, Roselli, Delli Castelli Filomena, Bianchini Laura e numerosi altri.
Votazione segreta.
PRESIDENTE. Indico la votazione segreta sull’emendamento Pesenti-Scoccimarro.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione e invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.
(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).
Risultato della votazione segreta.
PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto:
Presenti e votanti 308
Maggioranza 155
Voti favorevoli 147
Voti contrari 161
(L’Assemblea non approva).
Hanno preso parte alla votazione:
Abozzi – Adonnino – Alberti – Allegato – Amadei – Amendola – Angelucci – Arcaini – Arcangeli – Assennato – Avanzini.
Bacciconi – Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basile – Bastianetto – Bei Adele – Belotti – Benedetti – Benvenuti – Bernamonti – Bernini Ferdinando – Bertini Giovanni – Bertola – Bertone – Bettiol – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Bitossi – Bocconi – Bonomelli – Bonomi Paolo – Bordon – Bosco Lucarelli – Braschi – Bubbio – Bucci – Bulloni Pietro – Burato.
Caiati – Camangi – Camposarcuno – Canevari – Cannizzo – Caporali – Cappa Paolo – Cappi Giuseppe – Cappugi – Capitani – Carbonari – Carboni Angelo – Carboni Enrico – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Caso – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavalli – Cavallotti – Cerreti – Cevolotto – Chatrian – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cifaldi – Cimenti – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Codignola – Colitto – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Colonnetti – Conci Elisabetta – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsanego – Corsi – Corsini – Costa – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo.
D’Aragona – De Caro Gerardo – Del Culto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Martino – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Di Giovanni – Di Vittorio – D’Onofrio – Dossetti – Dugoni.
Ermini.
Fabbri – Fabriani – Fantoni – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Ferreri – Fiore – Fioritto – Flecchia – Foa – Foresi – Franceschini – Fuschini.
Galati – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gavina – Ghidetti – Ghidini – Giacchero – Giacometti – Giolitti – Giordani – Giua – Gonella – Gorreri – Gotelli Angela – Grassi – Grazi Enrico – Grazia Verenin – Grieco – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto.
Iotti Leonilde.
Jacini – Jacometti.
Laconi – Lagravinese Pasquale – La Malfa – Landi – La Pira – La Rocca – Lazzati – Lettieri – Li Causi – Lizier – Lizzadri – Lombardi Carlo – Longo – Lozza.
Maffli – Magnani – Magrassi – Malagugini – Maltagliati – Mannironi – Manzini – Marazza – Marconi – Marinaro – Martinelli – Marzarotto – Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mattarella – Mattei Teresa – Mazza – Mazzei – Medi Enrico – Mentasti – Merlin Angelina – Mezzadra – Micheli – Minella Angiola – Molinelli – Monterisi – Monticelli – Montini – Morandi – Moranino – Moro – Mortati – Moscatelli – Musolino.
Nasi – Negarville – Negro – Nenni – Nobili Tito Oro – Noce Teresa – Notarianni – Novella.
Pajetta Gian Carlo – Pallastrelli – Paris – Parri – Pastore Giulio – Pastore Raffaele – Pat – Pecorari – Pella – Pera – Perassi – Perlingieri – Pertini Sandro – Pesenti – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pignedoli – Platone – Ponti – Pressinotti – Preziosi – Priolo – Proia – Pucci.
Quintieri Adolfo.
Rapelli – Reale Eugenio – Recca – Rescigno – Restagno – Ricci Giuseppe – Rivera – Rodi – Rodinò Mario – Roselli – Rossi Giuseppe – Rossi Paolo – Ruggeri Luigi.
Saccenti – Saggin – Salerno – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Santi – Sardiello – Scarpa – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Secchia – Sereni – Sicignano – Silipo – Spallaci – Spano – Spataro – Stampacchia – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.
Targetti – Taviani – Tega – Terranova – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Togni – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Trimarchi.
Uberti.
Valenti – Valiani – Valmarana – Vernocchi – Veroni – Viale – Vicentini – Vigna – Vigo – Vigorelli – Vischioni.
Zanardi – Zuccarini.
Sono in congedo:
Ambrosini – Arata.
Bellavista – Bernabei.
Fedeli Aldo – Ferrarese.
Galioto.
Lombardo Ivan Matteo.
Matteotti Matteo.
Pignatari.
Raimondi – Ravagnan.
Saragat.
Tomba.
Zotta.
Si riprende la discussione del disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).
PRESIDENTE. Passiamo all’emendamento a firma degli onorevoli Crispo, Morelli Renato, Bozzi, Cifaldi, Perrone Capano e Rubilli:
«Aggiungere dopo il primo comma il seguente:
«Per i fabbricati soggetti a regime vincolistico l’aliquota è del 2 per cento sui valori definitivamente accertati ai fini dell’imposta ordinaria per l’anno 1947, prendendosi a base di quest’ultima i valori accertati per il prestito immobiliare 1936».
In assenza di tutti i presentatori, si intende decaduto.
Segue l’emendamento dell’onorevole Bonomi Paolo:
«Dopo il primo comma, aggiungere il seguente:
«I contribuenti che non risulteranno assoggettabili all’imposta progressiva di cui all’articolo 1 avranno diritto allo sgravio del 50 per cento dell’imposta proporzionale gravante su cespiti immobiliari. Lo sgravio è accordato su domanda della parte».
Onorevole Bonomi, lo mantiene?
BONOMI PAOLO. Sì.
PRESIDENTE. Lo pongo in votazione.
(Non è approvato).
Segue l’emendamento dell’onorevole Mannironi:
«Tra il primo ed il secondo comma inserire il seguente:
«Per la Sardegna, nella valutazione dei patrimoni da farsi a norma del decreto legislativo 31 ottobre 1946, n. 382, si adotterà il coefficiente di maggiorazione 6 per i terreni e 3 per i fabbricati».
Non essendo presente l’onorevole Mannironi, s’intende che vi abbia rinunciato.
LUSSU. Lo faccio mio.
PRESIDENTE. Pongo allora ai voti l’emendamento Mannironi che l’onorevole Lussu ha fatto proprio.
(Non è approvato).
Segue l’emendamento dell’onorevole Mazzei:
«Dopo il primo comma aggiungere:
«Quando il minimo imponibile ai fini del pagamento dell’imposta ordinaria sia inferiore alle lire 200 mila, i contribuenti saranno esentati dal pagamento dell’imposta straordinaria proporzionale».
Non essendo presente l’onorevole Mazzei, s’intende che vi abbia rinunciato.
DE VITA. Lo faccio mio.
DUGONI. Anch’io lo riprendo, insieme con il mio.
PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PELLA, Ministro delle finanze. Per le stesse ragioni per cui non ho potuto dare parere favorevole all’emendamento dell’onorevole Pesenti e degli altri colleghi, non posso accogliere l’emendamento dell’onorevole Mazzei.
PRESIDENTE. Sta bene: lo pongo ai voti.
(Non è approvato).
Passiamo allora all’emendamento degli onorevoli Micheli, Valenti, Fantoni, Tessitori, Marconi, Pallastrelli, Canepa:
«Aggiungere, in fine:
«Sono esenti dall’imposta straordinaria proporzionale i terreni esentati dall’imposta fondiaria a norma del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 7 gennaio 1947, n. 12».
I presentatori lo mantengono?
MICHELI. Sì.
PRESIDENTE. Lo pongo ai voti.
(Non è approvato).
Vi è ora l’emendamento degli onorevoli Vigorelli, D’Aragona, Preti, Corsi e Tremelloni, che propongono un articolo 68-bis così formulato:
«Sono esenti dall’imposta i patrimoni mobiliari e immobiliari delle Istituzioni pubbliche di assistenza, compresi gli Enti comunali di assistenza (e Opere pie dipendenti), che fruiscono di contributi permanenti dello Stato».
I presentatori lo mantengono come articolo aggiuntivo al 68?
VIGORELLI. Sì.
CORBINO. Ma l’emendamento è identico a quello Bovetti, rinviato all’articolo 72!
SCOCA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SCOCA. Su questo argomento ci sono vari emendamenti e non solo quello dell’onorevole Vigorelli. Come abbiamo rimandato all’articolo 72 gli altri, non c’è ragione che non rimandiamo anche questo. Se votiamo su questo dobbiamo votare anche sugli altri, ed anche su quello Bovetti.
PRESIDENTE. Faccio presente che l’emendamento Bovetti è stato rimandato all’articolo 72 perché l’onorevole Bovetti vi ha consentito.
SCOCA. È la Commissione che aveva chiesto questo.
PRESIDENTE. Il Relatore della Commissione ha fatto questa proposta, che ha coinciso con quella dell’onorevole Bovetti.
VIGORELLI. Vorrei chiarire che nel mio emendamento si parla di esenzione, non di rateazione e credo che questa sia la sede più adatta per discutere il mio emendamento.
SCHIRATTI. Propongo formalmente di rinviare.
VIGORELLI. Mi dichiaro contrario a questa proposta.
Siamo in sede di articolo 68, che determina i casi in cui si applica l’imposta. Io chiedo che in questa sede – che è la sola sede utile – siano stabilite anche le esenzioni. Io parlo, ripeto, di esenzioni e non di rateazioni.
CORBINO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CORBINO. Vorrei fare rilevare al collega Vigorelli che la questione da lui sollevata è di estrema gravità perché si tratta dell’imposizione sui patrimoni degli enti di assistenza e beneficenza. È una questione di carattere generale. Oggi si discute di una imposta non di carattere personale, ma reale. Ora, una questione di questo genere (il collega Vigorelli me lo consenta) non possiamo risolverla e deciderla in una votazione affrettata in cui tutti abbiamo, in certo senso, il desiderio di concludere in qualunque modo. Il problema esiste, ma non esiste soltanto per questa imposta: esiste per l’imposta fondiaria, esiste per tutti gli altri tipi di imposte reali che colpiscono il patrimonio degli enti di assistenza. Ecco perché vorrei che il problema fosse rimandato all’articolo 72 per avere il tempo di esaminarlo con più calma.
PRESIDENTE. Pongo ai voti la proposta dell’onorevole Schiratti di rinviare l’emendamento Vigorelli all’articolo 72.
(È approvata).
Vi è un emendamento analogo dell’onorevole Basile. Domando al proponente se consente a rinviare anche il suo emendamento all’articolo 72.
BASILE. Sì.
PRESIDENTE. L’articolo 68 si intende allora approvato con gli emendamenti testé votati.
Passiamo all’articolo 69, che la Commissione accoglie nel testo ministeriale. Se ne dia lettura.
MOLINELLI, Segretario, legge:
«Gli Uffici distrettuali delle imposte dirette procedono alla liquidazione dell’imposta dovuta ai sensi dell’articolo precedente senza notificazione ai contribuenti».
PRESIDENTE. Su questo articolo vi è un emendamento aggiuntivo dell’onorevole Schiratti così concepito:
«Aggiungere il seguente comma:
«I contribuenti che hanno subìto danni per eventi bellici e della cui conseguente diminuita consistenza patrimoniale non sia stato tenuto conto nel determinare l’imponibile ai fini dell’imposta straordinaria proporzionale, debbono denunciare tale loro diminuita consistenza patrimoniale entro il 30 settembre 1947. Le conseguenti variazioni ed i relativi conguagli troveranno applicazione nei ruoli 1948».
FELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PELLA, Ministro delle finanze. Nel suo emendamento l’onorevole Schiratti chiede che sia data la possibilità ai contribuenti che hanno avuto gli immobili lesionati, di poter chiedere la rettifica del loro imponibile entro il 30 settembre 1947.
Sono lieto di comunicare all’onorevole Schiratti che in questi giorni è già stato adottato un provvedimento con cui si dà la possibilità di chiedere la revisione entro il 31 dicembre 1947. E siccome nel più c’è il meno, evidentemente la richiesta dell’onorevole Schiratti è già accolta in questo provvedimento.
PRESIDENTE. Onorevole Schiratti, mantiene il suo emendamento?
SCHIRATTI. Date le assicurazioni del Ministro, ritiro l’emendamento.
PRESIDENTE. L’articolo 69 si intende allora approvato nel testo proposto.
Segue un emendamento dell’onorevole Veroni contenuto in un articolo aggiuntivo 69-bis, così concepito:
«Nel determinare l’imponibile ai fini dell’imposta straordinaria proporzionale dovrà tenersi conto della diminuita consistenza patrimoniale causata da eventi bellici. Tale diminuita consistenza dovrà essere denunciata entro il 15 ottobre 1947 e le conseguenti variazioni e i relativi conguagli troveranno applicazione nei ruoli 1948».
Onorevole Veroni, mantiene questo suo emendamento?
VERONI. Prendo atto anch’io delle dichiarazioni del Ministro e ritiro l’emendamento.
PRESIDENTE. Passiamo allora all’articolo 70. Se ne dia lettura.
MOLINELLI, Segretario, legge:
«Qualora, alla data di entrata in vigore del presente decreto, non esista un valore definitivamente accertato per il 1947 ai fini dell’imposta ordinaria sul patrimonio, l’imposta è provvisoriamente liquidata sul valore iscritto a ruolo per l’anno 1947, salvo conguaglio.
«Nei riguardi delle società ed enti assoggettabili all’imposta ordinaria sul patrimonio con le norme di cui all’articolo 21 e seguenti del regio decreto-legge 12 ottobre 1939, numero 1529, convertito nella legge 8 febbraio 1940, n. 100, l’imposta è liquidata sul valore provvisoriamente iscritto a ruolo per l’anno 1947, salvo conguaglio».
Poiché non vi sono emendamenti al testo governativo, l’articolo 70 si intende approvato.
Segue l’articolo 71. Se ne dia lettura.
MOLINELLI, Segretario, legge:
«Gli enti di qualsiasi specie e le società commerciali tenuti al pagamento dell’imposta prevista nell’articolo 68 sulle obbligazioni e sugli altri titoli di credito da essi emessi eseguono la ritenuta di detta imposta al momento della scadenza di ciascuna rata di interesse nel periodo dal 1° luglio 1947 al 31 dicembre 1948 e la versano in Tesoreria con le modalità previste nell’articolo 30 del regio decreto-legge 12 ottobre 1939, n. 1529, convertito nella legge 8 febbraio 1940, n. 100».
PRESIDENTE. Poiché anche su questo articolo non vi sono emendamenti al testo governativo, l’articolo si intende approvato.
Rinvio ad altra seduta il seguito della discussione.
Interrogazioni e interpellanze con richiesta di urgenza.
PRESIDENTE. Comunico che sono state presentate alla Presidenza alcune interrogazioni con richiesta di risposta urgente.
La prima è dell’onorevole Pertini:
«Al Ministro di grazia e giustizia, per sapere:
1°) se corrisponda alla verità la notizia data da un quotidiano di Roma e secondo la quale agenti di custodia delle carceri di Poggioreale (Napoli) avrebbero brutalmente seviziato e percosso detenuti, causando la morte di uno di essi;
2°) nel caso che detta notizia sia vera, quali provvedimenti intenda prendere, perché finalmente venga posto termine a questi atti disumani, veri reati, che se, come è ovvio, potevano impunemente essere consumati sotto il fascismo, sarebbe inconcepibile si continuasse a tollerarli anche nel nuovo regime democratico, il quale deve sentire, fra l’altro, l’altissimo compito di far rispettare la persona umana».
Chiedo al Governo quando intende rispondere.
CAPPA, Ministro della marina mercantile. Interesserò il Ministro competente, perché faccia sapere quando intende rispondere.
PRESIDENTE. Un’altra interrogazione è quella dell’onorevole Costa:
«Ai Ministri della difesa e del tesoro, per sapere se ritengano opportuno di promuovere un provvedimento legislativo sulle retrocessioni di immobili, per i quali sia stata sospesa la espropriazione per pubblica utilità dopo l’occupazione di urgenza oppure sia avvenuta requisizione di uso, in modo che, se siano state eseguite dallo Stato costruzioni in riferimento alle necessità militari, sia obbligatorio pagare il valore attuale dei miglioramenti, togliendosi la possibilità del privato arricchimento derivante dall’esercizio della facoltà di semplicemente rimborsare le spese di costruzione, attribuita dalla legislazione vigente».
Chiedo al Governo quando intende rispondere.
CINGOLANI, Ministro della difesa. Risponderò nella prima seduta in cui saranno all’ordine del giorno le interrogazioni.
PRESIDENTE. Gli onorevoli Costa, Bettiol, Merlin Angelina e Gui hanno presentato la seguente interrogazione con richiesta di risposta urgente:
«Ai Ministri dei lavori pubblici, della pubblica istruzione e del tesoro, per sapere se sia vero che, mentre è già stato promulgato e pubblicato un decreto legislativo del Capo dello Stato, che proroga il termine per l’esecuzione del piano regolatore della città di Ferrara, viceversa non si intenda provvedere per analoga proroga del termine, scadente il 31 corrente, di esecuzione del piano regolatore della città di Padova, e ciò su invito, non prescritto, della Ragioneria generale dello Stato, mentre il Ministero dell’istruzione ancora non ha dato il parere prescritto di competenza propria».
Chiedo al Governo quando intende rispondere.
GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Il Governo risponderà nella prima seduta in cui saranno poste all’ordine del giorno le interrogazioni.
PRESIDENTE. Vi è poi una interrogazione urgente dell’onorevole Dugoni:
«Ai Ministri delle finanze, del tesoro e della difesa, per conoscere quali azioni abbiano intrapreso per determinare e riassorbire gli illeciti profitti realizzati da persone ed enti sia in occasione del decreto del Commissario ministeriale Liguori del 14 settembre 1943, sia per finanziamenti, crediti ed assegnazioni di materie prime disposti posteriormente a tale data dal Governo di Salò e risoltisi in definitiva in un incremento patrimoniale privato non guadagnato».
Chiedo al Governo quando intenda rispondere.
CINGOLANI, Ministro della difesa. Risponderò nella prima seduta in cui saranno poste all’ordine del giorno le interrogazioni.
PELLA, Ministro delle finanze. Faccio analoga dichiarazione.
PRESIDENTE. Seguono altre interrogazioni urgenti:
«Al Ministro del bilancio, per conoscere se non intenda favorire l’istituzione di un ente bancario piemontese, con sede in Torino, per evitare che i risparmi assorbiti in Piemonte vengano per la maggior parte destinati a finanziare iniziative di altre regioni, dato che le sedi principali delle banche sono a Roma e a Milano.
«Geuna, Giacchero».
«Ai Ministri del bilancio e del tesoro, per sapere se riconoscano la convenienza di promuovere la modificazione dell’articolo 16 del decreto legislativo presidenziale 27 giugno 1946, n. 37, sulla costituzione e sul funzionamento dei Provveditorati regionali alle opere pubbliche, per armonizzarlo con l’articolo 36 del decreto legislativo di pari data, n. 38, sulla Azienda nazionale autonoma delle strade statali, in maniera che anche per il Provveditorato regionale alle opere pubbliche di Venezia l’ufficio distaccato della Corte dei conti eserciti il riscontro soltanto successivo delle spese, limitando il controllo preventivo agli atti del magistrato.
«Costa».
Chiedo al Governo quando intende rispondere.
PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Mi riservo di far conoscere quando il Governo potrà rispondere a queste due interrogazioni.
PRESIDENTE. Sono state infine presentate le seguenti interpellanze con richiesta di svolgimento urgente:
«Ai Ministri del tesoro e dell’agricoltura e foreste, per conoscere le ragioni che hanno indotto il Ministro del tesoro a vendere all’asta pubblica notevoli quantitativi di granone avariato giacenti presso la Federazione nazionale dei consorzi agrari e se intende usare il medesimo sistema per la vendita di altre ingenti quantità giacenti nelle medesime condizioni.
«Cremaschi Olindo, Bianchi Bruno, Gavina, Pastore Raffaele, Gorreri, Fantuzzi, Malagugini, Moranino, Lozza, Bucci, Caprani, Mezzadra, Lizzadri».
«Al Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere se e quali provvedimenti intenda adottare per eliminare le conseguenze che si sono determinate, a tutto danno per la produzione, in materia di pagamento di canoni di affitto in natura (grano) in seguito alla promulgazione del decreto che fissava in lire 4000 (quattromila) il quintale il prezzo del grano consegnato agli ammassi; e per sapere se e quali direttive intenda infine dare agli organi periferici delle provincie di Pavia e Como per permettere che le operazioni di trebbiatura e di consegna agli ammassi si possano svolgere in un clima di ordinato lavoro eliminando la grande tensione che minaccia di turbare la tranquillità di quelle laboriose popolazioni.
«Gavina, Cremaschi, Gorreri, Bianchi Bruno, Moranino, Lozza, Bucci, Caprani, Mezzadra, Fantuzzi, Lizzadri, Pastore Raffaele, Malagugini».
Chiedo al Governo quando intende rispondere a queste interpellanze.
PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Dichiaro che il Governo risponderà alla prima di queste due interpellanze nella prima seduta dedicata alle interpellanze.
CAPPA, Ministro della marina mercantile. Per quanto riguarda la seconda interpellanza, interesserò il Ministro competente perché faccia conoscere quando intende rispondere.
Sui lavori dell’Assemblea.
FOA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FOA. Chiedo quando sarà discussa la mozione urgentissima presentata dall’onorevole Parri e di cui sono uno dei firmatari, concernente le elezioni del Consiglio Superiore della pubblica istruzione.
GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Sono pronto a discutere la mozione nel giorno in cui si intenda fissarne lo svolgimento. Mi rimetto alla decisione dell’Assemblea.
LOZZA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LOZZA. Si tenga presente che le scuole stanno concludendo gli esami di Stato e che le scuole non hanno tranquillità. Le elezioni del Consiglio Superiore avranno luogo il 26, è quindi urgente che il Ministro dica la sua parola.
LUSSU. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUSSU. La questione è estremamente importante. L’onorevole Ministro – e di questo noi gli siamo grati – si è rimesso all’Assemblea per la discussione di questa mozione. Come voi sapete, questa mozione è firmata da parecchi nostri colleghi ed ha avuto una precedente discussione attraverso un’interpellanza che ricorderete. Siccome il 26 di questo mese sono convocate le elezioni per il Consiglio Superiore, evidentemente il termine massimo per poter discutere questa mozione è domani; anche se la mozione si discute dopodomani, non si avrà più il tempo di fermare la macchina elettorale. (Commenti).
GRONCHI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GRONCHI. Noi non intendiamo che si rinvii sine die; intendiamo di prendere tempo fino a domani per armonizzare la discussione di questa mozione, alla quale non vogliamo fare affatto opposizione, col resto dei lavori parlamentari. Il che vuol dire che domani, nella seduta del pomeriggio potrà essere fissato il giorno di discussione della mozione. (Commenti).
CODIGNOLA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CODIGNOLA. Mi dispiace di non poter aderire alla proposta dell’onorevole Gronchi perché questa mira evidentemente a portare la discussione, come minimo, al 24, cioè alla vigilia del giorno delle votazioni per le elezioni del Consiglio. Ora è chiaro che è del tutto vano discutere alla vigilia delle votazioni. Quindi mi pare che se vogliamo veramente discutere seriamente, come l’onorevole Gronchi ha confermato e come ha confermato l’onorevole Ministro, ci sono due strade: o discutere questa sera, o domani mattina. Non c’è altra possibilità.
PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PELLA, Ministro delle finanze. Volevo pregare la Presidenza e l’Assemblea di lasciare la giornata di domani per la discussione della patrimoniale, perché abbiamo già delibato la questione degli enti collettivi e sarebbe interessante che domani la questione cominciasse ad essere esaminata a fondo, e possibilmente fosse definita.
Io credo che questo sia armonizzabile con i desideri dell’onorevole Lussu e dell’onorevole Codignola.
LUSSU. Questo problema è ugualmente importante quanto quello finanziario. (Commenti al centro e a destra).
PRESIDENTE. Prego il Ministro della pubblica istruzione di voler fare una proposta precisa.
GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. A termini di regolamento, l’Assemblea decide: mi rimetto all’Assemblea.
LOZZA. Se l’onorevole Ministro rimandasse le elezioni provvisoriamente all’inizio del nuovo anno scolastico, potremmo rimandare la discussione di alcuni giorni. (Commenti al centro).
GRONCHI. Io ho proposto, che per porre la discussione di questa mozione in armonia con il corso dei lavori parlamentari, nella seduta di domani sia stabilito il giorno della discussione che, secondo me, potrebbe essere dopodomani, nella mattina o nel pomeriggio.
Voci a sinistra. Troppo tardi!
LA MALFA. Faccio presente che la Commissione avrà bisogno della mattinata di domani per discutere la questione della tassazione degli enti collettivi e le altre questioni rimaste in sospeso per la patrimoniale.
Quindi noi non siamo in grado domani mattina di continuare la discussione sulla patrimoniale.
SANSONE. Propongo formalmente che la mozione sia discussa nella seduta di domani mattina alle 9.30 e prego il Presidente di porre in votazione la mia proposta. (Commenti – Rumori prolungati).
DUGONI. Il Governo deve dire che cosa pensa della proposta dell’onorevole Lussu. (Commenti al centro e a destra – Rumori – Richiami del Presidente).
GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Ripeto che il Governo si rimette alla decisione dell’Assemblea.
PRESIDENTE. Pongo ai voti la proposta dell’onorevole Sansone, di fissare per domani mattina la discussione della mozione.
(Non è approvata – Proteste e rumori a sinistra – Commenti al centro e a destra – Scambio di vivaci apostrofi).
PRESIDENTE. Avverto che domani si terranno due sedute alle ore 10.30 e alle ore 17 per il seguito della discussione sulla patrimoniale.
Interrogazioni e interpellanza.
PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni e di una interpellanza pervenute alla Presidenza.
AMADEI, Segretario, legge:
«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, sulle condizioni del bando di concorso per titoli a 6 posti di provveditore agli studi, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 18 giugno 1947. Il bando presenta le seguenti anomalie:
1°) l’assegnazione di un termine di 20 giorni per la presentazione della domanda e dei documenti, invece di 60, come disposto per gli altri concorsi, termine che non appare sufficiente a chi, risiedendo lontano dal centro, non è in grado di provvedersi dei necessari documenti;
2°) l’attribuzione di punti 40, sui 100 di cui può disporre la Commissione, al servizio lodevolmente prestato, quale reggente provveditore dopo la liberazione.
«Sembra un concorso su misura a favore di determinate persone.
«Ragioni di equità impongono l’annullamento del bando, perché sia elevato il termine di presentazione della domanda e dei documenti e sia convenientemente ridotto il numero dei punti da assegnare al servizio prestato quale reggente.
«Di Giovanni, Tonello».
«I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri dell’industria e commercio, delle finanze e dei lavori pubblici, per conoscere se ravvisino di prorogare per un decennio le disposizioni della legge 5 dicembre 1941, numero 1572, concedente agevolazioni agli impianti industriali dell’Italia centro-meridionale, iniziati entro il termine del 31 dicembre 1946 e ciò sia in considerazione del fatto che, a causa del periodo bellico, la detta legge non ha potuto avere pratica attuazione, sia in considerazione della necessaria evoluzione industriale dell’Italia centro-meridionale, resa più urgente dalle distruzioni belliche e costituente un aspetto primario del problema meridionale.
«Perlingieri, Moro, Bettiol, Salvatore, Bosco Lucarelli, Fuschini, Ermini, Rescigno, Recca, Uberti, Gabrieli».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere se non ritenga di disporre – in considerazione del continuo depauperamento della terra delle colline, provocato dalle piogge e dalle annuali e superficiali coltivazioni – che sulle colline, specie a forte pendio, siano sospese le coltivazioni superficiali, sia impedito il depauperamento della terra (muratura, palizzate) e sia favorita in ogni modo la piantagione di alberi a profonde e fitte radici.
«Lettieri».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se ha in programma l’elevazione culturale e tecnica dei medici che intendono dedicarsi alla condotta, la quale, specie se è espletata in paesi lontani da centri ospedalieri ed universitari, richiede nel sanitario cognizioni precise di diagnostica e di pronto soccorso.
«Il giovane medico si laurea generalmente ricco di cognizioni scientifiche, ma poco esperto nella pratica.
«L’interrogante crede sia il tempo di istituire per i giovani laureati, che desiderano avviarsi a diventare medici-condotti, corsi ospedalieri di tirocinio pratico per almeno due anni.
«Si dovrebbero creare, cioè, scuole statali per la preparazione del medico-condotto.
«Lettieri».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere il suo interessamento per combattere l’analfabetismo, che è sempre in aumento nell’Italia meridionale, e per impedire la mancanza di stabilità degli insegnanti, i quali, in questo loro servizio ambulante, spesso a causa della pioggia, della neve, del freddo, disertano le scuole e con la loro assenza favoriscono la negligenza degli alunni.
«Lettieri».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere se non creda opportuno favorire ed incoraggiare l’allevamento del baco da seta e l’allevamento delle api, per incrementare la produzione e la ricchezza nazionale.
«Lettieri».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere le ragioni per cui sono rimasti sospesi i lavori stradali fra Sacco e Roscigno, fra Orria e Omignano Scalo, fra Perito ed Ostigliano, tutti paesi della provincia di Salerno, costretti, per la incompiuta opera di cui sopra, a fare lunghissimi e disagiati tragitti per raggiungere i rispettivi scali ferroviari.
«Lettieri».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere:
1°) se il Commissariato nazionale della G.I. (Gioventù Italiana), creato con decreto del 2 agosto 1943 con il compito di reperire il patrimonio della ex GIL e di predisporre i lavori di una Commissione interministeriale per decidere sulla destinazione di quel patrimonio, abbia espletato il suo compito e con quali conclusioni;
2°) se non si ritiene improrogabile imporre a partiti politici e ad enti l’immediata restituzione allo Stato degli immobili e delle attività tutte della ex GIL, di cui sono in illegittimo possesso o fanno arbitrario uso;
3°) se non sembra opportuno ed urgente che l’intero patrimonio della ex GIL venga conferito all’Ente dei patronati scolastici, tenendo presente che solo con questa destinazione quel cospicuo patrimonio del popolo italiano può considerarsi restituito al legittimo uso, fuori di ogni passione politica.
«Tumminelli».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e i Ministri degli affari esteri e delle finanze, per conoscere se – esaminato l’articolo 9, n. 3, del Trattato di pace tra le Potenze alleate ed associate e l’Italia, firmato a Parigi il 10 febbraio 1947, per il quale il Governo italiano si impegna a indennizzare i cittadini italiani, i cui beni saranno confiscati ai sensi del presente articolo e non saranno loro restituiti; considerato che, cittadini italiani, già residenti fino allo scoppio della guerra in Paesi alleati e associati e nei territori da essi dipendenti, avevano ivi col loro tenace lavoro e con l’intelligente loro iniziativa creato la loro fortuna economica, dovuta abbandonare per il coatto loro rimpatrio; ritenuto che tali cittadini rimasti sul lastrico, si dibattono in Patria nelle angustie avvilenti di una immeritata miseria, privati, come sono, di tutti i beni che con dura fatica si erano creati, e che l’impegno del Governo italiano di risarcire i danni deriva non tanto dall’articolo 9, n. 3, dell’iniquo trattato di pace, quanto dalla morale dello Stato italiano e dal diritto che Roma ha sempre insegnato al mondo – in considerazione di quanto accennato, non ritengano essere necessario ed urgente di sovvenire con adeguate anticipazioni, in attesa del risarcimento definitivo, quei cittadini italiani, che privati di tutti i loro beni all’estero, languono in Patria nella più spaventosa indigenza, e ciò indipendentemente dall’entrata in vigore del Trattato di pace. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Mastrojanni».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere se non ricorrano ancora gli estremi che consigliano la continuazione «a porte chiuse» del processo Graziosi: perché sia diradata, nella fase conclusiva, l’insana atmosfera di delitto creata dalla stampa con la conseguente morbosa partecipazione della pubblica opinione al dibattito, così da turbare l’alto isolamento che si addice alla giustizia; e perché dalla devastazione, dalla cruda vivisezione di corpi e di anime e dallo scempio dei più doloranti riposti segreti umani, sia sottratta la più vera vittima: la piccola inconsapevole creatura innocente, alla quale il tempo e la comprensione futura non potranno che apportare il crescente sovrumano peso della sciagura senza speranza. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Di Fausto».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere per quali ragioni sono stati interrotti i lavori di bonifica del torrente Alento, il quale nel suo lungo decorso apporta ogni anno, nel periodo delle piogge, incalcolabili danni alle campagne che ne formano le sponde. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Lettieri».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del commercio con l’estero, per conoscere quali provvedimenti intenda adottare per fronteggiare la grave crisi che minaccia la produzione e l’industria serica nazionale a causa principalmente della rinata concorrenza giapponese e per conoscere se non intenda ovviare a tale situazione con la concessione di facilitazioni valutarie ai produttori esportatori e, in ispecie, acconsentendo a loro favore una percentuale di divisa estera superiore al 50 per cento, di guisa che il maggior margine possa costituire un compenso remunerativo delle maggiori spese di produzione; e per conoscere, altresì, se non ritenga di considerare la opportunità di graduare le disponibilità di divisa estera agli esportatori, sia in proporzione alle necessità delle singole categorie di provvedersi di materie prime provenienti dall’estero, sia in relazione alle necessità di adeguare i costi di produzione interna a quelli dei mercati internazionali. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Bulloni».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere quali provvedimenti intenda adottare perché, in conformità con le richieste già da tempo avanzate dalle autorità accademiche dell’Università di Perugia, venga ufficialmente chiarita, nei rapporti del personale universitario, la situazione determinatasi in seguito a notizie apparse sulla stampa circa i pretesi risultati dell’inchiesta esperita alcuni mesi or sono dal Ministero dell’interno sul locale Ospedale civile.
«Risponde infatti ad una immediata esigenza dell’Università che una manifestazione ufficiale ridia a coloro che non hanno nulla da rimproverarsi la piena serenità indispensabile al migliore adempimento del loro ufficio. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Ermini».
«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per sapere se non ritenga necessario, al fine di eliminare un trattamento iniquo nei confronti dei piccoli agricoltori conduttori diretti nel campo dei contributi unificati in agricoltura, di porre allo studio la riforma della legge attuale che regola questa materia, modifica intesa nel senso che i contributi unificati non siano più corrisposti dagli agricoltori in base all’ettaro-coltura, ma sulla effettiva occupazione di mano d’opera extra famigliare.
«È noto infatti che il sistema dell’ettaro-coltura, se può essere gradito per i grandi agricoltori, non può più essere sopportato dai piccoli perché, non impiegando essi lavoratori avventizi o salariati al di fuori del proprio nucleo famigliare, si prodigano nei campi a seconda della stagione e l’urgenza dei lavori.
«Cade quindi con ciò il dato tecnico dell’ettaro-coltura nei riguardi della conduzione del terreno.
«La cura e la custodia del bestiame è per i piccoli agricoltori conduttori diretti un lavoro sempre compiuto extra orario (al mattino presto ed a sera molto inoltrata) affinché non vengano distolti i membri della famiglia dai lavori dei campi.
«Con il sistema dell’ettaro-coltura si vengono a colpire così molte aziende che, pur non collocando nessun lavoratore durante la intera annata, sono assoggettate a pagare contributi per lavoratori ipotetici aggiudicati loro dopo le detrazioni di legge delle giornate lavorative concesse ai conduttori diretti.
«È per questo che queste aziende chiedono che venga applicata loro non la legge dell’ettaro-coltura, ma quella della reale occupazione di mano d’opera. In questo modo ogni azienda, sia grossa sia piccina, pagherà effettivamente il contributo che le compete. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).
«Bertola, Pastore Giulio».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro della difesa, sulla situazione dei proprietari di terreni situati nella zona del confine occidentale, che, alla vigilia della dichiarazione di guerra, furono occupati d’urgenza per opere militari e poi espropriati.
«Si tratta spesso di parcelle intensamente coltivate con impianti irrigui e serre che consentivano, su limitatissima superficie, il lavoro e il benessere di intere famiglie di proprietari.
«Le indennità computate in ordine ai valori 1939-40, furono pagate o versate alla Cassa depositi e prestiti nel 1946-47 e rappresentano sì e no un importo pari al 5 per cento dei valore attuale.
«Le opere militari si rivelarono inutili, o non furono eseguite, o risultarono abbandonate.
«L’interrogante chiede se non appaia giusto e utile all’economia nazionale, un provvedimento che consenta, quando ciò sia praticamente possibile, la restituzione degli appezzamenti ai proprietari espropriati, contro rinuncia della indennità e degli interessi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Rossi Paolo».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e i Ministri dei trasporti e del tesoro, per sapere quanto ci sia di vero nella pubblicazione apparsa nel Giornale del Mezzogiorno di lunedì 21 luglio, n. 26, sotto il titolo «Scandalo all’ARAR senza precedenti – Un contratto sbalorditivo frutterà all’UNAM un miliardo ai danni dello Stato», nella quale si accenna alla cessione da parte dell’ARAR all’Unione aziende meccaniche (UNAM) di un quantitativo di 1800 motori GM Diesel per gruppi elettrogeni al prezzo di lire duecentosettantacinque mila ciascuno ed a condizioni di favore, mentre il prezzo degli stessi motori sul mercato italiano varia da lire novecento mila a tre milioni ciascuno; ciò che sottrae allo Stato un introito di circa un miliardo di lire.
«Data la gravità dell’argomento è necessario il più accurato accertamento dei fatti e delle eventuali responsabilità. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Di Giovanni».
«Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei Ministri ed il Ministro degli affari esteri, sulle direttive dell’Italia pel piano Marshall.
«Ruini».
PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.
Così pure l’interpellanza sarà iscritta all’ordine del giorno, qualora il Ministro interessato non vi si opponga nel termine regolamentare.
La seduta termina alle 23.
Ordine del giorno per le sedute di domani.
Alle ore 10.30 e alle ore 17:
Seguito della discussione sul disegno di legge:
Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di un’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).