Come nasce la Costituzione

ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 25 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCI.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 25 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Congedo:

Presidente

Disegno di legge (Seguilo della discussione):

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato, in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

Presidente

La Malfa, Relatore

Marinaro

Corbino

Cannizzo

Pella, Ministro delle finanze

Tozzi Condivi

De Vita

Scoccimarro

Scoca

Dugoni

Pesenti

Foa

Perlingieri

Micheli

Caroleo

Bertone

Cappi

Zerbi

Molinelli

Condorelli

Togliatti

Votazione nominale:

Presidente

Risultato della votazione nominale:

Presidente

La seduta comincia alle 10.

SCHIRATTI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo il deputato Mazza.

(È concesso).

Seguito della discussione del disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo Provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione sul disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio.

Proseguendo nella discussione degli articoli rimasti in sospeso, dovremmo riprendere l’esame dell’articolo 2. Chiedo all’onorevole Relatore a qual punto sono i lavori della Commissione in merito all’articolo stesso.

LA MALFA, Relatore. Questa mattina la Commissione si è riunita. Sull’articolo 2, in linea di principio, essa aveva comunque già deciso a maggioranza di accettare l’emendamento Castelli Edgardo, Scoca ed altri. La Commissione non avrebbe quindi nulla in contrario ad iniziare la discussione con l’articolo 2. Poiché tuttavia l’Aula è in questo momento pressoché deserta, data l’importanza che riveste l’articolo, proporrei, se l’onorevole Presidente non ha nulla in contrario, di iniziare questa mattina i nostri lavori dall’articolo 3, salvo poi a ritornare sull’articolo 2, se la situazione numerica dell’Assemblea lo consiglierà.

MARINARO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARINARO. Dato che il Presidente della Commissione propone di incominciare l’esame dell’articolo 3, lasciando indietro l’articolo 2, proporrei senz’altro di approvare una sospensiva sull’articolo 2. Come infatti l’onorevole Presidente della Commissione sa…

PRESIDENTE. Ma l’onorevole Relatore, onorevole Marinaro, propone non già di rimandare, ma di sospendere momentaneamente.

MARINARO. Ma se fossimo d’accordo fino da questo momento…

PRESIDENTE. Ma lei comprende che una proposta di sospensiva riveste un carattere di molta importanza.

SCOCCIMARRO. Si tranquillizzi, onorevole Marinaro, perché non saremmo d’accordo noi.

PRESIDENTE. Se non vi sono altre osservazioni, l’esame dell’articolo 2 è momentaneamente sospeso. Si passa dunque all’articolo 3. Se ne dia lettura nel testo proposto dalla Commissione.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Ai fini dell’imposta straordinaria, si considerano nel patrimonio del marito i beni acquistati dalla moglie, a titolo oneroso, dopo il 28 marzo 1937.

«È fatta eccezione per i beni per i quali sia dimostrato che l’acquisto rappresenta trasformazione di beni posseduti dalla moglie anteriormente al matrimonio o acquisiti successivamente a titolo gratuito, ovvero investimento di redditi propri, conseguiti durante il matrimonio, o fondi provenienti da accensione di debiti.

«Ai medesimi fini, si considerano nei patrimonio degli ascendenti i beni da essi ceduti ai discendenti dopo il 28 marzo 1937, quando la cessione dipenda:

  1. a) da trasferimenti a titolo gratuito, esclusi quelli effettuati per costituzione di dote in occasione di matrimonio o per costituzione di patrimonio ecclesiastico;
  2. b) da trasferimenti a titolo oneroso, salvo non sia dimostrato che l’acquisto rappresenta trasformazione di beni posseduti dall’acquirente anteriormente alla data predetta o acquisti successivamente a titolo gratuito, ovvero investimento di redditi propri o di fondi provenienti da accensioni di debiti.

«Quando si fa luogo al cumulo previsto nel presente articolo, il contribuente ha il diritto di rivalersi, verso gli intestatari dei beni cumulati, della quota proporzionale d’imposta afferente i beni medesimi».

PRESIDENTE. A questo articolo sono stati presentati e svolti due emendamenti: uno dall’onorevole Adonnino e uno dall’onorevole Condorelli, rispettivamente del seguente tenore:

«All’ultimo comma, aggiungere:

«Quando si fa luogo al cumulo previsto nel presente articolo, la quota proporzionale di imposta afferente i beni ceduti farà carico, mediante il rimborso, all’intestatario fino alla somma che egli avrebbe pagato per il bene ceduto ove esso fosse stato compreso nel suo patrimonio, e, per il di più, al contribuente e all’intestatario in proporzione della ripartizione del valore del patrimonio originario».

Adonnino.

«Prima dell’ultimo comma inserire il seguente:

«Il cumulo non si opera ove prima del 28 marzo 1947 i beni siano stati ulteriormente trasferiti a soggetti diversi dal coniuge e dai discendenti del primo cedente».

«Alla fine dell’ultimo comma aggiungere: e non oltre l’importo della quota proporzionale di imposta che il cessionario avrebbe dovuto pagare se i beni stessi fossero stati computati nel suo patrimonio».

Condorelli.

Chiedo al Relatore di esprimere il parere della Commissione su questi emendamenti.

LA MALFA, Relatore. Gli emendamenti degli onorevoli Adonnino e Condorelli riguardavano la facoltà del contribuente di rivalersi verso gli intestatari dei beni cumulati e facevano eccezione al principio della ripartizione proporzionale dell’imposta fra i discendenti.

La Commissione ha esaminato attentamente il problema in tutti i suoi aspetti, ma non ha trovato una disposizione migliore di quella che è già nel testo governativo: qualsiasi altra soluzione – compresa quella prospettata dagli onorevoli Adonnino e Condorelli – presenta inconvenienti molto gravi, e possibilità di sperequazione tra i vari discendenti. La norma del testo governativo, invece, stabilendo la possibilità di ripartizione proporzionale della quota, rispetta in un certo senso la volontà dell’ascendente che, dividendo il suo patrimonio fra i discendenti in proporzioni diverse, ha voluto che il rapporto patrimoniale fra i discendenti fosse quello.

Ora, con una quota proporzionale d’imposta si mantiene quel rapporto. Faccio un esempio pratico; se un figlio ha trecento milioni di lire e un altro cento milioni, con un carico tributario – supponiamo – su un patrimonio complessivo di un miliardo, del 50 per cento, applicando la quota proporzionale, il figlio che ha avuto trecento milioni se li vede ridurre a centocinquanta e quello che ha avuto cento milioni, a cinquanta. Questa norma fa sì che i rapporti patrimoniali tra ascendente e discendenti si mantengano nella stessa proporzione dopo l’applicazione dell’imposta.

Credo che, non avendo la possibilità di applicare un principio più opportuno, sia da mantenere almeno il criterio di rispettare la volontà dell’ascendente.

Per quanto riguarda poi l’emendamento Condorelli la Commissione manifesta parere contrario. Essa si è infatti prospettati due casi: ha supposto che il discendente avesse ceduto a titolo oneroso il bene ad un terzo; al posto del bene che dovrebbe essere cumulato si sostituisce un controvalore del bene stesso, e quindi si cumula il controvalore. Se, invece, il discendente ha ceduto ad un suo discendente, supponiamo, il bene a titolo gratuito, per donazione, ecc., si può far risalire questo bene all’ascendente primo. E quindi, in un certo senso, il principio del cumulo affermato nell’articolo bisogna portarlo fino alle estreme conseguenze. La Commissione non ha visto che avvenga, né il caso di duplicazione dell’imposta, né il caso di aggravamento dell’imposta stessa.

Per queste ragioni ha respinto l’emendamento Condorelli.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Volevo soltanto chiarire questo: probabilmente il primo emendamento Condorelli si sarebbe potuto prendere in maggiore considerazione se avesse detto «siano stati ulteriormente trasferiti a titolo oneroso», perché si andrebbe incontro a questa ipotesi: il padre cede il bene al figlio; il figlio lo ha venduto e non ha più niente, e, quindi, il padre non ha più possibilità di rivalsa dell’imposta.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Questo caso è stato considerato dalla Commissione; ma è un caso generale, che rientra cioè in una disposizione generale, mi pare nell’articolo 24. Se un contribuente ha ceduto un bene o lo ha consumato, evidentemente non può essere tassato. Ma non è una disposizione specifica per il fatto del cumulo. Ogni volta che un contribuente ha venduto un cespite patrimoniale e per ragioni di consumo non ha potuto mantenerlo, il controvalore la finanza non lo tassa. Ma questo è un principio che non riguarda solo il cumulo. In qualsiasi caso un cespite sia venuto meno, si dà luogo all’esenzione rispetto a quel cespite. Senza introdurre qui una disposizione specifica (e vorrei sentire in proposito l’interpretazione del Governo) è evidente che quando un contribuente in buona fede dimostra di aver consumato un cespite, la Finanza non può fiscalmente indagare su questa situazione.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Cannizzo. Ne ha facoltà.

CANNIZZO. Potrei obiettare all’onorevole La Malfa questo: che va bene quello che dice lui, ma la prova del consumo in questo caso dovrà darla il genitore e non il figlio. Si supponga che il padre abbia ceduto un bene al figlio ed il figlio l’abbia venduto. Giuoca nei riguardi del figlio la presunzione che il controvalore sia in possesso del figlio. Però il padre potrebbe non essere in condizione di dare la prova del consumo perché il padre può ignorare quanto concerne il figlio. Sono due cose distinte ed è auspicabile che si definisca bene questo punto.

LA MALFA, Relatore. Io credo che la prova del consumo la debba dare sempre il figlio. Ad ogni modo, nelle istruzioni, questo potrà essere oggetto di una disposizione specifica. Credo che i processi verbali di tutte le nostre discussioni debbano essere trasmessi al Ministero perché è bene che la Finanza dia tassative istruzioni in questa materia. Ma è inutile farne oggetto di disposizione di legge.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro.

PELLA, Ministro delle finanze. Per brevità mi associo alle conclusioni dell’onorevole Relatore e chiedo la conferma del testo che è stato posto in discussione.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Relatore.

LA MALFA, Relatore. La Commissione proporrebbe solo, nell’ultimo comma del testo governativo dell’articolo 3, di modificare la dizione: «ha il diritto di rivalersi» in quella di: «può rivalersi».

PELLA, Ministro delle finanze. Le due espressioni mi sembrano equivalenti, ma non ho difficoltà ad adottare la formula «può».

TOZZI CONDIVI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOZZI CONDIVI. Sempre agli effetti del cumulo, io crederei forse opportuno per la Finanza che al terzo capoverso, invece di dire: «Ai medesimi fini, si considerano nel patrimonio degli ascendenti», si dicesse: «Ai medesimi fini, si possono considerare». E ciò per un caso che può verificarsi ai danni dello Stato. Facciamo il caso che il genitore abbia un patrimonio di 3 milioni e che ne ceda 2 al figlio, che ne ha 2 per conto suo. Il figlio ne avrebbe così 4. Se, con la presunzione, 2 ritornano al padre, non paga il figlio né il padre. Il figlio può infatti dire: io posseggo 2 milioni e non pago niente. Ma il padre ne possiede 3 e non paga neanche lui. Quindi la Finanza viene a perdere. Invece la Finanza potrebbe tassare il figlio.

LA MALFA, Relatore. Comprendo l’obiezione, ma credo che questo principio ci porterebbe a dare troppa licenza alla Finanza. Se si ritiene necessario fare il cumulo, allora bisogna lasciare che tutte le conseguenze abbiano luogo, anche se sono a sfavore della Finanza. Non si può rendere questo istituto così elastico.

PELLA, Ministro delle finanze. Apprezzo la preoccupazione del collega, ma devo chiedere anche qui la conferma del testo governativo.

PRESIDENTE. Pongo allora ai voti l’emendamento dell’onorevole Adonnino.

(Non è approvato)

PRESIDENTE. Pongo ai voti il primo emendamento dell’onorevole Condorelli.

(Non è approvato).

Pongo in votazione il secondo emendamento dell’onorevole Condorelli.

(Non è approvato).

Dovrò ora porre ai voti la modificazione proposta dalla Commissione all’ultimo capoverso dell’articolo 3: sostituire alle parole «ha il diritto» la parola «può».

DE VITA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE VITA. Pregherei la Commissione di mantenere ferma la formula del Governo. Se mettiamo «può», diventa una facoltà; e l’esercizio di una facoltà non è trasmissibile agli eredi.

LA MALFA, Relatore. Dal punto di vista della successione l’obiezione dell’onorevole De Vita può avere qualche fondamento. Se l’ascendente non ha esercitato questa facoltà possono sorgere delle difficoltà di questo genere. Allora forse conviene lasciare «ha il diritto».

PRESIDENTE. Il Governo?

PELLA, Ministro delle finanze. Ho manifestato la mia indifferenza in materia.

PRESIDENTE. Allora, poiché la Commissione ritira il suo emendamento, l’articolo 3 si intende approvato definitivamente nel testo proposto.

Passiamo all’articolo 8, anch’esso rimasto in sospeso: se ne dia lettura nel testo della Commissione.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Sono esenti dall’imposta straordinaria sul patrimonio i seguenti cespiti:

1°) i capitali corrispondenti a contributi che, per legge o per contratto, siano stati versati a Casse di previdenza, o di soccorso, istituite contro i rischi di malattia, infortuni, vecchiaia ed invalidità; a Casse di previdenza o Casse di pensione per gli impiegati privati, od a Casse di pensione per vedove o orfani, contemplate alle lettere c) ed f) dell’articolo 2 del regio decreto-legge 29 aprile 1923, n. 966;

2°) i capitali corrispondenti a rendite vitalizie o ad altre rendite di carattere temporaneo;

3°) il prezzo di riscatto delle somme assicurate sulla vita, fatta eccezione per i contratti di assicurazione a premio unico, stipulati dopo il 10 giugno 1940;

4°) le chiese ed ogni altro edificio destinato al culto, col mobilio, gli arredi sacri, i reliquari e qualunque altro oggetto di spettanza della chiesa;

5°) gli immobili dichiarati esenti da tributi ordinari e straordinari in forza dell’articolo 16 del trattato tra la Santa Sede e l’Italia, reso esecutivo con la legge 27 maggio 1929, n. 810;

6°) i titoli del Prestito della Ricostruzione autorizzato con decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 26 ottobre 1946, n. 262, che non siano stati convertiti in titoli 5 per cento;

7°) le cose mobili, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnografico, quando facciano parte di collezioni o serie notificate ai sensi dell’articolo 5 della legge 1° giugno 1939, n. 1089, oppure siano soggette a pubblico uso o godimento;

8°) le rendite dei benefici ecclesiastici maggiori e minori».

PRESIDENTE. Al n. 8 dell’articolo 8 è stato proposto questo emendamento:

«Sostituire il n. 8°) col seguente:

le rendite dei benefici ecclesiastici maggiori e minori che abbiano diritto a congrua o che, con la detrazione di imposta, rientrino nelle categorie aventi diritto a congrua.

«Scoccimarro, Dugoni, Pesenti, Maffi, Corbi, Farina, Bardini, Moranino, D’Onofrio, Barontini Anelito».

L’emendamento è stato già svolto.

La Commissione ha facoltà di esporre il suo parere.

LA MALFA, Relatore. L’emendamento dell’onorevole Scoccimarro ed altri colleghi riproduce una disposizione – direi, quasi, negli stessi termini – che era contenuta nella legge sull’imposta patrimoniale del 1922.

Quella legge tassava i benefici ecclesiastici: il che è esposto nella relazione, dove c’è una nota che illustra specificamente questo punto. Tuttavia quella legge distingueva i benefici ecclesiastici in nuda proprietà e usufrutto e considerava le rendite dei benefici ecclesiastici come usufrutto.

Naturalmente la dizione del testo governativo è molto più larga perché esenta tutte le rendite dei benefici ecclesiastici, rientrino o non rientrino nell’istituto della congrua. La Commissione ha discusso questo emendamento e, a maggioranza, l’ha respinto.

L’argomento della maggioranza è che anche quando le rendite dei benefici ecclesiastici non rientrano nell’istituto della congrua, per disposizione interna della Chiesa, le rendite maggiori servono a coprire necessità, a colmare o completare le rendite minori, cioè c’è una compensazione, nell’ambito dei beni ecclesiastici, fra rendite maggiori, più pingui, e rendite minori. La maggioranza della Commissione si è espressa dunque in senso contrario all’emendamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro ha facoltà di esporre il suo parere.

PELLA, Ministro delle finanze. Vorrei, per spiegare il parere del Governo contrario all’emendamento, aggiungere qualche altra considerazione a quelle riassunte dall’onorevole Relatore, considerazioni che si riallacciano al sistema di esenzioni contemplate dall’articolo 8.

Dobbiamo toner presente che, per il numero 2 dell’articolo 8, sono esenti dall’imposta straordinaria i capitali corrispondenti a rendite vitalizie o ad altre rendite di carattere temporaneo. Orbene, tali rendite possono avere provenienza diversissima, e derivare sia da puro lavoro, sia da puro capitale. Al numero 2 è prevista per tutte l’esenzione, anche per quelle che provengono da puro capitale. Il numero 8, in definitiva, estende il principio dell’esenzione, indicato nel n. 2, ai capitali corrispondenti ad una determinata categoria di rendite, quelle che provengono dai benefici ecclesiastici. Le rendite dei benefici ecclesiastici rappresentano la remunerazione di quella altissima attività spirituale che svolge l’investito del beneficio. Il Governo non vedrebbe per quale ragione, dopo avere esentato le rendite che derivano da puro capitale, non si dovessero esentare le rendite dei benefici ecclesiastici maggiori o minori. Per un senso di perequazione, sul piano morale, il Governo aggiunge la cennata considerazione per sostenere il suo parere contrario all’emendamento dell’onorevole Scoccimarro ed altri.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Lei ha già svolto il suo emendamento; la prego pertanto di limitarsi ad una breve dichiarazione.

SCOCCIMARRO. Desidero far notare che, nonostante le dichiarazioni del Relatore e dell’onorevole Ministro, io mantengo l’emendamento per queste ragioni: 1°) nell’articolo 8, mentre al numero 2 si parla di capitali corrispondenti a rendite, al numero 8°) si parla invece solo di rendite; quindi non si può per analogia porre sullo stesso piano i due punti; 2°) non v’è ragione per la quale su questo problema la legge attuale debba essere più generosa di quella del 1920. Penso che se ragioni di mutamento ci fossero, sarebbero da attuarsi piuttosto in senso inverso date le maggiori necessità e i maggiori bisogni che oggi ha il Paese; 3°) l’argomento portato in sede di Commissione, che cioè la Chiesa parifica le rendite dei benefici ecclesiastici, non può essere una ragione sufficiente per noi, perché quella è una misura interna che oggi esiste e domani potrebbe non esistere. Essa può, caso mai, dare al Ministro delle finanze la possibilità di una particolare valutazione delle rendite che derivano da tale conguaglio. Nella legge bisogna prescindere dalle disposizioni interne della Chiesa. E non mi pare nemmeno giustificata la ragione che si richiama all’attività spirituale del titolare delle rendite, perché qui si tratta della constatazione oggettiva di un reddito e non, in generale, dell’attività di chi usufruisce e gode di quel reddito: se si dovesse accettare il criterio del Ministro, allora tutta la nostra legislazione in materia, anche quella che riguarda altre imposte, dovrebbe essere modificata.

Riassumendo, io mantengo l’emendamento: 1°) perché esso corrisponde alle disposizioni esistenti nelle leggi finanziarie su questi problemi; 2°) perché non è opportuno che per l’attuale imposta straordinaria vi siano norme più lievi di quelle del 1920, dato che oggi la situazione del Paese è più grave ed esige maggiori sacrifici; 3°) perché, infine, ogni disposizione interna della Chiesa non può valere in questa sede mentre, se mai, può valere in sede di applicazione della legge per i criteri che il Ministro intenderà applicare in merito.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Relatore. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Io ho espresso, com’era mio dovere, il parere della maggioranza della Commissione. Dichiaro che, personalmente, voterò l’emendamento Scoccimarro.

SCOCA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCA. Io voterò contro l’emendamento Scoccimarro, innanzitutto per una ragione tecnica. Mentre si tratta di imposta sul patrimonio, cioè di imposta sul capitale, nell’emendamento si fa menzione di rendite dei benefici ecclesiastici. È la stessa cosa come si dicesse che dall’imposta di cui ci occupiamo fossero esenti gli stipendi degli impiegati dello Stato o degli impiegati privati. Perché evidentemente le rendite dei benefici ecclesiastici sono il frutto del capitale e non il capitale. È la stessa cosa come se si dicesse che il frutto di certi determinati beni, e non i beni capitali, sono esenti da questa imposta che contempla come oggetto di imposizione il capitale, ossia il patrimonio.

A parte ciò, io ritengo che l’esenzione qui stabilita non abbia una ragion d’essere specifica in questa legge, inquantoché incide in quella norma del Concordato, che tutti sappiamo, per cui il fine di culto e di religione è equiparato al fine di assistenza e di beneficenza.

DUGONI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Noi voteremo a favore dell’emendamento Scoccimarro per una questione di giustizia fiscale.

Noi crediamo sia principio veramente insuperabile che tutti i patrimoni, i quali non siano sottratti, per la destinazione, per effetto del Trattato del Laterano, alla legge fiscale italiana, devono rientrare nella normalità della tassazione.

Notiamo anche che, secondo noi, non conviene alla democrazia cristiana di prendere posizione a favore di specifiche esenzioni, che contrastano con i principî del diritto finanziario italiano. (Proteste al centro). E quindi, per rimanere fedeli alla questione di principio della eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge fiscale, noi voteremo a favore del proposto emendamento.

PESENTI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Lei, onorevole Pesenti, è firmatario dell’emendamento Scoccimarro, che è stato svolto abbondantemente.

PESENTI. Siccome l’onorevole Scoca ha motivato il suo voto contrario all’emendamento con due argomentazioni, che non ritengo giuste, è necessario che io risponda.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.

PESENTI. L’onorevole Scoca ha affermato che qui nominare le rendite è un errore, in quanto che sarebbe come nominare stipendi e salari. E allora è chiaro che non ci dovrebbe essere esenzione, e non dovrebbero essere nominate. Se, invece, il nominarle ha un significato, allora siano colpiti i benefici e non le rendite che ne derivano.

Quanto alla questione che questi benefici sarebbero compresi nel Concordato, è opinione non soltanto mia, ma di parecchi colleghi democristiani, che non siano compresi nel Concordato. Se eventualmente lo fossero, non ci sarebbe bisogno di nominarli particolarmente nella esenzione stabilita all’articolo 8.

PRESIDENTE. Pongo ai voti l’emendamento all’articolo 8 proposto dall’onorevole Scoccimarro ed altri.

(Non è approvato).

L’articolo 8 si intende quindi approvato nel testo proposto dalla Commissione.

Passiamo all’articolo 12. Se ne dia lettura nel testo proposto dalla Commissione.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Contro le valutazioni dei terreni, eseguite dagli Uffici distrettuali delle imposte dirette con i coefficienti indicati negli articoli precedenti, i contribuenti possono ricorrere alle Commissioni amministrative per questioni riflettenti la non corrispondenza dei fondi alla qualità di coltura risultante dal catasto. Gli Uffici distrettuali delle imposte possono, a loro volta, rettificare le risultanze catastali, quando esse non corrispondono alla qualità di coltura, salvo il diritto del contribuente di ricorrere, contro la rettifica, alle Commissioni suddette.

«Contro le valutazioni dei fabbricati eseguite dagli Uffici distrettuali delle imposte con i coefficienti indicati negli articoli precedenti, i contribuenti possono, ai soli fini della imposta straordinaria sul patrimonio, ricorrere alle Commissioni amministrative per questioni riflettenti l’assegnazione del fabbricato alla categoria o alla classe, quando la destinazione o le caratteristiche di esso siano, in atto, notevolmente diverse da quelle dell’unità tipo, approvate dalla Commissione censuaria centrale come rappresentative della categoria o classe cui il fabbricato è stato assegnato».

PRESIDENTE. A questo articolo gli onorevoli Foa, Pesenti, Scoccimarro e Valiani hanno proposto il seguente emendamento:

«Aggiungere il seguente comma:

«Qualora il valore dei fabbricati risultante dall’applicazione dei coefficienti di cui all’articolo 9 sia superiore di almeno un quinto al valore medio effettivo del periodo 1° luglio 1946-31 marzo 1947, il contribuente può chiedere all’ufficio distrettuale delle imposte l’accertamento del valore effettivo e l’applicazione dell’imposta in base ad esso. Contro l’accertamento dell’ufficio è concesso il ricorso alle Commissioni amministrative. Il ricorso non sospende l’iscrizione a ruolo dell’imposta».

L’emendamento è stato già svolto.

L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione in proposito.

LA MALFA, Relatore. La Commissione prega l’onorevole Foa di ritirare questo emendamento, perché esso complicherebbe le cose.

FOA. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Dato che l’unico emendamento all’articolo 12 è stato ritirato, questo articolo s’intende approvato nella formulazione di cui è stata data testé lettura.

Passiamo all’articolo 15, del quale pure era rimasto sospeso l’esame. Se ne dia lettura, nel testo formulato dalla Commissione.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«I censi, canoni, livelli ed altre prestazioni di carattere perpetuo o enfiteutico, compresi i canoni da colonia perpetua, si tengono in conto in ragione del 100 per 5 del rispettivo ammontare, a meno che, per convenzione o per legge, non debbasi applicare, per il riscatto, un saggio diverso.

«Nel caso in cui il canone sia stabilito in natura, il suo valore si determina in base alla media dei prezzi del periodo 1° luglio 1946-31 marzo 1947».

PRESIDENTE. Su questo articolo è stato presentato il seguente emendamento dall’onorevole Cifaldi:

«Al secondo comma, dopo la parola: media, aggiungere: decennale».

L’onorevole Cifaldi non è presente.

CANNIZZO. Faccio mio l’emendamento.

PERLINGIERI. Anch’io.

PRESIDENTE. Sta bene. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione, in merito a questo emendamento.

LA MALFA, Relatore. La Commissione accetta l’emendamento Cifaldi, in questa dizione: «Il valore si determina in base alla media dei prezzi del periodo 1937-1946».

PRESIDENTE. Qual è l’avviso del Governo?

PELLA, Ministro delle finanze. Il Governo ricorda le ragioni che avevano suscitato qualche perplessità sulla bontà del testo ministeriale emendato dalla Commissione, in relazione alle norme di diritto comune per il riscatto di questi oneri. Perciò, allo scopo di non turbare l’armonia dei criteri di valutazione contemplati dalla legge, il Governo non dà parere favorevole al nuovo emendamento, anche perché ritiene che la regola della valutazione decennale, agli effetti del diritto comune, possa trovare una revisione in funzione delle variazioni monetarie che si sono verificate.

PRESIDENTE. Pongo ai voti l’emendamento Cifaldi nella formulazione indicata dalla Commissione.

(Non è approvato).

L’articolo 15 si intende quindi approvato nel primitivo testo proposto.

Passiamo all’articolo 19. Se ne dia lettura nel testo proposto dalla Commissione.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Per i titoli indicati nell’articolo precedente, non quotati in borsa, nonché per le quote delle società assoggettate all’imposta di negoziazione, si adottano i valori medi del periodo 1° ottobre 1946-31 marzo 1947, accertati con la procedura relativa all’imposta di negoziazione.

«Quando si tratti di quote di partecipazione in società non soggette all’imposta di negoziazione, il valore è determinato valutando il patrimonio della società, ai sensi del precedente articolo 17, e ripartendone l’importo tra i soci in proporzione alle quote di spettanza di ciascuno».

PRESIDENTE. Avverto che per questo articolo, il Governo ha ora presentato un nuovo testo, così formulato:

«Per i titoli azionari non quotati in borsa, nonché per le quote di partecipazione in società ed enti, si adottano i valori medi del periodo 1° ottobre 1946-31 marzo 1947, tenendo conto dei criteri di valutazione valevoli per l’imposta di negoziazione, ed in ogni caso, per quanto riguarda le aziende industriali e commerciali, del valore dei vari elementi che ne compongono il patrimonio, ai sensi del precedente articolo 17.

«Gli Uffici distrettuali delle imposte dirette, entro il termine stabilito nel secondo comma dell’articolo 61 del presente decreto, notificano alle società od enti, aventi sede nella propria circoscrizione, l’accertamento del valore dei titoli e delle quote, relativamente al periodo di tempo indicato nel comma precedente. Contro tale accertamento la società od ente può, entro il termine perentorio di giorni trenta dalla notifica, presentare ricorso alla Commissione per la valutazione dei titoli, competente per territorio.

«Per la risoluzione delle vertenze si osservano le norme valevoli per l’accertamento dell’imposta di negoziazione; la rappresentanza dell’Amministrazione finanziaria è affidata, nel giudizio di primo grado, ad un funzionario dell’Amministrazione provinciale delle imposte dirette e, nel giudizio di secondo grado all’ispettore compartimentale per le imposte dirette competente per territorio.

«Il valore definitivamente accertato nei confronti della società od ente in conformità dei commi precedenti si assume come valore definitivo dei titoli e delle quote di partecipazione agli effetti dell’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio dovuta dai singoli proprietari dei titoli e delle quote medesime.

«Per le obbligazioni, le cartelle di prestito ed ogni altro titolo di credito non quotato in borsa, si adotta la valutazione in base alla quale è stata liquidata l’imposta di negoziazione per l’anno 1947.

«Le disposizioni del presente articolo si applicano anche ai titoli azionari quotati in borsa, quando nel semestre 1° ottobre 1946-31 marzo 1947 non esistano almeno tre prezzi di compenso nella borsa in cui furono quotati».

Quale è il parere della Commissione?

LA MALFA, Relatore. La Commissione accetta il nuovo testo governativo.

PRESIDENTE. Al vecchio testo dell’articolo 19 era stato presentato un emendamento dall’onorevole Foa, insieme agli onorevoli Pesenti, Scoccimarro e Valiani. L’emendamento è del seguente tenore:

«Sostituirlo col seguente:

«Per le azioni non quotate in borsa e per le quote di partecipazione in società il valore è determinato valutando il patrimonio della società secondo le disposizioni del capo quarto della presente legge.

«Per le obbligazioni e gli altri titoli di credito non quotati in borsa si adottano i valori medi del periodo 1° ottobre 1946-31 marzo 1947 accertati con la procedura relativa alla imposta di negoziazione».

L’onorevole Foa mantiene l’emendamento?

FOA. Non abbiamo ragione di mantenere il nostro emendamento perché il Governo ha accettato, nel nuovo testo, i nostri criteri.

PRESIDENTE. Anche gli onorevoli De Mercurio e Mazzei, avevano presentato un emendamento al vecchio testo dell’articolo. L’emendamento era così formulato:

«Al primo comma, sostituire le parole: del periodo 1° ottobre 1946-31 marzo 1947, con le altre: dei trimestre 1° gennaio 1947-31 marzo 1947».

Poiché gli onorevoli De Mercurio e Mazzei non sono presenti, l’emendamento si intende decaduto.

LA MALFA. Relatore. Vorrei rivolgere una domanda all’onorevole Pella, circa l’ultimo comma dell’articolo 19. Noi abbiamo scelto, come periodo di valutazione dei titoli azionari, il trimestre gennaio-marzo, mentre qui si fa ancora riferimento al semestre ottobre-marzo. Credo che occorra rettificare.

PELLA, Ministro delle finanze. Non ho difficoltà a rettificare, riducendo ad un trimestre, qualora l’onorevole Relatore insista. Desideravo far presente, però, che quest’ultimo comma non riguarda il periodo di riferimento per la valutazione: è un periodo di tempo stabilito per esaminare se almeno vi sia stato un certo numero di prezzi di compenso perché le valutazioni possano avere un significato.

Tuttavia nessuna difficoltà, ripeto, ad accogliere la proposta.

SCOCCIMARRO. C’è anche il primo comma da rettificare, onorevole Ministro.

PELLA, Ministro delle finanze. D’accordo nel senso di armonizzare tutto l’articolo in sede di coordinamento, per fare riferimento al trimestre.

PRESIDENTE. Allora, l’articolo 19 si intende approvato nel nuovo testo proposto dal Governo, con riserva di procedere, in sede di coordinamento, alle rettifiche accennate.

LA MALFA, Relatore. Sostanzialmente, è l’accettazione dell’emendamento De Mercurio-Mazzei, cioè il riferimento al periodo 1° gennaio-31 marzo 1947.

PELLA, Ministro delle finanze. Avendo il Governo presentato un articolo sostitutivo, per cui non esiste più il testo precedente, mi sembra – da un punto di vista formale – che non abbia ragione di discutersi e di mettersi in votazione un emendamento che presuppone il vecchio testo.

Dal punto di vista sostanziale, rilevo che il nuovo testo, ratificato nella seduta odierna, contiene già il principio uniformato dell’emendamento dell’onorevole De Mercurio, per cui, ad avviso del Governo, questo emendamento non dovrebbe essere più posto in votazione.

PRESIDENTE. D’accordo.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Volevo accennare, indipendentemente dalla questione particolare, alla questione di procedura, per ciò che si riferisce al testo nuovo con l’emendamento sostitutivo.

Noi abbiamo sostenuto in altra adunanza che il cambiamento di testo doveva essere considerato come emendamento sostitutivo; il Presidente, che reggeva allora le sorti della discussione, sosteneva invece il contrario ed applicò l’articolo 70, appunto perché riteneva che emendamento sostitutivo non fosse quello che il Presidente dei Settantacinque aveva proposto.

Questo dico perché vorrei che non passasse inosservata la prassi che il Presidente – certo, più che altro per economia di discussione – ha seguito allora, che sarebbe perfettamente in contradizione con quanto ha detto l’onorevole Ministro ora, ma che, del resto, nella pratica applicazione porta allo stesso risultato inquantoché gli emendamenti presentati non decadono, perché allora verrebbe a venir meno un diritto dei presentatori, ma devono essere ripresi e – per la virtù che il Presidente sa così bene disporre – trovar modo che vengano coordinati nella discussione, prima, e successivamente nel testo nuovo.

Ecco perché ho creduto opportuno che sorgesse una voce a ricordare come potrebbe essere anche erronea l’interpretazione– che allora si è voluta dare, eliminando l’emendamento sostitutivo per ricalcare invece un privilegio non mai esistito nel nostro Regolamento, a favore del testo nuovo.

PRESIDENTE. Si tratta di casi diversi, onorevole Micheli: là era la Commissione che presentava un testo, qua è invece il Governo. Comunque è stato qui praticato proprio quello che è il suo desiderio.

MICHELI. Sono d’accordo con lei, onorevole Presidente; le faccio però osservare che la differenza che ella ha posto in relazione al mio breve dire non ha ragione di essere, perché c’è per analogia la medesima situazione.

PRESIDENTE. Sta bene.

Si passa all’articolo 23. Se ne dia lettura nel testo proposto dalla Commissione.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Quando la esistenza di un debito di qualsiasi natura, denunziato dal debitore agli effetti della detrazione dal proprio patrimonio, è negata dal creditore, il rapporto giuridico è dichiarato inesistente a tutti gli effetti, anche fra le parti.

«Per i crediti derivanti da rapporti con imprese commerciali e sempre che si tratti di atti inerenti all’esercizio dell’impresa, la esistenza del debito può venire provata in base alle scritture contabili dell’impresa creditrice regolarmente tenute.

«Quando si tratti di rapporti con aziende di credito indicate alle lettere a), b), c) e d), dell’articolo 5 del regio decreto-legge 12 marzo 1936, n. 375, convertito nella legge 7 marzo 1938, n. 141, ed al regio decreto-legge 17 luglio 1937, n. 1400, convertito nella legge 7 aprile 1938, n. 636, la esistenza del debito può essere provata in base agli estratti dei saldi conti, certificati conformi alle scritturazioni da uno dei dirigenti dell’Istituto».

PRESIDENTE. A questo articolo è stato presentato un emendamento dall’onorevole Caroleo, soppressivo del primo comma. Ha facoltà di svolgerlo.

CAROLEO. Come ho accennato in altra occasione, se si vuol stabilire un principio concreto e conforme a quelle che possono essere anche le esigenze della finanza, bisognerebbe dire che si ammettono in detrazione soltanto i debiti che abbiano una data certa anteriore al 28 marzo 1947. La formula della Commissione mi sembra invece non rispondente ai principî elementari del diritto; mi sembra inaccettabile il principio di questa declaratoria di inesistenza, quando vi sia l’accordo fra il debitore e il creditore senza alcun rispetto dei diritti del terzo, che alle volte possono essere invece anche meritevoli di maggiore tutela.

Io penso quindi che, in sostituzione del comma di cui ho chiesto la soppressione, si potrebbe inserire qualche espressione in questo articolo, la quale chiarisse appunto che i debiti di cui si ammette la detrazione debbano risultare da titoli con data certa anteriore al 28 marzo 1947.

PRESIDENTE. Ma allora, onorevole Caroleo, il suo non è soltanto un emendamento soppressivo, ma è in pari tempo anche un emendamento aggiuntivo. Dovrebbe perciò far pervenire formale proposta.

Segue un emendamento, a firma degli onorevoli De Vita, Villabruna, Bertone, Arcangeli, Uberti, Giordani, Valenti, Magrassi e Della Seta, così formulato:

«Al primo comma, dopo le parole: il rapporto giuridico è, sopprimere la parola: dichiarato».

L’onorevole De Vita ha facoltà di svolgerlo.

DE VITA. L’emendamento che io propongo non è soltanto formale, ma anche sostanziale. Dice l’articolo 23: «Quando l’esistenza di un debito di qualsiasi natura, denunziato dal debitore agli effetti della detrazione dal proprio patrimonio, è negata dal creditore, il rapporto giuridico è dichiarato inesistente a tutti gli effetti, anche fra le parti».

Dichiarato inesistente da chi? Ovviamente non può dichiarare inesistente un debito l’amministrazione finanziaria, perché non è competente; è competente l’autorità giudiziaria. Ma se l’autorità giudiziaria dovesse dichiarare l’esistenza o l’inesistenza di un debito dovrebbe essere sospeso l’accertamento.

Io sono contrario alla disposizione nel suo complesso, perché mi sembra eccessivo modificare rapporti essenzialmente civili, come sono i rapporti di debito e di credito, avendo di mira soltanto un fine tributario. Penso che per modificare le norme del Codice civile sarebbe stato necessario un dibattito più ampio.

Comunque, in via subordinata, qualora il Governo e la Commissione ritengano opportuno mantenere l’articolo, propongo almeno che sia emendato nel senso da me proposto, sopprimendo la parola «dichiarata».

SCOCA. Presento un emendamento all’articolo che stiamo discutendo. Mi pare preferibile che l’ultima parte dell’articolo sia modificata in questo senso: «è inesistente fra le parti», e che si tolga il resto.

PRESIDENTE. L’onorevole Perlingieri ha proposto il seguente emendamento:

«Al primo comma, dopo le parole: è dichiarato inesistente a tutti gli effetti, sopprimere: anche fra le parti, e aggiungere: fra le parti, salvo i diritti dei terzi».

Ha facoltà di svolgerlo.

PERLINGIERI. Non credo, onorevole Presidente, che sia necessario illustrare la mia proposta, perché essa si attiene a principî elementari, fondamentali del diritto.

L’articolo 23 stabilisce la declaratoria di inesistenza di un rapporto giuridico, prevedendo l’ipotesi dell’evasione dall’imposta da parte del creditore tenuto a denunciare il credito ai fini dell’imposta stessa. Ora, non vi è dubbio che la creazione, modifica o estinzione di un rapporto giuridico produce effetti tra i soggetti del rapporto. Rispetto al terzo è res inter alios, non può né giovare né nuocere. Noi non potremmo, quindi, legare il terzo ad una responsabilità per fatto altrui, nel senso che, dichiarata l’inesistenza del debito, questa dichiarazione possa portare pregiudizio al terzo, estraneo al rapporto. Faccio due esempi: il debitore, oltre ad avere il creditore, tenuto a denunciare il proprio credito, può avere un altro creditore, il quale può fondare sulla sua dichiarazione di debito, fatta ai fini dell’imposta, per stabilire l’insolvenza di esso debitore e far fissare la data di cessazione dei pagamenti da parte dello stesso. Se il debito viene dichiarato inesistente erga omnes, è ovvio che la dichiarazione di debito, fatta dal debitore non potrà più costituire la base per la determinazione dello stato di insolvenza e della data di cessazione dei pagamenti.

Il creditore, tenuto a denunciare il credito, può, a sua volta, avere un «terzo» creditore, estraneo all’altro rapporto creditorio. Con la declaratoria di inesistenza del credito non denunciato noi metteremmo questo terzo creditore in balia dell’altro creditore, suo debitore, e sottrarremmo a lui la garanzia generale, costituita dall’intero patrimonio dell’obbligato. È evidente che tutto questo è antigiuridico, e, perciò, inammissibile.

Quindi: noi dobbiamo limitare la sanzione della inesistenza del debito, unicamente rispetto ai titolari del rapporto giuridico ih oggetto.

Per esprimere il mio pensiero in termini giuridici più appropriati, mi permetto di proporre che l’emendamento, formulato così: «inesistente tra le parti, salvo i diritti dei terzi», sia, dal punto di vista formale, così precisato: «fra le parti, senza pregiudizio dei terzi».

In questi termini, mi pare che l’Amministrazione delle finanze non possa trovare difficoltà. Qual è il suo fine? Quello di garantire l’esazione dell’imposta. Questo si raggiunge allorquando si stabilisce la sanzione dell’inesistenza del debito negato dal creditore. Ma non possiamo andare oltre, sino a pregiudicare e consentire che si possa pregiudicare il patrimonio del «terzo».

Affido a queste considerazioni, che mi sembrano elementari, l’accoglimento del mio emendamento.

CANNIZZO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CANNIZZO. Mi pare che bisognerebbe invece discutere sull’opportunità di mantenere la parola «inesistente». Che cosa si vuole dire? È un rapporto giuridico che si vuole dichiarare sciolto o è un rapporto giuridico di cui si dichiara l’inesistenza fin da quando è sorto?

Questa questione può avere gravissimi riflessi, anche in materia di sanzioni, perché è stato proposto un emendamento che riguarda i crediti fittizi.

Anzi, mi ricordo che quell’emendamento fu rimandato, perché non trovammo come collegarlo con l’articolo 23. Secondo quest’articolo, la dichiarazione del creditore verrebbe equiparata al pagamento; quindi atterrebbe piuttosto allo scioglimento del negozio giuridico anziché alla esistenza del rapporto giuridico. Questo è molto grave, perché, a prescindere dai rapporti fra amministrazione finanziaria e il contribuente, non è risolta la questione dei terzi. Infatti, supposto che il terzo voglia far valere gli stessi diritti cedutigli dal creditore, non so come li possa far valere senza che il debitore di buona fede, che abbia dichiarato un debito effettivamente esistente e negato dal creditore, possa ottenere che sia iscritto nel passivo il suo debito.

Quindi accederei all’ipotesi dell’onorevole Caroleo di sopprimere il primo capoverso. Del resto può supplire l’articolo 22, nel quale si parla di «debito a carico del contribuente, di cui sia riconosciuta l’effettiva sussistenza». Chi ammette un debito ne deve dare le prove, le quali possono risultare anche da una dichiarazione del creditore contestuale alla denuncia fatta dal debitore. Non so poi se sia opportuno introdurre addirittura questa sanzione che equiparerebbe al pagamento la dichiarazione del creditore. Ed appunto anche perché il termine «inesistente» si potrebbe prestare ad interpretazioni non previste, io ritengo (e questa è anche una mia dichiarazione di voto) che sia opportuno ripiegare sull’emendamento soppressivo dell’onorevole Caroleo.

PRESIDENTE. Ma l’onorevole Caroleo l’ha ritirato perché ne ha proposto uno sostitutivo.

CAROLEO. Subordinatamente.

PRESIDENTE. Sta bene.

Ha facoltà di parlare l’onorevole Relatore.

LA MALFA, Relatore. Nella legge del 1922 la disposizione era esattamente la stessa e non pare che abbia dato luogo a molti inconvenienti. Perché la legge del 1922 diceva: «Quando l’esistenza di un debito di qualsiasi natura che non risulti da atto pubblico è denunciato dal debitore e negato dal creditore, il rapporto giuridico è dichiarato inesistente a tutti gli effetti anche fra le parti, senza che sia ammessa prova contraria».

La Commissione naturalmente ha soppresso quello che sarebbe stato – direi – superfluo nel testo governativo, riproducendo la disposizione del 1922. Comunque, per queste considerazioni, la Commissione, rispetto ai vari emendamenti proporrebbe questa dizione: «Il rapporto giuridico è considerato inesistente a tutti gli effetti fra le parti», per dare l’impressione che dopo lo accertamento di questa situazione del creditore e del debitore viene la conseguenza legislativa della inesistenza, che non è una inesistenza ab origine.

CANNIZZO. Io direi: «è risolto».

DE VITA. Ma la dichiarazione può farla l’autorità giudiziaria.

LA MALFA, Relatore. L’osservazione dell’onorevole De Vita è giusta. Ma il «considerato» fa discendere l’inesistenza dal fatto che debito e creditore hanno negato il rapporto reciproco. Dicendo: «inesistente fra le parti a tutti gli effetti», sono salvi i diritti dei terzi. L’inesistenza si limita al solo rapporto fra le parti. Così insisto perché si lasci: «è considerato inesistente a tutti gli effetti fra le parti».

CAROLEO. Ma l’inesistenza del rapporto principale implica anche quella dei rapporti accessori. Con questa formula, pertanto i diritti dei terzi sono pregiudicati.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Ministro delle finanze di esporre il parere del Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. Forse, se avessimo maggior tempo, potremmo lavorare di cesello per trovare la formulazione migliore. Ad ogni modo, credo che sia esatto quanto ha detto l’onorevole Relatore, cioè, che, trattandosi di riprodurre le disposizioni già esistenti nel 1920, disposizioni che non hanno dato luogo ad inconvenienti, molte preoccupazioni degli onorevoli colleghi non abbiano ragion d’essere.

Convengo col Relatore innanzi tutto per mantenere il primo comma dell’articolo, poi per accogliere sostanzialmente l’emendamento De Vita e quindi rendere non necessaria una declaratoria di inesistenza. Sostituendo la parola «dichiarato», con l’altra «considerato», ritengo che lo scopo principale dell’emendamento De Vita sia raggiunto, in quanto non sarà più necessaria la declaratoria di una particolare autorità.

Sono d’accordo col Relatore nel sopprimere la parola «anche», onde esprimo parere favorevole per questa formulazione. «Quando l’esistenza di un debito di qualsiasi natura, denunciato dal debitore agli effetti della detrazione dal proprio patrimonio, è negata dal creditore, il rapporto giuridico è inesistente».

Per quanto riguarda i diritti dei terzi, penso anche io che non possano essere lesi nel caso di collusione fra creditore e debitore.

SCOCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCA. La questione ha una certa gravità. Io mi preoccupo dei diritti dei terzi, i quali restano sacrificati da una presunzione di legge che può non aver fondatezza nella realtà delle cose.

Proporrei una nuova formula che forse potrebbe sodisfare le varie tesi; propongo cioè che dopo le parole «è negata dal creditore» si dica: «il credito è inesigibile nei confronti del debitore».

Preferisco che non si parli di inesistenza, perché parlando di inesistenza, qualunque forma si adoperi, il rapporto è sempre distrutto fra le parti e quindi rimangono distrutti anche i rapporti collegati.

Vorrei, in altri termini, limitare la sanzione alla inesigibilità e quindi alla non azionabilità del diritto di credito fra le parti. Questa mia proposta potrà non sodisfare tutti, ma mi pare che si venga incontro con essa al desiderio espresso da varie parti. Propongo di dire, dunque, che il credito è «inesigibile», non «inesistente».

PRESIDENTE. Domando il parere del Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. Vorrei chiedere se per avventura la formula dell’onorevole Scoca non peggiori la situazione nei confronti dell’Amministrazione finanziaria. Infatti, il termine «inesigibilità» sostituito al termine «inesistenza» verrebbe a negare un diritto d’azione nei confronti del debitore, in modo da mantenere ferma l’esistenza del credito. Probabilmente – mi scusino i giuristi presenti, se sbaglio – si verificherebbe la trasformazione di una obbligazione civile in una obbligazione naturale.

Potendosi sempre verificare l’accordo fraudolento rispetto a un terzo, l’amministrazione finanziaria si preoccupa che per salvaguardare il diritto di un terzo in malafede si possa rendere inoperante la sanzione nei confronti dei due contribuenti che si mettono d’accordo fra di loro.

Vogliono gli onorevoli colleghi, giacché la discussione ormai si allarga, vedere se non ritengano di ripiegare su un’altra formula che si riallacci all’emendamento Perlingieri, il quale dice: «salvi i diritti dei terzi»?

PERLINGIERI. Modifica senza pregiudizio.

PELLA, Ministro delle finanze. In questo caso desidererei che si dicesse: «diritti dei terzi», perché vorrei aggiungere, «risultanti da atti aventi data certa anteriore al 28 marzo 1947».

PERLINGIERI. Questo è implicito, perché il terzo che non ha il titolo anteriore non ha azione.

PELLA, Ministro delle finanze. È la conseguenza di atti aventi data certa, non essendo ammissibile una prova in base a documenti che non abbiano data certa; né sarebbe ammissibile una prova testimoniale. Rientreremmo nel grande solco della prassi tributaria la quale accetta gli atti aventi data certa e cerca di non essere danneggiata da altre prove.

DE VITA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE VITA. Penso che la parola «dichiarato» si possa sostituire con la parola «considerato». La formulazione dell’articolo potrebbe essere questa:

«…il rapporto giuridico è considerato inesistente a tutti gli effetti, anche fra le parti, salvo i diritti dei terzi».

LA MALFA, Relatore. Tutto sommato, manteniamo la nostra proposta: «considerato inesistente a tutti gli effetti fra le parti…».

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Dichiaro che sono molto perplesso sull’opportunità di introdurre questo articolo. La Finanza deve pensare a sé stessa e non preoccuparsi dei rapporti più o meno onesti e fraudolenti che possono correre fra le parti, né preoccuparsi dei diritti dei terzi.

Ora è evidente che introdurre questo articolo significa aprire la porta alla possibilità di frodi architettate fra debitore e creditore. Due individui si mettono d’accordo per cedere un debito, magari in cifre imponenti, che fino a ieri ha pagato la ricchezza mobile in categoria A2, che è iscritto in ruolo; questo debito conviene alle parti cancellarlo di fronte al fisco per sottrarsi a tutti gli oneri continuativi e per sottrarsi anche all’imposta straordinaria che viene attuata con questo progetto.

L’accordo fra le parti, chi lo può misurare? Chi può sapere quali accorgimenti possono accompagnarlo? Verrà dichiarato estinto questo debito e le parti avranno già creato un altro titolo che non è più questo. Il fisco sarà frodato; le parti saranno a posto; i terzi forse saranno danneggiati, ma di questo non ci dobbiamo preoccupare. La verità è che volendoci preoccupare degli interessi della Finanza, dobbiamo dire che con questo articolo gli interessi della Finanza sono messi in grave pericolo. (Approvazioni a sinistra).

Io non direi niente. Se domani c’è un creditore che dice che non è creditore, la Finanza farà tutte le sue indagini. Presterà fede? – Cancellerà il debito. Non presterà fede? – Ricorrerà a tutte le prove dirette ed indirette per tutelare il proprio diritto. Ma togliere alla Finanza il diritto di tutelare i propri interessi con un articolo il quale le impone di cancellare dai suoi ruoli un debito che fino a ieri c’era, a me pare eccessivo e pericoloso.

Faccio la proposta che questo articolo venga cancellato.

CAPPI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAPPI. A me pare che la preoccupazione dell’onorevole Bertone sia eccessiva, perché la finanza è difesa dalla lettera a) dell’articolo 22, il quale non ammette in detrazione qualsiasi debito fondato sulla semplice dichiarazione del debitore, ma dice: «tutti i debiti a carico del contribuente, di cui sia riconosciuta l’effettiva sussistenza alla data del 28 marzo 1947». Però i pericoli di frode mi sembrano non difficili.

Io riterrei opportuno di fare menzione della salvezza del diritto dei terzi, ma non vorrei che così si aprisse una breccia a danno della finanza. Quindi io proporrei di aggiungere: «sono salvi i diritti dei terzi, fermi i diritti della finanza», in questo senso che quando il terzo viene, prova che invece il debito sussisteva e lo vuole riscuotere, in sostituzione del primo creditore, si dia prima la prova che è stata pagata l’imposta.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il suo parere.

LA MALFA, Relatore. Ricordo agli onorevoli colleghi che questa disposizione era nella legge del 1922. La legge del 1922 era essa stessa frutto di esperienza e direi anche di giurisprudenza.

Se modifichiamo quella disposizione, riapriamo questioni che in sede giurisprudenziale sono state risolte. Quindi manterrei fermo il concetto della Commissione di aggiungere dopo «dichiarato» «è considerato inesistente, a tutti gli effetti, fra le parti».

Implicitamente sono salvi i diritti dei terzi, ma rimaniamo sulla scia di una disposizione che è stata già applicata e che ha avuto i suoi vantaggi.

Io non so misurare gli effetti di cambiamenti, in questa sede, senza avere tutti i dati del problema. Quindi insisterei nel mantenimento della formula.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro ha facoltà di parlare.

PELLA, Ministro delle finanze. Concordo con l’onorevole Relatore nella formula che si vorrebbe pregare l’onorevole Presidente di mettere in votazione.

L’onorevole Bertone, ha manifestalo la preoccupazione che un articolo, a prima vista lesivo del diritto comune, per dare una maggiore difesa alla finanza, si possa tradurre in un’arma contro la finanza stessa, cioè possa servire non a simulare dei debiti, ma a far cadere dei crediti esistenti.

Con la eliminazione della parola «anche», così come propone l’onorevole La Malfa, cade la preoccupazione dell’onorevole Bertone, perché quando si dice «il rapporto giuridico è considerato inesistente a tutti gli effetti fra le parti», questa disposizione di ordine sanzionistico opera soltanto tra debitore e creditore e la finanza rimane estranea all’inesistenza, mentre non lo sarebbe stato se si fosse lasciata la parola «anche», perché «anche» avrebbe potuto significare che il credito cade e fra le parti e per la finanza.

BERTONE. Chiedo che queste considerazioni del Ministro risultino comunque bene a verbale.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Relatore. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Volevo dire che nella disposizione del 1922 la dizione era esattamente questa: «Quando l’esistenza di un debito di qualsiasi natura che non risulti da atto pubblico».

Ora, nel testo governativo della nuova legge, questo inciso «che non risulti da atto pubblico» è stato soppresso. Noi della Commissione abbiamo ritenuto che sia stato soppresso, perché quando risulta da atto pubblico il debitore non può negarle. Comunque, se volete, questo inciso possiamo metterlo.

Voci. No, non è necessario.

PRESIDENTE. Allora passiamo alla votazione degli emendamenti. Pongo anzitutto in votazione l’emendamento dell’onorevole Caroleo.

(Non è approvato).

Segue l’emendamento dell’onorevole De Vita.

DE VITA. Sostanzialmente il mio emendamento è stato accolto dalla Commissione.

PRESIDENTE. Sta bene. Allora segue l’emendamento dell’onorevole Perlingieri. Lo mantiene?

PERLINGIERI. Lo mantengo e chiedo che sia votato per divisione. La prima parte è accettata dalla Commissione; la seconda parte «senza pregiudizio dei terzi» chiedo che sia messa ai voti separata.

LA MALFA, Relatore. Credo che si possa accettare la formula «Considerato a tutti gli effetti tra le parti».

PRESIDENTE. Si dovrà porre prima in votazione l’emendamento Scoca, che modifica l’articolo. Onorevole Scoca, mantiene il suo emendamento?

SCOCA. Mi pare che le formule, dopo i chiarimenti avuti in Assemblea, si equivalgano. Quindi sono disposto a ritirare il mio emendamento.

PRESIDENTE. Sta bene, allora siamo di fronte al testo definitivo proposto per il primo comma dal Governo e dalla Commissione.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. L’onorevole Relatore, accennava poco fa al testo della legge del 1922, nella quale era scritto che l’annullamento dei debiti non riguardava quelli risultati da atto pubblico. Ritengo sia opportuno conservare questa dizione, perché, quando nell’articolo 23 si dice che la disposizione si applica a tutti i crediti, di qualsiasi natura, possono esservi compresi quelli nascenti da atto pubblico, i quali non possono essere affetti da presunzione di inesistenza.

Pertanto, sarebbe bene, a mio avviso, conservare l’inciso.

SCOCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCA. Ritengo che la menzione dell’atto pubblico sia stata eliminata a ragion veduta. Essa non eliminerebbe una quantità – non so dire in quali proporzioni – di possibili simulazioni. Può darsi, poi, il caso che il debito sia stato estinto e che si faccia rivivere in questa sede.

Ecco perché ritengo possa essere approvata la dizione generica della legge.

BERTONE. Non insisto.

PELLA, Ministro delle finanze. Concordo con l’onorevole Scoca.

PRESIDENTE. Metto ai voti il primo comma dell’articolo 23, nel testo emendato proposto dalla Commissione, con la soppressione cioè della parola «anche» e con la sostituzione della parola «considerato» alla parola «dichiarato»:

«Quando la esistenza di un debito di qualsiasi natura, denunziato dal debitore agli effetti della detrazione dal proprio patrimonio, è negata dal creditore, il rapporto giuridico è considerato inesistente, a tutti, gli effetti, fra le parti».

(È approvato).

Metto ai voti l’emendamento aggiuntivo proposto dall’onorevole Perlingieri: «senza pregiudizio dei terzi».

(Non è approvato).

SCOCA. Bisogna intendersi. Il fatto che sia stata esclusa l’aggiunta potrebbe dar luogo a disparità di interpretazione. Sia ben chiaro che non abbiamo votato l’emendamento aggiuntivo, in quanto lo consideriamo pleonastico.

La sostanza è questa: che i diritti dei terzi sono sempre salvi.

PERLINGIERI. Se avessi avuto simile esplicita assicurazione, non avrei insistito sulla votazione della seconda parte del mio emendamento.

LA MALFA, Relatore. Mi pare che il concetto sia ben chiaro. L’hanno affermato tanto la Commissione quanto il Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. D’accordo.

PRESIDENTE. Restano agli atti le dichiarazioni che sono state fatte. Si è precisato che benché l’emendamento Perlingeri sia stato respinto, non si è inteso portare alcun danno ai diritti dei terzi, i quali rimangono salvi anche secondo la formulazione approvata.

Non essendovi altre osservazioni, l’articolo 23 si intende approvato con le modificazioni apportate al primo comma.

Si dovrebbe ora passare all’esame dell’articolo 25.

PESENTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PESENTI. Chiederei al Presidente della Commissione se non sarebbe molto più opportuno ritornare all’articolo 2 e votarlo ora in quanto che, senza questa votazione, i lavori della Commissione possono essere in parte intralciati. Secondo la proposta del Governo, si rimetteva all’Assemblea la decisione di approvare o meno l’emendamento presentato dagli onorevoli Castelli, Scoca, Valiani, Pesenti, cioè firmato da membri di diversi settori dell’Assemblea, perché fosse istituita una imposta proporzionale sugli enti collettivi. Senza questa approvazione di principio io credo che la Commissione non possa proseguire i suoi lavori.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, rammento quanto è stato detto ieri sera dal Presidente, onorevole Terracini, il quale, su questo punto, ha accennato alla questione, ponendola nei suoi termini precisi. Il Governo ha presentato alla Commissione, ma non ancora alla Presidenza dell’Assemblea per la distribuzione ai deputati, il testo di un nuovo Titolo da inserirsi nel decreto. Facendo mie le considerazioni del Presidente Terracini, ritengo che prima di porre in discussione l’emendamento all’articolo 2, sia opportuno, per non autorizzare giusti rilievi di onorevoli colleghi, distribuire all’Assemblea il nuovo testo, a meno che non si voglia accogliere il concetto di delegare il Governo ad emanare un successivo provvedimento legislativo.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Io credo che, in questioni di questo genere, è l’Assemblea, in definitiva, che deve decidere.

PRESIDENTE. Senza dubbio, onorevole Scoccimarro. Il Presidente dell’Assemblea ha però indicato il programma di lavoro che si potrebbe adottare.

SCOCCIMARRO. Qui c’è un emendamento composto di due righe, sul quale l’Assemblea può pronunciarsi. Si provvederà poi all’inserzione nella legge di un titolo organico i già pronto.

PRESIDENTE. Come l’Assemblea sa, il Governo ha presentato un Titolo III che è i in esame presso la Commissione. Ora l’Assemblea – come fu osservato giustamente da qualche collega – ha diritto di conoscere il testo presentato dal Governo, perché potrebbe rilevare che non è possibile adottare una decisione intorno agli emendamenti se non si conoscono le conseguenze legislative dell’affermazione del principio e della regola generale.

SCOCCIMARRO. L’Assemblea può decidere in linea di principio la tassazione degli enti collettivi. Si discuterà poi sui diversi modi nei quali quel principio può realizzarsi.

PRESIDENTE. Rammento che vi è un emendamento Castelli-Scoca, all’articolo 2, concernente gli enti collettivi, così formulato:

«Sono soggette all’imposta straordinaria progressiva le persone fisiche.

«Gli enti collettivi sono soggetti ad una imposta straordinaria proporzionale, secondo le norme del Titolo III».

Ora l’Assemblea può votare un emendamento che si richiama al Titolo III, di cui ignora il contenuto?

Io credo, onorevole Scoccimarro, che si potrebbe eliminare la frase «secondo le norme del Titolo III», e approvare poi un ordine del giorno invitando il Governo a formare queste norme.

SCOCCIMARRO. Non posso accedere alla sua proposta, perché ritengo che un semplice ordine del giorno si risolverà in nulla. Io penso che questo problema deve essere risolto e deciso nella votazione dell’imposta straordinaria.

PRESIDENTE. È stato dunque proposto di passare all’esame dell’emendamento sull’articolo 2, che ha per oggetto gli enti collettivi. Su questa proposta dobbiamo decidere.

MARINARO. Io propongo la sospensiva!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Scoca. Ne ha facoltà.

SCOCA. Se non erro, la difficoltà di procedere all’esame ed alla eventuale approvazione dell’articolo 2 dipende dal fatto che il secondo comma di quest’articolo dice che «gli enti collettivi sono soggetti ad una imposta straordinaria proporzionale, secondo le norme del Titolo III».

Ora, siccome questo Titolo III non lo conosciamo, si dice che prima di esaminare e di approvare quest’articolo si debbano conoscere le norme del Titolo III. Se questa fosse la difficoltà, sarebbe una difficoltà che si potrebbe facilmente eliminare, ed io, come firmatario dell’emendamento, non ho difficoltà – e credo che non ne possano avere neanche gli altri colleghi – a cancellare la frase «secondo le norme del Titolo III», cioè il richiamo ad un Titolo che oggi l’Assemblea non ha sott’occhi.

In sostanza, potremmo approvare l’applicazione di una imposta con carattere proporzionale che colpisca gli enti collettivi, e ci riserveremmo di presentare successivamente tutti quegli emendamenti che nell’insieme formeranno il Titolo III.

SCOCCIMARRO. Dichiaro di essere d’accordo con quanto ha proposto l’onorevole Scoca.

MARINARO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARINARO. Come ho già accennato, faccio una proposta formale di sospensiva…

PRESIDENTE. L’avverto onorevole Marinaro, che per la sospensiva occorre una proposta scritta con quindici firme.

MARINARO. Si stanno raccogliendo.

La mia proposta è giustificata da varie considerazioni.

Prima di tutto, è un dato di fatto che ieri sera è stato distribuito ai singoli membri della Commissione di finanza un Titolo III che non è contemplato nella legge che noi stiamo convalidando.

Questo Titolo III, secondo tale comunicazione ufficiosa, disciplina interamente tutta la materia degli enti collettivi.

Davanti a questa situazione, mi sembra inutile affermare in una sede, che non è la sede naturale, un principio che è disciplinato interamente nel Titolo III, che è stato comunicato alla Commissione di finanza e che sarà quanto prima portato a conoscenza dell’Assemblea.

Ma, oltre che per questa ragione, io penso che, anche per esigenze di tecnica giuridica, l’affermazione della tassabilità degli enti collettivi non possa trovar sede nell’articolo 2. Il decreto legislativo 29 marzo è composto di due titoli, il primo dei quali s’intitola «Imposta straordinaria progressiva sul patrimonio», e l’articolo 2 stabilisce i soggetti passivi dell’imposta, che sono le persone fisiche. Ora noi non possiamo inserire in questo articolo 2, che prevede soltanto l’imposizione per le persone fisiche, anche gli enti collettivi, che persone fisiche non sono. Sarebbe – a mio modesto avviso – un non senso dal punto di vista giuridico. La sede naturale deve essere un titolo a parte, come appunto è stato predisposto. Da questo punto di vista mi pare che non ci possa essere dubbio.

Noi non diciamo: Respingete l’emendamento; diciamo: Siccome siamo chiamati a discutere in giornata tutto il Titolo III, discuteremo della materia degli enti collettivi quando discuteremo il Titolo, e non vediamo l’opportunità di procedere all’esame questa mattina, tanto più che l’emendamento così come fino a questo momento è formulato – mi consentano i firmatari – mi sembra anche poco riguardoso per l’Assemblea. Infatti, come lo stesso signor Presidente ha fatto rilevare, si fa esplicitamente riferimento ad un Titolo III che l’Assemblea ancora non conosce.

Allo stato attuale, quindi, non c’è che da adottare questa soluzione: sospendere l’esame dell’emendamento e rinviare la discussione al momento in cui discuteremo tutto il Titolo III.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Vorrei chiarire alcuni termini di fatto di questo emendamento.

L’onorevole Marinaro ieri, in sede di Commissione, aveva sollevato, mi pare, un’eccezione molto più ampia, cioè quella della possibilità di inserire la tassazione degli enti collettivi nel sistema di questa legge. Eccezione ampia, perché non riguardava il momento in cui si deve discutere degli enti collettivi – se discuterne, cioè o deliberare quando il Titolo III sia stato distribuito – ma ampia nel senso che l’onorevole Marinaro non ammetteva che si potesse introdurre questa tassazione nel sistema del provvedimento presentato dal Governo.

Io vorrei chiarire, come ho fatto ieri al Presidente dell’Assemblea, onorevole Terracini, che la Commissione, quando ha preso in esame il disegno di legge mandato dal Governo e, quindi, il decreto legislativo, si è trovata di fronte ad una impostazione del problema degli enti collettivi, fatta già dal Governo. Perché fatta dal Governo? Perché – e vorrei anticipare quello che dichiarerò quando si discuterà della materia – perché la legislazione del 1920-22 applicava già l’imposta progressiva agli enti collettivi. Quindi, nella nostra tradizione legislativa, la tassazione degli enti collettivi è un dato legislativo. Non ci possono essere eccezioni di principio. Non ci sono neanche ragioni dottrinarie. Il Governo ha detto all’Assemblea, nella relazione: ritengo che non siano da tassare gli enti collettivi. Ma è evidente che con ciò il Governo implicitamente ammetteva che questo problema esiste e riguarda il merito stesso del provvedimento legislativo.

Badate poi che, nella relazione ministeriale. si tratta di opportunità e non già di eccezione di principio; la Commissione si è ritenuta quindi in dovere, di fronte all’Assemblea, di riesaminare il problema. Essa ha tuttavia deciso a maggioranza, nella sua prima deliberazione, nel senso indicato dal Governo, ha deciso cioè di non tassare gli enti collettivi.

Ma nel contempo ha legato il provvedimento dell’imposta a un altro provvedimento sulla rivalutazione dei patrimoni che il Governo doveva presentare.

Questo, comunque, non ha importanza. Quando in Assemblea alcuni colleghi hanno presentato degli emendamenti intesi a stabilire la tassazione degli enti collettivi, il problema si è naturalmente ripresentato, come già si era presentato in sede di Commissione. Tutto ciò si è svolto dunque in maniera perfettamente normale, nella sede propria della legislazione. Si tratta sempre di considerare se questo tipo di imposta straordinaria sia o non sia da applicare agli enti collettivi.

I due schemi di Titolo III che il Governo ha inviato alla Commissione sono due proposte di emendamenti su cui il Governo non ha assunto alcuna responsabilità. Voi sentirete al riguardo il parere della Commissione; poi sentirete se il Governo accetta o meno gli emendamenti. Per il caso in cui il Governo decida la tassazione degli enti collettivi, la Commissione si troverà in grado di dire all’Assemblea: Questo è il Titolo III che viene presentato quale emendamento.

Io non ritengo che si possano sollevare eccezioni sospensive di principio. L’Assemblea può passare, a nostro giudizio, tranquillamente alla discussione di sostanza sull’articolo 2, cioè al problema se accettare o meno l’emendamento Castelli Edgardo, Scoca ed altri.

PRESIDENTE. Prima di passare alla votazione sulla proposta di sospensiva dell’onorevole Marinaro e di altri colleghi, che hanno fatto pervenire analoga domanda alla Presidenza, io tengo a stabilire che il Titolo III, di cui ha parlato in questo momento il Relatore onorevole La Malfa, è completamente ignorato dalla Presidenza e dall’Assemblea.

LA MALFA, Relatore. Ho già spiegato che non è un atto formale del Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Vi è veramente la possibilità che si possa muovere l’appunto al Governo d’una mancanza di riguardo nei confronti della Presidenza e nei confronti dell’Assemblea.

Prego di considerare che così non è, perché dobbiamo riportarci a come si sono svolte le cose. Il Governo ha desiderato che l’Assemblea risolvesse la questione di principio, ma ha desiderato, nello stesso tempo, dare la dimostrazione che con questo non intendeva sottrarsi alla più rapida attuazione delle deliberazioni dell’Assemblea sulla questione stessa. Poiché tali deliberazioni potevano essere orientate verso due diverse soluzioni, il Governo ha approntato due strumenti tecnici che potrebbero servire per l’una o per l’altra delle soluzioni del problema. Naturalmente, siccome si tratta di un anticipo di buona volontà, non si poteva dare un’espressione costituzionale e formale a tale manifestazione del Governo; quindi, non era possibile provvedere ad una presentazione formale all’onorevole Presidente.

Il Governo desiderava dare questa dimostrazione di buona volontà, soprattutto in relazione a qualche appunto che in materia era stato formulato. E la sola via pratica era quella di comunicare, a titolo personale, al Presidente della Commissione, gli elaborati del Ministero in questa materia.

Ecco perché debbo pregare gli onorevoli colleghi di non vedere nulla in tutto questo che possa significare mancanza di riguardo nei confronti dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Si dovrà allora passare alla votazione sulla proposta dell’onorevole Marinaro di sospensiva della discussione nell’articolo 2. Per questa votazione è pervenuta richiesta di appello nominale dall’onorevole Marinaro stesso e da altri.

Ricordo comunque che l’emendamento Castelli-Scoca ed altri è stato così modificato:

«Sono soggette all’imposta straordinaria progressiva le persone fisiche.

Gli enti collettivi sono soggetti ad una imposta straordinaria proporzionale».

Viene tolto cioè il riferimento alle norme del Titolo III.

DE VITA. Mi permetto di far presente che vi è anche un mio emendamento che non è stato svolto.

LA MALFA, Relatore. È assorbito.

DE VITA. È assorbito ? Ma io non ho firmato l’emendamento preparato dalla Commissione.

PRESIDENTE. Votiamo prima la proposta di sospensiva.

L’onorevole Marinaro ed i colleghi che hanno sottoscritto la domanda di appello nominale, insistono ?

MARINARO. Insistiamo. (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Marinaro, vuole dire con precisione come formula la sua proposta di sospensiva?.

MARINARO. Premesso in via di principio, che noi, anche di questo settore, siamo favorevoli all’istituzione di un’imposta straordinaria a carico delle società e degli altri enti collettivi, sosteniamo soltanto che questa materia dovrà trovare la sua sede di discussione quando si discuterà tutto il Titolo III. (Commenti).

L’articolo 2 disciplina l’istituzione di una imposta progressiva personale, a carico delle persone fisiche, mentre in questo caso si tratta di un’imposta straordinaria proporzionale a carico degli enti collettivi. Non è dunque questa la sede per disciplinare tale materia. E poiché questa materia verrà in discussione nella seduta pomeridiana di oggi, io chiedo la sospensiva perché la materia sia esaminata oggi, in quella sede.

ZERBI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ZERBI. Parlo per dichiarazione di voto, a strettissimo titolo personale; personalmente convengo col mio Gruppo sull’opportunità della tassazione degli enti collettivi, ma purtroppo non mi ha persuaso nemmeno l’emendamento. Voterò per la sospensiva, perché mi pare che nemmeno la rinuncia a citare esplicitamente il Titolo III superi la questione dell’opportunità e della deferenza verso i membri dell’Assemblea che non sono contemporaneamente membri della Commissione di finanza. Evidentemente i membri della Commissione di finanza possono esprimere i loro voti con una consapevolezza maggiore di quanto possiamo fare noi che non siamo ancora a conoscenza del Titolo III. (Commenti a sinistra).

SCOCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCA. Parlo per dichiarazione di voto. Intendo che sia ben chiaro che l’onorevole Zerbi ha parlato a titolo personale. Il Gruppo democristiano vota contro la sospensiva. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Insiste l’onorevole Marinaro nella richiesta di appello nominale?

MARINARO. Insisto.

Votazione nominale.

PRESIDENTE. Indico la votazione nominale sulla proposta di sospensiva dell’onorevole Marinaro.

Estraggo a sorte il nome del deputato da cui comincerà la chiama.

(Segue il sorteggio).

Comincerà dall’onorevole Fusco.

Si faccia la chiama.

MOLINELLI, Segretario. Fa la chiama.

Rispondono sì:

Coppa Ezio.

Marinaro.

Perrone Capano.

Zerbi.

Rispondono no:

Alberti – Allegato – Amadei – Amendola – Angelini – Arcangeli – Assennato – Avanzini – Azzi.

Bacciconi – Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basso – Bastianetto – Bei Adele – Bellusci – Belotti – Benvenuti – Bernamonti – Bernini Ferdinando – Bertola – Bertone – Bettiol – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Bitossi – Bocconi – Bonomelli – Bordon – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bovetti – Braschi – Bubbio – Bucci – Buffoni Francesco – Bulloni Pietro.

Cacciatore – Cairo – Calamandrei – Caldera – Calosso – Camangi – Caporali – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carbonari – Carboni Angelo – Carboni Enrico – Carignani – Carìstia – Carmagnola – Caroleo – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Cartìa – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cevolotto – Chiostergi – Cianca – Ciccolungo – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colombi Arturo – Colonnetti – Conci Elisabetta – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsanego – Corsi – Costa – Costantini – Cremaschi Carlo – Crernaschi Olindo.

D’Aragona – De Caro Gerardo – Del Curto – Delli Castelli Filomena – De Mercurio – De Michelis Paolo – De Palma – De Vita – Di Fausto – Di Giovanni – Di Vittorio – D’Onofrio – Dossetti – Dozza – Dugoni.

Ermini.

Fabriani – Faccio – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Fietta – Filippini – Fiore – Fiorentino – Fioritto – Firrao – Flecchia – Foa – Foresi – Fornara – Franceschini.

Galati – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gavina – Germano – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Ghidini – Ghislandi – Giacchéro – Giolitti – Giua – Gorreri – Gotelli Angela – Grazi Enrico – Grilli – Gronchi – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela – Gullo Rocco.

Imperiale.

Jacini – Jacometti.

Labriola – Laconi – La Malfa – Lami Starnuti – La Rocca – Lazzati – Leone Giovanni – Li Causi – Lizier – Lizzadri – Lombardi Riccardo – Longhena – Longo – Lopardi – Lozza – Luisetti – Lussu.

Maffi – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Malvestiti – Mannironi – Manzini – Marconi – Mariani Enrico – Martinelli – Marzarotto – Massini – Massola – Mattarella – Mattei Teresa – Meda Luigi – Medi Enrico – Mentasti – Merighi – Merlin Angelina – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molinelli – Montagnana Rita – Montalbano – Montemartini – Monterisi – Morandi – Mora– nino – Morini – Moro – Moscatelli – Murgia – Musolino.

Nasi – Nenni – Nicotra Maria – Nobili Tito Oro – Noce Teresa – Numeroso.

Pajetta Gian Carlo – Pallastrelli – Paolucci – Paris – Parri – Pastore Raffaele – Pat – Pella – Pellegrini – Pera – Perassi – Perlingieri – Persico – Pesenti – Piccioni – Piemonte – Pieri Gino – Pistoia – Platone – Ponti – Porzio – Pratolongo – Pressinotti – Priolo.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Rapelli – Reale Eugenio – Recca – Rescigno – Restagno – Ricci Giuseppe – Rodinò Ugo – Romano – Romita – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Rubilli – Ruggeri Luigi – Rumor.

Saccenti – Saggin – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sansone – Sartor – Scalfaro – Scarpa – Schiavetti – Scoca – Scoccimarro – Secchia – Segala – Segni – Sereni – Sicignano – Siles – Silipo – Silone – Spallicci – Spano – Stampacchia – Stella – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Targetti – Tega – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Tomba – Tonello – Tonetti – Tosato – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi – Turco.

Uberti.

Valenti – Valiani – Valmarana – Veroni – Viale – Vicentini – Vigna – Vigo – Villani – Vischioni.

Zaccagnini – Zagari – Zanardi – Zappelli – Zuccarini.

Si sono astenuti:

Conti.

Quintieri Quinto.

Schiratti.

Sono in congedo:

Ambrosini.

Bellavista.

Fedeli Aldo.

Galioto.

Lombardo Ivan Matteo.

Mazza.

Pignatari.

Raimondi – Ravagnan.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione ed invito gli onorevoli Segretari a procedere al computo dei voti.

(Gli onorevoli Segretari fanno il computo dei voti).

Risultato della votazione nominale.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione nominale sulla proposta di sospensiva dell’onorevole Marinaro:

Presenti                   309

Votanti                    306

Astenuti                  3

Maggioranza           154

Hanno risposto sì     4

Votanti……………………… 306

Astenuti………………………. 3

Maggioranza………………. 154

Hanno risposto si .        4 1


Hanno risposto no    302

(L’Assemblea non approva).

Si riprende la discussione sul disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi. Ritengo che si debba rimandare il seguito della discussione ad altra seduta…

Voce a sinistra. No, no!

PRESIDENTE. …in considerazione soprattutto di un fatto. Durante la votazione sono venuti al banco della Presidenza alcuni colleghi i quali hanno domandato se, dopo la votazione, si sarebbe proseguito nell’esame dell’articolo 2. Io ho creduto, data l’ora, di rispondere che la discussione sarebbe stata ripresa nella seduta successiva. Credo che, in queste condizioni, l’Assemblea non possa continuare nella discussione.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Sono molto spiacente di questo contrattempo, ma penso che se noi non proseguiamo ora nella discussione, l’esito della votazione non avrebbe significato. Siccome il responso del voto è stato contro la sospensiva, noi non possiamo accettare nessuna sospensiva. Si tratta di non perdere ulteriormente tempo.

PRESIDENTE. Onorevole Scoccimarro, ella equivoca fra sospensiva e sospensione. Qui si tratta di sospensione della discussione. Respinta la sospensiva, si tratta di riprendere in altro momento l’esame dell’emendamento sul quale deve ancora svolgersi la discussione.

MOLINELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MOLINELLI. Mi rendo perfettamente conto, signor Presidente, di quello che è il suo scrupolo di coscienza, ma vorrei fare osservare che sul testo emendato dell’articolo già svolto sono d’accordo tutti i gruppi dell’Assemblea, la Commissione ed il Governo. L’assenza di qualche deputato non può provocare un diverso esito della votazione. Pregherei quindi il Presidente di mettere subito ai voti l’emendamento.

PRESIDENTE. Ho già detto che non posso mettere in votazione l’emendamento, se prima non si svolge la discussione.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Vorrei ricordare una giusta osservazione fatta giorni or sono in questa Aula dall’onorevole Corbino, il quale disse: L’Assemblea in problemi di questo genere deve decidere subito per non permettere speculazioni fuori di questa Aula.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Onorevoli colleghi, la discussione su questo emendamento si era effettivamente svolta per intero. Doveva rispondere il Relatore e doveva dire la propria opinione il Ministro. Per quanto mi riguarda, posso dire brevemente il mio pensiero. Non so quale sia l’opinione del Ministro. In effetti l’Assemblea ha davanti a sé soltanto un problema di cortesia verso il Presidente.

PRESIDENTE. Pongo ai voti la proposta che si proceda nella discussione.

(Dopo prova e controprova, la proposta è approvata).

Si procede allora nella discussione. Siamo all’articolo 2, che come l’Assemblea ricorda, è stato proposto dalla Commissione nella seguente formulazione:

«Sono soggette all’imposta straordinaria le persone fisiche.

«Sono altresì, soggetti all’imposta straordinaria le società, ditte ed enti costituiti all’estero, limitatamente al capitale comunque investito od esistente nello Stato, con deduzione dell’ammontare delle partecipazioni alla società, ditta o ente, che risultino accertate al nome di persone fisiche, proporzionalmente agli investimenti della società, ditta o ente in Italia».

Rileggo il testo dell’emendamento presentato dagli onorevoli Castelli Edgardo, Scoca, Valiani, Dugoni, Pesenti, Mazzei, Bertone, Tosi, Baracco nella sua definitiva formulazione:

«Sostituire l’articolo col seguente: «Sono soggette all’imposta straordinaria progressiva le persone fisiche.

«Gli enti collettivi sono soggetti ad una imposta straordinaria proporzionale».

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Dichiaro di essere favorevole all’emendamento dal punto di vista sostanziale. Solo mi permetto di far rilevare una questione di collocamento. Noi abbiamo un disegno di legge che comincia così: Titolo I – Imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. Noi ora, all’articolo 2° del Capo I, dichiariamo: «Gli enti collettivi sono sottoposti alla imposta proporzionale». Io vorrei pregare di affermare il principio, e poi in sede di inizio del Titolo II – dove manca il titolo del Titolo (si guardi alla pagina 46 del documento), si dovrebbe mettere: «Imposta straordinaria proporzionale sul patrimonio»; Capo XIII: Sul patrimonio dei contribuenti e delle persone fisiche; Capo XIV: Sugli enti collettivi.

Mi pare che in questo modo si approvi il principio e si faccia una cosa che non dirò dal punto di vista formale per la scienza, ma dal punto di vista formale per la tipografia (Si ride), risponde alla logica.

SCOCCIMARRO. Sono d’accordo con la proposta dell’onorevole Corbino. Propongo che si voti subito l’emendamento e si disponga poi in sede di coordinamento, nel senso ora indicato dall’onorevole Gorbino.

CONDORELLI. L’espressione che si usa: «enti collettivi» mi lascia dubbioso. Le società per azioni non sono certamente degli enti collettivi per il vigente codice civile. D’altro canto, le fondazioni si vogliono escludere dalla tassazione? Le fondazioni non sono enti collettivi, ma sono enti morali, perché il concetto di enti collettivi corrisponde all’altro di universitas personarum, per cui non rientrano nella nozione di enti collettivi né le società per azioni, che sono il principale obietto di questa tassazione, né le fondazioni che, secondo me, non devono sfuggire alla tassazione. Basterebbe ricordare certe fondazioni colossali, le quali indubbiamente devono pagare il loro contributo. Parlo di alcune banche che sono fondazioni e che certamente sfuggono al concetto. Secondo me, la intestazione è errata e se noi oggi facessimo un voto in questo senso, avremmo fissato con una legge che sia le società, che invece vogliamo colpire, sia le fondazioni, che devono essere colpite, non sono tassate.

TOGLIATTI. Propongo la chiusura della discussione.

PRESIDENTE. È stata chiesta la chiusura della discussione. Domando se è appoggiata.

(È appoggiata).

Pongo allora ai voti la proposta di chiusura.

(È approvata).

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Ho chiesto la parola per dire il parere della Commissione, perché credo che sia questo il momento giusto. Comunque, rispondo alla obiezione dell’onorevole Condorelli: ormai, nella legislazione finanziaria l’espressione «enti collettivi» ha il preciso significato di istituti ed enti che comprendono società e fondazioni. La dizione della legge del 1922 era: «L’imposta è dovuta dalle persone fisiche e dagli enti collettivi». All’articolo 3 si diceva: «L’imposta non si applica alle società per azioni».

CONDORELLI. Allora, le società per azioni erano enti collettivi; ora non lo sono.

LA MALFA, Relatore. In tutta la legislazione finanziaria è questa la dizione usata per distinguere le persone fisiche dagli enti.

In quanto alla sostanza, dovrei rispondere a tutti gli oratori e principalmente all’onorevole Einaudi, ma mi pare che l’Assemblea si sia orientata sul problema. Devo soltanto esprimere il giudizio della Commissione che è stato favorevole all’accettazione dell’emendamento Castelli Edgardo ed altri.

PRESIDENTE. Qual è l’avviso del Governo?

PELLA, Ministro delle finanze. Come ho già accennato l’altro giorno, il Governo si rimette completamente all’Assemblea.

PRESIDENTE. Pongo allora ai voti l’emendamento dell’onorevole Castelli Edgardo ed altri.

(È approvato).

Resta inteso che nel coordinamento si deciderà sulla definitiva collocazione di questa disposizione, secondo quanto ha osservato l’onorevole Corbino.

(Così rimane stabilito).

C’è ora un emendamento del Governo del seguente tenore:

«Aggiungere il seguente comma:

«Dal valore delle azioni o di quote di partecipazione in società costituite in Italia si detrae una quota-parte proporzionale al valore dei beni posseduti dalle società all’estero, ivi assoggettabili a tributi straordinari».

LA MALFA, Relatore. La Commissione propone di sopprimere questo emendamento e di limitare l’articolo 2 all’emendamento Castelli ed altri non votato.

Tutto quanto riguarda la disciplina delle società, anche all’estero, lo riporteremo al titolo riguardante gli enti collettivi.

PRESIDENTE. Quale è il parere del Ministro?

PELLA, Ministro delle finanze. Quando ebbi l’onore di annunciare questo emendamento, una diecina di giorni fa, vi fu una quasi concorde opinione che si trattasse di un emendamento superfluo, dato che, in sostanza, era naturale che non si potesse tassare quella parte di patrimonio dichiarata esente.

Devo però mantenere l’emendamento stesso a scopo di migliore chiarimento, salvo studiare il collocamento più opportuno.

Forse, non è felice il collocamento all’articolo 2, essendo questo modificato secondo l’emendamento Castelli. Non sarebbe neanche troppo felice collocarlo nel titolo che riguarda la nuova imposta proporzionale sugli enti collettivi.

Cercheremo nella prossima seduta la sede più opportuna.

PRESIDENTE. Rinvio il seguito della discussione ad altra seduta.

La seduta termina alle 13.25.

POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 24 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

cc.

SEDUTA POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 24 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Comunicazione del Presidente:

Presidente

Disegno di legge (Discussione):

Approvazione del Trattato di pace tra le Potenze Alleate e Associate e l’Italia, firmato a Parigi il 10 febbraio 1947. (23).

Presidente

Sforza, Ministro degli affari esteri

Croce

Gasparotto

Canepa

Ruini

Interpellanza ed interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei ministri

Grassi, Ministro di grazia e giustizia

Sui lavori dell’Assemblea:

Presidente

La Malfa

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei ministri

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 17.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Comunicazione del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che l’onorevole Corbino mi ha fatto pervenire le sue dimissioni da presidente e da componente del gruppo parlamentare liberale.

Sarà pertanto iscritto al gruppo misto.

Discussione sul disegno di legge: Approvazione del Trattato di pace fra le potenze Alleate ed Associate e l’Italia, firmato a Parigi il 10 febbraio 1947. (23).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca la discussione sul disegno di legge: Approvazione del Trattato di pace tra le Potenze Alleate ed Associate e l’Italia, firmato a Parigi il 10 febbraio 1947. (23).

Ha chiesto di parlare il Ministro degli affari esteri, onorevole Sforza. Ne ha facoltà.

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Onorevoli colleghi, è perché sento la grave responsabilità morale che pesa oggi su ognuno di noi, che, più che un discorso vorrei sottoporvi una specie di riassunto assolutamente obiettivo.

Il Trattato che è oggi sottoposto alla vostra ratifica fu firmato il 10 febbraio scorso.

La responsabilità di quella dolorosa decisione fu presa dall’onorevole De Gasperi e da me, confortati non solo dal favorevole avviso dei partiti che erano allora al governo con noi, ma anche di altri gruppi, i cui capi, con franchezza e decisione, ci dichiararono la loro solidarietà.

Malgrado ciò, il nostro rispetto per la sovrana volontà dell’Assemblea Costituente fu e rimase sì profondo che, per mia istruzione, d’accordo col Presidente del Consiglio, il nostro Plenipotenziario partì per Parigi con l’ordine di depositare prima della firma una formale dichiarazione precisante – qui cito – che «la firma stessa rimane subordinata alla ratifica che spetta alla sovrana decisione del– l’Assemblea Costituente».

La notte che precedette il momento della firma telefonai io stesso al nostro Plenipotenziario a Parigi, ripetendogli che se fossero sorte obiezioni alla solenne accettazione della nostra dichiarazione egli doveva tornar tosto a Roma senza firmare.

L’Assemblea Nazionale, voi dunque lo vedete, è pienamente libera e sovrana nelle sue decisioni. E il mondo intero lo sa.

Poche ore dopo la firma pensai ch’era dovere mio di chiarire al mondo a quali condizioni e per quali ragioni ci eravamo indotti a firmare. Credo opportuno leggervi la breve nota che quel 10 febbraio inviai per telegrafo alle venti Potenze firmatarie del Trattato.

Eccone il testo:

«Il Governo italiano, firmando un Trattato che non è stato chiamato a negoziare e che sarà sottoposto alla approvazione dell’Assemblea Costituente, ha voluto provare che affronta gli atti più dolorosi per affrettare l’avvenire di una vera pace costruttiva nel mondo.

«Ma il suo primo dovere verso i Governi firmatari e i loro popoli è di esprimersi ed agire con la più assoluta lealtà. Questa lealtà gli impone di ricordare che i Trattati di Pace non sono eseguibili che se sostenuti dalla coscienza morale dei popoli.

«Il popolo italiano ha la coscienza di aver agito coatto di fronte al regime che lo trascinò poi nella guerra e che tanti all’estero sostennero con le loro lodi. Il popolo italiano non poté mostrare al mondo il suo vero carattere che riuscendo a liberarsi per il primo da un regime di oppressione e fornendo poi agli alleati, durante la guerra di liberazione, dei vantaggi diretti ed indiretti cui non è stata resa sufficiente giustizia.

«Il Governo italiano mancherebbe all’onore – il patrimonio che gli è più sacro – se non avvertisse gli alleati che il Trattato peggiora ancora nelle sue clausole territoriali economiche coloniali militari quella atmosfera di soffocazione demografica che pesava praticamente sul popolo italiano e che in parte è all’origine di tanti mali per noi e per gli altri. Il Governo italiano stima che è un interesse diretto delle grandi democrazie di rivedere per il bene generale le loro relazioni col problema italiano che è un aspetto essenziale del riassetto mondiale.

«Pur ammettendo tanti errori passati, l’espiazione del popolo italiano è stata sì dura fino alla firma odierna che noi ci sentiamo per l’avvenire, come italiani e come cittadini del mondo, in diritto di contare su una revisione radicale di quanto può paralizzare o avvelenare la vita di una Nazione di quarantacinque milioni di esseri umani congestionati su un suolo che non li può nutrire».

Tale fu il mio primo commento alla firma del Trattato. La risposta che primo fra tutti – dieci giorni dopo – mi fece giungere il Segretario di Stato americano, fu per noi preziosa, colla sua franca affermazione che la via della revisione ci era aperta. Quasi tutte le risposte, del resto, furono ispirate a sincera simpatia. Ciò che più mi piacque come italiano fu che il mondo capì che noi protestavamo non solo come italiani, ma come europei, e che protestavamo onestamente e lealmente, perché decisi a rigettare tanto una politica di astuzie quanto di sterili violenze; e che, se ci dolevamo del cattivo Trattato, ciò non era solo pel torto che esso ci infliggeva, ma anche perché colle sue concezioni da secolo xviii esso nuoceva agli interessi più alti e più veri di coloro stessi che lo redassero e ce lo imposero.

Il Trattato di pace costituisce l’ultimo capitolo di un periodo della storia d’Italia. Non distinguendo sufficientemente un popolo – reso incapace di ribellarsi – da un regime di oppressione (che – come ricordai il 10 febbraio – tanti appoggi ricevette dallo straniero), il Trattato volle costituire la condanna di una lunga politica inconsciamente contraria agli interessi supremi dell’Italia.

Il Trattato non è tanto la sanzione di una sconfitta, quanto il suggello di una politica immorale e sbagliata. Esso è l’atto finale di un isolamento, che cominciò nel 1922, quando una dittatura soffocò i sentimenti della Nazione, e ci separò moralmente e politicamente dal resto dell’Europa libera, gettandoci poi, impreparati, in una guerra dove in ogni caso avevamo tutto da perdere. Nel 1940 l’isolamento politico e morale divenne crisi violenta e portò il paese alla catastrofe e disperse le vite di tanti italiani in Patria e sui fronti di guerra. Amarissimo è per noi soprattutto il ricordo di questi soldati, formati ad una tradizione di sacrificio e di disciplina, che combatterono una guerra ingrata, male armati ed equipaggiati, abbandonati spesso dai tedeschi nei momenti di maggiore sfortuna, e che scrissero tuttavia belle pagine nella storia del valore e della fedeltà del soldato italiano.

Fu necessaria ancora, dopo l’8 settembre, l’innata generosità di questi stessi nostri soldati, furono necessari i sacrifici eroici della nostra Marina, fu necessario il sangue di tanti volontari e di tante vittime, perché intorno alla Nazione Italiana si riformasse all’estero un alone di simpatia. Il nostro isolamento morale finì relativamente presto, perché presto si vide di che sostanza umana l’Italia era fatta. Entro certi limiti, questo miglioramento si tradusse in termini politici. L’armistizio fu interpretato con spirito più aperto, l’Italia normalizzò o quasi le sue relazioni diplomatiche cogli altri paesi, entrò a far parte di vari organismi internazionali.

Tuttavia alla Conferenza della Pace e ai tavoli dove erano uomini mai stati a contatto con l’Italia liberata, italiani ardenti di patriottismo – come Alcide De Gasperi – dovettero riconoscere che c’era ancora molta strada da percorrere per adeguare al piano morale raggiunto, il piano politico e diplomatico. Fu allora che dovemmo sentire come il rifiutare la firma avrebbe significato ribadire l’isolamento nostro, mentre nostro supremo interesse era di rientrare di pieno diritto nel concerto delle Nazioni, appunto perché eravamo sicuri di noi stessi e del nostro avvenire. Non firmando, avremmo in un certo senso dato ragione agli autori del Trattato, i quali non si erano accorti che fra il più irragionevole degli armistizi e i negoziati di Parigi il clima nazionale e internazionale dell’Italia era profondamente mutato.

Da allora gli spiriti mutarono gradualmente, fino a che si cristallizzò una atmosfera di cui l’espressione più recente fu l’accoglienza cordiale e leale che le Potenze, riunite a Parigi per la ricostruzione economica dell’Europa, fecero ad una rinnovata Italia, riconoscendole la posizione e l’influenza che le spettano, e ciò prima dell’atto formale della nostra ratifica del Trattato.

Ma non è soltanto da un punto di vista immediato che va posta la questione.

Per noi è necessario creare delle vie libere intorno alla nostra politica. Un singolo uomo diventa un eroe se rimane in prigione; un popolo non ha il diritto di rimanere in un campo di concentramento, un popolo deve affermarsi, agire, espandersi. (Applausi al centro). È soprattutto quando, temporaneamente o no, non si è forti, che bisogna – se non si vuol essere esclusi dalla vita – accettare il principio della collaborazione.

Guardate la Germania, ancora immersa nello stupore che segue la crisi di follia, quale quella di cui questo sciagurato popolo fu preda; essa giace accasciata e son certo che vi sono ancora tra i tedeschi dei nazisti abbastanza fatui per compiacersi del loro isolamento.

Ma noi italiani, la cui vita è sempre stata tanto più dura di quella dei ben pasciuti tedeschi, possiamo bensì sentir pietà del loro fato come si ha pietà delle follie di don Chisciotte, ma non indulgere agli stessi sentimenti, poiché abbiamo superato il punto morto e riacquistato una sana fiducia in noi stessi, ben diversa dalla malata megalomania che ha invasato per tanti anni la Germania.

Guardate invece la Cecoslovacchia: sempre fedele, sotto la guida di Masaryk e di Benes, alla collaborazione internazionale. Essa cadde: a Berchtesgaden e a Palazzo Venezia irrisero alla sua caduta; ma essa risorse circondata dal rispetto del mondo.

Purtroppo noi italiani facemmo l’esperienza inversa. Pagammo il fio del massimo errore dei capi fascisti: aver rotto la collaborazione internazionale.

Ormai la coscienza dei popoli tende ad una sempre maggiore coordinazione economica e morale, come condizione essenziale di pace e di progresso. E i popoli hanno forse capito tutto questo meglio dei governi ed è perciò che – in assenza di un organismo internazionale in perfetta efficienza e di una compenetrazione di interessi sentiti da tutti – dobbiamo porci al riparo dal pericolo che, in caso di crisi, il problema europeo si ponga di nuovo in termini di forza. È qui che noi italiani non dobbiamo farci illusioni in caso di ritorno alla violenza, sarà chi è militarmente più disarmato che soccomberà pel primo, che pagherà per tutti.

Oltre a queste elementari ragioni di sicurezza, che ci spingono a solidarizzare con gli sforzi di tutti quei paesi europei che sono decisi ad adoperarsi in ogni modo perché sia scongiurato il pericolo di una nuova guerra, vi sono altre ragioni, che ci consigliano di reprimere giusti sdegni e santi dolori pur di collaborare a una impostazione non isolazionista della nostra politica estera.

Gli avvenimenti degli ultimi anni hanno impresso un tale ritmo al progresso collettivo degli uomini, da modificare completamente il volto della società. Ciò che noi abbiamo chiamato finora democrazia si avvia a divenire democrazia più ampia e più vera, trasformandosi in regime che può reggersi solo se sostenuto dalle grandi masse popolari in continua, pacifica ascesa. Ma come potremmo effettuare la costruzione di tale solida moderna democrazia, come potrebbe aver luogo questo grande pacifico assestamento di tutta la nostra società nazionale, se la nostra politica estera si orientasse verso un isolamento che, anche se non divenisse morbosamente xenofobo, rischierebbe di giuocar le sorti della patria su giuochi di carte di cui a noi sfuggirebbero gli sviluppi e gli scopi?

Non dimentichiamo quanto si verificò all’epoca dell’ultimo Ministero Giolitti, di cui feci parte. Allora una politica estera di calda collaborazione europea, che sarebbe stata feconda di bene in ogni campo per l’Italia, cadde sotto i colpi di forze reazionarie; oggi la creazione della nuova Italia potrebbe venire compromessa da una politica estera che ci separasse dal mondo. È un dato acquisito ormai che il cammino delle masse popolari è legato al trionfo delia collaborazione internazionale.

È d’altronde una tendenza naturale quella che sta ovunque conducendo alle unità, alle collaborazioni. Guardate la crescente unione degli Stati Americani, dall’Argentina al Canada, quella dei Paesi Arabi, quella dei Paesi Scandinavi, quella del Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo, che han perfino creato una nuova parola collettiva: il Benelux. Guardate sovratutto la grande tendenza unitaria maturata durante la seconda guerra mondiale: l’organizzazione delle Nazioni Unite.

Quando parliamo dell’O.N.U. noi non pensiamo soltanto alla strada che pacificamente ci potrà avviare verso la revisione del Trattato e attraverso la quale porteremo all’attenzione dei popoli alcuni nostri problemi fondamentali; noi pensiamo anche, e soprattutto, allo spirito che sempre più dovrà animare il mondo.

L’organizzazione delle Nazioni Unite, significa fiducia che le grandi forze internazionali prevalenti sulla terra trovino un terreno di intesa o almeno di tolleranza. Uno scettico e ignaro richiamo, a proposito dell’O. N. U., del triste fato che toccò alla Società delle Nazioni non tiene conto di una differenza essenziale: che da Ginevra erano assenti gli Stati Uniti e la Russia; e che Russia e Stati Uditi sono invece attivi e presenti a Lake Success. Spesso discordi? Ebbene, ciò non fa che rendere più importante il nostro compito, che noi non si sfugga al più nobile forse dei nostri doveri, quello di essere anche noi presenti e di aiutare le intese, di creare atmosfere di accordo. È là, là solo, in tali funzioni, che un popolo disarmato come l’Italia può farsi valere conte interprete e araldo di formidabili forze morali.

E a questo punto occorre ricordiate che entro il 10 agosto la Commissione formata dal Consiglio di Sicurezza per l’esame delle domande di ammissione all’O.N.U. dovrà riferire al Consiglio stesso l’esito delle sue indagini. Se per quella data l’Italia non avrà ratificato il Trattato, essa sarà costretta a riferire che manca uno degli elementi essenziali per la nostra ammissione. E che, se perdiamo quella data, potrà essere ritardato di un anno il nostro ingresso nel più solenne areopago del mondo, dove tanto potremmo per noi e, spero, per la pace mondiale, cioè per la eliminazione di blocchi ostili. Qualcuno ha già obiettato a questa considerazione che, anche con la nostra ratifica, è dubbio che saremmo ammessi per la formale imperfezione del Trattato, finché le ratifiche dei Quattro non siano presentate. Ma vi dirò, in primo luogo, che nulla esclude che nei prossimi giorni questa presentazione avvenga; nel qual caso solo l’espresso veto di una delle grandi Potenze potrebbe escluderci dall’O.N.U.

Comunque, sia di fronte ad un impedimento di forma, che di fronte a un inverosimile veto, la nostra posizione sarà più forte di quel che non sarebbe se la responsabilità dell’esclusione potesse farsi, senza compromissione degli altri, ricadere su di noi.

Avevo cominciato a parlarvi di questi problemi anche in relazione alla nostra vita interna: lasciatemi ripetere su questo punto, che è solo attraverso una politica internazionale di collaborazione profonda che sarà possibile salvare la democrazia e la pace anche in casa nostra. È solo con una politica estera che non speculi su delle ipotesi di guerra che noi potremo realizzare quella distensione che è condizione prima perché la democrazia si stabilizzi e progredisca come una legge di natura ammessa da tutti.

Bisogna essere franchi.

O noi consideriamo il Trattato come un atto ingiusto, la cui necessaria revisione deve farsi con mezzi pacifici, ed allora la ratifica diviene la sola via per far valere, sopratutto attraverso l’O.N.U., ma non l’O.N.U. soltanto, il nostro diritto a progressivi superamenti di situazione; o noi rifiutiamo la ratifica, e allora ciò significa che noi affidiamo la nostra sorte ad una crisi internazionale, che noi contiamo – anche senza confessarcelo – su nuove conflagrazioni. Ma, in questa ipotesi, chi dunque non vede che rischieremmo di pagare la distruzione del Trattato con la distruzione dell’Italia?

Del resto, questo Trattato è così poco un organismo sicuro e stabile che già gli Stati Uniti da un lato e la Gran Bretagna dall’altro hanno aderito da tempo ad intese che hanno significato dei veri e propri inizi di revisione.

Il Governo inglese cominciò col riconoscere spontaneamente che, secondo l’art. 46, le clausole militari e navali potevano venire modificate in seguito ad accordi fra noi e le Potenze Alleate. E più oltre lo stesso Governo ci significò che era disposto, dopo la ratifica, ad addivenire ad accordi diretti col Governo italiano su tutte quelle parti del Trattato che, riferendosi unicamente a diritti riconosciuti alla Gran Bretagna, potevano venire modificati senza pregiudizi a diritti di terze Potenze. Saremmo ingiusti se dimenticassimo gli «accordi Menichella», con cui il Governo britannico accolse amichevolmente non poche nostre importanti richieste.

Quanto al Governo degli Stati Uniti, esso fu ancor più esplicito circa il superamento del Trattato. In molte dichiarazioni di capi politici – fra cui importantissime quelle del Senatore Vandenberg, il 10 luglio – si ribadiva il concetto della revisione, si lasciava comprendere che attraverso l’O.N.U. si sarebbe potuto giungere a modifiche anche sostanziali. Questo stato di animo del Governo e del popolo americano veniva, con un atto che credo unico nella storia, solennemente confermato, al momento della ratifica americana, da un messaggio del Presidente Truman, che non solo riconosceva l’ingiustizia di certe clausole e la possibilità della revisione, ma, in un certo senso, parlando del contributo italiano alla causa comune, svalutava anche l’ingiusto preambolo del Trattato stesso. E ciò andò al nostro cuore, perché (bene o male che sia) noi italiani siamo così fatti: una parola sincera e fraterna vale spesso per noi più dei vantaggi materiali. Lo ricordino quegli stranieri che ci rinfacciano spesso un nostro più o meno autentico machiavellismo e non si accorgono che non siamo mai tanto ingenui come quando ci imbarchiamo in ragionamenti pseudo machiavellici.

La lontana ma amica Repubblica cinese, in risposta alla nota italiana, ci dichiarava per iscritto di ritenere che il Governo italiano, dopo l’entrata in vigore del Trattato di pace, non ha che da chiederne la revisione, purché nell’ambito dell’O.N.U.

Di un’altra iniziativa per la revisione del Trattato si è fatto promotore l’Equatore: tale iniziativa fu sviluppata mediante il nostro suggerimento di un passo collettivo degli Stati americani presso l’O.N.U., passo che ha servito e servirà a mettere in chiaro come sorse un Trattato, che non fu negoziato con l’Italia, ma ad essa imposto. Molti Stati, fra i quali l’Argentina, hanno risposto favorevolmente, e il movimento di simpatia per la nostra tesi prende sempre più corpo in tutti quei Paesi.

Le Repubbliche di Cuba, Panama e Honduras sono andate ancor più in là, con atti che, per ciò che le concerne, annullano quasi il Trattato. Vada a tutti i nobili popoli latini d’oltre Oceano la riconoscenza dell’Italia! (Applausi al centro).

Quando un Trattato di pace nasce accompagnato da tali manifestazioni – e molte altre potrei citarne, e negli stessi ambienti responsabili di quasi tutti gli Stati interessati – esso porta già in sé il marchio di una vitalità destinata ad esaurirsi. Del resto noi dovremmo allargare il nostro orizzonte e sentire che l’Italia non può circoscrivere la sua azione alla revisione del Trattato, per importante e necessaria che essa sia. Vi sono, al di là del Trattato, interessi italiani spirituali e materiali, come il salvataggio di un grande patrimonio di sacrifici e di lavoro in Africa e la ricostruzione di tutte le influenze economiche e spiritual di un grande paese quale l’Italia è stata, è, e dovrà essere.

Ora, l’«atto» della ratifica incide anche su tutti questi interessi; è bensì vero che affidamenti precisi non possiamo ancora dire di averne; ma dobbiamo riconoscere che impostare questi problemi rinviando la ratifica, significherebbe non avere neanche la possibilità di chiedere e di lottare in una atmosfera di fiducia e di simpatia.

Se l’Assemblea o il Paese non sentissero che occorre un gesto di saggezza politica e accettare la ratifica, cosa potrebbe accadere?

È certo che una nostra mancata ratifica provocherebbe una reazione nettamente sfavorevole, anche se più o meno dissimulata, in un primo tempo. Le stesse Repubbliche latino-americane sarebbero inceppate nella loro azione a nostro favore. Rimarrebbero certo amicissime, ma di qual prudenza avrebbero bisogno!

In caso di incidenti e rivolgimenti che purtroppo niuno può assolutamente escludere, saremmo noi, questa volta, i più imperdonabili; perché dopo l’esperienza dell’anno scorso, saremmo stati noi, gli uni con nuove dubbiezze e altri con speranze di ipotetici terni al lotto, a riportare la nostra Italia sul tavolo anatomico su cui le folli guerre fasciste la gettarono.

Certo, cotali ipotesi noi vogliamo considerarle assurde. Ma tutt’altro che assurdo è il prevedere che se rimanessimo staccati dal resto del mondo, potremmo trovarci, senza saperlo e senza volerlo, di fronte a conseguenze pratiche pericolose. Prendiamo un esempio recentissimo: per le delimitazioni di confine interno a Gorizia, problema di cui mi sono personalmente occupato anche a Parigi coll’affetto che voi pensate, ricevetti parole di simpatia e di comprensione; ma ciò accadeva in una atmosfera che, pel fatto stesso della nostra presenza nella capitale francese, faceva considerare la ratifica come acquisita. Anche per continuare a difendere l’italianità di Trieste abbiamo bisogno di un punto fisso da cui batterci.

Potrei qui indicarvi i danni immediati di interessi pubblici e privati italiani che potrebbero colpirci, in caso di non ratifica, in Libia come in Eritrea, in Tunisia come al Giappone, in Germania come nel campo delle riparazioni, punti tutti dove, lentamente, tacitamente, pazientemente siamo riusciti a migliorare la situazione a nostro favore. Ma non lo farò perché, pensoso soprattutto degli interessi italiani, non voglio neppur supporre che certe cose possano accadere. Ma il dovere del Governo non è solo di lavorare con fiducia e ragionevole ottimismo, sibbene anche di prospettarsi tutte le eventualità.

Non voglio neppure pensare a un rovesciamento di attitudine degli Stati Uniti verso di noi; è forse perché ricordo tuttora con emozione che pochi mesi dopo che Mussolini dichiarò la guerra a quel grande Paese amico, un giorno ancor vivo nel mio spirito, i dieci milioni di italiani sparsi nelle due Americhe udirono commossi e stupefatti questo messaggio da Washington: «L’America è in guerra con il fascismo, non con l’Italia; noi, quindi, convinti che gli italiani sono amici nostri, decidiamo di togliere i cittadini italiani dalla lista dei nemici; d’or innanzi essi rimarranno fra noi liberi e tranquilli con tutti i diritti dei cittadini degli Stati Uniti».

E così accadde fra lo stupore del mondo, se non dell’Italia incatenata che niente ne seppe. Ma, malgrado tanta generosità, è nostro dovere renderci conto che anche negli Stati Uniti si darebbe alla mancata ratifica un significato di nostra scarsa volontà di collaborazione internazionale. E di ciò avremmo inevitabili ripercussioni, anche in relazione alla Conferenza per il cosidetto piano Marshall, ripercussioni da cui mi sembra che tutto il buon volere degli Stati Uniti non riuscirebbe a salvarci. Mi spiego.

Entrata l’Italia onorevolmente nei lavori della Conferenza di Parigi, sono convinto che nessuno penserebbe ad eliminarla, benché giuridicamente ciò sia concepibile.

Ma quando il piano di aiuto americano all’Europa venisse in esecuzione e fossero fissate le cifre di intervento, è verosimile che le aperture di credito in dollari sarebbero gestite dai singoli Governi, mentre invece per quanto riguarderà la Germania i crediti dovranno essere gestiti dalle Nazioni occupanti o da qualche organismo che esse creeranno. La più ovvia delle giustificazioni a questa diversità di trattamento sarà quella che la Germania si troverà ancora senza trattato di pace. Non sarebbe allora probabile che anche per l’Italia, non legata da trattati si deliberasse la stessa procedura prevista per la Germania?

E come sarebbe concepibile l’esecuzione del piano Marshall nei confronti dell’Italia, quando questa, per essersi rifiutata di ratificare il Trattato, non fosse in condizione di procedere a pagare le riparazioni che il Trattato le impone? Le Nazioni aventi diritto a riparazioni potrebbero invocare dall’America di sospendere l’applicazione del piano Marshall nei riguardi dell’Italia, per costringere questa all’osservanza di un Trattato che l’America ha ratificato.

Queste considerazioni portano a concludere, dunque, che ben difficilmente l’esecuzione del piano Marshall (non la sua formulazione) sarebbe conciliabile con una posizione di un’Italia rimasta isolata nel mondo; in tal caso, sarebbe molto probabile la creazione, per l’esecuzione del piano Marshall nei confronti dell’Italia, di organi speciali per la garanzia delle nazioni vincitrici, organi che, mentre diminuirebbero la dignità e la sovranità dello Stato italiano, finirebbero per avvicinare la figura dell’Italia a quella della Germania, cioè a farci fare un formidabile passo indietro sulla via che abbiamo onorevolmente percorso per raggiungere la posizione che ci spetta.

D’altronde, che materia copre politicamente il Trattato?

Il Trattato si basa su concetti che la coscienza e la realtà del nostro secolo vanno scartando come arcaismi. Esso infatti è tutto basato su clausole di confini, di servitù militari, di imposizioni e limitazioni economiche. Ora l’esperienza storica e, vorrei dire, tecnica del mondo moderno ha rivelato – come già prima ho accennato – il progressivo fondersi dei confini nazionali in unità sempre più vasta, ha spostato completamente i termini della potenza militare, facendone ormai un semplice aspetto della potenza industriale, ha per sempre fatto svanire il mito dei circuiti economici chiusi e quindi ha messo in piena luce il principio cardinale che le riparazioni eccessive o non si pagano o presto o tardi creano uno scompenso risentito da tutto il sistema economico internazionale.

Che cosa, invece, il Trattato non copre?

Vorrei dire che esso non copre proprio la materia della politica estera che noi italiani abbiamo impostato e vogliamo impostare. Noi agiamo – e in tal senso mi espressi anche nei giorni scorsi alla Conferenza di Parigi – per contribuire a creare un’Europa che non sia aggressivamente tesa contro altri sistemi, ma sia un’Europa di libertà e di comprensione per tutte le forze del mondo.

Sul piano che una volta si chiamava coloniale, abbiamo cercato di affrontare in maniera moderna il problema dei nostri rapporti con il mondo africano. Di fronte all’emancipazione e alla coscienza popolare e nazionale del mondo arabo e africano abbiamo sentito che il vecchio colonialismo era morto per tutti e che per tutelare i frutti del nostro lavoro e della nostra libera emigrazione in Africa noi dovevamo associarci a quei popoli in marcia ormai verso l’indipendenza, creando per l’avvenire le premesse di un rapporto di dignitosa collaborazione e, se possibile, di alleanza.

Il terzo pilastro della costruzione dovrebbe essere, oltre la politica migratoria coll’America latina, anche una vasta politica culturale e commerciale con la stessa America latina, da un lato e con l’Europa orientale dall’altro, non perdendo occasioni per migliorare le nostre relazioni con quei mondi dell’avvenire per noi tanto importante, dalla vicina Jugoslavia fino all’Unione sovietica, passando per tutti i popoli balcanici.

Il Trattato esprime insomma una concezione anacronistica della guerra, della vittoria, della pace, della vita internazionale. Per contestare il Trattato non possiamo servirci di un arnese della vecchia politica.

Opponendo al Trattato non un rifiuto, che oggi come oggi danneggia noi, ma una visione più larga e più intelligente, noi lo superiamo nella realtà.

Il miglior modo per modificare il Trattato non è solo la sua pacifica revisione: è l’invenzione o l’applicazione di una politica più fresca ed elastica, degna del secolo in cui viviamo e dell’età verso cui marciamo.

Mi sembra che in Italia la grande maggioranza l’abbia sentito; tanto è vero che il dibattito si è spostato: soprattutto negli ultimi giorni è parso chiaro che il problema non verte più tanto sulla ratifica quanto sul rinvio o meno della ratifica. Le tesi a questo proposito sono in sostanza due: una prevalentemente giuridica e l’altra prevalentemente politica.

La prima parte del concetto è che, siccome l’U.R.S.S. non ha ancora ratificato, il Trattato non è entrato in vigore e quindi noi non siamo obbligati a ratificarlo. A questo riguardo la formula suggerita dal Governo concilia la necessità politica e morale della urgente ratifica con il desiderio di non impegnare, né giuridicamente né moralmente l’Italia, finché il Trattato non sia entrato in vigore.

Ma conviene, a noi, metterci su un terreno esclusivamente giuridico?

In fondo, in che cosa è consistita la nostra politica dal 1943 in poi? Nel modificare di fatto una situazione di diritto. Tutta la nostra politica è consistita nell’annullare o per lo meno diminuire di fatto le dure clausole armistiziali. Ciò che l’Italia ha sempre cercato di fare è di sovrapporre al crudo testo una situazione di fiducia, fondata sulla nostra assoluta franchezza e lealtà, una situazione politica articolata, cordiale, sicura di noi.

Al diritto armistiziale abbiamo opposto la impareggiabile tenacia della nostra gente e il suo spirito di resurrezione materiale e spirituale. Siamo riusciti così a compiere un arduo cammino.

Ma noi abbiamo interesse a che le nostre posizioni si rafforzino al più presto, noi abbiamo interesse a dare una ferma base alla nostra azione.

Il Trattato fu per i Grandi un faticoso compromesso; un atto di pacificazione fra di loro. I nostri interessi furono duramente subordinati al bisogno di intese altrui, quali in quel momento prevalevano.

Ma da qualche tempo le relazioni fra gli alleati sono, speriamo solo provvisoriamente, peggiorate. Molti hanno interesse a rendere di nuovo fluido tutto, a non considerare più definitivo niente, a rimettere tutto in discussione. Noi invece non ci troviamo in una condizione che consenta di attendere fra nuove incertezze. Abbiamo bisogno di fondare su basi sicure e coincidenti con gli interessi generali dell’Europa e della pace il nostro sforzo modificante la situazione di inferiorità in cui fummo posti. Con la ratifica noi acquisteremo subito, sia pure a duro prezzo, un motivo per proseguire la lotta che meniamo da lunghi mesi. Con la ratifica oggi noi non modifichiamo il nostro status giuridico ma il nostro status politico-morale.

Qui una osservazione mi pare essenziale; da alcuni si teme che la nostra ratifica, votata prima della ratifica sovietica, possa contribuire, sia pure senza volerlo, alla instaurazione della politica dei blocchi, foriera forse di guerra, quindi fatale per noi.

Ora mi pare che proprio il contrario sia vero: la ratifica servirà invece a creare una atmosfera di fiduciosa collaborazione con le Potenze europee che, come noi, vogliono creare l’Europa. E creare l’Europa è la sola maniera di evitare la politica dei blocchi. Isolandoci dal resto del continente, ostacoleremmo la creazione di un complesso europeo interessato alla pace, cioè allo sviluppo di buone relazioni fra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica.

Del resto, l’atteggiamento dell’Unione Sovietica rispetto al nostro Trattato di pace non ci risulta mutato da quando ci si disse che firma e ratifica erano per essa la stessa cosa, e che dovevamo – in nome del nostro futuro – dare per scontato sia l’una che l’altra.

Noi non dobbiamo metterci nella situazione di una foglia morta, alla mercé degli eventi. Alla mercé degli eventi tutto diventa un gioco: può andar meglio, può andare peggio. Ma ratificando, mentre non cambiamo nulla di nulla, finché tutti non ratificano, fissiamo d’altro canto, una base, creiamo un diaframma politico e morale fra un passato opprimente e l’avvenire.

Se tutti ratificheranno, la nostra ratifica sarà un atto apprezzato da tutti; e se il Trattato non dovesse entrare in vigore noi ci saremmo creati un titolo che ci permetterà di chiedere la riconsiderazione di molti problemi italiani. Ma una ragione soprattutto, debbo ancora ripeterlo, fece che il problema della ratifica divenisse questione urgente e fu la convocazione della Conferenza di Parigi. Non andare a Parigi significava non solo isolarci dall’Europa, ma recidere colle nostre mani ogni possibilità di futuri crediti americani. Fu allora che gli Ambasciatori a Londra e a Parigi mi fecero sapere in modo categorico che, se non v’era interdipendenza giuridica, v’era tuttavia interdipendenza psicologico-politica tra la ratifica e una nostra efficace degna partecipazione alla conferenza.

L’urgenza che v’era allora e di cui la maggioranza della Commissione dei Trattati si rese conto, cresce ora – già ve l’ho detto – perché siamo alla vigilia della discussione all’O.N.U. circa la nostra ammissione.

Riassumendo, ci sono ragioni contingenti, e ci sono ragioni assolute. Fra queste la prima è che dobbiamo creare fiducia degli altri popoli in noi.

Il senso del Trattato non sta solo nella dolorosa mutilazione che esso ci infligge, ma anche e soprattutto nello spirito di sfiducia che è alla base di quello strumento. Si teme o si temeva un ritorno di spirito aggressivo, non si crede o non si credeva in una nostra vera funzione: insomma si ha l’impressione che si cerchino garanzie contro una politica di inconsistenti oscillazioni. È questo che si legge tra le righe del Trattato.

Ed è perciò che nostro primo interesse è creare questa atmosfera di fiducia all’estero. In gran parte ci siamo già riusciti. E come potremmo pretendere di più, se basta un momento di incertezza a far cambiare opinioni, a far sorgere da ogni lato, come funghi, delle sottigliezze procedurali? Non è per cotali vie che si tuteleranno i nostri interessi in Africa o che si difenderà l’onore di quella marina da guerra il cui eroismo fu nostro orgoglio e la cui disciplina fornì vantaggi preziosi agli alleati (Vivi applausi). Non è per questa via che si riconquisterà finalmente la piena indipendenza nazionale.

E noi qui, in questa Aula, dall’estrema sinistra all’estrema destra, non invochiamo ogni giorno a gran voce indipendenza per l’Italia, indipendenza, libertà, e pace?

Ma solo la ratifica è l’argomento di cui potremmo incessantemente servirci per chiedere il ritiro delle truppe e la cessazione di ogni controllo.

Io credo, con tutta l’anima, che sarebbe dannoso per noi l’arrestarci oggi sul cammino dell’intesa europea; noi rischieremmo di perdere quanto anni di lavoro e di sacrificio ci han fatto guadagnare; ma attualmente credo che la ratifica dovrà servirci a meglio condurre su tutti i fronti, non solo la battaglia pel superamento del Trattato, ma anche per ridare a tutte le funzioni dello Stato l’importanza che compete a una grande Nazione sicura del proprio avvenire. La ratifica è la porta da cui dobbiamo passare, se vogliamo sul serio impostare davanti al mondo tutti i nostri problemi.

Condannando con una solenne protesta morale il Trattato e mostrando insieme con la nostra stabilità interna e con la nostra ripresa in ogni campo che noi stiamo già marciando molto più in là della miope atmosfera del Trattato stesso, noi affermeremo di fronte al mondo la vitalità della Nazione italiana. Il resto verrà.

Anche giorni fa a Parigi, io mi domandai più di una volta se sapevamo abbastanza quanto ci eravamo rialzati. Ovunque sentii un nuovo rispetto per questa nostra Italia laboriosa e tenace.

Abbiamo dunque fiducia in noi, nelle nostre forze, nel nostro avvenire: una politica estera non è che lo specchio di una politica interna. Sian pure vive le nostre lotte politiche, ma purché tutti noi guardiamo avanti e non indietro. Indietro non troveremmo che recriminazioni e rancori. Se noi amiamo i nostri fratelli ai violati confini, proviamolo loro con l’unione di tutti di fronte ai supremi ideali comuni di democrazia. Sarà questa la forza maggiore dei nostri fratelli, la loro linfa di italianità.

Fra qualche decennio parrà miracoloso ciò che abbiamo già compiuto per rifare l’Italia, dopo lo sfacelo del 1943. La via è dolorosa, come oggi. Ma troppe volte i nostri avi parlarono dello Stellone. Questa volta, quando sarà chiaro a tutti che l’Italia si è risollevata, nessuno potrà dire che lo Stellone ci aiutò. Sarà nostro vanto di esserci salvati da noi colla tenacia del nostro lavoro, colla forza di un popolo come il nostro, che mai si abbatte a lungo, che sempre risorge, fedele ai più santi ideali di pace e di libertà. (Vivissimi applausi – Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Croce. Ne ha facoltà.

CROCE. Io non pensavo che la sorte mi avrebbe, negli ultimi miei anni, riserbato un così trafiggente dolore come questo che provo nel vedermi dinanzi il documento che siamo chiamati ad esaminare, e nell’essere stretto dal dovere di prendere la parola intorno ad esso. Ma il dolore affina e rende più penetrante l’intelletto che cerca nella verità la sola conciliazione dell’interno tumulto passionale. Noi italiani abbiamo perduto una guerra, e l’abbiamo perduta «tutti», anche coloro che l’hanno deprecata con ogni loro potere, anche coloro che sono stati perseguitati dal regime che l’ha dichiarata, anche coloro che sono morti per l’opposizione a questo regime, consapevoli come eravamo tutti che la guerra sciagurata, impegnando la nostra Patria, impegnava anche noi, senza eccezioni, noi che non possiamo distaccarci dal bene e dal male della nostra Patria, né dalle sue vittorie né dalle sue sconfitte. Ciò è pacifico quanto evidente.

Senonché il documento che ci viene presentato non è solo la notificazione di quanto il vincitore, nella sua discrezione o indiscrezione, chiede e prende da noi, ma un giudizio morale e giuridico sull’Italia e la pronunzia di un castigo che essa deve espiare per redimersi e innalzarsi e tornare a quella sfera superiore in cui, a quanto sembra, si trovano, coi vincitori, gli altri popoli, anche quelli del Continente nero.

E qui mi duole di dover rammentare cosa troppo ovvia, cioè che la guerra è una legge eterna del mondo, che si attua di qua e di là da ogni ordinamento giuridico, e che in essa la ragion giuridica si tira indietro lasciando libero il campo ai combattenti, dall’una e dall’altra parte intesi unicamente alla vittoria, dall’una e dall’altra parte biasimati o considerati traditori se si astengono da cosa alcuna che sia comandata come necessaria o conducente alla vittoria. Chi sottopone questa materia a criteri giuridici, o non sa quel che si dica, o lo sa troppo bene, e cela l’utile, ancorché egoistico, del proprio popolo o Stato sotto la maschera del giudice imparziale. Segno inquietante di turbamento spirituale sono ai nostri giorni (bisogna pure avere il coraggio di confessarlo) i tribunali senza alcun fondamento di legge, che il vincitore ha istituiti per giudicare, condannare e impiccare, sotto nomi di criminali di guerra, uomini politici e generali dei popoli vinti, abbandonando la diversa pratica, esente da ipocrisia, onde un tempo non si dava quartiere ai vinti o ad alcuni dei loro uomini e se ne richiedeva la consegna per metterli a morte, proseguendo e concludendo con ciò la guerra. Giulio Cesare non mandò innanzi a un tribunale ordinario o straordinario l’eroico Vercingetorige, ma, esercitando vendetta o reputando pericolosa alla potenza di Roma la vita e l’esempio di lui, poiché gli si fu nobilmente arreso, lo trascinò per le strade di Roma dietro il suo carro trionfale e indi lo fece strozzare nel carcere. Parimenti si è preso oggi il vezzo, che sarebbe disumano, se non avesse del tristemente ironico, di tentar di calpestare i popoli che hanno perduto una guerra, con l’entrare nelle loro coscienze e col sentenziare sulle loro colpe e pretendere che le riconoscano e promettano di emendarsi: che è tale pretesa che neppure Dio, il quale permette nei suoi ascosi consigli le guerre, rivendicherebbe a sé, perché egli non scruta le azioni dei popoli nell’ufficio che il destino o l’intreccio storico di volta in volta loro assegna, ma unicamente i cuori e i reni, che non hanno segreti per lui, dei singoli individui. Un’infrazione della morale qui indubbiamente accade, ma non da parte dei vinti, sì piuttosto dei vincitori, non dei giudicati, ma degli illegittimi giudici.

Noi italiani, che abbiamo nei nostri grandi scrittori una severa tradizione di pensiero giuridico e politico, non possiamo dare la nostra approvazione allo spirito che soffia in questo dettato, perché dovremmo approvare ciò che sappiamo non vero e pertinente a transitoria malsania dei tempi: il che non ci si può chiedere. Ma altrettanto dubbio suscita questo documento nell’altro suo aspetto di dettato internazionale, che dovrebbe ristabilire la collaborazione tra i popoli nell’opera della civiltà e impedire, per quanto è possibile, il rinnovarsi delle guerre.

Il tema che qui si tocca è così vasto e complesso che io non posso se non lumeggiarlo sommariamente e in rapporto al solo caso dell’Italia, e nelle particolarità di questo caso.

L’Italia dunque, dovrebbe, compiuta l’espiazione con l’accettazione di questo dettato, e così purgata e purificata, rientrare nella parità di collaborazione con gli altri popoli. Ma come si può credere che ciò sia possibile, se la prima condizione di ciò è che un popolo serbi la sua dignità e il suo legittimo orgoglio, e voi o sapienti uomini del tripartito o quadripartito internazionale, l’offendete nel fondo più geloso dell’anima sua, perché, scosso che ebbe da sé l’Italia, non appena le fu possibile, l’infesto regime tirannico che la stringeva, avete accettato e sollecitato il suo concorso nell’ultima parte della guerra contro la Germania, e poi l’avete, con pertinace volontà, esclusa dai negoziati della pace, dove si trattava dei suoi più vitali interessi, impedendole di far udire le sue ragioni e la sua voce e di suscitare a sé spontanei difensori in voi stessi o tra voi? E ciò avete fatto per avere le sorti italiane come una merce di scambio tra voi, per equilibrare le vostre discordi cupidigie o le vostre alterne prepotenze, attingendo ad un fondo comune, che era a disposizione. Così all’Italia avete ridotto a poco più che forza di polizia interna l’esercito, diviso tra voi la flotta che con voi e per voi aveva combattuto, aperto le sue frontiere vietandole di armarle a difesa, toltole popolazioni italiane contro gli impegni della cosiddetta Carta atlantica, introdotto clausole che violano la sua sovranità sulle popolazioni che le rimangono, trattatala in più cose assai più duramente che altri Stati ex nemici, che avevano tra voi interessati patroni, toltole o chiesta una rinunzia preventiva alle colonie che essa aveva acquistate col suo sangue e amministrate e portate a vita civile ed europea col suo ingegno e con dispendio delle sue tutt’altro che ricche finanze, impostole gravi riparazioni anche verso popoli che sono stati dal suo dominio grandemente avvantaggiati; e perfino le avete come ad obbrobrio, strappati pezzi di terra del suo fronte occidentale da secoli a lei congiunti e carichi di ricordi della sua storia, sotto pretesto di trovare in quel possesso la garanzia contro una possibile irruzione italiana, quella garanzia che una assai lunga e assai fortificata e assai vantata linea Maginot non seppe dare.

Non continuo nel compendiare gli innumeri danni ed onte inflitti all’Italia e consegnati in questo documento, perché sono incisi e bruciano nell’anima di tutti gli italiani: e domando se, tornando in voi stessi, da vincitori smoderati a persone ragionevoli, stimate possibile di avere acquistato con ciò un collaboratore in piena efficienza per lo sperato nuovo assetto europeo. Il proposito doveroso di questa collaborazione permane e rimarrà saldo in noi e lo eseguiremo, perché risponde al nostro convincimento e l’abbiamo pur ora comprovato col fatto: ma bisogna non rendere troppo più aspro all’uomo il già aspro suo dovere, né dimenticare che al dovere giova la compagnia che gli recano l’entusiasmo, gli spontanei affetti, l’esser libero dai pungenti ricordi di torti ricevuti, la fiducia scambievole, che presta impeto ed ali.

Noi italiani, che non possiamo accettare questo documento, perché contrario alla verità, e direi alla nostra più alta coscienza, non possiamo sotto questo secondo aspetto dei rapporti fra i popoli, accettarlo, né come italiani curanti dell’onore della loro Patria, né come europei: due sentimenti che confluiscono in uno, perché l’Italia è tra i popoli che più hanno contribuito a formare la civiltà europea e per oltre un secolo ha lottato per la libertà e l’indipendenza sua, e, ottenutala, si era per molti decenni adoperata a serbare con le sue alleanze e intese difensive la pace in Europa. E cosa affatto estranea alla costante sua tradizione è stata la parentesi fascistica, che ebbe origine dalla guerra del 1914, non da lei voluta ma da competizioni di altre potenze; la quale, tuttoché essa ne uscisse vittoriosa, nel collasso che seguì dappertutto, la sconvolse a segno da aprire la strada in lei alla imitazione dei nazionalismi e totalitarismi altrui. Libri stranieri hanno testé favoleggiato la sua storia nei secoli come una incessante aspirazione all’imperialismo, laddove l’Italia una sola volta fu imperiale, e non propriamente essa, ma l’antica Roma, che peraltro valse a creare la comunità che si chiamò poi l’Europa e, tramontata quell’egemonia, per la sua posizione geografica divenne campo di continue invasioni e usurpazioni dei vicini popoli e stati. Quei libri, dunque, non sono storia, ma deplorevole pubblicistica di guerra, vere e proprie falsificazioni. Nel 1900 un ben più sereno scrittore inglese, Bolton King, che con grande dottrina narrò la storia della nostra unità, nel ritrarre l’opera politica dei governi italiani nel tempo seguito all’unità, riconosceva nella conclusione del suo libro che, al confronto degli altri popoli d’Europa, l’Italia «possedeva un ideale umano e conduceva una politica estera comparativamente generosa».

Ma se noi non approveremo questo documento, che cosa accadrà? In quali strette ci cacceremo? Ecco il dubbio e la perplessità che può travagliare alcuno o parecchi di voi, i quali, nel giudizio di sopra esposto e ragionato del cosiddetto Trattato, so che siete tutti e del tutto concordi con me ed unanimi, ma pur considerate l’opportunità contingente di una formalistica ratifica.

Ora non dirò ciò che voi ben conoscete; che vi sono questioni che si sottraggono alla spicciola opportunità e appartengono a quella inopportunità opportuna o a quella opportunità superiore che non è del contingente ma del necessario; e necessaria e sovrastante a tutto è la tutela della dignità nazionale, retaggio affidatoci dai nostri padri, da difendere in ogni rischio e con ogni sacrificio. Ma qui posso stornare per un istante il pensiero da questa alta sfera che mi sta sempre presente e, scendendo anch’io nel campo del contingente, alla domanda su quel che sarà per accadere, risponderei, dopo avervi ben meditato, che non accadrà niente, perché in questo documento è scritto che i suoi dettami saranno messi in esecuzione anche senza l’approvazione dell’Italia: dichiarazione in cui, sotto lo stile di Brenno, affiora la consapevolezza della verità che l’Italia ha buona ragione di non approvarlo. Potrebbero bensì, quei dettami, venire peggiorati per spirito di vendetta, ma non credo che si vorrà dare al mondo di oggi, che proprio non ne ha bisogno, anche questo spettacolo di nuova cattiveria, e, del resto, peggiorarli mi par difficile, perché non si riesce a immaginarli peggiori e più duri.

Il governo italiano certamente non si opporrà all’esecuzione del dettato; se sarà necessario, coi suoi decreti o con qualche suo singolo provvedimento legislativo, la seconderà docilmente, il che non importa approvazione, considerato che anche i condannati a morte sogliono secondare docilmente nei suoi gesti il carnefice che li mette a morte. Ma approvazione, no! Non si può costringere il popolo italiano a dichiarare che è bella una cosa che esso sente come brucia, e questo con l’intento di umiliarlo e di togliergli il rispetto di se stesso, che è indispensabile ad un popolo come a un individuo, e che solo lo preserva dall’abiezione e dalla corruttela.

Del resto, se prima eravamo soli nel giudizio dato di sopra del trattamento usato all’Italia, ora spiritualmente non siamo più soli: quel giudizio si avvia a diventare un’opinio communis e ci viene incontro da molti altri popoli e perfino da quelli vincitori, e da minoranze dei loro parlamenti che, se ritegni molteplici non facessero per ora impedimento, diventerebbero maggioranze. E fin da ora ci si esorta a ratificare sollecitamento il Trattato per entrare negli areopaghi internazionali, da cui siamo esclusi e nei quali saremmo accolti a festa, se anche come scolaretti pentiti, e ci si fa lampeggiare l’incoraggiante visione che le clausole di esso più gravi e più oppressive non saranno eseguite e tutto sarà sottoposto a revisione.

Noi non dobbiamo cullarci nelle facili speranze e nelle pericolose illusioni e nelle promesse più volte trovate fittizie, ma contare anzitutto e soprattutto su noi stessi; e tuttavia possiamo confidare che molti comprenderanno la necessità del nostro rifiuto dell’approvazione, e l’interpreteranno per quello che esso è: non una ostilità contro il riassetto pacifico dell’Europa, ma, per contrario un ammonimento e un contributo a cercare questo assetto nei modi in cui soltanto può ottenersi; non una manifestazione di rancore e di odio, ma una volontà di liberare noi stessi dal tormento del rancore e dalle tentazioni dell’odio.

Signori deputati, l’atto che oggi siamo chiamati a compiere, non è una deliberazione su qualche oggetto secondario e particolare, dove l’errore può essere sempre riparato e compensato; ma ha carattere solenne, e perciò non bisogna guardarlo unicamente nella difficoltà e nella opportunità del momento, ma portarvi sopra quell’occhio storico che abbraccia la grande distesa del passato e si volge riverente e trepido all’avvenire. E non vi dirò che coloro che questi tempi chiameranno antichi, le generazioni future dell’Italia che non muore, i nipoti e pronipoti ci terranno responsabili e rimprovereranno la generazione nostra di aver lasciato vituperare e avvilire e inginocchiare la nostra comune Madre a ricevere rimessamente un iniquo castigo; non vi dirò questo, perché so che la rinunzia alla propria fama è in certi casi estremi richiesta all’uomo che vuole il bene o vuole evitare il peggio; ma vi dirò quel che è più grave, che le future generazioni potranno sentire in se stesse la durevole diminuzione che l’avvilimento, da noi consentito, ha prodotto nella tempra italiana, fiaccandola. Questo pensiero mi atterrisce, e non debbo tacervelo nel chiudere il mio discorso angoscioso. Lamentele, rinfacci, proteste, che prorompono dai petti di tutti, qui non sono sufficienti. Occorre un atto di volontà, un esplicito «no». Ricordare che, dopo che la nostra flotta, ubbidendo all’ordine del re ed al dovere di servire la Patria, si fu portata a raggiungere la flotta degli alleati e a combattere al loro fianco, in qualche loro giornale si lesse che tal cosa le loro flotte non avrebbero mai fatto. Noi siamo stati vinti, ma noi siamo pari, nel sentire e nel volere, a qualsiasi più intransigente popolo della terra. (Applausi – Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Gasparotto. Ne ha facoltà.

GASPAROTTO. Onorevoli colleghi, tutti portiamo nel cuore la pena, anzi l’angoscia, di questa discussione. Il Presidente del Consiglio, con parola sincera, com’è suo costume, ha dichiarato che l’urgenza della ratifica è questione di opportunità. Oggi, il Ministro degli esteri, parlando, con tono quasi apocalittico, ci ha messo, invece, di fronte ad un’ineluttabile stato di necessità. Anzi, ad un certo momento, abbiamo avuto l’impressione che l’onorevole Ministro degli esteri volesse, se non giustificare il Trattato, attenuarne la gravità della portata.

Ma, onorevole Sforza, perché dissimularlo? Questo Trattato – bisogna riconoscerlo – coi suoi novanta articoli glaciali, è una atroce sentenza di condanna, resa «inaudita altera parte», contro il popolo italiano; è un verdetto inesorabile che richiama, a distanza di secoli, il vae victis di gallica memoria.

Legato alla responsabilità ministeriale al tempo della prima firma del Trattato che ora porta la data di Parigi del 19 febbraio scorso, avverto la delicata posizione in cui si trova la mia persona; perciò mi propongo di parlare col maggior senso di misura, di responsabilità, di moderazione.

Tutti, o per lo meno quasi tutti, comprendiamo che oggi o domani dovremo eseguirlo questo Trattato. Dovremo ratificarlo ed eseguirlo, chi per convinzione, i più per disperazione! Ci sarà assieme a lei un altro uomo, in quest’Aula, onorevole Croce, che non potrà firmare la ratifica e convalidare l’ingiusto Trattato col suo voto: l’onorevole Orlando: l’uomo che il 18 ottobre del 1918, quando vi erano esitanze nei comandi militari circa l’opportunità e la possibilità di riprendere l’offensiva o trasferirla alla successiva primavera; il 18 ottobre, con un telegramma che non ancora è passato alla storia, imponeva al Comando Supremo italiano di passare il Piave e tre giorni dopo si recava sul posto, di Villa Giusti, a confermare l’audace Comando, e il 27 ottobre ci portava alla vittoria della Sernaia, sulla strada già aperta di Vittorio Veneto.

Ora, io comprendo che l’uomo che porta il peso di tanta gloria non possa, non debba firmare questo Trattato che distrugge tutta l’opera sua e dei nostri soldati. Ma noi non siamo prigionieri di nessuna gloria, e dobbiamo al sentimento far prevalere la ragione. Noi siamo grati alle democrazie europee ed americane che hanno salvato il mondo dal pericolo tedesco, già denunziato da un italiano oltre cento anni fa: Carlo Cattaneo. Siamo grati all’America per avere offerto all’Europa un piano seducente che ci fa sperare che i sensi di solidarietà umana che sembravano smarriti possano rivivere in noi; siamo grati alla Francia e all’Inghilterra per il trattamento fatto a Parigi ai nostri rappresentanti; e ci felicitiamo con l’onorevole Presidente del Consiglio e ci felicitiamo con l’onorevole Ministro degli esteri per i successi recentemente ottenuti.

Ma ciò non toglie, per quanto grande sia la nostra simpatia, per quanto sia profonda la mia personale ammirazione per le potenze vittoriose della guerra, che in questa occasione non ci si debba peritare dal dire una libera e franca parola.

Meritava dunque, l’Italia tanto duro trattamento? Ci si imputa, di aver dichiarato guerra; ci si imputa di avere per troppo tempo – per venti anni – tollerato il fascismo che ha condotto il Paese alla guerra; e questa è la nostra vergogna, questa è la nostra sventura; ma ci sono delle complicità europee, e non soltanto europee, alla nostra sventura. (Approvazioni). Quando il popolo italiano era incatenato ad un regime di forza, vi furono liberi Paesi che mandarono in Italia ambascerie generose di elogi al «duce» predestinato alla nostra fortuna e invece scelto dal destino alla nostra suprema rovina. (Approvazioni).

E subito dopo l’8 settembre, non richiesti, per primi noi abbiamo offerto alle Potenze Unite l’aiuto italiano colle forze ancora intatte dell’esercito che presidiavano la Sardegna. E l’offerta fu respinta. E subito dopo abbiamo dato – accettata l’offerta, questa volta – il Raggruppamento motorizzato che si è sacrificato a Cassino. Successivamente entrò in campo il Corpo di Liberazione, e in un terzo tempo abbiamo creato un piccolo esercito – piccolo, perché non ci fu consentito di farlo maggiore – un esercito di 300.000 uomini che ha accompagnato gli alleati dal Garigliano fin oltre la linea del Po, mentre i partigiani uscivano da ogni macchia e da ogni casa. E quando ci fu chiesto il concorso della nostra Marina, tutta essa si è data agli alleati, dal primo fino all’ultimo giorno. E ci fu un Ministro italiano che, sempre su richiesta degli alleati, si è portato a visitare tutti i campi di aviazione nelle Puglie, per gridare agli aviatori italiani che, per la causa che gli alleati dicevano «la causa comune», era necessario bombardare anche le città italiane dell’Istria, anche le opere militari di Pola, della nostra Pola. E con la morte nel cuore gli aviatori italiani hanno obbedito a questo invito crudele. Perché queste cose sono state dimenticate? Permettetemi di ricordarle a voi, onorevoli colleghi, dolente di non avere tanta autorità per far sì che queste cose uscissero da qui e fossero sentite da tutti, fuori d’Italia.

Dunque, venendo più da presso al tema: le soluzioni che ci si presentano sono tre: rifiuto alla ratifica; accettazione della ratifica subordinata al verificarsi delle condizioni portate dall’articolo 90 del Trattato; sospensiva su ogni deliberazione.

Onorevole Orlando: rifiuto alla ratifica! Atto generoso senza dubbio, atto che potrebbe forse segnare nella storia un ammonimento, non per noi, ma per tutti i popoli – come ha detto Benedetto Croce – ma purtroppo gesto sterile, purtroppo gesto dannoso.

Secondo punto: ratifica deliberata dalla Assemblea, in questa sede di discussione, ma subordinata al verificarsi delle condizioni di cui all’articolo 90. È già questo un felice accorgimento del Presidente del Consiglio; è un passo avanti sulla via della conciliazione fra le opposte opinioni. E poiché la politica italiana minaccia di essere dominata dai capi-partito, anziché essere fatta dall’Assemblea, mi auguro che i capi-partito trovino il modo, questa volta, di accordarsi col Governo per una soluzione che possa raccogliere la grande maggioranza dell’Assemblea, perché il Paese aspetta da essa una prova di saggezza, ma, al tempo stesso, una prova, se non di fierezza, almeno di dignità.

La sospensiva proposta ieri dall’onorevole Orlando mirava ad un fine: fortificare di fronte alla pubblica opinione del mondo la nostra protesta, e non pregiudicare, attraverso un’anticipazione di volontà, che potrebbe essere domani qualificata atto di spontanea acquiescenza al Trattato, la revisione. Questo è il sentimento dei più, perché la revisione, che sarà la nostra salvezza, in fondo, è già in atto. Le Repubbliche americane infatti hanno già alzato, a nord e a sud, la voce a nostro favore, e sarebbe imprudente pregiudicare la situazione con un atto di affrettata e volontaria ratifica. Questo, in fondo, è stato il pensiero di coloro che – me compreso – si son trovati concordi nella domanda sospensiva dell’onorevole Orlando, che suona, ripeto, protesta contro il Trattato e domanda di revisione.

E perché revisione? E, prima della revisione, perché la protesta? Perché la rivolta contro questo Trattato che anche il cauto relatore della maggioranza qualifica pressoché iniquo? Perché noi abbiamo diritto di domandare in questo momento, profittando di questa discussione, senza perdere neanche un minuto, agli alleati: Cosa intendete di fare delle nostre colonie? Come intendete che restino in avvenire fissati i nostri confini d’oriente e d’occidente che aprono le porte d’Italia allo straniero? Cosa intendete di fare delle navi che dovremmo consegnare a voi, dopo che esse hanno combattuto per voi dall’8 settembre 1943? Cosa intendete di fare, soprattutto, della frontiera orientale? Cosa intendete fare di Gorizia, che secondo voci recenti è minacciata di essere divisa per metà nel suo stesso abitato? Insomma, volete mantenere al Trattato lo spirito e la forma di una condanna a tutto il popolo italiano?

No; vi sono segni – per fortuna – che ci persuadono che ciò non sta per avvenire; che ciò non avverrà.

Già il Partito comunista francese l’anno scorso, per bocca del suo segretario generale, ha dichiarato che il Partito non si sentiva di chiamare il popolo italiano responsabile della dichiarazione di guerra del 10 giugno 1940; e il Ministro Bidault, il 18 giugno di questo stesso anno ha detto: il popolo non va confuso con gli uomini. Sante parole! La democrazia francese, del resto, non può ignorare che tutte le volte che il popolo italiano fu libero, esso fu solidale con essa per impedire conflitti fratricidi. Basti il ricordo della guerra di tariffe, imperante Crispi, nel 1887-88, che minacciava di portare l’Italia e la Francia alla guerra più ingiusta. Ebbene, la democrazia italiana, interprete del popolo italiano, si è eretta in quel momento contro il Governo del suo Paese e contro Crispi, che pure proveniva dai suoi ranghi, per mettersi al fianco della democrazia francese e scongiurare la guerra. E con questo fu salvo l’avvenire della civiltà latina!

E la democrazia francese anche non può ignorare che proprio per dar modo alla Francia di sguarnire la frontiera delle Alpi e portare le sue truppe sul Reno, il giorno dopo la dichiarazione di guerra della Germania (1° agosto), il due agosto l’Italia, che era legata da un patto di 32 anni agli imperi centrali, insorgendo contro il patto e proclamando la sua neutralità le consenti di portare le sue truppe sulla Marna.

Dunque? Noi non verremo meno alla gratitudine verso gli alleati d’America ed Europa per il grande servigio reso alla civiltà, ma ciò non toglie che verso di essi abbiamo diritto di dire una libera e decisa parola. Che cosa dunque, intendete fare delle nostre vecchie colonie? Noi vi abbiamo profuso tesori di lavoro, di sudore, di lacrime, di sangue, di denaro; abbiamo trasformato villaggi in città (Massaua, Asmara, Cheren, Adua, Adi-Ugri, Agordat); abbiamo bonificato deserti, abbiamo irrigato terre incolte, abbiamo nella sola Eritrea aperto 3300 chilometri di strade camionabili, abbiamo gettato ponti su torrenti e sbarrato acque con dighe, e soprattutto abbiamo portato la luce nel cuore semplice degli indigeni, che ancor oggi ci ricordano e ci amano.

Sì, ci amano; tanto è vero che se le loro rivendicazioni culminano in via principale nella domanda di autonomia, in via subordinata essi chiedono il protettorato italiano. Senza di noi, infatti, cosa è avvenuto nelle vecchie colonie? Disoccupazione preoccupante; industrie languenti, autarchia distrutta. L’Italia, dunque, ha portato in quel paese tesori di civiltà che non possono andare dimenticati e soprattutto non devono essere distrutti. Ora, perché si vuole interrompere l’opera nostra? Quando l’estrema sinistra, in tempi lontani, si batteva contro Crispi e contro le imprese africane, tuttavia per bocca di Giovanni Bovio diceva: Qualunque sia la sorte di queste vicende, siamo certi che il popolo italiano porterà su quelle sabbie lontane una parola di civiltà. E l’Italia l’ha portata; tanto è vero, ripeto, che gli indigeni ci vogliono ancora bene, malgrado le turpitudini compiute dal regime fascista e i massacri del maresciallo Graziani. Ma vi è di più. La perdita delle nostre colonie ci condanna a concentrare la nostra economia nel territorio nazionale e a mandare in altri Paesi, che non sono e non saranno mai nostri, i nostri lavoratori, destinati, forse a non ritornare mai più.

Una parola sulla frontiera d’occidente. Con la Francia, ho già detto, non abbiamo che ragioni di affetto. Penso che un’intesa fra noi non dovrebbe essere difficile. Le parole che in occasione della Fiera campionaria ha pronunciato a Milano un ministro francese, per la prima volta e ben prima della ratifica, venuto in Italia a rappresentare ufficialmente il suo Governo, ci danno affidamento che le nuove promesse saranno mantenute. Tuttavia, qui, in sede di ratifica di un trattato così duro, non possiamo dimenticare che i passi delle Alpi sono aperti ai francesi. Varranno i plebisciti a modificare la situazione?

Più difficile, anzi angosciosa, è la situazione nostra rispetto ai confini orientali. Con il trattato di Versaglia il confine tra l’Italia e la Jugoslavia era di 240 chilometri, costituito da una zona alta a taglio di coltello, e alle spalle di Trieste spaziavano 50 chilometri d’aria. Oggi si ritorna, onorevoli colleghi, al confine del 1866. Fin quasi alle foci del Timavo, dalla conca di Tarvisio, lungo quella di Plezzo e di Caporetto, l’Italia abbandona i suoi territori alla Jugoslavia. Tutte le montagne irrorate di sangue italiano – Merzli, Monte Nero, Sabotino, San Marco, San Gabriele – restano in mano altrui. A noi rimangono, a modesto conforto e perpetuo ricordo, il Cimitero degli Eroi della IIIa Armata a Redipuglia, e l’ossario di Oslavia colmo d’ossa italiane. La città di Gorizia ha il confine fra le mura del suo Cimitero; eppure anche essa ci è contesa, e il Trattato che non porta ancora la firma della grande Potenza che avalla le richieste jugoslave, non si sa quale sorte le riserbi.

Ma Gorizia, signori, fa parte del Friuli; la vecchia Contea ha sempre fatto parte del territorio del Friuli, del quale parla il dialetto che la poesia di Zorutti ha elevato a lingua letteraria. Gorizia nel 1914, prima della grande guerra, il 25 marzo del 1914, quando l’Austria era un possente impero militare temuto per la implacabile severità della sua Polizia, Gorizia mandava fin da allora al Consiglio Comunale la maggioranza italiana, e quando le si domandavano giuramenti di fedeltà all’imperatore, Gorizia li negava, come sempre li ha negati Trieste resistendo ad ogni minaccia. Questo dovrebbero ricordare i nostri avversari. No, preferisco chiamarli i nostri vicini. Non parlo per spirito nazionalista.

Si dice, anzi, che io abbia sangue slavo nelle vene. Ci fu uno scienziato italiano che sedeva nell’antico Parlamento che dal colore degli occhi e dall’etimologia del mio nome mi giudicava «più slavo che italiano». Può darsi. Non me ne offendo. Non ci sono razze pure in Italia. Il Friuli ha avuto, a suo tempo, una notevole immissione di sangue slavo; ma il Friuli è fra le italiane, la più italianissima Provincia, o Regione che sia. E quegli stessi che sono chiamati slavi del Natisone e di Resia che il Trattato di pace del 1866 ha incorporato all’Italia sono diventati e sono italiani, quanto i romani di Piazza Montecitorio.

A questo riguardo, l’onorevole Tessitori, recentemente, ha ricordato l’episodio del battaglione Natisone. Io ne ricorderò un altro ancora più significativo: nelle giornate di Caporetto quando il battaglione Val Fella, composto in gran parte di ex slavi, è sfilato per il suo Paese, San Leonardo, nessuno ha pensato di disertare; nessuno si è fermato davanti alla propria casa, e dalle case invece vennero fuori le donne ed i fanciulli per accompagnare i padri e i mariti fino al Tagliamento, aiutandoli a portare gli zaini, per poi ritornare al paese e alle case per riaccendere il focolare e mantenere calda la fede e la causa degli italiani. Del resto, quando nel 1920, Ministro della guerra, mi sono portato a Trieste per l’applicazione della prima leva militare, il rappresentante slavo, l’onorevole Wilfan, mi ha dichiarato lealmente che gli slavi intendevano «di sottoporsi ai comuni doveri, senza invocare privilegi». Mettere in dubbio, comunque, la italianità di Gorizia e della Venezia Giulia è fuori luogo; lo hanno riconosciuto tutte le potenze europee nel Patto di Londra, e lo ha riconosciuto, prima delle potenze dell’Intesa, prima della Francia e della Inghilterra, la stessa Russia, che il 23 ottobre 1914, ben prima che l’Italia entrasse in guerra, ha dato la libertà a tutti i prigionieri della Venezia Giulia, riconoscendo che essi facevano parte non dell’Austria, ma dell’Italia, anticipando di quattro anni gli avvenimenti di Vittorio Veneto e di cinque anni il trattato di pace.

Io sono antico ammiratore del maresciallo Tito, e gli ho espresso la mia ammirazione in più occasioni. Sono un ammiratore di questo uomo che ama disperatamente il suo Paese e ha trasformato bande partigiane in formazioni quasi regolari che hanno fronteggiato per lunghi anni la potenza germanica. Ma il maresciallo Tito deve ricordare che le sue bande ebbero il soccorso di buona parte delle divisioni italiane che l’armistizio ha sorpreso in Oriente. E il maresciallo Tito deve ricordare ancora che, se conseguì la brillante vittoria di Serajevo, quando vi entrarono i suoi soldati trovarono la città sgomberata dai tedeschi, perché gli aviatori italiani ne l’avevano già ripulita! Dunque, al maresciallo Tito domandiamo una ben maggiore comprensione della situazione giuliana. E gli domandiamo anche cosa abbia fatto degli italiani deportati nel suo Paese, contro ogni legge umana e civile.

La questione della Venezia Giulia, signori, può essere fatale all’Europa, perché l’Isonzo può diventare quello che era il Reno per la Francia e la Germania: il fiume della discordia. Sull’Isonzo si incontrano due civiltà: la civiltà latina e la civiltà slava. Io mi auguro che si incontrino e non che si scontrino. Questo è il pensiero di tutti. Ma per arrivare a fissare questo pensiero – pensiero o sogno – nella concreta realtà della vita internazionale, bisogna che non ci siano nazionalismi né da una parte né dall’altra dell’Isonzo. Perciò, noi che siamo un popolo estremamente sensibile, non possiamo che registrare con sdegno e amarezza che lungo la strada che porta a Trieste, presso le foci del Timavo, sia stata abbattuta l’erma che ricordava gli eroi della terza Armata, abbattuta da coloro che dovrebbero ricordare che gli eroi della terza Armata sono morti non solo per la nostra, ma anche per la loro libertà.

Torni dunque Trieste all’Italia in breve tempo, o vi ritorni in un tempo più o meno lungo, oggi noi non possiamo che deplorare la costituzione di uno Stato libero senza sovranità, uno Stato libero ma non sovrano, che non può nominare il proprio Governatore e nemmeno il capo della sua polizia; uno Stato senza territorio, senza retroterra, che deve vivere quasi di mendicità e ricevere tutti i rifornimenti dai popoli vicini. Che avvenire può avere una simile larva di Stato?

È stato detto in America, da Bridges, che la questione di Trieste può diventare «il focolaio pericoloso nel centro meridionale di Europa», – e fu detto anche in Senato, dal senatore Wherry, che il Trattato pone l’Italia dietro un sipario d’acciaio.

Noi intendiamo denunciare alla pubblica opinione del mondo – se la nostra voce avesse tanta forza da arrivare lontano – che la soluzione di Trieste, com’è disciplinata nel Trattato, non può essere che una soluzione provvisoria.

È vero che ci sono stati sempre antichi appetiti su Trieste, anche da parte germanica; è vero che nel 1919, quando Orlando perorava la causa italiana a Parigi, il Ministro Korosec, a Lubiana, diceva con linguaggio poetico che «la nostra solatia Gorizia e la nostra soave Trieste non possono che essere slave». È vero che egli diceva questo, ma il Capo della polizia di Trieste, il Lanech, anche diceva che scavando cento metri sotto terra, a Trieste, si finiva sempre per trovare l’irridentismo…

Per nostra fortuna il Trattato lascia immutato il confine settentrionale. Giusto ed ottimo confine di 290 chilometri costituito da enormi massicci alpini, dei quali 140 coperti di ghiacciai. Per 152 volte l’Italia ha subito l’invasione straniera; per 62 volte l’invasione venne dalla via del Brennero; le altre volte venne quasi sempre da Oriente, tanto è vero che il Friuli chiamava la conca di Adesberg la «strada dei barbari».

Con gli allogeni dell’Alto Adige andremo d’accordo. Siamo già andati d’accordo con loro fino al giorno dell’avvento del fascismo.

Un Ministro dell’interno dell’impero Austriaco, Toggemberg, diventato deputato italiano, in un incontro nel 1921 col nostro Ministro della guerra, a me non ignoto, diceva: «L’italiano è un popolo che irradia dietro a sé fervide simpatie. Voi potrete conquistare l’anima degli allogeni alla condizione che sappiate governare «con autorità e con giustizia».

Venne il fascismo, che volle governare con autorità e senza giustizia, da qui persecuzioni disinganni e conflitti.

Un breve accenno ora alle clausole militari, che non possono non preoccupare l’animo nostro.

L’esercito italiano il 25 luglio 1943 teneva in armi 4 milioni e 150 mila uomini (siamo ben lontani dai dieci milioni di baionette promesse da Mussolini a Hitler). Oggi il Trattato di pace ci autorizza a mantenere in armi 185 mila uomini più 65 mila carabinieri; in totale 250 mila uomini.

Per dovere di sincerità, dobbiamo riconoscere che il sacrificio, per quanto riguarda l’esercito, è sopportabile.

Infatti, l’esercito fascista, secondo le statistiche del 1930, era costituito di 15 mila ufficiali, 13 mila sottufficiali, 220 mila uomini di truppa, 50 mila carabinieri: un totale di 298 mila unità.

Non siamo molto lontani da questa cifra. L’esercito – checché ne dica qualche generale deluso – non è in sfacelo. Esso non fu mai tanto saldo come ora. L’esercito italiano in questo momento gode le simpatie del Paese, come lo dimostra il fatto che tutte le volte che i suoi soldati sfilano per le vie delle città, riscuotono gli applausi delle folle popolari.

L’aver conciliato il soldato col popolo italiano è stata una conquista che intendiamo mantenere. Esso esce dalla guerra con l’onore intatto. Formazioni regolari e partigiane gareggiarono in eroismi.

L’Aeronautica al 25 luglio 1943 disponeva di 1337 apparecchi, dei quali 272 da bombardamento, 582 da caccia: di 195 mila uomini al servizio degli apparecchi.

Dopo l’8 settembre essa ha compiuto 4155 azioni di guerra con 24199 ore di volo; ha compiuto 33 mila voli per trasporti e collegamenti a profitto degli alleati.

Oggi l’Aviazione è ridotta: a 200 apparecchi da caccia, a 150 da trasporto; a 25 mila uomini. Non si meritava simile trattamento, dopo le prove date.

Ma il colpo formidabile lo riceve, purtroppo, la Marina italiana; e il Paese lo sente e lo registra con profonda amarezza.

In contrasto con l’accordo intervenuto a Taranto il 23 settembre 1943 fra Cunningham e De Courten, accordo da noi lealmente rispettato e generosamente praticato, contro tutte le aspettative, un secondo accordo segreto fra gli Alleati intervenuto a Teheran nel dicembre del 1943, stabiliva la spartizione fra essi della flotta italiana.

Perciò, il Capo di Stato Maggiore della Marina italiana in un rapporto meditato e severo, che dà a pensare profondamente per l’autorità del nome e dell’ufficio, poteva scrivere che, mentre si chiedeva alla Marina di collaborare con tutte le sue unità alla causa comune, «una decisa volontà di spoliazione dominava gli Alleati». Parole tanto forti che sono esitante a sottoscrivere.

Comunque, nelle azioni di guerra compiute «per la causa comune» dopo 1’8 settembre, la Marina italiana ha perduto 71 unità da combattimento, per un totale di 135 mila tonnellate: un terzo e più del suo tonnellaggio totale; sempre per la causa alleata ha spiegato una imponente attività, trasportando 543.000 uomini e 448.000 tonnellate di materiale da guerra, compiendo 47.000 missioni da guerra, con un percorso complessivo di 5.150.000 miglia; offrendo agli alleati tutte le nostre basi navali contro la Germania, tra cui il cantiere navale di Taranto di cui gli alleati disposero ampiamente per le loro operazioni. La Marina, in base al Trattato di pace, non può più conservare che due vecchie corazzate, quattro incrociatori, quattro cacciatorpediniere, venti corvette e un certo numero di unità minori. A guerra finita, malgrado le falcidie e gli affondamenti subiti negli scontri con il nemico, la Marina italiana era rimasta con 266.000 tonnellate e con 39.000 uomini. Il Trattato di pace ci lascia soltanto 68.500 tonnellate e 25.000 uomini.

Oggi tutta la nostra costiera adriatica, già povera di porti, è lasciata alla prevalenza assoluta dei nostri vicini; con la smilitarizzazione delle Puglie, della Sardegna, della Sicilia, con il divieto di costruzione di armi moderne e con divieto del diritto di studio e con il divieto – state bene attenti – di costruzione dei sommergibili, l’arma dei paesi poveri, con il divieto di uso delle motosiluranti che rende impossibile l’addestramento dei mezzi antisommergibili, il Trattato ci mette in condizioni umilianti. Insomma, si vuol togliere all’Italia il diritto di autodifesa, riconosciuto a tutti i popoli dalla Carta di San Francisco.

E se ciò non bastasse, ci si impone l’affondamento di 31 sommergibili, e tutte le navi esuberanti a quelle 153 unità che ci sono riconosciute, tolte quelle destinate in un secondo tempo all’autoaffondamento o alla demolizione, debbono essere consegnate agli alleati.

Apro una parentesi: non può non preoccuparci il fatto che nella Marina italiana è corsa voce più volte che vi è chi intende ribellarsi a questa dura imposizione. Io, Ministro del tempo, ho creduto di intervenire ed ho richiamato quei giovani ardenti, che intendevano di sacrificarsi con un atto di fierezza alla clausola ingiuriosa, facendo loro intendere che il Governo italiano soltanto ha facoltà di scegliere il modo onde provvedere alla dignità della Marina italiana.

Il Capo di Stato Maggiore domanda su questo delicato argomento la solidarietà dell’Assemblea. L’Assemblea è certamente concorde nell’esonerare la Marina italiana da qualunque responsabilità di quello che possa accadere. Alla dignità di essa penserà il Governo italiano. L’Assemblea difende fin d’ora i nostri valorosi marinai, che si sono tanto sacrificati nella lunga guerra, dall’accusa o dal sospetto di debolezza. (Bene).

Essi hanno sempre fatto salvo l’onore delle loro navi e la maestà della tradizione militare, e hanno diritto alla riconoscenza del Paese. Rinuncio a parlare di altre clausole che offendono il diritto e la stessa dignità umana, come l’amnistia ai soldati traditori e la consegna allo straniero dei criminali di guerra.

Dunque, signori del Governo, in un momento o in un altro, domani o dopo domani, tra qualche giorno e tra qualche mese, a seconda delle circostanze e dell’andamento delle cose, purtroppo, noi finiremo con l’approvare, o meglio coll’eseguire, questo Trattato, coll’eseguire questo Trattato che ci lacera l’animo. Lo eseguiremo per non aggravare ancor più le condizioni del Paese e per non assumere la terribile responsabilità di ritardare la ricostruzione economica, e soprattutto spirituale, dell’Europa. Ma dovremo pur sempre ricordarci ed assumere l’impegno d’onore di pensare, oggi, domani e sempre, all’avvenire dei nostri fratelli giuliani che, contro ogni interesse materiale, intendono restare fedeli al genio del loro Paese. Spettacolo commovente! Se un giorno il poeta italiano del Risorgimento, Giovanni Berchet, in un canto accorato, ha esaltato i profughi di Parga, sfuggenti al dominio del turco, che cosa dovrebbe dire il poeta moderno dei profughi di Pola, che hanno abbandonato altari e sepolcri, e spento i focolari, e fatta della propria terra deserto, per rifugiarsi in grembo alla vecchia Italia, per pensare e parlare e vivere italianamente?

Se vi sono ancora in Italia uomini, donne, bambini, così fedeli alla loro Patria, da amarla di così puro e santo amore, vivaddio, l’opinione pubblica del mondo deve convincersi che questa vecchia Italia è un Paese che non può morire. E non morirà. Prima di tutto per la salvezza dei propri figli; poi per l’avvenire e la gloria di tutti i popoli liberi. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. è iscritto a parlare l’onorevole Canepa. Ne ha facoltà.

CANEPA. Onorevoli colleghi, io parlo a nome del gruppo parlamentare del Partito Socialista dei Lavoratori Italiani, il quale darà votò favorevole alla ratifica nella formula proposta dal Governo.

Abbiamo ascoltato tutti, con la riverenza che merita l’illustre pensatore, il discorso di Benedetto Croce, ma egli si è tenuto nelle sfere eteree della filosofia e della storia, mentre qui siamo sul terreno della politica che non ammette voli molto alti, ma richiede una seria espressione logica. Non si è dato un minimo pensiero dei danni che deriverebbero al Paese, e specialmente alle classi lavoratrici, da una denegata ratifica. Nemmeno una parola. Ed allora, mi sia permesso di dire che chiunque è padrone di fare l’atto sdegnoso che crede, di dire «costi quel che costi» quando paga lui, non quando manda il conto agli altri, non quando chi paga è il popolo. Non si ha il diritto di sacrificare una nazione per un atto di fierezza che può essere, se è individuale, epico, ma che quando invece è fatto a spese degli altri è meramente retorico. Il sacrificio che noi stiamo per fare, obtorto collo, non è certamente nuovo. Tutta la storia è piena di trattati ingiusti e duri che i vincitori impongono ai vinti: i vinti firmano perché non ne possono a meno, ma non per questo si disonorano, non per questo vengono meno alla propria dignità. E mi sia lecito ricordare il più glorioso degli esempi: il Trattato che a noi sta davanti è pieno di quelle ingiustizie che splendidamente l’amico Gasparotto ha illustrato, ma ingiustizie non meno minori conteneva il trattato che la Germania impose alla Francia dopo la guerra del ’70 e ’71. Il Secondo Impero di Napoleone il Piccolo era stato come una prefigurazione del fascismo, aveva portato la Francia a Sédan; ebbene, la repubblica nata da quella catastrofe ha firmato il trattato di Francoforte e poi ha atteso al proprio risorgimento economico e spirituale, con uno splendore che tutto il mondo ha ammirato appena tre anni dopo, alla splendida esposizione di Parigi del 1874! Questo è onore, questa è la dignità delle nazioni! Non negare una firma, quando vi prendono per il collo, ad un pezzo di carta; ma rilevarsi dalla bassura in cui si è cacciati da un regime iniquo e dalla prepotenza dei vincitori, rilevarsi alti e ascendere di nuovo alla gloria del benessere, della cultura, insomma, dello splendore della civiltà.

Questo ha fatto la Francia nel 1870-74, questo faremo noi, in modo certo non meno minore, conformemente alle nostre tradizioni.

È inutile, è superfluo che io dica che questo Trattato che dobbiamo ratificare contiene molte clausole dure ed inique, perché l’ha già detto il collega Gasparotto, perché tutti ne siano convinti; ma vorrei notare che, pur dovendo amaramente deplorare che esso abbia dimenticato la cobelligeranza e l’insurrezione gloriosa dei nostri partigiani, si può in parte comprendere la gravezza di certe clausole, quando si pensi al delitto che aveva compiuto la coppia criminale monarchia-fascismo: la monarchia più colpevole del fascismo (Applausi a sinistra), perché domani, 25 luglio ricorre l’anniversario del giorno in cui il re, liberatosi di Mussolini, ha lanciato l’appello al popolo, nel quale però diceva «la guerra continua».

Quelle fatali parole sono state una delle cause più gravi delle nostre disgrazie e della sventura che ci ha colpito.

Tutti i popoli vincitori commettono sempre delle ingiustizie, ed io non sono qui a sminuirne l’importanza, ma dico che è urgente uscire dall’armistizio, il quale non è altro che una guerra sospesa. L’armistizio, come dice la parola stessa, per definizione, altro non è che la condizione del popolo che si è arreso ed è in balìa, quindi, dei vincitori.

Noi oggi siamo a questo punto: non siamo padroni nemmeno di concludere un trattato di commercio senza il beneplacito e l’autorizzazione dei riveriti nostri quattro padroni.

E abbiamo le nostre piazze occupate da truppe straniere, ivi compresi i marocchini le cui gesta tutti conoscete. Questa è la condizione che si protrarrebbe con il rinvio a tempo indeterminato della nostra ratifica. Se, senza preconcetti, si esamina questa questione, non può sorgere in noi ombra di dubbio.

Io mi rendo perfettamente conto che, fino a poco tempo fa, nell’animo di molti, specie di una parte della Assemblea, vi fossero delle esitazioni, vi fossero dei dubbi. Si diceva: perché la Russia non ha ratificato? Io ho rivolto questa domanda a persone le quali, sia per il loro partito, sia per le informazioni diplomatiche di cui si presumeva potessero disporre, avrebbero dovuto essere in grado di saperne qualche cosa: tutti si stringevano nelle spalle. «Chi lo sa? – mi si rispondeva – Forse medita qualche cosa; forse si attendono delle novità che non si sa bene che cosa siano». Insomma un’aria di mistero si era determinata e è proprio della natura umana che nella notte del mistero i cavalli della fantasia galoppino.

Si è creata così ogni sorta di ipotesi. Ma ora questo stato d’animo deve essere dileguato, perché c’è un fatto a cui mi meraviglio non si dia la dedita importanza: recentemente nell’assemblea delle Nazioni Unite, Gromyko, rappresentante dell’Unione sovietica, ha dichiarato che appena l’Italia avrà ratificato, anche la Russia ratificherà (Interruzioni a destra) e non c’è motivo per dubitare della parola data dalla Nazione sovietica.

Dunque è tolto questo dubbio, dunque la questione è chiarita; ora il popolo sente che entriamo in un’epoca nuova.

L’onorevole Gasparotto ha parlato benissimo della questione delle navi. Ebbene, l’altro giorno, il Municipio di Genova ha chiesto che una di queste navi sia data ai genovesi perché essi possano rinnovare l’antica, gloriosa tradizione della nave Garaventa che raccoglieva i ragazzi dalle strade, li educava e li istruiva: da quella scuola sono in gran parte usciti i nostri valorosi marinai. E sapete a chi Genova ha rivolto questa domanda? Non già ai signori Quattro, ma all’organizzazione delle Nazioni Unite. E alla stessa Organizzazione spetta il decidere anche su tutto quanto riguarda le ex colonie.

Dico le ex colonie, perché il regime delle colonie è tramontato; al regime delle colonie succede ora il regime dei mandati fiduciari che si dànno a un popolo perché educhi alla civiltà dei popoli indigeni, e, una volta che tali popoli abbiano raggiunto un dato livello di civiltà, li lasci alla loro sorte. Ebbene, questi mandati che tanto giovano al popolo cui è affidata tale missione, come al popolo che ne è l’oggetto, questi mandati con le nostre antiche colonie prefasciste, nelle quali abbiamo speso tanti capitali e in cui tanti nostri lavoratori possono trovare lavoro, io ho la certezza che ci saranno dati, precisamente da quella organizzazione della quale ho parlato.

Ora, qui dovrei entrare a parlare del cosiddetto «piano Marshall»; dico cosiddetto, perché non esiste un piano Marshall, ma esiste semplicemente un’offerta fatta dal generale Marshall, a nome dell’America, di soccorsi, di aiuti alla comunità europea: il piano deve farselo ogni nazione europea prima, e poi deve farselo l’Europa unita.

Ma io ho la fortuna – fortuna per me e fortuna per voi – di poter forse fare a meno di parlare del «piano Marshall», perché debbo darvi la lieta notizia che stamane è giunto da Parigi il nostro collega Tremelloni, il quale si fermerà qui qualche giorno per raccogliere dati per l’esercizio del suo alto mandato tecnico; e per quanto egli debba fare sollecito ritorno a Parigi, spero che troverà il tempo per parlare qui. Egli ci dirà, a causa cognita, meglio di quello che potrebbe farlo chiunque di noi, perché ha vissuto queste settimane nel centro della creazione della nuova Europa, quali siano le condizioni nostre in questa cooperazione, in questo Comitato, e credo di poter affermare che da quanto egli dirà, ricaverete una forza, un argomento più decisivo ancora per comprendere che la ratifica è assolutamente necessaria.

Senza dubbio tutti vorremmo che questa cooperazione europea fosse di tutta quanta l’Europa geografica, dall’Atlantico agli Urali. Io non entro nella questione del perché la Russia e i suoi satelliti non abbiano aderito, perché non è questo il momento di trattare tale questione; dico soltanto che la porta è lasciata aperta, e mi auguro che ben presto la Russia e i suoi vicini vogliano associarsi a questo lavoro. Ma intanto noto che lo spirito di questa Europa occidentale, chiamiamola così, è stato espresso benissimo, prima di tutti dal nostro Ministro Sforza, e poi, domenica scorsa, tre giorni fa, dai discorsi pronunciati ai rispettivi popoli dai rappresentanti dei Governi di tre grandi Nazioni: dell’Inghilterra, della Francia e dell’Italia. Ha parlato Bevin, in un sobborgo di Londra, Ramadier, a Perpignano, sui Pirenei, De Gasperi a Trento. Ebbene, tutti hanno espresso quasi con le stesse parole lo stesso concetto: cioè hanno auspicato l’unificazione dell’Europa che si conseguirà eliminando l’antagonismo fra Mosca e Washington. Questo voto dei tre Ministri, rappresentanti dell’Europa d’oggi, è certamente il voto nostro, è certamente il voto di tutto il popolo italiano.

Sul compito della cooperazione europea, oltre che, come ho detto, della parte economica, parlerà l’onorevole Tremelloni; dico che è il principio di quella unificazione Europea, di quegli Stati Uniti d’Europa di cui si è parlato tanto e a cui finora si sono dedicati libri e giornali e congressi. Ma ora cominciano i fatti. C’è l’unione del Belgio, Olanda e Lussemburgo (Benelux) che hanno spezzato le barriere doganali che li dividevano e si sono stretti in unione. E pare su via analoga si stiano mettendo i tre Stati Scandinavi, che stanno al vertice della scala della civiltà. Da queste unioni parziali nascerà l’unione generale, gli Stati Uniti d’Europa da idealità diventeranno una realtà concreta. È questo l’unico modo di risolvere la questione germanica, la quale non può certamente continuare nello stato in cui è, perché la Germania ha diritto di essere riunita, ha diritto di essere posta in condizioni di vivere, ma nello stesso tempo il mondo ha anche diritto di vigilare e prevenire il ripetersi di aggressioni, come consigliava Arrigo Heine nel suo celebre libro De l’Allemagne. E io non vedo come si possa stare con gli occhi aperti senza unificare l’Europa, togliendo così a ciascuno nazione la possibilità di aggredire le altre. Non si deve confondere il concetto di indipendenza con quello di sovranità. Devo ricordare per gloria nostra (dicono tanto male di noi, che, se qualche volta possiamo citare qualche merito è un piacere), che con l’art. 4 del nostro Statuto «l’Italia rinuncia alla guerra come strumento di conquista e di offesa alla libertà degli altri popoli e consente, a condizione di reciprocità e di eguaglianza, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra i popoli».

Per questo lavoro, rivolto alla resurrezione d’Europa come condizione necessaria del nostro risorgimento, l’uscita dallo stato armistiziale è assolutamente necessaria; e possiamo uscirne a capo alto, come un popolo che ha riscattato i suoi errori e riprende le sue gloriose tradizioni, dal Rinascimento che ha rinnovato la vita del mondo, fino al Risorgimento.

Ma non basta l’unione Europea. Occorre ancora l’unione mondiale. Io devo qui citare un giornale che è l’espressione dei veneti giuliani, La Venezia Giulia giornale calorosissimo per la loro causa. Ebbene, il 22 giugno La Venezia Giulia domandava al Governo di fare una decisiva e fattiva politica per la difesa dell’italianità nel territorio libero di Trieste e nel resto della Venezia Giulia assegnata agli slavi, e diceva: «Noi possediamo i mezzi per applicare questa politica. Ce li conferisce oltre che il diritto naturale, la ratifica e l’applicazione del trattato aprendoci le porte dell’O.N.U.».

È dunque lo stesso organo giuliano che riconosce la necessità della ratifica, perché si possa svolgere la nostra azione a favore di quelle regioni.

Con molta sorpresa ieri quando ho detto brevi parole per combattere la tesi del rinvio e ho accennato all’O.N.U., ho sentito qualche sogghigno come se si trattasse di una creazione di poca importanza. Ho sentito anche, ironizzando, ricordare la Società delle Nazioni. Ebbene dobbiamo aver fede che dall’O.N.U. staranno lontani i fati della Società delle Nazioni, la quale è morta per vari motivi che rapidissimamente possiamo vedere.

Il primo è che ad essa non appartenevano i due più grandi e potenti stati del mondo, la Russia e gli Stati Uniti. Ora invece la Russia e gli Stati Uniti sono a capo dell’O.N.U.

Il secondo motivo è la mina posta alle sue fondamenta dal fascismo e dal nazismo. Questo si sapeva già, ma ora abbiamo la confessione del reo, nel «Diario» di Ciano che è stato pubblicato, tradotto in giornali esteri, ma che oggi vede la luce anche su un giornale italiano, il Corriere della Sera, nel testo originale. Nel «Diario» di Ciano è narrata la storia della congiura che Mussolini e Hitler avevano ordito per mandare all’aria la Società delle Nazioni.

Ora, purtroppo, nazismo e fascismo non sono morti o meglio tentano di risorgere, ma ciò non può avvenire senza che il mondo abbia perduto il senso della propria conservazione: il nazismo e il fascismo non potrebbero risorgere che per la rovina delle nazioni e della collettività umana.

Terzo motivo: l’organizzazione operaia in quel tempo, cioè dopo la guerra 1915-1918 era ancora un poco infantile, e i partiti che da essa promanavano affettavano una intransigenza assoluta. Eravamo in pochi allora, accanto al nostro insigne Maestro, Leonida Bissolati, ad insistere perché l’organizzazione operaia suffragasse la Società delle Nazioni. Ma ci si rispondeva che era una istituzione borghese.

Ora tutto questo è cambiato. Vediamo che l’organizzazione operaia si è fatta adulta e che i partiti che da essa promanano appartengono ai governi insieme ad altri partiti.

Ora anche qui c’è un altro fatto che è passato inosservato e che per me invece ha grande importanza, poiché giorni fa a Praga la Federazione sindacale mondiale stringeva intimi rapporti con l’Ufficio Internazionale del lavoro; e l’Ufficio Internazionale del Lavoro altro non è che una sezione dell’O.N.U. Le due istituzioni, l’organizzazione delle Nazioni Unite e l’Internazionale operaia, stringendosi l’una all’altra si irrobustiscono a vicenda e da questo irrobustimento dipende in gran parte la conservazione della pace.

Quarto ed ultimo motivo – ma non ultimo per ragioni d’importanza – è toccato alla Società delle Nazioni, quella che Niccolò Machiavelli diceva per i profeti disarmati.

La Società delle Nazioni era inerme, l’O.N.U. sarà ben armata.

È all’ordine del giorno della sua prossima sezione l’abolizione degli eserciti nazionali, e la creazione di un esercito unico; e in che misura ogni nazione deve contribuire, alla formazione dello Stato Maggiore, e alla forza dei varii reparti.

Risaliamo i secoli col pensiero, richiamiamo alla nostra memoria i grandi congressi che segnano le epoche della storia: nessuno mai ha avuto la minima importanza a paragone di questo che segna la più radicale delle trasformazioni del mondo. Riuscirà? Non riuscirà? Sarà rimandato? Ma il solo fatto che sia all’ordine del giorno, il solo fatto che tutte le nazioni ne discutono dimostra la grande importanza; e ditemi se è possibile che ad un avvenimento come questo, per il quale si deve ripetere il verso che due mila anni fa scriveva il nostro Virgilio: Novus ab integro saeclorum nascitur ordo, ditemi se a questo convegno noi possiamo mancare.

Ditemi se può esservi presente tutto il mondo meno l’Italia e la Spagna. Questo è impossibile.

Non entro nella disamina del Trattato, perché questo sarà fatto domani dal nostro collega onorevole Treves; ed è già stato fatto dall’onorevole Gasparotto. Ma mi limito ad osservare che per la questione del confine con la Francia c’è un ordine del giorno che abbiamo firmato quasi tutti: credo che raccolga la firma di tutti quanti.

Noi abbiamo l’ardente desiderio che si venga ad una conciliazione con la Francia; ed io ho una viva speranza che ci si arriverà, perché ricordo che contro l’amputazione dei nostri confini occidentali ha protestato Léon Blum, leader del partito socialista francese, il quale ha detto: «per pochi jugeri di neve – quelques arpents de neige – volete voi turbare i rapporti di due popoli che la storia, la natura, soprattutto i loro interessi legano?

Pertanto nella transazione auspicata dall’ordine del giorno io ho ferma fiducia.

Lo so, il confine orientale stringe il cuore, perché lo hanno segnato due numi indigeti della Patria, Dante Alighieri, nei celebri versi «…a Pola presso del Quarnaro, che Italia chiude e suoi termini bagna» e Giuseppe Mazzini nell’ultimo suo scritto sulla politica internazionale. E i confini antichi li hanno santificati il sangue di tanti nostri fratelli caduti ed il martirio di Guglielmo Oberdan. A questi nostri fratelli che sono strappati dal nostro seno dobbiamo mostrare un amore che non sia un amore platonico. Noi dobbiamo accogliere i giuliani che non credono di poter rimanere di là, coll’affetto che si mostra ad uno della famiglia che ritorna, assisterli in tutti i modi, sistemarli tra noi. E quanto a quelli che restano dall’altra parte ricorderò – Gasparotto ha parlato di Tito ed è giusto quello che ha detto – che se noi volessimo protestare perché sono tenuti in stato di soggezione, purtroppo, se rimaniamo in stato di armistizio, la nostra protesta cadrebbe nel vuoto.

Orbene, il paragrafo 4 dell’articolo 19 del Trattato dice: «Lo Stato al quale è stato ceduto il territorio assicurerà a tutte le persone che si trovano sul detto territorio, senza distinzione di razza, di sesso, di lingua, di religione, il godimento dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ivi comprese le libertà di espressione del pensiero, di stampa, di pubblicazioni, di culto, di associazione e di riunione».

Noi non potremo fare rispettare questo articolo, se non quando avremo ratificato il Trattato. Potremo dire: «Se pesa su noi per tante parti inique ci si accorda, almeno per questo barlume di luce che ci si lascia, la forza e la solidarietà internazionale a cui rivolgerci».

Concludo: quanto a Trieste, Stato Libero, esso deve avere una amministrazione, un Consiglio Comunale, un Sindaco, comunque lo chiamino, un Sopraintendente, un Commissario, qualcosa come i Prefetti delle nostre Provincie.

Chi lo nomina il Prefetto? L’O.N.U. Se dunque noi saremo fuori di questa organizzazione, non avremo voce in capitolo nemmeno per l’amministrazione di Trieste, sopra la quale invece dobbiamo influire per mantenere con essa tutti i rapporti economici e culturali e sopratutto spirituali che conservano l’anima della italianità. Questo noi lo potremo fare se vivremo la vita internazionale, che è lo spirito dei tempi nuovi, che è l’anima verso la quale i popoli che hanno paura, giustamente, della guerra aspirano.

Verso questa politica internazionale e sopranazionale noi dobbiamo rivolgere i nostri sforzi, anche perché essa sarà il bene non soltanto di tutto il mondo, ma il bene particolarmente nostro; è in essa la via della salvezza in cui ritroveremo il nostro benessere, la nostra cultura, le nostre glorie antiche. Questa è la via che i giovani devono percorrere ed essi devono essere ben superbi che un simile compito ad essi assegni la storia. (Applausi al centro e a sinistra – Congratulazioni).

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha presentato il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente,

esprime il dolore e la protesta dell’Italia, perché non è questa la pace che ha meritato; il Trattato che le è imposto ferisce, assieme ai suoi diritti, le esigenze internazionali proclamate dalla Carta Atlantica e dalle dichiarazioni degli Alleati; né tiene conto che la responsabilità della guerra è del fascismo, e che il popolo italiano è insorto ed ha combattuto a fianco delle Potenze Unite contro la Germania per il trionfo delle democrazie;

riconosce che, nonostante tutto, l’Italia deve, per lo stato di necessità in cui viene messa, ratificare il Trattato, rivendicando nel tempo stesso il suo incancellabile diritto alla revisione;

autorizza il Governo a procedere all’atto formale di ratifica quando, col deposito delle ratifiche delle quattro grandi Potenze, a termini dell’articolo 90, si verifichino le condizioni obiettive, di fronte alle quali l’Italia è costretta a tale ratifica».

L’onorevole Ruini ha facoltà di svolgere il suo ordine del giorno.

RUINI. Onorevoli colleghi, l’ordine del giorno che ho presentato una settimana fa, aveva un intento di chiarificazione e cercava di evitare il pericolo che la soluzione allora sostenuta dal Governo di una ratifica immediata, e le opposizioni che sollevava spostassero le basi ed il terreno della discussione. Quella che doveva essere unanime ed accorata protesta, non doveva diventare una angusta e rissosa questione di procedura, che si sarebbe prestata ad interpretazioni non esatte: di adesione all’uno o all’altro blocco, di appendice d’un termine di ratifica al trattato.

Ad un dato momento si verificò un incontro. Il Governo adottò la soluzione, espressa nel mio ordine del giorno – che non era soltanto mia, ma rispecchiava idee manifestate da gran parte delle correnti d’opposizione e da non pochi democristiani – di riconoscere la ratifica inevitabile, ma di rinviarne l’atto formale a quando, col deposito delle ratifiche delle Quattro Grandi Potenze, il Trattato sarebbe divenuto esecutivo, e si sarebbe verificata per l’Italia la necessità di firmare.

Sembrava che si potesse realizzare un pieno consenso; ma ecco nuovamente divampare il dibattito, che si annuncia confuso ed a linee non ferme; così che il mio ordine del giorno risponde ancor più ad una esigenza di chiarificazione e, nell’oscillare delle posizioni altrui, tiene fermo un punto di vista che esprime, con la via tramata dalla coscienza, quella del più sicuro interesse nazionale.

Ho sentito l’onorevole Sforza parlare con tanta nobiltà; ma, qualche volta, nel suo discorso, mi pareva che si attardasse la difesa della prima posizione, della ratifica immediata, che poi era stata abbandonata. D’altra parte, i partiti estremi, che avevano ottenuto quanto chiedevano, rimettono tutto nell’incertezza e, rinviando una netta orientazione, si riuniscono, nella confusione delle lingue, con coloro che non vogliono la ratifica.

Bisogna, sollevandosi al di sopra della tattica di partito, cercare non di confondere ma di distinguere tre posizioni essenziali. Prima, il grido di dolore e la protesta, che è di tutto il popolo italiano, e noi qui, avremo l’unanimità.

Seconda, il riconoscimento che non si può evitare, quando che sia, la ratifica; ed avremo anche per questo una quasi unanimità, tranne un piccolo gruppo di spiriti eletti, e di elementi nazionalisti, che non si vogliono piegare alla ratifica mai.

Terza, la determinazione del momento, in cui dovremo ratificare; quando? subito? dopo la ratifica delle Quattro Grandi potenze? Qui va localizzato il dissenso. Ma, abbandonata dal Governo la tesi della ratifica immediata, qual è la differenza, che ci può dividere?

Parlo con un sillogismo: visto che si deve fare la ratifica, visto che all’atto formale di ratifica si addiviene con una autorizzazione al Governo, ecco la conclusione: questa autorizzazione la dobbiamo dare ora o aspettare che sia data quando le quattro Potenze avranno firmato? La differenza è qui.

Dirò rapidamente le ragioni, per cui credo di potere difendere la tesi adombrata nel mio ordine del giorno.

Protesta unanime. Non dobbiamo neppure per un momento indugiare. La frase «questa non è la pace che abbiamo meritata» è frase detta dal Capo dello Stato con alta passione. Noi possiamo e dobbiamo affermare che il nostro paese, col suo contegno, in guerra, ha meritato una pace diversa di quella che le è duramente imposta. Qualche giornale estero cerca di negarci il diritto a questa protesta. Crede di aver ragione, nel senso che questa non è la pace dell’Italia, una pace che i vincitori hanno fatto con l’Italia; è un tentativo di pace che hanno fatto fra di loro.

Ricordo sempre la frase di Byrnes: «sì, vi sono cose ingiuste; ma dovevamo evitare la guerra europea e mondiale». Se vi sono ingiustizie, se l’Italia è crocefissa e martoriata, abbiamo il diritto ed il dovere della protesta. I nostri figli ci rimprovererebbero un umiliato silenzio. Né la protesta è inutile gesto; è dignità e volontà di popolo, che non accetta anche se costretta a dargli esecuzione, il trattato non si ribella, ma si riserva il futuro e la rivendicazione dei propri diritti.

Non andrò a cercare – è stato detto con molta autorità e finezza da Croce – le ragioni per cui questo Trattato offende la storia italiana. È la storia che insorge contro di esso, con i valori più alti dello spirito, con gli apporti decisivi che ha dato alla civiltà universale; con la certezza che, come ha fatto sempre dopo le più gravi catastrofi (ed in ciò è unica nel mondo) l’Italia contribuirà ancora, e sarà alla testa, nello sforzo per una nuova civiltà.

Ho accentuato, nell’ordine del giorno, due ragioni immediate contro l’ingiusto Trattato. La responsabilità della guerra è del fascismo, che – sorretto al suo sorgere da larghi strati politici ed economici negli attuali vincitori asservì con la violenza il popolo italiano; ma questo è insorto, ed ha combattuto a fianco degli alleati. Responsabilità del fascismo.

Voce. Della monarchia.

RUINI. Io parlo di un regime nel suo complesso. Che la responsabilità sia del fascismo è ammesso ora dagli alleati; e bisogna ripeterlo. Se no, sembrerebbe che la responsabilità fosse dell’Italia, e che questa dovesse giustamente pagare. Dobbiamo ripeterlo perché è la verità e perché oggi assistiamo ad una mostruosa inversione: che sono proprio coloro che furono fascisti o che hanno la nostalgia del fascismo a rimproverare ora all’Italia, al popolo che è insorto, a noi che l’abbiamo guidato, la responsabilità della dura pace che l’Italia dove subire come credito del loro regime funesto. (Approvazioni).

Un’altra ragione profonda, a cui ci appelliamo, sono le dichiarazioni che gli Alleati hanno fatto, durante la guerra, sulla pace e le esigenze della convivenza internazionale. La Carta Atlantica ed altre solenni proclamazioni non sono state applicate all’Italia e la pace fra gli alleati ha ferito, insieme agli interessi vitali d’Italia, i principî del diritto e della giustizia internazionale; né ha tenuto conto che, anche come convenienza pratica e concreta, le soluzioni meno sfavorevoli all’Italia erano quelle che più si confacevano all’interesse comune ed assicuravano una pace durevole nel mondo.

Mi sono appellato alle dichiarazioni generali, più che alle promesse largite dagli Alleati a l’Italia. Vi è tutta una storia, che si potrebbe fare, delle illusioni, o autoillusioni in cui è vissuto il popolo italiano. Non è forse esatto dire che ci hanno ingannati. Ci siamo ingannati, ma hanno lasciato che noi ci ingannassimo e si sono valsi delle nostre illusioni. Se anche, come è degli infelici ci siamo illusi sulla portata delle loro promesse, queste vi sono state, e si è formato – l’affermazione non è mia, l’ho letta in uno degli ultimi numeri di Civiltà Cattolica – un tacito patto tra noi e fra loro. È un’esigenza morale ed abbiamo il diritto di chiedere che il tacito patto sia mantenuto.

Su questi motivi si basa la protesta che io vi propongo di elevare, in nome del popolo italiano. Noi non possiamo approvare un testo di legge sulla ratifica anche non immediato, senza consegnare agli atti dell’Assemblea, ed alla memoria del popolo un grido di dolore, che vorrei risultasse da un documento migliore del mio.

Dopo la protesta, il riconoscimento che la ratifica è necessaria. Abbiamo accettato Croce; sentiremo Orlando: vi sono alcuni dinieghi, nobilissimi, che non possono però indurci ad accettare la loro tesi. Ho vissuto e vivo anch’io nell’ansia, di fronte all’ingiusto Trattato. Ma sono tranquillo dal punto di vista morale, perché quando la situazione determina uno stato di necessità al quale siamo materialmente costretti a piegare, la nostra coscienza non è menomata; e possiamo e dobbiamo tener conto di altre considerazioni, d’ordine pratico, e valerci della stessa ratifica nello sforzo di risollevarci dal nostro isolamento e dalla nostra depressione. Se l’esigenza etica è salva, resta quella che Croce chiama, nella sua filosofia, «economica» in senso lato; ed egli stesso non vorrà negare che, soltanto uscendo dal regime armistiziale ed entrando nel circolo della organizzazione internazionale, potremo iniziare la nostra difficile ascesa. La pace, anche non giusta, è per noi condizione di vita. Non basta che la pace diventi, anche senza la nostra ratifica, esecutiva. Bisogna che, pur protestando e riservandoci il diritto di chiederne una men sfavorevole applicazione ed una futura revisione, dichiariamo intanto – questa è la ratifica – di darle noi stessi, per quanto ci riguarda, esecuzione, e di collaborare subito, con situazione non dubbia, all’opera comune di salvare l’economia europea ed impedire nuove guerre nel mondo.

Sono entrato così, ormai, nel terzo punto dell’ordine del giorno, che, tutti lo sanno, era stato comunicato a molti amici ed aveva il consenso di molte correnti, tranne l’esile e nobile schiera dei negatori assoluti, «negatori di coscienza». Ratifica sì, ma non immediata. L’ordine del giorno è contro la ratifica immediata. Non ha capito, il paese, la fretta e la corsa alla ratifica, che erano nelle prime intenzioni del Governo; e non apparivano giustificate dalle pressioni di alcuni alleati che non si sa in quale misura vi furono, e le amplificò comunque il desiderio e la sollecitazione di chi le ha ricevute. Vi sono in questa materia due punti di vista estremi ed esagerati, di chi non sente che il bisogno della protesta incondizionata ed aspra, senza vedere le esigenze della collaborazione, per rimetterci in piedi, e l’altra di chi non ha un accento di protesta (non ne ho sentito uno solo nel discorso di Sforza) e prova soltanto l’anelito della aziono per la ripresa. Sono due note che bisogna far convergere ad una sintesi superiore.

Quando? quando dovremo compiere l’atto formale di ratifica? Quando, in base all’art. 90, il Trattato sarà divenuto esecutivo, con la ratifica delle quattro grandi potenze. Badiamo bene: il Trattato non sarà neppure allora perfezionato; ha ragione il collega Perassi: perché sia perfetto occorre anche la ratifica dell’Italia; ma pur senza di essa, l’art. 90 è chiaro, il Trattato avrà le correlazioni richieste (con formula eccezionale) per la sua esecutorietà. Non può sorgere dubbio giuridico al riguardo.

Fino a che il Trattato non sia esecutivo, non sussistono le condizioni obiettive dello stato di necessità, di fronte al quale la ratifica nostra non può esser negoziata. Allora soltanto saremo anche moralmente giustificati; prima di quel momento ripugnerebbe alla nostra coscienza di curvarci a ciò che non ha ancora la forza della coazione.

Ma se è così – si può opporre – perché non attendere la quarta firma, e decidere allora sulla ratifica? Non è certamente stato opportuno che impazienza del Governo ci abbia sottoposto fin da ora la questione. Sarebbe stato meglio attendere. Ma poiché noi siamo, come Assemblea, investiti del problema, non possono sfuggire i riflessi d’ordine internazionale del non voler riconoscere la necessità della ratifica.

La soluzione che vi è proposta è di affermare tale necessità; il che equivale ad una ratifica implicita, virtuale, sospesa nella sua applicazione; e nell’autorizzare il Governo a compiere l’atto formale di ratifica, quando siano avvenute le altre quattro ratifiche. Si dice – è un’altra obiezione – se intanto avvengono delle nuove cose? Potremo sempre ritirare la nostra autorizzazione, che va intesa con la clausola rebus sic stantibus. Intanto, mentre è sotto ogni altro aspetto etico-giuridico ineccepibile, la formula che vi è davanti, è politicamente la più felice, ed ha l’abilità spontanea della esattezza e della sincerità sostanziale: sodisfa gli alleati che domandano la nostra decisione per la ratifica, ed è perfettamente riguardosa per l’altra Potenza che non ha ancora ratificato.

Fin da ora, e nell’atto formale della ratifica, dobbiamo rivendicare il nostro incancellabile diritto alla revisione del Trattato. «Pensarvi sempre e non parlarne mai», fu detto in Francia dopo il settanta. Non parlarne apertamente, non opporci all’esecuzione, ma cercare che siano risolute a nostro minor svantaggio alcune questioni ancora aperte d’applicazione; e non stancarci mai di rivendicare, con la nostra stessa collaborazione leale al bene comune, in ogni occasione che si presenti opportuna, l’esigenza di una concreta e giusta revisione.

Sarà una dura fatica. Vi sono molti punti dolorosi nel nostro Trattato: mutilazioni di territorio, perdita delle colonie, riparazioni economiche, dei quali non sarà facile ottenere la revisione.

Ci hanno mutilati alle nostre frontiere; tranne al Nord. Sarebbe un assurdo se l’Austria avesse avuto brani del nostro territorio, dopo che ha combattuto fino all’ultimo contro le Potenze alleate. Eppure abbiamo temuto anche questo pericolo! Vedo qui nel Trattato un patto De Gasperi-Grüber, col quale l’Italia si impegna a dare all’Alto Adige poteri legislativi ed esecutivi autonomi. Non chiedo se il Patto era necessario; non chiedo se doveva essere inserito nel trattato. Avremmo concesso noi, spontaneamente, tutela adeguata agli allogeni tedeschi come abbiamo fatto ai francesi. Comunque il Patto c’è, e non formulato felicemente. Non entro nel fatto che le due dizioni, quella francese e quella italiana, non sono eguali fra loro (il testo autentico, in cui fu stipulato, è l’inglese, e non lo conosciamo). La frase «potere legislativo ed esecutivo autonomo» può prestarsi ad una interpretazione eccessiva, che può essere invocata contro di noi, tanto più che quest’Atto diventa un Atto internazionale.

Io vorrei – e credo l’onorevole Presidente del Consiglio non avrà difficoltà – che l’Assemblea, nell’atto di autorizzare la ratifica del Trattato, dichiari che questi poteri legislativi ed esecutivi si devono intendere in limiti analoghi a quelli che abbiamo concesso alla Sicilia, ed alle Regioni con autonomie speciali.

Non sono poteri autonomi nel senso pieno della parola, è un’autonomia regionale nei limiti della sovranità dello Stato italiano e nei limiti della costituzione e delle leggi che il nostro Stato vorrà stabilire. Se noi facciamo questa dichiarazione come interpretazione autentica, ha un certo valore e può correggere le impressioni che possono venire da una considerazione affrettata.

Mutilazioni alle frontiere occidentali. Vi è l’ordine del giorno Badini-Confalonieri; non sarà facile riavere queste terre, ma dobbiamo affermare il nostro diritto.

Mutilazioni alle frontiere orientali: le più vaste e profonde: interi lembi di territorio ci sono strappati; perdiamo la gemme giuliane che sono Italia, e si trovano ridotte in una situazione angosciosa; Trieste è ridotta ad una Danzica, ad una Shanghai, pericolosa per l’equilibrio d’Europa. Conveniva a tutti gli alleati che fosse rimasta a noi. Qualcuno degli anglosassoni si è accorto che non è opportuno portare gli slavi fino all’Isonzo. Gli slavi, fino a poco tempo fa, erano numericamente la terza parte; s’avviano ora ad essere la metà dell’Europa, continua il loro sviluppo politico ed economico; e grande è il loro peso complessivo. D’altra parte ne è balenato un accenno, quando si è parlato della possibilità di negoziare Gorizia con Trieste; che la stessa Russia forse si è accorta che non era sua convenienza far sorgere una grande città, marinara, in mano ad altre Potenze. Per verità, vien in mente il giudizio di Talleyrand per l’assassinio di duca d’Enghien: «Non è soltanto un delitto; è anche un errore».

Malgrado tutto, una volta compiuto l’errore, non sarà facile rimediare.

E così por le colonie. Avemmo il «no» secco dell’Inghilterra ad una proposta russo-francese, appoggiata dall’America, di restituirle alla nostra gestione. Le sabbie invadono le fattorie libiche; sono inutilizzati gli impianti industriali e commerciali d’Eritrea, marciscono le banane somale. Ma gli inglesi sono contro di noi; io vedo ancora levarsi un alto funzionario del Foreign Office e dire che avere le vecchie colonie significa avere la flotta, significa la guerra con gli arabi, significa una disponibilità di mezzi finanziari che noi non abbiamo. Chiara sia la nostra risposta: che non vogliamo il vecchio tipo di colonie; vogliamo un tipo nuovo che esce da quello storico, che non è più colonia, e che basa su due cose: sulla sicurezza, sulla libertà, sull’avviamento alla indipendenza dille popolazioni indigene, ed insieme sulla collaborazione con le altre potenze nello sforzo comune.

Vi sono poi le riparazioni: 230 milioni di dollari cui ci ha condannato il Trattato. Essere condannati a pagare delle riparazioni è un assurdo, se si considera ciò che abbiamo dato agli alleati come apporto economico di requisizioni, di lavoro, di amlire; e quanto abbiamo sofferto combattendo insieme contro i tedeschi; tre quarti dei danni globali per tutta la guerra caddero su noi quando eravamo cobelligeranti con le Potenze Unite.

Dovremo pagare anche più dei 230 milioni di dollari, se ci applicheranno duramente l’art. 69 che, col sequestro di tutti i beni italiani all’estero, ci obbliga ad indennizzare tutti i danni avuti dai cittadini stranieri. In Brasile, dove si discute, e non è certo, se una delle sue navi sia stata affondata da un sommergibile italiano, tutti i beni dei nostri connazionali vennero sequestrati e venduti.

Si aggiunga che, essendo obbligato a concorrere alle riparazioni con le nostre industrie, ciò potrà limitare il nostro sforzo di ricostruzione, anche pel piano Marshall.

Saranno i 230 milioni ed i diritti di riparazione al di sopra di essi, rinunziati? Hanno rinunziato le potenze più grandi, l’Inghilterra, l’America; sono in corso accordi con la Francia per il sequestro di beni italiani; non molleranno le piccole nazioni.

Dobbiamo combattere con tutte le forze le battaglie per la revisione, senza crearci nuove e facili illusioni. Alcuni giornali ripetono, con grande leggerezza: «la revisione è in atto». Dal ministro Sforza – nessuno può con maggior prodigio rappresentare il nostro paese – ho ascoltato parole così vibranti di speranza che non oso prendere di fronte; egli ci ha detto di atmosfera spirituale; di parole buone; noi italiani, ci ha detto, amiamo molto le parole che toccano il nostro cuore. Ha aggiunto che non dobbiamo fare i piccoli Machiavelli. Domando perdono alla ombra di messer Nicolò; almeno sapessimo fare da piccoli Machiavelli, e non buttarci avanti, senza nulla di concreto, ed accontentarci di solo parole! L’idealismo più alto non si può scompagnare da un sano realismo. L’onorevole Sforza ci ha detto di avere udito parole buone per Gorizia, di cui si lima e s’insidia la cerchia più stretta.

SFORZA. Ministro degli affari esteri. Furono dichiarazioni, non parole: le parole sono parole e le dichiarazioni sono dichiarazioni.

RUINI. Sono parole, onorevole Sforza; nessuno più di me le augura che diventino cose.

Nessuno più di me ha sofferto delle parole buone che abbiamo ascoltato noi della resistenza e della cobelligeranza; e ne nasceva più spesso il frutto amaro della delusione. Non dobbiamo rinsaldare ancora di nuove anella la catena umiliante delle illusioni. L’onorevole Sforza fu molto cortese con me, e disse di ammirare la schietta semplicità con la quale, il giorno che Badoglio al Grand Hôtel, rivolto al Comitato di liberazione nazionale ci offerse di entrare nel suo Governo io risposi: sì, il Comitato come governo di liberazione. Se io avessi saputo da Lei (ma Lei era ancora ottimista) come stavano realmente i nostri rapporti con gli Alleati, che non ci lanciavano muovere, e non ci davano abbastanza di ciò che domandavamo, di armarci per morire per loro, se io avessi saputo questo, non avrei risposto così. Sarebbe stato forse meglio che al governo fosse restato Badoglio o un comando alleato.

Perdonatemi, se insisto. Vorrei che ci immunizzassimo contro il ritorno amaro o desolante delle autoillusioni.

Anche per il piano Marshall; che voi volete troppo legare al Trattato, ma che certamente rientra nel quadro attivo della pace.

Che cosa è il piano Marshall? In verità, non è un piano; è un invito a fare un piano; un avvertimento alle potenze europee perché pensino a se stesse: perché coordinino i loro sforzi; l’America vedrà poi che cosa darà di aiuti per evitare il disordine e lo sfacelo, per rendere possibile la ricostruzione e la salvezza d’Europa. Questo è il piano Marshall; e non vi è neppure un impegno formale. Non si sa che cosa deciderà, a fine d’anno, il Congresso, dove non mancano riserve e dubbiezze di partiti.

Il piano Marshall è per noi una necessità, perché non potremmo avere altrimenti gli aiuti che ci sono indispensabili. Ed è, ad ogni modo, una cosa seria e formidabile.

Dobbiamo andargli incontro senza esitazione e con fervore, come hanno fatto, al primo parlarne qui, con giovanile entusiasmo, in un loro duetto, Campa e Sforza. Ma non ci giova accendere ancora una volta la fiaccola dell’illusione; e credere che sia il Bengodi destinato a risolvere tutti i nostri problemi. Dio non voglia che si passi troppo facilmente dal torrido entusiasmo alla boutade – non certamente sua, onorevole Sforza, che la montagna partorisce il topo. Andiamo incontro a questo piano con tutte le nostre forze, ma illusioni no: il Paese ne riporterebbe domani un’altra amarezza.

L’America ha perfettamente ragione di impostare così la sua possibilità d’aiuto; che non sarebbe efficace senza un coordinamento europeo di sforzi. A prescindere da ogni prospettiva politica, che vi è sempre, la ripresa economica europea – e l’America si rivolgeva anche alla Russia, è condizione di pace ed implica un piano d’insieme. E l’America ha la possibilità d’aiutarci: non ne dubiti l’onorevole Nitti; immenso Paese, ricco, così ricco che non c’è neppure il socialismo; un operaio guadagna 400 dollari al mese (centinaia di migliaia delle nostre lirette). Questo Paese ha una bilancia commerciale che quest’anno presenta, dagli ultimi dati, un supero di otto miliardi di dollari. Ne godremo due col turismo, ha detto qualche americano; ed anche il turismo ci aiuterà; resteranno ad ogni modo i sei miliardi, che sono una piccola parte della i sua produzione annua di 150–200 miliardi di dollari all’anno, e potrebbero bastare alle esigenze dell’Europa.

Né la convenienza degli Stati Uniti di America è soltanto indiretta, seppure come tale grandissima, nell’assicurare l’ordine e la quiete nel mondo. È anche diretta, economica. Se l’America vuole continuare nel suo enorme apparato produttivo, nella sua gigantesca struttura industriale, deve aiutare gli altri Paesi e continuare come faceva con la legge «affitti e prestiti». Che questo tenga lontano da lei per sempre la crisi di sovraproduzione, io non so; che possa continuare sempre ad importare tanto meno di ciò che esposto, io non so, ma la situazione attuale è questa, ed esiste una larga possibilità di aiuti.

Hoover ha detto che l’America non vuole più darci soltanto carbone, petrolio, grano, noli; vuole esportare piuttosto prodotti finiti. Si è d’altra parte affermato che alcuni rami d’industria hanno già comandi per 10 anni, e si dovranno equilibrare le domande interna ed esterna. Ma presupposto di studio, pel piano Marshall, è l’esatta situazione della economia americana; e l’Europa deve rendersene conto per le sue domande; ma questo è certo, onorevole Nitti, che non ne manca la possibilità.

Dobbiamo prepararci per l’elaborazione del piano Marshall. Anzi: avremmo dovuto essere già preparati; e non lo siamo. Gli organi di ricerca che io avevo formati al Ministero della Ricostruzione (o di quello pei piani avevo chiamato alla presidenza l’attuale ministro Del Vecchio) non vissero più, quando lasciai il Ministero, per dissensi sul piano finanziario-economico. Si sono, per eccezione, proseguiti gli studi della Commissione Casini, che avevo costituito per la riconversione; ma i suoi risultati non vennero ancora pubblicati. Né lo sono i dati che si dovevano raccogliere, secondo le disposizioni di Campilli e Vanoni, per la nostra documentazione a Bretton Woods.

È questione di coscienza e di responsabilità; ed io non esito a dire che l’Ufficio economico agli Esteri – il quale ha alla testa un ex diplomatico, che non si intende di cose economiche e ad una conferenza stampa ha detto cose molto inesatte – deve essere riorganizzato, non solo per la stipulazione di trattati di commercio (ove più gioverebbe la competenza del Ministero del commercio estero), ma per la raccolta e l’uso tempestivo di elementi sulla nostra economia, di cui non si può fare a meno nei rapporti internazionali.

Manca tale preparazione; e dobbiamo sperare che non si ripeta la scampagnata e l’improvvisazione che si ebbe un’altra volta a Parigi. L’esempio ci ammonisce; sono andati in meno, e sono capaci; ma la preparazione non era purtroppo già pronta.

In Italia manca il piano; c’è dappertutto: il piano Truman in America, il piano Morrison in Inghilterra, il piano Monnet in Francia, il piano De Groote in Belgio. Noi non ne abbiamo nessuno. I piani sono paziente opera collettiva; da noi si parla piuttosto dei pianificatori, come di rabdomanti che hanno la bacchetta magica; e ci fermiamo alle formule esterne. Il piano manca; e se ne vede ora l’assoluta necessità.

Se occorre fare, del piano Marshall, un piano dei piani europeo, bisogna che vi sia prima, per noi, un piano italiano. Dobbiamo averlo per le nostre richieste, di fronte a quelle degli altri. Dobbiamo averlo, perché se è necessario un coordinamento europeo, non può andare oltre i limiti delle inderogabili esigenze della nostra economia nazionale; e se va seppellita per sempre la funesta chimera dall’autarchia, non si può distruggere una determinazione autonoma di movimento economico, che è condizione di successo e di vita. Il coordinamento richiede obblighi reciproci, ma anche, in ciascun paese, una certa libertà di azione.

Il piano dobbiamo averlo e manovrarlo noi italiani: l’America tende a dare i suoi mutui alle singole imprese, ed industrie, sia pure con la garanzia dello Stato. Ora è evidente che allo Stato spetta l’intervento ed il controllo, per la miglior distribuzione di sforzi nell’interesse della Nazione. Il piano italiano è, anche sotto tale aspetto, necessario.

Ed è necessaria una nostra impostazione nel piano europeo che risponda ai nostri interessi. Nel questionario o memorandum alle potenze aderenti, di cui abbiamo avuto fugace notizia dalla stampa d’oggi, sembra che si chiedano dapprima dati sui danni di guerra. Possiamo e dobbiamo dimostrare che più di altri ne ha sofferto la nostra Italia, percorsa tutta, nella sua lunghezza, dalla guerra devastatrice. Ma la sostanza della richiesta sembra impostarsi così: far l’inventario delle risorse di ogni paese, indicare la possibilità di sviluppo di queste risorse, ricavare – come termine di mediazione fra i. due ordini di date – il fabbisogno del paese per lo sviluppo indicato. Se è così – od appare probabile – bisogna guardarsi perché l’Italia non parta handicappata ed in condizioni di inferiorità di fronte alle altre nazioni; e seduta al tavolo di Parigi accanto a potenze più forti, avvantaggiate dalla loro condizione di vincitrici, non abbia meno di ciò che avrebbe avuto, presentandosi sola, agli Stati Uniti. Noi non abbiamo le risorse che hanno altri Paesi; noi ci troviamo in uno stato di sofferenza e disagio maggiore degli altri paesi. Non deve far velo lo spettacolo balordo e dannoso di godimento e di spreco, a cui assistiamo da parte di pochi privilegiati; leggevo anche stamane in giornali stranieri: «Lusso e miseria in Italia». In realtà da noi, il tenor di vita e la situazione alimentare sono inferiori che altrove. Se siamo considerati nazione vinta, si tenga conto almeno della posizione peggiore, in cui siamo gettati.

Vi dirò soltanto alcune cifre:

Inflazione. Tranne i paesi in dissolvimento monetario (come l’Ungheria e la Grecia) la circolazione non supera negli Stati extra europei e negli altri europei di quattro volte quella del preguerra; in Gran Bretagna non la supera di due volte; in Francia, pur così provata, di sei volte. In Italia (sono dati del 1946) l’aumento è di 25 volte!

Costo della vita. Prendendo come riferimento il 1939 ed il 1946, nei paesi extra europei ed anche europei, nel Benelux e nei paesi Scandinavi, non si è raddoppiato il costo della vita. In Inghilterra è aumentato soltanto di un terzo. In Francia di 8 volte. In Italia di 30, ed ora siamo a 40 volte, in confronto al preguerra.

Sono cifre di comparabilità discutibile, ma servono come grande indicazione; e vorrei che fossero tenute presenti.

Ma sì, noi aderiamo con tutte le nostre forze, ma chiediamo che si tenga conto delle nostre necessità. Il generale Marshall, quando parlò per la prima volta del suo piano, disse che voleva evitare il bisogno ed il disordine, e dare la sicurezza all’Europa. Noi italiani che, malgrado le nostre beghe, non abbiamo conosciuto gli scioperi e le agitazioni di altri Paesi, ed abbiamo dato prova di disciplina, ci troviamo in condizioni peggiori di altri paesi, per alimentazione e per tenore di vita, e siamo pertanto più esposti, obiettivamente, ai pericoli che il piano intende evitare.

Noi non vogliamo togliere nulla a nessuno, ma far presenti le nostre necessità particolari. Non parlo dei paesi scandinavi, non parlo del Benelux, ove il franco belga fa premio sulla sterlina, ed è quasi alla pari del dollaro; e quel governo, ha nel suo piano, dichiarato di poter far fronte ai suoi bisogni con le sue risorse.

Siamo legati all’Inghilterra ed alla Francia, con cui siamo destinati a fare molto cammino, specialmente sul terreno economico. Conosciamo le loro difficoltà. Grava sull’Inghilterra l’ombra dell’impero che sembra dissolverà, della funzione di clearing, mondiale che ha perduta, della necessità in cui si trova di importare più della metà del suo pane e delle materie prime, per le sue industrie. Nonostante le enormi difficoltà, l’Inghilterra, con sforzo austero verso cui deve andare l’ammirazione di tutti, ha fatto sì che il bilancio dello Stato è in pareggio; che le esportazioni hanno quasi raddoppiato i valori che avevano nel 1938; che la paurosa data del 15 luglio in cui la sterlina doveva parificarsi al dollaro (ne parlò qui con apprensione Corbino) è passata, e le cose sono andato a posto. Morrison ha ragione di elevare l’inno alla vita, contro il disfattismo. La vecchia Inghilterra vuol rinnovare i suoi macchinari, ed impianti perché il fatto fondamentale economicamente, oggi, è che l’America si è industrializzata in una forma modernissima, di fronte alle altre potenze, che si trovano arretrate. Complessivamente, dagli Stati Uniti e dal Canada, l’Inghilterra ha avuto crediti per oltre 5 miliardi di dollari.

La Francia è in condizioni non buone, come noi, per la finanza dello Stato, per l’inflazione, per i prezzi, per il disavanzo nella bilancia dei pagamenti internazionali.

Ma non dobbiamo dimenticare che la buona terra di Francia bastava a sfamare la sua popolazione ed anche ora, nel piano Monnet, è previsto che, ridotta del 25 per cento la superficie a grano, basterà al suo pane. La Francia era la terza potenza al mondo per il ferro, la quinta per il carbone. Grandi sono le sue risorse. Ed ora vuole anche essa rinnovare i suoi impianti, ed ha avuto prestiti per quasi tre miliardi di dollari.

Ne ha avuto per 300 milioni il Belgio; da 150 a 200 ciascuna l’Olanda, la Danimarca, la Norvegia; più di 100 ciascuna la Cecoslovacchia, la Polonia, la piccola Grecia. L’Italia ne ha avuti 180, come prestiti, ed è vissuta dei 550 milioni di elargizione dell’U.N.R.R.A., che pure non hanno raggiunto, per abitante, l’aiuto dato alla Grecia. L’Italia ora chiede anch’essa prestiti da restituire. Ed ha diritto ad una perequazione.

I suoi bisogni sono grandi: ha pagato la guerra, sostanzialmente, con una riduzione del tenore di vita più duro che altrove. Si è calcolato che soltanto nel 1950, con sforzi eroici, producendo di più, esportando di più riusciremo a raggiungere un tenore di vita corrispondente a quello del 1938. L’Italia ha un suolo in gran parte arido e montuoso, che non basta al suo cibo; ha un sottosuolo povero; e non possiede grandi risorse d’energia. Durante il periodo fascista, quando per vivere dovevo scrivere articoli anonimi in riviste tecniche, ho dimostrato, con raffronti internazionali che il primato e la vasta disponibilità dell’Italia per la «conquista della forza» è una leggenda. Non parliamo poi del Mezzogiorno: al sud del Sangro e del Liri la portata di tutti i corsi d’acqua è soltanto di 50 metri cubi al secondo; cioè non superiore alla portata di magra del Ticino.

Fra i paesi del mondo l’Italia era, secondo Colin Clark, al venticinquesimo posto per il reddito. Secondo il Fischer, non potrebbe mantenere più di 100 abitanti per chilometro quadrato; e ne ha più di 150. L’Italia rappresenta soltanto il due e mezzo dell’industria del mondo; mentre come popolazione, di fronte alle altre nazioni industrializzate, rappresenta il cinque per cento. Dati raccolti (che hanno stupito dapprima gli stessi dirigenti della nostra Statistica) dicono che il numero degli occupati nell’agricoltura è rimasto a 8,8 milioni (lo sforzo dei miglioramenti è compensato dallo sviluppo dei mezzi tecnici); gli addetti alle industrie ed ai trasporti sono andati da 4,6 a 6,2 milioni; al commercio ed alle banche da 0,7 ad 1,6; a professioni varie da 1,4 ad 1,7. Ciò che impressiona è che la cosiddetta popolazione improduttiva è salita da 7,6 a 15,4 milioni. È gente che in parte attende anch’essa, ad esempio, ad attività domestiche, ma la cifra, raffrontata ad altri paesi, ha un innegabile significato: che in Italia è più difficile trovar da lavorare; che vi è da noi, in questo senso una disoccupazione cronica, endemica; più profonda che quella dei disoccupati temporanei, iscritti agli uffici del lavoro.

La popolazione, così numerosa, è il nostro tormento, ma è anche la nostra forza. Un’altra volta vi dissi che di fronte al preguerra siamo aumentati di un milione e mezzo di vite. Siamo invece aumentati di 2 milioni e, se teniamo conto di un milione della Venezia Giulia abbiamo un aumento di 3 milioni. Soltanto gli Stati Uniti che sono saliti da 130 a 140 milioni, ci superano in percentuale d’incremento. Sono aumentati i paesi extra europei. In Europa – tranne la Scandinavia e l’Olanda, in lieve aumento –, tutti i paesi sono diminuiti. L’Inghilterra ha perduto più di mezzo milione; la Francia un milione e mezzo di vite. L’Italia ormai – infranta la Germania – è la nazione più popolosa del continente europeo, tranne la Russia, che è un continente.

Questa enorme «umanità» nostra, italiana, ci crea dei bisogni; che devono essere prospettati per il piano Marshall anche sotto il riflesso internazionale. Ascoltate: «In Francia, come nell’America Latina e nella stessa Inghilterra, nessun processo di ricostruzione e di sviluppo industriale e agricolo può essere realizzato senza la mano d’opera italiana, che è la chiave di tutti i problemi». Questo è scritto in un piano economico francese.

Se altri paesi hanno bisogno della nostra mano d’opera, dobbiamo fare in modo che i nostri emigranti siano accolti bene e senza sospetto; non dobbiamo proseguire nella stolta politica dei Fasci italiani all’estero, ma farci rispettare; e studiare piani di emigrazione, una buona volta organici e completi.

L’emigrazione comunque non può bastare. È necessaria anch’essa (Interruzione del deputato Mazzoni). Caro Mazzoni, sto per dire ciò che desidera; che è preferibile lavorare in casa nostra. Anche dal punto di vista internazionale – dobbiamo dimostrarlo a Parigi – costa di più trasportare un italiano nel Belgio od in Francia (bisogna creargli alloggi e condizioni di vita, bisogna pagarlo tre volte i nostri salari); costa di più che far lavorare i nostri operai in Italia.

Abbiamo in Italia, ogni anno, 400 mila unità lavorative in più; e dobbiamo farle lavorare. Manderemo fuori con l’emigrazione, soltanto quelli che non troveranno occupazione nella agricoltura (non saranno molti, e nell’industria, dove esistono possibilità, abbiamo, oltre alle alimentari ed alle trasformazioni dei nostri prodotti agricoli, rami d’industria come le tessili, le chimiche, le stesse meccaniche (ma non devono più vivere sulle commesse di Stato) che possono assorbire nuova mano d’opera.

Ci sia dato il modo di lavorare, con materie grezze o semi lavorati stranieri; il nostro destino è di esportare mano d’opera, anche quando esportiamo prodotti finiti.

Sta beninteso – è caposaldo del piano Marshall – che i rapporti di scambio non saranno con la sola America, né soltanto fra i paesi aderenti al piano. Dovranno estendersi ai paesi che non vi hanno aderito; speriamo che aderiscano in seguito. Intanto la sfera degli interscambi sarà, con criteri economici la più larga e la più conveniente. Noi italiani non possiamo far a meno di esportare e di importare con paesi, che hanno caratteri di complementarità con la nostra economia. Così coi paesi balcanici e con la stessa Russia, che ci può dare materie prime perché lavoriamo le sue navi. Così con i paesi mediterranei e del Medio Oriente; dove – pur riprendendo la gestione fiduciaria delle nostre ex colonie – possiamo avere contatti con le popolazioni arabe, più amichevoli che non abbiano con le grandi potenze europee; (a proposito perché non si è dato corso agli accordi commerciali con l’Egitto, che ci potevano compensare degli altri, meno favorevoli per il sequestro dei nostri beni?). Vi sono poi i rapporti col Sud America… Non insisto più, ma vorrei che questo largo panorama non sfuggisse ai nostri rappresentanti a Parigi, perché non ne mancasse il riflesso, sia pure indiretto nel piano Marshall. Soltanto con uno sforzo di ampio respiro possiamo – tale sia il nostro piano interno – realizzare la nostra ricostruzione; purché ci stringiamo la cintola ancora per qualche anno; e purché riusciamo ad esportare il 130 per cento più di prima; ad accrescere la nostra marina mercantile del 50 per cento. Meta di aspra conquista, e da affrontare senza illusioni….

Ho voluto assumermi il compito di vaccinare contro le autoillusioni; ed esporvi nuove cifre, che ho messo insieme con fatica, ed hanno soltanto un valore di indicazione e di interesse per illuminare la via. Il piano Marshall, con le sue difficoltà, è luce di speranza di organizzazione internazionale…

Lasciate ora che, da un dovere più ingrato, mi sollevi anch’io all’inno fervente di Canepa. L’Italia ha dato il contributo maggiore al concetto di nazione, con i suoi pensatori, sia dal punto di vista ideale, come il Mazzini, sia da quello strettamente giuridico, come il Mancini. Uno scandinavo, premio Nobel, il Lange dice: «Quando si parla di nazione, si pensa in italiano». L’idea di nazione è la forma più alta finora raggiunta dallo spirito: noi siamo nati e viviamo nel cerchio di quell’idea, disposti a sacrificarle la vita ed ogni altra cosa le nostre convinzioni individuali, la stessa giustizia supernazionale. L’idea di nazione non può è non deve morire; deve anzi potenziarsi e vivificarsi nel quadro dell’idea internazionale. Anche qui noi italiani siamo all’avanguardia. Nell’altro dopoguerra Coodenhove Kalergi aveva scritto nella sala di Paneuropa: «L’Europa di Mazzini ha vinto sull’Europa di Metternich». Purtroppo non è stato così.

Sembrò che vincesse l’Italia di Hitler; e purtroppo noi oggi viviamo, come per una vendetta beffarda di Hitler, fra due «spazi vitali» che stanno di fronte, e purtroppo lo stesso piano Marshall parrebbe avere dato occasione ad un irrigidimento e ad una frattura. Vi è un blocco che ormai gravita sopra la Russia e potrà non chiedere mai un soldo all’America, vivendo appunto col sistema russo di ridurre i propri consumi e provvedere ad impianti e piani nuovi. Contro questa lacerazione noi dobbiamo reagire con tutte le nostre forze e potremo riuscirci con lo stesso sviluppo del piano Marshall, esercitando intanto una funzione di indipendenza e di mediazione tra i due blocchi. Noi apparteniamo alle potenze del piano Marshall; apparteniamo all’occidente, e del resto anche l’onorevole Togliatti nel suo discorso a Venezia disse che l’Italia deve partecipare al piano Marshall, purché questo non soffochi l’autonomia economica delle nazioni partecipi, e non sia un’arma contro la Russia, Il piano Marshall non deve prendere posizione contro il più ampio complesso internazionale, nel quale potrà sboccare domani. Chi depreca la guerra, desidera con tutto il cuore che, non in antitesi, ma come anello fra i due «spazi» che sono ciascuno (anche la Russia) un continente, la vecchia Europa che fu definita un promontorio dell’Asia per la sua posizione geografica, la piccola Europa che ha creato e dato la civiltà bianca al mondo, l’industre Europa che nel secolo scorso era diventata «l’officina del mondo», l’impoverita Europa che durante questa guerra ha perduto il suo primato economico ed ha visto la rivolta delle genti di colore nonostante tutto, l’Europa possa – ne sia il piano Marshall l’inizio – riprendere una sua funzione di equilibrio, e riaffermare ancora il suo compito e la sua forza di civiltà. In questa rinascenza l’Italia sarà al suo posto, accanto all’Inghilterra, e più ancora alla Francia, ed insieme alle altre nazioni europee.

Da questa Assemblea, nell’atto stesso che ferita come nazione, l’Italia rivendica i suoi diritti, si alzi un’invocazione appassionata all’idea ed all’organizzazione dell’Internazionale, che è la non spenta fede dei democratici alimentata da Mazzini; è lo spirito profondo della religione cattolica, che vuol dire «universale»; è il pensiero del manifesto dei comunisti, che non rinnegano più l’idea di patria. In nome di queste forze vive, sollevandosi sopra i partiti, l’Assemblea – dovrebbe essere l’ultima parte del mio ordine del giorno, che riecheggia un articolo della nostra Costituzione – l’Assemblea afferma la volontà dell’Italia di partecipare allo sforzo comune per la salvezza economica dell’Europa e per la creazione di un ordine internazionale che, anche mediante limitazioni reciproche di sovranità fra gli Stati, assicuri la pace e la giustizia fra i popoli (Applausi).

PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato a domani.

Interpellanza e interrogazioni con richiesta di urgenza.

PRESIDENTE. Comunico che gli onorevoli Lucifero. Condorelli e Colonna hanno presentato la seguente interpellanza con richiesta di svolgimento urgente:

«Al Governo, per conoscere se, considerando la necessità di rientrare nella normalità e di dare un effettivo contributo alla pacificazione nazionale, non ritenga di procedere alla liquidazione delle leggi, delle procedure e degli organi straordinari, restituendo ai giudici precostituiti ed alle leggi ordinarie dello Stato l’autorità ed il prestigio indispensabili ad un reale sviluppo democratico della vita del Paese.

«Lucifero, Condorelli, Colonna».

Chiedo al Governo quando intende rispondere.

DE GASPERI. Presidente del Consiglio dei Ministri. Farò sapere quando questa interpellanza potrà essere svolta, dopo essermi concertato con gli altri Ministri.

PRESIDENTE. Sono state inoltre presentate le seguenti interrogazioni con richiesta di risposta urgente:

«Al Ministro dell’interno, sul contenuto della sua circolare telegrafica dell’8 luglio 1947, con la quale si dispone di sottoporre ad autorizzazioni e controlli della polizia le riunioni dei lavoratori all’interno delle aziende in cui lavorano, anche quando dette riunioni sono indette dalle Commissioni interne; ciò che costituisce un attentato gravissimo alle libertà democratiche e sindacali.

«Di Vittorio, Bitossi, Noce Teresa, Negro, Flecchia, Massini».

«Al Ministro dell’interno, per conoscere i motivi che hanno indotto il direttore generale della pubblica sicurezza ad emanare la circolare 40617/4412/1962 dell’8 luglio 1947, che vieta le riunioni all’interno delle fabbriche.

«Questo provvedimento annulla di fatto cinquanta anni di conquiste sindacali, realizzate dai lavoratori italiani di ogni tendenza politica col proprio sacrificio e spesso col proprio sangue, e pone il nostro Paese alla retroguardia di tutte le Nazioni democratiche del mondo.

«L’interrogante chiede, perciò, che la circolare venga immediatamente revocata.

«Lizzadri».

Chiedo al Governo quando intende rispondere.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Informerò il Ministro dell’interno perché faccia sapere quando intende rispondere a queste interrogazioni.

PRESIDENTE. Comunico il testo delle seguenti altre interrogazioni urgenti:

«Al Ministro di grazia e giustizia, per sapere se risponde a verità la notizia data dal giornale l’Umanità sui fatti delle carceri di Poggioreale; e quali provvedimenti d’ordine generale intenda prendere per difendere d cittadino dagli arbitrii della polizia.

«Calosso».

«Al Ministro di grazia e giustizia, perché dia chiari riferimenti su quanto la stampa vien pubblicando circa sevizie e maltrattamenti che sarebbero stati inflitti a detenuti nel carcere di Poggioreale di Napoli, e per sapere se, in vista di siffatti avvenimenti, non creda di impartire istruzioni intese a rafforzare il potere di controllo sulle carceri da parte dell’autorità giudiziaria e di organi ausiliari, e di ripristinare il diritto di accesso dei membri del Parlamento negli Istituti di pena.

«Salerno, Leone Giovanni, Riccio Stefano».

Chiedo al Governo quando intende rispondere.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Ricordo di avere già dichiarato, in occasione di analoga interrogazione dell’onorevole Pertini, che risponderò allorché mi saranno pervenuti i risultati di un’inchiesta che ho ordinato sui fatti di cui a queste interrogazioni.

PRESIDENTE. L’onorevole Cimenti ha presentato le seguenti interrogazioni urgenti:

«Al Ministro della difesa, per conoscere: 1°) quali provvedimenti siano stati adottati a seguito di quanto il Ministero del tesoro disponeva, con suo telegramma 6 giugno 1947, n. 1718) – diretto al Ministero della difesa (Esercito) – per il rapido e meno oneroso completamento della bonifica dei campi minati, e ciò conforme anche a quanto a suo tempo suggerito dagli organi tecnici competenti dell’Ispettorato bonifica campi minati (B.C.M.); 2°) se non sia il caso, quindi, di accogliere le richieste del Ministero del tesoro, dirette a fare eseguire tutti i lavori di bonifica campi minati attraverso il sistema degli appalti, adottando il criterio della formazione di piccoli lotti (5 o 6 milioni), da affidarsi a cooperative che assumano la totalità degli operai sminatori e diano garanzia di risolvere rapidamente questo delicato, quanto urgente problema; 3°) perché, dopo la precisazione data alla stampa dal Generale ispettore del B.C.M., riguardo alle irregolarità della zona di Genova (caso Ricci), che escludono in modo assoluto qualsiasi corresponsabilità da parte delle cooperative, non sia stata sentita la necessità di smentire le affermazioni contenute in una lettera diretta alla stampa dal Segretario del Sindacato nazionale sminatori, dipendente dall’Ispettorato B.C.M., con la quale si ledeva, senza giustificato motivo, il buon nome della cooperazione e si affermava che i lavori di sminamento sarebbero stati proseguiti dal Gruppo di sminatori alle dirette dipendenze dell’Ispettorato B.C.M., con l’esclusione quindi delle cooperative.

«Cimenti».

«Al Ministro del tesoro, per sapere:

1°) perché in questi giorni ha disposto il collocamento a riposo di pochi funzionari di gruppo A, di grado elevato, nati nel primo semestre dell’anno 1881, i quali soltanto da poco hanno raggiunto i limiti di legge; mentre funzionari molto più anziani, anche ultrasettantenni, continuano il loro lodevole servizio presso tutte le Amministrazioni statali, compresa quella delle finanze, cui il Tesoro fino a poco tempo fa è stato unito;

2°) perché sono stati esclusi da siffatta grave misura, che mette i colpiti in pietosissime condizioni economiche, date le attuali gravi contingenze della vita, i funzionari della Ragioneria generale dello Stato e degli Uffici provinciali del Tesoro, tutti dipendenti dalla stessa Amministrazione; il che giustificherebbe il sospetto di un provvedimento non obiettivo, ma inteso solamente a favorire interessi particolari;

3°) perché non ha ritenuto di uniformarsi alla circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri n. 49941/43320/1 del 23 ottobre 1945, tuttora in vigore, la quale faceva obbligo alle Amministrazioni di procedere gradualmente ai collocamenti a riposo, solo dopo che, espletati i concorsi, fosse stato possibile di procedere alle conseguenti nomine in relazione ai posti vacanti.

«L’interrogante fa osservare che nei riguardi della carriera amministrativa del Tesoro risulta che sono scoperti oltre 160 posti, mentre l’Amministrazione di recente ha bandito un concorso per coprire soltanto una parte di essi; e la definizione di tale concorso è da ritenersi non prossima.

«Cimenti».

Chiedo al Governo quando intende rispondere a queste interrogazioni.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Interesserò i Ministri competenti, affinché facciano sapere quando intendono rispondere.

Sui lavori dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Avverto l’Assemblea che la seduta di domani, con inizio alle ore 10, sarà dedicata al seguito della discussione sul disegno di legge relativo all’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio.

Mi permetto dire alcune cose a questo proposito. Salvo alcune decisioni, di carattere non dirò secondario, ma che sono state lasciate indietro per alcune precisazioni, ci si trova adesso di fronte ad un Titolo nuovo, quello relativo agli enti collettivi.

Non voglio porre la questione se sia possibile, dal punto di vista della procedura parlamentare e della pratica legislativa, inserire ex novo un Titolo nel progetto di legge presentato e discusso dalla Commissione, Titolo che tratta una materia, la quale, pur collegandosi a quella del progetto di legge in esame, potrebbe essere considerata a sé stante, come materia d’un progetto di legge del tutto indipendente.

Anche accettando l’Assemblea un procedimento di carattere così anormale, quanto meno occorre che la cosa di svolga secondo un certo criterio; ed il criterio è questo: che tutto ciò potrà avvenire, dopo che l’Assemblea avrà espresso il suo parere. Il progetto è stato esaminato dalla Commissione. Ora la Commissione è una parte molto importante dell’Assemblea, ma non può sostituirsi ad essa. Il progetto, anche se, per ipotesi, la Commissione lo accettasse nelle sue linee generali, è ignorato dall’Assemblea; esso dovrebbe essere distribuito immediatamente, come è stato distribuito il testo del progetto del Governo, prima ancora che l’Assemblea lo esaminasse. Tutti gli onorevoli colleghi, prima ancora che la Commissione esaminasse il progetto, avevano il diritto di riceverne il testo completo.

Vorrei che si tenesse presente questo aspetto particolare della questione: che, sia pure trovandosi l’accordo tra il Ministro, la Commissione e l’Assemblea nel suo complesso, questo accordo non rappresentasse poi qualche cosa, che domani esponesse il provvedimento conclusivo a delle eccezioni, che lo rendessero inapplicabile.

Perciò, prego il Governo e l’onorevole La Malfa, di volere esaminare questo problema.

Ha facoltà di parlare l’onorevole La Malfa.

LA MALFA. A me pare che il problema non esista o almeno non esista nella gravità, in cui l’onorevole Presidente l’ha prospettato.

In definitiva, l’Assemblea deve decidere sull’accoglimento di questo terzo Titolo, dopo aver deciso sugli emendamenti all’art. 2. Quindi, non si tratta di un nuovo provvedimento. La discussione dell’art. 2 è stata sospesa e sarà ripresa domani. Se l’Assemblea accoglierà gli emendamenti all’art. 2, nel senso di accettare la tassazione degli enti collettivi, dovremmo esaminare il provvedimento, che consiste in una serie di disposizioni tecniche forniteci dal Governo. Quindi, il Governo, a mio giudizio, non ha presentato un nuovo progetto, ma una serie di emendamenti per il caso che l’Assemblea decidesse l’estensione della tassazione agli enti collettivi.

In questa situazione, io credo che domani la Commissione potrà esprimere il suo parere sugli emendamenti all’art. 2. L’Assemblea deciderà e poi continuerà la discussione sugli altri importanti articoli, come quelli sulle aliquote dell’imposta progressiva che non sono stati votati.

Chiedo all’onorevole Presidente di fissare per martedì mattina la seduta conclusiva, in modo che siano distribuiti gli emendamenti aggiuntivi del terzo Titolo prima della seduta di martedì; cosicché l’Assemblea avrà preso conoscenza di questi articoli e martedì potremo iniziare la discussione.

PRESIDENTE. Questi che lei, onorevole La Malfa, chiama emendamenti aggiuntivi, sono in realtà dei nuovi articoli. Quando saranno portati a conoscenza dell’Assemblea?

LA MALFA. La Commissione si riunirà lunedì e per martedì verranno portati a conoscenza della Assemblea, in modo che nella giornata stessa si potrà iniziare la discussione.

PRESIDENTE. È comunque desiderabile che tutti gli onorevoli colleghi siano posti in grado di esaminare questi articoli per poterli discutere.

Il Ministro, insieme con il Presidente ed i membri della Commissione, potrebbero completare il loro esame nella giornata di domani, in modo che sabato mattina, sia possibile distribuire il testo di comune accordo redatto.

Avverto inoltre gli onorevoli colleghi che sabato sarà necessario tenere due sedute e due lunedì.

Nelle sedute di domani mattina – come ho detto – si proseguirà nella discussione dell’imposta patrimoniale. Nel pomeriggio sarà proseguita la discussione del disegno di legge sul Trattato di pace. La seduta dovrebbe prolungarsi nelle ore notturne per proseguire l’esame della patrimoniale e se l’onorevole La Malfa domani sera non potrà esser pronto, nella seduta notturna continueremo la discussione del Trattato di pace. L’onorevole Presidente del Consiglio è d’accordo?

DE GASPERI. Presidente del Consiglio dei Ministri. Sono d’accordo.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, resta stabilito questo ordine del giorno.

(L’Assemblea approva).

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

AMADEI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per sapere se non creda opportuno e giusto provvedere alla sistemazione nell’Esercito degli ufficiali giuliani trattenuti in servizio perché provenienti da territori nazionali ceduti allo straniero e che meritano la riconoscenza della Patria per l’alto spirito di sacrificio di cui han dato prova. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Abozzi».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere se non ritenga opportuno, anzi necessario, un intervento del Governo presso il C.O.N.I., affinché sia riveduta la situazione dell’Unione Sportiva Triestina nel campionato di calcio italiano.

«Questa società, che da 19 anni ininterrottamente partecipa al massimo campionato nazionale, dovrebbe quest’anno retrocedere nella divisione inferiore: tale retrocessione, che in tempi normali costituirebbe niente altro che un episodio, assume nel momento attuale un significato che esula dal settore sportivo. Infatti, la partecipazione dell’Unione Sportiva Triestina al campionato ha rappresentato lo scorso anno uno dei pochi vincoli che ancora uniscono Trieste con la Madre Patria. Un vincolo cui hanno partecipato idealmente tutti i triestini. Di importanza ancora maggiore risulta il problema, ove si consideri che a Trieste un’altra società disputa un campionato di calcio, che non è quello italiano. L’«Amatori Ponziana», aiutata con larghezza di mezzi e potenziata in ogni modo, parteciperà anche il prossimo anno al più importante campionato di calcio jugoslavo, per cui le manifestazioni di quest’ultima società, qualora si verificasse la deprecata retrocessione dell’Unione Sportiva Triestina, risulteranno le più importanti in Trieste.

«Dal punto di vista tecnico, il mantenimento della Triestina nella divisione A può essere deliberato senza ledere le regole del campionato: infatti, o si potrebbe, come già altre volte è stato fatto nel passato, non procedere per quest’anno alla retrocessione di alcune squadre, o si potrebbe tenere conto di un particolare tutt’altro che trascurabile, quale quello che l’Unione Sportiva Triestina ha giuocato la prima parte del campionato scorso senza il notevole vantaggio del fattore campo. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Salizzoni, Zaccagnini».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette, per le quali si chiede la risposta scritta, saranno inviate ai Ministri competenti.

La seduta termina alle 20.45.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 10:

Seguito della discussione sul disegno di legge:

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

Alle ore 17:

  1. Seguito della discussione sul disegno di legge:

Approvazione del Trattato di pace tra le Potenze Alleate ed Associate e l’Italia, firmato a Parigi il 10 febbraio 1947. (23).

  1. Seguito della discussione sul disegno di legge:

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 24 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CXCIX.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 24 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Svolgimento di una mozione:

Farri

Foa

Leone Giovanni

Croce

Di Fausto

Rivera

Gonella

Presidente

Votazione segreta:

Presidente

Risultato della votazione segreta:

Presidente

La seduta comincia alle 10.

MAZZA, ff. Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Svolgimento di una mozione.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca lo svolgimento della seguente mozione degli onorevoli: Parri, Bernini, Chiostergi, Codignola, Foa, Cianca, Lussu, Binni, Fornara, Carmagnola, Moscatelli, Faralli, Cacciatore, Malagugini, Barbareschi, Nasi, Mariani Enrico, Montemartini, Costa, Nobili Tito Oro, Mariani Francesco, Bennani, Della Seta, Di Giovanni:

«L’Assemblea Costituente, considerato che nella questione del nuovo ordinamento dei Corpi consultivi del Ministero della pubblica istruzione, il Ministro ha volontariamente trascurato di interpellare la Rappresentanza nazionale, sia pure attraverso la sua apposita Commissione legislativa e di consultare tutte le categorie interessate; ritenuto inoltre del tutto ingiustificata la procedura d’urgenza adottata dal Ministro della pubblica istruzione per la sostituzione del Consiglio superiore di detto Ministero, tuttora in carica; riscontrando nel comportamento del Ministro un grave difetto di valutazione dell’importanza e delicatezza politica della materia; invita il Governo a sospendere l’esecuzione del provvedimento, a risolvere la vertenza coll’attuale Consiglio superiore della pubblica istruzione ed a sottoporre il nuovo ordinamento alla Assemblea Costituente».

L’onorevole Parri ha facoltà di svolgere la mozione.

PARRI. La mozione che ho l’incarico di svolgere nasce dalla profonda insoddisfazione lasciata in larghi settori della Camera dall’esito delle interpellanze svolte dagli onorevoli Calamandrei, Bernini e Codignola. Io prego vivamente l’onorevole Ministro ed i colleghi della Democrazia cristiana di non voler considerare le proteste e le richieste nostre su un angusto ed opaco piano di partito; di non voler avvilire questa discussione ad una bega politica da risolvere a colpi di maggioranza e non in ossequio alle buone ragioni. L’onorevole Ministro consideri i firmatari della mozione: sono uomini di scuola – o che amano e sentono la scuola – di parti diverse dell’Assemblea e non è – lo creda l’onorevole Ministro – una speculazione politica, non passione o mentalità settaria che li muove, ma è l’interesse supremo della scuola, è un senso di dovere che li induce a tentare l’ultimo mezzo a loro di posizione per salvare la dignità e l’indipendenza, come essi la intendono, della scuola. Queste preoccupazioni sono cosi aliene da posizioni di partito che le ritengo condivise anche da non pochi ed egregi colleghi di parte democratico-cristiana; e tutti i firmatari, senza eccezione, credo, avremmo preferito risolvere questa questione con un amichevole componimento, componimento la cui sostanza, signor Ministro, non può peraltro essere se non un preciso e categorico impegno di Governo.

Questo essendo mancato, noi ci troviamo costretti ad insistere per chiedere al Ministro o per proporre all’Assemblea di sospendere di urgenza queste malaugurate elezioni al Consiglio Superiore.

Ed il fatto che a muover questa richiesta sia proprio io, che cerco di seguire una linea politica di temperatezza e mi sforzo quanto posso di obbedire ad una oggettiva serenità di giudizi, vi dovrebbe dire quanto siano diffuse e sentite le preoccupazioni destate dalla politica scolastica dell’onorevole Gonella. Non solo, signori, da questa questione del Consiglio Superiore. Voi intendete perfettamente che l’ampiezza e l’asprezza che essa ha preso è in relazione ai precedenti, al peso di una diffidenza sedimentata giorno per giorno.

Lei potrà dire, voi potrete dirci: settarismo, prevenzione. Io vi rispondo domandando a voi, colleghi della Democrazia cristiana, quale era l’interesse del vostro partito che aveva ottenuto quel posto – il Ministero della pubblica istruzione – superando voi sapete quali resistenze e quali aspre opposizioni. Avrebbe meglio servito i vostri interessi, attuali e soprattutto futuri, di partito di governo, un Ministro che avesse smorzato, dissipato le diffidenze e dimostrato con i fatti l’ingiustizia dalle prevenzioni, se queste vi erano.

Io non vorrei neppure, in nessun modo, dare sull’opera dal Ministro Gonella un giudizio ingiusto. Desidero sempre astenermi dal dar corpo alle ombre e dal cedere ad allarmismi interessati. E credo si debba rendergli giusto merito di molta attività e fattività, di provvedimenti amministrativi di indubbia importanza, di serie ed interessanti intenzioni riformatrici.

Ma la diffidenza e le preoccupazioni cui ho accennato riposano su basi oggettive. Mi limito ad accennarne i motivi principali. Egli sa che in tutti i settori della democrazia laica il suo modo di considerare la scuola privata di fronte alla scuola pubblica ha fortemente turbato la nostra coscienza. Si è aggiunta la sua politica delle parificazioni. Si è aggiunta infine la questione dalla riammissione nella scuola di professori universitari, di presidi di istituti medi, di insegnanti medi di troppo chiara fama fascista. Non si copra ancora una volta l’onorevole Ministro con le consuete giustificazioni legali. Io vorrei ricordargli che in questioni di questa importanza morale e politica, come in quella del Consiglio superiore, le giustificazioni legali e formali non toccano la sostanza. E la sostanza è questa: che nella scuola e soprattutto nella scuola italiana nelle attuali condizioni, e specialmente dopo il fascismo, non possiamo tenere elementi che si sono mostrati indegni della missione di educatore. Crediamo che lei avrebbe avuto modo e mezzi per risolvere questa questione, anche se avesse avuto obbligo di mantenere in servizio questo personale, potendo provvedere sia con impieghi amministrativi, sia con comandi in altre amministrazioni che hanno difetto di personale, sia promovendo opportuni provvedimenti legislativi. E non le nascondo, onorevole Gonella, che non doveva proprio lo scrittore di Acta diurna essere lui a riaffidare la scuola a mani notoriamente impure: proprio quello scrittore che aveva giustamente caratterizzato l’indegnità del regime fascista con questa perversione dell’istituto scolastico. Ed io mi induco a parlargliene ora, incidentalmente, a proposito di questa diversa materia, solo perché sento il dovere di farmi eco delle lettere accorate, delle espressioni di sfiducia che mi vengono da molte parti, da gente della scuola e non da gente di parte.

In questo quadro e con questi precedenti va posta la questione del rinnovamento del Consiglio superiore.

Reputo superfluo rifare la discussione particolareggiata, che è già stata fatta dall’onorevole Calamandrei, in ordine alla controversia col Consiglio superiore dimissionario, relativamente ai docenti immessi dal fascismo per chiara fama nei ranghi universitari, e dagli on. Bernini e Codignola relativamente al decreto formulato dal Ministro Gonella por la ricomposizione del nuovo Consiglio Superiore.

Lascio considerazioni e questioni particolari, per tenermi solo ai lati essenziali.

Può essere che su taluna di esse il Ministro abbia ragione; altre questioni sono variamente opinabili: considero tuttavia certamente importante il modo di composizione delle Sezioni media ed elementare del Consiglio Superiore, come risulta dal progetto.

Ancor meno opinabile e più inaccettabile è la obbligatorietà del voto: le ragioni sono state qui già ampiamente esposte dai colleghi. Il Ministro si persuada che questo obbligo, imposto da un Ministro di partito, per una elezione così precipitata e non preparata, coronato di una minaccia di sanzioni amministrative, ha un sapore più che equivoco. Si persuada signor Ministro, che in un corpo così timorato, se non di Dio certo dei superiori, come quello dogli insegnanti medi ed elementari, la minaccia di «tener conto» è la più temibile, la più temuta ed equivoca sanzione che egli potesse adottare. Il signor Ministro capisce cosa possa significare «tener conto»: trasferimenti, incarichi, ore straordinarie, supplenze ecc.

Ma più essenziale ancora è la profonda e sostanziale illegittimità politica di legiferare, in regime parlamentare, in materia così delicata ed importante, come quella della scuola, senz’altro controllo e collaborazione che quelli del Consiglio dei Ministri. Si tratta di illegittimità di sostanza, di illegittimità politica.

Io non voglio indugiarmi sulla questione controversa se il Consiglio Superiore sia da considerare come organo di natura istituzionale. E lasciamo stare anche la necessità di consultare il Consiglio di Stato, che pure il suo stesso Governo ha ritenuto di dover interpellare a proposito della ricomposizione del Consiglio Superiore delle Miniere. Ma tengo per certo che non si può fare una riforma così importante e centrale, in un settore così vitale ed essenziale, dell’attività politica del Governo, senza la collaborazione, il controllo e l’intervento del Parlamento. Non possiamo abbandonare a nessun Ministro la facoltà di poter legiferare in materia così delicata a proprio beneplacito.

Non insegnerò a lei, signor Ministro, cosa abbia significato il Consiglio Superiore della pubblica istruzione nella storia della scuola italiana; quale sia l’importanza e la delicatezza delle sue funzioni; e come sia essenziale che in un regime di democrazia e di sospettosa lotta di partiti questo organo funzioni con le garanzie più manifeste di indipendenza, di imparzialità, di libertà di controllo.

Convinto che in cuor loro sia d’accordo con me buona parte dei colleghi della Democrazia cristiana, la cui collaborazione fortemente mi interessa, dato il piano in cui desidero si ponga il problema, desiderando che, prima di tutto lei, signor Ministro e poi essi, apprezzino la natura delle nostre preoccupazioni riassumo in questo modo i due punti che in questa controversia noi riteniamo fondamentali:

1°) illegittimità politica del provvedimento. Non si può trattare questa materia fuori del Parlamento.

2°) osservanza di una elementare regola di buon giuoco democratico: preliminare regola di lealtà per la quale deve lei stesso, onorevole Ministro, preoccuparsi di dare a tutte le altre parti diverse ed opposte al suo partito la stessa possibilità, che il suo partito ha, della propaganda nel preparare queste così importanti elezioni.

Io intendo – e lei le ha ricordate – che vi sono ragioni di urgenza. Lei ha bisogno che questo Consiglio funzioni e che funzioni presto in ordine a provvedimenti della cui importanza ed urgenza noi ci rendiamo veramente conto. Ora, noi riteniamo che queste necessità di urgenza avrebbero potuto essere soddisfatte con quel componimento cui accennavo; forse, con provvedimenti temporanei e transattivi, che potrebbero essere ancora escogitati. Lei sa che, volendo, queste elezioni potrebbero essere ritardate al massimo solo di un paio di mesi e, se lei vuole, si potrebbe procedere ad esse non oltre la prima decade di ottobre.

Ma, in ogni modo, la conclusione nostra è che il danno del rinvio è assolutamente inferiore al danno di elezioni che si svolgessero nel mese che lei ha predisposto.

E badi, che, in ultima analisi, queste ragioni di fretta e di urgenza si ritorcono contro di lei e contro la sua opera. Non si nasconda, onorevole Ministro, che non può deporre favorevolmente per lei il fatto che sia sorto un antagonismo così acuto tra lei e l’organo più delicato cd importante del suo Ministero: il Consiglio Superiore della pubblica istruzione. E che lei non abbia trovato il modo o la volontà di dirimere questo antagonismo. E che lei abbia così a lungo indugiato su questo problema grave e non lo abbia apparentemente considerato se non all’ultimo momento: lei aveva il dovere di preoccuparsi in tempo di far funzionare questo organo così vitale per il suo ministero. E non depone a suo favore che lei, all’ultimo momento, mi lasci dire la parola, a precipizio, senza voler degnarsi di consultare, nemmeno in forma privata, gli esponenti degli interessi della scuola di parte diversa dalla sua, abbia pensato di risolvere questo problema in questo modo.

Questo non ci può disporre favorevolmente nei riguardi della sua opera, tanto più, torno a dire, in un governo di questa natura: non è più il Ministro della pubblica istruzione di un Governo di coalizione; lei è il Ministro della pubblica istruzione di un Governo di partito – che è ben lungi dall’avere la maggioranza dell’Assemblea – nel quale lei è troppo vicino al facile sospetto di sviluppare senza alcun controllo una politica di partito, quando invece maggiori garanzie si impongono alla sua opera.

Poiché queste critiche vanno oltre la sua persona, vorrei vedere al suo fianco il Capo del Governo, al quale vorrei ancora una volta, e con la spassionatezza che spero egli mi riconosca, contestare l’errore, l’insufficienza e la pericolosità di un Governo monocolore, non solo di fronte ai grandi problemi della politica internazionale, e della politica economica e finanziaria, ma anche di fronte a questi settori così delicati della politica generale, quale è quello della scuola.

Per queste ragioni, noi chiediamo che Ella signor Ministro, disdica queste elezioni con la massima urgenza e che presenti all’Assemblea un nuovo progetto di composizione del Consiglio Superiore, che potrà studiare insieme agli organi dell’Assemblea. Altrimenti, noi dobbiamo chiedere formalmente all’Assemblea Costituente di darle torto.

Ma il mio ultimo appello, signor Ministro, è per lei. Lei non può non rendersi conto della situazione grave nella quale il Consiglio Superiore, Consiglio esautorato in partenza da queste polemiche o dalle astensioni. Io non credo che lei si auguri di fare il Ministro della pubblica istruzione a vita. Ed il suo successore che cosa farà di questo Consiglio Superiore? Con quale autorità vuole che questo Consiglio operi? E lei in quale situazione di disagio e di imbarazzo potrà trovarsi?

Ed allora, il mio ultimo appello è per lei, Ministro Gonella, per lei, che è un uomo di alta moralità. Ed è per questo che noi vogliamo ancora sperare che questa disgraziata controversia possa essere senz’altro risolta da un suo atto di coraggio morale. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Foa, altro firmatario della mozione.

FOA. Onorevoli colleghi, dopo le dichiarazioni dell’onorevole Parri, io credo di dover dire solo pochissime parole perché l’onorevole Parri ha veramente toccato il fondo della controversia, ì motivi profondi e non contingenti che ci hanno mosso a presentare questa mozione.

Io vorrei sottolineare, di fronte all’Assemblea, che con la presentazione della mozione noi non abbiamo inteso e non intendiamo dare alla controversia in atto un minimo significato di schieramento politico, di presa di posizione nei confronti del Governo. Questo è un punto che devo essere ben chiaro alla coscienza di tutti noi. Quando gli onorevoli Bernini, Calamandrei e Codignola hanno presentato le loro interpellanze ed hanno sviluppato le loro richieste, anche nelle loro dichiarazioni iniziali, noi non abbiamo sentito alcuna intenzione polemica di parte politica. Anche nelle loro dichiarazioni noi abbiamo sentito unicamente la passione per la scuola ed abbiamo udito una richiesta (che nelle parole era modesta, persino umile) al signor Ministro perché vagliasse il contenuto del problema, discutesse e vedesse se non si potesse modificare il provvedimento adottato.

È con quello spirito che, completamente insoddisfatti del risultato delle interpellanze, noi siamo stati costretti a proporre all’Assemblea il tema, perché potesse essere dibattuto serenamente da tutti i settori. Ma quello stesso orientamento, spirituale non di polemica ma di concreto giudizio sui fatti, che ha spinto noi a presentare la mozione noi chiediamo a tutte le parli dell’Assemblea. Lungi dunque, dal nostro pensiero il desiderio di conseguire qualsiasi successo politico; quello che oggi preme a noi presentatori della mozione è l’avvenire della scuola; e l’avvenire della scuola, come ben disse il mio collega ed amico onorevole Codignola qualche giorno fa, riflette un problema che non ci deve dividere, ma ci deve unire.

Badate, colleghi, che il terreno di opposizione o di collaborazione col Governo, il terreno di solidarietà o di battaglia noi sapremo trovarlo in altra sede: in questa sede nei chiediamo invece all’Assemblea che essa decida serenamente, per gli interessi della scuola; noi chiediamo all’onorevole Ministro che ci renda possibile quindi di non arrivare al voto, che ci renda possibile di risolvere il problema in termini concreti.

Alla richiesta dell’onorevole Parri io mi associo quindi con tutto il cuore. Onorevoli colleghi, che cosa noi chiediamo in fondo? Perché mai questo dibattito che poteva mantenersi sul terreno tecnico è giunto invece, ad un determinato momento, ad una così acuta tensione ed ha diviso l’Assemblea nei termini tradizionali in cui essa si scinde da quando è Stato formato questo Governo?

Questo, onorevoli colleghi, non doveva accadere, questo non era nelle nostre intenzioni. Quando noi abbiamo chiesto all’onorevole Ministro che si compiacesse di rispondere alle nostre richieste sull’argomento del Consiglio Superiore della pubblica istruzione e intorno al provvedimento relativo alle nuove elezioni, io debbo dire che anche quella moderazione che può costituire per noi un dato di temperamento e comunque di responsabile saggezza politica, è stata messa a dura prova. Perché il Ministro ci ha risposto insistendo puramente sulla legittimità formale dei suoi provvedimenti, legittimità che è contestata e contestabile, ma, a parte questo, il Ministro non ci ha dato minimamente ascolto circa il contenuto delle richieste. Si è così diffusa in tutti i settori l’impressione, e profonda e penosa, che il Ministro, davanti alle voci di dissenso – non dico nemmeno di opposizione, perché non volevano essere di opposizione nel senso della politica del Governo – che il Ministro, dicevo, abbia inteso di rispondere: Questa è la mia volontà.

Ma questo, onorevoli colleghi, è il linguaggio cui noi eravamo abituati in tempi lontani: era il linguaggio dei nostri nemici. Ma noi non vogliamo considerare l’onorevole Gonella come un nostro nemico, ma come un leale avversario: noi vogliamo ricordare in lui il compagno di lotta e il direttore del «Popolo» clandestino. Noi chiediamo dunque, che l’onorevole Gonella segua la regola democratica sul modo di valutare le richieste della opposizione.

È innegabile che mai prima d’ora noi avevamo udito in questa Assemblea quanto si è udito in questa occasione da parte dell’onorevole Ministro della pubblica istruzione, cioè un simile linguaggio di forza.

Questo è veramente un dato che con tutta la misura, la modestia e la moderazione necessarie deve essere sottolineato. E questo comportamento, come voi comprenderete, ci preoccupa, perché, in fondo, nel conflitto iniziale sorto tra il Ministro e il Consiglio Superiore della pubblica istruzione, per le nomine per «chiara fama», che cosa è accaduto? È accaduto che, sorto un dissenso su un importante problema di politica scolastica, non di politica di partiti – perché questo dissenso col Ministro riguardava uomini di tutti i partiti e di tutte le correnti – numerosi membri del Consiglio Superiore della pubblica istruzione hanno creduto di dare le dimissioni.

Ora, io credo che il fatto che il Ministro abbia creduto di dover ignorare queste dimissioni sia veramente un atto di violazione del metodo democratico, perché il Consiglio Superiore della pubblica istruzione non era un organo gerarchicamente subordinato – per cui le dimissioni potessero essere considerate come un atto di indisciplina – ma un Corpo consultivo che, come ha ricordato l’onorevole Parri, ha svolto prima del fascismo un’altissima funzione di guida e di orientamento per la scuola superiore. Quando sorge un conflitto di questo genere, quando si danno le dimissioni per sottolineare un dissenso politico, questo è un atto normale di metodo democratico. Non tener conto di un atto di questo genere significa non riconoscere le leggi della democrazia, che impongono determinati rispetti. Formalmente il Ministro ha voluto dire: «Voi vi siete dimessi; io vi ignoro». Non credo che ciò abbia giovato né al metodo democratico, né alla scuola, e neanche alla considerazione, all’estimazione che nella scuola e fuori della scuola si deve avere del capo dell’amministrazione scolastica.

Quindi, noi chiediamo, in una delle nostre tre richieste, che il Governo risolva la vertenza con il Consiglio Superiore della pubblica istruzione. E noi crediamo di avanzare una richiesta che rimane nei termini del metodo democratico; noi crediamo che sorto un conflitto nei termini del metodo democratico, esso non possa essere ignorato, ma debba essere risolto.

E in secondo luogo, noi crediamo che quelle stesse necessità di lavoro che si adducono per il rinnovamento del Consiglio Superiore della pubblica istruzione, militino oggi – finché l’Assemblea non abbia approvato un nuovo ordinamento – a favore della conservazione in vita del vecchio Consiglio Superiore della pubblica istruzione. Cerne è stato osservato, se questo contrasto non fosse sanato, se si istituisse questo precedente, che una manifestazione di dissenso, espressa in termini democratici da un alto organo consultivo, col Ministro, viene pretermessa, considerata come un nulla di fatto, io credo veramente che tutti i nuovi Consigli Superiori della pubblica istruzione che saranno eletti, non avranno più l’autorità necessaria per rappresentare di fronte al Paese, di fronte all’amministrazione – come hanno rappresentato in passato – la dignità e le esigenze della scuola.

Per queste ragioni io chiedo che l’Assemblea valuti la nostra richiesta nei suoi termini di merito: è o non è giusto che questo contrasto venga composto; è o non è giusto che le elezioni di un Consiglio Superiore della pubblica istruzione, circondate da tutte le diffidenze che questo stesso dibattito ha contribuito a creare nei confronti del metodo elettorale prescelto, vengano rinviate – che in qualche modo si riesamini il problema e che esso venga riesaminato nella sede sua propria, che è la Sedi legislativa, la sede della Commissione legislativa dell’Assemblea Costituente italiana?

In termini di merito (onorevoli colleghi, io rinnovo la mia preghiera con insistenza), questo problema deve essere valutato. La politica ci divide, e continuerà a dividerci – o ci unisce, e continuerà ad unirci, su altri problemi e in altre occasioni: non in questa. Nel problema della scuola dobbiamo valutare tutti con assoluta libertà quali sono le esigenze della scuola, quali sono i metodi necessari per arrivare a quel miglioramento che credo sia nel cuore di tutti noi.

In questi termini di libertà io chiedo ai colleghi di valutare la mozione.

LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LEONE GIOVANNI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, al provvedimento legislativo concernente la ricostituzione del Consiglio Superiore dell’istruzione ed all’attuazione di questo provvedimento sono state rivolte numerose critiche che si possono considerare di due ordini: un ordine di critiche concerne la formazione della legge, un altro ordine concerne il metodo di applicazione della legge.

Prendendo in esame le critiche sulla formazione della legge, occorrerà occuparsi (perché questa è stata l’impostazione data nelle precedenti sedute e ribadita in parte oggi) di due aspetti di quest’ordine di idee: legittimità formale del provvedimento legislativo, legittimità sostanziale dal provvedimento legislativo.

La legge della quale discutiamo e sulla quale verte la mozione odierna, non è venuta alle Commissioni dell’Assemblea; e non è venuta perché il Consiglio dei Ministri ha ritenuto che si trattasse di materia di massima urgenza, ipotesi per la quale l’articolo 3 del nostro regolamento – così come noi lo modificammo – stabilisce che non sussiste l’obbligo politico (perché si tratta di obbligo politico) di Governo di sottoporre il disegno di legge al preventivo parere delle Commissioni dell’Assemblea Costituente.

Chi è il giudice della massima urgenza? Giudice della massima urgenza è soltanto il Consiglio dei Ministri e, forse, la Corte dei conti. Nella specie, il Consiglio dei Ministri (siamo sempre sul piano formale) ha valutato la massima urgenza e la Corte dei conti l’ha ribadita quando ha registrato il decreto legislativo di cui ci andiamo occupando.

Si è detto ancora che questo decreto non è stato preceduto dal parere del Consiglio di Stato e ci si è riferiti, dalla parte opposta, – per analogia – al caso della legge concernente il Consiglio Superiore dalle miniere. Che il Consiglio di Stato non dovesse dare alcun parere per una legge del genere fu sufficientemente dimostrato dall’intervento del Ministro in sede di discussione dell’interpellanza, e ritengo, per la validità indiscutibile ed obiettiva delle argomentazioni portate dal Ministro e per l’assoluta inefficienza, anzi inesistenza, di argomenti contrari, che quella dimostrazione sia rimasta ferma. Non vale dire che per il Consiglio Superiore delle miniere la legge fu preceduta da un parere del Consiglio di Stato, perché è noto che il Governo ha facoltà di avvalersi, quando lo crede, del parere del Consiglio di Stato, e l’averlo fatto una volta per particolari motivi ed in un momento nel quale forse ragioni di urgenza non si profilavano come nel caso presente, non significa l’instaurazione neppure di una prassi, per cui possa stabilirsi che una legge concernente il riordinamento o le elezioni di un Consiglio Superiore debba passare prima per il parere del Consiglio di Stato. Anzi, in contrario, potrebbe osservarsi che se voi non avete potuto trovare altro che questo precedente legislativo, vuol dire che le leggi concernenti altri Consigli Superiori non sono passate per il parere del Consiglio di Stato.

Questo per quanto attiene la correttezza formale del provvedimento legislativo. Massima urgenza decretata in maniera insindacabile dal Consiglio dei Ministri e ribadita dalla Corte dei conti. Nessun sindacato sulla massima urgenza da parte dell’Assemblea Costituente, la quale, anche dopo la modifica del regolamento che ha ampliato i suoi poteri (perché è opportuno non dimenticare che noi sorgemmo come Assemblea Costituente e con l’unico potere di provvedere a emettere leggi soltanto per quanto concerneva i trattati internazionali e la materia costituzionale; e non penso si possa sostenere che la disciplina del Consiglio Superiore abbia riferimento con la materia costituzionale), non ha alcun potere di sindacato sul giudizio di urgenza. Non occorreva infine, come ho dimostrato, alcun parere del Consiglio di Stato. La legge, pertanto, si presenta corretta dal punto di vista esclusivamente formale.

Ma noi abbiamo anche la possibilità, e in questo sono d’accordo con i presentatori dell’interpellanza e della mozione, anzi il dovere, direi, di domandare, per lo meno in sede politica o in sede di giudizio sulla tecnica di un determinato Ministero, se ricorresse quella massima urgenza, non per trarre un motivo di invalidità della legge – la legge è formalmente valida – ma per trarre un giudizio che possa attenere all’operato politico del Ministro o meglio del Gabinetto. Ora, dal punto di vista della correttezza sostanziale, io credo che le ragioni che indicò il Ministro, e che soprattutto sono note a tutti noi che amiamo la scuola, fossero di tale importantissima urgenza da non poter far rimandare ancora ulteriormente una disciplina e soprattutto le elezioni del Consiglio Superiore della pubblica istruzione.

Per chi conosca, come ho l’onore di conoscere io per la mia attività professionale, la vita dell’Università non è un mistero che il Consiglio Superiore costituisce una delle chiavi dell’attività amministrativa; che il Consiglio Superiore costituisce una delle valvole fondamentali, centrali, per la vita di tutta l’amministrazione dell’istruzione superiore. Si può dire, anzi, che con il ripristino della vita democratica dell’istruzione superiore non vi siano organi sovrani in materia di disciplina e di amministrazione universitaria che le Facoltà e il Consiglio Superiore, e che l’attività del Ministro sia svuotata di qualsiasi contenuto sostanziale. Le Facoltà, con il potere sovrano e in gran parte insindacabile di chiamare i professori per trasferimento e su concorso; il Consiglio Superiore con il potere insindacabile ed esclusivo di proporre bandi di concorsi, di procedere allo scrutinio – non alla nomina delle Commissioni – delle votazioni alle quali abbiamo provveduto qualche giorno fa per la formazione delle Commissioni di concorsi con il potere di nominare le Commissioni per la libera docenza, col parere vincolante per il Ministro sul passaggio da una cattedra all’altra, con il potere di dar parere vincolante sulla riforma degli statuti delle Università. Deve dirsi che tutta la vita universitaria, tutto il governo dell’istruzione superiore è ancorato alla vita del Consiglio Superiore dell’istruzione pubblica. Ora il Consiglio Superiore dell’istruzione pubblica cadde in crisi.

È notorio che 23 su 36 membri del Consiglio Superiore si dimisero collegialmente. Le dimissioni – non è un mistero, perché a questo proposito c’è stata una interpellanza e d’altronde il caso è notissimo – furono presentate collegialmente come una critica, come un sindacato nei confronti del Ministro. Intervenuta la crisi con le dimissioni di 23 membri, per cui il Consiglio Superiore, mancante di due terzi, non poteva più riunirsi, si profilavano queste due strade (ed è su questo appunto, onorevoli colleghi, che richiamo la vostra lealtà, la massima meditazione o la massima consapevolezza): o ricomporre il Consiglio Superiore, sostituendo i 23 dimissionari, o procedere, affrettare, accelerare quelle elezioni del Consiglio Superiore, che non avrebbero potuto andare oltre il 15 ottobre corrente anno, se è vero che la legge De Ruggiero comportava la vitalità del Consiglio Superiore fino al 15 ottobre dell’anno decorso, prorogata soltanto por un anno. Si è detto: il Ministro poteva ricorrere ad altri espedienti o battere altre strade. Poteva sul piano della efficienza del Consiglio Superiore invitare i dimissionari a recedere dalle dimissioni. Questo, onorevoli colleghi, è un punto che concerne esclusivamente, personalmente l’attività del Ministro. E lasciatemi dire che quando un Ministro vede che le dimissioni non sono atti singoli, non sono date singulatim, non sono espressione di uno stato sia pure di disagio personale di alcuni membri, ma sono le espressioni di una deliberazione quasi collegiale, di una deliberazione complessiva preparata, perché è noto che fu preparata da circolare ed accompagnata da una notevole campagna di stampa, io penso che il Ministro possa sentire anche l’opportunità di non rinnovare ai dimissionari l’invito a recedere dalle dimissioni. Ma, aggiungo, avrebbe potuto condurre a qualche effetto pratico, in maniera sicura, l’invito a recedere dalle dimissioni? Perché voi supponete che l’invito del Ministro agli illustri e rispettabili componenti del Consiglio Superiore dimissionari avrebbe potuto portare come conseguenza il recesso da parte di costoro dalle dimissioni? Ma chi ci impedisce di pensare, chi può assolutamente provare che i dimissionari, che a mio avviso avrebbero fatto bene ad insistere, non avessero insistito nelle loro dimissioni? Si trattava di dimissioni dovute non ad un particolare incidente né ad un piccolo contrasto con il Ministro, ma dimissioni dovute a un contrasto, sia pure montato, ma certamente di apparente notevole importanza, concernente un settore delicato della vita universitaria, cioè la conservazione in carriera o l’allontanamento dall’ambiente universitario dei professori nominati per chiara fama; e di dimissioni presentate in maniera collegiale, accompagnate da una campagna di stampa per cui è da ritenere, molto più agevolmente, che non sarebbero state seguite dal recesso delle medesime.

Comunque, su questo punto di non avere voluto il Ministro rivolgere l’invito ai dimissionari di ritirare le dimissioni, io penso che l’Assemblea non possa e non debba e non abbia facoltà di esprimere alcun parere; se è vero che si tratta di un provvedimento personale del capo di una amministrazione, il quale non è tenuto a subire l’umiliazione di chiedere il recesso dalle dimissioni di persone, certamente rispettabili, che però queste dimissioni hanno accompagnato con un gesto che non era certamente deferente, ma di perfetta lotta e di battaglia… (Approvazioni – Applausi al centro – Interruzione del deputato Tonello).

Nessuna urgenza, nessuna esigenza può imporre ad un Ministro, per obbedire a questi profili, di umiliarsi a chiedere il ritiro delle dimissioni, quando può scegliere una via più diretta, più solare, quella della ricostituzione democratica dell’organo, suggerita dalla prossima scadenza dell’organo medesimo. Perché è opportuno non dimenticare che il Consiglio Superiore, che io ammiravo perché era costituito indubbiamente, in gran parte, dai più autorevoli maestri di tutte le discipline, non era di formazione elettiva, ma, per necessità del momento, c’era stato elargito, sia pure elargito con mano generosa e giusta.

Ci si diceva (altro profilo di accusa che si presenta nei confronti del Ministro): se non avete voluto incamminarvi per questa strada umiliante e pericolosa e non di sicuro effetto favorevole, l’invitare i dimissionari a recedere dalle dimissioni, voi avreste potuto fare procedere alle elezioni (altra critica in fase di interpellanza) soltanto per la prima Sezione del Consiglio Superiore, cioè quella che concerne la istruzione superiore, rimandando la disciplina e le elezioni delle altre due Sezioni a sede più opportuna.

Anche qui, onorevoli colleghi, voi dovete riconoscere che ad un Ministro, anzi a un Governo, perché la responsabilità della legge risale al Governo, sia pure sul piano delle critiche tecniche (ed io sono convinto ed accetto le vostre delimitazioni di questa cavalleresca lotta a un campo puramente tecnico; e prendo atto con viva soddisfazione, e con rispetto delle vostre nobili ed ottime intenzioni, che qui si agita un problema di carattere tecnico, di tecnica di governo e quindi non si agita un problema di carattere esclusivamente politico) bisogna lasciare un minimo di libertà di organizzazione legislativa di un organo.

Il Consiglio Superiore dell’istruzione, se ha qualche cosa di notevole (non so se di originale, perché, per l’urgenza di questa discussione, io confesso che non ho potuto approfondire alcuna indagine) se non per originalità, certo por interesse, se si presenta degno di studi e considerazione è per il fatto che costituisce un organo unitario, in cui si articolano tre Sezioni: istruzione superiore, istruzione media tecnica, istruzione elementare, ma che conserva tuttavia, ad onta di questa ben formata articolazione, una unità di organizzazione e soprattutto di finalità; ed io vorrei che ciò fosse sottolineato alla vostra coscienza.

Se è vero, come voi avete dotto più volte in questa sede, che la scuola è una, che se vi sono distinzioni, non sono di gradi ma di funzioni e di responsabilità, che il più umile maestro elementare può esercitare una funzione alta come il più autorevole professore universitario, è vero che bisogna trarne la conseguenza che un organo consultivo, che in talune questioni è consultivo con il parere vincolante, che un organo consultivo della istruzione sia un organo unitario, un organo nel quale sfociano i desideri, le esigenze, le aspirazioni, le necessità di tre ordini di studi, ma che trova una soluzione unitaria; perché solo attraverso un esame unitario, complessivo del problema della scuola, senza distacchi che siano separazioni ma invece con piccole differenze, che ribadiscano l’unità delle esigenze scolastiche, si può realizzare una sana politica scolastica. Ora, onorevoli colleghi, con la legge, con la cosiddetta riforma del Consiglio Superiore, che poi, in sostanza, contiene piccoli dettagli di variazioni, si obbedisce a questa ispirazione, alla quale non poteva rinunciare un Ministro che avesse voluto disciplinare in Italia gli studi con un metodo squisitamente democratico. Non quindi un Consiglio Superiore della scuola media ed elementare inerte, non un Consiglio di istruzione superiore che ignori le esigenze della scuola elementare. Se la legge su questo punto è adattata a questa necessità ed è sentita sotto questa spiritualità, voi non potete criticare un Governo, più che il Ministro, e neppure una legge che provvede unitariamente a questa formazione. Riconosco che le urgenze si delineavano, si profilavano prevalentemente, non esclusivamente, ma prevalentemente, per quanto attiene all’istruzione superiore. Riconosco che rispetto ad essa il Ministro si sentiva condannato a scegliere una via senza possibilità di adottare neppure soluzioni diverse per i noti motivi di urgenza. Ma se la riforma di questo organo consultivo era imperniata su questa base unitaria, voi non potete far critica al Ministro se questa base unitaria non ha infranto. (Applausi).

Contenuto della legge. Ho detto che la legge può essere contestata ed è stata criticata e per la legittimità della sua formazione e per il contenuto.

Noi ci dobbiamo domandare, come si è domandato poco fa l’onorevole Foa, se la legge, oltre che rispondere, nella sua legittimità costituzionale, formale, alla essenza vera delle cose, su cui mi sono soffermato, risponda alle esigenze di una buona politica scolastica, di una buona tecnica della scuola.

Io potrei chiudermi in una pregiudiziale; e dovete riconoscerlo. Potrei dirvi che in regime di legislazione delegata è strano che della sostanza della legge si debba discutere in questa sede e non nella sede più propria, cioè nel futuro Parlamento, che potrà esaminare nel complesso tutta questa legislazione, quando dovrà convertire in legge il decreto di delega al Governo per il potere legislativo, o in sede singola; perché non sappiamo né possiamo prevedere quale atteggiamento assumerà il futuro Parlamento nei confronti di tutta questa nostra legislazione.

In sostanza, anche nei casi in cui una legge del Governo viene inviata alle Commissioni dell’Assemblea, il parere di queste non è vincolante.

Quell’accorgimento, al quale ricorremmo, quando, un anno fa circa, fummo posti di fronte al dilemma o di abdicare al potere legislativo, come voleva la legge che ci costituiva, o di assumere tutto il potere legislativo, come poteva essere nelle nostre aspirazioni (perché riconoscevamo di essere il primo organo democratico del Paese), quell’accorgimento ingegnoso di introdurre, attraverso una modesta modifica del regolamento della Camera, una prassi (e questa prassi non incide sulla validità dilla leggi), quella, cioè, che il Governo passasse i disegni di legge alle Commissioni dell’Assemblea (tranne i casi di massima urgenza) e queste esprimessero un parere, non comporta altro che un dovere morale, di correttezza, un dovere politico del Governo di tener conto ed accogliere gli emendamenti che le Commissioni permanenti propongono, ma non comporta alcuna incidenza formale, vincolante sul contenuto della legge.

E non vi siete meravigliati, quando, in un problema veramente scottante, perché riguardava la disciplina economica della Magistratura – della cui sorte siamo tutti pensosi – mentre la prima Commissione permanente unanimemente esprimeva al Governo il parere dell’elevamento dal minimo di indennità di toga, il Governo non abbia sentito l’opportunità, per motivi più che spiegabili, di accogliere il voto della Commissione dell’Assemblea.

Non ho possibilità, in questo momento, di offrire una documentazione di quanto asserisco; ma ritengo che non sia raro il caso, in cui il parere dalla Commissione dell’Assemblea non sia atteso dal Governo.

Non mi voglio rinchiudere, dicevo, in questa pregiudiziale.

Sono d’accordo con voi che occorre parlare in questa sede, senza una diretta conclusione di carattere costituzionale, trattandosi di giudicare la politica dei Governo, concernente un particolare settore dell’Amministrazione, l’istruzione. Sono d’accordo che possiamo esaminare il contenuto della legge. Ed allora vedete se la legge sia veramente il capestro della scuola, se uccida veramente la libertà della scuola, se a causa di questa legge ci possiamo preoccupare dalle sorti che sono riservate alla scuola e se essa ci faccia pensare che per la scuola italiana si apra una tomba, che si scoperchi quella tomba in cui la scuola deve affondare il suo miserando corpo. O se non sia piuttosto una legge che – pur con le inevitabili mende che hanno tutte le leggi, specie quelle che si formano in un momento così delicato e travagliato della vita nazionale, mende che potremo tuttavia correggere e ritoccare con una legge integrativa – segni un passo sulla via dalla ricostruzione democratica della scuola in Italia: su questo chiedo a voi un riconoscimento leale. (Rumori a sinistra – Applausi).

Questo è il punto decisivo sul quale io richiamo la vostra attenzione. Ora, onorevoli colleghi, dopo oltre venti anni nei quali in Italia non esisteva un organo democratico della pubblica istruzione – e vi passerò in brevissima rassegna questa legislazione solo indicandovi tutti i procedenti legislativi, nei quali questa democrazia non si era mai realizzata, sia prima del fascismo, che durante il fascismo – solo ora si è potuta realizzare una così perfetta democrazia degli organi consultivi della pubblica istruzione. (Rumori a sinistra – Applausi al centro).

Ve lo dimostrerò: è inutile sollevarvi in massa. Potete discutere la mozione e potete, in questa Assemblea, controbattere le idee con le idee. Quando vi dirò che con la legge Casati si costituiva un consiglio Superiore di 21 membri, tutti di nomina ministeriale, e che con la legge Baccelli si stabiliva che dei 32 membri 16 erano eletti e 16 di nomina ministeriale, e quando infine vi rammenterò che la legge Gentile fissava a 21 il numero dei membri, tutti di nomina ministeriale, voi avrete intesa la verità della mia affermazione. Né vi citerò tutta la sequela delle leggi fasciste in cui tutto intero il Consiglio Superiore era di nomina autoritaria. Il Consiglio Superiore è organo veramente importante e delicato, perché l’unico che ha poteri sovrani, tali che lo sovrappongono allo stesso Ministro, cosi da farlo chiamare, come hanno fatto taluni, in modo grossolano, il «passacarte» del Consiglio Superiore della pubblica istruzione.

Quando noi consideriamo che l’attuale Consiglio Superiore è formato per oltre le quarti di membri elettivi, permettetemi di dirvi che la legge in discussione ha attuato in Italia non la perfezione della democrazia, ma il massimo della democrazia. (Rumori a sinistra).

La stessa legge De Ruggiero, che pure non si può negare abbia stabilito che il Consiglio Superiore fosse elettivo (e stabiliva contemporaneamente – non lo dimentichiamo – che il Consiglio Superiore se lo nominava il Ministro) quella stessa legge De Ruggiero importava la possibilità di cooptazione di membri ministeriali da parte di quelli eletti.

Io non nego che, attraverso un perfezionamento legislativo, si potrà avere un più perfetto funzionamento democratico del Consiglio Superiore; ma io voglio qui rilevare che in Italia, nemmeno prima del fascismo, si è potuto mai realizzare un Consiglio Superiore totalmente elettivo. È nelle nostre aspirazioni arrivare a questo. Ma ci arriveremo a gradi. Questo è il primo passo verso quella perfezione. Io penso che la democrazia debba risorgere attraverso non una rivoluzione, bensì un’evoluzione che si svolga a passi lenti, ma costruttivi; perché i passi troppo apparentemente ed eccessivamente rivoluzionari possono condurre all’abisso.

Ora, onorevoli colleghi, com’è composto l’attuale Consiglio Superiore? Scusatemi, se ripeto dei dati a voi già noti – io, benché presente all’altro dibattito, non vi ho preso parte oratoriamente – ma è necessario che ne riassuma la composizione:

prima Sezione: 28 membri, di cui 19 eletti dalle Facoltà, 3 dalle categorie e 6 soltanto di nomina ministeriale;

seconda Sezione: su 12 membri, 7 eletti e 5 nominati.

Io conosco la critica che si è rivolta qui perché si è detto che i tre professori universitari che fanno parte della seconda Sezione del Consiglio Superiore possono essere prescelti fra quei sei che il Ministro ha nominato di sua nomina diretta e che non provengano dell’elezione. Io potrei rispondere che con questi casi estremi e con questi casi limiti non si può formulare una critica della legge.

Ma ancorché si verificasse che il Ministro prescelga i tre professori universitari, che devono andare a far parte della seconda Sezione, da quei sei che egli ha nominato, non vi pare che sia estremamente offensivo non per la categoria alla quale appartengono ma per una categoria qualsiasi di insegnanti il sospettare che perché nominati dal Ministro possono asservire la loro coscienza al Ministro stesso? Questi professori durano in carica tre anni – e la democrazia ci insegna che nessun Ministro è durato mai in carica tre anni – ed in questi tre anni essi dovrebbero asservire la loro coscienza di tecnici, di studiosi, di scienziati, o di umili servitori della scuola, ai desideri del Ministro?

L’ingiurioso sospetto lo potete formulare nei riguardi del Ministro. Anzi è bene che questa diffidenza verso l’esecutivo ci ispiri; ma questa diffidenza noi dobbiamo organarla, debbiamo farla vivere. Questa diffidenza è offensiva per coloro a cui si rivolge, non per il Ministro.

L’esperienza ci dice – e questo lo potete affermare anche voi, onorevole Calamandrei, che con la vostra presenza onoraste il Consiglio Superiore – che non ci si è mai legati al Ministro e che la propria personalità si è sempre tenuta al di sopra dell’organo governativo, dimenticando perfino se la nomina era stata fatta da questo o da quel Ministro.

LUSSU. Allora, era Ministro De Ruggiero, il meno settario degli uomini politici.

LEONE GIOVANNI. Io sono così ammiratore del professor De Ruggiero che devo raccogliere l’interruzione per ribadire l’affermazione. Questo prova la grande nobiltà di azione governativa del professor Di Ruggiero. Ma il mio esempio non significava possibilità di ingerenza, ma significava che quando si è nominati ci si dimentica perfino del Ministro che ha provveduto alla nomina. (Approvazioni).

Gli stessi sospetti che voi formulate per i professori universitari chiamati a far parte della seconda Sezione, si potrebbero formulare per tutti quegli organi consultivi dello Stato o di altri enti pubblici o per quelle alte gerarchie la cui nomina è di competenza ministeriale. Ed allora perché non diffidare anche degli organi che sono di nomina del Ministro? Perché non sospettare, per esempio, nell’attuale ordinamento dilla Magistratura, che i magistrati degli alti gradi che, come sapete, sono nominati dal Consiglio dei Ministri, possano subordinare la loro azione giudiziaria al Governo che li ha nominati?

Questo sospetto non si è mai profilato in Italia e non si deve mai profilare. Lo desidero, perché la categoria dei professori universitari che andranno alla Sezione media e tecnica sentiranno di portare con maggior senso di responsabilità il contributo della loro esperienza e il peso del loro prestigio.

È questo il punto su cui desidero soffermarmi. Si è detto che può costituire oltraggio alle categorie dei professori di scuola media la presenza di tre professori universitari nel loro organo. Si è detto che questo costituirebbe una paralisi per l’autogoverno di questa categoria.

Ora, intendiamoci, questa categoria, già con la legge Gonella – chiamiamola così, per intenderci, dato che Gonella è l’imputato – già con la legge Gonella ha fatto grandi, notevoli passi verso il suo autogoverno, se è vero che dal 1911 in poi gli ordini inferiori di scuole non hanno mai avuto un Consiglio Superiore, un organo consultivo. È già un notevole passo e noi dovremmo elogiare il Governo, che anche per la scuola media ed elementare ha istituito una Sezione del Consiglio Superiore, la quale ha il notevole pregio di essere sullo stesso piano del Consiglio Superiore, Sezione universitaria, proprio per quella disciplina organica e unitaria sulla quale mi sono soffermato poco fa. (Applausi al centro).

Ma perché occorre la presenza di professori universitari? Non certo per un riguardo verso i professori universitari: è perché taluni organi consultivi, o che hanno il governo di una particolare categoria, si orientano per necessità pratiche e, soprattutto per una esigenza di maggiore serenità, a chi è al di sopra della mischia ed è, quindi, più sereno; si giustifica così l’inclusione in questi organi di elementi appartenenti alla medesima amministrazione, ma che si trovano ad un grado più elevato.

Su questo punto, dovremmo prendere esempio dal Consiglio Superiore della Magistratura: nessun magistrato inferiore – usiamo questa espressione, anche se non è molto rispettabile – nessun giudice, nessun pretore si è mai lamentato che il Consiglio Superiore sia organizzato in modo da essere composto in prevalenza da consiglieri di Cassazione, presidenti di Sezione, ecc.

Perché si ricorre a questo? Perché, trattandosi dell’organo che ha il governo di una categoria, di un potere, di una attività amministrativa, è bene che vi sia assicurata la partecipazione degli organi superiori, che hanno esaurito la loro aspirazione di carriera, o hanno aspirazione di altra natura, che hanno larga esperienza, che sono lontani dal conflitto di interessi e che possono, quindi, portare il contributo della loro serenità ed imparzialità.

Ed allora, per quanto attiene a questa seconda e terza Sezione – non mi fermo sugli altri Consigli Superiori perché la loro funzione non è caduta sotto la nostra critica e perché, d’altra parte, il mio modestissimo, umile contributo in questa discussione vuol portare l’elemento dell’esperienza dei professori universitari e non vorrei invadere campi estranei alla mia esperienza – per quanto concerne queste sezioni, io devo concludere su questo punto, ed è la conclusione quasi finale: noi dobbiamo fermarci alla sostanza. E la sostanza è questa: che l’istruzione media, tecnica ed elementare devono pur avere un loro congegno, che, anche se è ancora imperfetto, rudimentale, può essere perfezionato più o meno rapidamente. Questi due ordini di scuole hanno conquistato già parzialmente, se non totalmente – secondo la dimostrazione che io volevo offrire – il loro autogoverno. Ma, questa espressione è ancora imprecisa: hanno conquistato già la democrazia nella organizzazione dei loro organi consultivi.

C’è un secondo ordine di critiche, che concerne le modalità di applicazione della legge.

Iniziando questo mio intervento, avevo detto che erano due gli ordini di critiche che si proclamavano ex adverso: quelle attinenti alla legge riguardo al suo contenuto e critiche concernenti le modalità di applicazione della stessa. Esauriamo, pertanto, questo secondo ordine di critiche, concernenti cioè le modalità di applicazione della legge. L’onorevole Parri ha contenuto in questi limiti lo svolgimento e l’interpretazione della mozione; ma, proprio per questa impostazione di una critica tecnica, voi non potete approfittare di questa mozione per scivolare in una critica alla politica scolastica del Governo.

Per rispetto al regolamento stesso, io mi appello alla vostra sensibilità nella discussione; io vorrei che la discussione si riducesse a questo.

La prima critica è che la legge è stata fatta alla macchia e che di conseguenza è mancato quel certo tempo che si deve alla ponderazione necessaria in una decisione di tale natura. Ma questa critica non ha alcun fondamento perché, prima che si compissero le formalità per cui la legge fosse perfetta, il Ministro ne ha dato ampia pubblicità attraverso la stampa e attraverso lo stesso Bollettino della pubblica istruzione, il quale ha annunciato le elezioni. Non si tratta dunque di cosa fatta alla macchia.

Ma rimane una seconda critica, ed è che la brevità del tempo intercorrente tra la pubblicazione della legge e la data fissata per le elezioni non sia da reputarsi sufficiente, così che questa eccessiva angustia di tempo inciderebbe sulla normalità e la sincerità delle elezioni stesse. A me ciò pare inesatto; il dibattito su questo punto si è in particolar modo soffermato sulla impossibilità di far sì che, in così ristretto spazio di tempo, si possano delineare le candidature ed orientarsi i pareri dei votanti. Si è detto: non crediate che si possa dare, senza la dovuta ponderazione, un voto qualsiasi; bisogna che le candidature si formino, che di esse venga fatta ampia pubblicità, bisogna che vi siano delle liste.

Onorevoli colleghi, quando hanno luogo le elezioni politiche, si ode in genere discorrere di lettere che circolano, di nomi, di candidature e qualche volta anche di autocandidature: ma qui non si tratta di elezioni politiche; qui si tratta di una cosa profondamente diversa.

Il giorno 26 ognuno dovrà dire, in coscienza, chi sono i tre professori – per attenerci all’esempio della mia facoltà, quella di giurisprudenza – che ritiene i più degni non solo per l’operosità scientifica, ma anche e in particolar modo per la probità morale (e la probità morale non si accerta davvero nei pochi giorni procedenti alle annunciate elezioni; la probità morale si accetta attraverso mesi ed anni addirittura, si accerta attraverso tutta una vita di studi, tutta una vita di esperienze, di commissioni, di concorso, di insegnamento, di pensiero), quali sono dunque, i tre uomini che non soltanto per la loro competenza scientifica ma, direi, soprattutto per la dirittura morale sono i più degni di governarci; quali sono i tre uomini, i tre giuristi italiani, che sono i più degni di disporre del destino delle nostre cattedre, dei concorsi, delle commissioni di docenza, dei nostri trasferimenti da cattedra a cattedra diversa.

Se, dunque, questo è l’aspetto negativo raggiunto dalla decisione dell’onorevole Gonella, io credo che sia questo un felice effetto negativo, se così si può dire, perché allora veramente avremo quell’effetto… negativo rispondente alle aspettative in Italia.

Ma non è neppure così, purtroppo, perché da oltre un mese il Ministro ha annunciato le elezioni; e badate che in oltre un mese, attraverso – e sono lieto che arrivi in questo momento il Ministro delle poste e delle telecomunicazioni – il ripristinato funzionamento dei servizi di comunicazione, le liste di candidati possono circolare da un capo all’altro d’Italia in due giorni. (Commenti a sinistra). Ma, ancorché, onorevoli colleghi, voi vogliate ritenere che qualche cosa si è sacrificato attraverso questo breve spazio di tempo tra la pubblicazione della legge e le elezioni, non vi pare che spetti al Governo e al Ministro di valutare le due esigenze: sacrificare una perfetta, non dico normalità, ma una perfetta rispondenza delle elezioni a queste pretese inesistenti esigenze democratiche, o sacrificare gli interessi dell’istruzione pubblica che sono giacenti, che dormono da mesi, forse da qualche anno? In questo conflitto non volete riconoscere la discrezionalità del Governo di poter sacrificare in un momento così delicato della vita del Paese alcune esigenze invece di altre? Si è sacrificato tanto, e spesso ingiustamente! Le stesse elezioni del 2 giugno furono precedute soltanto di due mesi dalla pubblicazione del relativo decreto; e se i partiti non avessero preparato in precedenza le liste, si sarebbero forse trovati a disagio per il breve periodo di tempo concesso tra la pubblicazione del decreto e le elezioni. Quante cose sono state affrettate, quante variazioni, quante applicazioni di leggi sono andate in esecuzione, specialmente in materia fiscale attraverso anticipate circolari! Debbo ricordare, ad esempio, che con una circolare si adottò l’abolizione della ricchezza mobile per determinate categorie di lavoratori?

Ora, in un momento delicato come questo, così grave per l’urgenza della ricostruzione, che cosa significa sacrificare qualche piccolo dettaglio, quando la sostanza può essere salva?

Altra critica: la difficoltà di partecipare alle elezioni. Su questo punto, credo di poter affermare che il congegno, che non solo si trova in quell’ordinanza ministeriale così criticata, ma che è stato esposto anche dal Ministro, sia così perfetto, anzi, direi, largo da consentire a chiunque la massima comodità di votazione, implicando solo il fastidio per il votante di recarsi da casa sua ad una qualsiasi scuola che si trovi nelle vicinanze.

Obbligatorietà del voto. Ma si può dire fondatamente, seriamente, che in quell’ordinanza si parli di obbligatorietà del voto? Quando il Ministro si è limitato a richiamare ciascuno a questo dovere morale? Questo rientra anzitutto nei doveri del Ministro fra cui vi è quello di attivare lo spirito democratico in un Paese che esce da un regime dittatoriale. Voi dovreste apprezzare un Ministro (Commenti a sinistra) che dopo venticinque anni di dittatura nella scuola, quando nessuno di voi ha votato, ma ha dovuto subire i diversi organi, vuole risvegliare questa coscienza democratica; per quanto io sia convinto che la nobile categoria di elettori ai quali egli si rivolgeva, si senta così degna della sua responsabilità, da non sentire il bisogno di essere sollecitata dal Ministro. Ma, comunque, una sollecitazione del Ministro ad un risveglio dell’attività in questo senso, richiamare cioè la necessità morale, richiamare il senso di responsabilità e la coscienza di ciascuno a partecipare alla formazione degli organi preposti alla vita della propria amministrazione, è un atto che va elogiato e non criticato.

E qual è la sanzione? Segnalare quelli che non partecipano; ed il Ministro è forse in grado di esibire una cartella che riguarda l’attività di ogni singolo professore, in cui si segnano perfino le assenze dalle lezioni. Non volete che l’assenza dal voto possa essere messa alla pari almeno con l’assenza dalle elezioni? (Commenti – Interruzioni a sinistra).

TONELLO. Altro che morale! Voi sapete che difendete una causa ingiusta! (Rumori al centro – Interruzione del deputato Coccia).

È immorale! E dico il mio pensiero, piaccia o non piaccia!

LEONE GIOVANNI. Io vorrei che l’onorevole Tonello si rendesse conto che certi atteggiamenti, se sono utili dal punto di vista elettorale, in questa Assemblea non hanno nessuna risonanza (Applausi al centro).

TONELLO. Nessun atteggiamento elettorale! Non si deve speculare sulla moralità! (Proteste al centro – Interruzione del deputato Coccia).

LEONE GIOVANNI. Comunque, onorevoli colleghi, questo punto della cosiddetta obbligatorietà del voto è un punto sul quale voi potete esprimere un giudizio, giudizio che significherà per il Ministro segnalazione a non applicare quelle che voi chiamate sanzioni. Ma non importa, quel punto, rinvio delle elezioni, perché se quelle che voi chiamate sanzioni dovessero operare opererebbero dopo le elezioni. E allora l’Assemblea ha diritto su un’ordinanza o circolare ministeriale di esprimere un’opinione e può anche dire: noi riteniamo che sia stato mal fatto segnalare gli assenti alle elezioni. Ma questo non importa il rinvio delle elezioni. Vuol dire che il Ministro si asterrà dal tener conto delle segnalazioni, quelle che voi chiamate sanzioni. E allora, onorevoli colleghi, la situazione è questa: (Interruzioni – Commenti). Speravo per lo meno che, essendo uno dei deputati più contenuti nell’alzarsi a parlare, potessi avere la tolleranza dei colleghi.

Una voce a sinistra. Ne ha abusato!

LEONE GIOVANNI. La situazione è questa, onorevoli colleghi: richiamare in vita il procedente Consiglio Superiore. Oggi, ancorché il Ministro volesse attuare quello che non ha creduto opportuno di attuare – un invito a ritirare le dimissioni – un rinvio delle elezioni non è possibile, perché, essendo entrata in vigore la legge di cui andiamo discutendo, questa legge nell’articolo 25 porta l’abrogazione espressa (che è inutile perché l’abrogazione è implicita) della legislazione precedente. Il Ministro, se volesse attuare quell’invito che non ha creduto di attuare, non lo potrebbe; e quindi, anche se rinviasse le elezioni (è bene che questo sia tenuto presente ai fini della responsabilità che andiamo assumendo di fronte alla scuola) il Consiglio Superiore non potrebbe esistere.

E allora che cosa potrebbe fare il Ministro? Ecco un punto veramente importante che non è stato finora eccessivamente preso in considerazione da voi. Il Ministro aveva un solo potere: potere prima della legge della quale stiamo discutendo; avrebbe potuto (se la legge precedente non fosse stata abrogata con quella di cui discutiamo) sostituire i 23 membri dimissionari con altri 23 membri di sua nomina. E allora, di fronte a questa alternativa, io ho il diritto di domandare: di fronte a questo problema, anche politico, un Ministro, che dovendo scegliere fra due strade: ricomporre, rinsanguare il Consiglio Superiore con la nomina diretta e quindi con la possibilità di essere accusato di aver preso 23 amici o quasi amici; o invece affrettare con una legge che può essere imperfetta ma che ripristina il principio democratico (le elezioni del Consiglio Superiore), sceglie la prima; osate voi deplorarlo? È su questo che dovete giudicare, onorevoli colleghi. Se avesse sostituito i ventitré membri immediatamente, la vita universitaria sarebbe rifluita, sarebbe ritornata nel suo corso normale; i professori non attenderebbero da un anno i trasferimenti da una cattedra all’altra; le buste dei concorsi non starebbero giacenti in una cassaforte del Ministero; le libere docenze, che non sono state ancora riprese dopo la liberazione, non starebbero a dormire; la revisione dei concorsi, per cui multi studiosi attendono un atto di riparazione da tre anni, non sarebbe ulteriormente sospesa. Ed ancora altri settori non sarebbero rimasti paralizzati: le riforme di statuti; cattedre da sopprimere perché di impronta fascista; cattedre da istituire perché di impronta democratica: e, infine, il Consiglio Superiore sarebbe sopravvissuto con 23 membri di fiducia del Governo. Questo egli si è rifiutato di fare. Se ciò è vero, io, terminando, ho il diritto di dirvi (specie a voi colleghi di sinistra che vi siete scagliati contro l’operato del Ministro): se siete pensosi della scuola – come non vorrei dubitare – ed insieme entusiasti del ripristino del metodo democratico, che noi avremmo dovuto presagire, lungi dal tentativo di rinvio, la facilitazione di questo primo esperimento di costituzione degli organi consultivi democratici, elettivi della scuola. La democrazia, in un Paese che ne è rimasto privo per oltre venti anni, non si restaura d’incanto: essa procede per gradi e, provando e riprovando, approda a quelle sponde della perfezione e dell’armonia, che sono nella nostra unanime aspirazione. Ci saremmo attesi, dopo un esperimento di Consiglio Superiore di nomina ministeriale, sia pure in persone di rispettabili maestri, che un provvedimento legislativo, il quale attuava una ricostruzione del Consiglio Superiore, a larga base elettiva, e che dopo moltissimi anni ripristinava una Sezione per l’insegnamento medio ed una sezione per l’insegnamento elementare, riconoscendo così a questi due settori dell’insegnamento il prestigio e la dignità che loro spettano; ci saremmo attesi che questo provvedimento, che costituisce un notevole passo sulla difficile via della ricostruzione dell’amministrazione statale, avesse placato le nostre e le vostre ansie verso quella giustizia nell’amministrazione che si realizza soprattutto mediante organi consultivi ed elettivi. È amaro per noi assistere a questo schieramento. Le dimissioni del Consiglio Superiore potevano rispondere a questa alternativa: o sostituire i membri dimissionari o accelerare le elezioni del nuovo Consiglio Superiore, anche perché quello dimissionario non avrebbe potuto prorogare la sua vita oltre il 15 ottobre 1947.

Fra un atto di autorità per la sostituzione di molti membri dimissionari – senza dubbio legittimo, ma forse inopportuno e facilmente criticabile – e una iniziativa di ricostituzione democratica dell’organo, il Ministro ha scelto la seconda strada.

Nella legge vi potranno essere incongruenze e difficoltà pratiche, ma il danno non sarà grave. A parte la possibilità che la correttezza di un Ministro, e soprattutto il controllo parlamentare, potranno perfezionare la legge, non è da dimenticare che il prossimo Parlamento, il quale sarà certamente in funzione fra non molto, avrà i più ampi poteri di apportare le rettifiche e gli emendamenti necessari. Tutto questo è dettaglio. La verità, che nessun avversario e nessun artificio di propaganda potrà oscurare, resta chiara ed è che l’operato dell’onorevole Gonolla risponde a un senso di indiscutibile correttezza e soprattutto di democrazia. (Applausi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Croce. Ne ha facoltà.

CROCE. Tra i motivi per i quali è stata fissata nella tornata antimeridiana la discussione di questa mozione, è stato detto che un deputato più che ottantenne desiderava esservi presente e non avrebbe potuto in una seduta notturna. Tale motivo era bensì gentile nell’intenzione, ma inopportuno politicamente, come è stato notato da altro più rigoroso osservatore delle buone norme, e io mi associo a lui.

Ora, venendo al motivo per il quale prendo la parola dirò quale questo sia. Sono stato anch’io al posto che ora occupa l’onorevole Gonella, e proprio quando il Partito cattolico o popolare fece la sua prima e grande entrata nel Parlamento italiano. Liberale e laico e già autore di quella filosofia che a tutti era nota e la Chiesa non aveva creduto allora conveniente di innalzare all’onore dell’indice, io riuscii molto gradito ai cattolici per la mia connaturata imparzialità.

Ricordo una discussione con uno dei loro uomini più autorevoli, di poi senatore, intorno a certe richieste delle scuole confessionali, nella quale io gli dimostrai il punto in cui dovevo fermarmi, e il bravo uomo, persuaso, si levò e si accomiatò dicendomi; ab amicis justa petamus. Ricordo che Don Sturzo, che tanto bene starebbe ora in questa Aula, quando accadde la crisi del Ministero Giolitti, venne da me a dirmi che il Partito popolare avrebbe puntato sul mio nome per la nuova combinazione, e io gli feci osservare, ridendo, che egli aveva dimenticato che io ero un liberale! Memorie di tempi lontani. E se nelle crisi dei nostri giorni deprecai che il Ministero dell’istruzione fosse occupato dai democristiani, è tra l’altro perché io temevo gli effetti della lunga brama e della lunga astensione, e gli eccessi e le prepotenze che ne sarebbero seguiti.

Ciò purtroppo è accaduto e l’onorevole Gonella, del quale pregio l’ingegno e che sono dolente di dover criticare, ricordevole della molta cortesia di cui m’ha dato prove, ha troppo fatto nell’interesse della sua parte e ha suscitato molto scontento e opposizione negli animi. Di ciò è prova il suo contegno verso i deliberati pareri del Consiglio Superiore dell’istruzione, che anche uomini insigni della sua parte hanno deplorato, e sul quale io non mi distenderò, benché potrei illustrarlo con qualche esempio assai efficace. E, per di più, egli ha adottato un metodo, che dirò imperatorio nel sentimento e precipitoso nell’esecuzione; e anche di questo è prova la riforma del Consiglio Superiore, alla quale ha avuto un anno intero per pensare e che ha attuato con un decreto urgentissimo, togliendo all’Assemblea il respiro per esaminarlo e criticarlo ed emendarlo.

Ier l’altro mi si è detto che con un simile decreto è stato provveduto al patronato scolastico: un’istituzione che fu già fatta da me nel 1920, con una semplice circolare, perché così come l’avevo formata non costava niente allo Stato, non richiedeva nuovi impiegati, e contava sull’interessamento e concorso delle famiglie degli alunni abbienti, che si manifestò molto largo e volenteroso.

Non ho avuto mai il proposito di diventare il critico dell’opera dell’onorevole Gonella, per la pratica ragione che altri e più dolorosi problemi mi occuparono e che mi mancava il tempo e la forza per questo particolare lavoro, che spettava a più giovani e più alacri colleghi. Ma nell’occasione che mi si è ora presentata ho sentito il dovere di stare accanto ad essi e unirmi alle loro ben ragionevoli richieste, con la speranza che l’onorevole Gonella finisca con l’accettarle, reprimendo in sé il naturale impulso che porta a ostinarsi per impegno di amor proprio, il quale in questo caso (l’amico Nitti ama celiare sulle parole della Chiesa che mi suonano sovente sulla labbra) sarebbe un atto di superbia e, sotto colore della fermezza da dimostrare, una suggestione del Maligno. (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Di Fausto. Ne ha facoltà.

DI FAUSTO. Essendo fra i pochissimi in questa Assemblea interessato ai problemi dell’arte, io non posso non fare un accenno al Consiglio Superiore delle belle arti, riportandomi anche a precedenti dichiarazioni. Particolarmente mi riferisco alle dichiarazioni fatte il 4 giugno, quando tentai di sottrarre dopo le «Antichità e Belle Arti» anche la «Urbanistica» dall’ingerenza delle Regioni.

In quella occasione deplorai la mancata creazione di quell’organismo autonomo che, in piena emergenza, dopo le gravi ferite inferte dalla guerra, avrebbe dovuto presiedere con visione unitaria ed organica, a tutte le attività artistiche ed alle enormi necessità della ricostruzione. Mi ridussi ad invocare in quella occasione la più sollecita ricostituzione del Consiglio Superiore delle belle arti, supremo organo tecnico consultivo, al quale solamente possono essere deferiti i gravissimi problemi che interessi contrastanti potrebbero compromettere irrimediabilmente.

Esemplificai, fra i tanti temi in attesa di esame, le questioni relative al Palazzo della Ragione a Ferrara, al Palazzo dei Tribunali a Vicenza, all’ex Palazzo Reale di Milano, al restauro dei Duomo di Modena, al grattacielo sul mare di Napoli, alle Mura Urbane di Piacenza, alla ricostruzione del Ponte di mezzo e dei quartieri interni di Pisa, alla ricostruzione dei Borghi intorno al Ponte Vecchio di Firenze.

Sorvolai sui problemi peculiari di Roma che avevo trattati precedentemente, ma non potei non denunciare la minaccia che sia infirmato il vincolo panoramico che tutela la suggestione dell’Appia antica.

Illustrai infine la minaccia che grava sulla Basilica di San Marco. Ma questa Assemblea, che dedicò una intera settimana a discutere sulla formula di giuramento di fedeltà alla Repubblica, non troverà certo una mattinata da dedicare a questi più veri e più alti problemi di interesse nazionale e internazionale.

Esigenze – queste da me denunciate – che superano qualunque critica e qualunque polemica.

Ecco perché fui indotto a sollecitare ed a scongiurare che fosse ricostituito senza ulteriore indugio il Consiglio Superiore delle belle arti.

Sono pertanto sodisfatto di constatare che questo problema sia finalmente all’ordine del giorno.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Rivera. Ne ha facoltà.

RIVERA. Onorevoli colleghi, non avrei preso la parola in questa discussione se da più parti e, questa mattina stessa, da alcuni colleghi della Facoltà di scienze dell’Università di Roma riunita in Commissione di laurea, non mi fosse stata confidata una loro vivissima preoccupazione di andare incontro, a causa di questa discussione, ad un ulteriore prolungamento della loro attesa. Io parlo dunque a nome dei colleghi meno anziani, giacché per quelli più anziani il problema è diverso.

Per i primi questo problema è divenuto angustiante ed assillante: si tratta in molti casi di persone che hanno superato la quarantina, di specialisti che hanno trascorso una vita a studiare, chiusi nell’Università, a cercare di far progredire la scienza.

Qui si sono discusse eleganti tesi giuridiche, si sono fatte acute disamine di competenze, raffinate valutazioni di poteri, ma nella discussione è rimasto dimenticato l’interesse massimo che noi dovremmo curare e tutelare, quello dell’alta cultura, delle Università e, per queste, degli insegnati universitari.

La parte migliore e più meritevole di questi è, come già detto, impressionata della possibilità di un rinvio, che può significare per loro l’oscurarsi della speranza di poter presto salire la cattedra di quella disciplina per la quale hanno lavorato per decenni e della quale si sono resi ormai talora altamente benemeriti. Si tratta di diecine di colleghi che ci ostiniamo a chiamar giovani, anche se ultra quarantenni, i quali hanno sopportato in questo ventennio l’amara martellatura di concorsi non indetti o peggio male eseguiti.

Accennerò ad un episodio, che ho vissuto, perché riguarda un mio allievo.

Si fa un concorso per cattedra universitaria: Presidente della Commissione è un senatore fascista e questi, con pugni sul tavolo e mezze parole di colore oscuro, impone la soluzione seguente al concorso: una parte dei concorrenti è idonea scientificamente, ma non didatticamente, un’altra parte è idonea didatticamente, ma non scientificamente. Io non ho mai capito come una persona non idonea scientificamente, cioè non sufficientemente preparata, possa efficacemente insegnare, cioè essere un didatta idoneo, come non ho mai capito come possa una Commissione, che neppure forse conosceva la faccia dei candidati, tutti liberi docenti, giudicare di inidoneità didattica persone non messe alla prova.

Questo arbitrio, evidente per l’assurdo logico attraverso il quale è stato perpetrato, e con così poca graziosità, a carico di una schiera di una diecina di giovani, che sono poi rimasti per dodici o quattordici anni ad aspettare che queste cattedre di cui erano evidentemente degni, almeno in parte venissero finalmente loro concesse subito dopo la caduta del fascismo, è uno dei tanti che la originalità del fascismo ha saputo escogitare. Ad alcuni di questi candidati si chiudevano le porte in faccia quali «sospetti» ad occhi fascisti in quanto, non si crederebbe, discepoli di persone non in odore di santità presso il partito fascista. Questo è uno degli esempi; ve ne sono tanti altri del genere, o diversi.

Orbene, nell’ambiente universitario si invoca solo che agli insegnanti universitari sia lasciata libertà di fare. Oggi sono indette delle elezioni ed ad essi poco importa se perfetta sia la forma giuridica escogitata, perché esprimano con la scheda il loro pensiero. Gli insegnanti universitari intendono di essere tutori di se stessi, ci dispensano volentieri dal compito di far noi da tutori alle scienze ed ai cultori di scienza.

Esistono delle liste, che circolano è vero, ma personalmente ho fatto esperimento, parlandone con colleghi di varie Università, che nessuna è di gradimento, sicché succederà che saranno nominate al Consiglio Superiore della pubblica istruzione le personalità più degne del mondo universitario. Non è dunque gradita questa nostra premurosa tutela fatta di argomentazioni giuridiche più o meno valide e perciò lasciamo che le nomine i professori universitari le facciano a loro piacimento.

C’è una preoccupazione nelle parole che ha pronunciato qualcuno di quella parte (Accenna a sinistra): quella di far tornare al Consiglio Superiore quelle stesse persone che facevano parte del Consiglio Superiore dimissionario. Ebbene, io vi dico: se i professori universitari italiani hanno per quelle persone questa stessa predilezione dei colleghi che questo ci hanno fatto capire, essi hanno il modo, votando nomi dei vecchi componenti dei Consiglio Superiore di riporli sull’antico scanno: ciò attraverso la scheda che loro si offre.

Ma la cosa che importa, l’interesse dell’Università è quella di coprire le cattedre al più presto possibile. Io vi chiedo che lasciate che i nostri docenti votino come essi credono affinché sia accelerato il completamento dei quadri delle nostre Università. Questo mi sembra il problema essenziale e se qualche valore ha la mia voce, essa vuole farsi interprete del desiderio di questi studiosi, non più giovani, che hanno atteso tanto tempo. Questa è la preghiera che io porto, a loro nome, all’Assemblea Costituente oggi, che lasciate che abbia libero sviluppo questa votazione, onde siano degnamente e presto riempiti i quadri della nostra alta cultura con coloro che sono capaci di dar lustro alla scienza e, attraverso quella, di dar lustro all’Italia. (Applausi al centro).

TONELLO. Hanno atteso tanti anni con la tessera fascista in tasca e possono aspettare ancora!

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro della pubblica istruzione.

GONELLA. Ministro della pubblica istruzione. Ringrazio vivamente coloro che sono intervenuti in questo dibattito e particolarmente l’onorevole Leone, che ha esposto in maniera così precisa i motivi sui quali, già nel corso di due interpellanze, ho avuto occasione di intrattenermi.

Purtroppo oggi non avrei che da ripetermi per la maggior parte delle argomentazioni.

Sono grato anche all’onorevole Parri di aver portata la discussione in una sfera più alta di serenità, che particolarmente conferisce alla trattazione dei temi scolastici e di tutti i problemi che riguardano la dignità della scuola.

Il Governo non ha nulla da aggiungere a quello che ha sostenuto ed il suo punto di vista in rapporto a questa mozione è il seguente: il Governo si rimette a quello che sarà il voto della maggioranza dell’Assemblea e farà suo il voto della maggioranza dell’Assemblea. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. Onorevole Parri, a norma del regolamento, ella ha ancora diritto di parlare. Vuole usufruire di questo suo diritto?

PARRI. Vorrei rispondere al Ministro Gonella ed ai colleghi della Democrazia cristiana che le argomentazioni addotte dall’onorevole Leone, se costituiscono un’arringa degna della sua fama, non hanno potuto avere nessun potere persuasivo su di noi, perché esse hanno girato intorno al nocciolo dell’argomento ed alla sostanza della controversia.

Se lei, onorevole Ministro, si rimette al parere dell’Assemblea per cercare di sollecitare un atto da risolvere nel miglior modo e di trovare degli espedienti che possano tener conto della situazione che ha prospettato qui il professore Rivera, noi saremmo disposti ad omettere alcuni «considerando» della nostra mozione, cioè quelli che possono sembrare una presa di posizione contro di lei, contro il suo Ministero e contro la sua politica scolastica, mantenendo l’invito a sospendere l’esecuzione del provvedimento e insistendo nel sottoporre il nuovo ordinamento all’Assemblea Costituente.

PRESIDENTE. Si passa allora alla votazione della mozione, dato che l’onorevole Parri ha dichiarato di conservarla.

PARRI. La mozione è subordinata ad una risposta del Ministro; potrebbe cioè essere resa non necessaria solo con l’accettazione sostanziale delle nostre richieste. Mancando tale risposta, la conservo, modificandola nei seguenti termini:

«L’Assemblea Costituente invita il Governo a sospendere l’esecuzione del provvedimento relativo alla ricostituzione del Consiglio Superiore della pubblica istruzione ed alle relative elezioni;

«a risolvere la vertenza con l’attuale Consiglio Superiore della pubblica istruzione, ed a sottoporre il nuovo ordinamento all’Assemblea Costituente».

PRESIDENTE. Comunico all’Assemblea che su questa mozione è stata chiesta la votazione per appello nominale dagli onorevoli Mazza, Leone Giovanni, Mattarella, Numeroso, Marconi, Pat, Medi, Galati, Moro, Benvenuti. D’altra parte, gli onorevoli Fiorentino, Pistoia, Carpano Maglioli, Proti, Grilli, Cartia, Lombardi Riccardo, Foa, Binni, Filippini, Malagugini, Mariani Enrico, Morandi, Dugoni, Lussu, Codignola, Ghidini, Bernini, Vernocchi, Fioritto, Zanardi, Caporali, Bocconi, Rossi Paolo, Merighi, Faccio, Jacometti, Fornara, Giua e Cacciatore hanno chiesto la votazione a scrutinio segreto.

A termini di Regolamento ha prevalenza la richiesta di votazione a scrutinio segreto.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Indico la votazione a scrutinio segreto sulla mozione dell’onorevole Parri.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione e invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto:

Presenti e votanti       412

Maggioranza              207

Voti favorevoli          218

Voti contrari              194

(L’Assemblea approva – Applausi a sinistra – Commenti).

Voci a sinistra. Dimissioni! dimissioni!

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Adonnino – Alberti – Allegato – Amadei – Amendola – Andreotti – Angelini – Angelucci – Arata – Arcangeli – Assennato – Avanzini – Azzi.

Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Barbini – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Bassano – Basso – Bastianetto – Bei Adele – Bellato – Bellusci – Belotti – Bencivenga – Benvenuti – Bergamini – Bernabei – Bernamonti – Bernini Ferdinando – Bertola – Bertone – Bettiol – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Bianchi Costantino – Bianchini Laura – Binni – Bitossi – Bocconi – Bonomelli – Bonomi Paolo – Bordon – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Braschi – Brusasca – Bubbio – Bucci – Bulloni Pietro – Buonocore – Burato.

Cacciatore – Caiati – Calamandrei – Calosso – Camangi – Camposarcuno – Canevari – Cannizzo – Caporali – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Caprani – Carbonari – Carboni Angelo – Carboni Enrico – Carignani – Caristia – Carmagnola – Caroleo – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Cartia – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavalli – Cavallotti – Cerreti – Cevolotto – Chatrian – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cifaldi – Cimenti – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Codignola – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Colonna di Paliano – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsanego – Corsi – Cortese – Costa – Costantini – Cotellessa – Covelli – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo – Croce.

D’Amico Michele – De Caro Gerardo – De Caro Raffaele – De Falco – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Martino – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Di Giovanni – Di Vittorio – Dominedò – D’Onofrio – Dossetti – Dozza – Dugoni.

Ermini.

Fabriani – Facchinetti – Faccio – Fantoni – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Ferreri – Fietta – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Fioritto – Firrao – Flecchia – Foa – Fognagnolo – Foresi – Fornara – Fuschini.

Gabrieli – Galati – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Gatta – Germano – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Ghidini – Ghislandi – Giacchero – Giacometti – Giannini – Giolitti – Giordani – Giua – Gonella – Gorreri – Gortani – Gotelli Angela – Grazi Enrico – Grazia Verenin – Grieco – Grilli – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jacini – Jacometti – Jervolino.

Labriola – Laconi – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca –Lazzati – Leone Giovanni – Lettieri – Li Causi – Lizier – Lizzadri – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo – Longhena – Longo – Lozza – Luisetti – Lussu.

Macrelli – Maffi – Maffioli – Magnani – Magrassi – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Malvestiti – Mancini – Mannironi – Manzini – Marazza – Marchesi – Marconi – Mariani Enrico – Marinaro – Martinelli – Marzarotto – Massini – Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mastrojanni – Mattarella – Mazza – Meda Luigi – Medi Enrico – Mentasti – Merighi – Merlin Angelina – Merlin Umberto – Mezzadra – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molinelli – Montagnana Rita – Montalbano – Monterisi – Monticelli – Montini – Morandi – Moranino – Morelli Luigi – Morelli Renato – Moro – Mortati – Moscatelli – Murgia – Musolino.

Nasi – Negarville – Negro – Nenni – Nicotra Maria – Nobile Umberto – Nobili Oro – Noce Teresa – Novella – Numeroso.

Orlando Camillo – Orlando Vittorio Emanuele.

Pajetta Gian Carlo – Pallastrelli – Paolucci – Paratore – Parri – Pastore Raffaele – Pat – Pecorari – Pellegrini – Penna Ottavia – Pera – Perlingieri – Perrone Capano – Pertini Sandro – Perugi – Pesenti – Piccioni – Piemonte – Pignedoli – Pistoia – Platone – Ponti – Porzio – Pratolongo – Pressinotti – Preti – Preziosi – Priolo – Proia – Pucci – Puoti.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Rapelli – Reale Eugenio – Recca – Rescigno – Restagno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Rognoni – Romano – Romita – Roselli – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Ruggeri Luigi – Rumor – Russo Perez.

Saccenti – Saggin – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sansone – Sardiello – Scalfaro – Scarpa – Scelba – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Secchia – Segala – Selvaggi – Sereni – Sicignano – Silipo – Simonini – Spallicci – Spano – Spataro – Stampacchia – Stella – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Targetti – Taviani – Tega – Terranova – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Tomba – Tonello – Tonetti – Tosi – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi – Tumminelli – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Valiani – Valmarana – Vanoni – Vernocchi – Viale – Vicentini – Vigna – Vigo – Vigorelli – Villani – Vinciguerra – Vischioni.

Zaccagnini – Zagari – Zanardi – Zannerini – Zappelli – Zerbi – Zuccarini.

Sono in congedo:

Ambrosini.

Bellavista.

Fedeli Aldo – Ferrarese.

Galioto.

Lombardo Ivan Matteo.

Pignatari.

Raimondi.

Ravagnan.

Saragat.

Zotta.

PRESIDENTE. Rinvio il Seguito dello svolgimento dell’ordine del giorno alla prossima seduta antimeridiana.

La seduta termina alle 12.50.

POMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 23 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CXCVIII.

SEDUTA POMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 23 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

indi

DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Verifica di poteri:

Presidente

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di un’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

Presidente

Cappi

Corbino

Scoccimarro

Rescigno

Carbonari

La Malfa, Relatore

Pella, Ministro delle finanze

Bonomi Paolo

Bertone

Uberti

Vigorelli

Clerici

Crispo

Bosco Lucarelli

Cannizzo

Castelli Edgardo

Micheli

Dugoni

Marinaro

Pesenti

Fabbri

Einaudi, Vice Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro del bilancio

Valiani

Sulla fissazione dell’ordine del giorno:

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri

Orlando Vittorio Emanuele

Presidente

Canepa

Giannini

Cevolotto

Valiani

Togliatti

Crispo

Gronchi

Nenni

Selvaggi

Labriola

Votazione nominale:

Presidente

Risultato della votazione nominale:

Presidente

Sull’ordine dei lavori:

Codignola

Gronchi

Croce

Presidente

Selvaggi

Gonella, Ministro della pubblica istruzione

Malagugini

La Malfa

Interpellanze e interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri

Pertini

Grassi, Ministro di grazia e giustizia

Targetti

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia allo 17.

AMADEI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Verifica di poteri.

PRESIDENTE. Comunico che la Giunta delle elezioni, nella riunione odierna, ha verificato non essere contestabili le elezioni dei deputati:

Enrico Carboni, per la circoscrizione di Cagliari (XXXI), lista del Partito democratico cristiano;

Eliseo Giovanni Magrassi, per il Collegio unico nazionale, lista del Partito repubblicano italiano;

e, concorrendo negli eletti i requisiti previsti dalla legge elettorale, ne ha dichiarata valida l’elezione.

Do atto alla Giunta di questa sua comunicazione e, salvi i casi di incompatibilità preesistenti e non conosciuti sino a questo momento, dichiaro convalidate queste elezioni.

Seguito della discussione del disegno di legge:

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione sul disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio.

Come l’Assemblea ricorda, abbiamo stamane rinviato i nostri lavori con l’intesa che tra Governo, Commissione ed i vari proponenti di emendamenti all’articolo 72 si cercasse di giungere ad una formulazione concordata. Comunico che l’accordo è stato raggiunto con la proposta di un emendamento così formulato:

«Aggiungere dopo il primo comma:

«Quando l’imponibile non supera le lire 400.000, fermo restando l’obbligo di pagamento delle rate di giugno e agosto 1947, l’imposta rimanente è riscossa in sedici rate uguali fino all’aprile 1950.

«Per le Opere pie, gli Istituti ed enti di beneficenza od assistenza legalmente costituiti e riconosciuti, gli Istituti di istruzione, i Corpi scientifici, le Accademie e Società storiche, letterarie, scientifiche, aventi scopi esclusivamente culturali, gli enti il cui fine è equiparato, a norma dell’articolo 29, lettera h) del Concordato, ai fini di beneficenza e di istruzione, le partecipanze ed università agrarie, il pagamento dell’imposta è fissato in trenta rate uguali fino all’aprile 1952».

«Aggiungere al quarto comma del testo governativo:

«L’abbuono è del 15 per cento, quando l’imponibile non superi le lire 400.000, e del 20 per cento per le Opere pie e gli altri enti di cui al terzo comma».

CAPPI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAPPI. Onorevoli colleghi, mi dispiace di non poter concordare col nuovo testo, che si dice concordato.

PRESIDENTE. Scusi, onorevole Cappi, fa una dichiarazione di voto?

CAPPI. Non ho chiesto di parlare per dichiarazione di voto. Non posso insistere sul mio emendamento?

PRESIDENTE. No, se lei ritira il suo emendamento ha cinque minuti per potere dichiarare le ragioni per cui lo ritira. Altrimenti non posso darle la parola, se non per una dichiarazione di voto.

CAPPI. Farò allora una dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAPPI. Non posso votare l’emendamento proposto dal Governo. Non lo posso votare perché (non vorrei usare parole grosse) il votarlo, da parte mia e da parte di coloro che hanno aderito al mio emendamento, sarebbe una mancanza di lealtà. Non trovo altra parola. Perché ieri sera io e coloro che hanno aderito al mio emendamento – il quale proponeva una notevole rateazione a favore dei piccoli proprietari – abbiamo votato contro l’emendamento Scoccimarro-Pesenti, dichiarando che era però anche nel nostro intendimento venire incontro alla piccola proprietà. Solo che differivamo nel modo; e abbiamo detto che eravamo contrari all’esenzione, ma eravamo favorevoli ad una notevole rateazione che facilitasse il pagamento da parte dei piccoli proprietari.

Aggiungo che il Governo, pur senza fare cifre, ieri sera aveva detto di essere sulla stessa linea, cioè di essere disposto a concedere notevoli rateazioni.

Nell’adunanza di stamane, prima che si riprendesse la seduta, io avevo moderato i termini del mio emendamento e avevo aderito a portare a cinque anni, invece di dieci, la rateazione per le opere pie e gli enti morali, avevo aderito a portare a tre anni, invece di cinque, la rateazione per i piccoli patrimoni e a diminuire il limite imponibile da un milione e mezzo ad un milione.

Francamente, se io dovessi aderire ad un emendamento, il quale è pressoché irrisorio nei vantaggi che concede alla piccola proprietà – perché porta il termine di pagamento da un anno e qualche cosa a sedici mesi ed il minimo imponibile da 1.500.000 lire a 400.000 – mancherei a quello che è un mio profondo convincimento e potrei essere accusato di poca lealtà da parte di coloro (l’onorevole Scoccimarro, l’onorevole Pesenti ed altri) che avevano aderito al mio emendamento.

Per queste ragioni sono contrario all’emendamento proposto dal Governo e mantengo il mio.

CORBINO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Dichiaro che voterò a favore dell’emendamento concordato dalla Commissione con alcuni dei presentatori. Voterò a favore, perché giudico che la formula – per quanto sia lontana dalle speranze che potevano essere nate in altri presentatori di emendamenti per cifre più alte – risponda a quel principio di venire incontro alle categorie che meno possono oggi affrontare il pagamento dell’imposta decennale.

In corrispettivo, rinuncio anche per parte mia a sostenere l’elevazione del minimo imponibile da 3 a 5 milioni, in quanto ritengo che gli oneri che i contribuenti sono chiamati ad assolvere con questa legge, con i temperamenti che sono stati già introdotti, specialmente in materia di accertamento di valori, rispondano alla possibilità di sopportazione della più larga parte di essi. Vi possono essere delle piccolissime frazioni della massa dei contribuenti che per ragioni di carattere personale o contingente non saranno in condizioni di pagare questa imposta, come non possono pagare nemmeno le altre. Da che mondo è mondo vi sono stati sempre dei contribuenti che non hanno potuto pagare l’imposta; né abbiamo noi sentito la necessità di turbare il normale assetto del sistema tributario per venire incontro a questi casi di carattere particolare.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Dichiaro, a nome del gruppo comunista, che noi voteremo per l’emendamento Cappi il quale, benché non risponda a tutte le esigenze espresse dal nostro emendamento, fra tutti gli altri è ancora il migliore, a nostro modo di vedere, che si presenta alla nostra votazione; ed è quello che più si avvicina a quelle che secondo noi sono le esigenze di difesa dei piccoli patrimoni.

RESCIGNO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RESCIGNO. Ritiro il mio emendamento per aderire a quello dell’onorevole Cappi.

CARBONARI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARBONARI. Dichiaro di associarmi all’emendamento Cappi.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Io ho già detto troppo in materia: aggiungerò semplicemente che l’accettazione dell’emendamento Cappi toglie ogni significato all’imposta straordinaria proporzionale.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Devo associarmi all’onorevole Relatore nel pregare l’Assemblea di misurare la portata dell’emendamento Cappi. Io ho l’impressione che si sia molto al di là di quella zona opinabile in cui si cerca il limite della giusta difesa dei piccoli proprietari. La Commissione, il Governo e diversi presentatori di emendamenti avevano ritenuto di trovare questo limite nelle 400.000 lire di valore accertato ai fini dell’imposta ordinaria sul patrimonio per il 1947; che significa, in linea di valori attuali, una cifra che oscilla fra il milione ed il milione e mezzo. Io vorrei pregare che in questo momento, davanti alla possibilità di uno schieramento dell’Assemblea favorevole ad un emendamento che tanto si sposta da quello concordato fra il Governo e la Commissione, vorrei pregare – ripeto – l’onorevole Cappi di misurarne tutta la portata e, nell’eventualità ch’egli ritenga di potere sia quanto ottenerne l’approvazione, di vedere se non meno il caso di limitarlo nella sua portata.

CAPPI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAPPI. Da quanto ho detto, ritengo di essere già andato incontro al desiderio espresso dall’onorevole Ministro delle finanze; perché, ripeto – ma è bene chiarire, perché il testo modificato non è ancora al banco della Presidenza – che, mentre ieri avevo proposto…

PRESIDENTE. Il testo modificato non è ancora pervenuto.

CAPPI. L’ho annunciato ora. Ad ogni modo ritengo di essere venuto incontro al desiderio del Ministro delle finanze mitigando il mio emendamento notevolmente, perché per le Opere Pie riducevo da dieci a cinque anni il termine di rateazione ed accettavo integralmente la formula proposta dal Governo e che abbiamo sentito leggere pochi minuti fa.

Per i patrimoni privati, non di enti, la rateazione che avevo proposto in cinque anni la riduco a tre anni, cioè al 31 dicembre 1950 e mentre prima avevo insistito perché la rateazione fosse concessa ai patrimoni non superiori all’imponibile di un milione e mezzo, ora la riducevo ad un milione e potrei, anche per desiderio di accordo, limitarla a 750 mila lire. (Commenti a sinistra).

Ma contro le osservazioni, e non polemizzo, del Presidente della Commissione di finanza, per il quale mi associo all’elogio fatto stamani dall’onorevole Basile e dall’onorevole Mazzei di essere un simpatico, perché antidemogogico, tutore degli interessi dello Stato, osservo che ieri sera l’onorevole Ministro delle finanze, pur senza fare cifre, aveva lasciato chiaramente intendere a tutta l’Assemblea che, se respingeva l’emendamento Scoccimarro, era però sulla linea di concedere notevoli facilitazioni, in tema di rateazione, ai piccoli proprietari. Ed osservo ancora che il pericolo per il bilancio dello Stato circa un minor gettito dell’imposta è eliminato dalla facilità del riscatto, perché il mio emendamento propone un abbuono del venti per cento a favore di chi riscatta e siamo sicuri che la maggior parte dei contribuenti riscatterà. Quindi le difficoltà di cassa dello Stato saranno minori. Concludendo, onorevole Presidente, il mio emendamento si concreta così: per la prima parte che riguarda gli enti morali – e che si può votare per divisione – concorda con l’emendamento del Governo; per i patrimoni privati per tutte le partite il cui imponibile sia inferiore a lire 750 mila, il termine è portato al 31 dicembre 1950 e l’abbuono, in caso di riscatto sarà del venti per cento.

Il comma aggiuntivo resterebbe pertanto così formulato definitivamente:

«Il termine di pagamento è portato a cinque anni per le Opere pie e gli Enti morali.

«Per tutte le partite il cui imponibile sia inferiore a lire 750 mila, il termine è portato al 31 dicembre 1950 e l’abbuono in caso di riscatto sarà del venti per cento.

«Coloro che avessero già effettuato il riscatto con l’abbuono del dieci per cento avranno diritto ad ottenere l’abbuono dell’ulteriore quindici per cento».

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Vorrei fare una proposta. La sostanza del dissidio è questa: il Relatore propone il pagamento entro tre anni; l’onorevole Cappi lo propone entro 3 anni. La cifra sarebbe di 400 mila per il Relatore e 750 mila per l’onorevole Cappi.

Io credo che si potrebbe consentire, su richiesta del contribuente, di effettuare il pagamento in tre anni, anziché in due, col pagamento del due per cento di interesse. E così potremmo trovare l’accordo.

PELLA, Ministro dette finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro dette finanze. È una materia difficilmente suscettibile di transazione per la sua stessa natura. Tutto quello che il Governo potrebbe consentire, sarebbe di ammettere, oltre le 400 mila lire, limite sino al quale opera un diritto di rateazione, una possibilità di rateazione da parte dell’Amministrazione finanziaria nei confronti dei contribuenti che veramente ne abbiano la necessità, dietro pagamento eventualmente di quel due per cento cui accenna l’onorevole Corbino. Ma l’elevazione del minimo, quanto dire un diritto ugualmente operante per tutti, il Governo non potrebbe consentirla. Lascio naturalmente all’Assemblea la possibilità di una diversa determinazione.

BONOMI PAOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BONOMI PAOLO. Io ho presentato un emendamento preciso, che in certo qual senso si può abbinare anche a quello del collega Cappi, abbinamento che tiene conto anche delle esigenze degli uffici finanziari. Io ho chiesto questo: tenuto conto che un poco da tutti i settori di quest’aula si è richiesto di considerare quelle che sono le condizioni dei piccoli proprietari di terreni e di case, io chiedo: per le partite di imposta inferiori alle ventimila lire (cioè mezzo milione) la rata di agosto dovrà purtroppo essere pagata prima che la legge entrerà in vigore; resteranno da pagare altre otto rate. Il valore di queste otto rate dovrebbe essere diviso per tre, cosicché abbiamo ventiquattro rate e andiamo all’agosto del 1951. Per le partite di imposta fra le 20 e le 40 mila lire (cioè valore un milione), invece che in otto rate, in sedici rate, di modo che anche per il fisco che ha già iscritto a ruolo queste partite, sarà semplice, dividendo per due e per tre, poter concedere questa facilitazione ai piccoli proprietari il cui valore patrimoniale non supera un milione da una parte e mezzo milione dall’altra.

In sostanza il mio si avvicina all’emendamento Cappi, ma io ritengo vada ancora più incontro ai piccolissimi proprietari e al fisco.

PRESIDENTE. Ritengo che il suo emendamento possa seguire quello dell’onorevole Cappi.

Ha chiesto di parlare l’onorevole Bertone per dichiarazione di voto. Ne ha facoltà.

BERTONE. Io sono uno dei firmatari dell’emendamento Cappi, e ho firmato in piena coscienza, perché ritenevo che fosse giusto andare incontro alle esigenze di quelle categorie che l’emendamento contempla. Ma questo emendamento, come accade sempre, ha suscitato obiezioni ed eccezioni e per dirimere le eccezioni e le obiezioni stamane si è affidato al Governo ed alla Commissione di vedere come si potevano comporre queste divergenze. Oggi ci si comunica che il Governo e la Commissione, tenuto conto delle esigenze di coloro a cui si voleva pensare e delle esigenze non meno inderogabili del bilancio, dichiarano concordemente che sarebbero addivenuti alla soluzione di cui è stata data lettura. Dichiaro che, poiché la Commissione ed il Governo sono concordi nell’emendamento testé proposto, io lo accetto.

PRESIDENTE. L’onorevole Bertone ritira la sua firma dall’emendamento dell’onorevole Cappi; a questo manca perciò una firma.

UBERTI. La pongo io.

PRESIDENTE. Sta bene. Poiché l’onorevole Cappi accetta l’emendamento del Governo nella sua prima parte, il suo emendamento si riduce al secondo comma.

VIGORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VIGORELLI. Ho presentato un emendamento, riguardante una determinata categoria di enti di beneficenza, cioè gli enti pubblici di assistenza. Secondo questo emendamento, il termine della rateazione per tale categoria di enti dovrebbe essere portato a dieci anni.

Pongo il quesito se, votandosi l’emendamento del Governo, sia poi possibile votare il mio.

PRESIDENTE. Ricordo che l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Vigorelli è così formulato:

«Per le istituzioni pubbliche di assistenza, il termine di rateazione dell’imposta è dieci anni.

Questo emendamento, evidentemente deve essere votato prima di ogni altro, perché il termine in esso fissato è il massimo.

VIGORELLI. Desidererei parlare brevemente per illustrare il mio emendamento.

PRESIDENTE. Mi pare che ella, onorevole Vigorelli, lo abbia già illustrato abbondantemente nel corso dei suoi vari interventi.

VIGORELLI. Su questo argomento, onorevole Presidente, non ho mai parlato.

PRESIDENTE. Sono spiacente, ma non posso più darle facoltà di parlare.

Pongo ai voti l’emendamento dell’onorevole Vigorelli.

(Dopo prova e controprova è approvato).

Avverto che il Governo ha chiesto che l’emendamento, concordato, sia posto in votazione per divisione. Si dovrà pertanto votare preliminarmente il primo comma che – come l’Assemblea ricorda – è così formulato:

«Quando l’imponibile non supera le lire 400 mila, fermo restando l’obbligo di pagamento delle rate di giugno e agosto 1947, l’imposta rimanente è riscossa in rate uguali fino all’aprile 1950».

LA MALFA, Relatore, Credo che si debba votare anzitutto il primo comma del testo della Commissione, che contiene una disposizione generale.

PRESIDENTE. Siccome su questo primo comma dell’articolo 72 non v’è discussione, s’intende senz’altro approvato. Debbono invece essere votate le aggiunte a questo primo comma dell’articolo 72. A questo punto, siamo in presenza di due emendamenti: uno concordato dalla Commissione e dal Governo, l’altro proposto dall’onorevole Cappi.

Si tratta ora di stabilire quale dei due emendamenti ha la precedenza nella votazione.

UBERTI. Prima l’emendamento Cappi, e dopo il testo concordato!

LA MALFA, Relatore, Se viene votato prima l’emendamento Cappi, avrei desiderato, a titolo personale, di sapere dal Governo quali conseguenze la votazione di questo emendamento ha su tutto il sistema di riscatto dell’imposta proporzionale e progressiva. Siccome l’imposta proporzionale è in riscossione, e se ne è già fatto un largo riscatto, prima di fare una dichiarazione di voto sull’emendamento Cappi, vorrei conoscere l’apprezzamento del Governo sulle conseguenze dell’agevolazione concessa dall’emendamento Cappi circa il riscatto.

PELLA, Ministro delle finanze. Certamente, le conseguenze sarebbero notevoli. Non è possibile determinarne la portata in cifra, sia pure soltanto approssimativa, perché – come già ho avuto occasione di accennare altra volta – la statistica dei patrimoni, secondo l’imposta ordinaria del 1939, con riferimento alle iscrizioni nei ruoli del 1947, contempla un scaglione unico per tutte le iscrizioni fino a due milioni; non è agevole quindi misurare la portata di una facilitazione che riguardi soltanto un settore di questo scaglione sino ai due milioni. Come orientamento, come misura grossolana della portata dell’emendamento dell’onorevole Cappi, è possibile osservare quanto segue. Se, come ritengo sia nei voti dell’onorevole Cappi, la concessione dell’abbuono del venti per cento dovesse operare come stimolante al ricorso al riscatto immediato di tutti i contribuenti che si trovano in determinato scaglione, allora, da un lato vi sarebbe un miglioramento nella situazione di tesoreria per un breve periodo di tempo, ma si correrebbe indubbiamente – dall’altro lato – il grave rischio di aver perduto per istrada il venti per cento sopra tutta una vasta zona di imponibile che certamente è molto notevole.

Se, invece, non dovesse operare lo stimolo del venti per cento, le conseguenze sarebbero ancora più gravi, in quanto ci troveremmo di fronte ad un assottigliamento del gettito dell’imposta, proprio in quel periodo di tempo in cui non si riscuote ancora l’imposta straordinaria progressiva.

Posso quindi dire all’onorevole La Malfa che, purtroppo, l’emendamento, se approvato, avrebbe ripercussioni notevolissime, o nel senso di compromettere il gettito di rate future, se fossero abbondanti i riscatti, oppure nel senso di attenuare il gettito iniziale qualora non si dovesse verificare la previsione formulata dall’onorevole Cappi di riscatti abbondanti e notevoli.

PRESIDENTE. Pongo allora ai voti l’emendamento dell’onorevole Cappi, secondo comma, essendo il primo caduto con l’approvazione dell’emendamento Vigorelli. La formulazione proposta dall’onorevole Cappi è la seguente:

«Per tutte le partite il cui imponibile sia inferiore a lire 750 mila, il termine è portato al 31 dicembre 1950 e l’abbuono, in caso di riscatto, sarà del venti per cento».

(È approvato).

Cade allora la prima parte dell’emendamento del Governo.

CLERICI. Onorevole Presidente, il mio emendamento all’emendamento aggiuntivo del Governo resta egualmente, rispetto all’emendamento dell’onorevole Cappi.

PRESIDENTE. Senza dubbio. Porrò ora in votazione l’emendamento proposto dagli onorevoli Clerici, Crispo ed altri, formulato nei seguenti termini:

«Il Ministro delle finanze può concedere le stesse rateazioni alle stesse condizioni al contribuente, che lo richieda, relativamente all’imposta su immobili sottoposti al regime vincolistico degli affitti».

Questo emendamento è stato già svolto; non credo che lei, onorevole Clerici, abbia altro da aggiungere.

CLERICI. Debbo solo osservare, onorevole Presidente, che è una facoltà che io propongo sia data al Ministero delle finanze anche per imponibili che siano superiori a quelli indicati, ma che si riferiscono esclusivamente ad immobili sottoposti al regime vincolistico degli affitti. In tali casi, e solo su richiesta degli interessati, il Ministero può, valutate tutte le circostanze, volta per volta concedere al contribuente la stessa facoltà, alle stesse condizioni.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Relatore ad esprimere il parere della Commissione su questo emendamento.

LA MALFA, Relatore. Non lo conosco, perché non ho potuto interpellarla.

PRESIDENTE. Qual è il parere del Governo?

PELLA, Ministro delle finanze. Non posso esprimere parere favorevole, in quanto mi sembra troppo ampio e troppo vago il concetto enunciato nell’emendamento. L’Amministrazione finanziaria, se l’Assemblea lo ritiene, potrà valersi del suo potere discrezionale per concedere maggiori rateazioni, qualora esse siano richieste da giustificate e provate necessità dei contribuenti. Ma, soprattutto dopo l’approvazione delle agevolazioni di pagamento per gli imponibili inferiori alle lire 750.000, credo che venga meno la ragione di configurare una rateazione su un settore così vasto, quale è quello proposto dall’onorevole Clerici.

Perciò, sia pure accettando la raccomandazione di concedere rateazioni in casi speciali, non posso accettare l’emendamento così come è predisposto.

CLERICI. Potrei ritirarlo, ma non so come il Ministro intende presentare giuridicamente la questione…

PRESIDENTE. La prego di dichiarare esplicitamente se lo ritira o lo mantiene.

CLERICI. Lo potrei ritirare, qualora il Governo ritenesse di avere il diritto, accettando come raccomandazione il mio emendamento, di attuarlo attraverso circolari esplicative ai dipendenti Uffici finanziari. Dubito che ciò sia possibile senza una norma di legge.

PRESIDENTE. Quale è il parere del Governo?

PELLA, Ministro delle finanze. Nei limiti delle facoltà che in materia competono all’Amministrazione finanziaria, assicuro l’onorevole Clerici che queste maggiori rateazioni potranno venire accordate. Devo, però, subito aggiungere che saranno accordate con molta oculatezza e parsimonia.

CRISPO. Se l’onorevole Clerici ritirasse l’emendamento, dichiaro di mantenerlo io, che ne sono uno dei firmatari.

CLERICI. Io non lo ritiro affatto, e lo mantengo.

PRESIDENTE. Pongo allora ai voti l’emendamento Clerici.

(Non è approvato).

Segue un emendamento dell’onorevole Bonomi Paolo, Giacchero, ed altri, del seguente tenore:

«Le partite di imposta inferiori alle lire 20 mila verranno riscosse entro il mese di agosto 1950; quelle fra le lire 20 mila e le lire 40 mila entro il mese di aprile 1950».

Onorevole Bonomi, non le sembra che il suo emendamento sia assorbito dall’emendamento Cappi?

BONOMI PAOLO. Si sarebbe dovuto mettere in votazione prima dell’emendamento Cappi; ora lo ritengo assorbito da questo emendamento.

PRESIDENTE. Rimarne ora la seconda parte dell’emendamento concordato tra Commissione e Governo; il Governo propone che sia votata con l’intesa di successivo coordinamento con le deliberazioni già adottate, specialmente con gli emendamenti Vigorelli e Cappi.

Ricordo che l’emendamento è così formulato:

«Per le Opere pie, gli Istituti ed Enti di beneficenza ed assistenza legalmente costituiti e riconosciuti, gli Istituti di istruzione, i Corpi scientifici, le Accademie e Società storiche, letterarie, scientifiche aventi scopi esclusivamente culturali, gli enti il cui fine è equiparato, a norma dell’articolo 29 lettera h) del Concordato, ai fini di beneficenza e di istruzione, le Partecipanze ed Università agrarie, il pagamento dell’imposta è fissato in trenta rate uguali fino all’aprile 1952».

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Avevo accennato già stamani ad un fatto. Per quanto riguarda tutte le Opere pie e gli enti morali deve – mi pare – dominare un concetto tutto speciale. Quello che verseranno tutti insieme gli enti morali e le opere pie è assolutamente insignificante ai fini del gettito dell’imposta patrimoniale. Quindi, concedere una rateazione più o meno lunga disturba poco.

Mi permetto perciò di pregare il Governo e la Commissione di finanza che, per quanto riguarda le Opere pie in genere e gli enti morali, invece di cinque anni siano concessi dieci anni, per mettersi d’accordo con gli altri enti di assistenza, in modo che non ci sia una doppia bilancia: un settore che abbia cinque anni e un altro dieci.

PRESIDENTE. Allora lei propone un nuovo emendamento. Ha chiesto di parlare l’onorevole Relatore. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Onorevole Presidente, dopo l’accettazione dell’emendamento Cappi si può accettare il termine di dieci anni, perché queste disposizioni sono coordinate. Se si tiene un imponibile basso per i privati, si può restringere la concessione agli Istituti di beneficenza; ma se si allarga la concessione ai privati, è inutile mantenere il limite di cinque anni.

Propongo quindi che l’emendamento Vigorelli sia iscritto nella dizione della Commissione, che è più larga e riguarda molti Istituti, e alla fine si dica che l’imposta è riscossa in dieci anni; e così usciamo da questa questione.

PELLA, Ministro delle finanze. Concordo con le considerazioni dell’onorevole Relatore e ritengo anche io che l’emendamento dell’onorevole Vigorelli possa essere trasfuso nel secondo comma dell’emendamento unico, opportunamente coordinandolo.

PRESIDENTE. Pongo ai voti la proposta che il concetto informatore dell’emendamento dell’onorevole Vigorelli sia esteso a tutti gli enti previsti dall’articolo in questione.

(È approvata).

Pongo quindi ai voti – con questa intesa – il secondo comma del testo concordato tra Commissione e Governo.

(È approvato).

Vi è ora l’emendamento dell’onorevole Bosco Lucarelli:

«Sostituire il quarto comma con il seguente:

«Il contribuente ha facoltà di chiedere, entro il 15 settembre 1947, il riscatto con l’abbuono del dieci per cento dell’imposta dovuta ai sensi dell’articolo 68».

Onorevole Bosco Lucarelli, mantiene il suo emendamento?

BOSCO LUCARELLI. Lo mantengo, tanto più che questa mattina pareva che il Governo e la Commissione lo avessero accettato. È una proroga del termine di riscatto in correlazione con altre proroghe concesse.

PRESIDENTE. Qui si parla di abbuono del 10 per cento; ma l’aliquota è stata modificata. Eventualmente, in sede di coordinamento, si provvederà all’opportuna equiparazione.

Onorevole La Malfa, quale è il pensiero della Commissione?

LA MALFA, Relatore. Dipende dal Governo che termine vuol dare per il riscatto.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. Siamo ormai alla fine di luglio: si tratta di concedere una proroga di un mese e mezzo per facilitare i riscatti. Oggi siamo su una via di eccezionale larghezza, da quello che pare, ed allora non oppongo difficoltà a condizione che si aggiunga: «purché la somma sia integralmente versata entro il 30 settembre 1947»; cioè, entro il 15 presentare la domanda ed entro i 15 giorni successivi pagare integralmente la somma.

PRESIDENTE. Vuole precisare l’emendamento, onorevole Ministro?

PELLA, Ministro delle finanze. Signor Presidente, penso che la garanzia che io chiedevo possa essere meglio contemplata all’ultimo comma dell’articolo; ed allora, accettando l’emendamento Bosco Lucarelli, chiedo che sia emendato l’ultimo comma dell’articolo e si dica: «Il versamento del prezzo di riscatto deve effettuarsi in Tesoreria entro il 30 settembre 1947».

BOSCO LUCARELLI. Preferirei il 15 ottobre.

PRESIDENTE. Accetta onorevole Ministro?

PELLA, Ministro delle finanze. Non potrei accettare un termine più lungo per il versamento, perché, tenendo conto della dilazione concessa dal Governo, già attualmente la presentazione delle domande deve avvenire entro il 10 di agosto ed il pagamento entro il 18 di agosto, cioè vi sono 8 giorni di tempo. Perciò 15 giorni sono largamente sufficienti, anche perché è da ritenere che non tutti i contribuenti aspetteranno l’ultimo giorno per proporre la domanda di riscatto.

CANNIZZO. Desidererei sapere dal Ministro se le domande già presentate verranno equiparate a quelle da presentare. Vorrei sapere, cioè, se per le domande presentate il termine resterà il 30 agosto o si intende prorogato al 30 settembre. Vi possono essere errori di interpretazione. È una delucidazione che chiedo al Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. Così come verrebbe emendato l’articolo, secondo la proposta dell’onorevole Bosco Lucarelli, è indubbio che il nuovo termine per il versamento opererebbe nei confronti di tutti i contribuenti.

PRESIDENTE. L’emendamento dell’onorevole Bosco Lucarelli potrà essere così formulato:

«Il contribuente ha facoltà di chiedere, entro il 15 settembre 1947, il riscatto con l’abbuono previsto dalla presente legge dell’imposta dovuta ai sensi dell’articolo 68».

CORBINO. Non «dalla presente legge», perché per il riscatto dell’imposta ordinaria sono previsti altri termini. Quindi «del presente Titolo».

PRESIDENTE. È giusto. Pongo ai voti l’emendamento con la formulazione indicata.

(È approvato).

Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo proposto dal Governo all’ultimo comma dell’articolo 72:

«Il versamento del prezzo di riscatto deve effettuarsi in Tesoreria entro il 30 settembre 1947».

(È approvato).

Resta ora l’emendamento degli onorevoli Castelli Edgardo, Perlingieri e Balduzzi, che doveva essere discusso in sede di articolo 68, e che è stato rinviato in sede di articolo 72. L’emendamento propone l’aggiunta del seguente comma:

«L’usufruttuario può rivalersi verso il proprietario della quota di imposta afferente al valore della nuda proprietà, fatte le valutazioni ai sensi dell’articolo 14».

La Commissione ha dichiarato di essere contraria a questo emendamento.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà,

PELLA, Ministro delle finanze. Io comprendo la ragione di ordine equitativo che ha ispirato l’onorevole Castelli nel suo emendamento. Non devo però dimenticare che fondamentalmente l’imposta ordinaria sul patrimonio è imposta sul reddito, per quanto commisurata al patrimonio, e come tale grava sull’usufruttuario. Ora, il 4 per cento o è il riscatto di questa imposta o è il tributo sostitutivo di questa imposta. Unicamente per la preoccupazione di non snaturare la portata del 4 per cento, devo aderire al parere contrario della Commissione in merito all’emendamento.

CASTELLI EDGARDO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CASTELLI EDGARDO. A titolo di dichiarazione di voto, faccio presente che anche se si concepisce la straordinaria proporzionale come un riscatto, è sempre un prelievo sul capitale che si opera, e quindi non si tratta di un’imposta che si paga sul reddito, tanto più che i termini di soluzione sono assai brevi. È giusto che il nudo proprietario paghi la sua parte, almeno per quanto si riferisce al valore della nuda proprietà. In sostanza, con questo emendamento, si vuole fare al nudo proprietario, in sede di imposta proporzionale straordinaria, lo stesso trattamento per esso già stabilito in sede di imposta progressiva straordinaria: entrambe le imposte hanno la stessa base e la stessa fisionomia: non c’è ragione di una disparità di trattamento.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Castelli.

(Dopo prova e controprova è approvato).

Resta inteso che rimane deferita al coordinamento la collocazione di questo comma.

LA MALFA, Relatore, Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Volevo proporre che all’articolo 72 si riproducesse la norma dell’articolo 51, penultimo comma, nel quale si dice che «In tutti i casi di versamento diretto in Tesoreria, non compete alcun aggio all’esattore e al ricevitore provinciale».

PRESIDENTE. Il Governo è d’accordo?

PELLA, Ministro delle finanze. Sì.

PRESIDENTE. Pongo ai voti questa proposta di aggiunta, che potrà costituire un ultimo comma.

(È approvata).

L’articolo 72 si intende approvato con i vari emendamenti votati.

Passiamo all’articolo 73. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Per quanto non è previsto nel presente Titolo, si applicano le disposizioni del regio decreto-legge 12 ottobre 1939, n. 1529, convertito nella legge 8 febbraio. 1940, n. 100, e successive modificazioni.

«Per il riscatto si applicano le disposizioni dell’ultimo comma dell’articolo 51».

PRESIDENTE. Su questo articolo non sono state presentate proposte di modifica e, pertanto, si intende approvato nel testo proposto dal Ministero.

Vi sono ora proposte di articoli aggiuntivi. La prima è quella dell’onorevole Micheli, il quale ha formulato, unitamente all’onorevole Jacini, il seguente articolo 73-bis:

«Le cartelle fondiarie ed obbligazioni emesse ed in genere tutti i cespiti patrimoniali formati dopo il 13 aprile 1947, sono esenti dal 4 per cento».

L’onorevole Micheli ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

MICHELI. Pare a me che la cosa sia intuitiva per le disposizioni già stabilite in articoli antecedenti; però è opportuno precisare.

Rilevo che, poiché l’imposta straordinaria proporzionale è dovuta per i soli beni esistenti al 13 aprile 1947, sarebbe incongruo e contradittorio che quella ordinaria (di cui la straordinaria, sostanzialmente, rappresenta il riscatto) fosse dovuta per beni ancora, a quella data, inesistenti.

Ciò, invero, per la quasi totalità dei beni, non può verificarsi, attesoché l’articolo 40 del regio decreto-legge 12 ottobre 1939 n. 1529, convertito nella legge 8 febbraio 1940, n. 100, stabilisce, applicando un comune principio tributario, che l’imposta ordinaria è dovuta dal 1° gennaio dell’anno successivo a quello in cui i cespiti acquistano o mutano consistenza.

Il fatto potrebbe verificarsi, invece, per le obbligazioni e gli altri titoli di cui agli articoli 26 e 36 dello stesso regio decreto-legge, in quanto la relativa imposta viene applicata, non dietro dichiarazione e mediante ruoli, ma mercé «ritenuta al momento della scadenza di ciascuna rata di interesse».

Ne deriverebbe, come si è detto, una vera incongruenza, che sarebbe anche fonte di numerosi inconvenienti pratici, giacché le cedole di taluni titoli sarebbero soggette alla ritenuta dell’imposta ordinaria e non a quella straordinaria, con incertezza nelle contrattazioni, difficoltà nei pagamenti ecc.

Ad evitare ciò, così da mantenere il parallelismo fra imposta ordinaria e straordinaria, è diretto il comma proposto.

PRESIDENTE. Quale è il pensiero del Relatore?

CASTELLI EDGARDO. Vi è anche un mio emendamento.

PRESIDENTE. È assorbito dell’emendamento Micheli.

CASTELLI EDGARDO. È giusto.

PRESIDENTE. Il Relatore è invitato ad esprimere il suo parere sull’emendamento dell’onorevole Micheli.

LA MALFA, Relatore. È questione di carattere generale. Tutti i cespiti sorti dopo l’accertamento dell’imposta ordinaria sul patrimonio, non sono soggetti a tassa. Non mi pare necessario dirlo esplicitamente.

Essendo inteso che la interpretazione è questa, si potrebbero pregare gli onorevoli proponenti di ritirare l’emendamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro ha facoltà di esprimere il parere del Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. Siamo d’accordo nel ritenere che questi cespiti sorti posteriormente alla data di applicazione dell’imposta (l’onorevole Micheli risolve il problema della data, facendo riferimento al 13 aprile, anziché al 28 marzo; non credo che la questione abbia importanza pratica) non debbano essere tassati.

Forse hanno preoccupato l’onorevole Micheli le conseguenze di una interpretazione letterale dell’articolo 68, il quale abilita l’amministrazione finanziaria ad applicare il quattro per cento, laddove possa esservi un’iscrizione a titolo d’imposta ordinaria sul patrimonio nel corso dell’anno 1947. Le interpretazioni letterali possono portare a risultati preoccupanti e forse qui effettivamente l’interpretazione letterale avrebbe portato al risultato di colpire qualche cespite sorto tra il 13 aprile e il 31 dicembre 1947.

Perciò, per quanto l’emendamento, nei confronti dello spirito con cui l’Amministrazione finanziaria interpreta l’articolo 68, sia superfluo, non ho difficoltà a dare parere favorevole per l’immissione formale di esso nella legge.

PRESIDENTE. Pongo ai voti l’articolo aggiuntivo proposto dagli onorevoli Micheli e Jacini.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 74. Se ne dia lettura nel testo originario, accettato dalla Commissione.

AMADEI, Segretario, legge:

«L’imposta ordinaria sul patrimonio, istituita con il regio decreto-legge 12 ottobre 1939, n. 1529, convertito nella legge 8 febbraio 1940, n. 100, è soppressa con decorrenza dal 1° gennaio 1948».

PRESIDENTE. Non essendovi emendamenti proposti, l’articolo si intende approvato.

Vi è ora un articolo 74-bis proposto dall’onorevole Corbino, che è del seguente tenore:

«Il Ministro delle finanze è autorizzato a dettare norme per accertare che i contribuenti, di cui alla presente legge, abbiano versato le quote dovute al Fondo di solidarietà nazionale, in base al decreto legislativo luogotenenziale 8 marzo 1945, n. 72.

«A tal fine di intendono riaperti i termini, ed il pagamento sarà esente da sopratassa e da multe».

L’onorevole Corbino ha facoltà di svolgerlo.

CORBINO. Vorrei che questo emendamento fosse compreso nel capo XIV delle disposizioni finali. Ad illustrarlo basteranno poche parole.

Come voi ricorderete, con un decreto-legge del 1945, furono istituiti dei contributi speciali a favore del Fondo di solidarietà nazionale. Molti hanno adempiuto all’obbligo del versamento dei contributi; molti, seguendo il proverbio che «a pagare c’è sempre tempo», non hanno pagato né entro i termini, né dopo. Oggi ci troviamo di fronte ad una imposta straordinaria, rispetto alla quale i contribuenti sono divisi in due gruppi: quelli che hanno pagato nel 1945 e quelli che non hanno pagato. Io penso che dobbiamo adottare una disposizione diretta a non far perpetuare la vecchia mentalità ed il vecchio giudizio, che spesso si sente in Italia, che chi paga è scemo.

Ecco perché vorrei che il Ministro delle finanze fosse autorizzato a dettare norme per l’accertamento degli obblighi nascenti dalla legge sul Fondo di solidarietà nazionale, riaprendo i termini ed esentando i contribuenti dall’obbligo del pagamento di una sopratassa o di una multa, cosicché tutti saranno messi sullo stesso piede.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

LA MALFA, Relatore. Credo che si possa accettare il principio dell’onorevole Corbino. Vorrei però sentire il parere del Ministro delle finanze.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. Mi sembra che l’onorevole Corbino abbia colto l’occasione per richiamare l’attenzione dell’amministrazione finanziaria su di un tributo che merita ancora un’operazione di raccolta. Accetto con animo di cordialità questo invito, che può essere anche un piccolo rimprovero per quel che non è stato fatto finora.

Ad ogni modo, spingere l’amministrazione finanziaria a raccogliere dei tributi è sempre una cosa che fa piacere, perché costituisce un apporto. Io penso, però, che la parte essenziale dell’emendamento dell’onorevole Corbino sia la preghiera della remissione in termine per coloro i quali non hanno pagato. Nessuna difficoltà per parte mia.

PRESIDENTE. Onorevole Corbino, dove dovrebbe essere collocato l’articolo 74-bis?

CORBINO. Dovrebbe essere il primo del Capo XIV riguardante le disposizioni finali.

PRESIDENTE. Se ne prenderà nota per il coordinamento, ove risulti approvato. Pongo ai voti l’articolo 74-bis proposto dall’onorevole Corbino.

(È approvato).

PRESIDENTE. Si dovrebbe ora passare al Titolo III, Capo XIV: Disposizioni finali e transitorie.

LA MALFA, Relatore. Onorevole Presidente, sono d’avviso che dopo il Titolo II, prima di passare ai successivi articoli, si debba decidere la questione degli enti collettivi.

PRESIDENTE. Credo che si possa accogliere la proposta dell’onorevole La Malfa; vale a dire possiamo rimandare l’esame delle disposizioni finali a dopo esaurita la discussione sulle molte parti del decreto, rimaste in sospeso. Propongo pertanto di passare agli articoli la cui discussione è stata rimandata. Se non vi sono osservazioni, resta così stabilito.

(Così resta stabilito).

Prendiamo allora in esame gli articoli rimasti in sospeso. Il primo è l’articolo 2, il cui testo proposto dalia Commissione è il seguente:

«Sono soggette all’imposta straordinaria le persone fisiche.

«Sono, altresì, soggetti all’imposta straordinaria le società, ditte ed enti costituiti all’estero, limitatamente al capitale comunque investito od esistente nello Stato, con deduzione dell’ammontare delle partecipazioni alla società, ditta o ente, che risultino accertate al nome di persone fisiche, proporzionalmente agli investimenti della società, ditta o ente in Italia».

A questo articolo l’onorevole Dugoni ha proposto il seguente emendamento: Sostituire l’articolo con il seguente:

«Sono soggetti a questa imposta:

  1. a) le persone fisiche;
  2. b) gli enti collettivi che sono tassati di imposta di ricchezza mobile in base a bilancio».

Ha facoltà di parlare l’onorevole Dugoni:

DUGONI. Mi associo all’emendamento dell’onorevole Castelli Edgardo, che abbiamo redatto insieme e firmato questa mattina.

PRESIDENTE. Avverto che l’emendamento Castelli, sostitutivo dell’articolo, è il seguente:

«Sono soggette all’imposta straordinaria progressiva le persone fisiche.

«Gli enti collettivi sono soggetti ad una imposta straordinaria proporzionale, secondo le norme del Titolo III». L’emendamento è firmato dagli onorevoli Castelli Edgardo, Scoca, Valiani, Dugoni, Pesenti ed altri. Si tratta, cioè, di un emendamento concordato tra le diverse parti dell’Assemblea.

Chiedo chi intende svolgere questo emendamento.

DUGONI. Rinunciamo a svolgerlo.

PRESIDENTE. Sta bene.

MARINARO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARINARO. Onorevoli colleghi, mi sembra che questo emendamento mal si inquadri e direi, anzi, che non si possa inquadrare nel sistema della legge che stiamo approvando. Noi siamo in sede di convalida di un decreto legislativo; di un decreto, cioè, diverso da un decreto-legge, e voi già avete sentito accennare alla questione dall’onorevole Crispo, che l’ha sollevata con quella competenza che tutti gli riconosciamo.

Una cosa è il decreto legislativo, che presuppone una delega di poteri; una cosa è il decreto-legge, che consente una convalida davanti al Parlamento.

Ora, questa è una questione tanto discutibile, che domani potrebbe dar luogo a ricorsi davanti al Supremo collegio, con tutte le conseguenze che ognuno di noi può fin da questo momento prevedere.

È possibile, in questa sede, cambiare addirittura la natura del provvedimento che noi siamo chiamati ad emettere? Noi dobbiamo, tutt’al più, convalidare il decreto 29 marzo che ha già ottenuto la sua esecuzione. Si può dubitare che tutti quegli emendamenti proposti dalla Commissione di finanza e che hanno sostanzialmente inasprito il contenuto fondamentale del provvedimento fiscale siano legittimi o non legittimi; ma, indipendentemente da questa questione, io mi domando come si possa oggi, in questa sede, proporre una questione nuova, quella cioè…

PRESIDENTE. Onorevole Marinaro, mi pare che lei stia ponendo in sostanza una pregiudiziale.

MARINARO. Giungerò alla proposta di un ordine del giorno, onorevole Presidente.

PRESIDENTE. Allora mi corre l’obbligo di leggerle l’articolo 92 del Regolamento: «A fronte sia di uno, sia di più emendamenti, non è ammessa la questione pregiudiziale o sospensiva, né l’ordine del giorno puro e semplice, né alcun altro ordine del giorno che non costituisca un emendamento, salvo il caso previsto dall’articolo 89».

MARINARO. Io dico questo, signor Presidente; che si tratta di un argomento del quale mi servo per giungere al rigetto dell’emendamento, per poi suggerire un ordine del giorno su cui chiederò la votazione dell’Assemblea.

Ora, dicevo, signor Presidente e onorevoli colleghi, che possiamo essere tutti d’accordo nel merito dell’emendamento proposto dagli onorevoli Castelli e Scoca, nel senso cioè che gli enti collettivi debbano essere anche tassati con un’imposta proporzionale; ma non è questa la sede opportuna. Io ritengo invece che il Governo debba provvedere con un disegno di legge a parte, con il quale venga disciplinata tutta la materia.

Mentre, quindi, mi oppongo all’emendamento presentato dagli onorevoli Castelli e Scoca, presento a mia volta un ordine del giorno così formulato: «L’Assemblea Costituente approva l’istituzione di un’imposta straordinaria proporzionale sul patrimonio a carico delle società e degli altri enti collettivi che svolgono un’attività economica produttiva di reddito di categoria B e dà mandato al Governo di predisporre il relativo provvedimento».

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Confesso di essere alquanto sorpreso delle parole dell’onorevole Marinaro ed anche del fatto che qui non si discuta il testo di un progetto che riguarda gli enti collettivi che già è stato preparato. Debbo ricordare all’Assemblea che, discutendo questa legge, il Governo si era impegnato ad includere il problema della tassazione degli enti collettivi in questo provvedimento, per cui molti nostri voti erano condizionati a questa accettazione del Governo.

Noi abbiamo anche esaminato – e la Commissione ha pure esaminato – un progetto del Governo. Vi sono state riunioni, si è discusso degli enti che debbono o che non debbono essere tassati: io mi attendevo quindi che oggi la discussione venisse condotta su questo progetto e che gli oppositori svolgessero la loro opposizione in rapporto al progetto stesso.

Mi pare invece che oggi il Governo ci venga a dire: ieri ci siamo impegnati, oggi ritiriamo il nostro impegno e l’Assemblea faccia quello che vuole. Ora, francamente ciò mi pare poco corretto, perché se noi avessimo potuto prevedere questo, il nostro atteggiamento su alcuni articoli sarebbe stato diverso da quello che è stato. La nostra approvazione ad alcune soluzioni l’abbiamo concessa perché pensavamo che fosse già accettato il principio della tassazione degli enti collettivi. Ora il Governo pone di nuovo in discussione questo punto che sembrava già acquisito.

Se dovesse passare l’ordine del giorno Marinaro, io mi riservo di risollevare tutti quei problemi sui quali il nostro giudizio è stato quello che è stato, perché condizionato all’impegno assunto dal Governo, che ora verrebbe a mancare.

PESENTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PESENTI. L’ordine del giorno Marinaro non ha nessuna base…

PRESIDENTE. Infatti, non è proponibile.

PESENTI. L’Assemblea ha approvato già numerose variazioni al testo di legge presentato dal Governo, e, quando si è trattato dell’articolo 2, il Governo non ha fatto alcuna opposizione, ma ha soltanto chiesto che la discussione fosse rinviata, appunto perché si stava preparando un progetto che avrebbe colpito gli enti collettivi. D’altra parte, sorge proprio il dubbio a me che l’intervento di oggi dell’onorevole Marinaro sia dovuto forse a qualche pressione che io vorrei indicare – si scusi il dubbio – proveniente da qualche superiore di ufficio. Perciò io credo che l’ordine del giorno Marinaro sia intempestivo. Avrebbe dovuto essere svolto in altro momento.

PRESIDENTE. Debbo ripetere quello che ho già detto e cioè che l’ordine del giorno Marinaro non è ammissibile a norma dell’articolo 92 del Regolamento.

CRISPO. C’è l’articolo 87!

PRESIDENTE. Continui pure, onorevole Pesenti.

PESENTI. Confortato dal parere dell’onorevole Presidente dell’Assemblea, io chiedo che si discuta e si ponga in votazione appunto l’emendamento proposto dagli onorevoli Castelli, Scoca, Dugoni e da molti altri firmatari dell’emendamento che era stato proposto in un primo tempo da noi all’articolo 2; emendamento che noi ritiriamo.

Anche se il criterio dell’emendamento degli onorevoli Castelli, Scoca ed altri è leggermente diverso da quello che noi proponevamo, lo accettiamo, perché è il frutto di un accordo intervenuto fra l’onorevole Scoca, noi e altri presentatori di emendamenti.

PRESIDENTE. Onorevole Crispo, riferendomi ad una interruzione da lei fatta poco fa, le faccio osservare che è l’articolo 92 cui occorre richiamarsi.

L’articolo 87 dice, infatti:

«Durante la discussione generale, o prima che s’apra, possono essere presentati da ciascun deputato ordini del giorno concernenti il contenuto della legge, che ne determinino o ne modifichino il concetto o servano d’istruzioni alle Commissioni.

Tali ordini del giorno sono votati prima che sia posto termine alla discussione generale.

L’ordine del giorno puro e semplice ha la precedenza di tutti gli altri ordini del giorno».

E quindi, nel caso, non è da applicarsi l’articolo 87, ma il 92.

CRISPO. Comunque, faccio osservare che se l’articolo 87 consente la presentazione di un ordine del giorno durante la discussione generale, poiché evidentemente noi non siamo più in questa ipotesi, non è consentito presentare un ordine del giorno.

PRESIDENTE. È giusto: entrambi gli articoli confermano l’inammissibilità dell’ordine del giorno Marinaro.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Desidero fare una osservazione in un certo senso in antitesi a quella dell’onorevole Scoccimarro, cioè fondata sul criterio opposto a quello da lui invocato.

Secondo il mio modesto parere, costituisce un serio inconveniente questa specie di generica divisione fra i componenti dell’Assemblea, fra coloro che sono al corrente delle segrete cose e coloro che le segrete cose ignorano. In linea di fatto, l’onorevole Scoccimarro afferma che dovrebbe rimettere in discussione una quantità di voti già dati da lui e dal suo Gruppo, in quanto molte disposizioni egli avrebbe votato col presupposto che il Governo avrebbe proposta una certa leggina o un completamento della legge attuale che, per chiamare le cose col loro nome, sarebbe puramente e semplicemente la proposta di una doppia imposizione.

Imperocché io non ho, astrattamente parlando, niente in contrario all’imposizione degli enti collettivi, ma ho invece una repugnanza molto precisa alla doppia imposizione. E volevo dire che, quando io ho votato tutte le aliquote che ho votato a carico delle persone fisiche, sono partito proprio dal presupposto che l’imposta sul cespite era quella, e non che ce ne sarebbe stata dopo un’altra sul medesimo cespite.

PRESIDENTE. Quindi voterà contro?

FABBRI. Non basta il fatto ch’io possa attenermi alla norma di votar contro: mi preme di chiarire che questa situazione logica opposta a quella dell’onorevole Scoccimarro è, secondo me, legittima da parte mia, poiché aveva a base il presupposto di un disegno di legge che è stato discusso, mentre invece l’onorevole Scoccimarro avrebbe avuto per presupposto una notizia di carattere riservato.

SCOCCIMARRO. Commissione di finanza! Non era riservata!

FABBRI. Questo ho voluto chiarire e poi integrerò le mie dichiarazioni in merito, se sarà il caso.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro.

PELLA, Ministro delle finanze. Ho chiesto all’onorevole Presidente e chiedo alla vostra cortesia di poter dedicare qualche minuto al riepilogo di tutta questa complessa questione che stiamo per affrontare, soprattutto per dimostrare che da parte del Governo non vi è stata nessuna deviazione rispetto alle sue impostazioni iniziali del problema e rispetto agli affidamenti che ha avuto occasione di dare durante la discussione.

Non sarebbe la prima volta che dimostrazioni di buona volontà possono prestare il fianco a malintesi. Ricordo che durante il precedente Governo, quando si è discusso il decreto sull’imposta straordinaria del patrimonio, dinanzi alla Commissione parlamentare di finanza è stata sollevata per la prima volta la questione degli enti collettivi, questione che si è profilata in misura e con caratteristiche diverse da quella che era la questione così come considerata nella imposta patrimoniale del 1922. Poiché non sarà mai abbastanza ricordato – a scopo di chiarimento – che nella legge del 1922 vi erano, sì, degli enti collettivi tassati, ma questi non erano le società commerciali, non erano le Opere pie, non erano gli enti ecclesiastici; erano invece gli enti appartenenti ad una zona residuale, così come risultava dopo che si erano tolte le diverse esenzioni contemplate dalla legge. Nella Commissione parlamentare di finanza la questione si è presentata con carattere più ampio (ricordo che il precedente progetto dell’onorevole Scoccimarro in materia aderiva in sostanza alla linea della legge del 1922), in funzione di un duplice ordine di considerazioni. Da una parte considerazioni di natura scientifica che portavano ad affermare l’esistenza di una capacità contributiva degli enti collettivi indipendente, separata capacità contributiva che si affianca o magari si sovrappone a quella della singola persona fisica appartenente a quel determinato ente collettivo. Dall’altra parte, una considerazione d’ordine empirico, se così vogliamo chiamarla, determinata dalla preoccupazione che attraverso al frazionamento – e qui si mirava soprattutto alle società azionarie – dei titoli fra molte mani, potesse avvenire che larghe zone del patrimonio di queste società finissero per non subire il peso dell’imposta, in quanto afferenti a titolari di patrimoni inferiori al minimo imponibile.

Innanzi a questo duplice ordine di considerazioni, il Governo di allora, in persona del Ministro del tempo, ed anche in persona del Sottosegretario di allora che oggi ha l’onore di parlarvi, eccepì soprattutto, per quanto riguardava la teoria della capacità contributiva delle società, indipendente dalla capacità contributiva del singolo, che questa rappresentava un concetto su cui neppure la dottrina era concorde, ma che malamente sarebbe stata assimilata dalla opinione pubblica. Infatti, se è vero che esiste per le grossissime società la posizione dell’azionista che si sente distante dalla società e che quindi non sentirebbe soggettivamente una duplicazione se si tassasse contemporaneamente, ad esempio, il patrimonio della società e quello dell’azionista, per le azioni possedute, questo certamente non avviene per la zona delle medie e piccole società, nelle quali sarebbe vivamente sentita la doppia imposizione. Sorse quindi la difficoltà di trovare una soluzione pratica, di trovare un limite di demarcazione al di là del quale non sarebbe stato necessario procedere a un procedimento di compensazione nella tassazione rispettiva delle società e dei singoli. Nel corso delle discussioni affiorò il concetto dell’opportunità di impostare il problema sotto un altro aspetto. Vi era da tempo sul tappeto un problema di tassazione delle rivalutazioni delle società commerciali, problema sorto in dipendenza del processo di svalutazione monetaria iniziatasi nel 1940 e, speriamo, definitivamente concluso.

Or bene, attraverso a queste svalutazioni monetarie si sono create, nel patrimonio delle società, determinate plusvalenze rispetto a impostazioni di bilancio. Questo plusvalenze rappresentano in molti casi una parte preponderante del patrimonio sociale, per cui impostare il problema della tassazione delle rivalutazioni significava impostare quello di una tassazione suppletiva del patrimonio delle società commerciali e industriali. Ritenne il Governo del tempo che fosse via più tecnicamente corretta procedere alla tassazione di tali rivalutazioni con questo criterio: il complesso delle rivalutazioni, delle attività di bilancio porta, con l’applicazione di determinati coefficienti, su cui naturalmente lungo potrebbe essere il discorso, al manifestarsi di un valore dell’attivo largamente superiore a quello risultante dalle impostazioni di bilancio. Questo valore, che rappresenta la plusvalenza conseguente al variato metro monetario dei beni rispetto alla impostazione di bilancio, grosso modo può avere una triplice origine: o sono beni che dipendono dall’investimento di un capitale proprio della società ed in tal caso il maggior valore dei beni dipendente dalla svalutazione monetaria non è che il corrispettivo della rivalutazione del capitale versato dagli azionisti o delle riserve palesemente costituite e che già hanno scontato l’imposta. In questo caso ci troviamo non davanti a un incremento reale, ma davanti a un incremento puramente nominale. Questa zona di rivalutazione avrebbe dovuto essere colpita con criteri più moderati ed in relazione all’uso che la società avesse inteso di farne. Ma vi sono altre due zone di rivalutazione dell’attivo, le quali hanno una fisionomia tutta diversa, perché o dipendono dall’investimento in beni reali di capitali presi in prestito dalla società, o dipendono dall’investimento di riserve occulte della società. Nel primo caso, si tratta di investimento di danaro preso a prestito in lire buone e restituito in lire meno buone e pertanto la rivalutazione riguarda e costituisce un incremento reale che la società ha potuto conseguire a spese dei propri debitori; nel secondo caso trattasi di conversione in riserve palesi di quelle che erano riserve occulte. Nell’uno e nell’altro caso, secondo il sistema tributario attuale ci troviamo davanti a incrementi patrimoniali, che ancora non hanno sopportato un tributo né in via ordinaria né in via straordinaria. Questa, ad avviso del Governo di allora, era la zona su cui effettivamente si sarebbe potuto prelevare un tributo senza incappare nella eccezione della doppia imposizione. Ed era per questo che il Governo di allora assunse l’impegno di presentare un provvedimento che colpisse le rivalutazioni. Questo concetto fu accolto dalla Commissione di finanza a maggioranza e la Commissione all’unanimità invitò il Governo a presentare il progetto. Sopravvenuta la crisi, ho avuto l’onore di consegnare in via breve alla Commissione parlamentare il testo del progetto che era stato allora elaborato. La mia consegna aveva esclusivamente questo scopo: di dare la dimostrazione documentale che l’affermazione della esistenza di un progetto corrispondeva a verità. Successivamente le conversazioni attorno alla tassazione degli enti collettivi ripresero e molti contatti ebbero luogo fra Governo, Commissione parlamentare e Comitato ristretto della Commissione parlamentare. Dimostrazione di buona volontà da parte del Governo, non impegni in senso costituzionale da parte del Governo, il quale subito fin dall’inizio, affermò che qualora l’Assemblea avesse fatto prevalere il concetto della tassazione degli enti collettivi, il Governo avrebbe dato tutta la sua collaborazione affinché questo concetto ricevesse l’espressione concreta in sede legislativa la più sollecita possibile. Ed è in questo senso che fu predisposto anche un progetto di tassazione degli enti collettivi, che è stato nella sua dizione definitiva consegnato stamane, sempre in via breve e con lo stesso significato, alla Commissione parlamentare di finanza. Il nuovo progetto parte dal concetto di applicare una moderata aliquota con criterio proporzionale su tre categorie di enti collettivi: le società azionarie, le società di persone (accomandita semplice e collettiva), gli enti morali che svolgono una attività lucrativa.

In questo progetto si è avuto cura di esentare dal tributo tutto ciò che non significasse attività lucrativa, intesa questa attività come quella che appartiene alla zona della categoria B, in sede di imposta di ricchezza mobile, cioè il settore dell’attività industriale e commerciale. Sono escluse quindi le società immobiliari e gli enti possessori di un patrimonio immobiliare, in quanto proprio in questo campo occorre ricordare le osservazioni già fatte, che la tecnica dell’applicazione della legge sull’imposta straordinaria porterà a valutazioni così drastiche per cui il settore immobiliare, appartenga esso ai contribuenti individuali o ad enti collettivi, non potrebbe sopportare una tassazione suppletiva.

Diversa è la posizione nel settore dell’economia industriale e dell’economia commerciale. Qui difficilmente troveremmo ragioni di ordine sistematico, di ordine scientifico per superare l’eccezione della doppia imposizione. Però, se discendiamo dalla sfera del sistema e della teoria pura, per prendere contatto con quella realtà che tante volte è meno simpatica di come vorremmo trovarla, ma rappresenta una fatalità di cui dobbiamo tener conto, un duplice ordine di considerazioni è possibile di fare:

1°) io non so se sia vero – ma potrebbe anche esserlo – che nonostante la buona volontà del legislatore, nonostante la buona volontà dell’organo esecutivo, la tassazione del settore terriero e quella del settore edilizio finiscono per essere fatte in modo più rigoroso di quello che si segue per la tassazione del settore industriale e del settore commerciale. Se questo fosse vero (e lo abbandono al vostro giudizio), la tassazione suppletiva degli enti collettivi per questa zona avrebbe una funzione di integrazione dell’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio;

2°) (ragione di ordine pratico). Si tratta di una zona che certamente ha conseguito dei redditi negli anni scorsi, redditi che si è cercato di colpire con i tributi ordinari e con i tributi straordinari. La buona volontà dei Ministri che si sono succeduti (e non può essere messa in dubbio la buona volontà di eminenti colleghi che mi hanno preceduto) ha cercato in tutti i modi di colpire queste zone con l’imposta sul reddito, ma la tecnica dell’accertamento, ben nota agli onorevoli colleghi, arriva con un certo ritardo a colpire queste zone di reddito. Perciò questa tassazione degli enti collettivi potrebbe rappresentare una seconda volta uno strumento di perequazione, che consentirebbe di assorbire, attraverso un tributo sul capitale, quanto per avventura non è stato assorbito con lo strumento dell’imposta suo reddito. Per questo ritengo che, qualora l’Assemblea accedesse all’ordine di idee della tassazione degli enti collettivi, si potrebbero forse sottolineare queste due ragioni di ordine pratico che permetterebbero di superare quella eccezione di duplicazione, che certamente rende perplessi parecchi degli onorevoli colleghi.

Se si accede all’ordine di idee della tassazione degli enti collettivi con questo tributo proporzionale addizionale, io pregherei l’Assemblea – ed in tale senso è il progetto predisposto dal Governo – di aggiornare la disciplina delle rivalutazioni.

Voi sapete che la disciplina attuale presta il fianco a critiche ed osservazioni. Oggi ci troviamo davanti a possibilità di rivalutazioni secondo coefficienti che presuponevano il dollaro al cambio di cento lire. Ma sovratutto – secondo ordine di critiche – l’attuale disciplina aveva lasciato la porta aperta alla utilizzazione di residui di valutazione, secondo le leggi monetarie del 1927 e del 1936, senza obbligo di pagare alcun tributo, alcun pedaggio fiscale; poiché il venticinque per cento oggi esistente, non riguarda i residui di rivalutazione ancora possibili rispetto alle leggi monetarie del 1927 e del 1936. Evidentemente di tutto questo non può essere fatta colpa al Governo in carica, il quale però si è preoccupato e di chiudere questa porta e di dare una disciplina più aggiornata alle possibilità di rivalutazione, secondo l’attuale corso del dollaro, 225.

Ed è per questo che troverete nel progetto alcuni articoli che autorizzano ad adeguare le poste dell’attivo secondo un coefficiente di rivalutazione, che è ragguagliato al dollaro 225, ma entro il limite invalicabile della rivalutazione del capitale proprio e delle riserve palesi delle società, affinché queste rivalutazioni siano veramente e soltanto quelle, che economicamente rappresentano ombra e non cosa certa. Nessuna possibilità di rivalutazione per l’attivo eccedente la rivalutazione del capitale sociale e delle riserve, perché in questo caso noi creeremmo una zona di franchigia per la successiva applicazione dell’imposta di ricchezza mobile – categoria B. Per la rivalutazione, contenuta in questi limiti, noi contempliamo, qualora siano utilizzate in aumento di capitale, il pagamento di un altro quattro per cento. Però l’utilizzo ad aumento di capitale non può avere luogo sotto forma di azioni gratuite; può aver luogo soltanto sotto forma di aumento del valore nominale delle azioni. I tecnici della materia, che conoscono i riflessi psicologici della consegna d’un nuovo titolo, afferrano tutta la portata di questa limitazione. Ed affinché non si verifichi che, dopo aver tenuto un’assemblea, che aumenta il valore nominale, un’altra se ne possa tenere che deliberi il frazionamento dei titoli, si stabilisce che, per la durata di un anno, non possa aver luogo il frazionamento dei titoli, aumentati in dipendenza della rivalutazione.

Queste le linee generali del progetto.

Ora, onorevoli colleghi, un Governo che ha predisposto i due progetti – l’uno per la tassazione delle rivalutazioni; l’altro per la tassazione degli enti collettivi – io penso che debba essere dispensato da un giudizio severo, penso che gli si possa dare il riconoscimento di una buona volontà dimostrata per apprestare tutto il materiale necessario e sufficiente per dar seguito alla volontà dell’Assemblea.

La scelta dell’una, piuttosto che dell’altra strada, è di competenza dell’Assemblea.

Per queste considerazioni, che si riallacciano al senso di ossequio e di deferenza che il Governo ha verso l’autorità dell’Assemblea, attendiamo da voi, onorevoli colleghi, di sapere qual è la strada preferita. Una volta fatta la scelta, il Governo sarà a completa disposizione, perché gli articoli relativi trovino una immediata inserzione nel disegno di legge che stiamo discutendo. (Applausi al centro).

SCOCCIMARRO. Vorrei chiedere all’onorevole Ministro se il Governo ha una sua opinione in merito. Quale delle due vie preferisce seguire?

PELLA, Ministro delle finanze. Ritengo di aver risposto già in precedenza. Il Governo ritiene di non dover esprimere un suo pensiero ufficiale sulla questione di massima. Esso però ha dato la dimostrazione di esser pronto a seguire l’una e l’altra via. Non è a questa Assemblea che si possa fare il torto di desiderare di essere scaricata da questa responsabilità. Sono sicuro che l’Assemblea questa responsabilità della scelta l’assume volentieri. (Applausi al centro – Rumori a sinistra).

SCOCCIMARRO. Il Governo non è un organo tecnico; è organo politico e deve portare qui il suo giudizio sulla opportunità di scegliere l’una o l’altra via.

Una voce a destra. La terza via!

SCOCCIMARRO. La terza via è di non far niente. (Rumori al centro).

DUGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Ho chiesto la parola proprio per esprimere la mia meraviglia e la meraviglia del nostro gruppo di fronte alla posizione presa dal Governo nel problema della tassazione degli enti collettivi. La parte storica, che è stata presentata così abilmente dal Ministro Pella, prova – se ce ne fosse bisogno – quale deviazione continua ci sia stata nel pensiero del Governo in questa materia. Il Governo prima ci ha parlato di tassazione delle rivalutazioni, poi si è venuti al concetto di tassare gli enti nell’ambito della legge sulla imposta patrimoniale. Ieri, di nuovo, ci siamo trovati di fronte ad un brusco voltafaccia del Governo, che ha detto all’Assemblea che non aveva più nessun pensiero. Cioè noi dobbiamo pensare che il Governo, che dovrebbe essere alla testa della Nazione, di fronte ad un problema così grave come quello della tassazione degli enti collettivi non ha un proprio pensiero. Mi chiedo se questo è un Governo o cosa è. (Applausi a sinistra – Rumori al centro).

Una voce a sinistra. Non è un Governo. (Rumori al centro).

EINAUDI, Vicepresidente del consiglio dei Ministri, Ministro del bilancio. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

EINAUDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Ministro del bilancio. Io mi associo completamente alle dichiarazioni che ha fatte il mio collega delle finanze (Commenti a sinistra) intorno ai propositi del Governo di lasciar libera l’Assemblea sulla decisione che deve prendere in questa materia delicata. Credo che parecchi dei miei colleghi abbiamo già compreso che le esitazioni che esistono su questo banco in materia di tassazione degli enti collettivi e di tassazione delle rivalutazioni rimontano alla mia persona e io ho il dovere di dire all’Assemblea le ragioni delle mie esitazioni e dei miei dubbi; libera l’Assemblea di dare il giudizio che riterrà in proposito opportuno. Credo utile che l’Assemblea conosca i motivi di questa mia esitazione.

Se avessi potuto in qualche modo persuadermi che la tassazione degli enti collettivi, in questa sede, ha un qualche fondamento, non avrei dubitato. Se io esito, in questa materia, è perché le argomentazioni che sono state presentate qui ed altrove, sono argomentazioni le quali – ai miei occhi – non hanno valore.

Non da oggi io sono di questa opinione: da decenni ho sempre combattuto la tesi avversaria. Mancherei quindi al mio dovere morale se, in questo momento, io non esponessi, per lo meno, la mia opinione.

Quali sono le ragioni dei miei dubbi in questa materia?

Una voce a sinistra. La Confindustria!

EINAUDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Ministro del bilancio. Non la Confindustria, perché non esisteva, quando trenta anni fa io cominciai a scrivere in questa materia. E credo che molti in quest’Aula sanno che le mie opinioni non derivano da nessuno. (Vivi applausi al centro). In questa materia sono persuaso che non bisogna ascoltare nessuno, salvo la propria coscienza.

Ora, quali sono le ragioni che sono state addotte, a favore della tassazione degli enti collettivi?

Ve ne è una che credo che in quest’Aula non sia stata ancora ricordata; una motivazione che ha avuto un’enorme diffusione in molti paesi stranieri e si intitola al nome dell’economista forse più celebre dei tempi moderni, il Keynes.

Secondo questa concezione, gli enti collettivi – sopratutto le società per azioni – dovrebbero essere tassati a parte, nei paesi dove li tassano, allo scopo di impedire ad essi di accumulare riserve esenti da imposte.

La argomentazione non è valida legalmente per il nostro paese, in quanto che – come tutti sanno – l’imposta di ricchezza mobile non colpisce il reddito distribuito agli azionisti, ma colpisce invece l’intero reddito prodotto, sia esso distribuito, sia esso mandato a riserva.

In altri paesi, dove il reddito tassato è il reddito distribuito, c’è una falla nella tassazione: non è invero soggetta all’imposta normale, quella che si chiama qui in Italia l’imposta di ricchezza mobile, la somma mandata a riserva. Epperciò, in quei paesi si dice che occorre istituire una imposta speciale per le società per azioni, allo scopo di tassare le somme mandate a riserva, e si ritiene che ciò debba accadere perché si crede – da coloro che sono fautori di questa norma – che il mandare somme a riserva, ossia il fare un risparmio di carattere societario collettivo, sia uno dei delitti capitali della società moderna. Si ritiene da costoro che le crisi economiche, che ogni tanto si verificano nel mondo, siano dovute all’eccessivo risparmio.

Io non voglio giudicare se questa teoria o tesi sia vera o falsa. È un qualche cosa che non ci interessa, né dal punto di vista giuridico, perché la nostra legge d’imposta tassa già le somme mandate a riserva; né dal punto di vista economico, poiché nessuno dubita qui, in questa Assemblea, che nel momento presente e nel nostro paese il mandare somme a riserva, il risparmiare non sia una delle necessità più impellenti del momento. È necessario mandare somme a riserva, allo scopo di compiere la ricostruzione di ciò che è stato distrutto dalla guerra.

Discuteremo dopo, discuteranno coloro che saranno qui fra quattro o cinque anni, quando tutto sarà ricostruito in Italia, discuteranno allora, essi, se sia conveniente favorire o non favorire il risparmio e mandare somme a riserva. Credo che nel momento presente la questione sia di fuori dalla realtà, ché oggi nessun dubbio può sussistere che, se una scelta deve essere fatta verso l’incoraggiare o lo scoraggiare il risparmio e l’inviare somme a riserva, il dubbio deve ricevere soluzioni nel senso per lo meno di non scoraggiare.

Una tassazione, quindi, la quale si fondi su questo motivo, non si può dire abbia un fondamento logico e reale, oggi.

Un secondo motivo che può spiegare una tassazione particolare degli enti collettivi fu già ricordato in questa seduta da parecchi oratori ed anche dal mio collega delle finanze; e consiste in una asserita maggiore capacità contributiva delle società per azioni, in confronto alle imprese private individuali ed anche alle imprese collettive minori.

Ciò è esatto. Nessuno si sognerebbe infatti di costituire una società per azioni, se cosiffatta maniera di società non fosse lo strumento utile per poter incrementare il reddito di coloro che attendono ad operazioni economiche. Se questo non fosse il risultato previsto, la costituzione di una società per azioni sarebbe un qualche cosa di veramente irrazionale.

La premessa è dunque indiscutibile: ma, da questa premessa, che cioè la società per azioni sia uno strumento di produzione di maggior reddito, non discende l’illazione che le società per azioni possano essere soggette a tassazioni particolari. Se è vero, come io ritengo che sia vero, ove le cose procedano razionalmente, che l’effetto è quello sopra enunciato, questo effetto che le società per azioni hanno di incrementare il reddito o di incrementare il patrimonio netto delle società, trova necessariamente la sua espressione visiva nel reddito delle azioni appartenenti agli azionisti e nel valore – e noi qui particolarmente guardiamo ai valori patrimoniali – nel valore, dicevo, delle società stesse.

La argomentazione serve quindi soltanto a dimostrare che il valore capitale delle azioni ammesse alla società per azioni o il valore capitale delle carature delle altre società, viene ad incrementarsi appunto per la capacità di reddito che hanno le società. Ma questo eventuale maggior valore capitale noi lo tassiamo già con la imposta progressiva sul patrimonio degli azionisti. La tassazione ulteriore degli enti collettivi sarebbe evidentemente, se dovuta a questo motivo, un bis in idem.

Una terza argomentazione che anche qui è stata ricordata – ed è un’argomentazione pratica, concreta – è quella che si riferisce alla maggiore possibilità che hanno i patrimoni mobiliari, che sono soprattutto quelli dai quali traggono vita le società per azioni, di essere sottovalutati ai fini dell’imposta patrimoniale progressiva, in confronto ai patrimoni immobiliari terrieri od edilizi.

Si dice cioè: ciò che in pratica succede è che i patrimoni consistenti in terreni ed in case sono valutati, ad esempio, cento e l’imposta patrimoniale progressiva straordinaria li colpisce su cento, mentre invece i patrimoni mobiliari sono tassati soltanto, di fatto, a causa dell’imperfetto funzionamento del nostro sistema tributario ordinario, su qualche cosa di meno di cento, supponiamo su 70 o 80.

È quindi corretto che vi sia questa speciale imposta sugli enti collettivi, la quale ripari alla, per così dire, dimenticanza della finanza in sede di imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. È un espediente che si adotta allo scopo di raggiungere la parità di trattamento tra i contribuenti immobiliari e i contribuenti mobiliari.

Alla tesi io contrappongo qualche osservazione che, ripeto, credo sia anch’essa concreta. Se la tesi è valida, essa vale per tutti i contribuenti mobiliari, e non soltanto per quei contribuenti i quali hanno la forma della società per azioni o delle altre società che sarebbero tassate in sede di tassazione particolare degli enti collettivi. Se la argomentazione è valida, essa si riferisce anche ai commercianti e agli industriali individuali, alle imprese individuali e, anzi, si riferisce con tanto maggior ragione a questi, poiché, se c’è una qualche sperequazione, la sperequazione opera massimamente a vantaggio dei contribuenti individuali, i quali non sono soggetti a quegli obblighi di tenere libri, di compilare bilanci, ecc., che sono certamente, nel campo delle società per azioni, un aiuto per la finanza per conoscere meglio il reddito imponibile e i valori capitali.

L’argomentazione è dunque troppo ampia perché possa essere applicata soltanto ad un gruppo di contribuenti. L’argomentazione porterebbe a stabilire un’altra imposta, la quale, per controbilanciare il maggiore peso della tassazione dell’imposta straordinaria progressiva sui patrimoni immobiliari, colpisca con un supplemento ulteriore i patrimoni mobiliari. Io non so se l’Assemblea voglia porsi su questa via; e prima di porsi su questa via, io desidererei che essa riflettesse un poco a ciò che è il significato morale dell’argomentazione medesima. In sostanza, quando noi diciamo: «Tu contribuente frodi la finanza, poiché la tua tassazione è fatta su basi più basse di quelle sulle quali sono fatte le tassazioni dei contribuenti proprietari di terreni e di case; e frodando tu la finanza, perché sei tassato o collabori a questa minore valutazione della tua sostanza, tu frodi, se non intenzionalmente, almeno di fatto; e poiché tu frodi noi ti facciamo pagare una seconda volta o ti facciamo pagare il 10 invece che il 5 percento, il 20 invece del 10 per cento», noi veniamo a legittimare la frode. Non è morale, non è onesto dire ad un contribuente: «Tu sei frodatore; e poiché sei frodatore, io aumento l’aliquota d’imposta a tuo carico»: poiché il contribuente che si sente fare questo discorso ha diritto di dire: «Tu, Stato, legittimi la mia frode, perché la accogli già fin dal principio; poiché già fin dall’inizio ammetti, riconosci, sovratassandomi in maniera che sarebbe ingiusta se io non frodassi, che io sia tassato su una base minore di quello che non sia la base degli altri contribuenti». I contribuenti possono replicare: «Fa il tuo dovere, tu, finanza: accerta l’intiero reddito o l’intiero valore, ma non parlare di frode, non legittimare la frode; non falsare il sistema tributario; non aumentare a torto le aliquote, le quali possono colpire anche i contribuenti che, pur trovandosi nella medesima mia categoria, sono stati tassati sull’intiero valore del loro patrimonio».

Io credo, quindi, che questa sia un’argomentazione pericolosa. Lo abbiamo visto di fatto in altre circostanze quanto sia pericolosa la argomentazione dell’aumentare le aliquote delle imposte per taluni contribuenti, perché si suppone essi frodino la finanza. Essa ha portato ad esagerazioni di enormi aliquote a carico di certi contribuenti nelle categorie B e C, dell’imposta di ricchezza mobile, perché i contribuenti di categoria D, ossia i dipendenti dello Stato e degli altri enti pubblici, dicevano sempre: «Noi paghiamo l’imposta di ricchezza mobile sull’intero ammontare del nostro stipendio. Neppure una lira del nostro stipendio sfugge all’imposta». (Interruzioni a sinistra).

GULLO FAUSTO. Onde una aliquota minore e una presunzione di frode dello Stato rispetto ai professionisti.

EINAUDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Ministro del bilancio. Lo Stato, appunto in considerazione di questa presunzione di frode fatta a carico dei professionisti, e non solo a carico dei professionisti ma anche degli impiegati privati e degli industriali e dei commercianti privati, ha aumentato sempre di più l’aliquota e l’ha aumentata in maniera scorretta, perché io dico che, se i contribuenti fanno il loro dovere, l’aliquota che colpisce i professionisti dovrebbe essere minore di quella che colpisce gli impiegati, ché il reddito degli impiegati è un reddito, a parità di somme (qui si parla sempre a parità di somme), costante che si percepisce in tutti i mesi dell’anno, che può essere riscosso anche durante i mesi di malattia e può dar luogo a pensioni…

Una voce a sinistra. Pensioni di fame!

EINAUDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Ministro del bilancio. …mentre il reddito dei professionisti è incostante, non si percepisce in tempi di malattia e non si ottiene quando si è vecchi e si deve abbandonare il lavoro. Quindi, se si volesse fare giustizia vera, se l’aliquota dell’imposta sugli impiegati è dell’8 per cento, l’aliquota dell’imposta sui professionisti dovrebbe essere del 4 per cento, non del 16.

Io ricordo che tanti anni fa (credo che l’onorevole Corsi si sia recentemente ricordato di queste mie dimostrazioni) ho sostenuto la tesi che per togliere di mezzo questo argomento, il quale faceva sì che le aliquote dell’imposta di ricchezza mobile a carico delle categorie dei professionisti e degli industriali fossero aumentate troppo, occorreva esentare gli impiegati dello Stato da ogni e qualsiasi imposta di ricchezza mobile, così da togliere occasione al ripetersi di questo argomento. Ed ho avuto la soddisfazione, che per altre ragioni (ed anche allora dicevo che il momento di introdurre l’immunità degli stipendi degli impiegati pubblici dall’imposta sarebbe venuto quando si fosse dovuto aumentare il loro stipendio) il presente governo ha esentato i redditi degli impiegati, dando ad essi praticamente un aumento di stipendio. L’imposta sui redditi degli impiegati era del resto pura forma, non sostanza. Tutti gli impiegati sapevano fino a ieri che quando ricevevano uno stipendio di cento lire, non ricevevano cento lire ma 92 lire e nessuno si occupava del lordo. Dovendosi aumentare lo stipendio, è stato meglio abolire la ricchezza mobile e togliere così l’imbarazzo di una infinità di scritturazioni contabili che non rendevano un centesimo allo Stato, aumentavano il malcontento degli impiegati, e fornivano causa ad aggravamenti odiosi e dannosi di imposta a carico di altre categorie di contribuenti.

L’argomento della differenza di severità nell’accertamento non può dunque essere invocato, perché è un argomento che in materia di finanza non è morale. La finanza se vuole dare buoni risultati economici, se vuole condurre le imposte al massimo di rendimento, deve soprattutto osservare principî morali, non deve basarsi su ipotesi e presunzioni di frode da parte del contribuente. La finanza deve procedere dritto, tassare il contribuente per quello che ha e punirlo il giorno in cui scopre che egli ha occultato una parte del suo reddito. E le punizioni devono essere esemplari, non soltanto costituite da multe, le quali possono essere anche obliterate e condonate.

L’argomento fondamentale a proposito della tassazione degli enti collettivi è però, in sostanza, tolto di mezzo questo preliminare apparato ingombrante di falsi ragionamenti, quello delle rivalutazioni.

Nell’attuare la perequazione tra i contribuenti, si possono adottare avvedimenti utili a facilitare il calcolo del reddito. Si possono adottare criteri di stima fondati sul reddito medio, su coefficienti presuntivi; ma debbono essere criteri e coefficienti uguali per tutti.

In questo argomento delle rivalutazioni c’è qualche cosa che è serio e qualche cosa che serio non è.

Rivalutazioni: che cosa vuol dire? Se una legge dello Stato dicesse ad esempio che il metro è lungo 10 centimetri soltanto, il legislatore avrebbe perfettamente ragione di dire ciò: è in suo arbitrio di dirlo. Improvvisamente, ad esempio, io che sono alto 1,67 di altezza diventerei alto 16 metri e 70.

Sarebbe questa una buona ragione perché qualcuno mi dicesse: dammi una parte di quello che ti avanza, dell’incremento di altezza tua; dammi un pezzo di piede, dammi la testa? Tutti vediamo che questa è un’argomentazione priva di valore. Or bene, in tema di rivalutazioni bisogna distinguere fra ciò che è apparenza e ciò che è realtà. C’è dell’apparenza e c’è della realtà. Comincerò a dire ciò che è apparenza per passare poi a quello che è realtà.

L’apparenza è il cambiamento di nome monetario dato alle stesse cose che erano possedute dagli enti, sia privati che collettivi. Non c’è a questo riguardo nessuna differenza fra enti privati e collettivi. Siamo qui in materia di enti collettivi e si discorre di enti collettivi, ma l’argomentazione è valida per tutti. Quando una macchina, supponiamo una rotativa, la quale un tempo poteva essere acquistata per un milione di lire, in virtù della svalutazione monetaria viene a valere 100 milioni, io dico che qui c’è una variazione puramente nominale: non c’è nessuna variazione sostanziale nel patrimonio del contribuente; è la stessa rotativa che adempie ai medesimi fini di prima e che ha un altro nome monetario. È lo Stato il quale ha variato il metro monetario e invece di adoperare una lira lunga adopera una lira corta per misurare i valori e adoperando una lira corta quelle stesse attività patrimoniali le quali valevano uno vengono poi a valere venti, trenta, cinquanta e anche cento a seconda dell’epoca alla quale possiamo far risalire la variazione del metro monetario.

Se ci riferiamo all’ultima guerra diremo che il coefficiente sarà, ad esempio, 40; se ci riferiamo all’epoca anteriore al 1914 diciamo che il metro monetario è una centesima parte, o anche meno, di quello che era prima. Questa variazione monetaria è puramente nominale, apparente, e non muta nulla alla ricchezza ed alla capacità contributiva del contribuente. Ma, appunto per questo, una tassazione delle rivalutazioni apparenti del patrimonio proprio del contribuente – mi riferisco a tutti i contribuenti in generale – è senza fondamento logico, senza fondamento economico.

CRISPO. Intanto l’abbiamo già votata.

EINAUDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Ministro del bilancio. Quella che ha fondamento è un’altra rivalutazione: una diversa rivalutazione. Vi ha già accennato il mio collega delle finanze. Supponiamo che, invece di lavorare con capitali proprî, il contribuente abbia lavorato con capitali altrui presi a prestito; supponiamo che la stessa azienda giornalistica che aveva comperato la rotativa per un milione di lire tanti anni fa, l’avesse acquistata contraendo un debito di un milione di lire: adesso, quell’azienda giornalistica si trova a possedere una rotativa la quale vale cento milioni. Ma poiché il capitale con cui aveva comperato la rotativa non era suo – era di un altro – quel contribuente ha ottenuto un vero guadagno. Qui c’è una rivalutazione non apparente, ma una rivalutazione effettiva, una rivalutazione reale. E questa è vera materia di imposta: c’è un guadagno effettivo, un arricchimento sostanziale in confronto al patrimonio reale precedente.

Distinguiamo perciò tra quelle che sono le rivalutazioni nominali apparenti e quelle che sono le rivalutazioni reali, perché si riferiscono a beni che sono stati comperati prendendo a prestito la somma. In questo caso, giustizia astratta, piena, che cosa vorrebbe? Vorrebbe che i 99 milioni di differenza che sono stati appropriati dall’azienda giornalistica che ha comperato, facendo dei debiti, quella rotativa che oggi vale 100 milioni, fossero restituiti ai legittimi proprietari, ai creditori che hanno dato il danaro a prestito.

Il problema si è presentato infinite volte. Anche dopo la prima guerra mondiale si era presentato, sopratutto nei paesi a larga svalutazione come la Germania; non solo è stato discusso, ma ha dato luogo a provvedimenti legislativi di restituzione parziale a coloro che erano stati danneggiati dalla svalutazione monetaria. Bisogna riconoscere che in questa materia è molto difficile, quasi impossibile, nella maggior parte dei casi, andare rintracciando quei tali creditori i quali avevano dato a mutuo la somma al debitore che si è in questa maniera arricchito. Se si trattasse di transazione recentissima, la restituzione sarebbe pensabile; ma se si tratta di transazione non recentissima, il margine di errore sarebbe molto grande. Quando il tempo trascorso è lungo, l’arricchimento è avvenuto a carico di creditori che sono morti, che hanno venduto le ragioni di credito; ci sono stati trapassi per cui resta quasi impossibile rintracciare il vero danneggiato. In questo caso può intervenire lo Stato e dire: in questa materia di rivalutazioni sostanziali c’è un vero lucro, c’è un vero arricchimento di taluni contribuenti; non potendo andare a rintracciare e conoscere coloro i quali sarebbero i veri proprietari della somma che è andata a favore di taluni e a danno di altri, io, Stato, mi approprio di una parte dell’arricchimento. Orbene, qui mi tocca ricordare un’altra massima fondamentale tributaria: se le imposte vogliono essere imposte giuste, imposte corrette, non solo devono soltanto colpire tutti gli arricchimenti, solo e tutti gli arricchimenti effettivi e sostanziali, ma li devono colpire quando essi siano realizzati. È la massima fondamentale della nostra imposta di ricchezza mobile fin dal 1864; è la massima sulla quale riposa tutta la tassazione mobiliare, cioè tassare i redditi, gli arricchimenti che abbiano trovato la loro realizzazione. Se invece andiamo in un altro ordine di idee e tassiamo gli arricchimenti quando essi sono soltanto in potenza, ma non sono stati ancora realizzati, noi diamo la materia tributaria in pasto all’arbitrio; noi tassiamo soltanto la possibilità astratta che in avvenire, vendendosi quei cespiti imponibili, il contribuente realizzi un lucro.

Tutta la nostra legislazione, tutta la nostra giurisprudenza è informata al concetto di tassare questi arricchimenti, ma quando essi si siano realizzati. Cercare un’altra via sarebbe come dire: oggi i prezzi sono tali e tu ti sei arricchito, ma domani i prezzi possono essere diversi, possono essere ribassati, e tu, che non hai venduto, invece di aver guadagnato, hai perduto; ma noi siamo stati accorti e ti abbiamo tassato per tempo, aggiungendo un’altra perdita a quella che ti apprestavi a subire.

Se si tratta di queste rivalutazioni, la nostra legislazione vigente provvede già. È infatti pacifica giurisprudenza nel nostro sistema di imposte di ricchezza mobile che i maggiori prezzi che sono stati ottenuti formino materia di tassazione quando ci sia realizzo, e tutti sappiamo che l’imposta di ricchezza mobile non ha la mano leggiera nelle aliquote.

Possono, oltre alla appropriazione delle rivalutazioni da debiti, esservi altre ragioni di rivalutazioni effettive: da situazioni monopolistiche o da circostanze transitorie, le quali abbiano fatto aumentare il valore di singoli cespiti al di sopra dell’aumento mediamente dovuto alle svalutazioni. Trattasi, a parer mio, di cose non grosse dal punto di vista fiscale; ma in ogni caso ad esse provvede già l’imposta di ricchezza mobile. Riassumendo, la tassazione degli enti collettivi non riposa su alcun fondamento di ragione, o per quel che in essa vi è di corretto fiscalmente, ad essa provvede già pienamente la nostra imposta di ricchezza mobile, che a torto si dimentica, quasi che dal 1844 in poi essa non consentisse di tassare tutti i redditi e tutti gli arricchimenti meritevoli di tassazione.

Questi sono i dubbi che mi hanno angustiato in questi giorni, e mi hanno indotto di esporli all’Assemblea. Era mio dovere esporli, affinché l’Assemblea possa pronunciare il suo giudizio dopo aver ascoltato tutte le argomentazioni pro e contro. Ed è naturale che io mi associ pienamente alle dichiarazioni del collega Ministro alle finanze nel dire che, qualunque sia la deliberazione che vorrà prendere l’Assemblea, io, pur mantenendo la validità, quando non sia confutata da nuove argomentazioni a me ignote, delle mie critiche, mi inchinerò ad essa. (Vivi applausi al centro).

VALIANI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VALIANI. Onorevoli colleghi. Voglio intrattenervi brevemente su questa questione della tassazione degli enti collettivi, perché sono stato il primo a sollevare la questione nella discussione generale. Devo dare atto al Ministro Pella della sua estrema buona volontà in questa questione e devo ringraziarlo della sua lealtà e della sua fermezza nel difendere sopratutto l’interesse del fisco che è superiore alle considerazioni dottrinarie esposteci dall’onorevole Einaudi e superiore anche agli interessi particolari che premono su questa Assemblea.

L’onorevole Pella ha resistito alle pressioni particolari e voglio dargli atto e ringraziarlo di ciò.

Quanto alla questione dell’una o dell’altra forma di tassazione, evidentemente potevano esserci motivi fondati di preferenza a colpire le rivalutazioni, nel momento in cui il Ministro Campilli venne davanti alla Commissione delle finanze e annunciò il suo progetto chiedendo alla Commissione stessa, la quale stava per orientarsi verso la tassazione degli enti collettivi, di sospendere ogni decisione in merito, inquantoché egli si impegnava a fare approvare in brevissimo tempo dal Consiglio dei Ministri la legge sulle rivalutazioni.

Ora però sono successi due fatti:

1°) Molte rivalutazioni sono già state fatte dopo la seduta del 20 aprile.

2°) Siamo alla fine di luglio, l’Assemblea va in vacanza e il Governo, se non va in vacanza, certamente riposa, e quindi esiste il rischio che la legge sulla rivalutazione finisca con l’essere approvata prima dal Consiglio dei Ministri e poi dall’Assemblea in ottobre, quando ancora altre rivalutazioni saranno state fatte. Di modo che l’interesse del fisco, malgrado gli argomenti di carattere teorico in favore della rivalutazione, non sarebbe salvaguardato nella stessa misura, in cui potrebbe esserlo con la tassazione degli enti collettivi.

Da calcoli sommari, che non sono molto esatti, ma che hanno una certa base di fondamento, con la tassazione degli enti collettivi, secondo lo stesso progetto ufficioso del Ministro Pella, si possono incassare 60 miliardi e forse anche di più; a questo progetto si potrebbero, infatti, apportare alcune modificazioni, che permetterebbero di colpire un po’ di più; ma, anche così com’è, esso dà un introito abbastanza sicuro e cospicuo; mentre il provvedimento sulle rivalutazioni, se giunge con qualche mese di ritardo ancora, rischia di darci molto di meno di quanto avrebbe dovuto dare in aprile. Un provvedimento di rivalutazione, in periodo inflazionistico, e, onorevole Einaudi, noi siamo purtroppo in periodo inflazionistico, anche se Ella, come Governatore della Banca d’Italia, da tre anni si rifiuta di ammetterlo ed agisce come se questo processo inflazionistico non esistesse, dicevo – dunque – in periodo inflazionistico una legge che colpisce le rivalutazioni è sempre un terno a lotto: può dar molto come può dar poco. Secondo gli argomenti esposti dall’onorevole Einaudi, gli accrescimenti di valori nominali non sempre si basano su effettivi accrescimenti di consistenze patrimoniali. Può anche darsi che così sia per la maggior parte dei piccoli e medi industriali, che in generale non sono costituiti in società anonime, e che guadagnano in danaro e perdono in scorte. Questa categoria è interessata però a che si colpisca di più l’altra categoria, la quale viene ad essere soprattutto colpita col provvedimento sulle tassazioni degli enti collettivi.

Non solo; io non conosco, purtroppo, il progetto sulle rivalutazioni, annunciato dall’onorevole Pella. Pur facendo parte della Commissione finanze e Tesoro, non me ne è stata data copia; immagino che l’onorevole Pella l’abbia data a titolo personale al Presidente della Commissione, pregandolo di non comunicarlo ancora alla Commissione stessa, inquantoché il Governo non si era pronunciato.

PELLA, Ministro delle finanze. È esatto.

VALIANI. Nulla da eccepire: non voglio fare nessuna speculazione politica sulla indecisione del Governo. Anzi, gli onorevoli Einaudi e Pella sono stati molto leali nel portare i loro dubbi davanti all’Assemblea. Permettano ora anche ai membri all’Assemblea di controbattere alcuni di questi dubbi e di esporne altri.

Uno di questi dubbi sul provvedimento delle rivalutazioni annunziate dall’onorevole Pella, che evidentemente devo giudicare nelle sue grandi linee, come l’onorevole Pella lo riassunse, riguarda il criterio del dollaro, il quale è considerato non più a cento, ma a 225.

Io ho ascoltato con molta gratitudine l’esposizione dell’onorevole Einaudi, perché ricordo con quanto godimento e interesse leggevo i suoi scritti quando, in prigionia, cercavo di completare i miei studi. Tuttavia, da uomo che ha qualche esperienza pratica, devo dire che uno degli errori più patenti del Governo e del governatore della Banca d’Italia fu di fissare a suo tempo il dollaro a 225, mentre doveva fissarlo a 400 o 500.

EINAUDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Ministro del bilancio. Era giusto a 225, allora.

VALIANI. Io tornavo in quei giorni dall’America, quando ella fissò il cambio del dollaro a 225; il rapporto reale tra i costi di produzione era allora 400-450. Noi scontiamo questo errore. Ci sono grosse società, che noi vorremmo tassare, le quali hanno guadagnato diecine di miliardi, perché hanno ricevut. prodotti in assegnazione ad un cambio e li hanno rivenduti ad un altro, molto più elevato.

Una voce. Prodotti tessili.

VALIANI. Non soltanto tessili. In periodo inflazionistico ognuno cerca di difendere con estremo accanimento i propri interessi. Gli argomenti che l’onorevole Einaudi ha addotti in un recente articolo, a giustificazione del contadino che deve difendere la propria stalla, valgono per tutti. Quando il Governo – non è il caso di giudicarlo per questo – mantiene il corso ufficiale del dollaro a 224 (e quindi nel provvedimento di rivalutazione si tiene conto di questo fatto), è inutile e vano parlare, come fa l’onorevole Einaudi, di giustizia tributaria. Se si tenesse fede alla giustizia tributaria, tutto questo disegno legge sulla patrimoniale bisognerebbe respingerlo. Malgrado che l’onorevole Einaudi abbia più volte sostenuto che si possono pagare le imposte sul patrimonio, l’Assemblea, nella stragrande maggioranza, accetta l’altra tesi, che esse si pagano solo sul reddito e per ciò, nonostante l’esistenza del brillante opuscolo dell’onorevole Einaudi, l’Assemblea – se fosse libera di scegliere – non accetterebbe questo provvedimento come un provvedimento di giustizia tributaria. C’è tutta una serie di tributi che sono oggi ingiusti, come ad esempio quel tre per cento sulle fatture. Quando quel tributo fu congegnato, il Governo del tempo non poteva pensare che la merce avrebbe cambiato quindici volte di mano prima di giungere in mano al consumatore, per cui la gente è costretta a frodare il fisco, perché, evidentemente, non può pagare quindici volte la tassa. È dunque un’imposta che ha una sola giustificazione, cioè il fatto di togliere il massimo possibile di moneta dalla circolazione e di darla al fisco. Se si fosse fatto il cambio della moneta – contro cui si possono pur addurre gli argomenti logici che l’onorevole Einaudi ha addotto – si poteva, con questo mezzo, frenare effettivamente l’inflazione ed allora noi potevamo prescindere dal provvedimento odierno. Ma non si è adottato, e dobbiamo dunque esigere il provvedimento sugli enti collettivi, che potrebbe dare 70 miliardi!

Il provvedimento sulle rivalutazioni non ci dà sufficienti garanzie al riguardo, e per questo mantengo l’emendamento nel quale si chiede la tassazione degli enti collettivi e che questa sia stabilita dall’Assemblea ora, e che, prima del voto finale sulla imposta patrimoniale, questo provvedimento sulla tassazione degli enti collettivi sia incorporato nella imposta stessa, come titolo III.

Onorevoli membri del Governo! Dovete dare atto all’Assemblea ed all’opposizione che è in questa Assemblea, che essa vi ha votato e vi voterà un provvedimento che una opposizione, in tempi normali, non voterebbe, perché è un’imposta molto dura e molto impopolare e sarà tanto più impopolare quanto più si pagherà; e tuttavia sarà pagata.

Bisogna dare atto alla severità dell’onorevole Pella, il quale ha fatto paura alla gente, ed ha fatto bene a far paura (i risultati sono brillanti): vi dico però che un’Assemblea dotata di minor senso di responsabilità non l’accetterebbe ed avrebbe mille ragioni per non accettarlo; voi non avete voluto, infatti, che si desse severa esecuzione ad altre imposte molto più giuste di questa, come quella sui profitti di monopolio realizzali in periodo di guerra, in periodo di autarchia e di occupazione tedesca. Noi voteremo dunque questa imposta, ma il Governo ci deve dare una contropartita, cioè dal momento che un’imposta è votata all’unanimità, o almeno, da una stragrande maggioranza dell’Assemblea, il Governo stesso deve venire incontro al voto di gran parte dell’Assemblea, la quale chiede che su questa strada si vada fino in fondo e che si riscuotano i 60 o 70 miliardi, che possono essere riscossi con la tassazione degli enti collettivi.

Chiedo dunque al Governo di non influenzare il voto dell’Assemblea, ma di lasciare libertà in questo voto. Lo dico come presentatore dell’emendamento, che è stato firmato anche da esponenti di diversi partiti – ci sono tra di essi democratici cristiani e uomini di sinistra – sicché la maggioranza già c’è per approvare la tassazione degli enti collettivi.

Chiedo che il Governo non forzi gli uomini del partito maggioritario e lasci che questi colleghi, che hanno firmato sapendo di interpretare il pensiero della maggioranza del loro partito, partito, malgrado tutto, legato alle masse popolari, partito che ha cura degli interessi del Paese; lasci che questi colleghi votino insieme all’onorevole Scoca e agli altri che hanno firmato l’emendamento.

Ripeto, queste considerazioni che ho voluto esporre non significano che io non tenga nel dovuto conto gli argomenti dell’onorevole Einaudi; gli argomenti dell’onorevole Einaudi hanno sempre grande peso, però, nel periodo in cui viviamo, nella situazione di emergenza che attraversiamo, noi dobbiamo basarci anche su alcuni elementi che l’onorevole Einaudi, per ragioni dottrinarie, sottovaluta. (Applausi a sinistra).

PESENTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PESENTI. Sono lieto che l’onorevole Einaudi abbia espresso chiaramente il suo parere. Sono lieto per due motivi: prima di tutto perché ha dato un esempio interessante di un Ministro che espone chiaramente il suo pensiero in disaccordo – con ogni probabilità – da quello di altri membri del Governo. Io penso che questo sia giusto e sia un esempio di democrazia; ma intendo ricordarlo perché, quando in altre occasioni era avvenuta la stessa cosa, e non dai banchi del Governo, ma soltanto dai settori della stampa, questo atteggiamento è stato a torto criticato.

Ma vi è un altro motivo che mi rende lieto del chiarissimo parere espresso dall’onorevole Einaudi: perché, se noi abbiamo ben compreso, l’onorevole Einaudi si è espresso contro sia la tassazione degli enti collettivi, sia la tassazione delle rivalutazioni, portando degli argomenti di carattere scientifico e degli argomenti di carattere pratico.

Io non voglio qui esporre tutti gli argomenti di carattere scientifico. Faccio rilevare soltanto brevemente che l’onorevole Einaudi ha dato degli indirizzi di politica economica, cioè ha ricordato che la tassazione degli enti, sia pure con particolari imposte sul reddito, è effettuata in alcuni paesi e corrisponde a quella dottrina economica che crede opportuno stimolare il consumo e limitare l’autofinanziamento. Questa è una dottrina di politica economica, che corrisponde a particolari situazioni in quei paesi.

Ma il problema è diverso nel campo fiscale; non si tratta di vedere se si deve o non si deve attuare una determinata politica economica, il che è da discutere in altra sede, ma tratta di vedere se esista una particolare capacità contributiva, cioè un soggetto particolare di imposta, nell’ente collettivo.

Ora, senza far torto all’onorevole Einaudi, questo punto non è affatto pacifico, perché, come l’onorevole Einaudi ritiene che non vi sia questa personalità particolare dal punto di vista fiscale, vi sono altri che pensano che questa personalità esiste, dal punto di vista economico…

EINAUDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Ministro del bilancio. Sono trent’anni che discutiamo!

PESENTI. Sono trent’anni che discutiamo, quindi evidentemente ciò vuol dire che il parere dell’onorevole Einaudi è un parere che può essere contestato, perché ci sono altri di diverso parere, ed io appartengo a coloro che sono di diverso parere, perché, se non vi fosse una diversa potenzialità economica – diversa dalla somma dei singoli – non so perché i singoli si unirebbero per costituire una determinata società, un determinato ente economico.

Comunque, non intendo entrare in questi argomenti, anche perché l’onorevole Einaudi potrebbe obiettare che qui si tratta di imposta sul patrimonio e non sul reddito, quantunque esista certo un legame tra le due entità.

Gli altri argomenti addotti dall’onorevole Einaudi non hanno, evidentemente, un carattere di obiezione scientifica: si tratta soltanto di considerazioni pratiche, di valutazioni. E io penso che di queste non è da discutere. Ma lasciamo da parte l’aspetto teorico della questione e veniamo a quella che è propriamente l’accusa di doppia imposizione che si farebbe tassando gli enti, se questi enti non fossero una cosa distinta dalle persone che li compongono, mentre, per me, economicamente sono distinti. Quali sono questi enti? Questi enti sono le fondazioni. Ebbene, le fondazioni non hanno dei soggetti particolari, singoli individui, che siano colpiti dalle imposte.

Per quanto riguarda le società per azioni: o i titoli azionari sono in possesso di piccoli azionisti che possono essere esenti dall’imposta in quanto al di sotto del minimo imponibile (del resto io penso che gli azionisti, anche se non sono piccoli, nonostante tutte le norme dello schedario dei titoli azionari, sfuggiranno facilmente), oppure questi titoli sono in possesso di società, ed è questo il caso più frequente. Ma anche qui c’è l’esenzione; perché le società non sono attualmente colpite, quindi di fatto non c’è una doppia tassazione.

Io credo perciò che le argomentazioni addotte dall’onorevole Einaudi per quello che riguarda la tassazione degli enti collettivi siano, da un punto di vista dottrinario, discutibili. È certo comunque che sono discusse e, per quello che riguarda il fatto pratico, bisogna dire che non corrispondono alla situazione di fatto.

Io non discuto la questione di politica economica, perché questa non è la sede, evidentemente; osservo solo che, se si volesse fare una politica che aiutasse il finanziamento, non si dovrebbe allora parlare soltanto di società, ma si dovrebbe parlare di tutti i contribuenti.

Vi è poi la questione della tassazione sulle rivalutazioni. Riconosco che le argomentazioni portate dall’onorevole Einaudi sono conseguenti, ma esse portano alla conclusione che, quando questo plusvalore diventa reddito, è già tassato e non dovrebbe quindi venire più considerato. Una tassazione invece che dovrebbe essere possibile, nei limiti delle argomentazioni dell’onorevole Einaudi, sarebbe quella delle plusvalenze in seguito ad investimenti fatti a credito. È questo un argomento che si discuterà dopo però, perché altrimenti, ove noi dovessimo discuterlo oggi, andremmo a finire come quel tale asino di Buridano che vi ho dianzi ricordato: andrà a finire cioè che si morirà di fame non sapendo scegliere e, se l’Assemblea sarà messa di fronte alla necessità di prendere una decisione, io credo che tale decisione non potrà essere se non quella che è stata già accettata in linea di massima dai membri della Commissione e da tutti coloro che hanno presentato emendamenti.

Io chiedo quindi che si voti sul principio della tassazione degli enti collettivi, principio generale a favore del quale noi abbiamo pure sacrificato qualche cosa, principio a favore del quale noi abbiamo almeno accettato il sistema empirico della proporzionalità che era stato suggerita dal progetto del Governo, in luogo della nostra più razionale, moderata progressività.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Io desidererei una spiegazione intorno alle ultime parole dell’onorevole Pesenti, perché qui, secondo la mia modesta opinione, si sta giocando a mosca cieca. Diceva poc’anzi l’onorevole Pesenti che egli e i suoi amici avrebbero accettato, come criterio della tassazione degli enti collettivi, quello proporzionale; mentre qui tutta la campagna che era stata fatta, era stata fatta a proposito della richiesta applicazione agli enti collettivi dell’imposta progressiva. Se si parla, invece, di proporzionale, parliamo di tutt’altra cosa, e dovremmo avere sott’occhio un testo, dovremmo leggere una norma precisa, perché non si può evitare quello che è il problema fondamentale, cioè quello della doppia tassazione, attraverso dei giochi di parole. Perché, per esempio, la legge del 1919, quella sull’imposta patrimoniale, diceva a chiarissime note che gli enti collettivi erano tassati; ma, però, dopo aver detto questo, spiegava che le società per azioni, le società di cui il capitale era diviso e veniva accertato alle persone fisiche, erano esenti. Qui si parla in modo cumulativo delle fondazioni, che sono una cosa, e delle società per azioni, che sono un’altra cosa; delle fondazioni, dove le persone fisiche non ci sono, e quindi è comprensibilissimo che le fondazioni paghino un’imposta; mentre, viceversa, se nell’espressione «enti collettivi» imponibili si comprendono anche le società per azioni, sorge una doppia imposizione nel momento in cui le azioni sono tassate anche nel patrimonio del singolo detentore in quanto le azioni sono nominative.

Qui, a mio parere, bisogna avere dei dati precisi; bisogna sapere di che imposta si tratta, cioè se della progressiva o della proporzionale; se l’espressione «enti collettivi» implica tutti gli enti collettivi o implica invece la possibilità dell’esenzione precisa per quei tali enti collettivi di cui il patrimonio è diviso fra le persone, e tassato alle singole persone.

Non è possibile passare alla votazione e chiedere il parere della Commissione, senza che i deputati conoscano approssimativamente la natura dell’imposta e il testo di questo progetto di legge che nessuno conosce.

Quindi, propongo una sospensione per essere edotti di che cosa si tratta. E poi vorrei fare un’ultima considerazione… (Commenti a sinistra). Permettete, un’ultima considerazione, che credo abbia il suo peso, cioè che tutto l’orientamento del Governo si è espresso relativamente ad una certa scelta, che esso rimetteva all’Assemblea, in ordine all’adozione o dell’imposta sulle rivalutazioni o dell’imposta sugli enti collettivi. Ora, qui si dimentica che una imposta sulle rivalutazioni c’è già in questo momento, e fortissima, e gravosissima per le società. E allora bisogna sapere se l’approvazione di principio dell’imposta sugli enti collettivi implichi automaticamente l’abrogazione di quell’altra imposta, perché altrimenti, quando noi scegliamo una, ne scegliamo una ma le società ne pagano due. Insomma, bisogna sapere qualche cosa di chiaro e preciso… (Commenti a sinistra).

PRESIDENTE. Rinvio il seguito della discussione ad altra seduta.

Presidenza del Presidente TERRACINI

Sulla fissazione dell’ordine del giorno.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo all’Assemblea di porre all’ordine del giorno della seduta di domani la discussione del disegno di legge sulla ratifica del trattato di pace.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Vorrei pregare il Presidente del Consiglio di non insistere nella sua proposta.

Vi è questo progetto di legge che ha la sua relazione, anzi le sue relazioni, il quale va automaticamente all’ordine del giorno. Ma che la discussione abbia a cominciare domani non mi sembra opportuno; e non mi sembra opportuno per ragioni esclusivamente – per ora – attinenti all’ordine dei lavori parlamentari.

Vuol dire che io mi interdico qualunque considerazione che sia attinente al problema in se stesso e a tutte le varie opinioni che si possano avere e professare su di esso.

È dunque una questione di pura tecnica parlamentare. L’Assemblea in questo momento dispone dei suoi lavori, all’infuori della politica, per il migliore andamento dei lavori stessi. Ora vi è una consuetudine per cui questa stagione rappresentava il limite delle nostre fatiche. La consuetudine ha sempre una sua ragione d’essere; è quindi inutile alludere agli effetti più o meno debilitanti della canicola. Vi è una tradizione per cui la Camera assai prima d’ora solea sospendere i suoi lavori. Questa volta, sotto la pressione di speciali urgenze, si era stabilito di prolungare questi lavori. E non credo di tradire nessun segreto, se dico che in una conversazione amichevole, che io ebbi col Presidente nostro, onorevole Terracini, egli mi disse, così, come in una conversazione (ripeto, senza alcuna preoccupazione politica, perché allora non ce n’era alcuna) che prevedeva che le vacanze si sarebbero potute prendere verso il 19 luglio. Questo come tempo, come giorno di calendario.

Come materia, occorreva definire due argomenti: la Regione, come parte della Costituzione, e la legge sull’imposta patrimoniale. L’uno e l’altro argomento non si sono ancora potuti definire. O meglio, uno sì: la Regione. Per l’altro mi dicono che occorreranno ancora due o tre giorni.

Dopo di che l’Assemblea avrebbe virtualmente preso le sue vacanze.

Si presenta ora questa proposta. Ripeto che io spero e credo ed auguro che altri eventuali oratori e lo stesso Presidente del Consiglio (perché senza di ciò riprenderei la parola) prescindano da ogni considerazione in merito al problema. Ma credo che tutta l’Assemblea sarà unanime, senza distinzione di partito, se io dico che è il più grave degli argomenti su cui l’Assemblea deve decidere, il più grave, non solo per la sua importanza storica, parola di cui si è tanto abusato, ma che mai è così vera come a proposito di questa deliberazione che dobbiamo prendere; ma anche dal punto di vista, oserei dire tecnico, cioè dell’Assemblea Costituente, io domando quale parte della Costituzione è più essenziale di questo progetto che dobbiamo discutere: quale parte della Costituzione è più costituzionale di questo articolo che dobbiamo votare e voteremo, perché tocca il territorio, tocca il diritto di sovranità dello Stato. È una constatazione obiettiva in cui credo che saremo tutti d’accordo.

Dunque, si tratta del più grave degli argomenti. E credo di essere interprete dei sentimenti unanimi dell’Assemblea. È una bella vanità la mia. Ma ci tengo: io vorrei dire cose sulle quali non vi possa essere alcun dissenso per ragioni politiche. Ritengo di essere interprete di tutta l’Assemblea dicendo che essa vuole che questa discussione sia degna dell’argomento.

C’è qualcuno che opina diversamente? C’è qualcuno che opina che si tratti di un peso fastidioso che bisogna rapidamente togliersi dalle spalle? E allora non si posson dare, credo, condizioni più sfavorevoli di queste all’alta discussione che occorre.

L’Assemblea, per rispetto a sé stessa, non dovrebbe consentire questa discussione, meno che in un caso: Annibale alle porle, «salus rei publicae suprema lex». Ci si dica che «rei publicae interest», che è essenziale all’interesse del Paese che l’Assemblea affronti ora la questione in tali condizioni di disagio e d’inferiorità sua in confronto dell’altezza e della nobiltà del tema: e allora ci sobbarcheremo.

Ma se questa ragione non c’è, perché dobbiamo affrontare la questione?

Da ciò la mia preghiera. Non so se devo fare riferimenti e se vengo meno al mio impegno di non toccare il merito della questione, se dico che nella discussione fatta in Commissione dei Trattati, alla quale ho preso parte, questo interesse essenziale dello Stato è stato affrontato. La maggiore comodità di un ambasciatore che deve discutere l’argomento non credo che si possa porre come una legge che imponga all’Assemblea di discutere e di deliberare in maniera non degna della gravità del tema.

Le ragioni che abbiamo ascoltato non parvero a me, né alla Commissione nella sua grande maggioranza, che avessero carattere di gravità.

Prego dunque il Presidente del Consiglio di non insistere. Il disegno di legge vada inscritto all’ordine del giorno. L’Assemblea termini gli argomenti per cui ancora tardivamente è convocata, e quando riprenderemo, allora verrà la questione. Verrà la questione di merito, perché vi è un rinvio di merito gravissimo che non giova abbinare, onorevole Presidente del Consiglio, perché moltissimi che accettano il disegno di legge, abbracciano la croce, per usare una frase cristiana; non trovano però che sia maturo il momento.

Ora non conviene questa questione, attinente in un tempo, ma in un tempo che radica nella natura del Trattato, non conviene porla quando non è necessario porla. Noi possiamo sperare – io spero e mi auguro cordialmente – che nella ripresa queste ragioni siano comprese. Allora la discussione sarà più franca, più netta, più semplice. Questa è la preghiera che rivolgo all’onorevole Presidente del Consiglio. (Vivi applausi a sinistra e a destra).

CANEPA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CANEPA. Chiedo che la questione del Trattato sia iscritta all’ordine del giorno di domani. Nella discussione noi esamineremo gli argomenti portati dall’onorevole Orlando.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. No, non è questo. Domani è tutt’altro. (Commenti).

CANEPA. Assumiamo la responsabilità di esaminare questa questione, lasciando naturalmente la facoltà a tutti di dire la propria opinione. (Interruzioni – Commenti).

Se permettono, dico la ragione dell’urgenza. Si tratta di sapere se l’Italia deve rimanere nello stato di minorità, nello stato di armistizio nel quale si trova (Interruzioni – Commenti) o se deve riacquistare la propria indipendenza. Voi non tenete conto di un fatto di cui non si è occupato l’onorevole Orlando, ma che pure l’onorevole Ministro degli esteri potrà confermare. Per il giorno 10 agosto, cioè fra pochi giorni, l’organizzazione delle Nazioni Unite discuterà la nostra domanda di ammissione alla organizzazione stessa (Interruzioni – Commenti). È l’organizzazione a cui appartengono i Paesi di tutto il mondo, eccetto noi e la Spagna. Questa è la verità. Ora, se noi saremo respinti, e lo saremo indubbiamente, se non avremo ratificato (Interruzioni – Commenti), noi continueremo in quello stato di soggezione nel quale ci troviamo. Considerate che l’onorevole Ministro degli esteri ha potuto ottenere nella Commissione di Parigi che l’Italia entrasse fra le cinque Nazioni componenti il Comitato esecutivo della organizzazione europea…

NOBILI TITO ORO. Il merito è stato escluso!

CANEPA. …soltanto perché la Commissione dei Trattati aveva dato parere favorevole al Trattato; altrimenti l’onorevole Ministro degli esteri non sarebbe andato a Parigi (Interruzioni – Commenti).

Pensate quale sarebbe la nostra condizione se, per la negata ratifica, non avessimo più voce in capitolo! (Commenti – Rumori).

GIANNINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIANNINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi! Il nostro Maestro, onorevole Orlando, interpretando il sentimento di grandissima parte di questa Assemblea, ha posto un problema procedurale su una ragione che io ardisco di dire futile. Ed appunto per questo mi inchino all’ingegno di Vittorio Emanuele Orlando, che ha saputo trovare nella futilità della ragione il modo per mettere d’accordo le più varie e contrastanti tendenze. È chiaro che ad un uomo come Vittorio Emanuele Orlando non sarebbero mancati copia di argomenti da portare a sostegno di una tesi, se egli avesse voluto sostenere qualche cosa di più della piccola questione che ha voluto portare. Ciò prova che l’onorevole Vittorio Emanuele Orlando non ha voluto entrare nel merito, nel quale non è possibile entrare a quest’ora e in questo clima. Non entrerò nemmeno io nel merito, signor Presidente, onorevoli colleghi. Mi limito a chiedere che la proposta fatta dall’onorevole Vittorio Emanuele Orlando sia messa senz’altro in votazione e che la discussione sia chiusa. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. L’onorevole Orlando aveva rivolto un invito al Presidente del Consiglio; l’onorevole Giannini lo riprende e lo traduce in una proposta formale. Chi domanda la parola a questo proposito?

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Il Governo ha presentato il 27 giugno un disegno di legge per la ratifica del Trattato. Esso è stato demandato alla Commissione dei Trattati, la quale ha discusso e deliberato nei giorni 8 e 9 luglio. Nel frattempo si è svolta la Conferenza di Parigi. Dopo la Conferenza di Parigi, precisamente il 17, si è avuta un’altra seduta della Commissione dei Trattati in cui, con riferimento anche ai risultati di Parigi, c’è stata non una decisione, ma un nuovo scambio di idee sull’argomento pro e contro la ratifica del Trattato stesso.

In seguito alle sedute dell’8 e del 9 luglio, l’Assemblea si è trovata dinanzi a due relazioni: una di maggioranza ed una di minoranza. Una di maggioranza per la ratifica immediata, un’altra di minoranza che espone le ragioni del rinvio con riferimento all’articolo 90 del Trattato, sostenendo che già queste ragioni dimostrano l’impossibilità di dare subito esecuzione, comunque sia, o rendere, col voto dell’Italia, eseguibile il Trattato.

Il Governo si è dato premura di tener conto delle ragioni esposte dalla minoranza, ha cercato una soluzione che potesse conciliare le proposte della maggioranza con quelle della minoranza, ha creduto di trovarle in un nuovo testo che ha presentato stamane e che credo sia stato distribuito, o comunque verrà distribuito domattina. Testo che, come vi è noto, accettando il disegno di legge della Commissione, vi aggiunge che questa ratifica si dovrà fare in base alla norma dell’articolo 90, cioè quando il Trattato sarà esecutivo in forza delle quattro ratifiche date dalle quattro Potenze.

Con ciò il Governo ha tenuto conto non solo delle obiezioni di logica, direi, che provenivano da una parte dei commissari, ma ha tenuto conto anche della situazione internazionale, preoccupato di dare una sensazione di equilibrio e di imparzialità assoluta in confronto alla tensione momentanea che, speriamo, passi rapidamente, preoccupato di prendere una posizione autonoma propria in correlazione oggettiva a quello che è il Trattato.

È evidente che io non ho il diritto di entrare nel merito della discussione, come non l’hanno fatto che fuggevolmente gli oratori precedenti. Ho il dovere, però, di dire qual è l’opinione del Governo, qual è, in particolare, l’opinione dei Ministri che si sono occupati in dettaglio, fino all’ultimo momento, di questo problema. È inutile che ci nascondiamo dietro una questione di procedura formale. Non solo è noto a noi tutto il corso che ormai questo progetto ha fatto, non solo è noto a noi, ma è noto a tutto il mondo. Il nostro atteggiamento risponde senza dubbio ad una attesa che non è semplicemente del Paese, ma una attesa che è anche al di fuori del Paese. L’Assemblea si trova innanzi ad un compito che è di sua responsabilità, poiché le disposizioni del decreto legislativo del 16 marzo 1946 prevedono che i trattati siano riservati all’Assemblea.

Io credo che il Paese mal capirebbe che in questa Assemblea si sia potuto discutere di tante cose più o meno importanti e si eviti di discutere e deliberare su quello che è un Trattato di immensa importanza e che si riferisce direttamente alla responsabilità dell’Assemblea.

Siamo stati nominati, egregi colleghi, per assumere la responsabilità più grave, per assumere la responsabilità della liquidazione della guerra e della conclusione della pace. Abbiamo innegabilmente una immensa responsabilità. Se fosse possibile allontanare questo calice e non berlo mai, vorremmo ricorrere ad ogni mezzo. Non è possibile. È nostro dovere, com’è nostro diritto, di affrontare questo problema, e dobbiamo affrontarlo in maniera che quando esso si presenta, la risoluzione riguardi tanto le ragioni pro e contro il Trattato stesso, quanto la posizione internazionale.

Il Governo, quindi, ha un obbligo particolare, per aver seguito tutte le trattative, per essere in grado di avere informazioni più dirette di quelle che possa avere il pubblico in generale, ha il dovere di dire la sua opinione all’Assemblea, la quale deciderà nella sua sovranità.

Il Governo, in base alle sue informazioni, è giunto alla conclusione della assoluta inopportunità di un rinvio, perché lo crede controproducente e nocivo agli sviluppi della nostra vita internazionale autonoma, appena iniziata.

Il Governo, consapevole della sua responsabilità, fa istanza perché l’Assemblea discuta e deliberi in una materia, che è esplicitamente riservata alla sua competenza.

Il Governo è sicuro che l’Assemblea, nel supremo interesse del Paese, anche se, per le particolari circostanze in cui la discussione si svolge, le costi fatica, saprà, in forma degna, coadiuvarlo con i suoi consigli e con le sue decisioni, nello sforzo che esso fa di trarre l’Italia dal suo stato armistiziale, di liquidare definitivamente, per quanto ci riguarda, la guerra, e iniziare, per quanto da noi dipende, e intensificare un periodo di dignità e di collaborazione internazionale.

Mi trovo nella situazione umiliante di essere di parere diverso da quello di un uomo come l’onorevole Orlando, al quale va tutta la mia devozione e la mia alta estimazione. Tuttavia, nei momenti di grave responsabilità, anche se per il Governo il rinvio potrebbe rappresentare un sollievo fisico e forse politico, un uomo deve agire secondo le informazioni che ha, secondo la convinzione che si è fatta, secondo la coscienza che ne risulta, secondo le responsabilità che lo muovono. Ed è per questo che prego l’Assemblea di assumere anche essa le responsabilità sue. (Vivi applausi al centro).

CEVOLOTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO. Poiché il Presidente del Consiglio ha annunziato di avere presentato un nuovo disegno di legge su questo argomento, domando che questo disegno di legge sia inviato alla Commissione dei Trattati, perché questa lo esamini e he riferisca all’Assemblea.

PRESIDENTE. Onorevole Cevolotto, mi consenta: io non ho ricevuto, nelle forme che dovrebbero essere seguite, un nuovo disegno di legge; ma ho ricevuto soltanto un nuovo testo, rielaborato negli articoli, del disegno di legge già distribuito.

Lei, onorevole Cevolotto, avrebbe potuto, se mai, protestare perché il disegno di legge era giunto all’Assemblea non per la via ordinaria, cioè con la presentazione in Aula e con dichiarazione del Ministro, ma in forma indiretta, ciò che non sarebbe compatibile con le norme che regolano la vita della nostra Assemblea.

Questo nuovo testo non è stato ancora distribuito, perché la materia relativa non è stata posta ancora all’ordine del giorno. Se l’Assemblea decide stasera in questo senso, il testo sarà distribuito.

CEVOLOTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO. Io non faccio una questione di procedura per la presentazione; faccio una questione di merito. Dal momento che c’è un nuovo testo, esso deve seguire la trafila normale, cioè andare prima alla Commissione dei Trattati per l’esame. Non si può prescindere da questo gradino, in qualunque modo il testo sia stato presentato. Io faccio la questione che il testo deve essere anzitutto esaminato dalla Commissione dei Trattati.

PRESIDENTE. Il Governo ha diritto di proporre emendamenti ai testi che presenta, non solo prima della discussione, ma anche nel corso stesso della discussione e lei comprende, onorevole Cevolotto, che quando il Governo si valesse di questa seconda facoltà, la richiesta che lei ora presenta non potrebbe assolutamente sostenersi e non potrebbe nemmeno sostenersi se l’emendamento fosse presentato prima della discussione del testo di legge.

Comunico che il nuovo testo dell’articolo unico è così formulalo: «Il Governo della Repubblica è autorizzato a ratificare il Trattato di pace tra le Potenze Alleate od Associate e l’Italia, firmato a Parigi il 10 febbraio 1947, dopo che esso sarà divenuto esecutivo a norma dell’articolo 90».

VALIANI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VALIANI. Io chiedo che la proposta dell’onorevole Orlando, appoggiata dall’onorevole Giannini, abbia la precedenza su ogni altra questione e su ogni altra votazione. La questione che ha sollevato l’onorevole Cevolotto potrebbe essere dibattuta soltanto se, in via preliminare, fosse stata respinta la proposta dell’onorevole Orlando.

In suffragio della proposta dell’onorevole Orlando, e dopo che ha parlato il Presidente del Consiglio, mi permetto di osservare che proprio uno degli argomenti addotti dal Presidente del Consiglio, cioè le informazioni particolari di cui è in possesso ed il giudizio che, fuori del Paese, si può dare su questa questione, costituisce in realtà un argomento in favore della proposta dell’onorevole Orlando. Siamo stati eletti evidentemente per affrontare il Trattato, ma, in via pregiudiziale, siamo stati eletti per assumere, davanti al Trattato, un atteggiamento di fierezza e di resistenza. L’onorevole De Gasperi non può dimenticare le dichiarazioni che egli ha fatte a questo riguardo, a più riprese, ancora alla Consulta, dinanzi alla Commissione degli esteri della Consulta stessa ed anche in seguito. Questo vale anche per la grande maggioranza dell’Assemblea. E siccome le informazioni di cui il Governo è in possesso non sono in nostro possesso, ed essendo di natura così delicata, dovrebbero essere vagliate attentamente prima di essere sottoposte a discussione pubblica, e se la proposta dell’onorevole Orlando fosse respinta, mi domando se non convenga sollevare la questione dell’opportunità di fare una seduta segreta. Proprio questo argomento ed il fatto che l’attenzione sul problema è desta sia dentro che fuori i nostri confini, suggeriscono che se ne discuta senza eccessiva precipitazione.

Essendo stati eletti per opporre resistenza a questo Trattato, alla cui discussione e redazione non abbiamo potuto in alcun modo partecipare e che ci viene imposto, conviene procedere con estrema ponderatezza prima di discutere dell’argomento pubblicamente. Se si discute pubblicamente, è chiaro che oltre alle due tesi che si sono profilate con gli ordini del giorno già noti, oltre la tesi per la ratifica immediata e la tesi a favore della ratifica solo dopo che sia avvenuta la ratifica di tutte e quattro le Potenze, ci sarà anche la terza tesi presentata dall’onorevole Orlando e da alcune decine di colleghi, la tesi a cui personalmente aderisco, la tesi cioè che respinge senz’altro il Trattato.

Per queste considerazioni credo che la proposta dell’onorevole Orlando, che è una proposta che veramente rispecchia il desiderio della stragrande maggioranza del Paese, di porre cioè questa questione in una sfera più elevata, sia da accogliersi.

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. Onorevoli colleghi, credo si pensasse da qualcuno, e forse da molti, in questa Assemblea, che la proposta dell’onorevole Orlando, una volta fatta, dovesse essere posta in discussione e accettata o respinta senza dibattito. Era una strada possibile. Non so però se sarebbe stata aderente alla realtà, dato il rilievo che la questione ha preso nell’opinione pubblica, dato il modo come il Paese si interessa alla cosa e ci guarda, dato che il popolo vuol sapere qualche cosa e non si accontenterebbe di un voto senza giustificazioni: in realtà, parlare bisogna.

In ogni modo, ho ammirato la finezza con la quale l’onorevole Orlando ha tentato di ridurre tutto a una questione di procedura, anzi – egli ci ha detto – di «tecnica parlamentare», sostenendo la poca opportunità di affrontare un simile dibattito nei giorni canicolari, quando siamo stanchi, quando non si possono avere assemblee numerose, solenni, come questa, per esempio. Ho ammirato questa finezza dell’onorevole Orlando, la quale tendeva, come tutti abbiamo capito, a uno scopo ben determinato.

L’onorevole Presidente del Consiglio, nella replica che ha fatto, non poteva non allontanarsi da questo terreno, che è il terreno delle forme; non poteva non scendere sul terreno su cui è sceso, con la sua dichiarazione terminale, cioè sul terreno della sostanza.

È dal 27 giugno – questa è la data ricordata dall’onorevole Presidente del Consiglio – che siamo investiti di questo problema. Ne abbiamo discusso ampiamente; vi sono state due, tre, quattro riunioni della nostra Commissione degli esteri, vi è un rapporto di maggioranza e un rapporto di minoranza, i quali stanno ora davanti a noi. Siamo quindi investiti in pieno non soltanto dei problemi di forma e di convenienza, ma anche della sostanza, quantunque il dibattito di oggi sia un dibattito del tutto preliminare.

Ci troviamo di fronte a una proposta che ci viene dall’onorevole De Gasperi, dal suo Governo e dal suo partito. Essi ci propongono la rapida, rapidissima, immediata ratifica del Trattato di pace redatto dalle quattro grandi potenze per l’Italia e approvato dalla Conferenza dei Ventuno. Dobbiamo discuterlo oggi, domani, dopodomani; dobbiamo accettare o non accettare la proposta che ci viene fatta.

In sostanza, io interpreto la proposta dell’onorevole Orlando come il modo più cortese di non accettare la proposta del Governo; non in altro modo credo che possa essere interpretata.

Di conseguenza e per questo siamo d’accordo con la proposta dell’onorevole Orlando, e se verremo ai voti l’approveremo.

Devo però dire che una certa perplessità, nel nostro Gruppo, esiste, ed esiste per parecchi motivi.

Soprattutto, esiste perché non siamo ancora riusciti a capire il perché dall’onorevole De Gasperi, dal suo Governo e dal suo partito in questo momento e con tanta fretta ci viene chiesto di prendere posizione sul problema della ratifica.

Sul fondo, cioè sulla opportunità di ratificare o non ratificare, vi possono essere opinione diverse. Diverse possono essere le opinioni in questa Assemblea circa il ratificare o non ratificare; circa il giudizio da darsi del Trattato, dei suoi precedenti, del modo con cui si è ad esso arrivati, del modo come potremo eseguirlo, e così via. Sappiamo che esiste una grande parte dell’opinione pubblica italiana, la quale – a ragione o a torto – crede che la ratifica non debba essere data. Noi possiamo avere opinioni diverse da questa parte dell’opinione pubblica, ma non v’è dubbio che siamo però tenuti, come italiani, a rispettarla, e rispettarla vuol dire che il giorno in cui prendiamo una decisione contraria a quell’opinione, dobbiamo argomentarla a sufficienza e il Governo, e il Ministro degli esteri, hanno essi pure il dovere di argomentare a fondo la posizione che essi assumono al riguardo e che chiedono a noi di assumere.

È questo, onorevoli colleghi, il primo motivo per cui siamo perplessi; cioè, perché non abbiamo ancora sentito dal Governo l’esposizione precisa e completa dei motivi della sua fretta. Siamo anche perplessi, però, vorrei dire, per conto nostro. Anche per conto nostro, infatti, abbiamo cercato di andare a fondo della questione e ci siamo studiati di intenderla in ogni suo aspetto.

Del resto, gli argomenti che ci ha dato l’onorevole Presidente del Consiglio sono in fondo i medesimi che ci davano, qualche mese fa, esprimendosi a favore della firma e della ratifica, l’onorevole Nenni e altri uomini di questa Assemblea. Sono argomenti, però, contro cui allora lo stesso attuale Presidente del Consiglio insorgeva, dicendo che erano gli argomenti dei rinunziatari, gli argomenti dei capitolatori. E contro quegli argomenti insorgeva la stessa Democrazia cristiana.

Si dice che oggi la situazione è mutata. È vero: oggi non c’è più un Ministro socialista al Governo, contro cui occorra condurre una campagna per cacciarlo dal posto di Ministro degli esteri. (Proteste al centro). Si dice che è cambiata la situazione internazionale. Comprendo anche questo; ma la verità è che da qualche tempo vediamo la nostra politica estera svilupparsi in modo che non ci appare giustificato; vediamo compiersi da parte del Governo atti di politica estera che ci appaiono come affrettati e inconsiderati. Anche se questi atti di politica estera sono accompagnati da campagne di stampa che artificialmente li esaltano, non v’è dubbio che già parecchie volte abbiamo visto gli argomenti sviluppati da queste campagne di stampa essere contraddetti dalla realtà stessa.

Così, per esempio, è stata data l’adesione immediata a un piano, non so se americano o anglo-francese, cui hanno aderito alcune potenze europee ed altre no. Questa adesione è stata data senza che l’Assemblea fosse stata ascoltata, senza che la Commissione dei trattati fosse stata interpellata. E dire che proprio il giorno in cui il nostro Ministro degli esteri annunciò questa adesione, proprio quel giorno la Commissione dei trattati si riuniva e gli sarebbe stato molto facile presentarsi ad essa per comunicare quelle che erano le sue intenzioni.

Noi eravamo allora assai preoccupati e crediamo che anche una gran parte dell’opinione pubblica italiana fosse assai preoccupata del modo come si è svolta la fase preliminare della Conferenza di Parigi: preoccupata di una possibile rottura fra le grandi potenze, rottura di cui, quando si è compiuta, forse non si poteva ancora afferrare appieno il significato, ma che ora incominciamo a comprendere. Ma è proprio perché ora comprendiamo meglio il significato di quella rottura, che comprendiamo in pari tempo meglio quanto inconsiderata sia stata la affrettata adesione decisa dal nostro Governo.

Ma questi atti si vanno ripetendo. Così abbiamo avuto l’altrettanto affrettata adesione dei nostri rappresentanti a Parigi a determinate proposte per la ripresa economica della Germania. Questa adesione – e questo è il grave – non ha tenuto conto della posizione nettamente contraria assunta dalla Francia, quando noi dovremmo andare assolutamente d’accordo con la Francia, per la comune esigenza di difenderci da nuove possibili aggressioni tedesche

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Un semplice scambio di idee è stato.

TOGLIATTI. Tutti questi fatti gettano una luce particolare sulla proposta che ci vien fatta di discutere domani e di approvare domani o dopodomani la ratifica. Non possiamo non valutare questa proposta, che ci viene fatta dall’onorevole Presidente del Consiglio, come elemento di una politica determinata, per la quale sentiamo non soltanto perplessità e dubbi, ma disapprovazione. In sostanza, in tutto ciò che si sta facendo da chi dirige oggi la nostra politica estera, sentiamo una fretta ingiustificata e sbagliata di inserire l’Italia in una determinata formazione politica internazionale in modo non coerente… (Commenti a destra).

GIANNINI. Questo è merito! (Commenti).

TOGLIATTI. …con gli interessi del popolo italiano. (Rumori a destra).

Onorevole Giannini, può darsi che sia merito (Commenti a destra); ma adesso le spiegherò perché sono stato costretto a entrare nel merito. È semplicissimo, onorevole Giannini. Il nostro Gruppo, per i motivi che io rapidissimamente ho esposto, e che potrei sviluppare se ci fosse una discussione di politica estera, avrebbe desiderato e desidererebbe una discussione generale sulla politica estera di questo Governo, ed è evidente che una discussione di politica estera avrebbe luogo in modo inevitabile, se domani si iniziasse il dibattito circa la ratifica del Trattato, cioè circa quel progetto di legge che il governo ci ha presentato.

In pari tempo, però, ci troviamo di fronte a una proposta procedurale di rinvio, la quale, in un certo senso, è senza dubbio un colpo di arresto che viene dato ad una politica verso cui noi sentiamo, ripeto, perplessità, dubbi e disapprovazione. (Commenti al centro). Di qui deriva una conclusione, la quale è che il nostro Gruppo, il quale pure desidererebbe una discussione a fondo di politica estera, perché la ritiene necessaria oggi al Paese, nonostante questo, dato il significato che inevitabilmente prende, onorevole Orlando, anche una proposta di procedura fatta con la finezza con la quale ella l’ha fatta, approva la sua proposta e la voterà. (Applausi a sinistra).

GRONCHI. Chiedo di parlare.

CRISPO. Chiedo di parlare prima dell’onorevole Gronchi, per una mozione d’ordine.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Crispo.

CRISPO. Vorrei fare una modesta osservazione: la questione sollevata dall’onorevole Orlando è una questione di sospensiva contemplata nell’articolo 93 del Regolamento; vale a dire, è una questione per la quale – come è detto nel testo dell’articolo 93 – si richiede il rinvio della discussione. Ora, mi permetto di ricordare che, a norma dell’ultimo capoverso dell’articolo 93, due soli deputati possono parlare a favore e due contro la proposta.

Era questo il rilievo che volevo permettermi di fare. (Approvazioni a destra).

PRESIDENTE. Onorevole Crispo, la prego di tener presente che l’articolo 93 si riferisce alle questioni già inserite all’ordine del giorno (Commenti) e che formano materia di discussione dell’Assemblea. Qui siamo in tema di fissazione dell’ordine del giorno, ed a questo proposito l’articolo 93 evidentemente non ha norme da dettare.

CRISPO. Mi permetto, signor Presidente di non essere del suo parere. Siamo innanzi tutto in tema di una norma procedurale la quale consente, evidentemente, l’interpretazione analogica, sicché… (Interruzioni – Commenti).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, lascino parlare.

CRISPO. Dicevo, innanzi tutto, che in tema procedurale è norma ammessa l’interpretazione analogica. In ogni modo, qui vi è una pregiudiziale: se si debba o non porre all’ordine del giorno la discussione del Trattato di pace. Su questa questione si chiede il rinvio, ossia su questa questione si solleva la pregiudiziale. Mi pare che il caso sia perfettamente identico.

PRESIDENTE. Onorevole Crispo, si convinca che in questa sede l’interpretazione analogica non può applicarsi, perché il Regolamento prevede specificatamente tutte le questioni e le risolve, e non v’è dubbio che l’articolo 93 si riferisce ai problemi in discussione perché posti all’ordine del giorno e non, genericamente, a qualsiasi discussione che si svolga in Assemblea, quella ad esempio che si riferisce alla definizione dell’ordine del giorno su cui poi si dovrà discutere. E pertanto non ritengo che la sua osservazione possa arrestare questa discussione, che non è pregiudiziale su una materia, ma che si prefigge l’argomento su cui dovremo poi discutere.

Ha facoltà di parlare l’onorevole Gronchi.

GRONCHI. L’andamento che il dibattito di oggi ha preso sulla richiesta fatta dal Governo ha assunto il carattere di una vera e propria anticipazione sulla discussione di merito che noi faremo domani, se la proposta sospensiva o la preghiera di rinvio che l’onorevole Orlando ha fatto, non sarà accolta dalla Assemblea.

Non seguirò perciò né le argomentazioni dell’onorevole Valiani né quelle dell’onorevole Togliatti, al quale ultimo vorrei però osservare che le sue dichiarazioni mi richiamano l’immagine di un colpo sfuggito prima del tempo, perché la posizione che egli ha rivelato avrebbe avuto sede più appropriata e, nell’interesse stesso del suo partito, più opportuna, nell’esame della politica estera generale del Governo, considerata in relazione all’attuale disegno di legge. Tale posizione ha infatti una incidenza del tutto secondaria sulle ragioni che possono o meno consigliare un rinvio.

Siamo di fronte ad una richiesta che occorre considerare fondata, solo che non si creda che il Governo sia guidato da considerazioni estranee all’interesse del Paese. Esso ha chiesto la discussione immediata del suo progetto di legge.

Di fronte a questa richiesta è evidente che ogni ragione procedurale perde ogni valore; anzi, secondo me, fa perdere all’argomento quell’intrinseco grandissimo rilievo che esso invece ha nell’attuale momento veramente storico del nostro Paese.

Noi chiederemmo perciò che la proposta del Governo fosse posta senz’altro ai voti e che ogni discussione di merito (questa è preghiera rivolta ai colleghi di ogni settore) fosse rinviata all’esame e alla discussione del progetto di legge. (Applausi al centro).

NENNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NENNI. Il Gruppo socialista aderisce alla domanda di sospensiva dell’onorevole Orlando, nello spirito stesso con cui essa è stata formulata.

Noi riteniamo che ci siano ragioni di carattere internazionale che rendono difficile in questo momento affrontare il tema che il Governo ha chiesto sia posto all’ordine del giorno di domani, con la piena libertà di cui l’Assemblea avrebbe bisogno per esaminare il fondo della questione e la correlazione tra l’anticipata ratifica del Trattato e l’attuale situazione di politica internazionale.

Noi avremmo desiderato che prima di andare alla Conferenza di Parigi, e indipendentemente dalla questione della ratifica del Trattato, il Governo avesse detto all’Assemblea con quale programma andava a Parigi, con quali propositi.

Ciò non è stato possibile. In tali condizioni la discussione si potrà fare quando i lavori della Conferenza di Parigi siano abbastanza avanzati perché noi abbiamo elementi sufficienti di giudizio, o siano conclusi. Ma è difficile discutere l’azione del Governo proprio nel momento in cui questa si svolge ora per ora, minuto per minuto.

Il Governo non è venuto dinanzi all’Assemblea prima di andare a Parigi e, a mio giudizio, ha avuto torto. Verrà il momento in cui l’Assemblea gli chiederà conto e del perché non è venuto e della politica che ha fatto.

Ma in questo momento noi siamo convinti che la discussione non sarebbe nell’interesse del Paese. Noi socialisti accettiamo perciò la proposta dell’onorevole Orlando, con lo spirito con cui è stata formulata, senza cioè entrare nel merito, e nella convinzione che giovi al Paese, non affrontare la discussione del Trattato nelle presenti condizioni. (Applausi a sinistra).

SELVAGGI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SELVAGGI. Onorevoli colleghi, devo confessare che sento un senso di malessere per la piega che queste dichiarazioni di voto, se vogliamo così chiamarle, hanno preso.

Si è entrati nel merito di un problema che è di capitale importanza, con eccessiva superficialità. È un problema che, come ha detto l’onorevole Orlando, è di carattere storico per il nostro presente e per il nostro futuro. Sugli orientamenti o tesi che ci possono essere su questo problema, non credo sia consentito a nessuno di fare delle speculazioni politiche, e soprattutto di dubitare della buona fede di ciascuno dei sostenitori delle opposte tesi.

Noi non dubitiamo minimamente della buona fede che spinge l’onorevole De Gasperi ed il suo Governo a presentare in questo momento il progetto di legge per la ratifica del Trattato di pace, imposto all’Italia al Lussemburgo. Riteniamo però, con la stessa buona fede, che questo non sia il momento opportuno per una discussione di un argomento tanto importante.

E non entro nel merito della questione, non avendo noi del Gruppo qualunquista nessun chiodo fisso di rovesciare il Governo. Noi vediamo il problema soltanto nell’interesse generale del Paese e riteniamo quindi che la formula – se così vogliamo dire – escogitata dall’onorevole Orlando sia l’unica che possa essere votata con preciso significato. Essa non ha un valore politico né nei confronti del Governo né nei confronti della ratifica che esso persegue.

C’è, oltre tutto, un argomento. L’onorevole De Gasperi ha accennato alla legge costitutiva dell’Assemblea, in base alla quale spetta di diritto all’Assemblea Costituente la discussione e la conseguente ratifica o meno degli Accordi internazionali. Se è questa l’interpretazione, credo che anche l’iniziativa del momento della discussione possa spettare soltanto all’Assemblea Costituente, la quale, individualmente o per gruppi, ha anche essa elementi sufficienti per stabilire se questo è o non è il momento opportuno.

A nome del mio Gruppo dichiaro quindi che noi voteremo la proposta dell’onorevole Orlando. (Applausi a destra).

Voci. Ai voti!

LABRIOLA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LABRIOLA. Voterò naturalmente la proposta dell’onorevole Orlando; ma il motivo personale per cui la voterò è un po’ differente da quello che hanno potuto invocare gli oratori precedenti. All’unica seduta della Commissione dei Trattati alla quale io fui presente – si tratta ormai di due o tre mesi addietro – allorché fu presentata la questione della firma al Trattato che si imponeva all’Italia, io feci la proposta di venire subito all’Assemblea e chiedere all’Assemblea la ratifica che si chiedeva del Trattato imposto all’Italia. Misi appunto in rilievo il fatto che la firma che il plenipotenziario italiano si disponeva a dare a nome dell’Italia a quel Trattato, non equivaleva alla ratifica. Ma nel mio concetto la questione poteva assumere un significato più alto. Il significato era questo: io credo che al Trattato medesimo non convenisse dare una importanza eccessiva. Posi in rilievo che la ratifica andava fatta dall’Assemblea, ma che non bisognava dare ad essa troppa importanza. Volevo pertanto che la questione venisse all’Assemblea solo per dare a questo atto il minor valore che si poteva. Proposi che il Trattato giungesse all’Assemblea all’ultimo momento di una discussione qualsiasi e quindi si desse la ratifica. Come imbattendosi in un cumulo di sassi e un po’ di immondizie basta un colpo di piede per mandare via tutto, così la ratifica da dare al Trattato, secondo me, non doveva avere un valore differente.

In quel momento l’onorevole De Gasperi – e credo anche altri colleghi che facevano parte della Commissione dei Trattati – non furono del mio avviso. Io rimasi solo nel sostenere questa tesi. Basta questa tesi per me per spiegare l’atteggiamento… (Rumori). L’onorevole Togliatti ha detto che una discussione di politica estera in questa Assemblea si impone e potrebbe venire in discussione in occasione appunto della ratifica del Trattato, ma sia per tutti evidente che non bisogna dare troppa importanza a questa ratifica. Io voterò la proposta sospensiva dell’onorevole Orlando. (Applausi).

PRESIDENTE. Avverto che sulla proposta Orlando-Giannini di non inserire all’ordine del giorno di domani la discussione sulla ratifica del Trattato di pace è stata presentata richiesta di votazione nominale. La richiesta è firmata dagli onorevoli Uberti, De Palma, Coccia, Angelucci, Clerici, Bubbio, Garbato, Monticelli, Mastino Gesumino, Angelini, Bosco Lucarelli, Taviani, Tozzi Condivi, Firrao e Bovetti.

Votazione nominale.

PRESIDENTE. Indico la votazione nominale sulla proposta Orlandi-Giannini di non includere, all’ordine del giorno di domani la discussione sulla ratifica del Trattato di pace, contrariamente alla richiesta del Presidente del Consiglio.

Estraggo a sorte il nome del deputato dal quale comincerà la chiama.

(Segue sorteggio).

Comincerà dal nome del deputato La Pira. Si faccia la chiama.

MOLINELLI, Segretario, Fa la chiama.

Rispondono sì:

Abozzi – Allegato – Amadei – Amendola – Assennato – Azzi.

Baldassari – Barbareschi – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basso – Bei Adele – Bellusci – Bencivenga – Benedetti – Bergamini – Bernabei – Bernamonti – Bernini Ferdinando – Bianchi Bruno – Bianchi Costantino – Bibolotti – Binni – Bitossi – Bonomelli – Bordon – Bruni – Bucci – Buonocore.

Cacciatore – Calamandrei – Camangi – Cannizzo – Caprani – Carmagnola – Carpano Maglioli – Cavallotti – Cerreti – Cevolotto – Cianca – Codignola – Colombi Arturo – Condorelli – Coppa Ezio – Corbi – Corsini – Costa – Cremaschi Olindo.

D’Amico Michele – De Michelis Paolo – De Vita – Di Vittorio – D’Onofrio – Dozza – Dugoni.

Fabbri – Facchinetti – Faccio – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Ferrari Giacomo – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Fioritto – Flecchia – Foa – Fogagnolo – Fornara.

Gallico Spano Nadia – Gasparotto – Gavina – Gervasi – Ghidetti – Ghislandi – Giacometti – Giannini – Giolitti – Giua – Gorreri – Grazi Enrico – Grazia Verenin – Grieco – Gullo Fausto.

Imperiale – Iotti Nilde.

Jacometti.

Labriola – Laconi – Lagravinese Pasquale – Landi – La Rocca – Li Causi – Lizzadri – Lombardi Carlo – Longo – Lozza – Luisetti – Lussu.

Maffi – Maffioli – Magnani – Magrassi – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Marchesi – Mariani Enrico – Marina Mario – Marinaro – Massini – Massola – Mastino Pietro – Mastrojanni – Mattei Teresa – Matteotti Carlo – Mazza – Merighi – Merlin Angelina – Mezzadra – Miccolis – Minella Angiola – Minio – Molinelli – Montagnana Rita – Morandi – Moranino – Moscatelli – Musolino.

Nasi – Negarville – Negro – Nenni – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Noce Teresa – Novella.

Orlando Vittorio Emanuele.

Pajetta Gian Carlo – Paolucci – Pastore Raffaele – Patricolo – Pecorari – Pellegrini – Penna Ottavia –– Pertini Sandro – Perugi – Pesenti – Pistoia – Platone – Pratolongo – Pressinotti – Preziosi – Priolo – Pucci – Puoti.

Reale Eugenio – Ricci Giuseppe – Rodi – Rodinò Mario – Rognoni – Romita – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Ruggeri Luigi – Russo Perez.

Saccenti – Sansone – Sardiello – Scarpa – Schiavetti – Scoccimarro – Secchia – Selvaggi – Sereni – Sicignano – Silipo – Spallicci – Spano – Stampacchia.

Targetti – Tega – Tieri Vincenzo – Togliatti – Tomba – Tonello – Tonetti – Trulli – Tumminelli.

Valiani – Venditti – Vernocchi – Veroni – Vigna – Vinciguerra – Vischioni.

Zanardi – Zuccarini.

Rispondono no:

Adonnino – Alberti – Andreotti – Angelini – Angelucci – Arata – Arcaini – Arcangeli – Avanzini.

Bacciconi – Badini Confalonieri – Balduzzi – Baracco – Bassano – Bastianetto – Belotti – Bennani – Benvenuti – Bertola – Bertone – Bettiol – Bianchi Bianca – Bianchini Laura – Bocconi – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bovetti – Braschi – Brusasca – Bubbio – Bulloni Pietro – Burato.

Caccuri – Caiati – Calosso – Camposarcuno – Canepa – Canevari – Caporali – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carbonari – Carboni Angelo – Carboni Enrico – Carignani – Carìstia – Caronia – Carratelli – Cartìa – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavalli – Chatrian – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Ciccolungo – Cifaldi – Cimenti – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colombo Emilio – Colonnetti – Conci Elisabetta – Coppi Alessandro – Corsanego – Corsi – Cortese – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Croce.

D’Amico Diego – D’Aragona – De Caro Gerardo – De Caro Raffaele – De Gasperi – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Martino – De Michele Luigi – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Di Giovanni.

Einaudi – Ermini.

Fabriani – Fanfani – Fantoni – Ferrario Celestino – Fietta – Filippini – Firrao – Foresi – Franceschini – Fuschini.

Gabrieli – Galati – Garlato – Gatta – Germano – Geuna – Ghidini – Giacchero – Gonella – Gortani – Gotelli Angela – Grassi – Grilli – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Gui – Gullo Rocco.

Jacini – Jervolino.

La Malfa – Lami Starnuti – La Pira – Lazzati – Leone Giovanni – Lettieri – Lizier – Longhena.

Macrelli – Mannironi – Manzini – Marazza – Marconi – Martinelli – Marzarotto – Mastino Gesumino – Mattarella – Mazzoni – Meda Luigi – Medi Enrico – Mentasti – Merlin Umberto – Micheli – Montemartini – Monterisi – Monticelli – Montini – Morelli Luigi – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati – Motolese.

Nicotra Maria – Notarianni – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pacciardi – Pallastrelli – Paris – Parri – Pastore Giulio – Pat – Pella – Pera – Perassi – Perrone Capano – Persico – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pignedoli – Ponti – Preti – Proia.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Rapelli – Recca – Rescigno – Restagno – Riccio Stefano – Rivera – Rodinò Ugo – Roselli – Rossi Paolo – Rumor.

Saggin – Salerno – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sapienza – Scalfaro – Scelba – Schiratti – Scoca – Scotti Alessandro – Segala – Segni – Sforza – Simonini – Spataro – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.

Taviani – Terranova – Titomanlio Vittoria – Togni – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Vallone – Valmarana – Vaironi – Viale – Vicentini – Vigo – Vigorelli – Villani.

Zaccagnini – Zagari – Zerbi.

Si sono astenuti:

Conti – Corbino – Crispo.

Malvestiti.

Rubilli.

Sono in congedo:

Ambrosini.

Bellavista.

Fedeli Aldo – Ferrarese.

Galioto.

Lombardo Ivan Matteo.

Pignatari.

Raimondi – Ravagnan.

Saragat.

Zotta.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione ed invito gli onorevoli Segretari a procedere al computo dei voti.

(Gli onorevoli Segretari procedono al computo dei voti).

Risultato della votazione nominale.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione nominale:

Presenti                441

Votanti                 436

Astenuti                5

Maggioranza         219

Hanno risposto sì     204

Hanno risposto no    232

(L’Assemblea non approva la proposta degli onorevoli Orlando e Giannini).

Dato l’esito della votazione, resta, pertanto, inteso che all’ordine del giorno di una delle sedute di domani si porrà il progetto di legge sulla ratifica del Trattato di Pace.

Sull’ordine dei lavori.

CODIGNOLA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODIGNOLA. Mi dispiace di dover affliggere ancora una volta – la quarta volta – l’Assemblea intorno ad una questione rimasta tuttavia in sospeso, la questione cioè della discussione di una mozione da me presentata al Ministro della pubblica istruzione. Come i colleghi ricorderanno, ieri sera la questione è stata discussa e il collega onorevole Gronchi ha avuto a proporre che questa sera si decidesse quando discutere della mozione stessa. Successivamente poi l’onorevole Sansone propose che si discutesse questa mattina, ma la maggioranza respinse questa proposta.

Mi corre pertanto l’obbligo di richiamare nuovamente l’attenzione dell’Assemblea sul fatto che restano ormai due soli giorni alla data fissata dall’onorevole Ministro della pubblica istruzione per le elezioni dei membri del Consiglio Superiore. Se non si procederà domani mattina a questa discussione, nel frattempo avranno luogo le elezioni e sarà perfettamente inutile discuterne più.

Prego quindi l’onorevole Presidente di volere far presente all’Assemblea il carattere di urgenza che presenta questa discussione.

GRONCHI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRONCHI. Nella seduta dei capi-Gruppo, si era stabilito che si dovesse includere il minor numero possibile di altri argomenti negli ordini del giorno per il prosieguo dei nostri lavori parlamentari in questi ultimi giorni. Data comunque l’importanza e il carattere di urgenza della questione di cui si tratta, siamo favorevoli a proporre che domani venga tenuta una seduta notturna, appositamente per discutere della mozione in oggetto.

CROCE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CROCE. Vorrei unirmi alla richiesta che la questione venga, in qualche modo, affrontata nella seduta di domani, perché il momento delicatissimo in cui ci troviamo sconsiglia che le elezioni per il Consiglio Superiore vengano tenute frettolosamente: desta tale preoccupazione, nel mondo degli insegnanti, una simile eventualità, che io reputo assolutamente necessario che la discussione debba aver luogo nel giorno di domani.

PRESIDENTE. Vi è dunque la proposta dell’onorevole Gronchi di fissare per domani una seduta notturna per la discussione della mozione. (Commenti).

SELVAGGI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SELVAGGI. Io proporrei che si discutesse la mozione nella seduta antimeridiana perché, nella seduta dei capi-Gruppo, si erano formulate soltanto delle proposte, ma non si era stabilito nulla di definitivo. Io chiederei pertanto che la discussione sulla ratifica del Trattato di pace fosse fissata per la seduta pomeridiana, riservando invece quella antimeridiana allo svolgimento della mozione.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ministro della pubblica istruzione a pronunciarsi al riguardo.

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Mi rimetto al voto dell’Assemblea.

MALAGUGINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MALAGUGINI. Circa quest’ultima proposta, vorrei pregare il collega Gronchi di riflettere che una discussione la quale avvenisse nella seduta notturna di domani non servirebbe allo scopo, in quanto metterebbe nella quasi impossibilità di prendere un provvedimento qualsiasi, di conferma o di rinvio delle elezioni, fissate per sabato prossimo.

C’è poi un’altra considerazione di carattere particolare che mi permetto di sottoporre alla sensibilità del collega Gronchi. Poiché alla discussione desidererebbe prender parte anche l’onorevole Croce, sarebbe bene evitare al venerando nostro collega il disagio di una seconda seduta notturna.

PRESIDENTE. Onorevole Gronchi, quale è il suo parere?

GRONCHI. Non perché io ritenga giustificata l’osservazione del collega Malagugini, ma per quanto egli ha detto nei riguardi dell’onorevole Croce, non insisto nella mia proposta.

PRESIDENTE. Rimane allora la proposta dell’onorevole Selvaggi di discutere domani nella seduta antimeridiana la mozione Codignola.

La pongo ai voti.

(È approvata).

LA MALFA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA. Faccio presente che se la Commissione avesse tempo domani di esaminare il progetto del Titolo III dell’imposta patrimoniale, riguardante gli enti collettivi, potrebbe presentarsi alla discussione dopodomani in una posizione, per dir così, più definita.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, desidero sottolineare che il lavoro che ci si prospetta, si presenta assai duro. Evidentemente al ritmo con il quale procede l’esame della patrimoniale, è da escludersi che questo disegno di legge possa essere approvato entro la giornata di sabato. (Commenti). Credo che tutti i colleghi siano convinti di ciò. Pertanto, se deve essere esaminata la materia della patrimoniale, discussa la mozione e discussa la ratifica del Trattato di pace, occorre predisporci senz’altro ad un ordine di lavori che si prolunghi oltre il tempo inizialmente previsto.

Per sabato non potremo perciò concludere la sessione dell’Assemblea. (Commenti).

Resta comunque inteso che domani si terranno due sedute: alle 10 per discutere la mozione Codignola, ed eventualmente per il seguito della discussione sull’imposta patrimoniale, e alle 17 per l’esame del disegno di legge sulla ratifica del Trattato di Pace.

(Così rimane stabilito).

Interpellanze e interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Comunico che sono state presentate le seguenti interpellanze con richiesta di risposta urgente:

«Al Ministro dell’interno, per conoscere chi abbia autorizzato le autorità di pubblica sicurezza a limitare la libertà di propaganda vietando l’affissione di manifesti di critica al Governo, e quali misure il Governo intende prendere per richiamare tutte le autorità dello Stato al rispetto delle libertà democratiche.

«Togliatti, D’Onofrio, Secchia, Novella, Rossi Maria Maddalena».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’interno, per conoscere quali motivi abbiano finora impedito di dare all’Associazione nazionale reduci il riconoscimento giuridico elevandola ad Ente morale: per sapere se risulti lo stato di crisi emergente esistente nell’Associazione stessa, in conseguenza del mancato riconoscimento e di procedimenti autoritari messi in opera da taluni dirigenti, ed aggravato dai recenti provvedimenti dei prefetti di Milano e di Genova: per sollecitare in via di urgenza il riconoscimento giuridico di cui sopra, onde restituire ai reduci, attraverso un saggio controllo, la certezza della onesta tutela dei loro specifici interessi e diritti.

«Bonfantini, Bianchi Bianca, Rossi Paolo, Segala».

Chiedo al Governo quando intende rispondere.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Se i lavori dell’Assemblea dovessero prolungarsi oltre la settimana, il Governo si riserva di determinare, nella seduta di lunedì prossimo, il giorno in cui intende discutere queste interpellanze.

PRESIDENTE. Sono inoltre pervenute alla Presidenza le seguenti interrogazioni con richiesta di risposta urgente:

«Al Ministro dei trasporti, per conoscere per quali valide ragioni non debba effettuarsi la domenica il servizio dell’autolinea Napoli-Piedimonte d’Alife; il che costringe la popolazione di quella zona a servirsi di autolinee private che effettuano il servizio in concorrenza con la linea sovvenzionata.

«Sansone».

«Al Presidente del Consiglio, dei Ministri, per conoscere:

1°) se, in previsione dell’Anno Santo 1950 – avvenimento che si annunzia di particolare importanza e significazione, e per cui un elevato numero di pellegrini, da ogni parte del mondo cattolico, affluirà in Italia – non ritenga di redigere un concreto piano, elaborato nei suoi dettagli organizzativi e tecnici, per mettere «a punto» l’attrezzatura turistica e ricettiva italiana e adeguarla alla eccezionale esigenza;

2°) se non reputi doveroso, da parte del Governo italiano, in omaggio alla portata universale della fausta e sacra ricorrenza – e congiuntamente nell’interesse della Nazione, che potrà ricevere dall’afflusso cospicuo di visitatori stranieri un benefico e provvidenziale apporto di valuta pregiata – di stabilire le indispensabili premesse, e provvedere gli stanziamenti finanziari occorrenti, perché l’Italia possa offrire ai pellegrini dell’Anno Santo 1950 il massimo desiderabile di conforto, col rendere efficiente l’attrezzatura alberghiera non soltanto della Capitale – dove convergeranno essenzialmente la folle – ma anche nelle zone a spiccato carattere turistico di cui la Penisola è doviziosamente ricca. Il patrimonio d’arte e di archeologia; la incomparabile e prestigiosa bellezza delle riviere, delle pianure e dei monti; i ricordi recenti – come i luoghi dello sbarco alleato, i campi di battaglia ed i Cimiteri di guerra – costituiscono un irresistibile richiamo di amore e di nostalgia;

3°) se non ritenga essenziale armonizzare l’attuazione del programma di opere pubbliche per la ricostruzione ed a sollievo della disoccupazione, alle esigenze relative al miglioramento della rete stradale e delle comunicazioni che si rende necessario realizzare per consentire un ordinato e soddisfacente movimento turistico;

4°) se non giudichi conveniente dar sollecito inizio ad una perfetta, moderna propaganda dei luoghi considerati nel paragrafo 2°, attraverso la pubblicazione di opuscoli editi con serietà di propositi e dignità di forma nelle varie lingue e da diffondersi nei vari paesi del mondo; con la ripresa di documentari cinematografici; con radiotrasmissioni nelle varie lingue, anche in collegamento con stazioni estere, perché si formi, intorno all’avvenimento dell’Anno Santo 1950, una fervida atmosfera di interesse e di attesa;

5°) se non creda di dover, tra l’altro – direttamente il Governo o attraverso organi ed enti che più si riterranno competenti ed idonei – predisporre la organizzazione di veri e propri peripli turistici attraverso i luoghi che offrano al forestiero motivi, risorse e conforti di maggiore attrattiva, fissando persino il costo di essi, comprensivo dal momento dello sbarco o dall’arrivo sul suolo italiano, di viaggi, albergo, vitto, tasse di soggiorno e di ogni altra eventuale prestazione, allo scopo di incoraggiare con opportuna tempestività, coloro i quali, per avventura, intendessero rinunciare al viaggio in Italia per non correre l’alea dell’imprevisto, nei riguardi della spesa;

6°) se non ritenga di suscitare, con proficue iniziative, negli italiani che dovranno aver comunque contatti con gli ospiti – funzionari, pubblici ufficiali, agenti, personale alberghiero e dei pubblici esercizi, guide e cittadini tutti – una fervida gara di cortesia dignitosa ed accogliente, perché la tradizionale gentilezza italica superi la aspettativa e si affermi come non ultima e non trascurabile espressione di civiltà e di consapevolezza;

7°) se non ravvisi, infine, l’opportunità di demandare ad una Commissione parlamentare di studio il compito di coordinare le varie iniziative in un piano unico da attuarsi con gradualità e che, fino d’ora, impegni la Nazione e la prepari materialmente e spiritualmente all’importante avvenimento.

«De Martino, Giordani, Rodinò Ugo».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dei lavori pubblici, per conoscere in quale modo intendano di provvedere perché siano rispettati gli impegni che lo Stato ha assunto, verso cittadini gravemente colpiti dall’insulto bellico, a mezzo dell’Ufficio di assistenza post-bellica di Parma, di quella Prefettura e Genio civile, impegnando ed in parte erogando 57.830.000 lire, ordinate dall’allora Ministro onorevole Gasparotto con la sua lettera all’assistenza post-bellica di Parma, in data 19 aprile 1946, e con le precise istruzioni contenute nell’altra del 14 maggio 1946, per l’erogazione a ricostruzione di case danneggiate o distrutte per rappresaglie contro i partigiani.

«In base ad esse l’Ufficio in parola, d’accordo coi sindaci, presidenti dei singoli Comitati comunali di ricostruzione, ha assegnato le somme, ha promosso ed accettato le cessioni dei contributi per la legge dei senzatetto, chiesti dal Genio civile con contratti per mano di notaio, ha anticipato, nelle forme regolari, le rate pattuite sulla base dello stato di avanzamento dei lavori, circa venti milioni di lire.

«Col passaggio della competenza al Ministero dei lavori pubblici ogni cosa è stata fermata con danno incalcolabile delle ricostruzioni incominciate e di tanti colpiti e danneggiati, i quali non comprendono e l’interrogante con loro, come la pubblica Amministrazione possa sottrarsi, pel semplice passaggio da un Ministero all’altro, ad impegni legalmente assunti.

«Micheli, Valenti».

Informo che il Governo si riserva di comunicare quando intende rispondere a queste interrogazioni.

PERTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERTINI. Ho presentato una interrogazione sui gravi fatti verificatesi nelle carceri di Poggioreale. Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Comunico di avere inviato sul posto un alto funzionario per svolgere un’inchiesta e riferire. Mi riservo, pertanto, di dare una risposta sui fatti denunciati appena in possesso dei risultati dell’inchiesta.

PERTINI. Prendo atto della comunicazione del Ministro, da cui risulta che il fatto segnalato esiste e che è stata predisposta una inchiesta. Rimango in attesa di una risposta concreta.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Unitamente ad altri colleghi avevo presentato un’interrogazione al Ministro di grazia e giustizia II Ministro dichiarò di essere pronto a rispondere all’interrogazione. Noi chiediamo ora se può essere fissato il giorno di discussione dell’interrogazione stessa.

PRESIDENTE. Faccio presente ai colleghi che la eventuale fissazione di una seduta dedicata alle interrogazioni è subordinata al lavoro che l’Assemblea dovrà affrontare e concludere prima delle vacanze.

Vorrei comunque pregare i colleghi di considerare che il generoso e lodevole interesse di ciascuno per particolari, sia pure importanti, problemi, deve essere contenuto nei limiti ormai fissati all’attività dell’Assemblea.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere quali provvedimenti intenda adottare nei riguardi del Commissario della Società italiana di metapsichica, in relazione alle ripetute violazioni delle disposizioni statutarie da lui compiute ed alla sua pervicace resistenza agli inviti perentori rivoltigli dal Ministero della pubblica istruzione di rientrare nella legalità, convocando l’assemblea generale dei soci per la regolare elezione delle cariche sociali.

«Mortati».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri delle finanze e del tesoro, per conoscere se non ritengano opportuno, oltreché giusto, estendere, nella stessa misura, al proprietario che coltiva la vigna in unione alla mano d’opera altrui il beneficio dell’esenzione dal pagamento dell’imposta di consumo, sul vino concesso dall’articolo 2 del decreto legislativo presidenziale 29 marzo 1947, n. 177, al solo manuale coltivatore del fondo.

«Costringere il proprietario, che paga le non lievi imposte sulla vigna, che dà lavoro ai disoccupati, che dirige e controlla tale lavoro, che acquista concimi e insetticidi, a pagare il dazio sul bicchiere del proprio vino, che con la famiglia giornalmente consuma, e sul vino che somministra agli operai addetti ai lavori del vigneto, è semplicemente assurdo, per non dire iniquo.

Devesi rilevare, inoltre, che, negandosi la esenzione di cui sopra a questa benemerita categoria di piccoli proprietari, molte vigne cederanno il posto a colture meno faticose e remunerative, con grave danno per l’economia nazionale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Paolucci».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno e l’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica, per conoscere quali provvidenze precauzionali s’intenda adottare per evitare che la ripresa attività delle fabbriche di Borgofranco Ivrea: Società alluminio italiana, Società idroelettrica Borgofranco e Società Cheddite rechino serio danno con le esalazioni di gas nocivi alla vegetazione, ai raccolti e ai numerosi agricoltori della zona, come già precedentemente si è verificato. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Scotti Alessandro».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per conoscere se non reputi necessario ed urgente promuovere provvedimenti i quali valgano ad assicurare ai comuni – meglio che non facciano ora le disposizioni contenute negli articoli 161 e seguenti del testo unico 14 settembre 1931, numero 1175 e successive modificazioni ed aggiunte – la percezione dell’imposta sulle industrie in confronto delle aziende industriali che hanno la propria sede principale o anche solo gli uffici nella capitale, o nei capoluoghi di regione o di provincia, come suole accadere, mentre tengono i propri impianti industriali di produzione nei comuni minori.

«E notorio che questi comuni, per ragioni certamente non ignote al Ministero delle finanze, riescono difficilmente ad ottenere un congruo riparto del reddito di ricchezza mobile accertato alle aziende dagli uffici distrettuali delle imposte ove le aziende stesse hanno la propria sede: generalmente la ottengono in misura inadeguata e con notevole dannoso ritardo. Accade così che comuni, nei quali vi sono stabilimenti industriali con migliaia di operai e dove, pertanto, i pubblici servizi costano assai più che nei comuni con popolazione rurale, devono sostenere spese gravose, in misura cospicua e sempre in aumento, senza riuscire a poterne trasferire anche solo una congrua parte sulle industrie ivi operanti.

«L’intervento del Ministro delle finanze, nel senso chiesto, è divenuto tanto più urgente ora, attese anche le disposizioni rivolte a contenere per quest’anno ed eliminare in seguito i contributi dello Stato ad integrazione dei bilanci comunali. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bulloni».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, perché chiarisca la ragione per la quale non sia ancora stato disposto il beneficio consentito dall’articolo 1664 del nuovo Codice civile concernente la bilaterale revisione dei prezzi per i contratti-appalto, quando vengono a verificarsi le condizioni previste dall’articolo stesso.

«Ciò, perché, nelle attuali condizioni di continuo rialzo del costo della mano d’opera e di quello delle merci, le imprese assuntrici di lavori in appalto per conto del Ministero dell’agricoltura e delle foreste non hanno ancora beneficiato del trattamento che è stato già disposto per i contratti assunti per conto del Ministero dei lavori pubblici, determinando:

1°) malcontento nell’ambiente delle imprese appaltataci, acuito dai continui ed annunciati stanziamenti in ordine di decine di miliardi per la realizzazione di nuove opere, mentre soano ancora in via di liquidazione lavori di contratti estinti, molti dei quali risalenti al 1941, liquidazioni ferme non tanto per la macchinosa burocrazia, quanto per le divergenze sorte nell’applicazione delle clausole contrattuali relative alle revisioni;

2°) l’esodo all’estero di molte imprese, in modo particolare di quelle più importanti e meglio attrezzate, che determinano – e maggiormente determineranno nell’avvenire – nocumento alla ricostruzione della Patria. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rognoni».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per conoscere per quali motivi non si sia dato ancora corso al decreto legislativo concernente la corresponsione della intera indennità di caroviveri al personale in effettivo servizio presso comandi, enti o reparti dell’Esercito e dell’Aeronautica militare, ove siano regolarmente costituite mense obbligatorie. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Nobile».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro della difesa, per conoscere i motivi in base ai quali ufficiali superiori e generali pretermessi (prima dell’8 settembre 1943) per ragioni di salute o per mancanza del periodo di comando, siano stati collocati nella riserva con pensione normale e non si siano applicate ai medesimi le disposizioni speciali di cui al regio decreto legislativo 14 maggio 1946, n. 384; di tali disposizioni usufruiscono anche ufficiali discriminati e puniti per il loro comportamento dopo l’8 settembre 1943.

«La diversità di trattamento non solo è in contrasto coi precedenti di detti ufficiali pretermessi e spesso anche con la lodevole attività svolta dopo l’8 settembre 1943, ma mette i medesimi, con la limitata pensione ad essi concessa, in condizioni impossibili di vivere con le loro famiglie.

«Si chiede perciò, per evidenti ragioni di giustizia, che ai predetti ufficiali vengano estese le norme di cui al citato regio decreto legislativo. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Numeroso, Riccio, Leone Giovanni, De Michele».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se non creda necessario che la pubblica Amministrazione si pronunci sui ricorsi presentati dalle insegnanti elementari che parteciparono al concorso magistrale del gennaio 1942 (posti di prima categoria nelle scuole di Roma) contro la limitazione del numero dei posti messi a concorso, prima che siano banditi i nuovi concorsi, o che siano effettuati trasferimenti dalla provincia per l’anno scolastico 1947-48.

«L’urgenza di decidere i ricorsi suddetti si giustifica, a prescindere da considerazioni di buona amministrazione, con il pericolo che abbiano diversa destinazione posti che debbono essere reintegrati al concorso magistrale del 15 gennaio 1942. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bozzi».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Governo, per sapere:

1°) se intende concretare la promessa, più volte fatta, di emanare un provvedimento che riconosca i debiti contratti dalle formazioni, partigiane e dai Comitati di liberazione nazionale che per esse hanno agito in zona libera;

2°) se non creda opportuno emanare tale provvedimento al più presto per limitare il danno già grave derivante dalla svalutazione della moneta. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Mezzadra».

PRESIDENTE. La prima delle interrogazioni testé lette sarà iscritta all’ordine del giorno e svolta al suo turno, trasmettendosi ai Ministri competenti le altre per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 22.40.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 10:

  1. – Svolgimento di una mozione dell’onorevole Parri ed altri sull’elezione del Consiglio superiore della pubblica istruzione.
  2. Seguito della discussione sul disegno di legge:

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di un’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

Alle ore 17:

Discussione sul disegno di legge:

Approvazione del Trattato di pace tra le Potenze Alleate ed Associate e l’Italia, firmato a Parigi il 10 febbraio 1947. (23).

ANTIMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 23 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CXCVII.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 23 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Sul processo verbale:

Perassi

Mortati

Per un attentato all’abitazione dell’onorevole Tessitori:

Fantoni

Presidente

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di un’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

Presidente

Cappi

Rescigno

Mazzei

Crispo

Sullo

Dugoni

Veroni

Bosco Lucarelli

Castelli Edgardo

Coppi

La Malfa, Relatore

Pella, Ministro delle finanze

Vigorelli

Basile

Bertone

Disegni di legge (Presentazione):

Sforza, Ministro degli affari esteri

Presidente

La seduta comincia alle 10.30.

AMADEI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

Sul processo verbale.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Un impegno universitario mi ha impedito di essere presente alla seduta di ieri mattina, quando, improvvisamente, essendosi rinviato l’esame dell’articolo 123, che avrebbe coinvolto una lunga discussione, venne in esame l’articolo 124 del progetto di Costituzione, relativo all’ordinamento regionale.

Dal resoconto sommario risulta che il Presidente della Commissione, onorevole Ruini, cortesemente, nonostante la mia assenza, ha voluto leggere il testo dell’articolo 124 quale io lo avevo proposto, aggiungendo che la Commissione lo ha accolto sostanzialmente.

Io direi, anzi, che la Commissione lo ha letteralmente ed integralmente accolto; ma vi ha fatto un’aggiunta finale, sì che sarei tentato di dire in cauda venenum. L’aggiunta finale consiste nella disposizione secondo la quale lo statuto di ogni Regione, elaborato e adottato secondo le norme indicate nello stesso articolo, «è approvato con legge dello Stato».

Se io fossi stato presente non avrei mancato di insistere in una maniera particolarmente energica nel mettere in evidenza le ragioni di merito che, a mio parere, stanno contro questa disposizione, la quale rende estremamente pesante il meccanismo di formazione degli statuti.

Ma, a prescindere da questa ragione di merito, avrei ieri preliminarmente sollevato un’altra questione, ossia avrei proposto che questa parte finale dell’articolo 124 venisse rinviata per la seguente considerazione. La disposizione che prevede l’approvazione con legge degli statuti regionali è una forma particolare di controllo della formazione di questa speciale legge regionale che, avuto riguardo al suo contenuto specifico, è designata nell’articolo 124 con la parola «Statuto». Ora, l’Assemblea aveva già sospeso e rinviato l’esame dell’articolo 118 il quale concerne i controlli sulle leggi regionali in generale. La conseguenza mi pare logica: essendosi rinviato l’articolo 118, sarebbe stato opportuno rinviare anche questa parte finale dell’articolo 124, concernente il controllo sulla formazione dello Statuto. Per queste considerazioni mi riservo di riproporre la questione in sede di coordinamento.

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Se fossi stato presente, avrei fatto una proposta analoga a quella dell’onorevole Perassi, per il rinvio a quando sarà discusso l’articolo 118; e mi riservo anche di riproporre la questione.

Per un attentato all’abitazione dell’onorevole Tessitori.

FANTONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FANTONI. Ieri mattina, nelle primissime ore, a Udine, contro l’abitazione di un membro della Costituente, l’onorevole Tiziano Tessitori, ed a causa dell’atteggiamento politico da lui assunto sia in questa Assemblea sia fuori di essa per ciò che attiene e riguarda l’autonomia del Friuli delle persone rimaste sconosciute finora – ma che mi rifiuto di credere friulane – hanno lanciato e fatto scoppiare una bomba, che per fortuna non ha causato danni alle persone, ma solo alle cose. Nel protestare contro questo atto di criminosa intolleranza politica che attenta alla libertà dei membri della Costituente, che viola le norme del vivere civile e del costume democratico, e che richiama noi anziani a quelle che sono state le avvisaglie del fascismo nel 1919-20-21 contro uomini e contro cose, io, a nome del Gruppo democristiano, ed in particolare dei deputati del Friuli – da questa Assemblea eretto ormai a Regione – rivolgo all’amico onorevole Tessitori l’espressione della solidarietà indefettibile e completa, augurando che polizia e Magistratura compiano il loro dovere per la scoperta e punizione dei colpevoli. (Applausi).

PRESIDENTE. Credo di interpretare i sentimenti di protesta dell’Assemblea associandomi, a nome di tutti i colleghi, alle parole dell’onorevole Fantoni per l’ignobile aggressione perpetrata ai danni dell’onorevole Tessitori. (Applausi generali).

Seguito della discussione sul disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stata in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione sul disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

Siamo all’articolo 72. Se ne dia lettura nel testo proposto dalla Commissione:

AMADEI, Segretario, legge:

«L’imposta straordinaria proporzionale iscritta a ruolo è riscossa, non oltre il 31 dicembre 1948, in rate uguali coincidenti con quelle normali per le imposte dirette.

«I relativi ruoli di riscossione non sono soggetti a pubblicazione.

«Per la riscossione compete all’esattore l’aggio contrattuale, esclusa l’addizionale prevista dagli articoli 5 e 8 del decreto legislativo luogotenenziale 18 giugno 1945, n. 424.

«Il contribuente ha facoltà di chiedere, entro il giorno 10 del mese successivo a quello di scadenza della prima rata, il riscatto, con l’abbuono del dieci per cento, dell’imposta dovuta ai sensi dell’articolo 68.

«Il versamento del prezzo di riscatto deve effettuarsi in Tesoreria entro il termine di scadenza della seconda rata».

PRESIDENTE. Su questo articolo l’onorevole Cappi ha presentato il seguente emendamento, firmato anche dagli onorevoli Avanzini, Bonomi Paolo, Bosco Lucarelli, Stella, Uberti, Balduzzi, Benvenuti, Monticelli e Adonnino:

«Il termine di pagamento è portato a dieci anni per le opere pie e gli enti morali.

«Per tutte le partite, il cui imponibile sia inferiore a lire 1.500.000 il termine è portato a cinque anni e l’abbuono, in caso di riscatto, sarà del 25 per cento.

«Coloro che avessero già effettuato il riscatto con l’abbuono del 10 per cento, avranno diritto ad ottenere l’abbuono dell’ulteriore 15 per cento».

L’onorevole Cappi ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

CAPPI. Onorevoli colleghi, io ho già svolto ieri, almeno in parte, l’emendamento che avevo presentato e che tendeva, sia pure in forma e con metodo diversi da quello proposto dall’emendamento Scoccimarro, Pesenti ed altri, a favorire la piccola proprietà relativamente al pagamento dell’imposta sul patrimonio.

Quell’emendamento mantengo; però ho apportato qualche modifica di forma, non di sostanza. Cosicché l’emendamento nella sua nuova forma, che ho già comunicato al Ministro delle finanze ed ora alla Presidenza dell’Assemblea, suonerebbe così: «Il termine di pagamento è portato a 10 anni per le Opere Pie ed enti morali; per tutte le partite il cui imponibile sia inferiore a 1 milione, il termine è portato a 3 anni e l’abbuono del canone in caso di riscatto sarà del 20 per cento».

Le modifiche che ho portato sono sostanzialmente due ed accentuano, a mio avviso, il favore alla piccola proprietà, perché, mentre nel mio primo emendamento si parlava di un termine di 5 anni per le partite costituite da fabbricati e immobili, qui ho parlato, in genere, di tutte le partite comprendendo cioè quelle piccole aziende artigiane, alle quali, mi pare, aveva fatto cenno ieri l’onorevole Scoccimarro, cioè tutte le partite, comunque costituite, il cui imponibile sia inferiore a 1 milione avranno un termine di 3 anni senza interessi. La seconda modificazione è stata questa: nel mio primo emendamento parlavo di una rateazione quinquennale per tutti gli immobili soggetti al vincolo dei canoni. Ma fu fatto osservare, credo giustamente, che non è del tutto equo questo, perché se taluno ha un palazzo che vale milioni e milioni, anche se è vincolato nell’affitto, non sembra giusto concedergli questa rateazione. Perciò, anche per gli immobili vincolati è concessa la rateazione nel caso che l’imponibile non superi 1 milione.

Tengo poi ferma l’altra proposta: in caso di riscatto sarà concesso l’abbuono del 20 per cento. Il che non è eccessivo, perché si tratta di pagare anticipatamente non più un’imposta che deve essere pagata in un anno, ma in 5 anni. Si considera, cioè, il valore attuale della lira.

Non nascondo che tecnicamente forse è un po’ alto l’abbuono del 20 per cento, ma questo l’ho fatto per allettare ad esercitare il riscatto nell’interesse di una più pronta riscossione da parte del fisco. Perciò mantengo il mio emendamento nella forma che ora ho illustrato.

PRESIDENTE. L’onorevole Rescigno ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma, alle parole: non oltre il 31 dicembre 1948, sostituire le parole: non oltre il 31 dicembre 1949».

Onorevole Rescigno, lo mantiene?

RESCIGNO. Lo mantengo e non credo che ci sia bisogno di illustrarlo, in quanto la finalità è evidente e mi auguro che il Governo lo accolga.

PRESIDENTE. L’onorevole Bonomi Paolo, ha già svolto il seguente emendamento presentato insieme con l’onorevole Valmarana:

«Dopo il primo comma, aggiungere il seguente:

«Le partite di imposta inferiori a lire 30.000 verranno riscosse entro il 1952 e quelle comprese fra le lire 30.000 e le lire 60.000 entro il 1950».

Segue l’emendamento dell’onorevole Mazzei:

«Dopo il primo comma, aggiungere il seguente:

«L’imposta è riscossa in sedici rate bimestrali eguali con inizio dal giugno 1947 per imponibili non superiori a lire 500 mila e in ventidue rate per imponibili non superiori a lire trecentomila».

L’onorevole Mazzei ha facoltà di svolgerlo.

MAZZEI. Ho già detto le ragioni che mi inducevano a presentare i due emendamenti, quando ho illustrato l’emendamento sull’articolo 68, che disgraziatamente non è passato per una lieve differenza di voti. In mancanza dell’elevamento del minimo imponibile è maggiormente necessaria una rateazione del pagamento dell’imposta per gli imponibili minori.

Il mio emendamento prevede il pagamento in 16 rate bimestrali uguali per imponibili non superiori a 500 mila lire e il pagamento in 22 rate per imponibili non superiori a 300 mila lire. È evidente che questo è il minimo beneficio che si possa concedere alla piccola proprietà. Visto che si è tanto parlato di difesa della piccola proprietà, ma poi quando si è votato nessuno ha creduto di doverla concretamente proteggere, ritengo che questa dilazione servirà almeno a rendere non impossibile il pagamento dell’imposta, che è indubbiamente gravosa, da parte dei piccoli proprietari. Non v’è bisogno di aggiungere altro.

PRESIDENTE. L’onorevole Crispo ha presentato, insieme con gli onorevoli Morelli Renato, Bozzi, Cifaldi, Vinciguerra e Perrone Capano il seguente emendamento:

«Al primo comma, sostituire il seguente: L’imposta straordinaria proporzionale inscritta a ruolo è riscossa in 20 rate bimestrali eguali con inizio dal giugno 1947».

L’onorevole Crispo ha facoltà di svolgerlo.

CRISPO. Mantengo il mio emendamento, ma non ho bisogno di illustrarlo.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento degli onorevoli Clerici, Saggin, Alberti, Bovetti, Cavalli e Baracco del seguente tenore:

«Relativamente agli immobili sottoposti al regime vincolistico dei fitti, l’imposta stessa è suddivisa in rate bimestrali entro il 31 dicembre 1951».

Non essendo presente alcuno dei firmatari, s’intende che rinuncino ad illustrarlo.

Segue l’emendamento dell’onorevole Sullo:

«Dopo il primo comma aggiungere:

«I contribuenti sottoposti all’imposta proporzionale complessivamente per non oltre le lire centomila hanno facoltà di chiedere di pagare l’imposta entro il 31 dicembre 1949: quelli sottoposti per non oltre le lire cinquantamila entro il 31 dicembre del 1950».

Ha facoltà di illustrarlo.

SULLO. Il mio, in sostanza, è un emendamento simile agli altri emendamenti che sono stati presentati e che chiedono una rateazione per le varie categorie che possa corrispondere alla piccola e media proprietà. Non intendo, presentando l’emendamento, che esso sia senz’altro accettato così com’esso è. Voglio piuttosto fornire alla Commissione un altro elemento di cui certamente potrà tener conto nella scelta di qualche limite preciso.

In sostanza, con il mio emendamento, viene fatta una vera partizione fra quella che si potrebbe dire la piccola proprietà e la media proprietà. I termini sono alquanto abbreviati rispetto alle altre preposte che io he visto nel fascicolo degli emendamenti, perché ritengo che anche in questo caso bisogna tener presente che l’imposta necessita al Tesoro e che, quindi, i termini della riscossione non devono essere molto allungati.

Per quanto riguarda i limiti in cifre, potrebbero, grosso modo, corrispondere, sia pure con qualche eccedenza, ai limiti dell’imposta progressiva, nel senso che si dovrebbe cercare di far pagare coloro che non sono sottoposti all’imposta progressiva.

Concludendo, non ho fatto che fornire alla Commissione un altro elemento di cui si potrà scrivere, libera poi di accettare questo o quell’emendamento. L’importante è che il principio dola rateizzazione venga accettato, principalmente per la piccola e la media proprietà e che, come il Ministro ha detto, venga all’articolo 72 esaminato, nella forma tecnica migliore, quello che invece per l’articolo 38 non è stato possibile concedere.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento Dugoni del seguente tenore:

«Dopo il primo comma aggiungere il seguente:

«L’imposta è riscossa:

  1. a) in 24 rate bimestrali per gli imponibili inferiori alle lire trecentomila;
  2. b) in egual numero di rate, per i patrimoni costituiti per oltre la metà da fabbricati soggetti al blocco degli affitti, o per oltre la metà danneggiati da eventi bellici;
  3. c) in 12 rate per gli imponibili inferiori alle cinquecento mila lire».

L’onorevole Dugoni ha facoltà di illustrarlo.

DUGONI. Mantengo l’emendamento, ma rinuncio ad illustrarlo.

PRESIDENTE. Vi è ora il seguente emendamento dell’onorevole Veroni:

«Al quarto comma sostituire alla parola dieci la parola dodici».

VERONI. Rinuncio all’emendamento.

PRESIDENTE. Sta bene. Segue l’emendamento dell’onorevole Mazzei:

«Dopo il quarto comma aggiungere il seguente:

«Tale abbuono sarà del 14 per cento per i contribuenti che paghino per imponibili non superiori a lire 300 mila e del 12 per cento per imponibili non superiori a lire 500 mila».

L’onorevole Mazzei ha facoltà di svolgerlo.

MAZZEI. Non credo che il mio emendamento abbia bisogno di illustrazione. Lo mantengo, rinunciando a svolgerlo.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Bosco Lucarelli, del seguente tenore:

«Sostituire il quarto comma col seguente:

«Tale abbuono sarà del 14 per cento per i contribuenti che paghino per imponibili non superiori a lire 300 mila e del 12 per cento per imponibili non superiori a lire 500 mila».

Ha facoltà di svolgerlo.

BOSCO LUCARELLI. Il mio emendamento non ha bisogno di grande illustrazione. Siccome sono stati prorogati tutti i termini, riterrei opportuno prorogare anche il termine del riscatto. Quindi, se la Commissione ed il Ministro non trovano difficoltà, mantengo l’emendamento, altrimenti non insisto, perché non è una questione sostanziale.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Castelli Edgardo del seguente tenore:

«Aggiungere, dopo il secondo comma:

«L’usufruttuario può rivalersi verso il proprietario della quota di imposta afferente al valore della nuda proprietà, fatte le valutazioni ai sensi dell’articolo 14».

L’onorevole Castelli ha facoltà di illustrarlo.

CASTELLI EDGARDO. Bastano poche parole, io penso, per illustrare l’assoluto senso di equità cui questo emendamento è informato. La legge istitutiva dell’imposta ordinaria sul patrimonio accollava all’usufruttuario il carico del l’imposta stessa perché, per quanto essa si chiamasse imposta sul patrimonio, di fatto si risolveva in una imposta sul reddito, in certo senso progressiva ed era naturale che, in conformità alle disposizioni del diritto comune, l’usufruttuario, godendo della proprietà, sopportasse anche gli oneri inerenti al godimento stesso.

Ma noi, ora, istituendo, col progetto che stiamo esaminando, una imposta straordinaria proporzionale sul patrimonio, oppure, secondo un’altra interpretazione, riscattando l’imposta ordinaria con un anticipo di dieci annualità, operiamo un vero e proprio prelievo una tantum sulla ricchezza: tanto più che i termini di pagamento sono assai brevi. Quindi, è giusto, in linea di principio, che questo prelievo venga sopportato non dall’usufruttuario, ma dal proprietario, come avverrà per la straordinaria progressiva.

Naturalmente, il nudo proprietario dovrà sopportare soltanto il carico del valore della quota di nuda proprietà, la quale viene determinata in base ai criteri, che la legge afferma nell’articolo 14, da noi già deliberato.

Per rendere più evidente la fondatezza di questo emendamento, basti considerare il caso – che non è poi rarissimo, anzi comune, perché gli usufruttuari sono, di solito, di avanzata età – dell’usufruttuario che non abbia probabilità di vivere dieci anni ancora. Perché egli dovrebbe anticipare dieci annualità d’imposta e locupletare così il proprietario, accollandosi un carico, che non gli appartiene, almeno in rapporto agli anni che la vita gli negherà? Perché dovrà pagare anche per quegli anni nei quali, con la fine della sua vita, l’usufrutto sarà estinto?

Ritengo, per quanto l’emendamento sia stato respinto dai colleghi della Commissione, che esso possa venire senz’altro accettato dall’Assemblea.

COPPI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COPPI. Io ho firmato l’emendamento Cappi, nel quale si parla di Opere Pie e di Enti morali.

Mi è sorto il dubbio – e forse da un punto di vista strettamente giuridico può essere fondato – che la dizione «Opere Pie ed Enti morali» non possa comprendere le partecipanze agrarie. Mi riferisco in modo particolare, anzi esclusivo, perché è fenomeno particolare dell’Emilia, alle partecipanze agrarie di quella Regione.

Vorrei, perciò, sapere dal Presidente della Commissione e dal Ministro se essi ritengano che nella dizione «Enti morali», agli effetti di questa legge, si comprendano anche le partecipanze agrarie. Perché, in caso diverso, io dovrei insistere a che fosse aggiunta anche l’espressione «partecipanze agrarie».

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole La Malfa.

LA MALFA, Relatore. Dei vari emendamenti presentati, che si distinguono per la maggiore o minore lunghezza del periodo di ratizzazione, la Commissione, a maggioranza, accetta, come principio, l’emendamento presentato dall’onorevole Mazzei e implicitamente quelli di altri colleghi, che a quello si avvicinano, come l’emendamento dell’onorevole Dugoni, che, in sostanza, diversifica la ratizzazione concessa, secondo l’imponibile.

Nell’emendamento Mazzei è stabilita la concessione di un ulteriore anno di ratizzazione per gli imponibili che vanno da trecentomila a cinquecentomila, e di due anni per quelli sino a trecentomila.

Alla Commissione sembra che questo emendamento concilî la necessità di aiutare i piccolissimi patrimoni con la possibilità di pagare nel periodo prescelto.

Per quanto riguarda gli Istituti di assistenza e di beneficenza, la Commissione sarebbe favorevole ad una rateizzazione di cinque anni, non di dieci; perché la rateizzazione di dieci anni corrisponderebbe alla situazione fiscale attuale. Ora, ridurre questo periodo a metà, rappresenta, sì, un aggravio, ma, in certo senso, pone sugli Istituti di beneficenza un aggravio sopportabile.

Quindi all’emendamento Mazzei la Commissione aggiungerebbe un secondo comma:

«L’imposta è riscossa entro l’aprile 1952, quando si tratta di istituzioni pubbliche di beneficenza e di assistenza, qualunque sia l’imponibile accertato».

PRESIDENTE. Questa aggiunta è tratta dall’emendamento Cappi?

LA MALFA, Relatore. Sì, ma è ridotto il periodo di pagamento da dieci a cinque anni. Correlativamente, si accetta pure l’emendamento Mazzei e De Mercurio, che stabilisce un premio di riscatto in relazione al periodo di rateazione, cioè aumenta il riscatto al 14 per cento, quando la rateazione è di due anni, e al 12 per cento, quando la rateazione è di un anno. La Commissione si è espressa per due periodi di rateazione e per queste percentuali di riscatto, perché se la rateazione andasse oltre questi limiti e si portasse, ad esempio, ad oltre un quinquennio, il riscatto da concedere dovrebbe essere anche maggiore di quello proposto dall’onorevole Cappi. Ciò porterebbe l’erario a fare una restituzione massiccia di imposta, dovremmo cioè restituire sul pagato, non solo per il 25 per cento, ma, commisurando la rateazione al riscatto, anche per il 50 per cento, cioè torneremmo nell’articolo 72 ad accettare un principio già posto dall’onorevole Scoccimarro nell’articolo 68. Al di là di un certo limite si tratta di una vera e propria percentuale di sgravio. Perciò non abbiamo fatta la concessione di sgravio di imposta nell’articolo 68 ed abbiamo contenuto la rateazione entro limiti in cui la restituzione di somme sul riscatto sia contenuta entro cifre sopportabili dall’erario. Quindi gli emendamenti Mazzei ed affini, secondo il pensiero della Commissione, sono da accettare. Ci sono poi emendamenti che non riguardano la rateazione, come, per esempio, quello dell’onorevole Bosco Lucarelli, che potrebbero essere accettati: tale emendamento prolunga il termine di riscatto e poiché concede un più lungo periodo di rateazione, bisogna, di conseguenza, concedere un più lungo periodo per la richiesta del riscatto.

L’emendamento dell’onorevole Castelli Edgardo è stato respinto dalla maggioranza della Commissione.

L’emendamento dell’onorevole Crispo è assorbito – per quanto riguarda i minimi imponibili fino a 500.000 lire – dall’emendamento Mazzei; per gli imponibili oltre le 500.000 lire è respinto dalla Commissione, sembrando la concessione eccessiva.

L’emendamento Rescigno al primo comma, poiché è identico a quello dell’onorevole Crispo, è accettato per l’imponibile fino a 500.000 lire ed è respinto per l’imponibile oltre le 500.000 lire.

Quello dell’onorevole Dugoni è assorbito, perché identico, da quello dell’onorevole Mazzei: in altri termini, gli emendamenti che differiscono da quello Mazzei, per quanto riguarda il periodo e la rateazione, sono implicitamente respinti dalla Commissione.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro delle finanze ha facoltà di parlare.

PELLA, Ministro delle finanze. Come giustamente ha già osservato il Relatore, la maggior parte degli emendamenti imposta il problema di una maggiore rateazione. Su questo punto il Governo, fin dalla chiusura della discussione generale, aveva assicurato essere suo intendimento di concedere larghe rateazioni alle categorie degli enti morali delle opere pie in genere, ai proprietari di fabbricati soggetti a regime vincolistico, ai piccoli proprietari di terreni, di fabbricati e, nel corso della discussione degli articoli, dette ulteriore assicurazione per quanto riguardava le piccole aziende commerciali e industriali.

Il problema è oggi di dare espressione concreta a queste intenzioni del Governo, in adesione alle richieste dei presentatori dei diversi emendamenti, cioè di ridurre a formula comune le diverse proposte. Il Ministero avrebbe predisposto un suo emendamento, il quale in parte accoglierebbe le richieste ed, in parte, andrebbe anche al di là delle stesse.

Propongo, pertanto, se ciò non sarà considerato come intralcio al corso dei nostri lavori, che, con una sospensione di un quarto d’ora o di mezz’ora della seduta, o rinviando alla seduta pomeridiana l’ulteriore discussione intorno agli emendamenti, per continuare ora l’esame delle altre questioni, sì permetta alla Commissione, al Governo e ai presentatori dei diversi emendamenti di riunirsi per concordare un testo comune, ciò che non ritengo difficile.

Desidero però, fin da questo momento, far presente all’onorevole Cappi, che, nelle intenzioni del Governo, anche le partecipanze dovrebbero, agli effetti della rateazione, essere assimilate agli enti morali e alle opere pie.

VIGORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VIGORELLI. Desidero far rilevare che in sostanza sta avvenendo quello che ieri era facile prevedere. Se io infatti ieri insistevo perché si votasse il mio emendamento in sede di articolo 68, lo facevo perché esso tende ad ottenere un’esenzione; viceversa adesso, avendolo votato in sede di articolo 72, noi stiamo scivolando verso quella rateazione che adesso è stata ridotta da dieci a cinque anni.

Onorevoli colleghi, ho l’impressione che non si sia inteso bene qui che si parla di enti pubblici di assistenza i quali siano sovvenzionati dallo Stato. Che cosa avviene infatti per questi enti? Avviene che lo Stato dovrà poi rimborsare quello che essi gli corrispondono a titolo di imposta. Ne deriva quindi un danno per questi enti che dovranno in modo oneroso procurarsi l’ammontare di questa pressione fiscale, mentre nessun vantaggio ne deriverà allo Stato, il quale dovrà poi, come ho detto, provvedere al rimborso agli enti stessi.

Ciò significa, onorevoli colleghi, andare contro le categorie degli umili e dei poveri, senza alcun vantaggio per le finanze dello Stato. È quindi veramente una cosa curiosa, della quale non riesco a rendermi conto. Vuol dire che non si è ancora capito questo semplicissimo problema.

Io insisto dunque perché tale mia proposta, la quale è veramente pregiudiziale all’articolo 72, venga messa a partito prima di quella eventuale riunione che l’onorevole Ministro ha proposto di fare.

PRESIDENTE. Qual è il pensiero della Commissione?

LA MALFA, Relatore. Non reputo di dover ripetere ciò che a nome della Commissione ho già avuto campo di esporre: gli istituti di beneficenza, quando la rateazione fosse concessa in dieci anni anziché in cinque, pagherebbero esattamente quello che già pagano. L’argomento del collega è che molti di questi istituti gravano sul bilancio dello Stato.

VIGORELLI. S’intende che io parlo soltanto di quelli che sono sovvenzionati dallo Stato.

LA MALFA, Relatore. Siccome non si può, in questa legge, introdurre una distinzione fra gli istituti di beneficenza che gravano sul bilancio dello Stato e istituti che non gravano, oltre a tutto, perché molte volte questo sarebbe un premio a cattive amministrazioni, l’emendamento è da respingere. È un principio da applicare rigorosamente, che quando si tratta di pagare una imposta, e di fronte all’imposta c’è il fatto che un ente vive a carico dello Stato, l’ente paghi l’imposta, e lo Stato, che deve valutare la situazione patrimoniale, darà un contributo.

Ma è una confusione alla quale noi non dobbiamo prestarci, quella che, in occasione del pagamento di un’imposta, si dica: «Siccome il bilancio è passivo, l’ente non la paghi». Un’imposta deve gravare su tutti, perché l’esenzione potrebbe essere in molti casi un premio a cattive amministrazioni. Quando un bilancio si chiude in passivo, e grava sullo Stato, lo Stato va a valutare i pesi su questo bilancio e dà il suo contributo; ma dà il suo contributo sapendo che tutti gli enti sono in parità di condizioni. Anche perché, onorevoli colleghi, se non si facesse così, non si potrebbe percepire l’imposta da quegli istituti che sono in condizioni patrimoniali tali da poter pagare l’imposta.

Noi dobbiamo tener fermi certi principî discriminativi; altrimenti continuiamo nella confusione amministrativa e legislativa che ci ha deliziato per vent’anni e potrebbe continuare a deliziarci per altri venti.

VIGORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VIGORELLI. Mi pare che ci sia una confusione abbastanza evidente. Io parlo di enti pubblici di assistenza, cioè – come tutti sanno – dei Comuni, delle Provincie e di altri enti di assistenza autarchici; parlo esclusivamente di questi enti pubblici, non di istituti di assistenza o di beneficenza privati, confessionali od altri. Questi enti pubblici vivono sia col reddito dei loro patrimoni, sia col contributo dello Stato. Ora, una delle due: o lo Stato dà questi contributi, e – ripeto – dà questi contributi a rimborso dei denari che vengono spesi per tassazione, e allora lo Stato, oltre al denaro che già deve dare per far fronte a questi impegni, deve pagare anche per premi, interessi, ecc.; o lo Stato non li dà, perché si tratta di patrimoni che non abbisognano del contributo delio Stato, e allora noi andiamo a portar via i denari ai poveri, nello stesso momento in cui c’è una quantità di gente che a questa imposta si sottrae, mentre dovrebbe pagarla.

Ora, che si incominci la severità della tassazione proprio dalle categorie più povere, credo che sia una cosa che questa Assemblea non vorrà affermare.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Il Governo non può che confermare il suo pensiero in materia, già ripetutamente espresso. Come non vi erano esenzioni ai fini dell’imposta ordinaria sul patrimonio, così non possono essere ammesse esenzioni ai fini di questa imposta straordinaria, sia che essa venga considerata come un riscatto dell’imposta ordinaria già esistente, sia che venga riguardata come un tributo sostitutivo una tantum.

Mi perdoni l’onorevole Vigorelli se debbo respingere con le sue stesse parole l’accusa che con questa imposta si sottrarrà qualche cosa ai poveri e, in genere, agli assistiti, perché l’impostazione del suo emendamento poggiava sopra l’inutilità di una partita di giro, nel senso che è inutile che lo Stato percepisca un’imposta, quando poi deve andarla a rimborsare. Quindi, niente di sottratto agli assistiti, ma problema dell’utilità e dell’inutilità di una partita di giro.

Le partite di giro non hanno un aspetto soltanto formale, ma hanno anche un contenuto sostanziale, perché di ogni servizio – sia pure di un servizio a contenuto eminentemente filantropico – è necessario saper vantare sempre il costo. E le imposte sono un elemento del costo, perché è norma di corretta amministrazione che, anche quando ci si trovi davanti a elementi figurativi del costo, detti elementi debbano esser presi in considerazione.

Quindi non tema l’onorevole Vigorelli che questa imposta diminuisca le possibilità di assistenza. Le possibilità di assistenza saranno più o meno ampie in relazione alle di disponibilità che può avere lo Stato; questa imposta non le diminuirà, se viene mantenuta, come non le aumenterebbe se venisse eliminata.

Per quanto riguarda la rateazione, io sono d’accordo con l’onorevole Vigorelli che bisogna andare al limite estremo. Questo limite dovrà essere determinato, con visione molto larga, in modo da accogliere nella sostanza il suo punto di vista.

VIGORELLI. Comunque, chiedo che il mio emendamento si voti in precedenza, perché è pregiudiziale.

PRESIDENTE. Sta bene, sarà messo per primo in votazione. Il Ministro fa una proposta di sospensiva per la votazione di questo articolo?

FELLA, Ministro delle finanze. No, chiedo il rinvio ad oggi nel pomeriggio.

LA MALFA, Relatore. Possiamo sospendere la seduta per qualche minuto.

PELLA, Ministro delle finanze. D’accordo.

VIGORELLI. Mi permetto d’insistere nel chiedere che si voti prima sulla esenzione, perché poi, eventualmente, si potrà discutere sulla rateazione, mentre io ho chiesto in primo luogo che si esenti.

PELLA, Ministro delle finanze. Vorrei raccomandare all’Assemblea di tener conto delle ripercussioni che potrebbero derivare se si aprisse una breccia nel sistema. La generosità delle intenzioni potrebbe portare al pericolo di conseguenze, che in questo momento non sarebbe il caso di dettagliare, ma che sono facilmente prevedibili.

Quindi, non per avversione allo spirito della proposta dell’onorevole Vigorelli, ma unicamente per ragioni di vera prudenza, pregherei l’Assemblea di tener conto della portata di questa esenzione, attraverso la concatenazione con altre disposizioni e attraverso interpretazioni estensive e analogiche che potrebbero essere richieste.

PRESIDENTE. Allora metteremo in votazione l’emendamento dell’onorevole Vigorelli. Fatta questa votazione, sospenderemo per cinque minuti la seduta, per concordare un testo che riassuma i vari emendamenti sui quali il Governo e la Commissione si sono pronunciati.

L’onorevole Basile ha chiesto di parlare. Ne ha facoltà.

BASILE: Chiedo che sia messo prima in votazione il mio emendamento che si riferisce ad una questione più semplice, cioè all’esenzione dall’imposta soltanto per gli ospedali. E una questione diversa dagli altri emendamenti. Se consente, lo svolgerò brevemente.

PRESIDENTE. È tanto chiaro! Se potessimo risparmiare del tempo, sarebbe tanto di guadagnato. Ad ogni modo, ha facoltà di parlare.

BASILE. Sì, è evidente che il mio emendamento dovrebbe raccogliere l’unanimità dell’Assemblea, ma ci sono state, onorevole signor Presidente, le dichiarazioni del Ministro e del Relatore, i quali fanno una questione di logica tributaria, che è… un po’ diversa dalla logica comune, e dicono: non possiamo ammettere per nessuna ragione che un’imposta non debba essere pagata da tutti, anche dagli enti locali, anche dagli enti di assistenza e beneficenza, anche dai Comuni e dalle Provincie che lo Stato sussidia, anche dagli ospedali, perché tutti, anche gli enti di assistenza e beneficenza, devono tener conto, nel costo dei servizi, prima di tutto, del costo dell’imposta.

Ora io vorrei pregare il Ministro onorevole Pella e l’amico onorevole La Malfa, che pare voglia aspirare in questa discussione al titolo di tassatore spietato – e di questo coraggio gli do ampia lode – vorrei pregare tutti e due, perché non giungano all’eccesso di chiedere il pagamento dell’imposta anche agli ospedali. Io dico che esigere l’imposta dagli ospedali, è volerla esigere dai poveri; a un malato toccano tre cucchiai di medicinale, e lo Stato gli dice: uno lo confisco io per l’imposta.

Il mio emendamento non chiede l’esenzione per gli enti comunali, cui si potrebbero adattare benissimo le ragioni espresse dal Ministro onorevole Pella. Ma quando mi parlate di rateazione, io non posso restar sodisfatto per gli ospedali; perché ciò significherà dire: invece di infliggervi una lesione personale guaribile in novanta giorni, ve ne diamo nove guaribili in dieci giorni ciascuna.

Gli ospedali non hanno quello che è necessario per pagare gli impiegati e i medici. Vi sono ospedali i cui medici non sono pagati, non possono essere pagati. Se c’è un ente che ha un reddito di 200.000 lire all’anno che non bastano per pagare il pane, come volete che su queste 200.000 lire di reddito l’ospedale, cioè i ricoverati, cioè i poveri, siano costretti a pagare l’imposta? Mi rivolgo alla comprensione del Ministro Pella perché voglia perciò consentire l’esenzione dell’imposta. Non vale obiettare: questa è un’imposta straordinaria: gli ospedali non sono lo stesso in grado di pagarla, e non pagano questa soltanto, pagano tutte le imposte e le sovrimposte, ordinarie e straordinarie, le addizionali e le sovraddizionali, tutti i tributi che sono un’inesausta pompa aspirante che sottrae ai malati una parte dell’assistenza, delle cure, dei servizi e talvolta le medicine e anche il pane. L’Assemblea Costituente, oggi, che è la prima volta che fa una legge tributaria, potrebbe dire che gli ospedali sono esenti dall’imposta e poi, in tema di coordinamento, si ripeterà questo principio che l’Assemblea oggi avrà affermato: gli ospedali, cioè, i poveri, devono essere esenti dai tributi.

PRESIDENTE. Qual è il suo parere, onorevole la Malfa?

LA MALFA, Relatore. Ho già espresso il parere della Commissione. La Commissione si rende conto di questo; ma quando si tratta di una dizione così generica: «gli istituti di assistenza e beneficenza», non dobbiamo guardare ai casi più gravi, ma pensare invece che alcuni di questi istituti possono essere in condizioni di floridezza. È bene prendere l’imposta da questi ed assistere quelli che ne hanno bisogno. Perché se noi adeguiamo l’imposta ai casi peggiori, esimiano dal pagamento coloro che possono pagare.

PRESIDENTE. Onorevole Ministro, qual è il suo parere?

PELLA, Ministro delle finanze. Non posso che conformare il punto di vista del Governo. Penso che il problema doveva e poteva essere proposto nei confronti dell’imposta ordinaria sul patrimonio. Quella poteva e doveva essere la sede. Ora, se il Governo, d’accordo con l’Assemblea, arrivasse ad una rateazione così lunga, per cui in sostanza l’onere si riducesse a quello che già attualmente si sostiene, non vedrei come si potrebbe pensare di risolvere il più grave problema dell’assistenza e beneficenza in Italia in funzione di un 0,40 per cento o un 0,80 per cento all’anno sopra il valore fiscale dei fabbricati utilizzati dagli enti dei quali si sta discutendo.

Creda l’onorevole Basile che il problema dell’assistenza e della beneficenza ed in particolar modo quello relativo alle necessità degli ospedali, sono considerati dal Governo ih tutta la loro portata. Penso, però, che non sia il caso di sconvolgere le linee generali di un tributo, per portare forse un bicchiere d’acqua a spegnere un incendio.

Tale è la portata della facilitazione che si richiederebbe, di fronte al problema molto più ampio da risolvere. Quindi vorrei pregare l’onorevole Basile, non di ritirare il suo emendamento, ma di prendere atto dell’intenzione del Governo.

PRESIDENTE. Onorevole Basile, dopo queste dichiarazioni del Ministro, mantiene il suo emendamento?

BASILE. Sì, vorrei dire al Ministro delle finanze che gli ospedali, per pagare questa imposta, devono prendere a prestito il denaro, pagando alle banche gli interessi, e poi lo Stato dovrà pagare anche gli interessi!

PRESIDENTE. Allora mantiene il suo emendamento?

BASILE. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Anche lei, onorevole Vigorelli?

VIGORELLI. Sì.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Dichiaro che sono decisamente contrario a tutte le esenzioni e mi associo pienamente al parere espresso dal Ministro delle finanze e dal Presidente della Commissione.

Prego l’Assemblea di voler meditare sulla gravità del principio che noi andiamo a vulnerare con l’ammettere le esenzioni. Noi siamo di fronte ad una imposta che esiste da otto anni e che tutti pagano.

Voce a sinistra. Male che esiste da otto anni! È un’imposta del fascismo. (Rumori al centro). La legge del 1922 non faceva pagare questa imposta! (Interruzione del deputato Scoca).

BERTONE. È un’imposta che da otto anni viene iscritta a ruolo, contro la quale i contribuenti che si ritengono ingiustamente tassati hanno ricorso, possono ricorrere, che comunque è sempre stata pagata regolarmente, Ora, con l’istituzione dell’imposta straordinaria proporzionale, lo Stato ha già concesso un grandissimo benefìcio a tutti i debitori di imposta, perché questa imposta, che era illimitata nel tempo, viene limitata a 10 anni. Questo è un vantaggio, evidentemente, di cui usufruiscono indistintamente tutti i contribuenti.

Io sto pensando se sia stato un bene abolire l’imposta ordinaria sul patrimonio e se non sarebbe stato forse più opportuno mantenerla tale e quale, accordando a tutti i contribuenti la facoltà del riscatto.

L’imposta è iscritta oggi in bilancio, e, notate bene onorevoli colleghi, per l’esercizio 1947 per 9 miliardi, che saranno incassati; con la revisione degli imponibili, che è in corso, andremmo, probabilmente, ai 13-14-15 miliardi.

Rateando l’imposta nei 5 anni per una gran parte dei contribuenti, noi verremo ad incassare una cifra che non sarà molto superiore a quella che viene pagata normalmente.

Per questo dico: accordiamo la rateazione. Io non ho nessuna difficoltà di aderire a che le opere pie, gli enti comunali di assistenza, gli enti morali, possano continuare a pagare l’imposta nella medesima cifra e nel medesimo modo con cui hanno pagato fino a ieri; cioè che sia accordata la rateazione di dieci anni.

Se il Ministro e la Commissione delle finanze credono di accedere a questa idea che si accosta all’emendamento proposto dall’onorevole Vigorelli e dall’onorevole Basile, io credo si faccia opera buona, ma per il resto chiedo all’Assemblea che voglia tener presente la necessità in cui ci troviamo non soltanto di pensare agli interessi dei contribuenti, ma anche di pensare alla costituzione del bilancio. Perciò, ripeto, dichiaro di votare contro all’esenzione, mentre sono favorevole alla maggiore rateazione possibile per gli enti morali, le opere pie e gli enti di assistenza.

PRESIDENTE. Passiamo alle votazioni. Pongo in votazione l’emendamento Basile.

(Non è approvato).

Pongo in votazione l’emendamento Vigorelli.

(Non è approvato).

Presentazione di disegni di legge.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Ministro degli affari esteri per la presentazione di alcuni disegni di legge. Ne ha facoltà.

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Ho l’onore di presentare all’Assemblea i seguenti disegni di legge:

Esecuzione degli Atti internazionali adottati a Montreal dalla Conferenza internazionale del lavoro nel corso della sua XXIX sessione, il 9 ottobre 1946.

Approvazione degli Accordi di carattere economico conclusi in Roma, fra l’Italia e la Francia, il 22 dicembre 1946.

Approvazione degli Accordi finanziari conclusi a Roma, a mezzo scambi di Note, tra il Governo italiano ed il Governo del Regno Unito, il 7 aprile 1947.

Approvazione degli Accordi stipulati in Roma, fra l’Italia e la Cecoslovacchia, il 10 febbraio 1947, in materia di emigrazione.

Approvazione dell’Accordo fra l’Italia e l’Argentina in materia di emigrazione concluso a Roma il 21 febbraio 1947.

PRESIDENTE. Do atto al Ministro degli affari esteri della presentazione di questi disegni di legge. Saranno trasmessi alla Commissione competente.

Sospendo la seduta per dar modo ai presentatori degli ordini del giorno di trovare un accordo con il Governo e la Commissione.

(La seduta, sospesa alle 11.35, è ripresa alle 12.50).

Si riprende la discussione del disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947 n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Nella riunione tenuta con i presentatori degli ordini del giorno si è cercato un denominatore comune tra i desideri dei diversi proponenti e le necessità dell’Amministrazione.

L’esame è stato portato su due settori: il settore degli istituti e degli enti di beneficenza ed assimilati, ed il settore dei piccoli contribuenti privati.

Si è arrivati ad una conclusione, per quanto riguarda il primo settore; per il secondo avremmo avuto bisogno di qualche minuto di più.

Per il primo, presento alla Presidenza l’emendamento che è stato concordato e che il Governo fa proprio.

Esso suona così: «Per le opere pie, per gli istituti e gli enti di beneficenza od aventi semplici fini assistenziali, legalmente costituiti e riconosciuti, per gli istituti di istruzione, per i corpi scientifici, per le accademie e le società storiche, letterarie e scientifiche aventi scopi esclusivamente culturali, per gli enti il cui fine è equiparato – a norma dell’articolo 29, lettera h) del Concordato – ai fini di beneficenza e di istruzione, l’imposta è riscossa entro l’aprile 1952».

Quindi è una rateazione quinquennale.

PRESIDENTE. Per il resto?

PELLA, Ministro delle finanze. Per il resto, l’invito a riprendere i lavori ci ha sorpresi quando stavamo definendo il limite di patrimonio per i contribuenti privati, a favore dei quali accordare una determinata rateazione.

È naturale che il Governo, attorno a questo limite, sia molto più resistente di quello che potrebbero desiderare i presentatori degli emendamenti, ed è per questa ragione che la discussione si è protratta a lungo.

Credo che, in un’altra mezz’ora, certamente una intesa si raggiungerebbe; ma, stante l’ora tarda, penso che convenga rinviare alla ripresa dei lavori, alle ore 17, la comunicazione dell’accordo, che certamente si raggiungerà anche per questo secondo settore.

PRESIDENTE. Credo che anche l’Assemblea sia dello stesso parere del Ministro.

Rinvio pertanto la seduta alle ore 17.

La seduta termina alle 13.

POMERIDIANA DI MARTEDÌ 22 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CXCVI.

SEDUTA POMERIDIANA DI MARTEDÌ 22 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

Presidente

La Malfa, Relatore

Perlingieri

Pella, Ministro delle finanze

Clerici

Mastino Pietro

Bertone

Tozzi Condivi

Fabbri

Dugoni

Rescigno

Pesenti

Bosco Lucarelli

Scoccimarro

Rubilli

Mazzei

Micheli

Castelli Edgardo

Bubbio

Vigorelli

Mannironi

Cappi

Scoca

Piccioni

Bonomi Paolo

Lussu

De Vita

Schiratti

Basile

Veroni

Votazione segreta:

Presidente

Risultato della votazione segreta:

Presidente

Interrogazioni e interpellanze con richiesta d’urgenza:

Presidente

Cappa, Ministro della marina mercantile

Cingolani, Ministro della difesa

Pella, Ministro delle finanze

Gonella, Ministro della pubblica istruzione

Petrilli, Sottosegretario di Stato per il tesoro

Sui lavori dell’Assemblea:

Foa

Gonella, Ministro della pubblica istruzione

Lozza

Lussu

Gronchi

Codignola

Pella, Ministro delle finanze

Presidente

La Malfa

Sansone

Dugoni

Interrogazioni e interpellanza (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 17.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Seguito della discussione del disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio.

Onorevoli colleghi, prima di cominciare il nostro odierno lavoro, è necessario che io richiami la loro attenzione sul grave lavoro che ci attende. È probabile che l’Assemblea debba essere occupata lungamente per la discussione sul Trattato di pace, e d’altra parte è necessario che la legge che stiamo esaminando sia portata a termine entro la corrente settimana.

Occorre perciò disciplinare le nostre discussioni, imponendo al loro sviluppo quei limiti che sono necessari per giungere a conclusioni utili, senza sconfinamenti.

Riprendiamo l’esame degli articoli.

Come l’Assemblea ricorda, nell’ultima seduta la Commissione si era riservata di presentare un nuovo testo dell’articolo 66 e pertanto era stata deliberata la sospensiva.

Il primitivo testo della Commissione era così formulato:

«Il contribuente che, alla data del 28 marzo 1947, non abbia ripristinato i cespiti danneggiati per eventi bellici e nei cui confronti venga accertato un importo di danaro, depositi e titoli al portatore per un valore superiore a quello risultante dalle quote previste all’articolo 25, ove provveda al ripristino nel termine di un anno dalla pubblicazione del presente decreto, potrà ottenere che dall’imponibile sia detratta la spesa occorsa per il ripristino stesso, nel limite dell’eccedenza del valore definitivamente accertato per danaro, depositi e titoli al portatore indicati nella dichiarazione, rispetto a quello risultante dalle quote sopra richiamate».

Onorevole Relatore, il nuovo testo è pronto?

LA MALFA, Relatore. È pronto. Vi sono però, all’articolo 66, due emendamenti non ancora illustrati. Desidererei prima che i presentatori di questi emendamenti li svolgessero.

PRESIDENTE. Sta bene. Vi è innanzi tutto un emendamento dell’onorevole Cavallari, così concepito:

«Sostituire l’articolo 66 col seguente:

«Il contribuente che, alla data del 28 marzo 1947, non abbia ripristinato j cespiti danneggiati per eventi bellici, ove provveda al ripristino nel termine di un anno dalla pubblicazione del presente decreto, potrà ottenere che dall’imponibile sia detratta la spesa occorsa per il ripristino stesso».

L’onorevole Cavallari non è presente, si intende quindi che abbia rinunciato a svolgerlo.

L’onorevole Perlingieri ha presentato la seguente proposta di articolo 66-bis, che può considerarsi emendamento all’articolo 66:

«Il contribuente che, alla data del 28 marzo 1947, non abbia ripristinato i cespiti danneggiati per eventi bellici e nei cui confronti non venga accertato un importo di danaro, depositi e titoli al portatore, oltre le quote presuntive previste dall’articolo 25, potrà ottenere che dall’imponibile sia detratta la spesa che occorre per il ripristino stesso.

«Se respinto, aggiungere al testo soprariprodotto le parole seguenti: non oltre l’ammontare delle dette quote presuntive».

L’onorevole Perlingieri ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

PERLINGIERI. Se conoscessi il nuovo testo della Commissione potrei regolarmi in conseguenza e forse anche ritirare il mio emendamento. Comunque do brevemente ragione di esso.

La mia proposta muove dalla preoccupazione di una sperequazione fra i contribuenti di una medesima categoria, in ispecie quella dei proprietari di cespiti danneggiati dalla guerra. La legge fa due ipotesi: quella dell’articolo 65, la quale contempla il caso dei proprietari di cespiti danneggiati dalla guerra che abbiano ricostruito i propri immobili alla data del 28 marzo (e per costoro la legge concede la detrazione della somma spesa per la ricostruzione); la seconda ipotesi, quella dell’articolo 66, contempla il caso dei proprietari di cespiti danneggiati dalla guerra che, entro un anno di tempo, effettueranno la ricostruzione dei cespiti danneggiati. Ora a me pare che in questa maniera si concedano agevolazioni proprio ai contribuenti che hanno maggiori possibilità e si escludono i contribuenti che non hanno la possibilità economica di ricostruire. Non comprendo veramente la detrazione concessa con l’articolo 65 a favore dei proprietari di cespiti danneggiati i quali abbiano già ricostruito alla data del 28 marzo. Questa agevolazione rappresenta una perdita secca per l’Amministrazione senza contropartita, non potendosi addurre in corrispettivo l’interesse dello Stato di promuovere ed incoraggiare la ricostruzione, in quanto si tratta di ricostruzioni già ultimate alla data del 28 marzo, che non hanno bisogno di ulteriori incoraggiamenti.

Comunque, se si concede una agevolazione a questi contribuenti e a coloro che provvederanno a ricostruire entro l’anno, a me pare che non si possa non tener presente anche il caso di coloro che hanno avuto danni dalla guerra e non hanno la possibilità di ricostruire. Una considerazione si dovrebbe avere anche per costoro ed è per questo che io avevo proposto un articolo di questo tenore:

«Il contribuente che, alla data del 28 marzo 1947, non abbia ripristinato i cespiti danneggiati per eventi bellici e nei cui confronti non venga accertato un importo di danaro, depositi e titoli al portatore, oltre le quote presuntive previste dall’articolo 25, potrà ottenere che dall’imponibile sia detratta la spesa che occorre per il ripristino stesso».

Se respinto tale articolo, avevo proposto di aggiungere al testo sopra riprodotto le parole seguenti: «non oltre l’ammontare delle dette quote presuntive».

Si dice che in questa maniera noi verremmo a svuotare la portata dell’imposta. Io posso anche rimanere perplesso di fronte a questa osservazione, ma, d’altra parte, non posso che raccomandare al Presidente della Commissione di considerare con maggior scrupolo le condizioni di coloro che hanno avuto il patrimonio falcidiato dalla guerra e non hanno la possibilità di ricostruirlo.

Vi faccio un esempio: prendo tre proprietari di un patrimonio di dieci milioni ciascuno quali hanno avuto questo patrimonio, in seguito alla guerra, ridotto a cinque milioni. Colui che aveva liquido, e lo ha ricostruito portandolo nuovamente a dieci milioni, viene tassato per metà, ossia per cinque; colui che, avendo liquido, effettua la ricostruzione entro l’anno viene tassato anch’egli per metà, ossia per cinque milioni; nel mentre colui che non ha liquido, rimane con il suo patrimonio residuale di cinque milioni e deve pagare integralmente su cinque milioni, di fronte agli altri che avendo dieci, pagano, come lui, su cinque.

Quindi io prego vivamente il Presidente della Commissione di voler tener presente questo caso nella sua nuova formulazione dell’articolo 66, eliminando una patente sperequazione a danno dei meno abbienti e a favore dei più dotati.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole La Malfa.

LA MALFA, Relatore. La Commissione non era favorevole al mantenimento dell’articolo 66 e dava ragione alle obiezioni del collega che mi ha preceduto, nel senso che l’articolo 66, come era redatto, costituiva una situazione di privilegio per coloro che avrebbero investito capitali nella ricostruzione dopo l’applicazione della imposta patrimoniale; mentre mette colui che abbia ricostruito prima della data del 28 marzo 1947, nella stessa condizione di colui che non ha ricostruito, ai fini dell’accertamento dell’imponibile. Nell’articolo 66 si dava infatti una sanatoria per coloro che, avendo quote di danaro, di depositi e di titoli al portatore superiori alla quota presuntiva, investano in questa maggior liquido dopo il 28 marzo in opere di ricostruzione.

Si sono presentate due strade alla Commissione: o allargare la portata dell’articolo 66 ed estenderla al di là della quota presuntiva, consentendo la detrazione dall’imponibile a coloro che compissero opere di ricostruzione entro l’anno, o restringerne la portata ulteriormente.

La Commissione ha preferito questa seconda strada ed ha ristretto l’articolo 66 in questo senso; perché abbia luogo la detrazione, di cui all’articolo 66, si deve trattare non della quota presuntiva accertata, ma di quella dichiarata dal contribuente all’atto della dichiarazione al 28 marzo.

In che consiste la differenza?

Sappiamo che questa quota di liquido al di là della quota presuntiva è di difficile accertamento da parte degli uffici finanziari. Ed allora, siccome ai fini fiscali questa quota non potrebbe essere colpita, noi invitiamo il contribuente a dichiarare quello che ha di liquido al di là della quota presuntiva, e se egli investe questo liquido in opere di ricostruzione entro l’anno (abbiamo portato il termine a 18 mesi dal 28 marzo) questa quota non sarà considerata ai fini del calcolo dell’imponibile. La Finanza, con la restrizione proposta dalla Commissione, rinunzia ad un cespite, che non potrebbe accertare, ed invoglia il contribuente, che abbia liquidità, ad investirle in opere di ricostruzione, per evitare accertamenti susseguenti e quindi per evitare una imposizione ed un pagamento delle relative ammende.

Ma la Commissione ha ristretto questa stessa norma dichiarando in un secondo comma che la disposizione di cui all’articolo 66, non si applica al contribuente, il cui patrimonio imponibile superi 50 milioni di lire. Cioè: la Commissione si è preoccupata che questa norma non servisse per i possessori di forti patrimoni, per evadere in certo senso l’imposta, impiegando una somma di liquido eccessiva in loro possesso, e l’ha limitata ai possessori di patrimoni inferiori ai 50 milioni.

PRESIDENTE. Do lettura del testo proposto dalla Commissione, ora pervenutomi:

«Il contribuente che, alla data del 28 marzo 1947, non abbia ripristinato i cespiti danneggiati per eventi bellici e abbia dichiarato un importo di danaro, depositi e titoli al portatore per un valore superiore a quello risultante dalle quote previste dall’articolo 25, ove provveda al ripristino nel termine di 18 mesi dal 28 marzo 1947, potrà ottenere che dall’imponibile sia detratta la spesa occorsa per il ripristino stesso, nel limite dell’eccedenza del valore dichiarato per danaro, depositi e titoli al portatore, rispetto a quello risultante dalle quote sopra richiamate.

«La disposizione del comma precedente non si applica al contribuente il cui patrimonio imponibile superi i 50 milioni di lire».

Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. Il Governo non ha difficoltà ad associarsi alle considerazioni dell’onorevole Relatore e ad accettare l’emendamento proposto dalla Commissione.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Dichiaro di non accettare l’articolo proposto come non avrei accettato la precedente formulazione; e questo non per ragioni di politica finanziaria, quanto per ragioni di politica economica. Rispetto all’articolo 65 noi ci troviamo di fronte ai casi in cui l’utilità della ricostruzione era evidentissima, tanto vero che, prescindendo dall’eventualità di avere o no degli indennizzi, il danneggiato ci ha pensato per conto proprio. Ammettendo la facoltà di investire in ricostruzioni una parte del patrimonio, sottraendolo dalla cifra dell’imponibile per l’imposta sul patrimonio, noi veniamo indirettamente ad incoraggiare delle ricostruzioni, che potrebbero non avere un valore economico corrispondente alla spesa effettiva. Io ritengo che il problema della ricostruzione debba essere affidato a coloro i quali hanno interesse a ricostruire e lo Stato non dovrebbe – a mio giudizio – intervenire continuamente, stimolando ricostruzioni che potrebbero non corrispondere al valore sostanziale dei beni ricostruiti. Voterò quindi contro l’emendamento.

PRESIDENTE. Pongo ai voti l’articolo 66 nel nuovo testo proposto dalla Commissione.

(Dopo prova e controprova è approvato).

Passiamo all’articolo 67. Se ne dia lettura nel testo della Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il contribuente che abbia subito danni per eventi bellici in misura tale da far ritenere eccessivamente gravoso il pagamento dell’imposta straordinaria accertata a suo carico, può chiedere che il pagamento stesso sia effettuato in termini più lunghi di quelli stabiliti al capo VIII del presente decreto, salva la corresponsione di un interesse del 2 per cento che aggiungerà all’annualità d’imposta per il periodo successivo alla scadenza dei termini stessi.

«La domanda è presentata dall’intendente di finanza della provincia nella cui circoscrizione trovasi il comune nel quale il pagamento deve essere effettuato, e contro la determinazione negativa dell’intendente è ammesso ricorso al Ministero delle finanze, che decide in via definitiva».

PRESIDENTE. Su questo articolo era stato proposto il seguente emendamento dall’onorevole Veroni:

«Alla settima linea sostituire alle parole: salva la corresponsione di un interesse del 2 per cento che aggiungerà all’annualità d’imposta per il periodo successivo alla scadenza dei termini stessi, le altre: senza corresponsione di interessi sulle somme pagate nel periodo successivo alla scadenza dei termini stessi».

L’onorevole Veroni ha dichiarato di ritirarlo.

Non essendovi altri emendamenti, l’articolo si intende approvato nel testo proposto dalla Commissione.

Vi è ora la proposta di due articoli aggiuntivi, 67-bis. Il primo, proposto dagli onorevoli Clerici, Balduzzi, Tozzi Condivi, Bosco Lucarelli, Nasi, Giordani, Quintieri Adolfo, Ambrosini, Cappi, Bellato e Coppi è del seguente tenore:

«Le somme dovute dallo Stato al contribuente per il risarcimento di danni di guerra accertati e liquidati si compensano con le somme dovute per l’imposta straordinaria sul patrimonio, e vanno computate in sede di riscatto della imposta stessa».

L’onorevole Clerici ha facoltà di svolgerlo.

CLERICI. L’articolo aggiuntivo da me proposto mi pare risponda da un lato ad una evidenza, il che fa sì che io possa risparmiare un lungo chiarimento, dall’altro a ragioni di legalità e di giustizia. Stabilisce cioè, una compensazione tra le somme che il contribuente deve allo Stato per la legge che stiamo discutendo e le somme liquide dallo Stato dovute al contribuente stesso per ragioni di danni di guerra da questo subiti.

Abbiamo dunque tutti gli estremi per una compensazione, a cui riferire liquidità da una parte e dall’altra. Ed il principio che si debbano compensare le somme che il contribuente deve per questa legge straordinaria, legge che deriva evidentemente da una situazione anormale, eccezionale, determinata dallo stato di guerra, dalle rovine della guerra; con le somme che lo Stato deve al cittadino innocente per i danni arrecatigli dalla guerra stessa, risponde a ragioni patenti di giustizia oltreché all’istituto millenario della compensazione. La legge ha insomma questo significato: di compensare lo squilibrio determinato dalla guerra in questo campo tra i fortunati e le vittime. Quindi il tenere conto dei sacrifici subiti durante la guerra da coloro che ebbero distrutta la loro proprietà è ragione di evidente giustizia. Infatti, costoro hanno già fatto in anticipo un sacrificio, e non è logico richiedere oggi ad essi un altro sacrificio, come si richiede invece a coloro ai quali la guerra non arrecò danni diretti e sensibili.

Non credo debbano derivarne notevoli diminuzioni delle entrate pubbliche; perché il mio emendamento si riferisce esclusivamente ai danni liquidati, i quali non possono riguardare solamente quella parte di contribuenti, che contribuiscono a questa imposta straordinaria e relativamente ad una parte soltanto degli immobili, i fabbricati, restando esclusa tutta la categoria dei terreni. Per queste ragioni di giustizia credo che nulla osti a che l’emendamento che io propongo venga accolto dall’Assemblea.

PRESIDENTE. L’onorevole La Malfa ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

LA MALFA, Relatore. Sono dolente di dire che la Commissione non può accettare l’emendamento Clerici, perché non può ammettere in linea generale il principio della compensazione tra una imposta dovuta ed i crediti verso lo Stato.

Siccome la liquidazione di questi danni di guerra è avvenuta in pochissimi casi, si stabilirebbe una differenza di trattamento per coloro che hanno potuto liquidare questi danni e gli altri. Prego perciò l’onorevole Clerici di non insistere sul suo emendamento.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. Desidero associarmi alla preghiera rivolta dall’onorevole relatore all’onorevole Clerici e agli altri firmatari dell’emendamento, perché lo ritirino.

Ha perfettamente ragione l’onorevole Relatore quando osserva che le eventuali liquidazioni, già effettuate nel passato, riguardano pochi casi che tuttavia potrebbero dar origine a una disparità di trattamento rispetto ai molti, moltissimi, che tale liquidazione non hanno potuto avere. E, per quanto riguarda il futuro – e dovrebbe essere per il futuro che l’emendamento potrebbe trovare una più larga applicazione – ha perfettamente ragione l’onorevole Clerici, quando dice che un credito accertato e liquidato dovrebbe trovare la sua realizzazione finale, magari attraverso una compensazione; ma penso che, nel futuro, i danni di guerra accertati e liquidati non siano destinati a restare nel campo della speranza e che alla liquidazione debba far seguito il pagamento. Allora, l’onorevole Clerici chiederebbe una compensazione tra l’eventuale negligenza nel pagare i danni di guerra da parte degli uffici competenti ed una tradizionale diligenza da parte degli esattori nel riscuotere l’imposta.

Ritengo che le preoccupazioni che sono alla base del ragionamento dell’onorevole Clerici non avranno ragion d’essere, e di fronte alla pericolosità di questo principio della compensazione – che non sappiamo dove ci potrebbe portare – mi associo all’onorevole Relatore nel non accogliere l’emendamento proposto.

PRESIDENTE. Onorevole Clerici, insiste nella sua proposta?

CLERICI. Insisto.

PRESIDENTE. Pongo ai voti l’articolo aggiuntivo 67-bis proposto dall’onorevole Clerici.

(Non è approvato).

Segue l’articolo aggiuntivo 67-bis proposto dagli onorevoli Mastino Pietro, Lussu, Corsi, Schiavetti, Mannironi, De Vita, Mastino Gesumino, Abozzi, Simonini, Bruni:

«Quando la consistenza del patrimonio, posseduto alla data del 28 marzo 1947 subisca, entro il termine fissato per il pagamento, una diminuzione, per perdita o distruzione, superiore al 50 per cento, l’imposta sarà ridotta in misura corrispondente. Tale riduzione sarà applicata anche nei confronti di chi abbia esercitato il diritto di riscatto».

L’onorevole Mastino Pietro ha facoltà di svolgere il suo emendamento aggiuntivo.

MASTINO PIETRO. L’articolo aggiuntivo che ho proposto riguarda il caso in cui taluno sia possessore di un dato patrimonio al 28 marzo 1947, data stabilita per la fissazione della consistenza patrimoniale, ai fini dell’imposta, e venga poi a perdere, per forza maggiore, il patrimonio stesso entro il termine stabilito per il pagamento.

Vi sono due principî in contrasto: da un lato vi è la situazione personale di quelli che, non avendo più patrimonio, dovrebbero, ciò nonostante, essere obbligati a pagare l’imposta; dall’altra vi è invece il principio per cui l’erario, creditore alla data del 28 marzo di tutta l’imposta, e che ha concesso l’agevolazione di un pagamento rateale, pretende l’intero pagamento. I due principî, come ho detto, sono in contrasto e a me parrebbe che l’Assemblea Costituente debba tener conto della difficoltà effettiva in cui il contribuente viene a trovarsi, difficoltà che, ove venisse risolta a suo danno, costituirebbe una palese ingiustizia.

Si può verificare questo, onorevoli colleghi: che taluno – ed è questo rilievo che ha suggerito la presentazione dell’articolo 67 aggiuntivo – proprietario di un dato numero di bestiame, d’improvviso ne sia stato privato o per epidemia, o – si è verificato anche questo – per danneggiamento ad opera di terzi o per furto; questo tale si vedrà ciò non di meno, invitato a pagare l’imposta, che si pretenderebbe applicare ad un patrimonio che non esiste più. Ciò potrebbe apparire giusto dal punto di vista della logica giuridica astratta, in virtù del principio del diritto romano per cui res perit domino; ma noi dobbiamo essenzialmente badare non a principî teorici ma, nel caso, al fatto che l’imposta graverebbe su un patrimonio non più esistente.

Ecco perché ho domandato che il contribuente, nel caso specifico, sia posto in condizione di dimostrare come egli sia rimasto, per forza maggiore, privo per lo meno del 50 per cento del patrimonio tassato e, in tal caso, ottenga di esser tenuto a corrispondere l’imposta solo relativamente alla parte del patrimonio che gli è rimasta. Non ho altro da aggiungere.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Relatore ad esprimere il parere della Commissione.

LA MALFA, Relatore. Vorrei pregare l’onorevole Mastino di rendersi conto delle conseguenze del principio affermato nel suo articolo aggiuntivo. Se noi dovessimo considerare le variazioni patrimoniali dopo la data del 28 marzo 1947, è evidente che dovremmo tener conto non solo delle perdite, ma anche degli incrementi patrimoniali. D’altra parte è da osservare che le ragioni di perdita patrimoniale sono infinite e ciò aprirebbe la via ad esenzioni fiscali per una varietà inesauribile di casi.

Non è quindi possibile che un’imposta sia condizionata ad una serie simile di eventi. Forse il caso prospettato dall’onorevole Mastino, caso che si esemplifica con l’assumere l’ipotesi di epidemie di invasioni di cavallette o di terremoti, è chiaro che non può configurarsi se non nel senso che è l’evento in sé a determinare un’agevolazione fiscale per l’intera zona che è stata colpita, il che del resto generalmente avviene con la concessione di rateazioni o anche di esenzioni, sempre che però si tratti di un evento di generale portata.

Ma è evidente che noi non passiamo introdurre una disposizione di carattere generale in questa legge, perché in tal modo finiremmo quasi con l’annullarla.

Prego pertanto l’onorevole Mastino di ritirare il suo emendamento.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. Il Governo si dichiara del parere dell’onorevole Relatore. Ho già avuto l’onore di manifestare all’onorevole Mastino il mio pensiero sull’impossibilità di accedere ad un ordine di idee del genere, in quanto è stato stabilito che la legge dovrà colpire i patrimoni nella loro consistenza alla data del 28 marzo 1947.

C’è già un esempio clamoroso sotto questo riguardo; ed è quello che si è verificato nei confronti dei creditori di quell’importante istituto di credito che andò in dissesto nel 1922. Anche allora venne sollevato il medesimo problema, ma anche allora si dovette arrivare alla conclusione che nulla era possibile fare in quanto l’evento era posteriore alla data presa a base per il rilievo delle consistenze patrimoniali.

Qualora, del resto, casi del genere dovessero verificarsi, certamente il Governo dell’epoca si farà promotore di quelle agevolazioni che si renderanno opportune. Noi non possiamo però impegnarci ora formalmente in questo senso. Mi associo pertanto alla preghiera dell’onorevole Relatore perché il presentatore voglia ritirare il suo emendamento.

PRESIDENTE. Onorevole Mastino, mantiene il suo emendamento?

MASTINO PIETRO. Sì.

PRESIDENTE. Pongo ai voti l’articolo aggiuntivo 67-bis proposto dall’onorevole Mastino Pietro.

(Non è approvato).

È così esaurito l’esame del Titolo I. Si dovrà passare ora al Titolo II, Capo XIII: Imposta straordinaria proporzionale sul patrimonio.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Vorrei far presente che vi è un articolo aggiuntivo da me proposto riguardante l’imposta straordinaria patrimoniale progressiva e che quindi dovrebbe essere discusso subito, prima di iniziare l’esame dell’imposta straordinaria proporzionale sul patrimonio.

PRESIDENTE. D’accordo. L’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Bertone è così formulato:

«Quando il nudo proprietario non sodisfi alla sua imposta, e non possegga altri cespiti su cui la finanza possa agire per la esazione della stessa, l’usufruttuario è tenuto a corrispondere alla finanza l’interesse del 5 per cento annuo sull’importo dell’imposta dovuta e non sodisfatta dal proprietario».

L’onorevole Bertone ha facoltà di svolgerlo.

BERTONE. Vorrei far presente al Ministro e alla Commissione un caso che si presenterà – credo – con molta frequenza. Vi sono state in questo periodo, da qualche anno in qua, molte liberalità, donazioni, trapassi di patrimoni fra congiunti, specialmente da padre a figlio, da zio a nipote, da marito a moglie e via dicendo, tutte liberalità e trapassi fatti con riserva integrale di usufrutto.

L’articolo 14 del disegno di legge stabilisce che l’imposta progressiva va calcolata separatamente per la nuda proprietà e per l’usufrutto, e l’articolo 48 stabilisce i termini in cui l’imposta deve essere o può essere esatta.

Ora, nei rapporti dell’usufruttuario, la Finanza non ha fastidi di sorta: se L’usufruttuario non paga, la Finanza si farà pagare con provvedimento di esecuzione sull’usufruttuario. Ma nei rapporti del nudo proprietario il quale non abbia nessun altro cespite, io mi domando come farà la Finanza ad essere sodisfatta del tributo che incombe al nudo proprietario, il quale, per parte sua, ha ragione di dire: io non pago perché non ho niente, io ho una proprietà che non ha nessun valore commerciale perché nessuno acquista una proprietà sottoposta a vincolo di usufrutto per una durata di chissà quanti anni.

E allora ci troviamo in questa condizione: di un proprietario gravato da un debito che non sa come sodisfare.

Ora, la regola generale del Codice civile, articolo 1009, è questa; che quando vi è questo debito il quale se fosse pagato verrebbe a gravare sull’usufrutto togliendo all’usufruttuario una parte della proprietà che egli ha in godimento, l’usufruttuario è tenuto a corrispondere a chi paga il debito l’interesse legale.

Io domando che questo sia applicato nei rapporti della Finanza, e cioè: se il nudo proprietario non possiede nessun altro cespite su cui la Finanza possa agire per farsi pagare e non potendo la Finanza agire sul proprietario contro l’usufruttuario, che non è tenuto a pagare il capitale dovuto dal nudo proprietario, credo si debba applicare la regola generale che riguarda tutti i debiti, tutti i carichi che fanno peso su una proprietà sottoposta ad usufrutto; e cioè, fino a che il debito d’imposta del nudo proprietario non venga pagato, l’usufruttuario sia tenuto a corrispondere alla Finanza il 5 per cento dell’imposta dovuta.

Se l’usufruttuario vorrà liberarsi dal pagamento di questo interesse, non avrà che da pagare l’imposta e rivalersi a sua volta sul nudo proprietario. Se non vorrà pagare l’imposta, pagherà questo interesse cha servirà da spinta, da incitamento a pagare l’imposta o a riscattare.

La domanda che faccio è conforme alla regola generale del diritto civile e mi pare non vi sia nessuna ragione per usare verso la Finanza un trattamento più duro e meno riguardoso di quello che si fa verso un creditore qualsiasi.

Penso pertanto che il mio emendamento possa essere accolto dal Governo e dalla Commissione.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il suo parere.

LA MALFA, Relatore. La proposta dell’onorevole Bertone risponde ai principî generali del Codice civile. La perplessità della Commissione sta nel fatto che la materia è stata un po’ superata nella discussione. Noi potremo esaminare ancora la questione più profondamente e proporre una soluzione, probabilmente, nel senso indicato dall’onorevole Bertone in sede di coordinamento, perché dovremo collocare questa disposizione al giusto posto. Se l’Assemblea è d’accordo, in sede di coordinamento faremo una proposta definitiva. Qui non sapremmo dove collocarla.

PRESIDENTE. Onorevole Ministro?

PELLA, Ministro delle finanze. Accetto l’emendamento dell’onorevole Bertone, salvo esaminare in sede di coordinamento il collocamento opportuno.

TOZZI CONDIVI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOZZI CONDIVI. Mi sembra che questo articolo aggiuntivo possa accogliersi, ma semplicemente come una facoltà da parte dell’erario in quanto, quando ci sia la possibilità, può essere fatta l’esecuzione anche sulla nuda proprietà.

PRESIDENTE. Bisognerà allora che ella presenti un emendamento in tal senso.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Desideravo far presente che ritengo sottinteso che la Finanza può sempre agire nei confronti del nudo proprietario. Il significato che do all’emendamento dell’onorevole Bertone è in questo senso: impregiudicati restando tutti i diritti di esecuzione nei confronti del nudo proprietario, fino a quando la Finanza non sia riuscita a coprirsi del suo credito, l’usufruttuario è obbligato a pagare l’interesse legale del cinque per cento sulla parte rimasta scoperta. Soltanto in questo spirito il Governo accetta l’emendamento dell’onorevole Bertone; non potrebbe accettarlo se indirettamente dovesse significare una menomazione o una limitazione dei diritti di esecuzione nei confronti del nudo proprietario. Prego pertanto l’onorevole Bertone di confermare che in questo senso è lo spirito del suo emendamento.

BERTONE. Il mio emendamento ha questo significato.

PELLA, Ministro delle finanze. Siccome non si parla, né nell’emendamento Bertone né in altri articoli della legge di menomare in qualsiasi modo il diritto di esecuzione spettante alla Finanza, mi pare che sia perfettamente inutile, anzi pericoloso, volersi interessare di questo punto. L’emendamento Bertone aggiunge soltanto un diritto suppletivo della Finanza a riscuotere un interesse, fermi restando tutti gli altri diritti che nessun emendamento può menomare.

PERLINGIERI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERLINGIERI. Desideravo conoscere se per questa imposta c’è l’obbligo del non riscosso da parte dell’esattore. In tal caso, quale interesse pretende la Finanza per il ritardo?

PELLA, Ministro delle finanze. Onorevole Perlingieri, l’obbligo dell’esattore di versare il carico di ruolo non rappresenta un obbligo che si esaurisca con il versamento; dopo, vi è tutta la pratica di recupero nei confronti delle quote eventualmente inesigibili; giustificata l’inesigibilità, l’esattore può essere rimborsato di quanto ha anticipato.

LA MALFA, Relatore. Insisto nel dichiarare che accettiamo il principio dell’onorevole Bertone, ma non nella dizione formulata.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Dichiaro che voterò contro, perché, francamente, non capisco su che cosa sia basato il principio per cui uno deve pagare gli interessi sul debito di un altro, cioè su un debito che in sostanza non lo riguarda in nessun modo, né diretto né indiretto.

Dice il collega Bertone che questa è l’applicazione di un principio generale. Io non ho fra le mani il Codice civile…

LA MALFA, Relatore. Articolo 1009.

FABBRI. …ma temo che qui ci sia un grosso equivoco, cioè che il Codice contempli l’ipotesi di un debito che gravando un cespite e gravandolo nella sua totalità implicherebbe la conseguenza che una volta che avvenga una esazione in detrazione di quel cespite, l’esazione si ripercuoterebbe tanto sui beni del nudo proprietario, quanto sui beni dell’usufruttuario e allora la legge come principio generale, per quanto io ricordi vagamente a memoria, mette in gioco la possibilità di una anticipazione da parte dell’uno o dell’altro degli interessati per mantenere la integrità del cespite. Nel caso nostro, invece, abbiamo l’ipotesi di un debito che grava distintamente sulla nuda proprietà ed un debito che grava distintamente sull’usufrutto.

Quale ragione c’è mai per cui l’usufruttuario che deve la propria imposta, si debba andare ad ingerire degli interessi del debito fermo, in ipotesi il non pagamento del debito da parte del nudo proprietario? Se il nudo proprietario non paga, sarà espropriato e l’usufruttuario avrà un nudo proprietario diverso. Ma avere un nudo proprietario diverso, non altera nemmeno di una lira e nemmeno di un centesimo di lira la sua posizione giuridica di proprietario di usufrutto e di debitore dell’imposta sull’usufrutto.

Sarebbe come dire che quando un inquilino di una casa non paga la sua imposta, il proprietario della casa paghi il 5 per cento per interessi sul debito dell’inquilino.

Posta e tenuta ferma la distinzione fra il carico tributario del nudo proprietario ed il carico tributario dell’usufruttuario, non c’è nessun rapporto di cointeressenza tra i due debitori e quindi temo che ci sia un errore nella invocazione del preteso principio generale contenuto nel Codice civile.

DUGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Una parte delle argomentazioni che io intendevo svolgere sono state perfettamente svolte dall’onorevole Fabbri.

Volevo solo aggiungere che qui siamo in presenza di un’imposta personale accompagnata da una garanzia reale, quindi noi non possiamo fare nessuna eccezione per un debitore che sia insolvente, perché la garanzia reale deve giocare proprio per tutti i debitori di questa imposta. Concepire quindi un nudo proprietario che sia insolvente rispetto alla imposta, sarebbe come dire che qualcuno che è perfettamente solvibile non paghi. Questa è una cosa che non ha nessun significato.

D’altra parte c’è un argomento pratico: cioè che di fronte alla possibilità che ci sia la concessione del pagamento dell’interesse non ci sia più nessuno che paghi l’imposta, perché tutti si limiteranno a pagare il semplice interesse. Quindi, in queste circostanze, io credo che si debba respingere l’articolo, prima, per le ragioni dette dall’onorevole Fabbri e poi per quelle che ho detto io, tenendo conto del carattere placido, che cioè questo sarebbe un invito a non pagare l’imposta perché tutti preferiranno pagare un piccolo interesse piuttosto che una grossa imposta.

PRESIDENTE. Ha chiesto di aggiungere un chiarimento l’onorevole Bertone. Ne ha facoltà.

BERTONE. Dichiaro di accettare il principio del Ministro. Invece di dire che l’usufruttuario è tenuto a rispondere, direi che «quando il nudo proprietario non sodisfi alla sua imposta e non possegga altri cespiti su cui la Finanza possa agire per la esazione della stessa, la finanza può richiedere all’usufruttuario l’interesse del 5 per cento».

PELLA, Ministro delle finanze. Per lealtà, devo dichiarare che il Governo si è dato carico, appena letto l’emendamento dell’onorevole Bertone, delle considerazioni che sono state chiaramente espresse dall’onorevole Fabbri e dall’onorevole Dugoni. Però il Governo ha dato parere favorevole in base ad argomentazioni di ordine empirico, se si vuole, ma che hanno un notevole peso, che l’onorevole Bertone ha posto alla base della sua proposta, e cioè quello di staccare il diritto di usufrutto dalla nuda proprietà per ottenere determinati risultati di ordine fiscale. Capisco perfettamente che vi è tutta un’altra zona in cui questo presupposto non si verifica, ma io penso che la sanzione proposta dall’onorevole Bertone all’atto pratico si rivelerà senza conseguenze gravi per quell’altra zona per la quale non sarebbero valide le di lui argomentazioni. Ed è in questo senso, allo scopo di far acquisire alla Finanza una determinata garanzia, che il Governo ha dato parere favorevole per l’accettazione dell’emendamento.

DUGONI. Questo emendamento non ha senso.

PRESIDENTE. Pongo ai voti l’emendamento Bertone.

(Non è approvato).

Passiamo al Titolo II, Capo XIII (Imposta straordinaria proporzionale sul patrimonio).

Si dia lettura dell’articolo 68, nel testo ministeriale accettato dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«I contribuenti tenuti per l’anno 1947 al pagamento dell’imposta ordinaria sul patrimonio sono assoggettati, per l’anno stesso, ad una imposta straordinaria proporzionale in misura del 4 per cento sui valori definitivamente accertati ai fini dell’imposta ordinaria per l’anno 1947.

«I contribuenti che, prima dell’entrata in vigore del presente decreto, abbiano alienato uno o più dei cespiti sui quali è stata applicata l’imposta del 4 per cento, hanno il diritto di rivalersi verso l’avente causa dell’imposta stessa afferente i cespiti alienati».

PRESIDENTE. Sono stati presentati su questo articolo numerosi emendamenti.

L’onorevole Rescigno propone di sostituire, al primo e al secondo comma, alle parole «4 per cento» le parole «3 per cento».

L’onorevole Rescigno ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

RESCIGNO. Osservo che l’aliquota del 4 per cento mi sembra eccessivamente gravosa per i piccoli e medi patrimoni. Propongo perciò la riduzione al 3 per cento. Del resto era così previsto anche nel progetto dell’onorevole Scoccimarro.

PRESIDENTE. L’onorevole Pesenti, insieme con gli onorevole Scoccimarro, Lombardi Riccardo, Foa, Valiani e Piemonte, ha presentato i seguenti emendamenti:

«Al primo comma, sopprimere le parole: sui valori definitivamente accertati ai fini dell’imposta ordinaria per l’anno 1947».

«Aggiungere un secondo comma così formulato:

«L’imposta è dovuta sui valori definitivamente accertati ai fini dell’imposta ordinaria sul patrimonio per l’anno 1947. Per le società per azioni e in accomandita per azioni l’imposta è dovuta sui valori che saranno definitivamente accertati ai fini dell’imposta di negoziazione per l’anno 1947».

L’onorevole Pesenti ha facoltà di svolgerlo.

PESENTI. Lo scopo dell’emendamento è di porre le società sullo stesso piano dei contribuenti privati. L’articolo 68 dice:

«I contribuenti tenuti per l’anno 1947 al pagamento dell’imposta ordinaria sul patrimonio, sono assoggettati, per l’anno stesso, ad una imposta straordinaria proporzionale in misura del 4 per cento sui valori definitivamente accertati ai fini dell’imposta ordinaria per l’anno 1947».

Noi facciamo una condizione diversa ai contribuenti privati ed alle società, perché le società sono iscritte al ruolo per l’anno 1947 in base ad una valutazione fatta ai fini dell’imposta di negoziazione per il 1946, valutazione che si riferisce al 1943 o, al massimo, al 1945.

Perciò, con la dizione proposta: «L’imposta è dovuta sul valore definitivamente accertato, ai fini dell’imposta ordinaria sul patrimonio per l’anno 1947. Per le società per azioni e in accomandita per azioni l’imposta è dovuta sui valori che saranno definitivamente accertati ai fini dell’imposta di negoziazione per l’anno 1947», le società vengono a trovarsi sullo stesso piano dei contribuenti privati, pagano sul patrimonio quale era nel 1946.

Quindi, questo emendamento risponde ad una esigenza di giustizia e ritengo sia stato già accettato dalla Commissione.

PRESIDENTE. L’onorevole Bosco Lucarelli ha presentato il seguente emendamento.

«Aggiungere al primo comma le parole: sulla base dell’imponibile al 1° gennaio 1940, moltiplicato per dieci per i terreni e per cinque per i fabbricati».

Ha facoltà di svolgerlo.

BOSCO LUCARELLI. Un emendamento simile io proposi all’articolo 34, circa la denunzia per l’imposta progressiva; in quella sede la Commissione e il Ministro dissero che l’emendamento andava riportato in questo articolo; quindi non ripeterò quello che dissi allora.

Ma dalla risposta del Ministro ho l’impressione che fra quello che dicevo io e quello che diceva il Ministro c’è qualche differenza, che, per dovere di lealtà, in materia tributaria, è necessario chiarire.

L’imposta ordinaria sul patrimonio fu dettata con decorrenza dal 1° luglio 1940, basandosi sul prestito immobiliare obbligatorio.

Dopo è subentrata una disposizione per cui i valori accertati per il triennio 1936-39 dovevano essere di base anche per il triennio 1943-1946. In questo periodo 1943-46 alcuni uffici distrettuali delle imposte hanno provveduto ad una revisione dei valori ed ho accennato come in alcuni uffici distrettuali delle imposte fosse stato moltiplicato per 4 e per 5 volte l’imponibile del triennio precedente.

Ed ora è stato moltiplicato per 10 non l’imponibile 1936-39, ma quello rivalutato nel 1944. Il Ministro ha osservato che se questa rivalutazione del 1944 era stata fatta in base ai valori del triennio 1936-39, la rivalutazione era legittima; per cui, io penso che il Ministro ritenga legittimo moltiplicare per 10 questo valore rivalutato e già moltiplicato per 4.

Quindi, di fatto, l’imponibile del 1936-39, agli effetti dell’imposta ordinaria patrimoniale per il 1947 è stato moltiplicato per 40. Ora, siccome questa rivalutazione dell’imponibile del 1936-39 non è avvenuta in tutti gli uffici distrettuali delle imposte, ritengo necessario portarsi ad una data fissa di imponibile, da moltiplicarsi per 10 o per 5, secondo che si tratta di terreni o di case, senza tener presenti le rivalutazioni avvenute dal 1944 in poi. Perciò io ritengo che vada chiarito che la moltiplicazione per 10 per i terreni e per 5 per i fabbricati si faccia sull’imponibile al 1° gennaio 1940; anzi, nell’altro emendamento io avevo messo al 1° luglio 1940, e mi sembra più esatta quest’ultima data, 1° luglio 1940, in quanto da tale data, la patrimoniale entrò in vigore. La Commissione pareva accedere all’idea di una data fissa, ma è necessario chiarire questo concetto, altrimenti noi potremmo avere una notevole differenza d’interpretazione per cui alcuni uffici distrettuali delle imposte ritengono avere ben fatto moltiplicando per 10 per i terreni e per 5 per i fabbricati gli imponibili del 1936-39 già rivalutati nel 1944.

Moltiplicare così per 40 per i terreni e per 20 per le case l’imponibile al 1° luglio 1940, mi sembra eccessivo.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Desidero fare un’osservazione sull’ordine della discussione. Mi pare che con le pochissime parole dette dall’onorevole Pesenti si sia sollevata una questione gravissima di duplicazione di imposta sia nel campo della patrimoniale progressiva che in quello della patrimoniale proporzionale, mentre viceversa l’accenno dell’onorevole Bosco Lucarelli si riferiva a questioni di data di accertamento del cespite. Non vedo un nesso tra le due questioni, ma mi pare che quella sollevata dall’onorevole Pesenti sia di un’imponenza tale da travolgere tutta l’economia della legge, e che quindi non possa essere trascurata come una cosa insignificante.

PRESIDENTE. Noi procediamo allo svolgimento degli emendamenti. Alla fine dello svolgimento ogni collega potrà prendere la parola per riferirsi ad uno o ad un altro degli emendamenti facendo le sue obiezioni.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Mi pare che dato il numero degli emendamenti presentati su questo articolo, e gli argomenti a cui si riferiscono, sia consigliabile raggrupparli, discuterli secondo le singole questioni e votare via via che si esaurisce ogni singolo problema.

PRESIDENTE. Possiamo farlo, ma lei ha visto che molti emendamenti si riferiscono a due, tre questioni fondamentali, quindi in fondo lo svolgimento di essi significa l’esame delle questioni fondamentali.

Non essendo presenti gli altri firmatari, l’onorevole Rubilli ha facoltà di svolgere il seguente emendamento che reca anche le firme degli onorevoli Crispo, Morelli Renato, Bozzi, Cifaldi, Perrone Capano:

«Aggiungere dopo il primo comma il seguente:

«Per i fabbricati soggetti a regime vincolistico l’aliquota è del 2 per cento sui valori definitivamente accertati ai fini dell’imposta ordinaria per l’anno 1947, prendendosi a base di quest’ultima i valori accertati per il prestito immobiliare 1936».

RUBILLI. Come uno dei firmatari dell’emendamento, io lo mantengo, e con poche parole dico essere di un’assoluta evidenza che dovrebbe essere accolto, perché nelle condizioni attuali, come ognuno sa, c’è una differenza enorme fra i proprietari di un fabbricato soggetto a regime vincolistico ed i proprietari di un fabbricato che invece è soggetto a regime libero. E assai rilevante infatti il divario tra quello che si può introitare da parte degli uni e da parte degli altri. Ora è chiaro che ragioni di equità e di giustizia impongono che sia fatto un trattamento diverso agli effetti della imposta, dato che le condizioni sono pur diverse, in un caso e nell’altro.

Quindi noi proponiamo con l’emendamento che, mentre per i fabbricati non soggetti a regime vincolistico si paghi il 4 per cento, per gli altri, i cui fabbricati sono soggetti a regime vincolistico, l’aliquota sia ridotta almeno della metà.

C’è fra i due proprietari una differenza che è certo molto maggiore del doppio, ma per lo meno si tengano presenti le singole condizioni alle quali occorre almeno approssimativamente adeguare e proporzionare l’imposta.

Spero che l’Assemblea vorrà accogliere l’emendamento.

PRESIDENTE. Il seguente emendamento, a firma dell’onorevole Bonomi Paolo, è già stato svolto:

«Dopo il primo comma, aggiungere il seguente:

«I contribuenti che non risulteranno assoggettabili all’imposta progressiva di cui all’articolo 1 avranno diritto allo sgravio del 50 per cento dell’imposta proporzionale gravante su cespiti immobiliari. Lo sgravio è accordato su domanda della parte».

Segue l’emendamento presentato dagli onorevoli Pesenti, Scoccimarro, Lombardi Riccardo, Foa, Valiani e Piemonte:

«Aggiungere dopo l’attuale primo comma il comma seguente:

«I contribuenti che non risultano assoggettabili all’imposta progressiva di cui all’articolo 1 hanno diritto allo sgravio del 75 per cento dell’imposta proporzionale gravante sui cespiti immobiliari.

«Il diritto allo sgravio è del 50 per cento per i contribuenti il cui patrimonio accertato in base agli articoli 29 e seguenti sia compreso tra i 3 ed i 5 milioni e del 25 per cento per i contribuenti il cui patrimonio sia compreso tra i 50 ed i 10 milioni di cui allo stesso articolo 29.

«Lo sgravio è concesso su domanda del contribuente».

L’onorevole Scoccimarro ha facoltà di svolgerlo.

SCOCCIMARRO. L’emendamento che noi abbiamo presentato sull’imposta straordinaria tocca il punto dolente di questa legge.

È noto che, non solo da parte di larghe zone dell’opinione pubblica, ma anche di diversi settori di questa Camera, si è sollevata l’obiezione che questo provvedimento finanziario grava eccessivamente sulla piccola proprietà.

Ora, l’osservazione è giustificata. Senonché, i diversi emendamenti che sono stati presentati per attenuare e correggere questo difetto della legge, pare a me che non risolvano il problema e non rispondano alle esigenze che l’articolo 68 pone, e sul quale l’Assemblea deve dare una risposta.

Si è voluto unificare in un unico provvedimento l’imposta straordinaria progressiva e l’imposta proporzionale che, in sostanza, è il riscatto dell’imposta.

Questa unificazione non è né razionale né politicamente opportuna. È perciò che, in sede di discussione generale, io avevo proposto di stralciare questa parte del provvedimento e di esaminarla a parte con altri criteri e su altre basi. Ma, poiché il Governo ha respinto questa proposta, noi dobbiamo accettare quella unificazione, come un dato di fatto per la discussione.

Gli emendamenti presentati su questo punto dall’onorevole Crispo ed altri non risolvono il problema di attenuare la pressione sulla piccola e piccolissima proprietà. Quando si propone di elevare da tre a cinque milioni la detrazione fissa, in realtà noi diamo l’esenzione ai patrimoni che vanno dai tre ai cinque milioni e delle agevolazioni a quelli che vanno dai cinque milioni in su, ma ci si dimentica che, in sede di proporzionale, si paga da 100.000 lire in su per i terreni e da 50.000 in su per i fabbricati, con una aliquota che è notevolmente superiore a quella che si paga per la progressiva.

Se poi si tiene presente che il valore fiscale non corrisponde al valore reale e che i valori fiscali scendono al 60-50 per cento dei valori reali – e qualche volta anche al disotto – allora quegli emendamenti acquistano questo significato: è una agevolazione concessa ai proprietari medi, mentre la vera piccola proprietà, quella piccola proprietà che è uno strumento di lavoro, rimane senza sollievo alcuno sotto i rigori della proporzionale.

E perciò che io ho pregato a suo tempo i colleghi di riesaminare il problema del minimo imponibile da questo punto di vista, ed è per la stessa ragione che oggi chiedo loro di ritirare gli emendamenti e di associarsi a quello da noi presentato, che risolve il problema da essi posto, risponde alle loro esigenze nei limiti del giusto, e risolve la questione in modo più razionale ed organico.

Ed ora, permettetemi di spiegare brevemente le ragioni di questa richiesta. Perché non si deve aumentare il minimo imponibile, né si deve aumentare la detrazione fissa? Perché, se noi consideriamo il minimo di 3 milioni e teniamo conto che con la detrazione fissa si paga su un milione, il 6 per cento della legge si riduce al 2 per cento e quel 2 per cento si riduce ancora quando passiamo dal valore fiscale al valore reale del patrimonio.

Vi do senz’altro i risultati di un breve calcolo, che del resto ognuno può fare da sé: per i patrimoni di 3 milioni l’aliquota effettiva che si viene a pagare sul valore reale va dall’l all’l,50 per cento; per i patrimoni di 4 milioni va dall’l,50 al 2 per cento; per i patrimoni fino ai 5 milioni va dal 2 al 2,50 per cento. Le aliquote sui valori fiscali sono rispettivamente del 2, 3, 3,50 per cento.

Ora, da questi dati voi vedete che nella imposta progressiva fino a 5 milioni non si raggiunge il 4 per cento, che facciamo invece pagare nella proporzionale anche a chi possiede un patrimonio di solo 50 mila lire in fabbricati e di 100 mila lire in terreni.

Ora, queste considerazioni dimostrano che il minimo imponibile dell’imposta progressiva non è eccessivo né gravoso, perché il 6 per cento scende di molto e per la detrazione fissa e per lo scarto che c’è fra il valore fiscale e il valore reale.

Ma adesso c’è il rovescio della medaglia. Noi colpiamo nell’imposta proporzionale con il 4 per cento tutti i patrimoni che superano le 50 mila lire per i fabbricati e le 100 mila lire per i terreni. E qui non v’è alcuna detrazione fissa. Ora, se si tiene presente chi può essere soggetto all’imposta progressiva e non alla proporzionale e viceversa, e che molta gente paga la proporzionale e non la progressiva, perché la loro consistenza patrimoniale è al disotto dei 3 milioni, le sperequazioni che ne derivano sono evidenti. Infatti, chi possiede case, terreni e beni comunque soggetti all’imposta ordinaria sul patrimonio fino a tre milioni è soggetto all’imposta del 4 per cento, mentre chi possiede lo stesso patrimonio però non soggetto all’imposta ordinaria non paga nulla. E evidente che si tratta di una sperequazione che bisogna eliminare.

Ma v’è di più. Chi sono oggi i proprietari che posseggono un patrimonio inferiore ai tre milioni e pagano il 4 per cento? Sono gli artigiani, i piccoli produttori, per i quali la proprietà costituisce un vero e proprio strumento di lavoro. Ora, questi pagano il 4 per cento, mentre chi possiede tre milioni di titoli azionari e perciò non è un lavoratore, è esente dall’imposta straordinaria.

E la sperequazione rimane anche al disopra dei tre milioni: infatti, chi paga in sede di proporzionale è colpito col 4 per cento, mentre chi paga in sede di progressiva è colpito solo col due per cento per i tre milioni, col 3 per cento per 4 milioni e col 3,50 per cento per 5 milioni. E qui si tratta di aliquote fiscali che sono superiori a quelle reali. Anche qui dunque si ha una sperequazione che bisogna eliminare.

Per di più, in sede di proporzionale, non c’è alcuna detrazione fissa, mentre questo beneficio esiste nell’imposta progressiva. Inoltre la proporzionale si paga subito, mentre la progressiva si inizia a pagare nel 1948. Infine nell’imposta progressiva c’è una possibilità di evasione per la ricchezza mobiliare che non esiste nella proporzionale che si riferisce essenzialmente ai beni immobiliari. Da questo raffronto fra i due sistemi seguiti per l’imposta proporzionale e quella progressiva, appaiono chiaramente le gravi sperequazioni che io ho posto in rilievo, sperequazioni a danno dei piccoli proprietari e produttori soggetti alla imposta proporzionale.

L’emendamento da noi proposto tende in sostanza ad eliminare tali sperequazioni.

Lo sgravio del 75 per cento per i patrimoni inferiori ai 3 milioni significa far pagare fino a quel limite 1’1 per cento, che è poi l’aliquota effettiva generale che si paga sui patrimoni sotto i 3 milioni nell’imposta progressiva; lo sgravio del 50 per cento per i patrimoni dai 3 ai 5 milioni significa far pagare il 2 per cento; lo sgravio del 25 per cento per i patrimoni da 5 ai 10 milioni significa far pagare il 3 per cento; dai 10 milioni in su si paga il 4 per cento: qui non v’è più ragione di riduzione. Per cui oggi noi chiederemmo a chi possiede meno di 3 milioni di pagarci due volte e mezzo quella che è l’imposta ordinaria che pagava finora; a chi possiede da 3 a 5 milioni, di pagarci cinque volte l’imposta ordinaria; e dai 5 ai 10 milioni, di pagarci sette volte e mezzo questa imposta.

Ora, se noi raffrontiamo fra loro i singoli emendamenti, che cosa troviamo?

Consideriamo l’emendamento più importante, quello dell’onorevole Crispo. Con questo emendamento, tutti i piccoli e piccolissimi proprietari, fino a 3 milioni, sono dimenticati, perché questi non rientrano nella progressiva ma solo nella proporzionale, e qui non c’è detrazione fissa né minimo imponibile. Quindi, con questo emendamento ai piccolissimi proprietari non si dà alcun aiuto. Viceversa, con lo stesso, si esentano i contribuenti dai 3 ai 5 milioni, mentre si attenua il gravame per coloro che possiedono da 5 milioni in su. Infatti, coll’emendamento Crispo, per i possessori di patrimoni di cinque milioni, si viene a ridurre l’aliquota dal 3,50 al 2,40 per cento.

Col nostro emendamento invece si viene veramente in aiuto alla piccolissima proprietà; un patrimonio di un milione, un milione e mezzo, due milioni, è appena una bottega da lavoro, un pezzettino di terra, o una di quelle casette che gli operai si costruiscono da soli quando hanno messo da parte qualche risparmio, o uno di quei piccoli alloggi che può avere un pensionato che è riuscito a mettere qualche cosa da parte per la vecchiaia. È a tutti costoro che noi portiamo un aiuto. A coloro che possiedono dai tre ai dieci milioni, noi portiamo un’attenuazione per quelli che pagano in sede di progressiva e in sede di proporzionale; lasciamo invece immutata la situazione per coloro che pagano solo in sede di progressiva, il che significa che possiedono solo beni mobiliari.

Il significato del nostro emendamento è questo: venire veramente in aiuto ai piccolissimi proprietari; attenuare il gravame per i piccoli proprietari che possiedono dai 3 ai 10 milioni; per coloro, però, che non pagano in sede di imposta proporzionale – il che vuol dire che non hanno case, terreni, ecc., ma possiedono ricchezze mobiliari, e per i quali è facile anche l’evasione – per questi pare a me che le aliquote della legge, così come sono, sono giuste, e non sono eccessive.

L’efficacia del nostro emendamento consiste nel fatto di venire incontro proprio alla difficile situazione che si è creata per molta gente. Io mi atterrò alla raccomandazione del Presidente e non vi darò lettura delle infinite lettere che mi sono arrivate con segnalazioni di casi diversi l’uno dall’altro, ma vi dirò che qui noi possiamo veramente portare un aiuto effettivo senza gran danno per la Finanza. C’è un limite al di là del quale ci si illude di riscuotere di più – e magari si riscuote di più in un primo momento – ma si arreca un danno che si ripercuote in seguito a danno delle finanze dello Stato.

Arrivato a questo punto, io credo che i colleghi presentatori di altri emendamenti dovrebbero riconoscere che la loro esigenza trova una soluzione più razionale in questo nostro emendamento e perciò io penso che essi potranno associarsi a noi per ottenere l’approvazione dell’Assemblea su questo punto.

Quali critiche si sono fatte a questo emendamento? Una delle critiche è stata questa: ma è proprio vero che questi piccoli proprietari non possono pagare? La realtà dimostra che si è già riscattato l’imposta per dieci miliardi, il che vuol dire che i mezzi per pagare l’imposta ci sono.

Questo ragionamento pecca di astrattismo: si crea un tipo di contribuente ed a quello si assimilano tutti gli altri contribuenti.

Ora i dieci miliardi di riscatto non sono gran cosa rispetto al gettito complessivo della proporzionale. D’altronde coloro che oggi riscattano possono essere benissimo i proprietari medi o grossi, i quali hanno un notevole beneficio con lo sconto che la legge concede. E il fatto che una parte dei contribuenti è in grado di riscattare non è una ragione per ammettere che tutti siano in grado di pagare l’imposta. Allo schematismo che pone tutti i contribuenti sul piano di coloro che hanno possibilità di riscatto, bisogna sostituire una valutazione socialmente ed economicamente differenziata dei contribuenti, per cui ci sono categorie e classi sociali che sono in condizioni di pagare l’imposta, ma vi sono altre che non sono in queste condizioni.

Per queste ragioni non mi convince l’argomento del riscatto. Io non sono sicuro che noi non faremo involontariamente del danno approvando la legge così com’è. Non bisogna mai dimenticare che nei problemi finanziari è essenziale il loro fondamento economico. La finanza è sempre subordinata all’economia e un risanamento finanziario non si ottiene senza il risanamento economico.

Quando si prendono provvedimenti finanziari che, come questo, arrivano ai margini della capacità contributiva, bisogna saper valutare bene e tener conto del limite di resistenza economica dei contribuenti, e quel limite marginale non deve essere superato perché, se si supera, noi distruggiamo una serie di piccole entità produttive che pure sono attività concrete nella vita economica del Paese.

Colpendo le piccolissime proprietà, che sono strumento e mezzo di lavoro, noi arrischiamo di mettere in dissesto una moltitudine di piccoli contribuenti; e così non solo rechiamo danno all’economia del Paese, ma indirettamente rechiamo un danno anche alle finanze dello Stato perché distruggiamo una attività creatrice di reddito che concorre al pagamento delle imposte ordinarie. In tal modo si costruisce sulle sabbie mobili e si preparano nuovi collassi finanziari.

È perciò che io raccomando al Ministro delle finanze di tener presente questo aspetto particolare della legge, e di ricordare che oggi vi sono in Italia milioni di piccoli artigiani, di piccolissimi proprietari che attendono con ansia l’esito del voto su questo emendamento, perché da esso dipende per molti la possibilità di lavorare e di vivere con una certa tranquillità oppure di vedersi spalancare dinanzi il baratro della miseria e della rovina.

Onorevole Ministro, accolga il nostro emendamento. Lei farà così opera politicamente saggia e moralmente giusta!

PRESIDENTE. L’onorevole Mazzei ha presentato un emendamento del seguente tenore:

«Dopo il primo comma aggiungere:

«Quando il minimo imponibile ai fini del pagamento dell’imposta ordinaria sia inferiore alle lire 200 mila, i contribuenti saranno esentati dal pagamento dell’imposta straordinaria proporzionale».

Da facoltà di svolgerlo.

MAZZEI. L’emendamento da me presentato è di per sé molto chiaro. Si tratta di elevare il minimo imponibile all’imposta proporzionale straordinaria da cento mila a duecento mila lire. Tutte le considerazioni che testé ha fatte l’onorevole Scoccimarro per patrimoni ben più alti, in difesa delle esigenze della piccola proprietà vanno ripetuti per dei patrimoni piccolissimi quali sono quelli fino alle lire duecentomila. Va osservato in particolare che i patrimoni fino a duecentomila lire sono, almeno di regola, patrimoni che non danno redditi liquidi: sono, di solito, la piccola casetta del contadino oppure il piccolo orto o il piccolo appezzamento che servono, l’una all’uso diretto di chi lo abita, l’altro a fornire prodotti alimentari al diretto consumo della famiglia di chi lo possiede. Quindi colpire con una imposta, che lo stesso onorevole La Malfa ha dichiarato senz’altro gravosa nella sua relazione, questi patrimoni, significa colpire la piccola proprietà in modo veramente eccessivo. E ciò non è ammissibile da un punto di vista sociale e di giustizia tributaria. Non vi è, d’altra parte, neppure probabilità alcuna che questi piccoli patrimoni diano, attraverso un pagamento immediato, attraverso il riscatto dell’imposta, un notevole contributo all’erario perché sono patrimoni che non danno di regola, redditi liquidi immediatamente disponibili. Né l’onere o, per lo meno, il danno che viene al fisco dalla limitazione del gettito dell’imposta è tale da poter escludere l’elevazione del minimo imponibile. Noi repubblicani, durante la discussione sulla patrimoniale, siamo partiti dal concetto di badare soprattutto alle esigenze del bilancio dello Stato; ci siamo, diremmo, messi piuttosto dal punto di vista del Ministro delle finanze che dal punto di vista dei contribuenti. Noi repubblicani abbiamo seguito rigorosamente questa linea, perché riteniamo che salvare la situazione dell’Erario, che è totalmente esausto, e salvare il bilancio, se ci si riesce, può essere di ben maggior vantaggio per i piccoli proprietari e per le classi medie, che oggi sono le più duramente colpite, di quanto non sia il beneficio immediato di un alleviamento tributario. Ma questo criterio nostro di badare all’esigenza generale di assicurare il massimo gettito dell’imposta per dare la massima prosperità all’Erario, trova qui una necessaria eccezione. Perché c’è un limite oltre il quale l’imposta diventa non più suscettibile di un pagamento normale e finirebbe per non potere essere pagata che facendosi ricorso alla vendita del cespite colpito, che nella specie è costituito dalla casetta di abitazione dell’artigiano e dal piccolo appezzamento di terra del coltivatore diretto e via dicendo. Quindi mi pare che la legittimazione, da un punto di vista sociale, della esenzione richiesta è indubbia. E se vi è una limitazione del gettito dell’imposta, come vi sarà, mi pare che essa debba essere sopportata dall’Erario perché, indubbiamente, il problema di un’imposta straordinaria è proprio quello di trovare il punto di giusto equilibrio fra le possibilità del contribuente e le esigenze dell’Erario, specie quando si tratta dei piccoli patrimoni che vanno particolarmente tutelati e protetti.

Non aggiungo perciò altro. Faccio presente che l’onorevole Dugoni, che ha presentato un emendamento analogo al mio, mi ha incaricato di dire che egli è disposto ad aderire al mio emendamento, nel caso io aggiungessi ad esso un capoverso per l’esenzione dei patrimoni delle pubbliche istituzioni di beneficenza e di assistenza.

Lo faccio senz’altro. Il mio emendamento, in definitiva, viene quindi così formulato:

«Quando il minimo imponibile ai fini della imposta straordinaria sia inferiore alle 200 mila lire, i contribuenti saranno esentati dal pagamento di un’imposta straordinaria proporzionale.

«Saranno esentati altresì i patrimoni delle pubbliche istituzioni di beneficenza e di assistenza».

PRESIDENTE. Onorevole Dugoni, aderisce all’emendamento dell’onorevole Mazzei con raggiunta del capoverso?

DUGONI. Mi riservo di esprimere la mia opinione quando svolgerò il mio emendamento.

MAZZEI. Avverto infine, che ho presentato un emendamento all’articolo 72 che è alternativo con questo. Se questo passasse, rinuncerei all’emendamento all’articolo 72.

PRESIDENTE. L’onorevole Micheli ha facoltà di svolgere il suo emendamento presentato insieme con i colleghi Valenti, Fantoni, Tessitori, Marconi, Pallastrelli, Canapa e così concepito:

«Aggiungere, in fine:

«Sono esenti dall’imposta straordinaria proporzionale i terreni esentati dall’imposta fondiaria a norma del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 7 gennaio 1947, n. 12».

MICHELI. Parlerò brevemente, per quanto l’argomento sia importante e grave, perché io ho già avuto l’onore di svolgerlo altre due volte in questa Assemblea: nell’occasione delle comunicazioni del Governo, quando ricordando come lo Stato nostro avendo creduto di dare questo premio a coloro i quali restavano nelle terre lontane per coltivarle e quasi custodirle non dirò contro al nemico, ma di fronte alle intemperie che apportavano ingenti danni, io sostenni che non si poteva attraverso i meandri della burocrazia e alla richiesta di singolari documenti come perizie e carte topografiche, diminuire quello che era il valore della concessione che il Governo aveva creduto di fare a questa brava gente meritevole di ogni più grande considerazione nostra, perché in altis habitat.

Lo dissi allora e l’ho ripetuto anche in questa stessa discussione, quando si è parlato nella prima parte dell’imposta progressiva. Allora il Ministro mi ha avvertito come in quella sede poteva essere meno opportuna la mia proposta e così insieme alle richieste di coloro i quali hanno accennato alla opportunità di particolari riguardi alla piccola proprietà nell’applicazione dell’imposta proporzionale, ho presentato ancora il mio emendamento in questa sede, giacché nelle terre a tale altitudine è quasi esclusivamente prevalente la piccola proprietà. Poco debbo aggiungere a quello che dissi allora, perché effettivamente la questione è molto semplice. Noi colpiamo coloro i quali pagano. Perché vogliamo cercare di colpire coloro i quali sono stati esentati dal pagare la imposta fondiaria colla legge che è indicata nel mio emendamento? Non capisco: o si è sbagliato allora o si sbaglia adesso. Ma io dico che non si sbagliò allora, con la concessione fatta a quella gente, che sta nelle più alte pendici del nostro Paese, lontana da ogni comodità, in luoghi impervi ed inospitali, per cercare di rendere feconde quelle zolle. Lo Stato, dal 1° gennaio 1947, ha concesso questo beneficio. Ora noi cerchiamo di toglierlo inviando una cartella, nella quale tutti questi tributi, che dal principio d’anno non sono stati pagati, sono concretati in un maggiore ed insostenibile gravame?

Ecco perché io ho voluto portare queste rivendicazioni, confortato da tanti colleghi, che allora hanno aderito al mio pensiero; perché effettivamente la questione dei 700 metri e dei suoi tributi si discute da anni nel libero Parlamento ed è stata accolta per la prima volta nella provincia di Aosta per la sua sovrimposta: simpatica affermazione di una provincia a bilancio modesto e limitato.

In seguito, anche lo Stato si è persuaso di questo ed ha concesso questo sgravio alla piccola proprietà montana. Con molto piacere ho visto che la piccola proprietà ha trovato in quest’Aula tanti sostenitori. Io che la sostengo in quest’Aula da 40 anni, vedo che la nostra coorte è aumentata e mi auguro che essa possa giungere finalmente alla vittoria. La piccola proprietà, se deve rimanere nella sua forza e rispondenza sociale, non deve essere soppressa o frantumata dagli aggravi fiscali, dai vecchi, che sembravano già troppo gravosi, a quelli che si vuole aggiungere e che porterebbero la piccola proprietà alla sua scomparsa.

Voglio sperare che i colleghi siano persuasi di questo e che essi mi seguiranno in questa via con il loro voto.

Il Ministro delle finanze, nel giorno in cui io levai la voce per chiedere questo beneficio, forse in un momento meno adatto, con quella grande cortesia che egli adopera nel rispondere, fece quasi comprendere che egli avrebbe aderito in questa sede. Ed io spero che egli vorrà venire incontro a quelle forti popolazioni, che abitano sull’alto Appennino e sulle Alpi quasi a custodia dei nostri confini, in zone scarsamente produttive. Abbiamo visto con grande piacere che anche gli antiregionalisti più accesi, di fronte alle Regioni di confine, hanno diminuito il loro calore ed hanno finito con l’accedere. Questi confini hanno sempre una grande importanza. Lo Stato, è vero, ha bisogno di aiuto. Ma che aiuto può dare questo popolo bisognoso che vive in luoghi di scarsa produttività lontani ed impervi? Esso ha bisogno del conforto dell’Assemblea, la quale dica loro: continuate a rimanere lassù, scolte vive di stirpe indefessa al suo lavoro, legata alla sua terra, e fecondate quelle zolle colla vostra diuturna fatica. L’Assemblea vi ha compreso e cercherà insieme col Governo della Repubblica di premiare la vostra fedele attività ed il vostro lavoro. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Dugoni ha presentato il seguente emendamento:

«Aggiungere, in fine:

«Sono esentati dall’imposta:

  1. a) i contribuenti il cui imponibile ai fini dell’imposta proporzionale non raggiunga le lire duecentomila;
  2. b) i patrimoni delle pubbliche istituzioni di beneficenza».

Ha facoltà di svolgerlo.

DUGONI. Io sono dell’opinione che i presentatori dei diversi emendamenti all’articolo 88 hanno un minimo comune denominatore, e che questo minimo comune denominatore può essere stabilito in una brevissima riunione dei presentatori di questi emendamenti, durante una sospensione dei lavori dell’Assemblea. Io chiederei, pertanto, una brevissima sospensione allo scopo di far riunire i presentatori di emendamenti, la rappresentanza della Commissione delle finanze e forse anche il Ministro, per concordare insieme una linea di condotta nei riguardi dell’articolo 68 e degli sgravi fiscali.

Mi riservo d’illustrare il mio emendamento, qualora la mia proposta non fosse accettata.

PRESIDENTE. Credo che i colleghi possano essere d’accordo sul principio espresso dall’onorevole Dugoni.

Procediamo comunque nello svolgimento dei restanti emendamenti. L’onorevole Castelli Edgardo, unitamente ai colleghi Perlingieri e Balduzzi, ha presentato un emendamento all’articolo 72, che potrebbe essere adattato anche alla norma dell’articolo 68; i presentatori dell’emendamento hanno infatti espresso il desiderio che l’emendamento sia spostato. Esso è del seguente tenore:

«Aggiungere, dopo il secondo comma:

«L’usufruttuario può rivalersi verso il proprietario della quota di imposta afferente al valore della nuda proprietà, fatte le valutazioni ai sensi dell’articolo 14».

CASTELLI EDGARDO. Onorevole Presidente, lasciamo a lei di decidere se si debba discutere in sede di articolo 68 od in sede all’articolo 72.

PRESIDENTE. Ritengo opportuno discuterlo quando tratteremo dell’articolo 72.

Gli onorevole Vigorelli, D’Aragona, Preti, Corsi e Tremelloni hanno presentato il seguente emendamento aggiuntivo che è stato già svolto:

«Sono esenti dall’imposta i patrimoni mobiliari e immobiliari delle Istituzioni pubbliche di assistenza, compresi gli Enti comunali di assistenza (e Opere pie dipendenti), che fruiscono di contributi permanenti dello Stato».

L’onorevole Basile ha presentato il seguente emendamento:

«Sono esenti dall’imposta i patrimoni mobiliari e immobiliari degli Ospedali, Opere pie e istituti pubblici di assistenza e beneficenza».

Non essendo presente, si intende che vi abbia rinunciato.

Vi è ora l’emendamento presentato dall’onorevole Bovetti:

«Aggiungere, in fine, il seguente comma:

«Sono esenti dall’imposta proporzionale le Istituzioni e gli Enti di beneficenza, assistenza e gli Enti locali».

«Oppure:

«Per gli enti e le istituzioni di beneficenza, assistenza e per gli enti locali è mantenuta la rateazione stabilita con la legge sulla imposta ordinaria sul patrimonio».

L’onorevole Bovetti non è presente.

BUBBIO. Faccio mio l’emendamento Bovetti, rinunziando a svolgerlo, dato che esso è di per sé chiarissimo.

PRESIDENTE. Ritengo che si possa fondere l’emendamento Bovetti con l’articolo aggiuntivo dell’onorevole Vigorelli. È d’accordo, onorevole Vigorelli?

VIGORELLI. Sono d’accordo.

PRESIDENTE. C’è, per ultimo, l’emendamento dell’onorevole Mannironi, che è del seguente tenore:

«Tra il primo ed il secondo comma inserire il seguente:

«Per la Sardegna, nella valutazione dei patrimoni da farsi a norma del decreto legislativo 31 ottobre 1946, n. 382, si adotterà il coefficiente di maggiorazione 6 per i terreni e 3 per i fabbricati».

L’onorevole Mannironi ha facoltà di svolgerlo.

MANNIRONI. Desidero brevemente illustrare il mio emendamento, perché ha bisogno di qualche chiarimento almeno per taluni colleghi.

Onorevoli colleghi, abbiate pazienza se vi parlerò di questioni, direi, regionali, che si riferiscono alla Sardegna.

Debbo fare questa premessa, perché mi rendo conto dello stato d’animo dei colleghi, che si sono sentiti ieri parlar troppo della Sardegna e potrebbero essere infastiditi dal fatto che se ne parli anche oggi.

La ragione per cui ho presentato questo emendamento all’articolo 68 è fondata su particolarissime condizioni economiche nelle quali la Sardegna è venuta a trovarsi immediatamente dopo la fine della guerra e negli anni successivi dal 1943 al 1945. È stata una condizione veramente particolare, nella quale non si sono venute a trovare altre Regioni della penisola. Subito dopo la guerra, la Sardegna rimase tagliata fuori dal resto della penisola e non ebbe la possibilità materiale di corrispondere con essa. Cera una difficoltà di natura bellica e post-bellica per cui le comunicazioni erano materialmente interrotte.

In questo primo momento, che durò circa un anno, avvenne che la Sardegna dovette provvedere autarchicamente a tutte le sue necessità ed avvenne anche che gli scambi tra l’Isola ed il Continente rimasero interrotti, per cui non solo non si facevano uscire dall’Isola i prodotti che l’Isola abitualmente esportava, ma nemmeno poterono affluire altri beni o capitali nell’Isola. L’ondata inflazionistica che si determinò nell’Italia meridionale in seguito all’invasione anglo-americana e quella che si determinò nell’Italia settentrionale per effetto della fabbricazione della carta moneta, da parte del governo nazi-fascista, non si estese alla Sardegna dove non vi fu alcun fenomeno inflazionistico perché mancò la possibilità di fare affluire i capitali nell’Isola stessa.

Non essendovi quindi stata una inflazione, avvenne che anche il regime dei prezzi rimase necessariamente contenuto.

Io potrei citarvi delle cifre per dimostrarvi come vi fosse una nettissima distinzione tra il costo dei prodotti in Sardegna e quelli della penisola durante lo stesso periodo. Cito il caso del prodotto più importante per noi: il formaggio. Quando costava nella penisola 600 lire, da noi costava appena 80 lire.

Seguì poi un altro momento altrettanto difficile, che portò una alterazione nelle leggi normali dell’economia.

La situazione si determinò soprattutto per effetto di una politica economica seguita dalle autorità isolane e dall’Alto Commissario, coadiuvati dalla Giunta regionale: siccome le autorità isolane si preoccupavano che un livellamento dei prezzi potesse determinarsi bruscamente e rapidamente, si preoccupavano di regolarli e mantenerli, soprattutto impedendo che i prodotti isolani (formaggio, ricotta, carne, ecc.) potessero uscire dall’Isola.

Si determinò una situazione che potrà sembrare assurda, ma che è una realtà di fatto e di cui oggi non si può non tenere conto. La situazione particolarissima è stata questa: che nello stesso territorio dello Stato, rispetto alla Sardegna, si determinava quasi una situazione come fra Stato e Stato. Erano impedite, come avviene in parte anche oggi, dall’Alto Commissariato della Sardegna le esportazioni: figuratevi che si chiamano «esportazioni» tutti quelli che sono movimenti di merci e di capitali tra l’Isola e la Penisola.

Ora, questa singolare situazione economica ha determinato una contrazione, una compressione, un contenimento dei prezzi, per disposizioni d’imperio, per cui ancora oggi se ne risentono le conseguenze.

Ad esempio, la Sardegna, che avrebbe potuto in questo ultimo periodo mandare nella penisola una notevole quantità di bestiame bovino, non lo può fare perché vi è ancora un divieto dell’Alto Commissario.

Ora, tutto questo ha fatto sì che la classe più importante dell’Isola, quella dei produttori agricoli (armentari e coltivatori) – che sono l’ossatura e la spina dorsale dell’economia isolana – non possono esitare i loro prodotti ai prezzi giusti della penisola e, perciò, sono messi nella condizione di non poter realizzare dei grossi capitali.

Quindi, in Sardegna non vi è stata l’inflazione, e per effetto della compressione dei prezzi dei prodotti, vi è stata necessariamente – per le leggi economiche che voi conoscete – una stasi, una riduzione dei valori dei beni capitali. Ora mi si è risposto ed obiettato che, quando noi oggi maggioriamo col coefficiente 10 i valori medi capitali che i beni avevano nel triennio 1937-1939, siamo sempre al di sotto della realtà, perché, si dice, se si dovesse tenere conto effettivamente del valore reale dei beni, quel coefficiente 10 dovrebbe essere portato a 20, e a 30, in taluni casi. Lo rilevava del resto anche l’onorevole Scoccimarro riferendosi alla distinzione tra il valore fiscale e il valore reale dei beni.

Io posso ammettere che, generalmente parlando, questo sia esatto; posso cioè ritenere che effettivamente per i beni capitali della Penisola il coefficiente 10 non rappresenti il valore dell’aumento effettivo di capitali; ma, se questo è vero ed esatto per i beni della Penisola, non lo è assolutamente per i beni dell’Isola. Potrei dirvi, signori, che se voi usate un trattamento particolare di benevolenza e di buon trattamento e di beneficio per i detentori di beni immobili della Penisola, evitando volutamente inasprimenti fiscali, voi stabilite però una sperequazione nei confronti dei proprietari di beni immobili dell’Isola, in quanto, mentre questi pagherebbero il valore giusto dei loro beni, i detentori di beni nella Penisola, non pagherebbero con lo stesso criterio e per il valore giusto.

Perché voi possiate avere una idea degli effetti finanziari che può avere l’accoglimento del mio emendamento, vi dirò che l’imposta patrimoniale ordinaria in Sardegna avrebbe dovuto dare un gettito di 135 milioni; la proporzionale straordinaria dovrebbe dare un miliardo e 375 milioni circa. Se voi accoglieste l’emendamento che io ho proposto, per lo Stato si avrebbe un lucro cessante di poco meno o poco più di mezzo miliardo. Ora, per lo Stato, questo rappresenta una duecentesima parte del gettito complessivo previsto dell’imposta patrimoniale proporzionale, mentre – nei riflessi e nei riguardi dei nostri piccoli produttori – costituirebbe un notevole beneficio in quanto rappresenterebbe un sensibile alleggerimento della pressione fiscale attuale.

Ma credo abbia soprattutto, onorevole colleghi, un valore morale e un valore politico, perché finalmente si potrebbe avere la dimostrazione che tutta la benevolenza e la simpatia che si usa per l’Isola da parte della classe dirigente politica italiana non si riduce soltanto a buone parole e a manifestazioni verbali ed accademiche di comprensione dei nostri bisogni, ma si concreta in manifestazioni reali di beneficio. E l’occasione migliore per dimostrarlo mi pare sia questa, onorevoli colleghi. Non è – badate – una delle solite querimonie di cui noi meridionali ed isolani siamo accusati. Noi non vogliamo qui sottrarre niente allo Stato; ma fare soltanto una questione di giustizia. Penso che non adempirei fedelmente ai miei doveri di rappresentante della Regione nell’Assemblea, se non presentassi a voi questa situazione di cui voi, membri dell’Assemblea, dovrete tener conto, anche se siete preoccupati di evitare tutte le possibili evasioni, anche se l’onorevole Relatore e l’onorevole Ministro a nome del Governo, mostrano di temere che con ciò si venga ad agevolare delle scappatoie che potrebbero condurre ad un assottigliamento del gettito dell’imposta.

Ripeto che voi, accogliendo il mio emendamento, non arrecate alcun danno allo Stato, ma fate un atto di giustizia verso una Regione di cui ieri si è tanto parlato. Se dunque ieri si è parlato della Sardegna a proposito della sua autonomia, è bene che teniate presente, onorevoli colleghi, che la Sardegna non ha bisogno soltanto di autonomia, ma ha bisogno anche di interventi tempestivi e di benefici diretti da parte dello Stato. (Applausi al centro).

DUGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Onorevole Presidente, io ho fatto una proposta formale di sospensione e dichiaro di insistervi.

Ho rinunziato a svolgere il mio emendamento in vista appunto della sospensione; ma se questa sospensione non vi dovesse essere, – evidentemente – avrei il diritto di svolgere il mio emendamento.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Desidero pregare gli onorevoli colleghi che hanno presentato emendamenti a questo articolo di volerli svolgere.

Proporrò anche, quando lo svolgimento degli emendamenti sarà esaurito, di votare per divisione, così da potere esaminare più a fondo certi argomenti.

CAPPI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAPPI. Circa la proposta di sospensione, vorrei osservare al collega Dugoni che io credo che per rendere utile la sospensione sarebbe opportuno che lo stesso onorevole Dugoni e l’Assemblea sentissero almeno annunziare un nuovo emendamento che potrebbe influire sulla decisione.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Insisto nell’affermare che è opportuno, prima di decidere intorno a qualsiasi nuovo emendamento concordato, sentire il parere della Commissione.

PRESIDENTE. Chiedo al Ministro il suo parere sulla proposta di sospensione.

PELLA, Ministro delle finanze. Non ho particolari preferenze in un senso o nell’altro; poiché però l’onorevole Relatore ha espresso al riguardo un suo punto di vista, volentieri lo accetto.

PRESIDENTE. Pongo ai voti la proposta dell’onorevole Dugoni di sospendere per qualche tempo la seduta onde dar modo ai presentatori degli emendamenti di addivenire ad un accordo.

(Non è approvata).

DUGONI. Chiedo allora di svolgere il mio emendamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Dugoni ha facoltà di svolgere il seguente emendamento, di cui ricordo il testo:

«Aggiungere, in fine:

«Sono esentati dall’imposta:

  1. a) i contribuenti il cui imponibile ai fini dell’imposta proporzionale non raggiunga le lire duecentomila;
  2. b) i patrimoni delle pubbliche istituzioni di beneficenza».

DUGONI. Le ragioni per le quali abbiamo insistito per la modifica dell’articolo 68 sono state ripetute sia in sede di imposta progressiva, sia, dettagliatamente, oggi in sede di discussione sull’imposta proporzionale. Noi abbiamo avuto la convinzione che sarebbe stato possibile, attraverso un incontro fra i diversi presentatori di emendamenti, molti dei quali identici nelle loro finalità al mio, la Commissione e il Governo giungere ad un testo concordato.

Mi stupisce il desiderio del Relatore che si discutano prima gli emendamenti, e poi si venga ad una conciliazione. A me pareva che, prima che la Commissione finanze e tesoro esprimesse un parere e quindi mettesse ciascuno di fronte ad una determinata soluzione e posizione, sarebbe stato infinitamente meglio che ci fossimo riuniti per cercare di trovare un accordo, tanto più che l’onorevole Scoccimarro ha spiegato con molta chiarezza e abbondanza di dati che effettivamente siamo di fronte ad un articolo che porta ad una sperequazione delle posizioni tributarie dei diversi contribuenti. La dimostrazione dell’onorevole Scoccimarro non ha bisogno di essere ripetuta, perché – come ho detto – è matematica ed estremamente elementare. Quindi, su questo punto, non si faccia illusioni il Governo e non si faccia illusioni il Relatore: sul punto della modifica dell’articolo 68 vi è una maggioranza che si è formata dentro l’Assemblea, proprio perché si deve in qualche modo ovviare agli inconvenienti di una sperequazione tributaria in una legge che ha un peso non indifferente, come questa: perché l’articolo 68 grava di ben 4 per cento tutti i cespiti i quali superino la modesta somma di centomila lire.

Ora, noi, come partito, sosteniamo appieno l’emendamento Pesenti, Scoccimarro, ecc., alla cui elaborazione abbiamo partecipato. Spiego la ragione per cui l’emendamento da me presentato si discosta in modo notevole da quello degli onorevoli Pesenti e Scoccimarro. La ragione è questa: noi crediamo – ed è molto probabile che così sia – che una rinuncia dello Stato pura e semplice ad una parte cospicua dell’imposta, come quella proposta nell’emendamento Pesenti-Scoccimarro, non si possa probabilmente avere. Ed allora abbiamo cercato una via di conciliazione. Su questa via di conciliazione noi volevamo veder venire anche la Commissione e il Governo. Purtroppo la Commissione e il Governo preferiscono che si faccia la discussione.

CAPPI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAPPI. Onorevoli colleghi, una parola breve, ma che riguarda tutti gli emendamenti, all’infuori forse di quello dell’onorevole Micheli.

Tutti questi emendamenti hanno uno scopo: favorire la piccola proprietà nel pagamento dell’imposta proporzionale sul patrimonio.

Ora, onorevoli colleghi, propugnare delle esenzioni fiscali è facile ed è simpatico, ma vi è un limite, un limite che riguarda non questo o quel governo, ma che riguarda lo Stato. Perché non dobbiamo dimenticare che quando gli effetti di queste due imposte – sia la progressiva che la proporzionale – si faranno sentire, saranno già avvenute le elezioni ed è probabile (sperabile o deprecabile a seconda dei punti di vista) che un altro Governo sia al posto di quello attuale.

Quindi noi dobbiamo renderci conto delle esigenze dello Stato, a prescindere dal Governo che a un dato momento lo dirige.

Io personalmente sono contrario a tutti gli emendamenti i quali tendono a delle esenzioni dall’imposta proporzionale ordinaria. Però (e questo ho preannunciato all’onorevole Dugoni) io con molti altri colleghi ho presentato un emendamento all’articolo 72 che mi riservo di svolgere allora; ma, poiché non è stampato ancora, è molto opportuno che io ne dia lettura. Io propongo: «Il termine di pagamento dell’imposta proporzionale ordinaria è portato a dieci anni per le opere pie e per gli enti morali» (e con questo vengo incontro agli emendamenti che vorrebbero addirittura l’esenzione) «a cinque anni il termine per l’imposta gravante sui fabbricati soggetti a vincolo di canone e a cinque anni per i terreni e i fabbricati gravati da imposta non superiore a lire 60.000. Per i casi di pagamento quinquennale, l’abbuono in caso di riscatto sarà del 25 per cento».

Gli onorevoli colleghi hanno avvertito che si tratta di miglioramenti massicci, perché si tratta di portare il termine di pagamento da un anno a dieci anni e a cinque anni, il che solleva di molto il carico dei contribuenti.

Il ragionamento dell’onorevole Scoccimarro (perché è principalmente a proposito del suo emendamento che ho chiesto di parlare), il ragionamento dell’onorevole Scoccimarro attrae, in quanto si basa su quel principio di giustizia che si chiama della perequazione fiscale. Egli ha cercato di raggiungere la perequazione fra i contribuenti all’imposta proporzionale ordinaria e i contribuenti all’imposta personale progressiva. Ma l’onorevole Scoccimarro ha dimenticato un dato di fatto essenziale: che per l’imposta progressiva personale si tratta di un nuovo tributo che creiamo in questo momento, ma per l’imposta proporzionale si tratta di un tributo che già esisteva e per il quale si propone il riscatto.

Ora, (riferendomi ad una cortese polemica che ho avuto con l’onorevole Scoccimarro sulla stampa in questi giorni) l’onorevole Scoccimarro ricorderà che nel gennaio scorso egli ammetteva l’opportunità di disporre il riscatto, cioè il pagamento anticipato dell’imposta proporzionale, però aggiungeva che questo riscatto doveva essere circondato da tali accorgimenti che evitassero il pericolo che il contribuente, per pagare, dovesse essere costretto ad alienare il proprio patrimonio.

Ora, pare a me – se vogliamo essere sereni e obiettivi – che quando per i piccoli patrimoni, per le opere pie e per i fabbricati soggetti al vincolo degli affitti diamo tempo cinque anni, senza interesse, per pagare, il pericolo che il contribuente debba alienare il proprio patrimonio è completamente evitato. Non esiste.

Quindi, io vorrei che i colleghi dell’Assemblea si rendessero conto dell’importanza di questa rateazione di dieci e cinque anni, che io confido il Governo voglia accettare.

Aggiungo (e prendo argomento dallo stesso onorevole Scoccimarro) che noi tutti sappiamo bene che i valori, agli effetti fiscali, dell’imposta proporzionale ordinaria, sono di gran lunga inferiori ai valori reali e, a differenza dei valori dell’imposta progressiva personale, non sono soggetti ad accertamento ulteriore da parte della Finanza. Sono quelli che sono, cioè gli imponibili che sono a ruolo attualmente.

Faccio inoltre presente all’onorevole Scoccimarro ed alla sua sensibilità ed acutezza finanziaria che il suo emendamento porterebbe uno sconvolgimento e un turbamento notevoli nel pagamento dell’imposta proporzionale ordinaria; perché egli vuol ridurre il tributo del 75, 50 e 25 per cento correlativamente all’accertamento definitivo del patrimonio agli effetti dell’imposta progressiva. Ma questo accertamento lo avremo tra due o tre anni, così che, praticamente, per due o tre anni, per una larga zona di contribuenti, lo Stato non potrà incassare nulla.

Concludo. Sembra a me che ci si debba mantenere entro limiti ragionevoli che tengano conto delle esigenze supreme, non di questo o quel Governo ma dello Stato, a difesa soprattutto della lira che deve interessare specialmente piccoli e medi proprietari. Mi pare che se il Governo e la Commissione accettano questa larghissima modifica nella rateazione del pagamento dell’imposta, questo nostro dovere verso i piccoli e medi proprietari sia adempiuto. (Applausi al centro).

SCOCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCA. Signor Presidente, mi pare che quanto ora si sta dicendo sposti la discussone dal terreno tecnico sul terreno politico. Non avrei pensato che la disposizione dell’articolo 68 della legge avesse dato luogo a questa discussione la quale va al di là dei limiti tecnici della legge stessa. Sono stati proposti vari emendamenti i quali urtano proprio contro le esigenze tecniche. Noi abbiamo qui due imposte: una imposta progressiva che colpisce il complesso del patrimonio, ed una imposta proporzionale che colpisce il patrimonio nelle sue singole parti. Il voler unire l’imposta proporzionale con l’imposta progressiva, vuol dire violare un principio tecnico dell’imposizione; vuol dire addizionare o detrarre due entità che sono discordi fra di loro.

SCOCCIMARRO. Ma è proprio questo che non bisognava fare.

SCOCA. Onorevole Scoccimarro, quando lei dice che non bisognava far questo, mi consenta di affermare che io sono dello stesso parere. Personalmente, io sono dello stesso parere; però le ricordo che lei non era dello stesso parere. Io ricordo che quando lei, il 12 febbraio di questo anno, prese la parola sulle dichiarazioni del Governo e pronunciò un elegantissimo discorso, trattò anche dell’imposta straordinaria sul patrimonio e dell’imposta proporzionale. L’idea è sua, onorevole Scoccimarro. Ho qui il suo discorso e leggo il brano che si riferisce all’imposta di cui oggi stiamo discutendo. «Secondo provvedimento: noi abbiamo nel nostro sistema una imposta istituita nel 1939 per ragioni di guerra; l’imposta ordinaria sul patrimonio. Ora, logicamente, questa imposta oggi bisognerebbe abolirla perché è finita la guerra. Però io penso che se la guerra è finita le conseguenze della guerra stanno ancora innanzi a noi; ed allora si può organizzare il riscatto di questa imposta e farla contribuire a facilitare l’opera di ricostruzione. Questa imposta ha oggi un imponibile di 250 miliardi. Basterebbe chiedere, a me pare, il 3 per cento per il riscatto e realizzare una entrata di 75 miliardi».

PRESIDENTE. Onorevole Scoca, vediamo di stringere questa discussione: con la polemica non si finirebbe più.

SCOCA. Non è questione di polemica politica. Io non sarei sceso su questo terreno. Io dicevo che voler unire l’imposta proporzionale con l’imposta progressiva, col legame il quale si ravvisa nell’emendamento Scoccimarro, Pesenti ed altri, vuol dire addizionare entità diverse.

Questo dicevo. Siccome c’è stata l’interruzione dell’onorevole Scoccimarro, il quale ha detto che era proprio questo che non bisognava fare, ho voluto ricordare che proprio lui voleva questo congiungimento.

SCOCCIMARRO. Non è vero, poi spiegherò.

SCOCA. Quello che sia avvenuto fuori di qui, lo ignoro. Io so che lei ha pronunciato un discorso il 12 febbraio di quest’anno e in questo discorso v’è il periodo che ho letto.

SCOCCIMARRO. Non è vero. Io ho detto un’altra cosa. Si trattava di riscatto indipendente dall’imposta straordinaria e concepito in modo del tutto diverso dall’attuale imposta proporzionale. Qui invece si tratta di una imposta straordinaria del 4 per cento. Il riscatto che io proponevo era un’altra cosa.

SCOCA. Che cosa vuol dire, onorevole Scoccimarro, riscatto se non pagare in una unica soluzione una determinata imposta ed abolire questa imposta? Il concetto non è che questo: pagare in un’unica soluzione o in breve periodo di tempo 10 annualità ed abolire l’imposta. Questo vuol dire «riscatto». Semmai, posso osservare che il riscatto avrebbe dovuto farsi a condizioni più onerose; viceversa si è richiesto non il pagamento delle rate che bisognava richiedere, ma il pagamento di un minor numero di rate.

Si è fatto così il riscatto a condizioni favorevoli. Quando si abolisce un’imposta col pagamento di una determinata somma, vuol dire che si fa il riscatto di quella imposta. Non saprei vedere diversamente. Di modo che l’onorevole Scoccimarro proponeva che l’imposta, da conglobarsi in un anno, perché egli pensava che questo fosse un rimedio per costruire il bilancio di un anno, si potesse riscattare con un’aliquota del 3 per cento.

Lasciamo la questione dell’aliquota; l’aliquota sarà quella che sarà: può essere del 4, del 2, od altra. Quello che mi preme di sottolineare è questo: che allora l’onorevole Scoccimarro stava su una linea logica, cioè considerava l’imposta proporzionale per quella che è, e cioè indipendentemente dalle condizioni personali, perché in un’imposta reale non si possono valutare le condizioni personali del contribuente. Considerava l’imposta quale è; tanto è vero che diceva che, siccome l’imponibile soggetto ad essa è di 2500 miliardi, bastava applicare una determinata aliquota per avere un determinato risultato. Il che vuol dire che nessuna considerazione di persona prendeva in esame; vuol dire che l’imposta bisognava esigerla, riscattarla senza considerazioni estranee all’imponibile risultante agli uffici finanziari.

Questo, come dicevo, io l’ho voluto rilevare unicamente perché vi è stata l’interruzione dell’onorevole Scoccimarro.

Resta fermo il fatto che il voler legare questa imposta reale alla imposta progressiva di carattere personale, vuol dire fare l’addizione di due elementi che hanno natura diversa.

Vorrei anche dire, onorevoli colleghi, che quando si invocano i principî di giustizia, le ragioni di commiserazione per i piccoli possidenti, nessuno più di me, io penso, sente che bisogna fare qualche cosa in questo senso; e coloro che hanno letto qualche mio modesto scritto sanno che, non da oggi, ma da anni, sono su questa linea. Il passaggio di categoria che l’onorevole Scoccimarro ha attuato con una circolare, era stato da me modestamente propugnato già alcuni anni or sono. Non potrei essere accusato, penso, di favorire i grandi proprietari; però occorre guardare le cose nella loro linea logica e nella loro realtà.

Noi ci troviamo di fronte ad un’imposta del 4 per cento su un imponibile assai al di sotto dei valori effettivi. E questo, o colleghi, è necessario tener presente: l’imposta non colpisce un valore che è stato accertato con riferimento al 1937-1939 e questo valore è stato moltiplicato per 10 per quanto riguarda i terreni, per 5 per quanto riguarda i fabbricati. Il che vuol dire che gli imponibili legali, in questo modo determinati, sono molto al di sotto degli imponibili veri, forse metà, forse un quarto degli imponibili veri. A Roma, per esempio, mercato edilizio che io conosco, i fabbricati venivano accertati nel 1937-1939, a seconda della zona ove erano situati, da un minimo di 10-12 mila lire a vano ad un massimo, per le case di lusso e di gran lusso nella zona Parioli, di 25.000 lire a vano. Oggi, questo imponibile si moltiplica per cinque, il che vale a dire che un appartamento il cui valore era calcolato in base a 10.000 lire a vano, oggi è calcolato in base a 50.000. Ma io domando: dove è oggi la casa che si può comprare sul libero mercato su questa base, il cui valore è di 50.000 lire a vano? Non c’è casa, anche nei quartieri popolari, che non vada sulle 200-300 e perfino 500.000 lire a vano, per poi salire a uno o anche a due milioni per le case di lusso ai Parioli. Ciò vuol dire che l’aliquota effettiva di questa imposta non è del 4 per cento, ma è una aliquota che in media non va al di sopra dell’uno per cento.

Ora, di fronte a questa situazione di fatto, situazione reale, concreta e che con coscienza, consapevolezza e sincerità dobbiamo guardare, non possiamo dire che ci troviamo di fronte ad un tributo che non possa essere sopportato. E quando passiamo alla valutazione dei terreni, le discrepanze sono ancora più forti. Siccome il prezzo dei prodotti della terra è quello che è, molti di coloro per i quali si invocano le viscere della pietà di questa Assemblea possono benissimo pagare l’imposta odierna, riscattando una imposta che gravava sul loro patrimonio e che si sarebbe continuata a pagare fino a che non fosse abolita, vendendo un quintale di vino o qualche centinaio di uova.

Mi dispiace che io debba portare la discussione in questi termini banali, ma ritengo dovere di coscienza l’affermare che noi dobbiamo, quando si tratta degli interessi dello Stato (e qui si tratta degli interessi dello Stato in quanto si tratta di salvare il bilancio dello Stato) non fare esagerazioni e non fare della demagogia, da qualunque parte essa venga, da destra, da sinistra o dal centro: ma conviene dire la verità per quella che è.

Per queste ragioni credo che non sia possibile accogliere l’emendamento Scoccimarro e tutti gli altri emendamenti che all’emendamento Scoccimarro si riallacciano: non è possibile e per ragioni tecniche, perché non è possibile confondere una imposta reale e proporzionale con una imposta personale e progressiva, e perché effettivamente quelle ragioni di giustizia che si invocano non mi pare che esistano.

Ci può essere il caso singolo di un tizio che non possa pagare l’imposta per circostanze particolari, ma non si può dire che questo sia un fenomeno generale. Io appartengo ad una zona povera, ad una zona che usufruirebbe tutta quanta del beneficio proposito dall’onorevole Scoccimarro, ma devo dire in verità che i miei compaesani non hanno sentito il peso di questa imposta. Sentono il peso delle altre imposte, ma non di questa… (Rumori a sinistra).

AMENDOLA. Glielo vada a dire!

SCOCA. Glielo dico, è naturale che glielo dico. Io non ho due facce e due parole: ho sempre lo stesso volto e lo stesso linguaggio. Glielo dirò e, se vuole, la invito a venire con me per sentire… (Applausi al centro – Rumori a sinistra).

AMENDOLA. Provi ad andarle a dire ai suoi elettori, queste cose!

SCOCA. Mi dispiace che quando qui si parla con sincerità e lealtà si faccia ricorso a questi argomenti. Sono argomenti che non mi toccano, perché io non ci tengo a ritornare in questa Camera, se per ritornarvi dovessi fare della demagogia. (Applausi al centro).

Concludendo, ho l’impressione che si voglia tentare una montatura, che non ha base reale.

Sono contrario, quindi, all’emendamento Scoccimarro ed a quelli che ad esso si ricongiungono, mentre posso votare per gli emendamenti che prevedono una rateizzazione dell’imposta. (Applausi al centro).

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare per fatto personale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Desidero rispondere brevemente alle osservazioni fatte. Anzitutto intendo respingere nel modo più energico la accusa che l’emendamento da me presentato sia espressione di demagogia.

Vorrei, soprattutto, richiamare i colleghi ad una valutazione più obiettiva dei fatti reali.

Si è detto: non abbiamo da fare con una imposta nuova, si tratta di un’imposta vecchia, già in atto.

Devo ricordare che, se è vero che abbiamo a che fare con un tributo già esistente mentre l’imposta progressiva è un tributo nuovo, il modo come si stabilisce questo nuovo tributo ed il modo come si esaurisce il vecchio è tale, che di fatto si esce dal piano di un semplice riscatto: questa è la realtà quando si scende dalle definizioni generali alle determinazioni concrete.

Spesso, specialmente da colleghi di parte democristiana, sulla stampa ed in pubblici discorsi mi si attribuiscono posizioni, intenzioni e propositi, che non ho mai avuti né espressi. La prima volta che si è elaborato il progetto dell’imposta straordinaria nel 1945, io avevo proposto la abolizione pura e semplice della imposta ordinaria sul patrimonio. Nel 1946, in conseguenza del mancato cambio della moneta, elaborando un piano triennale di fidanza straordinaria, ho concepito il riscatto dell’imposta ordinaria con la elevazione del minimo esente, con aliquote differenziate secondo la grandezza del patrimonio ed il pagamento in tre anni (nonostante il carattere reale dell’imposta); ma questo provvedimento non si inseriva nell’imposta straordinaria, non ne diveniva parte essenziale: era solo un elemento subordinato ed il meno importante di un complesso di molteplici provvedimenti da attuarsi in tre anni. Ed anche l’aliquota del 3 per cento che l’onorevole Scoca ha ricordato, era un’aliquota media: più bassa per i piccoli patrimoni, più elevata per i maggiori patrimoni.

Poiché lei, onorevole Scoca, ha ricordato or ora il brano di un mio discorso, sia pure in modo inesatto, dovrebbe ricordare anche l’ultimo discorso da me pronunciato in questa Assemblea nel quale ho dato indicazioni ed informazioni precise sulla questione alla quale lei si è riferito. So benissimo che in materia di imposte reali non si può parlare di minimo imponibile e di aliquote progressive: sarebbe illogico e si può dar luogo ad ingiustizie e sperequazioni. Ma, nonostante ciò, io avrei adottato egualmente tale criterio perché quelle ingiustizie e sperequazioni sarebbero state in concreto di scarso rilievo e comunque gli aspetti positivi sarebbero stati più importanti di quelli negativi e in definitiva si sarebbero agevolati i piccoli patrimoni. E se vuol sapere, onorevole Scoca, il gettito previsto di quel riscatto le dirò che nel piano finanziario, il riscatto dell’imposta ordinaria figurava con una media di venti miliardi all’anno; al disotto di un certo limite si esentavano i patrimoni; i piccoli patrimoni avrebbero pagato meno del 3 per cento, i maggiori patrimoni avrebbero pagato con un’aliquota superiore: nel complesso la media era del 3 per cento. È una cosa completamente diversa dalla attuale imposta proporzionale. Se si presentasse oggi quel provvedimento di riscatto come allora fu concepito io l’approverei senza mutare una virgola.

Onorevole Scoca, io non vengo a fare qui delle critiche perché il mio partito è all’opposizione; nelle questioni in cui sono d’accordo, non ho difficoltà ad approvarle, anche se il mio partito è all’opposizione. Ma voi commettete un errore politico e credo, entro certi limiti, anche un errore economico a mandare avanti questo provvedimento senza correggerlo nel punto a cui si riferisce il mio emendamento. Non è il caso qui di parlare di opposizione perché la mia proposta è nell’interesse dello stesso Governo. Voi avete un bel dire che ci sono le esigenze fiscali, ma specie quando si tratta di una imposta straordinaria, oltre all’esigenza fiscale bisogna tener conto anche della giustizia fiscale. Quello che ci preoccupa non è la situazione di quelle categorie di proprietari che possono pagare: nel mio emendamento, al disopra di un certo limite, non si chiede nessuna attenuazione. Ho difeso i minimi imponibili dell’imposta progressiva. Per patrimoni dai tre ai cinque milioni, che non sono gravati dalla proporzionale, il nostro emendamento non chiede nessuna attenuazione. Ma con l’imposta proporzionale si colpiscono dei piccoli proprietari per i quali il termine «patrimonio» non significa altro che lo strumento di lavoro di piccoli produttori indipendenti.

Questa non è demagogia, onorevole Scoca, è realtà, e non vorrei che, senza saperlo, il Governo spezzasse nelle mani di quei lavoratori lo strumento del loro lavoro. Con questa imposta si rischia di mettere in dissesto una moltitudine di piccoli produttori. So bene che nessuno vuol pagare le imposte e si va alla ricerca di tutti i mezzi per giustificare la resistenza al pagamento delle imposte, ma io vorrei leggervi alcune relazioni su concrete situazioni di fatto ed allora voi vedreste che le mie parole sono molto al disotto della realtà: questa non è demagogia.

All’onorevole Cappi voglio osservare che io ho proposto nella discussione generale di stralciare questa parte del provvedimento per poter discutere il riscatto della imposta ordinaria, indipendentemente dall’imposta straordinaria. Ma il Governo non ha ritenuto di accettare quella proposta.

Ed è stato male, perché il popolo oggi è convinto di pagare un’imposta straordinaria, e non un riscatto d’imposta, e lo sente talmente che si è diffusa in Italia (ed il Ministro delle finanze farà bene a smentire) l’opinione che il parlare di riscatto è un mezzo trucco, e che in seguito si ristabilirà quell’imposta ordinaria che ora si dice di voler abolire. Così reagisce l’opinione pubblica, e questo per il modo come il provvedimento è stato presentato e per i termini nei quali è stato presentato.

Che cosa chiede il nostro emendamento? Che al di sotto dei dieci milioni si dia la possibilità di uno sgravio progressivo. Vogliamo discutere quelle cifre? Discutiamole. Sembrano eccessive? Riduciamole.

Io vi dico francamente che mi sono basato oltre che sui criteri adottati per la imposta progressiva, anche su concrete situazioni di fatto, e basandomi su tali situazioni mi son detto che se riusciamo a salvare un certo numero di piccoli proprietari e a salvaguardare la loro efficienza economica, io penso che avremmo fatto non solo un atto di giustizia, ma avremmo fatto anche un atto utile all’economia ed alle finanze dello Stato.

Riconosco che la maggiore rateazione è una facilitazione; le sperequazioni che io ho rilevato rimangono, perché sarebbe come dire: «va bene; pagherai in 5 anni invece di due anni, però mi pagherai sempre il 4 per cento del tuo patrimonio».

PRESIDENTE. Onorevole Scoccimarro, si ricordi del fatto personale.

SCOCCIMARRO. Quanto alle difficoltà tecniche fatte presenti dall’onorevole Cappi, esse effettivamente esistono; ma tali difficoltà si possono superare con accorgimenti tecnici che non mancano e che non è qui il caso di discutere: in attesa dell’accertamento definitivo nella progressiva, il pagamento della proporzionale può farsi a titolo provvisorio.

Se per taluni è vero che c’è il desiderio di sfuggire all’imposta, per altri c’è veramente una situazione di necessità.

Ho ritenuto mio dovere dire questo. Anche se in passato io avessi concepito una imposta come questa, oggi, di fronte a questi dati di fatto, direi: «signori, io cambio opinione». Ma, in realtà, io non ho mai concepito l’imposta straordinaria in questo modo; per me il riscatto non doveva essere parte integrante dell’imposta straordinaria.

Perciò io, nonostante riconosca giusta l’osservazione dell’onorevole Scoca sul piano tecnico, insisto nel mio emendamento e forse oserei troppo sperare di chiedere agli onorevoli Scoca e Cappi di ritirare il loro, e di accettare il nostro con quelle attenuazioni che siano pronti a discutere col Governo e con voi? Ma se è vero – come diceva l’onorevole Cappi – che qualunque Governo si troverebbe oggi di fronte alle stesse necessità finanziarie, che c’è un limite posto dalle esigenze dello Stato, badate però che c’è pure un limite di resistenza economica che non bisogna superare. Con questo articolo io ho l’impressione che per molti piccoli contribuenti questo limite di resistenza economica venga superato. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Ritengo che, a questo punto, si possa sospendere la seduta per qualche tempo, in modo che durante la sospensione, senza che si siano pronunciati il Governo e la Commissione, sarà possibile probabilmente accordare i divergenti punti di vista.

PICCIONI. Chiedo la parola.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PICCIONI. Proporrei di sospendere invece la seduta per un’ora e mezza e fare poi una seduta notturna. (Commenti).

PRESIDENTE. Vi è qualche collega il quale propone la discussione fino ad esaurire l’esame del testo del decreto.

Pongo pertanto ai voti, per prima, la proposta di continuare i lavori senza giungere ad una lunga interruzione.

(È approvata).

Sospendiamo allora la seduta per alcuni minuti.

(La seduta, sospesa alle 20.10, è ripresa alle 20.30).

PRESIDENTE. Ritengo che il nostro lavoro possa svolgersi in questo modo: continueremo stasera l’esame del testo del decreto sulla patrimoniale, fino ad esaurirlo; nella seduta antimeridiana di domani potremo esaminare la questione degli enti collettivi e dei minimi imponibili e nel pomeriggio gli articoli aggiuntivi.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Faccio presente, per quanto riguarda gli enti collettivi, cioè il Titolo II del decreto, che il Governo non ci ha ancora investiti del progetto ufficiale.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Perché non si pensi ad una negligenza del Governo in questa materia, debbo anche far presente una ipotesi, che non esito a definire reale. Il Governo, dichiarandosi pronto a presentare schemi di provvedimenti, rispondenti alle diverse soluzioni che si possono prospettare, può desiderare che sia l’Assemblea a risolvere la questione pregiudiziale sul tipo di soluzione da adottare.

Da domattina il Governo ha pronti tali schemi.

Riservandomi di fare domani le comunicazioni definitive del Governo al riguardo, debbo, fin d’ora, ripetere che il Governo richiederà in via pregiudiziale all’Assemblea di pronunciarsi sulla natura della soluzione che intende adottare.

PESENTI. Chiedo di parlare sulle dichiarazioni del Ministro.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PESENTI. Desideravo che il Governo precisasse e vorrei che il Ministro rispondesse se, con le dichiarazioni ora fatte, il Governo intende mantener fede all’impegno che la tassazione degli enti collettivi sia parte integrante della legge sull’imposta straordinaria progressiva che stiamo ancora esaminando; cioè, se il Governo intende che, appunto entro questi due o tre giorni, il progetto sia presentato e discusso.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro ha facoltà di rispondere.

PELLA, Ministro delle finanze. Posso assicurare l’onorevole Pesenti che, con le mie prime dichiarazioni, non avevo affatto intenzione di formulare l’ipotesi di un rinvio della risoluzione del problema ad un provvedimento separato da quello che stiamo discutendo. Anticipando quanto forse avrò occasione di dire più ampiamente domani, ricordo che il problema fondamentale si riduce a questo: allorquando il precedente Governo presentò alla Commissione parlamentare di finanza il disegno di legge che stiamo oggi discutendo e si sollevò la questione degli enti collettivi, comunicò che era sua intenzione di presentare il provvedimento di tassazione delle rivalutazioni, aggiungendo che tale provvedimento avrebbe assorbito quello della tassazione degli enti collettivi.

Orbene, il Governo attuale, che vuole mantener fede agli impegni del Governo precedente, desidera, nello stesso tempo non fare nulla che possa impedire un riesame libero e approfondito di tutta la questione: non desidera, cioè, chiedere all’Assemblea di rinunciare all’esame se convenga o non convenga sostituire alla tassazione delle rivalutazioni la tassazione degli enti collettivi.

Quando io accennavo alla scelta di una strada piuttosto che di un’altra, di una soluzione piuttosto che di un’altra, e accennavo al desiderio del Governo di investire l’Assemblea di questa scelta, soprattutto volevo riferirmi alla scelta fra l’una e l’altra di queste due soluzioni.

A partire da domattina, il Governo è pronto, appena l’Assemblea avrà determinato la sua scelta, a dare il suo contributo tecnico per la migliore attuazione del principio che l’Assemblea adotterà. Se l’Assemblea adotterà il principio della tassazione delle rivalutazioni, il Governo consegnerà uno schema – che d’altra parte, in via breve, è stato già consegnato – relativo alla tassazione delle rivalutazioni; se adotterà, invece, il criterio della tassazione degli enti collettivi, presenterà uno schema, ancor più dettagliato di quello già consegnato in via breve, per la tassazione degli enti collettivi.

Ma con la consegna di questi schemi il Governo intenderà mettersi nella posizione di chi dà il proprio contributo tecnico per attuare un principio liberamente adottato dall’Assemblea.

DUGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Faccio presente che abbiamo avuto un solo testo per ora ed è il testo che riguarda gli enti collettivi. Ora noi non possiamo fare una scelta fra l’uno e l’altro tipo di imposta se non conosciamo le due proposte che il Governo intende fare.

In secondo luogo, spostare questa sera alle ore 21 la posizione del Governo che fino ad oggi abbiamo avuto il diritto di credere convergente con quella della maggioranza della Commissione, cioè a favore degli enti collettivi dentro questa legge, devia completamente tutto il piano di discussione.

Quindi mi chiedo veramente se in queste condizioni non sia il caso che il Governo rinvii a sabato mattina la questione degli enti collettivi, perché è materialmente impossibile che possiamo procedere all’esame di un provvedimento come quello della tassazione delle rivalutazioni in un giorno o in un giorno e mezzo.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Alcuni giorni fa l’onorevole Pella mi ha rimesso in via prettamente confidenziale – e io ho interpretato anche in via personale – due progetti sulle rivalutazioni patrimoniali.

Qualche giorno dopo il Governo mi pareva avesse scelto la via di preparare un progetto sulla tassazione degli enti collettivi e, avendo avuto una dichiarazione del Governo al riguardo, la Commissione si è orientata nel senso di esaminare un provvedimento, inteso come terzo titolo della legge, sulla tassazione degli enti collettivi.

Ieri o l’altro ieri ci è stato rimesso un primo schema, non in via ufficiale, del terzo titolo della legge. Ma poiché si è appreso che non poteva trattarsi di testo definitivo del Governi, se ne è sospeso l’esame.

Apprendo oggi che la posizione del Governo è mutata: il Governo vuole che la questione se si debbano tassare gli enti collettivi e procedere alle rivalutazioni patrimoniali sia votata dall’Assemblea.

Questo sposta completamente la posizione che fino a qualche ora fa pareva quella del Governo. Quindi l’Assemblea dovrà decidere su questo punto. Naturalmente la Commissione non può dir nulla perché non conosce nessun progetto ufficiale.

PELLA, Ministro delle finanze. Desidero ricondurre la questione nei limiti abbastanza ristretti che essa ha, considerata da un punto di vista pratico.

Abbiamo cercato negli ultimi giorni di accelerare il corso dei nostri lavori, e in questo desiderio abbiamo tolto significato a molti aspetti procedurali di quello che era il nostro lavoro. Per questo, il Governo, ogni qualvolta ha elaborato qualche schema, ne ha fatto oggetto di comunicazione alla Commissione, senza tuttavia annettervi un carattere ufficiale.

Ora, esattamente l’onorevole La Malfa ha accennato che esiste una questione pregiudiziale. Su questa questione pregiudiziale l’onorevole Relatore riteneva che il Governo si fosse già impegnato.

All’infuori di qualsiasi impegno assunto o non assunto – e francamente a me sembra che il solo impegno del Governo sia quello che è stato preso davanti alla Commissione, a suo tempo, di presentare il progetto relativo alla rivalutazione – mi sembra vi sia nell’atteggiamento del Governo, di cui mi rendo interprete in questo momento, soltanto il desiderio di un atto di deferenza nei confronti dell’Assemblea a cui si vuol lasciare la risoluzione della questione pregiudiziale. Penso infatti, che l’Assemblea, anche a costo di dedicare una seduta o due in più, possa anche desiderare di contribuire a discutere il problema nei suoi termini generali. Per i non iniziati ai misteri di queste piccole cose, in sostanzia parlare di rivalutazione e di tassazione di enti collettivi, significa adottare un linguaggio che sa di ermetico e che forse ha bisogno di essere chiarito e più largamente spiegato.

Il Governo non ha avuto finora l’occasione di chiarire dinanzi all’Assemblea per quali ragioni un giorno ha ritenuto più opportuna la tassazione delle rivalutazioni. Così ancora, il Governo non ha indicato ancora le ragioni per cui, cammin facendo, esso non si è rifiutato di sentire correnti che preferiscono la tassazione degli enti collettivi. Soprattutto il Governo desidera che l’Assemblea, informata dei diversi aspetti del problema, sia essa a decidere sulla questione pregiudiziale.

Voglio aggiungere che la questione pregiudiziale può e – vorrei dire – deve essere risolta ancora prima di passare all’esame di determinati schemi. Si tratta di discutere principî d’ordine generale, e la discussione dei principî d’ordine generale, trasportata su un esame di schemi, finisce per esserne danneggiata, piuttosto che avvantaggiata. Certo, tutto questo porterà forse a non conchiudere domani i nostri lavori: forse sarà necessario un giorno di più. Ma penso che l’argomento sia così importante che valga la pena di dedicarvi qualche ora di discussione.

PRESIDENTE. Faccio presente al Ministro che ciò porterebbe su un’altra linea di lavori. Era desiderio del Presidente del Consiglio – questo è risultato alla Presidenza – che, prima di passare ad altri lavori, l’Assemblea esaurisse l’argomento della patrimoniale.

PELLA, Ministro delle finanze. Possiamo farlo. Se domattina, attraverso la presentazione di un ordine del giorno, si fa la discussione di carattere generale, discussione che può concludersi in un’ora o in un paio d’ore e se la discussione si conclude attraverso l’approvazione di un ordine del giorno per la scelta di una strada piuttosto che un’altra, abbiamo subito superato la pregiudiziale e possiamo passare all’esame di uno schema specifico.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Prendo atto delle dichiarazioni del Ministro delle finanze; devo tuttavia confermare quanto ho già detto.

La Commissione aveva avuto l’impressione che il Governo si fosse orientato per la tassazione degli enti collettivi. Il Governo oggi prospetta una diversa soluzione e la pone come questione pregiudiziale dinanzi all’Assemblea. Naturalmente non assumo responsabilità su questo aspetto della situazione, perché, naturalmente, i lavori dalla Commissione e quindi dell’Assemblea potrebbero in un caso essere abbreviati e nell’altro molto allungati.

PRESIDENTE. Domando alla Commissione se è pronta con una sua decisione sulla questione degli enti collettivi. Se fosse d’accordo ci sarebbe questo punto di riferimento.

LA MALFA, Relatore. La Commissione non è pronta, soprattutto, perché dopo le dichiarazioni del Ministro delle finanze, non ha nessun progetto da esaminare. Infatti il progetto già presentato in via confidenziale si deve considerare come ritirato.

Sulla questione di principio, così come è posta dal Governo, la Commissione si deve pronunciare riunendosi ancora una volta.

PRESIDENTE. Onorevole Relatore, guardi la situazione come si presenta. C’è stata la sospensione dell’esame della questione degli enti collettivi. Su questo problema c’è un emendamento dell’onorevole Dugoni. La Commissione è in grado di pronunciarsi su questo emendamento quando si è posta la questione?

LA MALFA, Relatore. Domani mattina se il Governo, come credo, conferma questo suo punto di vista, la Commissione si può riunire e riconsiderare il problema così come l’ha posto il Governo e quindi arrivare ad una decisione su un problema di principio.

Comunque, l’esame di questa questione cade sull’articolo 2 che noi dobbiamo riesaminare. Io proporrei, per non prolungare la discussione, di continuare l’esame dell’articolo 68 ed esaurirlo.

Se il Governo conferma questo punto di vista, domani mattina se non vi è seduta per la patrimoniale…

PRESIDENTE. V’è seduta sulla patrimoniale domani mattina alle 9.30.

LA MALFA, Relatore. Non è possibile!

Questa posizione del Governo che io vengo a conoscere in questo momento, deve essere considerata dalla Commissione in una seduta apposita che avrà una certa importanza e gravità. Credo quindi che se il Governo mantiene il punto di vista espresso dall’onorevole Pella in questo momento, debba essere data alla Commissione la possibilità di esaminare domani mattina il problema. Nel pomeriggio la Commissione sarà in grado di riferire sulla questione di principio. (Interruzione del deputato Valiani).

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Vorrei fare una proposta pratica. Se la Commissione ritiene di dover concretare un suo punto di vista rispetto all’atteggiamento del Governo, che deferisce all’Assemblea la risoluzione della questione pregiudiziale, la Commissione potrebbe riunirsi questa sera, e domani mattina potremmo tenere una seduta apposita.

Assicuro che in tutto questo, da parte del Governo c’è soltanto il desiderio di rendere omaggio ed ossequio alle libere conclusioni dell’Assemblea.

Il Governo è pronto con gli schemi, per l’una o per l’altra strada.

PRESIDENTE. In fine di seduta, potremo prendere accordi per i lavori di domani.

Riprendiamo dunque la discussione sugli emendamenti all’articolo 68.

Chiedo al Relatore di esprimere il suo parere sugli emendamenti presentati per questo articolo.

LA MALFA, Relatore. L’articolo 68 rappresenta uno dei cardini di tutta la legge sull’imposta proporzionale e progressiva, quindi ha una importanza fondamentale.

Assicuro il collega Dugoni che nel pregare l’Assemblea di ascoltare prima il Relatore era lontana da me l’idea di creare una posizione che impedisse qualsiasi accordo di Gruppo. Volevo soltanto che l’Assemblea disponesse di tutti i dati del problema prima di prendere una qualsiasi posizione.

Per facilitare la discussione ed anche le decisioni, volevo proporre inoltre che cominciassimo la votazione per divisione, perché l’articolo 68 contempla una quantità di questioni che non sono sullo stesso piano.

Le questioni che sono giudicate sullo stesso piano dalla Commissione sono gli emendamenti Crispo, Bonomi, Mannironi, Pesenti, Mazzei, Bovetti, fino a Basile che costituiscono un tutto su cui la Commissione potrà dare il suo giudizio.

Gli emendamenti Scoca, Cappi ed altri, che in definitiva propongono l’aggiunta di un secondo comma, vogliono una trattazione molto approfondita, mentre per esempio l’emendamento dell’onorevole Rescigno, che propone la riduzione dell’aliquota dal 4 al 3 per cento, potrebbe essere messo subito in votazione. Naturalmente il parere della Commissione è che l’onorevole Rescigno ritiri questo suo emendamento perché si tratta oltre tutto di una imposta in esazione.

Respinto l’emendamento Rescigno, si potrebbe votare il primo comma fino alla parola 4 per cento.

PRESIDENTE. Ma c’è un emendamento sul primo comma dell’onorevole Pesenti.

LA MALFA, Relatore. L’onorevole Pesenti ha proposto un secondo comma che contiene un primo periodo che potrebbe essere votato come secondo comma immediatamente, e su cui tutta l’Assemblea mi pare unanime, e poi potremmo votare il secondo periodo del secondo comma che è il vero emendamento Pesenti e su cui la maggioranza della Commissione ha espresso parere favorevole. Effettivamente quando si è trattato di applicare l’imposta ordinaria sul patrimonio alle società in accomandita e per azioni, si è dovuto ricorrere alla imposta di negoziazione, cioè alle valutazioni che si fanno del patrimonio sociale ai fini delle valutazioni della imposta di negoziazione la quale finora, col sistema vigente, accertava i valori con un ritardo di due anni. Avveniva cioè che l’imposta patrimoniale dell’anno 1947 faceva riferimento alla imposta di negoziazione del 1946 e questa ultima faceva riferimento ai valori del 1945, o, qualche volta, del 1944. L’emendamento Pesenti mette questi valori sul piano di un accertamento alla data del 1947 ed intende porli sullo stesso piano in cui sono posti gli altri valori che però, badate bene, non sono accertati con l’accertamento reale, ma con l’applicazione di coefficienti. A giudizio della Commissione, il fatto di moltiplicare i terreni per dieci secondo i valori del 1937-1939 ci fa avvicinare alla situazione del 1947 più di un’imposta di negoziazione che si riferisce ai valori reali degli anni 1944-1945.

Vi è l’emendamento dell’onorevole Bosco Lucarelli. Ora mi pare che il Governo abbia dato l’assicurazione che gli imponibili dell’imposta straordinaria sul patrimonio saranno tutti riferiti ai valori del 1937-1939 e su questi valori si applicheranno i coefficienti di 5 per i fabbricati e di 10 per i terreni. Il che vuol dire che in sede di imposta straordinaria, avverrà una sperequazione di tutti gli accertamenti ed i redditi rivalutati saranno ricondotti ai valori del 1937-1939 e poi moltiplicati, rispettivamente, per 5 e per 10. Dato che questa revisione ha fatto oggetto di una specifica circolare agli uffici finanziari, prego l’onorevole Bosco Lucarelli di ritirare l’emendamento.

Credo, così, che si possano votare il primo e il secondo comma dell’articolo 68. Mi riservo di esprimere il parere della Commissione per quello che si può considerare un terzo comma, comprendente tutti gli altri emendamenti da quello dell’onorevole Crispo in poi.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. Prima di prendere la parola su questo contrastato articolo 68, su cui tanto si discute in quanto esso interessa la grande massa dei modesti contribuenti, desidero cogliere l’occasione per ringraziare l’onorevole Relatore per il contributo che ha dato nel difendere la legge laddove modifiche, che potevano tentare gli onorevoli colleghi, avrebbero significato compromissione del gettito del tributo.

L’onorevole La Malfa ha saputo diverse volte assumere posizioni che non sempre sono piacevoli nei confronti di un’opinione pubblica, che preferisce le facili rinunce e le agevoli modifiche. Di questa forza di resistenza io non ho che da ringraziarlo a nome del Governo.

Ciò premesso, per quanto riguarda l’emendamento dell’onorevole Rescigno, confermo quanto ha detto la Commissione. Il Governo è dolente di non poterlo accettare.

Il quattro per cento è effettivamente il riscatto della imposta ordinaria sul patrimonio. Riscuotere oggi il 4 per cento significa dare a questa imposta una vita media di 12-13 anni tenendo conto degli interessi. Se si riducesse al 3 per cento si accorderebbe a questa imposta una vita media di 8-9 anni. Ora, se si pensa che l’imposta ordinaria doveva essere perenne, credo si possa arrivare alla conclusione che è già molto limitata una vita media di 12-13 anni. Inoltre, se l’imposta fosse rimasta in vita, lo 0,40 per cento, sarebbe stato applicato su valori periodicamente in aumento, ed il contribuente avrebbe dovuto pagare lo 0,40 per cento anche sopra gli incrementi addizionali del proprio patrimonio. Quindi io credo che il 4 per cento non debba essere considerato eccessivo e meriti di essere mantenuto.

Per quanto riguarda l’emendamento degli onorevoli Pesenti, Scoccimarro ed altri, sono d’accordo nel ritenere che la prima parte non costituisce una modifica della legge. La seconda parte deve essere esaminata alla stregua di quel concetto di perequazione a cui ha accennato l’onorevole La Malfa.

Il sistema della legge raggiunge lo scopo di colpire, con criterio di perequazione, i diversi cespiti: terreni, fabbricati, aziende facenti capo a società azionarie.

Gli uffici competenti che si sono soffermati su questo problema, arrivano alla conclusione che la formula usata nel decreto è sufficiente a raggiungere questa perequazione, perché, per quanto riguarda le azioni non quotate in borsa, le indagini statistiche svolte al riguardo hanno condotto a stabilire che i valori medi accertati per l’anno 1942 – che è l’anno a cui si arrestano le valutazioni dei collegi peritali – danno risultati cinque volte superiori a quelli di anteguerra.

Io ritengo che, lasciando la formula precedente, cioè il valore definitivo ai fini dell’imposta ordinaria sul patrimonio per il 1947, si raggiunga quello scopo di perequazione che si vuole perseguire.

Quindi, dissentendo dal Relatore, il Governo preferisce mantenere ferma la formula originaria.

Per quanto riguarda l’emendamento dell’onorevole Bosco Lucarelli, confermo che sono state date istruzioni perché si rettifichino di ufficio, per quanto riguarda i terreni, e su domanda dei contribuenti, per quanto riguarda i fabbricati, i valori imponibili che non risultino basati sulla media dei valori venali in comune commercio nel triennio 1937-1939.

Quindi, stia certo l’onorevole Bosco Lucarelli che i coefficienti 5 e 10 saranno applicati sui valori accertati con riferimento triennio 1937-1939, prescindendo dalle rivalutazioni eventualmente fatte dagli uffici in tempo successivo.

BOSCO LUCARELLI. Allora, il Governo accetti il mio emendamento!

PELLA, Ministro delle finanze. Davanti alla richiesta dell’onorevole Bosco Lucarelli, debbo rispondere che l’emendamento da lui proposto presta il fianco a qualche equivoco, perché riferirsi all’imponibile al 1° gennaio 1940 non significa riferirsi ai valori medi del triennio 1937-1939.

Come ho già avuto l’onore di spiegare all’Assemblea qualche giorno fa, nel primo triennio l’imposta ordinaria patrimoniale è stata applicata, per la maggior parte dei casi, su valori provvisori accertati per la sottoscrizione del prestito redimibile 5 per cento del 5 ottobre 1936, valori – dobbiamo avere il coraggio di dirlo in omaggio alla verità e alla giustizia – che molto spesso sono al disotto di quelli del triennio 1937-1939; per questo il riferimento ai valori del 1940 non può essere accolto dal Governo.

Veda l’onorevole Bosco Lucarelli, se, dinanzi alle mie reiterate assicurazioni, ritenga di accogliere la preghiera dell’onorevole Relatore di ritirare l’emendamento proposto.

PRESIDENTE. L’onorevole Rescigno insiste nel suo emendamento?

RESCIGNO. Lo ritiro.

PRESIDENTE. L’onorevole Bosco Lucarelli?

BOSCO LUCARELLI. Dopo le dichiarazioni dell’onorevole Ministro e del Relatore, dichiaro di ritirare il mio emendamento.

Però insisto presso il Ministro perché si dia applicazione al criterio accennato, dato che praticamente non viene seguito.

PELLA, Ministro delle finanze. Sono circolari di pochi giorni fa.

DE CARO RAFFAELE. Ma non sono arrivate, perché gli accertamenti vengono fatti come prima…

PRESIDENTE. Onorevole Pesenti, lei insiste nel suo emendamento?

PESENTI. Vorrei chiarire il mio emendamento che, del resto, è stato illustrato anche dall’onorevole La Malfa. Forse qualcuno può aver equivocato sulla sua importanza. Non si tratta qui di introdurre nuovi soggetti dell’imposta; cioè, in questo caso, le società sono già soggette all’imposta straordinaria proporzionale. Si tratta di una diversa valutazione.

Ora, io dissento da quello che ha affermato adesso il Ministro, perché effettivamente la valutazione che viene fatta per le società nell’iscrizione nei ruoli dell’imposta 1947 si riferisce a quella che è l’imposta di negoziazione del 1945.

PELLA, Ministro delle finanze. Del 1946; bilancio 1945.

PESENTI. Ora, i titoli, nel 1945 non erano certo aumentati cinque volte rispetto al 1937-1940. Perciò, se noi teniamo questa valutazione, vediamo che le società tassate in base ai bilanci vengono ad avere, rispetto al 1937-1940, una maggiorazione di cinque volte al massimo; anzi, altri calcoli dicono da tre e mezzo a cinque volte al massimo, mentre i privati contribuenti vengono ad avere una maggiorazione di dieci volte.

Perciò, se noi, invece, rapportiamo in base all’imposta di negoziazione pagata nel 1947, non avviciniamo la posizione delle società alla posizione dei privati.

Per questo motivo, insisto nel mio emendamento.

PRESIDENTE. Dovrò ora porre in votazione l’emendamento Pesenti-Scoccimarro.

DUGONI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Richiamo l’attenzione dei colleghi sul fatto che io voterò a favore dell’emendamento degli onorevoli Pesenti e Scoccimarro anche perché la valutazione che risulterebbe per il 1946 sarebbe talmente al di sotto della realtà che il Governo ha creduto di proporre, con una nuova procedura, la rivalutazione dei patrimoni di queste aziende, quando, in tali circostanze, noi chiediamo che anche questa imposta venga passata secondo un metodo di valutazione che l’avvicini se non alle dieci volte, per lo meno a qualche cosa di simile.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Per amore di brevità, avevo omesso di ricordare che la nuova legge di valutazione, che è stata approvata dal Consiglio dei Ministri una decina di giorni fa, si applica a tutte le procedure aperte, anche degli anni precedenti, perché è norma procedurale. Siccome le valutazioni, in genere, si arrestano al 1943-44, la valutazione dell’anno 1945 avrà già luogo con le nuove norme. Questo è un dato che prego di tener presente.

CORBINO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Io voterò per il testo della Commissione accettato dal Ministro, per quanto riconosca che c’è innegabilmente un fondamento nell’osservazione fatta dal collega Pesenti. Desidero però far presente all’onorevole Ministro che noi ci siamo preoccupati della rettifica dei coefficienti per quello che concerne i valori dei terreni e dei fabbricati, ma non abbiamo contemplato la possibilità di rettifiche analoghe anche per le piccole aziende commerciali e industriali. Bisogna infatti tener presente che molte di queste piccole aziende si son trovate nella seguente situazione: che hanno concordato nel 1944 la cifra del loro patrimonio, e immediatamente dopo se la son vista moltiplicare per dieci.

Ora, se i valori del 1946 sono valori che corrispondono alla consistenza patrimoniale, non credo equo che quelli del 1947 debbano essere moltiplicati per dieci. Io vorrei perciò pregare l’onorevole Ministro che, in sede di applicazione dell’articolo 68, voglia dare la stessa autorizzazione anche per le piccole aziende commerciali e industriali.

PRESIDENTE. Metto dunque ai voti l’emendamento al primo comma dell’articolo 68, presentato dagli onorevoli Pesenti, Scoccimarro, Lombardi Riccardo, Foa, Valiani, e Piemonte, di cui do nuovamente lettura:

«Al primo comma, sopprimere le parole: sui valori definitivamente accertati ai fini della imposta ordinaria per l’anno 1947».

(Dopo prova e controprova è approvato).

Si dovrà ora porre in votazione il secondo emendamento, a firma degli stessi colleghi, che propone l’aggiunta di un secondo comma.

Avverto che la Commissione, e per essa il Relatore, ha chiesto che questo emendamento sia votato per divisione.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Mi permetta, onorevole Presidente, di chiarire la questione. Siccome ogni criterio di riferimento è caduto dal primo comma, se l’emendamento fosse respinto cadrebbe qualsiasi riferimento ad un anno; il riferimento all’anno deve rimanere, invece, per tutti, se no cadrebbe l’imposta. E allora, votando per divisione, coloro che volessero respingere il criterio di tassazione delle società, avrebbero votato l’anno.

PRESIDENTE. Lei mantiene o meno la sua proposta di votazione per divisione?

LA MALFA, Relatore. Non ho nulla in contrario; però bisogna veder come si farà tecnicamente.

PRESIDENTE. Pongo, allora, in votazione, la prima parte dell’emendamento:

«L’imposta è dovuta sui valori definitivamente accertati ai fini dell’imposta ordinaria sul patrimonio per l’anno 1947».

(È approvata).

SCOCA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Onorevole Scoca, doveva chiederla prima. Ormai si è in votazione.

Pongo ai voti la seconda parte:

«Per le società per azioni e in accomandita per azioni l’imposta è dovuta sui valori che saranno definitivamente accertati ai fini dell’imposta di negoziazione per l’anno 1947».

(Dopo prova e controprova è approvata).

L’onorevole Scoca mi scuserà se non gli ho dato facoltà di parlare per dichiarazione di voto, ma le dichiarazioni di voto si fanno prima che si metta in votazione l’emendamento.

SCOCA. Se mi consente, onorevole Presidente, desidero dire che credo che quando la votazione si fa per divisione, si tratta di due votazioni distinte. Volevo dar ragione del mio voto contrario, per motivi tecnici.

PRESIDENTE. Onorevole Scoca, quando è annunciata la divisione, si è già in votazione.

Prego l’onorevole Relatore di esprimere il suo parere sugli altri emendamenti.

LA MALFA, Relatore. Vorrei prendere occasione dagli emendamenti presentati all’articolo 68 per portare l’Assemblea a valutare di nuovo in tutta la sua portata e nei suoi punti cardinali il progetto di legge che stiamo esaminando.

Io non sono d’accordo con l’onorevole Scoca che non si debba tener conto dell’imposta progressiva quando si esamina l’imposta proporzionale. Credo che da questo punto di vista l’onorevole Scoccimarro abbia ragione. Del resto è un concetto che ho sviluppato quando abbiamo parlato dell’articolo 29 riguardante le aliquote dell’imposta progressiva. Se noi vogliamo fare un giusto apprezzamento dei due tipi di imposta – proporzionale e progressiva – e vogliamo misurare la giustizia fiscale dei due tipi d’imposta, dobbiamo aver presenti tutte le condizioni e tutto il gravame fiscale che si ha in conseguenza delle due imposte; come, se venisse il terzo Titolo sugli enti collettivi, noi dovremmo aver presente la tassazione degli enti collettivi per giudicare se questo provvedimento risponda a certi principî di giustizia fiscale e alle necessità del bilancio dello Stato. E soprattutto – per me – in sede di Commissione, l’imposta proporzionale è stato il punto decisivo per giudicare delle aliquote dell’imposta progressiva.

Perché, onorevoli colleghi, noi non possiamo esaminare questo progetto articolo per articolo e a colpi di maggioranza creare una situazione in un articolo o un’altra situazione in un altro articolo. Dobbiamo avere il senso dell’equilibrio e, in qualsiasi punto diamo un giudizio, dobbiamo darlo con riferimento al complesso, altrimenti avremmo un’accozzaglia di disposizioni senza senso comune.

Anche per me, vi confesso, quando si è trattato di giudicare l’imposta proporzionale è sorto un dubbio: che cos’è l’imposta proporzionale? È un’imposta del 4 per cento che comincia a colpire i patrimoni da 100 mila lire in su. Devo dichiarare che 100 mila lire non costituiscono un valore effettivo, ma un valore fiscale. È un’osservazione che hanno fatto molti colleghi che mi hanno preceduto. Comunque, è un valore minimo imponibile e va preso come punto di partenza nel giudicare l’imposta. Non sono imponibili rivalutabili secondo la svalutazione della lira perché, per esempio, i valori terrieri del 1937-1939 sono stati moltiplicati per dieci e sappiamo che i valori delle terre e delle culture si possono moltiplicare per venti ed anche più.

Accettando come punto di partenza le 100 mila lire di imponibile, da questo punto di partenza si deve costruire tutto il sistema dell’imposta in maniera che la pressione fiscale risulti progressivamente crescente in relazione al patrimonio. Questo e soltanto questo vuol dire progressività dell’imposta.

Ed ecco che in materia di imposta progressiva – l’onorevole Scoccimarro lo ricorderà – io ho proposto, e sono rimasto solo in Commissione, di abbassare il minimo imponibile. Poiché si parte dal 4 per cento su 100 mila lire di imponibile fiscale non posso ammettere che si paghi il 6 per cento a partire da tre milioni. Io tendevo non ad esentare perché – l’ho già detto in questa sede – la situazione del bilancio dello Stato non consente esenzioni, ma a raggiungere la giustizia di questa imposta, che se è gravosa per i piccoli, deve essere gravosissima per i medi e i grandi patrimoni.

Ho sentito parlare di tre milioni come di una piccola somma. Ma in Commissione ho combattuto per ridurre il minimo imponibile ad un milione e mezzo, e sono rimasto solo. I colleghi di sinistra e di destra che fanno parte della Commissione lo ricorderanno.

C’è l’emendamento del Gruppo liberale che vuol abbassare il minimo imponibile ed aumentare la detrazione portando il minimo a cinque milioni e la detrazione a tre milioni. Mi oppongo decisamente a questo emendamento, attraverso il quale il Gruppo liberale ha inquadrato in un certo senso un settore di contribuenti, ma non in relazione al modo in cui l’imposta incide nei vari settori di contribuzione. Quando ho un imponibile di 100 mila lire tassato al 4 per cento, nessuno può chiedere che un imponibile di tre milioni sia tassato al 6 per cento. E così via di seguito. Man mano che si sale da tre milioni, si deve gravare la situazione del contribuente. Questo spiega perché la Commissione abbia modificato le aliquote. Non aveva altro metodo per rendere giustizia tributaria e soddisfare le esigenze del bilancio dello Stato.

Se giudichiamo l’imposta al di fuori – lasciatelo dire a me che come Presidente della Commissione sono in una posizione singolare –, se giudichiamo tutto il sistema dell’imposta al di fuori degli interessi politici particolari, rileviamo la necessità di garantire un equilibrio fiscale. E questa dell’equilibrio fiscale non è una questione in cui si può andare per maggioranza o minoranza. Si tratta di una questione fondamentale.

La tassazione degli enti collettivi non possiamo vederla come una questione isolata da quella che è la costruzione dell’imposta: è un elemento necessario di perequazione tributaria, che a mio giudizio va tenuto presente. E anche se si fanno eccezioni particolari, se poniamo il punto di partenza col minimo di 100 mila lire, dobbiamo essere rigorosi nel dare un carico tributario ai grossi patrimoni.

Veniamo adesso agli emendamenti. Credo che l’approvazione dell’emendamento Pesenti, che abbiamo votato testé – ed io sono lieto che sia stato votato dalla maggioranza dell’Assemblea – ai fini di questa costruzione dell’imposta abbia avuto molta importanza. Ma questo emendamento, che è gravosissimo – non crediate che non sia gravoso – spiega la posizione che si deve prendere in altri problemi. Sono aspetti dell’imposta che vanno seriamente esaminati.

Dicevo: quale è la giustificazione del 4 per cento? E quali sono i problemi della tassazione nel campo della proporzionale? Questa è una imposta che già esiste. Il primo dato che l’Assemblea deve avere è questo: è una imposta che i contribuenti pagano. Ora, quando l’imposta è già pagata dai contribuenti, evidentemente non si può parlare di esenzione. L’imposta si pagava, si doveva pagane in dieci anni. Lo Stato annulla l’imposta dopo il decennio e la consolida e la fa pagare in un periodo più breve. Il problema che possiamo porre in materia d’imposta proporzionale è un problema di rateazione, non di esenzione; altrimenti a coloro che pagano l’imposta faremmo un trattamento migliore di quello che essi hanno avuto fino ad ora. Ora, stiamo applicando delle imposte straordinarie, cioè chiediamo un sacrificio al contribuente: non possiamo arrivare all’assurdo che il contribuente che pagava finora, per virtù di tassazione straordinaria rimanga esente dall’imposta. Al limite dovremmo per qualsiasi piccolo patrimonio – quindi anche per i patrimoni intorno alle 100 mila lire – rateare l’imposta in dieci anni. E questo non solo è vero per i contribuenti privati – e mi rivolgo all’onorevole Vigorelli – ma per gli istituti di beneficenza. Vedo emendamenti che parlano di esentare gli istituti di beneficenza dall’imposta. Io dico: gli istituti di beneficenza hanno finora pagato questa imposta. Se voi volete fare agevolazioni, dovete fare pagare l’imposta in dieci anni, ma non esentare gli istituti.

Noi possiamo decidere, se mai, come deve essere rateata l’imposta per certi tipi di contribuenti; ma non dobbiamo decidere sgravi d’imposta.

Se questa è la posizione che l’Assemblea fa sua, noi non possiamo accettare nessuno di questi emendamenti in sede di articolo 68; ma dobbiamo rinviare la discussione di possibili agevolazioni per i contribuenti in sede di articolo 72: cioè tutti gli emendamenti che tendono a creare una posizione di privilegio del contribuente in questa sede, e quindi tendono ad annullare l’imposta, non dovrebbero essere accolti dall’Assemblea; mentre quelli che hanno la preoccupazione da cui sono ispirati e l’emendamento Scoccimarro e l’emendamento Mazzei ed altri emendamenti potrebbero trovare più opportuna sede attraverso un accordo (e mi riferisco alla proposta dell’onorevole Dugoni) in sede di articolo 72.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. In questa discussione, il Governo ha la fortuna e la disgrazia di dover parlare dopo l’onorevole Relatore e siccome l’onorevole La Malfa è tecnico che sa sviscerare così a fondo i diversi problemi, al Governo resta quasi sempre ben poco da aggiungere.

Vorrei dire che la tentazione di accordare concessioni, di allargare le zone delle esenzioni, di diminuire le aliquote, ecc. è una tentazione forte per tutti, può essere forte soprattutto per il Governo; ma è dovere del Governo di difendere determinate posizioni. Ed è per questa necessità che il Governo deve purtroppo respingere tutto quello che può significare riduzione di aliquote per determinate zone o concessione di particolari esenzioni. Non sto a ripetere quanto hanno già detto alcuni onorevoli colleghi in merito alla portata del limite delle 100 mila lire. Vorrei solo ricordare che sopra 9 milioni e 600 mila articoli di ruolo di imposta terreni, oltre 8 milioni di questi sono già esenti attraverso il limite delle 100 mila lire. È un dato su cui prego di riflettere.

Ora, nei riguardi dell’emendamento «centrale», che è quello degli onorevoli Pesenti e Scoccimarro, per le ragioni di ordine generale che non consentono riduzioni di aliquote in un’imposta reale, io devo dichiarare che non posso aderire; ma vorrei fare presente che l’emendamento proposto, per lo meno a mio sommesso avviso, non raggiungerebbe il risultato che i proponenti intendono perseguire.

Occorre ricordare che qui si tratta di anticipo di un’imposta che veniva già pagata nel passato.

Il problema della facilitazione si riconnette ad una difficoltà di cassa in cui alcuni contribuenti si possono trovare per far fronte al pagamento tempestivo delle 10 bimestralità, perché, se questa difficoltà di cassa non esistesse per alcuno, non vi sarebbe ragione di proporre la concessione di riduzioni in sede di capitalizzazione di un’imposta che già si pagava in permanenza. Ora, se non erro, la procedura che deriverebbe dall’emendamento dell’onorevole Pesenti, sarebbe la seguente: Fermo restando il corso della riscossione del ruolo – e gli onorevoli Pesenti e Scoccimarro, che hanno provato l’onere del Governo, con quel senso di responsabilità che ancora li accompagna sul banco di deputati, non potevano che partire dal principio che il ruolo continuasse ad avere il suo corso – occorrerebbe attendere il risultato dell’accertamento per constatare se si verificano le condizioni volute, cioè per constatare che il contribuente non raggiunge il minimo imponibile, o che esso è compreso entro una determinata zona tassabile.

Io credo che si arriverebbe a fare queste constatazioni e a concedere i relativi sgravi, solo dopo la riscossione dell’imposta. Questa è una considerazione di ordine pratico. Resta però ferma la ragione fondamentale già accennata, per cui non si potrebbe accedere ad una riduzione di aliquote. Il Governo però è perfettamente d’accordo sul concetto di attenuare, per quanto possibile, le difficoltà di pagamento nelle quali parecchi contribuenti possono trovarsi.

Ho accennato, in sede di discussione generale, che una lunga rateizzazione sarebbe stata concessa agli enti morali ed alle Opere pie, ai proprietari di fabbricati vincolati, ai modesti proprietari di terreni e fabbricati.

L’onorevole Veroni aveva aggiunto la raccomandazione per i sinistrati. Su questa strada il Governo è disposto volentieri ad accettare degli emendamenti, soprattutto nel quadro dell’emendamento Cappi ed altri, per il quale, attraverso una larga facilitazione per il riscatto, si potranno anche indurre moltissimi a rinunciare a questa maggiore rateizzazione.

Pertanto, in linea di massima, il Governo può prendere in considerazione l’emendamento Cappi; non però così come è stato formulato.

PRESIDENTE. Ma questo riguarda l’articolo 72.

PELLA, Ministro delle finanze. Va bene, allora ne riparleremo in sede di articolo 72.

VIGORELLI. Desidererei che il Ministro esponesse esplicitamente le ragioni per le quali non accetta il mio emendamento.

PELLA, Ministro delle finanze. Il ragionamento è molto semplice. Si può chiedere che questo nuovo provvedimento non comporti un maggior aggravio per qualcuno, ma sarebbe pretendere troppo se si chiedesse di arrivare, attraverso il provvedimento stesso, a sgravare qualcuno di un tributo esistente. Ora, se per effetto di altri emendamenti si giungesse alla rateizzazione decennale, gli enti così autorevolmente patrocinati dall’onorevole Vigorelli finirebbero per essere avvantaggiati lo stesso, perché dopo i dieci anni non pagherebbero più.

PRESIDENTE. Comunque, onorevole Vigorelli, il suo è un articolo aggiuntivo. Se ne parlerà poi.

PELLA, Ministro delle finanze. L’emendamento Bovetti sarebbe assorbito nell’esame degli emendamenti all’articolo 72.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, l’emendamento che io credo debba essere posto in votazione con precedenza è quello presentato dagli onorevoli Pesenti, Scoccimarro, Lombardi Riccardo ed altri colleghi che, giustamente, il Ministro delle finanze ha definito «centrale».

Ricordo che esso è così formulato:

«I contribuenti che non risultano assoggettabili all’imposta progressiva di cui all’articolo 1, hanno diritto allo sgravio del 75 per cento dell’imposta proporzionale gravante sui cespiti mobiliari.

«Il diritto allo sgravio è del 50 per cento per i contribuenti il cui patrimonio accertato in base agli articoli 29 e seguenti sia compreso tra i 3 e i 5 milioni e del 25 per cento per i contribuenti il cui patrimonio sia compreso fra i 5 e i 10 milioni di cui allo stesso articolo 29.

«Lo sgravio è concesso su domanda del contribuente».

Su questo emendamento è stata presentata domanda di votazione per appello nominale e, successivamente, di scrutinio segreto.

Quest’ultima ha pertanto la precedenza.

Presentatori della domanda di scrutinio segreto sono gli onorevoli Medi, Garlato, Roselli, Delli Castelli Filomena, Bianchini Laura e numerosi altri.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Indico la votazione segreta sull’emendamento Pesenti-Scoccimarro.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione e invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto:

Presenti e votanti     308

Maggioranza           155

Voti favorevoli        147

Voti contrari             161

(L’Assemblea non approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Adonnino – Alberti – Allegato – Amadei – Amendola – Angelucci – Arcaini – Arcangeli – Assennato – Avanzini.

Bacciconi – Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basile – Bastianetto – Bei Adele – Belotti – Benedetti – Benvenuti – Bernamonti – Bernini Ferdinando – Bertini Giovanni – Bertola – Bertone – Bettiol – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Bitossi – Bocconi – Bonomelli – Bonomi Paolo – Bordon – Bosco Lucarelli – Braschi – Bubbio – Bucci – Bulloni Pietro – Burato.

Caiati – Camangi – Camposarcuno – Canevari – Cannizzo – Caporali – Cappa Paolo – Cappi Giuseppe – Cappugi – Capitani – Carbonari – Carboni Angelo – Carboni Enrico – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Caso – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavalli – Cavallotti – Cerreti – Cevolotto – Chatrian – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cifaldi – Cimenti – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Codignola – Colitto – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Colonnetti – Conci Elisabetta – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsanego – Corsi – Corsini – Costa – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo.

D’Aragona – De Caro Gerardo – Del Culto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Martino – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Di Giovanni – Di Vittorio – D’Onofrio – Dossetti – Dugoni.

Ermini.

Fabbri – Fabriani – Fantoni – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Ferreri – Fiore – Fioritto – Flecchia – Foa – Foresi – Franceschini – Fuschini.

Galati – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gavina – Ghidetti – Ghidini – Giacchero – Giacometti – Giolitti – Giordani – Giua – Gonella – Gorreri – Gotelli Angela – Grassi – Grazi Enrico – Grazia Verenin – Grieco – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto.

Iotti Leonilde.

Jacini – Jacometti.

Laconi – Lagravinese Pasquale – La Malfa – Landi – La Pira – La Rocca – Lazzati – Lettieri – Li Causi – Lizier – Lizzadri – Lombardi Carlo – Longo – Lozza.

Maffli – Magnani – Magrassi – Malagugini – Maltagliati – Mannironi – Manzini – Marazza – Marconi – Marinaro – Martinelli – Marzarotto – Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mattarella – Mattei Teresa – Mazza – Mazzei – Medi Enrico – Mentasti – Merlin Angelina – Mezzadra – Micheli – Minella Angiola – Molinelli – Monterisi – Monticelli – Montini – Morandi – Moranino – Moro – Mortati – Moscatelli – Musolino.

Nasi – Negarville – Negro – Nenni – Nobili Tito Oro – Noce Teresa – Notarianni – Novella.

Pajetta Gian Carlo – Pallastrelli – Paris – Parri – Pastore Giulio – Pastore Raffaele – Pat – Pecorari – Pella – Pera – Perassi – Perlingieri – Pertini Sandro – Pesenti – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pignedoli – Platone – Ponti – Pressinotti – Preziosi – Priolo – Proia – Pucci.

Quintieri Adolfo.

Rapelli – Reale Eugenio – Recca – Rescigno – Restagno – Ricci Giuseppe – Rivera – Rodi – Rodinò Mario – Roselli – Rossi Giuseppe – Rossi Paolo – Ruggeri Luigi.

Saccenti – Saggin – Salerno – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Santi – Sardiello – Scarpa – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Secchia – Sereni – Sicignano – Silipo – Spallaci – Spano – Spataro – Stampacchia – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.

Targetti – Taviani – Tega – Terranova – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Togni – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Trimarchi.

Uberti.

Valenti – Valiani – Valmarana – Vernocchi – Veroni – Viale – Vicentini – Vigna – Vigo – Vigorelli – Vischioni.

Zanardi – Zuccarini.

Sono in congedo:

Ambrosini – Arata.

Bellavista – Bernabei.

Fedeli Aldo – Ferrarese.

Galioto.

Lombardo Ivan Matteo.

Matteotti Matteo.

Pignatari.

Raimondi – Ravagnan.

Saragat.

Tomba.

Zotta.

Si riprende la discussione del disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

PRESIDENTE. Passiamo all’emendamento a firma degli onorevoli Crispo, Morelli Renato, Bozzi, Cifaldi, Perrone Capano e Rubilli:

«Aggiungere dopo il primo comma il seguente:

«Per i fabbricati soggetti a regime vincolistico l’aliquota è del 2 per cento sui valori definitivamente accertati ai fini dell’imposta ordinaria per l’anno 1947, prendendosi a base di quest’ultima i valori accertati per il prestito immobiliare 1936».

In assenza di tutti i presentatori, si intende decaduto.

Segue l’emendamento dell’onorevole Bonomi Paolo:

«Dopo il primo comma, aggiungere il seguente:

«I contribuenti che non risulteranno assoggettabili all’imposta progressiva di cui all’articolo 1 avranno diritto allo sgravio del 50 per cento dell’imposta proporzionale gravante su cespiti immobiliari. Lo sgravio è accordato su domanda della parte».

Onorevole Bonomi, lo mantiene?

BONOMI PAOLO. Sì.

PRESIDENTE. Lo pongo in votazione.

(Non è approvato).

Segue l’emendamento dell’onorevole Mannironi:

«Tra il primo ed il secondo comma inserire il seguente:

«Per la Sardegna, nella valutazione dei patrimoni da farsi a norma del decreto legislativo 31 ottobre 1946, n. 382, si adotterà il coefficiente di maggiorazione 6 per i terreni e 3 per i fabbricati».

Non essendo presente l’onorevole Mannironi, s’intende che vi abbia rinunciato.

LUSSU. Lo faccio mio.

PRESIDENTE. Pongo allora ai voti l’emendamento Mannironi che l’onorevole Lussu ha fatto proprio.

(Non è approvato).

Segue l’emendamento dell’onorevole Mazzei:

«Dopo il primo comma aggiungere:

«Quando il minimo imponibile ai fini del pagamento dell’imposta ordinaria sia inferiore alle lire 200 mila, i contribuenti saranno esentati dal pagamento dell’imposta straordinaria proporzionale».

Non essendo presente l’onorevole Mazzei, s’intende che vi abbia rinunciato.

DE VITA. Lo faccio mio.

DUGONI. Anch’io lo riprendo, insieme con il mio.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Per le stesse ragioni per cui non ho potuto dare parere favorevole all’emendamento dell’onorevole Pesenti e degli altri colleghi, non posso accogliere l’emendamento dell’onorevole Mazzei.

PRESIDENTE. Sta bene: lo pongo ai voti.

(Non è approvato).

Passiamo allora all’emendamento degli onorevoli Micheli, Valenti, Fantoni, Tessitori, Marconi, Pallastrelli, Canepa:

«Aggiungere, in fine:

«Sono esenti dall’imposta straordinaria proporzionale i terreni esentati dall’imposta fondiaria a norma del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 7 gennaio 1947, n. 12».

I presentatori lo mantengono?

MICHELI. Sì.

PRESIDENTE. Lo pongo ai voti.

(Non è approvato).

Vi è ora l’emendamento degli onorevoli Vigorelli, D’Aragona, Preti, Corsi e Tremelloni, che propongono un articolo 68-bis così formulato:

«Sono esenti dall’imposta i patrimoni mobiliari e immobiliari delle Istituzioni pubbliche di assistenza, compresi gli Enti comunali di assistenza (e Opere pie dipendenti), che fruiscono di contributi permanenti dello Stato».

I presentatori lo mantengono come articolo aggiuntivo al 68?

VIGORELLI. Sì.

CORBINO. Ma l’emendamento è identico a quello Bovetti, rinviato all’articolo 72!

SCOCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCA. Su questo argomento ci sono vari emendamenti e non solo quello dell’onorevole Vigorelli. Come abbiamo rimandato all’articolo 72 gli altri, non c’è ragione che non rimandiamo anche questo. Se votiamo su questo dobbiamo votare anche sugli altri, ed anche su quello Bovetti.

PRESIDENTE. Faccio presente che l’emendamento Bovetti è stato rimandato all’articolo 72 perché l’onorevole Bovetti vi ha consentito.

SCOCA. È la Commissione che aveva chiesto questo.

PRESIDENTE. Il Relatore della Commissione ha fatto questa proposta, che ha coinciso con quella dell’onorevole Bovetti.

VIGORELLI. Vorrei chiarire che nel mio emendamento si parla di esenzione, non di rateazione e credo che questa sia la sede più adatta per discutere il mio emendamento.

SCHIRATTI. Propongo formalmente di rinviare.

VIGORELLI. Mi dichiaro contrario a questa proposta.

Siamo in sede di articolo 68, che determina i casi in cui si applica l’imposta. Io chiedo che in questa sede – che è la sola sede utile – siano stabilite anche le esenzioni. Io parlo, ripeto, di esenzioni e non di rateazioni.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Vorrei fare rilevare al collega Vigorelli che la questione da lui sollevata è di estrema gravità perché si tratta dell’imposizione sui patrimoni degli enti di assistenza e beneficenza. È una questione di carattere generale. Oggi si discute di una imposta non di carattere personale, ma reale. Ora, una questione di questo genere (il collega Vigorelli me lo consenta) non possiamo risolverla e deciderla in una votazione affrettata in cui tutti abbiamo, in certo senso, il desiderio di concludere in qualunque modo. Il problema esiste, ma non esiste soltanto per questa imposta: esiste per l’imposta fondiaria, esiste per tutti gli altri tipi di imposte reali che colpiscono il patrimonio degli enti di assistenza. Ecco perché vorrei che il problema fosse rimandato all’articolo 72 per avere il tempo di esaminarlo con più calma.

PRESIDENTE. Pongo ai voti la proposta dell’onorevole Schiratti di rinviare l’emendamento Vigorelli all’articolo 72.

(È approvata).

Vi è un emendamento analogo dell’onorevole Basile. Domando al proponente se consente a rinviare anche il suo emendamento all’articolo 72.

BASILE. Sì.

PRESIDENTE. L’articolo 68 si intende allora approvato con gli emendamenti testé votati.

Passiamo all’articolo 69, che la Commissione accoglie nel testo ministeriale. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Gli Uffici distrettuali delle imposte dirette procedono alla liquidazione dell’imposta dovuta ai sensi dell’articolo precedente senza notificazione ai contribuenti».

PRESIDENTE. Su questo articolo vi è un emendamento aggiuntivo dell’onorevole Schiratti così concepito:

«Aggiungere il seguente comma:

«I contribuenti che hanno subìto danni per eventi bellici e della cui conseguente diminuita consistenza patrimoniale non sia stato tenuto conto nel determinare l’imponibile ai fini dell’imposta straordinaria proporzionale, debbono denunciare tale loro diminuita consistenza patrimoniale entro il 30 settembre 1947. Le conseguenti variazioni ed i relativi conguagli troveranno applicazione nei ruoli 1948».

FELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Nel suo emendamento l’onorevole Schiratti chiede che sia data la possibilità ai contribuenti che hanno avuto gli immobili lesionati, di poter chiedere la rettifica del loro imponibile entro il 30 settembre 1947.

Sono lieto di comunicare all’onorevole Schiratti che in questi giorni è già stato adottato un provvedimento con cui si dà la possibilità di chiedere la revisione entro il 31 dicembre 1947. E siccome nel più c’è il meno, evidentemente la richiesta dell’onorevole Schiratti è già accolta in questo provvedimento.

PRESIDENTE. Onorevole Schiratti, mantiene il suo emendamento?

SCHIRATTI. Date le assicurazioni del Ministro, ritiro l’emendamento.

PRESIDENTE. L’articolo 69 si intende allora approvato nel testo proposto.

Segue un emendamento dell’onorevole Veroni contenuto in un articolo aggiuntivo 69-bis, così concepito:

«Nel determinare l’imponibile ai fini dell’imposta straordinaria proporzionale dovrà tenersi conto della diminuita consistenza patrimoniale causata da eventi bellici. Tale diminuita consistenza dovrà essere denunciata entro il 15 ottobre 1947 e le conseguenti variazioni e i relativi conguagli troveranno applicazione nei ruoli 1948».

Onorevole Veroni, mantiene questo suo emendamento?

VERONI. Prendo atto anch’io delle dichiarazioni del Ministro e ritiro l’emendamento.

PRESIDENTE. Passiamo allora all’articolo 70. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Qualora, alla data di entrata in vigore del presente decreto, non esista un valore definitivamente accertato per il 1947 ai fini dell’imposta ordinaria sul patrimonio, l’imposta è provvisoriamente liquidata sul valore iscritto a ruolo per l’anno 1947, salvo conguaglio.

«Nei riguardi delle società ed enti assoggettabili all’imposta ordinaria sul patrimonio con le norme di cui all’articolo 21 e seguenti del regio decreto-legge 12 ottobre 1939, numero 1529, convertito nella legge 8 febbraio 1940, n. 100, l’imposta è liquidata sul valore provvisoriamente iscritto a ruolo per l’anno 1947, salvo conguaglio».

Poiché non vi sono emendamenti al testo governativo, l’articolo 70 si intende approvato.

Segue l’articolo 71. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Gli enti di qualsiasi specie e le società commerciali tenuti al pagamento dell’imposta prevista nell’articolo 68 sulle obbligazioni e sugli altri titoli di credito da essi emessi eseguono la ritenuta di detta imposta al momento della scadenza di ciascuna rata di interesse nel periodo dal 1° luglio 1947 al 31 dicembre 1948 e la versano in Tesoreria con le modalità previste nell’articolo 30 del regio decreto-legge 12 ottobre 1939, n. 1529, convertito nella legge 8 febbraio 1940, n. 100».

PRESIDENTE. Poiché anche su questo articolo non vi sono emendamenti al testo governativo, l’articolo si intende approvato.

Rinvio ad altra seduta il seguito della discussione.

Interrogazioni e interpellanze con richiesta di urgenza.

PRESIDENTE. Comunico che sono state presentate alla Presidenza alcune interrogazioni con richiesta di risposta urgente.

La prima è dell’onorevole Pertini:

«Al Ministro di grazia e giustizia, per sapere:

1°) se corrisponda alla verità la notizia data da un quotidiano di Roma e secondo la quale agenti di custodia delle carceri di Poggioreale (Napoli) avrebbero brutalmente seviziato e percosso detenuti, causando la morte di uno di essi;

2°) nel caso che detta notizia sia vera, quali provvedimenti intenda prendere, perché finalmente venga posto termine a questi atti disumani, veri reati, che se, come è ovvio, potevano impunemente essere consumati sotto il fascismo, sarebbe inconcepibile si continuasse a tollerarli anche nel nuovo regime democratico, il quale deve sentire, fra l’altro, l’altissimo compito di far rispettare la persona umana».

Chiedo al Governo quando intende rispondere.

CAPPA, Ministro della marina mercantile. Interesserò il Ministro competente, perché faccia sapere quando intende rispondere.

PRESIDENTE. Un’altra interrogazione è quella dell’onorevole Costa:

«Ai Ministri della difesa e del tesoro, per sapere se ritengano opportuno di promuovere un provvedimento legislativo sulle retrocessioni di immobili, per i quali sia stata sospesa la espropriazione per pubblica utilità dopo l’occupazione di urgenza oppure sia avvenuta requisizione di uso, in modo che, se siano state eseguite dallo Stato costruzioni in riferimento alle necessità militari, sia obbligatorio pagare il valore attuale dei miglioramenti, togliendosi la possibilità del privato arricchimento derivante dall’esercizio della facoltà di semplicemente rimborsare le spese di costruzione, attribuita dalla legislazione vigente».

Chiedo al Governo quando intende rispondere.

CINGOLANI, Ministro della difesa. Risponderò nella prima seduta in cui saranno all’ordine del giorno le interrogazioni.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Costa, Bettiol, Merlin Angelina e Gui hanno presentato la seguente interrogazione con richiesta di risposta urgente:

«Ai Ministri dei lavori pubblici, della pubblica istruzione e del tesoro, per sapere se sia vero che, mentre è già stato promulgato e pubblicato un decreto legislativo del Capo dello Stato, che proroga il termine per l’esecuzione del piano regolatore della città di Ferrara, viceversa non si intenda provvedere per analoga proroga del termine, scadente il 31 corrente, di esecuzione del piano regolatore della città di Padova, e ciò su invito, non prescritto, della Ragioneria generale dello Stato, mentre il Ministero dell’istruzione ancora non ha dato il parere prescritto di competenza propria».

Chiedo al Governo quando intende rispondere.

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Il Governo risponderà nella prima seduta in cui saranno poste all’ordine del giorno le interrogazioni.

PRESIDENTE. Vi è poi una interrogazione urgente dell’onorevole Dugoni:

«Ai Ministri delle finanze, del tesoro e della difesa, per conoscere quali azioni abbiano intrapreso per determinare e riassorbire gli illeciti profitti realizzati da persone ed enti sia in occasione del decreto del Commissario ministeriale Liguori del 14 settembre 1943, sia per finanziamenti, crediti ed assegnazioni di materie prime disposti posteriormente a tale data dal Governo di Salò e risoltisi in definitiva in un incremento patrimoniale privato non guadagnato».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

CINGOLANI, Ministro della difesa. Risponderò nella prima seduta in cui saranno poste all’ordine del giorno le interrogazioni.

PELLA, Ministro delle finanze. Faccio analoga dichiarazione.

PRESIDENTE. Seguono altre interrogazioni urgenti:

«Al Ministro del bilancio, per conoscere se non intenda favorire l’istituzione di un ente bancario piemontese, con sede in Torino, per evitare che i risparmi assorbiti in Piemonte vengano per la maggior parte destinati a finanziare iniziative di altre regioni, dato che le sedi principali delle banche sono a Roma e a Milano.

«Geuna, Giacchero».

«Ai Ministri del bilancio e del tesoro, per sapere se riconoscano la convenienza di promuovere la modificazione dell’articolo 16 del decreto legislativo presidenziale 27 giugno 1946, n. 37, sulla costituzione e sul funzionamento dei Provveditorati regionali alle opere pubbliche, per armonizzarlo con l’articolo 36 del decreto legislativo di pari data, n. 38, sulla Azienda nazionale autonoma delle strade statali, in maniera che anche per il Provveditorato regionale alle opere pubbliche di Venezia l’ufficio distaccato della Corte dei conti eserciti il riscontro soltanto successivo delle spese, limitando il controllo preventivo agli atti del magistrato.

«Costa».

Chiedo al Governo quando intende rispondere.

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Mi riservo di far conoscere quando il Governo potrà rispondere a queste due interrogazioni.

PRESIDENTE. Sono state infine presentate le seguenti interpellanze con richiesta di svolgimento urgente:

«Ai Ministri del tesoro e dell’agricoltura e foreste, per conoscere le ragioni che hanno indotto il Ministro del tesoro a vendere all’asta pubblica notevoli quantitativi di granone avariato giacenti presso la Federazione nazionale dei consorzi agrari e se intende usare il medesimo sistema per la vendita di altre ingenti quantità giacenti nelle medesime condizioni.

«Cremaschi Olindo, Bianchi Bruno, Gavina, Pastore Raffaele, Gorreri, Fantuzzi, Malagugini, Moranino, Lozza, Bucci, Caprani, Mezzadra, Lizzadri».

«Al Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere se e quali provvedimenti intenda adottare per eliminare le conseguenze che si sono determinate, a tutto danno per la produzione, in materia di pagamento di canoni di affitto in natura (grano) in seguito alla promulgazione del decreto che fissava in lire 4000 (quattromila) il quintale il prezzo del grano consegnato agli ammassi; e per sapere se e quali direttive intenda infine dare agli organi periferici delle provincie di Pavia e Como per permettere che le operazioni di trebbiatura e di consegna agli ammassi si possano svolgere in un clima di ordinato lavoro eliminando la grande tensione che minaccia di turbare la tranquillità di quelle laboriose popolazioni.

«Gavina, Cremaschi, Gorreri, Bianchi Bruno, Moranino, Lozza, Bucci, Caprani, Mezzadra, Fantuzzi, Lizzadri, Pastore Raffaele, Malagugini».

Chiedo al Governo quando intende rispondere a queste interpellanze.

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Dichiaro che il Governo risponderà alla prima di queste due interpellanze nella prima seduta dedicata alle interpellanze.

CAPPA, Ministro della marina mercantile. Per quanto riguarda la seconda interpellanza, interesserò il Ministro competente perché faccia conoscere quando intende rispondere.

Sui lavori dell’Assemblea.

FOA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FOA. Chiedo quando sarà discussa la mozione urgentissima presentata dall’onorevole Parri e di cui sono uno dei firmatari, concernente le elezioni del Consiglio Superiore della pubblica istruzione.

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Sono pronto a discutere la mozione nel giorno in cui si intenda fissarne lo svolgimento. Mi rimetto alla decisione dell’Assemblea.

LOZZA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LOZZA. Si tenga presente che le scuole stanno concludendo gli esami di Stato e che le scuole non hanno tranquillità. Le elezioni del Consiglio Superiore avranno luogo il 26, è quindi urgente che il Ministro dica la sua parola.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. La questione è estremamente importante. L’onorevole Ministro – e di questo noi gli siamo grati – si è rimesso all’Assemblea per la discussione di questa mozione. Come voi sapete, questa mozione è firmata da parecchi nostri colleghi ed ha avuto una precedente discussione attraverso un’interpellanza che ricorderete. Siccome il 26 di questo mese sono convocate le elezioni per il Consiglio Superiore, evidentemente il termine massimo per poter discutere questa mozione è domani; anche se la mozione si discute dopodomani, non si avrà più il tempo di fermare la macchina elettorale. (Commenti).

GRONCHI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRONCHI. Noi non intendiamo che si rinvii sine die; intendiamo di prendere tempo fino a domani per armonizzare la discussione di questa mozione, alla quale non vogliamo fare affatto opposizione, col resto dei lavori parlamentari. Il che vuol dire che domani, nella seduta del pomeriggio potrà essere fissato il giorno di discussione della mozione. (Commenti).

CODIGNOLA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODIGNOLA. Mi dispiace di non poter aderire alla proposta dell’onorevole Gronchi perché questa mira evidentemente a portare la discussione, come minimo, al 24, cioè alla vigilia del giorno delle votazioni per le elezioni del Consiglio. Ora è chiaro che è del tutto vano discutere alla vigilia delle votazioni. Quindi mi pare che se vogliamo veramente discutere seriamente, come l’onorevole Gronchi ha confermato e come ha confermato l’onorevole Ministro, ci sono due strade: o discutere questa sera, o domani mattina. Non c’è altra possibilità.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Volevo pregare la Presidenza e l’Assemblea di lasciare la giornata di domani per la discussione della patrimoniale, perché abbiamo già delibato la questione degli enti collettivi e sarebbe interessante che domani la questione cominciasse ad essere esaminata a fondo, e possibilmente fosse definita.

Io credo che questo sia armonizzabile con i desideri dell’onorevole Lussu e dell’onorevole Codignola.

LUSSU. Questo problema è ugualmente importante quanto quello finanziario. (Commenti al centro e a destra).

PRESIDENTE. Prego il Ministro della pubblica istruzione di voler fare una proposta precisa.

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. A termini di regolamento, l’Assemblea decide: mi rimetto all’Assemblea.

LOZZA. Se l’onorevole Ministro rimandasse le elezioni provvisoriamente all’inizio del nuovo anno scolastico, potremmo rimandare la discussione di alcuni giorni. (Commenti al centro).

GRONCHI. Io ho proposto, che per porre la discussione di questa mozione in armonia con il corso dei lavori parlamentari, nella seduta di domani sia stabilito il giorno della discussione che, secondo me, potrebbe essere dopodomani, nella mattina o nel pomeriggio.

Voci a sinistra. Troppo tardi!

LA MALFA. Faccio presente che la Commissione avrà bisogno della mattinata di domani per discutere la questione della tassazione degli enti collettivi e le altre questioni rimaste in sospeso per la patrimoniale.

Quindi noi non siamo in grado domani mattina di continuare la discussione sulla patrimoniale.

SANSONE. Propongo formalmente che la mozione sia discussa nella seduta di domani mattina alle 9.30 e prego il Presidente di porre in votazione la mia proposta. (Commenti – Rumori prolungati).

DUGONI. Il Governo deve dire che cosa pensa della proposta dell’onorevole Lussu. (Commenti al centro e a destra – Rumori – Richiami del Presidente).

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Ripeto che il Governo si rimette alla decisione dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Pongo ai voti la proposta dell’onorevole Sansone, di fissare per domani mattina la discussione della mozione.

(Non è approvata – Proteste e rumori a sinistra – Commenti al centro e a destra – Scambio di vivaci apostrofi).

PRESIDENTE. Avverto che domani si terranno due sedute alle ore 10.30 e alle ore 17 per il seguito della discussione sulla patrimoniale.

Interrogazioni e interpellanza.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni e di una interpellanza pervenute alla Presidenza.

AMADEI, Segretario, legge:

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, sulle condizioni del bando di concorso per titoli a 6 posti di provveditore agli studi, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 18 giugno 1947. Il bando presenta le seguenti anomalie:

1°) l’assegnazione di un termine di 20 giorni per la presentazione della domanda e dei documenti, invece di 60, come disposto per gli altri concorsi, termine che non appare sufficiente a chi, risiedendo lontano dal centro, non è in grado di provvedersi dei necessari documenti;

2°) l’attribuzione di punti 40, sui 100 di cui può disporre la Commissione, al servizio lodevolmente prestato, quale reggente provveditore dopo la liberazione.

«Sembra un concorso su misura a favore di determinate persone.

«Ragioni di equità impongono l’annullamento del bando, perché sia elevato il termine di presentazione della domanda e dei documenti e sia convenientemente ridotto il numero dei punti da assegnare al servizio prestato quale reggente.

«Di Giovanni, Tonello».

«I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri dell’industria e commercio, delle finanze e dei lavori pubblici, per conoscere se ravvisino di prorogare per un decennio le disposizioni della legge 5 dicembre 1941, numero 1572, concedente agevolazioni agli impianti industriali dell’Italia centro-meridionale, iniziati entro il termine del 31 dicembre 1946 e ciò sia in considerazione del fatto che, a causa del periodo bellico, la detta legge non ha potuto avere pratica attuazione, sia in considerazione della necessaria evoluzione industriale dell’Italia centro-meridionale, resa più urgente dalle distruzioni belliche e costituente un aspetto primario del problema meridionale.

«Perlingieri, Moro, Bettiol, Salvatore, Bosco Lucarelli, Fuschini, Ermini, Rescigno, Recca, Uberti, Gabrieli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere se non ritenga di disporre – in considerazione del continuo depauperamento della terra delle colline, provocato dalle piogge e dalle annuali e superficiali coltivazioni – che sulle colline, specie a forte pendio, siano sospese le coltivazioni superficiali, sia impedito il depauperamento della terra (muratura, palizzate) e sia favorita in ogni modo la piantagione di alberi a profonde e fitte radici.

«Lettieri».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se ha in programma l’elevazione culturale e tecnica dei medici che intendono dedicarsi alla condotta, la quale, specie se è espletata in paesi lontani da centri ospedalieri ed universitari, richiede nel sanitario cognizioni precise di diagnostica e di pronto soccorso.

«Il giovane medico si laurea generalmente ricco di cognizioni scientifiche, ma poco esperto nella pratica.

«L’interrogante crede sia il tempo di istituire per i giovani laureati, che desiderano avviarsi a diventare medici-condotti, corsi ospedalieri di tirocinio pratico per almeno due anni.

«Si dovrebbero creare, cioè, scuole statali per la preparazione del medico-condotto.

«Lettieri».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere il suo interessamento per combattere l’analfabetismo, che è sempre in aumento nell’Italia meridionale, e per impedire la mancanza di stabilità degli insegnanti, i quali, in questo loro servizio ambulante, spesso a causa della pioggia, della neve, del freddo, disertano le scuole e con la loro assenza favoriscono la negligenza degli alunni.

«Lettieri».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere se non creda opportuno favorire ed incoraggiare l’allevamento del baco da seta e l’allevamento delle api, per incrementare la produzione e la ricchezza nazionale.

«Lettieri».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere le ragioni per cui sono rimasti sospesi i lavori stradali fra Sacco e Roscigno, fra Orria e Omignano Scalo, fra Perito ed Ostigliano, tutti paesi della provincia di Salerno, costretti, per la incompiuta opera di cui sopra, a fare lunghissimi e disagiati tragitti per raggiungere i rispettivi scali ferroviari.

«Lettieri».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere:

1°) se il Commissariato nazionale della G.I. (Gioventù Italiana), creato con decreto del 2 agosto 1943 con il compito di reperire il patrimonio della ex GIL e di predisporre i lavori di una Commissione interministeriale per decidere sulla destinazione di quel patrimonio, abbia espletato il suo compito e con quali conclusioni;

2°) se non si ritiene improrogabile imporre a partiti politici e ad enti l’immediata restituzione allo Stato degli immobili e delle attività tutte della ex GIL, di cui sono in illegittimo possesso o fanno arbitrario uso;

3°) se non sembra opportuno ed urgente che l’intero patrimonio della ex GIL venga conferito all’Ente dei patronati scolastici, tenendo presente che solo con questa destinazione quel cospicuo patrimonio del popolo italiano può considerarsi restituito al legittimo uso, fuori di ogni passione politica.

«Tumminelli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e i Ministri degli affari esteri e delle finanze, per conoscere se – esaminato l’articolo 9, n. 3, del Trattato di pace tra le Potenze alleate ed associate e l’Italia, firmato a Parigi il 10 febbraio 1947, per il quale il Governo italiano si impegna a indennizzare i cittadini italiani, i cui beni saranno confiscati ai sensi del presente articolo e non saranno loro restituiti; considerato che, cittadini italiani, già residenti fino allo scoppio della guerra in Paesi alleati e associati e nei territori da essi dipendenti, avevano ivi col loro tenace lavoro e con l’intelligente loro iniziativa creato la loro fortuna economica, dovuta abbandonare per il coatto loro rimpatrio; ritenuto che tali cittadini rimasti sul lastrico, si dibattono in Patria nelle angustie avvilenti di una immeritata miseria, privati, come sono, di tutti i beni che con dura fatica si erano creati, e che l’impegno del Governo italiano di risarcire i danni deriva non tanto dall’articolo 9, n. 3, dell’iniquo trattato di pace, quanto dalla morale dello Stato italiano e dal diritto che Roma ha sempre insegnato al mondo – in considerazione di quanto accennato, non ritengano essere necessario ed urgente di sovvenire con adeguate anticipazioni, in attesa del risarcimento definitivo, quei cittadini italiani, che privati di tutti i loro beni all’estero, languono in Patria nella più spaventosa indigenza, e ciò indipendentemente dall’entrata in vigore del Trattato di pace. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Mastrojanni».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere se non ricorrano ancora gli estremi che consigliano la continuazione «a porte chiuse» del processo Graziosi: perché sia diradata, nella fase conclusiva, l’insana atmosfera di delitto creata dalla stampa con la conseguente morbosa partecipazione della pubblica opinione al dibattito, così da turbare l’alto isolamento che si addice alla giustizia; e perché dalla devastazione, dalla cruda vivisezione di corpi e di anime e dallo scempio dei più doloranti riposti segreti umani, sia sottratta la più vera vittima: la piccola inconsapevole creatura innocente, alla quale il tempo e la comprensione futura non potranno che apportare il crescente sovrumano peso della sciagura senza speranza. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Di Fausto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere per quali ragioni sono stati interrotti i lavori di bonifica del torrente Alento, il quale nel suo lungo decorso apporta ogni anno, nel periodo delle piogge, incalcolabili danni alle campagne che ne formano le sponde. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Lettieri».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del commercio con l’estero, per conoscere quali provvedimenti intenda adottare per fronteggiare la grave crisi che minaccia la produzione e l’industria serica nazionale a causa principalmente della rinata concorrenza giapponese e per conoscere se non intenda ovviare a tale situazione con la concessione di facilitazioni valutarie ai produttori esportatori e, in ispecie, acconsentendo a loro favore una percentuale di divisa estera superiore al 50 per cento, di guisa che il maggior margine possa costituire un compenso remunerativo delle maggiori spese di produzione; e per conoscere, altresì, se non ritenga di considerare la opportunità di graduare le disponibilità di divisa estera agli esportatori, sia in proporzione alle necessità delle singole categorie di provvedersi di materie prime provenienti dall’estero, sia in relazione alle necessità di adeguare i costi di produzione interna a quelli dei mercati internazionali. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bulloni».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere quali provvedimenti intenda adottare perché, in conformità con le richieste già da tempo avanzate dalle autorità accademiche dell’Università di Perugia, venga ufficialmente chiarita, nei rapporti del personale universitario, la situazione determinatasi in seguito a notizie apparse sulla stampa circa i pretesi risultati dell’inchiesta esperita alcuni mesi or sono dal Ministero dell’interno sul locale Ospedale civile.

«Risponde infatti ad una immediata esigenza dell’Università che una manifestazione ufficiale ridia a coloro che non hanno nulla da rimproverarsi la piena serenità indispensabile al migliore adempimento del loro ufficio. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Ermini».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per sapere se non ritenga necessario, al fine di eliminare un trattamento iniquo nei confronti dei piccoli agricoltori conduttori diretti nel campo dei contributi unificati in agricoltura, di porre allo studio la riforma della legge attuale che regola questa materia, modifica intesa nel senso che i contributi unificati non siano più corrisposti dagli agricoltori in base all’ettaro-coltura, ma sulla effettiva occupazione di mano d’opera extra famigliare.

«È noto infatti che il sistema dell’ettaro-coltura, se può essere gradito per i grandi agricoltori, non può più essere sopportato dai piccoli perché, non impiegando essi lavoratori avventizi o salariati al di fuori del proprio nucleo famigliare, si prodigano nei campi a seconda della stagione e l’urgenza dei lavori.

«Cade quindi con ciò il dato tecnico dell’ettaro-coltura nei riguardi della conduzione del terreno.

«La cura e la custodia del bestiame è per i piccoli agricoltori conduttori diretti un lavoro sempre compiuto extra orario (al mattino presto ed a sera molto inoltrata) affinché non vengano distolti i membri della famiglia dai lavori dei campi.

«Con il sistema dell’ettaro-coltura si vengono a colpire così molte aziende che, pur non collocando nessun lavoratore durante la intera annata, sono assoggettate a pagare contributi per lavoratori ipotetici aggiudicati loro dopo le detrazioni di legge delle giornate lavorative concesse ai conduttori diretti.

«È per questo che queste aziende chiedono che venga applicata loro non la legge dell’ettaro-coltura, ma quella della reale occupazione di mano d’opera. In questo modo ogni azienda, sia grossa sia piccina, pagherà effettivamente il contributo che le compete. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Bertola, Pastore Giulio».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro della difesa, sulla situazione dei proprietari di terreni situati nella zona del confine occidentale, che, alla vigilia della dichiarazione di guerra, furono occupati d’urgenza per opere militari e poi espropriati.

«Si tratta spesso di parcelle intensamente coltivate con impianti irrigui e serre che consentivano, su limitatissima superficie, il lavoro e il benessere di intere famiglie di proprietari.

«Le indennità computate in ordine ai valori 1939-40, furono pagate o versate alla Cassa depositi e prestiti nel 1946-47 e rappresentano sì e no un importo pari al 5 per cento dei valore attuale.

«Le opere militari si rivelarono inutili, o non furono eseguite, o risultarono abbandonate.

«L’interrogante chiede se non appaia giusto e utile all’economia nazionale, un provvedimento che consenta, quando ciò sia praticamente possibile, la restituzione degli appezzamenti ai proprietari espropriati, contro rinuncia della indennità e degli interessi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rossi Paolo».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e i Ministri dei trasporti e del tesoro, per sapere quanto ci sia di vero nella pubblicazione apparsa nel Giornale del Mezzogiorno di lunedì 21 luglio, n. 26, sotto il titolo «Scandalo all’ARAR senza precedenti – Un contratto sbalorditivo frutterà all’UNAM un miliardo ai danni dello Stato», nella quale si accenna alla cessione da parte dell’ARAR all’Unione aziende meccaniche (UNAM) di un quantitativo di 1800 motori GM Diesel per gruppi elettrogeni al prezzo di lire duecentosettantacinque mila ciascuno ed a condizioni di favore, mentre il prezzo degli stessi motori sul mercato italiano varia da lire novecento mila a tre milioni ciascuno; ciò che sottrae allo Stato un introito di circa un miliardo di lire.

«Data la gravità dell’argomento è necessario il più accurato accertamento dei fatti e delle eventuali responsabilità. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Di Giovanni».

«Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei Ministri ed il Ministro degli affari esteri, sulle direttive dell’Italia pel piano Marshall.

«Ruini».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

Così pure l’interpellanza sarà iscritta all’ordine del giorno, qualora il Ministro interessato non vi si opponga nel termine regolamentare.

La seduta termina alle 23.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 10.30 e alle ore 17:

Seguito della discussione sul disegno di legge:

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di un’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

ANTIMERIDIANA DI MARTEDÌ 22 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

cxcv.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI MARTEDÌ 22 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEL VICEPRESIDENTE TARDETTI

INDICE

Congedo:

Presidente

Comunicazione del Presidente:

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Romano

Moro

Fuschini

Codignola

Camposarcuno

Persico

Nobile

Paris

La seduta comincia alle 10.30.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Ha chiesto congedo l’onorevole Pignatari.

(È concesso).

Comunicazione del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che in sostituzione dell’onorevole Cicerone, dimissionario, ho chiamato a far parte della seconda Commissione permanente per l’esame dei disegni di legge l’onorevole Carboni.

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: «Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana».

Siamo giunti all’articolo 122 per il quale vi è una proposta della Commissione di rinviarlo, perché in esso si fa riferimento agli organi di controllo; e non si è ancora affrontato questo problema.

Ha facoltà di parlare l’onorevole Ruini.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il motivo è evidente. Sono state rinviate le norme sullo scioglimento dei Consigli regionali e sulle dichiarazioni di incostituzionalità delle leggi regionali. Un caso analogo di norme da rinviare è quello dei controlli amministrativi sugli atti delle regioni e degli enti locali. Si tratta anche qui di conoscere prima quali sono i criteri ed i principî che regolano gli organi fondamentali dello Stato in queste varie materie. Poiché si tratta in ogni modo di questioni e momenti secondari della vita regionale, che si possono rinviare, senza che sia turbata la determinazione, che abbiamo fatto, della struttura e del funzionamento fondamentale della Regione, anche per il 122, propongo il rinvio.

PRESIDENTE. Vi è dunque questa proposta della Commissione. Se nessuno chiede di parlare in proposito, resta stabilito che l’esame dell’articolo 122 viene rinviato e sarà ripreso quando saranno stati risolti i problemi che si riferiscono alla materia degli Statuti regionali.

(Così rimane stabilito).

L’onorevole Romano ha richiamato l’attenzione sul fatto che egli ha presentato la seguente proposta di articolo 121-bis.

«I Comuni e le Provincie esercitano la potestà regolamentare nei modi e nei limiti che la legge stabilirà».

L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il suo parere.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Mi pare che questa norma possa essere esaminata dopo le altre, perché è una norma aggiuntiva. Non vedo come possa essere collocata qui, dove si parla di altri argomenti. Ad ogni modo, se si deve entrare in materia, dichiaro che il Comitato non è favorevole a questa disposizione, perché stabilire che la legge determinerà i modi di fare i regolamenti, da parte di Comuni e Provincie, non è necessario, perché questi regolamenti sono ammessi fin d’ora.

Se mettiamo la parola «regolamento» entriamo nel dibattito che abbiamo voluto evitare; non parliamo di regolamento ma di norma legislativa della Regione. L’articolo proposto, quindi, non lo si ritiene né necessario – ché questo potere vi sarà sempre, la legge lo determinerà sempre – né opportuno perché farebbe aprire la questione dei regolamenti. Ad ogni modo, ripeto, non credo che dovrebbe essere collocato qui; si dovrebbe esaminare, in ogni caso, a proposito delle Provincie e dei Comuni. Comunque, la Commissione non è favorevole.

PRESIDENTE. Onorevole Romano, dopo le dichiarazioni dell’onorevole Ruini, mantiene il suo emendamento?

ROMANO. Lo mantengo, e rilevo che all’articolo 121 si prendono in esame i Comuni. Ecco perché avevo collocato qui il mio emendamento.

Effettivamente l’articolo aggiuntivo proposto non fa che affermare quanto già è acquisito al nostro ordinamento giuridico; ma io penso che quanto in esso è detto debba trovare il suo posto naturale nella Carta costituzionale.

Procedendo al nuovo ordinamento dello Stato, noi abbiamo riconosciuto l’esistenza della Regione, della Provincia e del Comune. Per la Regione, abbiamo stabilito all’articolo 109 la potestà di emanare norme giuridiche relativamente ad alcune materie che incidono sulla fisionomia etnica della Regione; non può quindi farsi a meno di affermare in quale maniera la Provincia ed i Comuni debbano emettere quei comandi nei quali si concretizza la loro vita. Specie il Comune, che è un piccolo Stato, le cui molteplici funzioni sintetizzano la vita del Paese. Sia il Comune che la Provincia debbono poter emettere delle norme, che possono riguardare materie diverse. Vi possono essere norme di polizia, che in virtù di un pubblico interesse impongono limiti negativi. Altre norme possono sottoporre i singoli, che vogliono spiegare una determinata attività, o al vincolo della preventiva denunzia da dare all’autorità amministrativa, o al vincolo della preventiva autorizzazione. Si può presentare la necessità di imporre limiti alla proprietà individuale, di imporre ai cittadini prestazioni di opere per l’espletamento di servizi pubblici; vi può essere la necessità di norme che disciplinino i servizi pubblici, di norme riguardanti l’igiene sanitaria, l’urbanistica, ecc.

A tutto questo si provvede con regolamenti: quindi necessità di una potestà regolamentare. E vero che questo è un istituto già acquisito dal nostro ordinamento giuridico, ma per ampiezza di espressione ritengo che sia naturale l’impostazione di questa norma nella Carta costituzionale.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il collocamento non può essere qui, dopo articoli che abbiamo rinviato ma non depennato e quindi torneranno a suo tempo. L’emendamento aggiuntivo Romano riguardante le Provincie ed i Comuni dovrebbe venire dopo l’articolo 121. Nel merito, il Comitato ritiene che l’esercizio di poteri regolamentari delle Provincie e dei Comuni nelle forme e nei modi di legge è istituto acquisito, che non ha d’uopo in una norma di Costituzione. Si aggiunga che questa nostra Costituzione delinea la figura delle Provincie e dei Comuni in un modo estremamente sintetico; e non entra in determinazioni più particolari, quale sarebbe questa dei regolamenti. Infine, e per il Comitato è decisivo, voi sapete perché non abbiamo voluto parlare di potestà e norme regolamentari, pur ammettendole, per la Regione. Tacere per la Regione, e parlare per gli altri enti locali, sarebbe asimmetria.

PRESIDENTE. L’onorevole Romano conserva il suo emendamento?

ROMANO. Molte cose sono acquisite nell’ordinamento giuridico: si è parlato del diritto al lavoro; si è parlato anche del paesaggio, ecc. Comunque io insisto nel mio emendamento.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento Romano.

L’onorevole Moro ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto. Ne ha facoltà.

MORO. Dichiaro che aderendo alle considerazioni fatte dal Presidente della Commissione, circa la superfluità di questa norma, noi voteremo contro l’emendamento Romano.

(L’emendamento non è approvato).

PRESIDENTE. Segue l’articolo 123. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Le Regioni sono così costituite:

Piemonte;

Valle d’Aosta;

Lombardia;

Trentino Alto-Adige;

Veneto;

Friuli e Venezia Giulia;

Liguria;

Emiliana lunense;

Emilia e Romagna;

Toscana;

Umbria;

Marche;

Lazio;

Abruzzi;

Molise;

Campania;

Puglia;

Salento;

Lucania;

Calabria;

Sicilia;

Sardegna.

«I confini ed i capoluoghi delle Regioni sono stabiliti con legge della Repubblica».

PRESIDENTE. Per questo articolo è pervenuta alla Presidenza una proposta del seguente tenore: «L’Assemblea rinvia la discussione dell’articolo 123 alla ripresa dei lavori». La proposta è firmata dagli onorevoli Fuschini, Nasi, Salvatori, Colitto, Spallicci, Mazza, Cannizzo, Carboni, Balduzzi e numerosi altri. L’onorevole Fuschini ha facoltà di svolgerla.

FUSCHINI. Mi pare che la ragione del rinvio di questo articolo 123 sia evidente. L’articolo 123 comporterà una discussione che non può essere compiuta in breve termine. Siccome ci troviamo di fronte allo scorcio dei lavori parlamentari – e del resto anche l’Assemblea è stanca del lungo lavoro fatto – credo che questa discussione, la quale riscalderà gli animi – perché si difendono interessi ritenuti legittimi per molti sensi – debba essere fatta in una situazione di quiete spirituale ed anche fisica.

Per questo io ho sottoscritto questa proposta, perché sia rinviata la discussione alla ripresa dei lavori parlamentari; cioè, questo sarà il primo argomento da discutere, salvo imprevisti.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ruini.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Si tratta di una questione di tecnica e di procedura dei lavori, che non implica un senso piuttosto che un altro di soluzione e non ha nessun significato sostanziale.

Il Comitato, che ha esaminato stamane la proposta, pur dolendosi che col rinvio si debba prolungare la discussione, ha ritenuto che, allo scopo di evitare, in questo scorcio di lavori, una affrettata e non completa disamina del problema, si debba rinviare.

Il Comitato, pertanto, aderisce alla proposta dell’onorevole Fuschini.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta di rinvio.

(È approvata).

Si passa all’articolo 124, che nel progetto è del seguente tenore:

«Lo statuto di ogni Regione è stabilito in armonia alle norme costituzionali, con legge regionale deliberata a maggioranza assoluta dei consiglieri e a due terzi dei presenti; e deve essere approvato con legge della Repubblica».

Il Comitato ha proposto la seguente nuova formulazione, comprensiva anche dell’articolo 119, che fu rinviato appunto per la sua connessione con l’articolo 124:

«Ogni Regione ha uno Statuto il quale, in armonia con la Costituzione e con le leggi della Repubblica, stabilisce le norme relative all’organizzazione interna della Regione, all’esercizio del diritto di iniziativa e del referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della Regione ed alla pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali.

«Lo Statuto è adottato con legge deliberata dal Consiglio regionale a maggioranza assoluta dei suoi membri, ed è approvato con leggi della Repubblica».

Ricordo che l’articolo 119 era nel progetto così formulato:

«Gli statuti regionali regolano l’esercizio dei diritti d’iniziativa e del referendum popolare in armonia con i principî stabiliti dalla Costituzione per le leggi della Repubblica.

«Gli statuti regionali regolano altresì il referendum su determinati provvedimenti amministrativi».

Sull’articolo 119 l’onorevole Codignola aveva presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«Gli statuti regionali regolano l’esercizio dei diritti d’iniziativa e di referendum popolare nei limiti delle attribuzioni deferite dalla presente Costituzione alla Regione».

L’onorevole Codignola, vi inviste?

CODIGNOLA. Rinunzio, perché la nuova formulazione proposta dalla Commissione mi sodisfa.

PRESIDENTE. Sempre sull’articolo 119 l’onorevole Perassi aveva presentato il seguente emendamento:

«Fondere gli articoli 119 e 124 nel seguente:

«Ogni Regione ha uno Statuto, il quale, in armonia con la Costituzione e con le leggi dello Stato, stabilisce le norme relative all’organizzazione interna della Regione, all’esercizio del diritto di iniziativa e del referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della Regione ed alla pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali.

«Lo Statuto è adottato con legge deliberata del Consiglio regionale a maggioranza assoluta dei suoi membri».

Ha facoltà di parlare il Presidente della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’emendamento Perassi è stato sostanzialmente accolto dalla Commissione. La differenza sola è questa: la Commissione ha ritenuto di aggiungere che lo Statuto, pur essendo adottato con legge della Regione, deve essere approvato con legge della Repubblica, perché riguarda materia di grande importanza e non deve mancare il coordinamento fra i criteri vigenti per le varie Regioni.

PRESIDENTE. Poiché l’Assemblea decise di esaminare contemporaneamente i due articoli, esaminiamo subito anche gli emendamenti presentati sull’articolo 124.

L’onorevole Codignola ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

Lo Statuto di ogni Regione è stabilito in armonia alle norme costituzionali con legge deliberata a maggioranza assoluta dei consiglieri, e deve essere approvato con legge della Repubblica».

L’onorevole Codignola insiste?

CODIGNOLA. Rinunzio.

PRESIDENTE. L’onorevole Mortati ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente, che risulta dalla fusione e coordinazione del primo, secondo e terzo alinea dell’articolo 109, dell’articolo 119, del secondo comma dell’articolo 121 e dell’articolo 124 del progetto:

«Lo Statuto di ogni Regione è stabilito, in armonia con la Costituzione e le leggi della Repubblica, mediante legge deliberata dal Consiglio regionale, alla presenza della maggioranza dei consiglieri e con il voto favorevole dei due terzi dei presenti.

«Esso conterrà le norme per l’organizzazione interna della Regione, per la modificazione delle circoscrizioni provinciali e comunali, per l’ordinamento della polizia locale urbana e rurale, per l’esercizio del diritto di iniziativa popolare e di referendum, e per quanto altro occorra all’adempimento dei compiti affidati all’ente».

Poiché l’onorevole Mortati è assente, l’emendamento si intende decaduto.

L’onorevole Camposarcuno ha presentato il seguente emendamento:

«Aggiungere:

«Ogni Statuto regionale deve contenere le norme per la propria revisione».

L’onorevole Camposarcuno vi insiste?

CAMPOSARCUNO. Insisto.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ruini.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato non ritiene di potere accettare l’emendamento Camposarcuno, redatto poco felicemente e tale da far pensare che la revisione possa esser fatta soltanto dalla Regione.

PRESIDENTE. Onorevole Camposarcuno, conserva il suo emendamento?

CAMPOSARCUNO. Il mio emendamento non ha bisogno di giustificazione, in quanto ogni statuto regionale deve contenere le disposizioni che possono dare la possibilità di modificarlo, quando le condizioni locali ed ambientali lo rendano necessario. È una norma che io penso sia utile inserire nella Costituzione, perché lo statuto regionale possa, a suo tempo, essere modificato, se le circostanze rendono ciò necessario. Perciò lo mantengo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ripeto, per l’emendamento Camposarcuno, che la Commissione non lo ritiene opportuno.

PRESIDENTE. Vi è ora un emendamento dell’onorevole Persico al nuovo testo, così formulato:

«Al secondo comma, alle parole: con legge della Repubblica, sostituire le altre: dal Presidente della Repubblica, previo parere del Consiglio di Stato».

Onorevole Persico, lo mantiene?

PERSICO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Presidente della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato ha considerato che gli statuti regionali conterranno norme in materia molto delicata, ad esempio, per il regolamento e le funzioni dell’Assemblea, che la Costituzione, come vi ricordate, non ha creduto di disciplinare direttamente, ma di rinviare agli statuti. Sembra al Comitato necessario che, all’approvazione degli statuti, occorra una legge dello Stato.

PRESIDENTE. Passiamo ora alla votazione.

Sul primo comma non vi sono emendamenti; esso sarà quindi votato nel testo proposto dalla Commissione, che è del seguente tenore:

«Ogni Regione ha uno Statuto il quale, in armonia con la Costituzione e con le leggi della Repubblica, stabilisce le norme relative all’organizzazione interna della Regione, all’esercizio del diritto d’iniziativa e del referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della Regione ed alla pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali».

NOBILE. Chiedo di parlare, per una dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Voterò contro questa dizione, perché ritengo che lo Statuto dovrebbe essere uguale per tutte le Regioni.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma dell’articolo 124, nel testo proposto dalla Commissione, testé letto.

(È approvato).

Sul secondo comma di questo articolo 124 vi è l’emendamento dell’onorevole Persico:

«Al secondo comma, alle parole: con legge della Repubblica, sostituire le altre: dal Presidente della Repubblica, previo parere del Consiglio di Stato».

Pongo pertanto in votazione la prima parte del testo della Commissione, così formulata:

«Lo statuto è adottato con legge deliberata dal Consiglio regionale a maggioranza assoluta dei suoi membri».

(È approvata).

Dovrò ora porre ai voti l’emendamento Persico, sostitutivo della seconda parte del comma.

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. La preoccupazione per la quale ho proposto l’emendamento è questa: lo statuto della Regione viene già approvato con una legge regionale e con una maggioranza qualificata, cioè assoluta. Poi, secondo il testo concordato dal Comitato di coordinamento, questo statuto regionale, già approvato con questa maggioranza…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non approvato, ma adottato.

PERSICO. In sostanza dovrebbe essere approvato con una legge dello Stato, cioè dalla Camera e dal Senato, attraverso un curriculum legislativo che può durare comodamente qualche anno; per cui tale statuto resterebbe in sospeso per un tempo indeterminato, con danno di quelle che debbono essere le funzioni della Regione. Io ho proposto di abbreviare questo curriculum, che non serve a nulla, perché noi abbiamo già la legge regionale, poi avremo la legge della Camera e del Senato, ecc., e si verrebbe a creare una superfetazione inutile.

Occorre che ci sia invece un organo amministrativo che esamini lo statuto regionale sotto il profilo formale e sostanziale, e questo organo è il Consiglio di Stato, in adunanza plenaria, il quale darà un parere, dopo di che lo statuto regionale verrebbe approvato dal Presidente della Repubblica. Vi sarebbe così un parere interno, espresso in adunanza generale dal Consiglio di Stato, sotto il profilo della legalità formale e sostanziale e poi l’approvazione da parte del Presidente della Repubblica. Con questo sistema si risparmierà tempo, e si arriverà ad avere, con una certa rapidità, la serie degli statuti regionali.

Forse l’onorevole Nobile è nel vero quando vorrebbe uno statuto standardizzato per tutte le Regioni; ma, siccome ogni Regione ha le sue caratteristiche peculiari, non è inopportuno che ogni Regione abbia uno statuto diverso; è opportuno però che tali statuti entrino in vigore con una certa rapidità, e non siano soggetti a lungaggini di approvazioni.

Noi sappiamo per esperienza che molte volte una legge, attraverso il palleggiamento che viene a determinarsi tra Camera e Senato, può rimanere per tre o quattro anni non approvata, così da andare addirittura sommersa per la chiusura della legislatura. Questo è avvenuto per molte leggi, e noi lo ricordiamo anche come esperienza personale.

Dichiaro perciò di mantenere l’emendamento da me proposto.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ruini.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato non è favorevole all’emendamento dell’onorevole Persico, per le ragioni già dette. A me personalmente, l’intervento del Consiglio di Stato sarebbe gradito: e si potrà sempre sentirne il parere; ma non sembra che il Capo dello Stato, cui spetta promulgare ogni legge dello Stato, sia il più adatto ad approvare una legge regionale; è per lo meno una cosa un po’ strana.

L’onorevole Persico si preoccupa giustamente che non vi siano delle lungaggini; ma, se noi deferiamo il potere di approvazione di questi statuti al potere esecutivo, esponiamo le Regioni a pericoli e lentezze maggiori, perché, evidentemente, il potere esecutivo può non approvare, e quindi ritardare finché vuole. Mentre che, se noi deferiamo al Parlamento questo compito, vi saranno le varie correnti politiche che stimoleranno l’approvazione, specialmente nel Senato a base regionale. Si potranno adottare procedure ben rapide, e ricorrere a deleghe del Parlamento al potere esecutivo, restando però fermo che il potere di approvazione è del Parlamento.

Io credo che il testo della Commissione tuteli gli interessi della Regione più di quello che non avverrebbe con la formulazione proposta dall’onorevole Persico.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento proposto dall’onorevole Persico del seguente tenore:

«ed è approvato dal Presidente della Repubblica, previo parere del Consiglio di Stato».

(Non è approvato).

Pongo ai voti la formulazione della Commissione:

«ed è approvato con legge della Repubblica».

(È approvato).

L’articolo risulta pertanto approvato nel testo proposto dalla Commissione.

Vi è ora l’emendamento aggiuntivo proposto dall’onorevole Camposarcuno:

«Ogni statuto regionale deve contenere le norme per la propria revisione».

La Commissione ha dichiarato di non essere favorevole a questo emendamento aggiuntivo.

CAMPOSARCUNO. Domando se lo statuto regionale deve contenere o meno le norme per la sua eventuale revisione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Nulla lo vieta.

CAMPOSARCUNO. Questo non può essere inserito?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato si è opposto.

PRESIDENTE. Il Comitato ha fatto una dichiarazione esplicita a questo proposito. Onorevole Camposarcuno, mantiene il suo emendamento?

CAMPOSARCUNO. Sì.

PRESIDENTE. Pongo allora ai voti l’emendamento aggiuntivo proposto dall’onorevole Camposarcuno.

(Non è approvato).

Presidenza del Vicepresidente TARGETTI

PRESIDENTE. L’onorevole Codignola aveva proposto il seguente articolo aggiuntivo:

«La Repubblica garantisce il pieno e libero sviluppo, nell’ambito della Costituzione, delle minoranze etniche e linguistiche esistenti sul territorio dello Stato».

Egli l’ha successivamente sostituito col seguente:

«La Repubblica detta norme per la protezione delle minoranze linguistiche».

L’onorevole Codignola ha già svolto il suo emendamento.

Ha facoltà di parlare l’onorevole Ruini per manifestare il parere della Commissione in merito al suddetto emendamento.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato ha ritenuto che si possa accogliere questa proposta dell’onorevole Codignola, ma è del parere che non debba essere collocata qui nel Titolo delle Regioni, perché non è il luogo adatto. Si tratta, infatti, di leggi generali dello Stato che debbono tutelare le minoranze linguistiche. La disposizione dovrà essere messa in altro luogo, che decideremo a suo tempo.

PRESIDENTE. Porrò allora ai voti l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Codignola, accettato dalla Commissione, restando inteso che la norma – ove fosse approvata – sarà collocata al posto debito in occasione della redazione definitiva del testo della Costituzione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io proporrei di sostituire alla parola «protezione» la parola «tutela».

PRESIDENTE. L’onorevole Codignola accetta la sostituzione della parola «tutela» alla parola «protezione»?

CODIGNOLA. Sì.

PARIS. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PARIS. Bisognerebbe distinguere fra le Regioni che non hanno uno statuto speciale e le Regioni che lo hanno, perché la Repubblica non dovrebbe intervenire quando l’Assemblea Costituente ha sanzionato col suo voto uno Statuto particolare ad una Regione. Quindi, accetto l’emendamento se non va inserito in sede di Regione.

PRESIDENTE. Come si è detto, questo articolo si approva con l’intesa che in sede di coordinamento sia collocato nella sede più adatta, allorché si procederà alla redazione definitiva.

Pongo allora in votazione l’emendamento dell’onorevole Codignola così modificato:

«La Repubblica detta norme per la tutela delle minoranze linguistiche».

(È approvato).

Come l’Assemblea ricorda, l’articolo 123 è stato rinviato. Per connessione anche la discussione sull’articolo 125 si intende rinviata.

Rinvio ad altra seduta il seguito della discussione.

La seduta termina alle 11.15.

LUNEDÌ 21 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CXCIV.

SEDUTA DI LUNEDÌ 21 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedi:

Presidente

Mozione (Svolgimento):

Presidente

Abozzi

Laconi

Mastino Pietro

Grassi, Ministro di grazia e giustizia

Lussu

Mortati

Mastino Gesumino

Carpano Maglioli

Mannironi

Tosato

Carboni Enrico

Chieffi

Spano Velio

Codacci Pisanelli

Colitto

Dugoni

Cianca

Fuschini

Togliatti

Piccioni

Carboni Angelo

Interrogazioni con richiesta d’urgenza:

Presidente

Pella, Ministro delle finanze

Grassi, Ministro di grazia e giustizia

Dugoni

Sui lavori dell’Assemblea:

Codignola

Grassi, Ministro di grazia e giustizia

Presidente

Fuschini

La Malfa

Pella, Ministro delle finanze

Uberti

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 17.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della seduta pomeridiana precedente.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Hanno chiesto congedo i deputati onorevoli Ambrosini, Arata e Condorelli.

(Sono concessi).

Svolgimento di una mozione.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca lo svolgimento della seguente mozione firmata dagli onorevoli Lussu, Lombardi Riccardo, Cianca, Calamandrei, Laconi, Spano Velio, De Vita, Mazzei, Parri, Cevolotto, Veroni, Mastino Gesumino, Di Giovanni, Grieco, Uberti, Carboni Angelo, Binni, Fiorentino, Schiavetti, Tosato, Fuschini e Giua:

«L’Assemblea Costituente,

considerato:

che l’istituzione degli Alti Commissari e delle Consulte regionali poneva la Sicilia e la Sardegna, per le condizioni particolari alle due grandi Isole, in una identica situazione politica;

che l’articolo 108 della Costituzione in esame attribuisce alla Sicilia e alla Sardegna forme e condizioni particolari di autonomia;

che la Consulta Nazionale e il Governo dei Comitati di liberazione nazionale avevano, già nel 1946, deliberato di estendere in via provvisoria alla Sardegna lo Statuto autonomo della Sicilia, provvedimento del quale la Consulta regionale sarda non credette opportuno avvalersi, preferendo elaborare con esame approfondito il suo particolare progetto di Statuto;

che lo Statuto per la Sardegna, approvato nelle sedute del 15-29 aprile 1947, dopo sei mesi di lavori ininterrotti, è stato dalla Consulta regionale sarda presentato al Governo;

che, se seguitasse il regolare andamento della discussione sulla Costituzione, l’Assemblea Costituente non potrebbe esaminare lo Statuto sardo neppure in settembre, per cui le elezioni regionali in Sardegna non potrebbero aver luogo entro l’anno, mettendo così l’Isola in uno stato ingiusto di disparità rispetto alla Sicilia,

delibera:

che per lo Statuto sardo sia adottata la stessa procedura usata per lo Statuto siciliano;

e pertanto l’Assemblea Costituente autorizza il Governo all’approvazione immediata dello Statuto presentato dalla Consulta sarda, sì da rendere possibile in Sardegna la convocazione dei comizi elettorali entro l’anno, riservandosi, come per lo Statuto siciliano, per la fine dei lavori dell’Assemblea Costituente, il diritto di un maggiore esame per coordinare lo Statuto con la nuova Costituzione della Repubblica».

ABOZZI. Chiedo di parlare per una questione pregiudiziale sulla mozione dell’onorevole Lussu.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ABOZZI. Onorevoli colleghi, pare a me che la mozione presentata dall’onorevole Lussu e da altri colleghi non possa essere discussa, perché in netto contrasto con la dizione e lo spirito della legge, cioè del decreto legislativo luogotenenziale 25 luglio 1944 e del decreto legislativo luogotenenziale 16 marzo 1946 ed anche, voglio dire ad abbondanza, in netto contrasto con l’articolo 108, secondo comma, del progetto di Costituzione della Repubblica italiano: articolo che è stato già approvato dall’Assemblea. Premetto che la natura costituzionale dello statuto sardo non può essere messa in dubbio; sono le leggi costituzionali quelle che si riferiscono alla organizzazione in cui lo Stato si concreti, alle parti essenziali dell’ordinamento giuridico. Ora, indubbiamente, le Regioni sono elementi essenziali dello Stato; attraverso le Assemblee regionali lo Stato vuole e agisce. Ma anche se le Regioni dovessero essere tenute in un piano meno dignitoso, nel piano in cui sono tenute oggi le Province ed i Comuni, la legge che le istituisce o ne determina la struttura è legge costituzionale.

Basta, per essere convinti della mia tesi, richiamare alla memoria il molto citato articolo 3 del molto citato decreto legislativo 16 marzo 1946 nel quale si dice «durante il periodo della Costituente, e fino a convocazione del Parlamento, a norma della nuova Costituzione, il potere resta delegato, salvo la materia costituzionale, al Governo». Ne consegue che poiché il periodo della Costituente dura ancora e poiché lo Statuto sardo è di natura costituzionale, l’Assemblea ha il diritto esclusivo ad esaminare e discutere lo Statuto sardo, e a discuterlo, non in sede di coordinamento, ma in sede di ordinamento, non di seconda mano, ma di prima mano, non in seconda visione (permettetemi questo ricordo cinematografico) ma in prima.

L’Assemblea Costituente è nata per fare le leggi costituzionali e per fare la Costituzione. Il suo fine specifico, il suo fine fondamentale, è questo; questa è la sua ragione di vivere e di operare e se si spogliasse delle sue prerogative mostrerebbe forse di non apprezzare sufficientemente l’alta dignità che le hanno dato il voto popolare e la legge stessa.

Si tratta, a mio giudizio, di diritti indisponibili di potestà che non si possono cedere, così come non è cedibile il diritto di vivere: se il diritto alla vita fosse ad altri ceduto si avrebbe da una certa parte un omicida e dall’altra un consenziente all’omicidio: una forma indiretta di suicidio. Non credo che l’Assemblea Costituente voglia ricorrere a tale forma di morte.

Per essere maggiormente convinti della mia tesi, basta rivivere nella memoria la storia della Costituente. Un primo decreto legge, quello del 2 agosto 1943, stabiliva la convocazione di una Assemblea legislativa normale; ma più tardi si pensò che una Assemblea normale non potesse né dovesse deliberare la Costituzione della Repubblica; e si volle una particolare Assemblea, che fu la Costituente. Più tardi furono emanate le norme integrative, quelle del 16 marzo 1946.

Dico per incidenza che il potere legislativo delegato al Governo può apparire strano. Tuttavia, penso che nella mente del legislatore non vi volesse essere un depotenziamento dell’Assemblea, ma un potenziamento, poiché eran riservate ad essa le supreme leggi, quelle che formano l’aristocrazia della legislazione. Si è voluta dunque un’Assemblea che avesse uno scopo specifico: la Costituzione e le leggi costituzionali. Ne consegue che l’articolo 3 del decreto luogotenenziale ha carattere rigido; e nelle norme a carattere rigido quello che non è espressamente detto, è escluso. In quell’articolo 3 si dice: «II Governo può sottoporre all’Assemblea qualunque argomento, per il quale ritenga opportuno la deliberazione di essa». Ma non è detto che l’Assemblea possa cedere al Governo il suo potere costituente. Se questo accadesse, il Governo avrebbe il suo potere specifico, quello di esecuzione, il potere legislativo normale, che gli è delegato dalla legge, ed in più il potere costituente delegato dall’Assemblea.

Onorevoli colleghi, se il signor De Montesquieu riaprisse i suoi pensosi occhi alla luce del giorno, guarderebbe con alta meraviglia questa strana confusione di poteri e guarderebbe con alto stupore quello che potrebbe accadere nella prima Assemblea democratica della giovane Repubblica.

Né si dica che i diritti dell’Assemblea sono salvi, perché essa, in sede di coordinamento, dovrà coordinare lo statuto con la nuova Costituzione.

Dico subito che una cosa è esaminare e deliberare su una legge, non ancora approvata, ed altra cosa è esaminare una legge già approvata. D’altra parte, troppo spesso, non soltanto i filosofi, ma anche i politici e gli uomini di legge usano parole non precise nel significato e soprattutto nei limiti.

Nello statuto siciliano vi è questa dizione, che dovrebbe essere estesa allo statuto sardo: «Lo statuto sarà sottoposto all’Assemblea Costituente per essere coordinato con la nuova Costituzione dello Stato».

Onorevoli colleghi, sembrano parole lucide, chiare, trasparenti, ma non sono né lucide, né chiare, né trasparenti. Ed infatti può sorgere una voce audace, in quest’Aula – dovrei dire audacissima – per dire: Voi, Assemblea Costituente, potete armonizzare quelle norme che non sono armonizzate con la Costituzione generale, ma non potete fare altro perché a questa armonizzazione si riduce l’opera di coordinamento. Quelle parti che non contrastano con la Costituzione, indifferenti per così dire sotto il punto di vista dell’armonizzazione, non potete toccarle anche se fossero cattive o pessime perché la vostra opera consiste solo nel coordinare, nel ridurre la dissonanza a consonanza. Ed anche se questo limite giuridico non ci fosse, rimarrebbe sempre, onorevoli colleghi, un limite morale. Riformare, correggere, sopprimere uno statuto, che è stato già concesso, è cosa pericolosa, perché gli stessi regionalisti sardi penserebbero di essere defraudati di un diritto acquisito. Io dico che è più savio in politica concedere a tempo poco, ed essere in grado di mantenerlo, piuttosto che concedere fuori tempo molto e non poterlo mantenere. Vorrei essere profeta fallace, onorevoli colleghi, ma non penso che sarà cosa molto facile per questa Assemblea alterare, correggere o sopprimere la parte dello statuto siciliano, segnalata dall’onorevole Einaudi, che potrebbe concedere di battere moneta allo staterello siciliano.

Si vuole dunque che sia adottata, per lo statuto sardo, la stessa procedura usata per lo statuto siciliano. Ma, onorevoli colleghi, la situazione è molto diversa: diversa la situazione di fatto e diversa la situazione di diritto.

Quando lo statuto siciliano fu approvato, la Costituente non era più nella mente di Dio; era già nella mente degli uomini ma non funzionava e non era neppure eletta. Il Governo aveva allora piena potestà legislativa e poiché – se abbia fatto bene o male, è altro conto – si era indotto ad approvare, con un decreto legislativo, uno statuto che aveva natura costituzionale, altro non poteva fare che rinviarlo all’Assemblea Costituente futura. Penso, in verità, che potesse e dovesse essere più chiaro, riguardo ai poteri della Costituente nei confronti dello statuto siciliano: doveva non parlare di coordinamento che poteva sembrare una parola limite e dire invece che la Costituente aveva il diritto di esaminare integralmente lo statuto e di discuterlo ex novo. Quando fu approvato lo statuto siciliano, la Costituente non c’era, ma oggi c’è, ed è viva e operante, è nel suo diritto assoluto di esaminare, di approvare e di discutere le leggi costituzionali: e non può essere privata, per nessuna ragione, di questo diritto, e neppure può privarsene.

Dico di più: se il Governo, seguendo una interpellanza già presentata dall’onorevole Lussu, avesse creduto di approvare lo statuto sardo con un decreto legislativo, avrebbe fatto atto illegale, ma la Costituente avrebbe subita e non voluta la privazione del suo diritto. D’altra parte, non si può neppure dimenticare che lo statuto siciliano è stato, prima dell’approvazione, esaminato da una Giunta a cui fu deferito lo studio del provvedimento legislativo. C’è stata una relazione e c’è stato un relatore. Oggi si vuole che l’Assemblea Costituente, senza uno studio, senza un esame, senza neppure una visione superficiale, possa scaricare sulle spalle del Governo l’approvazione per decreto legislativo dello statuto sardo.

E questo dovrebbe farlo proprio quella Assemblea che ha già approvato l’articolo 107 della Costituzione che dice che tutti gli statuti particolari devono essere approvati con legge costituzionale.

PRESIDENTE. Forse la sua intenzione, onorevole Abozzi è di svolgere semplicemente la pregiudiziale. L’argomento deve essere pertanto appena toccato o sfiorato, senza entrare nel merito. Ora mi sembra che ella stia entrando in pieno nel merito. La pregherei pertanto, onorevole Abozzi di mantenersi nei limiti essenziali, richiesti per dare al suo intervento un carattere pregiudiziale.

ABOZZI. È difficile, onorevole Presidente, intendere dove finisce lo svolgimento della pregiudiziale e dove si entra effettivamente nel merito vero e proprio. Nella materia che tratto la pregiudiziale è anche merito. E per il merito varrà. Comunque sto per finire.

Il Governo può fare una cosa sola: presentare all’Assemblea Costituente, perché lo discuta e lo approvi, il disegno di legge per lo statuto sardo: non può fare di più.

Voglio anche ricordare che la delega era un fatto eccezionale per tutte le Assemblee legislative, giustificata da una pubblica calamità, da una ragione tecnica (formazione di codici), dalla grande importanza di una legge minacciata dalla imminente chiusura della sessione. Ma quale ragione dovrebbe giustificare un atto illegittimo dell’Assemblea? Dov’è la pubblica calamità? Dove la ragione tecnica? È forse imminente la fine della Costituente? Se le elezioni regionali dovessero farsi in ritardo, non per questo la Sardegna sprofonderebbe nel suo mare.

La Consulta sarda ha già approvato questo statuto tre mesi fa e non ha espresso voti per anticipate elezioni. La Consulta ha detto soltanto che mandava alla Costituente, perché fosse discusso, il suo progetto, ma non perché fosse approvato per decreto legislativo.

Ho parlato non per fare un ostruzionismo ormai inutile ma perché penso che le Assemblee devono essere fiere ed orgogliose dei loro diritti, e ho voluto difendere questo orgoglio e questa fierezza. Sono certo che l’Assemblea sentirà la grandezza del suo esercizio che la consacra alla Storia e che non consente cessione della sua potestà.

PRESIDENTE. L’onorevole Abozzi ha sollevato la questione pregiudiziale nei riguardi della mozione presentata dall’onorevole Lussu. Un altro membro dell’Assemblea può ancora prendere la parola per sostenere la tesi dell’onorevole Abozzi. Si sono iscritti poi a parlare contro gli onorevoli Laconi e Mastino.

Ha facoltà di parlare onorevole Laconi.

LACONI. Io non ho intenzione di ribattere gli argomenti particolari addotti dall’onorevole Abozzi a sostegno della sua pregiudiziale. La questione è estremamente semplice: la pregiudiziale avanzata dall’onorevole Abozzi non può essere accolta perché non è una pregiudiziale, in quanto investe il merito della mozione, la quale appunto propone alla Camera una particolare procedura per gli statuti sardi.

Chiedo pertanto alla Presidenza che voglia respingere la pregiudiziale dell’onorevole Abozzi e dar luogo senz’altro alla discussione della mozione dell’onorevole Lussu.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Mastino Pietro.

MASTINO PIETRO. L’onorevole Abozzi, nel sostenere pregiudizialmente che la mozione presentata dall’onorevole Lussu non debba essere discussa e tanto meno approvata, non ha portato ragioni che giustifichino la pregiudiziale stessa.

Ogni suo argomento si è ridotto – me le consenta l’onorevole Abozzi – ad una petizione di principio, in quanto egli ha solo affermato come non sia possibile approvare la mozione di cui si tratta perché la Costituente non può delegare i propri poteri: non ha detto altro che questo.

Egli ha fatto invero un esempio, ha proceduto ad una similitudine, ha parlato cioè del caso in cui taluno voglia suicidarsi, per affermare che tale diritto non dovrebbe essergli concesso. Ma, mi permetta l’onorevole Abozzi che io gli dica come nella mozione, così come essa è stata presentata, non si accenni ad alcun proposito di suicidio, in quanto anzi si legge in essa propriamente l’opposto, cioè come la Costituente, che oggi è chiamata a dare al Governo l’autorizzazione ad approvare lo Statuto sardo e in seguito ad indire le relative elezioni, si riservi però il diritto di procedere al coordinamento dello Statuto sardo con lo Statuto nazionale.

E non è ciò forse la conferma, onorevoli colleghi, della potestà massima attribuita alla Costituente, quella cioè di decidere in materia costituzionale? L’onorevole Abozzi non ha dunque fatto altro se non affermare che la Costituente non può cedere le proprie facoltà: egli però non ha detto per quale motivo non possa cederle; egli ciò non ha menomamente dimostrato quanto sostiene. Ha detto, sì, che in Sardegna non è avvertito come urgente questo problema, e che le condizioni che consigliavano la concessione dell’autonomia siciliana erano assai diverse da quelle relative alla Sardegna in quanto non vi era allora la Costituente, mentre oggi c’è; ma con ciò è entrato nel merito, almeno in parte e noi – lo ripeto ancora – siamo in attesa di sapere per quali ragioni la Costituente dovrebbe, secondo lui, respingere pregiudizialmente la mozione presentata dall’onorevole Lussu.

Per queste considerazioni, esorto l’Assemblea a respingere la pregiudiziale Abozzi.

PRESIDENTE. Se, come ho detto prima, vi è un collega che desidera prendere la parola a favore, ne ha facoltà.

Non essendovi alcuno che intenda avvalersi di questo diritto, do la parola all’onorevole Ministro di grazia e giustizia, il quale si pronuncerà a nome del Governo.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Onorevoli colleghi, intervengo in questa discussione per disposizione del Presidente del Consiglio assente oggi da Roma. Per quanto si riferisce alla pregiudiziale sollevata dall’onorevole Abozzi, vorrei pregare, a nome del Governo, l’onorevole Abozzi di non insistere. Ciò dico tanto più in quanto la discussione, così come è affiorata attraverso la pregiudiziale, non si può dire che abbia veramente fornito argomenti che risolvano una questione di pregiudiziale alla votazione del problema che è ormai all’ordine del giorno dell’Assemblea. Questa ha il diritto di discutere e di prendere le sue deliberazioni in proposito.

Le questioni non sono più che di merito; e allora è meglio discutere nel merito e vedere quali decisioni possano prendersi da parte dell’Assemblea e del Governo in una questione così importante per la vita della Sardegna.

ABOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ABOZZI. Non insisto nella pregiudiziale. Quel che ho detto varrà per il merito.

PRESIDENTE. Sta bene. Passiamo allora alla discussione di merito. L’onorevole Lussu ha facoltà di svolgere la mozione.

LUSSU. Onorevoli colleghi, ringrazio l’Assemblea per aver voluto acconsentire che, prima di prendere le vacanze, si discuta questo problema. E, per quanto sia assente il Presidente del Consiglio, non posso dispensarmi dall’obbligo di ringraziare un così alto rappresentante del Governo, quale il Ministro di grazia e giustizia, per aver distratto dalle sue occupazioni, che sappiamo molto complesse, il tempo necessario per essere presente a questa discussione. Io credo pertanto, nei riguardi dell’Assemblea e del Governo, di interpretare il pensiero di tutti i rappresentanti sardi dell’Assemblea Costituente, nel considerare il fatto come un atto di deferenza e di interesse per l’Isola, al quale noi siamo sensibili.

Questo problema apparirà, io credo, malgrado le obiezioni di procedura sollevate – sulle quali peraltro non si è insistito – così come è realmente, più un problema tecnico che politico.

Naturalmente, tutto è politico in questa Aula, ma quando ad una mozione come questa appongono la firma rappresentanti così insigni di quasi tutti i partiti politici, il fatto diventa tecnico e non politico. E io credo che avrei potuto domandare la firma anche all’onorevole Guglielmo Giannini, ed egli l’avrebbe data – cavalleresco com’è – per dimostrare che non ha dei risentimenti verso l’Isola per l’accoglienza piuttosto rumorosa che gli è stata fatta in occasione della sua prima visita a Cagliari e a Sassari. Ma non l’ho voluto fare, per non mettere in contrasto il leader dell’Uomo Qualunque con l’onorevole Abozzi, il quale – come ognuno sa – avendo per ideale l’impero, sia pure in forme liberali-democratiche, mal sopporta l’istituto della Regione, specie in Sardegna, perché questo ne frustrerebbe la grandezza unitaria mediterranea. Non diversamente, onorevole collega Abozzi, nel passato i rappresentanti sardi del partito spagnolo offrivano la loro azione e la loro coscienza all’impero dei re di Castiglia.

Il problema è tecnico, perché, in sostanza, non si tratta d’altro che di trovare il modo di estendere alla Sardegna le possibilità di rendere vitale ed efficiente il suo statuto autonomo, così come è avvenuto per la Sicilia. La Sicilia ha avuto lo statuto; ha avuto le elezioni, il suo Parlamento, il suo Governo regionale. Perché la Sardegna non l’ha? Come si può fare in modo che la Sardegna l’abbia? Ecco il problema; ed è un problema tecnico.

E quando un uomo politico dell’autorità dell’onorevole Nitti – le cui simpatie o antipatie per la Regione sono arcinote – esaminando questa mozione l’ha considerata giusta e ragionevole, io credo che si prepari un porto sereno e ospitale per questo statuto autonomo sardo che arriva su una nave ritardataria ma senza strumenti di guerra a prua o a poppa o nascosti nella stiva.

Io vorrei subito rassicurare i miei colleghi siciliani. Essi non credano che noi sardi presumiamo di competere con la grande Isola sorella che noi riconosciamo maggiore per ricchezza di vita, per popolazione più numerosa e soprattutto più industre, e per tradizioni perenni di civiltà. Da noi, nel passato, non re o baroni insigni, ma solo proconsoli venali o incapaci. Nella nostra povera storia civile dell’Isola, di illustre non abbiamo che una donna, che non era neppure re ma giudice, come i re del popolo d’Israele, contro la quale, come capita a tutte le donne, anche alle migliori, in questo momento si cominciano ad appuntare dei mormorii critici. Ed abbiamo la sofferenza millenaria del nostro piccolo popolo che non è ancora civilmente unito, ma che per l’intensità delle sue sofferenze noi vediamo capace di esprimere aspirazioni moderne di giustizia umana.

Io riconosco che a noi mancano molti degli elementi che creano così avventurosa e drammatica la vita in Sicilia. A noi mancano i latifondi, i feudatari, i baroni, i gabelloti e la mafia. Lo dico con tutto rispetto, a noi manca perfino il Finocchiaro Aprile. (Si ride).

E a noi manca quel tipo illustre che ha la Sicilia: un principe Don Francesco Paternò Castello duca di Carcaci, pretendente al trono dell’Isola. Non abbiamo più neppure i briganti. È doloroso ma è così! La nostra Isola ne ha perduto il primato, che è passato incontrastato alla Sicilia, e il bandito Giuliano tiene alta la maglia gialla. (Si ride). Da noi, da quando Giovanni Giolitti abbandonò la direzione degli affari pubblici, il brigantaggio, che attorno alle Prefetture costituiva centri di propaganda e di pressione elettorale governativa, è finito. Il brigantaggio è finito! Solo rimangono delle piccole bande leggere che si accontentano di modesti prelevamenti di bestiame o di sequestrare sulle strade maestre un viandante più imprudente che denaroso, e non fanno né del marxismo, né dell’antimarxismo come il bandito Giuliano; e si contentano di piccole, normali, modeste azioni di furfanteria comune.

Sia ben chiaro che non intendiamo in alcuna forma presentarci come antagonisti o competitori della Sicilia.

Ma sta di fatto questo: che nel 1943, appena liberate le prime parti del nostro territorio nazionale, fu creato in Sicilia ed in Sardegna l’istituto dell’Alto Commissariato, e immediatamente dopo l’istituto della Consulta regionale.

Questi due istituti furono istituiti per le due isole, perché isole. Nel decreto luogotenenziale che costituì le Consulte regionali fu fatto obbligo a queste di elaborare e poi presentare al Governo un proprio statuto di organizzazione autonoma nell’Isola.

A questo punto è doveroso che io riconosca che sulla via dell’autonomia i tempi sono stati accelerati in Sicilia e ritardati in Sardegna. Non intendo qui rievocare i fattori politici che hanno determinato questa discordanza di lavori e di tempi fra la Sicilia e la Sardegna. Ma quelli che sono stati al Governo subito dopo la liberazione, e principalmente il Presidente del Consiglio Bonomi, poi il Presidente Parri ed infine il Presidente De Gasperi sanno come i rappresentanti massimi dei partiti politici, i dirigenti responsabili, innanzi tutto del Partito sardo d’azione, che era il partito autonomista per antonomasia, abbiano svolta la loro azione per avviare l’Isola pacificamente ed ordinatamente alla ricostruzione comune dello Stato, avendo costante cura di evitare di portare difficoltà ai Governi del Comitato di liberazione nazionale. Era nell’ordine naturale delle cose che la guerra di aggressione fascista, conclusasi così vergognosamente per il regime che l’aveva provocata, portasse le isole, appena liberate, a forme irrequiete di agitazione politica, a forme – diciamo pure – morbose che non solo hanno la spiegazione ma, io aggiungo, la giustificazione nella psicologia collettiva che non è mai politica razionale pura: a vere e proprie forme di deviazione politica. Contro queste forme ha reagito, e duramente, il partito che io ho l’onore di rappresentare all’Assemblea Costituente; e questa non è stata l’ultima delle cause per cui alle elezioni amministrative e politiche è stato battuto.

Certo, siamo stati battuti. Ma abbiamo la coscienza tranquilla, convinti, come siamo, che si può essere autonomisti, autonomisti spinti e persino federalisti, ad una condizione; che non si perdano mai di vista gli interessi generali dello Stato e che non si venga mai meno a quella lealtà doverosa verso la grande, comune Nazione italiana.

Così noi siamo arrivati alla Repubblica, e io spero all’autonomia, lentamente, ma senza versare sangue di fratelli.

I partiti politici dell’Isola, tutti i partiti responsabili, hanno su questo agito in perfetta concordanza.

Questa io credo la ragione originaria della discordanza nel tempo e nel lavoro tra la Sicilia e la Sardegna.

La Consulta regionale siciliana, sotto la pressione degli avvenimenti (l’onorevole Finocchiaro Aprile e l’onorevole Varvaro erano allora a Ponza) accelerò i suoi lavori di elaborazione dello statuto autonomo e in 15 giorni di sedute continue preparò il suo statuto che finì per essere approvato il 23 dicembre 1945 e presentato, immediatamente dopo, al Governo. Questo, il 4 aprile 1946, lo trasmetteva alla Consulta nazionale per avere il parere delle tre Commissioni riunite: Affari politici e amministrativi, Giustizia, Finanze e tesoro. Una Giunta nominata dal Presidente della Consulta nazionale iniziò subito l’esame dello statuto siciliano.

Fu a questo momento che presso la Giunta e presso il Governo intervennero i rappresentanti sardi alla Consulta nazionale per ottenere, dato che i lavori in Sardegna procedevano con un certo rilento che si poteva prevedere sarebbe continuato per parecchio tempo, che provvisoriamente lo Statuto autonomo per la Sicilia fosse passato anche alla Sardegna in attesa che la Consulta regionale elaborasse, con tutta tranquillità, il suo Statuto.

La giunta delle tre Commissioni, riunita alla Consulta nazionale, aderì alla nostra richiesta, come risulta dal bollettino del maggio 1946 del Ministero della Costituente, e apportò una aggiunta all’articolo 42.

Dice testualmente il verbale: «È stato aggiunto il seguente articolo 42-bis: Le norme dell’articolo 1 e dei Titoli 1, 2, 3, 4, 5, 6 sono estesi alla Sardegna».

Il Presidente del Consiglio di allora, onorevole De Gasperi (sempre l’onorevole De Gasaperi Presidente del Consiglio…), aderì alla richiesta e si impegnò di far passare alla Sardegna provvisoriamente, lo statuto siciliano in attesa che la Consulta regionale sarda elaborasse il suo proprio statuto. Beninteso riservandone il coordinamento alla futura Assemblea Costituente.

Senonché avvenne un fatto imprevisto: la Consulta regionale sarda ritenne di non accettare questa offerta. Un po’ per un certo spirito romantico contro l’autonomia per decreto reale, un po’ per spirito di corpo, diciamo così, per cui intendeva il suo statuto elaborarlo da sé e non averlo, sia pure in forma provvisoria, dalla Sicilia, e poi, soprattutto, per avere il tempo di elaborare con tutta calma il suo statuto particolare. Ecco perché la Sicilia ha avuto lo statuto e la Sardegna non l’ha avuto ancora.

La Consulta regionale sarda ha agito bene o ha agito male? L’uno e l’altro insieme, io credo. Certo, se i consultori regionali sardi fossero appartenuti all’alta scuola politica che ispira l’azione dell’onorevole De Gasperi, essi avrebbero accettato. L’onorevole De Gasperi è ancora molto giovane ed io gli auguro di tutto cuore di conservarsi tale ancora per lungo tempo non fosse altro che per il piacere che avremmo di assistere qui ai suoi vivaci interventi come deputato di opposizione ai futuri governi. L’onorevole De Gasperi, pure così giovane, è ancora caposcuola a tutti e ha insegnato come si prende ogni occasione e di ogni occasione si profitta rinunciando ad ogni forma di romanticismo. La politica pare sia ormai l’arte di prendere tutto quello che è possibile prendere e che è possibile avere.

La Consulta regionale sarda rifiutò, ma non fu certo la via della minore resistenza che la Consulta sarda sceglieva, perché infatti si rimise immediatamente al lavoro, e si può dire che dopo le elezioni politiche non abbia fatto altro: riunioni di tecnici, riunioni di Commissioni speciali, riunioni plenarie a Cagliari, a Sassari, a Nuoro, riunioni con i rappresentanti sardi all’Assemblea Costituente, a Cagliari, a Roma, ed infine tutta una serie di riunioni plenarie che portarono al mese di aprile all’approvazione in ultima lettura, dopo la prima, la seconda e la terza, dello statuto sardo, che fu approvato il 29 aprile scorso e poco dopo presentato al Governo.

Ora la situazione è questa: il Governo se tiene stretto come una cosa molto preziosa, il che lusinga noi rappresentanti sardi, all’Assemblea Costituente; se lo tiene stretto e non lo lascia andare. Non lo trasmette all’Assemblea Costituente perché l’Assemblea Costituente non ha la possibilità di esaminarlo (ed infatti non l’ha) e non se ne occupa esso stesso perché, rispettoso com’è delle prerogative dell’Assemblea Costituente, riconosce la competenza e le facoltà spettanti esclusivamente in questa materia all’Assemblea Costituente. Sicché questo statuto sardo, formatosi in nove mesi, giace al Viminale come un corpo morto.

Scopo di questa mozione è, con la vostra collaborazione, onorevoli colleghi e con la collaborazione del Governo, ridare calore e vita a questo freddo statuto sardo, secondo giustizia.

Senonché, alcuni scarsamente innamorati dello statuto siciliano, e per i quali lo statuto sardo non esprime maggiori forme di seduzione, dicono: ne riparleremo quando l’Assemblea Costituente dovrà coordinare gli statuti particolari con la Carta generale costituzionale della Repubblica.

E quando, di grazia? Questo è il punto critico del problema. Siamo ormai alle vacanze e la fine della discussione non si potrà avere che dopo le vacanze. Ma neppure allora, cioè alla fine di agosto o a settembre, potrà essere affrontato il coordinamento tra gli statuti particolari e la Carta costituzionale dello Stato. Già alcune settimane fa, quando noi sostenevamo che il problema del coordinamento si potesse affrontare immediatamente finita la discussione sulle Regioni, alcuni colleghi sostenevano che non lo si poteva e che sarebbe stato necessario attendere la discussione generale del progetto di Costituzione, per coordinarne i principî fondamentali con gli statuti regionali. Si poteva, allora, alcune settimane fa, avere delle opinioni discordanti in materia; oggi non più, oggi tutto è chiaro. L’altro giorno, infatti, è stato rinviato l’esame degli articoli 117, 118 e 119 sull’ordinamento regionale, cioè gli articoli che sono legati alla seconda Camera, al potere esecutivo ed alla Corte costituzionale; il che vuol dire che, prima di riprendere la discussione su quegli articoli, dovremmo discutere i primi tre Titoli ed il Titolo VI che è l’ultimissimo della seconda parte del progetto in discussione. E alla fine della discussione dell’intera Carta costituzionale, riprenderemmo quella sulle autonomie. Pertanto il coordinamento non potrà aversi che a dicembre. Lo statuto sardo, in conclusione, non potrebbe discutersi che a dicembre. Le elezioni regionali sarde non si potrebbero, quindi, avere entro quest’anno, ma solo l’anno venturo.

Che cosa diciamo noi? Che, dato il grave ritardo che ne deriverebbe, ritardo che non è dovuto a nessuno, ma che tuttavia è grave, noi chiediamo che si esca da una procedura, che non risponde più agli interessi generali, e che si affronti subito, con una procedura particolare, lo statuto sardo, senza entrare in merito, così come si è fatto per lo statuto siciliano, di modo che si possano avere le elezioni regionali in Sardegna entro l’anno; a dicembre poi si discuterà lo statuto sardo.

Vi sono delle obiezioni: le vedremo subito.

La procedura suggerita dalla mozione è questa: l’Assemblea Costituente autorizza oggi stesso il Governo ad approvare immediatamente lo statuto sardo con decreto legge presidenziale.

Qualcuno ha già fatto nei corridoi l’altro giorno, quando ho presentato per la prima volta la mozione, una questione di diritto costituzionale: il Governo non può approvare nulla, perché la materia è di competenza esclusiva dell’Assemblea Costituente.

Io sono un modesto cultore di diritto pubblico e mi guardo bene dal credere di esporre un’opinione autorevole di fronte a colleghi, che in quest’Assemblea devono, a giusto titolo, considerarsi maestri. Ma l’onorevole Orlando, che è maestro di tutti noi, grandi e piccoli, e che io ho sentito il dovere e il riguardo di consultare, prima di presentare questa mozione, ha trovato la procedura costituzionalmente corretta. Anzi, io devo dichiarare che, dietro il suo suggerimento, he modificato il testo iniziale. Il testo attuale è suo: autorizzazione esplicita dell’Assemblea Costituente al Governo. Certamente la sovranità e la competenza in materia costituzionale è dell’Assemblea Costituente, solo dell’Assemblea Costituente, ed appunto per questo «l’Assemblea Costituente autorizza – dice la mozione presentata – il Governo». La sovranità è di chi autorizza, non di chi è autorizzato: il Governo altri non è, come sempre, d’altronde, che l’organo esecutivo della volontà della rappresentanza popolare.

A nessuno sfugge, peraltro, e neppure a me, che, questa eccezione di forma nasconde ed investe una vera e propria questione di sostanza, che è la sostanza dello statuto autonomo sardo.

Si deve proprio autorizzare il Governo ad approvare lo statuto sardo con la stessa procedura con cui fu approvato lo statuto siciliano, cioè quasi ad occhi chiusi, quasi senza discuterne? Io riconosco che questa è obiezione seria, ma, appunto per rispondere a questa obiezione, io mi sono dilungato nelle premesse e spero che, arrivato verso la fine, l’obiezione venga a scadere. Onorevoli colleghi, credete voi che io parli qui per gusto accademico, o non piuttosto per rispondere ad un appello che viene a noi rappresentanti sardi in questa Assemblea da questo minuto popolo sardo, che non essendo addentro a tutte le difficoltà di procedura e di ordine costituzionale crede di essere ingiustamente trattato con questo ritardo, per esso inesplicabile?

Noi sentiamo talmente questo motivo psicologico, noi rappresentanti sardi, che in un certo senso ci sentiamo colpevoli. Io ricordo – e sento una certa riluttanza a dirlo qui, pubblicamente – che, quando lo Stato era in sfacelo e molti cittadini, come secondo natura, del resto, nell’infuriare delle onde, si cercavano una zattera di salvezza per proprio conto, e quando il Ministro della guerra faceva degli sforzi inauditi per tentare di riorganizzare un esercito od una parvenza di esercito, io ricordo che nel fuggi fuggi generale noi, rappresentanti consapevoli del popolo sardo, ci siamo presentati in Sardegna ad esso ed abbiamo detto: Coraggio! Ancora un piccolo sforzo, nell’interesse generale, e l’autonomia l’abbiamo in modo certo!

I sardi, contadini, pastori, lavoratori, tutti accorsero ai distretti per tentare, ancora una volta, di partecipare alla ricostruzione dello Stato in sfacelo ed in rinascita. Io ricordo che l’onorevole Bonomi – Presidente del Consiglio in quel momento – colpito da queste spettacolo di solidarietà nazionale, mi disse più volte: l’autonomia certamente bisogna concederla al più presto.

Accorsero tutti del popolo minuto, dovunque, a dare modestamente la propria opera, ed essi furono, nei limiti delle possibilità generali, nel sud, i modesti partigiani, che abbandonati i campi e le officine contribuirono a salvare il Paese.

Io credo che non si debbano dimenticare e noi, rappresentanti sardi, sentiamo che sarebbe un errore non lieve dimenticarli. Essi non si spiegano questo ritardo. E quali sono le considerazioni che voi, onorevoli colleghi, potreste trovare per spiegare che tutto ciò che noi sosteniamo, è contro gli interessi generali o contro la ragione o contro la Costituzione? Si tratta di approvare lo statuto sardo così come è stato approvato lo statuto siciliano; con questa differenza: che allora il Governo aveva in sé tutti i poteri, legislativo ed esecutivo, e tutt’al più aveva bisogno del parere della Consulta. Oggi la situazione è cambiata. I poteri sovrani in materia legislativa e costituzionale appartengono a questa Assemblea. Questa è la sola differenza.

Lo statuto sardo è stato pubblicato in alcune centinaia di copie che non sono arrivate a tutti i colleghi deputati all’Assemblea Costituente. Non saprei a chi attribuirne la trascuratezza. Comunque, un centinaio di deputati l’hanno avuto, compresi i membri della Commissione.

E noto che lo statuto sardo è, rispetto a quello siciliano, direi più modesto. Io personalmente lo riconosco assolutamente insufficiente. Ma esso è stato il frutto di un compromesso fra i vari partiti politici. Io non voglio entrare in merito allo Statuto sardo: lo darò a dicembre quando se ne riparlerà. Oggi mi limito semplicemente a fare un accenno ai punti differenziatori fra i due statuti.

Checché si pensi, io sono di opinione che lo statuto siciliano è stato un atto governativo di saggezza politica. Vi sono, è vero, dei dettagli audaci, che si possono considerare anche, se volete, come errori, ma è un atto che onora il Governo che lo ha emanato; perché, per evitare quei piccoli errori di dettaglio, io vi chiedo dove si sarebbe andati a finire se non fosse stato approvato. Io dico che si sarebbe commesso un errore politico irreparabile. Lo si vede tutti i giorni, se si dà uno sguardo alla situazione generale, e lo si vedrà ancora meglio domani. Quando voi pensate che tra non molto l’onorevole Finocchiaro Aprile può diventare Ministro del Governo, del Governo unitario, voi capite quanta strada si è fatta sulla via della unità dello Stato, della lealtà e della chiarezza nazionale.

Lo statuto sardo è il risultato di un compromesso che lo statuto siciliano non ha avuto. Nell’articolo 21 dello statuto siciliano, il Presidente regionale ha il rango di Ministro; nello statuto sardo, all’articolo 59, non c’è nessun rango. Voi riconoscerete che questo è notevole: rinunziare, e rinunziare volontariamente, a non essere Ministro è una cosa che non capita tutti i giorni. Non fosse altro che per questo, lo statuto sardo dovrebbe meritare il consenso entusiastico di tutti i colleghi deputati, se non dei Ministri.

L’articolo 14 dello statuto siciliano pone la legislazione esclusiva, nei limiti delle leggi costituzionali dello Stato e senza pregiudizio delle riforme agrarie e industriali deliberate dalla Costituente del popolo italiano; l’articolo 4 dello statuto sardo pone la potestà legislativa in armonia con la Costituzione e coi principî dell’ordinamento giuridico dello Stato, nel rispetto degli interessi nazionali e delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica.

L’articolo 38 dello statuto siciliano dice che lo Stato verserà annualmente alla Regione, a titolo di solidarietà nazionale, una somma da impiegarsi, in base ad un piano economico, nell’esecuzione dei lavori pubblici. Quanto strepito e quanto sdegno sono stati sollevati a proposito di questa disposizione! Sembrava che lo Stato italiano, secondo gli economisti ufficiali e più competenti, dovesse rovinarsi per questo contributo straordinario da versarsi annualmente alla Sicilia. Ma, francamente, io mi permetto definire questo sdegno puramente esagerazione, se non esaltazione antiautonomista, perché, non essendo precisato in quell’articolo quale somma lo Stato centrate dovrà versare alla Sicilia, è chiaro che fino a quando sarà in carica un Ministro come l’onorevole Einaudi, o uno della sua scuola, lo Stato centrate non verserà alla Sicilia neppure la somma necessaria per costruire un abbeveratoio di bestiame.

Anche a questa parte, puramente fumosa, letteraria, lo statuto sardo ha rinunziato.

Insomma, a mio parere, l’Assemblea Costituente può, con serena coscienza, autorizzare il Governo ad approvare lo statuto sardo, così come in piena coscienza il Governo può approvarlo.

Metteteci in condizione di fare questo primo grande esperimento, che, reclamandolo come un diritto, noi sentiamo sarà per l’Isola l’inizio di una vita nuova, che noi vediamo come vita di democrazia popolare, d’iniziativa popolare e di diretta responsabilità democratica, nella legalità repubblicana, concepita non già come una imposizione dall’alto, ma come un consapevole limite da porsi volontariamente alla propria azione autonoma.

Non vi è dubbio che noi abbiamo di fronte dei vantaggi generali ed abbiamo anche di fronte delle possibilità di svantaggi reali e di pericoli. Il maggior pericolo, a mia opinione – mi sia permesso – è quello che deriva da questo fatto: che, perdurando questa strana composizione governativa, alle elezioni regionali in Sardegna possa avere una grande prevalenza il partito della Democrazia cristiana. Ma io dico che noi siamo capaci di affrontare questo pericolo con la stessa serenità e con la stessa coscienza democratica con cui affrontiamo il pericolo, anzi il danno certo ed attuale, della composizione del nostro Governo di oggi.

Non c’è dubbio che per noi in Sardegna è questa una questione che viene considerata essenziale: non è un fatto secondario. E noi tutti, rappresentanti politici, ci sentiamo obbligati per gli impegni da noi stessi assunti a chiarire il problema di fronte a questa Assemblea, il che fino a questo momento non si può dire sia stato ancora fatto.

Io so che ci sono delle diffidenze, ma noi sentiamo di aver bisogno di iniziare subito questa nostra esperienza di democrazia moderna. L’onorevole Grazi, il collega e compagno socialista Grazi, quando è intervenuto a proposito della discussione sulla Regione – nella discussione generale, mi pare – ha parlato molto acremente contro l’istituto dell’autonomia anche in Sardegna, pur dichiarandosi amico e fratello dei sardi, fra i quali ha vissuto circa venti anni. Ebbene, vorrei dire all’onorevole Grazi, che giustamente dobbiamo considerare rappresentante meritevole di serie forze popolari, che non basta questo amore per i sardi per comprendere il nostro problema centrale. Io vorrei ricordare al collega onorevole Grazi che egli, a mio parere, si comporta su questo problema come tanti si comportano dopo che sono venuti nell’Isola o dalla Lombardia, o dal Veneto, o dalla Liguria, o dalla Toscana, cioè considerandosi infinitamente più capaci e guida indispensabile, per cui meccanicamente, nella loro psicologia, sono venuti ad assumere un atteggiamento quasi di superiorità anche se fraterno. È esattamente quello che accadeva nel passato quando un cittadino di Pisa, molti secoli fa, era re in Sardegna.

Non basta infatti questo affetto per i sardi, il quale si cambia poi molto spesso in una concezione di guida dal di fuori: noi abbiamo bisogno di ben altro: noi abbiamo bisogno di vita nostra. È vero: noi sardi siamo terribilmente arretrati, ma questa è la storia del nostro piccolo popolo, storia che non è stata mai la sua storia, ma quella dei conquistatori e dei dominatori che vi hanno governato. Un socialista sardo che non sia autonomista non può essere un socialista.

Al pari delle province dei centri più vivi del sud d’Italia, quale poi fu il regno di Napoli, la Sardegna usciva dall’Impero bizantino con annunzi luminosi di vita autonoma propria. Ma tutto si arresta e sopravviene tenebrosa la notte con le invasioni e con le dominazioni straniere, malgrado i falsi ed effimeri bagliori di grandi re e baroni; nel Sud, i Normanni o i re germanici; da noi, gli Aragonesi e gli spagnoli. La nostra pesante, comune arretratezza è la pesante eredità di quell’epoca. Questa è, nonostante tutti gli sfruttamenti di un’oligarchia economica e finanziaria che domina ancora, la causa originaria della differenza emersa fra Nord e Sud. Là, nel Nord, vi sono state grandezze vitali, popolari, di vita autonoma; là le Repubbliche e i Comuni, affrancandosi una volta dall’imperatore e una volta dal Papa, hanno prodotto luci di civiltà, non solo per l’Italia, ma per l’Europa. Da noi, nulla. Nel Nord, anche le Signorie sono state un progresso di fronte a noi. Noi non abbiamo avuto altro che plebi e baroni ugualmente servili.

Dateci la possibilità di riprendere contatto con la nostra stessa vita. Noi sentiamo che dobbiamo ricominciare la nostra vita e avere fiducia in noi stessi: lavorare di più – io lo riconosco, lo riconosciamo tutti noi rappresentanti dell’Isola – studiare di più, e conoscere i nostri problemi e quelli degli altri; studiare di più in tutto; sacrificare di più l’individuale al collettivo, e sperimentare di più; entrare più profondamente in questa vita di civiltà moderna d’Italia, d’Europa e del mondo; spezzare questo incantesimo tenebroso di isolamento, che è diventato psicologico dopo essere stato prima naturale; e dobbiamo – noi lo sentiamo – universalizzarci.

Ma per questo è necessario avere presupposti di vita autonoma.

Voi mi perdonerete, onorevoli colleghi, se io ho parlato con questo tono; ma voi riconoscerete che noi rappresentanti sardi in questa Assemblea non abbiamo parlato che poco o nulla della Sardegna; a differenza dei vecchi rappresentanti isolani tradizionali, che venivano qua dentro regolarmente ad esporre lamentele sulla Sardegna – vanamente – e che credevano di essere utili ai loro mercanteggiando un acquedotto di villaggio o una strada di campagna con la fiducia ai Governi, di sinistra o di destra, poco importa. Noi abbiamo spezzato questa tradizione; e io credo che questo si può definire un fatto rivoluzionario. Noi abbiamo coscienza che la rinascita dell’Isola sarà più opera dei sardi e di quanti altri vivono con loro che non dei Governi di Roma.

Perciò io credo che voi mi perdonerete se io ho parlato con questo tono su questo problema, che non è sardo, ma nazionale, e che ci tocca tutti, legati come siamo tutti allo Stato nazionale e alla comune Nazione italiana.

E quanto alle diffidenze, è chiaro che queste obbiezioni di carattere costituzionale nascondono diffidenze profonde. Ma noi sentiamo che la Sardegna, con questa sua esperienza autonoma, non si allontana dalla vita dello Stato o dall’unità nazionale, ma vi si avvicina e vi entra e vi partecipa per la prima volta, perché per la prima volta ha coscienza che questo nostro Stato è anche finalmente il suo Stato. E vi partecipa nella vita comune, vivendo in comune la stessa storia, le stesse ansie, gli stessi pericoli e le stesse speranze. Noi ci auguriamo che parteciperà anche – e l’augurio è profondo – alle stesse comuni gioie. (Applausi).

PRESIDENTE. Comunico all’Assemblea che è stato presentato alla Presidenza il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente,

ritenuta la necessità di affrettare l’attuazione dell’autonomia speciale della Sardegna sancita nell’articolo 108 del progetto di Costituzione,

delibera:

di invitare la Commissione competente a esaminare nel più breve termine lo schema di Statuto presentato dall’Alto Commissario e dalla Consulta regionale sarda e a predisporre un progetto di legge costituzionale inteso a realizzare tale attuazione».

I firmatari dell’ordine del giorno sono gli onorevoli Mortati, Tosato, Fuschini, Moro, Giordani, Cappi, Bosco Lucarelli, De Palma, Codacci Pisanelli.

Darò, a suo turno, facoltà di parlare all’onorevole Mortati per svolgere il suo ordine del giorno.

Ha facoltà di parlare l’onorevole Laconi.

LACONI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il 14 giugno noi indirizzammo al Presidente del Consiglio una interpellanza per sollecitare l’approvazione dello statuto regionale sardo da parte del Governo e la sollecita convocazione dei comizi elettorali.

Il Governo credette di non poter rispondere a questa interpellanza. L’onorevole De Gasperi il 21 giugno precisò testualmente che «il Governo non si sente impegnato ad assumere alcuna iniziativa per lo svolgimento di questa interpellanza perché essa verte su materia costituzionale sulla quale sola competente a pronunciarsi è l’Assemblea Costituente».

Io ritengo, sia mio dovere constatare che il Governo, in questa occasione, non ha dimostrato una consapevolezza sufficiente di quelli che sono i suoi compiti e le sue funzioni nei confronti dell’Assemblea. È compito peculiare del Governo, infatti, conoscere le necessità del Paese, avvertire i problemi che nel Paese si agitano e prospettare all’Assemblea quelle soluzioni che ritenga più opportune, quand’anche adottarle o meno esorbiti dalle sue competenze.

Il Governo non ha dimostrato in questo caso una sufficiente sensibilità. Spetta quindi a noi deputati sardi farci parte diligente: ed è a questo titolo che noi abbiamo presentato all’Assemblea Costituente la mozione attualmente in discussione.

La situazione può essere rapidamente ricapitolata. Il decreto del 27 gennaio 1944, n. 21, emanato dal primo Governo nazionale dopo la caduta del fascismo, istituiva in Sardegna un Alto Commissariato, e successivamente altro decreto creava accanto a questo Alto Commissariato una Giunta consultiva ove avevano rappresentanza i diversi partiti dei Comitati di liberazione nazionale.

Il 18 marzo 1944 un decreto simile veniva emanato per la Sicilia: altro Alto Commissariato, altra Giunta consultiva.

Il 28 dicembre 1944 nuovo decreto accanto agli Alti Commissariati per la Sicilia e per la Sardegna vengono create le Consulte regionali, espressione delle organizzazioni, politiche, economiche, culturali locali. Ad esse la legge attribuisce come compito specifico quello di: «formulare proposte per l’ordinamento regionale» delle due Isole.

La Consulta siciliana esaurì questo compito nel corso del 1945.

Il progetto Salemi, che fu frutto dei suoi lavori, venne presentato al Governo, e il 15 maggio 1946 fu approvato con apposito decreto dal Governo italiano. Come giustamente ha ricordato poco fa l’onorevole Lussu, in quel momento noi sardi avremmo potuto ottenere facilmente che lo statuto siciliano venisse esteso anche alla Sardegna. Vi fu anzi nelle rappresentanze sarde alla Consulta nazionale un movimento in questo senso.

Si oppose la Consulta sarda la quale – giustamente, io penso – rivendicava a sé il diritto di esprimere il pensiero e la volontà dei sardi attraverso uno Statuto aderente alle esigenze particolari dell’Isola. La Consulta ha quindi iniziato i suoi lavori – lavori che non sono stati facili non esistendo precedenti in materia ed essendo estremamente laboriose le ricerche dei dati necessari – ha iniziato i suoi lavori e li ha portati a compimento attraverso una discussione che è durata ben sei mesi e che è culminata con un pubblico dibattito alla Consulta regionale sarda. Il 29 aprile di quest’anno finalmente lo Statuto regionale sardo è stato approvato dalla Consulta e l’Alto Commissario per la Sardegna lo ha presentato al Governo.

A questo punto il Governo, io penso, aveva due possibilità, non una sola, onorevoli colleghi: due strade davanti a sé. Poteva richiamarsi al precedente siciliano e procedere quindi all’approvazione dello Statuto con la riserva del coordinamento con la Costituzione, che rimane in ogni caso di competenza dell’Assemblea. Ovvero poteva rimettere alla Costituente lo Statuto regionale sardo ai termini del decreto 16 marzo 1946 il quale appunto attribuisce integralmente all’Assemblea la competenza in materia costituzionale.

Indubbiamente, la seconda procedura è più corretta; ma il Governo, se avesse avvertito la necessità politica di venire incontro alle esigenze della Sardegna ed alla volontà unanime del popolo sardo, avrebbe dovuto – io penso – almeno porre in discussione la procedura dinanzi alla Camera. Ciò era nelle sue possibilità e – io penso – anche tra i suoi doveri. Sta di fatto che al Governo è mancata ogni sensibilità per i problemi sardi, e me ne è testimonianza il fatto che abbia lasciato cadere la nostra interpellanza, come poco fa ho ricordato all’Assemblea; e me ne è ulteriore testimonianza il fatto che in questo momento i banchi del Governo siano così spopolati e manchi perfino il Presidente del Consiglio mentre si dibatte una questione di tanto rilievo nazionale.

Ho detto che esistono due strade, due procedure possibili. Non è infatti assodato in modo assoluto, non è certo in modo inequivocabile che soltanto la procedura prevista dal decreto del 16 marzo 1946 sia consentita e giuridicamente possibile. Non è affatto assodato, perché da tutto ciò che io ho ricordato poco fa all’Assemblea, dal fatto cioè che fin dal gennaio del 1944 sia stato costituito l’Alto Commissariato per la Sardegna, si desume che qui non si tratta affatto di una riforma costituzionale da iniziare: qui si tratta di una riforma costituzionale già iniziata e attualmente in corso, onorevoli colleghi.

La riforma costituzionale è stata iniziata dal decreto del dicembre 1944 – se non da quelli precedenti – il quale appunto stabilisce all’articolo 1 – e mi si dica che queste norme non sono di rilievo costituzionale – che è istituito un Alto Commissariato per la Sardegna, il quale sopraintende a tutta l’Amministrazione civile e militare, nonché agli Istituti di diritto pubblico dell’Isola; dirige e coordina l’azione dei prefetti ed esplica tutte le attività dell’Amministrazione centrale salvo la giustizia, l’istruzione superiore, l’amministrazione militare e finanziaria. Non solo; all’Alto Commissario è pure rimessa la potestà di emanare, sentita la Consulta, norme di attuazione delle leggi dello Stato in materia di agricoltura, commercio, industria, lavoro, comunicazioni ed approvvigionamento. Con lo stesso decreto, la Consulta regionale è stata investita della facoltà di formulare proposte per l’ordinamento regionale. Non è quindi esatto che noi in questo momento dobbiamo parlare di una riforma da iniziare. Noi dobbiamo parlare unicamente di una riforma che è già in corso, sia per quanto concerne l’ordinamento amministrativo, sia per quanto concerne le funzioni legislative, e per il cui perfezionamento si è dato mandato a un organo speciale, rappresentativo, in certa misura, di presentare un progetto. Evidentemente la riforma è già in atto. Per la Sicilia questa riforma è stata condotta a compimento dopo la costituzione di questa Assemblea, in quanto dopo tale costituzione, ai sensi delle leggi già emanate, sono stati convocati i comizi elettorali ed emanate le norme per l’attuazione dello Statuto.

Evidentemente per la Sicilia si è tenuto conto del fatto che ci si trovava dinanzi a una riforma in corso di attuazione. La stessa esigenza si propone in questo momento per la Sardegna. Io non dico che sia pacifico il riferimento al precedente siciliano. Io vi dico che vi è un caso nuovo, per il quale si pone un problema nuovo di procedura ed io dico che se il Governo avesse avvertito la necessità politica di adottare una procedura nuova, era suo dovere proporre alla Camera la questione ed invitare la Camera a risolvere il quesito.

Si fanno delle obiezioni a questa procedura speciale che noi proponiamo per l’approvazione dello Statuto sardo. Poco fa, queste obiezioni ce le ha riassunte l’onorevole Abozzi.

Si osserva che il decreto 16 marzo 1946 preclude qualsiasi possibilità di delegare il potere costituzionale ad altro organo, al Governo. È esatto questo? A me non pare che sia esatto.

L’articolo 3 del decreto 16 marzo 1946, stabilisce unicamente che la funzione legislativa «resta» delegata, salvo la materia costituzionale, al Governo e cioè stabilisce, implicitamente, che la materia costituzionale non «resta» delegata. Ma ciò non significa affatto che la Costituente di sua iniziativa e in base ai suoi poteri non possa delegare la funzione legislativa su una determinata materia costituzionale al Governo riservando a sé il coordinamento di quella legge che risulterà con la Costituzione dello Stato. Non è escluso, e non potrebbe in alcun modo essere escluso, in quanto l’Assemblea è sovrana.

Vero è che nella sovranità dell’Assemblea non può essere compresa la potestà di spogliarsi dei suoi poteri, ma delegare una funzione non è spogliarsi dei poteri; delegare una funzione legislativa su una materia determinata riservandosi il coordinamento non significa affatto spogliarsi del potere costituzionale, significa soltanto adottare una procedura speciale. Ed è appunto questo che noi chiediamo alla Camera: che ravvisi in questo momento la necessità di adottare una procedura speciale ed accelerata.

Si noti inoltre che la Consulta sarda ha steso il progetto conoscendo lo Statuto regionale siciliano, già approvato dal Governo, e conoscendo inoltre il progetto di ordinamento regionale della Commissione dei Settantacinque. Evidentemente essa è stata guidata da criteri che sono ormai adottati dalla maggioranza della Camera. Io non penso che non si possano formulare delle critiche allo Statuto regionale sardo; allorché questo Statuto verrà a questa Assemblea per il coordinamento, anche noi formuleremo delle critiche a questo Statuto, formuleremo delle critiche ed in questo momento intendiamo avanzare delle riserve che possono essere di suggerimento al Governo all’atto in cui, lo spero, per voto della Camera, dovrà emanare con legge lo Statuto sardo. Queste riserve concernono soprattutto quella parte dello Statuto regionale sardo che riguarda la Provincia. Ormai l’Assemblea Costituente ha in questa materia assunto già una posizione precisa ed io penso che il Governo, il quale conosce l’indirizzo seguito dall’Assemblea Costituente, ed ha sotto gli occhi il progetto di ordinamento regionale che è stato approvato da questa Assemblea, possa facilmente correggere le deficienze dello Statuto sardo a questo proposito.

Non esistono quindi, onorevoli colleghi, né difficoltà di ordine formale, né difficoltà di ordine sostanziale. La procedura speciale può essere tranquillamente e serenamente adottata da questa Assemblea.

Ora vi è da vedere se sussistono quei motivi particolari, eccezionali, che possono consigliare all’Assemblea di adottare una procedura speciale. È pacifico che l’Assemblea non può adottare la procedura che noi le proponiamo se non ravvisa necessità particolari ed urgenti.

Vi sono questi motivi particolari? Si dice che non vi sono.

Io ho sentito da più parti obiettare che, dato che ormai sono secoli che questo problema matura, e sono almeno decenni che questa soluzione viene agitata, non vi sarebbe una ragione particolare per adottare particolari procedure e venire all’approvazione dello Statuto con urgenza.

È vero che il problema della Sardegna è ormai secolare; ma è anche vero che questo problema si è esasperato nel corso degli ultimi decenni e particolarmente a seguito delle due ultime guerre e del fascismo. E dovevano pur sussistere degli speciali motivi d’urgenza, se il Governo fin dal gennaio 1944 ritenne di dover adottare per la Sardegna una particolare riforma per quanto sapesse perfettamente che organi costituzionali dovevano essere creati nel nostro Paese, i quali sarebbero stati più di esso competenti ad emanare la riforma costituzionale.

In che consiste questo aggravamento della situazione? La guerra, come sbocco finale di tutta una politica, che è in contraddizione con gli interessi e le necessità della Sardegna, ha determinato una crisi estrema nell’Isola. Altre Regioni, almeno nelle loro categorie produttive e possidenti, hanno potuto avere dalla guerra determinati vantaggi, attraverso le forniture allo Stato. La Sardegna manca completamente di industrie manifatturiere e di rilievo bellico; non ha avuto quindi nessun vantaggio dalla guerra. Unica produzione industriale di interesse bellico è quella estrattiva del carbone, che è però in mano allo Stato. Ed anche a questa produzione, durante il periodo della guerra e dopo, sono state imposte particolari condizioni di vendita a prezzo politico, che non hanno potuto non riverberarsi sui salari delle maestranze e hanno, quindi, avuto influenza negativa sulla vita dell’Isola.

Unica risorsa della nostra Regione è la produzione agricola e zootecnica, la quale, durante la guerra, ha dovuto soffrire i blocchi più severi, in quanto l’isolamento della Sardegna e la necessità di alimentare, oltre ad un milione e 200 mila abitanti, 200 mila soldati, ponevano le autorità locali nella necessità di esercitare un particolare rigore. La Sardegna ha dovuto soffrire integralmente i prezzi politici ed i gravami fiscali ed è uscita terribilmente impoverita dalla guerra. Voi non avete forse idea del grado cui è giunto questo impoverimento, della deficienza non solo di prodotti industriali, ma anche di prodotti agricoli, che si verificò in Sardegna nell’immediato dopo-guerra. Sembra incredibile! Ma una popolazione di un milione e 200 mila abitanti su un territorio di 2 milioni e 400 mila ettari, ad un determinato momento, dopo la guerra, si è trovata senza gli alimenti necessari per la stessa esistenza.

Non è vero che manca l’iniziativa. Basterebbe vedere, in questi ultimi anni, il risorgere delle nostre città distrutte, il miracolo di Cagliari, che, forse, in tutta Italia è la città più rapidamente ricostruita, unicamente per la volontà e lo sforzo dei suoi abitanti; basterebbe guardare a questo fenomeno, per constatare che non è l’iniziativa che manca. Anche durante la guerra, mentre durava l’isolamento dalla Penisola, vi è stato tutto un fiorire di piccole iniziative nell’artigianato e nella piccola industria; per anni noi ci siamo vestiti e calzati coi prodotti locali che le nostre donne e gli artigiani filavano, tessevano e conciavano; tutto ciò sta a dimostrare che non manca la volontà. Mancano, invece, le condizioni, perché possa fiorire l’iniziativa individuale; e queste condizioni sono venute meno ancora di più, quando si è riaperto il mercato nazionale e si sono ristabiliti i traffici tra il Continente e la Sardegna. Ci siamo trovati allora dinanzi a un enorme afflusso di carta moneta svalutata, che accaparrava le ultime risorse del nostro mercato. E ci siamo trovati dinanzi ad una corrente di importazione di prodotti industriali a prezzi altissimi, alla cui concorrenza pure non poteva reggere la piccola produzione locale per la inferiorità del prodotto. Abbiamo così attraversato un periodo, in cui la speculazione era regina nell’Isola. La Consulta regionale ha tentato di porre rimedio a questa situazione e di frenare l’esportazione dei prodotti locali, che minacciava di impoverire completamente la Sardegna e di privarla degli stessi prodotti necessari all’alimentazione dei suoi abitanti.

Anche i Governi passati hanno, in qualche misura, fatto degli sforzi per l’aumento della produzione e per lo sviluppo economico dell’Isola, specie attraverso le leggi Gullo e Segni che, soprattutto nelle zone settentrionali dell’Isola, hanno avuto applicazione estesa, corrispondendo ai bisogni immediati della popolazione. Il Governo ha tentato di venirci in aiuto, favorendo la produzione, e promuovendo l’industrializzazione dell’Isola con la creazione del famoso Banco di Sardegna, che non ha però potuto tradursi in realtà per deficienza di capitali, ed è venuto incontro, in una certa misura, alle necessità della Sardegna, con un complesso di lavori pubblici, per combattere la disoccupazione.

Ma quando si poteva sperare che attraverso l’aiuto del Governo nazionale e l’azione regolatrice degli organi locali si potesse avviare in qualche modo l’Isola ad uscire dalle tristi necessità del dopo-guerra, sono intervenuti fattori al disopra della volontà umana: la siccità, le cavallette, le epizoozie, le alluvioni che hanno percorsa e devastata in ogni parte l’Isola. Oggi, onorevoli colleghi, qualunque cosa possano dire gli indici in mano al Governo, la Sardegna è la regione di fatto più povera d’Italia. E già pesa, purtroppo, su questa nostra terribilmente impoverita isola, la minaccia di nuovi mali, forse non minori di quelli passati. Già pesa la minaccia di aggravamenti fiscali, che porteranno gran parte dei piccoli proprietari alla liquidazione parziale o totale delle proprie attività patrimoniali, con conseguenti, profonde e sfavorevoli modificazioni della distribuzione della proprietà terriera.

A questo punto, onorevoli colleghi e signori del Governo, noi deputati sardi abbiamo il dovere di dirvi che occorre fermarsi, che occorre risalire la china, che occorre battere strade nuove. Non si può attendere l’ultima ora e non si possono attendere manifestazioni che nessuno di noi desidera e che aggraverebbero ulteriormente le condizioni di un popolo giunto all’estremo delle sue risorse e della sua pazienza. Badate, onorevoli colleghi, che questa sensazione non è unicamente nostra.

Le stesse autorità, gli stessi pubblici poteri dell’Isola hanno la sensazione che la situazione è giunta al suo punto cruciale. L’Alto Commissario vi ha proposto, signori del Governo, un piano quinquennale di opere pubbliche e di provvedimenti urgenti per la Sardegna e si è associato, come ci ha comunicato, alla nostra proposta per una sollecita convocazione dei comizi elettorali. Evidentemente, anche le autorità isolane hanno la precisa sensazione che è necessario adottare rimedi pronti ed efficaci. Noi vi chiediamo l’una e l’altra cosa: vi chiediamo di adottare il piano quinquennale presentato dall’Alto Commissariato – che raccoglie, in sostanza, le proposte già formulate dalla Consulta regionale e dalle Amministrazioni locali – e vi chiediamo di darci la possibilità di rielaborare una parte almeno della legislazione nazionale, per renderla adeguata ai bisogni ed alle necessità preminenti della nostra Regione.

L’autonomia non è una panacea. Non pensiamo che essa possa risolvere miracolosamente tutti i nostri problemi, ma siamo sicuri che l’autonomia ci consentirà almeno, per ora, di porre rimedio alle necessità più urgenti della nostra terra e di iniziare l’opera di rinnovamento. Il compito che ci sta di fronte non è né semplice né agevole. Ne abbiamo coscienza. Si tratta intanto di stabilire, nell’Isola, un livello civile di vita.

Voi forse non avete un’idea, signori del Governo, delle condizioni di vita che vigono attualmente in Sardegna. Io vorrei che voi consideraste attentamente talune cifre che ci ha fornito lo stesso Alto Commissariato: dei 320 comuni dell’Isola, 60 sono privi di acquedotti; 130 hanno acquedotti incompleti; 120 non possono assicurare l’approvvigionamento idrico delle popolazioni in estate; non c’è nessun comune fornito sufficientemente di acqua, neppure i capoluoghi di provincia. Vi sono 215 comuni sforniti completamente di fognature; 38 hanno fognature incomplete; 77 comuni non hanno cimiteri; 48 hanno dei cimiteri insufficienti. Queste sono cifre, onorevoli colleghi. Questa è la situazione reale dell’Isola. Non si parli poi delle comunicazioni e delle strade. La Sardegna ha 0,195 chilometri di strade per chilometro quadro di territorio, contro 0,275 della Lucania, che è la regione più sfornita di strade di tutta la Penisola.

Nella stessa zona di Oristano, la più fertile dell’Isola, vi sono vasti territori in cui i contadini non possono raggiungere i propri fondi per mancanza di strade. Non vi è dunque da stupirsi se, allo stato attuale, il 77 per cento del territorio dell’Isola è incolto e se le rese per tutte le coltivazioni sono largamente inferiori alla media nazionale.

Occorrono evidentemente metodi nuovi, occorre iniziare una larga azione nel settore dei lavori pubblici e del rimboschimento e della bonifica; occorre dare un incoraggiamento all’iniziativa locale, e occorre incoraggiare soprattutto il movimento delle cooperative, sia nel settore agricolo che in quello della zootecnia, che già per iniziativa locale, e senza nessun aiuto, attraverso le sole strade aperte dai decreti Gullo e Segni, ha avuto un enorme inatteso sviluppo.

La organizzazione della produzione in Sardegna è ancora primitiva e vi è tutta un’opera da condurre su questo terreno. Abbiamo oggi 8,6 capi bovini per chilometro quadrato contro 48,8 delle Regioni del nord. Per quanto riguarda la produzione zootecnica, siamo ancora, come sapete, ai metodi più primitivi di conduzione, al pascolo brado. Occorrerà, quindi, in questo campo, favorire tutte quelle iniziative che tendano ad uno sviluppo industriale e commerciale e promuovere tutte le forme di economia associata.

Noi non pensiamo, onorevoli colleghi, di tagliare i ponti con l’Italia. Posso dirlo a nome di tutti i sardi: è ben lontano da noi un proposito di questo genere. Sappiamo troppo bene che nessuna opera potrebbe essere nemmeno iniziata se non ci soccorresse l’aiuto iniziale di tutti gli italiani e del capitale privato e di quello statale. Pensiamo anzi che la riforma che vi proponiamo è parte integrante delle grandi riforme strutturali che l’Assemblea Costituente dovrà iniziare e che la futura Assemblea legislativa dovrà completare.

La riforma autonomistica in Sardegna è parte integrante della riforma agraria, e non avrebbe significato e valore se non venisse intesa e promossa in quel quadro ed in quella prospettiva.

Vi è chi si è chiesto per quali ragioni noi comunisti, che abbiamo assunto una posizione moderata per l’ordinamento regionale nazionale, abbiamo invece fin dal primo momento sostenuto la necessità di concedere statuti propri e autonomie ampie alle Isole e alla Sardegna, in particolare. Queste ragioni sussistono e non sono superficiali.

Non vi adduciamo soltanto ragioni geografiche, non vi adduciamo soltanto quei motivi storici, di carattere estrinseco, che sono stati forniti per altre Regioni: è tutto il modo in cui la Sardegna si è inserita nell’Italia una, è il modo in cui si sono sviluppati i rapporti della Sardegna col Piemonte prima, e con l’Italia poi, che ci suggerisce, in questo momento, di adottare per la Sardegna un ordinamento particolare.

L’annessione della Sardegna non è risultata, come un fatto politico necessario, da quel processo di unificazione economica e di rinnovamento sociale che ha determinato il Risorgimento italiano: l’annessione della Sardegna è stato un atto diplomatico e militare e la sua economia non ha potuto inserirsi nell’economia nazionale, perché si trovava ancora allo stadio pre-capitalistico.

Quando la legge delle Chiudende nel 1820 e l’editto per l’abolizione del feudalesimo nel 1836 istituirono in Sardegna la proprietà privata, vi fu un movimento insurrezionale che durò per 15 anni nell’Isola: erano le comunità contadine che sostenevano i diritti di ademprivio conquistati attraverso una lotta secolare contro i signori, e li sostenevano in quanto, attraverso il rinnovamento che era stato introdotto dalla nuova legislazione piemontese – adatta a situazioni economiche e sociali più avanzate – essi non vedevano altra prospettiva se non quella di un progressivo impoverimento.

Sicché, l’apertura del mercato nazionale – che è avvenuta intorno al 1848 allorché vi è stata l’unificazione doganale col Piemonte – per la Sardegna non ha portato quei vantaggi che ha portato per le altre Regioni; l’ha, anzi, aperta indifesa all’opera di sfruttamento del capitale mercantile e, in un secondo momento, del capitale industriale, l’uno e l’altro interessati a strapparle unicamente materie prime, allo stato grezzo e semilavorate. Sicché tutto l’ordinamento produttivo sardo nelle sue prospettive di progresso e di sviluppo si è trovato in costante e netta contraddizione con l’economia capitalistica italiana e con l’ordinamento sociale e giuridico italiano.

Si dirà che queste contraddizioni sono ormai risolte e superate. Non sono superate, onorevoli colleghi, e non lo sono perché non fu mai rinnovato il sistema produttivo, perché tuttora, accanto alle immense ciminiere di Monteponi di Carbonia, il pastore sardo guida le pecore con il suo vincastro per lande inseminate, perché ancora il contadino scava con l’aratro a chiodo la terra, perché ancora due economie e due mondi coesistono nell’Isola senza compenetrarsi. E da questa contraddizione scaturisce ancora sulle labbra del pastore e del contadino isolano il grido che guidava i padri nelle lotte contro il Piemonte: «torrare a su connottu» (vogliamo tornare a quello che hanno conosciuto i nostri padri); «sos muros a terra» (vogliamo abbattere la proprietà privata), grido che non risponde certo ad una chiara prospettiva politica, che non indica forse esattamente la strada di rinnovamento dell’economia isolana, ma esprime la ribellione dell’uomo semplice contro uno stato di cose ingiusto e il rimpianto dei tempi passati, migliori forse del presente.

Per questo, onorevoli colleghi, sin da quando si manifestò in Sardegna, un movimento culturale e politico degno di questo nome, esso assunse caratteri profondamente regionali ed autonomistici.

Questa inspirazione si ritrova in tutta la letteratura isolana, e in quella popolare e in quella colta; questo indirizzo corre nella letteratura, nella propaganda, in tutta l’attività politica che ha avuto luogo in Sardegna da un secolo a questa parte.

Riassunta venticinque anni fa in un programma politico dalla corrente che faceva capo al Partito sardo d’azione, condivisa dalle frazioni più avanzate del movimento socialista, la rivendicazione autonomistica è oggi patrimonio di tutti i Partiti dell’Isola e costituisce la comune rivendicazione di tutti i sardi.

La necessità, onorevoli colleghi, che noi vi prospettiamo scaturisce e risulta, quindi, da motivi che sono insieme immediati e remoti. Noi siamo entrati in Italia per un fatto diplomatico e militare; abbiamo partecipato ai sacrifici e alle lotte comuni del popolo italiano, in quanto abbiamo sentito che troppi fattori ci legavano profondamente alla vita nazionale. Ma oggi chiediamo di avere diritto di cittadinanza in questa Nazione rinnovata non soltanto come Cittadini italiani, ma anche come parte attiva nella vita economica e sociale del Paese.

Noi vi chiediamo oggi di consentirci che, attraverso l’autonomia, noi consolidiamo la partecipazione della Sardegna alla vita nazionale. Non è che questo, onorevoli colleghi, quello che noi vi chiediamo; non sono che questi i motivi per i quali noi vi proponiamo l’adozione di una procedura speciale la quale comporterà la sollecita approvazione delle statuto e la convocazione dei comizi elettorali entro l’anno. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Mortati. Ne ha facoltà.

MORTATI. Onorevoli colleghi, la questione sollevata dall’onorevole Lussu presenta due aspetti: l’uno che vorrei definire di opportunità e che naturalmente implica un giudizio di merito politico; l’altro che è invece di costituzionalità e quindi puramente di forma. Per quanto riguarda l’aspetto che ho chiamato di opportunità politica e che si compendia nella questione se convenga o meno disporre un’immediata entrata in vigore del proposto Statuto sardo, confesso che mi sorge qualche dubbio.

È bene, onorevoli colleghi, che noi poniamo mente ad una circostanza, che cioè questo Statuto dovrà essere sottoposto a revisione fra qualche mese, e, in questa sede, potrebbe subire modificazioni sostanziali rispetto a ciò che è stato proposto dalla Consulta regionale sarda. L’immediata sua entrata in vigore potrebbe indurre le popolazioni sarde nella convinzione di una definitività dell’assetto che si introduce, che sarebbe causa di delusioni, o di inconvenienti, senza parlare poi dell’inconveniente di dovere instituire uffici o competenze, che potrebbero, subito dopo, essere eliminati o modificati. Diverso, evidentemente, il caso dello Statuto siciliano, entrato in vigore quando non si poteva prevedere come prossima la data del coordinamento con la nuova Costituzione, di là da venire. In sostanza la preoccupazione legittima è quella di provvedere al più presto possibile alle elezioni. Ma, per sodisfare a questa esigenza, mi pare che non sarebbe difficile provvedere, anche senza l’attuazione dell’intero Statuto, facendo entrare in vigore solo la parte dell’organizzazione, salvo, nel frattempo, ad operare il coordinamento che dovrà esser fatto dall’Assemblea, in modo da consentire che quando i nuovi organi saranno investiti della carica potrà darsi inizio all’attività regionale nella sua forma definitiva.

Ma, in ogni caso, a me pare che prevalente in questo momento sia la questione di forma; cioè l’accertamento del come giungere a questo risultato cui tutti tendiamo, di realizzare nel più breve termine possibile l’autonomia sarda, che è già stata consacrata solennemente nell’articolo 108 della Costituzione. Ora, è appunto su questo problema che io desidero intrattenere brevemente l’Assemblea.

E, anzitutto, a questo proposito mi pare che bisogna con molta fermezza respingere le accuse, già enunciate dall’onorevole Lussu e ricalcate con una certa particolare acredine dall’onorevole Laconi, intorno ad una presunta inadempienza del Governo, ad una presunta sua insensibilità politica. Si è detto che il Governo ha tardato a prendere i provvedimenti che sarebbero stati di sua competenza per realizzare la rapida attuazione dello Statuto sardo. Io osservo che questo rimprovero è del tutto gratuito ed infondato. Il Governo, venuto in possesso di questo Statuto, ha fatto l’unica cosa che poteva fare, ha seguito l’unica via che gli era consentito seguire: cioè trasmettere alla Presidenza dell’Assemblea, lo Statuto stesso, affinché prendesse i provvedimenti di sua competenza.

Che i provvedimenti fossero di competenza dell’Assemblea, è indubbio; dato che il carattere costituzionale dei medesimi è da tutti ammesso, a cominciare dagli onorevoli Lussu e Laconi. Evidentemente, se si tratta di atto di indole costituzionale, il Governo non poteva fare altro che eccitare la competenza dell’Assemblea attraverso il deposito dello Statuto ad esso pervenuto, nelle mani della sua Presidenza.

Ora, ciò posto e chiarito, qual è la procedura da seguire per realizzare la desiderata attuazione dello Statuto sardo?

L’onorevole Lussu propone un’autorizzazione, che dovrebbe essere data dall’Assemblea in questo momento – a conclusione della votazione sulla mozione stessa – un’autorizzazione al Governo ad approvare ed attuare, cioè a dar subito vigore a questo Statuto. L’onorevole Lussu ha citato l’autorità di un illustre parlamentare e costituzionalista, cioè dell’onorevole Orlando. Sono dolente che l’onorevole Orlando non sia presente nell’Aula, perché ci avrebbe potuto illustrare a voce questa sua opinione circa la regolarità della procedura suggerita. Con tutto il rispetto dovuto all’eminente Maestro, debbo dissentire dall’opinione a lui attribuita: non è possibile che l’Assemblea dia l’autorizzazione ad attuare lo Statuto sardo, cioè l’autorizzazione a modificare l’assetto fondamentale dello Stato per questa parte, attraverso un semplice voto a conclusione della discussione sulla mozione. Già – osservo incidentalmente – è errata la parola «autorizzazione», perché, se mai, bisognerebbe pensare ad una delega; delega che a me sembra possibile, che a me sembra consentita dalla Costituzione provvisoria che attualmente ci regge e che è consacrata nel decreto legislativo luogotenenziale 16 maggio 1946. Io ritengo legittima la delega, perché precisamente questa Costituzione provvisoria, ha carattere di flessibilità e quindi consente all’organo supremo, che è l’Assemblea Costituente, di apportare ad essa delle modifiche. Un’applicazione recente della flessibilità di questa Costituzione provvisoria abbiamo fatto noi stessi quando, poche settimane or sono, abbiamo approvato la proposta di prorogare i termini fissati dall’articolo 4 alla vita dell’Assemblea Costituente. Evidentemente, se l’Assemblea Costituente ha potuto modificare la disposizione costituzionale relativa al termine, con eguale legittimità, potrebbe trasferire al Governo l’esercizio di una potestà di sua competenza, quale è quella di modificare la Costituzione attuale, sancendo a favore della Sardegna una determinata legislazione speciale.

Quindi, che una delega (non già un’autorizzazione) sia possibile a tenore della Costituzione provvisoria attuale, io non credo dubbio. Si tratta, però, della forma. Come attuare questa delega? Evidentemente, non con un voto generico su una mozione, ma attraverso l’unica forma possibile, cioè l’approvazione di un disegno di legge che determini precisamente il modo, la forma, i limiti di attuazione di questo Statuto da compiere dal Governo. Non sarebbe possibile allo stato delle cose concedere una delega generica, per l’attuazione di questo Statuto che nessuno di noi conosce, non essendo stato distribuito ai membri dell’Assemblea. Siccome questo Statuto si trova attualmente presso una Commissione dell’Assemblea, spetta a questa Commissione di esaurirne l’esame (nel caso che l’abbia iniziato) o di iniziarlo (nel caso che non l’abbia ancora iniziato) e presentare all’Assemblea le proposte relative.

È necessario quindi, per il momento, rimettersi all’apprezzamento di questa Commissione circa la linea da seguire. Sarà questa Commissione che, in base alla valutazione delle singole disposizioni dello Statuto, potrà proporre all’Assemblea o l’attuazione immediata dell’intero Statuto o l’attuazione provvisoria di alcune parti dello Statuto stesso, e precisamente di quelle parti che si riferiscono agli organi, e quindi all’elezione dell’Assemblea regionale. Sarà insomma la Commissione competente che dovrà illuminarci circa le vie da seguire e proporci quel disegno di legge di natura costituzionale, il quale dovrà poi essere approvato dall’Assemblea Costituente con la procedura normale.

A me pare che seguire un’altra via sarebbe non solo illegittimo, ma anche inopportuno. Qualcuno può pensare che la questione d’indole formale abbia poca importanza. A me non pare. Le questioni di forma sono questioni di grande importanza per un popolo civile perché ad esse sono legati valori di straordinaria importanza, i valori della certezza del diritto e della stabilità delle istituzioni. Non possiamo, dunque, esporre questa materia così delicata ad accuse di incostituzionalità e ad incertezze, accuse di incostituzionalità ed incertezze che sorgerebbero se venisse seguita la via suggerita dall’onorevole Lussu.

È appunto per questo, ed anche per una questione di sostanza che – come accennavo – consiste nella necessità di valutare nel merito questo Statuto per potere giudicare quale parte di esso possa senza danno essere attuata, è – dicevo – tenendo presente questa duplice considerazione, di sostanza e di forma, che io propongo l’ordine del giorno già letto e che comporta il deferimento alla Commissione delle proposte relative al mode migliore per giungere alla rapida attuazione dello Statuto sardo.

A quest’ordine del giorno io attribuisco valore di emendamento e chiedo che, come tale, esso sia posto in votazione prima della mozione. (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Mastino Gesumino. Ne ha facoltà.

MASTINO GESUMINO. Onorevoli colleghi, parlo unicamente perché intendo precisare il mio pensiero, che è in parziale disaccordo con quello espresso testé dall’onorevole Mortati.

Certamente l’onorevole Mortati ha giuridicamente ragione allorché afferma la possibilità della delega da parte dell’Assemblea al Governo dell’esercizio di uno dei propri poteri costituzionali. Penso però – e su queste punto prego l’assemblea di volermi attentamente seguire – che il problema sia stato mal posto allorché si volle restringere la possibilità della immediata attuazione dello Statuto autonomista sardo alla delega che l’Assemblea può oggi dare al Governo.

Io penso che l’Assemblea utilmente intervenga ora presso il Governo, al fine di dare maggiore autorità al provvedimento che si vuole ottenere da esso. Ritengo però che il Governo – malgrado le critiche, direi, di obbligo, dell’onorevole Laconi – non avesse veste per potere prima autonomamente intervenire nell’argomento, in quanto la Sardegna aveva già una prima volta, attraverso la Consulta regionale, manifestato il desiderio di autonomamente decidere sullo Statuto della propria autonomia e di voler attendere che la sua decisione avesse la consacrazione di questa Assemblea. Ma io ritengo che di questa delega formale dell’Assemblea, pur sempre opportuna, il Governo non avesse necessità; e qui mi richiamo al principio indiscutibile della continuità dell’ordinamento giuridico italiano come della continuità di qualunque ordinamento statale: continuità che lega necessariamente la legislazione attuale alla legislazione scaturita dai Governi dei Comitati di liberazione. Ora, si è detto – anzi, ripetuto varie volte – che la Sardegna avrebbe potuto ottenere da parecchio tempo l’autonomia stessa, che, per decreto-legge, fu concessa alla Sicilia; ma non si è precisato che nel decreto che concedeva l’autonomia alla Sicilia era detto con chiarezza di espressione, e quindi con assoluta tassatività di norma, che la Sardegna aveva diritto di ottenere la stessa autonomia che veniva concessa alla Sicilia. Quindi, la legge che approvava lo Statuto siciliano non esauriva il suo compito in questa approvazione, ma aveva una efficacia che oltrepassava i limiti dello Statuto siciliano, in quanto concedeva un preciso diritto alla Sardegna. Ora, amici e colleghi, l’esercizio di questo diritto sardo non era limitato nel tempo; in modo che non si può dire (sarebbe una eresia giuridica e si affermerebbe cosa immorale) che non avendo la Sardegna esercitato questo diritto che le derivava dalla legge, immediatamente dopo l’approvazione dello Statuto siciliano, abbia perduto la facoltà di esercitarlo ora.

Le norme comuni di diritto hanno sempre affermato, fin dai tempi della legislazione romana, che non si possa presumere la rinuncia ad alcun diritto; e qui, non ci sarebbe bisogno di ricordarlo, siamo in tema di diritto pubblico e quindi la rinuncia dovrebbe essere circondata da speciali garanzie. Non è, pertanto, presumibile che la Sardegna abbia, con la sua volontà, rinunciato a questo suo diritto. Se così è, la Sardegna, che non ha esercitato il diritto allorché pure ne aveva facoltà, ha conservato il potere di esercitarlo ora. Lo esercita attraverso la mozione dell’amico onorevole Lussu, che io ho firmato e che risponde all’ardente desiderio di tutta la gente sarda.

Vi dicevo che sarebbe anche socialmente e moralmente strano che si opponesse a questo desiderio sardo unicamente il punto di vista del tempo trascorso. Ora, voglio fare un’affermazione e non credo di lasciarmi trascinare – in questa mia affermazione – dal mio profondo e, direi quasi, appassionato attaccamento alla mia terra. Noi sardi abbiamo anche in questa occasione dimostrato quella serietà, quel senso di disciplina, quel senso di decoro e quel senso di personalità autonoma che sono le caratteristiche più profonde della nostra razza millenaria. Noi, che avremmo potuto ottenere un vantaggio al quale aspiravano coscientemente o incoscientemente le generazioni trascorse e quelle viventi, rinunciammo perché volemmo meditare, esaminare se i termini e le forme dell’autonomia concessa alla Sicilia rispondessero alle necessità pratiche della Sardegna. Compiuto questo esame, la Sardegna presenta all’Assemblea un proprio Statuto regionale e chiede le venga riconosciuto un diritto consacrato dalla legge. Non credo che né l’Assemblea, né il Governo, si possano sottrarre all’obbligo che dalla legge deriva.

L’unica obiezione della cui fondatezza io mi rendo conto (badate, io tratto il problema unicamente dal punto di vista giuridico, quindi non credo necessario, come ha creduto l’amico Abozzi, riferirmi ai languenti occhi del signor De Montesquieu e neppure, se me lo consente l’amico Laconi, disturbare nel loro galoppo i quattro Cavalieri dell’Apocalisse) può essere superata purché noi ci soffermiamo a valutare i soli dati concreti del problema che ci viene sottoposto.

L’obiezione fondamentale è questa: l’Assemblea è stata chiamata a dare una delega al Governo. Ora, io ho sentito sussurrare intorno a me il dubbio, dubbio che scaturiva da una preoccupazione di ordine morale oltre che intellettuale, sulla possibilità di dare autorizzazione a compiere un atto della cui sostanziale portata non si conoscono i termini; perché, effettivamente, lo Statuto sardo è ignoto alla massima parte di voi e se io non temessi di dare l’impressione di essere maligno nella stessa linea in cui maligno è stato l’onorevole Laconi, potrei dire che forse neppure il Governo ancora lo conosce.

L’obiezione è certamente forte, però non mi pare che distrugga la fondatezza del ragionamento. Certo, l’Assemblea è sostanzialmente chiamata a compiere un atto di fede, un atto di fede nella Sardegna e nel senso di responsabilità dei sardi.

Ora, capisco che per molti di noi è difficile compiere questo atto di fede. Durante la discussione sulle autonomie regionali io ho sentito vari eloquenti colleghi parlare con vero terrore delle possibili attività delle future Assemblee regionali. Immaginavano che le Assemblee dovessero essere composte di persone o esagitate o inconsapevoli, le quali, in preda ad improvvisi strani furori, non avrebbero avuto altra idea che quella di sconvolgere la legislazione dello Stato e compiere le più impensate sciocchezze. Io non so se questo ragionamento sia esatto rapportato alle Regioni per le quali gli amici e colleghi parlarono. Certo deve essere respinto in rapporto alla Sardegna. I colleghi sanno che per quanto riguarda amor di Patria, attaccamento ai doveri verso la Nazione, la Sardegna, che per questa Italia, che tanto l’ha dimenticata, ha dato il sangue migliore dei suoi figli ed ha scritto pagine immortali di eroismo, non può ricevere lezioni da alcuno. (Applausi).

Per quanto riguarda il merito, cioè la capacità dei sardi di auto-amministrarsi con dignità, con pacatezza e con serenità, io prego l’Assemblea di voler credere che la Sardegna darà ancora una volta la dimostrazione di essere degna della fiducia, della Patria. (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Carpano Maglioli. Ne ha facoltà.

CARPANO MAGLIOLI. A nome del Partito socialista, porto l’adesione alla mozione dell’onorevole Lussu e degli altri colleghi firmatari nella certezza di rispettare, in atto concreto di democrazia, la volontà del popolo sardo degno della nostra solidarietà, per le sue altre virtù civiche. E mi è particolarmente caro rendere questo omaggio come piemontese. Così si potrà accelerare la realizzazione dell’autonomia, sicuri di vedere avviata questa tormentata e meravigliosa nostra Isola a forme di civiltà più alte. Non mi pare si debba dimenticare che la nostra adesione trae anche fondamento dalla necessità doverosa di rispettare l’impegno assunto fin dal 1946 dal Governo del Comitato di liberazione nazionale, né io penso che si debbano avere preoccupazioni formali perché queste preoccupazioni potranno essere superate dall’opera di coordinamento che farà l’Assemblea Costituente a questo Statuto presentato dalla Consulta sarda; l’attuazione pratica dello Statuto sardo servirà anzi a dare indicazioni concrete al lavoro di coordinamento superando utilmente ogni eventuale preoccupazione di forma.

Con questo sentimento e con questi intendimenti, il gruppo parlamentare socialista dà cordiale la sua adesione alla mozione degli onorevole Lussu e colleghi e confida che la Camera, approvandola, vorrà rendere questo omaggio al popolo sardo. (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Mannironi. Ne ha facoltà.

MANNIRONI. Onorevoli colleghi, io penso che questa discussione, già così ampia, debba essere ricondotta ad un criterio e ad un fine soprattutto pratico perché mi pare che possono essere opportunamente conciliate le esigenze affermate e contenute nella mozione Lussu con i criteri giuridici, costituzionali, pratici e tecnici enunciati nell’ordine del giorno firmato dall’onorevole Mortati ed altri.

Perché non possano nascere equivoci sulla portata di questo mio intervento, devo dichiarare subito e preliminarmente che sono d’accordo in pieno con i presupposti fondamentali posti a base della richiesta contenuta nella mozione Lussu. Cioè io riconosco che è urgente provvedere all’attuazione dell’autonomia sarda, riconosco che lo Statuto studiato presentato dalla Consulta regionale sarda merita la nostra piena fiducia e la nostra adesione. Dico questo, io che lo Statuto conosco in quanto vi ho collaborato per la sua redazione. Purtroppo dobbiamo chiedere ai colleghi un atto di fiducia o, direi, addirittura un atto di fede perché essi dovrebbero accingersi a prendere una grande decisione con grave responsabilità su una materia che purtroppo ignorano.

Ma, dicevo, se tecnicamente e costituzionalmente noi oggi non possiamo dare al Governo una delega pura e semplice attraverso una semplice mozione, e se dobbiamo presentare invece un regolare disegno di legge che dovrà seguire la sua trafila pure regolare, con il deferimento allo studio di una speciale Commissione, se tutto questo ha da essere fatto, io credo che praticamente noi verremo a guadagnarci e verrà a guadagnarci soprattutto l’autonomia della Sardegna. Io sono seriamente preoccupato, onorevoli colleghi, della vicenda che questa autonomia potrebbe avere, facendo le cose troppo affrettatamente e prevenendo troppo col desiderio la realizzazione delle nostre aspirazioni.

Infatti, se ottenessimo dal Governo l’approvazione dello Statuto proposto dalla Consulta sarda, ci troveremmo in questa strana situazione: che lo Statuto, approvato per ipotesi nel mese di agosto, al mese di dicembre o novembre potrebbe essere sottoposto a revisione anche sostanziale; dico anche sostanziale, perché la portata della parola «coordinamento», di cui si parla nello Statuto siciliano e nella mozione Lussu, ha avuto un chiarimento abbastanza persuasivo nelle discussioni svoltesi in seno alle Commissioni riunite della Consulta nazionale, alle quali giustamente ha fatto richiamo l’onorevole Lussu. In quella occasione da parte dell’onorevole Molinelli si diceva che una delle tesi profilate consisteva nell’affermare che il provvedimento legislativo, che si sarebbe dovuto emanare, poteva essere soggetto ad emendamenti, per il coordinamento con la nuova Carta costituzionale dello Stato italiano.

Lo stesso onorevole Gilardoni, relatore, aveva affermato che non si poteva neppure pensare ad una limitazione dei poteri della Costituente, la quale era assolutamente sovrana ed avrebbe sempre potuto fare giustizia di tutte le leggi preesistenti ed a tutte sostituire principî nuovi.

Ora, se la parola «coordinamento» può significare modifica sostanziale dello Statuto, credo che tutti ce ne dobbiamo seriamente preoccupare, proprio per le ragioni cui accennava l’onorevole Mortati, quando diceva che in materia costituzionale, sovrattutto, oltre che in tutta la legislazione comune, è necessario porre il popolo di fronte alla certezza del diritto.

Quali ripercussioni si potrebbero avere in Sardegna, se domani il Governo promulgasse sic et simpliciter lo Statuto proposto dalla Consulta sarda ed a distanza di pochissimi mesi, poi, l’Assemblea Costituente ritoccasse questo Statuto, dando la sensazione di ridurre una concessione già fatta dal Governo?

Tutto questo produrrebbe indubbiamente, se non sconvolgimenti, delusioni profonde e disorientamenti, dei quali noi ci dobbiamo preoccupare.

Non credo che gli argomenti di natura pratica, che modestamente sto esponendo, possano essere superati dagli argomenti, direi ad effetto, proposti e profilati dagli onorevoli Lussu e Laconi; i quali sostengono l’urgenza indilazionabile delle elezioni ed affermano che la soluzione radicale di tutti i problemi che affliggono la nostra terra, possa essere rappresentata dalle elezioni dell’Assemblea regionale.

Mi permetto di contestare la verità di questo assunto. Io non penso che la concessione dell’autonomia per la Sardegna possa costituire la bacchetta magica, capace di risolvere con un sol colpo tutti gli annosi problemi che ci affliggono. Non penso neppure che le elezioni possano servire a decongestionare tutto l’insieme ed il complesso dei problemi stessi e non penso, soprattutto, che sia utile indire delle elezioni per costituire un’Assemblea la quale dovrebbe essere organo di un potere e di un ente che non è ancora definitivamente creato nella struttura, nella fisionomia e nei poteri.

Dico questo soprattutto in relazione alla tesi profilata dall’onorevole Mortati, che ha accennato alla possibilità costituzionale che si possa, ad un certo momento, disporre per l’entrata in vigore parziale dello Statuto sardo. Credo che soluzioni di questo genere siano ibride e pericolose. Penso che lo Statuto deve entrare in vigore integralmente, quando sarà definitivo e non quando potrà pendere su di esso la spada di Damocle di una riforma o di un ritocco da parte dell’Assemblea Costituente.

Quindi, onorevoli colleghi, per concludere, dirò che mi parrebbe utile che il collega Lussu ed il collega Mortati si intendessero, per trovare una soluzione che salvi questa esigenza, cioè l’urgenza di arrivare rapidamente ad ottenere l’approvazione costituzionalmente definitiva dello Statuto sardo, e che eviti, insieme, di esporre lo stesso Statuto ad una perdita di tempo, a possibili ritocchi finali che varrebbero a svalutarlo nell’opinione del popolo sardo. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Grassi, Ministro di grazia e giustizia ha facoltà di parlare.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Onorevoli colleghi! Voi avete inteso, da parte mia, il desiderio che l’Assemblea, superando la questione pregiudiziale, affronti nel merito gli argomenti presentati dalla mozione Lussu ed altri onorevoli colleghi. Tengo subito, per quanto già detto da altri onorevoli colleghi, a precisare che non mi sembra esatto quanto è stato detto dall’onorevole Laconi, circa la mancata sensibilità del Governo su questo problema dell’autonomia sarda. Non so se l’onorevole Laconi volesse riferirsi a questo Gabinetto o ad altri precedenti; l’attuale Gabinetto ha poche settimane di vita e fra i tanti problemi che l’assillano ed a cui deve provvedere, credo che non abbia trascurato quello che riguarda la Sardegna, che è invece profondamente sentito, come tutti gli altri problemi che riguardano la vita del nostro Paese. Quindi non credo di dover difendere il Governo; né, d’altra parte, la constatazione della mancata presenza del Presidente del Consiglio può, diciamo così, diminuire l’importanza di questa discussione, perché ho premesso che il Presidente del Consiglio, assente da Roma, mi ha incaricato di venire dinanzi all’Assemblea ad esprimere l’opinione del Governo, senza domandare il rinvio di questa discussione. Di questo l’Assemblea deve prendere atto e credo che l’onorevole Lussu, presentatore della mozione, deve riconoscere che il Governo si è messo subito a disposizione dell’Assemblea.

Fatte queste premesse, nessuno può dubitare della volontà del Governo di definire la questione dell’autonomia sarda per l’importanza assunta presso l’opinione pubblica del Paese e per l’impegno preso dal Governo e sancito formalmente nell’articolo 108 della Costituzione già votato dall’Assemblea.

Ora, mi pare che questa questione riguardi un problema tecnico e in questo senso l’onorevole Lussu l’ha presentata. Il Governo è qui per sentire quali sono le opinioni dell’Assemblea, perché tutti siamo d’accordo nel ritenere che questa questione è squisitamente costituzionale in quanto entra in quella che è l’organizzazione dello Stato stesso in una sua parte, quale è una delle sue grandi Isole, e non può che essere materia spettante all’Assemblea Costituente. Questo è il punto tecnico della questione. La Consulta regionale sarda, con sua deliberazione 11 maggio 1946, come è stato rilevato anche da parte dei colleghi che hanno recentemente parlato, ha ribadito il principio che il regime autonomistico risponde ad esigenze particolari dell’Isola ed affermato che la Sardegna intende ottenere la propria autonomia dalla Costituente, unica Assemblea chiamata a decidere sul nuovo ordinamento dello Stato. Quindi la stessa Sardegna, attraverso la Consulta regionale, che è l’organo chiamato ad elaborare lo Statuto, precisò con questo ordine del giorno presentato al Governo fino dall’11 maggio 1946, che era suo intendimento che lo Statuto venisse formulato da essa ed approvato dall’Assemblea Costituente. Questa posizione assunta dalla Sardegna, spiega la differente via che ha preso lo Statuto sardo nei confronti di quello siciliano, perché lo Statuto siciliano, poté essere approvato dal Governo, prima che l’Assemblea Costituente fosse stata convocata. Invece, avendo la Consulta sarda elaborato lungamente il suo Statuto, tanto che è pervenuto al Governo soltanto il 9 maggio scorso, è avvenuto che si è trovato che la Costituente è l’unica competente a provvedere in materia costituzionale. Il Governo ha immediatamente trasmesso lo Statuto, preparato dalla Consulta regionale sarda, al Presidente dell’Assemblea Costituente, il quale lo ha trasmesso alla Commissione dei Settantacinque. Questa è stata la regolare procedura. Che cosa c’entra in tutto questo il Governo? Quale altra via doveva seguire il Governo, se non quella dell’Assemblea, che è stata investita non appena è pervenuta la richiesta dalla Consulta sarda? Quindi, da questo punto di vista, nessuna osservazione si può fare all’opera del Governo, che è stato molto sensibile nel trasmettere lo Statuto all’organo competente, ed a rispondere alla presente interpellanza appena presentata. Il Governo è a disposizione dell’Assemblea per sentire quale è la sua opinione.

Dato quanto si è detto, quali sono le vie che si possono seguire? Questo è il punto importante sul quale dobbiamo intenderci.

Il Governo, anche per questo, si rimette a quello che l’Assemblea crederà: ma ha il dovere di richiamare l’Assemblea stessa a quelle che sono le linee fondamentali dell’attuale ordinamento costituzionale: ordinamento che è un ponte tra un regime costituzionale ormai distrutto ed un nuovo regime che la Costituente dovrà approvare.

La situazione è basata sulla legge del 16 marzo 1946: mentre il Governo ha tutto il potere legislativo, la materia costituzionale è di competenza dell’Assemblea Costituente, insieme a quelle leggi che devono far parte della competenza dell’Assemblea Costituente in base all’articolo 3 della predetta legge.

Può il Governo sostituirsi ai poteri dell’Assemblea Costituente, in questo momento? Questo è il problema, e il collega Mortati, che è maestro in materia, ve lo ha detto, nella forma più chiara ed esplicita. Io non posso fare altro che associarmi a quanto egli ha detto.

Effettivamente, in questo momento, tutta la materia costituzionale è in mano all’Assemblea Costituente. E io aggiungo ancora, come Ministro di grazia e giustizia, che l’autorità giudiziaria ritiene di dover intervenire sull’esame della costituzionalità delle leggi che il Governo attuale emana in base alla distinzione dei poteri disposta dalla legge 16 marzo 1946.

Vedete, dunque, la situazione in cui il Governo oggi si trova: ha tutte le responsabilità e tutti i poteri che gli derivano dalla legge del 16 marzo 1946, per la legislazione, nella temporanea mancanza dei normali organi legislativi; ma, d’altra parte, ha dei limiti di ordine generale in quanto la materia costituzionale appartiene all’Assemblea Costituente.

Altra questione è se l’approvazione dello Statuto sardo, che è materia essenzialmente costituzionale, possa essere delegata al Governo. L’onorevole Mortati l’ha risoluta e ha detto: «Io non trovo ragioni assolute perché questa delega non possa avvenire». C’è qualcuno che la discute. Si tratta di vedere se i poteri dell’Assemblea Costituente possano o non essere delegati.

Mi pare assurdo arrivare al massimo che l’Assemblea possa delegare completamente i suoi poteri; ma certamente qualche provvedimento l’Assemblea può delegare, in quanto non si parte dal concetto delegatus non potest delegare: qui non si tratterebbe di delegare l’intera funzione, ma un singolo provvedimento. È un atto della sua sovranità e nessuno potrebbe contestarne la validità.

In ogni modo, il problema giuridico deve impostarsi così: una particolare attività costituzionale può essere delegata; ma bisogna intendersi sulla forma che deve avere la delegazione.

Non metto in dubbio che l’Assemblea possa dire al Governo: Approvate lo Statuto sardo; vedete la maniera in cui deve essere approvato, se confermando quanto ha emesso la Consulta sarda oppure, come dice l’onorevole Laconi, tenendo conto dei principî già approvati dalla Costituente per quanto riguarda le Provincie. È una delegazione di poteri che intendete affidare al Governo; ed è curioso che sia proprio io, che rappresento il Governo, a preoccuparmi dei poteri eccessivi che ci volete dare.

Ma il punto su cui voglio richiamare la vostra attenzione è essenzialmente quello della forma. Credete voi, onorevoli colleghi, che sia sufficiente un ordine del giorno? Ma un ordine del giorno, onorevoli colleghi, è un atto politico. Un ordine del giorno è un atto che si esaurisce in una funzione politica e non potrà mai diventare un fatto giuridico.

Non può dunque il Governo fare una legge costituzionale soltanto perché un ordine del giorno dell’Assemblea gliene ha deferita la facoltà; la volontà dell’Assemblea non si manifesta giuridicamente se non con legge. Ecco la bontà delle odierne ragioni apportate dall’onorevole Mortati; sostanzialmente io non vedo soluzione giuridica se non attraverso una delega legislativa.

Noi costruiremmo, in caso contrario, onorevoli colleghi, un edificio che potrebbe sgretolarsi, perché potrebbe essere attaccato nella sua costituzionalità. Siete voi, onorevoli colleghi, che dovete meditare sulla vostra responsabilità. Io non posso se non dirvi: anticipiamo pure i tempi, se volete, ma mettiamoci però su di un piede costituzionale. Così soltanto noi faremo opera degna per la Sardegna, noi faremo opera degna per l’Italia.

Io ho sentito poco fa la voce commossa dell’onorevole Laconi, ho udito che molti comuni in Sardegna non hanno neppure il cimitero, ho provato una grande impressione. Mi auguro, insieme con voi, che a tale triste stato di cose la Regione sarda riesca, quanto prima e nel miglior modo, ad ovviare. È chiaro che in questo sono d’accordo con voi.

Vi dico però anche: troviamo una via giusta, troviamo una via legale, troviamo una via che non faccia sì che i nostri atti possano essere inficiati di incostituzionalità.

Non ho altro da aggiungere. Il Governo si rimette a quello che l’Assemblea deciderà. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. Nessun altro chiedendo la parola, ha facoltà di parlare l’onorevole Lussu in qualità di presentatore della mozione. Con il suo discorso la discussione sarà chiusa.

Onorevole Lussu, mentre ella ha la parola, la prego di esprimere anche il suo avviso sull’ordine del giorno dell’onorevole Mortati ed altri, il quale deve evidentemente essere considerato come un emendamento alla sua mozione.

LUSSU. Onorevoli colleghi, dopo quando è stato detto, io ho il dovere di parlare brevissimamente. Io ho qui presente l’ordine del giorno degli onorevoli colleghi Mortati, Tosato ed altri. Si tratta di tutti colleghi che io altamente stimo per avere collaborato con loro lungamente nei passati mesi alla seconda Sottocommissione; non nascondo però che ho provato una certa amarezza nell’apprendere come questo ordine del giorno rechi le firme di colleghi come l’onorevole Tosato e l’onorevole Fuschini i quali avevano aderito alla mozione che io ho presentato.

Ho detto che ho provato una certa amarezza perché preferirei essere sempre d’accordo con questi colleghi che altamente stimo.

Io, francamente, trovo che quest’ordine del giorno complica le cose. Già il primo firmatario e sostenitore di esso è l’onorevole Mortati, la cui cultura ed intelligenza e profondità di pensiero giuridico è da tutti noi conosciuta; ma è anche vero che tutti coloro che hanno avuto dimestichezza con lui trovano l’intelligenza del collega Mortati eccessivamente complessa. Là c’è tutto l’universo! E tutte le volte che egli vede un problema, anziché semplificarlo, appunto per questa sua grande e complessa intelligenza che lo anima, lo complica. Questa è l’esperienza dei colleghi che hanno collaborato con lui.

Ora mi sia permesso mettere in rilievo il carattere strano della prima parte di quest’ordine del giorno dove, facendo riferimento allo Statuto per l’autonomia sarda, si riferisce esclusivamente all’articolo 108 quasi che solo l’articolo 108 desse diritto alla Consulta regionale sarda e al popolo sardo di presentare un suo statuto.

Mi sia permesso di protestare contro quest’ordine di cose che capovolge la realtà della situazione e dei fatti. E siccome viene da un collega esperto in materia, quale l’onorevole Mortati, io devo pensare che c’è tutta una serie di retroscena che io ignoro.

Ma non è solo l’articolo 108! Ci sono i decreti legislativi reali e luogotenenziali, i quali hanno creato gli Alti Commissariati e le Consulte, decreti che hanno dato a noi il diritto e l’obbligo di presentare lo Statuto, e ci sono gli impegni del Governo quando aveva il potere legislativo ed esecutivo. Quindi non è solo l’articolo 108, ma è tutto l’insieme del passato al quale è legato questo nostro diritto costituzionale; e in un certo senso vi sono impegnati la dignità e il prestigio dello stesso Governo, per quanto il Governo bene faccia a rimettersi completamente all’Assemblea.

Ho ragione, quindi, di ritenere che questa mia sorpresa sia troppo logica perché non sia presa in considerazione dall’onorevole Mortati e da voi tutti.

E poi, la questione di sostanza. Io non l’accenno neppure. L’ho già esposta e mi stupisce come l’onorevole Mortati non abbia prestato attenzione a quanto io avevo precedentemente detto e che il collega onorevole Mastino Gesumino ha ripetuto così chiaramente.

Questione di fatto. Ma il Governo aveva già esteso alla Sardegna lo Statuto siciliano, e il fatto che la Consulta sarda, nell’intendimento di elaborare meglio il suo Statuto, vi ha rinunciato, non fa cadere il diritto acquisito.

È vero che la Consulta sarda ha, nell’ordine del giorno ricordato dall’onorevole Ministro Grassi rinunziato, nel maggio scorso, a una procedura di urgenza, ma è anche vero che l’Alto Commissario per la Sardegna, generale Pinna, che rappresenta tutta la Consulta, ha inviato una lettera, a me presentatore della mozione, per dirmi che è d’accordo nel ritenere urgenti le elezioni in Sardegna e l’attuazione dello Statuto sardo e mi ha annunziato di voler fare in questo senso un intervento presso il Governo. Quindi, onorevole Mannironi, il suo pensiero non concorda con quello di tutti i rappresentanti legittimi del popolo sardo.

Io vorrei aderire volentieri a un accordo con l’onorevole Mortati; ma io dico che mettersi d’accordo è impossibile. Ritengo che la questione, così come è stata prospettata da me, è perfettamente costituzionale. Mi dispiace che qui non sia l’onorevole Presidente Orlando, ma i colleghi mi riconosceranno di avere agito con perfetta lealtà e con senso di responsabilità quando, prima di presentare la mozione, ho voluto interpellare tutti gli ex Presidenti del Consiglio: l’onorevole Ferruccio Parri e gli onorevoli Orlando e Nitti. Avrei sentito anche l’onorevole Bonomi, ma in questi giorni non mi fu possibile vederlo.

Ho interpellato dunque questi tre uomini altamente qualificati e responsabili per esprimere un pensiero in materia, e ritenevo di essere nel giusto presentando questa mozione.

Io mi chiedo perché l’onorevole Mortati, nella complessità del suo pensiero costituzionale, debba trovare tutto questo senza importanza.

V’è la questione sollevata ultimamente dal collega onorevole Grassi, Ministro di grazia e giustizia: può il Governo arrogarsi il diritto di sostituirsi all’Assemblea? Può l’Assemblea delegare? E come delega? Ma è semplice: delega votando la mozione, ed essa dà così la sua approvazione implicitamente, perché, in sostanza, quando l’Assemblea Costituente delega al Governo l’applicazione immediata dello Statuto sardo, ciò significa che l’Assemblea Costituente l’approva.

Ricordo qui un disegno di legge presentato in questi giorni per il Trattato di pace. Il disegno di legge presentato dal Ministero dice: «Articolo primo: È approvato il Trattato di pace fra le Potenze alleate, ecc.». Il testo invece della Commissione dice: «Il Governo della Repubblica è autorizzato a ratificare, ecc.». Voi vedete che cosa significa questo; nella prima parte l’Assemblea approva; nella seconda parte il Governo della Repubblica è autorizzato. Il che significa che l’Assemblea autorizzando approva.

Questa è un’Assemblea politica, anche se è costituente. Anzi, da costituente, lo è ancora di più. È un’Assemblea politica, e la politica non realizza mai nella minuzia e nell’infinitesimo i principî teorici, astratti. Ma interpreta la realtà politica quale è.

La tesi che ho avuto l’onore di illustrare credo sia una tesi giusta, ragionevole e costituzionalmente corretta.

Ecco perché pregherei i firmatari onorevoli Mortati, Tosato ed altri, di voler riflettere sul problema che è di sostanza e di forma.

Col procedimento da loro proposto, in settembre non si può presentare un disegno di legge costituzionale inteso a realizzare l’autonomia sarda, perché per far questo occorre che sia prima discussa qua dentro tutta la parte riguardante le Regioni, che rimarrà sospesa per parecchi mesi, e inoltre tutti i titoli del progetto di Costituzione. Noi non possiamo neppure a settembre presentare un disegno di legge in questo senso: è impossibile. Le elezioni non si potrebbero fare che l’anno venturo, perché questo progetto di legge costituzionale non potrebbe essere presentato qui che a dicembre. Ecco perché pregherei gli onorevoli Mortati e Tosato di ritirare il loro ordine del giorno e di votare con serena coscienza la nostra mozione.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Al punto in cui è giunta la discussione, non posso dare ancora la parola nel merito. Se ella, onorevole Laconi, ha ancora qualche cosa da dire, ne avrà la possibilità successivamente, restando nei limiti di una dichiarazione di voto.

TOSATO. Chiedo di parlare in merito alla presunta contraddizione nella quale sarei caduto, secondo quanto ha detto l’onorevole Lussu.

PRESIDENTE. Non mi è possibile darle la facoltà di parlare, salvo che si tratti di fatto personale; ella però dovrà attenersi al fatto personale.

TOSATO. Sta bene. Parlo per fatto personale. Io, insieme con l’onorevole Fuschini, ho firmato la mozione dell’onorevole Lussu ed anche l’ordine del giorno dell’onorevole Mortati.

Non credo che per questo io e l’onorevole Fuschini siamo caduti in contraddizione. Noi siamo perfettamente d’accordo con l’onorevole Lussu sulla somma opportunità di affrettare, per quanto è possibile, l’attuazione della autonomia in Sardegna; però l’onorevole Lussu non può dimenticare quello che è già stato detto dal Ministro Grassi, che per delegare al Governo la facoltà di provvedere alla pubblicazione totale o parziale dello Statuto sardo non basta un ordine del giorno, non basta una mozione: occorre un progetto di legge; e perché l’Assemblea possa approvare un disegno di legge bisogna anzitutto che sia investita da un disegno di legge. Si tratta di una forma di passaggio assolutamente necessaria. Ora, l’ordine del giorno da noi presentato è precisamente inteso allo scopo di passare all’attuazione, più rapida possibile, dell’autonomia in Sardegna, attraverso le forme necessarie. L’Assemblea ritiene di incaricare una Commissione della presentazione di un disegno di legge? Preferisce dare l’incarico al Governo? L’Assemblea deciderà. Comunque, la pretesa contraddizione rilevata dall’onorevole Lussu non esiste.

PRESIDENTE. Questo sarà deciso con la votazione.

Ci troviamo, dunque, di fronte a tre proposte: la proposta contenuta nella mozione dell’onorevole Lussu che è molto chiara e precisa (si tratta di delegare al Governo la facoltà di approvare od emanare lo Statuto sardo); vi è la tesi, che è stata sostenuta dal Ministro di grazia e giustizia, che, non contestando questa facoltà, osserva tuttavia che essa deve essere data al Governo non con una mozione, ma con un disegno di legge, poiché una legge che deleghi il potere legislativo e costituzionale può avvenire soltanto attraverso forme legislative. Vi è infine la proposta dell’onorevole Mortati, che mi sembra non coincida con la tesi sostenuta dall’onorevole Ministro secondo la quale il progetto di legge che dovrebbe essere presentato all’Assemblea non dovrebbe essere un progetto di delega al Governo del potere di emanare lo Statuto sardo, ma un progetto di legge conclusivo dell’esame di merito sul progetto di Statuto elaborato dalla Consulta sarda. Si tratta di proposte di portata diversa ed è per questo che io ritengo debbano essere tenute separate fra di loro, per la chiarezza delle nostre conclusioni.

MORTATI. Vorrei chiarire che la mia proposta non è in contradizione con quella del Ministro di grazia e giustizia.

PRESIDENTE. Penso, comunque, che la proposta dell’onorevole Mortati non coincida immediatamente con la tesi sostenuta dal Ministro di grazia e giustizia. La tesi del Ministro Grassi mira a precisare un momento, direi, giuridico del problema. La proposta dell’onorevole Mortati entra nel merito e propone una soluzione di merito. Comunque la proposta dell’onorevole Mortati, da assumere in veste di emendamento e non di ordine del giorno, deve trovare la sua ubicazione nel testo della mozione presentata dall’onorevole Lussu, perché soltanto in questa maniera può essere messa in votazione come emendamento.

Mi pare che la proposta dell’onorevole Mortati debba essere inserita nella mozione dell’onorevole Lussu, subito dopo la frase «è stato dalla Consulta regione sarda presentato al Governo»; a questo punto, dopo i «considerata» andrebbe inserito l’emendamento Mortati, nella parte deliberativa: «delibera di invitare la Commissione competente», ecc.

Onorevole Mortati, è d’accordo?

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Io accetto pienamente questa sua proposta, perché il punto da lei designato è quello in cui esattamente si inserisce il mio emendamento. Vorrei però far presente che la mia proposta non si distacca affatto da quella dell’onorevole Grassi. Ed in questo senso io vorrei chiarire quanto mi pareva di avere già precisato, che cioè l’emendamento proposto non esclude la possibilità che si possa da parte della Commissione proporre di delegare al Governo di attuare provvisoriamente l’intero Statuto. Anzi devo ricordare che in una redazione originaria questa possibilità era espressamente enunciata.

PRESIDENTE. Ma il testo originale non lo ha fatto pervenire alla Presidenza.

MORTATI. Ho ritenuto opportuno di eliminare l’inciso, perché non apparisse limitato l’ambito di decisione affidata alla Commissione. Ci sono vie possibili, che non è utile determinare a priori. Sarà la Commissione che dopo l’esame dello schema, che è pregiudiziale, potrà con vera conoscenza della situazione, presentare le proposte più idonee.

In ogni caso, per eliminare ogni equivoco e per facilitare un’intesa, modifico il mio ordine del giorno aggiungendovi l’inciso finale, che originariamente vi era contenuto: «anche mediante il conferimento di apposita delega al Governo».

PRESIDENTE. Salvo all’onorevole Lussu di dichiarare se di fronte a questa modifica che l’onorevole Mortati si dichiara pronto ad apportare al suo emendamento sia disposto ad accettarlo, ritengo personalmente che anche con questo emendamento il problema che oggi è posto all’Assemblea non è risolto perché i presentatori della mozione intendevano con essa di decidere il problema e non di rimetterlo per la decisione alla Commissione che è stata già investita, in seno al più grande Comitato dei Settantacinque, di esaminare il progetto di Statuto sardo. Mi pare pertanto che la modificazione proposta dall’onorevole Mortati lascerebbe ancora in sospeso la decisione, ma è l’onorevole Lussu che deve, in definitiva, rispondere.

Ha quindi facoltà di parlare l’onorevole Lussu.

LUSSU. Evidentemente, con la proposta Mortati si arriva ad una sospensiva, il che non era nelle nostre intenzioni. Noi pensavamo esattamente il contrario: noi credevamo che oggi stesso l’Assemblea Costituente avrebbe potuto definire il problema.

E chiarisco in questo senso: se la mozione che parecchi colleghi ed io abbiamo presentato viene approvata oggi dall’Assemblea Costituente, evidentemente, immediatamente dopo, noi presenteremmo un disegno di legge così concepito: Articolo 1. Il Governo della Repubblica è autorizzato ad approvare, ecc. Mi pare chiaro. Il problema è risolto oggi stesso. Questo è il senso della nostra mozione.

PRESIDENTE. Allora l’onorevole Lussu dichiara che neppure la nuova formulazione dell’emendamento Mortati può essere da lui accettata. Restiamo, quindi, di fronte all’emendamento Mortati, come ad un emendamento alla mozione dell’onorevole Lussu ed in quanto emendamento (da inserire eventualmente, se fosse accolto, nel punto indicato poco fa) deve avere la precedenza nella votazione.

CARBONI ENRICO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARBONI ENRICO. Dichiaro che voterò per l’ordine del giorno presentato dall’onorevole Lussu non perché abbia della storia della Sardegna una visione così nera come egli l’ha avuta, né perché credo le condizioni attuali della Sardegna così gravi come quelle indicate dall’onorevole Laconi, ma perché ritengo che, effettivamente, l’autonomia, nei limiti in cui noi l’abbiamo chiesta nel nostro Statuto, costituisca la prima base per l’elevazione sociale, morale e politica della mia Isola.

CHIEFFI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CHIEFFI. Dichiaro di votare contro la mozione Lussu, perché ritengo che essa non risponda agli interessi del popolo sardo, in quanto la Sardegna desidera avere uno statuto definitivo, che non possa, in nessuna maniera, essere mutato in sede di coordinamento con la Costituzione.

Non è esatto affermare che in Sardegna vi sia una aspirazione così pressante e viva per l’approvazione dello statuto in via provvisoria. Evidentemente, questo risponde ad una esigenza personale dell’onorevole Lussu. (Commenti).

SPANO VELIO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SPANO VELIO. Evidentemente sarebbe difficile a me, come deputato sardo e come cofirmatario della mozione Lussu, prescindere da questa mia doppia qualità. Comunque, è certo che, se avessi assistito, senza avere già idee ben definite in proposito, a questo dibattito, mi sarei convinto della necessità che la mozione Lussu venga approvata.

Due obiezioni sono state fatte di carattere giuridico: una generale e l’altra particolare.

Quella generale potremmo esprimerla in questi termini: «Ci troviamo di fronte a materia costituzionale ed è l’Assemblea Costituente che deve decidere in proposito».

Eravamo informati di questo; ce ne aveva del resto informati l’onorevole Abozzi, dicendoci che la Costituente è nata per dare la Costituzione allo Stato italiano. Questo lo sapevamo; ma sapevamo anche – e gli interventi degli onorevoli Lussu e Laconi ne hanno dato la prova – che tutta una serie di questioni di carattere costituzionale è stata regolata, in via provvisoria, dal Governo.

Questo ci riporta dagli argomenti di carattere giuridico agli argomenti di carattere pratico e politico. Si tratta di sapere se, sul terreno politico, questa misura è urgente o no per la Sardegna.

Alle obiezioni mosse dall’onorevole Chieffi è stato risposto in una interruzione. Non si tratta di esigenza personale dell’onorevole Lussu, ma se mai di tutta una serie di altre persone, tra le quali i deputati democristiani Mastino e Carboni.

Altra obiezione di carattere politico contro la nostra mozione avanzata da alcuni colleghi al seguito dell’onorevole Mortati: si è prospettato il pericolo che attraverso l’emanazione da parte del Governo della statuto approvato dalla Consulta regionale sarda, ci si metta sulla via della incostituzionalità. Ma a questa obiezione ha risposto lo stesso onorevole Mortati, secondo il quale la delega al Governo – e ci inchiniamo di fronte alla sua autorità giuridica – è possibile.

Le due obiezioni giuridiche si riportano quindi sul terreno delle considerazioni politiche. Su questo terreno sono state presentate altre due obiezioni. Una esposta dall’onorevole Mannironi, il quale dice che lo statuto deve essere approvato, ma quando sia definitivo; non prima. Ma questa non è in realtà un’obiezione in quanto varrebbe per ogni legge, per ogni norma costituzionale. Il fatto che a dicembre lo statuto regionale sardo, approvato oggi, possa essere sottoposto a revisione dell’Assemblea Costituente, non ne nega l’urgenza e la necessità di approvare lo Statuto medesimo. È dunque su questo terreno che dobbiamo discutere: urgenza e necessità che questo Statuto venga approvato.

Si tratta oggi di togliere la Sardegna dallo stato di incertezza in cui si trova, quello stato di incertezza di cui si sono resi interpreti tutti i firmatari della mozione, tra cui ci sono i deputati del suo partito e della nostra Regione, onorevole Mannironi, ma che è stato avvertito anche dalla Consulta regionale sarda che ha chiesto l’approvazione di questa mozione, e dall’Alto Commissario, che si è reso interprete – venendo in questi giorni a Roma – dello stato d’animo che vi è nella Sardegna, la quale reclama appunto lo Statuto regionale.

Si è detto che l’autonomia non è una bacchetta magica che risolve tutti i problemi. Siamo perfettamente d’accordo. Appunto per questo noi deputati sardi, abbiamo domandato all’Assemblea Costituente di mettere i sardi in condizione di far vedere quel che sapranno fare sulla via dell’autonomia: mettiamoli alla prova. Gli unici competenti a giudicare se la questione sia politicamente urgente o non urgente, sono i sardi stessi dei quali i deputati dell’Isola in questa Assemblea si sono fatti interpreti.

LUSSU. L’Alto Commissario pure!

SPANO VELIO. Esatto: anche l’Alto Commissario.

Quando si dice: rimettiamo il progetto alla Commissione ed affrettiamo i tempi, sappiamo che si tratta, non dico di una ipocrisia, ma di una illusione. L’esperienza ci ha dimostrato che non è possibile «affrettare i tempi» in questa materia, e noi andremmo troppo lontano nel tempo se seguissimo la via suggerita dall’ordine del giorno presentato dall’onorevole Mortati.

Per tutte queste ragioni, che riconducono il problema dal terreno giuridico a quello politico, pensiamo che la mozione debba essere votata e per queste ragioni voteremo a favore della mozione Lussu e contro quella Mortati.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Per che cosa, onorevole Lussu?

LUSSU. Per una pregiudiziale, onorevole Presidente! (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Lussu, non è possibile! Le faccio presente che siamo in sede di votazione e di dichiarazioni di voto. Non lo dimentichi.

CODACCI PISANELLI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODACCI PISANELLI. Dichiaro che il Groppo democratico cristiano voterà a favore dell’emendamento Mortati, perché intende risolvere la questione nella maniera più breve, e perché ritiene questa la sola via costituzionale, e la più breve, perché il problema è già dinanzi alla Commissione competente che deve esaminare la questione, ed anche propendendo subito per l’approvazione della mozione, come propone il progetto di legge a cui si accennava poco fa, sarebbe necessario tornare poi dinanzi alla Commissione e così non si guadagnerebbe il tempo che si vuole guadagnare. È questa la sola via costituzionale; perché seguendo un’altra strada, ci troveremmo – come ha detto il Ministro della giustizia – di fronte ad un decreto incostituzionale e bisogna evitare questa eventualità, di fronte a cui la magistratura finirebbe per dire che non sappiamo fare il nostro dovere. Così facendo noi vogliamo non differire, ma accelerare l’esaudimento di questa aspirazione sarda, mettendo la Regione di fronte ad uno statuto che non possa essere inficiato di incostituzionalità.

Per queste ragioni, noi voteremo a favore dell’emendamento Mortati.

COLITTO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Avrei visto con piacere che i deputati della Sardegna avessero parlato in questa Assemblea in perfetto accordo fra di loro. Sarei stato lieto, in tal caso, di unirmi a loro, facendo tacere nella mia coscienza qualsiasi argomentazione giuridica, di cui non avrei tenuto conto, infiammato dalla stessa passione dei deputati sardi per la loro regione.

Ma poiché i sardi hanno parlato non perfettamente d’accordo tra di loro, dichiaro che sarei portato a votare sia contro la mozione Lussu, sia contro l’emendamento Mortati, perché sono perfettamente d’accordo con quanto diceva poco fa il Guardasigilli, e cioè che le deleghe di un potere costituzionale o di un potere legislativo non possono aver luogo se non attraverso leggi. Ma, per venire incontro a quelli che sono i desideri della Sardegna, manifestati attraverso l’appassionata parola dell’onorevole Lussu, dichiaro che voterò a favore dell’ordine del giorno Mortati, perché mi sembra che esso giunga al traguardo, cui i sardi vogliono giungere, al più presto e col più rigoroso rispetto della legge.

DUGONI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Lo scopo a cui tende l’emendamento Mortati, è completamente diverso dalla mozione proposta dall’onorevole Lussu.

PRESIDENTE. È per questo che è un emendamento: l’onorevole Mortati ha dichiarato di trasformare il suo ordine del giorno in emendamento.

DUGONI. Siamo su due piani completamente diversi; cioè l’onorevole Lussu propone una mozione la quale è presentata all’Assemblea nella sua veste di Assemblea legislativa; l’emendamento dell’onorevole Mortati sposta la competenza dell’Assemblea come Assemblea Costituente, cioè trasforma il problema, da legislativo, in costituzionale. Quindi l’intervento del Governo, la dichiarazione fatta poi dall’onorevole Grassi, soprattutto, hanno consacrato al dibattito il carattere di dibattito in sede legislativa. L’onorevole Mortati non può spostare questo dibattito con un semplice emendamento in sede costituzionale. Per questo io credo che noi non possiamo accettare la proposta dell’onorevole Mortati.

PRESIDENTE. Non credo di poter concordare con la sua opinione, onorevole Dugoni. L’Assemblea oggi è stata convocata come seduta di Assemblea Costituente. Noi oggi ci troviamo di fronte ad una mozione che investe il problema costituzionale specificamente. Anche i problemi costituzionali debbono essere risolti per mezzo di legge. L’affermazione quindi che ella ha fatto ora mi pare non risponda alla realtà.

Si sono affacciati invece dei dubbi se il problema in discussione abbia un carattere costituzionale o meno, ma non confrontando il testo di una mozione col testo di un emendamento. Quanto all’emendamento, che propone una cosa diversa dalla mozione, onorevole Dugoni, quante volte, nel corso dei nostri lavori, sono stati presentati emendamenti sostitutivi, i quali cercavano di giungere a conclusioni completamente diverse da quelle proposte nel testo in esame?

Pertanto, io ritengo che l’onorevole Mortati si sia valso di una disposizione di Regolamento presentando il suo emendamento che, come tale, deve essere posto in votazione.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Un mese fa, circa, furono presentate delle interrogazioni dall’onorevole Laconi, dall’onorevole Lussu, e da me e anche – credo di non errare – dall’onorevole Chieffi e da altri colleghi di parte democristiana, dirette ad ottenere che il Governo, omettendo qualunque delega da parte dell’Assemblea Costituente, approvasse lo Statuto autonomo per l’isola della Sardegna.

Ora, per quelle ragioni, che certo non erano ragioni di esigenze personali, che spinsero l’onorevole Chieffi a formulare quella interrogazione, ragioni che non intendo richiamare, per brevità, dichiaro di votare a favore della mozione del collega Lussu.

MANNIRONI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MANNIRONI. Dichiaro che sono spiacente di votare contro la mozione Lussu. Concordo nella sostanza della sua richiesta; però dichiaro che sono costretto a votare contro, perché mi pare che la sua proposta comporti per lo Statuto sardo – che egli vorrebbe fare approvare dal Governo – un carattere di provvisorietà che gli è dannoso e pericoloso.

Voto contro, anche perché mi pare che l’esigenza delle elezioni regionali non sia così pressante, anche se di contrario avviso si sia manifestato l’Alto Commissario per la Sardegna, persona rispettabilissima, verso la quale abbiamo il massimo riguardo, ma che può anche errare nella valutazione dei fatti contingenti e nell’interpretazione dello stato d’animo del popolo sardo. Dichiaro che questa supposta urgenza delle elezioni non ci può fuorviare nelle decisioni finali, Se anche le elezioni regionali dal dicembre o novembre fossero rimandate a gennaio o febbraio, la soluzione praticamente sarebbe uguale; con la differenza però che, se il brevissimo differimento di esse dovesse portare all’approvazione dello Statuto definitivo e non provvisorio, noi renderemmo un vero servigio alla Sardegna. Per me l’essenziale è ottenere la definitiva e rapida approvazione dello Statuto speciale dall’Assemblea o dal Governo, che però sia regolarmente delegato con una legge dell’Assemblea che fissi chiaramente i termini del mandato. Il che non si può ottenere solo attraverso la mozione Lussu.

CIANCA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIANCA. Sono veramente stupito dell’andamento di questa discussione; ed esprimendo il mio stupore, credo di rendere omaggio ai motivi che debbono animare i deputati quando assumono le loro responsabilità.

Prima di dare la mia firma alla mozione presentata e svolta dall’onorevole Lussu, ho letto questa mozione, mi sono reso conto degli obiettivi ch’essa si prefiggeva e delle strade che bisognava battere per raggiungere tali obiettivi. Nello stesso momento in cui ho firmato questa mozione, ho aderito in pieno alle motivazioni in essa contenute; ho, quindi, il diritto di esprimere il mio stupore per il fatto che alcuni firmatari di questa mozione, rinnegando le ragioni che in questa mozione sono contenute e gli obiettivi precisi che questa mozione si prefigge, abbiano dato oggi la loro firma ad un ordine del giorno il quale, per dichiarazione concorde, è in contrasto assoluto con questa mozione.

MANNIRONI. Non è vero! (Commenti al centro).

CIANCA. Questo è stato riconosciuto dallo stesso onorevole Presidente, quando ha dichiarato le ragioni per cui metteva in votazione l’emendamento: egli ha ribadito il carattere di assoluto disaccordo tra la mozione Lussu e l’ordine del giorno presentato dall’onorevole Mortati. Qui non si tratta di fare delle sottigliezze, le quali, ripeto, soprattutto quando si tratti di problemi di tanta importanza, non dovrebbero trovar sede in una Assemblea Costituente. Perché io ho aderito a questa mozione? Ho aderito per ragioni che non sono affatto di carattere personale: obbediscono a calcoli personali, onorevole Chieffi, soltanto coloro i quali, nella loro vita politica, debbono giustificare diversità di atteggiamenti secondo la diversità dei periodi politici.

Non per ragioni personali dunque, ma per ragioni obiettive dichiaro di votare a favore della mozione Lussu, veramente convinto di rispondere in tal modo agli interessi della Sardegna, di cui non soltanto si sono resi interpreti i deputati dell’Isola, ma lo stesso Commissario il quale, nella lettera indirizzata all’onorevole Lussu, ha affermato che tutti i deputati della Consulta, rappresentanti del popolo sardo, rivendicano urgentemente lo Statuto. (Commenti).

Una voce al centro. Non è vero che tutti i deputati della Consulta abbiano chiesto questo!

CIANCA. Se fosse così, avrei male inteso la lettera del Commissario. Ma in questa lettera è detto testualmente:

«È mia convinzione che l’attuazione dell’ordinamento regionale in Sardegna costituisca oramai una esigenza urgente che non potrebbe essere dilazionata senza danno per gli interessi dell’Isola. E d’altronde il diverso atteggiamento preso nei confronti della Sicilia non potrebbe trovare giustificazione, stante la palese identità della situazione delle due Isole». (Commenti al centro).

Io mi trovo pertanto di fronte a due diverse interpretazioni degli interessi della Sardegna: l’interpretazione del deputato Chieffi e l’interpretazione di una gran parte dei deputati sardi, nonché dell’Alto Commissario della Sardegna. Coerente all’atteggiamento che ho assunto quando ho firmato la mozione e conscio di obbedire agli interessi della Sardegna secondo l’interpretazione della maggioranza degli elementi responsabili, voterò a favore della mozione Lussu e contro l’ordine del giorno dell’onorevole Mortati.

FUSCHINI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUSCHINI. Onorevoli colleghi,…

Una voce al centro. Un altro sardo?

FUSCHINI. No, non sono sardo e voi lo sapete benissimo.

Io dichiaro, onorevoli colleghi, che ho sottoscritto la mozione dell’onorevole Lussu per quel vivo senso di simpatia e di solidarietà che io ho sempre sentito verso l’isola di Sardegna e verso le sue gloriose popolazioni, anche in confronto del trattamento diverso che è stato fatto all’isola di Sardegna rispetto all’isola di Sicilia.

Naturalmente io ho aderito alla mozione con il desiderio di andare incontro a quelle che sono le aspirazioni dei sardi di aver presto il loro statuto e di poter avere la loro regolare amministrazione regionale. Io ho sottoscritto la mozione dell’onorevole Lussu e l’onorevole Lussu sa in qual modo io l’abbia sottoscritta; ma debbo dichiarare che, esaminando poi più attentamente la sua proposta e avendo avuto notizia…

Voci a sinistra. Contradizione! Contradizione!

FUSCHINI. Molte volte la forma di solidarietà di carattere parlamentare costringe, in un primo momento, a prescindere da certe più analitiche considerazioni; Qui non si tratta di contradizione; qui si tratta semplicemente di un punto che è opportuno chiarire nello stesso interesse della Sardegna. Noi abbiamo cioè potuto constatare che lo Statuto sardo, inviato dal Governo alla Presidenza della Costituente e da questa inviato alla Presidenza dei Settantacinque, è ancora sul tavolo della Presidenza dei Settantacinque. Mi risulta che il Presidente della Commissione aveva già predisposto la nomina della Sottocommissione che avrebbe dovuto esaminare il progetto. Il ritardo è dipeso da una valutazione diversa sullo stato dei lavori dell’Assemblea in merito alla Regione.

Ora io dico: se l’Assemblea Costituente oggi prende la decisione che è indicata nell’ordine del giorno dell’onorevole Mortati, io ritengo che dal punto di vista dello sviluppo dei lavori parlamentari, la proposta Mortati sia più sollecita, più conclusiva di quello che non possa essere la presentazione da parte del Governo di un disegno di legge, al quale si dia l’impronta di una delega dell’Assemblea. E questo perché il disegno di legge che certamente il Governo, per la sua dichiarazione, verrebbe a presentare all’Assemblea, dovrebbe seguire la procedura dell’esame da parte della Commissione, e dalla Commissione dovrebbe venire all’Assemblea. Invece oggi alla Commissione vi è già: basta sollecitare i lavori di questa Commissione, perché il risultato più sollecito, desiderato dall’onorevole Lussu – e che era, in fondo, anche la mia aspirazione – si possa completamente raggiungere.

Per queste ragioni io aderisco e voto l’ordine del giorno Mortati. (Applausi al centro).

TOGLIATTI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. Ho chiesto di parlare, perché l’ultima dichiarazione di voto che ho ascoltato, quella dell’onorevole Fuschini, ha suscitato in me parecchi dubbi e mi trovo nel rischio di non più capire. Infatti, noi abbiamo in Italia due grandi Regioni – lascio da parte le piccole zone mistilingui di frontiera – alle quali tutti siamo stati d’accordo nel garantire un particolare statuto autonomo: la Sicilia e la Sardegna.

Ora, è un fatto che tutti noi, che partecipavamo ai precedenti Governi, e a quelli precedenti anche alle elezioni di questa Assemblea Costituente, siamo stati d’accordo che a queste due Regioni, anche se non erano ancora stati definiti i poteri della Regione in sede di Costituente, si dovesse in ogni modo garantire l’ordinamento autonomo regionale; e si dovesse garantire non in quella forma in cui era stato precedentemente provvisoriamente organizzato con la creazione dei Commissariati, ma in forma democratica. Alla Sicilia tutto questo è stato dato; alla Sardegna no. Errore? Dimenticanza? Necessità di rinvio di fronte ad altri problemi più urgenti? Non discuto, e non elevo nessuna accusa; però constato che questa diversità di trattamento tra la Sicilia e la Sardegna deve oggi essere eliminata; e deve essere eliminata presto.

Ora, io ho ascoltato qui due dichiarazioni di voto, provenienti dal Partito della Democrazia cristiana: quella dell’onorevole Mannironi e quella dell’onorevole Fuschini.

L’onorevole Fuschini dice: «Io sono per la proposta fatta dall’onorevole Mortati, perché questa è la proposta che consente la realizzazione più rapida».

L’onorevole Mannironi invece dice: «No, io sono contro la proposta dell’onorevole Lussu, perché non voglio le elezioni in Sardegna a breve scadenza».

MANNIRONI. No, ho detto che votavo contro la mozione Lussu, unicamente perché portava ad una soluzione che aveva un carattere di provvisorietà; mentre è mio desiderio che si dia alla Sardegna, quanto prima, uno statuto che sia definitivo. Tanto più questo ho motivo di chiedere di fronte soprattutto alle riserve che oggi stesso sono state sollevate dall’onorevole Laconi.

TOGLIATTI, Ho ascoltato l’onorevole Mannironi e ho inteso bene ciò ch’egli ha detto. Adesso egli afferma che non vuole si conceda ai sardi l’autonomia sino a che non si sia sicuri che si tratta di qualche cosa di definitivo.

Ma la Sicilia? Anche la Sicilia sa di avere qualche cosa di non completamente definitivo. Però essa ha il suo Parlamento regionale, il quale è una realizzazione democratica di autogoverno che ha profondamente sodisfatto i siciliani di tutte le correnti politiche. Non si tratta di cosa definitiva, si tratta di un primo esperimento, ma si tratta però di una realizzazione, di qualche cosa che adempie le promesse fatte nel passato.

L’onorevole Mannironi dice: no, per i sardi questo non è necessario; aspettiamo, per i sardi, che tutto sia perfetto e perfezionato e fino ad allora non facciamone nulla.

Io constato che vi è qui una diversità di giudizio, e che precisamente vi è un giudizio di sfavore a danno del popolo sardo (Proteste al centro) che dev’essere respinto. Ma ho anche sentito l’onorevole Mannironi dire che egli non voleva le elezioni presto in Sardegna. (Interruzioni al centro). Onorevole Mannironi, se desidera che non si polemizzi contro di lei, non faccia vedere così apertamente quello che pensa, impari da quei colleghi del suo Gruppo che sanno così bene nascondere il loro pensiero! (Proteste al centro). Se ella ha ormai fatto capire che non desidera le elezioni presto, mi permetta di polemizzare anche su questo punto. Io affermo che la richiesta di una pronta consultazione elettorale in Sardegna dovrebbe essere favorita dal vostro Partito. Siete proprio voi che dovreste sollecitare una consultazione nazionale; sarebbe sempre una consultazione che vi permetterebbe di verificare se il popolo sardo è d’accordo col vostro Governo, oppure se, come noi affermiamo, esso è d’accordo con la maggioranza del popolo italiano che di questo Governo disapprova e respinge tanto la composizione quanto la politica. (Interruzioni al centro).

Rimane il fatto che 48 ore or sono voi eravate d’accordo con la richiesta di realizzazione immediata di un regime di autonomia democratica per il popolo sardo e, passate 48 ore, avete cambiato la vostra posizione e non riuscite a dare nessuna plausibile spiegazione di questa contradizione. Rimane il fatto che al popolo sardo devono essere dati tutti i vantaggi politici, e sollecitamente, che sono stati dati al popolo siciliano. Il popolo sardo è altrettanto maturo quanto il popolo siciliano per eleggere rapidamente, democraticamente e liberamente il proprio Parlamento regionale e crearsi così il proprio Governo regionale dopo una libera consultazione democratica. Se questo non viene fatto, vuol dire che vi sono altre ragioni che ve lo impediscono di fare. Esse sono probabilmente quelle che il collega Mannironi ha lasciato intravedere. Quali esse siano, però, ciò non toglie che procedendo a questo modo voi andate contro i buoni principî di un reggimento democratico!

Il nostro Gruppo voterà pertanto per ha mozione Lussu.

MANNIRONI. Chiedo di parlare per fatte personale.

PRESIDENTE. Se si tratta di una semplicissima rettifica, ne ha facoltà.

MANNIRONI. Devo dichiarare che l’onorevole Togliatti non ha interpretato chiaramente e fedelmente il mio pensiero. Può darsi che mi sia espresso male e che il torto sia mio. Comunque, tengo a ripetere quello che ho detto: non sono contrario alle elezioni; voglio soltanto che non si facciano le elezioni in base ad uno statuto che non sia completo e definitivo. Questo voglio evitare. Perché è inutile che oggi noi procediamo…

PRESIDENTE. Onorevole Mannironi, non argomenti più! (Commenti al centro).

PICCIONI. Chiedo di parlare per una dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PICCIONI. Non è colpa mia se devo affliggere l’Assemblea con una terza dichiarazione di voto da parte del gruppo democratico cristiano. (Interruzione del deputato Togliatti).

La colpa questa volta è dell’onorevole Togliatti il quale ha posto la questione in termini, direi, del tutto nuovi, troppo scoperti dal punto di vista politico, e non già di contenuto autonomistico o regionalistico.

E appunto per questo io devo cominciare col respingere nettamente l’impostazione che l’onorevole Togliatti ha dato al problema, almeno nei confronti di quel particolare, non certo insignificante, che si riferisce alla convocazione dei comizi elettorali regionali per la Sardegna.

Non c’è da supporre minimamente, lo creda, onorevole Togliatti, che da parte nostra ci sia qualsiasi apprensione nei confronti di qualsiasi convocazione elettorale. (Applausi al centro).

Direi piuttosto il contrario, se si dovesse partire nella valutazione di una iniziativa elettorale da un presupposto di vantaggio di partito. Ritengo a questo proposito che il momento attuale dovrebbe essere considerato da un punto di vista elettoralistico tutt’altro che sfavorevole al successo della Democrazia cristiana.

Non avrei voluto dir questo, perché si tratta di un problema che esula dalla questione di cui l’Assemblea Costituente è investita oggi, anche se ci si possa sconfinare per quell’inciso posto nel testo della mozione presentata dall’onorevole Lussu che investe prevalentemente il problema della convocazione dei comizi elettorali da farsi per l’Ente regione in Sardegna; non ci si è detto però perché non si potrebbe fare un mese prima o un mese dopo tale convocazione col solo fine di dare un’organizzazione rappresentativa di carattere amministrativo regionale alla Sardegna, per porla sullo stesso piano della situazione siciliana.

Su questa equiparazione delle due situazioni siamo d’accordo e siamo sempre stati d’accordo nella Commissione dei Settantacinque e nella discussione dell’articolo 108 del progetto di Costituzione qui in Assemblea.

Ma se la Sardegna, dico all’onorevole Togliatti espressamente, non si trova oggi nella stessa situazione politica amministrativa della Sicilia, questo non credo possa essere addebitato né al Governo né tanto meno alla democrazia cristiana; che se, quando fu approvato lo Statuto siciliano in quella forma particolare che era necessaria in quel momento, fosse stato presentato anche lo Statuto per la Sardegna, evidentemente oggi la situazione della Sardegna sarebbe sullo stesso piano di quello della Sicilia. E quando nel testo della mozione si dice che, dopo sei mesi di lavoro alla Consulta sarda, soltanto ai primi di maggio di questo anno è stato approvato il testo dello Statuto regionale, mi pare che questo sia un dato di fatto preciso che esclude qualsiasi possibilità di responsabilità sia nei confronti del Governo sia nei confronti di qualsiasi Gruppo politico e particolarmente del Gruppo politico democristiano. Ma oggi s’invoca la stessa procedura seguita per l’approvazione dello Statuto siciliano; si dimentica un altro dato di fatto che è essenziale, sostanziale, per una conclusione di questo genere, caro onorevole Lussu. Quale? Che quando fu approvato lo Statuto siciliano non c’era un’Assemblea Costituente; c’era il Governo con potere legislativo, costituito in quel modo che l’onorevole Togliatti ben sa, perché ne faceva parte lui medesimo. Ma oggi tutta la materia costituzionale mi pare sia per legge deferita alla competenza esclusiva dell’Assemblea Costituente.

LUSSU. Lei non ha ascoltato il mio discorso.

PICCIONI. Questo non lo dico per contrastare le sue opinioni; ma per dire che il richiamo al precedente siciliano è del tutto fuori luogo dal punto di vista costituzionale. (Interruzioni a sinistra – Commenti).

GULLO FAUSTO. La legge c’era!

PICCIONI. Ma non c’era la Costituente. Questa onorevoli colleghi è materia costituzionale: per la materia costituzionale c’è apposta l’Assemblea Costituente. Quindi il richiamo al precedente siciliano è del tutto estraneo alla valutazione della questione che deve fare oggi l’Assemblea Costituente. Che cosa rimane? Per quanto sardi essi siano, non mi sembra che la posizione dei colleghi comunisti sia del tutto convergente al medesimo fine ed alla posizione dell’onorevole Lussu, fiero autonomista; perché, nell’attuazione dell’esperimento regionalista – cioè, del nuovo ordinamento regionalista – essi si sono dimostrati se non avversi, infinitamente più cauti di qualsiasi altro Gruppo della Camera Questo valga anche nei confronti dell’attuazione siciliana per la quale il Gruppo democristiano si batté anche perché le elezioni per il nuovo ordine regionale siciliano venissero fatte anche prima del coordinamento dello Statuto speciale. Oggi dunque il problema, così come è stato posto, a che cosa si riduce? Ad una sola cosa: a far sì che sia affrettata il più possibile la possibilità che la Sardegna abbia il proprio ordinamento regionale democratico. Tutto qui è l’obiettivo che si è prefisso la mozione dell’onorevole Lussu e degli altri firmatari.

Ora, questa maggiore celerità di conclusioni attraverso quale procedimento si può raggiungere al di fuori di ogni speculazione particolare? Attraverso quale procedimento? Questa è stata la sostanza del dibattito di oggi.

Attraverso la delega al Governo? La delega costituzionalmente, è stato detto, è possibile, ma presuppone quel disegno di legge a cui si riferiva l’onorevole Lussu, che sarebbe presentato dopo l’approvazione della sua mozione; per dare il via al disegno di legge è necessaria la nomina di una Commissione che lo prenda in esame, esamini lo Statuto, riferisca all’Assemblea stessa, la quale allora, deciderà la delega al Governo, la quale delega al Governo, ricordo ancora all’onorevole Lussu, non può essere così genericamente e sommariamente concepita, ma deve presupporre anche da parte del Governo l’esame del progetto di Statuto di cui sarebbe investito.

Ora, noi diciamo: poiché lo Statuto è stato elaborato dalla Consulta sarda, poiché esso si trova già davanti ad una Commissione della Costituente, che cosa è più facile e più celere? Far sì che la Commissione della Costituente esamini lo Statuto, lo approvi, lo porti in seno all’Assemblea stessa per l’approvazione; oppure, se la Commissione stessa, così come ha detto l’onorevole Mortati, ritiene più semplice e più rapido che venga demandato all’approvazione del Governo, riferirà in questo senso in seno all’Assemblea, la quale deciderà al riguardo.

Questo non significa né diminuire la nostra adesione alla necessità e opportunità che la Sardegna sia messa in condizioni pari alla Sicilia, né, in qualche modo da parte nostra, voler ritardare che questo atto sia posto in essere; significa soltanto seguire obiettivamente, al di fuori di ogni e qualsiasi speculazione di gruppo, quella che è la forma e la procedura più rapida e più corretta coi presupposti costituzionali che noi dobbiamo tenere sempre presente.

Per queste considerazioni io dichiaro di votare a favore dell’emendamento Mortati. (Applausi al centro).

TOGLIATTI. Chiedo di parlare per fatto personale, perché non è stato dall’onorevole Piccioni esattamente interpretato il mio pensiero.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà. La prego, una rettifica semplice e lineare, senza nuove argomentazioni.

TOGLIATTI. Semplice e lineare, senza nuove argomentazioni.

L’onorevole Piccioni non ha esattamente interpretato il mio pensiero e non ha esattamente interpretato il pensiero del Gruppo comunista (Commenti al centro) soprattutto in quanto ha cercato di rilevare una contradizione che esisterebbe fra la posizione sempre presa dal nostro Gruppo relativamente ai problemi dell’autonomia regionale in generale e la posizione che noi abbiamo presa e stiamo difendendo a proposito della rapida attuazione dello Statuto regionale sardo.

L’onorevole Piccioni ci dice: «Voi siete stati troppo cauti quando si è discusso della Regione in generale e ora siete troppo avanzati». No, onorevole Piccioni. È probabile, anzi è certo, che siamo stati cauti nell’approvare la estensione a tutte le Regioni di un regime di autonomia con tendenza al federalismo, perché qualora tale regime fosse stato applicato nel senso che allora venne proposto vedevamo affiorare gravi pericoli per l’unità nazionale, politica ed economica del nostro Paese.

In questo senso siamo stati cauti, ma desidero fare rilevare all’Assemblea che noi sin dal primo momento e sempre abbiamo fatto eccezione per la Regione siciliana e per la Regione sarda e per quelle altre particolari zone di confine per cui sempre abbiamo chiesto un particolare statuto di autonomia. Oggi ci troviamo di fronte alla richiesta di attuazione di questo statuto particolare proprio per una di queste Regioni. Abbiamo, quindi, il dovere di essere coerenti con la posizione che abbiamo difeso. Abbiamo voluto uno statuto particolare di autonomia per la Sardegna fin dal primo momento. Dobbiamo volere che esso venga attuato con la più grande rapidità, così come già è stato fatto per la Sicilia.

Per questo, onorevole Piccioni, riassumendo il mio pensiero, le dirò che se è vero che noi siamo stati più cauti di quanto ella non sia stato nella discussione generale sulle autonomie regionali, siamo però, in pari tempo, per quanto riguarda l’attuazione delle posizioni da noi difese, molto più sinceri di lei e molto più coerenti. (Applausi a sinistra).

CARBONI ANGELO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARBONI ANGELO. Non voglio meritare l’accusa di incoerenza perché nell’ordine del giorno appare il mio nome come firmatario dell’ordine del giorno Lussu. È un errore in quanto il firmatario è Carboni Enrico e non sono io. Questa dichiarazione faccio perché intendo votare per l’emendamento Mortati e non vorrei che mi si dicesse che sono in contradizione con la firma apposta nella mozione.

MASTINO GESUMINO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO GESUMINO. Malgrado le dichiarazioni dell’onorevole Togliatti, le quali fanno dubitare della bontà della tesi che io ho con profonda convinzione sostenuto davanti all’Assemblea, voterò per la mozione Lussu. Dico che le dichiarazioni dell’onorevole Togliatti fanno dubitare, perché s’insinua in esse il proposito di trasformare le elezioni sarde, che devono condurre alla elezione degli amministratori della Sardegna, in una esasperata lotta politica.

LACONI. Dei legislatori.

MASTINO GESUMINO. Ad ogni modo, io e l’onorevole Carboni Enrico, che rappresentiamo la provincia di Cagliari, la quale demograficamente supera per importanza le altre due provincie sarde insieme, votando per la mozione Lussu, dimostriamo all’onorevole Togliatti che la Democrazia cristiana non ha nessuna preoccupazione elettoralistica.

I fatti disperderanno la presunzione, se effettivamente sussista nell’onorevole Togliatti, e dimostreranno quale sia effettivamente la verità sostanziale della situazione elettorale in Sardegna.

PRESIDENTE. Pongo allora in votazione la prima parte della mozione dell’onorevole Lussu ed altri fino al punto in cui potrebbe venire inserito l’emendamento Mortati:

«L’Assemblea Costituente, considerato:

che l’istituzione degli Alti Commissari e delle Consulte regionali poneva la Sicilia e la Sardegna, per le condizioni particolari alle due grandi Isole, in una identica situazione politica;

che l’articolo 108 della Costituzione in esame attribuisce alla Sicilia e alla Sardegna forme e condizioni particolari di autonomia;

che la Consulta Nazionale e il Governo dei Comitati di liberazione nazionale avevano, già nel 1946, deliberato di estendere in via provvisoria alla Sardegna lo Statuto autonomo della Sicilia, provvedimento del quale la Consulta regionale sarda non credette opportuno avvalersi, preferendo elaborare con esame approfondito il suo particolare progetto di Statuto;

che lo Statuto per la Sardegna, approvato nelle sedute del 15-29 aprile 1947, dopo sei mesi di lavori ininterrotti, è stato dalla Consulta regionale sarda presentato al Governo».

(È approvata).

Si dovrà ora votare la seconda parte della mozione nel testo risultante dall’emendamento presentato dall’onorevole Mortati:

delibera di invitare la Commissione competente ad esaminare nel più breve termine lo schema di Statuto presentato dall’Alto Commissario e dalla Consulta regionale sarda ed a predisporre un progetto di legge costituzionale inteso a realizzare tale attuazione, anche mediante il conferimento di apposita delega al Governo».

Questo è il testo dell’emendamento Mortati, dopo che l’onorevole Mortati stesso ha inserito l’ultimo inciso, con il quale pensava di venire incontro alle esigenze dell’onorevole Lussu. L’onorevole Lussu ha però dichiarato che questa sua esigenza non è stata soddisfatta.

Il testo dell’onorevole Mortati è quindi un emendamento al testo dell’onorevole Lussu.

Pongo in votazione questo testo.

(Dopo prova e controprova è approvato).

Pertanto il testo completo dalla mozione, che l’Assemblea Costituente ha approvato, risulta così formulato:

«L’Assemblea Costituente, considerato:

che l’istituzione degli Alti Commissari e delle Consulte regionali poneva la Sicilia e la Sardegna, per le condizioni particolari alle due grandi Isole, in una identica situazione politica;

che l’articolo 108 della Costituzione in esame attribuisce alla Sicilia e alla Sardegna forme e condizioni particolari di autonomia;

che la Consulta Nazionale e il Governo dei Comitati di liberazione nazionale avevano, già nel 1946, deliberato di estendere in via provvisoria alla Sardegna lo Statuto autonomo della Sicilia, provvedimento del quale la Consulta regionale sarda non credette opportuno avvalersi, preferendo elaborare con esame approfondito il suo particolare progetto di Statuto;

che lo Statuto per la Sardegna, approvato nelle sedute del 15-29 aprile 1947, dopo sei mesi di lavori ininterrotti, è stato dalla Consulta regionale sarda presentato al Governo;

delibera di invitare la Commissione competente ad esaminare nel più breve termine lo schema di Statuto presentato dall’Alto Commissario e della Consulta regionale sarda ed a predisporre un progetto di legge costituzionale inteso a realizzare tale attuazione, anche mediante il conferimento di apposita delega al Governo».

Il seguito dello svolgimento dell’ordine del giorno è rinviato ad altra seduta da destinarsi.

Interrogazioni con richiesta di urgenza.

PRESIDENTE. Sono pervenute alla Presidenza le seguenti interrogazioni con richiesta di risposta urgente.

«Al Ministro dell’industria e commercio, per conoscere perché alla flottiglia motopescherecci dell’importante porto di San Benedetto del Tronto vengono assegnate mensilmente quantità di gasolio appena sufficienti per 6 giorni e 21 ore di moto in modo da danneggiare gravemente quella fiorente attività. Questo, mentre ad altre flottiglie di altri porti – quale ad esempio quella di Anzio – si fanno assegnazioni esuberanti, per modo che non vengono neppure ritirate.

«Tozzi Condivi».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro delle finanze, per sapere se non ritengano opportuno sospendere l’entrata in vigore del decreto legislativo 24 maggio 1947, n. 589, oppure apportarvi delle sostanziali modifiche, tali da non pregiudicare la ripresa e lo sviluppo del turismo nel nostro Paese.

«Paris, Persico, Mazzoni, Bordon, Canepa».

«Al Ministro delle finanze e all’Alto Commissariato per l’alimentazione, per sapere se il frutto tributario e la limitazione o disciplina dei consumi, che si vogliono perseguire col decreto legislativo 24 maggio 1947, n. 589, compensino il grave turbamento che la prossima applicazione di tale decreto porterà in un vasto settore dell’attività commerciale con evidenti riflessi nocivi e per il turismo e per la categoria di prestatori d’opera; e se di conseguenza non creda di sospenderne l’applicazione o, se mai, di apportarvi quelle radicali modifiche che valgano ad evitare i prospettati inconvenienti.

«Schiratti».

«Al Ministro di grazia e giustizia, per sapere se sia esatto il riferimento, che un giornale della capitale ha pubblicato in questi giorni, di un’intervista nella quale il Ministro avrebbe espresso opinioni, fatto apprezzamenti e preannunciato propositi in pieno contrasto con l’azione che lo Stato, attraverso i suoi vari organi, deve compiere in difesa del suo nuovo ordinamento.

«Targetti, Malagugini, Carpano Maglioli, Vernocchi, Lussu, Maffi, Cianca, Macrelli, Cevolotto, Longo, Parri, Codignola, Priolo».

«Al Presidente del Consiglio e al Ministro della giustizia, per conoscere, in relazione alle recenti dichiarazioni dell’onorevole Ministro di giustizia, se il Governo non creda che l’amnistia, istituto di cui si è per il passato deplorevolmente abusato, debba essere riservata alla deliberazione dell’Assemblea, secondo previsto nel progetto di Costituzione.

«Rossi Paolo, Bocconi, Lami Starnuti, Ghidini, Carboni Angelo, Pera, Mazzoni, D’Aragona, Piemonte, Grilli, Caporali, Zanardi».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’industria, per conoscere se e quali provvedimenti intendano adottare per eliminare l’attuale inconveniente derivante all’industria torinese in particolare e piemontese in genere, dal fatto che il Comitato centrale per la ripartizione dei prodotti destinati all’industria, con sede in Milano, favorisce naturalmente l’industria lombarda.

«Geuna».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro del commercio con l’estero, per conoscere se non ritengano disporre che la Commissione Alta Italia per il commercio con l’estero – con sede in Milano – sia formata, oltreché dal rappresentante veneto, da quello ligure e dai due lombardi, anche da almeno un rappresentante del Piemonte, che ha importanza preponderante nell’economia nazionale.

«Geuna».

Chiedo al Governo quando intende rispondere a queste interrogazioni.

PELLA, Ministro delle finanze. Dichiaro che risponderò alle interrogazioni di competenza dei mio Ministero nella prima seduta in cui saranno poste all’ordine del giorno le interrogazioni.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Risponderò, nella prima seduta destinata alle interrogazioni, a quelle che sono di competenza del mio Ministero e lo farò con piacere anche per chiarire alcune errate interpretazioni che sono state fatte sulla stampa a proposito di una mia intervista.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Dugoni. Ne ha facoltà.

DUGONI. Il 4 luglio l’onorevole Lami Starnuti ha presentato una interrogazione al Ministro delle finanze per conoscere il valore delle materie prime concesse agli industriali dalla repubblica di Salò.

Mi associo a questa interrogazione e ne chiederei la discussione d’urgenza.

PELLA, Ministro delle finanze. Dichiaro che il Governo desidera rispondere al più presto a queste interrogazioni. Faccio presente in proposito l’opportunità che la interrogazione dell’onorevole Lami Starnuti sia estesa anche al Ministro del tesoro e a quello della difesa, in quanto una parte dell’interrogazione riguarda la competenza di queste Amministrazioni.

DUGONI. Provvederemo in conformità del suggerimento del Ministro.

Sui lavori dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Codignola. Ne ha facoltà.

CODIGNOLA. Alla fine della seduta di sabato due interpellanze rivolte al Ministro della pubblica istruzione sono state trasformate in mozione. Come ho già fatto rilevare in quella seduta, questa mozione deve essere discussa nei prossimi giorni, in quanto per il 26 luglio sono indette le elezioni per il nuovo Consiglio Superiore della pubblica istruzione.

Pregherei pertanto l’onorevole Presidente di voler nuovamente informare l’onorevole Ministro della pubblica istruzione dell’urgenza di questa mozione, pregandolo di voler fissare la discussione per domani o dopo domani, perché vi sono molte migliaia di insegnanti in tutta Italia che attendono di sapere come devono regolarsi.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. La discussione di questa mozione dovrà essere fissata d’intesa col Presidente del Consiglio dei Ministri. Comunque, mi interesserò al riguardo.

PRESIDENTE. Dobbiamo ora stabilire un programma di lavoro, tenendo presente che esso dovrà essere molto intenso se si vuole concludere i lavori entro la settimana, e comporterà una prosecuzione delle sedute pomeridiane, dopo un breve intervallo, nelle serate.

FUSCHINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUSCHINI. Riterrei opportuno che si cercasse di portare a termine il più presto possibile l’esame del disegno di legge sull’imposta patrimoniale, rimandando l’esame sul titolo della Regione. Il disegno di legge riveste infatti carattere di grande importanza e sarebbe quanto mai opportuno portarlo innanzi senza altre interferenze, compreso il progetto di Costituzione.

È da notare altresì che gli ultimi articoli che sono da esaminare richiederanno probabilmente una lunga discussione. Io penso quindi che se noi li inframmezzeremo con l’esame dell’articolo 123 del progetto di Costituzione, rischieremo di rimandarne troppo la approvazione.

Propongo pertanto che si tengano domani tre sedute, antimeridiana, pomeridiana e serale, tutte dedicate all’esame del disegno di legge sull’imposta patrimoniale.

Conseguentemente, propongo che non venga posto per domani all’ordine del giorno il seguito della discussione sul progetto di Costituzione.

LA MALFA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA. Domani, per la patrimoniale, avremo gli articoli forse più importanti, quelli sulla proporzionale e sulla progressiva: non credo perciò che nella seduta antimeridiana si raggiungerà il numero sufficiente di intervenuti per poter discutere e decidere su tale argomento.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Io chiederei che per domani si facessero soltanto due sedute, perché avrei bisogno di qualche ora per concertarmi con alcuni colleghi di Governo sulla patrimoniale. Questo per la stessa celerità dei lavori. A partire da dopo domani, sono favorevole alle tre sedute giornaliere.

LA MALFA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA. Se si dovessero fare due sedute domani, sarebbe preferibile tenerne una nel pomeriggio e una la sera.

PRESIDENTE. Propongo allora che domani mattina si tenga seduta per proseguire la discussione del progetto di Costituzione.

Nella seduta pomeridiana si proseguirà la discussione del disegno di legge sulla imposta straordinaria progressiva sul patrimonio, con l’intesa che i lavori potranno eventualmente essere protratti nella tarda serata.

(L’Assemblea approva).

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Mi permetto di far presente che domani mattina, alle ore 9, è convocato il Comitato di coordinamento per l’esame dell’articolo 123 e seguenti del progetto di Costituzione. Non è quindi possibile essere in aula alle 9.30.

PRESIDENTE. In considerazione di quanto fatto presente dall’onorevole Uberti, la seduta antimeridiana di domani comincerà alle 10.30.

(Così rimane stabilito).

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dei lavori pubblici e del tesoro, sulla urgente necessità di facilitare la costruzione di case in favore dei lavoratori, che, sinistrati di guerra, hanno perduto alloggio ed i modesti averi.

«Per risolvere la tragica e dolorante situazione di molti cittadini, l’interrogante domanda che siano estesi i sussidi dello Stato, secondo il decreto n. 261, del 10 aprile 1947, alle cooperative composte di famiglie danneggiate, che stanno sorgendo a Bologna in difesa di un alto principio, che afferma il diritto per gli uomini del lavoro ad una casa sana e libera da ogni sfruttamento. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Zanardi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere i provvedimenti che si intendono adottare a carico del sindaco di Ariccia (provincia di Roma) che, nonostante l’invito rivoltogli dal prefetto di Roma e la deliberazione affermativa del Consiglio comunale a riassumere in servizio impiegati discriminati, ne rifiuta la riammissione, sottoponendo la civica amministrazione a gravosi dispendi, per la continuità dei servizi.

«E per conoscere, altresì, quali provvedimenti intende adottare a carico del medesimo sindaco e della intera amministrazione comunale in relazione al recente, arbitrario, deliberato della Giunta municipale di licenziare personale, e tra questo quello del servizio razionamento consumi, che è regolato da speciali disposizioni e che, data la temporaneità, è effettuato per conto dello Stato, che ne rimborsa le somme pagate per il personale e spese di ufficio. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Cannizzo».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere le ragioni del ritardo all’approvazione dell’organico dell’ospedale civile di Udine, ritardo che ha messo viva inquietudine in quel benemerito personale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Piemonte».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere se non sia tempo di provvedere a far funzionare la pretura del mandamento di Francavilla Sicilia (provincia di Messina) che dal gennaio 1945 trovasi senza il titolare dottor Ferruggia Carmelo, richiamato col grado di capitano dei carabinieri e addetto quale sostituto procuratore del Tribunale militare di Catania.

«Se nella eventuale difficoltà di conseguire un immediato ricollocamento in congedo del titolare di detta pretura non creda di voler disporre che la Corte di appello di Messina provveda celermente all’applicazione in detta pretura di altro magistrato della circoscrizione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Salvatore».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per conoscere perché non si è ancora provveduto al ripristino dell’ufficio del registro e delle Commissioni mandamentali per le imposte dirette ed indirette del comune di Trentola.

«Tale provvedimento è stato richiesto dalle popolazioni interessate e dalle autorità locali e risponde ad effettive esigenze di quell’importante centro giudiziario e di affari in genere. Si tratta di un mandamento di circa 100.000 abitanti, servito da strade in cattive condizioni e da mezzi di trasporto limitati, che rendono difficile e dispendioso l’accesso alla sede lontana di Aversa. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Numeroso».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri della difesa e del tesoro, per sapere se non credano opportuno dare ai competenti uffici da essi dipendenti precise direttive per la definizione di moltissime pratiche di pensione, per ferite od infermità a causa di servizio, richieste da militari che hanno per qualche tempo prestato servizio anche nelle formazioni della pseudo repubblica fascista. Molti di questi militari si sono trovati in tali condizioni non per loro domanda od atto di adesione, ma costretti; e tanti di essi hanno anche reso servizi alle forze della liberazione.

«La mancanza ed incertezza di direttive per i vari casi che la predetta situazione presenta – arrestando lo svolgimento delle pratiche – sono di gravissimo danno a quanti possono avere diritto alla pensione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Sardiello».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette, per le quali si chiede la risposta scritta, saranno inviate ai Ministri competenti.

La seduta termina alle 21.45.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 10.30:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Alle ore 17:

Seguito della discussioni sul disegno di legge:

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di un’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

SABATO 19 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CXCIII.

SEDUTA DI SABATO 19 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Congedi:

Presidente

Comunicazioni del Presidente:

Presidente

Per il decimo anniversario della morte di Guglielmo Marconi:

Merlin, Ministro delle poste e telecomunicazioni

Presidente

Interpellanze (Svolgimento):

Presidente

Bernini

Codignola

Gonella, Ministro della pubblica istruzione

Disegno di legge (Presentazione):

Presidente

Sforza, Ministro degli affari esteri

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di un’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

Presidente

Pallastrelli

Micheli

La Malfa, Relatore

Pella, Ministro delle finanze

Jacini

Perlingieri

Bertone

Corbino

Paris

Camangi

Vanoni

Adonnino

Cavallari

Sui lavori dell’Assemblea:

Scoccimarro

Presidente

Pella, Ministro delle finanze

Lussu

Fuschini

La Malfa

Corbino

Micheli

Mozione (Annunzio):

Presidente

Codignola

Pella, Ministro delle finanze

Interrogazioni con richiesta d’urgenza:

Camangi

Pella, Ministro delle finanze

Benedettini

Presidente

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia allo 9.30.

MAZZA, ff. Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Hanno chiesto congedo i deputati Cotellessa, Fedeli Aldo e Zotta.

(Sono concessi).

Comunicazioni del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che ho chiamato a far parte della seconda Commissione permanente per l’esame dei disegni di legge gli onorevoli Assennato e Cavallari in sostituzione rispettivamente degli onorevoli Scoccimarro e Di Vittorio, dimissionari.

Per il decimo anniversario della morte di Guglielmo Marconi.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il Ministro delle poste e delle telecomunicazioni, onorevole Merlin. Ne ha facoltà.

MERLIN, Ministro delle poste e delle telecomunicazioni. Onorevoli colleghi! Se ricordare gli uomini insigni che con le loro opere hanno onorato la Patria e servito l’Umanità, è uno stretto dovere, l’Assemblea consentirà che io richiami brevemente la memoria di uno dei più grandi italiani, che in questo ultimo cinquantennio hanno reso grande ed onorato nel mondo il nome d’Italia.

Quest’uomo è Guglielmo Marconi.

Nato a Bologna il 25 aprile 1874, egli morì in Roma il 20 luglio 1937: domani ricorrono adunque dieci anni dalla sua morte.

Se la data della sua nascita è da annoverarsi tra i giorni più fausti nella storia del nostro popolo, quello della sua morte è giornata di lutto. Rivolgere, pertanto, alla sua grande figura in questo decimo anniversario un pensiero riconoscente è un dovere. Tanto più che si chiudono proprio quest’anno le celebrazioni del primo cinquantennio di quella sua geniale scoperta che nuove vie doveva aprire al lavoro umano ed alla civiltà.

Fu nel 1895, nella villa paterna di Pontecchio a Bologna che prese salda radice nella mente di Guglielmo Marconi, appena ventenne, l’idea che le onde elettriche, la cui esistenza era stata preveduta matematicamente dal Maxwell nel 1865 e poi dimostrata sperimentalmente da Hertz, da Lodge e da Righi, avrebbero potuto fornire il mezzo di telegrafare senza l’ausilio di fili conduttori.

L’esperienza riuscì; il genio aveva esattamente previsto. Ma anche coloro, come il Righi, che pure con i loro studi avevano preparato tale scoperta, non ebbero l’intuito geniale del Nostro. Essi non credevano che la scoperta delle onde elettriche avrebbe avuto le immense applicazioni che più tardi ebbe e che il giovane Marconi invece fino da allora previde.

Il Nostro nutrì la fede dei grandi inventori ed operò in conformità.

Egli fu l’inventore dell’antenna collegata direttamente o elettricamente alla terra.

Egli per primo concepì i mezzi adatti perché le onde elettriche potessero valicare le più alte montagne, vincere la curvatura della terra e superare la immensità degli spazi.

Il Nostro fu degno di Cristoforo Colombo, che guidò le nostre navi alla scoperta delle terre lontane, anche contro i dubbi della ciurma, che avrebbe voluto ritornare donde le navi erano partite.

È per questa sua fermezza che non conobbe soste che il Nostro corona la schiera dei grandi italiani che nel campo della scienza, onorarono la Patria.

Come Volta fu padre dell’elettricità, come il telefono è di Meucci, la dinamo di Pacinotti, il motore a campo rotante di Galileo Ferraris, così la radio è di Guglielmo Marconi. «Audere silenter», fu il motto che il grande osservò con un quarantennio di lavoro indefesso, di continui perfezionamenti, di quasi quotidiane conquiste.

Sulla grande scoperta di Guglielmo Marconi non cessa la inopportuna polemica di qualche voce discorde.

Proprio in questi giorni a New York si tiene un convegno internazionale delle telecomunicazioni ed è presente anche l’Italia, con rappresentanti nominati dal mio Ministero.

Ebbene, nella seduta del 5 giugno, avendo il Presidente del Congresso affermato che sono decorsi cinquant’anni dalla scoperta di Guglielmo Marconi, vi fu chi ha voluto contraddire a questo giusto riconoscimento.

Ma i delegati italiani, con chiara e ferma protesta, hanno dimostrato che fu proprio il grande italiano che ha realizzato per primo il successo delle radiocomunicazioni, perché nessuno di coloro che lo precedettero nella preparazione seppe realizzare le grandi ed utili applicazioni concrete, che Marconi attuò, e seppe superare gli ostacoli per raggiungerle.

Con ciò la delegazione italiana non ha certo inteso di mancare al dovere di rendere omaggio agli altri grandi uomini dei differenti Paesi, che hanno concorso a sviluppare la tecnica della radio.

Del resto se v’è scoperta, che, pur rendendoci orgogliosi come italiani, ci fa superare gli egoismi di un vieto nazionalismo per assurgere a maggiori doveri di solidarietà con tutti i popoli, è appunto questa subito attuata a servizio, non di un solo Paese o di un solo popolo, ma di tutta l’Umanità.

La scoperta di Guglielmo Marconi fu, prima di ogni altra applicazione, rivolta a salvare vite umane, soprattutto tra la gente del mare. Dal salvataggio miracoloso del Republic del 1909 a quello del Titanic nel 1913 e via via, da allora ad oggi, attraverso il richiamo del grido disperato di aiuto che si diffonde sugli oceani e parte delle navi in pericolo, sono migliaia e migliaia di creature che devono al Nostro la vita.

Tutte le miracolose applicazioni successive sono note a tutti.

Applicazioni alle arti, alla musica, alla letteratura, alla divulgazione delle idee politiche e sociali con i servizi radio; alla radioassistenza nella navigazione, al Radar che guida il navigante tra tutti gli scogli e che è l’occhio luminoso della nave, al telefono senza fili, che già comincia ad affermarsi in molti paesi, compreso il nostro.

Nel campo industriale, in quello medico, perfino nella chirurgia, dalla scoperta di Marconi si fanno discendere innovazioni che sembrano prodigi.

È perciò, che, se vi è un rimpianto è quello che questo Grande sia morto troppo presto, quando forse molto ancora poteva attendersi dal suo genio luminoso.

Il Governo ha voluto rendere omaggio alla memoria di Guglielmo Marconi anche in seno all’Assemblea Nazionale, nel primo decennio dalla morte, non solo per adempiere un dovere, ma anche perché, nelle strettezze in cui l’Italia si dibatte e nelle difficoltà dell’ora, sia di conforto ricordare a noi stessi che, nel libro eterno della vita, l’Italia ha ancora dei crediti da far valere verso l’Umanità. (Applausi generali).

PRESIDENTE. Sarebbe da parte mia prova di presunzione e vanità volere aggiungere parola alle alte e pensate espressioni con cui il Ministro onorevole Merlin ha celebrato il nome, l’opera e la gloria di Marconi.

D’altronde già in altre cornici, ugualmente solenni – seppure per diversa dignità – più volte, nel corso delle settimane passate, gl’italiani hanno rivendicato al proprio genio e riconsacrato alla comune civiltà dei popoli lo scopritore delle leggi misteriose delle onde elettriche poste poi da lui, quasi per miracolo, a servizio dell’umanità.

A Bologna, in quella Università degli studi, dinanzi ad una accolta di dotti e di scienziati i quali, nella scia del suo insegnamento e delle sue esperienze, vanno svolgendo a sempre nuove conquiste la sua prima invenzione; a Milano, in occasione della Fiera pur ora chiusa, fra folle di lavoratori che, con perizia d’arte, traggono dalla materia bruta i sottilissimi congegni in cui quell’invenzione si traduce in azione benefica e feconda, tutto fu detto che poteva esprimere riconoscenza, ammirazione, glorificazione.

A noi, rappresentanti del popolo – di un popolo che, da traversie terribili portato quasi a ultima rovina, sta traendosene con tenacia incomparabile di sacrificio – basti aggiungere che una gente che genera intelletti tanto potenti come quello che sospinse e guidò Marconi per le strade nuovissime della scienza più nuova, sa che, per sventure che la colpiscano, non ha ragione di disperare.

Ricordando oggi qui il grande bolognese, noi lo ringraziamo anche per questa certezza di continuità di vita, di progresso, di vittorie pacifiche e civili sulle forze naturali ch’Egli ha donato all’Italia; ed auspichiamo che solo in quest’opera – per il suo grande esempio – voglia nell’avvenire il nostro popolo cercare e trovare i propri lauri e la propria gloria maggiore. (Vivissimi applausi).

Svolgimento di interpellanze.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca lo svolgimento di due interpellanze presentate dall’onorevole Lozza e dall’onorevole Codignola, assieme con altri firmatari, al Ministro della pubblica istruzione. Poiché le due interpellanze trattano materia analoga, esse saranno svolte contemporaneamente.

Ne do lettura;

«Al Ministro della pubblica istruzione, per conoscere con quali intendimenti ha proceduto al bando precipitato delle elezioni per il Consiglio superiore della pubblica istruzione, secondo un nuovo decreto legislativo non ancora pubblicato; e se non creda che tale provvedimento non possa valere a indebolire il prestigio delle nostre istituzioni scolastiche.

«Lozza, Preti, Binni, Bernini, Condorelli, Cifaldi, Parri».

«Al Ministro della pubblica istruzione, per conoscere quali siano i motivi di urgenza che lo hanno consigliato ad emanare il decreto 30 giugno 1947, relativo al nuovo ordinamento dei corpi consultivi del Ministero della pubblica istruzione, decreto che non offre sufficienti garanzie democratiche, presenta notevoli deficienze tecniche ed è stato emesso senza l’osservanza di precise disposizioni di legge. Gli interpellanti chiedono, altresì, per quali ragioni un decreto di tanta importanza, che ha evidenti aspetti costituzionali, sia stato sottratto alla competenza dell’Assemblea Costituente.

«Codignola, Lami Starnuti, Carboni Angelo, Lussu».

PRESIDENTE. L’onorevole Bernini, che è uno dei presentatori della prima interpellanza, ha facoltà di svolgerla.

BERNINI. Onorevoli colleghi! Il collega onorevole Calamandrei ha già discusso, nella seduta di martedì, per quanto riguarda l’ordinamento universitario ed in sede di altra interpellanza, i noti provvedimenti del Ministro della pubblica istruzione, relativi alla costituzione ed alla nomina del Consiglio superiore della pubblica istruzione. Pertanto io mi limiterò a trattare di quanto riguarda le scuole medie ed elementari: cercherò di essere oltre che breve più che sia possibile, schematico, grato al Ministro se nella sua risposta vorrà cortesemente seguire lo stesso sistema. Ciò, mi pare, renderà più chiara e più conclusiva la nostra discussione. Ecco quelli che per me sono i punti essenziali.

Primo punto, al quale io darei questo titolo: carattere fondamentale di ogni sincero sistema elettorale. Ai sistemi elettorali della civiltà moderna si può credere come si può anche non credere, come pure si può credere e non credere alla democrazia; ma, una volta che noi crediamo al sistema elettorale, è necessario a parer mio che questo sia il più sincero possibile, sia tale da rispecchiare il più possibile la volontà, il pensiero, di coloro che sono chiamati a votare.

Se così non avviene, si ricade nei sistemi pseudo-elettorali di cui abbiamo avuto molti saggi nel recente passato. A parer mio, nessun argomento, per quanto valido, può essere portato a limitare il carattere, l’espressione, la pratica di un tal metodo.

Qualcuno potrà opporre degli argomenti diversi, ma allora si risponde: o si cerca un altro metodo per poter fronteggiare le necessità del momento; oppure, se ad esso si ricorre, lo si deve fare con piena e scrupolosa adeguatezza.

Questa premessa, che vorrei non fosse sembrata a voi troppo lunga, ha questo scopo: di dimostrare ciò che, io credo, tutti voi, onorevoli colleghi, nel profondo della vostra coscienza, pensate, cioè che l’argomento principale che l’onorevole Ministro ha portato per difendere questa precipitazione, malgrado lo scarsissimo numero di giorni che egli ha messo a disposizione del corpo elettorale, pure così vasto, come quello degli insegnanti medi ed elementari, sia un argomento che non ha valore.

Egli dice: occorre urgenza perché il Consiglio superiore deve risolvere urgentissime questioni.

A dire la verità, se io sono bene informato – e prego l’onorevole Ministro di smentirmi se sono stato inesatto – queste questioni riguardano quasi esclusivamente l’ordinamento universitario. Vuole, l’onorevole Ministro, dirci cortesemente quali sono i provvedimenti importantissimi e inderogabili – provvedimenti di carattere generale e non particolare – relativi alla scuola media ed elementare, la cui soluzione, per legge, è legata al parere del Consiglio superiore, e tali che non possono essere rinviati senza grave danno?

Analoga considerazione io potrei fare anche per i due paralleli Consigli delle biblioteche e delle belle arti, i quali, non dico che siano una innovazione, ma è certo che la loro formazione non mi pare urgente. Il primo – quello delle biblioteche – non è mai esistito in Italia, se non in quel tale pletorico ed inutile Consiglio nazionale dell’educazione, belle arti e scienze, fondato da Bottai; il secondo è esistito nel passato, ma non mi pare che fosse così urgente ricostituirlo.

Ma potrei dire di più e, per essere breve – a meno che l’onorevole Ministro non desideri che io specifichi maggiormente – io sorvolerò su altri particolari. Potrei dirgli, per esempio, che nella legge sullo stato giuridico che è stata da lui presentata vi sono già degli organi i cui compiti sono quelli che dovrebbero essere demandati al Consiglio superiore.

In conclusione, a parer mio, non esistono in democrazia questioni tanto gravi da costringere a ricorrere ad un sistema elettorale viziato. In democrazia, deve sempre esistere la possibilità di fronteggiare situazioni urgenti, anche senza elezioni non sincere. In questo caso particolare poi – mi permetta l’onorevole Ministro – c’era un modo molto semplice: che ella, per esempio, persuadesse il Consiglio superiore dimissionario a rimanere ancora un po’ in carica, il che non sarebbe stato difficile ad ottenersi, secondo le parole dell’onorevole Calamandrei, solo che si fosse usato un po’ di garbo.

Ma io mi propongo di dimostrare, onorevoli colleghi, che il sistema studiato dal Ministro della pubblica istruzione nasce viziato nella sua struttura e nella sua prima applicazione. Prima di tutto, me lo permetta l’onorevole Ministro – non vorrei che le mie parole sembrassero offensive, ma non lo sono – questa riforma è nata clandestina. Credo che ne sapessero soltanto alcuni uomini attorno al Ministro. Perché dunque egli, che ha a sua disposizione un abbondante notiziario, non dette qualche cenno di ciò che andava facendo?

In tal caso, l’attenzione degli insegnanti, degli interessati, degli studiosi si sarebbe rivolta al problema che egli stava per affrontare; ci sarebbero state discussioni in proposito e probabilmente sarebbero stati evitati gli errori che sono stati commessi: non è questa, signor Ministro, la vera democrazia. Invece il decreto è scoppiato come una bomba, sbalordendo tutti, compresi, credo, parecchi amici politici del signor Ministro.

Il tempo concesso per la preparazione delle elezioni è assurdamente breve: quindici giorni. Ciò è evidente; non credo che io avrò bisogno di dimostrarlo con documenti. Se il signor Ministro desidererà, porterò comunque anche i documenti. Il provvedimento fu noto negli ambienti ufficiali e non ufficiali non prima del 10 corrente ed anche dopo. Per di più, si sono colti gli insegnanti per gran parte fuori delle scuole ed anche fuori sede. Nessuno infatti può negare che in questi giorni tutte le scuole elementari sono chiuse.

L’onorevole Ministro, rispondendo all’onorevole Calamandrei, ha affermato, se non erro, che la maggior parte dei professori è in questi giorni ancora occupata con gli esami di Stato. Ora, ciò non è esatto, perché solo una modesta minoranza di essi è tutt’ora occupata con gli esami di Stato. È poi ben vero – ahimè – che né professori, né maestri possono pagarsi la villeggiatura, ma ciò non significa che essi debbano trovarsi là dov’è la sede scolastica. La miglior prova di ciò sta nel fatto che si sono dovute dare norme per le votazioni fuori sede. Dimostrerò, se occorre, quanto queste norme siano difettose ed erronee. Concludendo: si sono dati circa quindici giorni per la preparazione di elezioni generali che interessano più di un centinaio di migliaia di insegnanti, perfettamente ignari di tutto questo fino a poco tempo fa, e per di più, almeno per la gran parte, fuori sede.

Secondo punto, che io intitolerei, se non vi spiace, un argomento specioso: il carattere tecnico delle elezioni. Non so se l’onorevole Ministro l’abbia detto, ma certo qualcuno l’ha detto e qualcuno ancora lo dirà, con aria sorpresa, incerta: «Ma che bisogno c’è di preparazione a queste elezioni scolastiche? Queste non sono mica elezioni politiche o sindacali; queste sono elezioni tecniche, e basta».

Dato e non concesso per un momento che siano solo tecniche, solo elezioni di tecnici, che cosa vuol dire questo? Vuol dire che il professore, il maestro dovrà votare a caso per il suo direttore, ispettore o collega, perché non conosce altri nomi, e non per un uomo, anche lontano, che dopo maturo esame appaia più idoneo di tutti gli altri? Anche se le elezioni fossero tecniche, solo tecniche, sarebbero sempre necessari accordi preventivi, delle liste nazionali o qualche cosa di simile. Con questo criterio, col criterio che è la conseguenza necessaria dello Stato di fatto, i voti andranno dispersi fra un numero stragrande di candidati per un numero così esiguo di posti; e così si frustrerà il valore, lo scopo delle elezioni.

Lascio giudicare a voi, o colleghi, che siete tutti più o meno pratici di materia elettorale. Ma, badate bene, così non andrà di fatto. Voi vedrete – e io sono facile profeta – che i voti per gran parte andranno concentrati su un numero relativamente limitato di candidati. Come sarà avvenuto questo, signor Ministro? Quali le ragioni di questo mistero? Le ragioni sono queste: manca il tempo materiale per concentrarsi sulle liste elettorali, dopo che è stato reso noto il decreto ministeriale, tale lavoro da una certa parte probabilmente sarà stato fatto prima; oppure soltanto organizzazioni ben efficienti, con strutture periferiche, con appoggi politici potranno rapidamente proporre liste e nomi di candidati e farli prevalere. Ma è poi certo che queste elezioni sono sole tecniche, almeno nel senso che il signor Ministro intende? Non mi pare. Anche noi, onorevoli colleghi costituenti, siamo, o almeno dovremmo essere, in parte dei tecnici; il che non esclude affatto che siamo anche dei politici. Il problema non sta dunque nello scegliere puri tecnici, il che oggi meno che mai può riuscire, e tanto meno nel campo dell’istruzione; il problema sta nello scegliere fra i tecnici politici quelli che diano maggiori garanzie di probità e di capacità.

Terzo punto: onorevole signor Ministro, i Consigli provinciali scolastici sono dei corpi tecnici? Questa è la domanda precisa che mi permetto di fare. Se sono dei corpi tecnici, perché – se è vero quello che ha pubblicato un giornale – il suo Ministero ha invitato i Provveditorati agli studi a far conoscere, badate, «presi gli opportuni accordi con codesta prefettura» se le persone (cito i termini precisi) segnalate per i Consigli scolastici svolgano o abbiano svolta attività politica ed eventualmente in quale partito? (Commenti – Interruzioni al centro).

BERNINI. Perché interrompete? Questi sono fatti a cui potrete contrapporre altri fatti.

TONELLO. Questa è roba incredibile E si parla di democrazia!

RESCIGNO. Si può riferire ai precedenti fascisti.

TONELLO. Macché fascisti! È ignobile!

BERNINI. Ora passiamo ad esaminare il suo decreto legge, signor Ministro. Devo premettere che, sinceramente, dobbiamo ringraziarla di avere restituito il principio elettivo anche ai professori medi e agli insegnanti elementari, secondo il desiderio più volte espresso dalla classe. Ma tutto si ferma lì.

Si è detto che questo decreto-legge si ispira e ricalca gli analoghi del 1906 e 1911. Ne è stato affermato, mi pare anche da lei, solennemente il carattere democratico ed elettivo. Mi spiace di non essere assolutamente di questo parere.

Vediamo un po’: questo Consiglio superiore non è democratico in confronto a quello precedente che era interamente elettivo, mentre questo in parte è elettivo ed in parte discende dal Ministro. Ma ciò ha importanza secondaria.

L’onorevole Ministro, nel suo Notiziario (mi pare del 1° corrente) dopo aver dato il testo del decreto, lo spiega con alcune tavole ed insiste con un bellissimo esempio di chiarezza pedagogica, ma non con altrettanto buon esempio di esattezza sostanziale.

Seconda sezione, scuola secondaria: membri totali 12, di cui 7 eletti e 5 nominati.

Terza sezione, scuole elementari: membri totali 12, di cui 7 eletti e 5 nominati.

Se così fosse, il carattere democratico sarebbe relativamente dimostrato.

Confrontiamo con la legge del 1906. Questa sì che era una legge democratica, sinceramente democratica! Formava così la Giunta per l’insegnamento secondario: 4 scelti dal Ministro, 3 eletti dalla classe. La legge del 1911 formava così la sezione della Giunta della scuola elementare: 6 scelti dal Ministro, 5 eletti dalla classe.

Si dirà: allora la proporzione è eguale. Vi prego di volermi pazientemente seguire in questo modesto computo di chiarimento.

Fra i 7 eletti l’onorevole Ministro mette anche i 3 professori universitari, che possono sì essere stati eletti dai corpi accademici, sebbene, fra parentesi, una parte di essi non sia stata eletta perché è stata scelta dall’onorevole Ministro e nulla vieta che egli possa anche scegliere per questo secondo organismo quegli stessi che egli ha scelto per il primo. Dunque, questi universitari, in parte, sono stati scelti per la prima sezione, ma per le altre sezioni non sono stati eletti, sono stati scelti. Possono dunque considerarsi molto più scelti che non eletti. D’altra parte siamo uomini, e tutti uomini di partito. Il Ministro della pubblica istruzione, chiunque sia, di qualunque partito sia, potendo liberamente scegliere fra i professori universitari della sezione della scuola media ed elementare, chi andrà a scegliere? Ditemelo voi, di tutte le parti dell’Assemblea, compresa la mia. Forse quelli che personalmente, ideologicamente e scientificamente gli sono avversi? O non sceglierà piuttosto, come è sempre avvenuto, come sempre avverrà e come non si può pretendere che non avvenga, quelli che gli sono vicini in qualunque senso? Badate poi che, fra questi professori universitari scelti e non eletti, c’è anche il Presidente. E rinuncio, almeno per ora, ad approfondire ulteriormente i confronti fra le leggi del 1906 e del 1911 e la presente. Io non ho diritto di farvi perdere del tempo: lo farò solo nel caso in cui l’onorevole Ministro ritenga che io non abbia sufficientemente dimostrato il mio assunto.

Quinto punto: Perché gli insegnanti medi ed elementari non possono autogovernarsi? Crede lei, onorevole Ministro, che gli insegnanti elementari e medi saranno straordinariamente lusingati – permettete la parola che è detta senza offesa – dalla intrusione fra di loro, in numero di ben tre, in questioni strettamente tecniche ed amministrative, di professori universitari i quali molto spesso, pure essendo di un grande valore scientifico al quale ci inchiniamo, non hanno pratica alcuna né gusto né si sono mai occupati di queste questioni? Crede lei, onorevole Ministro, che gli insegnanti medi ed elementari si accontenteranno facilmente della espressione ufficiale: «per conferire maggior prestigio ed autorità a queste due ultime sezioni, si è creduto opportuno immettere in esse tre professori universitari…». Crede lei che non giudicheranno questo, più come una intrusione, che come un aumento di prestigio e di autorità delle due sezioni? Questo toglierà prestigio e suonerà sfiducia nella capacità di auto-governo di queste categorie che sono degne di rispetto; suonerà quasi offesa alla classe degli insegnanti elementari e medi.

Passo al sesto punto che intitolerò in questo modo: «La formula del ne varietur».

Scorrendo ora quel suo trionfale articolo «Lo spirito della riforma», che apre il numero del 1° luglio del Notiziario, l’occhio mi è caduto su una frase: «In occasione di una riforma di tanta portata…». Certo questa riforma è di molta portata, d’immensa portata, di portata certo maggiore di quanto ella ora non voglia far credere. Ma perché, se è di tanta portata, ella l’ha preparata in modo così clandestino?

Perché non si è ricordato in quel momento, me lo permetta, di una piccola ma significativa formula che forse si è sperduta nella sua memoria? La formula del ne varietur la ricorda ora signor Ministro? Oh, noi italiani dimentichiamo così facilmente! Abbiamo già dimenticato ciò che è avvenuto a distanza di poco più di due anni dalla terribile odissea del nostro popolo; ma questa formula del ne varietur fu la formula alla quale, prima della formazione del, mi pare, secondo Ministero De Gasperi, per esplicita richiesta del Partito socialista, non so bene se lo stesso Presidente del Consiglio o la Democrazia cristiana si impegnarono. La dichiarazione relativa comparve anche nei giornali. Ci fu un comunicato ufficiale, secondo cui non si sarebbe fatto nulla che variasse gli ordinamenti della scuola, non si sarebbe fatto nulla di essenziale, perché ciò sarebbe stato causa di discordia. Non so se ella, signor Ministro, abbia cooperato alla formazione di questa sì bella formula di carattere, diciamo così, canonicale.

Ora, fra noi, quelli che si intendono appena un poco di latino e anche quelli che per sfortuna loro non si intendono di latino, capirono subito che questa bella formula canonicale doveva avere un valore. Con questa formula, con questi patti precisi, con questo esplicito impegno, ella, signor Ministro, è diventato Ministro della pubblica istruzione. Ora, io le sarei grato se ella ci dichiarasse se la ritiene ancora valida o no oggi che non c’è più il tripartito, ma il Governo di colore.

Se, come credo e spero, ella la ritiene ancora valida, perché certo non è lecito a un Governo transitorio modificare, senza il controllo preventivo del Parlamento e del Paese, ella probabilmente mi dirà che quanto ella ha fatto non intacca le grandi strutture, ed io le rispondo che le grandi strutture si sgretolano anche scostando pietra da pietra e con lo stillicidio delle gocce.

Ella stessa ha detto che questa riforma è «di tanta portata». Veda un po’ se anch’essa non può rientrare nel ne varietur, almeno fino a che non abbia la sanzione della discussione pubblica e degli organi dell’Assemblea Costituente.

Settimo punto che chiameremo «obbligatorietà del voto».

Certamente, tutti gli errori e tutti i difetti della legge impallidiscono di fronte all’obbligo del voto.

Certo a voi, onorevoli colleghi, non importa di conoscere la mia personale e modesta opinione sul voto obbligatorio. Né ciò è strettamente pertinente a questa questione.

A voi poco importa sapere che io ho modestamente detto e scritto che non capisco il voto obbligatorio.

Non riesco a capire come si possa obbligare uno o considerare sia pur dovere morale un atto di uno il quale, sottraendosi ad esso, dimostra di non comprenderne il valore e di non saperlo esercitare. Ma lasciamo andare questo. A parte il voto politico, io non credo che si sia mai verificato il caso di voto obbligatorio per un consesso tra amministrativo e sindacale. Bisogna che lo dica – ed arrossisco nel dirlo – che questo non l’hanno mai sancito nemmeno i fascisti, se non sbaglio…

COCCIA. Non facevano votare! Lo credo bene che non l’hanno sancito.

BERNINI. …o non lo hanno sancito nelle leggi. Veramente questo è un principio nuovo. Ella, onorevole Ministro, ha il vanto di avere introdotto nella legislazione italiana un principio assolutamente originale. Ed il voto obbligatorio è convalidato da sanzioni. Si dirà che tale principio è sancito nella legge elettorale, ma a parte che quella è una legge votata da un organismo legislativo, a parte che quello non è un voto obbligatorio, ma è un obbligo morale senza sanzioni pratiche, oltre al resto, questa per gli insegnanti è una vera e propria sanzione disciplinare sancita dalle oscure parole dell’ordinanza ministeriale che leggo: «Le autorità competenti terranno conto nelle note informative della mancata partecipazione al voto da parte di capi di istituto e di insegnanti».

Le note informative – lo dico per quelli di voi che avessero la singolare fortuna di non intendersi di scuola – sono quelle da cui può dipendere l’avvenire del maestro, il trasferimento di un professore, la sua carriera. Vuole ella, signor Ministro, sostenere che questa segnalazione nelle note informative non ha nessuna portata reale? Faccia pure, se lo crede, ma badi che è una tesi ben difficile a sostenere, e ancor più difficile ad essere creduta.

Ottavo punto: Ritornando ancora al principio del ne varietur e all’applicazione che esso possa avere avuto, io vorrei farle una domanda. Ella, pochi mesi fa, a chi l’accusava di concedere troppo facilmente parifiche di istituti privati, rispondeva trionfalmente, con cifre che dovevano dimostrare l’esiguità del numero delle parifiche da lei concesse. Di ciò perfino nel discorso-programma dell’onorevole De Gasperi c’è un accenno. La memoranda discussione avvenuta qui dentro sugli articoli 27 e 28, ha dimostrato come sia stata pressoché unanime la condanna dell’istituto della parifica. Noi sosteniamo che una delle cause principali dello stato di tremenda decadenza e disordine della scuola media è questa. L’immenso numero dei diplomati che escono dalla scuola italiana, creando un problema per il futuro, vera causa del disordine sociale, nasce dalla diffusione sempre maggiore della parificazione. Nel testo dell’articolo 27 votato fu tolta la parola «parifica» e sostituita con l’altra, più giusta, «parità».

Da tutto ciò l’onorevole Ministro poteva e doveva trarre l’ispirazione alla sua azione.

Ora, spiacerebbe all’onorevole Ministro dire a questa Assemblea il numero delle parifiche da lui recentemente concesse?

E ho finito.

Fra pochi giorni, forse, sotto l’incubo di oscuri pericoli, una parte più o meno grande d’insegnanti medi ed elementari dovrà votare, per nomi di gente che non conosce o per il primo nome che sia suggerito.

Sarà questa l’educazione che noi daremo al popolo italiano, dopo più di 20 anni d’oscure minacce, di plebisciti, di adunate e di votazioni coatte?

In questo modo noi gioveremo alla ricostruzione morale del nostro popolo, o non l’indurremo a pensare che non c’è più da sperare da nessuno?

Vorrei che ella, signor Ministro, fosse persuaso che nessuna ragione personale, o differenza ideologica mi induce a dir ciò, ma solo l’onesto desiderio di giovare alla nostra Patria.

Comunque, certo d’interpretare non solo il pensiero, se pure indistinto, della gran maggioranza degli insegnanti, io, a nome del Partito socialista che qui rappresento, propongo al Governo di presentare al più presto possibile una nuova legge, poiché il decreto legge, così com’è, mi pare d’avere dimostrato sia troppo difettoso.

In subordine, la prego vivamente, signor Ministro, la invito, la prego, di voler rinviare a tempo idoneo le votazioni per le elezioni delle sezioni insegnanti medi ed elementari, del Consiglio superiore della pubblica istruzione. (Vivi applausi a sinistra).

PRESIDENTE. L’onorevole Codignola ha facoltà di svolgere la sua interpellanza.

CODIGNOLA. Onorevoli colleghi! Dovrebbe recar meraviglia che, dopo la prima denuncia fatta qui dall’onorevole Calamandrei, alcuni giorni addietro, e dopo l’intervento così preciso e circostanziato dell’onorevole Bernini, possa esservi ancora qualche cosa da dire su questo straordinario decreto del Ministro della pubblica istruzione: straordinario nel suo contenuto, non meno che nella sua forma; decreto il cui regolamento di esecuzione è stato emanato prima che il decreto stesso venisse pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.

Già vi è stato detto, infatti, dall’onorevole Calamandrei che il decreto è apparso sulla Gazzetta Ufficiale dell’11 luglio, mentre il Notiziario della scuola e della cultura – organo ufficiale del Ministero della pubblica istruzione – reca, già in data 1° luglio, l’ordinanza del Ministro, che prescrive quali debbano essere le modalità per le elezioni. Ma per mio conto non starò ora a ripetervi gli argomenti, già esposti così brillantemente dall’onorevole Calamandrei e dall’onorevole Bernini: mi limiterò soltanto ad alcune indicazioni di carattere tecnico sopra il modo con cui questo decreto – rispetto al quale i motivi d’urgenza pare che abbiano prevalso su qualsiasi altra considerazione – è stato preparato.

Quell’articolo del Notiziario della scuola e della cultura, intitolato «Lo spirito della riforma», citato testé dall’onorevole Bernini (fascicolo del 1° luglio 1947), afferma: «La grande maggioranza dei consiglieri è prescelta mediante libere elezioni, mentre si è riservata al Ministro la facoltà di nomine dirette, entro limiti modesti e per membri che sono in massima parte funzionari dell’Amministrazione non eleggibili». Non ripeterò quello che è stato detto al riguardo dall’onorevole Bernini, ma mi limiterò a precisare alcuni punti.

Il vecchio Consiglio superiore, ricostituito dopo la caduta del fascismo, era costituito di 35 membri, di cui 25 eletti dagli insegnanti, 9 cooptati dagli stessi eletti e due designati dall’Associazione liberi docenti. In sostanza, l’intera composizione del Consiglio superiore della pubblica istruzione era tale da escludere completamente il diritto di nomina da parte del Ministro della pubblica istruzione: si tratta esclusivamente di membri eletti, o cooptati, o designati dagli interessati.

Ora, per quanto almeno riguarda l’istruzione superiore, il nuovo decreto, segna, dal punto di vista democratico, un preciso passo indietro, e non affatto un passo avanti, perché di fronte ai 36 membri elettivi, contemplati dal decreto precedentemente in vigore e che avrebbe dovuto scadere solo al 31 ottobre prossimo venturo, noi abbiamo, secondo la nuova struttura ideata dall’onorevole Gonella, questa situazione: il nuovo Consiglio superiore è costituito di 46 membri, divisi in tre sezioni: la prima, della istruzione superiore, che assume le competenze del vecchio Consiglio superiore; la seconda, della istruzione media, classica, scientifica, magistrale e tecnica; la terza, dell’istruzione elementare.

Per quanto riguarda l’istruzione superiore, di fronte alla vecchia legge, che prevedeva, come dicevo, membri esclusivamente elettivi, noi abbiamo ora soltanto una maggioranza di membri elettivi, in quanto si è cominciato ad introdurre il principio della nomina di alcuni membri da parte del Ministro. Tuttavia, per la prima sezione del Consiglio superiore, i membri elettivi restano tuttora in maggioranza; ma per le altre due sezioni, su 12 membri, 5 sono eleggibili, 4 di nomina del Ministro e 3 scelti dal Ministro tra i professori universitari che fanno parte della prima sezione. Siccome però della prima sezione fanno parte anche professori universitari di nomina del Ministro, è evidente, come ha fatto osservare testé l’onorevole Bernini, che la maggioranza della seconda e della terza sezione può essere costituita di membri non elettivi.

C’è poi un’altra osservazione da fare. E precisamente, vorrei domandare all’onorevole Ministro perché, tra i membri di sua nomina sia della seconda che della terza sezione, sia stabilito senz’altro che debbano esservi il professore di scuola media non governativa, ed il direttore o insegnante di scuola elementare non governativa. Onorevole Ministro! Noi non abbiamo personalmente nessuna prevenzione verso di lei, ma ella si deve render conto che esiste un giudizio diffuso nel Paese, nei riguardi del suo modo di intendere i rapporti della scuola pubblica con quella privata. Questa norma alimenta nuove preoccupazioni al riguardo, né noi comprendiamo perché, mentre ai professori statali è riconosciuto il diritto di eleggersi i propri rappresentanti, questo diritto non lo si debba riconoscere agli insegnanti di scuole non statali.

Ma passiamo al Consiglio superiore delle antichità e delle belle arti, che è una creazione completamente nuova. Questo Consiglio si costituisce di cinque sezioni, ciascuna delle quali composta di cinque membri, e di questi cinque membri due sono elettivi e tre di nomina ministeriale. In questo caso dunque l’onorevole Ministro ha ritenuto che non si potesse far credito alle capacità democratiche degli elettori; e, mentre per le università si è riconosciuto il principio della maggioranza dei membri elettivi, e per la scuola media ed elementare tale maggioranza può esistere o non esistere, per il caso del Consiglio superiore delle belle arti si è addirittura gettata la maschera, mi si perdoni l’espressione, e si è stabilito, per legge, che la maggioranza non può essere di membri elettivi. Da notare poi che nessuna delle sezioni di questo Consiglio può deliberare se non siano presenti almeno quattro membri; di modo che, ammesso che siano presenti due membri non elettivi, più un membro di nomina ministeriale (nel caso si avrebbe, sia pur casualmente, una maggioranza elettiva), la sezione non è in grado di funzionare.

Ma un’altra novità, veramente incomprensibile dal punto di vista giuridico, ci presenta il decreto, ed è il modo come vi sono regolate le cosiddette Giunte. Come tutti sapete, la Giunta è per definizione un organo più ristretto del Consiglio di cui fa parte. Ora, ci troviamo invece davanti a questa strana situazione: che per la prima sezione esiste una vera e propria Giunta, costituita da un certo numero di Consiglieri (11, di cui 7 scelti dal Ministro: e poiché dei 28 membri della sezione, 6 sono di nomina ministeriale, come s’è detto dianzi, la Giunta può di fatto essere costituita tutta, meno un membro, di consiglieri di nomina ministeriale) ma per la seconda e la terza sezione, l’articolo 10 del decreto afferma che «le attribuzioni in materia d’istruzione media ed istruzione elementare, ecc., sono deferite rispettivamente alla seconda e alla terza sezione, le quali, in tal caso, ciascuna nella propria integrale composizione, funzionano da Giunta». Cioè, in certi casi il Consiglio diventa Giunta, e non esiste praticamente la Giunta come organo distinto dal Consiglio. Ma non basta: scopriamo che esiste una Giunta anche del Consiglio superiore per le accademie e biblioteche solo perché essa appare dallo schema riassuntivo posto alla fine del decreto (il decreto non ne fa alcun cenno), ed anche in questo caso è stabilito che il Consiglio superiore per le accademie e biblioteche può trasformarsi in una Giunta composta da tutti i membri del Consiglio. Tutto questo lo dico non tanto perché si tratti di un problema di grande interesse in sé e per sé, quanto per dimostrare il modo frettoloso e poco serio col quale questo decreto è stato fatto.

Per quanto riguarda il voto obbligatorio, ha parlato già largamente l’onorevole Bernini, ma io vorrei far presente all’Assemblea lo strano rapporto che corre fra le parole usate dalla ordinanza ministeriale diramata dall’onorevole Gonella e certe proposte che erano state portate a suo tempo davanti a questa Assemblea in sede costituzionale. Dice infatti l’ordinanza dell’onorevole Gonella: «In considerazione del dovere morale di cooperare alla costituzione dei supremi Consigli della scuola, le autorità competenti terranno conto, nelle note informative, della mancata partecipazione al voto da parte di capi di istituto e di insegnanti». Ora, io ho ancora qui sottocchio un emendamento a suo tempo proposto a questa Assemblea dagli onorevoli Cremaschi e Mortati, a proposito dell’articolo 45 del progetto di Costituzione, che suonava così: «L’esercizio del diritto di voto è dovere politico e morale» (esso quindi comporta delle sanzioni). Voi ricorderete certamente che vi fu allora una lunghissima discussione proprio sulla parola «morale», perché si era prospettata da altri l’opportunità di definire l’esercizio del diritto di voto soltanto come dovere civico. Fu infatti in questo secondo senso che l’Assemblea decise.

Ora, onorevole Gonella, non le pare che ella avrebbe pur potuto tenere conto di questo precedente, di questa manifestazione di volontà, di questo parere esplicitamente espresso dall’Assemblea, la quale, fino a prova contraria, rappresenta il Paese? Come è mai possibile che ella, dopo che qui si è discusso per giornate intorno a questo problema, sul modo cioè di configurare la natura del voto politico, ritorni sulla soluzione già deliberata, nel caso di votazioni interessanti la Scuola, le quali pure rivestono una indiscutibile importanza?

Ma, a parte questo, la votazione che dovrà essere fatta fra pochi giorni presenta almeno delle garanzie formali tali da offrire la sicurezza e la tranquillità che non si verifichino brogli? È naturale che brogli possono sempre accadere: ma incombe tuttavia al legislatore il dovere di fare il possibile perché essi non avvengano. Guardiamo invece che cosa accade nell’applicazione del decreto del Ministro Gonella. Il decreto prevede il caso di docenti i quali votino fuori della loro sede. Prevedere questo caso era effettivamente una esigenza inderogabile, dal momento che il Ministro Gonella ha avuto tanta fretta di indire le elezioni in un’epoca in cui le scuole sono chiuse. Ora, nel caso dei liberi docenti, nel caso degli incaricati e degli assistenti universitari, i verbali di scrutinio vengono trasmessi direttamente dai rettori al Ministero, di modo che il Ministero ha una relativamente facile possibilità di eseguire il dovuto controllo. E per quelli di loro che si presentino a votare in una sede universitaria diversa dalla propria, è previsto l’obbligo di «presentare» un documento dal quale risulti la loro qualità di incaricato, di aiuto o di assistente, di libero docente, e la loro identità.

Che cosa avviene invece per i professori medi e gli insegnanti elementari che votino fuori sede? Avviene che i verbali non vanno in questo caso direttamente al Ministero, ma vengono raccolti dai singoli provveditorati. Ora, se è logico pensare che il provveditore agli studi, per esempio di Roma sia pienamente in grado di esercitare un controllo nei confronti dei professori medi e degli insegnanti elementari che insegnano e votano in sedi comprese nella sua giurisdizione, in qual modo potremo noi pensare che egli possa esercitare analogo controllo per un professore medio o per un insegnante elementare che appartenga ad una sede scolastica estranea alla sua giurisdizione, per esempio venga a votare a Roma dalla Sicilia?

Eppure, si badi, l’ordinanza ministeriale stabilisce in tal caso che maestri e professori potranno votare fuori della loro sede su semplice presentazione della carta di identità. E, si noti, a norma del decreto possono solo votare maestri e professori di ruolo e in attività di servizio. Ora, io mi permetto di domandare all’onorevole Ministro: qual è quella carta d’identità dalla quale risulta che il titolare di essa è un maestro o professore di ruolo, e in attività di servizio? Probabilmente sulla carta d’identità non figurerà neppure la qualifica professionale, perché molto probabilmente risulterà soltanto che quei professori e quei maestri sono degli impiegati dello Stato: ma quand’anche risultasse la qualifica professionale, potrebbe ciò costituire una sufficiente garanzia?

E non è veramente straordinario che mentre nel caso in cui un controllo è possibile, il Ministero abbia pensato a richiedere, oltre la carta d’identità, un altro documento di riconoscimento, e che nel caso in cui il controllo è impossibile questa duplice richiesta non sia stata fatta?

Vediamo ora come è organizzata la elezione dal punto di vista del metodo di votazione. Ciascun elettore vota per un numero di candidati pari a quelli che dovranno ricoprire i posti del Consiglio superiore. Cioè, il diritto delle minoranze non è rispettato. Se c’era un caso in cui il Ministero avrebbe dovuto garantire un’adeguata rappresentanza alla minoranza, era questo, in cui le elezioni vengono indette d’improvviso, nel giro di pochi giorni, senza che vi sia la possibilità per le varie correnti di preparare e di diffondere proprie liste. A dire il vero, delle liste già ci sono, già circolano nelle scuole, ma credo che l’onorevole Gonella non si offenderà se gli dico che queste liste sono di una sola parte, hanno un solo colore. Ho visitato alcuni centri in questi giorni, e dovunque vari amici, e non soltanto di partito, mi sono venuti a chiedere: «Qui esistono delle liste dell’Azione cattolica, che girano per le scuole. (Commenti a sinistra). (Può essere una voce non vera, però è una voce diffusa). Che cosa dobbiamo fare? Astenerci? Ci sono altre liste di partito?». Cosicché noi veniamo a trovarci in questa situazione; che, o passerà la lista, diciamo, dell’Azione cattolica, ovvero ci troveremo di fronte a quel grave inconveniente, che ho già avuto occasione di segnalare, che cioè porteremo nella scuola una lotta di partiti, e una lotta particolarmente aspra, perché le minoranze non sono protette, per cui ciascuno cercherà di adottare qualunque mezzo per stravincere e per buttar fuori gli avversari. Ora, io mi chiedo se sia questo un modo di tutelare la democraticità della scuola e di favorire, in generale, la vita democratica del Paese.

E veniamo alla procedura con la quale il decreto è stato emesso. Per quanto io sappia, il decreto avrebbe dovuto essere preventivamente portato dal Ministro Gonella a conoscenza di tutti i membri del Consiglio dei Ministri, e non soltanto a conoscenza dei Ministri del Bilancio e del Tesoro. Tuttavia, a me non risulta – può darsi che sia male informato – che tutti gli altri Ministri siano stati preventivamente avvertiti; e, quel che è più grave, l’onorevole Gonella ha forse dimenticato che esiste una disposizione di legge – il decreto-legge 9 febbraio 1939, n. 273 – che stabilisce una speciale procedura per i provvedimenti relativi agli organi consultivi dello Stato. Dice questo decreto-legge: «I provvedimenti legislativi che importino il conferimento di nuove attribuzioni al Consiglio di Stato, ovvero alla Corte dei conti, nonché la soppressione o la modificazione di quelle esistenti o che comunque riguardino l’ordinamento e le funzioni dei predetti consessi in sede consultiva, o di controllo, ovvero giurisdizionale, sono adottati previo parere rispettivamente del Consiglio di Stato in adunanza generale o della Corte dei conti a sezioni riunite».

Questo decreto è stato giustamente interpretato fin dalla sua emanazione, e con prassi costante fino al 25 luglio 1943, nel senso che il preventivo esame da parte del Consiglio di Stato fosse richiesto in tutti i casi in cui si trattasse di modificare la struttura o le funzioni di tutti gli organi consultivi dello Stato, e non soltanto del Consiglio di Stato in sede consultiva. E l’onorevole Ministro può insegnarmi che fino al 25 luglio 1943 questa prassi è stata osservata. In seguito vi è stata sì qualche incertezza, qualche oscillazione ma poi essa è stata nuovamente superata, tanto è vero che proprio quest’anno, in occasione della ricostituzione del Consiglio superiore delle miniere – decreto 27 gennaio 1947, n. 73 – il preambolo della legge assicura: «udito il parere del Consiglio di Stato».

Per quale ragione dunque, onorevole Ministro, Ella ha ritenuto di poter andare oltre questa disposizione di legge? Non credo davvero che vi siano ragioni di urgenza tali che giustifichino l’opportunità di evitare il regolare corso di questa procedura. Tanto più che il decreto di cui si parla ha due aspetti diversi: da una parte costituisce una vera e propria trasformazione, nella sua struttura e nei suoi compiti, del Consiglio superiore, perché, mentre il vecchio Consiglio era in sostanza un organo limitato all’istruzione superiore, avremo ora tre Consigli superiori: dell’istruzione superiore, dell’istruzione media, dell’istruzione elementare, oltre a quelli delle belle arti, e delle accademie e biblioteche; si tratta cioè veramente di nuovi compiti e di nuove funzioni, rispetto a cui andava osservata la procedura disposta dalla legge del 1939. Ma da un’altra parte, il decreto è nient’altro che un regolamento di organizzazione; e anche sotto questo profilo, il Consiglio di Stato era competente ad esaminarlo, e trattandosi di regolamento di organizzazione di un organo tanto importante nella vita dello Stato, sarebbe stato costituzionalmente corretto sottoporglielo.

Per quale ragione dunque ciò non è stato fatto? Spero che l’onorevole Gonella saprà indicarci i motivi per cui si è seguita una procedura così straordinaria.

E voglia l’onorevole Ministro chiarire anche perché il decreto non sia stato portato all’esame di questa Assemblea. So bene che si può discutere circa la natura costituzionale del Consiglio superiore della pubblica istruzione, ma personalmente non ho dubbi che si tratti di un organo tanto importante da incidere direttamente sulla struttura costituzionale dello Stato. Comunque, il problema può essere discutibile, ma non spettava a lei decidere, onorevole Ministro: spettava all’Assemblea stabilire la propria competenza e rinviare eventualmente il provvedimento al Ministro per l’esecuzione.

Per quale ragione ciò non è stato fatto, quasi che non esistesse un’Assemblea Costituente, cui competono determinati poteri stabiliti dalla legge?

Ricorderò infine quell’ultimo grave inconveniente, quell’ultima grave preoccupazione che fu già indicata qui dall’onorevole Calamandrei: la partecipazione cioè alle elezioni per il nuovo Consiglio superiore di quei professori che ottennero a suo tempo la cattedra in luogo di professori antifascisti o ebrei, professori che voteranno in un certo determinato modo, evidentemente per la tutela, vorrei dire legittima, dei loro interessi. Poiché lo Stato non pensa alla tutela degli interessi di coloro che furono sacrificati, saranno i privilegiati a tutelare per loro conto gli interessi propri. E non nascondo che anche questo aspetto ci lascia gravemente perplessi.

Come avete veduto, io mi sono limitato ad illuminare aspetti esclusivamente tecnici, su cui spero potere ottenere qualche chiarimento; ma, per finire, vorrei richiamare l’attenzione dell’onorevole Ministro sullo stato veramente grave di preoccupazione e di disagio nel quale continua a versare la nostra scuola. Ella non può credere, onorevole Ministro, quanto questo suo ultimo provvedimento sia stato accolto con senso di sbigottimento da parte di moltissimi insegnanti, che credono nella scuola, che fanno il loro dovere, e che sono costretti a domandarsi: a che cosa vuol giungere il Ministro della pubblica istruzione? Vuol giungere forse alla «clericalizzazione» del Ministero dell’istruzione pubblica? Se è così, ci si dica chiaro.

Ma speriamo che questo non sia. Noi ricordiamo il suo passato di uomo politico, noi abbiamo fiducia ch’ella comprenda che cosa significhi la scuola e la difesa dei suoi valori. Se continuiamo su questa strada, onorevole Ministro, questi valori saranno distrutti, e noi non potremo più, quando gli insegnanti avranno definitivamente perso ogni fiducia nella direzione della scuola, così facilmente recuperarli! (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro ha facoltà di rispondere.

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Desidero vivamente di mantenere la discussione su quel terreno tecnico, nel quale è stata posta, e accetto senz’altro di rispondere direttamente alle interpellanze, prescindendo da questioni secondarie, che trascinerebbero in lungo questa nostra discussione, o che ci condurrebbero fuori tema: questioni, che, comunque, possono essere sempre oggetto di altre interrogazioni o interpellanze.

Di tali questioni fuori tema cito un solo esempio: l’onorevole Bernini mi ha chiesto delle statistiche sulle scuole private e sulle parificazioni. Se desidera che questo argomento sia oggetto di una particolare interrogazione, sono pronto a rispondere anche per lunedì; ma non è questo l’argomento della presente interpellanza. Però sinceramente le dico, onorevole Bernini, che avrei avuto piacere, se lei, oltre ricordare la questione del numero delle parifiche – che è certamente inferiore a quello degli altri anni – avesse anche ricordato che quest’anno, per mia iniziativa e per la prima volta, si sono introdotte in tutte le scuole private le Commissioni governative di esame di Stato, Commissioni composte di professori statali estranei alle scuole private (Applausi al centro). Credo che questo sia una dimostrazione dello spirito spassionato, che anima questa mia politica di vigilanza: la quale non è né clericale né anticlericale, avendo il solo fine di controllare e migliorare la scuola di qualsiasi tipo essa sia.

Ciò premesso, vengo all’esame concreto dei problemi.

Naturalmente, per me il problema più grave è quello al quale ha accennato alla fine del suo discorso l’onorevole Codignola: si tratta di vedere se sono stati superati i limiti di competenza del Ministero e, quindi, implicitamente, anche i limiti di competenza del Governo nei confronti dell’Assemblea Costituente. Nell’interpellanza scritta è detto: «Gli interpellanti chiedono per quali ragioni un decreto di tanta importanza, che ha evidenti aspetti costituzionali, sia stato sottratto alla competenza dell’Assemblea Costituente». In sostanza, stamane, sia pure con qualche titubanza, è stato qui ripetuto un analogo rilievo, citando lesti legislativi, che interessano il Consiglio di Stato e la Corte dei conti. Anche a questo proposito – mi dispiace di ripetermi in qualche cosa – debbo essere molto chiaro. L’articolo 3 della legge sulla Costituente (16 marzo 1946) dice testualmente: «Durante il periodo della Costituente e fino alla convocazione del Parlamento, a norma della nuova Costituzione, il potere legislativo resta delegato, salva la materia costituzionale, al Governo, ad eccezione delle leggi elettorali e delle leggi di approvazione dei trattati internazionali, le quali saranno deliberate dall’Assemblea».

Non è questo il momento di fare delle disquisizioni su che cosa la scienza giuridica intenda per materia costituzionale, materia, nel cui ambito l’onorevole Codignola fa entrare anche questo provvedimento sul Consiglio Superiore. Mi limito solo a citare un eloquente paragone di un illustre giurista, il Donati, il quale diceva che il diritto pubblico si può paragonare a un grande albero, il cui tronco è il diritto costituzionale, e i cui rami sono il diritto amministrativo. Cioè, il diritto amministrativo è intimamente connesso col diritto costituzionale; però non si identifica col diritto costituzionale, alla stessa maniera che i rami non si identificano col tronco. Indubbiamente, stretti rapporti vitali ci sono tra norme di diritto amministrativo e norme di diritto costituzionale; ma, come i rami non sono il tronco, così le norme di carattere amministrativo non sono le norme di carattere costituzionale.

Ora conviene chiedersi: si può considerare organo di carattere costituzionale il Consiglio Superiore di un Ministero? Questa è la domanda, alla quale bisogna rispondere. E all’onorevole Codignola, che è – e in ciò sono con lui – uno zelante difensore del diritto costituzionale, vorrei rivolgere questa domanda: perché non ha presentato una interpellanza in difesa delle prerogative costituzionali dell’Assemblea quando sono stati istituiti Consigli Superiori di altri Ministeri, quando è stato nientemeno che abolito un Ministero, il Ministero dell’assistenza post-bellica, quando è stato istituito non un semplice Consiglio Superiore, ma addirittura un nuovo Ministero, il Ministero del bilancio? Abolizioni ed istituzioni, che sono state attuate per mezzo di un decreto legislativo e con la massima urgenza, cioè con la stessa procedura, che è stata adottata per l’istituzione del Consiglio Superiore della pubblica istruzione. Io penso che l’istituzione di un Ministero sia una materia costituzionale di ben più larga portata che l’istituzione di un organo interno e consultivo di un’Amministrazione.

D’altra parte, richiamo l’attenzione su un altro rilievo essenziale: se il Consiglio dei Ministri fosse andato oltre i suoi poteri, vi era poi sempre la Corte dei conti, la quale, in questo caso, non avrebbe registrato il provvedimento. Ugualmente, se fosse stato necessario, come ha detto l’onorevole Codignola, un preventivo parere del Consiglio di Stato, la Corte dei conti non avrebbe registrato un provvedimento senza il preventivo parere del Consiglio di Stato, o, comunque, la Corte dei conti lo avrebbe registrato con riserva. Invece, come è noto, la Corte dei conti ha registrato il decreto istitutivo del nuovo Consiglio Superiore senza riserva; ed era logico che così avvenisse, perché questo è un procedimento legislativo regolare e normale per l’istituzione di questi organismi tecnici dell’amministrazione.

Quindi, e non so se mi illudo di persuadere con queste argomentazioni, vorrei che non restasse alcun dubbio su ciò: la Corte dei conti, organo competente a giudicare la regolarità formale dei decreti legislativi, ha creduto di registrare senza riserve il provvedimento sul Consiglio Superiore, e, quindi, ha implicitamente riconosciuto che il Ministro e il Consiglio dei Ministri sono rimasti nell’ambito dei loro poteri, e che hanno seguita una procedura regolare.

D’altra parte non confondiamo, onorevole Codignola, come lei confonde nel testo, che ha citato, il carattere costituzionale di organi, quali il Consiglio di Stato e la Corte dei conti, col carattere amministrativo del Consiglio Superiore. Il Consiglio di Stato è un organo giurisdizionale vero e proprio; cioè un organo, che ha il fine di risolvere le controversie che possono sorgere tra lo Stato e gli individui, oppure fra individui e lo Stato, mentre il Consiglio Superiore della pubblica istruzione non è affatto un organo con funzioni giurisdizionali; al massimo, sarà un organo che può avere anche delle funzioni disciplinari, interne all’Amministrazione stessa.

Il secondo tema, sul quale si sono intrattenuti ambedue gli interpellanti, è il tema della «massima urgenza». Anche qui mi si permetta anzitutto di ricordare il testo fondamentale, su cui poggiano gli argomenti, che intendo illustrare, cioè la famosa aggiunta al secondo comma del Regolamento della Camera, decisa nella seduta del 17 settembre 1946: aggiunta, che fu una precisazione utile fatta da questa Camera su questa materia.

Ora, l’aggiunta dice: «Il Presidente dell’Assemblea, al quale saranno inviati dal Governo, salvo i casi di massima urgenza, tutti i disegni di legge deliberati dal Consiglio dei Ministri, li trasmetterà alle Commissioni competenti».

Naturalmente li trasmetterà per avere semplici pareri (come anche le interpellanze hanno il fine di manifestare dei pareri); poiché tutti sappiamo che il potere legislativo, finché dura la Costituente, è delegato al Governo, salvo la limitata materia prevista dalla legge istitutiva della Costituente.

Questi principî hanno avuto un chiarimento preciso anche da parte degli organi governativi; ed una circolare della Presidenza del Consiglio, inviata a tutti i Ministeri, (5 ottobre 1946) e dettante norme per la condotta dei singoli Ministeri, dice: «Soltanto nei casi di massima urgenza, da valutarsi dal Consiglio dei Ministri, sarà consentito di procedere ad emanazione di decreti legislativi, prescindendosi dalla preventiva deliberazione delle Commissioni».

Quindi, l’apprezzamento della «massima urgenza» è demandato alla discrezione del Governo, che, in questa materia, è sottoposto sì ad un sindacato, ma non al sindacato di un’Assemblea legislativa, bensì al sindacato della Corte dei conti; la quale, come abbiamo visto, ha registrato il provvedimento in questione.

Ma si può obiettare: queste sono ragioni formali, sono degli schermi, dietro i quali ci si nasconde per mascherare il proposito di non accettare una discussione, di non accettare un controllo. E, per rispondere a queste obiezioni, ho il dovere di ribadire che la massima urgenza era «in re», era nelle cose, nella necessità di dar corso a provvedimenti, che possono essere rinviati solo con grave danno della vita scolastica. A questo proposito devo nuovamente ricordare che è sul tappeto del Consiglio Superiore la formazione delle commissioni giudicatrici di cinquanta quattro concorsi universitari: ora, l’operazione di spoglio delle elezioni di queste commissioni dev’essere fatta per legge dal Presidente del Consiglio Superiore. Come è noto, il Presidente e vari membri si sono dimessi; quindi non vi è l’organo, che è necessario per eseguire questa operazione indispensabile per la nomina delle commissioni giudicatrici dei concorsi. E qui non si tratta solo degli interessi di giovani, che hanno il diritto e la legittima aspirazione di entrare nella carriera universitaria, ma si tratta soprattutto sugli interessi della scuola, la quale non può essere ancora lasciata con queste cattedre scoperte, senza grave danno dell’insegnamento.

C’è poi un gruppo notevole di giovani, che aspirano alla libera docenza. Il concorso è stato bandito; bisogna nominare le Commissioni giudicatrici per la libera docenza. Siccome la nomina di queste Commissioni non è di competenza del Ministro, ma del Consiglio Superiore, con la paralisi di tale Consiglio resterebbe paralizzata tutta la procedura per l’espletamento delle libere docenze. Se noi avessimo rinviato a fine ottobre la nomina del Consiglio Superiore, avremmo finito per danneggiare sia coloro che aspirano ad entrare in ruolo, sia coloro che aspirano ad avere la libera docenza.

Ed infine c’è un problema, che, oltre avere un aspetto scolastico, ha anche un aspetto eminentemente morale e politico. Si tratta della revisione dei concorsi a cattedre universitarie. In tale campo si è già perduto troppo tempo. Bisogna che noi rivediamo al più presto quei concorsi contro i quali è stato presentato un ricorso. E vi sono anche in questa Assemblea e tutti li conosciamo uomini di scienza, come l’onorevole Giua, l’onorevole Paolo Rossi e l’onorevole Pesenti, i quali, per non subire le umiliazioni e gli arbitrî della dittatura, hanno preferito abbandonare l’insegnamento. Ora, è giusto che costoro che aspirano a coprire una cattedra o hanno diritto di coprirla, vedano entro il più breve tempo appagate le loro aspirazioni. (Applausi al centro).

Questo rinvio della revisione dei concorsi comporterebbe un’ulteriore dilazione di una procedura anche troppo differita non a causa della carenza degli organi amministrativi, ma a causa dei termini e delle condizioni fissate dalle leggi stesse. Quindi la soluzione migliore era quella di accelerare l’elezione del Consiglio Superiore.

L’onorevole Bernini osserva che questi problemi, che ora ricordo, riguardano solo l’ordinamento universitario. Che c’entra la scuola media o la scuola elementare?

Posso convenire su questa osservazione; però faccio presente che non era opportuno costituire tre Consigli Superiori distinti: uno per l’istruzione universitaria, uno per l’istruzione secondaria ed uno per l’istruzione elementare. Si è già criticato il numero dei Consigli Superiori (della pubblica istruzione, delle belle arti, delle accademie e biblioteche). Se io avessi promosso la costituzione di altri due distinti Consigli Superiori, uno per la scuola secondaria ed uno per la scuola elementare, si sarebbe giustamente detto che si operava un’inflazione di organi consultivi.

Però, si potrebbe rispondere: ma, allora, perché non fate le elezioni distinte, prima per le università, poi per la scuola secondaria, e successivamente per la elementare?

Sarebbe molto comodo. Anch’io l’avrei desiderato. Ma bisogna scegliere fra queste due alternative: o si costituiscono tre Consigli Superiori, e allora le elezioni si possono scaglionare nel tempo; oppure il Consiglio Superiore è uno solo, sia pure diviso in sezioni, e allora non è possibile eleggere una sola sezione e farla funzionare, prima che sia eletta l’altra, salvo che una norma speciale e transitoria lo preveda. Data l’unità dell’organismo, è tecnicamente impossibile che l’organismo possa esistere, quando alcuni organi non sono ancora istituiti.

È inoltre chiaro che la rappresentanza della scuola secondaria e di quella elementare risponde ai precisi interessi della scuola e degli educatori, i quali, attraverso associazioni e sindacati, hanno esplicitamente espresso il desiderio che la scuola secondaria e l’elementare abbiano i loro rappresentanti nel Consiglio Superiore, sia pure entro limiti che, pur essendo modesti, non furono affatto considerati umilianti, al contrario di ciò che pensa l’onorevole Bernini, inquantoché professori medi e maestri hanno coscienza della gradualità dei vari tipi di scuole nella comune dignità dell’insegnamento. I sindacati hanno inviato ordini del giorno, in cui esprimono il loro compiacimento, perché finalmente è stata accolta l’aspirazione degli educatori d’ogni grado di scuola ad avere una rappresentanza in seno al Consiglio Superiore della pubblica istruzione.

L’onorevole Codignola dice che il provvedimento istitutivo del Consiglio Superiore è stato emesso senza l’osservanza delle precise disposizioni di legge.

Vorrei domandare: quale inosservanza? E poi, quale legge? Desidero che l’onorevole Codignola chiarisca l’una e l’altra cosa.

A questo proposito, devo ricordare che la riforma era così «clandestina», che il 9 giugno, cioè un mese e mezzo prima delle elezioni del nuovo Consiglio Superiore, io ho esplicitamente dichiarato al Congresso Nazionale dei professori universitari italiani tenuto a Roma che, entro il più breve tempo, si sarebbe arrivati alle elezioni del nuovo Consiglio Superiore; e devo aggiungere che l’annunzio è stato sottolineato da un applauso, certamente non diretto alle mie parole, ma all’affermazione della opportunità di procedere, al più presto, alle elezioni di un Consiglio Superiore, che ormai da decenni non è più elettivo, ma di nomina ministeriale.

Inoltre, ho reso noto ai sindacati universitari, ed ho discusso coi loro dirigenti, il problema della rappresentanza degli incaricati, dei liberi docenti e degli assistenti; ed ho largamente notificato l’elaborazione del disegno, il quale era tutt’altro che «clandestino», perché veniva studiato dagli organi competenti e dalle rappresentanze sindacali, al cui consiglio e parere io mi sono rimesso. Quindi alla loro testimonianza mi appello. Essi avevano chiesto due rappresentanti per i liberi docenti, due per gli assistenti e due per gli incaricati. Ho fatto presente che questi sei rappresentanti erano troppi in rapporto ai professori di ruolo. Obiettivamente, i dirigenti dei sindacati mi hanno detto: ci possiamo limitare ad un rappresentante per i liberi docenti, uno per gli assistenti ed uno per gli incaricati. Quindi discussione c’è stata, e c’è stato pure l’accoglimento dei voti espressi dalle categorie. Ugualmente posso dire dell’Associazione Nazionale professori universitari, con cui ho avuto vari scambi di idee; e debbo notare che questa Associazione, nel momento presente, rappresenta tutta la categoria. Ciò dovevo precisare, per quanto riguarda le informazioni da me fornite agli interessati.

E veniamo al Consiglio dei Ministri. Onorevole Codignola, mi spiace per lei, ma è molto male informato. La questione del Consiglio Superiore è stata discussa non una sola volta, ma due volte: infatti da un Consiglio è stata rinviata ad un altro, ed è stata esaminata nel frattempo da una Commissione composta da me e dal Ministro Einaudi, dal Ministro Del Vecchio e dal Ministro Segni, cioè da tre illustri esperti della scuola. E in una riunione conclusiva del Consiglio dei Ministri è stato definitivamente approvato il provvedimento. Ad ogni modo queste sono procedure interne al corpo deliberante, che non possono essere sottoposte a sindacato; ma, se si vuole sindacare anche questo, debbo dire che anche qui si è proceduto con massima legalità e con massima regolarità. Il 30 giugno il Capo dello Stato ha firmato il decreto, decreto che è stato reso noto dalla radio e, mediante un comunicato ministeriale, dalla stampa. Registrato dalla Corte dei conti il 9 luglio, il decreto legislativo è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’11 luglio.

Si capisce che, riconosciuta la massima urgenza per il decreto istitutivo del Consiglio Superiore, ne derivava una certa urgenza anche per le norme relative alle elezioni. A questo proposito devo ribadire un punto: forse non era presente l’onorevole Codignola, quando ho chiarito (in sede di discussione della interpellanza dell’onorevole Calamandrei) che se è vero che sono state date disposizioni per le elezioni il 1° luglio, cioè quando il decreto non era stato ancora pubblicato, è anche vero che questa è la normale procedura, che si usa seguire, quando un provvedimento è – come si suol dire – «in corso di pubblicazione». In questa fase si predispone la disciplina di atti, i quali si effettuano non prima, ma dopo la pubblicazione. È un procedimento normalissimo, perché si predispongono norme per atti, che non hanno esecuzione prima della pubblicazione. Ripeto che l’urgenza delle norme sulle elezioni è in istretto rapporto con l’urgenza della costituzione dell’organo.

Si dice che si son volute strozzare o addomesticare le elezioni. Se tale fosse stata la nostra intenzione, non avremmo comunicato a tutti le norme per le elezioni, prima ancora che il provvedimento istitutivo del Consiglio Superiore fosse pubblicato nella Gazzetta Ufficiale.

È questo un caso in cui la burocrazia deve essere elogiata; non trattandosi di una questione di aumento di spese, si è potuto procedere con una certa rapidità. Anche se si dovevano attendere i famosi quindici giorni – assolutamente non richiesti, perché il decreto entrava in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione – pure l’intervallo di quindici giorni c’era, come ho già rilevato.

Si aggiunge: si poteva mantenere in vita il Consiglio Superiore dimissionario. Questa è un’altra richiesta, che mi è stata presentata stamane, ed alla quale ora rispondo. Le soluzioni possibili, come dicevo, rispondendo all’onorevole Calamandrei, erano tre:

1°) si poteva mantenere in vita il Consiglio, come era, qualora i membri dimissionari avessero accettato di continuare nella loro cooperazione;

2°) alcune delle fondamentali attribuzioni del Consiglio Superiore potevano essere assunte dal Ministro: (evidentemente non ho voluto esagerare nell’usare di queste facoltà);

3°) potevo – e la legge me ne dava la facoltà – nominare ventitré nuovi membri che avrebbero preso il posto dei ventitré membri dimissionari. Chiunque nominassi, le mie nomine indubbiamente sarebbero state interpretate come un’opera di clericalizzazione del Consiglio Superiore: lo ha detto l’onorevole Codignola.

A proposito dei sei membri di nomina ministeriale, dei quali ha parlato l’onorevole Codignola, mi permetto di osservare all’onorevole Codignola stesso che, fra le poche nomine di rilievo da me direttamente promosse, ci sono quelle della famosa Commissione «clandestina» per l’inchiesta nazionale sulla riforma della scuola. Ora, l’onorevole Codignola deve sapere che questa commissione, da me nominata, non comprende neppure un mio amico politico, neppure un membro del mio partito. (Interruzioni – Commenti).

Voci al centro. Male! Male!

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Comunque, il mio desiderio di mantenere in vita il vecchio Consiglio Superiore lo ho confermato in maniera chiara con un provvedimento legislativo.

Lei sa bene, onorevole Codignola, che il Consiglio scadeva il 16 ottobre 1946. Ora, il 15 ottobre, su espresso desiderio del Consiglio stesso, io ho provveduto, con un immediato provvedimento legislativo, a mantenere in vita per un altro anno il Consiglio Superiore. Infatti, il decreto 15 ottobre 1946, approvato per mia iniziativa, dice: «Il Consiglio Superiore della pubblica istruzione, così come è attualmente composto, durerà in carica fino a nuova disposizione, e, comunque, non oltre il 16 ottobre 1947».

Quindi, la prova della buona volontà mi pare che, da parte mia non era mancata. Se ad un certo momento l’organismo è venuto meno, esso è venuto meno, perché ci sono state le dimissioni, le quali potevano essere anche ritirate.

Si poteva facilmente riparare alle vacanze in seno all’organismo, se queste dimissioni fossero state delle iniziative individuali, se, cioè, ci fosse stata la possibilità di svolgere un’opera di chiarificazione presso i singoli membri dimissionari; ma siccome queste dimissioni furono date in seguito alla diffusione fra i membri, di una circolare, con la quale venivano invitati a dimettersi, vi era la prova che si trattava di un’organizzazione, con le caratteristiche di un’azione concordata, di fronte alla quale ho creduto opportuno di prendere atto delle dimissioni stesse.

Vi è ad ogni modo l’articolo 25 della legge istitutiva del nuovo Consiglio Superiore, il quale dice: «Ogni altra disposizione contraria al presente decreto è abrogata». Ora, siccome il decreto del 15 ottobre precisava che: «Il Consiglio Superiore della pubblica istruzione, così come è attualmente composto, durerà in carica fino a nuove disposizioni», questo articolo 25 è appunto la nuova disposizione, che pone termine alla vita del Consiglio stesso.

Ma l’onorevole Bernini mi ricorda il ne varietur in materia scolastica di cui parlò il Presidente De Gasperi. Egli è un egregio professore di latino, e quindi prendo nella dovuta considerazione queste due parole. Dunque, il ne varietur, dove è andato a finire? Gli rispondo che, quando il Presidente annunciava quella formula dell’allora Governo tripartito, non era possibile prevedere che ventitré membri del Consiglio Superiore della pubblica istruzione si sarebbero dimessi: la violazione del ne varietur si deve dunque eventualmente ricercare in questa nuova presa di posizione di membri del Consiglio Superiore, presa di posizione, la quale portava alla logica conseguenza di istituire un Consiglio Superiore, appunto per non variare, perché, se si fosse rimasti in una situazione di vacanza di questo organo consultivo, con la vacanza e con la conseguente assenza di un controllo del Ministro ci sarebbe stata veramente una variazione sostanziale.

Ma – egli aggiunge – perché avete variata la legge?

L’abbiamo variata – e ciò risulta da documenti, che tengo a disposizione dell’onorevole Bernini e di qualsiasi altro membro dell’assemblea – perché in senso favorevole alle variazioni attuate si sono espressi i voti delle associazioni nazionali e locali rappresentative delle categorie di insegnanti, le aspirazioni dei quali era pur necessario tener presente.

Poi lei sa, onorevole Bernini, che ogni giorno si impone, per così dire, un nuovo stato di fatto, il quale può suggerire l’opportunità di introdurre modificazioni normative. Così è di recente avvenuto per quanto riguarda le leggi relative ai concorsi per i provveditori e i docenti dei vari ordini di scuole. Tali leggi hanno dovuto infatti subire modificazioni, anche perché varie categorie dei reduci, avanzando richieste riconosciute legittime pure dall’onorevole Bernini – quando egli era Sottosegretario alla pubblica istruzione – aspiravano ad ottenere dei giusti riconoscimenti. Perché, dunque, quando nuove circostanze inderogabili si impongano, non si dovrebbero modificare le disposizioni?

L’onorevole Codignola osserva: non offre garanzie democratiche questo Consiglio Superiore, perché è scarsamente rappresentativo. Ebbene, rispondo che non è esatto che nel Consiglio Superiore costituito secondo la legge del 1944 tutti i membri fossero elettivi, perché, come l’interpellante stesso ricorda, c’erano membri di nomina ministeriale su designazione delle categorie, oltre i cooptati. Di fatto, né durante né dopo il fascismo, si ebbero finora elezioni, e credo di non commettere un’indiscrezione, se dico che, prima di concludere l’elaborazione di questo decreto legislativo, ho voluto sentire il cortesissimo ed illuminato parere del professore De Ruggiero, il quale è stato con me concorde nell’ammettere che si doveva addivenire ad una revisione di quella che pure era una sua legge, al cui mantenimento – non fosse altro che per amor proprio – avrebbe pur dovuto tenere. Egli invece mi disse: è opportuno rivedere la legge. Quindi il principio della revisione della legge è stato accettato, cordialmente e simpaticamente, perfino da colui che era stato l’autore della legge stessa.

Nella nuova legge, trenta sono gli eletti, sedici sono i nominati; e, ripeto, i nominanti a motivo della loro funzione, in gran parte appartengono all’amministrazione centrale e periferica. Si prevede la nomina semplicemente perché non sembra opportuno introdurre il delicatissimo sistema elettorale anche nella cerchia delle varie categorie dei funzionari.

Perché non si sono previste le elezioni anche nelle scuole non statali? Questo interrogativo mi ha posto l’onorevole Codignola. Si immagini l’onorevole Codignola che cosa sarebbe successo, se io avessi proposto di porre la scuola non statale sullo stesso piano delle scuole statali, e avessi indetto anche in quella elezioni! Immagino quale pioggia di interpellanze sarebbe caduta sul mio capo! Ad ogni modo rispondo che per una ragione molto semplice non si sono predisposte elezioni nelle scuole private: la ragione è che nelle scuole pubbliche votano esclusivamente i professori di ruolo, e che nelle scuole non statali non c’è alcun professore che possa rigorosamente essere considerato di ruolo. Se nelle scuole private fosse stata introdotta l’elezione, si sarebbe avuta questa situazione assurda: nelle scuole pubbliche non avrebbero votato i professori che non sono di ruolo, mentre nelle scuole non statali avrebbero votato i professori non di ruolo. Lei vede che basta questa considerazione, per escludere l’opportunità di indire le elezioni in seno alla scuola non statale.

Mi dispiace che l’onorevole Bernini abbia detto che nella seconda e terza Sezione vi è un’«intrusione» di elementi universitari. Io credo che i professori medi e i maestri eletti non considereranno un’intrusione la presenza di tre professori universitari – che mi auguro siano i loro maestri – i cui consigli saranno ascoltati e seguiti. Comunque, malgrado questa che egli definisce «intrusione», resta il fatto che, sia nella Sezione media sia nella Sezione elementare, la maggioranza è di professori medi e di maestri elementari. Gli universitari, poi, non sono quattro, come qui si osserva, ma tre, perché – come dice la legge – ha funzione di Presidente uno degli universitari già membri della Sezione media o elementare.

E veniamo alle Giunte del Consiglio Superiore. Le Giunte sono costituite con un criterio di parità. Al fine di eliminare anche l’impressione di una inferiorità di dignità della Sezione delle secondarie e della Sezione delle elementari, si è stabilito che ogni Giunta sia composta di un uguale numero di membri: dodici membri la Giunta per le Università, dodici quella per le scuole secondarie, e dodici quella per le scuole elementari. Si è qui raggiunta la parità di rappresentanza; proprio quella parità, che desiderano gli onorevoli interpellanti. Naturalmente, se la Sezione delle scuole medie e la Sezione delle scuole elementari è composta di dodici membri, è evidente che la Giunta coincide con la Sezione stessa. Io non trovo in ciò niente di anormale: si semplificano le cose. Si capisce che i membri della Sezione partecipano ad ogni riunione plenaria come membri del Consiglio.

Ultima questione, e spero di aver finito. È la questione più grave, a detta dell’onorevole Bernini: si puniscono – egli dice – quelli che non votano.

È qui in questione un principio, che è già stato accolto per la democratica elezione di questa Assemblea; cioè l’esercizio del voto (non il voto) è un obbligo. Così dice la democratica legge elettorale della Costituente. Non voglio ora addentrarmi nella grave questione della natura morale, civica o politica, di questa obbligazione. Quello che a me preme mettere in rilievo, è che l’ordinanza ministeriale non prevede per l’inadempienza alcuna sanzione penale.

CODIGNOLA. È penale.

TONELLO. Altro che penale!

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Vedremo. Si sa che vi è un diritto al voto, ma vi è anche un dovere; il dovere dell’educatore di contribuire alla costituzione di questo che è l’organo consultivo supremo della pubblica istruzione. Perché posso sostenere che non furono stabilite vere e proprie sanzioni per l’inadempienza di questo dovere? Perché l’ordinanza dice: «Le autorità competenti terranno conto nelle note informative della mancata partecipazione al voto da parte di Capi-istituto e di insegnanti». (Commenti e rumori a sinistra).

Che cosa vuol dire «terranno conto»? Non è scritto che la mancata partecipazione al voto importi una punizione, come ha detto l’onorevole Bernini. E sa perché? Permettetemi che attiri la vostra attenzione anche sulla formula che, nell’ordinanza sulle elezioni, viene immediatamente dopo la predetta formula, e precisamente sull’articolo 25, il quale dice: «Coloro che voteranno o cercheranno di votare due o più volte, saranno sottoposti agli organi disciplinari per l’applicazione delle sanzioni». (Commenti a sinistra).

Qui è molto chiara la distinzione fra quando si è voluto introdurre una sanzione punitiva (come nel caso di un voto fraudolentemente ripetuto) e quando si è voluto semplicemente dire che «si tiene conto» (come nel caso della mancata votazione).

Ed, a calmare la loro indignazione, invito gli onorevoli interpellanti a tener presente che cosa sono le note informative, nelle quali si tiene conto della mancata partecipazione al voto. Non so se tutti sappiano che nelle note informative si tiene conto dei giorni di assenza degli insegnanti, e, sempre nelle note, si dice se l’assenza è giustificata o ingiustificata. Ora, se si tiene conto dell’assenza dalle lezioni, non vedo quale profonda differenza ci sia rispetto al tener conto dell’assenza da un’operazione, che, in fondo, s’inquadra nel complesso dei doveri scolastici ed educativi dell’insegnante. Si tiene conto, per esempio, della sua partecipazione all’attività della biblioteca, dei gabinetti, ecc., nonché di altre attività, che sono semplicemente parascolastiche. Ciò premesso, non vedo perché non si possa tener conto anche della partecipazione dell’insegnante all’elezione dei suoi rappresentanti in un organo, che è organo della scuola stessa; d’altra parte – e su questo insisto – al «tener conto» (fatto puramente constatativo) non è specificatamente aggiunta alcuna sanzione, sanzione, che invece è prevista per l’altro caso citato, cioè per l’eventuale e abusivo voto multiplo.

Così chiarite le cose, deve ad ogni modo apparire molto evidente che, anche se si fosse esagerato, questa esagerazione confermerebbe a fortiori che non si volevano fare i pasticci in casa con elezioni addomesticate fra gli amici, ma si voleva fare proprio il contrario, cioè allargare il più possibile il corpo elettorale, rendere proprio per tutti più impegnativo e cosciente l’esercizio del diritto di voto. (Applausi al centro).

Quindi, se avevo bisogno di un argomento decisivo per rispondere alle critiche su una presunta votazione addomesticata, questo argomento mi è proprio offerto dalla norma che stabiliva di tener conto dei non votanti, poiché il fine evidente di tale norma non poteva essere altro che quello di allargare al massimo il corpo elettorale, di non guardare in faccia nessuno, di desiderare solo libere elezioni su larga base. Impegnare a votare non significa togliere la libertà di scegliere per chi votare, libertà che resta integra.

Ma – aggiungono gli onorevoli Bernini e Codignola – non vi sono garanzie di serietà del voto.

Io dovrei rifarmi ai precedenti di queste procedure, e dovrei dire che per le Università abbiamo seguito, tale e quale, la procedura elettiva per la formazione delle commissioni giudicatrici dei concorsi universitari. Queste elezioni sono avvenute varie volte, e non hanno dato luogo ad alcun inconveniente. Per determinare il sistema elettivo da adottarsi nelle scuole medie ed elementari, abbiamo ricercato negli archivi del Ministero le norme che venivano seguite quando vi erano membri elettivi nel Consiglio Superiore e, più o meno, le disposizioni dell’ordinanza ministeriale sono ricalcate sulla falsa riga delle norme in vigore nell’epoca prefascista.

Perciò credo che non dobbiamo fare una offesa gratuita ai provveditori, ai capi d’istituto, ai presidi e ai direttori didattici (cioè agli organi locali e tecnici della scuola incaricati di dirigere e controllare le operazioni elettorali), pensando che essi si possano prestare a brogli. D’altra parte tutto il sistema elettivo è ben controllato, perché anche i possibili inconvenienti prospettati dall’onorevole Codignola sono stati previsti, e si è cercato di porvi riparo, in quanto che dopo aver fatto lo scrutinio locale, i provveditori mandano al Ministero insieme coi verbali dello spoglio delle votazioni anche le liste di coloro che hanno votato. Sicché, nella prospettata ipotesi di quel tal professore di Bari, che votasse a Bari e a Roma, c’è la possibilità per il Ministero di controllare il voto doppio, possibilità, che non avrebbe di per sé il provveditore di Bari o di Roma.

Si fa infine la questione della rappresentanza delle maggioranze e delle minoranze. Si capisce che, se si trattasse di una votazione politica, di una lotta fra partiti o correnti politiche, il problema della rappresentanza della maggioranza e della minoranza avrebbe un maggior rilievo. Noi riteniamo utile seguire il sistema già in uso nelle elezioni universitarie, e generalmente in uso – almeno che io sappia – nelle elezioni dei membri di organismi tecnici di questo genere. Le questioni poi relative alla propaganda elettorale non interessano il Ministero. Questo detta le norme relative al sistema elettivo, ed ha, oltre il diritto, anche il dovere di disinteressarsi della propaganda che possono fare le associazioni sindacali e i gruppi di professori al di fuori della scuola. Noi ci rivolgiamo con le nostre circolari non ai propagandisti, ma ai provveditori ed ai capi-istituto. E che i professori finiscano per votare – come qui si è detto – il primo nome che capita, penso che non corrisponda a verità, perché penso che i nostri educatori abbiano la chiara coscienza del loro preciso dovere di inviare loro degni rappresentanti in questo supremo organo consultivo e rappresentativo della scuola. Sono certo perciò che non si ridurranno – come qui si è affermato – al misero espediente di votare il primo nome che verrà loro in mente.

Ed ho finito. Mi limito a ribadire l’inopportunità di prorogare la elezione del Consiglio Superiore per tutti i motivi che ho esposti, che ritengo siano obiettivi, e che avevo già illustrati rispondendo all’interpellanza dell’onorevole Calamandrei. Non mi sembra che contro questi motivi siano state avanzate argomentazioni tali da farmi abbandonare la linea prescelta.

Che il vecchio Consiglio rimanga in carica è difficile, dato l’atteggiamento di coalizione dimissionaria, che ha assunto una parte del Consiglio Superiore. Non è opportuno prospettare la proroga della elezione, perché nei mesi di agosto e di settembre le scuole sono chiuse, e dovremmo rinviare le elezioni a fine ottobre, sicché lo spoglio elettorale avverrebbe in novembre, con grave pregiudizio per la soluzione di urgenti problemi.

Non ho detto – come mi si fa dire – che la maggioranza dei professori alla fine di luglio siano in scuola; ho detto che è aperta la maggioranza delle scuole, poiché, anche se non ci sono tutti i professori, ci sono le Commissioni per gli esami di abilitazione e di maturità. Comunque, come è noto, e l’ho ricordato stamane, i professori possono votare fuori sede, nel luogo in cui si trovano. Quindi l’esercizio del voto non è difficile e non comporta sacrifici da parte dell’elettore.

Devo perciò concludere, ribadendo l’opportunità che la elezione del nuovo Consiglio Superiore avvenga nei termini fissati dalla legge e dalle circolari ministeriali. (Applausi al centro).

Presentazione di un disegno di legge.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro degli affari esteri ha chiesto di parlare per la presentazione di un disegno di legge. Ne ha facoltà.

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Mi onoro di presentare alla Camera il seguente disegno di legge: «Approvazione dello scambio di note effettuato in Roma, tra l’Italia e la Francia il 1° giugno 1946, circa il recupero di navi mercantili francesi affondate nelle acque territoriali italiane».

PRESIDENTE. Do atto all’onorevole Ministro degli affari esteri della presentazione di questo disegno di legge. Sarà inviato alla Commissione competente.

Si riprende la discussione sullo svolgimento di interpellanze.

PRESIDENTE. L’onorevole Bernini ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

BERNINI. Onorevoli colleghi, la risposta dell’onorevole Ministro della pubblica istruzione mi pone veramente in un gravissimo imbarazzo; perché, se io dovessi rispondere punto per punto a tutto quello che egli ha detto, egregi colleghi, noi dovremmo fare le ultime ore del pomeriggio. Io mi limiterò a dire che l’onorevole signor Ministro non ha tenuto conto quasi per nulla di quello che ho detto. Lo capisco, egli aveva già preparato il suo discorso.

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Lei l’aveva scritto, io no. (Commenti).

BERNINI. Io l’avevo scritto perché ci penso sempre molto a ciò che devo dire. Ripeto, onorevole Ministro, lei mi costringe ad esemplificare. Lei non ha risposto affatto a quello che è stato l’inizio del mio modesto discorso. Io ho affermato che, quando si bandiscono le elezioni, se le elezioni debbono essere sincere, bisogna porre il corpo elettorale in condizione di poter votare. Ho dimostrato, anche con i dati, che il corpo elettorale non potrà votare a distanza, avendo saputo solo il 10 luglio che esso doveva votare. Osserverò ancora, dato che io non posso fermarmi a confutare tutto quello che egli ha detto, che tutto il suo discorso ha peccato soprattutto di quello che i grammatici chiamano il difetto di preterizione, cioè di omissione. Il signor Ministro ha detto, ma nello stesso tempo non ha detto: ha detto quello che gli pareva utile dire ed ha omesso tutto quello che gli pareva utile omettere.

Mi trovo in imbarazzo, anche perché dopoa di me dovrà parlare il mio collega ed amico l’onorevole Codignola; e non vorrei che c’ingolfassimo nell’esposizione dei medesimi argomenti.

Quindi mi limiterò a due punti. Avevo rivolto al Ministro due domande: a nessuna di queste due domande precise il signor Ministro ha risposto. Ad una ha risposto con una scappatoia, alla seconda non ha neppure accennato. Io gli avevo domandato se è vero che dal Ministero della pubblica istruzione è partita una lettera o una circolare, indirizzata ai provveditori agli studi, in cui s’invitava a indagare sopra l’attività politica passata, presente ed anche futura di cittadini proposti a far parte dei Consigli scolastici.

Lei non ha risposto, signor Ministro. Ora mi permetto ancora di insistere su questa domanda. Il signor Ministro non risponde; risponderò io per lui. Il 14 marzo 1947, con numero di protocollo 1303, è partita dal Ministero, a firma del direttore generale della istruzione elementare, una lettera.

Se credete, darò lettura dei termini principali.

BERTOLA. È poca delicatezza che un ex Sottosegretario sveli certe cose, anche se sono vere.

TONELLO. Fa molto bene.

BERTOLA. Mi stupisce altamente.

TONELLO. Noi non abbiamo confessionali.

BERNINI. Il Ministro prima è stato invitato a rispondere se è vero o non è vero. Poi risponderò alla censura.

La lettera è questa:

«Si prega di far conoscere – presi gli opportuni accordi con codesta Prefettura – se le persone segnalate nella nota cui si risponde, per la scelta, da parte di questo Ministero, del membro del Consiglio scolastico provinciale particolarmente competente nei problemi della scuola elementare, svolgano od abbiano svolto attività politica, ed eventualmente in quale partito. Analoga informazione la signoria vostra si compiacerà di dare anche nei riguardi degli ultimi quattro membri, di cui all’articolo 2 del regio decreto legislativo 27 maggio 1946, n. 55, facendo altresì conoscere se Ella abbia osservazioni da far presente al Ministero, in merito alle segnalazioni pervenute dagli organi competenti».

TONELLO. Ufficio spionaggio si vogliono far divenire i provveditorati!

BERNINI. Non ho finito. La lettera fu trasmessa al provveditore agli studi di Pescara a fu trasmessa a molti altri provveditori agli studi. Alcuni di essi risposero onestamente in questo senso: che erano stati scelti uomini non per ragioni politiche, ma perché competenti. Il Ministro depennò questi nomi (il Ministro o chi per lui) e ne mise altri.

Alcuni provveditori onestamente replicarono che questi non risultavano competenti. Malgrado ciò, costoro furono riconfermati nella funzione. E il Ministro ha il coraggio di parlare di consessi di carattere tecnico!

E lei, onorevole Ministro, non ha risposto nemmeno alla seconda domanda. Io l’avevo pregata di dirmi quante parificazioni ha fatto quest’anno. Lei si è rifugiato in una modesta scappatoia. Ma perché rispondere così? Vuole che risponda io? Lei, se era così sicuro di se stesso, doveva dire: «Ma io glie lo dico subito; non ho niente da nascondere».

Lo dirò io. Lei ha fatto 303 parificazioni. (Commenti). 303 parificazioni di scuole e di classi. Mi pare che sia un discreto numero.

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Troppo poche.

Una voce al centro. Molto bene.

BERNINI. Ripeto, io non posso soffermarmi in nessun altro punto.

Io avevo prevenuto il signor Ministro in quella che sarebbe stata la sua giustificazione della punizione per i non votanti. Io avevo detto: «Non adotti questa giustificazione» ed invece il Ministro l’ha voluta adottare. Si dice ad un direttore, ad un ispettore scolastico, ad un provveditore «se quel tale non vota, tenetene conto». Signor Ministro, per lei, questa è la medesima cosa che tener conto dei giorni di assenza dell’insegnante. Se questo, signor Ministro, le sembra un argomento, se lo tenga, però non persuaderà nessuno, neppure quelli dell’altra parte.

Ed ora lei mi ha risposto che non intende di rinviare le elezioni. Lei ha detto l’argomento, che pure io avevo già previsto, che il corpo del Consiglio superiore è uno e non si può dividere. Io le rispondo con l’articolo 2 del suo testo di legge. Il Consiglio superiore della pubblica istruzione funziona normalmente per sezioni. Quando si dice che funziona normalmente…

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Bisogna che ci sia, per funzionare!

BERNINI. Con un po’ di buona volontà, ella avrebbe potuto benissimo rimandare le elezioni per la seconda e terza sezione. Non l’ha voluto fare. E così sia!

Ogni insegnante – e questo io non lo dico solo a questa Assemblea, ma lo dico a tutti i miei colleghi d’Italia, maestri e professori, a tutti quelli che leggeranno domani il resoconto di queste mie parole, che non valgono che per il sentimento di libertà e di giustizia da cui sono ispirate – si regolerà secondo la sua coscienza. Ci sarà, signor Ministro, chi si rifiuterà di votare, rifiutandosi di obbedire ad un ordine incostituzionale ed iniquo (Rumori), un ordine che, oltre il resto, non viene neanche da un decreto-legge, ma viene addirittura da una ordinanza ministeriale.

Si vedrà poi se esiste in Italia un’autorità superiore, un organo superiore, il quale riconfermi che si può stabilire questo voto obbligatorio con una ordinanza ministeriale, e si vedrà se questo organo potrà dare ragione a lei o a noi. Ci sarà anche chi voterà scheda bianca. Non si illuda, signor Ministro: chi voterà scheda bianca voterà contro il suo provvedimento. Ci sarà chi voterà il primo nome che capita. Un povero maestro, che non ha contatti con nessuno, per chi dovrà votare se non gli arriverà l’elenco della democrazia cristiana? (Applausi a sinistra – Rumori al centro).

UBERTI. Gli arriva il suo discorso!

BERNINI. Ci sarà chi voterà i nomi suggeritigli, con molta riservatezza, e che si trovano negli elenchi che girano di casa in casa e di parrocchia in parrocchia, per non mettersi contro colui che desidera si voti in quel modo. (Rumori al centro).

Ma, comunque, dato che le preghiere e le persuasioni non sono valse a niente, dato che gli argomenti che abbiamo portato qui non hanno potuta convincerla, dobbiamo dirle che noi facciamo nostro il deliberato di quel Sindacato della scuola media, diretto da uomini di tutti i partiti ed in maggioranza da uomini della Democrazia cristiana. Il Sindacato ha votato un ordine del giorno, col quale ha chiesto il rinvio delle elezioni. Se ciò non avvenisse, ne riterrebbe provvisori i risultati, in quanto non derivanti da adeguata preparazione.

Noi facciamo nostro questo ordine del giorno del Sindacato professori. Qualunque sia il risultato di queste elezioni, noi lo considereremo spurio e provvisorio. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. L’onorevole Codignola ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

CODIGNOLA. Onorevoli colleghi, nel mio primo intervento, io mi limitai ad indicazioni di carattere tecnico; mi limiterò, in questo secondo intervento, a rispondere ad alcune osservazioni del Ministro, riservandomi, infine, di accennare al problema di politica scolastica.

L’onorevole Gonella ha dichiarato che il Consiglio superiore è organo soltanto consultivo, e non giurisdizionale; e che quindi non può ad esso applicarsi quella norma di legge, che riguarda il Consiglio di Stato in sede consultiva. Rispondo che quella disposizione dice esplicitamente che essa riguarda anche le funzioni consultive del Consiglio di Stato; ed essa è stata successivamente interpretata nel senso di applicarsi a tutti gli organi consultivi dello Stato. E l’onorevole Gonella dovrà convenire che, per lo meno per il Consiglio superiore delle miniere, tale procedura è stata adottata non più tardi di alcuni mesi fa.

Né vi erano ragioni di massima urgenza, perché il vecchio Consiglio superiore, come ben ha detto l’onorevole Calamandrei, poteva benissimo essere richiamato in vita in via provvisoria, per affrontare i problemi universitari più urgenti. L’onorevole Gonella non ha ritenuto non dico suo dovere, ma suo obbligo di cortesia, rispondere ai membri dimissionari, neppure con un biglietto, neppure chiedendo loro se fossero disposti a collaborare ancora per uno o due mesi, per il bene della scuola, in modo da far fronte ai problemi più urgenti.

UBERTI. Non dovevano dare le dimissioni. (Interruzioni a sinistra).

CODIGNOLA. L’onorevole Gonella poteva benissimo mantener fermo il vecchio ordinamento, e provvedere alla sostituzione dei membri dimissionari, sostituzione che poteva essere fatta esclusivamente per l’ordine universitario, anche per via elettiva. In base al decreto De Ruggiero, non c’era bisogno, che questi nuovi membri li nominasse lui, perché tale decreto prevede, in via generale, il sistema elettivo; e soltanto in via provvisoria il Ministro De Ruggiero li aveva dovuti personalmente nominare; sicché quel decreto lasciava pienamente aperta la possibilità che si ricostituissero regolari organi elettivi.

Se quindi l’onorevole Gonella non voleva seguire la via di invitare i dimissionari a restare fino alla normale scadenza del termine, avrebbe potuto indire le elezioni per le sole università; e tutto ciò senza modificare in nulla l’attuale struttura del Consiglio superiore.

Obbligatorietà del voto: ancora due parole su questo argomento. Poiché l’onorevole Gonella ha mostrato qualche dubbio sul valore da attribuirsi all’espressione «tener conto», vorrei ricordare agli onorevoli colleghi che in altri tempi, in quei tempi in cui l’onorevole Gonella svolgeva insieme con noi una azione politica di natura antifascista, il Ministro della istruzione di allora diramò una circolare che prescriveva di tenere conto – nella compilazione delle note di qualifica degli insegnanti – della collaborazione prestata alla Gil (Rumori al centro), e dell’atteggiamento degli insegnanti nei riguardi delle manifestazioni del Governo nazionale.

Il «tener conto» adottato nelle circolari dei Ministri fascisti aveva un significato chiaro; era un bollo d’infamia che si voleva imporre sulla cartella dell’insegnante per l’avvenire. Non vorrei che questa medesima politica venisse adottata oggi in altra forma, per gli insegnanti che si rifiutino di votare, ché vi saranno certamente degli insegnanti medi ed elementari i quali, nonostante la loro miseria, conservano una dignità e, per non votare per la lista cattolica, si rifiuteranno di votare. Perché, ed è questo che io voglio ancora sottolineare, il metodo della votazione è antidemocratico e il decreto è illegale. (Rumori al centro).

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Ma perché è illegale?

CODIGNOLA. Sulla illegalità del decreto altri organi saranno chiamati a giudicare. Ma io domando all’onorevole Ministro se proprio agli insegnanti, che sapranno dimostrare di possedere questa dignità, egli ritenga giusto di applicare una sanzione.

GONELLA. Ministro della pubblica istruzione. Ma ho già detto che non è una sanzione!

CODIGNOLA. Non credo che sia utile continuare a discutere sull’aspetto tecnico della questione, anche perché lo stesso onorevole Gonella ha dimostrato di non desiderare che codesto aspetto venga approfondito.

Passerò invece all’aspetto politico che, finora, avevo trascurato. Mi è stato chiesto, un momento fa, da un collega democratico cristiano: «Perché si sono dimessi i membri del Consiglio superiore?». Debbo far notare che fra questi membri figurano uomini eminenti, di chiara fama, tra i quali l’onorevole Colonnetti, il professor Jemolo, che non appartengono certamente alla nostra parte. Perché alla base di tutto questo, onorevole Gonella, al di là della questione del Consiglio superiore, sta una preoccupazione più generale, che già rilevammo quando parlavamo del problema della scuola in sede costituzionale, una preoccupazione che pare ella faccia tutto quello che può per renderla più grave. Questa preoccupazione, questa impressione, che non è soltanto in noi, uomini politici di sinistra, ma in gran parte del Paese che si occupa di queste cose, soprattutto negli uomini della scuola, è che al Ministero della pubblica istruzione non vi siano più garanzie, e non si sia quindi più sicuri dell’avvenire della scuola. (Commenti al centro).

Noi stiamo in questo momento discutendo sul problema del Consiglio superiore. Ma vuole l’onorevole Gonella assumere un atteggiamento tale, ogni volta che si tratti di problemi scolastici di così ampia risonanza, da indurci a richiedere un’inchiesta generale sulla scuola? Se lo crede, possiamo anche farlo: e non mancherebbero le occasioni. Vi è, per esempio, il problema del funzionamento della segreteria particolare del Ministro (Commenti a sinistra), che sarebbe bene venisse discussa in questa Assemblea; vi è il problema delle parificazioni; vi è il problema della riforma della scuola, affidata a quel signor Severi, che ci è noto come largamente compromesso col regime fascista. (Commenti al centro). Vi è il problema dei trasferimenti arbitrari dei provveditori agli studi, per cui sono stati mandati via provveditori che avevano dietro di sé un passato magnifico di resistenza al regime e di eccezionale competenza, per sostituirli con uomini che potrebbero essere ampiamente discussi. Vi è una sua circolare a carattere nettamente poliziesco, circa le lezioni private, per cui si richiede la denuncia dei parenti dei professori, fino al quarto grado, che facciano lezioni private.

Vi è il problema del modo con cui vengono fatti gli esami di Stato. Noi diamo atto all’onorevole Gonella del tentativo da lui fatto di regolare in qualche modo la questione dell’esame di Stato nel suo insieme, ma non siamo affatto sodisfatti del modo concreto con cui questa intenzione si è messa in atto.

Vi è il caso del riconoscimento dei titoli di studio agli studenti delle scuole Salesiane di Egitto, al contrario di quello che si è fatto per le scuole italiane in Isvizzera.

Sono tutte questioni che meritano una considerazione. Del resto, io ho voluto fare soltanto un accenno a queste questioni, e non sono stato ispirato da sentimenti di partito o animato da spirito di faziosità. Ho posto dei problemi tecnici… (Interruzioni – Commenti al centro).

FUSCHINI. Questa non è una discussione di interpellanza: l’interpellanza ha un argomento determinato.

TONELLO. Noi abbiamo il dovere di giudicare e di denunciare i fatti.

CODIGNOLA. Questo problema della scuola, dicevo, non deve dividere il Paese politicamente; è un problema che deve unirci, non disunirci. Perciò bisogna risolvere queste questioni di comune accordo. L’onorevole Gonella, ogni volta che gli segnaliamo qualche cosa, si alza nelle spalle e dice che non c’è nulla da modificare a quello che si è fatto e che si chiede di rivedere. Ma l’Assemblea Costituente ha pur qualche potere, ha qualche cosa da dire e questo diritto non le si può contestare.

Tutto questo vi dico con assoluta sincerità, e, ripeto, senza spirito di faziosità o interesse di partito. Io non posso non ricordare quanto il Ministro Gonella ha fatto durante il periodo della resistenza, particolarmente per noi giovani; ma ad un certo momento ci siamo veduti costretti a domandare: al Ministero della pubblica istruzione c’è ancora quell’antifascista di cui abbiamo letto per anni gli scritti sull’Osservatore Romano? O c’è forse oggi accanto a lui qualcuno che rende tanto criticabile questo governo della scuola?

È per tutto questo che noi ci dichiariamo non sodisfatti della risposta che ci ha dato l’onorevole Gonella. Ed a questo riguardo io mi riservo di trasformare l’interpellanza in mozione, affinché la discussione possa diventare la più ampia possibile: l’Assemblea Costituente non intende lasciare da parte questo che è uno dei problemi fondamentali della ricostruzione del Paese. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. E così esaurito lo svolgimento delle interpellanze.

Presidenza del Vicepresidente CONTI

Seguito della discussione sul disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione sul disegno di legge: «Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio».

Si riprende l’esame del disegno di legge all’articolo 57. Se ne dia lettura nel testo governativo accettato dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«I contribuenti che impediscono ai funzionari ed ai Collegi giudicanti l’esercizio delle facoltà indicate all’articolo 44 sono soggetti alla pena pecuniaria da lire 2000 a lire 250.000.

«Coloro che, richiesti di presentare atti o fornire notizie a termine dell’articolo 44, vi si rifiutino o non vi ottemperino entro il termine fissato, che non può mai essere inferiore a 30 giorni dalla data di notifica della richiesta, incorrono nella pena pecuniaria prevista nel comma precedente».

PRESIDENTE. A questo articolo non è stato presentato alcun emendamento e pertanto si intende approvato.

Si passa all’esame dell’articolo 58. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il contribuente che non presenti l’inventario previsto nell’articolo 33, lettera g), o lo presenti in modo incompleto od infedele incorre nell’ammenda da lire 15.000 a lire 5.000.000».

PRESIDENTE. Anche a questo articolo non è stato presentato alcun emendamento e quindi si intende approvato nel testo governativo accettato dalla Commissione.

Si passa all’esame dell’articolo 59. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Le società, associazioni ed enti che non ottemperino agli obblighi fissati dal presente decreto sono soggetti alle sanzioni non di carattere penale previste nei precedenti articoli ed i loro legali rappresentanti alle sanzioni di carattere penale.

«La società è solidalmente responsabile coi propri rappresentanti, dirigenti o funzionari del pagamento delle penalità».

PRESIDENTE. Non essendo stato presentato alcun emendamento, su questo articolo, si intende approvato nel testo proposto dal Governo e accettato dalla Commissione.

Si passa all’esame dell’articolo 60 (Capo XI: Privilegi e prescrizioni). Se ne dia lettura nel testo proposto dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il credito dello Stato per l’intero ammontare del tributo ha privilegio speciale su tutti gli immobili facenti parte del patrimonio del contribuente alla data di pubblicazione del presente decreto, salvi i diritti dei terzi costituiti anteriormente alla data stessa.

«È in facoltà dell’Intendenza di finanza di rinunziare, in tutto o in parte, a tale privilegio speciale per tutti gli immobili o per alcuni o parte di essi, contro prestazione, ove il resto del patrimonio non costituisca sufficiente garanzia per la riscossione del credito erariale, di garanzia riconosciuta idonea dall’Amministrazione.

«La Finanza ha, inoltre, privilegio sulla generalità dei mobili che appartengono al debitore dell’imposta al momento della riscossione. Questo privilegio è posposto a tutti i privilegi generali e speciali, di cui agli articoli 2751 e 2752 del Codice civile.

«Nei casi di esecuzione forzosa e di fallimento, la Finanza ha il diritto di esser collocata per la totalità della imposta, il cui ammontare sarà determinato con le norme dell’articolo 52».

PRESIDENTE. A questo articolo sono stati presentati due emendamenti dall’onorevole Micheli, del seguente tenore:

«Dopo il secondo comma, aggiungere:

«Il privilegio stesso non prevale alle ipoteche iscritte per garanzia di mutui concessi dagli Istituti di credito fondiario e dagli enti pubblici per il raggiungimento dei fini istituzionali o per l’investimento di fondi, purché il capitale mutuato non ecceda la metà del valore accertato in via definitiva ai sensi del presente decreto.

«In via subordinata e alternativa, aggiungere in fine:

  1. a) Peraltro, in detti casi, la collocazione avverrà per la sola quota di imposta proporzionalmente corrispondente al valore di ciascun immobile, qualora tale limitazione occorra per consentire la collocazione di mutui ipotecari concessi dagli Istituti di credito fondiario e dagli enti pubblici per il raggiungimento dei fini istituzionali o per l’investimento dei fondi e purché il capitale mutuato non ecceda la metà del valore accertato in via definitiva ai sensi del presente decreto.
  2. b) Peraltro, in detti casi, la collocazione avverrà sopra metà soltanto del prezzo ricavato per ciascun immobile, qualora tale limitazione occorra per consentire la collocazione di mutui ipotecari concessi dagli Istituti di credito fondiario e dagli enti pubblici per il raggiungimento dei fini istituzionali o per l’investimento dei fondi e purché il capitale mutuato non ecceda la metà del valore accertato in via definitiva ai sensi del presente decreto».

L’onorevole Micheli ha facoltà di svolgerli.

PALLASTRELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PALLASTRELLI. Desidero richiamare l’attenzione degli onorevoli colleghi sopra l’articolo 60 e soprattutto sopra gli opportunissimi emendamenti presentati dall’onorevole collega Micheli, il quale certamente li svilupperà in modo esauriente e perciò io parlo solo, ripeto, per richiamare l’attenzione sopra la questione che si discuterà e che è della massima importanza. Qui in quest’Aula io ho sentito più di una volta raccomandare l’intensificazione della produzione dell’agricoltura italiana, ho sentito più e più volte proclamare la necessità…

PRESIDENTE. Onorevole Pallastrelli, lei sta parlando a vuoto.

PALLASTRELLI. Onorevole Presidente, mi spiace dissentire da lei, perché quanto sto dicendo è molto attinente al tema.

PRESIDENTE. No, mi perdoni: lei parla a vuoto, perché non ha emendamenti propri e i soli che sono stati presentati a quest’articolo, quelli dell’onorevoli Micheli, non sono stati ancora svolti.

PALLASTRELLI. Ma io parlo precisamente a sostegno di essi, anzi per richiamare la viva attenzione dei colleghi sull’ordine del giorno Micheli che certo penserà lui ad illustrare. Io del resto ho finito.

Dico soltanto questo: che se non si accoglie il primo l’emendamento dell’onorevole Micheli – e vorrei fermarmi a questo, non a quelli presentati in via subordinata – cesserà la possibilità di fare del credito agrario e quindi, di conseguenza, la possibilità di fare tutti quei miglioramenti che da tutte le parti dell’Assemblea si invocano, e che anche da disposizioni di legge sono messi come un obbligo, perché questi miglioramenti devono servire a far progredire l’agricoltura e aumentare la produzione cioè il pane per il popolo.

Ho voluto richiamare l’attenzione dei colleghi sopra questo emendamento, non certo per indugiarmi a dar la dimostrazione della sua importanza, poiché questo sarà fatto in modo esauriente dall’onorevole Micheli con l’esperienza e la tecnica che egli possiede.

PRESIDENTE. L’onorevole Micheli ha facoltà di parlare.

MICHELI. L’articolo 60 stabilisce il privilegio speciale a favore dello Stato sopra tutti gli immobili facenti parte del patrimonio del contribuente alla data del 28 marzo 1947, salvo i diritti anteriormente acquisiti dai terzi.

La portata vincolativa di tale disposizione è evidente. Il privilegio suddetto viene a costituire un ostacolo grave, l’ho già detto e ripetuto, alla commerciabilità dei beni immobiliari e alle operazioni di mutuo da garantirsi con prima ipoteca. L’inconveniente, la cui gravità è evidente, troverebbe un correttivo nell’istituto parziale e totale del riscatto, come ebbi occasione di spiegare più a lungo ieri, sempre che si potesse trovare una procedura la quale non ostacolasse le operazioni di vendita e di mutuo. L’attività creditizia con questo articolo viene ad avere un arresto proprio nel momento in cui il contribuente si trova nella necessità di far ricorso ai mutui, anche per procurarsi i mezzi di sodisfare il suo debito d’imposta verso l’Amministrazione finanziaria, oltre che per pensare ai lavori di ricostruzione.

Non ci dobbiamo illudere: coloro che hanno grandi quantità di liquido non sono i proprietari di immobili. Gli immobili in questi ultimi anni sono costati una quantità di quattrini a coloro che li possedevano, attraverso i vincoli, attraverso le necessità e i disastri bellici, attraverso l’aumento notevolissimo dei prezzi delle materie prime e della mano d’opera. Coloro i quali hanno grandi quantità di immobili, hanno scarsissime quantità di liquidi disponibili; e allora essi non hanno altro riparo che o vendere o contrarre dei debiti, e si rivolgono a questo scopo agli istituti appositi: agli enti che esercitano il credito immobiliare sotto le varie forme: agrario, fondiario, edilizio, di miglioramento, ecc., tutte forme queste, alcune delle quali hanno preso ultimamente un grande sviluppo perché concorrono efficacemente a quella che è la rinascita del Paese e la sua ricostruzione; nonché gli enti pubblici che sono obbligati ad investire i propri fondi, fra l’altro in mutui garantiti da prima ipoteca. Perché abbiamo anche questi, abbiamo Enti pubblici, anche non esclusivamente di credito, che in base ai loro statuti, approvati per legge, hanno questo obbligo di stabilire una parte, anche cospicua, dei loro capitali in mutui di prima ipoteca e sono seriamente preoccupati della conseguenza che può avere la formula che la proposta di legge ha adottato all’articolo 60 del decreto. La stessa Commissione permanente si è resa interprete di un tale stato di disagio generale e di questa necessità che si viene ogni giorno più aggravando ed ha proposto un emendamento al secondo comma dell’articolo, il quale emendamento consente all’Intendenza di finanza di rinunciare totalmente o parzialmente al suddetto privilegio, contro garanzie sufficienti. Ma il rimedio è inoperante per le ragioni che ho spiegato ieri, perché nelle Intendenze sono i funzionari che devono valutare le garanzie richieste, ed allora andremo incontro a perizie, a documentazioni e a perdite di tempo che finiscono col fermare tutto. Il contribuente perde la pazienza, ma non la perde l’esattore che gli manda a casa l’intimazione. E allora il contribuente è iugulato e si deve lasciare strozzare da chi, non ha obbligo di fare alcuna denuncia.

Nasce qui l’opportunità che il Governo pensi alle necessità che domani si possono determinare anche nel largo ambito della piccola, della modesta finanza. I possessori di miliardi sono fortunatamente pochi, ma tutti gli altri sono gente modesta. Non dico che siano tutti piccoli proprietari nel senso classico della parola: molte altre volte ho parlato qui a favore della piccola proprietà, che oramai è accettata anche da quelli che la combatterono; ma qui non si tratta di essa, ma della media proprietà, e specialmente di quella media proprietà di fondi rurali da bonificare o da ricostruire o da spezzettare, e della media proprietà di fabbricati per mettere a posto i quali ci vuole un occhio della testa. Oramai la proprietà edilizia è in condizioni difficili, per cui è necessario che resti aperta – anzi direi spalancata – la porta degli istituti che si occupano di credito fondiario, verso i quali abbiamo tutti fatto una grande propaganda, perché cerchino in questo periodo di rendere più facile l’accesso alle loro operazioni.

Amici miei, l’accesso, con queste disposizioni, si ferma e non si riesce a concludere più niente!

Questo stato di cose mi ha consigliato un emendamento in via principale e due emendamenti in via subordinata ed alternativa, da aggiungere in fine dell’articolo. Detti emendamenti tendono a liberare i beni per la metà del loro valore, perché, quando i beni sono gravati dallo Stato per la metà del loro valore, mi pare che esso sia a posto. Perché vuole colpire tutto? Ebbene, sono cifre talmente iperboliche che ci saranno solo in teoria. Anche nella pratica? Io non credo. Ad ogni modo, di fatto, noi abbiamo che la metà dei beni è sempre garanzia sufficiente.

Ecco perché mi sono ispirato a questo concetto: che il Governo e la Commissione tengano presente questa necessità e cerchino di liberare i beni per metà del loro valore dal privilegio speciale, nei casi in cui si tratti di mutui concessi da istituti di credito fondiario o da enti pubblici che siano obbligati di questi mutui a fare un impiego per legge. Ed ecco che attraverso questo piccolo temperamento noi riusciremo a tenere aperta questa porta a favore del piccolo contribuente, perché bisogna pure permettere ai piccoli contribuenti, che non hanno quattrini alla mano, di trovarne in modo conveniente.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Relatore.

LA MALFA, Relatore. Ho già riferito sulle questioni prospettate dal collega Micheli. Nella legislazione 1920-22 il problema si pose e le norme sulla rinunzia dello Stato al privilegio, come le norme sul riscatto parziale, furono intese ad ovviare agli inconvenienti prospettati dall’onorevole Micheli.

Ora la Commissione, col secondo comma dell’articolo 60, ha ancora allargato i limiti della garanzia per gli Istituti di credito fondiario, ma non può andare al di là di questi limiti e non può accettare l’emendamento Micheli, non può cioè accettare una disposizione a tenore della quale il credito dello Stato sia subordinato o venga in second’ordine rispetto al credito degli Istituti fondiari. Quindi la Commissione dà parere sfavorevole all’accoglimento degli emendamenti Micheli.

Ritengo che come nell’applicazione della legge 1920-22 non sorsero inconvenienti di fatto, così ora siano sufficienti le due garanzie suddette.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Ministro delle finanze di esprimere il parere del Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. Confesso che ho avuto qualche difficoltà per resistere al fascino delle argomentazioni brillanti e sottili degli onorevoli Pallastrelli e Micheli. Purtroppo la necessità della difesa dell’Erario mi impone di associarmi al Relatore nel non accogliere le argomentazioni proposte, né in linea principale né in linea subordinata.

Desidero sottolineare, come ha già fatto il Relatore, che per quanto riguarda i mutui che dovranno essere concessi in avvenire, vi è sufficiente garanzia nelle disposizioni relative al riscatto parziale e alla possibilità per l’Intendenza di finanza di liberare i cespiti dal peso del privilegio.

Per quanto riguarda i mutui passati, io credo non si possa dimenticare che in linea di fatto essi sono stati accesi da tempo se non remoto, certamente antico, mutui accordati su valore peritale, su perizie eseguite con criteri di prudenza e con uno scarto applicato sul detto valore.

Quindi, anche nell’ipotesi che sul valore di quel determinato immobile gravato da ipoteca dovesse prima insinuarsi l’imposta, protendersi la mano dell’erario, resterebbe sempre una sufficientemente larga garanzia per il mutuante che ha l’ipoteca.

È il sistema della legge del 1922, a cui spesso ci riferiamo, come volentieri ci si riferisce all’esperienza del passato.

Non ritengo che vi siano elementi per dovere abbandonare i suoi insegnamenti.

JACINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

JACINI. Volevo fare osservare, a giustificazione del mio voto favorevole all’emendamento degli onorevoli Pallastrelli e Micheli, che gli Istituti di credito agrario, specialmente quelli dipendenti dalle Casse di risparmio, per disposizione statutaria fondamentale non possono dar mutui se non su ipoteca di primo grado: quando lo Stato li previene col suo privilegio, ciò significa fermare le operazioni di credito agrario ed accrescere le difficoltà che si frappongono alla ricostruzione agraria del Paese.

Io avevo fatto presente al Ministero dell’agricoltura e delle foreste la gravità di questo problema e ne avevo avuto assicurazione che la cosa sarebbe stata studiata. Constato con dolore dalle parole dell’onorevole Ministro delle finanze che lo studio della questione non ha portato a modificare su questo punto la legge. Ora mi appello all’Assemblea perché misuri la gravità e le conseguenze di questa disposizione.

Non si tratta di conferire un privilegio a determinati istituti a danno dello Stato. Si tratta di rendere possibile, in base agli statuti tradizionali degli istituti medesimi la continuazione del credito agrario, indispensabile per la rinascita della nostra agricoltura.

LA MALFA, Relatore. C’è la possibilità di rinuncia, se ci sono garanzie.

JACINI. Quanto meno io raccomando al Ministro di studiare la possibilità che nell’accertamento si possano isolare quei determinati edifici così da consentire il riscatto dell’imposta.

LA MALFA, Relatore. C’è già.

JACINI. Non mi sembra sufficiente.

LA MALFA, Relatore. Ma come? È autorizzato, il riscatto parziale.

PERLINGIERI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERLINGIERI. Condivido le preoccupazioni dell’onorevole Micheli ma sono costretto a votare contro l’emendamento. Qui si tratta di credito privilegiato dello Stato e non di precedenza tra gradi ipotecari, ed il privilegio precede ogni garanzia ipotecaria. Proporre il privilegio alla ipoteca, significa annullare il carattere privilegiato del credito dello Stato.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Credo che si potrebbe venire ad una soluzione conciliativa. Il problema è indubbiamente grave e merita di essere ben considerato. Tra l’altro, vi sono in questo momento moltissime operazioni in corso che sono in istruttoria più o meno avanzata, fatte dall’Istituto di San Paolo di Torino, dalle Casse di risparmio, dal Credito fondiario. Sono molte decine, forse centinaia; e gli Istituti di credito non possono più chiudere queste operazioni perché sono obbligati dai loro statuti a non fare mutui se non hanno prima garanzia ipotecaria. In queste condizioni io credo che, poiché vi sarà largo margine per poter lasciare la garanzia a favore dello Stato e un margine per l’Istituto di credito, credo, ripeto, che si potrebbe raccomandare al Governo ed alla Commissione di finanza che sia segnalato in modo specifico all’attenzione del Ministero delle finanze questo; che ogni qual volta sia presentata all’esame una di queste operazioni che sono in corso e da conchiudere, l’Amministrazione finanziaria voglia considerarla con un occhio di benevolenza del tutto speciale, inducendo l’Amministrazione finanziaria locale a far sì che l’operazione possa essere conchiusa e che l’Istituto fondiario possa avere quelle garanzie che ritiene sufficienti e che gli sono, d’altra parte, imposte dallo Statuto e dalla legge. Mi auguro di avere il consenso sia della Commissione di finanza che del Ministro delle finanze.

PALLASTRELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PALLASTRELLI. Desidero aggiungere a quello che ho detto prima che i mutui per il credito di miglioramento agrario sono mutui che vengono erogati di mano in mano che i miglioramenti sono fatti in base a dei piani stabiliti col Ministero dell’agricoltura e delle foreste, cioè in base a collaudi e allo stato di avanzamento di detti lavori.

Quindi non è denaro che si mutui per andarlo a spendere in altre cose: è denaro che aumenta il valore della proprietà e che garantisce maggiormente anche il Ministero delle finanze. Ora, se il Ministero delle finanze in questo momento non crede di aderire alla nostra tesi io penso che si ponga in urto completamente con tutto quello che è il programma, che parte dal Ministero dell’agricoltura e delle foreste per il credito agrario di miglioramento, che è una cosa ben diversa da tutte le altre forme di credito. E se vogliamo, come dicevo prima, vedere che questo programma di lavoro e di miglioramento si eseguisca in base – ripeto – allo stato di avanzamento dei lavori, non possiamo che approvare la proposta dell’onorevole Micheli. Si pensi che dal marzo scorso, cioè da quando è venuta fuori questa legge dell’imposta patrimoniale, tutti gli Istituti di credito fondiario riuniti insieme hanno finito per concludere che devono chiudere gli sportelli ed hanno detto anche al Ministero dell’agricoltura e delle foreste che per il credito agrario di miglioramento non faranno più niente. Prego l’onorevole Ministro di tenere in considerazione questo e di vedere prima di assumersi la responsabilità di questa cessazione del Credito agrario, che, ripeto, si tradurrà poi anche in danno enorme per il popolo italiano per la mancanza di produzione di quel grano che comprerete all’estero con dollari sonanti di vedere e di riflettere molto bene se sia il caso di respingere l’emendamento proposto o invece di trovare il modo di venire incontro alla giusta proposta di emendamento che si discute.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Io credo che la soluzione si possa trovare lasciando intatto il testo del progetto, ma pregando il Ministro delle finanze perché, di concerto col Ministro del tesoro e col Ministro dell’agricoltura e delle foreste, emani un provvedimento che esoneri gli Istituti che esercitano il credito agrario di miglioramento, e quindi anche le Casse di risparmio, dall’obbligo di richiedere la prima iscrizione ipotecaria quando nel valore dei fondi, in relazione alla quota di imposta dovuta dal contribuente, ci sia margine sufficiente per garantire il credito dell’Istituto in seconda iscrizione.

In questo modo, con una disposizione che dovrebbe avere valore soltanto per la durata del periodo in cui i beni dovranno essere immobilizzati per effetto dell’imposta sul patrimonio, credo si possano risolvere e il problema fondamentale di assicurare alla Finanza il primo privilegio per la sua imposta, e l’altro, non meno fondamentale, di non turbare le opere di miglioramento agrario.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Mi dispiace di non essere affatto d’accordo con l’onorevole Pallastrelli.

La Commissione ha ricevuto memoriali di rappresentanti di Istituti di credito fondiario e ha esaminato la questione. Essa ha accolto l’emendamento all’articolo 60 dopo scambi di vedute con rappresentanti di Istituti di credito fondiario, i quali si sono dichiarati sodisfatti e si sono dichiarati anche sodisfatti del fatto che, essendo stato anticipato il riscatto, mentre con la legge del 1920-22 si doveva attendere l’iscrizione a ruolo, col sistema scelto non appena fatta la dichiarazione da parte del contribuente, il riscatto e quindi le operazioni dell’Istituto di credito fondiario possono avere il loro corso.

Ad ogni modo, quando all’articolo 60 si dice: «È in facoltà dell’intendenza di finanza di rinunziare, in tutto o in parte, a tale privilegio speciale per tutti gli immobili o per alcuni o parte di essi, contro, prestazione, ove il resto del patrimonio non costituisca sufficiente garanzia per la riscossione del credito erariale, di garanzia riconosciuta idonea dall’Amministrazione», non può sorgere nessuna difficoltà, perché si tratta soltanto di far presente all’Amministrazione che il resto del patrimonio copre l’imposta oppure che una parte del patrimonio – e questo è un accordo a tre fra Amministrazione, Istituto di credito agrario o fondiario e contribuente – di istituire a garanzia una parte. Quindi non c’è nulla nella legislazione che intralci le operazioni di credito fondiario.

Ho l’impressione che accettando gli emendamenti dell’onorevole Micheli si faccia precedere l’ipoteca degli istituti privati al privilegio dello Stato. E questo è inammissibile. Aggiungo che ciò non è stato richiesto dalla rappresentanza degli Istituti di credito fondiario; non è stato richiesto da nessuno.

PALLASTRELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PALLASTRELLI. Desidero dire all’onorevole La Malfa che c’è un equivoco. Lei parla sempre di Istituti di credito fondiario, mentre quelli dei quali parlo io sono gli Istituti di credito fondiario per miglioramento agrario.

Se lei interrogasse quegli Istituti che fanno il credito agrario…

LA MALFA, Relatore. Siamo nello stesso caso.

PALLASTRELLI. …sentirebbe che direbbero che di fronte al credito erogato, in base allo stato di avanzamento dei lavori su approvazione del Ministero dell’agricoltura, quindi Stato anche questo, si tratta di un credito ben diverso da quello ricordato da lei e che non si può fare fintanto che c’è questo privilegio del Ministero delle finanze.

LA MALFA, Relatore. Ad ogni modo, io vorrei rispondere all’onorevole Corbino che, accettando la sua proposta, probabilmente si diminuiscono le garanzie anche per gli istituti privati; invece l’accordo a tre, fra contribuenti, Istituti di finanziamento e Amministrazione, dà la garanzia perfetta per tutti e tre, senza che nessuno debba vedere diminuite le proprie garanzie rispetto agli altri.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Io desideravo sapere quale fosse il pensiero del Ministro, perché accogliere la cosa come raccomandazione, non conta niente. Accettare un emendamento come raccomandazione è qualcosa che rassomiglia all’acqua fresca. Sono stato Ministro anche io e so che questa è una scappatoia elegante che troppo spesso in pratica non serve a nulla. Quindi io desidererei sapere se il Ministro è disposto a prendere un impegno per un provvedimento legislativo che riguardi:

1°) gli Istituti di credito i quali per legge sono obbligati a dare mutui per una certa quantità dei loro depositi con prima ipoteca;

2°) i mutui di credito agrario di miglioramento, inquantoché siccome sono pagati, come ha detto benissimo il mio collega onorevole Pallastrelli, con l’avanzarsi dei lavori eseguiti, viene ad aumentarsi correlativamente la garanzia dello Stato;

3°) quando questo criterio fosse stato adottato, allora con un articolo incidentale o anche preciso al riguardo si potrebbe dar modo agli Istituti di credito fondiario di stabilire un regolamento nel senso di ottenere la medesima procedura, vale a dire di pagare essi pure il mutuo a rate quando fosse un mutuo di ricostruzione o di costruzione nuova. Sacrificheremo gli altri. Pazienza! Questi sono i tre concetti attraverso i quali io e i colleghi che hanno parlato in questo senso vorremmo eliminare questo problema, alla soluzione del quale io spero che il Ministro vorrà dedicare tutta quanta la sua attenzione perché il problema diventa grave e ormai a Roma e altrove di mutui non se ne fanno più.

Devo per ultimo aggiungere al collega La Malfa che io tutte queste proposte le ho considerate con i rappresentanti degli Enti di credito fondiario, non le ho inventate io! Io, come vecchio notaio stipulante anche per crediti fondiari, quando ho visto arrivare questa proposta di legge, mi son dato carico di ciò e sono andato dai rappresentanti di questi Enti per sentire dalla loro voce se avevano le mie stesse preoccupazioni e così si sono insieme predisposti questi emendamenti; anzi, me ne avevano suggeriti anche altri, ma io ho limitato le loro richieste, e quindi ho cercato di portare qui quello che per la mia pratica in materia, ritenevo che fosse sufficiente e che ritenevo fosse accettabile. Il Governo non vuole modificare nessuna legge. Se il Ministro mi dice: stia tranquillo che io provvederò in questo senso nel triplice concetto a cui lei ha accennato, allora mi accontento e ritiro i miei emendamenti.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro.

PELLA, Ministro delle finanze. Premetto che devo mantener fermo il pensiero del Governo, già espresso in senso contrario all’accoglimento degli emendamenti.

Sul piano delle raccomandazioni – e l’onorevole Micheli vorrebbe qualche cosa di più della raccomandazione, tipo acqua fresca – desidero entrare un po’ nel merito della questione.

Essa è stato ormai circoscritta ai futuri mutui agrari – secondo l’onorevole Pallastrelli – fondiari e agrari – secondo l’onorevole Micheli.

Vi sono due ordini di idee da esaminare: uno economico-sostanziale ed uno giuridico-formale.

Sul piano sostanziale, se si tratta di fare in modo che effettivamente per i nuovi mutui possa costituirsi una idonea garanzia, non diminuita dal privilegio, che è configurato dalla legge a favore della Finanza, assicuro ampiamente l’onorevole Bertone che gli articoli 53 e 60 dovranno trovare la più larga applicazione possibile.

Se oggi tutte le operazioni di mutuo sono arenate – come accennava l’onorevole Pallastrelli, e non ho motivo di dubitarne – ciò dipende dal fatto che questa legge, essendo tuttora davanti all’Assemblea, per quanto già messa in applicazione dagli uffici, nella coscienza dell’opinione pubblica non è considerata ancora una legge definitiva; e pertanto non si può ancora valutare l’esatta portata degli articoli 53 e 60. Ma, allorquando la legge, approvata dall’Assemblea, avrà i suoi crismi definitivi e gli uffici finanziari potranno applicare i due articoli, penso che le pratiche di mutuo attualmente giacenti, non rimarranno ulteriormente in sofferenza e potranno procedere speditamente.

L’Amministrazione finanziaria, ripeto, si impegna in questo momento di fare tutto il possibile, perché la politica del finanziamento per il miglioramento agrario e fondiario non sia turbata da applicazioni troppo rigorose del sistema dei privilegi stabiliti a suo favore.

Vi è un secondo ordine di idee, quello di cui si è fatto interprete l’onorevole Corbino, il quale, preoccupato del fatto che le leggi e gli statuti dei singoli istituti impongono, per la concessione di finanziamenti, l’ipoteca di primo grado, suggerisce che, d’accordo col Ministro del tesoro e cogli enti interessati, si adotti un nuovo provvedimento, forse di carattere transitorio, per cui più non si richieda, sempre che sussista la necessaria garanzia, la ipoteca di primo grado, ma possa accettarsi quella di secondo grado.

Qui non ci troviamo più sul terreno della individuale e sostanziale garanzia; ma si tratta di rimuovere un ostacolo che è opposto dalla lettera della legge.

Su questo punto ritengo non vi sia difficoltà da parte del collega del Tesoro – senza anticipare alcuna conclusione in verun senso – di prendere in esame la raccomandazione dell’onorevole Corbino, con attenta e favorevole disposizione.

Con questi chiarimenti, io penso che il proponente dell’emendamento, onorevole Micheli, dovrebbe sentirsi sufficientemente tranquillizzato.

PRESIDENTE. Onorevole Micheli, insiste nel suo emendamento?

MICHELI. Dipende dall’onorevole Ministro.

Il concetto che mi pare noi abbiamo espresso in forma precisa tanto io che il collega Pallastrelli, è che i mutui, che vengono erogati attraverso mandati, in base allo stato di avanzamento dei lavori, siano tali da aumentare, gradatamente, la garanzia dello Stato. Io desideravo che il Ministro almeno entrasse in questo concetto. Nella sua esposizione, molto garbata e cortese, la questione non è stata completamente sviscerata, ma limitata ad una dichiarazione generica, senza impegno vero e proprio di concretarla domani. Il punto del mutuo agrario di miglioramento: diamo denaro in base allo stato di avanzamento dei lavori; domandiamo che questo possa esser fatto anche per i mutui fondiari, specie di ricostruzione in modo che si porti agli Istituti di credito fondiario un vantaggio in questo senso ed anche nell’altro, mentre oggi alcuni di questi debiti sono fatti dai proprietari per pagare altri debiti o per andare altrove. Con questo si sarebbe certi che i mutui fondiari verrebbero a costituirsi solo col sistema dei mutui di miglioramento agrario per le ricostruzioni e costruzioni nuove, ecc. Pare a me che questo criterio possa essere accettato dal Ministro e che possa accordarsi al riguardo col suo amico, che ha in mano le redini del Tesoro, affinché possa venirmi incontro, e permettermi di fare una ritirata strategica con qualche decoro.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. Effettivamente avrei potuto spendere qualche parola di più su questo specifico argomento. La norma secondo la quale si accorda il credito in relazione al conseguito miglioramento può essere operante in pieno agli effetti dell’applicazione dell’articolo 60.

Non può però essere operante al punto da far rinunciare in partenza al privilegio a favore dello Stato, perché si richiederebbe troppa fiducia a priori in ordine alla diligenza di tutti gli organi i quali debbono fornire allo Stato la certezza che effettivamente esista un miglioramento, che tale miglioramento sia realizzabile in eventuale sede di esecuzione forzata, che il denaro sia versato proprio soltanto quando il miglioramento esiste, che i piani di miglioramento non siano inficiati da errori, ecc.

Ma, ripeto, tutte queste argomentazioni, che hanno un fondamento sostanziale – come sono state illustrate dall’onorevole Pallastrelli e dall’onorevole Micheli – potranno portare ad una larga applicazione dell’articolo 60, tale da risolvere il problema di cui stiamo discutendo.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Io sono lieto che il Ministro accenni ad una larghissima applicazione dei concetti che io ho espressi; però, siccome verba volant, per quanto siano raccolte stenograficamente queste dichiarazioni, io non posso domani andare dal procuratore delle imposte con il resoconto stenografico tanto più che non credo che ai verbali della Costituente quei signori diano soverchia importanza!

Io vorrei allora aggiungere (salvo la forma del coordinamento): «e questo particolarmente nei casi di mutui di nuove costruzioni, ricostruzioni e miglioramenti agrari». Vorrei aggiungere cioè una frase che sarebbe un principio di avviamento più concreto. Infatti, se l’avviamento dovesse essere costituito soltanto dalle parole dette ora dal Ministro, ciò non sarebbe secondo me sufficiente.

Si potrebbe aggiungere eventualmente anche questa frase: «in cui le rate dei mutui stessi vengano sovvenute in base allo stato di avanzamento dei lavori».

Si dirà: la legge ha inteso che ci sia una certa discrezionale facoltà nei funzionari per applicare questo criterio ed esaminare questi mutui con quella benevolenza che il legislatore ha inteso di adottare.

PRESIDENTE. Prego, l’onorevole Micheli, di fare pervenire alla Presidenza un emendamento per iscritto.

MICHELI. Se il Relatore ed il Governo lo accettano, provvedo immediatamente.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole La Malfa, a nome della Commissione.

LA MALFA, Relatore. Mi sembra che la seconda parte dell’articolo 60 sia sufficiente. Si tratta di casi concreti.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. Sulla proposta di aggiunta all’emendamento, fatta dall’onorevole Micheli, non posso che essere d’accordo con il Relatore, secondo cui si tratta di casi concreti.

Il sistema da adottare potrebbe essere questo: l’onorevole Micheli trasformi l’emendamento in un ordine del giorno, che il Governo sin da questo momento dichiara di accettare a titolo di raccomandazione.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Micheli se intende ritirare il suo emendamento.

MICHELI. Veramente sulla raccomandazione io, absit iniuria verbo, mi sono già dichiarato. L’ordine del giorno non viene ad avere un significato vero e proprio per l’attuazione. Mantengo perciò il mio emendamento.

PRESIDENTE. Pongo allora in votazione l’emendamento dell’onorevole Micheli, avvertendo che tanto la Commissione quanto il Governo si sono su di esso pronunciati sfavorevolmente.

(Non è approvato).

Onorevole Micheli, chiede che sia posto in votazione anche il suo emendamento subordinato?

MICHELI. No, vi rinuncio.

PRESIDENTE. Non essendovi altre osservazioni, l’articolo 60 risulta approvato nella formulazione proposta dalla Commissione.

Passiamo all’articolo 61. Se ne dia lettura nel testo proposto dal Governo e accettato dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«L’azione della Finanza, per la rettifica delle dichiarazioni presentate dai contribuenti per l’imposta straordinaria sul patrimonio, si prescrive entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello in cui scade il termine utile per la presentazione delle dichiarazioni, a norma delle disposizioni contenute nel presente decreto.

«Entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui scade il termine predetto, si prescrive l’azione per l’accertamento in confronto di quei contribuenti che non provvidero alla presentazione della dichiarazione».

PRESIDENTE. A questo articolo non è stato presentato alcun emendamento; esso ei intende pertanto approvato.

Si passa all’articolo 62, del quale si dà lettura nel testo governativo accolto dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«I funzionari dell’Amministrazione delle imposte, i componenti dei Collegi giudicanti e tutti coloro che, secondo le rispettive attribuzioni, intervengono nell’accertamento, nell’applicazione e nella riscossione dell’imposta, sono tenuti al segreto d’ufficio e sono passibili delle pene comminate dal Codice penale per la violazione del segreto stesso.

«Per quanto non è previsto nel presente capo si applicano le disposizioni di cui ai regio decreto 17 settembre 1931, n. 108».

PRESIDENTE. Anche a questo articolo non è stato presentato alcun emendamento e pertanto si intende approvato.

Si passa ora al Capo XII (Cespiti danneggiati dalla guerra).

Avanti di procedere all’esame dell’articolo 63, primo degli articoli di questo Capo, dobbiamo prendere in considerazione tre articoli aggiuntivi presentati dall’onorevole Paris. Essi sono formulati nei seguenti termini.

Art. 62-bis.

«I patrimoni danneggiati da eventi bellici e per i quali è stata presentata domanda di risarcimento entro il 31 dicembre 1946, anche se ripristinati, senza però il concorso dello Stato, godono della esenzione dai pagamento della imposta fino a coprire il danno subito o parzialmente se il danno assorbe l’imposta dovuta, se rientrano nella tabella sottostante e nella progressione in essa indicata.

Per

3.000.000

esenzione

fino al

100%

del danno

»

4.000.000

»

»

80%

»

»

5.000.000

»

»

60%

»

»

6.000.000

»

»

40%

»

»

7.000.000

»

»

20%

»

«Per i patrimoni intermedi la percentuale d’esenzione è determinata dalla seguente formula:

P = 100 – (X – 3.000.000.20) 10 – 6 dove P rappresenta la % ed X l’imponibile.

«Per fruire dell’esenzione di cui al comma precedente il contribuente deve farne esplicita domanda nella dichiarazione di patrimonio, indicando l’entità del danno, quale risulta da un duplicato della richiesta di risarcimento».

Art. 62-ter.

«Il riconoscimento e la valutazione del danno di cui al precedente articolo, dipendono dal giudizio preso in comune accordo dagli intendenti di finanza e dai procuratori delle imposte dirette».

Art. 62-quater.

«L’importo dell’esenzione sarà detratto dall’ammontare del risarcimento che eventualmente lo Stato corrisponderà, secondo norme che saranno emanate in materia di risarcimento danni di guerra».

L’onorevole Paris ha facoltà di svolgerli.

PARIS. Questa imposta è giustamente chiamata straordinaria perché deve servire ad affrontare una situazione finanziaria straordinaria. È uno sforzo notevole che il Paese è chiamato a compiere, ma è evidente che questo sforzo deve essere equamente distribuito su tutti, secondo le possibilità presenti dei contribuenti.

Ma il Capo XII mi pare non tenga sufficientemente conto di quelli che sono stati i sacrifici subiti nel passato dai contribuenti che hanno avuto i loro cespiti danneggiati dalla guerra, in modo particolare dai piccoli contribuenti, perché i patrimoni medi e grandi, anche se hanno subito dei danni, li hanno subiti in un’entità che non ha mai pregiudicato la loro consistenza e soprattutto la loro capacità di ripresa.

Ora, il disegno di legge impone al patrimonio danneggiato l’imposta nella stessa misura di un patrimonio illeso. Ma il contribuente ha avuto i suoi redditi dimezzati, diminuiti ormai da anni; è, in un certo senso, un credito che ha aperto verso lo Stato; un credito di cui non ha mai goduto nessun interesse. Ed allora, come mai è chiamato a contribuire nella stessa misura degli altri?

Secondo il mio modesto avviso, questa è una ingiustizia; ma è soprattutto grave, perché questi piccoli contribuenti, che non hanno avuto nessuna situazione favorevole né durante i venti anni di fascismo, né di congiuntura, né attraverso la lavorazione delle materie U.N.R.R.A., sono ora assorbiti nella fase di riassestamento dei loro patrimoni; e adesso, imporre dei nuovi gravami può pregiudicare questo loro sforzo e differire la piena produttività delle loro gestioni, dei loro patrimoni, per degli anni. È quindi un danno che ne viene alla Nazione intera. Oltre a questo è un’ingiustizia che va a colpire quelle zone, nelle quali la guerra particolarmente ha infierito, e ai danni alle cose, ai danni alle persone, si aggiungono anche i danni voluti dalla legge. Quelle Provincie, cioè, che hanno una economia disastrata, che si trovano nella fase di ricostruzione, ora sono chiamate a dare questo notevole contributo.

Il disegno di legge esonera dalla valutazione i danni; ma è troppo poco; perché, si voleva forse arrivare a tassare il patrimonio quale era prima che fosse colpito dalla guerra? È una cosa assurda. Ora, per i piccoli patrimoni, facilitare la loro ripresa è una cosa che tornerà a vantaggio del Paese intero, in quanto questi piccoli patrimoni sono quelli che maggiormente contribuiscono, che non hanno mai chiesto nulla allo Stato, che non lo ricattano, che sono frutto di lavoro, che appartengono a lavoratori i quali compiono in questa loro piccola proprietà un lavoro pesantissimo.

Quindi gli articoli aggiuntivi che io ho proposto e che si limitano ai patrimoni dai tre ai sette milioni e non dànno una esenzione totale, ma con una progressione da cento a venti, intendono più che altro significare un incitamento alla ricostruzione, un premio per coloro che hanno ricostruito e non hanno atteso di vedere come si mettevano le cose. Ma di questa esenzione nell’articolo 62-quater è previsto il riassorbimento, se lo Stato sarà in grado di risarcire i danni di guerra. Sicché viene ad essere più che altro un anticipo su quello che lo Stato sarà in grado di dare.

È una categoria di contribuenti abbastanza vasta quella interessata, lo riconosco; però il limite di esenzione e i limiti di categoria a cui questa esenzione sarà applicata non rappresentano una grande cifra, e, d’altro canto, se noi accettiamo la maggiore aliquota esposta dalla Commissione nel disegno di legge – aliquota maggiore di quella proposta nel disegno del Governo – crediamo che il gettito dell’imposta non venga a diminuire dando a questi piccoli contribuenti, questa facilitazione e questo riconoscimento dei loro meriti. (Approvazioni).

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

LA MALFA, Relatore. La Commissione si è resa conto delle ragioni che hanno portato il collega Paris a formulare i suoi emendamenti; ma non ha potuto accoglierli. In definitiva, nel Capo XII, è ammessa la detrazione dei danni di guerra dall’imponibile quale risulta dalle imposte ordinarie. Il contribuente, quando fa la dichiarazione dell’imponibile, può detrarre il danno subito. Quindi in sostanza il patrimonio viene valutato per quello che risulta.

PARIS. Ci mancherebbe che venisse colpito il contribuente per quanto non ha più!

LA MALFA, Relatore. Il colpire il residuo significa valutare fiscalmente una situazione personale. Questa è un’imposta personale. La condizione patrimoniale di un contribuente può essere stata menomata da mille ragioni, fra cui gli eventi bellici. Prendete, per esempio, il caso di un possessore di titoli di Stato che è stato rovinato dall’inflazione. Quale indice possiamo prendere per misurare la potenzialità contributiva? Quella che risulta al 28 marzo. Non possiamo valutare tutte le circostanze che hanno portato alla riduzione del patrimonio, circostanze che dipendono – in grandi linee – dalla guerra, ma anche da altri fattori compresa l’inflazione.

D’altra parte c’è un principio generale: ed è quello che non possiamo compensare un credito dello Stato per imposta con un debito che lo Stato ha e che non ha definito. Se questo principio non fosse applicato in tutti i campi, noi dovremmo compensare i crediti dello Stato per imposta coi debiti dello Stato per forniture. Ma possiamo introdurre questo principio del compenso? È impossibile. Ammetterlo significherebbe aprire una falla nel sistema, una falla molto pericolosa.

È quindi necessario mantenere fermi certi principî generali, fra cui il principio che una legge fiscale non può costituire mai occasione per creare situazioni privilegiate a particolari categorie di cittadini.

Pertanto, la Commissione prega l’onorevole Paris – nonostante si renda conto delle sue ragioni – di non insistere. La zona sinistrata è valutata e facilitata ampiamente in sede di accertamento dell’imponibile; qualche facilitazione si è fatta negli articoli dal 63 in poi. Al di là di questo non si può andare.

PRESIDENTE. Il Ministro è invitato ad esprimere il pensiero del Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. Occorre riconoscere che l’onorevole Paris ha affrontato in modo veramente organico ed encomiabile un problema che certamente è nella coscienza di tutti gli italiani. I tre articoli che egli propone, se potessero trovare accoglimento, avrebbero certamente il merito, in una sintesi rapidissima, di affrontare il problema su cui l’attenzione di tutti i presenti si è certamente concentrata da tempo.

L’onorevole La Malfa ha esposto le ragioni per cui purtroppo non si può accedere ad un ordine di idee di questo genere.

Quando adopero la parola purtroppo e quando le dico, onorevole Paris, che sono dolente di non potere accedere ai suoi emendamenti, la prego di ritenere che, non soltanto chi le parla, ma il Governo desidera dare alle sue parole un significato che va oltre quello che può essere il significato tradizionale di locuzioni del genere.

Non è dato prevedere a quali conseguenze potrebbe dischiudere l’ingresso, l’ammissione del principio della compensazione, molto più ove si consideri che, a quanto pare, di recente il Consiglio di Stato avrebbe negato che il danneggiato di guerra sia titolare di un diritto soggettivo perfetto, azionabile nei confronti dello Stato per conseguire il risarcimento.

Ma, a parte ciò, quel che è indubitabile è che, in atto, al debito certo e liquido del contribuente, non potrebbe contrapporsi un di lui credito altrettanto certo e liquido verso l’Amministrazione; donde la impossibilità di una compensazione.

Come conciliare tutto questo, col legittimo desiderio dell’onorevole Paris che questa categoria voglia una manifestazione tangibile da parte del Governo?

Il Ministro del tesoro qui presente può confermare che il problema del risarcimento dei danni di guerra è, in atto, oggetto della assidua cura del Governo in vista di avviarlo ad una sollecita, equa soluzione.

Nel frattempo, ha osservato l’onorevole Paris, l’imposta viene messa in riscossione.

E allora io vorrei pregare l’onorevole Paris di dare un adeguato peso all’articolo 67, che configura la possibilità di una lunga rateazione per i titoli dei patrimoni danneggiati dalla guerra.

Pur essendo dolente di non potere accettare i tre articoli aggiuntivi, credo che si possa creare una situazione di fatto attraverso la quale si realizzi il desiderato sincronismo fra il tempo del pagamento dell’imposta e quello della riscossione di una parte del risarcimento.

PRESIDENTE. Onorevole Paris, mantiene i suoi articoli aggiuntivi?

PARIS. Li ritiro.

PRESIDENTE. Passiamo allora all’articolo 63. Se ne dia lettura nel testo governativo che la Commissione aveva accettato.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«I cespiti che hanno subito danni in dipendenza di eventi bellici, ove della diminuita consistenza non si sia tenuto conto nella determinazione dell’imponibile iscritto a ruolo ai fini dell’imposta ordinaria sul patrimonio per il 1947, possono essere dichiarati per un valore minimo pari all’imponibile sopradetto, diminuito della percentuale del danno accertato.

«Nella determinazione del valore definitivo dei cespiti indicati nell’articolo precedente, si ha riguardo alle condizioni dei cespiti stessi alla data del 28 marzo 1947».

PRESIDENTE. La Commissione fa ora pervenire un emendamento per il quale il primo comma verrebbe sostituito con il seguente:

«Fermo restando l’obbligo di cui all’articolo 34, i proprietari di cespiti danneggiati da eventi bellici, ove della diminuita consistenza non si sia tenuto conto nella determinazione dell’imponibile iscritto a ruolo ai fini dell’imposta ordinaria sul patrimonio per il 1947, possono dichiarare in detrazione l’ammontare del danno subito».

L’onorevole Relatore ha facoltà di illustrare tale emendamento.

LA MALFA, Relatore. Vi è anche un emendamento Camangi su questo articolo.

PRESIDENTE. È vero. L’onorevole Camangi ha proposto con un suo emendamento, che reca anche le firme degli onorevoli Perassi, Paolucci, Magrini, De Vita, Zuccarini, Magrassi, Pacciardi, Facchinetti e Sardiello, di sopprimere, alla fine del primo comma, la parola «accertato».

Ma con l’emendamento della Commissione, l’emendamento Camangi viene a cadere.

Invito l’onorevole La Malfa a illustrare l’emendamento della Commissione.

LA MALFA, Relatore. La Commissione non ha creduto con questo emendamento di introdurre alcuna variante di carattere sostanziale, ma soltanto di chiarire i dubbi che erano sorti.

Innanzi tutto l’onorevole Camangi ha sollevato il dubbio che danno accertato volesse dire accertato dall’autorità statale. Siccome questi accertamenti di danni non sono stati fatti per moltissimi casi, il contribuente si sarebbe trovato in imbarazzo. La Commissione ha preferito la dizione «danni subiti»; cioè il contribuente dichiara i danni che a suo giudizio ha subito il patrimonio. D’altra parte, la dizione del testo governativo poteva dare l’impressione che il contribuente dovesse denunciare la differenza fra l’imponibile ed il danno senza dare né l’imponibile né il danno. La Commissione ha preferito che il contribuente dichiarasse il valore del danno e che questo fosse portato in detrazione in maniera che, all’atto in cui ricevono la dichiarazione, gli uffici finanziari sanno quale è il danno dichiarato e possono fare gli accertamenti sul danno e sull’imponibile. È una facilitazione dal punto di vista della dichiarazione, ma non modifica la sostanza dell’articolo.

PRESIDENTE. Allora il suggerimento contenuto nell’emendamento dell’onorevole Camangi è stato accettato.

CAMANGI. Mi dichiaro sodisfatto del nuovo testo della Commissione che accoglie il mio emendamento e lo ritiro.

PRESIDENTE. Quale è il pensiero del Governo?

PELLA, Ministro delle finanze. Se questo è il pensiero definitivo della Commissione e dell’Assemblea in questa materia che riguarda una categoria di persone che ha già largamente sofferto, il Governo non intende insistere in troppi dettagli per la tutela dell’interesse fiscale. Ma mi sembra che la prima formulazione sia migliore, in quanto noi sappiamo perfettamente che le valutazioni fiscali sono assai più moderate di quelle che possono essere le valutazioni extra fiscali di un determinato cespite.

Ora, se un cespite è diminuito di valore per danni di guerra, fra le due vie – denunciare il valore della parte residua o denunziare il valore fiscale originario, deducendo l’importo dal danno secondo la stima del privato – io preferisco la prima via, perché con la seconda vi può essere una naturale tendenza del danneggiato ad ampliare la portata del danno e quindi ad impostare una sottrazione, i cui termini non sarebbero omogenei.

Ripeto, però, che non insisto nell’osservazione.

LA MALFA, Relatore. Il dichiarante denuncia l’imponibile come tutti gli altri contribuenti secondo l’articolo 34, e denuncia il valore del danno subito.

PELLA, Ministro delle finanze. «Imponibile»: valore che appartiene alla categoria dei valori fiscali. «Danni»: cifra che appartiene alla categoria dei valori determinati dal singolo, con criteri personali di valutazione.

Non sono termini omogenei sotto il profilo della valutazione.

LA MALFA, Relatore. Se non c’è un danno accertato dal fisco, il contribuente non può che denunciare il valore che egli attribuisce alla parte danneggiata.

PELLA, Ministro delle finanze. Nell’articolo 63 dicevamo che in questo caso la dichiarazione può essere fatta per un valore minimo pari all’imponibile diminuito della percentuale del danno accertato.

LA MALFA, Relatore. Perché «diminuito della percentuale»? Non ci sono valori omogenei nel testo.

PELLA, Ministro delle finanze. Se si trattasse di un’altra questione, il Governo insisterebbe. Qui però ci troviamo davanti al settore «danni di guerra». Ho l’impressione che la formulazione proposta dalla Commissione sia molto più a vantaggio del contribuente che non della Finanza, a prescindere dal giudizio sulla bontà o meno della formulazione.

Ripeto, tuttavia, che si tratta di un settore che ha sofferto parecchio: perciò, anche se attraverso questo emendamento si avranno dichiarazioni inferiori a quelle che dovrebbero essere, non sarà il Governo a dolersene.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. I termini non sono omogenei nel progetto, perché il progetto dice: «possono essere dichiarati per un valore minimo pari all’imponibile sopradetto, diminuito della percentuale del danno accertato». Quindi il termine è l’imponibile. Ora, se noi vogliamo rendere omogenei i due termini, a me pare che in definitiva il contribuente opererà in maniera di calcolare il suo danno e indicarne la percentuale rispetto all’imponibile. Non vedo che cosa si possa indicare d’altro. È troppo evidente. Onde io credo che sia preferibile alla Finanza avere sia pure due valori non omogenei ma su cui deve operare, che avere una percentuale.

Ad ogni modo, se si volesse parlare di percentuale, si potrebbe chiarire nel testo della Commissione, cioè si dovrebbe indicare «ai fini della detrazione la percentuale del danno subito», ma in maniera che i due valori non vengano diminuiti a priori dal contribuente.

VANONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VANONI. Vorrei spiegare il concetto da cui era partito il testo governativo. Noi prendiamo un valore di partenza per dichiarazione provvisoria e quindi per accertamento provvisorio che è il valore accertato e quindi dell’imposta sul patrimonio del 1946. Si fa l’ipotesi che da questo valore o nel computo di questo valore non si sia ancora tenuto conto di un danno di guerra sopravvenuto. Allora il problema da risolvere è questo: come tener conto di questo danno di guerra in maniera da non fare pagare, sia pure provvisoriamente, una quota di imposta su una parte di un cespite che è stato distrutto dalla guerra? Per arrivare a questo risultato, bisogna portare i due valori, valore imponibile provvisorio e valore del danno da dedursi dall’imponibile accertato ai fini dell’imposta ordinaria sul patrimonio, sul terreno della omogeneità. Ed è sembrato che il criterio meno faticoso fosse quello di stabilire la percentuale del cespite complessivo del danno subito in maniera che si operasse in questo modo: valore imponibile per il 1946, totale del cespite 100; danno subito in percentuale un terzo; 100 – 33 resta 67 che è il valore su cui si applica provvisoriamente l’imposta. Mi sembra un concetto certamente semplice ed automatico in cui c’è un solo elemento di discrezionalità, che è quello di determinare la percentuale, ma è più controllabile di quanto non sia il determinare il valore del danno subito.

A questo criterio di ridurre il più possibile la discrezionalità della valutazione della percentuale, accennava il testo governativo quando parlava di danno accertato.

Quando questo non c’era, la discussione fra Amministrazione finanziaria e contribuente verteva su un elemento più facilmente rilevabile di quanto non sia un elemento di valore che era l’elemento percentuale del danno al complesso fisico del cespite sottoponitele all’imposta.

Fra il criterio di portare in detrazione da lire espresse in termini fiscali, lire espresse in termini che potevano essere di fantasia del contribuente, questo criterio sembra più logico dell’altro in cui si detraggono magari animali allevati all’ultimo momento.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Corbino. Ne ha facoltà.

CORBINO. Si potrebbe trovare la soluzione ritornando al vecchio testo governativo e dicendo nelle ultime tre righe del primo comma: «sono dichiarati per un valore pari all’imponibile sopradetto, portando in detrazione la percentuale del danno subìto». Si capisce che sulla percentuale del danno subito sorgerà la contestazione col fisco.

LA MALFA, Relatore. Propongo: «possono essere dichiarati per un valore pari all’imponibile portando in detrazione la percentuale sull’imponibile corrispondente al danno subìto».

VANONI. Io lascerei da parte il «subìto».

LA MALFA, Relatore. Sì, possiamo dire del danno.

Allora il nuovo testo potrebbe essere questo:

«I cespiti che hanno subìto danni in dipendenza di eventi bellici, ove della diminuita consistenza non si sia tenuto conto nella determinazione dell’imponibile iscritto a ruolo ai fini dell’imposta ordinaria sul patrimonio per il 1947, possono essere dichiarati per un valore minimo pari all’imponibile, portando in detrazione la percentuale dell’imponibile corrispondente al danno».

ADONNINO. Il valore percentuale del danno a quale momento si riferisce: ad oggi o a quanto il danno è avvenuto?

CORBINO. È percentuale.

ADONNINO. La percentuale è una comparazione proporzionale fra due cifre: queste debbono riferirsi allo stesso momento. Come si raggiunge – nel caso nostro – questa identità di momenti? Noi abbiamo un imponibile attribuito ad ogni immobile rustico, poniamo nel 1940 (cioè la media 1936-39), quando nacque la patrimoniale ordinaria; abbiamo un imponibile odierno attribuito allo stesso immobile, imponibile che è poi quello del 1940, moltiplicato per 10; e abbiamo un danno di guerra, valutato in cifre, secondo i valori del momento in cui il danno avvenne, poniamo nel 1944. Non c’è identità di momenti; come si stabilisce la percentuale? Occorre rifare tutte le valutazioni degli immobili danneggiati, e rifarle al periodo base 1936-39; oppure riportare tutte le valutazioni degli immobili danneggiati, fatte negli ultimi anni, al valore che avevano nel 1936-39, mediante una scala fissa di svalutazioni. Ma tutto questo occorrerebbe dirlo, perché dall’articolo non si deduce.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro.

PELLA, Ministro delle finanze. C’è un valore, che si assume come base, ai fini dell’imposta ordinaria del patrimonio del 1947. Questo valore è quello originario, anteguerra, moltiplicato per cinque, se si tratta di fabbricati, per dieci, se si tratta di terreni.

Probabilmente, qui si fa l’ipotesi del fabbricato.

Orbene, quando diciamo che da questo valore si detrae la percentuale corrispondente al danno, mi pare che si autorisolva il problema proposto dall’onorevole Adonnino. Una volta che escludiamo quel tale criterio della detrazione di lire da lire, per togliere invece dal valore 1947 un’aliquota corrispondente al danno, il problema si risolve nel momento stesso in cui viene posto.

PRESIDENTE. Allora il Governo accetta la modifica proposta dall’onorevole La Malfa. Si ritorna perciò al primitivo testo governativo con la variazione proposta.

L’onorevole Cavallari ha proposto il seguente emendamento:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Nel caso in cui alcuni cespiti abbiano subito danni di guerra dichiarati risarcibili ai sensi dell’articolo 2 della legge 26 ottobre 1940, n. 1543, e successive modificazioni, l’ammontare del danno accertato agli effetti della predetta legge potrà essere detratto dall’imponibile, ove della diminuita consistenza non si sia tenuto conto nella determinazione dell’imponibile iscritto a ruolo ai fini dell’imposta ordinaria sul patrimonio per il 1947».

Lo mantiene?

CAVALLARI. Avevo proposto il mio emendamento per chiarire il comma, ma di fronte alla limpidezza cristallina della dizione del testo ora proposto dalla Commissione, aderisco al testo da questa formulato e ritiro il mio emendamento.

PRESIDENTE. Pongo allora in votazione l’emendamento al primo comma proposto dalla Commissione ed accettato dal Governo, secondo il quale si torna per il primo comma, al testo governativo con la seguente modifica alla fine: «possono essere dichiarati per un valore minimo pari all’imponibile, portando in detrazione la percentuale dell’imponibile corrispondente al danno».

(È approvato).

Al secondo comma dell’articolo 63 non sono stati proposti emendamenti.

LA MALFA, Relatore. Faccio presente che al secondo comma vi è un errore materiale: le parole: «indicati nell’articolo precedente» vanno sostituite con le parole: «indicati nel comma precedente».

PRESIDENTE. D’accordo, si tratta di un errore materiale.

L’articolo 63 si intende allora approvato con l’emendamento testé votato.

Sui lavori dell’Assemblea.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Prima di proseguire nella discussione sulla patrimoniale, prego l’onorevole Presidente di voler fissare l’ordine del giorno per lunedì prossimo.

PRESIDENTE. Salvo diversa decisione dell’Assemblea, nella giornata di lunedì si dovrebbe continuare al mattino la discussione sulla patrimoniale e svolgere nel pomeriggio la mozione presentata dagli onorevoli Lussu ed altri relativa allo Statuto sardo.

SCOCCIMARRO. Prego il Ministro delle finanze di far sapere se può partecipare ai lavori dell’Assemblea nella mattinata di lunedì.

PELLA, Ministro delle finanze. Il Ministro è sempre a disposizione dell’Assemblea per la continuazione della discussione; però nella mattinata di lunedì ho un impegno al Ministero, impegno che ho rinviato continuamente per i lavori che mi hanno qui immobilizzato.

Prego, se è possibile, di destinare la mattinata di lunedì ad altro argomento.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Lussu, presentatore della mozione, che si dovrebbe discutere nel pomeriggio di lunedì, se ha difficoltà a che la discussione, invece che nella seduta pomeridiana, sia portata nella seduta antimeridiana.

LUSSU. Aderirei volentieri a questa proposta, ma è stato ufficialmente comunicato due volte, qui in quest’Aula, che la mozione sarà discussa lunedì nel pomeriggio e credo che uno spostamento non sia ora possibile.

PRESIDENTE. Abbiamo difficoltà, poiché non possiamo sentire il Governo su questo punto.

SCOCCIMARRO. Desidero far presente che lunedì in questa Assemblea ci sarà, come di solito avviene in tal giorno, un numero esiguo di deputati, specialmente al mattino.

Non sarebbe opportuno – a mio avviso – discutere problemi così importanti e così gravi quali quelli che dovranno essere risolti nelle prossime sedute dinanzi ad un’Assemblea poco numerosa.

Perciò prego la Presidenza di rinviare la discussione sull’imposta patrimoniale a martedì mattina.

FUSCHINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUSCHINI. Siccome abbiamo deciso che lunedì l’Assemblea discuta nella seduta pomeridiana la mozione dell’onorevole Lussu, si potrebbe abolire la seduta antimeridiana e sostituirla con una seduta notturna.

PRESIDENTE. Quale è il parere del Ministro?

PELLA, Ministro delle finanze. Credo che lunedì si potrebbe tenere seduta notturna per l’esame della patrimoniale.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Relatore.

LA MALFA, Relatore. La Commissione si associa alla proposta fatta dall’onorevole Fuschini di tenere seduta notturna lunedì.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Poiché penso che l’onorevole Scoccimarro non sia favorevole alla seduta di lunedì sera, per timore che vi possano essere delle votazioni alle quali mancherebbe un gran numero di deputati, noi potremmo anche fare un accordo amichevole, e cioè che, qualora sorgesse qualche questione grossa, la votazione si potrebbe rimandare a martedì mattina, e andare poi avanti negli altri argomenti sui quali l’accordo possa essere raggiunto. Credo che su questo terreno potremo votare a favore della proposta di tenere seduta notturna lunedì.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Debbo esprimere la mia contrarietà alle sedute notturne, salvo casi di assoluta necessità. Questi però debbono essere casi veramente straordinari; penso quindi che lunedì, dopo che sarà stata discussa la mozione sullo statuto sardo, potremo riprendere la discussione e continuarla fino alle 21 o anche fino alle 21.30. Se pertanto sorgerà quella tale questione grave di cui prima ipoteticamente si discorreva, per la quale sia necessario un maggior numero di colleghi presenti, la rimanderemo all’indomani mattina.

È bene tener presente che le sedute notturne implicano un lavoro complesso. Vi sono alcuni fra noi ed anche qualcuno che fa parte del personale della Camera, i quali così finirebbero per non poter tornare alle loro case nella notte. La notte, onorevoli colleghi, è fatta per riposare e per studiare.

Noi gli argomenti li discutiamo qui dopo averli studiati: e quando li studiamo, se facciamo le sedute a lungo metraggio in questo modo? Io credo che, ove noi si sia sicuri, sin d’ora, dell’assenza di molti colleghi per lunedì, non dovremmo credere che vi sarebbe un maggior concorso in una seduta notturna.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Uno dei motivi per i quali avevo fatto questa proposta era la preoccupazione di dover discutere di emendamenti di estrema importanza con un numero molto ristretto di deputati. Ora, se questo avviene il pomeriggio ed anche la sera, credo rischieremo di perdere del tempo, perché vi sarà certamente qualcuno che chiederà l’accertamento del numero legale.

PRESIDENTE. Poiché si sono espresse opinioni diverse, pongo in votazione la proposta che lunedì mattina non si tenga seduta.

(È approvata).

Pongo ora in votazione la proposta che nella seduta pomeridiana di lunedì si discuta della mozione sullo Statuto sardo.

(È approvata).

Pongo infine in votazione la proposta che lunedì si debba anche tenere una seduta notturna.

(Non è approvata).

LA MALFA, Relatore. Faccio presente all’onorevole Scoccimarro che, facendo seduta nel pomeriggio di lunedì, sarebbe stato facile richiamare l’attenzione dei colleghi sulla gravità dei problemi che si dovessero discutere nella eventuale seduta notturna.

Si sarebbe potuto perciò sospendere la decisione sui lavori dell’Assemblea e rinviarla alla seduta pomeridiana.

LUSSU. D’accordo.

PRESIDENTE. Onorevole La Malfa, l’Assemblea potrà sempre, eventualmente, prendere nuove decisioni nella seduta pomeridiana di lunedì.

Si riprende la discussione del disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio.

PRESIDENTE. Si riprende la discussione sull’imposta patrimoniale.

Passiamo all’articolo 64. Se ne dia lettura, nel testo proposto dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«La quota in conto mobilio, arredamento e gioielli, prevista nell’articolo 25, sarà congruamente diminuita quando risulti che tali cespiti sono ridotti a un valore inferiore in seguito a danni dipendenti da eventi bellici, regolarmente denunciati ai sensi della legge 26 ottobre 1940, n. 1543».

PRESIDENTE. Su questo articolo l’onorevole Cavallari ha presentato il seguente emendamento:

«Alla parola: denunciati, sostituire la parola: accertati».

L’onorevole Cavallari ha facoltà di parlare.

CAVALLARI. Avevo proposto questo emendamento all’articolo 64, in quanto ritenevo che fosse utile controllare da parte del fisco i danni che siano stati denunciati per quanto riguarda i mobili. Siccome, però, trovo che nella formulazione testé approvata per quanto riguarda i beni immobili non vi è la parola «accertati», ma «denunciati», non voglio mettere i danneggiati nelle cose mobili in condizioni più sfavorevoli rispetto ai danneggiati possessori di beni immobili.

Per questi motivi ritiro l’emendamento all’articolo 64.

PRESIDENTE. Sta bene. L’articolo 64 si intende allora approvato nel testo proposto dalla Commissione.

Passiamo all’articolo 65, per il quale la Commissione ha accettato il testo governativo. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Nel caso in cui il cespite danneggiato in dipendenza di eventi bellici sia stato, alla data del 28 marzo 1947, in tutto o in parte, ripristinato dal contribuente con mezzi propri, dal valore definitivo, accertato a norma dell’articolo precedente, è portata in detrazione una somma pari al valore del ripristino.

«Quando il ripristino sia stato effettuato con il contributo statale, dal valore del cespite è portata in detrazione una quota proporzionale all’ammontare dei mezzi propri investiti dal contribuente».

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Faccio rilevare che dopo la parola «accertato», nel primo comma, bisognerebbe dire: «a norma dell’articolo 63» anziché «a norma dell’articolo precedente».

PRESIDENTE. È giusto. Metto ai voti questo emendamento del Relatore.

(È approvato).

Non essendovi altre osservazioni, l’articolo 65 si intende approvato con questa modifica.

Passiamo all’articolo 66, uguale nel testo del Governo e della Commissione. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il contribuente che, alla data del 28 marzo 1947, non abbia ripristinato i cespiti danneggiati per eventi bellici e nei cui confronti venga accertato un importo di danaro, depositi e titoli al portatore per un valore superiore a quello risultante dalle quote previste all’articolo 25, ove provveda al ripristino nel termine di un anno dalla pubblicazione del presente decreto, potrà ottenere che dall’imponibile sia detratta la spesa occorsa per il ripristino stesso, nel limite dell’eccedenza del valore definitivamente accertato per danaro, depositi e titoli al portatore indicati nella dichiarazione, rispetto a quello risultante dalle quote sopra richiamate».

PRESIDENTE. A questo articolo, vi è un emendamento sostitutivo proposto dall’onorevole Cavallari, del seguente tenore:

«Sostituirlo col seguente:

«Il contribuente che, alla data del 28 marzo 1947, non abbia ripristinato i cespiti danneggiati per eventi bellici, ove provveda al ripristino nel termine di un anno dalla pubblicazione del presente decreto, potrà ottenere che dall’imponibile sia detratta la spesa occorsa per il ripristino stesso».

L’onorevole Cavallari ha facoltà di svolgerlo.

CAVALLARI. L’emendamento che ho proposto all’articolo 66 era ispirato al concetto che ritenevo, e ritengo tuttora, che l’articolo così come è stato redatto, fosse di giovamento soprattutto ed esclusivamente per coloro che versavano in buone condizioni economiche, in quanto prendeva in considerazione il caso in cui il contribuente avesse tanto denaro da superare la quota di cui all’articolo 25.

Ma, discutendo di questo emendamento in seno alla Commissione, si è addivenuti all’accordo che nella prossima seduta molto facilmente la Commissione presenterà un suo testo sopra l’articolo 66, che verrà compilato, e a cui potrò dare la mia adesione.

Il principio del mio emendamento è stato accolto dalla Commissione che dovrà formulare un nuovo testo.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Relatore.

LA MALFA, Relatore. L’articolo 66 ha dato luogo ad una lunga discussione in seno alla Commissione, implicando conseguenze diverse dal punto di vista della situazione patrimoniale del contribuente.

Rettificando un poco la dichiarazione del collega Cavallari, dichiaro che la Commissione avrebbe deciso di mantenere l’articolo 66, col leggero emendamento che esporrò ed eventualmente, siccome ha accettato il principio (io personalmente sono stato contrario a questa accettazione), di aggiungere un altro articolo.

Quindi, se l’Assemblea crede, si può approvare l’articolo 66, con una rettifica che sarebbe questa: «Il contribuente che alla data del 28 marzo 1947 non abbia ripristinato i cespiti danneggiati per eventi bellici ed abbia dichiarato un importo di denaro, ecc.», cioè, sostituire la dichiarazione di una liquidità maggiore della quota presuntiva, invece dell’accertamento.

Questo non pregiudicherebbe la questione sollevata dal collega Cavallari che eventualmente andrebbe risolta in altra sede.

PRESIDENTE. Allora, la modificazione qual è precisamente, onorevole Relatore?

LA MALFA, Relatore. «Per eventi bellici e abbia dichiarato». Poi si va avanti fino alla quint’ultima riga: «nel limite dell’eccedenza del valore dichiarato per danaro, depositi e titoli al portatore». Poi si cancella: «indicati nella dichiarazione» e si mette: «rispetto a quello risultante dalle quote richiamate». Cioè si continua l’articolo com’era.

VANONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VANONI. Vorrei fare anzitutto una proposta di sospensiva, dato l’emendamento abbastanza radicale che si prepara. Ma se questa mia proposta venisse superata, vorrei richiamare l’attenzione dell’Assemblea su alcuni punti.

PELLA, Ministro delle finanze. Mi associo alla proposta dell’onorevole Vanoni.

LA MALFA, Relatore. Osservo che sull’articolo 66, con gli emendamenti che ho presentato, la Commissione è d’accordo. Non vi sono punti di dissenso. Se ci dovesse essere un articolo aggiuntivo la Commissione lo proporrebbe in sede di articolo 67.

PRESIDENTE. Pongo ai voti la proposta di sospensiva dell’onorevole Vanoni.

(È approvata).

Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Annunzio di una mozione.

PRESIDENTE. Annuncio all’Assemblea che è stata presentata la seguente mozione:

L’Assemblea Costituente,

considerato che nella questione del nuovo ordinamento dei Corpi consultivi del Ministero della pubblica istruzione, il Ministro ha volontariamente trascurato di interpellare la Rappresentanza nazionale, sia pure attraverso la sua apposita Commissione legislativa e di consultare tutte le categorie interessate;

ritenuto inoltre del tutto ingiustificata la procedura d’urgenza adottata dal Ministro della pubblica istruzione per la sostituzione del Consiglio superiore di detto Ministero, tuttora in carica;

riscontrando nel comportamento del Ministro un grave difetto di valutazione della importanza e delicatezza politica della materia

invita

il Governo a sospendere l’esecuzione del provvedimento, a risolvere la vertenza coll’attuale Consiglio superiore della pubblica istruzione ed a sottoporre il nuovo ordinamento all’Assemblea Costituente.

«Parri, Bernini, Ghiostergi, Codignola, Foa, Cianca, Lussu, Binni, Fornara, Carmagnola, Moscatelli, Faralli, Cacciatore, Malagugini, Barbareschi, Nasi, Mariani, Montemartini, Costa, Nobili Oro, Mariani, Bennani, Della Seta, Di Giovanni».

CODIGNOLA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODIGNOLA. Quale firmatario di questa mozione, prego il Presidente di prospettare al Governo l’opportunità che sia discussa di urgenza perché le elezioni del Consiglio Superiore della pubblica istruzione sono state indette per il giorno 26 luglio: altrimenti non si farà in tempo ad intervenire.

PELLA, Ministro delle finanze. Il Governo si riserva di esprimere il suo avviso circa la data della discussione di questa mozione.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

GAMANGI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAMANGI. Avevo presentato un’interrogazione al Ministro delle finanze ed il Ministro ne aveva riconosciuta l’urgenza, dichiarando che era pronto a rispondere. Pregherei di fissarne la data.

PELLA, Ministro delle finanze. Confermo di riconoscerne l’urgenza.

Risponderò nella prima seduta dedicata alle interrogazioni.

BENEDETTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BENEDETTINI. Anche io faccio presente di avere presentato un’interrogazione di urgenza della quale attendo risposta.

PRESIDENTE. Il Governo risponderà nella prossima seduta dedicata alle interrogazioni.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se, di fronte alla unanime insurrezione del popolo di Padova, manifestata attraverso i voti del Consiglio comunale, della Deputazione provinciale, degli insegnanti medi, dell’A.N.P.I., di tutti i partiti politici, intenda recedere dal provvedimento col quale ha sostituito nell’ufficio di provveditore degli studi di Padova il professore Zamboni Adolfo, mai iscritto al partito fascista, eroico cospiratore, partigiano, con l’ex squadrista Biagini Paolo, fascista e repubblichino.

«Cevolotto».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro delle finanze, per sapere se sono a conoscenza della decisione adottata dalla Direzione generale del demanio concernente la concessione in affitto del villaggio alpino denominato Colonia Val-Grande di Comelico (Belluno) e, se non l’approvano, quali provvedimenti intendono prendere.

«Ghidetti, Pellegrini, Cevolotto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere se non intenda attuare il ripristino delle preture soppresse dal passato regime in provincia di Caserta e aggregare al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere i mandamenti di Capriati al Volturno e Roccamonfina, così da far coincidere la circoscrizione giudiziaria con quella amministrativa provinciale.

«Caso».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere i motivi che ancora ostano alla sistemazione degli insegnanti elementari reduci e fuori ruolo, i quali, sebbene abilitati prima del 1940, non poterono partecipare per ragioni dipendenti dallo stato di guerra ai concorsi indetti ed espletati dall’anno 1940 al 1942 e per i quali fu riservata la metà dei posti, in conformità del decreto 6 gennaio 1942, n. 27.

«Giova tener presente che per i perseguitati politici e razziali già venne disposto provvedimento positivo; per cui ragioni giuridiche, di moralità e di equità consigliano l’adozione di eguale trattamento. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«De Mercurio».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro della difesa, per sapere se non creda opportuno adottare urgenti misure per rimuovere sollecitamente gli esplosivi depositati nel Forte di Santa Teresa, in località Baracche di La Spezia, che per essere nelle immediate vicinanze di un importante complesso industriale e di una zona abitata, rappresenta un grave pericolo per la incolumità delle maestranze e della popolazione. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Barontini Anelito, Novella, Minella Angiola, Negro».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere se non ritenga opportuno emanare un provvedimento legislativo che riconosca l’estensione al personale amministrativo degli Istituti tecnici dipendenti dagli enti locali, del trattamento economico di carriera, stabilito per il personale a carico dello Stato con il decreto legislativo presidenziale 27 giugno 1946, n. 107, provvedimento sulla di cui opportunità conviene lo stesso Ministero della pubblica istruzione, il quale si è dichiarato «pienamente favorevole, pur non potendo prenderne l’iniziativa, che spetta al Ministero dell’interno». (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Ghidetti».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dell’interno, sulle accuse che un deputato alla Costituente ha mosso in pubblica seduta contro il comandante della celere di Padova, signor Brighenti, sui risultati dell’inchiesta che il Ministero dell’interno avrà certamente promosso, sulle misure che il Ministro ha preso o intende prendere. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«De Michelis, Merighi, Tega, Grazia Verenin».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno, iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 14.10.

Ordine del giorno per la seduta di lunedì 21 luglio 1947.

Alle ore 17:

  1. – Svolgimento della mozione degli onorevoli Lussu, Lombardi Riccardo, Cianca, Calamandrei, Laconi, Spano Velio, De Vita, Mazzei, Parri, Cevolotto, Veroni, Mastino Gesumino, Di Giovanni, Grieco, Uberti, Carboni Angelo, Binni, Fiorentino, Schiavetti, Tosato, Fuschini, Giua, sullo Statuto autonomo della Sardegna.
  2. Seguito della discussione sul disegno di legge:

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

  1. – Interrogazioni.

POMERIDIANA DI VENERDÌ 18 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CXCII.

SEDUTA POMERIDIANA DI VENERDÌ 18 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

Presidente

Cappi

Micheli

Veroni

De Vita

Rescigno

La Malfa, Relatore

Corbino

Crispo

Adonnino

Condorelli

Pella, Ministro delle finanze

Bertone

Arata

Scoccimarro

Clerici

Bosco Lucarelli

Veroni

Caroleo

Preziosi

Cannizzo

Dugoni

Bubbio

Tozzi Condivi

Fabbri

Scoca

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 17.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Seguito della discussione sul disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio (14).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione sul disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio.

Proseguendo nell’esame degli emendamenti, passiamo al Capo IX: Riscatto dell’imposta.

Si dia lettura dell’articolo 51 nel testo proposto dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il contribuente che, all’atto della dichiarazione di cui all’articolo 30 e in ogni caso non oltre il 15 settembre, versi in Tesoreria, in unica soluzione, l’importo dell’imposta accertatogli in via provvisoria, sulla base della dichiarazione stessa, ha diritto ad un premio di riscatto dell’8 per cento.

«Tale premio di riscatto è aumentato al 12 per cento per i patrimoni costituiti, per almeno due terzi, da cespiti immobiliari.

«Il contribuente, che dimostri di aver sottoscritto al Prestito della Ricostruzione 3,50 per cento, può versare, fino alla concorrenza del 20 per cento dell’ammontare del riscatto, titoli del prestito suddetto, da computarsi al prezzo di emissione».

PRESIDENTE. Un primo emendamento a questo articolo, proposto dall’onorevole Cappi, è così formulato:

«Ripristinare il testo proposto dal Governo, con le seguenti modificazioni all’ultimo comma: sostituire alle parole: 20 per cento, le altre: 30 per cento, e aggiungere: purché il contribuente dimostri di essere tuttora in possesso dei titoli sottoscritti».

Ricordo all’Assemblea che il testo governativo era del seguente tenore:

I contribuenti possono versare in Tesoreria, in unica soluzione, con l’abbuono dell’interesse composto del 7 per cento, in ragione d’anno, l’importo complessivo di tutte le rate d’imposta straordinaria ancora da scadere.

«Il riscatto può essere chiesto tanto per l’importo accertato in via provvisoria quanto per quello accertato in via definitiva.

«Il riscatto deve essere domandato al competente Ufficio distrettuale delle imposte dirette entro il giorno 10 del mese precedente a quello della scadenza della prima rata d’imposta ed il versamento in Tesoreria deve essere effettuato entro il mese di scadenza della rata stessa.

«Il riscatto deve essere domandato entro il 30 novembre di ciascun anno con effetto dalle rate a scadere dalla prima dell’anno successivo, ed il versamento in Tesoreria deve essere effettuato entro il 31 gennaio dell’anno successivo a quello in cui la domanda è presentata.

«Non è ammesso il riscatto delle sole ultime sei rate bimestrali».

«In tutti i casi di versamento diretto in Tesoreria non compete alcun aggio all’esattore ed al ricevitore provinciale.

«Il contribuente, che dimostri di aver sottoscritto al Prestito della Ricostruzione 3,50 per cento, può versare, fino alla concorrenza del 20 per cento dell’ammontare del riscatto, titoli del prestito suddetto, da computarsi al prezzo di emissione».

L’onorevole Cappi ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

CAPPI. Onorevoli colleghi, il mio emendamento parte da un presupposto che vorrei fosse condiviso dal Governo e dalla Commissione, cioè che il fisco abbia interesse ad agevolare il riscatto dell’imposta. A questo scopo, a me sembra che meglio risponda il primitivo testo del progetto, anziché quello emendato dalla Commissione. Infatti, il testo del progetto governativo recava al primo comma che: «I contribuenti possono versare in Tesoreria, in una soluzione, con l’abbuono dell’interesse composto del 7 per cento, in ragione di anno, l’importo complessivo di tutte le rate d’imposta straordinaria ancora da scadere». Questo pagamento del riscatto poteva avvenire «entro il mese di scadenza della prima rata d’imposta»; praticamente, entro il 10 gennaio 1948. La Commissione ha portato due modifiche a questo testo. Anzitutto ha disposto che il versamento debba avvenire non oltre il 15 settembre: la data sarà spostata perché abbiamo spostato i termini della dichiarazione, ma dovrebbe essere, probabilmente, entro il 15 novembre o, al massimo, entro il 30 novembre. Cosicché, appena fatta la dichiarazione, il contribuente dovrebbe versare l’intero prezzo di riscatto che, specialmente per i patrimoni di una certa entità, non sarà una cifra esigua. Ora, le disponibilità di liquido non sono poi grandissime: pare a me che lasciare il termine fino al 10 gennaio 1948 sarebbe molto utile, perché invoglierebbe ad esercitare il riscatto.

La Commissione, poi, ha modificato in un altro punto il testo governativo. Cioè, mentre il testo governativo dava un abbuono, a chi versava in unica soluzione, dell’interesse composto del 7 per cento, in ragione d’anno, cioè nel periodo di tempo che restava a pagare le rate d’imposta, la Commissione ha ridotto questo premio di riscatto all’8 per cento, ed al 12 per cento per i patrimoni costituiti, per almeno due terzi, da cespiti immobiliari. Sembrerebbe a me, allo scopo di invogliare al riscatto, che si potrebbe aumentare questo premio al 10 per cento, ad esempio, su per giù trattandosi di un anno e mezzo ad un tasso del 7 per cento.

La seconda parte del mio emendamento è, a mio avviso, più importante.

Il testo del progetto, mantenuto integro in questo punto dalla Commissione, dice che coloro i quali esercitano il riscatto dell’imposta hanno facoltà, fino alla concorrenza del 20 per cento dell’ammontare del riscatto, di versare titoli del Prestito della ricostruzione calcolati al valore di emissione, cioè a 97,50. Questo vantaggio a favore dei sottoscrittori del Prestito della ricostruzione è un punto che abbiamo già toccato altre volte. Io avevo proposto emendamenti ad altri articoli, sostenendo che si desse qualche altro vantaggio a questi sottoscrittori; ma la Commissione ed il Governo furono di parere diverso.

Su questi vantaggi, invece, insisterei. Concretamente, io propongo che i sottoscrittori del prestito abbiano la facoltà di versare, in conto del prezzo di riscatto, fino alla concorrenza del 30 per cento, titoli del Prestito della ricostruzione. Però vorrei fare una restrizione a questa facoltà, che io concederei a coloro i quali posseggono ancora i titoli originari sottoscritti. E la ragione è evidente; perché se, coloro che hanno sottoscritto il prestito hanno ancora i titoli sottoscritti e se li sono visti scendere a 75 o 76, mi sembrano meritevoli del vantaggio; ma se qualcuno ha approfittato del ribasso avvenuto ed ha comprato il prestito della ricostruzione, a 75 o giù di lì, questo vantaggio sarebbe una ingiustizia ed un lucro non giustificato, qualora il titolo potesse essere dato in pagamento sulla base del prezzo di emissione di lire 97,50. In questo caso, il vantaggio non sarebbe giustificato.

Ripeto ancora che questo mi sembra oltre che un atto di giustizia per i sottoscrittori del prestito, un mezzo per invogliare ad esercitare il riscatto.

Se è vero che lo Stato deve passare questi due o tre anni più difficili in materia di cassa – perché poi è sperabile che le imposte ordinarie aiutino ad equilibrare il bilancio – mi pare che lo Stato abbia tutto l’interesse al riscatto. È vero che dovrà prendere il 30 per cento in titoli; ma, a parte il fatto che guadagnerà l’interesse del 5 per cento che non dovrà corrispondere su questi titoli, il 70 per cento lo prenderà però in denaro contante. Non solo; faccio anche osservare che la norma non peserà molto sul bilancio dello Stato; non saranno molti, cioè, i sottoscrittori che hanno ancora i titoli originari, perché i grossi sottoscrittori del Prestito, coloro che hanno sottoscritto al Prestito per creare un debito da portare in detrazione del loro patrimonio, costoro erano esperti, prevedevano che il Prestito sarebbe sceso e lo hanno venduto. Quelli che hanno ancora i titoli originari del prestito sono, quindi, in genere, i piccoli e medi risparmiatori, che li hanno tenuti come investimento di denaro. E quando si pensi che il riscatto dell’imposta ordinaria parte da 100.000 lire – e riguarda cioè anche i piccoli risparmiatori – mi sembra una ragione di maggiore opportunità e giustizia che sia dato questo vantaggio.

Cosicché, proporrei che il premio di riscatto fosse portato (se non si vuole ripristinare integralmente il testo del Governo) rispettivamente dall’8 al 10 per cento e dal 12 al 14, e, soprattutto, che il termine fosse portato al 10 gennaio 1948.

In secondo luogo, propongo che vi sia facoltà di versare all’atto del riscatto il 30 per cento, anziché il 20, in titoli del prestito della ricostruzione, purché il contribuente dimostri di essere tuttora in possesso dei titoli sottoscritti.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Micheli del seguente tenore:

«Al primo comma, alle parole: accertatogli in via provvisoria sulla base della dichiarazione stessa, sostituire: liquidato secondo la dichiarazione stessa».

L’onorevole Micheli ha facoltà di svolgerlo.

MICHELI. Svolgerei tutti insieme i tre emendamenti a questo articolo, perché sono collegati, e ciò anche con maggiore brevità della discussione.

PRESIDENTE. Sta bene. L’onorevole Micheli ha facoltà di svolgere anche gli altri due emendamenti proposti per questo articolo, che sono così formulati:

«Dopo il secondo comma, aggiungere:

«Rimane impregiudicato il diritto alle rettifiche da effettuarsi sulle risultanze dell’accertamento definitivo, ma ciò nei soli confronti del contribuente, restando salvi i diritti acquisiti dai terzi sui beni inclusi nella dichiarazione, purché in essa, quanto ai valori, siano osservate le disposizioni di cui al Capo VI».

«Aggiungere, in fine:

«Qualora il riscatto sia stato esercitato prima che l’accertamento dell’imposta sia divenuto definitivo, gli interessi imputati in conto imposta, ai sensi del precedente articolo, sono rimborsati in relazione all’ammontare della imposta che risulti non dovuta e al tempo trascorso dal versamento al rimborso».

MICHELI. L’articolo 51 è stato già emendato dalla Commissione riguardo al riscatto totale dell’imposta, riscatto che, secondo il principio accettato dall’emendamento proposto dalla Commissione, può essere effettuato anche in base alla denunzia del contribuente, anziché sull’accertamento provvisorio e definitivo. La dizione proposta dalla Commissione non mi pare rispecchi pienamente il principio al quale effettivamente l’emendamento si ispira, che è quello di rendere il più possibile agevole il riscatto, prima ancora che gli uffici procedano agli accertamenti, al fine evidente di agevolare gli incassi della Tesoreria, ma anche per ridurre al minimo, come sarebbe doveroso, lo stato di incertezza che minaccia di paralizzare tutti gli affari, particolarmente nella contrattazione dei beni immobili.

L’espressione letterale usata dalla Commissione è tale, a mio parere, da rendere possibile un’incertezza nell’interpretazione della norma, in quanto si parla di importo dell’imposta accertata in via provvisoria: la parola «accertata» lascia subito supporre quello che, nella normale procedura fiscale, vuol dire accertamento, mentre l’emendamento tende chiaramente ad evitare, ai fini del riscatto, ogni lungaggine procedurale e a basare l’operazione stessa sulla domanda, sempreché sia redatta nei modi prescritti dallo stesso provvedimento di legge.

A garanzia dunque del fisco e per meglio coordinare le disposizioni dell’articolo in esame con quelle di cui all’articolo 53 che tratta del riscatto parziale, sembra logico proporre che, dopo il secondo comma del testo della Commissione, ne venga aggiunto uno nuovo per chiarire come debba venire lasciato impregiudicato il diritto del fisco, nei soli confronti naturalmente del contribuente, restando cioè salvi i diritti acquisiti dai terzi sui beni risultanti dalle dichiarazioni; perché siano osservate le disposizioni di cui al Capo VI del decreto che regola appunto la materia delle dichiarazioni cui il contribuente è tenuto.

Tale aggiunta è altresì indispensabile nei confronti dei terzi, in quanto, in caso diverso, il riscatto consentito sui valori dichiarati, per le ragioni dianzi esposte, non eliminerebbe le incertezze intorno alla commerciabilità dei beni, per evitare le quali l’emendamento viene proposto.

Si tratta quindi di richiamarsi al principio che già è stato riconosciuto per il riscatto parziale.

L’ultimo emendamento non ha, per vero, bisogno di svolgimento, perché con esso io mi limito a richiedere che gli interessi siano, ai sensi dell’articolo precedente, rimborsati in relazione all’imposta che non risulta dovuta. È una cosa che si impone ed è di così palmare evidenza che mi pare non abbia bisogno da parte mia di ulteriore svolgimento.

PRESIDENTE. Segue un emendamento al secondo comma dell’onorevole Veroni. Ne do lettura:

«Al secondo comma, alle parole: immobiliari, aggiungere le parole: e per i patrimoni costituiti per oltre la metà del loro valore di fabbricati soggetti a vincolo».

L’onorevole Veroni ha facoltà di svolgerlo.

VERONI. Signor Presidente, questo emendamento si riferisce agli immobili che siano soggetti a vincolo. Poiché però la Commissione ha già stabilito, sotto questo riguardo, e precisamente all’articolo 10, che gli immobili soggetti a vincolo godranno di un beneficio generale nella valutazione, rinunzio al mio emendamento.

PRESIDENTE. Sta bene. Segue un emendamento dell’onorevole De Vita, soppressivo dell’ultimo comma. L’onorevole De Vita ha facoltà di svolgerlo.

DE VITA. Ho presentato un emendamento inteso a sopprimere l’ultimo comma dell’articolo 51 il quale dice che il contribuente che dimostra di aver sottoscritto al prestito della ricostruzione può versare fino alla concorrenza del 20 per cento dell’ammontare del riscatto titoli del prestito suddetto, da computarsi al prezzo di emissione.

Testé l’onorevole Cappi ha proposto l’aumento al 30 per cento dei titoli che possono essere versati in conto riscatto. Io faccio notare che, oltre all’agevolazione accordata in sede di accertamento di imposta ai sottoscrittori al prestito della ricostruzione, non trovo giustificata quest’altra agevolazione in sede di pagamento dell’imposta.

CAPPI. Del riscatto.

DE VITA. Riscatto, ma sempre pagamento dell’imposta. Fatto si è che i possessori dei titoli si liberano di questi titoli al prezzo di emissione. Ora, io penso che questa sia una agevolazione per i grossi capitalisti, perché i piccoli risparmiatori, sottoscrittori al prestito della ricostruzione, difficilmente raggiungono il minimo imponibile.

Un’altra considerazione. Questa norma potrebbe determinare anche perturbamenti più o meno profondi nel mercato finanziario dei titoli, per aumenti in un primo momento determinati da una maggiore richiesta dei titoli versati in pagamento dell’imposta; ma siccome lo Stato non può tenere questi titoli, quando esso li rivende, potrà determinarsi un ribasso dei titoli di Stato.

Per questi motivi io chiedo la soppressione dell’ultimo comma dell’articolo 51.

PRESIDENTE. L’onorevole Rescigno ha facoltà di illustrare il seguente emendamento da lui presentato:

«All’ultimo comma, alle parole: fino alla concorrenza del 20 per cento dell’ammontare del riscatto, sostituire le parole: fino alla concorrenza del 40 per cento dell’ammontare del riscatto».

RESCIGNO. Aderisco al 30 per cento proposto dall’onorevole Cappi e mi permetto di far osservare all’onorevole De Vita che la sua preoccupazione non ha ragione di esistere, in quanto il beneficio viene concesso a coloro i quali hanno sottoscritto il Prestito, non a coloro che l’hanno acquistato adesso.

In secondo luogo, poi, il vantaggio, cioè il premio che si vuol dare, è precisamente per i medi risparmiatori, quelli cioè che hanno mostrato di avere fiducia nella rinascita e nella ricostruzione della Patria.

PRESIDENTE. Lei rinuncia al suo emendamento?

RESCIGNO. Sì, aderisco alla misura del 30 per cento proposta dall’onorevole Cappi.

PRESIDENTE. Invito il Relatore ad esprimere il parere della Commissione.

LA MALFA, Relatore. Coll’emendamento all’articolo 51 la Commissione ha spostato completamente il principio ed i criteri del riscatto quali erano posti nella legge sull’imposta patrimoniale del 1920-22 e ripetuti in questa legge.

Nella legge sull’imposta patrimoniale del 1920-22 il riscatto era ammesso dopo l’accertamento provvisorio avanti l’iscrizione della prima rata a pagamento. Per rendere più esigibile l’imposta, cioè per «mobilizzare», come si dice, l’imposta, la Commissione ha anticipato la possibilità del riscatto all’atto della dichiarazione del contribuente. Il contribuente fa una dichiarazione provvisoria di valore. Gli Uffici finanziari sono autorizzati ad accettare un riscatto su questa dichiarazione dei contribuente. Naturalmente rimane fermo il diritto della finanza di rivedere i valori denunciati e di fare gli accertamenti provvisori e definitivi. Con questo sistema, la Commissione, se tutte le date fossero state mantenute ferme – e la data di dichiarazione al 13 luglio – calcolava di guadagnare circa sei mesi per il riscatto; e, quindi, di far influire, di far giocare l’imposta sin dai primi mesi dell’esercizio 1947-48.

Con lo spostamento delle date di denuncia non si può naturalmente tener fermo il termine di riscatto assegnato dalla Commissione e la Commissione avrebbe perciò deciso di portare questo termine al 30 novembre, mantenendo fermo il criterio già adottato di dare al contribuente due mesi per la possibilità del riscatto a partire dalla dichiarazione.

La Commissione non è favorevole all’emendamento Cappi nel senso di ripristinare il termine del Governo e di portare la data ultima di riscatto fino al 10 gennaio, perché più si prolunga il periodo del riscatto e più in certo senso il riscatto vien fatto negli ultimi mesi. Bisogna che anche qui ci sia una pressione sul contribuente, pressione esercitata in maniera che il contribuente non porti il riscatto molto lontano nel tempo. Questo risponde al criterio tenuto presente dalla Commissione di anticipare sempre più gli effetti dell’imposta.

Naturalmente il riscatto è un atto volontario e se il contribuente è in condizioni di liquidità e trova vantaggioso l’abbuono, lo può fare al 30 novembre.

RUSSO PEREZ. Altro che in condizioni di liquidità! Il contribuente è addirittura morto, è schiacciato!

LA MALFA, Relatore. Mi è stato comunicato dal Ministro delle finanze che in Piemonte l’80 per cento dell’imposta proporzionale sul patrimonio è stato riscattato.

RUSSO PEREZ. Vuol dire che là sono ricchi; noi siamo poveri.

LA MALFA, Relatore. Quindi, dicevo che dato il nuovo principio sul quale è fondato tutto il sistema del riscatto dell’imposta progressiva, la Commissione mantiene fermo il concetto e aderisce a spostare il termine al 30 novembre.

In quest’ordine di idee accetterebbe l’emendamento dell’onorevole Micheli inteso a sostituire alla parola «accertato» la parola «liquidato», cioè: l’importo dell’imposta liquidato in via provvisoria. Naturalmente, resta fermo il diritto della Finanza di fare l’accertamento provvisorio e definitivo. È una liquidazione provvisoria che viene fatta.

L’emendamento dell’onorevole Veroni è stato ritirato.

Per quanto riguarda gli altri due emendamenti dell’onorevole Micheli, questi sposterebbero di molto i rapporti fra la Finanza ed il contribuente, sia per quanto riguarda gli interessi (c’è una norma generale in materia finanziaria per cui non si tiene mai conto degli interessi ai fini del rapporto fra contribuente e Finanza) sia per quanto riguarda i rapporti e i diritti dei terzi. Col riscatto i diritti dei terzi, degli istituti fondiari e degli altri istituti che si occupano della proprietà immobiliare sono – a parere della Commissione – convenientemente tutelati.

Estendere la salvaguardia del diritto dei terzi sull’intero patrimonio è – a parere della Commissione – estremamente pericoloso e quindi pregherei l’onorevole Micheli di non insistere su questi due emendamenti.

Rimane il prestito della ricostruzione. Nell’Assemblea si sono manifestati due pareri nettamente contrari: quello dell’onorevole De Vita, che vorrebbe sopprimere l’ultimo comma, e quello dell’onorevole Rescigno e dell’onorevole Cappi che vorrebbe aumentare la quota.

Fra questi due pareri, la Commissione manterrebbe il testo governativo già accettato. Non crede che ci sia possibilità di speculazione sulla concessione perché il contribuente, per aver diritto alla quota di riscatto, deve dimostrare di aver sottoscritto al Prestito. Ora, che cosa può essere avvenuto? Che il contribuente abbia sottoscritto, poi abbia venduto il titolo e poi l’abbia ricomprato. Sono operazioni che possono essere avvenute, ma non possiamo seguirle. Se il contribuente dimostra di aver sottoscritto, e di avere quindi avuto fiducia nel Prestito, non possiamo chiedergli altro. Non possiamo indagare le successive operazioni, tanto più che è difficile stabilire l’identità materiale dei titoli e cioè che colui che ha sottoscritto possegga gli stessi titoli che ha sottoscritto. È vero che c’è una ricevuta provvisoria, ma non c’è nemmeno il numero del titolo. La Commissione ha ritenuto che questo accertamento non si possa fare. D’altra parte, il contribuente ha sottoscritto; oggi presenta per il riscatto un titolo: i due atti, iniziale e finale, sono completi. Per queste ragioni, è preferibile mantenere la formula quale è, e non portarla al 30 per cento, perché questo potrebbe costituire un vantaggio eccessivo per certe categorie. Ma dobbiamo tener presente che noi ammettiamo i Buoni del tesoro ordinario, il Prestito Soleri ed il Prestito della ricostruzione. Non vorrei che l’imposta diventasse una conversione di titoli.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Vorrei domandare alla Commissione se con il testo che ha presentato restano escluse le norme per il riscatto dell’imposta sui valori differenziali fra l’accertamento provvisorio e l’accertamento definitivo. Non è detto niente per questa parte dell’imposta, mentre nel testo originario era consentita la facoltà del riscatto entro la fine di ogni anno.

LA MALFA, Relatore. È giusta l’osservazione dell’onorevole Corbino; ma mi permetto di far rilevare che nel congegno della vecchia imposta patrimoniale si poteva riscattare quasi ogni momento. Ma ciò aveva l’inconveniente che si fissavano a priori delle condizioni di riscatto che può essere conveniente variare nel tempo.

CORBINO. Siamo d’accordo: è soltanto al momento in cui l’accertamento provvisorio diventa definitivo che sorge l’obbligo del pagamento di nuova imposta.

LA MALFA, Relatore. Questa questione è stata esaminata e si è detto: siccome passeranno dei mesi e la Finanza avrà modo di accertare le condizioni del riscatto, lasciamo che questa seconda operazione sia legalmente regolata quando gli uffici finanziari siano in condizione di prendere una posizione. La questione non è chiusa. Il Governo la esaminerà nel momento opportuno.

CORBINO. Per quello che concerne la data, il Presidente della Commissione propone il 30 novembre; io dico che si potrebbe fissare il 31 dicembre con l’obbligo di effettuare il pagamento entro il 10 febbraio: analogamente a quello che stiamo facendo per la decennale.

Insomma, prima della prima rata del 1948 dovrebbe essere avvenuto il riscatto.

PRESIDENTE. Che cosa pensa la Commissione di questa proposta dell’onorevole Corbino?

LA MALFA, Relatore. Non so cosa ne pensi il Governo. Però si dovrebbe anche versare entro il 31 dicembre, perché l’articolo suona così:

«Il contribuente che all’atto della dichiarazione, ecc.», quindi si fissa una data ultima.

PRESIDENTE. Allora la Commissione è d’accordo?

LA MALFA, Relatore. Mi rimetterei alla valutazione del Governo.

CRISPO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. Vorrei chiedere un chiarimento alla Commissione. Vorrei sapere come si coordina la norma dell’articolo 51 con la disposizione che abbiamo già votato questa mattina di cui all’articolo 46; vorrei sapere cioè se, essendo a base del riscatto tanto l’importo accertato in via provvisoria, quanto quello in via definitiva, anche il riscatto sarà eventualmente soggetto a revisione nel caso in cui le Commissioni non accettassero gli accertamenti dell’ufficio. Faccio presente che, praticamente, si verificherà che quando si sarà già riscattato si sarà anche pagato e da parte del contribuente sorgerà la preoccupazione di dover tornare su quello che è stato già fatto se per caso l’accertamento posto a base del riscatto non fosse accettato dalla Commissione.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di rispondere.

LA MALFA, Relatore. Intendo l’obiezione dell’onorevole Crispo, ma non mi pare che ci sia un inconveniente di questo genere perché il riscatto non modifica in nulla i rapporti esistenti dal punto di vista fiscale, fra contribuente e fisco.

Il riscatto vuol dire pagamento anticipato ed il corrispettivo del pagamento anticipato è l’abbuono di imposta. Il debito di imposta fino al riscatto è coperto dal riscatto. Quello che la Finanza pretende in più di imposta sarà regolato in pagamenti rateali, con premi, ma fino all’ammontare del riscatto, compreso l’abbuono, si tratta di un debito di imposta saldato. Quindi non c’è nessuna incompatibilità fra l’articolo 51 e l’articolo 46.

CRISPO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. Chiedevo precisamente questo: se, avvenuto il riscatto, questo copra interamente il debito del contribuente.

LA MALFA, Relatore. No.

CRISPO. Questo chiedevo appunto per sapere se si debba trovare il modo di coordinare l’articolo 46 con l’articolo 51.

CORBINO. La liquidazione è in via provvisoria.

CRISPO. Anche in via definitiva. Fino a quando non si sarà verificata la prescrizione, anche l’accertamento definitivo sarà soggetto a revisione.

LA MALFA, Relatore. Nel momento in cui il contribuente dichiara certi valori mobiliari, su quelli la Finanza fa una liquidazione di imposta e quella è coperta dal riscatto. Se la liquidazione sarà maggiore il contribuente dovrà pagare la differenza.

CRISPO. Non è questo il mio pensiero. Su questo concetto del rapporto fra accertamento provvisorio e accertamento definitivo siamo d’accordo. Io mi riferisco all’accertamento fatto in via definitiva. Siccome questo accertamento di cui all’articolo 46 può restare sub judice fino alla prescrizione dell’azione da parte della Finanza, che cosa avverrà del riscatto che si sarà adempiuto sull’accertamento definitivo quando per caso la Commissione ritenesse che l’accertamento dell’ufficio fosse da rivedere?

ADONNINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ADONNINO. Questo meccanismo del riscatto solleva in me un dubbio che mi pare implichi un inconveniente grave. In questo momento io stesso non saprei come ovviare a questo inconveniente, ma lo segnalo. Dico, dunque, che questo sistema potrà essere un grave ostacolo per chi abbia da vendere. Chi abbia da vendere una proprietà immobiliare, trova questa proprietà immobiliare legata per un tempo che (lo abbiamo visto ora) può essere molto lungo; perché il riscatto lo fa parzialmente su quello che provvisoriamente è stato accertato, e tutto il resto, cioè il di più tra il provvisorio e il definitivo, deve essere cospicuo e quindi la proprietà immobiliare resta immobilizzata per una parte cospicua.

Queste operazioni di accertamento definitivo saranno lunghissime: si tratta di 60 milioni di particelle, per ogni particella bisogna fare la moltiplicazione per quello che sarà intanto stabilito dalla Commissione censuaria centrale, e poi ci sono altri 30 milioni di particelle di fabbricati urbani. Quando si è fatta la risistemazione del catasto nel 1928, ci son voluti 5000 impiegati i quali hanno lavorato per un anno e mezzo: tenuto presente che l’Amministrazione non ha macchine calcolatrici e che tutto questo si fa a mezzo di avventizi che sono poco pratici, ciò che dà luogo anche a moltissimi errori. Ora, se a tutto ciò aggiungete le necessarie contestazioni, vedrete che non siamo troppo lungi dal vero quando diciamo che questi accertamenti possono durare sei, sette anni. Dunque noi immobilizziamo per lo meno una parte della proprietà immobiliare e rendiamo difficili le vendite per tutto questo tempo.

Non saprei in questo momento proporre una maniera per ovviare all’inconveniente, ma comunque lo sottopongo a voi perché ne teniate conto.

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Desidererei far notare che i contribuenti potranno avere pure questa preoccupazione, che i riscatti possano essere anche un criterio per quegli accertamenti presuntivi di cui all’articolo 46. Una persona, appena è accertata l’imposta sul patrimonio, crede di doverla riscattare, ma deve temere che domani questo riscatto sia un’arma per un accertamento presuntivo che sarebbe possibile fino a due anni dopo. Io desidererei che la Commissione ed il Governo considerassero questo aspetto del problema. Quello che ha detto l’onorevole Adonnino non è che la ripetizione, sotto questo profilo, di quello che era stato detto dall’onorevole Fabbri e da me questa mattina. È vero che la legge in altre parti prevede la possibilità di ridurre il privilegio del Governo per l’esazione dell’imposta su determinati immobili, ma fino a quando questa imposta non sarà definitivamente liquidata, l’accertamento, se una parte del patrimonio si può liberare e rendere commerciabile, non si può fare.

Desidererei che tutte queste cose si guardassero, perché noi potremmo provocare il disastro di parecchi patrimoni.

PRESIDENTE. Chiedo quale sia in proposito il pensiero del Relatore.

LA MALFA, Relatore. Se ho ben capito, l’onorevole Crispo pensa al caso che il riscatto sulle dichiarazioni del contribuente possa essere, come debito di imposta, maggiore di quello che si è accertato. Ora io direi che il riscatto, così come è stato congegnato dalla Commissione, toglie qualsiasi preoccupazione di questo genere. Il riscatto viene fatto su dichiarazione del contribuente e sull’imponibile che già risulta, quindi il riscatto è fatto su un debito di imposta minimo possibile; il contribuente non può dichiarare un valore superiore a quello che la Finanza accerterà. Non può sorgere nessun caso di questo genere.

Mi spiego. Il riscatto copre il debito di imposta: una somma x; se la somma è x più venti, si regolerà il rapporto per quel venti. Per l’imposta x la questione è chiusa col riscatto.

FABBRI. Quel venti si può riscattare?

LA MALFA, Relatore. Faccio presente che non è più possibile dar fondo a tutta la materia. Il Governo stabilirà con suo provvedimento le condizioni in cui si dovrà riscattare quella quota.

FABBRI. Con una futura legge.

LA MALFA, Relatore. Con una futura leggina.

Rispondo alle preoccupazioni dell’onorevole Adonnino.

Nel 1920 questa questione del privilegio fiscale e della incommerciabilità dei beni immobili, in conseguenza del privilegio, diede origine ad ampie discussioni, a dibattiti dottrinari, a preoccupazioni legislative. Si risolse questa questione col riscatto parziale e colla possibilità di liberare gli immobili, attraverso garanzie particolari.

Se leggete gli atti parlamentari di quell’epoca, notate che non si poté fare più di questo; e questa fu la soluzione, che ovviò agli inconvenienti denunziati dagli istituti di Credito fondiario. Quell’esperienza è stata trasferita in questa legge. Quindi, gli onorevoli colleghi non abbiano la preoccupazione che si determini il disastro. Molte disposizioni di questa legge sono passate alla prova del fuoco della legislazione del 1920-22.

Ad ogni modo, la Commissione, anche in questa materia, ha cercato di essere larga di criteri. All’articolo 60 si dice:

«È in facoltà dell’Intendenza di finanza di rinunziare, in tutto o in parte, a tale privilegio speciale per tutti gli immobili o per alcuni o parte di essi, contro prestazione di garanzia riconosciuta idonea dall’Amministrazione».

Questo vuol dire che se il contribuente deve vendere un immobile, esso deve mettere la Finanza in condizione di tutelare il suo credito. La Finanza non può andare al di là di questo; non può fare di più.

La Commissione non ha richiesto neanche la garanzia speciale, se il resto del patrimonio è capiente, per tutelare il pagamento dell’imposta.

La Commissione non può distruggere il principio generale che lo Stato deve garantirsi il pagamento dell’imposta.

PRESIDENTE. Comunico che l’onorevole Crispo ha fatto ora pervenire il seguente emendamento aggiuntivo all’ultimo comma:

«L’accertamento definitivo, posto a base del riscatto, non può essere in alcun caso modificato».

LA MALFA, Relatore. In sede di riscatto non si possono fare queste affermazioni; il riscatto è una pura operazione di convenienza del contribuente.

ADONNINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ADONNINO. Ringrazio l’onorevole Relatore della sua risposta e convengo che, allo stato attuale delle cose, dato il meccanismo che creiamo, egli non poteva dirmi altro; ma io ho il dovere di far presente che l’inconveniente rimane e rimane in quanto che la situazione nostra non è come quella del 1922: nel 1922 il debito complessivo si sapeva. Se ne riscattò una parte, per il di più si sa quanto si deve avere.

LA MALFA, Relatore. Ma no; non è così!

ADONNINO. Comunque, ci sia stato o no nel 1922 questo inconveniente; esso nel 1922 si verificò per brevi mesi, mentre ora per lunghi anni potremmo restare in questa situazione, che cioè il di più non si saprà. Come si fa a dire che il di più è garantito su questo fondo o su questo palazzo? La stessa Finanza non potrà essere tranquilla né sarà in grado di rendere tranquillo il proprietario. Io stesso non so quale sistema proporre per ovviare, ma dato il meccanismo, l’inconveniente è innegabile ed è tanto più grave in quanto dura per lungo tempo e costituisce un immobilizzo della proprietà, particolarmente ora che siamo in vista delle riforme strutturali, della proprietà terriera specialmente, e non so in quale misura inciderà.

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Faccio mio il rilievo dell’onorevole Adonnino, ma io ne avevo fatto un altro: data la presenza dell’articolo 49 in questa legge, le parti ed i contribuenti temeranno di esercitare il riscatto, perché esercitandolo, dànno vita alla più forte delle presunzioni che legittimerebbe un ulteriore accertamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Corbino ha presentato il seguente emendamento aggiuntivo:

«Dopo il secondo comma, aggiungere:

«Per il riscatto della quota complementare di imposta, per eventuali accertamenti superiori al valore della dichiarazione saranno dettate norme con successivo provvedimento».

L’onorevole Corbino ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

CORBINO. Illustro subito il mio emendamento. Abbiamo tre tipi di riscatto da contemplare: il riscatto dell’imposta dovuta all’atto della presentazione della dichiarazione; poi l’eventuale riscatto per quello che concerne la differenza di imposta per la differenza di accertamento; poi la probabilità di dover riscattare uno dei cespiti del patrimonio nel caso di vendita a terzi.

Al primo caso provvede l’articolo previsto dalla Commissione col primo capoverso dell’articolo 51. Per il secondo caso ho proposto un emendamento con cui dico così: «Per il riscatto della quota complementare di imposta, per eventuali accertamenti superiori al valore della dichiarazione, saranno dettate norme con successivo provvedimento». Evidentemente noi in questa occasione potremo invocare dal Governo norme chiarificatrici, anche per quello che concerne il riscatto parziale in applicazione dell’articolo 46; così supereremo quest’ostacolo e possiamo andare avanti.

CRISPO. Vi è una terza ipotesi…

CORBINO. L’ipotesi della vendita è contemplata nell’articolo 53.

CRISPO. Non l’ipotesi della vendita; ma l’ipotesi che si sia fatto il riscatto dopo constatata la differenza tra l’accertamento provvisorio e l’accertamento definitivo e che l’accertamento definitivo, dopo che si è esercitato il riscatto, sia soggetto a revisione.

CORBINO. Noi abbiamo ammessa questa ipotesi come conferma di una legislazione già in atto!

FABBRI. Che non c’è!

CORBINO. In tutti gli altri casi di legge questa facoltà dell’amministrazione l’abbiamo già. Qui gli ostacoli sono più gravi: su che cosa possono influire? Evidentemente possono influire sui trasferimenti a titolo oneroso. Ora, l’articolo 53, ultimo comma, contempla questo caso ed esclude i terzi dall’obbligo di qualsiasi rapporto col fisco, perché dice: «…nei confronti del contribuente, delle rettifiche in più o in meno…».

Ad ogni modo io credo che, avendo noi approvato l’articolo 46, non possiamo qui risolvere tutti i casi che si possono presentare. Diamo, quindi, al Governo mandato di emettere, con successivo provvedimento, le norme che contemplano la possibilità del riscatto pelle eventuali differenze di accertamento.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. Cercherò di riassumere brevemente il pensiero del Governo sui diversi argomenti che sono stati toccati nella interessante discussione di questo inizio di seduta. In primo luogo sono d’accordo sullo spostamento al 31 dicembre 1947 del termine del 15 settembre, di cui all’articolo 51, per la presentazione della domanda di riscatto e versamento in Tesoreria in unica soluzione, dell’imposta derivante dalla liquidazione sui valori dichiarati.

Sono d’accordo nella analisi fatta sull’argomento del riscatto, il quale può concettualmente riflettere tre zone distinte del patrimonio tassabile. La prima zona, quella risultante dalla dichiarazione, che è comune a tutti i contribuenti; la seconda zona: quella derivante dall’eventuale supplemento che potrà risultare dovuto in seguito all’accertamento da parte dell’ufficio, e sarà una zona pressoché comune a tutti i contribuenti anche questa.

C’è poi una certa zona che preoccupa l’onorevole Crispo in particolar modo, ed è quella derivante da eventuali nuovi accertamenti di iniziativa delle Commissioni giudicanti ai sensi dell’articolo 46.

Per le ragioni dette stamani, io penso che questa terza zona rappresenterà l’eccezione; però dobbiamo porla nel campo delle cose concrete, e quindi regolarla ai fini del riscatto.

L’onorevole Corbino, presentando un suo emendamento (sebbene esso sia l’ultimo ad essere stato presentato, ne parlerò prima per connessione di argomento) ha chiarito una posizione che deriva dal cambiamento di sistema per la riscossione adottato dalla Commissione nei suoi emendamenti.

Effettivamente, stabilito il concetto, secondo la Commissione, che l’imposta scade col 31 dicembre 1948 per la generalità dei contribuenti, salvo la scadenza del 31 dicembre 1949 per i contribuenti che hanno un patrimonio prevalentemente immobiliare, ed adottato il concetto che i pagamenti successivi dànno luogo ad un interesse compensativo o dimora del 2 per cento, evidentemente, se non si dicesse altro, il riscatto non potrebbe che riguardare quella parte, di cui si anticipa il pagamento, cioè quella parte relativa alla dichiarazione.

Poiché sarebbe materia più teorica che pratica considerare un supplemento di pagamento di imposta derivante da accertamento che potesse maturare entro il 31 dicembre 1948 o entro il 31 dicembre 1949, io accetto l’emendamento dell’onorevole Corbino come raccomandazione al Governo di adottare facilitazioni a favore di quei contribuenti che anche posteriormente al 1948-49, intenderanno rinunciare alla facoltà di proroga dei tre anni o dei cinque anni, che sarebbe accordata secondo gli emendamenti della Commissione.

Per quanto riguarda l’emendamento dell’onorevole Cappi, il quale vorrebbe portare al 30 per cento la quota del 20 per cento in Prestito della ricostruzione, io avrei risposto favorevolmente, se questo riscatto, nel sistema della Commissione – che sembrava dovesse restare definitivo – avesse dovuto riguardare soltanto il patrimonio risultante dalla dichiarazione provvisoria.

In tal caso mi sarebbe stato facile concludere che, se il Governo già configurava un 20 per cento per il riscatto sull’intero patrimonio, nessuna difficoltà vi poteva essere di portare al 30 per cento la quota di titoli afferente alla dichiarazione provvisoria.

Ma, riportati i termini della questione nelle dimensioni iniziali, in forza dell’emendamento Corbino, credo di dover pregare l’onorevole Cappi di non insistere sullo spostamento dal 20 al 30 per cento.

Vi è una seconda questione sollevata dall’onorevole Cappi, in ordine alla dimostrazione di possesso dei titoli sottoscritti.

Mi riallaccio, a questo punto, alle considerazioni svolte dall’onorevole De Vita in materia di facilitazioni in favore dei sottoscrittori del Prestito della ricostruzione 3,50 per cento. Il Governo, stabilendo di accettare il 20 per cento a favore dei sottoscrittori del Prestito, e in genere a favore dei possessori del Prestito, ai fini del riscatto, senza aggiungere il requisito del continuato possesso dei titoli, o, quanto meno, del possesso al momento del riscatto, si era preoccupato di difendere tecnicamente il corso del titolo 3,50 per cento. Infatti, se è vero che concedendo il pagamento in titoli anche a favore di persone che non fossero gli originari sottoscrittori, si dava a prima vista l’impressione di favorire la speculazione, è da osservare, invece, approfondendo meglio la materia, che proprio questi acquisti fatti sul mercato avrebbero portato a quella difesa del corso dei titoli, che rappresenta forse, la migliore facilitazione nell’interesse di tutti ì sottoscrittori.

Orbene, questo punto di vista può anche essere modificato, dopo il provvedimento di conversione facoltativa del Prestito. Non esiste più una fondamentale preoccupazione di difesa del corso in favore dei sottoscrittori, quando al sottoscrittore è offerta la possibilità di conversione al 5 per cento. Ed è per questa considerazione che, pur non nascondendomi la difficoltà della dimostrazione del possesso, quale deriva dalla seconda parte dell’emendamento Cappi, non mi oppongo – e mi perdoni la Commissione se, per una volta, non sono perfettamente d’accordo con le sue conclusioni – non mi oppongo alla seconda parte dell’emendamento.

Per quanto riguarda il primo emendamento dell’onorevole Micheli, io penso che l’onorevole collega sia d’accordo con l’onorevole Relatore, quando questi suggerisce di modificare l’emendamento, nel senso di sostituire alla parola «accertatogli», la parola «liquidatogli»; mantenendo ferme le parole «in via provvisoria, sulla base della dichiarazione stessa», perché, se adottassimo l’intera frase «liquidatogli secondo la dichiarazione» potrebbe nascere qualche dubbio e cioè si potrebbe dubitare che esso abbia una portata di liquidazione definitiva dell’imposta, ciò che non è.

Mi perdonerà l’onorevole Micheli, se, per gli altri due emendamenti, non posso dare parere favorevole, per le ragioni che ha esposte il Relatore e che faccio mie.

Vorrei ancora dire all’onorevole De Vita che non è intenzione dello Stato di rimettere in circolazione i titoli del 3,50 per cento ricevuti in pagamento; l’intenzione precisa è di distruggere i titoli ricevuti in pagamento. Non possiamo metterci nella situazione del debitore il quale, dopo aver ritirato una cambiale, anziché essere buon amministratore e quindi anziché distruggerla, cerca il modo di rimetterla di nuovo allo sconto, cioè di rimetterla in circolazione.

Era giusta la preoccupazione dell’onorevole De Vita prima di questa assicurazione; desidero, perciò, dargli atto che l’intenzione del Governo è di far sì che non vengano più messi in circolazione i titoli ritirati in pagamento parziale.

Vi è poi il grosso argomento – forse più grosso a parole che non a fatti concreti – che affiora periodicamente nella discussione: quello degli intralci che si opporrebbero alla circolazione dei beni immobili in dipendenza dei privilegi cautelativi che vengono riservati alla Finanza dalla legge in discussione. Io penso, onorevoli colleghi, che siamo tutti d’accordo nell’ammettere che esiste in ordine gerarchico una preoccupazione numero uno, che è quella di garantire l’esazione dell’imposta a favore dell’erario.

Questo fa sì che tutte le altre passino in secondo piano.

È da osservare, però, che quando si fa riferimento ad un’esperienza del 1922, si dimentica che ci si trovava allora in una situazione più preoccupante dell’attuale, perché si trattava di un’imposta che si pagava per un periodo decennale e, per la categoria dei cespiti immobiliari, addirittura in un periodo di venti anni. E se gravi inconvenienti non si sono verificati per un’imposta che teoricamente avrebbe immobilizzato tutto il settore immobiliare per venti anni, io dovrei pensare – prima conclusione – che minor preoccupazione ci dovrebbe essere per un’imposta la quale dovrebbe in parte immobilizzare questo settore per quattro o per sei anni solamente.

Ma non credo neppure in questa immobilizzazione, perché gli articoli 53 e 60 della legge dovrebbero essere sufficientemente idonei ad eliminare le preoccupazioni degli onorevoli Condorelli ed Adonnino. L’articolo 53, infatti, all’ultimo comma, sia nella formulazione del Governo che in quella della Commissione, affronta proprio l’ipotesi peggiore da questo punto di vista, l’ipotesi cioè di un contribuente il cui patrimonio non abbia ancora formato oggetto di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria.

In questo caso, è data facoltà all’Amministrazione finanziaria di determinare provvisoriamente il valore dell’intero patrimonio e il valore dello stabile che si vorrebbe riscattare ai fini della vendita, affinché si possa liberare lo stabile dal vincolo del privilegio.

E voi vedete bene, onorevoli colleghi, come si dica chiaramente che tale valutazione provvisoria serve solo ai fini della liberazione del privilegio, del riscatto del privilegio. È evidente che se il Governo e la Commissione si sono preoccupati di formulare questa ipotesi, ciò è stato appunto per venire incontro al massimo grado a queste liberazioni parziali degli immobili, che si intende di riscattare.

Ma questo primo motivo di tranquillità è inoltre rafforzato dal disposto dell’articolo 60, là dove si dice (e si dice qualche cosa che non è la ripetizione dell’articolo 53, ma che si aggiunge all’articolo 53), essere in facoltà dell’intendenza di finanza di rinunciare in tutto o in parte al privilegio speciale per tutti gli immobili, o per alcuni di essi, o parte di essi, contro prestazione, ecc., e questo indipendentemente dalle procedure di riscatto.

Ora, arrivati a questo punto – e prendo veramente atto dell’onesta dichiarazione dell’onorevole Adonnino: «io non so che cosa potrei proporre» – debbo concludere che oltre questi limiti, per sedare le legittime preoccupazioni dei contribuenti, non sarebbe possibile andare senza compromettere seriamente l’interesse dell’Amministrazione finanziaria alla riscossione.

Io prego gli onorevoli Condorelli e Adonnino di volere, là dove sentano preoccupazioni in questa materia, fare opera di persuasione o dare assicurazioni, a nome dell’Amministrazione finanziaria, che tutto sarà fatto perché la legittima libera circolazione dei beni immobili non soffra per queste disposizioni.

Un’ultima preoccupazione ha fatto presente l’onorevole Condorelli, ed è questa: che il fatto del riscatto possa rappresentare un indice ai fini dell’accertamento presuntivo. Dichiaro che l’Amministrazione finanziaria chiarirà, in sede di istruzioni, che il fatto del riscatto non deve essere considerato come indice presuntivo ai fini della determinazione di eventuali quote addizionali ai sensi dell’articolo 26 e successivi della legge.

Tutto questo ritengo che l’Amministrazione debba fare per incoraggiare le operazioni di riscatto, che penso saranno effettuate dai contribuenti in larga misura.

E anche per questo, siccome ho l’impressione che si diffonda troppo una voce secondo cui l’Amministrazione, in via induttiva, penserebbe di colpire i contribuenti che riscattano (e personalmente sono preoccupato anche delle ragioni per cui questa voce viene così largamente diffusa) io pregherei gli onorevoli colleghi di farsi interpreti, in omaggio a chiare necessità di ordine civico, delle dichiarate intenzioni dell’Amministrazione in ordine a questa materia. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Allora, possiamo passare finalmente ai voti.

CRISPO. Aspettavo chiarimenti dall’onorevole Ministro sul mio emendamento.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo perdono all’onorevole Crispo. L’onorevole Crispo propone che l’accertamento definitivo posto a base del riscatto, non possa essere in alcun modo modificato. Ora, credo di essere nel vero, quando affermo che il pagamento del debito di imposta, qualunque sia la forma in cui abbia luogo, o nella via normale, attraverso le consuete rateazioni, o nella vita anticipata di un riscatto, non può interferire con la liquidazione dell’ammontare del debito.

Indipendentemente da qualsiasi considerazione di merito, siccome si viene a proporre una questione di ordine generale, che cioè una determinata modalità di pagamento possa influenzare quello che è il definitivo accertamento dell’onere d’imposta, mi duole di non potere accettare l’emendamento dell’onorevole Crispo.

CRISPO. Ma il concetto mio si riferisce alla definitività dell’accertamento. È inconcepibile il definitivo accertamento con la possibilità di revisione. Se l’accertamento è definitivo, non consente ulteriori decisioni. Non è la modalità del pagamento, ma dell’accertamento.

PELLA, Ministro delle finanze. Con queste credo che l’onorevole Crispo voglia arrivare alla seconda zona dicendo: se c’è il riscatto, non si arriva alla terza zona dell’articolo 46; ed è appunto per questo che io non posso dare parere favorevole a qualche cosa che contenga una limitazione nella applicazione dell’articolo 46 in dipendenza dell’anticipato pagamento dell’imposta. È cioè per la difesa dell’articolo 46, su cui abbiamo tanto battagliato stamane, che mi induco a non accettare l’emendamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Bertone ha fatto pervenire il seguente emendamento:

«Aggiungere il seguente comma:

«Se il riscatto è fatto negli anni successivi, il premio di cui sopra è ridotto rispettivamente al 6 e all’8 per cento. Non è ammesso il riscatto dell’ultimo anno dell’imposta».

L’onorevole Bertone ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

BERTONE. Il progetto del Governo ammetteva il riscatto negli anni successivi, ogni anno meno l’ultimo. Viceversa, il progetto della Commissione – nel lodevole intendimento di procurare all’erario un forte gettito – ha incoraggiato il riscatto con agevolazioni maggiori ma limitandolo, però, al primo anno.

A me pare che la limitazione del diritto di riscatto al primo anno sia per riuscire forse troppo gravosa al contribuente. Chi si trova a dover pagare al primo anno, magari d’un colpo, uno o due milioni per il riscatto, forse non ce la fa; o anche il piccolo proprietario che non possa pagare tre o quattro centomila lire, il primo anno per il riscatto, è probabile che nell’anno successivo sia in condizioni di potere riscattare le rate d’imposta che ancora ha da pagare.

Perciò io proporrei che il riscatto possa operarsi anche nelle annate successive, meno l’ultima, non essendo più urgente il bisogno di incassare, dal momento che l’imposta viene pagata normalmente nelle rate bimestrali.

D’altra parte io penso che far sì che la Tesoreria non abbia l’immediata disponibilità di tutte le somme che possono rappresentare il riscatto dell’imposta sia una cosa utile anche per la stessa Tesoreria. È inutile che ce lo nascondiamo, qualche volta la Tesoreria è un po’ il figliuol prodigo: se ci sono larghi mezzi si spendono. Viceversa noi abbiamo bisogno di assicurare entrate all’erario per una serie di anni che non sappiamo quanti saranno, ma che non saranno pochi. Quindi se un gettito straordinario – che ci auguriamo alto ed imponente – viene pagato non tutto in una volta ma ripartito in tre o quattro anni, questo rappresenterà un sollievo non solo per il contribuente ma anche per la cassa dell’erario ed una garanzia che queste somme saranno spese forse meglio appunto perché ripartite in diverse annate.

Quindi prego la Commissione ed il Governo di volere prendere in benevola considerazione questo emendamento che in fondo risponde al concetto primitivo del Governo.

Potrebbe darsi che questo rientri nella formula già adottata dall’onorevole Corbino e non avrei nessuna difficoltà ad accedervi. Se in quel provvedimento integrativo, che sarà adottato successivamente, s’introducesse oltre quanto è già stato suggerito dall’onorevole Corbino anche questa possibilità di rimandare il riscatto nelle annate successive, mi appagherei, e non avrei ragione d’insistere.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Questa mattina, approvando l’articolo 48 proposto dalla Commissione abbiamo accettato di dividere i contribuenti per il termine di un anno nel caso di patrimoni prevalentemente mobiliari e di due anni nel caso di patrimoni immobiliari, e si è consentito al contribuente di chiedere una dilazione rispettivamente in quattro e sei anni. Evidentemente il contribuente che chiede la dilazione in quattro per uno o in sei per due anni, non può ricevere l’agevolazione del riscatto perché il massimo che gli si può concedere è che paghi subito l’imposta dovuta risparmiando solo il due per cento d’interessi applicati come mora per il ritardato pagamento. Tuttavia credo che il concetto espresso dall’onorevole Bertone non si debba lasciar cadere così. Noi potremmo pregare il Governo che, in sede di emanazione di quelle disposizioni che contemplano il riscatto dalla seconda «zona», come l’ha brillantemente definita il Ministro, detti qualche norma per il caso che il riscatto sia chiesto prima della scadenza dell’anno o dei due anni entro i quali l’imposta avrebbe dovuto essere pagata.

Credo che questo possiamo farlo a titolo di raccomandazione.

PRESIDENTE. Quale è il pensiero della Commissione?

LA MALFA, Relatore. Il caso contemplato dall’onorevole Bertone si pone nell’anno o nei due anni in cui c’è il debito d’imposta. Può sorgere la possibilità di riscatto dopo la scadenza del 30 novembre e prima del 31 dicembre 1948-49.

Appunto perciò la Commissione non ha voluto regolare questo caso perché dopo il 30 novembre il Governo potrà, in base all’esperienza, prendere opportuni provvedimenti. Mi associo alla raccomandazione ed accetterei l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Corbino per le quote integrative.

PRESIDENTE. Onorevole Ministro?

PELLA, Ministro delle finanze. Sono d’accordo con il Relatore.

ARATA. Chiedo la parola per un chiarimento.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.

ARATA. È previsto o no un accertamento definitivo? In che cosa consiste l’accertamento definitivo? Lo si ha a dichiarazione? Con il concordato?

Ecco la mia domanda: Quante forme di riscatto abbiamo? Tre riscatti, cioè un riscatto in base a dichiarazione del contribuente; un secondo, che dovrebbe essere definitivo, in base a concordato; ed un terzo in base ad un eventuale accertamento delle Commissioni provinciali?

PRESIDENTE. L’onorevole Pella ha facoltà di parlare.

PELLA, Ministro delle finanze. In ordine al concetto della definitività di accertamento riassumo brevemente quale è il corso normale della procedura:

1°) dichiarazione del contribuente, oppure omessa dichiarazione del contribuente;

2°) attività accertatrice dell’ufficio in sede di rettifica della dichiarazione presentata oppure in mancanza della dichiarazione presentata;

3°) eventuale concordato col contribuente, oppure discussione davanti ai collegi, in modo da ottenere una decisione passata in giudicato, oppure una sentenza passata in giudicato qualora per questioni di diritto, esaurito il contenzioso amministrativo, si passasse davanti alla Magistratura ordinaria.

Allorquando noi ci troviamo davanti a un concordato o davanti a una decisione o una sentenza passata in giudicato, il patrimonio è definitivamente accertato, secondo il linguaggio tecnico tributario. È vero che in questo caso il concetto è inesatto perché l’articolo 46 lascia la possibilità di una ulteriore integrazione. Ma, onorevoli colleghi, non è la prima volta che in sede tecnica si incontrano termini che assumono un determinato significato, il quale si può scostare dal significato generale volgare. Abbiamo discusso sulle ragioni, a mio avviso insuperabili, per le quali sarebbe stato un errore sopprimere l’articolo 46.

Per quanto riguarda il problema dal riscatto, salvo la porta aperta dall’onorevole Corbino col suo emendamento, in cui si inserisce poi a titolo di raccomandazione l’emendamento dell’onorevole Bertone, è opportuno tener presente che il riscatto ha un significato se viene proposto entro il 31 dicembre 1948, per quanto riguarda i patrimoni prevalentemente mobiliari, entro il 31 dicembre 1949 per quanto riguarda i patrimoni prevalentemente immobiliari. Se entro quell’epoca ci si trova davanti ad un accertamento definitivo nel senso tributario della parola, quindi anteriore all’eventuale applicazione dell’articolo 46, può essere proposto un problema di riscatto rispetto a questo intero patrimonio in forza dell’emendamento dell’onorevole Corbino. In forza del testo che stiamo votando adesso, il riscatto sarebbe proponibile soltanto fino ai limiti della dichiarazione. Se invece quella definitività si verifica posteriormente al 31 dicembre 1948 o al 31 dicembre 1949, il problema del riscatto non può essere proposto che nei confronti del patrimonio dichiarato.

PRESIDENTE. Onorevole Cappi, mantiene il suo emendamento?

CAPPI. Rinuncio all’emendamento per la parte concernente il ripristino del testo governativo, purché il termine per il riscatto sia portato, come il Governo ha accettato, al 31 dicembre.

Per quanto riguarda invece l’aumento dal 20 al 30 per cento della quantità dei titoli del Prestito della ricostruzione da versarsi in conto riscatto, sono costretto ad insistere.

Propongo inoltre che il premio di riscatto sia elevato dall’8 al 10 per cento e, nel caso di patrimoni costituiti per almeno due terzi da cespiti immobiliari, dal 12 al 14 per cento.

PRESIDENTE. Sta bene. L’onorevole Micheli insiste nei suoi emendamenti?

MICHELI. Il primo emendamento è stato accettato, in quanto che io pure accetto le parole «in via provvisoria». Quanto agli altri due, giacché tanto la Commissione che il Governo ritengono di non poterli accettare, li ritiro.

PRESIDENTE. Procediamo allora alla votazione degli emendamenti. Iniziamo con la modifica proposta dall’onorevole Corbino per il primo comma dell’articolo 51, la sostituzione cioè della data del 31 dicembre a quella del 15 settembre.

Pongo ai voti la proposta di modifica dell’onorevole Corbino.

(È approvata).

Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Micheli. Al primo comma alle parole «accertatogli in via provvisoria» sostituire le parole «liquidatogli in via provvisoria».

(È approvato).

Pongo ai voti l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Corbino che diviene terzo comma nel testo della Commissione:

«Per il riscatto del deposito dovuto per maggiori accertamenti in confronto della dichiarazione, saranno dettate norme con successivo provvedimento».

BERTONE. Si potrebbe inserire come emendamento la mia raccomandazione, dire cioè: «Per l’eventuale riscatto dopo il primo anno sarà provveduto a ridurre il premio rispettivamente al 6 e all’8 per cento».

PELLA, Ministro delle finanze. Prego l’onorevole Bertone di limitarsi alla raccomandazione, perché dobbiamo armonizzare il concetto di riscatto dopo il primo anno col concetto dell’interesse aggiuntivo. Questo è l’aspetto delicato, che può suggerirci di restare sul terreno della raccomandazione.

BERTONE. Quando dico «per l’eventuale riscatto» dico che potrebbe anche non ammettersi.

PRESIDENTE. Credo che l’onorevole Bertone possa contentarsi della raccomandazione.

BERTONE. Purché risulti a verbale che la mia proposta è accettata dal Governo come raccomandazione.

PRESIDENTE. Resta inteso così; ella rinuncia all’emendamento e lo trasforma in raccomandazione che il Governo accetta.

Pongo ai voti l’emendamento Corbino, già letto.

(È approvato).

LA MALFA, Relatore. Desidero rilevare un errore di carattere tipografico. Nella seconda colonna dello stampato, a pagina 41, a fianco del comma: «In tutti i casi di versamento diretto in Tesoreria non compete alcun aggio all’esattore ed al ricevitore provinciale», manca la parola «identico», poiché quel comma rimane anche nel testo proposto dalla Commissione.

PRESIDENTE. D’accordo. Comunque era già stata data lettura dell’articolo nel testo esatto.

Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Cappi tendente ad elevare dal 20 al 30 per cento l’ammontare del riscatto che può essere versato con titoli del Prestito della ricostruzione aggiungendo la precisazione: «purché il contribuente dimostri di essere tuttora in possesso dei titoli sottoscritti».

Ricordo che il Governo e la Commissione hanno dichiarato di essere contrari a questo emendamento.

(Non è approvato).

Vi è poi un secondo emendamento dello stesso onorevole Cappi, che propone di elevare il premio di riscatto dall’8 al 10 per cento nel primo comma e dal 12 al 14 per cento nel secondo.

Quanto alla data in cui il versamento del prezzo del riscatto deve essere effettuato, Governo e Commissione sono concordi nel fissarla al 31 dicembre, e tale data è accettata dall’onorevole Cappi che rinunzia al termine del 10 gennaio 1948 inizialmente indicato.

Pongo dunque ai voti innanzi tutto la fissazione della data al 31 dicembre.

(È approvata).

Dovrò ora porre ai voti la proposta Cappi che porta i premi di riscatto rispettivamente al 10 e al 14 per cento.

LA MALFA, Relatore. Debbo un chiarimento all’onorevole Cappi ed è questo: per l’imposta proporzionale, riscattando si ha un abbuono del 10 per cento d’imposta. Ma in quel caso si tratta di 10 rate, qui si tratta di 6 rate, e l’8 per cento, comparato alla proporzionale, è un giusto tasso. Per queste ragioni di carattere obiettivo, la Commissione non accetta l’emendamento. Gli abbuoni vanno riferiti al tempo di anticipo del pagamento.

PRESIDENTE. Prego il Ministro delle finanze di esprimere il proprio parere.

PELLA, Ministro delle finanze. Il Governo non sarebbe stato contrario ad aumentare queste agevolazioni per il riscatto, soprattutto con il significato di rimettere all’Assemblea la decisione al riguardo. È esatto però che, quando si è detto l’8 per cento, «in funzione del cambiamento del sistema dell’imposta che scade al 31 dicembre, ecc.» si cercò un equivalente anche rispetto al 10 per cento per la proporzionale. Vorrei pregare l’onorevole Cappi di trasformare in raccomandazione questo suo emendamento.

PRESIDENTE. Onorevole Cappi, è d’accordo?

CAPPI. Sono d’accordo.

SCOCCIMARRO. Se non ho mal compreso mi pare che il Ministro abbia detto che accetta questa proposta a titolo di raccomandazione, ma in questa materia mi pare che la raccomandazione non vada. Qui si decide una aliquota od un’altra e qui il Governo non può mutare, di sua iniziativa l’aliquota. (Commenti).

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Una cosa è certa; che tutto quanto viene accettato a titolo di raccomandazione, agli effetti di un successivo provvedimento legislativo quale è quello che potrà nascere dall’ordine di idee enunciate dall’onorevole Corbino, fa parte di quel materiale preparatorio che viene appunto accolto con il cortese riguardo che è dovuto alla collaborazione che l’Assemblea può dare al Governo.

Tutto questo potrà entrare in un eventuale successivo provvedimento legislativo.

PRESIDENTE. Allora, onorevole Cappi, dopo le spiegazioni date dal Ministro delle finanze, conferma di ritirare il suo emendamento?

CAPPI. Sì.

CRISPO. Domando la parola.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. Dichiaro di far mio l’emendamento Cappi.

PRESIDENTE. Pongo ai voti l’emendamento Cappi, fatto proprio dell’onorevole Crispo, con il quale si propone di portare il premio di riscatto dall’8 al 10 per cento e dal 12 al 14 per cento.

(Non è approvato).

Vi è infine l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Crispo:

«L’accertamento definitivo posto a base del riscatto non può essere in alcun modo modificato».

Lo pongo ai voti.

(Non è approvato).

L’articolo 51 si intende approvato con gli emendamenti testé votati.

DE VITA. Faccio presente che vi era anche un mio emendamento soppressivo dell’ultimo comma.

PRESIDENTE. Tale emendamento può ritenersi assorbito dalle votazioni effettuate.

Vi è la proposta di un articolo aggiuntivo 51-bis presentato dall’onorevole Clerici.

Mi sembra più opportuno che l’onorevole Clerici la ripresenti, se crede, come aggiunta all’articolo 60.

CLERICI. Sta bene.

PRESIDENTE. Segue l’articolo 52 che la Commissione accoglie nel testo ministeriale.

Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«L’Amministrazione finanziaria può, in qualsiasi momento, disporre d’ufficio il riscatto della imposta straordinaria sul patrimonio, quando vi sia fondato motivo che possa venir meno la garanzia del credito erariale».

PRESIDENTE. Non essendovi osservazioni l’articolo si intende approvato.

Passiamo all’articolo 53.

Se ne dia lettura nel testo proposto dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«È autorizzato il riscatto parziale per i singoli cespiti o per una frazione di essi, mediante il pagamento della corrispondente quota d’imposta, sempre quando l’Amministrazione finanziaria ritenga sufficientemente garantito dal restante patrimonio il residuo debito, ovvero quando venga offerta altra garanzia idonea.

«La somma da versare per il riscatto parziale si determina in base all’ammontare dell’imposta che si ottiene applicando al valore del cespite cui il riscatto si riferisce l’aliquota corrispondente al valore dell’intero patrimonio a norma dell’articolo 29.

«Il valore dell’intero patrimonio e quello della porzione di esso per la quale si chiede il riscatto sono determinati di ufficio, ai soli fini del riscatto stesso, in via provvisoria e senza pregiudizio, nei confronti del contribuente, delle rettifiche in più o in meno da effettuarsi sulle risultanze dell’accertamento definitivo».

PRESIDENTE. Su questo articolo, l’onorevole Micheli ha presentato i seguenti emendamenti:

«Al primo comma, sopprimere le parole: sempre quando l’Amministrazione finanziaria ritenga sufficientemente garantito dal restante patrimonio il residuo debito, ovvero quando venga offerta altra garanzia idonea».

«Sostituire il terzo comma col seguente: «Il riscatto parziale avviene con le modalità e gli effetti, anche nei confronti dei terzi, di cui al precedente articolo 51, determinandosi la parte di imposta da riscattare in proporzione dei valori dichiarati per ciascun cespite».

«Aggiungere, in fine:

«il riscatto parziale può essere chiesto ed accordato in ogni momento per le rate di imposta ancora dovute, durante il periodo di ratizzazione previsto dall’articolo 48».

Ha facoltà di svolgerli.

MICHELI. Come l’altra volta, continuerò ad esaminare brevissimamente gli emendamenti.

L’onorevole Ministro ha accennato all’importanza dell’istituto del riscatto e si è augurato che in larga misura accorrano i contribuenti a farne uso, dichiarando anche che, con questo, lo Stato intendeva di andare incontro alle legittime aspirazioni di coloro i quali chieggono che la commerciabilità degli stabili non venga turbata. Però ha aggiunto argomentazioni che vengono un poco a sminuire questa sua preambola dichiarazione…

Una voce a sinistra. Preambola?…

MICHELI. Non piace? La sostituiremo con qualche parola migliore; per ora affidiamo il nostro allobrogo modo di esprimerci all’onorevole Targetti, affinché voglia risciacquarlo in Arno!

Dicevo, appunto, che l’onorevole Ministro nella seconda parte, disse che effettivamente non c’era questa ragione di preoccuparsi gravemente della questione che si era messa in discussione nei riguardi del riscatto, perché effettivamente vi era stato l’esperimento dell’altra legge.

È vero, l’esperimento dell’altra legge c’è stato, molti anni fa, in altre situazioni, ed essa soprattutto è ben diversa da questa, per il sacrificio che si chiede ai contribuenti, attraverso aliquote molto più formidabili, le quali renderanno per molti più gravoso e più difficile il riscatto. D’altronde egli ha detto che, nel rispondere, si valeva dell’esperienza dell’Amministrazione; ora, io faccio osservare che l’Amministrazione non può possedere che una esperienza unilaterale non già quella di coloro i quali per l’arte e la professione loro controllano la formazione dei contratti e la stipulazione di essi e che si sono trovati, per un numero di anni notevolissimo, in mezzo a questo genere di affari.

E qui conviene accennare a quello che è l’ostacolo grave è cioè la difficoltà per la quale si rimandano tante stipulazioni. Posso assicurare l’onorevole Ministro che sempre sino a questi ultimi tempi, ogni volta che si faceva un atto, la tribolazione principale era proprio quella di andare ad appurare se la tassa sul patrimonio era pagata o meno e questo ha portato spesso incagli notevolissimi.

Io non affermo già che questi non si possano eliminare; al contrario dico che si possono eliminare con il riscatto, ma appunto per ciò lo Stato deve favorire il riscatto, anche per favorire la commerciabilità degli stabili, venendo ad ovviare ad una situazione che si annuncia veramente grave perché le Casse di risparmio e gli Istituti di credito fondiario hanno delle regole in materia che sono molto precise e rigide nella richiesta delle garanzie. Ecco dunque perché dico che la tassa sul patrimonio, per gli enti fondiari, è un forte ostacolo al loro funzionamento.

Ora, una quantità di contribuenti dovrà pure provvedere a pagare la patrimoniale con dei debiti. Finora c’era stato un flusso notevole di richieste oggi tutte ferine come se fosse calata una saracinesca. Ora, di tutto questo non possiamo non preoccuparci; e allora io dico: onorevole Ministro, bisogna in tutti i modi favorire il riscatto, renderlo snello, agevole, facilitarlo.

Di quello generale abbiamo già parlato; ma esso servirà a pochi: ed è di quello parziale che ora in modo particolare ci dobbiamo interessare, perché è il riscatto parziale che può maggiormente agevolare la commerciabilità degli stabili. Difficilmente infatti uno vende tutto il suo patrimonio e difficilmente si determinerà a riscattare l’intera tassa patrimoniale. L’onorevole Ministro lo sa e lo ha anche accennato: c’è la contrarietà generale al riscatto nella pubblica opinione; tanta gente, troppa sia pure, dice: a pagare c’è sempre tempo.

Ma vi è un secondo punto della questione; ed è che questi signori dicono anche: Se tu paghi, dimostri di avere quattrini in abbondanza e quindi ecco che tu sarai preso di mira dalla Finanza, che ti metterà in uno schedario speciale, sempre in vista!

Non basta dunque, onorevole Ministro, la sua dichiarazione che Ella non terrà conto di questo, perché c’è da tener presente la mentalità dei funzionari i quali, in quel benedetto metodo induttivo tanto in voga ora, come faranno a non trarre le illazioni che ho sopra prospettato?

Noi dunque, per avviare le pratiche di riscatto, dobbiamo essenzialmente agevolarle ed è soprattutto su quelle parziali che noi maggiormente ci dobbiamo fondare, anche perché sono quelle che rendono meglio il criterio, a cui appunto si è ispirata la Commissione, almeno a parole, di voler consentire la maggiore possibile libertà agli stabili.

Ora, il primo comma, così come è stato presentato nel testo del decreto, subordina l’operazione di riscatto parziale alla condizione che l’Amministrazione finanziaria ritenga sufficientemente garantito dal restante patrimonio il residuo debito, ovvero che venga offerta altra garanzia idonea. E allora noi, con questo criterio, veniamo a mettere in essere una delle garanzie, col sostituirne una coll’altra; e non vorrei che questi, in pratica, fosse un ostacolo alla concessione del riscatto parziale, perché la nuova garanzia richiede un apprezzamento da parte dell’Amministrazione finanziaria, che deve essere basato sopra accertamenti e valutazioni i quali senza dubbio sono tali da neutralizzare il beneficio che la norma si propone, di rapido incasso da una parte per lo stato e della libera commerciabilità dei beni per il contribuente. È vero che è detto nell’articolo stesso che si deve fare in via provvisoria, ma in via provvisoria non vuol mica dire in via rapida, breve… ma che dopo dovrà passare al definitivo, e quindi altri esami, accertamenti. Le parole del Ministro a bene sperare danno ragione, ma ridebimus infra.

PRESIDENTE. Onorevole Micheli, veda di stringere!

MICHELI. Onorevole Presidente, mi pare d’esser stato stretto finora, ed io restringerò ancor di più, e la Commissione non so se potrà fare altrettanto nei suoi piacevoli favoleggiari.

Parmi necessario, per coordinare le disposizioni in materia di riscatto, di sopprimere nel primo comma le parole che ammettono che quando non si ritenga questo sufficientemente garantito, si possa sostituire con idonea garanzia. Non mi persuade troppo perché lasciamo una certa, forse troppa, latitudine ai funzionari. A maggiore garanzia dell’Amministrazione e per coordinare meglio le norme relative al riscatto, ho proposto anche l’altra forma: «Il riscatto parziale avviene con le modalità e gli effetti di cui all’articolo 51, determinandosi la parte di imposta da riscattare in proporzione dei valori dichiarati per ciascun cespite».

Tenuto presente, inoltre, che mentre il riscatto totale può effettuarsi per l’improrogabile data, ora portata al 31 dicembre, il riscatto parziale deve – mi pare che sia implicito nelle dichiarazioni fatte, ma non c’è nulla scritto; ed è per questo che io lo chieggo – avvenire anche durante l’intero periodo della rateazione dell’imposta, per le rate ancora da scadere.

Quindi, mi pare sia opportuno fare un esplicito cenno in coda a questo articolo, con un altro comma il quale dica: «Il riscatto parziale può essere chiesto ed accordato in ogni momento per le rate di imposta ancora dovute, durante il periodo di ratizzazione previsto dall’articolo 48».

Non voglio altro aggiungere, signor Presidente, per dimostrarle che sono stato di stretta osservanza.

PRESIDENTE. L’onorevole La Malfa è invitato ad esprimere il parere della Commissione sugli emendamenti dell’onorevole Micheli.

LA MALFA, Relatore. Considero in blocco tutti e tre gli emendamenti dell’onorevole Micheli.

Questa questione del riscatto parziale, istituto che è stato introdotto per favorire i movimenti della proprietà immobiliare, ha dato luogo ad esperienze nel 1920-22, ed è stato il limite massimo di libertà di contrattazione che si è potuto dare al contribuente, non venendo meno alla necessità di garantire in maniera assoluta l’Amministrazione finanziaria.

Quindi, la Commissione non è favorevole ad accogliere gli emendamenti primo e secondo dell’onorevole Micheli.

Accetterebbe invece il concetto espresso nel terzo emendamento Micheli, però con una dizione un po’ più aderente alle necessità della determinazione di quando si può fare il riscatto. Io presento questo emendamento senz’altro.

PRESIDENTE. Si tratta dunque di un emendamento all’emendamento dell’onorevole Micheli.

Prego l’onorevole Ministro di esprimere il pensiero del Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. Mi associo alla Commissione.

PRESIDENTE. Onorevole Micheli, lei insiste nei due primi emendamenti? La Commissione ed il Governo si sono espressi negativamente.

MICHELI. La Commissione è stata così cortese nei miei riguardi che mi rimetto completamente a quanto vorrà fare: prenda i miei tre emendamenti e ne faccia quel tanto che crede sia opportuno. A me importava che fosse accolto il mio principio.

PRESIDENTE. Comunico che la Commissione, aderendo al concetto espresso nel terzo emendamento dell’onorevole Micheli, ha formulato l’ultimo comma dell’articolo nei seguenti termini:

«Il riscatto parziale dev’essere domandato al competente Ufficio distrettuale delle imposte dirette entro il giorno 10 del mese precedente a quello della scadenza di ciascuna rata d’imposta e si riferisce a tutte le rate non ancora scadute. Il versamento in Tesoreria dev’essere effettuato entro il mese di scadenza della rata stessa».

Il Ministro accetta questa formulazione?

PELLA, Ministro delle finanze. Accetto la nuova formulazione, soprattutto pensando a quel nuovo provvedimento che potrà nascere dall’emendamento dell’onorevole Corbino con la raccomandazione dell’onorevole Bertone.

PRESIDENTE. Pongo allora in votazione questo emendamento nella formulazione testé letta:

(È approvato).

L’articolo 53 si intende approvato con questo emendamento.

Passiamo all’articolo 54 (Capo X, Sanzioni).

Se ne dia lettura nel testo governativo accettato dalla Commissione:

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il contribuente che ometta di presentare la dichiarazione nei termini stabiliti è soggetto al pagamento di una sopratassa pari all’ammontare dell’imposta definitivamente accertata, ed è punito con l’ammenda da una metà all’intera somma dell’imposta stessa.

«La sopratassa stabilita nel comma precedente è ridotta ad un terzo, nei casi in cui il contribuente presenti la dichiarazione entro 60 giorni dalla scadenza del termine, e l’ammenda non si applica.

«Ove il contribuente presenti la dichiarazione nei termini stabiliti dall’articolo 30, omettendo l’indicazione di uno o più cespiti, è soggetto ad una sopratassa pari alla quota proporzionale di imposta definitivamente accertata sui cespiti omessi, ed è punito con l’ammenda dalla metà all’ammontare della quota stessa.

«La soprattassa prevista nel comma precedente è ridotta ad un terzo, ove il contribuente dichiari i cespiti stessi entro 60 giorni dalla scadenza del termine, e l’ammenda non si applica.

«Ove il contribuente dichiari un valore imponibile inferiore a quello minimo determinato secondo le norme degli articoli da 34 a 37, è soggetto ad una pena pecuniaria pari alla differenza tra l’imposta liquidata sul valore determinato secondo le norme degli articoli sopra citati e quella liquidata sul valore dichiarato.

«La pena pecuniaria non si applica quando l’imposta di cui l’Erario sarebbe stato defraudato non supera il quinto dell’imposta dovuta».

PRESIDENTE. A questo articolo è stato presentato il seguente emendamento dell’onorevole Bosco Lucarelli:

«Sostituirlo col seguente:

«Il contribuente che omette di presentare la dichiarazione nel termine stabilito è punito con una sopratassa del venti per cento.

«La sopratassa è ridotta alla metà se è presentata nei trenta giorni dal termine.

«Una eguale sopratassa del 20 per cento si applica per i cespiti omessi nella dichiarazione, e detta sopratassa è ridotta alla metà se i cespiti omessi vengano successivamente dichiarati nei 60 giorni dal termine».

Onorevole Bosco Lucarelli, mantiene l’emendamento?

BOSCO LUCARELLI. Sì.

PRESIDENTE. Ha facoltà di svolgerlo.

BOSCO LUCARELLI. Lo svolgerò brevissimamente.

A me sembra che l’articolo 54, come è stilato nel testo, porti una eccessività nelle penalità, eccessività che poi diventa ancor più gravosa se l’Assemblea approvasse l’emendamento degli onorevoli Scoccimarro e Veroni che vi aggiunge l’arresto fino ad un anno.

VERONI. Onorevole Bosco Lucarelli questo era legato al giuramento. Non essendo stato approvato il giuramento, l’emendamento mio e dell’onorevole Scoccimarro e il suo non hanno più ragione di essere.

BOSCO LUCARELLI. Io mi preoccupo dell’importo della sovratassa che è pari all’ammontare dell’imposta, tanto più che vi si aggiunge un’ammenda che va dalla metà dell’imposta all’intera imposta stessa. Il che significa che fra sovratassa e ammenda si può raggiungere il duecento per cento dell’imposta. Ora bisogna tener presente che i grossi contribuenti, ì grossi capitalisti difficilmente ometteranno la denunzia. Se qualche omissione vi sarà essa si verificherà tra i piccoli e i medi contribuenti. Forse la mia proposta sarà troppo tenue. Ma, fra il troppo dell’articolo 54 e il troppo tenue del mio emendamento, si può anche trovare una giusta via di mezzo.

Le cose sono ancora più gravi quando le stesse norme si applicano per i cespiti che non sono stati denunziati. Ora, l’omissione della denunzia di un determinato cespite può anche dipendere da cause occasionali che possono anche non essere frutto di un dolo. Né l’Amministrazione può assodare se c’è dolo o no. Allora, in questa omissione parziale, è tanto più gravosa la norma che può portare la penalità ad un duecento per cento fra sovratassa e multa. In altri termini, si assorbirebbe completamente il patrimonio. Ma questo non sembra giusto né regolare né opportuno, perché sopprimere interamente il cespite non è buona regola finanziaria.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Scoccimarro e Veroni hanno presentato i seguenti emendamenti:

«Dopo il secondo comma aggiungere il seguente:

«Trascorso inutilmente tale termine, il contribuente è punito, oltre che con le pene pecuniarie di cui al primo comma, con l’arresto fino ad un anno».

«Al terzo comma, dopo le parole: stabiliti dall’articolo 30, omettendo, aggiungere la parola: però».

L’onorevole Scoccimarro ha facoltà di svolgerli.

SCOCCIMARRO. Desidero confermare che le ragioni per cui avevo presentato l’emendamento aggiuntivo al secondo comma non esistono più, e quindi lo ritiro.

All’onorevole Bosco Lucarelli vorrei osservare che se il giuramento fosse stato accettato, avrei anche potuto comprendere una attenuazione dell’aspetto finanziario della sanzione, ma siccome quella proposta è stata respinta, a me pare che il testo presentato dal Governo sia abbastanza equilibrato.

Rinunzio anche all’altro emendamento, puramente formale.

PRESIDENTE. L’onorevole Caroleo ha posto il seguente emendamento:

«Aggiungere, in fine, il seguente comma:

«Per i depositi e conti presso istituti di credito e casse postali, omessi in tutto o in parte nella dichiarazione, la pena sarà corrispondente all’entità dei valori occultati. Questi, se ancora disponibili all’atto dell’accertamento d’ufficio, resteranno avocati allo Stato, in soddisfacimento della pena pecuniaria predetta».

Lo mantiene?

CAROLEO. Essendo rimasto il segreto bancario, ritiro l’emendamento.

PRESIDENTE. Sta bene. Resta allora soltanto l’emendamento dell’onorevole Bosco Lucarelli. Onorevole Bosco Lucarelli lo mantiene?

BOSCO LUCARELLI. Lo mantengo, salvo che il Governo non dichiari di attenuare la sovratassa.

PRESIDENTE. Domando il parere della Commissione.

LA MALFA, Relatore. La Commissione è di parere contrario.

PRESIDENTE. Qual è il parere dell’onorevole Ministro delle finanze?

PELLA, Ministro delle finanze. Contrario.

PRESIDENTE. Onorevole Bosco Lucarelli, mantiene ugualmente il suo emendamento?

BOSCO LUCARELLI. Lo ritiro.

PREZIOSI. Faccio mio l’emendamento dell’onorevole Bosco Lucarelli.

PRESIDENTE. Dovrò allora mettere ai voti l’emendamento Bosco Lucarelli fatto proprio dall’onorevole Preziosi.

PELLA, Ministro delle finanze. Desidero chiedere all’onorevole Presidente, in relazione a due modifiche o integrazioni che il Governo intenderebbe proporre per la migliore efficacia nel sistema di sanzioni, se sono stati presentati altri emendamenti.

PRESIDENTE. No.

PELLA, Ministro delle finanze. Nel sistema delle sanzioni pregherei di introdurre due modifiche; una in senso d’integrazione delle sanzioni, perché rileggendo l’articolo 54 osservo che non esiste una specifica sanzione nel caso che sia stato dichiarato un debito inesistente.

Infatti l’articolo 56 non è idoneo per colpire questa ipotesi. L’articolo 56 contempla la cosiddetta frode contabile.

Poi avrei voluto affrontare il problema della sorte delle sanzioni nell’ipotesi di concordato, tenendo conto che il concordato è strumento di primissimo ordine per permettere all’Amministrazione finanziaria di arrivare alla definizione delle contestazioni.

Una voce. Che cosa propone per il concordato?

PELLA, Ministro delle finanze. Le vie possono essere due. Premetto che, nell’ipotesi di concordato, ritengo debbano concedersi attenuazioni alle sanzioni, altrimenti succede che una volta commessa la violazione il contribuente ha tutto l’interesse a portare la contestazione il più a lungo possibile, in quanto non ha nessun vantaggio a definire celermente.

L’agevolazione di cui si tratta potrebbe trovarsi in primo luogo nel quadro della legge organica del settembre 1931 che riguarda le dichiarazioni e le sanzioni in materia di imposte dirette. Il sistema – se la memoria non mi tradisce – è il seguente: le sanzioni per omessa dichiarazione sono ridotte alla metà o anche ad un quarto, se si tratta di ritardo inferiore al mese nella presentazione della dichiarazione, per le sopratasse a carattere civile e ad un quarto per l’ammenda, che ha carattere penale; mentre invece nel caso di infedele dichiarazione il concordato importa l’annullamento della sopratassa.

Se poi non vogliamo rientrare nel sistema tributario della legge del settembre 1931, potremmo adottare un diverso criterio.

Devo dichiarare che l’Amministrazione non ritiene sottinteso il richiamo alla legge del 1931, perché con il capo che stiamo discutendo, il quale s’inizia con l’articolo 54, regoliamo per intero tutta la materia; per cui malamente potrebbe sostenersi l’applicabilità delle disposizioni della legge del settembre 1931.

PRESIDENTE. Comunico che viene ora presentato alla Presidenza il seguente emendamento aggiuntivo al terzo comma dell’articolo. Esso è del seguente tenore:

«Al terzo comma, dopo le parole: o più cespiti, aggiungere: o dichiarando debiti che risultino fittizi».

L’emendamento reca le firme degli onorevoli Castelli Edgardo, Scoca, Coccia, Veroni, Nasi, Tosi, Castelli Avolio, Arcaini, Pesenti e Bassano.

Il Governo e la Commissione dichiarano di essere favorevoli a questo emendamento.

CANNIZZO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CANNIZZO. Io desidererei un chiarimento, vale a dire se per debito fittizio si debba intendere anche il debito di cui non si riesce a giustificare l’impiego.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE, Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Credo che convenga adottare una formula che non lasci possibilità di equivoci. Se questa formula deve essere vasta, possiamo mettere in relazione la vastità della formula con la gravità della sanzione, eventualmente per attenuare quest’ultima. Io penso che dobbiamo configurare la sanzione per tutte quelle ipotesi in cui il debito denunciato nella dichiarazione non venga, per una qualsiasi ragione, ammesso in detrazione in sede di definizione dell’accertamento.

Se adottassimo una formula diversa, comprenderemmo soltanto una parte di questa ipotesi e forse incapperemmo in quella che è già contemplata nell’articolo 56.

Io pregherei cioè di considerare l’ipotesi del debito esposto e non ammesso. Lascio agli onorevoli proponenti di esaminare se possa trovare accoglimento un altro concetto; la legge del settembre 1931, se non erro, esonera dalla sanzione, quando l’esistenza del cespite da dichiarare poteva essere fondatamente messa in discussane. Anche qui si ammette la possibilità di un apprezzamento della buona fede in ordine alla esistenza del debito esposto. Comunque, salvo questo correttivo, pregherei di adottare la formula più ampia possibile.

PRESIDENTE. Allora, se non c’è nessuna modificazione di questo emendamento…

CANNIZZO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CANNIZZO. Mi sembra molto grave questa situazione per cui pregherei il Governo di cercare di attenuare la disposizione, perché già in base a quelle che abbiamo detto stamani, parlando di presunzione e di debito contratto per vivere, oggi si può arrivare a una conseguenza ancora più grave; che ci sia un debito del quale non si può dimostrare l’impiego.

PELLA, Ministro delle finanze. Possiamo parlare di «debito inesistente».

DUGONI. Attenzione, si peggiora la situazione!

LA MALFA, Relatore. È molto più grave una sanzione per debito inesistente. «Debito fittizio», mi pare una espressione che dia il concetto di dolo o frode; «debito inesistente», non esiste per ragioni obiettive perché il creditore lo nega. C’è una disposizione che dice: se il creditore nega il debito, il debito non esiste.

Io direi di mantenere la formula «debito fittizio» che è una presunzione di frode al fisco.

CANNIZZO. Io intendo riferirmi a un’altra cosa; il debito che viene detratto dal passivo perché il contribuente non ne può dimostrare l’impiego. C’è l’articolo 22. Non dobbiamo aggiungere ingiustizia ad ingiustizia.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Mi pare che qui rientriamo in pieno nella questione che era stata rinviata quando abbiamo discusso l’articolo 23. All’articolo 23 il testo della Commissione diceva: «Quando l’esistenza di un debito di qualsiasi natura, denunciato dal debitore agli effetti della detrazione dal proprio patrimonio, è negato dal creditore, il rapporto giuridico è dichiarato inesistente a tutti gli effetti, anche fra le parti», ecc. Abbiamo discusso su questa formulazione e non ci siamo trovati d’accordo e si è pertanto rinviata la decisione su tutto l’articolo.

Ora rientriamo in pieno nella stessa questione.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Relatore. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Fittizio per me vuol dire che il debito è detraibile, cioè la Finanza lo deve mettere in detrazione, ma è fittizio nel senso che c’è una frode. Se il debito è inesistente, oppure se esiste e la Finanza non lo mette in detrazione, non si può applicare la sanzione.

BERTONE. Quale debito più fittizio di quello dichiarato di una persona che afferma di non essere stata mai creditore?

LA MALFA, Relatore. Se il creditore dichiara che il debito non esiste, evidentemente ci può essere un suo interesse. Allora, in quel caso, non è una dichiarazione fittizia, è una dichiarazione di debito inesistente. Fittizio è un debito che alla Finanza risulta come debito nel senso che ha tutti gli elementi per essere detraibile, e dall’accertamento risulta che è un debito fittizio.

BERTONE. Ma chi dichiara la fittizietà? La questione dei debiti deve essere affrontata organicamente.

DUGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Io cercherei di chiarire il problema dicendo che si deve parlare di passività invece che di debito per avere un concetto più generico e mantenere la parola «fittizio» oppure una parola che in altri termini contenga il concetto di dolosità. Si potrebbe adoperare, per esempio, la parola «simulazione». Si può parlare di passività simulata. Fittizio e simulato sono due concetti che si avvicinano.

CANNIZZO. In sostanza «fittizio» e «simulato» sono la stessa cosa; però io proporrei di introdurre questo: «I debiti, i quali, pur non risultando detraibili, sono veri»; in questo caso non vengono colpiti dall’imposta

Ci sono due criteri. Il credito è vero o simulato; se vero, può essere detraibile? no. I crediti veri non detraibili credo siano assimilati ai fittizio. Questo è il mio timore.

Prego di introdurre una formula tale, da escludere che gli uffici finanziari possano dare questa interpretazione molto restrittiva alla dizione «debito fittizio».

BUBBIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BUBBIO. Nella passata seduta ho fatto la proposta che questa materia fosse sottoposta a revisione più approfondita, perché molto delicata, anche per interferenze di carattere legale e giuridico.

Siccome questa sanzione è una specie di conseguenza dell’articolo 23, faccio proposta formale perché questa materia sia rinviata allo studio dell’articolo 23; dopo di che collocheremo una sanzione anche in questo campo, a suo tempo.

TOZZI CONDIVI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOZZI CONDIVI. Una formula, sia pure ristretta, potrà dirimere la questione e lasciare minore possibilità di discussione. Direi: «debito già detratto dall’ufficio e riconosciuto fittizio».

Spiego questo mio concetto. Il contribuente presenta questo debito, lo discute con l’ufficio, il quale riconosce che è inesistente, in qualsiasi forma che non sia fraudolenta; l’ufficio detrae il debito; se poi accerta, in un secondo tempo, che il debito è fittizio, allora la sanzione deve essere applicata.

L’onorevole Bertone sosteneva che questa fittizietà potrà essere accertata attraverso l’azione giudiziaria; questo non importa. La sanzione verrà applicata quando verrà riconosciuta la fittizietà.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro.

PELLA, Ministro delle finanze. Bisogna riassumere i termini della questione. Vi sono debiti e debiti; vi sono debiti che saranno ammessi in detrazione, e debiti che non saranno ammessi in detrazione.

I debiti proposti nella dichiarazione e non ammessi poi in detrazione, hanno l’effetto che può avere la mancata dichiarazione di un cespite attivo. Cioè, il danno per la Finanza è di avere un’iscrizione provvisoria inferiore a quella che si sarebbe avuta, nell’ipotesi che il debito non fosse stato dichiarato. Questo è un danno comune a tutti i debiti, che non saranno ammessi; sia quelli che nascono da un comportamento fraudolento del contribuente, sia quelli che nascono da un comportamento di buona fede del contribuente. Ed è per questo che io, per la ipotesi del debito denunciato e non ammesso in detrazione, propongo di adottare quella stessa sanzione, di carattere civile, che è adottata nei confronti di chi dichiari per i cespiti in attivo valori inferiori a quelli minimi voluti dalla legge.

Ciò salvo migliore controllo e la inserzione dell’emendamento, là dove l’onorevole Castelli Avolio lo ritenga opportuno. Mi sembra così raggiunto un primo risultato. Se teniamo conto – e lo dico per tranquillità dell’onorevole Cannizzo – che noi abbiamo già posto il principio, che penso sarà accolto, di una attenuazione delle sanzioni nella ipotesi di concordato e siccome, con tutta probabilità, nel caso di presentata dichiarazione, le sanzioni di carattere civile finiranno per essere condonate, evidentemente il problema che poniamo presuppone la presentazione di una dichiarazione. Perciò io credo che il dichiarante, che in buona fede ha insinuato un debito, che poi non può essere ammesso in detrazione, avrà delle conseguenze solo se riterrà di affrontare il giudizio delle Commissioni. Sotto questa luce desidererei venisse messo il problema. Perciò, quale prima conclusione, prego di considerare l’ipotesi del debito inesistente e non soltanto del debito fittizio e di inserire la sanzione nel sistema delle sanzioni per chi dichiara un valore inferiore al minimo voluto dalla legge.

Esiste poi l’ipotesi del dolo, ma questa ipotesi è affiancata, alla messa in atto di una qualche cosa che è o una registrazione contabile o l’improvvisazione di un documento o l’iscrizione in un inventario. È l’ipotesi della frode contabile, contemplata dal successivo articolo 56 che si sovrappone alla sanzione di carattere civile, che riguarderà tutti i debiti.

D’altra parte, l’articolo 54 rientra nel sistema delle sanzioni in materia di imposte dirette perché trae origine (cito a memoria, e se sbaglio vi prego di correggermi) dall’articolo 18 della richiamata legge del 17 settembre 1931.

Per quanto riguarda i debiti fittizi, è necessario adottare un trattamento più grave, trattamento più grave che deriva dall’applicazione dell’articolo 56 che contempla l’ipotesi di un reato, e nella specie, un delitto; siamo al di là della contravvenzione ed infatti si parla di multa, non di semplice ammenda.

Perciò credo che la questione finisca per potersi risolvere senza rinvio.

È necessario che questa sanzione si riferisca alla dichiarazione di debiti inesistenti, inserendo l’ipotesi là dove si prevede il caso del contribuente che dichiara un valore imponibile inferiore a quello minimo determinato.

Prego l’onorevole Castelli Avolio di esaminare l’articolo e di concludere se l’inserzione nel punto che egli indica porti alle conclusioni alle quali il Governo vuole arrivare. Porta a quelle conclusioni? Allora non è il caso di rinviare.

CAROLEO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAROLEO. Ritengo che in questa materia occorra andar cauti, per non mettere il fisco in una situazione difficile per l’accertamento della veridicità o della simulazione, ma io credo che si debba abbinare l’articolo 23 e sono per il rinvio.

Credo che noi potremo uscire da questo groviglio di difficoltà stabilendo il principio che possono detrarsi soltanto i debiti di data certa anteriore al 28 marzo 1947.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Io sono favorevole al rinvio anche perché desidererei dal Governo un chiarimento su questo punto: che cosa avviene se nelle dichiarazioni il contribuente dichiara un debito vero e reale, fatto per sottoscrivere al prestito, e questo non dica, dal momento che si è voluta stabilire la disposizione – secondo me illogica e antigiuridica – che quel debito non si deduce?

Il debito è vero e reale – questa è l’ipotesi fatta dalla legge – ed il contribuente non aggiunge, per esempio, il perché lo ha fatto. Che cosa succede se il fisco scopre che il debito è vero e reale ma che il contribuente lo fece per sottoscrivere al prestito?

Gli impegni di esenzione assunti dal Governo dove vanno a finire?

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Bubbio, di rinviare la decisione su questa questione a quando sarà discusso l’articolo 23.

(È approvata).

Passiamo all’articolo 55, sul quale non sono stati presentati emendamenti. Se ne dia lettura nel testo governativo, accettato dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Colui che, pur avendo un patrimonio che non raggiunge il minimo imponibile, è tuttavia tenuto a presentare la dichiarazione ai sensi dell’articolo 30, incorre, ove la ometta, nell’ammenda da lire 5000 a lire 30.000.

«Se presenta la dichiarazione con un ritardo non superiore a 60 giorni dalla scadenza del termine, l’ammenda è ridotta ad un terzo».

PRESIDENTE. Non essendovi osservazioni, l’articolo si intende approvato.

Passiamo all’articolo 56, pure accettato dalla Commissione nel testo governativo. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Chiunque, allo scopo di occultare o sottrarre all’imposta straordinaria progressiva attività patrimoniali, altera i registri contabili, o omette negli inventari la iscrizione di attività, o vi iscrive passività inesistenti, o forma scritture od altri documenti fittizi preordinati a nascondere in tutto o in parte la verità, ovvero commette altri fatti fraudolenti diretti allo stesso fine, è punito con la multa da lire 10.000 a lire 5.000.000.

«Qualora gli atti di cui al precedente comma riguardino le società indicate nell’articolo 31, sono soggetti alla multa anche i rappresentanti legali delle società stesse».

PRESIDENTE. Su questo articolo è stato presentato un emendamento riguardante il primo comma, a firma degli onorevoli Rossi Paolo, Arata ed altri.

L’emendamento è così formulato:

«Alle parole: è punito con la multa da lire 10.000 a 5.000.000, sostituire le seguenti: è punito con la reclusione fino a 6 mesi e con la multa da lire 50.000 a 5.000.000».

L’onorevole Arata ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

ARATA. Noi intendiamo soltanto aggiungere alla penalità puramente pecuniaria contemplata nell’articolo 65, una pena detentiva, aumentando altresì il minimo della sanzione da lire 10 mila a lire 50 mila. Se vogliamo che in Italia si instauri un costume tributario è necessario incominciare a fare qualche cosa di serio. Purtroppo, l’Italia è la Nazione maggiormente generosa verso gli evasori nei confronti del fisco.

Ora, qui la materia prevista dall’articolo 56 contempla delle falsità ideologiche vere e proprie.

CRISPO. Sarà il Codice penale che provvederà.

ARATA. Questi non sono fatti punibili in base al Codice penale. Io penso, con i colleghi firmatari dell’emendamento, che un inasprimento delle sanzioni sia, oltre che giuridicamente, anche moralmente accettabile.

CAROLEO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAROLEO. Noi potremmo superare l’emendamento Arata, facendo un rinvio al Codice penale per i reati che sono previsti in questa materia e che sono perseguibili con pene ancora più gravi di quelle che il proponente indica nel suo emendamento.

PRESIDENTE. L’onorevole La Malfa ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

LA MALFA, Relatore. La Commissione mantiene il testo del Governo.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. Mi associo al parere della Commissione.

Se può servire come formula di transazione, non ho difficoltà a suggerire di cominciare l’articolo 58 con un richiamo alle disposizioni del Codice penale: «Ferme restando le maggiori pene stabilite dalla legge, ecc.».

Effettivamente, l’articolo 58, s’aggiunge alle norme del Codice penale comune, perché colpisce una forma di falso ideologico sul piano dell’atto privato, mentre il Codice penale comune colpisce il falso ideologico soltanto negli atti pubblici.

PRESIDENTE. Passeremo ora alla votazione sull’emendamento proposto dagli onorevoli Rossi Paolo, Arata ed altri.

CRISPO. Chiedo di parlare, per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. Dichiaro di votare contro, innanzi tutto perché ritengo che la sanzione pecuniaria contemplata nell’articolo 56 sia già di per sé eccessiva, una volta che consente una latitudine che va da un minimo di dieci mila lire ad un massimo di cinque milioni. Ma voto contro per un’altra ragione ancora, perché cioè non è possibile configurare in una legge speciale un reato di falso ideologico in scrittura privata, dal momento che, secondo le norme del Codice penale, non si riconosce la possibilità di configurare un falso ideologico in iscrittura privata punibile; cosicché si verrebbe a stabilire una contraddizione evidente fra il Codice penale che non contempla questo reato e l’attuale legge. (Commenti a sinistra).

Una voce a sinistra. E tutte le leggi annonarie?

CRISPO. Non capisco che cosa c’entrino le leggi annonarie!

Per queste ragioni dichiaro di votare contro.

SCOCA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCA. Desidero dichiarare, signor Presidente, che voterò contro, ma non già per le ragioni addotte dall’onorevole Crispo, perché ritengo perfettamente lecito che l’Assemblea possa creare una figura di reato una volta che essa sta a legiferare e una volta che non è in contrasto con la norma fondamentale del Codice penale.

Voterò contro, perché ritengo che in questa materia tanto più le pene sono gravi, tanto meno si applicano: è un concetto che ho ripetuto anche in seno alla Commissione, è un concetto la cui veridicità è confermata dall’esperienza. (Interruzione del deputato Gavina – Commenti).

PRESIDENTE. Pongo ai voti l’emendamento.

(Dopo votazione per alzata e seduta e per divisione, è approvato – Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Ricordo all’Assemblea che, come è stato ieri deciso, l’esame di questo disegno di legge dovrà proseguire in seduta notturna. (Commenti).

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Sono stato io a chiedere ieri sera la seduta notturna. Essendo però venuto a conoscenza dell’intenzione del Relatore di chiedere il rinvio della discussione appena si sarà giunti all’articolo 68, dato che la Commissione non ha avuto tempo di esaminare gli emendamenti presentati al Titolo II e al nuovo Titolo sugli enti collettivi, penso che sarebbe inutile venire qui alle 22, per andarcene dopo poco.

Perciò propongo senz’altro il rinvio della discussione a domani mattina. (Approvazioni).

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. La Commissione deve esaminare tutti gli emendamenti relativi all’imposta straordinaria patrimoniale proporzionale e deve esaminare il titolo aggiuntivo sugli enti collettivi.

Quindi si può scegliere: o esaurire tutti gli articoli fino all’imposta straordinaria proporzionale stasera, e domattina la Commissione si riserva di esaminare gli emendamenti sull’imposta proporzionale e sugli enti collettivi in modo che l’Assemblea possa discutere nel pomeriggio di lunedì; oppure rinviare gli articoli fino all’articolo 67 a domattina. Ma perderemmo un giorno.

Io sarei favorevole ad esaurire gli articoli stasera fino al 67, e lasciar libera la Commissione domattina per esaminare l’imposta straordinaria proporzionale e sugli enti collettivi e rinviare quindi la seduta da stasera a lunedì nel pomeriggio. E ciò perché, onorevoli colleghi, se noi esauriamo gli articoli fino al 67, domattina la Commissione sarà stanca e non potrà esaurire due argomenti: la proporzionale e gli enti collettivi. Quindi noi non siamo in grado di riferire su questi due titoli importantissimi che nella seduta di lunedì.

PRESIDENTE. Faccio osservare che, data la necessità di procedere speditamente nei lavori, una sospensione fino a lunedì non è possibile.

LA MALFA, Relatore. Onorevole Presidente, bisogna risolvere questo problema: se la Commissione non ha a disposizione la mattinata di domani per esaminare questi due importanti argomenti, li dovrà esaminare lunedì nel pomeriggio.

PRESIDENTE. Onorevole La Malfa, domattina vi sarà seduta alle 9.30 per lo svolgimento di due interpellanze rivolte al Ministro della pubblica istruzione. Nel frattempo la Commissione potrà continuare i suoi lavori e giungere in seduta quando l’Assemblea avrà esaurito le interpellanze.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Desidero richiamare l’attenzione dell’Assemblea sul fatto che siamo di fronte a due problemi di estrema importanza che non possono essere liquidati dalla Commissione in breve volgere di tempo.

C’è un problema nuovo per il quale abbiamo un progetto di Governo. La Commissione deve avere il tempo di esaminarlo e non è da pensare che la Commissione possa sbrigarsene in mezz’ora o in un’ora. Io che per primo ero favorevole a fare sedute notturne anche tutti i giorni, non ritengo che ora sia il caso di fermarsi poco tempo stasera per poi dover lasciare e riprendere domani. Invece è molto più opportuno che la Commissione abbia stasera la possibilità di riunirsi e di riferire domani in Assemblea. Ma se ci convochiamo stasera, questa possibilità per la Commissione viene a mancare.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Io mi associo alla proposta Scoccimarro. La seduta notturna di oggi giungerebbe impensatamente e per molti di noi improvvisata.

PRESIDENTE. Non è affatto improvvisata. Era già stata predisposta.

MICHELI. Il lavoro che dovrebbe fare così l’Assemblea non sarebbe utile. È molto più utile che si riunisca la Commissione in modo da poter domani riferire.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Relatore di esprimere il suo avviso.

LA MALFA, Relatore. Devono essere ancora approvati, per arrivare alla imposta proporzionale, dodici articoli. Credo che la seduta di domani sarà impegnata per l’esame di questi dodici articoli. Ecco perché proponevo di esaminarli stasera.

PRESIDENTE. Vi è dunque la proposta dell’onorevole Scoccimarro, alla quale si è associato l’onorevole Micheli, di non tenere seduta stasera.

La pongo ai voti.

(È approvata).

Domani vi sarà seduta alle 9.30 per lo svolgimento delle due interpellanze al Ministro della pubblica istruzione e per il seguito della discussione del decreto sull’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio, discussione che potrà farsi dopo che la Commissione, tenendo seduta stasera e domattina, avrà concluso il suo esame.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro del tesoro, per sapere se ritengano tollerabile la situazione creata all’Opera nazionale invalidi di guerra, cui sono stati assegnati mezzi assolutamente inadeguati ad assolvere i compiti che le sono attribuiti dalla legge e che sono sempre più onerosi, sia per il crescente numero degli assistiti, sia per l’aumento dei costi, particolarmente degli apparecchi ortopedici e dei ricoveri ospedalieri e sanatoriali.

«Vigorelli, Bastianetto, Facchinetti, Fantuzzi, Carignani, Cavallari, Russo Perez».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro del tesoro, per sapere se, visto lo stato di arretratezza delle pratiche di pensione di guerra, le quali vanno accumulandosi in modo deplorevole, non ritengano di prendere radicali provvedimenti al fine:

1°) di mettere immediatamente la Direzione generale delle pensioni di guerra in grado di disporre di locali adatti e di personale adeguato, assegnandole gli uni e gli altri in numero sufficiente alle sue improrogabili necessità;

2°) di fare funzionare soddisfacentemente tutte le Commissioni mediche per le pensioni di guerra, dotandole della necessaria attrezzatura e del personale relativo.

«Cavallari, Russo Perez, Bastianetto, Fantuzzi, Giacchèro, Carignani».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri ed il Ministro del tesoro, per sapere se – mentre appare doveroso sollecitare i lavori della Commissione interministeriale per la riforma della legislazione delle pensioni di guerra – non ritengano frattanto assolutamente equo ed urgente accogliere le richieste dell’Associazione nazionale mutilati ed invalidi di guerra in ordine:

1°) all’adeguamento delle pensioni di guerra e relative indennità accessorie, in misura non inferiore a quanto accordato ai dipendenti statali;

2°) alla concessione di razioni viveri – come vigenti per i militari – a favore dei grandi invalidi, dei tubercolotici delle prime quattro categorie e dei mutilati incollocabili per legge.

«Carignani, Bastianetto, Giacchèro, Facchinetti, Cavallari, Fantuzzi, Russo Perez».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare i Ministri dell’interno e della pubblica istruzione, per sapere come intendano provvedere al ricovero ed all’educazione professionale dei minori infortunati civili, per cui in atto viene provveduto sporadicamente senza alcuna organicità e coordinamento; e se conoscono che di oltre 10 mila minori, i ricoverati non assommano che a poche centinaia.

«Per conoscere, inoltre, se intendono superare le difficoltà che si frappongono acché i collegi dell’ex G.I.L. vengano ceduti all’Opera nazionale per gli invalidi di guerra, che è l’Ente preposto per legge all’assistenza dei minori invalidi di guerra, e le ragioni per cui non è stato ancora assegnato alla predetta Opera l’ex collegio di Monte Mario in Roma.

«Bastianetto, Giacchèro, Carignani, Russo Perez».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere se risulta rispondente a verità quanto è stato pubblicato dal quotidiano II Globo del 18 luglio 1947, secondo cui granoturco avariato per uso zootecnico viene venduto all’asta ad un prezzo più che raddoppiato o quasi triplicato rispetto a quello di lire 1600-1900 corrisposto dagli ammassi agli agricoltori, i quali in genere sono nel tempo stesso allevatori ed acquirenti di mangimi.

«Se gli risulta che il fatto denunziato dalla stampa alla pubblica opinione si riferisce ad un caso eccezionale di speculazione, che a nessun privato sarebbe consentita, oppure ad un sistema instaurato dagli enti ammassatori, i quali per sottoprodotti, commisti a materiale estraneo di ogni natura fino al 90 per cento, richieggono prezzi di gran lunga superiori ai prodotti genuini.

«Se l’onorevole Ministro ritiene simile commercio, monopolistico ed esoso, lecito e capace di favorire la produzione di carni, grassi, latticini con conseguente contrazione di prezzi.

«Miccolis».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare i Ministri dell’istruzione pubblica e del lavoro e previdenza sociale, per conoscere le ragioni che ritardano, pur in clima di progresso e di tutela del lavoro, la trasformazione dell’insegnamento della medicina del lavoro da complementare in fondamentale; e se non ritengano utile ed indispensabile, ai fini del concetto anzidetto, richiamare l’attenzione delle Facoltà mediche su tale necessità e su quella delle scuole di specializzazione nella materia medesima, specie nelle sedi universitarie, ove è notevole lo sviluppo dell’industria e dell’agricoltura industrializzata. È tempo di dare al lavoro la più ampia tutela anche e soprattutto con la formazione di medici specializzati e per la prevenzione e cura delle malattie dei lavoratori.

«Caso, Coppa, Capua, De Maria, Merighi, Fornara, Spallicci, Marconi, Rivera, Cavallotti, Maffi, Del Curto».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere le ragioni del lento procedere dei lavori per la sistemazione del porto di Riposto, in provincia di Catania, e soprattutto le ragioni per le quali non è stata ancora presa in considerazione e posta all’esame tecnico la costruzione del molo a nord della Chiesa della Lettera, costruzione che ha carattere di urgenza ed è indispensabile per evitare l’ulteriore insabbiamento dell’ormai ridottissimo specchio di acque e l’effettiva utilizzazione delle opere già eseguite. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Condorelli, Bonino».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare ili Ministro della pubblica istruzione, per aver notizie – in relazione alla interpellanza annunziata nella seduta dell’Assemblea dell’11 settembre 1946, e rimasta senza discussione e senza risposta, per quanto seguita dalla interrogazione 13 febbraio 1947 – sulla irregolare situazione e sul funzionamento del Provveditorato agli studi di Siracusa, nel quale venne illegalmente riassunto (a seguito dell’assunzione fattane dal Comando alleato al tempo dell’occupazione) quale reggente il professore Agnello Giuseppe, già nominato preside del liceo di Castrovillari; e sulla illegale di lui permanenza nell’arbitraria reggenza, contro le precise segnalazioni dei giornali di diversi partiti sulla illegalità della di lui nomina e situazione, e malgrado la pendenza di un procedimento penale contro di lui, conseguenza di un oltraggioso libello ai danni dell’interrogante, a causa e nell’esercizio della funzione parlamentare. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Di Giovanni».

Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri della marina mercantile, della difesa e dei lavori pubblici, sul caso veramente singolare del piroscafo inglese Fisch Pool, affondato nel porto di Siracusa.

«Sta in fatto che il Comando delle forze navali britanniche del Mediterraneo nel dicembre 1945 aveva autorizzato il signor Malfitano Giovanni di Siracusa a recuperare il carico del piroscafo inglese Fisch Pool, affondato nel porto di Siracusa, con assegnazione del 50 per cento del recupero.

«Per assolvere al compito assunto il Malfitano provvide ai mezzi occorrenti, con enorme dispendio.

«Successivamente il Comando navale italiano, succeduto a quello britannico, ratificava la concessione, previa assicurazione assistita e controllata da un ufficiale del Comando marina di Messina ed a condizione che, oltre all’assegnazione del 50 per cento del recupero, fossero sgombrati gli esplosivi e fosse rimosso lo scafo della nave, senza altro compenso; condizioni pienamente accettate. All’uopo, venne redatto dal competente ufficio, con l’accettazione del Malfitano, apposito disciplinare. Senonché, all’atto dell’inizio dei lavori, sopravvenne un inspiegabile e tardivo ordine telegrafico di sospendere, ed interpostisi nella vertenza il Ministero della marina ed il Ministero dei lavori pubblici, sorpassando la concessione legalmente consentita dal Comando navale britannico a favore del Malfitano, ratificata dall’autorità italiana, venne disposto esperimento d’asta; al quale il Malfitano dovette necessariamente restare estraneo, limitandosi a protestare con atto del 21 febbraio 1947, notificato all’ufficio del Genio civile di Siracusa, a tutela dei propri diritti quesiti.

«L’aggiudicazione venne fatta ad una ditta di Genova e non s’intende come, e perché, il Ministero dei lavori pubblici disponeva lo stanziamento (secondo notizia apparsa nei giornali) della somma di lire 4 milioni per i lavori di sgombero!

«Intanto il ritardo di circa due anni alla esecuzione dei lavori, sollecitato ripetutamente dal Malfitano, aveva peggiorato le condizioni della nave e del carico; rimasto esposto ai marosi invernali, riducendo le possibilità del ricupero; e mentre il Malfitano aveva assunto l’obbligo della resa del 50 per cento, alla nuova ditta veniva ridotta al 32 per cento oltre l’accollo a carico dello Stato della spesa di lire 4 milioni. Tutto ciò, a parte il danno alle maestranze portuali siracusane, per essersi spostato, a favore di una ditta di Genova, che vi provvederà con mezzi e personale propri, un lavoro essenzialmente destinato all’impiego di mezzi e mano d’opera di Siracusa, e l’inevitabile responsabilità dello Stato a risarcire al Malfitano i danni ben gravi, per la arbitraria rottura degli impegni contratti e legalmente ratificati. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Di Giovanni».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dell’interno e delle finanze, per sapere come intendono risolvere il problema riguardante le richieste di revindica da parte dei legittimi proprietari (associazioni, ecc., o loro rappresentanti ed aventi causa) dei beni – specialmente immobili – dei quali il partito fascista li ha spogliati con la violenza o con atti di trasferimento viziati per la illiceità della causa, per violenza o per frode. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Sardiello».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere quale fondamento abbia la notizia diffusa che opera di sabotaggio abbia determinato il ritardo della costruzione del ponte ferroviario fra Bussi e Torre dei Passeri, con il conseguente procrastinarsi dell’apertura al traffico dell’intera tratta Pescara-Roma.

«Si chiede inoltre se non si ritenga necessario assicurare a tale percorso un più conveniente materiale risultando che sulla Sulmona-Roma si usano carri merci per trasporto viaggiatori, mentre la linea Pescara-Roma per la sua importanza non deve essere considerata un tronco secondario e trascurabile. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Cotellessa».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dell’agricoltura e foreste e dei lavori pubblici, per sapere se non ritengano opportuno promuovere, siccome richiedono evidenti motivi di giustizia, la modificazione dell’articolo 16 del decreto legislativo 10 aprile 1947, n. 261, nel senso di stabilire che i maggiori contributi fissati da questo decreto legislativo per le case coloniche vadano non soltanto alle case coloniche che si trovano «in borgate agricole», ma anche alle case coloniche sparse nei singoli poderi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

Lami Starnuti.

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere le ragioni per le quali gli agricoltori della provincia di Massa e Carrara da circa un anno non ricevono nemmeno risposta dall’ispettorato compartimentale dell’agricoltura di Firenze alle richieste di collaudo dei lavori di riparazione e ricostruzione di fabbricati rurali e case coloniche compiuti sin dal 1946. La stessa sorte hanno le istanze che chiedono autorizzazione a iniziare i lavori ancora da eseguire.

«Questa inspiegabile condotta dell’ispettorato compartimentale non solo non facilita la ricostruzione di quella plaga, che è fra le più danneggiate dalla guerra, ma ha suscitato e suscita il più vivo malcontento fra i numerosi interessati, i quali hanno contratto debiti per eseguire le opere di ricostruzione, fiduciosi nel concorso di cui al decreto-legge 12 febbraio 1933, n. 215 e nelle promesse del Ministero dell’agricoltura. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Lami Starnuti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, perché consideri se non sia il caso – in attesa di una legge che disciplini in modo organico l’intera materia – di emanare una norma che consenta la alienabilità, almeno tra farmacisti, delle farmacie considerate in pianta stabile, che per la vigente legislazione non sono alienabili. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Colitto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare ili Ministro dei trasporti, per conoscere se non ritenga opportuno, non essendosi creduto di dare subito inizio ai lavori di ricostruzione del tronco ferroviario Vairano-Isernia, disporre che siano eseguiti subito almeno i lavori di ricostruzione della parte del tronco Vairano-Roccaravindola, che sono di agevole esecuzione e non importano ingenti spese, perché non vi sono opere d’arte da ricostruire ed hanno, d’altra parte, importanza davvero vitale, perché il tronco stesso serve tutta la zona del Venafrano, Masteroduni ed i comuni numerosi dell’Alto Volturno. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Colitto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se non ritenga opportuno estendere le leggi emanate per la ricostruzione delle carriere amministrative, anche ai maestri elementari, che per ragioni politiche non poterono partecipare al concorso bandito con decreto-legge 8 luglio 1937, n. 1327, col quale si provvide alla sistemazione dei maestri forniti di abilitazione alla direzione didattica aventi cinque anni di incarico nella direzione delle scuole rurali. Vi sono maestri, che al concorso non poterono partecipare per mancanza di tale ultimo requisito, essendo stati in precedenza dimessi dall’incarico, appunto per ragioni esclusivamente politiche. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Colitto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare ili Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se non ritenga opportuno estendere agli orfani della guerra 1915-18 i beneficî concessi agli orfani della seconda guerra mondiale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Colitto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Mi­nistro della pubblica istruzione, perché con­sideri se non sia opportuno trasferire nei con­vitti, che non hanno economi, viceeconomi e istitutori di ruolo, quei funzionari di ruolo, che appartengono a convitti rimasti chiusi per cause dipendenti dalla guerra. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Colitto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Mi­nistro del tesoro, per conoscere le ragioni per le quali occorre che gli interessati attendano anni prima di poter riscuotere le pensioni, cui hanno diritto. Vi sono persone, che han­no dato più figli in un solo giorno alla Pa­tria e, pur nel lutto e nella miseria, dopo cin­que anni non ancora riescono ad avere quanto loro spetta. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Colitto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Mi­nistro del lavoro e della previdenza sociale, perché consideri se non sia necessario elevare l’attuale limite di lire 1500 (articolo 5 del re­gio decreto-legge 14 aprile 1939, n. 636) per l’obbligatorietà delle assicurazioni sociali per gli impiegati, dato che detto limite è oggi di gran lunga superato da tutte le categorie im­piegatizie. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Colitto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Mi­nistro del lavoro e della previdenza sociale, perché consideri se non sia opportuno, per riparare a una situazione di vera ingiustizia, autorizzare l’ufficio contributi unificati e per esso le Commissioni comunali, di cui all’arti­colo 4 del decreto legislativo luogotenenziale 8 febbraio 1945, n. 75, a redigere elenchi di lavoratori agricoli a giornata, suppletivi de­gli elenchi compilati per l’anno agrario 1940- 1941, essendosi accertato che moltissimi lavo­ratori, che pure erano braccianti agricoli, non chiesero la iscrizione, ignorando, per il loro tenore di vita, le relative disposizioni, ed a redigere gli elenchi base per l’annata predetta nei comuni, in cui non lo furono affatto. (L’in­terrogante chiede la risposta scritta).

«Colitto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri degli affari esteri e della difesa, per conoscere se e quali nuove informazioni siano giunte al Governo circa la sorte dei militari dell’Armir ed in particolare per sapere se, in relazione ad una precedente interrogazione presentata dall’interrogante fin dal 23 aprile 1947, siano alfine pervenute le richieste informazioni sulla serietà del giornalista americano Stevenson che, con lettere datate da Cabul e pubblicate nel giornale II Buon Senso di Milano nel marzo scorso, nonché sul periodico l’Unione Monregalese, ha affermato che esistono confinati in Siberia sedicimila prigionieri italiani; e soprattutto se sia stata controllata l’attendibilità di tali affermazioni, le quali, specialmente in provincia di Cuneo, che ha dato decine di migliaia di alpini all’Armir, hanno suscitato nuove speranze in tante famiglie, imploranti una soluzione definitiva al loro dubbio angoscioso. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bubbio».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro della difesa, per conoscere se, in adesione ai voti elevati da ogni regione, non si ritenga doveroso di concedere la croce di guerra ai militari periti nella Campagna russa, in riconoscimento del supremo sacrificio compiuto in condizioni inenarrabili da decine di migliaia di giovani, scomparsi nella ritirata dal Don, senza lasciare traccia né del nome, né della data del decesso, né del luogo di loro sepoltura. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Russo Perez, Bubbio».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri della pubblica istruzione e del tesoro, per sapere se non credano giusto ed umano un adeguato aumento del misero emolumento di complessive lire 19.500, dato a fine d’anno scolastico agli insegnanti delle scuole sussidiate, per le quali lo Stato non ha il peso del pagamento, né di aule scolastiche, né di bidelli. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rescigno».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno e l’Alto Commissario per l’alimentazione, per sapere se loro risulti che il pacco U.N.R.R.A., concesso dal precedente Ministero De Gasperi, è stato distribuito, in provincia di Salerno, solamente agli impiegati residenti nel capoluogo e non anche a quelli residenti negli altri comuni, degni pur essi di aiuto, e se intendano dare disposizioni alla S.E.P.R.A.L. di Salerno, perché tale fatto non abbia a ripetersi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rescigno».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa e l’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica, per sapere se ritengano opportuno, in considerazione della benefica attività che svolge il Centro radiomedico internazionale (C.I.R.M.) per l’assistenza radio-sanitaria agli equipaggi delle navi italiane ed estere in navigazione, per l’assistenza al personale dei semafori e del piccolo naviglio della Marina militare, ed infine per l’assistenza radio-aero-sanitaria alle popolazioni delle piccole isole del Mediterraneo, distaccare dei medici militari ponendoli alle dipendenze della direzione di esso C.I.R.M., che non ha alcun contributo dallo Stato e svolge la sua azione per l’opera disinteressata di un gruppo di medici. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rescigno».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno inscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 20.10.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 9.30:

  1. – Svolgimento di interpellanze.
  2. Seguito della discussione sul disegno di legge:

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).